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SEMINARIO DEDICATO AGLI ENTI BENEFICIARI DI CONTRIBUTI NELL'AMBITO DEL PROGRAMMA HOUSING Piazza dei Mestieri – via Durandi 13 Torino, 12 novembre 2009 SINTESI DEI LAVORI DI GRUPPO

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SEMINARIO DEDICATO AGLI ENTI BENEFICIARI DI CONTRIBUTINELL'AMBITO DEL PROGRAMMA HOUSING

Piazza dei Mestieri – via Durandi 13Torino, 12 novembre 2009

SINTESI DEI LAVORI DI GRUPPO

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I sostegni del programma Housing della Compagnia di San Paolo: un quadro di sintesi

Il bacino di riferimento: gennaio 2007 – novembre 2009

Tra gennaio 2007 e novembre 2009 sono stati finanziati 19 progetti (di cui un rinnovo); 6 progetti (di cui un rinnovo) sono stati valutati in maniera positiva preliminare dall’Unità Valutativa e dal Comitato Tecnico di Valutazione; infine oggi ci sono ancora 19 richieste che devono iniziare il processo di istruttoria. Un dato significativo è che, tra il totale delle richieste ricevute in quasi due anni, ben 30 sono state presentate facendo ricorso alle linee guida predisposte specificatamente per il Programma Housing e pubblicate a luglio 2008.

I sostegni erogati

Tra i beneficiari, più del 60% ha ottenuto in passato altri finanziamenti dalla Compagnia di San Paolo. Per quanto riguarda la distribuzione territoriale, il 33% degli attori presentano progetti per la città di Torino, il 13% operano sul territorio della Provincia di Torino, mentre il rimanente 54% è distribuito sul resto del Piemonte.

A fronte di costi di progetto dichiarati per complessivamente € 8.148.038 (dati di maggio

2009), l’intervento del Programma Housing ammonta a € 1.773.000, che corrispondono al 21,7% dei costi. L’erogazione media per sostegno è di € 93.315.

Più nel dettaglio, tra gennaio 2007 e ottobre 2009 sono stati deliberati interventi per €1.710.000 per le opere di ristrutturazione, con una graduale contrazione – di anno in anno - degli importi erogati. Parallelamente, per i progetti di accompagnamento sono stati erogati in totale € 389.000 (passando, da €0 nel 2007, a € 90.000 per il 2008 e a ca. €299.000 per il 2009). 1

1 Per entrambe le tipologie di sostegno (accompagnamento e ristrutturazione) sono stati inclusi nel conteggio anche le 6 proposte approvate preliminarmente nel mese di ottobre 2009.

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La tipologia di progetti

A f r o n t e d i u n t a r g e t estremamente variegato (donne sole con senza figli, anziani autonomi, neomaggiorenni e giovani provenienti da situazioni di marginalità, rom, ex detenuti, nuclei famigliari in situazioni di emergenza abitativa, esperienze di turismo solidale), le azioni finanziate si possono suddividere in due macro categorie, con un sostanziale equilibrio tra i due tipi di intervento:

a) erogazione di nuovi servizi e sperimentazione di nuove metodologie, in parte anche attraverso la creazione o l’adeguamento di strutture/edifici esistenti

b) adeguamento/ ampliamento di strutture esistenti, per migliorare l’erogazione di servizi già buona misura operativi

Le modalità di lavoro del settore sostegni del PH

L’elaborazione di linee guida specifiche (con validità di 12 mesi) ha permesso una buona esplicitazione delle priorità del Programma Housing, una migliore delimitazione degli ambiti di intervento e l’intercettazione degli stimoli più innovativi del territorio. Allo stesso tempo le modalità scelte hanno garantito una certa flessibilità nell’ammissione delle richieste di contributo, intervenendo spesso fin dalle prime fase di elaborazione.

In particolare, lo staff multidisciplinare del PH è intervenuto nella fase preparatoria delle richieste (attraverso: incontri esplorativi con i beneficiari, individuazione criticità e punti chiave dei progetti di accompagnamento e riqualificazione; valutazione preliminare della coerenza complessiva del progetto; sopralluogo delle strutture; supporto nella compilazione del dossier di candidatura). In alcuni casi è stata anche utilizzata una figura specifica, per supportare il proponente nella migliore definizione del proprio modello di accompagnamento.

Questo lavoro preliminare ha consentito di creare un buon rapporto con i potenziali beneficiari, al di là dell’esito finale della candidatura. Si auspica che la costruzione di un rapporto di fiducia e di reciproco riconoscimento tra lo staff del Programma e gli operatori possa costituire, per le fasi di monitoraggio in itinere del progetto, un fattore favorevole allo scambio ed alla restituzione degli elementi chiave nell’ambito del Programma Housing.

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La valutazione e l’eventuale approvazione del progetto è stata fatta dapprima dal Comitato Tecnico di Valutazione ed in seguito dall’Unità di Valutazione, ancora una volta composta da professionalità interdisciplinari. L’iter di valutazione della proposta si conclude con l’approvazione finale del progetto da parte del Consiglio della Compagnia di San Paolo.

Il perché dell’incontro del 12 novembre

Il Programma Housing ha ritenuto importante proporre un’occasione di incontro tra tutti coloro che hanno ricevuto un contributo nell’ambito del Programma per:

- dare rilievo alle esperienze di housing sociale sostenute dal Programma Housing;

- favorire la creazione di una rete tra chi in Piemonte si occupa di housing sociale ed è legato al Programma Housing;

- proporre uno scambio su alcune tematiche chiave per lo sviluppo del Programma Housing, così come emergono dalle attività di ricerca ed analisi proprie del PH, dalle esperienze dei beneficiari dei sostegni e più in generale dagli stimoli del territorio.

Date queste premesse, i workshop previsti per l’incontro si focalizzeranno in particolare su tre macro tematiche:

a) mix sociale

b) rapporto con il territorio

c) housing nella 2° e nella 3° fase della vita

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Gruppo di lavoro: Rapporto con il territorio

Facilitatrice: Isabella Brossa Partecipanti: Leonardo Di Mattia (Associazione C.E. di volontariato penitenziario Brothers Keepers), Pade Fausto, Roberta Cadeddu (Associazione Solidarietà Fraterna Onlus), Cleo Albanese, Massimiliano Curto, Davide Teso (Associazione Terra del Fuoco), Ibrahim Osmani, Silvia Demma (Associazione Overland), Ferdinanda Blengino, Maria Elisa De Rosso (Associazione Franca e Marco), Lorenzo Germak (Associazione Ylda), Pamela Bongiovanni, Wally Falchi (Cooperativa Tenda Servizi), Luisa Barberis Negra, Laura Sudano (Cooperativa Sociale La Betulla), Efisio Serra (Cooperativa Sociale Parella)

Definizione del temaPartendo dalla definizione di rapporto con il territorio inteso come le reti formali con servizi e istituzioni e le reti informali con il vicinato e la comunità locale, che si sono attivate, sviluppate e consolidate attraverso i progetti, si è riflettuto sugli elementi positivi, intesi come azioni e strumenti che hanno favorito l’instaurarsi di relazioni supportive dei progetti e sulle criticità e ostacoli incontrati. Il gruppo

ha coinvolto 16 partecipanti rappresentanti 9 organizzazioni. Ci si è spesso riferiti al territorio come un’entità geografica e a un sistema di relazioni sociale fluidi, dai confini mobili, in cui le questioni osservate, trattate e assunte dai progetti di housing sociale hanno una realizzazione locale ma sempre più una provenienza globale.

Difficoltà/Criticità che si riscontrano:Le criticità che sono state espresse riguardano sia il ruolo delle istituzioni pubbliche, sia le condizioni della comunità locale. Nel primo caso le difficoltà sono date da diverse questioni: la mancanza di proposte o l’inadeguatezza degli interventi più tradizionali e consolidati da parte delle istituzioni pubbliche rispetto a vecchi o nuovi fenomeni, l’incapacità di alcune istituzioni in generale, o dei servizi sociali in particolare, di accompagnare gli interventi dopo l’invio dei casi

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problematici e l’intendere in senso burocratico-amministrativo il lavoro di rete, la poca conoscenza e sensibilità verso il co-housing e l’housing sociale in generale. Nelle esperienze raccontate giocano un ruolo critico anche la diffidenza della comunità, la paura e i pregiudizi verso i destinatari degli interventi progettati. Talvolta si è parlato di territori “malati” dove si sono stratificati, rinforzati e cristallizzati i disagi sociali, dove le cause e le spinte all’esclusione si moltiplicano, si diffondono e investono gruppi sempre più ampi di popolazione.

Aspetti Positivi/Potenzialità che si sviluppano:Gioca un ruolo chiave nella relazione con il territorio la capacità delle organizzazioni di suscitare interesse, vicinanza e di costruire relazione di fiducia con le istituzioni e la comunità locale e la capacità di proporre progettualità innovative, flessibili che si possano rimodulare tenendo conto del mutamento dei fenomeni e delle normative.Le organizzazioni riescono a costruire rapporti con il territorio supportivi ai progetti quando sono capaci di un’acuta lettura del contesto e di collaborare nella complementarietà, evitando cioè di replicare le esperienze già svolte da altri soggetti, cercando di stabilire degli stretti legami con altre risorse e professionalità espresse dal territorio funzionali alla realizzazione della propria iniziativa. Quando sanno cogliere e beneficiare della presenza di realtà locali vivaci, forti riferimenti per la comunità e di un vivace impegno del volontariato locale, o attivare partnership ricche e competenti per accompagnare puntualmente l’iniziativa. In altri casi quando sono in grado di promuovere l’appartenenza a reti di reti, network più ampi per sostenere i diversi bisogni delle persone dal bisogno di socialità, al bisogno abitativo, a quello di lavoro.

Possibili soluzioni per il superamento delle criticità e nello sviluppo delle ricadute positive:Investire sulla comunicazione e promozione coinvolgendo gli stessi destinatari ha permesso in molti casi di informare, avvicinare e promuovere relazioni di scambio più calde con il vicinato e la comunità in generale. È stato importante utilizzare i punti di riferimento forti e vitali della comunità stessa (es gli oratori, le scuole) e gli spazi di comunicazione già attivi sul territorio (es i Tavoli Sociali). Mantenere le strutture aperte al territorio organizzando eventi, feste, allestendo spazi espositivi può permettere uno scambio dentro-fuori che diminuisca le paure della comunità di essere invasa dai problemi e faccia conoscere le risorse che le persone aderenti ai progetti portano.Anche la professionalizzazione e l’inserimento lavorativo dei destinatari dei progetti sono chiavi per entrare nella comunità, comunicare e instaurare relazioni fiduciarie. Un'altra forma di accreditamento del progetto è la realizzazione di diverse forme di restituzione sociale, per esempio far si che i destinatari delle iniziative di housing sociale si occupino della cura di alcune parti comuni dei condomini, quali le aiuole e i cortili, o stabiliscano forme di vicinato solidale, offrendo gratuitamente servizi di piccola manutenzione a anziani del condominio.

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Permette l’attivazione di legami con la comunità la capacità di elaborare proposte progettuali che sappiano interpretare le vocazioni economiche di un territorio e offrire iniziative nuove e utili alla comunità intesa nella sua complessità non solo ai destinatari dei progetti.In generale tutte le organizzazioni ritengono che si debba lavorare per il mantenimento di buoni rapporti con il territorio attraverso attività di mediazione all’interno dei condomini e con il vicinato.

Gruppo di lavoro: Housing sociale per la 2° e 3° fase della vita

Facilitatrice: Irene Ponzo Partecipanti: Viridiana Pusateri (Fondazione Operti), Paola De Nale (Casa di Riposo Orfanelle), Giacomo Sandri (Casa di Riposo Orfanelle), Gianni Cavallini (Associazione Avv. Cavalli), Gianni Bono (Casa di Riposo Mons. Giovanni Battista), Giovanna Bongiovanni (Casa di Riposo Mons. Giovanni Battista), Mario Armanni (Comunità S. Egidio), Piero Bestagni (Comunità S. Egidio), Valentina Bellis (A.G.S.)

Definizione del temaPar tendo dal le esper ienze dei partecipanti si è ragionato sulle criticità e sugli elementi innovativi dell’housing sociale per anziani. Dal momento che l'invecchiamento è un processo progress ivo abbiamo utilizzato una definizione ampia del target – con 2° fase della vita ci riferiamo infatti all’ultima parte della vita adulta (55-70 anni) e con 3° fase della vita alla vecchiaia (oltre 70 anni). Il gruppo ha coinvolto 9 partecipanti rappresentanti 6 organizzazioni.

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Difficoltà/Criticità:Le difficoltà emerse riguardano principalmente tre temi. Il primo è quello della gestione del cambiamento, il quale può essere declinato in differenti modi: come passaggio dell’anziano dalla propria casa a una struttura di housing sociale; come mutamento nella sua vita sentimentale con la necessità di ospitare presso la struttura un compagno/a; come peggioramento (progressivo o repentino) delle condizioni psico-fisiche. Le risposte all’aggravarsi delle condizioni di salute sono principalmente due, entrambe fonti di ulteriori criticità: una forte flessibilità delle strutture e dei servizi offerti che impone tuttavia costi economici elevati; il trasferimento in altre strutture che implica però una temporaneità della presenza dell’ospite, difficile

da accettare per l’anziano e problematica da gestire con i contratti di locazione esistenti. Un secondo ordine di criticità riguarda la dipendenza dell’housing sociale per anziani dalle risorse del territorio, intese sia come servizi di welfare che come disponibilità e professionalità del privato sociale. La terza area critica concerne le difficoltà che l’anziano può incontrare nel condividere la vita quotidiana con altre persone: può essere difficile trovare un equilibrio tra la necessità di stimolare la socializzazione tra gli ospiti e la garanzia di tranquillità e protezione di cui l’anziano ha bisogno. A questo proposito, è stato anche evidenziato come il mix sociale intergenerazione possa risultare particolarmente problematico.

Elementi innovativi del social housing per anziani e possibili soluzioni:Le soluzioni ai problemi sopra citati coincidono in gran par te con l’introduzione di misure innovative. La principale è stata individuata nella flessibilità, declinabile in differenti modi: la flessibilità dei servizi, ma anche delle soluzioni architettoniche, così da poter eventualmente dare alloggio a OSS, compagni/e o familiari; la flessibilità degli operatori che devono sapere gestire problemi di natura differente (infermieristici, relazionali, ecc.); la possibilità di sperimentare sia per l’ente promotore, così da meglio adattare l’offerta di housing sociale alle domande degli ospiti, sia per gli ospiti stessi, per poter decidere se restare o meno nella struttura sulla base dell’esperienza diretta. Una seconda soluzione innovativa è rappresentata dall’apertura al territorio con il duplice obiettivo di favorire il mantenimento delle

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relazioni sociali da parte degli ospiti e di abbassare i costi della flessibilità utilizzando i servizi già esistenti. Un terzo elemento innovativo consiste nel superare la netta distinzione tra autosufficienti e non autosufficienti per lavorare sulla percezione di autonomia, facendola almeno in parte coincidere con il concetto di affidabilità e facendo leva su ciò in cui l’anziano è ancora indipendente. In ogni caso, a fronte dell’allungamento della vita, articolare il processo di invecchiamento in 2°, 3° e 4° fase della vita potrebbe essere utile a calibrare meglio gli interventi.

Gruppo di lavoro: Mix Sociale

Facilitatrice: Katiuscia Greganti Partecipanti: Piercarlo Borelli (Associazione Azas), Suor Palmina (Associazione Azas), Mauro Cingolani (Cooperativa Sociale L’Altra Idea), Fabio Gallo (Associazione Papa Giovanni XXIII Onlus), Luciano Ghio (Fondazione Il Riparo Onlus), Giambattista Giusio (Fondazione Il Riparo Onlus), Mauro Giacosa (Cooperativa Alice), Riccardo Giordana (Associazione Cattolica Internazionale al servizio della giovane – ACISJF), Chiara Gattoni (Cooperativa Atypica A.R.L.), Cristina Soranzo (Cooperativa Atypica A.R.L.), Silvana Occhiena (Associazione Enrichetta Alfieri), Nicoletta Salvi (Cooperativa Parella), Silvia Bosco (A.G.S.)

Definizione del temaPartendo dalla definizione di mix sociale inteso come la compresenza di target diversi contraddistinti da differenti gradi di vulnerabilità sociale e abitativa, si sono ragionate e condivise le diverse esperienze riferendo di potenzialità e criticità nello sviluppo di progetti orientati al mix sociale. Il gruppo ha coinvolto 13 partecipanti rappresentanti 10 organizzazioni.

D i f f i c o l t à / C r i t i c i t à c h e s i riscontrano:Le criticità che sono state espresse sembrano seguire sostanzialmente le varie fasi di ingresso degli utenti. In prima istanza le difficoltà che e m e r g o n o f a n n o r i f e r i m e n t o a l l ’ inser imento nel le d iverse strutture/abitazioni dei destinatari degli interventi, soprattutto in termini di chiusura, paura e diffidenza, elemento che compare anche rispetto al contesto che accoglie il progetto.

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Ulteriori difficoltà si presentano successivamente con la convivenza dei diversi fruitori, in particolare quando si tratta di gestire la quotidianità. Criticità emergono anche rispetto ai target troppo differenti che rendono le conflittualità troppo accentuate e di difficile gestione. Interessante è la considerazione emersa sullo sviluppo di solidarietà che i progetti promuovono ma che può, a volte, trasformarsi in connivenza. Tale riflessione ha portato a riconsiderare l’importanza, non solo di una progettualità consapevole, ma anche di un monitoraggio attento del processo che si promuove.

Aspetti Positivi/Potenzialità che si sviluppano:Diverse le ricadute positive che i partecipanti rilevano nel lavorare in situazioni di mix-sociale. Quando i progetti prendono avvio riescono nella maggioranza dei casi a sviluppare una situazione di apertura sia rispetto ai destinatari sia rispetto al contesto. Obiettivo principale rimane sempre quello di evitare la ghettizzazione attraverso lo sviluppo di reti, elemento considerato essenziale per la riuscita nello sviluppo della autonomizzazione e della responsabilizzazione. Il confronto ha messo in evidenza che progetti con utenti fra loro molto differenti sembrano essere promotori di responsabilizzazione, mentre con utenti più simili sembrano promuove maggiormente aspetti solidaristici. Tutti i partecipanti hanno segnalato l’importanza di avere come obiettivo finale l’autonomizzazione.

Possibili soluzioni per il superamento delle criticità e nello sviluppo di ricadute positive:Essenziale perché i progetti avviati abbiano ricadute positive è, nelle indicazioni dei partecipanti al gruppo di lavoro, l’accompagnamento e il sostegno attuato dalle diverse organizzazioni nei confronti dei destinatari. Il punto fermo su cui si è trovato accordo è stato il sottolineare l’importanza di attivare azioni che vadano al di là di un approvvigionamento di beni materiali, in particolare il lavoro che viene ritenuto fondamentale è quello di fungere da promotori e sviluppatori di reti, di riportare alla centralità della persona (in termini di cura e dignità), ridare senso all’esperienza (attraverso obiettivi e regole condivise) al fine di e v i t a r e i l r i s c h i o d i d i v e n i r e assistenziali. La riflessione sul proprio operato ha permesso di far emergere il bisogno di un confronto sul tema dell’accompagnamento.

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Riflessioni sul seminario dedicato agli enti beneficiari di contributi nell’ambito del programma housingdi Manuela Olagnero

Nel corso della mattinata, e nei lavori di tutti i gruppi, si è avuto un buon test di competenza comunicativa. Competenza comunicativa vuol dire, in generale, saper interagire con altri parlanti con l’intesa reciproca di condividere significati e con l’idea di apprendere vicendevolmente dallo scambio discorsivo, senza imposizioni né sudditanze. In particolare significa essere consapevoli che non basta individuare un target sociale ancora “scoperto” per attivare un intervento abitativo, ma che occorre inquadrare i nuovi bisogni intercettati dentro un resoconto convincente (convincing narrative) che offra una ricostruzione plausibile e accessibile, per tutti, di un particolare problema. Inoltre significa usufruire di una cornice riflessiva che rende gli interlocutori disposti a riconoscere l’eventuale responsabilità di insuccessi dell’azione intrapresa e capaci a ricostruire i passaggi cronologici e strategici che li hanno prodotti. Su un tema impegnativo come quello della ricerca e della sperimentazione di soluzioni innovative per l’housing sociale, il sentimento della complessità del compito è, peraltro, piuttosto diffuso. Anzi ciò che ha portato le persone a confrontarsi in questa occasione è l’idea di avere in mano, con la loro esperienza, non la soluzione definitiva di un problema generale, ma un pezzo del puzzle da mettere insieme a quelli portati dagli altri.

Il tema dell’abitare sociale è in sé complesso per la quantità dei livelli analitici cui rimanda (potendosi parlare di housing con riferimento a interventi rivolti agli alloggi, ai loro abitanti, ai quartieri dove gli alloggi sono situati). Ed è c o m p l e s s o a l t r e s ì p e r l e asimmetrie e le tensioni che si generano dalla combinazione tra i diversi livelli. Si pensi ai disagi l e g a t i a u n a l l o g g i o economicamente sostenibile, ma troppo piccolo per chi lo abita; a

un appartamento grande abbastanza, ma situato in un quartiere degradato e insicuro; a un’abitazione troppo costosa per chi sta da solo, ma difficile da sostituire con una più piccola, ecc.La narrativa dell’abitare è intessuta di asimmetrie di tempo e di spazio, di mancati o difficili incontri tra le tre componenti fondamentali dell’abitare: appunto alloggi, abitanti, territorio.

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E’ proprio alla necessità di connettere le varie dimensioni dell’abitare, che si pensa quando si parla di qualità dell’abitare, ovvero quando si ha l’ambizione di trovare, per la questione abitativa, soluzioni che superino i confini stretti delle problematiche (solo) edilizia, (solo) urbanistica, e (solo) economica della casa. Perché abitare non è solo occupare un alloggio, ma poter autonomamente e dignitosamente organizzare attraverso tale spazio, una vita quotidiana adeguata; non solo collocarsi in un sito geograficamente determinabile, ma anche riconoscerlo come ambito locale, cioè come contenitore di relazioni sociali dotate di senso. Questi “non solo ma anche”, mentre danno gambe e fiato all’innovazione nelle politiche dell’abitare, ne sanciscono spesso gli inevitabili limiti; essi si possono individuare su più fronti: il primo di questi riguarda la impossibilità di fronteggiare, con analoga sensibilità alla qualità, (nonché altrettanta attenzione alla specificità dei bisogni, e comparabile capacità di trattamenti integrati), una platea crescente e differenziata di candidati all’intervento. Un secondo fronte è la difficoltà di tenere sotto controllo un’area territoriale di intervento i cui confini sono resi mobili dai modi d’uso e mappe mentali che variano in funzione delle diverse esperienze e aspettative della popolazione insediata.

Sfide così impegnative si possono affrontare soltanto coordinando gli sforzi e le risorse di molti attori e circoscrivendo accuratamente contesto territoriale di intervento e target dei destinatari. Di qui la necessità di organizzare la segnaletica, la diagnosi e le soluzioni di nuovi bisogni abitativi dentro un progetto. Il progetto è una parola chiave per capire che è possibile organizzare azioni di housing sociale (ma non solo) che siano a portata limitata, ma non effimere, circoscritte a particolari obiettivi, ma non irresponsabili, bensì coerenti e controllabili nel tempo. Un progetto è tale, infatti, in quanto è dotato di un obiettivo specifico, da raggiungere a condizioni predeterminate, e con risorse temporaneamente riunite per raggiungere quell’obiettivo. Il progetto garantisce un legame cogente tra obiettivi, risorse e condizioni locali. Lavorare su progetti consente alle azioni di housing di far convivere l’onerosità del mandato con responsabilità congiunte, costi distribuiti, decisioni concordate. I progetti di housing sociale mostrano poi che si può creare uno spazio di discorso pubblico anche dove non sono direttamente presenti o coinvolte le istituzioni.Affinché l’oggetto di cui ci si preoccupa sia riconducibile alla dimensione pubblica occorre che sia ad esso riconosciuta rilevanza collettiva, siano date massima visibilità e massima trasparenza (caratteristiche opposte a quelle della segretezza e della opacità); che ci sia l’intenzione non soltanto di fare qualcosa a beneficio di una particolare categoria, ma di costruire un terreno “terzo”, in cui si formulino regole e visioni del mondo tali da generare obbligazione e impegno da parte dei sottoscrittori del patto (è ciò che normalmente si intende con institutions building).Ma questo ancora non basta.

Un progetto deve collocarsi e rimanere dentro una cornice tempo e spazio-correlata. Il cambiamento di scala delle politiche, ovvero il farsi locale delle soluzioni abitative, non significa soltanto che viene riconosciuta rilevanza ai luoghi in cui si manifesta il bisogno, ma vuol anche dire essere più

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prossimi alle risorse che il territorio produce, ai saperi insediati con i quali occorre interloquire, alle esperienze associative con cui bisogna entrare in relazione.Le criticità sono dietro l’angolo: l’intercettare bisogni molto singolari e molto localizzati può ostacolare, complici la frammentazione e la polverizzazione dell’intervento, la necessaria “risalita” dell’azione verso categorie di più generali e universalistiche; il sottovalutare l’inerzia o viceversa la reattività del contesto di fronte a un intervento di housing sociale, oppure immaginare una sequenza lineare e automatica tra miglioramento delle condizioni abitative e promozione sociale degli abitanti di un quartiere, sono altrettante trappole che compromettono l’efficacia e la credibilità della progettazione abitativa.Ma altre criticità riguardano i rapporti tra partners coinvolti nel progetto: la consapevolezza dei rischi di surmenage non sempre è presente nella fitta agenda degli scambi tra partners. L’impegno richiesto, sia per gli attori pubblici che per gli altri attori, può rivelarsi eccessivo rispetto ai benefici attesi: di qui il generarsi di un sovraccarico talora insostenibile, legato alla necessità di verifica e aggiornamento continui delle posizioni e degli impegni degli attori coinvolti (si parla in questi casi di partnership fatigue, di network fatigue) con il rischio di burnout da parte di chi è più esposto su entrambi i fronti: dell’intervento materialmente inteso, e della sua preparazione e progettazione concertata.

Quanto al tempo, l’ovvietà del tempo che passa, diventa, per i destinatari degli interventi e per coloro che devono rispondere alle loro richieste, elemento non banale di modificazione della situazione originaria, con possibili risvolti di crisi. Sul primo fronte, e cioè con riguardo ai destinatari delle politiche abitative, si può dire che le esperienze di nuovi modi di abitare e coabitare, applicate alla popolazione anziana hanno mostrato, in maniera paradigmatica, quanto i bisogni abitativi di questa particolare categoria, siano esposti a mutabilità nel tempo e come quindi occorra abituarsi a ragionare, anche sul terreno dell’innovazione, attorno a una gamma piuttosto ampia di soluzioni abitative flessibili e fungibili tra loro. A pensarci bene, tuttavia la consapevolezza del carattere tempo-correlato dei bisogni abitativi dovrebbe essere estesa a qualsiasi categoria, non potendosi pensare a bisogni abitativi che siano fisse e invariabili nel tempo. Anzi ormai da tempo si riconosce che è proprio la temporaneità a dare forma ai bisogni abitativi di particolari categorie che premono per entrare nel cono di attenzione delle politiche (dai lavoratori mobili, a persone in uscita da particolari condizioni familiari o occupazionali, ecc.)Sul secondo fronte, e cioè con riguardo a decisori e attuatoci di politiche, si può parlare di ambivalenza dell’effetto-tempo: da un lato occorre che le politiche abitative sappiano “tenere il tempo”, e a rispettare le scadenze, impedendo il deperimento della fiducia in chi, dentro una casa o entro i confini di un quartiere, attende segnali di risoluzione dei molti problemi e delle molte controversie che si generano a ridosso di un intervento edilizio/territoriale; per l’altro verso occorre che le politiche sappiano prevedere e preservare degli opportuni allentamenti, rallentamenti (slack) temporali. Tali battute di sospensione o di arresto provvisorio sono cruciali per attrezzare e far convergere gli indispensabili riscontri di come le cose stanno andando, per intercettare conseguenze

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inattese, valorizzarle o correggerle, se non in corso d’opera, almeno per la messa in forma di interventi successivi.Imparare a convivere con ambivalenze di significato, e prepararsi a trovare effetti inattesi, potrebbero essere gli indispensabili passaggi per imparare a r e s i s t e r e t a n t o a l l a delusione quanto alla i n f a t u a z i o n e c h e u n progetto di housing sociale può generare.

Le sfide dell’housing socialedi Norma De Piccoli

L’Housing sociale, particolarmente quando si propone, come nel caso del Programma Housing prefigurato dalla Compagnia di San Paolo, di fornire un servizio per il territorio di riferimento, di sviluppare il cosiddetto mix sociale e di proporre forme innovative e sperimentali di coabitazione a favore delle fasce grigie, attraversa una serie di sfide (sociali, culturali ed etico/politiche). Sarà attraverso la sinergia tra i diversi attori coinvolti che si potrà contribuire concretamente allo sviluppo di una cultura dell’abitare innovativa. Quali sono queste “sfide” o, per lo meno, quelle che compaiono con maggiore visibilità e “urgenza”?Anche attraverso i lavori dei sottogruppi che si sono sviluppati nel corso della mattinata mi sembra di poterle così sintetizzare:Sfida n. 1: sviluppare una cultura della differenza.Sfida n. 2: favorire il rapporto con il territorio per sviluppare la convivenza sociale.Sfida n. 3: impedire interventi mirati a categorie specifiche per sviluppare le competenze dei singoli. Sfida n. 4: contribuire allo sviluppo di una cultura della valutazione.Entro ora nello specifico di ciascun punto, seppure sia ben consolidato il fatto che questi siano tra loro interconnessi e costituiscono un insieme integrato: lo sviluppo o successo dell’uno costituisce causa/effetto dell’evoluzione degli altri. E le riflessioni e i contributi prodotti da ciascun sotto-gruppo lo hanno ben testimoniato.

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Sfida n. 1: sviluppare una cultura della differenzaI progetti e gli interventi di housing sociali qui intesi, senza volersi sostituire a forme di accompagnamento sociale tradizionalmente intese, mirano a evitare che situazioni di difficoltà e fragilità si protraggano nel tempo, rischiando così di cronicizzarsi e di rinchiudere il soggetto in categorie sociali ghettizzanti. Il mix sociale, difficile da ipotizzare là dove si presentino situazioni di alto disagio, potrebbe costituire, in queste forme di “accompagnamento leggero”, una risposta al rischio di emarginazione e di etichettamento sociale.Il mix sociale così inteso, e in parte già concretizzato in alcuni progetti, seppure sottoforma di sperimentazione, potrebbe così educare non solo i destinatari diretti degli interventi, ma anche la collettività intera, a non costruire una separazione tra chi è in una situazione di fragilità e chi invece si trova in condizioni esistenziali “normali”, a non dividere chi abbraccia stili di vita differenti, a non separare chi ha percorsi esistenziali lineari da chi si trova ad attraversare situazioni di fragilità e vulnerabilità psicosociale. Il mix sociale potrebbe così costituire una sorta di laboratorio volto a sviluppare quindi una cultura della differenza, da un lato presentando forme di convivenza che confermano la possibilità di con-dividere un progetto con altri, seppure con storie e culture diverse dalle proprie, dall’altro intrecciando con il territorio relazioni e reti sociali (vedi infatti qui “sfida n. 2) ed è noto che uno degli aspetti che può favorire una riduzione di stereotipi e pregiudizi è un buon inserimento delle persone nel tessuto sociale, sempre un po’ diffidente ad accettare l’ “altro”, il “diverso”.

Sfida n. 2: favorire il rapporto con il territorio per sviluppare la convivenza socialeLa quasi totalità dei progetti che si occupano di housing sociale, e che si sono avvicinati al programma Housing della Compagnia di San Paolo, si propongono di sviluppare o, per lo meno, di costruire, una buona rete con il territorio di riferimento. Questo aspetto è fondamentale se si vuole evitare, come affermato poco sopra, forme di stigmatizzazione nei confronti di chi ha avuto un percorso di vita accidentato. Il territorio può infatti costituire una risorsa per rispondere alle esigenze di inserimento sociale delle persone, per la costruzione di reti di sostegno informali. È quindi fondamentale che l’agenzia (cooperativa, ente, associazione o altro) si adoperi per avere una significativa presenza all’interno della comunità locale, intrecciando progetti e iniziative con quelle eventualmente già

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presenti nel territorio, in modo che non vi sia una separazione tra chi sta dentro e chi sta fuori, ma risorse personali e risorse della comunità si possano intrecciare in un reciproco scambio sinergico.

Sfida n. 3: impedire interventi mirati a categorie specifiche per sviluppare le competenze dei singoli Un aspetto ben noto da quanti si propongono di utilizzare l’housing sociale come veicolo di “riscatto sociale” è quello di contribuire a sviluppare le competenze dei singoli cercando di individualizzare un percorso di sviluppo di competenze e possibilità. Questo è possibile in quanto i progetti sino ad ora giunti alla Compagnia di San Paolo sono mirati a numeri relativamente ristretti di persone e che quindi permettono di rispettare e considerare la soggettività e specificità di ciascun individuo, assecondando la sua storia, rilevando le sue necessità ma, soprattutto, sviluppando le sue peculiarità intese come risorsa per sé (recuperando quindi autostima, percezione di autoefficacia, strategie emotive e cognitive per affrontare situazioni di criticità, tutti aspetti che, come è noto, sono minati da storie di vita di deprivazione e difficoltà). Questo significa poter costruire delle relazioni orizzontali con le persone, basate sulla fiducia e sullo scambio reciproco, evitando quindi di instaurare un rapporto verticale quale quello tra operatore e utente, che rischia di creare forme di passività e di dipendenza dalla struttura e dagli operatori. È un approccio che dovrebbe essere mirato a sviluppare le risorse di ogni singola persona e a promuovere la sua indipendenza e autonomia, sia essa psicologica, sia logistica e materiale, base di ogni evoluzione.

Sfida n. 4: contribuire allo sviluppo di una cultura della valutazionePoiché si è in presenza di progetti innovativi, che dovrebbero contribuire anche a produrre una “nuova cultura dell’abitare”, su cui però non esiste, almeno in Italia, una prassi consolidata, si tratta anche di sperimentare modelli di buone prassi. Significa sviluppare modalità di intervento innovative, non alternative a forme di intervento già presenti e consolidate nei nostri territori, ma integrate con queste. A fronte di nuovi bisogni, di un sistema sociale, economico e umano in cambiamento, è necessario quindi cercare di rispondere in modo innovativo ai bisogni emergenti. Anche per questo i progetti di housing sociale dovrebbero prevedere forme di monitoraggio e valutazione. Specialmente là dove non esistono modelli standardizzati e prassi consolidate, è necessario realizzare forme di valutazione sia dei risultati ottenuti, ma anche del processo, poiché contenuti e processi non sono mai disgiunti. La valutazione dovrebbe cioè diventare una prassi consolidata all’interno di ogni progetto; è solo attraverso un processo valutativo che permetta di monitorare il processo in tutte le sue fasi (dall’implementazioni alla ricaduta che esso ha nei confronti sia dei soggetti a cui è rivolto sia nei confronti del territorio) che è possibile individuare le operazioni che hanno avuto successo e le fasi più critiche, cercando di capire cosa non ha permesso a una certa azione di raggiungere gli scopi prefissati. È inoltre solo attraverso un processo di valutazione che è possibile “dare valore” (infatti il significato etimologico del termine richiama il concetto di “valere”) a quanto è stato fatto. La valutazione permette di avere gli strumenti e le informazioni adeguate per individuare le criticità e rendere migliore l’intervento. Valutare non è giudicare, ma è riconoscere il valore di quanto è stato fatto.