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<[email protected]>,"\"Chiesa Gianluca\"" <[email protected]>,"> \"Immacolata d'Errico\"" <[email protected]>,">" <[email protected]>,"\"Furio Lambruschi\"" <[email protected]>,"> \"Bercelli Fabrizio\"" <[email protected]>,">" <[email protected]>,"\"C. C. Crocetta\"" <[email protected]>,"> \"Lorenzini Roberto\"" <[email protected]>,">" <[email protected]>,"\"Bini Simona\"" <[email protected]>,"> \"Airenti Gabriella\"" <[email protected]>,">" <[email protected]>,"\"Blancato Ivan\"" <[email protected]>,"> Livia\"" <[email protected]>,"\"Cutica Ilaria\"" <[email protected]>,"> \"Blanzieri Enrico\"" <[email protected]>,">" <[email protected]>,"\"Bucciarelli Monica\"" <[email protected]>,"> \"Sacco Katiuscia\"" <[email protected]>,">" <[email protected]>,"\"Adenzato Mauro\"" <[email protected]>,"> \"Becchio Cristina\"" <[email protected]>,">" <[email protected]>,"\"Bosco Francesca\"" <[email protected]>,"> Luca\"" <[email protected]>,"\"Pia Lorenzo\"" <[email protected]>,"> \"Berruquier Claudia\"" <[email protected]>,">" <[email protected]>,"\"veglia\"" <[email protected]>,">" <[email protected]>,"\"Merlicco Giusi\"" <[email protected]>,"> Simona\"" <[email protected]>,"\"Reda Mario\"" <[email protected]>,"Giuseppe Nicolo'" <[email protected]>,<[email protected]>,"Michele Procacci" <[email protected]>,"Maurizio Falcone" <[email protected]>,"Massimo Marraffa" <[email protected]> CC:"Antonio Fenelli" <[email protected]>,"Antonio Onofri" <[email protected]> XXXVIII E una protesta si levo’…….. Date: Mon, 16 Dec 2002 09:43:11 +0100 Subject: R: OC e previsione di realtà cliniche Non ho ricevuto l'articolata risposta di Silvio di cui parla Gianni. Mi farebbe piacere leggerla, Giancarlo XXXIX Date: Mon, 16 Dec 2002 11:44:57 +0100 Subject: R: OC e previsione di realtà cliniche Caro Gianni, lieto di essere ben accolto in questa comunità di menti, riprendo il dibattito, reso ancora più vivo dai tuoi interessanti chiarimenti, che, naturalmente rispecchiano la tua posizione sulle OG, non so quanto condivise dagli altri sostenitori, magari più "Guidaniani" del modello. Poche note su alcuni dei punti da te sollevati Se troverò il tempo, ci scriverò sopra un libro con un tizio che sta a New York (tanto per non essere tagliato fuori dal dibattito internazionale). Come dire... magari! Hai notato, Giancarlo, che, pur non commentando in dettaglio il vostro lavoro al Terzo Centro, in un nota del mio ultimo libro (pag. 147) ho dichiarato entusiasmo per quel che scrivete sui DP, e speranza che si arrivi presto ad integrarlo con alcuni temi de "Le opere della coscienza"? Sì, l'avevo letto (con l'attenzione e l'avidità con cui leggo tutto quello che scrivi) e te ne ringrazio. Resta il fatto che il dibattito psicopatologico interno alla SITCC resta centrato sulle OC e questo non mi sembra un bene. Ragionando alla Kelly, se non si possiedono i costrutti adeguati intere aree della realtà non esistono. Prima che tu parlassi di disturbi della coscienza e dissociativi pochissimi nella SITCC (ma in generale in Italia) li riconoscevano, diagnosticavano e trattavano adeguatamente. Pensare sempre e prevalentemente in termini di OC non fornisce gli strumenti osservativi e concettuali per dare senso a fenomeni che, magari notati di sfuggita dai giovani clinici, non entrano nel focus del trattamento e non vengono studiati adeguatamente. Giancarlo, inoltre, scrive: "Le OC sono organizzazioni di personalità che hanno il nome di disturbi di asse I. Ci si aspetta (giustamente) come Francesco che prevedano l'emersione dei sintomi che le denominano. Sappiamo (non riprendo i temi del dibattito) che non lo fanno". Non sono d'accordo. Non "sappiamo" che non lo fanno. Questa sarà un'opinione tua o di Francesco, non il risultato di confutazioni empiriche controllate. La mia opinione, al contrario, è che lo fanno piuttosto bene, e so che molti sono d'accordo con me (ovviamente, questo consenso NON equivale ad una prova empirica controllata a corroborazione delle congetture di Guidano e Liotti sulle OC). Mi spiego con un esempio: quando vedo una persona con un disturbo del comportamento alimentare, prima ancora che cominci a parlarmi della sua vita affettiva mi aspetto che parli delle sue difficoltà sentimentali in termini di

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XXXVIII E una protesta si levo’…….. Date: Mon, 16 Dec 2002 09:43:11 +0100 Subject: R: OC e previsione di realtà cliniche Non ho ricevuto l'articolata risposta di Silvio di cui parla Gianni. Mi farebbe piacere leggerla, Giancarlo XXXIX Date: Mon, 16 Dec 2002 11:44:57 +0100 Subject: R: OC e previsione di realtà cliniche Caro Gianni, lieto di essere ben accolto in questa comunità di menti, riprendo il dibattito, reso ancora più vivo dai tuoi interessanti chiarimenti, che, naturalmente rispecchiano la tua posizione sulle OG, non so quanto condivise dagli altri sostenitori, magari più "Guidaniani" del modello. Poche note su alcuni dei punti da te sollevati Se troverò il tempo, ci scriverò sopra un libro con un tizio che sta a New York (tanto per non essere tagliato fuori dal dibattito internazionale). Come dire... magari! Hai notato, Giancarlo, che, pur non commentando in dettaglio il vostro lavoro al Terzo Centro, in un nota del mio ultimo libro (pag. 147) ho dichiarato entusiasmo per quel che scrivete sui DP, e speranza che si arrivi presto ad integrarlo con alcuni temi de "Le opere della coscienza"? Sì, l'avevo letto (con l'attenzione e l'avidità con cui leggo tutto quello che scrivi) e te ne ringrazio. Resta il fatto che il dibattito psicopatologico interno alla SITCC resta centrato sulle OC e questo non mi sembra un bene. Ragionando alla Kelly, se non si possiedono i costrutti adeguati intere aree della realtà non esistono. Prima che tu parlassi di disturbi della coscienza e dissociativi pochissimi nella SITCC (ma in generale in Italia) li riconoscevano, diagnosticavano e trattavano adeguatamente. Pensare sempre e prevalentemente in termini di OC non fornisce gli strumenti osservativi e concettuali per dare senso a fenomeni che, magari notati di sfuggita dai giovani clinici, non entrano nel focus del trattamento e non vengono studiati adeguatamente. Giancarlo, inoltre, scrive: "Le OC sono organizzazioni di personalità che hanno il nome di disturbi di asse I. Ci si aspetta (giustamente) come Francesco che prevedano l'emersione dei sintomi che le denominano. Sappiamo (non riprendo i temi del dibattito) che non lo fanno". Non sono d'accordo. Non "sappiamo" che non lo fanno. Questa sarà un'opinione tua o di Francesco, non il risultato di confutazioni empiriche controllate. La mia opinione, al contrario, è che lo fanno piuttosto bene, e so che molti sono d'accordo con me (ovviamente, questo consenso NON equivale ad una prova empirica controllata a corroborazione delle congetture di Guidano e Liotti sulle OC). Mi spiego con un esempio: quando vedo una persona con un disturbo del comportamento alimentare, prima ancora che cominci a parlarmi della sua vita affettiva mi aspetto che parli delle sue difficoltà sentimentali in termini di

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delusione -- piuttosto che in termini di perdita insanabile (come mi aspetto che farebbe il distimico) o di soffocamento (come farebbe il fobico). I conti di solito tornano. Su questo dissento e trovo sostegno alla mia confutazione teorica. Parto dall'esempio che esponi. Ci sono studi empirici controllati (Drew Westen, adesso non ho sotto mano l'articolo e mi si perdoni se non accludo la biblio in formato APA, ma chiedo mozione di fiducia) e varie opinioni cliniche (Matteo Selvini e Antonio Semerari tra gli altri) che sostengono come i sintomi alimentari non siano riconducibili ad una organizzazione di personalità. Mi rifaccio allo studio della Westen che cito a memoria e sommariamente (anche qui perdonatemi degli errori formali): i sintomi alimentari non sono omogenei. Circa i 2/3 dei pazienti inclusi nello studio sono riconducibili a 3 organizzazioni di personalità del tutto differenti: un sottotipo perfezionistico in cui è prevalente il tipo anoressia restrtittiva. Un sottotipo "evitante" (non ricordo che sintomi sono prevalenti) e un sottotipo disregolato (insomma borderline/dissociative) in cui è scarsa la rappresentanza di anoressiche e altissima quella di bulimiche. Sulla base di questo studio se uno vede una paziente con un sintomo alimentare e fa la previsione che tu proponi prima (difficoltà sentimentali in termini di delusione...) è molto probabile che si sbagli, perché secondo lo studio di Westen i temi di vita dei tre sottotipi sono del tutto diversi tra di loro. Tanto per dire: è molto facile che le bulimiche del terzo tipo presentino, tra gli altri proprio quei temi di costrizione che secondo te dovrebbero essere assenti. In anoressiche del primo tipo (diciamo le brave ragazze perfette di buona famiglia, riprendendo la descrizione prototipica della Westen) mi aspetterei temi più vicini a quelli da te descritti. In sintesi anche in presenza di un sintomo così caratteristico come quello alimentare la descrizione del disturbo di personalità sottostante permette di conoscere in maniera più accurata i significati (espressi in forma di pensieri ed emozioni) che caratterizzano il discorso del paziente e su cui si fonderà l'intervento terapeutico. E con l'anoressia il problema poteva pure essere semplice. Ma che dire dell'agorafobia. Seguendo il tuo ragionamento mi dovrei aspettare in presenza di sintomi fobici i temi di pensiero di libertà, costrizione e via dicendo. Ma i borderline presentano sintomi fobici, spesso all'inizio della terapia e i temi sono, come ben sai ben altri, quelli di libertà e costrizione compaiono ma sono gocce nel mare. I narcisisti (le donne soprattutto) presentano sintomi agorafobici, ma associati a temi di pensiero di limite alla perfezione, di onnipotenza minacciata, più che di costrizione nel rapporto. I dipendenti presentano sintomi fobici importanti, ma i temi di pensiero sono altri ancora, in particolare in presenza della figura di riferimento è del tutto assente il senso di costrizione, anzi c'è un piacevole senso di calore associato ad alta efficacia personale. Reciprocamente, se una persona viene in terapia per un problema affettivo-relazionale, e mi parla di delusioni, ma non mi ha ancora descritto i suoi "sintomi di asse 1" (probabilmente subclinici o trascorsi), mi aspetto che quando lo farà mi parlerà di difficoltà con l'alimentazione piuttosto che di attacchi di panico, o di depressioni, o di anancasmi. E di solito ci colgo. Resto dubbioso, come ho motivato sopra. Se ti parla di delusioni potranno essere colorate di disprezzo (narcisista), di disillusione dopo l'illusione (borderline) etc. Io quindi non mi aspetteri il disturbo alimentare, lo posso incontrare, ma con i modelli sui DDP credo si sia in grado di formulare previsioni migliori, più accurate e che coprono aree più vaste della realtà clinica. Tutti potete, credo, avanzare numerosi altri esempi di cosa le OC permettano di prevedere rispetto alle quattro sindromi di asse 1. Non permettono invece, come speravamo nel 1983, di prevedere uno o l'altro dei pattern precoci di attaccamento, né tanto meno l'uno o l'altro degli stati mentali relativi all'attaccamento rilevati dall'AAI. Penso che si possa procedere alla confutazione empirica controllata della mia seguentecongettura: le 4 OC perrmettono di prevedere particolari modalità di conoscenza di specifiche classi di emozioni (esempio: le emozioni della perdita incombente e dell'innamoramento agli inizi, vengono conosciute come delusione nei DCA, come perdita di libertà o di protezione nell'agorafobia, come fonte di inutile sforzi nella distimia, come dubbio e ricerca di certezza nel DOC). Finora nessuno ha prodotto una tale ricerca controllata, e allora mi stupisco che si possano fare affermazioni gratuite ed apodittiche, invero assai poco rispettose della logica della scoperta scientifica, come "Sappiamo che le OC non predicono realtà di rilievo clinico"(e addirittura: "le Oc non DESCRIVONO alcuna realtà clinica"). Non entro nel merito delle relazioni tra stati mentali relativi all'attaccamento e OC. Motivo la mia affermazione che non voleva essere apodittica (mi dispiace che lo sia suonata), era sì secca e

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provocatoria, ma del tutto all'interno della logica scientifica. Provo ad argomentarla meglio. Che nesso c'è tra OC e sintomi asse-I? Partiamo da una versione forte: esiste una corrispondenza biunivoca tra i due, per cui dal sintomo risalgo ai significati e vice-versa. Potere previsionale della versione forte: massimo, ascolto il sintomo e so già di cosa il paziente mi parlerà. Questa versione è insostenibile (e, spero, insostenuta). Spero di non dover motivare questa affermazione, mi sembra offensivo anche il solo provarci. Due versioni deboli: l'OC prevede il sintomo corrispondente. L'OC fobica implica attacchi di panico, la depressiva depressione, quella ossessivo-compulsiva le ossessioni. Così non è. Pazienti con temi fobici (affetti da disturbo evitante di personalità) possono ad esempio non avere sintomi fobici. Ci può essere si un'associazione tra l'OC e il sintomo ma non è sistematica. A questa versione, la migliore possibile a mio parere della teoria delle OC, va mossa però un'altra critica. Lasciano troppo al di fuori. Come osservi dopo pazienti che parlano i temi previsti da una singola OC parlano in realtà (e su questo si può fare tutta la ricerca empirica che si vuole, sono disposto a scommettere cifre signficative o un album di foto della Casta) di molti altri temi. Si può ipotizzare che le descrizioni di tipo DDP sussumano le OC e siano strumenti descrittivi migliori della vita affettiva dei pazienti. Altra versione debole, quella che utilizzi poco sopra: il sintomo permette di prevedere il sistema di significati. Questo è ampiamente confutato dalla letteratura sui DDP e anche dalle semplici descrizioni cliniche dei disturbi. La depressione è associata potentemente al borderline (che non ha l'organizzazione depressiva ma stati mentali depressi, secondo vari modelli sui DDP), all'evitante (che è simile all'OC fobica ma spesso senza sintomi), al dipendente e via dicendo. Le fobie sono presenti nei borderline, evitanti, istrionici, dipendenti e in qualche narcisista, tutti molto distanti dall'OC depressiva. Le ossessioni-compulsioni sono presenti nei narcisisti (spesso all'inizio della terapia), nei borderline (lo sai meglio di me e hai introdotto il concetto di disorganizzazione che trovo potente per descrivere questa patologia), negli evitanti gravi e mal curati. Sui sintomi alimentari ho già detto. Questo all'osservazione del clinico. Di fatto le associazioni tra organizzazioni di personalità e sintomi asse I sono ancora da determinare empiricamente e, anche se le OC non sono come dici dei DDP, comunque il dato invita a diffidare dallo stabilire implicazioni strette tra sintomo e personalità sottostante. Concordo però sull'ovvia considerazione che le OC non hanno a che fare con le realtà cliniche dei disturbi di personalità. Certo. Non sono state descritte sulla base del dialogo con tali pazienti, ma solo con pazienti agorafobici, depressi, con DOC o con DCA. Oggi, la comorbilità fra queste quattro sindromi e i disturbi di personalità è divenuta frequente. Ne consegue, che in pazienti con disturbi di asse 1 e di asse 2 le previsione permesse dalle OC nei pazienti con disturbi solo di asse 1 non tengono altrettanto bene. Ho provato ad affrontare il problema con l'idea che tale tipo di comorbilità abbia a che fare con il fallimento relativo dei processi di organizzazione della conoscenza, ed a mettere in rapporto tale fallimento con la disorganizzazione dell'attaccamento (è uno dei due o tre temi centrali del mio "Le Opere della Coscienza"). Ho dichiarato che mi piacerebbe molto studiare le possibili integrazioni di tale mio tentativo con il lavoro del Terzo Centro sui disturbi di personalità. Al più presto avremo modelli che possiamo discutere in tale senso. Per il momento, in attesa di tali studi integrativi, possiamo concordare, credo, nel dire che ci troviamo di fronte ad una interessantissima area NUOVA di ricerca per la psicopatologia cognitivista. Il che mi rende felice, ma il resto della SITCC che ne pensa? Non vorrei che il dibattito sulle OC restasse qui. Gli altri affezionati sostenitori delle OC (Silvio, dove sei?) come replicano? L'integrazione fra le congetture e le osservazioni che hanno portato a formulare l'ipotesi delle OC e le altre linee di ricerca richiede però che non confondiamo OC e personalità. Un genere o tipo di misconoscimento del significato e del valore di una classe di emozioni non è la stessa cosa di un tratto di personalità. E chi ha detto che la personalità sia descrivibile per tratti? I sostenitori dei Big Five? Non certo Ryle, non certo noi (tantomeno Francesco, credo). Insisto sul fatto che la somiglianza tra OC e DDP sta nel concetto di stato mentale. All'osso, tolta l'ipotesi dell'enantiodromia (ma i Guidaniani non credo che siano disposti a rigettarla come tu fai) le OC ci descrivono coppie di stati mentali che si associano nella stessa persona, il soggetto a seconda delle transizioni di vita passa da uno all'altro e usa i costrutti in essi contenuti per anticipare, costruire il mondo esterno, il futuro e le relazioni. Mi sembrano, oggi, con la conoscenza che si

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è acquisita su quanto i DDP siano articolati e complessi che due stati mentali siano pochi per descrivere un prototipo di personalità. Non capisco cosa Francesco, o tu Giancarlo, troviate di ambiguo o di incomprensibile in ciò. Ammesso che Vittorio abbia descritto le OC in termni di personalità (e non sto affermando che lo abbia fatto), ciò costituisce la sua linea di ricerca a partire dal nostro lavoro dell'83, non la mia. Dunque, non sono d'accordo anche con la tua seguente affermazione: " Una organizzazione cognitiva è utile che abbia il nome di quello che descrive: il prototipo di personalità". Non sono d'accordo su ciò, e penso invece che sia utile che le OC descrivano i rapporti fra: [1] tipi di conoscenza inappropriata delle emozioni, e forse tipi di autoinganno nel senso di Francesco (nell'area intermedia della struttura), [2] sintomi specifici (alla periferia), e [3] esperienze di esercizio dei vari sistemi motivazionali, in particolare ma non solo dell'attaccamento (al centro). Di conseguenza, resisto facilmente alla tentazione che tu descrivi così: "la tentazione forte è di scartarle del tutto per sostituirle ad una tassonomia che parta proprio dal dibattito internazionale sui DDP Che io sappia, inoltre, il suddetto dibattito internazionale NON poggia su alcuna ipotesi riguardante le dimensioni della personalità (o riguardante il concetto stesso di personalità!!!), che abbia superato il vaglio della critica scientifica meglio dell'ipotesi sulle OC. Non so dirti se lo abbia fatto meglio o peggio. Credo solo che siano descrizioni più ricche, euristicamente più promettenti e che hanno comunque affrontato il problema dei rapporti tra significati e sintomi in modo più valido di quanto sostenuto dalla teoria delle OC (vedi mie critiche sopra) Le descrizioni della personalità, (diversamente dalle descrizioni dei DISTURBI di personalità elencati dal DSM, che un poco di sostegno da osservazioni cliniche statisticamente disciplinate lo hanno) sono altrettanto congetturali di quelle sulle OC, e altrettanto poco suffragate da ricerca empirica controllata. O no? Vi risulta che la validazione scientifica del costrutto "personalità" e delle sue diverse decsrizioni sia soddisfaciente? Elevata? Robusta? Mai tentata? Queste domande sono fondamentali. L'evidenza empirica per specifiche categorie di personalità c'è anche se in parte discordante. Non entro nel merito perchè mi porterebbe troppo tempo e richiede ben altro lavoro rispetto a quello che posso fare in una email. Sulle ottime previsioni cliniche permesse dalle OC quando ci si trovi di fronte ai rispettivi disturbi puri di asse 1, e su come tale capacità predittiva diminuisca quando i disturbi di asse 1 sono associati a disturbi di asse 2 (o a disturbi dissociativi, mia amata categoria diagnostica), potrei raccontarvi un aneddoto divertente, in cui è stato coinvolto anni fa Antonio Onofri (il cui nome, dunque, inserisco nella lista dei destinatari di questa mail). Antonio aveva fino ad allora, in quattro anni dal completamento della sua formazione come terapeuta cognitivista, visto solo pazienti agorafobici atipici, cioé con disturbi di asse 2 in comorbilità al loro Disturbo da Attacchi di Panico con Agorafobia. Quand'ecco, incontra la sua prima paziente agorafobica "pura" ... Appunto! Per capire la vita emotiva di tutti gli altri che aveva utilizzato? (A proposito, visto che Antonio è incluso nel dibattito, sono curioso di leggere che ne pensa) Ma ho già scritto troppo, e sarà dunue per la prossima (se l'argomento continuerà a suscitare interesse). Ho fatto peggio di te. Spero che Silvio Lenzi (che stimo molto professionalmente e per il quale provo grande simpatia personale)non si adiri se continuo a sostenere che le OC sono strumenti concettuali in crisi ed esposti al rischio di dovere essere scartati. Sono assolutamente pronto ad essere smentito. Per il momento, ricordando come sia molto positivo ed interessante ogni tempo in cui "grande è la confusione sotto il cielo" (Mao Tse Dong), -- e certamente grande è la confusione sotto il cielo della SITCC -- vi saluto tutti con affetto. Gianni Sì, ma è pieno di menti pensanti che hanno ripreso a dialogare tra di loro, anche da posizioni molto discordanti. Cosa ci si può aspettare di meglio da una società scientifica? Giancarlo "Anna e Giancarlo" <[email protected] To: "Giovanni Liotti" <[email protected]>,<[email protected]>,<[email protected]>,">" <[email protected]>,"\"Giorgio Rezzonico\"" <[email protected]>,"> \"dragonato\"" <[email protected]>,">"

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<[email protected]>,"\"strepparava\"" <[email protected]>,"> \"Bisanti Rita\"" <[email protected]>,"\"Chiesa Gianluca\"" <[email protected]>,"> \"Immacolata d'Errico\"" <[email protected]>,">" <[email protected]>,"\"Furio Lambruschi\"" <[email protected]>,"> \"Bercelli Fabrizio\"" <[email protected]>,">" <[email protected]>,"\"C. C. Crocetta\"" <[email protected]>,"> \"Lorenzini Roberto\"" <[email protected]>,">" <[email protected]>,"\"Bini Simona\"" <[email protected]>,"> \"Airenti Gabriella\"" <[email protected]>,">" <[email protected]>,"\"Blancato Ivan\"" <[email protected]>,"> Livia\"" <[email protected]>,"\"Cutica Ilaria\"" <[email protected]>,"> \"Blanzieri Enrico\"" <[email protected]>,">" <[email protected]>,"\"Bucciarelli Monica\"" <[email protected]>,"> \"Sacco Katiuscia\"" <[email protected]>,">" <[email protected]>,"\"Adenzato Mauro\"" <[email protected]>,"> \"Becchio Cristina\"" <[email protected]>,">" <[email protected]>,"\"Bosco Francesca\"" <[email protected]>,"> Luca\"" <[email protected]>,"\"Pia Lorenzo\"" <[email protected]>,"> \"Berruquier Claudia\"" <[email protected]>,">" <[email protected]>,"\"veglia\"" <[email protected]>,">" <[email protected]>,"\"Merlicco Giusi\"" <[email protected]>,"> Simona\"" <[email protected]>,"\"Reda Mario\"" <[email protected]>,"Giuseppe Nicolo'" <[email protected]>,<[email protected]>,"Michele Procacci" <[email protected]>,"Maurizio Falcone" <[email protected]>,"Massimo Marraffa" <[email protected]> CC:"Antonio Fenelli" <[email protected]>,"Antonio Onofri" <[email protected]>

XL (da adesso passiamo ai numeri arabi, ci metto troppo a fare la conversione …) In realtà seguo il dibattito da un po', e sono grata a roberto che mi ha invitato. Pur essendo ormai vicini al natale e all'andata a roma, vorrei dire qualcosa rispetto non all'aai, su cui mi sento poco competente, ma sulla ricerca e sul valore del pensiero clinico - ricerca empirica. Sono molto d'accordo con chi sostiene che il nesso tra pratica clinica e ricerca sia un nesso non eludibile in ambito cognitivista, e che pensare di portare avanti un'attività clinica senza fare riferimento all'elaborazione di dati empirici, ci esponga a dei rischi notevoli, non escluso un certo provincialismo. Sappiamo, del resto, come fare ricerca - buona ricerca - sia difficile perché implica il possesso di certi strumenti, capacità di mettersi in gioco, tempo, la possibilità di un confronto. Come forse qualcuno di voi sa, da alcuni anni mi occupo di patologie del controllo e ho costruito un protocollo di ricerca e alcuni strumenti atti a rilevare il senso empirico delle intuizioni cliniche, sulle quali rimuginavo da quando mi occupavo di anoressiche multitrattate. Ormai i primi dati stanno arrivando e sembrano confermare le intuizioni cliniche. questo procedimento - sono vecchia - a me è nuovo, ho dovuto imparare un linguaggio e una metodologia sia di pensiero che sperimentale, il mio essere da sempre soltanto nella clinica e in Italia, e la metodologia sitcc , mi avevano fatto finora fidare sostanzialmente sulle intuizioni e sulle osservazioni cliniche. E fin qui tutto bene, anche se difficile: sottopongo gli articoli alle riviste internazionali e vengono accettati. Ma, girando da alcuni anni per congressi internazionali sui dca, vedo anche che l'italia è poco presente e la sitcc per niente. gli italiani sono pochi in generale e i pochi sono universitari. L'atteggiamento di molti italiani è spesso altalenante tra un'alterigia impiegabile a noi clinici, e un attitudine scodinzolante verso i grandi nomi internazionali, francamente imbarazzante. Ci ci può essere una terza via? Mi sembra che noi abbiamo un problema sulla ricerca che è non soltanto sulla scelta se farla o meno, ma di organizzazione e di risorse, che in Italia non ci sono. Noi possiamo pensare di fare piccole ricerche CLINICHE o utili per la clinica, altamente qualitative su temi specifici (Penso all'MPS di Frost, per esempio), che tengano conto della raffinatezza del nostro pensiero clinico e della sua tradizione. E qui arrivo alla sitcc. Il punto cui voglio arrivare, è che secondo me l'elemento essenziale di ogni ricerca è la sua discussione e la possibilità di sottoporle a verifica con i colleghi di altri gruppi di ricerca che sono impegnati su certe tematiche. Per questo, credo che dovremmo fare in modo di allargare le possibilità di comunicazione e di dibattito all'interno della SITCC, che reputo la sede privilegiata per portare avanti un dibattito di idee in ambito cognitivista. Sarebbe perciò importante che i vari gruppi di ricerca non siano reciprocamente escludenti, ma che anzi dialogassero il più possibile per confrontarsi e fare andare avanti il dibattito. Già a Bologna avevo dato comunicazione che, come Scuola, sto organizzando una giornata con Borkovec, a Milano, che vorrei il più possibile aperta a contributi che venissero da diverse realtà italiane. Qui, non posso che ribadire questo impegno. Tutto questo, per dire che credo sia giusto condividere con gli amici della sitcc questa nuova fase della psicoterapia, più attenta, come dicono gianni, francesco e altri , agli aspetti empirici. Questo può essere fatto facendo si che la sitcc stessa favorisca i dibattiti sui temi originali di ricerca di ciascuna scuola e sia di meno un gruppo di amici vecchi ed esperti, che "se la conta su.." Di più, una rete organizzata di informazioni, dibattito, ricerca. L'anno prossimo a Milano organizzo un weekend per gli allievi sulla scrittura di articoli scientifici. Questo da un pò il senso del taglio che sto dando alla mia scuola, ma sarei felice se attraverso la rete sitcc si potesse invitare a partecipare gli allievi di tutte le scuole interessate a join questa lezione. Temo il fatto che tutte, dico tutte, le nostre scuole, sono oggi basate sull'esperienza clinica di vecchi terapisti e docenti ,che non hanno ancora un peso e una rilevanza internazionale che giustifichi il fornire

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un prodotto così parziale ad alunni in formazione. La costruzione di una rete di informazioni su specifiche lezioni e ricerche originali, potrebbe essere un punto di svolta. Ci farebbe conoscere tra noi e permetterebbe di valorizzare i pensieri clinici di tutti, invoglierebbe tutti ad utilizzare il know how empirico che alcune scuole hanno e potrebbero mettere a disposizione , invece di passare il tempo a proteggere qualcosa che non ha bisogno di essere protetto, ma che andrebbe invece condiviso. Altrimenti il clima in sitcc sembra un po' surreale: ci si incontra a Bologna e ci si saluta, ma poi altrove - un altrove molto vicino - ci si isola e non si riesce a collaborare. Questo fa male allo sviluppo di ciascuno di noi, ma fa male in generale allo sviluppo del cognitivismo italiano. Quando vado ai congressi dca mi rendo conto di quanto preziosa è stata la mia formazione, di quanto siamo bravi clinicamente ma non riusciamo ancora ad averela voce per dirlo. Un saluto a tutti Sandra Sassaroli 41° From: "Terzo Centro" <[email protected]> Sent: Monday, December 16, 2002 3:16 PM Subject: Re: risposta da Mancini Caro Furio, sono ben lieto di continuare a litigare ma vorrei capire bene su cosa stiamo litigando. Ti chiederei perciò, di spiegarmi (credimi le domande non sono retoricamente polemiche, la polemica semmai verrà dopo) alcune questioni di contenuto e alcune questioni di politica culturale su cui non sono sicuro di aver capito la tua posizione. Tu dici "Non sono d'accordo che nella SITCC si continui in modo così forte e deterministico a sostenere il nesso tra specifiche esperienze d'attaccamento e specifici quadri clinici nell'adulto o nel bambino (compresi i DOC). Mi pare invece che, ormai da anni, e quasi fino alla noia, andiamo ripetendo che si può giungere a sintomi dell'area ossessiva, depressiva, fobica, alimentare. ecc.a partire dai più svariati assetti organizzativi; osservando ad esempio come un'esperienza depressiva in adolescenza possa prendere forme espressive straordinariamente diverse e connettersi ad organizzazioni del sé altrettanto diverse)". Quando parli di assetti organizzativi e organizzazioni del sé ti riferisci, come sembrerebbe dalla frase di apertura, all'organizzazione dell' attaccamento o alle organizzazioni cognitive nel senso di OC83 o ad altro? Nel caso ti riferissi alle OC83 o tipo 83 allora veramente non si capirebbe più cosa prevedono tali organizzazioni. Non assetti di personalità, non sintomatologie specifiche. Cosa? Sulla politica culturale non vorrei essere frainteso. Personalmente mi sento dannatamente latino, mediterraneo e meridionale. Niente è più lontano di me dello stile anglosassone. Sono anche convinto che il successo clamoroso della Terapia Cognitiva Standard può diventare una gabbia e mi sento più a mio agio con gente di confine come Safran o la Linehan e, ovviamente, con tutti gli italiani, che non con Beck o Freeman. Penso e spero che dalla nostra tradizione possano venire seri contributi al superamento della teoria standard. Detto questo, mi pare di cogliere un tono di sufficienza negli aggettivi che usi quasi potessimo vantarci di una sorta di superiorità culturale o di uno status scientificamente più avanzato. Se è così, a mio parere, non solo si tratta di un errore, ma di un errore suicida, come lo è sempre la sottovalutazione dell'avversario. Se non capiamo i suoi punti di forza e non lo trattiamo con rispetto non vedo come si possa sperare di superarlo. E per capirlo bisogna cercare di mettersi nei loro panni e non giudicare con i nostri schemi. Guarda che se non insistono sulla teoria etiologica non è per debolezza culturale o perché non capiscono, poveri scemi americani, che esiste un problema , ma per scelta programmatica. Lo psicoanalista Beck (che, in quanto tale,avrà ben sentito parlare di problemi evolutivi) scelse esplicitamente, ritenendo non dimostrabili le teorie etiologiche, di concentrare l'attenzione sulle teorie patogenetiche e sulle teorie del cambiamento terapeutico e tale scelta è stata consapevolmente ribadita di recente (vedi Clark D. nel '95) Si può discutere la scelta ma è frutto di razionale valutazione non di inferiorità culturale. Riflettiamo che se, come dice un autore a tutti noi caro - Lakatos - l' euristica positiva di un programma di ricerca si giudica dal numero di problemi, studi e ricerche che è in grado di generare allora, almeno per i disturbi di asse I, il successo di tale programma è stato senza precedenti. Qualche esempio. Quando uscirono le linee guida dell'A.P.A. su fobie e attacchi di panico (la prima volta che una psicoterapia è stata riconosciuta trattamento di elezione per una sindrome) le ricerche controllate di I° livello erano quasi 70 (ignoro quante siano oggi)! Il modello di Salkovskis del D.O.C. (Francesco correggimi s esbaglio) ha dato luogo ad ameno 20 ricerche sulle maggiori riviste del settore. Mettiamoci

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poi i risultati più recenti sui sintomi positivi della schizofrenia. Può essere solo una tecnicacci? Né mi pare si tratti di ricerchine selezionate ad hoc (che, del resto, non vanno nella direzione delle mie teorie preferite) ma del più imponente successo che una teoria psicoterapeutica abbia avuto, sfidando, sul piano dei risultati, gli stessi approcci biologici. Se pensiamo di superarla dovremmo avere la modestia di riconoscere che si tratta di qualcosa di molto serio che non si può liquidare con alterigia perché manca "la spiegazione delle cause". In ogni caso, simili risultati andrebbero, comunque incorporati da qualsiasi paradigma rivale aspiri ad essere preso sul serio. Inoltre, la lezione di metodo, cercare di dimostrare quello che si afferma, dovremmo comunque impararla. Personalmente ritengo che il punto debole della T.C.S., rispetto al loro stesso programma di teoria patogenetica e del cambiamento sia nei disturbi dove è difficile l'empirismo collaborativo (ovvero l'alleanza). Anche (non solo) per questo tengo al punto nell'agenda riguardante metacognizione e relazione. Tuttavia anche su questo devo fare i conti con i risultati della T.C.S. sulla schizofrenia. A proposito - Gianni - non credo si possa dire che la T.C.S. manchi di una teoria della motivazione. Vi sono spesso riferimenti espliciti a teorie di psicologia cognitiva che personalmente conosco poco e, per quel che capisco, non condivido. Ma su questo, Francesco e Bruno possono informarci. Tornando a Furio, non capisco le domande che mi rivolgi. Siamo certi che ci sia la voglia di costruire l'agenda condivisa? Non è una questione di buona volontà. Penso che se si condivide l'idea che la questione di cui si discute è importante, si litiga con piacere, altrimenti ci si annoia. Confesso di essermi un po' annoiato negli ultimi anni, ma con questo dibattito mi sto riscaldando. Come andrà in futuro non lo so. Che significa il plurale "fateci sapere"? I miei interventi sono a titolo assolutamente personale. Che vuol dire che siamo in mille? Mica si decide con un'assemblea e un voto a maggioranza cui attenersi per disciplina di partito. E' una cosa che emerge dalla discussione scientifica, se emerge, altrimenti non c'è e non dipende dalla volontà di nessuno. Intanto proviamo a dire quali sono, secondo ciascuno, i temi rilevanti, poi si vedrà. Provo ad accontentare Roberto. Nel momento di transizione tra la fase Kellyana e quella di confusione elaborò, con Sandra Sassaroli, una complessa teoria riassumibile in due proposizioni: 1) Specifici stili di attaccamento danno luogo a specifiche strategie di conoscenza (di cui si sottolinea, in particolare, il modo con cui viene trattata l'invalidazione). 2) Ogni specifico stile di conoscenza contribuisce con modalità proprie al mantenimento, più che alle cause, di specifici disturbi. Naturalmente 2) potrebbe essere vera anche se non fosse vera 1) dato che , come al solito, stanno insieme con lo sputo. Decidi tu, Roberto, cosa bisogna eliminare di questa creatura - ammesso che l'abbia riportata fedelmente. Antonio 42° Carissimi, per vostra sfortuna lo sciopero dei trasporti urbani* mi ha bloccato a casa, così rispondo subito a Giancarlo che mi ha risposto subito. E dò il solito benvenuto a Sandra. E, se mi riesce, aggiungerò un piccolo commento all'ultima di Antonio. Dunque, caro Giancarlo, i tuoi esempi clinici a confutazione delle previsioni cliniche permesse dalle OC (ma perché scrivi tanto spesso OG?) riguardano casi di comorbilità, ovvero casi di disturbi di personalità all'interno dei quali si producono sintomi fobici, sintomi bulimici, etc. Riporto frammenti di quanto scrivi al riguardo:

*(dal che si deduce che la mail e’ stata mandata il 16 di Dicembre) "... Ci sono studi empirici controllati ... e varie opinioni cliniche ... che sostengono come i sintomi alimentari non siano riconducibili ad una organizzazione di personalità ... i sintomi alimentari non sono omogenei. Circa i 2/3 dei pazienti inclusi nello studio sono riconducibili a 3 organizzazioni di personalità del tutto differenti: un sottotipo perfezionistico, ... un sottotipo "evitante" ... e un sottotipo disregolato (insomma borderline/dissociative) ... è molto facile che le bulimiche del terzo tipo presentino, tra gli altri proprio quei temi di costrizione che secondo te dovrebbero essere assenti. E con l'anoressia il problema poteva pure essere semplice. Ma che dire dell'agorafobia. ... i borderline presentano sintomi fobici, spesso all'inizio della terapia e i temi sono, come ben sai ben altri, quelli di libertà e costrizione compaiono ma sono gocce nel mare. I narcisisti (le donne soprattutto) presentano sintomi agorafobici, ma associati a temi di pensiero ... di onnipotenza minacciata, più che di costrizione nel rapporto. I dipendenti presentano sintomi fobici importanti, ma i temi di pensiero sono altri ancora..."

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Sono del tutto d'accordo con te riguardo ai suddetti esempi clinici, a partire dall'unico che riguarda un disturbo puro di asse 1 (l'anoressica restrittiva) . La presenza di disturbi di personalità (come nelle bulimiche del terzo tipo del tuo esempio) è per me segno di un fallimento organizzativo ( = un deficit di "sintesi personale", come la chiamava Janet) , per cui alla molteplicità dei sintomi e dei problemi di vita (rispetto alla maggiore linearità dei sintomi nei disturbi "puri" di asse 1) corrisponde l'assenza di una OC come quelle decritte da Guidano e Liotti nell'83. Ne consegue che nei pazienti che tu citi, affetti da disturbi di personalità, le OC dell'83 NON permettono previsioni. In quelli invece con disturbi PURI di asse1, che non citi (tranne le anoressiche restrittive, per le quali ammetti che l'OC permetta previsioni), le OC consentono buone previsioni. Come vedi, ripeto pari pari quanto scritto nella mia replica alla tua prima mail, il che significa che rigetto la suddetta tua contro-argomentazione come non pertinente. Per la stessa ragione, respingo anche i tuoi argomenti successivi, che tornano a fare esempi di pazienti con disturbi di asse 2 (riguardo all'assetto cognitivo dei quali sono d'accordo con te). Tu scrivi infatti: " Due versioni deboli: l'OC prevede il sintomo corrispondente. L'OC fobica implica attacchi di panico, la depressiva depressione, quella ossessivo-compulsiva le ossessioni. Così non è. Pazienti con temi fobici (affetti da disturbo evitante di personalità) possono ad esempio non avere sintomi fobici" Ribadisco che con le OC NON ho mai inteso parlare di pazienti con disturbo evitante di personalità, o con qualsivoglia altro disturbo di personalità clinicamente significativo. Ed arrivo quasi all'esasperato scoramento quando leggo queste altre tue frasi: " Altra versione debole ... il sintomo permette di prevedere il sistema di significati. Questo è ampiamente confutato dalla letteratura sui DDP e anche dalle semplici descrizioni cliniche dei disturbi. La depressione è associata potentemente al borderline ... all'evitante ... al dipendente e via dicendo. Le fobie sono presenti nei borderline, evitanti, istrionici, dipendenti e in qualche narcisista, tutti molto distanti dall'OC depressiva. Le ossessioni-compulsioni sono presenti nei narcisisti ..., nei borderline .... negli evitanti gravi e mal curati". Good Heaven, ma credi davvero che esistano SOLO i disturbi di personalità? Che non esistano disturbi di asse 1 puri? D'accordo che si vanno facendo sempre più rari, ma alcuni ancora se ne vedono, e solo a quelli (ripeto, ripeto, ripeto) va applicata (ed eventualmente confutata) la mappa delle OC. Il punto per me più interessante della replica di Giancarlo è il seguente: " Insisto sul fatto che la somiglianza tra OC e DDP sta nel concetto di stato mentale". Forse questo è un punto per la costituenda nuova agenda della psicoterapia cognitiva italiana, giustamente invocata da Antonio (sì, d'accordo Antonio, stiamo con questa serie di mail contribuendo alla sua definizione) e in qualche modo presente anche nell'idea di Sandra che debba diventare il compito precipuo della SITCC. Alcuni pazienti hanno stati mentali che sembrano reciprocamente organizzati, come se avessero raggiunto una certa coerenza interna nella loro conoscenza di sé-con-gli altri (le OC indicano alcuni esempi di tale coerenza -- rispetto a quattro sole sindromi cliniche pure d'asse 1, chi sa se serve ripeterlo--). Altri pazienti, invece, sembrano avere stati mentali reciprocamente meno integrati (i DDP e le comorbilità con essi). I "sintomi" risentono in maniera fondamentale di questa differenza nel grado di integrazione degli stati mentali. I "sintomi" clinici che compaiono nei DDP e che sono apparentemente simili a quelli dei disturbi di asse1 (la depressione, le fobie, i patterns ossessivo-compulsivi, i comportamenti alimentari abnormi), sono davvero uguali o confrontabili ad essi? Io credo di no, e per questo non posso accettare gli argomenti di Giancarlo quando mi parla di fobie e depressioni e anancasmi e abusi alimentari nei DDP, assimilandoli tout court a quelli dei pazienti privi di DDP. L'andamento nel tempo del sintomo, e la struttura interna dell'esperienza di esso, sono diversi nei due casi. La depressione del distimico è diversa da quella del borderline tanto rispetto all'esperienza soggettiva che il paziente ne fa, quanto rispetto al suo decorso temporale e probabilmente anche rispetto ai meccanismi bichimici cerebrali sottostanti, vedi diversa risposta ai farmaci). E lo stesso vale per gli altri "sintomi". Cos'è allora il "sintomo"? Per me è spesso una metafora incompiuta, frutto di un deficit di conoscenza di una classe di emozioni, che il cervello del paziente si sforza di conoscere meglio. Tale deficit è diverso nelle OC corrispondenti alle diverse sindromi di asse 1 rispetto a quello che si osserva nei DDP. La diversità, almeno per alcuni DDP, sta nella minore integrazione reciproca degli stati mentali. Cos'è il "sintomo" per Giancarlo e per Francesco ( e per tutti gli altri che vorranno affiancarsi a loro per discutere con i sostenitori delle OC nello sforzo congiunto di definire una nuova agenda del cognitivismo clinico italiano)? La depressione è la stessa "cosa" in un distimico e in un borderline? Un attacco di panico è la stessa "cosa" in un agorafobico puro e in un disturbo di personalità del cluster drammatico o del cluster ansioso?

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Se sì, che rapporto c'è fra il sintomo e la personalità? Nessuno, come mi sembra che le ricerche citate da Giancarlo e da Francesco suggeriscono? Che cosa interessante, se fosse così! Da dove vengono, allora, i sintomi? Da singoli tipi di stati mentali come quelli della responsabilità ipertrofica, o dell'interpretazione catastrofica delle sensazioni somatiche? Hanno dunque ragione i nostri Colleghi della TCS? Non conta chiedersi come gli stati mentali tipo interpretazione catastrofica e ipertofico senso di responsabilità si siano sviluppati, e come siano inseriti nel resto della conoscenza di sé? E ancora: va bene che dobbiamo confrontarci col DSM e usarne il linguaggio, pena l'incomunicabilità con la più ampia comunità scientifica e professionale di cui facciamo parte, ma non credo sia saggio dimenticare che il suddetto DSM fa acqua da tutte le parti, inclusa la distinzione fra asse 1 e asse 2 che pure qui ho dovuto utilizzare per rispondere a Giancarlo e prima a Francesco. Dunque, quando esploriamo i rapporti fra strutture e processi cognitivi da una parte, e sofferenza emotiva abnorme dall'altra, non è detto che il DSM sia una cornice del tutto adeguata per tale indagine. Personalmente, quando penso al clinico che deve leggere il lavoro del ricercatore, NON ho primariamente e precipuamente in mente (tre volte "mente" perbacco) il ricercatore che si basa sul DSM (con tutto il rispetto per la sua utilità pragmatica momentanea). Gli outcome studies e gli studi sul nucleo cognitivo dei disturbi offerto dalla TCS (es. Salkovskis) sono indispensabili, dobbiamo segnalarli agli allievi, ma sono di importanza, come dire, ancillare rispetto al resto. Sono studi che hanno come base il SOLO DSM: è una base fragile, e non mi va di naufragarci sopra. Piuttosto, ho in mente il ricercatore che usa l'AAI (onde l'importanza che sia usata come si deve per assicurare uniformità di risultati, e che quindi usi diversi siano denotati con sigle diverse, vedi il mio scazzo iniziale con Furio), o il ricercatore che studia processi metacognitivi e teoria della mente, o quello che indaga sul pensiero metaforico, o quello che si dà da fare con la funzione ricorsiva di regolazione reciproca fra emozioni e processi cognitivi (l'affective neuroscience si occupa di questo), o quello che studia le radici innate dell'empatia (vedi mirror neurons), etc. etc fino ad includere il mio fraterno rivale di sempre, il futuro Nobel Bruno. Il che, per inciso, significa che sono del tutto d'accordo con Roberto sulla "separazione delle carriere" fra clinici e ricercatori. Studiamo tutti la ricerca, noi clinici della SITCC, ma non è necessario che la facciamo tutti. Bruno e Antonio e Francesco e i loro gruppi già ci arricchiscono tutti, e ora si aggiungono Sandra, Silvio e i Bolognesi, e così via: sarebbe bello ma non necessario che altri della SITCC li imitassero, mentre è necessario che molti di più nella SITCC leggano, e con cognizione di causa, di ricerca oltre che di clinica. Un saluto affettuoso, Gianni 43° Re: R: OC e previsione di realtà cliniche Non ti preoccupare Giancarlo se mi sono adirato, poi mi passa. Rassicuro anche Gianni sul termine covare: era usato da Giancarlo riguardo ai modelli che tagliano fuori dalla letteratura e bloccano la crescita scientifica: nella misura in cui io covo modelli di questo tipo non avrò futuro professionale e quindi ironizzavo sulla cosa. Certo, ci sono rimasto male, perchè non ho mai avuto toni come quello della frase riportata in corsivo nella mia mail (e se ce li ho in cuor mio è solo per gratitudine verso chi mi ha ispirato e formato), ma viceversa posizioni estremamente aperte e interessate al confronto (con tutte le conseguenze del caso "in casa"). Eppure in questo dibattito mi sono ritrovato ingabbiato in una posizione non mia, quella attribuita agli OCer, ritenuta oltrettutto la causa di troppi mali. Ma come dicevo gli attuali frame di dibattito sono il prodotto di interazioni precedenti, quindi nessun risentimento personalizzato, ovviamente men che meno per il mitico DiMaggio. Nella sostanza, lasciando decantare il rumore di fondo, per quanto mi riguarda credo occorra purificare e precisare al massimo il linguaggio nel parlare di organizzazione cognitiva e di significati personali, tenendo conto della complessità dell'articolazione tra esperienza e significato e dei codici in cui il significato si produce. Forse in questo modo si può individuare un ambito originale di modellizzazione (come era il modello 83), estremamente collegato e collegabile -credo- alla prassi terapeutica (vedi TCS, ma anche PNL classica e EMDR con i sistemi di memoria) Per quanto riguarda la "realtà clinica", io sono stato educato dalla consuetudine con l'ultimo Vittorio ad un approccio dialettico tra descrizione-indagine e modellizzazione (anche esplicativa, per certi versi), che viene proposta dal terapeuta al paziente come ipotesi (i pareri dell'esperto per esempio) con lo scopo di riordinare la conoscenza personale nella fase di terapia che con Bercelli abbiamo chiamato di rielaborazione (il fare modelli credo diventi quindi una vera e propria tecnica terapeutica, come nella

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guidanana moviola, intesa non in senso letterale). Quindi mi trovo portato a ricercare e discriminare i dati clinici ed usarli nella pratica terapeutica in un modo ben definito e proceduralizzato (i contenuti vengono formattati e ordinati di conseguenza). Questa modalità probabilmente ha una ricaduta anche sul mio modo di intendere la riflessione teorica e la modellizzazione relativa ai diversi quadri clinici da cui la difficoltà di fronte a certi modi di gestire e organizzare il dato clinico. Ribadisco una mia idea: occorre per formulare modelli nuovi definire un metodo di raccolta dati e un oggetto di analisi. Come dice anche lo psicanalista Canestri: i significati emotivi danno testimonianza di sè nel comportamento (anche linguistico-pragmatico e quindi conversazionale), non nelle proposizioni semantiche! Bisognerà tenerne conto. Magari val la pena pensarci (intanto prenoto il corso di Sandra su come scrivere articoli per le riviste internazionali). Sono sicuro che il confronto critico mi stimolerà ad essere più rigoroso nel mio pensiero clinico e teorico; e spero che dalle modalità di analisi empirica che utilizziamo sui trascritti di seduta possano nascere ipotesi scientifiche eleganti e utili. Con questo auspicio saluto tutti, chiedendo la cortesia di non mandare i testi delle vecchie mail salvo che non vengano commentati e magari di definire un indirizzario (credo che talvolta vengano omessi alcuni indirizzi). Silvio 44° Caro Antonio, mi inserisco nel tuo scambio con Furio per manifestare anche a te un certo mio stupore. Tu scrivi a Furio: " Nel caso ti riferissi alle OC83 o tipo 83 allora veramente non si capirebbe più cosa prevedono tali organizzazioni. Non assetti di personalità, non sintomatologie specifiche. Cosa?" A me sembrava che prevedessero modi di conoscere alcune importanti emozioni di relazione, soprattutto rispetto alla formazione e rottura dei legami affettivi. La previsione che permettono è legata, nella mia opinione, ad alcuni disturbi psicopatologici "organizzati" (cioè disturbi puri di asse 1). Visto che nessuno mi risponde su questo punto -- le OC come forme conoscenza di particolari classi di emozioni -- provo a proporre il tema anche a te, direttamente. Ma ti dicevo del mio stupore. Comincia a venirmi il sospetto di avere avuto le traveggole, nell'occuparmi per anni, IN QUANTO COGNITIVISTA CLNICO, di conoscenza delle emozioni e di come questa si organizza o disorganizza, di quanto è accurata o distorta rispetto alla funzione biologica delle emozioni.. Forse è un tema irrilevante, o troppo psicoanalitico e non cognitivista. Forse a noi cognitivisti problemi come quelli (per fare un esempio) dell'alexitimia e delle sue origini (della sua eziologia) non interessano. Forse hanno totalmente ragione i nostri Colleghi della TCS (sai che concordo con te sulla grande importanza del loro lavoro), nella loro scelta che tu descrivi così bene: "se non insistono sulla teoria etiologica non è per debolezza culturale o perché non capiscono, poveri scemi americani, che esiste un problema , ma per scelta programmatica". Ho l'impressione, insomma, che ormai sia molto diffusa nella SITCC l'idea che la nostra (G & L) descrizione delle OC nell'83 sia un totale fallimento. Il nostro libro dell'83 è stato venduto nel mondo anglosassone fino almeno allo scorso anno, cioè per vent'anni circa (il che non è comune per i linbri scientifici di quel mondo). Molti psicoterapeuti italiani si sono per altrettanto tempo ispirati ad esso, non (almeno alcuni, fra cui o) per condurre tutta la psicoterapia, ma almeno per comprendere alcuni modi di organizzare l'esperienza di non pochi pazienti. Possibile che fosse tutta una costruzione priva di fondamento? Nessuna corrispondenza fra quelle descrizioni e le realtà cliniche giustificava dunque l'interesse e l'uso di tanti psicoterapeuti? Tutti illusi, e ciechi? Ti sarei anche grato se, magari insieme a Francesco, mi illuminassi sulla teoria motivazionale alla base della TCS. Non mi pare che sia qualcosa del tipo della scopistica di Castelfranchi, che non condivido per i suoi scarsi agganci alla biologia evoluzionista (credo sempre ai forti legami fra noi umani ed il mondo animale), ma che almeno è qualcosa di articolato e sufficientemente pensato. Neppure mi sembra che la TCS abbia elaborato l'idea un qualsivoglia bisogno epistemco (=di prevedibilità) primario. Sarà pure vero, quello che scrivi: "A proposito - Gianni - non credo si possa dire che la T.C.S. manchi di una teoria della motivazione. Vi sono spesso riferimenti espliciti a teorie di psicologia cognitiva che personalmente conosco poco e, per quel che capisco, non condivido".

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Mi sembrava però che le teorie della psicologia cognitiva a cui forse alludi non fossero in genere considerate contributi rilevanti alla comprensione delle motivazioni umane, e soprattutto del loro rapporto con le emozioni. Ma forse sbagliavo. Noi latini, fra i quali entusiasticamente ti annoveri, pur ammirati dal famoso pragmatismo anglosassone e pur intenziionati, come te e me, a integrarne i migliori risultati nelle nostre teorie cliniche, fatichiamo un poco a concepire un essere umano, con o senza disturbi, privato di scopi e di storia. Forse a concepirlo così migliora la nostra capacità di generare ricerche (la Lakatosiana euristica positiva), ma non credo che migliori la nostra capacità terapeutica. E comunque anche il numero di ricerche generato dal programma della developmental psychopathology -- tutto centrato su scopi innati e storia e memoria -- non è mica esiguo, anzi. Sospetto persino che batta di gran lunga il numero di ricerche generato dalla TCS. Certo, si tratta di psicopatologia e non di psicoterapia... ma tu non rimpiangi i bei tempi andati, quando psicopatologia e psicoterapia andavano mano nella mano? Ed eccoci al vero motivo di questa mail: si tratta di una proposta. Nella nostra agenda del cognitivismo clinico italiano, continuiamo a tentare di coniugare la riflessione e la ricerca sulla psicoterapia con quella sulla psicopatologia -- ed in modo più serio di quanto facciano i Colleghi della TCS, che su questo punto, della psicopatologia, non sono poi tanto seri. La scelta di lasciar perdere la ricerca sulle cause (o meglio sui fattori di rischio in una eziologia multifattoriale) continua a sembrarmi davvero troppo, come dire, "povera" di fronte alle attuali "ricchezze" disponibili, per esempio di fronte al bel numero di ricerche sui traumi infantili e su come questi alterino durevolmente le funzioni emotive e mnestiche dell''ippocampo e dell'amigdala). E a tale riguardo, non vorrei che i risultati ottenuti con l'AAI in varie sindromi cliniche venissero interpretati, da alcuni lettori di questo nostro scambio, come una bancarotta della teoria dell'attaccamento rispetto alla ricerca sulla psicopatologia e sulla psicoterapia. Guardate che è vero l'esatto contrario. Non vi sarà sfuggito che, nel 2001 l'International Journal of Psychoanalysis, e nel 2002 Family Process, hanno dedicato due grossi (davvero grossi) numeri monografici alla ricerca sull'attaccamento rispetto ai problemi rispettivamente della psicoanalisi e della terapia familiare. Permettemi una previsione: se la Terapia Cognitiva non rivolgerà un poco di attenzione a questi temi di ricerca sullo sviluppo della psicopatologia, il suo programma di ricerca manifesterà una forma grave di euristica negativa entro dieci anni. Cioè, morirà. Un caro saluto, Gianni 45° Carissimi volevo fare arrabbiare Francesco, invece s'è arrabbiato Antonio! Non ne prendo una! mi viene anche da pensare che il mio stile comunicativo e.mail (in assenza degli indicatori metacomunicativi n.v.) sia facilmente malinterpretabile. Tanto che anche Bruno mi dice che mezza SITCC pensa che io e lui abbiamo litigato di brutto (e non credo che mezza SITCC abbia perso il senso dello humor). Mi spiace, spero di non aver offeso nessuno. Antonio, rispondo volentieri ai tuoi due punti (questioni di contenuto e questioni di politica culturale) anche se vedo che sul primo, in questo intreccio di e.mail e di rapide sintesi che ciascuno di noi cerca di fare sulla propria prospettiva, sono più le difficoltà di codifica e di interpretazione rispetto ai chiarimenti. Come probabilmente sai io dedico una buona parte (diciamo i due terzi) del mio tempo al lavoro clinico nell'età evolutiva; dunque, in questo ambito, le mie categorie esplicative non possono essere le OC così come sono state descritte nel pz adulto. Quando parlo di assetti organizzativi mi riferisco alle strutturazioni del sé (conoscenza di sé nella relazione con l'altro) che emergono a partire dalle configurazioni primarie d'attaccamento e alla loro articolazione in età precolare e scolare. Di ognuno di questi assemblaggi di schemi interpersonali mi pare che abbiamo una buona descrizione in termini di contenuti rappresentativi prevalenti (i relativi MOI) e anche in termini processuali, cioè di specifica organizzazione dei sistemi di memoria (e integrazione/coesione o meno tra ciascuno di essi), modi di usare la mente appresi dentro tali relazioni. In alcuni di questi, quelli provenienti da contesti particolarmente pericolosi, i bambini sono costretti a prodursi in consistenti disconnessioni, addirittura tra azioni e stati interni, rinunciando, in misura maggiore o minore, alle competenze autoriflessive e alla comprensione della mente altrui. Su questi ultimi, abbiamo una discreta mole di ricerche che (ovviamente in associazione con qualche altro fattore di rischio), ne evidenzia significative correlazioni con patologie

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piuttosto gravi (soprattutto da esternalizzazione) nell'infanzia. Per gli altri, abbiamo per ora solo una serie di ipotesi e di dati meno certi (con una qualche tendenza al rapporto tra sintomi da internalizzazione e pattern resistenti e sintomi da esternalizzazione e pattern evitanti). La maggior parte degli studi, longitudinali, considera le configurazioni primarie d'attaccamento (12 mesi!) cercando di connetterle a uscite psicopatologiche successive, presumendo (la maggior parte degli approcci) una continuità tutta da dimostrare. Il rapporto trasversale tra le diverse uscite psicopatologiche e i diversi stili d'attaccamento, così come si differenziano successivamente, è ancora in gran parte da esplorare. Questo è un punto che metterei nell'agenda condivisa (e, ad essere sincero, come ho già detto nella mail precedente, non mi aspetto di trovare delle correlazioni nette e unilineari, perchè non mi pare che corrispondano all'esperienza clinica, in cui le varie classificazioni descrittive dell'infanzia, ben lungi dal rappresentare categorie unitarie, nelle loro mutevole qualità espressiva, si connettono a configurazioni d'attaccamento assai diverse). Metterei poi in agenda anche l'altro punto, già sottolineato nelle e.mail di risposta a Gianni: e cioè andare a vedere attentamente che cosa c'è dentro a quella categoria di situazioni relazionali sfigatissime e pericolosissime (D), in modo tale che io possa discriminare meglio tra quei bambini più o meno gravi (perchè non tutti i disturbi della condotta sono uguali), studiare meglio i loro specifici deficit di mentalizzazione (se magari tu mi aiutassi ad impostare una bella ricerchina su questo punto in età prescolaree scolare), in modo tale da poter aiutare anche te nei tuoi studi sulle funzioni metacognitive nel pz adulto, ma soprattutto da poter aiutare meglio loro, così da consegnarli all'adolescenza e all'età adulta senza che debbano venire da te. Ma, anche per le OC (83 e revisioni successive) credo che si pongano problemi analoghi. A rigore non possono essere considerate descrizioni di personalità (anche se per molto tempo, addirittura nel linguaggio clinico quotidiano di molti terapeuti cognitivisti italiani, sono state utilizzate in questo modo: scagli la prima pietra chi non ha mai detto "Quella è proprio un gran dapicona!!"; I romani sempre con due P, "dappicona!", oppure "fobbico", ecc). Non credo nemmeno che possano essere correlabili in modo così sistematico e preciso a specifici sintomi (forse aclassi particolari di sintomi), nonostante siano state costruite a partire da alcuni quadri clinici particolari di asse I: ad esempio dove il pz mi esprima nella sua narrazione temi di tipo delusivo, come dice Gianni, posso aspettarmi ragionevolmente una sintomatologia di tipo alimentare, ma non necessariamente: come ben sapete tutti può essere un sin nell'area della sessualità, del'area psicosomatica (anche gravi quadri ereutofobici o d'altro genere), un'ansia sociale, ecc, ecc, ecc. Tutti questi sintomi, come sappiamo, hanno qualcosa in comune: la focalizzazione sull'immagine (corporea, nei casi più concreti, o psicologica, nei casi più "astratti"), il timore del giudizio, dell'esposizione e del confronto. Le OC, così come abbiamo gradualmente imparato ad usarle (o quanto meno, così a me è capitato nello scambio continuo con Vittorio e, mi pare, anche nel modo un po' diverso che ha Gianni di intenderle, possono essere considerate come dimensioni invarianti di significato personale, principi organizzatori dell'esperienza, nuclei di significato, temi conoscitivi centrali che guidano la nostra percezione, pensiero, memoria, linguaggio (ma adesso non capisco bene perchè sto dicendo tutte queste cose che mi sembrano così scontate!!). Credo che sia soltanto un punto di forza che non siano correlate strettamente con una certa classe di sintomi e solo quella: ad esempio, è interessantissimo vedere come ogni altra organizzazione possa generare, attraverso determinazioni di significato straordinariamente diverse, sintomi psicosomatici, apparentemente simili a quelli DAP. Ripeto, la psicopatologia è una cosa complessa. Quello che possiamo dire (e anche qui sono d'accordo con Gianni: noto che è già da qualche e.mail che non lo tormento con qualche cattiveria; magari la prossima!) è che ognuna di queste dimensioni di significato rappresenta un modo particolare di dare valore, di riconoscere, nominare, articolare ed esprimere, una certa classe di emozioni, e quindi di regolarla. Se non ne abbiamo fatto abbastanza palestra, nei legami primari, quando ce n'è bisogno non siamo in grado di riconoscerla e di regolarla.. I sintomi che possono emergere da quella disregolazione possono essere tanti, ma tutti coerenti con quel significato o, se vogliamo far piacere a Gianni, tutti metafore (più o meno) incompiute di quell'area emozionale poco conosciuta. Antonio, sono contento che tu sia dannatamente latino e mediterraneo come me (non posso dire che sono meridionale, però anche i romagnoli con lo stile anglosassone mi pare che abbiano poco a che fare)! Sono andato a rileggere la mia e.mail per vedere se negli aggettivi avevo usato un tono di sufficienza verso i colleghi americani e verso la TCS. Devo confessare che, in effetti, i miei toni erano piuttosto accesi. Ti assicuro, comunque, che proprio non ci voleva essere alcuna pretesa di superiorità culturale o affermazione di status scientificamente più avanzato. Ci mancherebbe altro! Per quanto riguarda lo status scientifico e la metodologia della ricerca sono mille miglia avanti a noi; il contesto culturale non è ovviamente nè sopra, nè sotto, è semplicemente diverso dal nostro. Capisco che loro abbiano rinunciato al piano etiologico per scelta programmatica e non per debolezza culturale, ma non posso evitare di dolermene. Chissa, forse avremmo bisogno anche noi di un po' di sano pragmatismo. O semplicemente

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quando anche qua arriveranno le assicurazioni a chiederci protocolli agili e validati su un massimo di 20 sedute, allora forse anche noi rinunceremo volentieri a parte di quello "spessore" evolutivo ed etiologico a cui eravamo così affezionati! Comunque, hai ragione quando dici che è opportuno e utile anche per noi cercare di approfondire le loro ragioni; non ho capito, invece, perchè poi ne parli in termini di "avversario" da non sottovalutare. Personalmente, non l'ho mai sentita in questo modo. Ciò che tu dici, e cioè che alcuni dati importanti della ricerca internazionale andrebbero riconosciuti e anzi "incorporati" da qualsiasi paradigma alternativo (non necessariamente "rivale"), è quanto io stesso sostenevo discutendo del modello di Clark, di Teasdale, ecc. Mi paiono perfettamente integrabili. Mi pare di valorizzarli, di utilizzarli, ma non posso fare a meno (o meglio, per ora non ce la faccio proprio!) di inserirli dentro un'idea d'uomo e una strategia terapeutica che consideri le strutture di significato e il contesto interpersonale che, ipoteticamente, sostengono quei pensieri e quei comportamenti su cui lavoro. Infine, la questione di politica culturale interna alla SITCC. Accidenti, ti ho sento un po' perentorio su queste mie obiezioni riguardo alla "volontà" e agli oltre "mille" che siamo! Qui proprio non volevo fare arrabbiare nessuno, ma ce l'ho fatta lo stesso. Mi chiedi cosa significa il plurale: "Fateci sapere". Mi immagini già così disorganizzato da parlarti al plurale? Magari al prossimo convegno, mentre ti verrrò incontro per salutarti, mi vedrai imrovvisamente cadere prono sul pavimento, o mi vedrai ogni tanto fare "stop and freezing" come un perfetto D. A parte le battute, semplicemente mi rivolgevo a tutti i colleghi che stanno seguendo il dibattito per avere un loro parere su questo problema. So bene che non è una questione da voto di maggioranza, però continuo a pensare che non sia un problema secondario il fatto che la SITCC sia ora una società così estesa. Per condividere un'agenda immagino che si debba dialogare (o è sufficiente che io spari una mail e va bene a chiunque vada a finire in copia, e poi la leggerà qualcuno (chi?) e sceglierà la più bella?). Semplicemente, credo che faccia qualche differenza dialogare in cento o dialogare in mille. Ma, immagino che riusciremo a trovare i canali e le modalità più utili e più rispettose per tutti. Ti ringrazio per questo scambio fresco e sincero. A presto Un caro saluto a tutti. Furio 46° Caro Gianni e carissimi tutti, mi sento direttamente chiamato in causa dalla penultima mail di Gianni ed è con piacere che intervengo nuovamente nel dibattito. Ho apprezzato molto che Gianni negli ultimi due capoversi della sua mail riconosca l'importanza della ricerca per i clinici, in particolare condivido la sua affermazione finale "è necessario che molti di più nella SITCC leggano, e con cognizione di causa, di ricerca oltre che di clinica". Hanno ragione Roberto e Sandra, certo, non tutti gli psicoterapeuti debbono fare ricerca, ci mancherebbe! Ma leggere. ! Mi preme sottolineare però l'esistenza non solo della ricerca di base, alla quale il clinico può attingere con profitto, ma anche di una solida ed interessante ricerca clinica, sui processi psicopatologici, che è sperimentale e non solo correlazionale, ed è svolta anche nell'ambito da noi noto come tcs. E a proposito di tcs non capisco l'atteggiamento squalificante di Gianni nei suoi riguardi. Stona che una persona attenta, rispettosa delle teorie altrui ed informata come Gianni, sottovaluti la cultura psicologica che fa da sfondo alla tcs, per quanto riguarda la motivazione, le emozioni, i processi psicopatologici etc. Non capisco come si possa affermare che "Gli outcome studies e gli studi sul nucleo cognitivo dei disturbi offerto dalla TCS (es. Salkovskis) hanno come base il SOLO DSM: è una base fragile, e non mi va di naufragarci sopra." Non hanno come sola base il DSM e nessuno rischia alcun naufragio a studiare cose serie (tra cui ci sono OVVIAMENTE, la teoria dell'attaccamento, la developmental psychology. Non è che dire "TCS ha del buono" implica che allora Bowlby fa schifo!) . Poi non ho mai sentito NESSUNO, neanche nella tcs, affermare che il DSM non sia niente di più che il male minore, dunque criticarlo come fa Gianni, equivale a dire qualcosa di scontato. Ci tengo a sottolineare che trovo molto interessante la tcs ma non mi sento proprio di sposarla, in particolare quella alla Beck, ed in generale anglosassone, e non solo per motivi di storia mia personalissima (che alcuni degli amici dibattenti conoscono), ma anche almeno per le seguenti ragioni: - scarsa attenzione alla ricerca in psicologia cognitiva di base

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- eccessiva superficialità nell'analisi concettuale, vedi ad esempio il concetto di inflated responsibility che fa acqua da tutte le parti - eccessiva tendenza a tradurre in elementi cognitivi le descrizioni del comportamento manifesto, ad esempio spiegare il perfezionismo che si osserva nel comportamento di un paziente attribuendogli lo scopo di essere perfetto - atteggiamento imperialista nella gestione delle fonti di diffusione della conoscenza - l'ingenuità di beck ed ellis di ritenere che la falsità delle credenze e l 'illogicità formale dei processi cognitivi sia una condizione per la loro patogenicità. (Va detto però che costoro hanno lavorato in anni in cui anche Weiss e Sampson riconducevano la psicopatologia alle credenze patogene e una delle caratteristiche principali di esse era, appunto, la falsità. Weiss e Sampson sono psicoanalisti citati da Gianni per la ricerca sul processo terapeutico, pubblicata tanti anni fa su Science) - per quanto riguarda specificatamente la RET e in minor parte il primo Beck: la forte valenza ideologica degli interventi terapeutici e l' indifferenza per lo studio dei processi psicopatologici. (Da notare che la RET da tempo è in netta minoranza nel panorama della tcs. Agli ultimi congressi EABCT cui ho assistito, la RET era presente in due-tre simposi del tutto autoreferenziali. Nelle riviste internazionali praticamente è assente, compare poco in qualche citazione bibliografica) La mia impressione tuttavia è che la tcs sia stata ingiustamente vittima di una propaganda che l'ha usata come la retorica testa di moro, e che tale propaganda sia stata centrata sulla inconsistente e pretestuosa opposizione fra razionalismo e post razionalismo. Mi appare altresì evidente che 20 anni di squalifiche e di polemiche sciocche siano un prezzo sufficiente, in termini di limitazione culturale, da far pagare agli psicoterapeuti ed ai loro pazienti, se non fosse altro per la semplice ragione che pazienti e studenti si rivolgono a noi, in buona misura, anche per la fama di solidità scientifica e tecnica conquistata dalla tcs. Non mi risulta, invece, neanche mezzo studio pubblicato sulla efficacia della psicoterapia cognitiva postrazionalista e dintorni. Detto questo credo che un po' di seria e costruttiva umiltà non guasti. Tornando a noi debbo apprezzare la serietà di Gianni nel riconoscere che comunque le OC non pretendono di spiegare i casi di asse 1 in cui sia presente anche un disturbo di asse 2. Parlando poi dei rapporti tra sintomo e disturbo di personalità Gianni riassume la sua argomentazione ponendo una questione: "Da dove vengono, allora, i sintomi? Da singoli tipi di stati mentali come quelli della responsabilità ipertrofica .. ? " Sembra proprio di SI. Stando alle prove disponibili. Ladouceur ed i suoi colleghi canadesi pochi anni fa hanno pubblicato alcuni esperimenti in cui si dimostrava che l'induzione in soggetti normali di uno stato mentale di responsabilità ipertrofica implicava che questi soggetti esibissero, nella soluzione di un compito, atteggiamenti tipicamente ossessivi, ripetitività, frequenza di controlli, dubbiosità incertezza, ansietà etc. Qualche tempo fa, con il nostro gruppo di ricerca della scuola, abbiamo svolto un esperimento analogo dove abbiamo dimostrato che l' induzione di un timore di colpa in soggetti normali aveva effetti ancor più ossessivizzanti della semplice assunzione di responsabilità, non solo sui comportamenti ma anche sulle caratteristiche della esperienza soggettiva. La ricerca è in corso di pubblicazione su una rivista internazionale Lopatcka e Rachman e Shafran hanno dimostrato come la modulazione sperimentale del senso di responsabilità in pazienti ossessivi si traduca in variazioni imponenti della sintomatologia ossessiva. Chiede poi Gianni: "Hanno dunque ragione i nostri Colleghi della TCS? Non conta chiedersi come gli stati mentali tipo interpretazione catastrofica e ipertofico senso di responsabilità si siano sviluppati ?" Certo che conta ! ma la risposta non c'è o per meglio dire una risposta corroborata e non solo ipotizzata, al momento non c'è. Del resto, per trovarla davvero, servirebbero degli studi longitudinali i quali non sono proprio una cosa semplice. Ci sono molte osservazioni cliniche. Comunque non si può proprio affermare che dipenda in modo forte da SPECIFICHE esperienze precoci di attaccamento. Ci sono diversi dati in proposito. Chiede ancora Gianni ", e come gli stati mentali tipo interpretazione catastrofica e ipertofico senso di responsabilità sono inseriti nel resto della conoscenza di sé?" Anche qui non ci sono dati, a parte i modesti risultati da me raccolti con le griglie di Kelly, da dove risulta che nei pazienti con doc, costrutti del tipo 'scrupoloso - menefreghista' sono centrali nella costruzione di se e degli altri, a differenza di quanto accade in altri pazienti. Tuttavia si deve considerare un'altra possibilità, vale a dire che il 'resto della conoscenza di sé' in cui si inseriscono gli stati mentali in questione non sia uguale in tutti i pazienti. I pazienti potrebbero condividere l' importanza che attribuiscono all'essere scrupolosi ed attenti e ad evitare le colpe per irresponsabilità ma essere diversi per tutto il resto, ad esempio per i significati con cui costruiscono le relazioni sentimentali, la sessualità etc. e le emozioni connesse. Non sono a conoscenza di ricerche capaci di sostenere che ossessioni e compulsioni siano riconducibili ad un deficit della conoscenza delle emozioni legate al farsi ed al disfarsi dei legami affettivi. Debbo però aggiungere che in particolare una ricerca pubblicata sull'ultimo numero del JAD (tranquilli, non è una

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rivista della tcs! La si può leggere senza eccessivi timori di contaminazioni razionaliste!) falsifica l'idea che alla base di ossessioni e compulsioni vi sia uno stato mentale tipo intolleranza per l'incertezza. Mi rendo conto che sto andando per le lunghe ma vorrei toccare un ultimo punto che mi sembra anche divertente, senza offesa per nessuno. Gianni scrive in una mail precedente: "Penso che si possa procedere alla confutazione empirica controllata della mia seguente congettura: le 4 OC permettono di prevedere particolari modalità di conoscenza di specifiche classi di emozioni (esempio: le emozioni della perdita incombente e dell'innamoramento agli inizi, vengono conosciute come delusione nei DCA, come perdita di libertà o di protezione nell'agorafobia, come fonte di inutile sforzi nella distimia, come dubbio e ricerca di certezza nel DOC). Finora nessuno ha prodotto una tale ricerca controllata, e allora mi stupisco che si possano fare affermazioni gratuite ed apodittiche, invero assai poco rispettose della logica della scoperta scientifica, come "Sappiamo che le OC non predicono realtà di rilievo clinico"." Caro Gianni in questo caso il tuo è un modo di procedere a dir poco audace, mi sa che la foga della discussione ti ha preso la mano: tu fai un'ipotesi che si presume non autoevidente e nemmeno universalmente condivisa cioè originale ed innovativa, comunque non banale, e poi scarichi l'onere della sua confutazione su chi la pensa diversamente. Perdonami l'esagerazione, ma è un po' come se io proponessi l'ipotesi "i disturbi di personalità dipendono in modo significativo dal segno zodiacale e dall'ascendente" e aggiungessi "Caro Giancarlo sei scettico, pensi che i segni zodiacali non predicono nulla? E allora dimostrami che non è vero!". In effetti, ad onor del vero, ci sono delle situazioni in cui un tale modo di procedere è ragionevole, tra queste c'è, il classico esempio identificato da Pascal a proposito della esistenza di Dio. In questo caso, però, è molto grande la differenza tra il costo di omettere erroneamente la credenza circa l'esistenza di Dio ed il costo dell'errore inverso, dunque vi è una grande convenienza nello scommettere sulla esistenza di Dio. Parlando di OC, al contrario, io non ravviso un vantaggio euristico così grande da giustificare la scommessa sulla loro esistenza . Avrei tante altre cose da dire in particolare di sincero ringraziamento a Silvio per le sue cortesi osservazioni e la sua disponibilità al dialogo ma mi fermo qui e semmai a risentirci. Un saluto come sempre molto caro a Gianni e a tutti gli altri, Francesco 47° miei cari, colleghiamoci al mondo in due modi: facendo ricerca clinica e pubblicandola in ambito internazionele, e iniziando a discutere con gli scienziati cognitivi in italia. ma no, cari antonio e francesco, gli anglosassoni non sono più bravi di noi a afre ricerca, è che i bravi clinici da noi non stanno (TRANNE POCHE ECCEZIONI) nelle strutture dedicate alla ricerca. e sì, io penso che in campo clinico siamo più avanti, perbacco; non facciamo politica e non parliamo l'inglese, piuttosto. in verità la clinica a me sembra l'unica area di mia competenza in cui gli italiani siano a livelli altissimi. non c'è un articolo importante sui mental models o sulla pragmatica della comunicazione in italiano, mentre ci sono fior di libri di psicoterapia. questo non vi esime ovviamente dal pubblicare sulle riviste di prestigio, ma consapevoli di voi stessi. io mi chiamo fuori, già mi basta la ricerca di base. io credo che ci sia molta distanza fra ricerca di base e ricerca clinica, e penso che prendere la ricerca di base a pezzettini (le ricerchine) e applicarla alla clinica non funzioni. equivale a fare un'assunzione di modularità dellla mente insostenibile. in parole povere: se io risolvo un problema sperimentale da depresso o da fobico, non risolvo lo stesso problema, perchè il soggetto attribuisce al compito un significato diverso. fra l'altro noterete che ho con questo dimostrato che le organizzazioni servono a predire i significati attribuiti ai comportamenti, non a predire comportamenti. vade retro, sintomo. non capisco perchè il telegramma da stoccolma ritardi tanto. io ho pubblicato su "sistemi intelligenti" un position paper volutamente politico e di parte sulle ralazioni fra scienza cognitiva e psicoterapia cognitiva (PUO LA SCIENZA COGNITIVA FARE A MENO DELLA TERAPIA COGNITYIVA?). forse sarebbe buona politica che qualcuno dei clinici, e non solo gli

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scienziati cognitivi, lo leggesse e criticasse, tanto per far vedere che esistiamo. la vicenda si fa troppo spessa per cavarcela con le mail. scriviamo qualcosina che resti. l'agenda collettiva? bè, qualcosa si sta condividendo con gli altri, molti temi tornano, sia pur declinati in modi diversi. vi racconto i miei. la mia agenda di ricerca clinica prevede2 cose: la validazione finale di un questionario sulle organizzazioni cognitive a uso dei non specialisti (con rita ardito); un lavoro sull'analisi della conversazione attraverso l'indice di condivisione(con rita ardito e francesca bosco). la mia agenda di ricerca di base prevede altri 2 lavori rilevanti per la clinica, spero. uno sulle interazioni fra metacognizione e attaccamento (con livia colle) e uno sul cambiamento come funzione della relazione e della metacognizione (con ilaria cutica). infine, ho organizzato un seminario residenziale a inviti sui modelli mentali dell'euforia (con letizia casta; fra l'altro, la dr casta mi scrive che abbiamo ancora due posti liberi, uno per una rossa coi ricci ed esuberante metacognizione e uno per un signore di mezzetà autorevole disorganizzato fin da piccolo con un pò di pancia che fumi la pipa). saluti, bruno 48° From: "Giovanni Liotti" <[email protected]> Sent: Wednesday, December 18, 2002 1:38 AM Subject: Re: agenda di ricerca e riviste Carissimi Bruno, Francesco e Furio, (le vostre tre mail sono le ultime pervenutemi, e vi rispondo insieme. Prometto: in breve) Carissimi tutti, Francesco mi rimprovera di avere usato toni squalificanti verso la TCS. Riconosco il senso del rimprovero, e lo accetto. Mi dispiace che quei toni mi siano sfuggiti, non era mia intenzione, si è trattato della foga del discorso. Volevo solo respingere la squalifica del lavoro sulle OC con la stessa veemenza di toni che altri avevano usato contro quelle ipotesi, prevalentemente appoggiandosi alla TCS ed al DSM (sezione DDP). Per il resto, ho affermato esplicitamente nella stessa mail che apprezzo in pieno l'importanza della TCS. Da anni la insegno ai miei studenti, e li costringo a studiarne almeno un paio di testi (Wells è attualmente il mio preferito). Confesso che mi sarebbe piaciuto, da parte di chi ha criticato le OC, ricevere la stessa cortesia che credo di aver usato alla TCS: riconoscerne una (almeno parziale!) sensatezza clinica prima di dichiararne, anche con foga polemica, i limiti. A proposito, caro Francesco, i limiti della TCS che elenchi nella tua ultima mail sono esattamente gli stessi che avevo in mente io, con la parziale eccezione della teoria motivazionale della TCS. (Tu dici che esiste. A me, confesso, è sfuggita. Puoi per favore indicarmi un testo che colmi la mia lacuna al riguardo, descrivendo quale teoria della motivazione stia dietro le opere -- per altri versi, ripeto, assai importanti -- di Clark, Salkovskis, Wells, etc.?). Credo, Francesco, che siamo molto più d'accordo di quanto la foga della discussione abbia permesso di evidenziare. E questo mi pare che valga anche per Furio. Con la tua mail ultima, caro Furio, concordo assai più che con le precedenti, forse perché, come tu dici, spiegarsi è sempre difficile e richiede tempo -- ed anche un via vai di scambi come questo in corso, ed anche forse che non abbiamo paura di attacchi alle nostre idee, o di contrattacare, e infine che non crediamo (belief patogeno!) che tali attacchi e contrattacchi implichino rifiuti personali o peggio rifiuti dell'appartenenza alla stessa comunità scientifica. Tornando a Francesco: la confutazione, che tu citi pubblicata nel JAD, di un aspetto dell'originaria OC corrispondente al DOC (puro, di sola diagnosi sull'asse 1) mi è nota. La ho incorporata (insieme all'inflated responsibility) nella mia nuova versione della OC corripondente al DOC, pubblicata nel mio libro del 2001. Noterai che nella versione 2001 non pongo più la ricerca di certezza al centro dell'OC - DOC, ed aggiungo alle emozioni misconosciute alcune emozioni agonistiche (fra le quali disgusto-disprezzo, anche grazie al tuo lavoro): non solo emozioni di attaccamento dunque. Questo è quanto a me sembra utile fare: correggere ed ampliare via via il lavoro teorico-clinico precedente man mano che arrivano nuove conoscenze e nuove confutazioni (preferibilmente sperimentali) ad esso. Non buttarlo a mare con il disprezzo frettoloso che ho letto (paranoicamente?) fra le righe ed entro le righe di alcune mail di questo scambio. In altre parole, vorrei COSTRUIRE sulla teoria originaria dell'83, continuamente rivista e rimaneggiata in accordo con le nuove conoscenze-confutazioni (anche derivanti dalla TCS, non solo dalle ricerche sull'attaccamento organizzato e disorganizzato). Non mi sembra il caso di gettarla via tutta (il che si dovrebbe fare se davvero "non prevede nulla, non descrive nulla, non corrisponde ad alcuna

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realtà clinica", etc. -- come mi sembra che abbia affermato Giancarlo, e confermato tu sia pure con minore veemenza polemica). Per altri versi, non ho mai creduto che le "personalità" disponibili per l'umanità fossero quattro, né che le OC descrivessero tipi di "personalità" (la "personalità" include variabili di temperamento, qualità e doti intellettive diverse, estroversione ed introversione, dipendenza ed indipendenza dal campo, costituzione longilinea-brevilinea -normolinea, diversi aspetti di storia di vita, etc. etc.). Le OC 83 descrivono solo, sec ondo me, forme appunto organizzate di conoscenza "emozionale" di sé-con-l'altro, corrispondenti ad alcune ricorrenti sindromi cliniche pure "organizzate" (cioè di asse 1). Mi sembra evidente che queste forme organizzate di conoscenza possano essere presenti all'interno di diversi tipi di "personalità" (lasciamo perdere invece il caso dei diversi DISTURBI di personalità secondo il DSM, che è più complesso). Proprio come la triade di Beck può essere presente in personalità introverse ed estroversie, ed in entrambi i casi generare depressionr. In fondo, le descrizioni delle OC sono nate come versioni più complesse ed articolate di quelle strutture conoscitive sottostanti le sindromi psichiariche, delle quali la triade cognitiva della depressione costituì il primo esempio (da cui l'iniziale entusiasmo di Beck per il nostro lavoro). Ciò detto,e a proposito della mia pretesa che altri confutino la teoria "audace e non banale" (parole di Francesco) avanzata da Vittorio e me nel lontano 83, pretesa che Francesco giudica divertente in quanto dovrei essere io a farlo: Accordo generosamente a Bruno la precedenza nell'indagare empiricamente, con l'apposito questionario che costituisce il punto 1 della sua agenda di ricerca clinica, la validità della descrizione delle OC. Ciò gli farà subito arrivare il telegramma da Stoccolma. In cambio, avendo casualmente notato di possedere già un paio di requisiti fra quelli richiesti per uno dei posti disponibili al seminario residenziale condotto dalla Dottoressa Casta, vorrei appunto che mi assegnasse tale posto. Ho già acquistato una nuova pipa, e dispongo di documenti attestanti la disorganizzazione del mio attaccamento precoce. Sto incrementando il consumo di cibi (deliziosi) ad alto contenuto calorico. Per la mezza età e l'autorevolezza, invece, non posso farci nulla. Sono giovanissimo e rigorosamente non-autorevole (solo incazzoso). Vi saluto, in stima ed in amicizia. Gianni 49° caro Gianni, io non intendo indagare con un questionario la validità empirica delle OC83. la dò per scontata, e la utilizzo come strumento per prevedere possibili evoluzioni di significato che pazienti non psichiatrici attribuiscono alle proprie difficoltà (infarti, tumori, incidenti etc). ribadisco che per sostituire le OC ho bisogno di un'altra teoria abbastanza ampia; i miglioramenti (tipoil disgusto negli oss) mi fanno piacere, e le disconferme (tipo la mancata correlazione con un pattern di attaccamento) mi fanno prendere distanza: ma non si parla di falsificazione, bensì di sostituzione di teoria. il che è poi la critica che lakatos e kuhn fanno a popper. sta venendomi anche il sospetto che la conoscenza sia goal-oriented, non field-independent: magari le OC83 van bene per la psicoterapia e la storia di vita, e non come strategie d'intervento. il che spiegherebbe come a seconda di quel che faccioamo possiamo preferire OC83 o TCS. bruno 50° Caro Gianni, Ti devo una risposta prima della, presumibile, pausa natalizia. Cercherò di essere brevissimo. Sono perfettamente d'accordo con l'idea di un psicoterapia legata alla psicopatologia. Anzi, la trovo la migliore definizione del denominatore comune dell'agenda condivisa. In fondo, se ci pensi, tutti ci occupiamo di questo, dei modelli d'attaccamento agli stati di responsabilità, dal rimurginio anoressico alla metacognizione. Sulle organizzazioni. Vedo almeno tre problemi: 1) Nel contenuto. Effettivamente rispetto ad OC83 mi pare evidente che non è chiaro cosa prevedono e quindi quali sono i potenziali falsificatori della teoria. La tua proposta è chiara ed è evidente lo sforzo di revisione ma non mi sembra la stessa cosa che dice Bruno nella sua ultima lettera né, per quanto ho

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capito, quello che dicono Furio e Silvio. Non credo di essere un lettore ingenuo, né credimi, prevenuto. Ho l'impressione che la confusione esista davvero, quanto meno dovuta al fatto che usate lo stesso linguaggio per teorie diverse. 2) Di storia e di necessaria autocritica. Francesco scherza con l'argomento di Pascal ma tocca un punto che riguarda non tanto te personalmente ma tutti noi. Tutti (anch'io Furio, certo) siamo stati sostenitori convinti della versione 83. Quante ricerche abbiamo prodotto per controllarle, confrontarle, modificarle? Non è solo un problema di denuncia di stile. Il fatto è che ad una grande teoria che, giustamente, rivendichi con orgoglio, è mancato quel naturale processo di revisione, affinamento, precisazione, che solo viene dal lavoro di ricerca. Il risultato è che rischiamo di vederla morire per il transitare delle mode senza averla esplorata nei suoi limiti e nei suoi punti di forza. So che qualche ricerca c'è stata ma è mancato un programma di ricerca ed una seria discussione su questo e ci ritroviamo a chiederla in grigie chiome e vent'anni dopo. 3) Di funzione euristica del modello. Credo che Giancarlo abbia, in parte sbagliato. Da tempo hai smesso di sostenere che le organizzazioni fossero valide per i Disturbi di Personalità, e, in ogni caso le tue precisazioni chiudono la questione. E' inuile che ripeta - l'ho probabilmente sostenuto nel libro di Laterza, quanto sia stato importante quel modello. Tuttavia Giancarlo esprime un problema, secondo me reale. Ad un dato momento, l'uso pervasivo delle OC per spiegare la psicopatologia è stato percepito come una cappa conservatrice specie da chi era interessato ad altre forme di psicopatologia. Credo che in questo senso la discussione è stata salutare. Ringrazio Bruno per l' incoraggiamento, comunque, non penso che siano meno bravi degli anglosassoni. Mi piace, in questa nobile e sportiva gara, pensare di avere avversari valorosi (in questo senso avversari Furio) con cui è onorevole vincere e non è disonorevole perdere. [ A questo proposito, nel tentativo di fare della buona ricerca clinica, un nostro metodo . la griglia deli stati problematici- ha superato (concedetemi un attimo di vanagloria) la soglia delle più dure riviste per la ricerca sul processo terapeutico. Il suo uso dovrebbe essere, d'ora in poi, pacifico sulle riviste internazionali. Può servire, chiarendo meglio le ipotesi, a testare qualcosa sulle teorie delle organizzazioni. Servirebbero le prime a sedute trascritte di pazienti con accertata diagnosi di asse I. Chi si vuole mettere su un progetto può rivolgersi a Giuseppe Nicolò, che attualmente coordina i nostri lavori.] Antonio P.S. Il dibattito è veramente interessante ma potrebbe qualcuno del Direttivo farne un file da far circolare a tutti? Sono sicuro che molti "giovani" oltre ai soliti aggressivi del III Centro, vorrebbero partecipare. 51° 20 DICEMBRE Carissimo Antonio, grazie alla tua consueta chiarezza e calma, finalmente ho capito. Nessuna meraviglia che ci abbia messo tanto: come Walter Mascetti (comunicazione privata) sa, ci metto tanto a capire che quella ragazzina che ti invita a calciare il pallone all'ultimo momento te lo leva di sotto e tu cadi a terra (deluso? impaurito dall'improvvisamente percepita solitudine? lamentando l'evidente inutilità dello sforzo fatto per calciare? sentendoti colpevole della tua imprudenza-smemorataggine? altro ancora?). E, per inciso, quell'altra ragazzina, quella con i capelli rossi di cui mi parlava Bruno qualche mail fa, quella che non mi leverebbe mai il pallone da sotto il piede, non riesco mai ad incontrarla (nemmeno questa volta, ahi, Bruno?!). Dunque, sia pure con serio ritardo, ho capito in quale momento del nostro dibattito sono caduto in un equivoco. E' stato quando si è cominciato a parlare di OC 83 e di G&L. Mi sono fermato troppo sull'83 e sulla L (mio disturbo narcisistico di personalità, come altri del cluster drammatico probabilmente legato a disorganizzazione dell'attaccamento). Mi sono incaponito a ripetere (comorbilità col DOC?) che tra l'83 e il 2001 ho tentato di accogliere le confutazioni disponibili nell'intento di far Popperianamente crescere la conoscenza di come: 1) la memoria di sé-con-l'altro parta da un nucleo emozionale a base innata (nel quale le emozioni di attaccamento si coniugano variamente con quelle di altri SMI -- versione 2001); 2) si creino poi, in base all'esperienza di relazione, variabili strutture di significato che interpretano più o meno validamente, flessibilmente e coerentemente quelle emozioni (lo psicopatologo può definirle, e rivedere continuamente tale definizione in base alle confutazioni serie che si accumulano); 3) tali strutture si possano porre in relazione di prevedibilità con alcune sindromi psicopatologiche "organizzate" (asse1) o "variamente meno organizzate fino alla disorganizzazione" (asse 2 e disturbi dissociativi).

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Questa ripetizione, che ho qui ripetuto (DOC!) era un rituale inutile, era legata ad un malinteso. In realtà, gli altri non parlavano tanto di G&L e di 83, ma di G e di post-83, per difendere (Bruno, Giorgio, Furio, Silvio) o confutare (Antonio, e soprattutto Francesco e Giancarlo). Mi dispiace di essermi arrabbiato per un equivoco, e chiedo scusa a Giancarlo ed a Francesco. E anche a Bruno, Giorgio, Furio e Silvio, per aver inconsapevolmente ostacolato l'altra e ben più interessante strada che poteva prendere il dibattito grazie ai loro contributi. Il fatto che sia caduto in un malinteso è dovuto a senso di ipertrofica responsabilità coniugato a disorg.att. (che mi fa vedere, là dove non ci sono, Salvatori che si trasformano in Persecutori, e che innesta la mia paura di cadere in un clima di sprezzante emarginazione agonistica tipo gli stati mentali Omega descritti da Roberto nel DOC), il tutto condito da furiosità temperamentale. Eh sì, la diagnosi è proprio questa, DOC in comorbilità con un DDP del cluster drammatico. Senza questo malinteso, dicevo, la discussione si sarebbe probabilmente orientata, assai più fruttuosamente, sulla possibilità di integrare, dialogicamente o forse anche dialetticamente, gli aspetti goal-oriented della conoscenza con quelli field-independent. Fra i due lati del "great divide" che attraversa tutte le Scuole di psicoterapia, quello che pone di fronte ermeneuti e sostenitori della ricerca scientifica classica (nella SPI convivono, spero che riescano a convivere anche più fruttuosamente nella SITCC), fra questi due lati, dicevo, se fossi COSTRETTO a scegliere, sceglierei -- è chiaro a tutti, no? -- quello della ricerca classica. Per cui sono felice di sapere, Antonio, che, quando comincerete ad usare la griglia degli stati problematici su disturbi puri di asse 1, presterete attenzione ad osservare se effettivamente, o no, gli agorafobici parlano più degli altri dei propri rapporti affettivi in termini di libertà-solitudine-costrizione, etc. etc. Inetto personalmente alla ricerca (quella che prova che i lutti non elaborati della madre sono fattori di rischio per i disturbi dissociativi e borderline nei figli, presumibilmente tramite la disorg.att., la ha portata avanti Pasquini), sono entusiasta e gratissimo di questa possibilità che mi offrite, di scoprire, attraverso una osservazione metodica e pertinente, se ho oppure no scambiato lucciole per lanterne in tutti questi anni di lavoro clinico. Ricordo, a proposito, il famoso aneddotto di Einstein. Quando gli chiesero se non temeva che l'imminente esperimento dei due aerei (simultaneamente circumnaviganti il globo in direzioni opposte con dentro orologi ultraprecisi) confutasse la sua teoria della relatività, il vecchio-canuto Albert rispose: "No. Se dovesse confutarla, vorrebbe dire che l'esperimento è sbagliato. La teoria è giusta" (il tutto avveniva, mi pare, a distanza di più di vent'anni da quando l'aveva formulata). Io, ahimé, al contrario di Bruno e non essendo degno neppure di slacciare ad Einstein i calzari, accetterei invece la confutazione, e mi dedicherei a tempo ancora più pieno ai miei amati SMI (teoria sbagliata anche questa, naturalmente, ma ce ne vorrà prima che la neonata neuroscienza affettiva ed evoluzionista rieca a dimostrarlo, quindi starò tranquillo fino alla pensione). Ora vado a dare un calcio and un pallone. La mia amica Lucy mi chiama. Buon Natale a tutti. Gianni 52° 20 DICEMBRE Cari Gianni, Antonio e tutti voi, la mia posizione sulle OC83 è la seguente: possono essere ancora utili molte osservazioni cliniche contenute in esse. Tuttavia è l'architettura generale del disegno teorico che mi sembra troppo schematica e rigida. Mi sembra difficile diomostrare una coorispondenza lineare e univoca tra costellazioni di costrutti (le OC) ed esiti psicopatologici. Del resto lo stesso Gianni lo riconosce. le ho abbandonate prima quando mi sono occupata a fondo di attaccamento con Roberto Lorenzini, poi quando incontrando problemi a Milano di cronicità in anoressiche disturbi ansiosi e OCD mi sono resa conto che non mi davano stryumenti adeguati da un punto di vista clinico. Attualmente i concetti psicopatologici che sono al centro della mia riflessione teorica e clinica sono piuttosto il rimuginio, l'obbligo di controllo, il pensiero catastrofico, l'intolleranza dell'incertezza, il perfezionismo, e il rimuginio. Mi sono quindi spostata di nuovo verso la psicopatologica cognitiva di base cercando costrutti rispondenti a determinati sintomi. Non ho abbandonato l'attaccamento e i suoi correlati cognitivi. Diciamo che preferisco affinarmi metodogolicamente sui alcuni costrutti impliciti, prima di tornare ad un argomento oggettivamente molto complesso come la radice infantile dei disturbi. Per ora dico che mi sono focalizzata sul criticismo genitoriale come variabile di interesse in rapporto ai disturbi d'ansia ed alimentari.

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Mi preme sottolineare che questa volta ho cercato di muovermi in modo diverso. Come altri di voi (e penso soprattuttoi ad antonio), ho sentito la necessità di aggiornarmi dal punto di vista metodologico confrontandomi e collaborando con persone con un diversa storia e formazione personale. Persone che avevano lavorato in gruppi di ricerca internazionali in ambienti con più forti tradizioni di ricerca rispetto a noi, come l'SPR o l'associazione dei ricercatori sui disturbi alimentari (ESDR). Antonio cita la vecchia teoria mia e di Roberto e lo ringrazio (Semerari ha scritto): Roberto nel momento di transizione tra la fase Kellyana e quella di confusione elaborò, con Sandra Sassaroli, una complessa teoria riassumibile in due proposizioni: 1) Specifici stili di attaccamento danno luogo a specifiche strategie di conoscenza (di cui si sottolinea, in particolare, il modo con cui viene trattata l'invalidazione). 2) Ogni specifico stile di conoscenza contribuisce con modalità proprie al mantenimento, più che alle cause, di specifici disturbi. Naturalmente 2) potrebbe essere vera anche se non fosse vera 1) dato che , come al solito, stanno insieme con lo sputo. Decidi tu, Roberto, cosa bisogna eliminare di questa creatura - ammesso che l'abbia riportata fedelmente. A queste ipotesi aggiungo le più recenti riflessioni di Roberto sulle teorie naif e il concetto di invalidazione come momento decisivo per lo scatenamento del disturbo. Lavorando con il mio gruppo di ricerca (Giovanni Maria Ruggiero è il responsabile e supervisore metodologico) per la prima volta sono riuscita a costruire una conferma rigorosa di una mia ipotesi clinica. Un nostro lavoro empirico sull'invalidazione (anche io ho il mio momento di vanagloria come antonio) è in press per l'International Journal of Eating Disorders ("Stress situation reveals association between perfectionism and drive for thinness"). Questo studio pilota vuole essere il preludio di un più ampio studio di controllo, conferma (ma anche di confutazione, non totale spero) sul modello clinico che sto elaborando. Uno studio multicentrico effettuato su grossi campioni clinici e di controllo i cui principi metodologici siano: 1) è possibile accertare mediante interviste cliniche-cognitive validate che usino definizioni OPERAZIONALI dei costrutti che riteniamo essere alla base dei disturbi ansiosi e alimentari 2) è possibile misurare la correlazione tra la gravità di questio costrutti e quella sintomatologica 3) è possibile controllare la corriposndenza tra la variazione sintoamtologica e quella cognitiva 4) dopodiché, su questi dati, costruire una discussione (anzi una sezione DISCUSSION nell'articolo pubblicato su riviste con referees) che tenga conto della raffinatezza clinico-teorica della scuola italiana (ma anche di altre tradizioni, come la stessa ricerca pscopatologica cognitiva di base anglosassone ma NON TCS, come Ladoucer che cita mancini, o Borkovec per il rimuginio o Frost per il perfezionismo, autori che non hanno fatto la scelta ultrapragmatica di Beck ed Ellis, o anche di Fairburn e Clarck) 5) è possibile infine ipotizzare interventi terapeutici corente con la sperimetazione clinica Mancini ha scritto: - atteggiamento imperialista (degli anglossassoni) nella gestione delle fonti di diffusione della conoscenza Sicuramente è vero. Ma quali le soluzioni? non bisogna cominciate a porsi il problema di stimolare nelle giovani leve che ci seguiranno un atteggiamento meno provinciale (anche qui antonio ci ha dato il buon esempio)? andare ai congressi internazionali, parlare in inglese possibilmente con buona pronuncia, scrivere un articolo in scrittura scientifca. Tutto questo potrà apparire banale e terra terra, ma un atteggiamento spagnolescamente sdegnoso ci isola e ci lascia in provincia. Attualmente solo Olanda e paesi Scandinavi riescono a tenere il ritmo di pubblicazione degli anglisassoni. Gli stessi tedeschi, a detta di Ruggiero che ha collaborato con il gruppo di Stoccarda, hanno problemi di scrittura scientifica. Tuttavia in Italia un atteggiamento diverso è possibile. Sto pensando per esempio a Massimo Cuzzolaro, che riesce ad aprire una rivista internazionale ("Eating and Weight Disorders") che per la sua buona qualità viene accettata in MEDLINE e in PSYCHINFO. Insomma, una piccola Acta Scandinavica. Oppure, sempre per attenermi ai disturbi alimentari, alle pubblicazioni (lontane dal nostro mondo per impostazione, ma belle) di Favaro e Santonastaso o di Monteleone e di altri di quell'ambiente. Sarebbe ora che curassimo quindi sia la nostra capacità di presentarci nel mondo, ma anche di condividere con i colleghi italiani le relazioni internazionali politicamente importanti che ciascun gruppo individualmente ha e e riesce a costruire. In questo senso sia la SITCC che la SPR potrebbero essere, con una mailing-list ben fatta, degli strumenti preziosi (Igor!)

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Un clima di scarsa collaborazione, se non a volte di ostilità, tra i vari centri, scuole e gruppi dell SITCC danneggia il cognitivismo italiano nel suo sviluppo nel mondo scientifico. La capacità di fare gruppo (rimanendo chiare naturalmente tutte le differenze teoriche e cliniche) indebolisce la nostra presenza scientrifica nei luoghi di incontro internazionali. Un ultima cosa. Gianni ha parlato di lavoro di ricerca sul suo modello OC83. Siamo ancora lontanissimi da uno scenario in cui un gruppo di ricerca si dedichi alla conferma sperimentale delle teorie elaborate di un altro gruppo. Quando questo accadrà saremo veramente giunti allo stadio finale di maturazione scientifica del cognitivismo italiano. Confesso di non essere personalmente in grado di fare questo ultimo salto di qualità (e non ne ho il tempo, ho giusto il tempo di dedicarmi allo studio delle mie ipotesi). Ma credo che se qualcuno dle mio gruppo di ricerca un giorno lo vorrà fare (e qualcuno lo vuole fare) io non lo scoraggerò e non lo impedirò. Stimolo quindi i giovani ad intervenire. Ho aggiunto alcuni nomi del mio gruppo all'indirizzario e non ne ho tolto alcuno. Un saluto affettuoso, buon natale a tutti Sandra 53° From: "Giovanni Liotti" <[email protected]> Sent: Monday, December 23, 2002 12:20 AM Subject: Psicopatologia, pensiero debole, oppure ... ? Cara Sandra, cari amici, mi sembra molto feconda la lista delle attività di ricerca e di pubblicazioni anche internazionali dei soci SITCC, a cui ultimamente Sandra ha aggiunto notizie fresche sui lavori suoi e del suo gruppo. Come già notava Antonio, è chiaro che si tratta di ricerche di psicopatologia più che di tecnica psicoterapeutica, e ciò mi sembra importante. E' la caratteristica migliore, a mio parere, del cognitivismo clinico italiano. Siamo fra i pochi al mondo, mi sembra, a portarla avanti. A questo riguardo, vorrei tediarvi con un ultimo breve commento ad un problema ripetutamente emerso in questa nostra discussione. E' un problema che Sandra delinea così: "... preferisco affinarmi metodologicamente su alcuni costrutti impliciti, prima di tornare ad un argomento oggettivamente molto complesso come la radice infantile dei disturbi". D'accordo, quello della radice infantile dei disturbi è un argomento assai complesso, e di certo è fruttuoso metterlo fra parentesi per dedicarsi a ricerche su variabili più accessibili all'indagine diretta. Tuttavia, se lo mettiamo TROPPO fra parentesi forse rischiamo di seguire una teoria o congettura non esplicitata (e dunque non falsificabile) dei fattori di rischio nello sviluppo dei disturbi (a partire dal concepimento e fino all'età adulta). Voglio dire che senza congetture chiare ed articolate sui fattori di rischio suddetti, magari ci si trova a seguire ipotesi straordinariamente banali che neppure vale la pena di falsificare, come ad esempio quella che attribuisce ad una educazione rigidamente moralistica lo sviluppo di un senso ipertrofico di responsabilità, o quella che attribuisce all'avere ricevuto tante tante critiche lo sviluppo di una ipersensibilità alle critiche, e ad entrambe tali influenze lo sviluppo di atteggiamenti perfezionistici (a proposito, non trovate interessante l'evidente differenza fra il perfezionismo che si osserva nei DOC e quello che si osserva nei DCA?). Quando Bruno afferma che alla teoria delle OC non è stata finora contrapposta alcuna teoria cognitivista di analoga completezza, complessità e articolazione interna (e quindi lui se la tiene stretta, nonostante gli esiti di alcune "ricerchine", come lui le chiama), afferma mi sembra una verità palese. Una teoria psicopatologica frammentata, che esplora singole realtà cliniche PREZIOSE -- qui il rimuginare dell'ansioso, lì il perfezionismo, altrove la capacità di produrre narrazioni metacognitivamente integrate, e così via -- relega nell'ambito della conoscenza tacita dello psicoterapeuta ogni ipotesi generale su come ci si ammala. Quando formulammo la teoria delle OC, avevamo fra l'altro in mente di avanzare tale ipotesi generale in forma chiara (e dunque in forma schematica e rigida, come è vero per ogni teoria : "Grigia, caro amico, è ogni teoria e verde il dorato albero della vita", ci insegna Goethe). Avevamo in mente di colmare le lacune del cognitivismo clinico rispetto alla teoria generale e completa della psicopatologia che aveva fatto la gloria della psicoanalisi. La psicoanalisi forniva ipotesi precise su perché ci si ammala mentalmente (conflitto fra libido e mortido, ad esempio), su come si sviluppa dall'infanzia in poi la malattia mentale, e sui meccanismi di mantenimento della sofferenza psichica. Nulla di confrontabile era

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presente nel cognitivismo clinico. Con la teoria delle OC, abbiamo provato a fornire al cognitivismo clinico una teoria etiologica, una teoria patogenetica, una teoria economico-strutturale. A distanza di vent'anni, la teoria va evidentemente rivista, alla luce di nuove acquisizioni e riflessioni critiche. Ma siete sicuri, Sandra Francesco Giancarlo e in parte Antonio, che vada abbandonata, senza provare a sostituirla con un'altra altrettanto completa? Se sì, avete certamente le vostre ragioni, e le capisco. Viviamo nel bel mezzo del trionfo del "pensiero debole". Il "pensiero debole", cioé, sta marcando la crisi di tutti i grandi modelli teorici emersi fra Ottocento e Novecento nell'ambito dell'antropologia filosofica, della filosofia politica e della psicologia (ma non della fisica, dove mi pare che relatività e meccanica quantistica godano ottima salute, né della biologia, dove l'evoluzionismo trionfa). Come in politica, anche in psicologia clinica, fallite le "grandi teorie", ci si affida alle minutaglie del mercato. Può darsi che il trionfo del "pensiero debole" in psicologia duri a lungo, e allora avrete avuto ragione voi, a rinunciare ad una esplicita teoria "forte" come quella delle OC. Ma può anche darsi che si estingua presto (se ne colgono già i segni, ad esempio con gli sviluppi recenti delle neuroscienze cognitive, affettive e motivazionali, vedi la "trilogia mentale" nell'ultimo libro di LeDoux, "The synaptic Self", o nell'oper straordinaria di Panksepp, "Affective Neuroscience"). Se si smetterà di idolatrare il "pensiero debole" (ed il Mercato), allora una esplicita teoria eziologica, genetica e strutturale della psicopatologia tornerà ad apparire necessaria, come necessaria continua a sembrare a me. Motivo per cui continuo ad insegnare agli allievi teoria e ricerca sull'attaccamento (e anzi teoria generale della motivazione di stampo evoluzionistico). Secondo voi, a proposito, vale la pena continuare ad insegnare la teoria dell'attaccamento anche ai vostri allievi? Beck, Berkovec, Salkovskis, Clark, Ellis, Wells, Ladouceur, etc. etc. non lo fanno. Se voi invece lo fate, qual'è il motivo? Non serve per capire rimuginii, responsabilità ipertrofiche, deficit metacognitivi settoriali vari, autoinganno, scopistica, etc. etc. E allora, perché continuare a tenere insegnamenti sull'attaccamento nelle Scuole che dirigete, o alla formulazione dei programmi delle quali fornite importanti contributi? Se pensate che valga la pena di farlo in vista di un ritorno di interesse per una qualsivoglia teoria forte della psicopatologia -- teoria che probabilmente dovrà avere la ricerca sull'attaccamento come uno dei suoi pilastri -- allora siamo ancora d'accordo nella sostanza, anche se in disaccordo su alcuni (importanti, ma non determinanti) dettagli. Se invece pensate che no, non valga la pena continuare a fornire agli allievi insegnamenti sull'attaccamento... beh, allora avrò un motivo in più per aspirare alla pensione, e sperare che arrivi presto, mercato permettendo. Un saluto affettuoso, e, di nuovo, Buon Natale. Gianni P.S. A scanso di equivoci: non ho affatto inteso criticare l'interesse per il rimuginio, la responsabilità ipertrofica, l'ipercriticismo genitoriale, il deficit metacognitivo di integrazione, etc. etc. Condivido tale interesse, anzi, e vi sono grato per quello che al riguardo mi insegnate. Trovo però che sia utile cercare un "collante" che tenga insieme tutti questi aspetti frammentati e frammentari della psicopatologia cognitiva. Se come collante non vi sembra adatta la teoria degli SMI -- intesi come organizzatori di esperienze relazionali (di ipercriticismo genitoriale, di moralismo educativo, etc.), di contenuti cognitivi e di capacità metacognitive -- vorreste farmi sapere quale "collante" alternativo suggerireste? Giusto per ricordare chi è all’ascolto ……… To: "SASSAROLI" <[email protected]>; "Bruno G. Bara" <[email protected]> Cc: "ugo ceron" <[email protected]>; "clarice mezzaluna" <[email protected]>; "Antonio Scarinci" <[email protected]>; "Antonio Di Tucci" <[email protected]>; "Igor Pontalti" <[email protected]>; "Ingaramo Simona" <[email protected]>; "Merlicco Giusi" <[email protected]>; "Conti Laura" <[email protected]>; "veglia" <[email protected]>; "Centro Como" <[email protected]>; "Berruquier Claudia" <[email protected]>; "Pia Lorenzo" <[email protected]>; "Latini Luca" <[email protected]>; "Bosco Francesca" <[email protected]>; "Tirassa Maurizio" <[email protected]>; "Becchio Cristina" <[email protected]>; "Adenzato Mauro" <[email protected]>; "Enrici Ivan" <[email protected]>; "Sacco Katiuscia" <[email protected]>; "Bucciarelli Monica" <[email protected]>; "De Marco Ivan" <[email protected]>; "Blanzieri Enrico" <[email protected]>; "Cutica Ilaria" <[email protected]>; "Colle Livia" <[email protected]>; "Blancato Ivan" <[email protected]>; "Ardito Rita" <[email protected]>; "Airenti Gabriella" <[email protected]>; "Bini Simona" <[email protected]>; "Lenzi Silvio" <[email protected]>; "Lorenzini Roberto" <[email protected]>; "C. 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