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QUESTO E-BOOK:

TITOLO: Discorso sul metodoAUTORE: Descartes, René (alias Renato Cartesio)TRADUTTORE: Cubeddu, ItaloCURATORE: Cubeddu, ItaloNOTE:

CODICE ISBN E-BOOK: 9788828100560

DIRITTI D'AUTORE: sì, sulla traduzione

LICENZA: questo testo è distribuito con la licenzaspecificata al seguente indirizzo Internet:http://www.liberliber.it/online/opere/libri/licenze/

COPERTINA: [elaborazione da] "Ritratto di René De-scartes" di Frans Hals (1582/1583–1666. - Museo delLouvre, Parigi. - Pubblico Dominio. - https://com-mons.wikimedia.org/wiki/File:Frans_Hals_-_Portret_van_René_Descartes.jpg.

TRATTO DA: Discorso sul metodo / Cartesio ; di RenéDescartes ; traduzione di Italo Cubeddu ; a cura diItalo Cubeddu ; collezione: Le idee, 9 ; EditoriRiuniti ; Roma, 1996

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TITOLO: Discorso sul metodoAUTORE: Descartes, René (alias Renato Cartesio)TRADUTTORE: Cubeddu, ItaloCURATORE: Cubeddu, ItaloNOTE:

CODICE ISBN E-BOOK: 9788828100560

DIRITTI D'AUTORE: sì, sulla traduzione

LICENZA: questo testo è distribuito con la licenzaspecificata al seguente indirizzo Internet:http://www.liberliber.it/online/opere/libri/licenze/

COPERTINA: [elaborazione da] "Ritratto di René De-scartes" di Frans Hals (1582/1583–1666. - Museo delLouvre, Parigi. - Pubblico Dominio. - https://com-mons.wikimedia.org/wiki/File:Frans_Hals_-_Portret_van_René_Descartes.jpg.

TRATTO DA: Discorso sul metodo / Cartesio ; di RenéDescartes ; traduzione di Italo Cubeddu ; a cura diItalo Cubeddu ; collezione: Le idee, 9 ; EditoriRiuniti ; Roma, 1996

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CODICE ISBN FONTE: 88-359-4106-7

1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 24 giugno 19982a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 15 marzo 20123a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 11 maggio 2017

INDICE DI AFFIDABILITÀ: 10: affidabilità bassa1: affidabilità standard2: affidabilità buona3: affidabilità ottima

SOGGETTO:PHI000000 FILOSOFIA / Generale

DIGITALIZZAZIONE:Valerio Tassin, [email protected]

REVISIONE:Valerio Tassin, [email protected] Chiodo, [email protected] Santamaria

IMPAGINAZIONE:Valerio Tassin, [email protected] (ODT)Massimo Rosa, [email protected] (ePub)Ugo Santamaria (revisione ePub)

PUBBLICAZIONE:Claudio Paganelli, [email protected] Santamaria

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CODICE ISBN FONTE: 88-359-4106-7

1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 24 giugno 19982a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 15 marzo 20123a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 11 maggio 2017

INDICE DI AFFIDABILITÀ: 10: affidabilità bassa1: affidabilità standard2: affidabilità buona3: affidabilità ottima

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Indice generale

Liber Liber......................................................................4Discorso sul metodo.......................................................6

Parte prima: Considerazioni sulle scienze..................7Parte seconda:Le principali regole del metodo................................15Parte terza: Qualche regola della morale tratta dal me-todo...........................................................................25Parte quarta: Le prove dell'esistenza di Dio e dell'ani-ma umana, ossia i fondamenti della metafisica........33Parte quinta: Questioni di fisica................................41Parte sesta: Le cose richieste per andare più avantinello studio della natura............................................57

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Indice generale

Liber Liber......................................................................4Discorso sul metodo.......................................................6

Parte prima: Considerazioni sulle scienze..................7Parte seconda:Le principali regole del metodo................................15Parte terza: Qualche regola della morale tratta dal me-todo...........................................................................25Parte quarta: Le prove dell'esistenza di Dio e dell'ani-ma umana, ossia i fondamenti della metafisica........33Parte quinta: Questioni di fisica................................41Parte sesta: Le cose richieste per andare più avantinello studio della natura............................................57

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Discorso sul metodo

Cartesio

Se questo discorso sembra troppo lungo per essere lettotutto in una volta, lo si potrà dividere in sei parti. E sitroveranno, nella prima, diverse considerazioni sullescienze.Nella seconda, le principali regole del metodo chel'autore ha cercato.Nella terza, qualche regola della morale ch'egli ha trattoda questo metodo.Nella quarta, gli argomenti con i quali prova l'esistenzadi Dio e dell'anima dell'uomo, che sono i fondamentidella sua metafisica.Nella quinta, la serie delle questioni di fisica che ha esa-minato, in particolare la spiegazione del movimento delcuore e di qualche altra difficoltà della medicina e, an-cora, la differenza tra l'anima nostra e quella dei bruti.Nell'ultima, le cose ch'egli crede siano richieste per an-dare avanti nello studio della natura più di quanto si èfatto, e i motivi che lo hanno indotto a scrivere.

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Discorso sul metodo

Cartesio

Se questo discorso sembra troppo lungo per essere lettotutto in una volta, lo si potrà dividere in sei parti. E sitroveranno, nella prima, diverse considerazioni sullescienze.Nella seconda, le principali regole del metodo chel'autore ha cercato.Nella terza, qualche regola della morale ch'egli ha trattoda questo metodo.Nella quarta, gli argomenti con i quali prova l'esistenzadi Dio e dell'anima dell'uomo, che sono i fondamentidella sua metafisica.Nella quinta, la serie delle questioni di fisica che ha esa-minato, in particolare la spiegazione del movimento delcuore e di qualche altra difficoltà della medicina e, an-cora, la differenza tra l'anima nostra e quella dei bruti.Nell'ultima, le cose ch'egli crede siano richieste per an-dare avanti nello studio della natura più di quanto si èfatto, e i motivi che lo hanno indotto a scrivere.

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Parte prima: Considerazioni sulle scienze

Il buon senso è fra le cose del mondo quella più equa-mente distribuita, giacché ognuno pensa di esserne cosìben dotato, che perfino quelli che sono più difficili dasoddisfare riguardo a ogni altro bene non sogliono desi-derarne più di quanto ne abbiano. E in questo non è ve-rosimile che tutti si sbaglino; è la prova, piuttosto, che ilpotere di ben giudicare e di distinguere il vero dal falso,che è propriamente quel che si dice buon senso o ragio-ne, è per natura uguale in tutti gli uomini; e quindi chela diversità delle nostre opinioni non dipende dal fattoche alcuni siano più ragionevoli di altri, ma soltanto daquesto, che facciamo andare i nostri pensieri per stradediverse e non prestiamo attenzione alle stesse cose. Per-ché non basta avere buono l'ingegno; la cosa principaleè usarlo bene. Le anime più grandi come sono capacidelle maggiori virtù, così lo sono dei più grandi vizi; equelli che camminano assai lentamente possono progre-dire molto di più, se seguono sempre la via diritta, diquelli che correndo se ne allontanano.Quanto a me, non ho mai preteso che il mio ingegnofosse in qualcosa più perfetto di quello comune; anzi hospesso desiderato di avere il pensiero così pronto,l'immaginazione così netta e distinta, la memoria cosìcapace o anche così presente, com'è in altri. E non cono-sco altre qualità che servano a rendere perfetto l'inge-gno; perché quanto alla ragione o discernimento, che è

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Parte prima: Considerazioni sulle scienze

Il buon senso è fra le cose del mondo quella più equa-mente distribuita, giacché ognuno pensa di esserne cosìben dotato, che perfino quelli che sono più difficili dasoddisfare riguardo a ogni altro bene non sogliono desi-derarne più di quanto ne abbiano. E in questo non è ve-rosimile che tutti si sbaglino; è la prova, piuttosto, che ilpotere di ben giudicare e di distinguere il vero dal falso,che è propriamente quel che si dice buon senso o ragio-ne, è per natura uguale in tutti gli uomini; e quindi chela diversità delle nostre opinioni non dipende dal fattoche alcuni siano più ragionevoli di altri, ma soltanto daquesto, che facciamo andare i nostri pensieri per stradediverse e non prestiamo attenzione alle stesse cose. Per-ché non basta avere buono l'ingegno; la cosa principaleè usarlo bene. Le anime più grandi come sono capacidelle maggiori virtù, così lo sono dei più grandi vizi; equelli che camminano assai lentamente possono progre-dire molto di più, se seguono sempre la via diritta, diquelli che correndo se ne allontanano.Quanto a me, non ho mai preteso che il mio ingegnofosse in qualcosa più perfetto di quello comune; anzi hospesso desiderato di avere il pensiero così pronto,l'immaginazione così netta e distinta, la memoria cosìcapace o anche così presente, com'è in altri. E non cono-sco altre qualità che servano a rendere perfetto l'inge-gno; perché quanto alla ragione o discernimento, che è

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la sola cosa che ci rende uomini e ci distingue dai bruti,credo che essa sia tutta intera in ciascuno di noi, e inten-do in questo seguire l'opinione comune degli scolastici, iquali affermano che il più e il meno è solo negli acci-denti, non mai nelle forme o nature degli individui diuna medesima specie.Ma penso, e non esito a dirlo, di avere avuto molta for-tuna per essermi ritrovato fin da giovane su una stradache mi ha condotto a riflessioni e massime da cui ho for-giato un metodo, col quale mi sembra di poter aumenta-re per gradi la mia conoscenza, e portarla a poco a pocoal punto più alto che le consentono la mediocrità delmio ingegno e la breve durata della mia vita. Perché neho già raccolto frutti tali che sebbene cerchi, ogni voltache giudico me stesso, di piegare verso la diffidenzapiuttosto che verso la presunzione, e sebbene, guardan-do con l'occhio del filosofo le diverse azioni e impresedegli uomini, non ne scorga quasi nessuna che mi sem-bri vana e inutile, pure continuo a trarre sempre il mas-simo piacere nel progresso che penso di avere già fattonella ricerca della verità, e a concepire per l'avveniresperanze tali da osar credere che tra le occupazionidell'uomo in quanto uomo ve ne è qualcuna davverobuona e importante, è proprio quella che ho scelto.E tuttavia può darsi ch'io mi inganni, che scambi per oroe diamanti quello che non è altro, forse, che un po’ dirame e di vetro. So quanto siamo facili a sbagliarci inciò che ci riguarda, e come dobbiamo diffidare anchedei giudizi dei nostri amici, quando sono a nostro favo-

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la sola cosa che ci rende uomini e ci distingue dai bruti,credo che essa sia tutta intera in ciascuno di noi, e inten-do in questo seguire l'opinione comune degli scolastici, iquali affermano che il più e il meno è solo negli acci-denti, non mai nelle forme o nature degli individui diuna medesima specie.Ma penso, e non esito a dirlo, di avere avuto molta for-tuna per essermi ritrovato fin da giovane su una stradache mi ha condotto a riflessioni e massime da cui ho for-giato un metodo, col quale mi sembra di poter aumenta-re per gradi la mia conoscenza, e portarla a poco a pocoal punto più alto che le consentono la mediocrità delmio ingegno e la breve durata della mia vita. Perché neho già raccolto frutti tali che sebbene cerchi, ogni voltache giudico me stesso, di piegare verso la diffidenzapiuttosto che verso la presunzione, e sebbene, guardan-do con l'occhio del filosofo le diverse azioni e impresedegli uomini, non ne scorga quasi nessuna che mi sem-bri vana e inutile, pure continuo a trarre sempre il mas-simo piacere nel progresso che penso di avere già fattonella ricerca della verità, e a concepire per l'avveniresperanze tali da osar credere che tra le occupazionidell'uomo in quanto uomo ve ne è qualcuna davverobuona e importante, è proprio quella che ho scelto.E tuttavia può darsi ch'io mi inganni, che scambi per oroe diamanti quello che non è altro, forse, che un po’ dirame e di vetro. So quanto siamo facili a sbagliarci inciò che ci riguarda, e come dobbiamo diffidare anchedei giudizi dei nostri amici, quando sono a nostro favo-

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re. Ma sarò ben lieto di mostrare in questo discorso qua-li strade ho seguìto e di raffigurarvi la mia vita come inun quadro, perché sia consentito a ognuno di giudicarne,e a me di acquistare, raccogliendo dalla voce della gentele opinioni che ne avrà, un nuovo mezzo di istruirmi,che aggiungerò a quelli di cui di solito mi servo.Non intendo dunque insegnare qui il metodo che ciascu-no deve seguire per ben giudicare la propria ragione, masolo far vedere in che modo ho cercato di guidare lamia. Quelli che si prendono la briga di dare precetti deb-bono ritenersi più abili di coloro ai quali li danno; e sesbagliano nella più piccola cosa, vanno perciò biasimati.Ma siccome propongo questo scritto solo come una sto-ria, o se preferite come una favola, nella quale, accantoad alcuni esempi che si possono imitare, se ne troveran-no forse anche molti altri che a ragione non verranno se-guiti, spero che riuscirà utile ad alcuni senza essere didanno a nessuno, e che tutti saranno soddisfatti dellamia franchezza.Sono stato nutrito fin dall'infanzia di studi letterari, epoiché mi si faceva credere che per mezzo di essi si po-tesse acquistare una conoscenza chiara e salda di tuttociò che è utile alla vita, ero oltremodo desideroso di ap-prendere. Ma appena compiuto l'intero corso di studi altermine del quale si suole essere accolti nel rango deidotti, cambiai del tutto opinione. Perché mi ritrovai im-pacciato da tanti dubbi ed errori che mi sembrava di nonaver ricavato altro profitto, cercando di istruirmi, se nondi avere scoperto sempre di più la mia ignoranza. Eppu-

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re. Ma sarò ben lieto di mostrare in questo discorso qua-li strade ho seguìto e di raffigurarvi la mia vita come inun quadro, perché sia consentito a ognuno di giudicarne,e a me di acquistare, raccogliendo dalla voce della gentele opinioni che ne avrà, un nuovo mezzo di istruirmi,che aggiungerò a quelli di cui di solito mi servo.Non intendo dunque insegnare qui il metodo che ciascu-no deve seguire per ben giudicare la propria ragione, masolo far vedere in che modo ho cercato di guidare lamia. Quelli che si prendono la briga di dare precetti deb-bono ritenersi più abili di coloro ai quali li danno; e sesbagliano nella più piccola cosa, vanno perciò biasimati.Ma siccome propongo questo scritto solo come una sto-ria, o se preferite come una favola, nella quale, accantoad alcuni esempi che si possono imitare, se ne troveran-no forse anche molti altri che a ragione non verranno se-guiti, spero che riuscirà utile ad alcuni senza essere didanno a nessuno, e che tutti saranno soddisfatti dellamia franchezza.Sono stato nutrito fin dall'infanzia di studi letterari, epoiché mi si faceva credere che per mezzo di essi si po-tesse acquistare una conoscenza chiara e salda di tuttociò che è utile alla vita, ero oltremodo desideroso di ap-prendere. Ma appena compiuto l'intero corso di studi altermine del quale si suole essere accolti nel rango deidotti, cambiai del tutto opinione. Perché mi ritrovai im-pacciato da tanti dubbi ed errori che mi sembrava di nonaver ricavato altro profitto, cercando di istruirmi, se nondi avere scoperto sempre di più la mia ignoranza. Eppu-

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re stavo in una delle più celebri scuole d'Europa, dovepensavo dovessero trovarsi dei dotti, se mai ce n'eranoin qualche parte della terra. Lì avevo imparato tuttoquello che imparavano gli altri; e in più, non contentodelle scienze che ci insegnavano, avevo scorso tutti i li-bri di quelle ritenute più curiose e più rare, che mi eranocapitate tra le mani. Oltre a ciò, sapevo dei giudizi chegli altri davano di me; e constatavo di non essere consi-derato in nulla inferiore ai miei compagni, benché ve nefossero alcuni già destinati ad occupare il posto dei no-stri maestri. Infine, il nostro secolo mi sembrava fioren-te e fertile di buoni ingegni quanto ogni altro secolo pre-cedente. Tutto questo mi induceva a prendermi la libertàdi giudicare da me tutti gli altri, e di pensare che non cifosse al mondo scienza, quale all'inizio me l'avevanofatta sperare.Non avevo tuttavia smesso di stimare gli esercizi di cuici si occupa nelle scuole. Riconoscevo che le lingue chevi si apprendono sono necessarie per l'intelligenza dei li-bri antichi; che la grazia delle favole sveglia l'ingegno, eche lo elevano le azioni memorabili delle storie, le qua-li, lette con prudenza, aiutano a formare il giudizio. Ri-conoscevo che la lettura dei buoni libri è come una con-versazione con gli uomini più illustri dei secoli passatiche ne furono gli autori, e per di più una conversazionestudiata, in cui quelli ci palesano solo i loro miglioripensieri. Riconoscevo che l'eloquenza ha forza e bellez-za incomparabili, e la poesia delicatezza e dolcezze cheincantano; che nelle matematiche ci sono invenzioni as-

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re stavo in una delle più celebri scuole d'Europa, dovepensavo dovessero trovarsi dei dotti, se mai ce n'eranoin qualche parte della terra. Lì avevo imparato tuttoquello che imparavano gli altri; e in più, non contentodelle scienze che ci insegnavano, avevo scorso tutti i li-bri di quelle ritenute più curiose e più rare, che mi eranocapitate tra le mani. Oltre a ciò, sapevo dei giudizi chegli altri davano di me; e constatavo di non essere consi-derato in nulla inferiore ai miei compagni, benché ve nefossero alcuni già destinati ad occupare il posto dei no-stri maestri. Infine, il nostro secolo mi sembrava fioren-te e fertile di buoni ingegni quanto ogni altro secolo pre-cedente. Tutto questo mi induceva a prendermi la libertàdi giudicare da me tutti gli altri, e di pensare che non cifosse al mondo scienza, quale all'inizio me l'avevanofatta sperare.Non avevo tuttavia smesso di stimare gli esercizi di cuici si occupa nelle scuole. Riconoscevo che le lingue chevi si apprendono sono necessarie per l'intelligenza dei li-bri antichi; che la grazia delle favole sveglia l'ingegno, eche lo elevano le azioni memorabili delle storie, le qua-li, lette con prudenza, aiutano a formare il giudizio. Ri-conoscevo che la lettura dei buoni libri è come una con-versazione con gli uomini più illustri dei secoli passatiche ne furono gli autori, e per di più una conversazionestudiata, in cui quelli ci palesano solo i loro miglioripensieri. Riconoscevo che l'eloquenza ha forza e bellez-za incomparabili, e la poesia delicatezza e dolcezze cheincantano; che nelle matematiche ci sono invenzioni as-

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sai sottili, che possono ben servire sia a soddisfare i cu-riosi, sia a facilitare tutte le arti e alleviare il lavoro de-gli uomini. Riconoscevo che gli scritti che trattano deicostumi contengono parecchi utilissimi precetti ed esor-tazioni alla virtù; che la teologia ci insegna a guardare ilcielo, e la filosofia il mezzo per parlare di tutto con ve-rosimiglianza e farci ammirare da quelli che ne sanno dimeno; che il diritto, la medicina e le altre scienze dannoonori e ricchezze a chi li coltiva; infine, che è bene ave-re esaminato tutte queste scienze, anche le più cariche dipregiudizi o più false, per conoscerne il giusto valore enon lasciarsene ingannare.Ma ritenevo di aver già dedicato un tempo sufficientealle lingue e anche alla lettura dei libri antichi, alle lorostorie e alle loro favole. Perché a conversare con gli uo-mini del passato accade quasi lo stesso che col viaggia-re. È bene conoscere qualcosa dei costumi di altri popo-li, per poter giudicare dei nostri più saggiamente, e nonpensare che tutto ciò che è contrario alle nostre usanzesia ridicolo e irragionevole, come fanno di solito quelliche non hanno visto nulla. Ma quando si spende moltotempo nei viaggi, si diventa alla fine stranieri in casapropria; e quando si è troppo curiosi delle cose del pas-sato, si rimane di solito assai ignoranti di quelle del pre-sente. Senza contare che le favole ci fanno immaginarecome possibili molti fatti che non lo sono per nulla; eche anche le storie più fedeli, se non alterano né accre-scono il valore delle cose per renderle più degne di esse-re lette, perlomeno ne omettono quasi sempre le circo-

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sai sottili, che possono ben servire sia a soddisfare i cu-riosi, sia a facilitare tutte le arti e alleviare il lavoro de-gli uomini. Riconoscevo che gli scritti che trattano deicostumi contengono parecchi utilissimi precetti ed esor-tazioni alla virtù; che la teologia ci insegna a guardare ilcielo, e la filosofia il mezzo per parlare di tutto con ve-rosimiglianza e farci ammirare da quelli che ne sanno dimeno; che il diritto, la medicina e le altre scienze dannoonori e ricchezze a chi li coltiva; infine, che è bene ave-re esaminato tutte queste scienze, anche le più cariche dipregiudizi o più false, per conoscerne il giusto valore enon lasciarsene ingannare.Ma ritenevo di aver già dedicato un tempo sufficientealle lingue e anche alla lettura dei libri antichi, alle lorostorie e alle loro favole. Perché a conversare con gli uo-mini del passato accade quasi lo stesso che col viaggia-re. È bene conoscere qualcosa dei costumi di altri popo-li, per poter giudicare dei nostri più saggiamente, e nonpensare che tutto ciò che è contrario alle nostre usanzesia ridicolo e irragionevole, come fanno di solito quelliche non hanno visto nulla. Ma quando si spende moltotempo nei viaggi, si diventa alla fine stranieri in casapropria; e quando si è troppo curiosi delle cose del pas-sato, si rimane di solito assai ignoranti di quelle del pre-sente. Senza contare che le favole ci fanno immaginarecome possibili molti fatti che non lo sono per nulla; eche anche le storie più fedeli, se non alterano né accre-scono il valore delle cose per renderle più degne di esse-re lette, perlomeno ne omettono quasi sempre le circo-

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stanze più basse o meno nobili: così quel che rimane ap-pare diverso da quello che è, e chi vuol regolare i propricostumi sugli esempi che ne trae, rischia di cadere nellestravaganze degli eroi dei nostri romanzi, e di concepiredisegni che vanno al di là delle sue forze.Avevo grande stima dell'eloquenza, ed ero innamoratodella poesia; ma pensavo che l'una e l'altra fossero donidell'ingegno, piuttosto che frutto dello studio. Chi ha ilraziocinio più robusto e sa mettere meglio in ordine ipropri pensieri per renderli più chiari e intelligibili, puòsempre, meglio di tutti, imporre le sue tesi, anche separla soltanto il basso bretone e non ha mai imparato laretorica. E quelli che son capaci delle invenzioni piùpiacevoli, e sanno esprimerle con maggior ornamento edolcezza, continuano a essere i migliori poeti, anche seignorano l'arte poetica.Mi piacevano soprattutto le matematiche, per la certezzae l'evidenza delle loro ragioni; ma non ne avevo ancorariconosciuto il vero uso e, pensando che servissero soloalle arti meccaniche, mi stupivo del fatto che, pur essen-do le loro fondamenta così sicure e solide, su di essenon si fosse costruito nulla di più alto. Come, al contra-rio, paragonavo gli scritti di morale degli antichi pagania palazzi molto superbi e magnifici, ma costruiti sullasabbia e sul fango. Innalzano al cielo le virtù, e le fannoapparire stimabili al di sopra di ogni altra cosa al mon-do, ma non ce la fanno conoscere a sufficienza. Spessoquello che chiamano con un così bel nome non è altroche insensibilità, oppure orgoglio, o disperazione, o par-

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stanze più basse o meno nobili: così quel che rimane ap-pare diverso da quello che è, e chi vuol regolare i propricostumi sugli esempi che ne trae, rischia di cadere nellestravaganze degli eroi dei nostri romanzi, e di concepiredisegni che vanno al di là delle sue forze.Avevo grande stima dell'eloquenza, ed ero innamoratodella poesia; ma pensavo che l'una e l'altra fossero donidell'ingegno, piuttosto che frutto dello studio. Chi ha ilraziocinio più robusto e sa mettere meglio in ordine ipropri pensieri per renderli più chiari e intelligibili, puòsempre, meglio di tutti, imporre le sue tesi, anche separla soltanto il basso bretone e non ha mai imparato laretorica. E quelli che son capaci delle invenzioni piùpiacevoli, e sanno esprimerle con maggior ornamento edolcezza, continuano a essere i migliori poeti, anche seignorano l'arte poetica.Mi piacevano soprattutto le matematiche, per la certezzae l'evidenza delle loro ragioni; ma non ne avevo ancorariconosciuto il vero uso e, pensando che servissero soloalle arti meccaniche, mi stupivo del fatto che, pur essen-do le loro fondamenta così sicure e solide, su di essenon si fosse costruito nulla di più alto. Come, al contra-rio, paragonavo gli scritti di morale degli antichi pagania palazzi molto superbi e magnifici, ma costruiti sullasabbia e sul fango. Innalzano al cielo le virtù, e le fannoapparire stimabili al di sopra di ogni altra cosa al mon-do, ma non ce la fanno conoscere a sufficienza. Spessoquello che chiamano con un così bel nome non è altroche insensibilità, oppure orgoglio, o disperazione, o par-

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ricidio.Riverivo la nostra teologia e aspiravo come chiunque al-tro a guadagnare il cielo; ma avendo appreso come cosaassai certa che questa strada è aperta ai più ignoranticome ai più dotti, e che le verità rivelate che ci conduco-no fino ad esso sono al di sopra della nostra intelligenza,non avrei mai osato sottoporle alla debolezza dei mieiragionamenti, e pensavo che per intraprenderne e con-durre a termine l'esame era necessario ottenere una qual-che straordinaria assistenza dal cielo ed essere più cheuomo.Non dirò nulla della filosofia, se non che, vedendolacoltivata per molti secoli dagli ingegni più alti senza tut-tavia che vi si trovi qualcosa che non sia oggetto di di-spute e di cui perciò non si dubiti, non avevo tanta pre-sunzione da sperare qui un successo migliore di quelloottenuto da altri; considerando poi quante diverse opi-nioni su uno stesso oggetto possono essere sostenute daidotti, senza che ce ne possa essere mai più di una soltan-to che sia vera, ritenevo quasi falso tutto ciò che era soloverosimile.Per altre scienze poi, dal momento che traggono i loroprincìpi dalla filosofia, giudicavo che non era possibileche si fosse costruito qualcosa di solido su fondamentacosì instabili. E né l'onore, né i guadagni che prometto-no era sufficiente a impegnarmi in esse; giacché non ri-tenevo di essere, grazie a Dio, nella condizione di doverfare della scienza un mestiere, per migliorare la mia for-tuna; e benché non professassi, come fanno i cinici, il

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ricidio.Riverivo la nostra teologia e aspiravo come chiunque al-tro a guadagnare il cielo; ma avendo appreso come cosaassai certa che questa strada è aperta ai più ignoranticome ai più dotti, e che le verità rivelate che ci conduco-no fino ad esso sono al di sopra della nostra intelligenza,non avrei mai osato sottoporle alla debolezza dei mieiragionamenti, e pensavo che per intraprenderne e con-durre a termine l'esame era necessario ottenere una qual-che straordinaria assistenza dal cielo ed essere più cheuomo.Non dirò nulla della filosofia, se non che, vedendolacoltivata per molti secoli dagli ingegni più alti senza tut-tavia che vi si trovi qualcosa che non sia oggetto di di-spute e di cui perciò non si dubiti, non avevo tanta pre-sunzione da sperare qui un successo migliore di quelloottenuto da altri; considerando poi quante diverse opi-nioni su uno stesso oggetto possono essere sostenute daidotti, senza che ce ne possa essere mai più di una soltan-to che sia vera, ritenevo quasi falso tutto ciò che era soloverosimile.Per altre scienze poi, dal momento che traggono i loroprincìpi dalla filosofia, giudicavo che non era possibileche si fosse costruito qualcosa di solido su fondamentacosì instabili. E né l'onore, né i guadagni che prometto-no era sufficiente a impegnarmi in esse; giacché non ri-tenevo di essere, grazie a Dio, nella condizione di doverfare della scienza un mestiere, per migliorare la mia for-tuna; e benché non professassi, come fanno i cinici, il

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disprezzo della gloria, pure stimavo assai poco quellache non stimavo di potere acquistare se non con falsi ti-toli. Infine, per quel che riguarda le scienze bugiarde,pensavo di conoscerne già abbastanza il valore per noncorrere il rischio di venir ingannato né dalle promesse diun alchimista, né dalle predizioni di un astrologo, nédalle imposture di un mago, né dalle frodi o vanterie dichi va dicendo di sapere più di quanto non sappia.Per questo, non appena l'età mi liberò dalla tutela deiprecettori, abbandonai del tutto lo studio delle lettere. Eavendo deciso di non cercare altra scienza se non quellache potevo trovare in me stesso oppure nel gran librodel mondo, impiegai il resto della giovinezza a viaggia-re, a visitare corti ed eserciti, a frequentare uomini di in-dole e condizioni diverse, a raccogliere varie esperienze,a mettere alla prova me stesso nei casi che il destino mioffriva, e a riflettere dappertutto sulle cose che mi sipresentavano, in modo da trarne qualche profitto. Per-ché mi sembrava che avrei scoperto molta più verità neiragionamenti che uno fa sugli affari che lo interessano, eil cui esito punisce ben presto chi ha mal giudicato, chein quelli dell'uomo di lettere, chiuso nel suo studio, im-merso in speculazioni senza effetto, e che non hanno perlui altra conseguenza se non che ne trarrà forse una va-nità tanto maggiore quanto più saranno distanti dal sen-so comune, perché in questo caso avrà dovuto impiegarepiù ingegno e più artifici per renderle verosimili. E ave-vo sempre un desiderio estremo di imparare a distingue-re il vero dal falso, per veder chiaro nelle mie azioni e

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disprezzo della gloria, pure stimavo assai poco quellache non stimavo di potere acquistare se non con falsi ti-toli. Infine, per quel che riguarda le scienze bugiarde,pensavo di conoscerne già abbastanza il valore per noncorrere il rischio di venir ingannato né dalle promesse diun alchimista, né dalle predizioni di un astrologo, nédalle imposture di un mago, né dalle frodi o vanterie dichi va dicendo di sapere più di quanto non sappia.Per questo, non appena l'età mi liberò dalla tutela deiprecettori, abbandonai del tutto lo studio delle lettere. Eavendo deciso di non cercare altra scienza se non quellache potevo trovare in me stesso oppure nel gran librodel mondo, impiegai il resto della giovinezza a viaggia-re, a visitare corti ed eserciti, a frequentare uomini di in-dole e condizioni diverse, a raccogliere varie esperienze,a mettere alla prova me stesso nei casi che il destino mioffriva, e a riflettere dappertutto sulle cose che mi sipresentavano, in modo da trarne qualche profitto. Per-ché mi sembrava che avrei scoperto molta più verità neiragionamenti che uno fa sugli affari che lo interessano, eil cui esito punisce ben presto chi ha mal giudicato, chein quelli dell'uomo di lettere, chiuso nel suo studio, im-merso in speculazioni senza effetto, e che non hanno perlui altra conseguenza se non che ne trarrà forse una va-nità tanto maggiore quanto più saranno distanti dal sen-so comune, perché in questo caso avrà dovuto impiegarepiù ingegno e più artifici per renderle verosimili. E ave-vo sempre un desiderio estremo di imparare a distingue-re il vero dal falso, per veder chiaro nelle mie azioni e

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procedere con sicurezza in questa vita.È vero che, dedicandomi interamente all'osservazionedei costumi altrui, non vi trovai niente che mi sembrassesicuro; e che notai qui una varietà quasi pari a quella giàvista nelle opinioni dei filosofi. Per cui il maggior pro-fitto che ne traevo, vedendo parecchie cose che pur ap-parendoci molto stravaganti e ridicole vengono tuttaviacomunemente accolte e approvate da altri grandi popoli,era quello di non credere con troppa sicurezza a tutto ciòdi cui mi avevano convinto solo con l'esempio e conl'uso; così mi liberai a poco a poco di molti errori chepossono oscurare il nostro lume naturale, e rendercimeno capaci di intendere ragione. Ma dopo che ebbicosì impiegato qualche anno nello studio del libro delmondo e nello sforzo di raccogliere varie esperienze,decisi un giorno di studiare anche in me stesso, e di ap-plicare tutte le forze dell'ingegno a scegliere le stradeche avrei dovuto seguire. E questo mi riuscì molto me-glio, mi pare, che se non mi fossi mai allontanato né dalmio paese né dai miei libri.

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procedere con sicurezza in questa vita.È vero che, dedicandomi interamente all'osservazionedei costumi altrui, non vi trovai niente che mi sembrassesicuro; e che notai qui una varietà quasi pari a quella giàvista nelle opinioni dei filosofi. Per cui il maggior pro-fitto che ne traevo, vedendo parecchie cose che pur ap-parendoci molto stravaganti e ridicole vengono tuttaviacomunemente accolte e approvate da altri grandi popoli,era quello di non credere con troppa sicurezza a tutto ciòdi cui mi avevano convinto solo con l'esempio e conl'uso; così mi liberai a poco a poco di molti errori chepossono oscurare il nostro lume naturale, e rendercimeno capaci di intendere ragione. Ma dopo che ebbicosì impiegato qualche anno nello studio del libro delmondo e nello sforzo di raccogliere varie esperienze,decisi un giorno di studiare anche in me stesso, e di ap-plicare tutte le forze dell'ingegno a scegliere le stradeche avrei dovuto seguire. E questo mi riuscì molto me-glio, mi pare, che se non mi fossi mai allontanato né dalmio paese né dai miei libri.

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Parte seconda: Le principali regole del meto-do

Mi trovavo allora in Germania, richiamatovi dalle guer-re ancora in corso; e tornando verso l'esercito dopol'incoronazione dell'imperatore, l'inizio dell'inverno micolse in una località dove, non trovando compagnia chemi distraesse, e non avendo d'altra parte, per mia fortu-na, preoccupazioni o passioni che mi turbassero, restavotutto il giorno solo, chiuso in una stanza accanto allastufa, e qui avevo tutto l'agio di occuparmi dei miei pen-sieri. Tra questi uno dei primi fu che mi trovai a consi-derare come spesso nelle opere fatte di molti pezzi e dadiversi artefici non ci sia quanta perfezione ce n'è inquelle a cui ha lavorato uno soltanto. Infatti gli edificiiniziati e terminati da un solo architetto sono di solitopiù belli e meglio costrutti di quelli che architetti diversihanno cercato di adattare, servendosi di vecchi muri co-struiti per altri scopi. Gli antichi abitati, ad esempio, cheda semplici villaggi sono divenuti, col passare del tem-po, grandi città, sono di solito così mal proporzionati aconfronto degli spazi regolari disegnati in un piano daun ingegnere libero di eseguire la propria fantasia, che,sebbene accada spesso di trovare in qualcuno dei loroedifici, preso a sé, altrettanta o più arte di quanta ce nesia in quegli altri, pure, osservando come sono disposti,qui uno grande là uno piccolo, e come rendono tortuosee irregolari le strade, si direbbe che così li abbia distri-

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Parte seconda: Le principali regole del meto-do

Mi trovavo allora in Germania, richiamatovi dalle guer-re ancora in corso; e tornando verso l'esercito dopol'incoronazione dell'imperatore, l'inizio dell'inverno micolse in una località dove, non trovando compagnia chemi distraesse, e non avendo d'altra parte, per mia fortu-na, preoccupazioni o passioni che mi turbassero, restavotutto il giorno solo, chiuso in una stanza accanto allastufa, e qui avevo tutto l'agio di occuparmi dei miei pen-sieri. Tra questi uno dei primi fu che mi trovai a consi-derare come spesso nelle opere fatte di molti pezzi e dadiversi artefici non ci sia quanta perfezione ce n'è inquelle a cui ha lavorato uno soltanto. Infatti gli edificiiniziati e terminati da un solo architetto sono di solitopiù belli e meglio costrutti di quelli che architetti diversihanno cercato di adattare, servendosi di vecchi muri co-struiti per altri scopi. Gli antichi abitati, ad esempio, cheda semplici villaggi sono divenuti, col passare del tem-po, grandi città, sono di solito così mal proporzionati aconfronto degli spazi regolari disegnati in un piano daun ingegnere libero di eseguire la propria fantasia, che,sebbene accada spesso di trovare in qualcuno dei loroedifici, preso a sé, altrettanta o più arte di quanta ce nesia in quegli altri, pure, osservando come sono disposti,qui uno grande là uno piccolo, e come rendono tortuosee irregolari le strade, si direbbe che così li abbia distri-

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buiti il caso e non la volontà di uomini che adoperano laragione. E se si considera che ci sono stati sempre deimagistrati incaricati di badare a che le costruzioni priva-te rispondessero al decoro pubblico, ci si accorgerà cheè assai difficile fare qualcosa di perfetto quando non silavora se non su opere altrui. E così immaginai che po-poli un tempo quasi selvaggi, e diventati civili a poco apoco, dandosi leggi man mano che lo richiedevano gliinconvenienti dei delitti e delle contese, non potrebberomai essere tanto bene amministrati quanto quelli che findall'inizio hanno osservato le costituzioni di un prudentelegislatore. Come è ben certo che l'ordinamento dellavera religione, le cui leggi sono dovute a Dio soltanto,deve essere incomparabilmente migliore di ogni altro. Eper parlare di cose umane, credo che Sparta sia stata alungo così fiorente non per la bontà di ciascuna dellesue leggi in particolare, giacché molte erano assai stra-ne, e persino contrarie ai buoni costumi; ma perché,uscite dalla mente di uno solo, tendevano tutte allo stes-so fine. Pensai inoltre che le scienze racchiuse nei libri,almeno quelle fondate non su dimostrazioni ma su argo-menti solo probabili, nate e accresciute a poco a pocodalle opinioni di molte persone diverse, non possono,proprio per ciò, avvicinarsi alla verità quanto i sempliciragionamenti di un uomo che, intorno alle cose che glisi presentano, fa uso del suo naturale buon senso. E pen-sai ancora che, dal momento che siamo stati tutti bambi-ni prima di essere uomini, e costretti a lungo sotto il go-verno degli appetiti e dei precettori, ch'erano spesso

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buiti il caso e non la volontà di uomini che adoperano laragione. E se si considera che ci sono stati sempre deimagistrati incaricati di badare a che le costruzioni priva-te rispondessero al decoro pubblico, ci si accorgerà cheè assai difficile fare qualcosa di perfetto quando non silavora se non su opere altrui. E così immaginai che po-poli un tempo quasi selvaggi, e diventati civili a poco apoco, dandosi leggi man mano che lo richiedevano gliinconvenienti dei delitti e delle contese, non potrebberomai essere tanto bene amministrati quanto quelli che findall'inizio hanno osservato le costituzioni di un prudentelegislatore. Come è ben certo che l'ordinamento dellavera religione, le cui leggi sono dovute a Dio soltanto,deve essere incomparabilmente migliore di ogni altro. Eper parlare di cose umane, credo che Sparta sia stata alungo così fiorente non per la bontà di ciascuna dellesue leggi in particolare, giacché molte erano assai stra-ne, e persino contrarie ai buoni costumi; ma perché,uscite dalla mente di uno solo, tendevano tutte allo stes-so fine. Pensai inoltre che le scienze racchiuse nei libri,almeno quelle fondate non su dimostrazioni ma su argo-menti solo probabili, nate e accresciute a poco a pocodalle opinioni di molte persone diverse, non possono,proprio per ciò, avvicinarsi alla verità quanto i sempliciragionamenti di un uomo che, intorno alle cose che glisi presentano, fa uso del suo naturale buon senso. E pen-sai ancora che, dal momento che siamo stati tutti bambi-ni prima di essere uomini, e costretti a lungo sotto il go-verno degli appetiti e dei precettori, ch'erano spesso

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contrari gli uni agli altri, e né gli uni né gli altri capaciforse di consigliarci sempre per il meglio, è pressochéimpossibile che i nostri giudizi siano così puri e così sal-di come sarebbe accaduto se fin dalla nascita avessimoavuto l'intero uso della ragione e fossimo stati guidatisempre e soltanto da essa.È vero che non ci accade di veder abbattere tutte le casedi una città, al solo scopo di rifarle in un'altra maniera, edi renderne le strade più belle; ma vediamo che moltifanno demolire le loro per ricostruirle, e che a volte anzivi sono costretti, quando minacciano di cadere da sole ele fondamenta non sono ben salde. Con questo esempiomi persuasi che non sarebbe davvero ragionevole che unprivato si proponesse di riformare uno Stato cambiando-vi tutto dalle fondamenta, e rovesciandolo per rimetterloin piedi; e neanche di riformare il corpo delle scienze, ol'ordine stabilito nelle scuole per insegnarle. Mi convinsiperò che per le opinioni che avevo fino allora accettatenon potevo fare di meglio che accettare una buona voltaa eliminarle tutte, per metterne poi al loro posto altremigliori, o anche le stesse, una volta che le avessi reseconformi a ragione. E credetti fermamente che in questomodo sarei riuscito a condurre la mia vita molto meglioche se avessi costruito solo sulle antiche fondamenta, omi fossi soltanto affidato ai princìpi dei quali mi ero la-sciato convincere da giovane, senza averne mai accerta-ta la verità. E sebbene notassi in questo diverse difficol-tà, non erano tuttavia senza rimedio, né paragonabili aquelle in cui ci si imbatte quando si vuol riformare an-

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contrari gli uni agli altri, e né gli uni né gli altri capaciforse di consigliarci sempre per il meglio, è pressochéimpossibile che i nostri giudizi siano così puri e così sal-di come sarebbe accaduto se fin dalla nascita avessimoavuto l'intero uso della ragione e fossimo stati guidatisempre e soltanto da essa.È vero che non ci accade di veder abbattere tutte le casedi una città, al solo scopo di rifarle in un'altra maniera, edi renderne le strade più belle; ma vediamo che moltifanno demolire le loro per ricostruirle, e che a volte anzivi sono costretti, quando minacciano di cadere da sole ele fondamenta non sono ben salde. Con questo esempiomi persuasi che non sarebbe davvero ragionevole che unprivato si proponesse di riformare uno Stato cambiando-vi tutto dalle fondamenta, e rovesciandolo per rimetterloin piedi; e neanche di riformare il corpo delle scienze, ol'ordine stabilito nelle scuole per insegnarle. Mi convinsiperò che per le opinioni che avevo fino allora accettatenon potevo fare di meglio che accettare una buona voltaa eliminarle tutte, per metterne poi al loro posto altremigliori, o anche le stesse, una volta che le avessi reseconformi a ragione. E credetti fermamente che in questomodo sarei riuscito a condurre la mia vita molto meglioche se avessi costruito solo sulle antiche fondamenta, omi fossi soltanto affidato ai princìpi dei quali mi ero la-sciato convincere da giovane, senza averne mai accerta-ta la verità. E sebbene notassi in questo diverse difficol-tà, non erano tuttavia senza rimedio, né paragonabili aquelle in cui ci si imbatte quando si vuol riformare an-

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che la più piccola cosa che riguarda la vita pubblica. Ètroppo difficile rialzare questi grandi corpi, quando sonoabbattuti, o anche puntellarli, quando vacillano; e la lorocaduta è necessariamente molto violenta. Quanto alleloro imperfezioni poi, se ne hanno (e basta la loro varie-tà a dimostrarlo), l'uso le ha senza dubbio molto attenua-te, e ne ha anzi evitate o corrette insensibilmente tante,come meglio non avrebbe potuto fare la prudenza. Infi-ne quelle imperfezioni sono quasi sempre più sopporta-bili di quanto lo sarebbe un cambiamento; come le gran-di strade che si addentrano tra i monti diventano a pocoa poco, a forza di essere battute, così compatte e como-de, che è molto meglio seguirle, invece di cercare unavia più diritta arrampicandosi sulle rocce o scendendofino al fondo dei precipizi. Per questo non potrei mai approvare gli umori turbolentie inquieti di chi, non essendo chiamato né dalla nascitané dalla fortuna ad amministrare la cosa pubblica, purecontinua sempre a inventare nella sua mente qualchenuova riforma. Se pensassi che c'è la minima cosa, inquesto scritto, per cui potrei essere sospettato di questafollia, mi dovrei dispiacere molto di averne consentito lapubblicazione. Il mio proposito non è mai andato al di làdel tentativo di riformare i miei pensieri e di costruire suun fondo che appartiene solo a me. Che se poi, essendo-mi assai piaciuta l'opera mia, ve ne mostro qui il model-lo, non è che con questo voglia indurre qualcuno a imi-tarlo. Coloro che Dio ha fatto più largamente partecipidei suoi doni avranno forse progetti più alti; ma temo

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che la più piccola cosa che riguarda la vita pubblica. Ètroppo difficile rialzare questi grandi corpi, quando sonoabbattuti, o anche puntellarli, quando vacillano; e la lorocaduta è necessariamente molto violenta. Quanto alleloro imperfezioni poi, se ne hanno (e basta la loro varie-tà a dimostrarlo), l'uso le ha senza dubbio molto attenua-te, e ne ha anzi evitate o corrette insensibilmente tante,come meglio non avrebbe potuto fare la prudenza. Infi-ne quelle imperfezioni sono quasi sempre più sopporta-bili di quanto lo sarebbe un cambiamento; come le gran-di strade che si addentrano tra i monti diventano a pocoa poco, a forza di essere battute, così compatte e como-de, che è molto meglio seguirle, invece di cercare unavia più diritta arrampicandosi sulle rocce o scendendofino al fondo dei precipizi. Per questo non potrei mai approvare gli umori turbolentie inquieti di chi, non essendo chiamato né dalla nascitané dalla fortuna ad amministrare la cosa pubblica, purecontinua sempre a inventare nella sua mente qualchenuova riforma. Se pensassi che c'è la minima cosa, inquesto scritto, per cui potrei essere sospettato di questafollia, mi dovrei dispiacere molto di averne consentito lapubblicazione. Il mio proposito non è mai andato al di làdel tentativo di riformare i miei pensieri e di costruire suun fondo che appartiene solo a me. Che se poi, essendo-mi assai piaciuta l'opera mia, ve ne mostro qui il model-lo, non è che con questo voglia indurre qualcuno a imi-tarlo. Coloro che Dio ha fatto più largamente partecipidei suoi doni avranno forse progetti più alti; ma temo

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fortemente che già questo sia troppo ardito per molti. Lasola decisione di disfarsi di tutte le opinioni accettate inprecedenza non è un esempio che tutti debbono seguire;e si può dire che nel mondo ci sono soltanto due specied'ingegni, a cui ciò non si conviene in nessun modo. Inprimo luogo coloro che, ritenendosi più capaci di quantonon sono, non possono trattenersi dal precipitare il lorogiudizio, né hanno abbastanza pazienza per condurre or-dinatamente tutti i loro pensieri; una volta che si fosseropresa la libertà di dubitare dei princìpi ricevuti e di al-lontanarsi dalla strada comune, questi non potrebberomai tornare sulla via più diritta e vagherebbero per tuttala vita, smarriti. In secondo luogo coloro che, avendoabbastanza giudizio o modestia per stimare di esseremeno capaci di distinguere il vero dal falso che non al-tri, dai quali possono essere istruiti, debbono contentarsidi seguire le opinioni di questi ultimi piuttosto che cer-carsene da sé di migliori.Quanto a me, sarei stato senza dubbio tra i secondi, senon avessi avuto che un solo maestro, e avessi ignoratole differenze che vi sono state da sempre tra le opinionidei più dotti. Ma avevo appreso, fin dal collegio, chenon si può immaginare nulla di così strano e poco credi-bile che non sia stato detto da qualche filosofo; e mi eropoi accorto, viaggiando, che tutti quelli che la pensanoin modo affatto diverso da noi non sono per questo nébarbari né selvaggi, e che molti usano la ragione quantoo più di noi. Avevo anche considerato che lo stesso indi-viduo, con il medesimo ingegno, educato fin dall'infan-

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fortemente che già questo sia troppo ardito per molti. Lasola decisione di disfarsi di tutte le opinioni accettate inprecedenza non è un esempio che tutti debbono seguire;e si può dire che nel mondo ci sono soltanto due specied'ingegni, a cui ciò non si conviene in nessun modo. Inprimo luogo coloro che, ritenendosi più capaci di quantonon sono, non possono trattenersi dal precipitare il lorogiudizio, né hanno abbastanza pazienza per condurre or-dinatamente tutti i loro pensieri; una volta che si fosseropresa la libertà di dubitare dei princìpi ricevuti e di al-lontanarsi dalla strada comune, questi non potrebberomai tornare sulla via più diritta e vagherebbero per tuttala vita, smarriti. In secondo luogo coloro che, avendoabbastanza giudizio o modestia per stimare di esseremeno capaci di distinguere il vero dal falso che non al-tri, dai quali possono essere istruiti, debbono contentarsidi seguire le opinioni di questi ultimi piuttosto che cer-carsene da sé di migliori.Quanto a me, sarei stato senza dubbio tra i secondi, senon avessi avuto che un solo maestro, e avessi ignoratole differenze che vi sono state da sempre tra le opinionidei più dotti. Ma avevo appreso, fin dal collegio, chenon si può immaginare nulla di così strano e poco credi-bile che non sia stato detto da qualche filosofo; e mi eropoi accorto, viaggiando, che tutti quelli che la pensanoin modo affatto diverso da noi non sono per questo nébarbari né selvaggi, e che molti usano la ragione quantoo più di noi. Avevo anche considerato che lo stesso indi-viduo, con il medesimo ingegno, educato fin dall'infan-

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zia tra francesi o tedeschi diventa diverso da come sa-rebbe se fosse vissuto sempre tra cinesi o cannibali; eche perfino nella foggia dei nostri abiti la stessa cosache ci è piaciuta dieci anni fa, e che forse ci piacerà dinuovo prima che ne passino altri dieci, ci sembra oggistravagante e ridicola; e ritenevo pertanto che l'uso el'esempio ci persuadono di più di ogni conoscenza certa,e che tuttavia il maggior numero degli assensi non è unaprova che valga nel caso di verità difficili a scoprirsi,giacché è più probabile che ci sia riuscito uno solo piut-tosto che un popolo intero. Non potendo dunque sce-gliere nessuno, le cui opinioni mi sembrassero preferibi-li a quelle di altri, mi trovai quasi costretto a cominciarea guidarmi da me.Ma come fa un uomo che cammina da solo nelle tene-bre, decisi di procedere così lentamente e di adoperarein ogni cosa tanta prudenza da evitare almeno di cadere,pur avanzando assai poco. Non volli neppure comincia-re a respingere del tutto nessuna delle opinioni che pote-vano essersi già introdotte fra le mie convinzioni senzapassare attraverso la ragione, se non avessi prima impie-gato il tempo necessario a disegnare il piano dell'opera acui mi accingevo, e a cercare il vero metodo per arrivarea conoscere tutte le cose di cui la mia intelligenza fossecapace.Quando ero più giovane avevo studiato un poco, tra leparti della filosofia, la logica, e, delle matematiche,l'analisi geometrica e l'algebra, tre arti o scienze chesembrava dovessero contribuire in qualche modo al mio

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zia tra francesi o tedeschi diventa diverso da come sa-rebbe se fosse vissuto sempre tra cinesi o cannibali; eche perfino nella foggia dei nostri abiti la stessa cosache ci è piaciuta dieci anni fa, e che forse ci piacerà dinuovo prima che ne passino altri dieci, ci sembra oggistravagante e ridicola; e ritenevo pertanto che l'uso el'esempio ci persuadono di più di ogni conoscenza certa,e che tuttavia il maggior numero degli assensi non è unaprova che valga nel caso di verità difficili a scoprirsi,giacché è più probabile che ci sia riuscito uno solo piut-tosto che un popolo intero. Non potendo dunque sce-gliere nessuno, le cui opinioni mi sembrassero preferibi-li a quelle di altri, mi trovai quasi costretto a cominciarea guidarmi da me.Ma come fa un uomo che cammina da solo nelle tene-bre, decisi di procedere così lentamente e di adoperarein ogni cosa tanta prudenza da evitare almeno di cadere,pur avanzando assai poco. Non volli neppure comincia-re a respingere del tutto nessuna delle opinioni che pote-vano essersi già introdotte fra le mie convinzioni senzapassare attraverso la ragione, se non avessi prima impie-gato il tempo necessario a disegnare il piano dell'opera acui mi accingevo, e a cercare il vero metodo per arrivarea conoscere tutte le cose di cui la mia intelligenza fossecapace.Quando ero più giovane avevo studiato un poco, tra leparti della filosofia, la logica, e, delle matematiche,l'analisi geometrica e l'algebra, tre arti o scienze chesembrava dovessero contribuire in qualche modo al mio

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disegno. Ma esaminandole, mi accorsi che, per quantoriguarda la logica, i suoi sillogismi e la maggior partedei suoi precetti servono, piuttosto che ad apprendere, aspiegare ad altri le cose che si sanno, o anche, comel'arte di Lullo, a parlare senza giudizio di quelle che siignorano. E benché contenga di fatto numerosi precettimolto veri e molto buoni, a questi se ne mescolano al-trettanti che sono nocivi o superflui, sicché è quasi al-trettanto difficile districarne i primi quanto tirarne fuoriuna Diana o una Minerva da un blocco di marmo nonancora sbozzato. Per quanto mi riguarda poi l'analisi de-gli antichi e l'algebra dei moderni, oltre al fatto che si ri-feriscono solo a oggetti molto astratti e che non sembra-no avere nessuna utilità, la prima è sempre così stretta-mente unita alla considerazione delle figure, che nonpuò esercitare l'intelletto senza una gran fatica perl'immaginazione; e nell'altra ci si è resi schiavi di certeregole e formule tanto da farla diventare un arte confusae oscura che impaccia l'ingegno invece che una scienzache l'accresce. Perciò pensai che fosse necessario cerca-re un altro metodo che, raccogliendo i pregi di questetre, fosse immune dai loro difetti. E come un gran nu-mero di leggi riesce spesso a procurare scuse ai vizi,tanto che uno stato è molto meglio ordinato quando,avendone assai poche, vi sono rigorosamente osservate;così, in luogo del gran numero di regole di cui si com-pone la logica, ritenni che mi sarebbero bastate le quat-tro seguenti, purché prendessi la ferma e costante deci-sione di non mancare neppure una volta di osservarle.

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disegno. Ma esaminandole, mi accorsi che, per quantoriguarda la logica, i suoi sillogismi e la maggior partedei suoi precetti servono, piuttosto che ad apprendere, aspiegare ad altri le cose che si sanno, o anche, comel'arte di Lullo, a parlare senza giudizio di quelle che siignorano. E benché contenga di fatto numerosi precettimolto veri e molto buoni, a questi se ne mescolano al-trettanti che sono nocivi o superflui, sicché è quasi al-trettanto difficile districarne i primi quanto tirarne fuoriuna Diana o una Minerva da un blocco di marmo nonancora sbozzato. Per quanto mi riguarda poi l'analisi de-gli antichi e l'algebra dei moderni, oltre al fatto che si ri-feriscono solo a oggetti molto astratti e che non sembra-no avere nessuna utilità, la prima è sempre così stretta-mente unita alla considerazione delle figure, che nonpuò esercitare l'intelletto senza una gran fatica perl'immaginazione; e nell'altra ci si è resi schiavi di certeregole e formule tanto da farla diventare un arte confusae oscura che impaccia l'ingegno invece che una scienzache l'accresce. Perciò pensai che fosse necessario cerca-re un altro metodo che, raccogliendo i pregi di questetre, fosse immune dai loro difetti. E come un gran nu-mero di leggi riesce spesso a procurare scuse ai vizi,tanto che uno stato è molto meglio ordinato quando,avendone assai poche, vi sono rigorosamente osservate;così, in luogo del gran numero di regole di cui si com-pone la logica, ritenni che mi sarebbero bastate le quat-tro seguenti, purché prendessi la ferma e costante deci-sione di non mancare neppure una volta di osservarle.

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La prima regola era di non accettare mai nulla per vero,senza conoscerlo evidentemente come tale: cioè di evi-tare scrupolosamente la precipitazione e la prevenzione;e di non comprendere nei miei giudizi niente più diquanto si fosse presentato alla mia ragione tanto chiara-mente e distintamente da non lasciarmi nessuna occasio-ne di dubitarne.La seconda, di dividere ogni problema preso in esame intante parti quanto fosse possibile e richiesto per risolver-lo più agevolmente.La terza, di condurre ordinatamente i miei pensieri co-minciando dalle cose più semplici e più facili a cono-scersi, per salire a poco a poco, come per gradi, sino allaconoscenza delle più complesse; supponendo altresì unordine tra quelle che non si precedono naturalmente l'unl'altra.E l'ultima, di fare in tutti i casi enumerazioni tanto per-fette e rassegne tanto complete, da essere sicuro di nonomettere nulla.Quelle lunghe catene di ragionamenti, tutti semplici efacili, di cui sogliono servirsi i geometri per arrivare allepiù difficili dimostrazioni, mi avevano indotto a imma-ginare che tutte le cose che possono rientrare nella co-noscenza umana si seguono l'un l'altra allo stesso modo,e che non ce ne possono essere di così remote a cui allafine non si arrivi, né di così nascoste da non poter esserescoperte; a patto semplicemente di astenersi dall'accet-tarne per vera qualcuna che non lo sia, e di manteneresempre l'ordine richiesto per dedurre le une dalle altre.

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La prima regola era di non accettare mai nulla per vero,senza conoscerlo evidentemente come tale: cioè di evi-tare scrupolosamente la precipitazione e la prevenzione;e di non comprendere nei miei giudizi niente più diquanto si fosse presentato alla mia ragione tanto chiara-mente e distintamente da non lasciarmi nessuna occasio-ne di dubitarne.La seconda, di dividere ogni problema preso in esame intante parti quanto fosse possibile e richiesto per risolver-lo più agevolmente.La terza, di condurre ordinatamente i miei pensieri co-minciando dalle cose più semplici e più facili a cono-scersi, per salire a poco a poco, come per gradi, sino allaconoscenza delle più complesse; supponendo altresì unordine tra quelle che non si precedono naturalmente l'unl'altra.E l'ultima, di fare in tutti i casi enumerazioni tanto per-fette e rassegne tanto complete, da essere sicuro di nonomettere nulla.Quelle lunghe catene di ragionamenti, tutti semplici efacili, di cui sogliono servirsi i geometri per arrivare allepiù difficili dimostrazioni, mi avevano indotto a imma-ginare che tutte le cose che possono rientrare nella co-noscenza umana si seguono l'un l'altra allo stesso modo,e che non ce ne possono essere di così remote a cui allafine non si arrivi, né di così nascoste da non poter esserescoperte; a patto semplicemente di astenersi dall'accet-tarne per vera qualcuna che non lo sia, e di manteneresempre l'ordine richiesto per dedurre le une dalle altre.

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Né mi fu molto difficile la ricerca di quelle da cui biso-gnava cominciare: sapevo già infatti che dovevano esse-re le più semplici e facili a conoscersi; e considerandoche di tutti coloro che hanno finora cercato le verità nel-le scienze solo i matematici han potuto trovare qualchedimostrazione, e cioè delle ragioni certe ed evidenti, nondubitavo che avrei dovuto incominciare dalle stessecose prese in esame da loro; anche se non speravo di ri-cavarne nessun'altra utilità se non quella di abituare lamia mente a nutrirsi di verità e a non contentarsi di falseragioni.Ma non volevo, con questo, mettermi a imparare tuttequelle scienze particolari che son dette comunementematematiche; e vedendo che, sebbene i loro oggetti sia-no diversi, pure concordano tutte tra loro nel considera-re soltanto le varie proporzioni o rapporti in essi rac-chiusi, pensai che fosse meglio esaminare soltanto que-ste proporzioni in generale, supponendole solo in ogget-ti che potessero rendermene la conoscenza più agevole,ma non limitandole in nessun modo a questi ultimi, equesto per riuscire in seguito ad applicarle altrettantobene a tutti gli altri cui potessero convenire. Poi, essen-domi accorto che per conoscerle avrei avuto bisogno avolte di considerarle ognuna in particolare, a volte di ri-cordarle soltanto o di comprenderne molte insieme, pen-sai che, per meglio studiarle in particolare, dovevo raffi-gurarle in forma di linee, giacché non trovai niente dipiù semplice o che potessi più distintamente rappresen-tare alla mia immaginazione e ai miei sensi; e per ricor-

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Né mi fu molto difficile la ricerca di quelle da cui biso-gnava cominciare: sapevo già infatti che dovevano esse-re le più semplici e facili a conoscersi; e considerandoche di tutti coloro che hanno finora cercato le verità nel-le scienze solo i matematici han potuto trovare qualchedimostrazione, e cioè delle ragioni certe ed evidenti, nondubitavo che avrei dovuto incominciare dalle stessecose prese in esame da loro; anche se non speravo di ri-cavarne nessun'altra utilità se non quella di abituare lamia mente a nutrirsi di verità e a non contentarsi di falseragioni.Ma non volevo, con questo, mettermi a imparare tuttequelle scienze particolari che son dette comunementematematiche; e vedendo che, sebbene i loro oggetti sia-no diversi, pure concordano tutte tra loro nel considera-re soltanto le varie proporzioni o rapporti in essi rac-chiusi, pensai che fosse meglio esaminare soltanto que-ste proporzioni in generale, supponendole solo in ogget-ti che potessero rendermene la conoscenza più agevole,ma non limitandole in nessun modo a questi ultimi, equesto per riuscire in seguito ad applicarle altrettantobene a tutti gli altri cui potessero convenire. Poi, essen-domi accorto che per conoscerle avrei avuto bisogno avolte di considerarle ognuna in particolare, a volte di ri-cordarle soltanto o di comprenderne molte insieme, pen-sai che, per meglio studiarle in particolare, dovevo raffi-gurarle in forma di linee, giacché non trovai niente dipiù semplice o che potessi più distintamente rappresen-tare alla mia immaginazione e ai miei sensi; e per ricor-

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darle e per comprenderne molte insieme, dovevo inveceesprimerle con qualche cifra tra le più brevi possibili. Inquesto modo avrei colto tutto il meglio dell'analisi geo-metrica e dell'algebra e corretto i difetti dell'una conl'altra.Oso dire che la scrupolosa osservanza dei pochi precettiche avevo scelto mi rese così facile la soluzione di tutti iproblemi di quelle due scienze, che nei due o tre mesidedicati a studiarli, avendo iniziato dai più semplici egenerali, e diventando ogni verità che acquistavo una re-gola che mi consentiva di trovarne in seguito altre, nonsoltanto venni a capo di molte questioni che un tempoavevo giudicato assai difficili, ma mi sembrò anche,verso la fine, che avrei potuto stabilire, anche per quelleche ignoravo, con quali mezzi e fino a che punto fossepossibile risolverle. E in questo non vi sembrerò forsetroppo vanitoso, se considererete che, essendoci di ognicosa una sola verità, chiunque la trovi ne sa tanto quantose ne può sapere; come, per esempio, un ragazzo che haimparato l'aritmetica, fatta una addizione seguendo lesue regole, può essere certo di aver trovato, a propositodella somma cercata, tutto quel che l'intelligenza umanapuò trovarne. Perché insomma il metodo che ci insegnaa seguire il vero ordine e a enumerare esattamente tutti idati di quel che si cerca, contiene tutto ciò che dà certez-za alle regole dell'aritmetica.Ma quel che mi soddisfaceva di più in questo metodoera il fatto che, grazie ad esso, ero certo di usare semprela mia ragione, se non perfettamente, almeno nel miglior

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darle e per comprenderne molte insieme, dovevo inveceesprimerle con qualche cifra tra le più brevi possibili. Inquesto modo avrei colto tutto il meglio dell'analisi geo-metrica e dell'algebra e corretto i difetti dell'una conl'altra.Oso dire che la scrupolosa osservanza dei pochi precettiche avevo scelto mi rese così facile la soluzione di tutti iproblemi di quelle due scienze, che nei due o tre mesidedicati a studiarli, avendo iniziato dai più semplici egenerali, e diventando ogni verità che acquistavo una re-gola che mi consentiva di trovarne in seguito altre, nonsoltanto venni a capo di molte questioni che un tempoavevo giudicato assai difficili, ma mi sembrò anche,verso la fine, che avrei potuto stabilire, anche per quelleche ignoravo, con quali mezzi e fino a che punto fossepossibile risolverle. E in questo non vi sembrerò forsetroppo vanitoso, se considererete che, essendoci di ognicosa una sola verità, chiunque la trovi ne sa tanto quantose ne può sapere; come, per esempio, un ragazzo che haimparato l'aritmetica, fatta una addizione seguendo lesue regole, può essere certo di aver trovato, a propositodella somma cercata, tutto quel che l'intelligenza umanapuò trovarne. Perché insomma il metodo che ci insegnaa seguire il vero ordine e a enumerare esattamente tutti idati di quel che si cerca, contiene tutto ciò che dà certez-za alle regole dell'aritmetica.Ma quel che mi soddisfaceva di più in questo metodoera il fatto che, grazie ad esso, ero certo di usare semprela mia ragione, se non perfettamente, almeno nel miglior

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modo possibile per me; e adoperandolo sentivo ancheche il mio intelletto si abituava a poco a poco a concepi-re più nettamente e distintamente i suoi oggetti, e che,non avendolo limitato a nessun oggetto in particolare,potevo sperare di applicarlo alle difficoltà delle altrescienze con altrettanto successo, come mi era accadutocon quelle dell'algebra. Non che per questo osassi af-frontare subito l'esame di tutti i problemi che si potesse-ro presentare: sarebbe stato contrario proprio all'ordineprescritto dal metodo. Ma avendo considerato che i loroprincìpi dovevano derivare tutti dalla filosofia, nellaquale non ne trovavo ancora di certi, pensai che fossenecessario per me prima di tutto cercare di stabilirnequalcuno; e che essendo questa la cosa al mondo più im-portante in cui l'anticipazione e la precipitazione sonopiù da temere, non dovevo tentare di venirne a capo pri-ma di aver raggiunto una età ben più matura dei ventitréanni che avevo allora. Avrei prima impiegato moltotempo a prepararmi a questo compito, sia sradicandodalla mia mente tutte le false opinioni che avevo già ri-cevuto, sia accumulando molte esperienze, destinate adiventare in seguito materia dei miei ragionamenti; equesto, continuando a esercitarmi nel metodo che mi eroprescritto, per acquistare in esso una sempre maggioresicurezza.

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modo possibile per me; e adoperandolo sentivo ancheche il mio intelletto si abituava a poco a poco a concepi-re più nettamente e distintamente i suoi oggetti, e che,non avendolo limitato a nessun oggetto in particolare,potevo sperare di applicarlo alle difficoltà delle altrescienze con altrettanto successo, come mi era accadutocon quelle dell'algebra. Non che per questo osassi af-frontare subito l'esame di tutti i problemi che si potesse-ro presentare: sarebbe stato contrario proprio all'ordineprescritto dal metodo. Ma avendo considerato che i loroprincìpi dovevano derivare tutti dalla filosofia, nellaquale non ne trovavo ancora di certi, pensai che fossenecessario per me prima di tutto cercare di stabilirnequalcuno; e che essendo questa la cosa al mondo più im-portante in cui l'anticipazione e la precipitazione sonopiù da temere, non dovevo tentare di venirne a capo pri-ma di aver raggiunto una età ben più matura dei ventitréanni che avevo allora. Avrei prima impiegato moltotempo a prepararmi a questo compito, sia sradicandodalla mia mente tutte le false opinioni che avevo già ri-cevuto, sia accumulando molte esperienze, destinate adiventare in seguito materia dei miei ragionamenti; equesto, continuando a esercitarmi nel metodo che mi eroprescritto, per acquistare in esso una sempre maggioresicurezza.

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Parte terza: Qualche regola della moraletratta dal metodo

E infine, come non basta, prima di cominciare a rico-struire la casa che si abita, demolirla e provvedersi dimateriali e di architetti, o esercitare se stessi nell'archi-tettura, e averne inoltre tracciato accuratamente il dise-gno; ma è necessario altresì aver trovato un'altra casa,che si possa abitare comodamente durante i lavori; così,per non restare del tutto irresoluto nelle mie azioni men-tre la ragione mi avrebbe obbligato a esserlo nei mieigiudizi, e per non impedirmi di vivere da quel momentoil più felicemente possibile, mi formai una morale prov-visoria, fatta di tre o quattro massime soltanto, che desi-dero qui enunciare.La prima era di obbedire alle leggi e ai costumi del miopaese, mantenendomi fermamente nella religione in cuiDio mi aveva fatto la grazia di essere istruito findall'infanzia, e regolandomi per il resto secondo le opi-nioni più moderate e lontane dagli eccessi messe ordina-riamente in pratica dai più prudenti fra quelli con cuiavrei dovuto vivere. Cominciando infatti da allora a nontenere in nessun conto le mie proprie opinioni, perchévolevo sottoporle tutte a esame, ero sicuro di non poterfar meglio che seguire quelle dei più prudenti. E sebbe-ne di persone sensate ce ne siano forse tra i persiani o icinesi quante tra noi, mi sembrava più utile regolarmi suquelle con le quali avrei dovuto vivere; e mi sembrava

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Parte terza: Qualche regola della moraletratta dal metodo

E infine, come non basta, prima di cominciare a rico-struire la casa che si abita, demolirla e provvedersi dimateriali e di architetti, o esercitare se stessi nell'archi-tettura, e averne inoltre tracciato accuratamente il dise-gno; ma è necessario altresì aver trovato un'altra casa,che si possa abitare comodamente durante i lavori; così,per non restare del tutto irresoluto nelle mie azioni men-tre la ragione mi avrebbe obbligato a esserlo nei mieigiudizi, e per non impedirmi di vivere da quel momentoil più felicemente possibile, mi formai una morale prov-visoria, fatta di tre o quattro massime soltanto, che desi-dero qui enunciare.La prima era di obbedire alle leggi e ai costumi del miopaese, mantenendomi fermamente nella religione in cuiDio mi aveva fatto la grazia di essere istruito findall'infanzia, e regolandomi per il resto secondo le opi-nioni più moderate e lontane dagli eccessi messe ordina-riamente in pratica dai più prudenti fra quelli con cuiavrei dovuto vivere. Cominciando infatti da allora a nontenere in nessun conto le mie proprie opinioni, perchévolevo sottoporle tutte a esame, ero sicuro di non poterfar meglio che seguire quelle dei più prudenti. E sebbe-ne di persone sensate ce ne siano forse tra i persiani o icinesi quante tra noi, mi sembrava più utile regolarmi suquelle con le quali avrei dovuto vivere; e mi sembrava

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inoltre che per conoscere le loro vere opinioni dovessibadare a quel che facevano, piuttosto che a quel che di-cevano; non solo perché, nella corruzione dei nostri co-stumi, pochi son disposti a dire tutto quel che credono,ma anche perché molti l'ignorano essi stessi; essendo in-fatti l'atto del pensiero con il quale si crede una cosa di-verso da quello per cui conosciamo di crederla, accadespesso che l'uno si dia senza l'altro. E fra le molte opi-nioni egualmente accolte nell'uso, non sceglievo se nonle più moderate: sia perché sono sempre le più facili amettersi in pratica, e probabilmente le migliori, giacchéogni eccesso suol essere cattivo; sia per allontanarmidalla retta via, se avessi sbagliato, meno di quanto misarebbe accaduto se, avendo scelto uno degli estremi,fosse stato l'altro che bisognava seguire. E in particolarecollocavo tra gli eccessi tutte le promesse con le quali sirestringe in parte la propria libertà. Non che disappro-vassi le leggi che consentono di prendere impegni o farecontratti che obbligano a non cambiare idea, rimediandocosì all'incostanza degli spiriti deboli, quando voglionoqualcosa di buono, o garantendo la sicurezza dei com-merci, anche nel caso di progetti semplicemente indiffe-renti; ma vedendo che nessuna cosa al mondo permanenello stesso stato, e, quanto a me, essendomi ripromessodi perfezionare sempre più i miei giudizi e non di ren-derli peggiori, avrei pensato di peccare gravemente con-tro il buon senso se, per il solo fatto di approvare alloraqualcosa, mi fossi obbligato a considerarla buona anchein seguito quando avrebbe forse cessato di esserlo o

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inoltre che per conoscere le loro vere opinioni dovessibadare a quel che facevano, piuttosto che a quel che di-cevano; non solo perché, nella corruzione dei nostri co-stumi, pochi son disposti a dire tutto quel che credono,ma anche perché molti l'ignorano essi stessi; essendo in-fatti l'atto del pensiero con il quale si crede una cosa di-verso da quello per cui conosciamo di crederla, accadespesso che l'uno si dia senza l'altro. E fra le molte opi-nioni egualmente accolte nell'uso, non sceglievo se nonle più moderate: sia perché sono sempre le più facili amettersi in pratica, e probabilmente le migliori, giacchéogni eccesso suol essere cattivo; sia per allontanarmidalla retta via, se avessi sbagliato, meno di quanto misarebbe accaduto se, avendo scelto uno degli estremi,fosse stato l'altro che bisognava seguire. E in particolarecollocavo tra gli eccessi tutte le promesse con le quali sirestringe in parte la propria libertà. Non che disappro-vassi le leggi che consentono di prendere impegni o farecontratti che obbligano a non cambiare idea, rimediandocosì all'incostanza degli spiriti deboli, quando voglionoqualcosa di buono, o garantendo la sicurezza dei com-merci, anche nel caso di progetti semplicemente indiffe-renti; ma vedendo che nessuna cosa al mondo permanenello stesso stato, e, quanto a me, essendomi ripromessodi perfezionare sempre più i miei giudizi e non di ren-derli peggiori, avrei pensato di peccare gravemente con-tro il buon senso se, per il solo fatto di approvare alloraqualcosa, mi fossi obbligato a considerarla buona anchein seguito quando avrebbe forse cessato di esserlo o

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avessi smesso di ritenerla tale.La mia seconda massima era di mantenermi nelle mieazioni più fermo e più risoluto che potessi, e di seguirele opinioni più dubbie, una volta che a queste mi fossideterminato, non meno costantemente di quelle del tuttosicure. Intendevo imitare in questo i viaggiatori che, tro-vandosi smarriti in una foresta, non devono vagare, ag-girandosi ora da una parte ora dall'altra, né tanto menofermarsi in un posto, ma camminare sempre diritto, perquanto è possibile in una direzione, e non cambiarlasenza un buon motivo, neanche se l'avessero scelta,all'inizio, solo per caso: in questo modo, infatti, se nonvanno proprio dove desiderano, arriveranno alla fine al-meno in qualche luogo dove è probabile che si trovinomeglio che nel bel mezzo di una foresta. Così, dal mo-mento che spesso le azioni, nella vita, non consentononessun indugio, è una verità assai certa che, quando nonè in nostro potere discernere le opinioni più vere, dob-biamo seguire le più probabili; e inoltre, che se le unenon ci paiono più probabili delle altre, pure dobbiamosceglierne una, e considerarla in seguito non più comedubbia, in riferimento alla pratica, ma come verissima ecertissima, perché è tale la ragione della nostra scelta. Equesto bastò da allora a liberarmi da tutti i pentimenti erimorsi che sogliono agitare le coscienze deboli e irreso-lute, le quali, prive di costanza, si abbandonano a fare,ritenendole buone, cose che in seguito giudicano cattive.La mia terza massima era di cercare di vincere me stes-so piuttosto che la fortuna, e di cambiare i miei desideri

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avessi smesso di ritenerla tale.La mia seconda massima era di mantenermi nelle mieazioni più fermo e più risoluto che potessi, e di seguirele opinioni più dubbie, una volta che a queste mi fossideterminato, non meno costantemente di quelle del tuttosicure. Intendevo imitare in questo i viaggiatori che, tro-vandosi smarriti in una foresta, non devono vagare, ag-girandosi ora da una parte ora dall'altra, né tanto menofermarsi in un posto, ma camminare sempre diritto, perquanto è possibile in una direzione, e non cambiarlasenza un buon motivo, neanche se l'avessero scelta,all'inizio, solo per caso: in questo modo, infatti, se nonvanno proprio dove desiderano, arriveranno alla fine al-meno in qualche luogo dove è probabile che si trovinomeglio che nel bel mezzo di una foresta. Così, dal mo-mento che spesso le azioni, nella vita, non consentononessun indugio, è una verità assai certa che, quando nonè in nostro potere discernere le opinioni più vere, dob-biamo seguire le più probabili; e inoltre, che se le unenon ci paiono più probabili delle altre, pure dobbiamosceglierne una, e considerarla in seguito non più comedubbia, in riferimento alla pratica, ma come verissima ecertissima, perché è tale la ragione della nostra scelta. Equesto bastò da allora a liberarmi da tutti i pentimenti erimorsi che sogliono agitare le coscienze deboli e irreso-lute, le quali, prive di costanza, si abbandonano a fare,ritenendole buone, cose che in seguito giudicano cattive.La mia terza massima era di cercare di vincere me stes-so piuttosto che la fortuna, e di cambiare i miei desideri

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piuttosto che l'ordine del mondo; e, in generale, di abi-tuarmi a credere che non c'è nulla che sia interamente innostro possesso se non i nostri pensieri, sicché quandoabbiamo fatto del nostro meglio, rispetto alle cose fuoridi noi, tutto quello che non ci riesce è per noi assoluta-mente impossibile. E già questo mi sembrava sufficienteper evitarmi di desiderare nell'avvenire qualcosa chenon potessi raggiungere, e per rendermi, così, soddisfat-to. Infatti, poiché la nostra volontà è portata naturalmen-te a desiderare solo quello che l'intelletto le rappresentain qualche modo come possibile, è certo che, se consi-dereremo tutti i beni fuori di noi egualmente lontani dalnostro potere, non proveremo rammarico di essere pri-vati di quelli che riteniamo ci siano dovuti per nascita,quando ci venissero tolti senza nostra colpa, più diquanto ne abbiamo per non possedere i regni della Cinao del Messico; e facendo, come si dice, di necessità vir-tù, non desidereremo di essere sani se siamo malati, o li-beri se siamo in prigione, più di quanto desideriamo oradi avere il corpo di una materia tanto incorruttibile comeil diamante, o ali per volare come gli uccelli. Ma am-metto che c'è bisogno di un lungo esercizio, e di unameditazione spesso rinnovata per abituarsi a guardaretutte le cose da questo punto di vista; e penso che inquesto soprattutto consistesse il segreto di quei filosofiche sono riusciti nel passato a sottrarsi al dominio dellafortuna e, malgrado i dolori e la povertà, a considerarsi,quanto alla felicità, rivali dei loro dèi. Giacché, perseve-rando nella considerazione dei limiti a loro prescritti

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piuttosto che l'ordine del mondo; e, in generale, di abi-tuarmi a credere che non c'è nulla che sia interamente innostro possesso se non i nostri pensieri, sicché quandoabbiamo fatto del nostro meglio, rispetto alle cose fuoridi noi, tutto quello che non ci riesce è per noi assoluta-mente impossibile. E già questo mi sembrava sufficienteper evitarmi di desiderare nell'avvenire qualcosa chenon potessi raggiungere, e per rendermi, così, soddisfat-to. Infatti, poiché la nostra volontà è portata naturalmen-te a desiderare solo quello che l'intelletto le rappresentain qualche modo come possibile, è certo che, se consi-dereremo tutti i beni fuori di noi egualmente lontani dalnostro potere, non proveremo rammarico di essere pri-vati di quelli che riteniamo ci siano dovuti per nascita,quando ci venissero tolti senza nostra colpa, più diquanto ne abbiamo per non possedere i regni della Cinao del Messico; e facendo, come si dice, di necessità vir-tù, non desidereremo di essere sani se siamo malati, o li-beri se siamo in prigione, più di quanto desideriamo oradi avere il corpo di una materia tanto incorruttibile comeil diamante, o ali per volare come gli uccelli. Ma am-metto che c'è bisogno di un lungo esercizio, e di unameditazione spesso rinnovata per abituarsi a guardaretutte le cose da questo punto di vista; e penso che inquesto soprattutto consistesse il segreto di quei filosofiche sono riusciti nel passato a sottrarsi al dominio dellafortuna e, malgrado i dolori e la povertà, a considerarsi,quanto alla felicità, rivali dei loro dèi. Giacché, perseve-rando nella considerazione dei limiti a loro prescritti

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dalla natura, si convincevano così perfettamente chenulla era in loro potere se non i propri pensieri, che que-sto solo bastava a liberarli da ogni attaccamento alle al-tre cose; e dei pensieri disponevano in modo così asso-luto, che avevano in questo qualche ragione di ritenersipiù ricchi e potenti, e più liberi e felici di tutti gli altri; iquali, privi di questa filosofia, per quanto favoriti dallanatura e dalla fortuna, non dispongono mai in questomodo di tutto ciò che vogliono.Infine, per concludere questa morale, decisi di fare unesame accurato delle diverse occupazioni degli uominiin questa vita, per cercare di sceglierne la migliore; esenza voler giudicare delle opinioni altrui, pensai di nonpoter far meglio che perseverare nella mia, cioè conti-nuare a dedicare tutta la mia vita a coltivare la ragione, eprogredire quando potessi nella conoscenza della verità,seguendo il metodo che mi ero prescritto. Da quandoavevo cominciato a servirmi di questo metodo avevoprovato piaceri così grandi che non credevo se ne potes-sero ottenere di più dolci, né di più innocenti, in questavita; e scoprendo ogni giorno col suo aiuto qualche veri-tà che mi sembrava abbastanza importante e comune-mente ignorata dagli altri uomini, la soddisfazione chene avevo mi colmava l'animo al punto che tutto il restonon mi toccava per nulla. Inoltre, le tre massime prece-denti erano fondate solo sul disegno di continuare aistruirmi: avendo Dio dato a ciascuno qualche lume perdistinguere il vero dal falso, non avrei mai creduto didovermi contentare neppure per un istante delle opinioni

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dalla natura, si convincevano così perfettamente chenulla era in loro potere se non i propri pensieri, che que-sto solo bastava a liberarli da ogni attaccamento alle al-tre cose; e dei pensieri disponevano in modo così asso-luto, che avevano in questo qualche ragione di ritenersipiù ricchi e potenti, e più liberi e felici di tutti gli altri; iquali, privi di questa filosofia, per quanto favoriti dallanatura e dalla fortuna, non dispongono mai in questomodo di tutto ciò che vogliono.Infine, per concludere questa morale, decisi di fare unesame accurato delle diverse occupazioni degli uominiin questa vita, per cercare di sceglierne la migliore; esenza voler giudicare delle opinioni altrui, pensai di nonpoter far meglio che perseverare nella mia, cioè conti-nuare a dedicare tutta la mia vita a coltivare la ragione, eprogredire quando potessi nella conoscenza della verità,seguendo il metodo che mi ero prescritto. Da quandoavevo cominciato a servirmi di questo metodo avevoprovato piaceri così grandi che non credevo se ne potes-sero ottenere di più dolci, né di più innocenti, in questavita; e scoprendo ogni giorno col suo aiuto qualche veri-tà che mi sembrava abbastanza importante e comune-mente ignorata dagli altri uomini, la soddisfazione chene avevo mi colmava l'animo al punto che tutto il restonon mi toccava per nulla. Inoltre, le tre massime prece-denti erano fondate solo sul disegno di continuare aistruirmi: avendo Dio dato a ciascuno qualche lume perdistinguere il vero dal falso, non avrei mai creduto didovermi contentare neppure per un istante delle opinioni

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altrui, se non mi fossi proposto di usare il mio giudizionell'esaminarle, al momento opportuno; e non avrei po-tuto liberarmi da ogni scrupolo, nel seguirle, se nonavessi sperato di non perdere perciò nessuna occasionedi trovarne di migliori nel caso ce ne fossero. Infine nonavrei potuto limitare i miei desideri, né ritenermi con-tento, se non avessi percorso una strada la quale miavesse assicurato l'acquisto di tutte le conoscenze di cuifossi capace e insieme di ogni vero bene che fosse inmio potere. Tanto più che, non essendo la volontà nostraportata a seguire o a fuggire nessuna cosa che il nostrointelletto non le rappresenti come buona o cattiva, bastagiudicare bene per fare bene, e giudicare meglio che sipuò per fare anche tutto il proprio meglio, cioè per ac-quistare tutte le virtù e insieme ogni altro bene che siapossibile acquistare; e quando si è certi che la cosa stain questo modo, non si può non essere contenti.Dopo essermi così procurate queste massime, e averleriposte accanto alle verità della fede, che sono statesempre le prime tra le cose in cui credo, giudicai che ditutte le rimanenti opinioni potevo liberamente comincia-re a disfarmi. E giacché speravo di poterne venire me-glio a capo stando a contatto con gli uomini, piuttostoche continuando a rimanere accanto alla stufa, chiusonella stanza dove avevo avuto tutti questi pensieri, mi ri-misi a viaggiare prima che l'inverno fosse terminato. Eper tutti i nove anni che seguirono non feci altro che gi-rare di qua e di là per il mondo, cercando di essere, piut-tosto che attore, spettatore delle commedie che vi si rap-

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altrui, se non mi fossi proposto di usare il mio giudizionell'esaminarle, al momento opportuno; e non avrei po-tuto liberarmi da ogni scrupolo, nel seguirle, se nonavessi sperato di non perdere perciò nessuna occasionedi trovarne di migliori nel caso ce ne fossero. Infine nonavrei potuto limitare i miei desideri, né ritenermi con-tento, se non avessi percorso una strada la quale miavesse assicurato l'acquisto di tutte le conoscenze di cuifossi capace e insieme di ogni vero bene che fosse inmio potere. Tanto più che, non essendo la volontà nostraportata a seguire o a fuggire nessuna cosa che il nostrointelletto non le rappresenti come buona o cattiva, bastagiudicare bene per fare bene, e giudicare meglio che sipuò per fare anche tutto il proprio meglio, cioè per ac-quistare tutte le virtù e insieme ogni altro bene che siapossibile acquistare; e quando si è certi che la cosa stain questo modo, non si può non essere contenti.Dopo essermi così procurate queste massime, e averleriposte accanto alle verità della fede, che sono statesempre le prime tra le cose in cui credo, giudicai che ditutte le rimanenti opinioni potevo liberamente comincia-re a disfarmi. E giacché speravo di poterne venire me-glio a capo stando a contatto con gli uomini, piuttostoche continuando a rimanere accanto alla stufa, chiusonella stanza dove avevo avuto tutti questi pensieri, mi ri-misi a viaggiare prima che l'inverno fosse terminato. Eper tutti i nove anni che seguirono non feci altro che gi-rare di qua e di là per il mondo, cercando di essere, piut-tosto che attore, spettatore delle commedie che vi si rap-

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presentano; e riflettendo in particolare, per ogni cosa, suciò che poteva renderla sospetta e dare a noi occasionedi ingannarci, eliminavo via via dal mio animo tutti glierrori che in precedenza vi si erano potuti introdurre.Non imitavo, per questo, gli scettici, che dubitano soloper dubitare e ostentano una perenne incertezza: al con-trario, ogni mio proposito tendeva soltanto a raggiunge-re qualcosa di certo, e a scartare il terreno mobile e lasabbia, per trovare la roccia e l'argilla. E questo mi riu-sciva, credo, abbastanza bene; tanto più che, cercando discoprire la falsità o l'incertezza delle proposizioni presein esame, non con deboli congetture, ma con ragiona-menti chiari e certi, non ne incontrai mai di così dubbieche non potessi trarne ogni volta qualche conclusioneabbastanza sicura, almeno questa soltanto, che non con-tenevano nulla di certo. E come nel buttar giù una vec-chia casa si mettono da parte, di solito, i materiali dellademolizione, per servirsene nella costruzione della nuo-va; così, distruggendo tutte le mie opinioni che giudica-vo mal fondate, facevo varie osservazioni, e raccoglievoparecchie esperienze, che mi sono servite più tardi percostruirne di più sicure. Inoltre, continuavo a esercitar-mi nel metodo che mi ero prescritto; giacché, oltre adaver cura di condurre in generale tutti i miei pensieri se-condo le sue regole, mi concedevo ogni tanto qualcheora per applicarlo in particolare a problemi di matemati-ca, o anche ad altri che potevo quasi assimilare a questi,separandoli da tutti i princìpi delle altre scienze che nonmi sembravano abbastanza stabili; come nel caso di

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presentano; e riflettendo in particolare, per ogni cosa, suciò che poteva renderla sospetta e dare a noi occasionedi ingannarci, eliminavo via via dal mio animo tutti glierrori che in precedenza vi si erano potuti introdurre.Non imitavo, per questo, gli scettici, che dubitano soloper dubitare e ostentano una perenne incertezza: al con-trario, ogni mio proposito tendeva soltanto a raggiunge-re qualcosa di certo, e a scartare il terreno mobile e lasabbia, per trovare la roccia e l'argilla. E questo mi riu-sciva, credo, abbastanza bene; tanto più che, cercando discoprire la falsità o l'incertezza delle proposizioni presein esame, non con deboli congetture, ma con ragiona-menti chiari e certi, non ne incontrai mai di così dubbieche non potessi trarne ogni volta qualche conclusioneabbastanza sicura, almeno questa soltanto, che non con-tenevano nulla di certo. E come nel buttar giù una vec-chia casa si mettono da parte, di solito, i materiali dellademolizione, per servirsene nella costruzione della nuo-va; così, distruggendo tutte le mie opinioni che giudica-vo mal fondate, facevo varie osservazioni, e raccoglievoparecchie esperienze, che mi sono servite più tardi percostruirne di più sicure. Inoltre, continuavo a esercitar-mi nel metodo che mi ero prescritto; giacché, oltre adaver cura di condurre in generale tutti i miei pensieri se-condo le sue regole, mi concedevo ogni tanto qualcheora per applicarlo in particolare a problemi di matemati-ca, o anche ad altri che potevo quasi assimilare a questi,separandoli da tutti i princìpi delle altre scienze che nonmi sembravano abbastanza stabili; come nel caso di

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molti problemi che vedrete spiegati in questo volume. Ecosì, senza vivere in maniera diversa, in apparenza, daquanti, non avendo altra occupazione se non quella ditrascorrere una vita piacevole e innocente, cercano di di-stinguere i piaceri dai vizi, e, per godere dell'ozio senzaannoiarsi, si concedono tutti i divertimenti onesti, noncessavo di seguire il mio proposito e di progredire nellaconoscenza della verità, forse più che se mi fossi limita-to a leggere libri o a frequentare letterati.Tuttavia questi nove anni trascorsero prima ancora cheavessi preso partito a proposito delle difficoltà che so-gliono discutere i dotti, e senza che avessi cominciato acercare i fondamenti di una filosofia più certa di quellacorrente. E l'esempio di molti eccellenti ingegni, che sierano proposti nel passato lo stesso compito senza esser-ci, a quanto mi pareva, riusciti, mi faceva immaginare inquesto tante difficoltà, che non avrei osato ancora af-frontarlo tanto presto, se non avessi saputo che qualcunofaceva già correre la voce che ne ero venuto a capo. Suche cosa fondassero questa opinione, non saprei dirlo;giacché se vi ho contribuito in qualcosa con i miei di-scorsi, deve essere non perché mi sono vantato di qual-che sapere, ma perché ho confessato quel che ignoravocon una franchezza maggiore di quella usata di solito daquanti hanno studiato un poco; o forse anche perché homostrato le ragioni che avevo di dubitare di molte coseche altri ritengono certe. Ma essendo abbastanza fieroper non sopportare di essere preso per quel che non ero,pensai che ero obbligato a cercare di rendermi degno

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molti problemi che vedrete spiegati in questo volume. Ecosì, senza vivere in maniera diversa, in apparenza, daquanti, non avendo altra occupazione se non quella ditrascorrere una vita piacevole e innocente, cercano di di-stinguere i piaceri dai vizi, e, per godere dell'ozio senzaannoiarsi, si concedono tutti i divertimenti onesti, noncessavo di seguire il mio proposito e di progredire nellaconoscenza della verità, forse più che se mi fossi limita-to a leggere libri o a frequentare letterati.Tuttavia questi nove anni trascorsero prima ancora cheavessi preso partito a proposito delle difficoltà che so-gliono discutere i dotti, e senza che avessi cominciato acercare i fondamenti di una filosofia più certa di quellacorrente. E l'esempio di molti eccellenti ingegni, che sierano proposti nel passato lo stesso compito senza esser-ci, a quanto mi pareva, riusciti, mi faceva immaginare inquesto tante difficoltà, che non avrei osato ancora af-frontarlo tanto presto, se non avessi saputo che qualcunofaceva già correre la voce che ne ero venuto a capo. Suche cosa fondassero questa opinione, non saprei dirlo;giacché se vi ho contribuito in qualcosa con i miei di-scorsi, deve essere non perché mi sono vantato di qual-che sapere, ma perché ho confessato quel che ignoravocon una franchezza maggiore di quella usata di solito daquanti hanno studiato un poco; o forse anche perché homostrato le ragioni che avevo di dubitare di molte coseche altri ritengono certe. Ma essendo abbastanza fieroper non sopportare di essere preso per quel che non ero,pensai che ero obbligato a cercare di rendermi degno

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con ogni mezzo della fama che mi si attribuiva; e sonopassati otto anni esatti da quando questo desiderio miconvinse ad abbandonare tutti i luoghi dove potevo ave-re dei conoscenti, e a ritirarmi qui, in un paese nel qualela lunga durata della guerra ha introdotto una disciplinatale che gli eserciti che vi sono stanziati sembrano servi-re soltanto a far sì che vi si godano con più sicurezza ifrutti della pace; qui, tra la moltitudine di un popologrande, attivissimo, e più sollecito dei propri affari checurioso di quelli altrui, senza mancare di nessuna como-dità delle città più affollate, ho potuto vivere in tanta so-litudine e in tanta quiete quanta ne avrei potuta trovarenei più lontani deserti.

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con ogni mezzo della fama che mi si attribuiva; e sonopassati otto anni esatti da quando questo desiderio miconvinse ad abbandonare tutti i luoghi dove potevo ave-re dei conoscenti, e a ritirarmi qui, in un paese nel qualela lunga durata della guerra ha introdotto una disciplinatale che gli eserciti che vi sono stanziati sembrano servi-re soltanto a far sì che vi si godano con più sicurezza ifrutti della pace; qui, tra la moltitudine di un popologrande, attivissimo, e più sollecito dei propri affari checurioso di quelli altrui, senza mancare di nessuna como-dità delle città più affollate, ho potuto vivere in tanta so-litudine e in tanta quiete quanta ne avrei potuta trovarenei più lontani deserti.

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Parte quarta: Le prove dell'esistenza di Dio edell'anima umana, ossia i fondamenti della

metafisica

Non so se debbo riferirvi le prime meditazioni che hofatto qui; perché sono tanto astratte e tanto insolite, chenon saranno forse apprezzate da tutti. Tuttavia, perché sipossa giudicare se sono abbastanza solidi i fondamentiche mi son dato, mi trovo in qualche modo costretto aparlarne. Avevo notato da tempo, come ho già detto, chein fatto di costumi è necessario qualche volta seguireopinioni che si sanno assai incerte, proprio come se fos-sero indubitabili; ma dal momento che ora desideravooccuparmi soltanto della ricerca della verità, pensai chedovevo fare proprio il contrario e rigettare come assolu-tamente falso tutto ciò in cui potevo immaginare il mini-mo dubbio, e questo per vedere se non sarebbe rimasto,dopo, qualcosa tra le mie convinzioni che fosse intera-mente indubitabile. Così, poiché i nostri sensi a volte ciingannano, volli supporre che non ci fosse cosa qualeessi ce la fanno immaginare. E dal momento che ci sonouomini che sbagliano ragionando, anche quando consi-derano gli oggetti più semplici della geometria, e cado-no in paralogismi, rifiutai come false, pensando di esse-re al pari di chiunque altro esposto all'errore, tutte le ra-gioni che un tempo avevo preso per dimostrazioni. Infi-ne, considerando che tutti gli stessi pensieri che abbia-mo da svegli possono venirci anche quando dormiamo

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Parte quarta: Le prove dell'esistenza di Dio edell'anima umana, ossia i fondamenti della

metafisica

Non so se debbo riferirvi le prime meditazioni che hofatto qui; perché sono tanto astratte e tanto insolite, chenon saranno forse apprezzate da tutti. Tuttavia, perché sipossa giudicare se sono abbastanza solidi i fondamentiche mi son dato, mi trovo in qualche modo costretto aparlarne. Avevo notato da tempo, come ho già detto, chein fatto di costumi è necessario qualche volta seguireopinioni che si sanno assai incerte, proprio come se fos-sero indubitabili; ma dal momento che ora desideravooccuparmi soltanto della ricerca della verità, pensai chedovevo fare proprio il contrario e rigettare come assolu-tamente falso tutto ciò in cui potevo immaginare il mini-mo dubbio, e questo per vedere se non sarebbe rimasto,dopo, qualcosa tra le mie convinzioni che fosse intera-mente indubitabile. Così, poiché i nostri sensi a volte ciingannano, volli supporre che non ci fosse cosa qualeessi ce la fanno immaginare. E dal momento che ci sonouomini che sbagliano ragionando, anche quando consi-derano gli oggetti più semplici della geometria, e cado-no in paralogismi, rifiutai come false, pensando di esse-re al pari di chiunque altro esposto all'errore, tutte le ra-gioni che un tempo avevo preso per dimostrazioni. Infi-ne, considerando che tutti gli stessi pensieri che abbia-mo da svegli possono venirci anche quando dormiamo

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senza che ce ne sia uno solo, allora, che sia vero, presila decisione di fingere che tutte le cose che da sempre sierano introdotte nel mio animo non fossero più vere del-le illusioni dei miei sogni. Ma subito dopo mi accorsiche mentre volevo pensare, così, che tutto è falso, biso-gnava necessariamente che io, che lo pensavo, fossiqualcosa. E osservando che questa verità: penso, dun-que sono, era così ferma e sicura, che tutte le supposi-zioni più stravaganti degli scettici non avrebbero potutosmuoverla, giudicai che potevo accoglierla senza timorecome il primo principio della filosofia che cercavo.Poi, esaminando esattamente quel che ero, e vedendoche potevo fingere di non avere nessun corpo, e che nonci fosse mondo né luogo alcuno in cui mi trovassi, mache non potevo fingere, perciò, di non esserci; e che alcontrario, dal fatto stesso che pensavo di dubitare dellaverità delle altre cose, seguiva con assoluta evidenza ecertezza che esistevo; mentre, appena avessi cessato dipensare, ancorché fosse stato vero tutto il resto di quelche avevo da sempre immaginato, non avrei avuto alcu-na ragione di credere ch'io esistessi: da tutto ciò conobbiche ero una sostanza la cui essenza o natura sta solo nelpensare e che per esistere non ha bisogno di alcun luogoné dipende da qualcosa di materiale. Di modo che que-sto io, e cioè la mente per cui sono quel che sono, è inte-ramente distinta dal corpo, del quale è anche più facile aconoscersi; e non cesserebbe di essere tutto quello che èanche se il corpo non esistesse.Dopo di ciò, considerai in generale quel che si richiede

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senza che ce ne sia uno solo, allora, che sia vero, presila decisione di fingere che tutte le cose che da sempre sierano introdotte nel mio animo non fossero più vere del-le illusioni dei miei sogni. Ma subito dopo mi accorsiche mentre volevo pensare, così, che tutto è falso, biso-gnava necessariamente che io, che lo pensavo, fossiqualcosa. E osservando che questa verità: penso, dun-que sono, era così ferma e sicura, che tutte le supposi-zioni più stravaganti degli scettici non avrebbero potutosmuoverla, giudicai che potevo accoglierla senza timorecome il primo principio della filosofia che cercavo.Poi, esaminando esattamente quel che ero, e vedendoche potevo fingere di non avere nessun corpo, e che nonci fosse mondo né luogo alcuno in cui mi trovassi, mache non potevo fingere, perciò, di non esserci; e che alcontrario, dal fatto stesso che pensavo di dubitare dellaverità delle altre cose, seguiva con assoluta evidenza ecertezza che esistevo; mentre, appena avessi cessato dipensare, ancorché fosse stato vero tutto il resto di quelche avevo da sempre immaginato, non avrei avuto alcu-na ragione di credere ch'io esistessi: da tutto ciò conobbiche ero una sostanza la cui essenza o natura sta solo nelpensare e che per esistere non ha bisogno di alcun luogoné dipende da qualcosa di materiale. Di modo che que-sto io, e cioè la mente per cui sono quel che sono, è inte-ramente distinta dal corpo, del quale è anche più facile aconoscersi; e non cesserebbe di essere tutto quello che èanche se il corpo non esistesse.Dopo di ciò, considerai in generale quel che si richiede

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ad una proposizione perché sia vera e certa; infatti, poi-ché ne avevo appena trovata una che sapevo essere tale,pensai che dovevo anche sapere in che cosa consistequesta certezza. E avendo notato che non c'è niente altroin questo io penso, dunque sono, che mi assicuri di direla verità, se non il fatto di vedere molto chiaramenteche, per pensare, bisogna essere, giudicai che potevoprendere come regola generale che le cose che conce-piamo molto chiaramente e molto distintamente sonotutte vere; e che c'è solo qualche difficoltà a vedere benequali sono quelle che concepiamo distintamente.In seguito a ciò, riflettendo sul fatto che dubitavo, e chedi conseguenza il mio essere non era del tutto perfetto,giacché vedevo chiaramente che conoscere è una perfe-zione maggiore di dubitare, mi misi a cercare dondeavessi appreso a pensare qualcosa di più perfetto di quelche ero; e conobbi in maniera evidente che doveva esse-re da una natura che fosse di fatto più perfetta. Per quelche riguarda i pensieri che avevo di molte altre cosefuori di me, come il cielo, la terra, la luce, il calore, emille altre, non mi davo molta pena di cercare donde mivenissero, giacché non notavo in essi nulla che li ren-desse superiori a me, e perciò potevo credere che, seerano veri, dipendevano dalla mia natura in quanto dota-ta di qualche perfezione; e se non lo erano, mi venivanodal nulla, cioè erano in me per una mia imperfezione.Ma non potevo dire lo stesso dell'idea di un essere piùperfetto del mio: perché, che mi venisse dal nulla, erachiaramente impossibile; e poiché far seguire o dipende-

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ad una proposizione perché sia vera e certa; infatti, poi-ché ne avevo appena trovata una che sapevo essere tale,pensai che dovevo anche sapere in che cosa consistequesta certezza. E avendo notato che non c'è niente altroin questo io penso, dunque sono, che mi assicuri di direla verità, se non il fatto di vedere molto chiaramenteche, per pensare, bisogna essere, giudicai che potevoprendere come regola generale che le cose che conce-piamo molto chiaramente e molto distintamente sonotutte vere; e che c'è solo qualche difficoltà a vedere benequali sono quelle che concepiamo distintamente.In seguito a ciò, riflettendo sul fatto che dubitavo, e chedi conseguenza il mio essere non era del tutto perfetto,giacché vedevo chiaramente che conoscere è una perfe-zione maggiore di dubitare, mi misi a cercare dondeavessi appreso a pensare qualcosa di più perfetto di quelche ero; e conobbi in maniera evidente che doveva esse-re da una natura che fosse di fatto più perfetta. Per quelche riguarda i pensieri che avevo di molte altre cosefuori di me, come il cielo, la terra, la luce, il calore, emille altre, non mi davo molta pena di cercare donde mivenissero, giacché non notavo in essi nulla che li ren-desse superiori a me, e perciò potevo credere che, seerano veri, dipendevano dalla mia natura in quanto dota-ta di qualche perfezione; e se non lo erano, mi venivanodal nulla, cioè erano in me per una mia imperfezione.Ma non potevo dire lo stesso dell'idea di un essere piùperfetto del mio: perché, che mi venisse dal nulla, erachiaramente impossibile; e poiché far seguire o dipende-

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re il più perfetto dal meno perfetto è altrettanto contrad-dittorio quanto far procedere qualcosa dal nulla, non po-teva neppure venire da me stesso. Di modo che restavache fosse stata messa in me da una natura realmente piùperfetta della mia, e che avesse anche in sé tutte le per-fezioni di cui potevo avere qualche idea, e cioè, perspiegarmi con una sola parola, che fosse Dio. A questoaggiunsi che, poiché conoscevo qualche perfezione dicui mancavo del tutto, non ero il solo essere esistente(userò qui liberamente, se non vi spiace, alcuni terminidella Scuola), ma occorreva necessariamente che ce nefosse qualche altro più perfetto, dal quale dipendevo edal quale avevo ottenuto tutto quel che avevo. Giacchése ne fossi stato solo e indipendente da ogni altro eavessi così avuto da me stesso tutto quel poco che parte-cipavo dell'essere perfetto, avrei potuto avere da me, perla stessa ragione, tutto il di più che sapevo mancarmi, edessere per tanto io stesso infinito, eterno, immutabile,onnisciente, onnipotente, avere insomma tutte le perfe-zioni che potevo vedere in Dio. Poiché, seguendo i ra-gionamenti appena fatti, per conoscere la natura di Dioper quanto la mia ne era capace, non dovevo far altroche considerare ogni cosa di cui trovavo in me qualcheidea, se era una perfezione possederla, e così ero sicuroche nessuna di quelle che indicavano qualche imperfe-zione era in lui, mentre vi erano tutte le altre. Così vede-vo che il dubbio, l'incostanza, la tristezza e le altre cosesimili a queste non potevano essere in lui dal momentoche sarei stato anch'io ben felice di esserne privo. Oltre

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re il più perfetto dal meno perfetto è altrettanto contrad-dittorio quanto far procedere qualcosa dal nulla, non po-teva neppure venire da me stesso. Di modo che restavache fosse stata messa in me da una natura realmente piùperfetta della mia, e che avesse anche in sé tutte le per-fezioni di cui potevo avere qualche idea, e cioè, perspiegarmi con una sola parola, che fosse Dio. A questoaggiunsi che, poiché conoscevo qualche perfezione dicui mancavo del tutto, non ero il solo essere esistente(userò qui liberamente, se non vi spiace, alcuni terminidella Scuola), ma occorreva necessariamente che ce nefosse qualche altro più perfetto, dal quale dipendevo edal quale avevo ottenuto tutto quel che avevo. Giacchése ne fossi stato solo e indipendente da ogni altro eavessi così avuto da me stesso tutto quel poco che parte-cipavo dell'essere perfetto, avrei potuto avere da me, perla stessa ragione, tutto il di più che sapevo mancarmi, edessere per tanto io stesso infinito, eterno, immutabile,onnisciente, onnipotente, avere insomma tutte le perfe-zioni che potevo vedere in Dio. Poiché, seguendo i ra-gionamenti appena fatti, per conoscere la natura di Dioper quanto la mia ne era capace, non dovevo far altroche considerare ogni cosa di cui trovavo in me qualcheidea, se era una perfezione possederla, e così ero sicuroche nessuna di quelle che indicavano qualche imperfe-zione era in lui, mentre vi erano tutte le altre. Così vede-vo che il dubbio, l'incostanza, la tristezza e le altre cosesimili a queste non potevano essere in lui dal momentoche sarei stato anch'io ben felice di esserne privo. Oltre

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a ciò avevo idee di cose sensibili e corporee: giacché an-che se supponevo di sognare, e che fosse falso tutto quelche supponevo o immaginavo, non potevo negare tutta-via che le idee di queste cose fossero realmente nel miopensiero. Ma poiché avevo conosciuto molto chiara-mente in me stesso che la natura intelligente è distintada quella corporea, considerando che ogni composizio-ne attesta una dipendenza, e che la dipendenza è manife-stamente un difetto, giudicai da ciò che non avrebbe po-tuto costituire una perfezione in Dio l'essere compostodi quelle due nature, e dunque che non lo era; e cheanzi, se c'era qualche corpo al mondo, o qualche intelli-genza o altre nature che non fossero del tutto perfette, laloro esistenza doveva dipendere dalla sua potenza inmodo tale che non potessero sussistere un solo momentosenza di lui.Dopo di ciò, volli cercare altre verità, e rivoltomiall'oggetto della geometria, che concepivo come un cor-po continuo ovvero uno spazio indefinitamente esteso inlunghezza, larghezza, altezza o profondità, divisibile indiverse parti, che potevano avere varie figure e grandez-ze, ed essere mosse a piacere o trasportate da un posto aun altro, giacché proprio questo i geometri suppongononel loro oggetto, ripercorsi alcune delle loro più sempli-ci dimostrazioni. E avendo notato che quella gran cer-tezza che tutti vi riconoscono è fondata soltanto sul fattoche sono concepite con evidenza, secondo la regola cheho appena esposto, notai anche che non c'era assoluta-mente nulla, in esse, che mi assicurasse dell'esistenza

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a ciò avevo idee di cose sensibili e corporee: giacché an-che se supponevo di sognare, e che fosse falso tutto quelche supponevo o immaginavo, non potevo negare tutta-via che le idee di queste cose fossero realmente nel miopensiero. Ma poiché avevo conosciuto molto chiara-mente in me stesso che la natura intelligente è distintada quella corporea, considerando che ogni composizio-ne attesta una dipendenza, e che la dipendenza è manife-stamente un difetto, giudicai da ciò che non avrebbe po-tuto costituire una perfezione in Dio l'essere compostodi quelle due nature, e dunque che non lo era; e cheanzi, se c'era qualche corpo al mondo, o qualche intelli-genza o altre nature che non fossero del tutto perfette, laloro esistenza doveva dipendere dalla sua potenza inmodo tale che non potessero sussistere un solo momentosenza di lui.Dopo di ciò, volli cercare altre verità, e rivoltomiall'oggetto della geometria, che concepivo come un cor-po continuo ovvero uno spazio indefinitamente esteso inlunghezza, larghezza, altezza o profondità, divisibile indiverse parti, che potevano avere varie figure e grandez-ze, ed essere mosse a piacere o trasportate da un posto aun altro, giacché proprio questo i geometri suppongononel loro oggetto, ripercorsi alcune delle loro più sempli-ci dimostrazioni. E avendo notato che quella gran cer-tezza che tutti vi riconoscono è fondata soltanto sul fattoche sono concepite con evidenza, secondo la regola cheho appena esposto, notai anche che non c'era assoluta-mente nulla, in esse, che mi assicurasse dell'esistenza

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del loro oggetto. Giacché, per esempio, vedevo beneche, supposto un triangolo, era necessario che i suoi an-goli fossero uguali a due retti; ma con questo non vede-vo nulla che mi assicurasse dell'esistenza di qualchetriangolo nel mondo. Mentre, tornando alla mia idea diun essere perfetto, trovavo che l'esistenza vi era compre-sa come è compreso nell'idea di un triangolo che i suoiangoli sono uguali a due retti, o in quella di una sferache tutte le sue parti sono equidistanti dal centro, o an-che con maggiore evidenza; e per conseguenza che Dio,che è questo essere perfetto, è o esiste, è almeno altret-tanto certo quanto potrebbe esserlo una qualunque di-mostrazione della geometria.Ma la ragione per cui molti si convincono che ci sonodifficoltà a conoscere ciò, è anche a conoscere che cosaè la propria anima, è che non portano mai la loro menteal di là delle cose sensibili, e sono talmente abituati anon considerare nessuna cosa se non immaginandola(che è un modo particolare di pensare le cose materiali),da ritenere che tutto quel che non è immaginabile non èneppure intelligibile. Ciò appare abbastanza chiaro dalfatto che anche i filosofi delle Scuole considerano comemassima che nulla sia nell'intelletto che prima non siastato nel senso: dove è certo tuttavia che le idee di Dio edell'anima non sono mai state. E mi sembra che quelliche vogliono far uso della loro immaginazione per com-prenderle, fanno proprio come se volessero servirsi de-gli occhi per udire i suoni o sentire gli odori: con in piùquesta differenza, che la vista non ci rende meno sicuri

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del loro oggetto. Giacché, per esempio, vedevo beneche, supposto un triangolo, era necessario che i suoi an-goli fossero uguali a due retti; ma con questo non vede-vo nulla che mi assicurasse dell'esistenza di qualchetriangolo nel mondo. Mentre, tornando alla mia idea diun essere perfetto, trovavo che l'esistenza vi era compre-sa come è compreso nell'idea di un triangolo che i suoiangoli sono uguali a due retti, o in quella di una sferache tutte le sue parti sono equidistanti dal centro, o an-che con maggiore evidenza; e per conseguenza che Dio,che è questo essere perfetto, è o esiste, è almeno altret-tanto certo quanto potrebbe esserlo una qualunque di-mostrazione della geometria.Ma la ragione per cui molti si convincono che ci sonodifficoltà a conoscere ciò, è anche a conoscere che cosaè la propria anima, è che non portano mai la loro menteal di là delle cose sensibili, e sono talmente abituati anon considerare nessuna cosa se non immaginandola(che è un modo particolare di pensare le cose materiali),da ritenere che tutto quel che non è immaginabile non èneppure intelligibile. Ciò appare abbastanza chiaro dalfatto che anche i filosofi delle Scuole considerano comemassima che nulla sia nell'intelletto che prima non siastato nel senso: dove è certo tuttavia che le idee di Dio edell'anima non sono mai state. E mi sembra che quelliche vogliono far uso della loro immaginazione per com-prenderle, fanno proprio come se volessero servirsi de-gli occhi per udire i suoni o sentire gli odori: con in piùquesta differenza, che la vista non ci rende meno sicuri

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della verità dei suoi oggetti, di quanto facciano l'odoratoe l'udito; mentre né l'immaginazione né i sensi potrebbe-ro mai renderci certi di qualcosa senza l'intervento delnostro intelletto.Infine, se ci sono ancora degli uomini non abbastanzapersuasi dell'esistenza di Dio e della loro anima per leragioni che ho portato, voglio proprio che sappiano chetutte le altre cose di cui pensano di essere forse più sicu-ri, come di avere un corpo, e dell'esistenza degli astri,della terra e simili, sono meno certe. Perché sebbene siabbia di queste una certezza morale, tale che non si pos-sa dubitarne a meno di non essere stravaganti, tuttavia, ameno di non essere irragionevoli, quando è in questioneuna certezza metafisica, non si può neanche negare chesia un motivo sufficiente per non ritenersi interamentecerti quello di accorgersi che si può, allo stesso modo,immaginare nel sonno di avere un altro corpo, o di ve-dere altri astri o un altra terra senza che ci sia nulla ditutto questo. Perché da dove sappiamo che sono più falsidegli altri i pensieri che ci vengono in sogno, visto chenon sono spesso meno vivaci e netti? Cerchino pure imigliori ingegni, fintanto che a loro piace: non vedo chepossano addurre una ragione sufficiente a togliere que-sto dubbio, se non presuppongono la esistenza di Dio.Perché, in primo luogo, anche quella che ho assuntopoc'anzi come regola, cioè che le cose che concepiamomolto chiaramente e distintamente sono tutte vere, non ècerta se non perché Dio è o esiste, perché è un essereperfetto e perché da Lui riceviamo tutto quello che è in

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della verità dei suoi oggetti, di quanto facciano l'odoratoe l'udito; mentre né l'immaginazione né i sensi potrebbe-ro mai renderci certi di qualcosa senza l'intervento delnostro intelletto.Infine, se ci sono ancora degli uomini non abbastanzapersuasi dell'esistenza di Dio e della loro anima per leragioni che ho portato, voglio proprio che sappiano chetutte le altre cose di cui pensano di essere forse più sicu-ri, come di avere un corpo, e dell'esistenza degli astri,della terra e simili, sono meno certe. Perché sebbene siabbia di queste una certezza morale, tale che non si pos-sa dubitarne a meno di non essere stravaganti, tuttavia, ameno di non essere irragionevoli, quando è in questioneuna certezza metafisica, non si può neanche negare chesia un motivo sufficiente per non ritenersi interamentecerti quello di accorgersi che si può, allo stesso modo,immaginare nel sonno di avere un altro corpo, o di ve-dere altri astri o un altra terra senza che ci sia nulla ditutto questo. Perché da dove sappiamo che sono più falsidegli altri i pensieri che ci vengono in sogno, visto chenon sono spesso meno vivaci e netti? Cerchino pure imigliori ingegni, fintanto che a loro piace: non vedo chepossano addurre una ragione sufficiente a togliere que-sto dubbio, se non presuppongono la esistenza di Dio.Perché, in primo luogo, anche quella che ho assuntopoc'anzi come regola, cioè che le cose che concepiamomolto chiaramente e distintamente sono tutte vere, non ècerta se non perché Dio è o esiste, perché è un essereperfetto e perché da Lui riceviamo tutto quello che è in

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noi. Di qui segue che le nostre idee o nozioni, essendoin tutto ciò per cui sono chiare e distinte cose reali e checi vengono da Dio, non possono in questo non essereche vere. Di modo che, se spesso ne abbiamo che con-tengono del falso, non può trattarsi che di quelle chehanno qualcosa di confuso e oscuro, per il fatto che par-tecipano in questo del nulla, e cioè sono in noi così con-fuse solo perché non siamo del tutto perfetti. Ed è evi-dentemente tanto impensabile che il falso o l'imperfe-zione, in quanto tale, procedano da Dio, quanto lo è chela verità o la perfezione proceda dal nulla. Ma se non sa-pessimo che tutto ciò che vi è in noi di reale e di vero civiene da un essere perfetto e infinito, per chiare e distin-te che fossero le nostre idee non avremmo nessuna ra-gione di essere certi che hanno la perfezione di esserevere.Ora, dopo che la conoscenza di Dio e della mente ci hain tal modo reso certi di questa regola, è ben facile in-tendere che i sogni immaginati nel sonno non debbonoin nessun modo farci dubitare della verità dei pensieriche abbiamo durante la veglia. Perché se ci accadesse diavere, anche dormendo, qualche idea molto distinta, seun geometra, per esempio, scoprisse qualche nuova di-mostrazione, il fatto ch'egli dorma non le impedirebbedi essere vera. E quando all'errore più comune dei nostrisogni, che consiste nel fatto che ci rappresentano diversioggetti proprio come i sensi esterni, poco importa che cidia motivo di diffidare della verità di queste idee, giac-ché spesso possiamo benissimo ingannarci senza che

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noi. Di qui segue che le nostre idee o nozioni, essendoin tutto ciò per cui sono chiare e distinte cose reali e checi vengono da Dio, non possono in questo non essereche vere. Di modo che, se spesso ne abbiamo che con-tengono del falso, non può trattarsi che di quelle chehanno qualcosa di confuso e oscuro, per il fatto che par-tecipano in questo del nulla, e cioè sono in noi così con-fuse solo perché non siamo del tutto perfetti. Ed è evi-dentemente tanto impensabile che il falso o l'imperfe-zione, in quanto tale, procedano da Dio, quanto lo è chela verità o la perfezione proceda dal nulla. Ma se non sa-pessimo che tutto ciò che vi è in noi di reale e di vero civiene da un essere perfetto e infinito, per chiare e distin-te che fossero le nostre idee non avremmo nessuna ra-gione di essere certi che hanno la perfezione di esserevere.Ora, dopo che la conoscenza di Dio e della mente ci hain tal modo reso certi di questa regola, è ben facile in-tendere che i sogni immaginati nel sonno non debbonoin nessun modo farci dubitare della verità dei pensieriche abbiamo durante la veglia. Perché se ci accadesse diavere, anche dormendo, qualche idea molto distinta, seun geometra, per esempio, scoprisse qualche nuova di-mostrazione, il fatto ch'egli dorma non le impedirebbedi essere vera. E quando all'errore più comune dei nostrisogni, che consiste nel fatto che ci rappresentano diversioggetti proprio come i sensi esterni, poco importa che cidia motivo di diffidare della verità di queste idee, giac-ché spesso possiamo benissimo ingannarci senza che

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dormiamo: come quando l'itterizia ci fa vedere tuttogiallo, o quando ci sembra che gli astri o altri corpi lon-tanissimi siano molto più piccoli di quel che sono. Per-ché insomma, sia che vegliamo, sia che dormiamo, nondobbiamo lasciarci convincere che dall'evidenza dellanostra ragione. E si badi che dico: della nostra ragione, enon della nostra immaginazione, o dei nostri sensi. Cosìil sole, sebbene lo vediamo molto chiaramente, non dob-biamo perciò giudicarlo piccolo come lo vediamo; epossiamo ben immaginare distintamente una testa dileone innestata sul corpo di una capra, senza dover con-cludere perciò che ci sia al mondo una chimera: perchéla ragione non ci dice affatto che quel che così vediamoo immaginiamo è anche vero. Ci dice bensì che tutte lenostre idee o nozioni debbono avere qualche fondamen-to di verità; giacché in caso contrario non sarebbe possi-bile che Dio, che è assolutamente perfetto e veritiero, leavesse messe in noi. E poiché i nostri ragionamenti nonsono mai così evidenti né completi nel sonno come nellaveglia, sebbene le immagini quando dormiamo possanoessere a volte altrettanto o anche più vivaci e nette, laragione ci dice ancora che, non potendo i nostri pensieriessere in tutto veri dal momento che non siamo intera-mente perfetti, quanto hanno di verità deve trovarsi inquelli che abbiamo da svegli, piuttosto che nei nostri so-gni.

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dormiamo: come quando l'itterizia ci fa vedere tuttogiallo, o quando ci sembra che gli astri o altri corpi lon-tanissimi siano molto più piccoli di quel che sono. Per-ché insomma, sia che vegliamo, sia che dormiamo, nondobbiamo lasciarci convincere che dall'evidenza dellanostra ragione. E si badi che dico: della nostra ragione, enon della nostra immaginazione, o dei nostri sensi. Cosìil sole, sebbene lo vediamo molto chiaramente, non dob-biamo perciò giudicarlo piccolo come lo vediamo; epossiamo ben immaginare distintamente una testa dileone innestata sul corpo di una capra, senza dover con-cludere perciò che ci sia al mondo una chimera: perchéla ragione non ci dice affatto che quel che così vediamoo immaginiamo è anche vero. Ci dice bensì che tutte lenostre idee o nozioni debbono avere qualche fondamen-to di verità; giacché in caso contrario non sarebbe possi-bile che Dio, che è assolutamente perfetto e veritiero, leavesse messe in noi. E poiché i nostri ragionamenti nonsono mai così evidenti né completi nel sonno come nellaveglia, sebbene le immagini quando dormiamo possanoessere a volte altrettanto o anche più vivaci e nette, laragione ci dice ancora che, non potendo i nostri pensieriessere in tutto veri dal momento che non siamo intera-mente perfetti, quanto hanno di verità deve trovarsi inquelli che abbiamo da svegli, piuttosto che nei nostri so-gni.

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Parte quinta: Questioni di fisica

Sarei molto lieto di proseguire, e di far vedere qui tuttala catena delle altre verità che ho dedotto da quelle pri-me. Ma per far questo dovrei parlare ora di molte que-stioni che sono tuttora controverse tra i dotti, con i qualinon desidero entrare in conflitto; perciò farò meglio,credo, ad astenermene, dicendo soltanto in generalequali siano le questioni, per lasciar giudicare ai più sag-gi se sarebbe utile che il pubblico ne fosse informatocon più particolari. Sono rimasto sempre fermo nella de-cisione che avevo preso di non supporre nessun altroprincipio oltre quello di cui mi sono servito ora per di-mostrare l'esistenza di Dio e dell'anima, e di non accet-tare nessuna cosa per vera, che non apparisse più chiarae più certa di quanto mi sembravano un tempo le dimo-strazioni dei geometri. E tuttavia oso affermare che nonsolo ho trovato il modo di giungere in breve tempo aconclusioni soddisfacenti per tutto ciò che riguarda leprincipali difficoltà di cui suole trattare la filosofia, maho anche individuato certe leggi, che Dio ha stabilitonella natura, imprimendone le nozioni nella nostra men-te in modo tale che, avendo riflettuto a sufficienza su diesse, non potremmo dubitare che siano esattamente os-servate in tutto ciò che nel mondo è o accade. Poi, con-siderando l'insieme di queste leggi, mi sembra di averescoperto molte verità più utili e importanti di quel che inprecedenza avevo appreso o soltanto sperato di appren-

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Parte quinta: Questioni di fisica

Sarei molto lieto di proseguire, e di far vedere qui tuttala catena delle altre verità che ho dedotto da quelle pri-me. Ma per far questo dovrei parlare ora di molte que-stioni che sono tuttora controverse tra i dotti, con i qualinon desidero entrare in conflitto; perciò farò meglio,credo, ad astenermene, dicendo soltanto in generalequali siano le questioni, per lasciar giudicare ai più sag-gi se sarebbe utile che il pubblico ne fosse informatocon più particolari. Sono rimasto sempre fermo nella de-cisione che avevo preso di non supporre nessun altroprincipio oltre quello di cui mi sono servito ora per di-mostrare l'esistenza di Dio e dell'anima, e di non accet-tare nessuna cosa per vera, che non apparisse più chiarae più certa di quanto mi sembravano un tempo le dimo-strazioni dei geometri. E tuttavia oso affermare che nonsolo ho trovato il modo di giungere in breve tempo aconclusioni soddisfacenti per tutto ciò che riguarda leprincipali difficoltà di cui suole trattare la filosofia, maho anche individuato certe leggi, che Dio ha stabilitonella natura, imprimendone le nozioni nella nostra men-te in modo tale che, avendo riflettuto a sufficienza su diesse, non potremmo dubitare che siano esattamente os-servate in tutto ciò che nel mondo è o accade. Poi, con-siderando l'insieme di queste leggi, mi sembra di averescoperto molte verità più utili e importanti di quel che inprecedenza avevo appreso o soltanto sperato di appren-

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dere.Ma poiché le principali tra quelle verità ho cercato dispiegarle in un trattato che alcune considerazioni mi im-pediscono di pubblicare, non potrei enunciarle meglioche riassumendo qui il contenuto di quel trattato. Mi eroproposto di raccogliere in esso tutto quello che, comin-ciando a scrivere, pensavo di sapere sulla natura dellecose materiali. Ma come i pittori, non potendo raffigura-re egualmente bene su una superficie piana tutte le di-verse facce di un solido, ne scelgono una delle principalie la mettono in luce, ombreggiando le altre in modo chesi possano vedere solo guardando quella: così, nel timo-re di non poter far entrare nel mio discorso tutto ciò cheavevo in mente, decisi di esporre con molta ampiezzasoltanto la mia concezione della luce; poi, di qui, ag-giungere qualcosa sul sole e sulle stelle fisse, da cui laluce, quasi interamente, proviene; e poi sui cieli che latrasmettono; sui pianeti, sulle comete, e sulla terra, chela riflettono; e, in particolare, su tutti i corpi che sonosulla terra, per il fatto che sono o colorati o trasparenti oluminosi; infine sull'uomo, perché ne è lo spettatore.Anzi, per mettere un po’ in ombra queste cose e poterdire più liberamente quel che ne pensavo senza essereobbligato a seguire o a confutare le opinioni accolte tra idotti, decisi di abbandonare tutto questo mondo qui alleloro dispute, e di parlare soltanto di quel che accadrebbein uno nuovo, se Dio creasse ora da qualche parte, neglispazi immaginari, abbastanza materia per comporlo, ene agitasse in vario modo e senza un ordine le diverse

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dere.Ma poiché le principali tra quelle verità ho cercato dispiegarle in un trattato che alcune considerazioni mi im-pediscono di pubblicare, non potrei enunciarle meglioche riassumendo qui il contenuto di quel trattato. Mi eroproposto di raccogliere in esso tutto quello che, comin-ciando a scrivere, pensavo di sapere sulla natura dellecose materiali. Ma come i pittori, non potendo raffigura-re egualmente bene su una superficie piana tutte le di-verse facce di un solido, ne scelgono una delle principalie la mettono in luce, ombreggiando le altre in modo chesi possano vedere solo guardando quella: così, nel timo-re di non poter far entrare nel mio discorso tutto ciò cheavevo in mente, decisi di esporre con molta ampiezzasoltanto la mia concezione della luce; poi, di qui, ag-giungere qualcosa sul sole e sulle stelle fisse, da cui laluce, quasi interamente, proviene; e poi sui cieli che latrasmettono; sui pianeti, sulle comete, e sulla terra, chela riflettono; e, in particolare, su tutti i corpi che sonosulla terra, per il fatto che sono o colorati o trasparenti oluminosi; infine sull'uomo, perché ne è lo spettatore.Anzi, per mettere un po’ in ombra queste cose e poterdire più liberamente quel che ne pensavo senza essereobbligato a seguire o a confutare le opinioni accolte tra idotti, decisi di abbandonare tutto questo mondo qui alleloro dispute, e di parlare soltanto di quel che accadrebbein uno nuovo, se Dio creasse ora da qualche parte, neglispazi immaginari, abbastanza materia per comporlo, ene agitasse in vario modo e senza un ordine le diverse

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parti, così da formarne un caos tanto confuso quantopossono immaginarlo i poeti; e in seguito non facessealtro che prestare il suo concorso ordinario alla natura,lasciandola agire secondo le leggi da lui stabilite. De-scrissi così, in primo luogo, questa materia, e cercai dirappresentarla in modo tale, che nulla al mondo, misembra, vi è di più chiaro e intelligibile, salvo quanto èstato già detto di Dio e dell'anima: infatti supposi quasiespressamente che non ci fosse in essa nessuna di quelleforme e qualità di cui si disputa nelle Scuole, nè alcunacosa in generale la cui conoscenza non sia per noi cosìnaturale che non possiamo neppure fingere di ignorarla.In secondo luogo, mostrai quali sono le leggi della natu-ra; e senza sostenere i miei ragionamenti con nessun al-tro principio, ma solo con le perfezioni infinite di Dio,mi sforzai di dare la dimostrazione di tutte le leggi dicui si poteva aver qualche dubbio, e di far vedere chesono tali, che se anche Dio avesse creato molti mondi,non ce ne sarebbe nessuno in cui non verrebbero osser-vate. Dopo di che, mostrai che la maggior parte dellamateria di questo caos doveva, secondo quelle leggi, di-sporsi e ordinarsi in un certo modo che la rendeva simileai nostri cieli; e come, nel frattempo, alcune parti dove-vano comporre una terra, altre pianeti e comete, altreancora un sole e stelle fisse. E qui, soffermandomisull'argomento della luce, spiegai molto a lungo la natu-ra di quella che doveva trovarsi nel sole e nelle stelle, ecome di là attraversava in un istante gli spazi immensidei cieli, e come veniva riflessa dai pianeti e dalle co-

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parti, così da formarne un caos tanto confuso quantopossono immaginarlo i poeti; e in seguito non facessealtro che prestare il suo concorso ordinario alla natura,lasciandola agire secondo le leggi da lui stabilite. De-scrissi così, in primo luogo, questa materia, e cercai dirappresentarla in modo tale, che nulla al mondo, misembra, vi è di più chiaro e intelligibile, salvo quanto èstato già detto di Dio e dell'anima: infatti supposi quasiespressamente che non ci fosse in essa nessuna di quelleforme e qualità di cui si disputa nelle Scuole, nè alcunacosa in generale la cui conoscenza non sia per noi cosìnaturale che non possiamo neppure fingere di ignorarla.In secondo luogo, mostrai quali sono le leggi della natu-ra; e senza sostenere i miei ragionamenti con nessun al-tro principio, ma solo con le perfezioni infinite di Dio,mi sforzai di dare la dimostrazione di tutte le leggi dicui si poteva aver qualche dubbio, e di far vedere chesono tali, che se anche Dio avesse creato molti mondi,non ce ne sarebbe nessuno in cui non verrebbero osser-vate. Dopo di che, mostrai che la maggior parte dellamateria di questo caos doveva, secondo quelle leggi, di-sporsi e ordinarsi in un certo modo che la rendeva simileai nostri cieli; e come, nel frattempo, alcune parti dove-vano comporre una terra, altre pianeti e comete, altreancora un sole e stelle fisse. E qui, soffermandomisull'argomento della luce, spiegai molto a lungo la natu-ra di quella che doveva trovarsi nel sole e nelle stelle, ecome di là attraversava in un istante gli spazi immensidei cieli, e come veniva riflessa dai pianeti e dalle co-

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mete verso la terra. Aggiunsi ancora molte cose sulla so-stanza, la posizione, i movimenti e tutte le varie qualitàdi questi cieli ed astri; in modo che pensavo di dirne ab-bastanza da far capire che non si osserverebbe nulla inquelli del nostro mondo che non debba o almeno chenon possa apparire del tutto simile in quelli del mondoda me descritto. Di là venni a parlare, in particolare, del-la terra; a spiegare come, pur supponendo espressamen-te che Dio non abbia assegnato nessuna pesantezza allamateria di cui è composta, tutte le sue parti non manca-no tuttavia di tendere esattamente verso il centro; ecome, essendovi dell'acqua e dell'aria sulla sua superfi-cie, la disposizione dei cieli e degli astri e, in primo luo-go della luna vi dovesse determinare un flusso e riflussosimile, in tutti i particolari, a quello che osserviamo neinostri mari; e a parlare inoltre di un certo movimentodell'acqua e dell'aria da oriente a occidente, come lo siosserva anche fra i tropici; e del modo in cui le monta-gne, i mari, le sorgenti e i fiumi potevano formarsi sullaterra naturalmente, e i metalli ammassarsi nelle miniere,le piante crescere nei campi; e come in generale poteva-no generarsi tutti quei corpi che chiamiamo mosti ocomposti. E poiché dopo gli astri non conosco nulla almondo che produca la luce se non il fuoco, mi sforzaitra le altre cose di spiegare molto chiaramente tutto ciòche appartiene alla sua natura, come nasce e come si ali-menta; come mai a volte ci sia calore senza luce, e avolte luce senza calore; come possa far assumere a di-versi corpi diversi colori e varie altre qualità; come pro-

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mete verso la terra. Aggiunsi ancora molte cose sulla so-stanza, la posizione, i movimenti e tutte le varie qualitàdi questi cieli ed astri; in modo che pensavo di dirne ab-bastanza da far capire che non si osserverebbe nulla inquelli del nostro mondo che non debba o almeno chenon possa apparire del tutto simile in quelli del mondoda me descritto. Di là venni a parlare, in particolare, del-la terra; a spiegare come, pur supponendo espressamen-te che Dio non abbia assegnato nessuna pesantezza allamateria di cui è composta, tutte le sue parti non manca-no tuttavia di tendere esattamente verso il centro; ecome, essendovi dell'acqua e dell'aria sulla sua superfi-cie, la disposizione dei cieli e degli astri e, in primo luo-go della luna vi dovesse determinare un flusso e riflussosimile, in tutti i particolari, a quello che osserviamo neinostri mari; e a parlare inoltre di un certo movimentodell'acqua e dell'aria da oriente a occidente, come lo siosserva anche fra i tropici; e del modo in cui le monta-gne, i mari, le sorgenti e i fiumi potevano formarsi sullaterra naturalmente, e i metalli ammassarsi nelle miniere,le piante crescere nei campi; e come in generale poteva-no generarsi tutti quei corpi che chiamiamo mosti ocomposti. E poiché dopo gli astri non conosco nulla almondo che produca la luce se non il fuoco, mi sforzaitra le altre cose di spiegare molto chiaramente tutto ciòche appartiene alla sua natura, come nasce e come si ali-menta; come mai a volte ci sia calore senza luce, e avolte luce senza calore; come possa far assumere a di-versi corpi diversi colori e varie altre qualità; come pro-

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vochi la fusione di alcuni, e altri ne indurisca; comepossa consumarli quasi tutti, o mutarli in cenere e fumo;infine come da queste ceneri per la sola violenza dellasua azione possa formare il vetro, giacché questa tra-sformazione delle ceneri in vetro è più straordinaria diqualsiasi altra in natura, e mi piacque descriverla inmodo particolare.Da questo tuttavia non volevo concludere che il nostromondo sia stato creato nel modo da me descritto; perchéè molto più probabile che Dio l'abbia fatto dal principiocome doveva essere. Ma è certo, ed è un opinione co-munemente accettata dai teologi, che l'azione con cuiora lo conserva è proprio la stessa di quella con cui l'hacreato; onde è pensabile, senza far torto al miracolo del-la creazione, che quand'anche non gli avesse dato all'ini-zio altra forma che quella del caos, bastava che, una vol-ta stabilite le leggi della natura, gli prestasse il suo con-corso per farla agire come suole, e già per questo tutte lecose che sono semplicemente materiali avrebbero potu-to, col tempo, diventare quali ora le vediamo. E la loronatura è ben più facile da concepire quando si osservanonascere a poco a poco in questo modo, che non quandosi vedono bell'e fatte.Dalla descrizione dei corpi inanimati e delle piante pas-sai a quella degli animali, in particolare a quelladell'uomo. Ma poiché non ne avevo ancora una cono-scenza sufficiente per parlarne con lo stesso metodousato per le altre cose, e cioè dimostrando gli effetti me-diante le cause e indicando da quali elementi e in qual

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vochi la fusione di alcuni, e altri ne indurisca; comepossa consumarli quasi tutti, o mutarli in cenere e fumo;infine come da queste ceneri per la sola violenza dellasua azione possa formare il vetro, giacché questa tra-sformazione delle ceneri in vetro è più straordinaria diqualsiasi altra in natura, e mi piacque descriverla inmodo particolare.Da questo tuttavia non volevo concludere che il nostromondo sia stato creato nel modo da me descritto; perchéè molto più probabile che Dio l'abbia fatto dal principiocome doveva essere. Ma è certo, ed è un opinione co-munemente accettata dai teologi, che l'azione con cuiora lo conserva è proprio la stessa di quella con cui l'hacreato; onde è pensabile, senza far torto al miracolo del-la creazione, che quand'anche non gli avesse dato all'ini-zio altra forma che quella del caos, bastava che, una vol-ta stabilite le leggi della natura, gli prestasse il suo con-corso per farla agire come suole, e già per questo tutte lecose che sono semplicemente materiali avrebbero potu-to, col tempo, diventare quali ora le vediamo. E la loronatura è ben più facile da concepire quando si osservanonascere a poco a poco in questo modo, che non quandosi vedono bell'e fatte.Dalla descrizione dei corpi inanimati e delle piante pas-sai a quella degli animali, in particolare a quelladell'uomo. Ma poiché non ne avevo ancora una cono-scenza sufficiente per parlarne con lo stesso metodousato per le altre cose, e cioè dimostrando gli effetti me-diante le cause e indicando da quali elementi e in qual

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modo la natura debba produrli, mi contentai di supporreche Dio formasse il corpo di un uomo del tutto simile auno dei nostri sia nell'aspetto esteriore delle membra chenella conformazione interna dei suoi organi, e usando lastessa materia da me descritta. E che al principio non in-fondesse in lui nessun'anima ragionevole, né altro chegli servisse da anima vegetativa o sensitiva, ma solo gliaccendesse nel cuore uno di quei fuochi senza luce cheavevo già spiegato e la cui natura mi pareva la stessa diquello che riscalda il fieno, quando lo si rinchiude primache sia secco, o che fa bollire il vino nuovo quando silascia fermentare insieme ai raspi. Perché, esaminandole funzioni possibili in questo corpo secondo la mia ipo-tesi, vi ritrovai proprio tutte quelle che possono essere innoi senza che vi pensiamo, e dunque senza che ad essecontribuisca la nostra mente, cioè quella parte distintadal corpo della quale ho detto sopra che la sua natura èsoltanto di pensare. Erano, tutte, le stesse funzioni percui possiamo dire che gli animali privi di ragione ci so-migliano. Ma con quell'ipotesi non potevo trovarne nes-suna di quelle che, dipendendo dal pensiero, sono lesole che ci appartengono in quanto siamo uomini; men-tre ce le ritrovavo tutte dopo, supponendo che Dio aves-se creato un'anima ragionevole, e l'avesse unita a questocorpo in una certa maniera, che pure descrivevo.Per mostrare in che modo trattavo questo argomento,voglio mettere qui la spiegazione del movimento delcuore e delle arterie, che è il primo e il più generale diquelli che si osservano negli animali, sicché da esso si

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modo la natura debba produrli, mi contentai di supporreche Dio formasse il corpo di un uomo del tutto simile auno dei nostri sia nell'aspetto esteriore delle membra chenella conformazione interna dei suoi organi, e usando lastessa materia da me descritta. E che al principio non in-fondesse in lui nessun'anima ragionevole, né altro chegli servisse da anima vegetativa o sensitiva, ma solo gliaccendesse nel cuore uno di quei fuochi senza luce cheavevo già spiegato e la cui natura mi pareva la stessa diquello che riscalda il fieno, quando lo si rinchiude primache sia secco, o che fa bollire il vino nuovo quando silascia fermentare insieme ai raspi. Perché, esaminandole funzioni possibili in questo corpo secondo la mia ipo-tesi, vi ritrovai proprio tutte quelle che possono essere innoi senza che vi pensiamo, e dunque senza che ad essecontribuisca la nostra mente, cioè quella parte distintadal corpo della quale ho detto sopra che la sua natura èsoltanto di pensare. Erano, tutte, le stesse funzioni percui possiamo dire che gli animali privi di ragione ci so-migliano. Ma con quell'ipotesi non potevo trovarne nes-suna di quelle che, dipendendo dal pensiero, sono lesole che ci appartengono in quanto siamo uomini; men-tre ce le ritrovavo tutte dopo, supponendo che Dio aves-se creato un'anima ragionevole, e l'avesse unita a questocorpo in una certa maniera, che pure descrivevo.Per mostrare in che modo trattavo questo argomento,voglio mettere qui la spiegazione del movimento delcuore e delle arterie, che è il primo e il più generale diquelli che si osservano negli animali, sicché da esso si

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può facilmente giudicare cosa si debba pensare di tuttigli altri. E perché risulti meno difficile capire quel chene dirò, vorrei che quelli che non sanno nulla di anato-mia si dessero la pena, prima di leggere queste pagine,di farsi mostrare il cuore tagliato di un grande animaledotato di polmoni, perché è simile in tutto a quello uma-no, e di farsi indicare le due camere o cavità che vi sitrovano. Per prima, quella del lato destro, alla quale cor-rispondono due condotti molto larghi: cioè la vena cava,che è il principale ricettacolo del sangue e come il tron-co di un albero di cui tutte le altre vene, nel corpo, sonoi rami; e la vena arteriosa, chiamata così impropriamen-te, perché è in realtà un'arteria, che ha origine nel cuoree si divide dopo esserne uscita in molti rami che siespandono per tutti i polmoni. Poi, la cavità del lato si-nistro, alla quale corrispondono allo stesso modo duecondotti altrettanto o anche più larghi dei precedenti:cioè l'arteria venosa, che ha anch'essa un nome impro-prio perché non è che una vena che viene dai polmoni,dove è divisa in molti rami intrecciati a quelli della venaarteriosa e del condotto dal quale entra l'aria che respi-riamo; e la grande arteria, che uscendo dal cuore irrag-gia i suoi rami in tutto il corpo. Vorrei anche che si fa-cessero mostrare con cura le undici pellicole che con lealtrettante valvole aprono e chiudono le quattro apertureche si trovano nelle due cavità: e cioè tre all'ingressodella vena cava, dove sono disposte in modo da consen-tire al sangue contenuto in essa di passare nella cavitàdestra del cuore, mentre gli impediscono completamente

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può facilmente giudicare cosa si debba pensare di tuttigli altri. E perché risulti meno difficile capire quel chene dirò, vorrei che quelli che non sanno nulla di anato-mia si dessero la pena, prima di leggere queste pagine,di farsi mostrare il cuore tagliato di un grande animaledotato di polmoni, perché è simile in tutto a quello uma-no, e di farsi indicare le due camere o cavità che vi sitrovano. Per prima, quella del lato destro, alla quale cor-rispondono due condotti molto larghi: cioè la vena cava,che è il principale ricettacolo del sangue e come il tron-co di un albero di cui tutte le altre vene, nel corpo, sonoi rami; e la vena arteriosa, chiamata così impropriamen-te, perché è in realtà un'arteria, che ha origine nel cuoree si divide dopo esserne uscita in molti rami che siespandono per tutti i polmoni. Poi, la cavità del lato si-nistro, alla quale corrispondono allo stesso modo duecondotti altrettanto o anche più larghi dei precedenti:cioè l'arteria venosa, che ha anch'essa un nome impro-prio perché non è che una vena che viene dai polmoni,dove è divisa in molti rami intrecciati a quelli della venaarteriosa e del condotto dal quale entra l'aria che respi-riamo; e la grande arteria, che uscendo dal cuore irrag-gia i suoi rami in tutto il corpo. Vorrei anche che si fa-cessero mostrare con cura le undici pellicole che con lealtrettante valvole aprono e chiudono le quattro apertureche si trovano nelle due cavità: e cioè tre all'ingressodella vena cava, dove sono disposte in modo da consen-tire al sangue contenuto in essa di passare nella cavitàdestra del cuore, mentre gli impediscono completamente

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di uscirne; tre all'ingresso della vena arteriosa che, di-sposte in senso contrario, consentono sì al sangue che èin questa cavità di andare nei polmoni ma non a quelloche è nei polmoni di tornarvi; e ancora, altre dueall'ingresso dell'arteria venosa, che lasciano scorrere ilsangue dai polmoni verso la cavità sinistra del cuore, mane impediscono il ritorno; tre all'ingresso della grandearteria, che gli consentono di uscire dal cuore, ma gliimpediscono di rifluirvi. Non c'è bisogno di cercareun'altra ragione del numero delle valvole, se non chel'apertura dell'arteria venosa, essendo ovale, a causa delluogo in cui si trova, può essere facilmente chiusa dadue, mentre per le altre, che sono rotonde, ne occorronotre. Inoltre, vorrei che si considerasse che la grande arte-ria e la vena arteriosa sono di un composto molto piùduro e solido dell'arteria venosa e della vena cava; e chequeste ultime prima di introdursi nel cuore si allarganoformando come due borse che son dette orecchiette delcuore, e son fatte di una carne simile alla sua; e vorreiche si osservasse come nel cuore ci sia sempre unaquantità di calore maggiore che in ogni altra parte delcorpo; infine che questo calore maggiore fa sì che quan-do qualche goccia di sangue penetra nelle sue cavità, su-bito si formi e si dilati, come accade in generale a tutti iliquidi che si lasciano cadere goccia a goccia in un reci-piente molto caldo.Dopo di ciò, non ho bisogno di dire altro, per spiegare ilmovimento del cuore, se non che, quando le cavità sonovuote, il sangue fluisce necessariamente dalla vena cava

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di uscirne; tre all'ingresso della vena arteriosa che, di-sposte in senso contrario, consentono sì al sangue che èin questa cavità di andare nei polmoni ma non a quelloche è nei polmoni di tornarvi; e ancora, altre dueall'ingresso dell'arteria venosa, che lasciano scorrere ilsangue dai polmoni verso la cavità sinistra del cuore, mane impediscono il ritorno; tre all'ingresso della grandearteria, che gli consentono di uscire dal cuore, ma gliimpediscono di rifluirvi. Non c'è bisogno di cercareun'altra ragione del numero delle valvole, se non chel'apertura dell'arteria venosa, essendo ovale, a causa delluogo in cui si trova, può essere facilmente chiusa dadue, mentre per le altre, che sono rotonde, ne occorronotre. Inoltre, vorrei che si considerasse che la grande arte-ria e la vena arteriosa sono di un composto molto piùduro e solido dell'arteria venosa e della vena cava; e chequeste ultime prima di introdursi nel cuore si allarganoformando come due borse che son dette orecchiette delcuore, e son fatte di una carne simile alla sua; e vorreiche si osservasse come nel cuore ci sia sempre unaquantità di calore maggiore che in ogni altra parte delcorpo; infine che questo calore maggiore fa sì che quan-do qualche goccia di sangue penetra nelle sue cavità, su-bito si formi e si dilati, come accade in generale a tutti iliquidi che si lasciano cadere goccia a goccia in un reci-piente molto caldo.Dopo di ciò, non ho bisogno di dire altro, per spiegare ilmovimento del cuore, se non che, quando le cavità sonovuote, il sangue fluisce necessariamente dalla vena cava

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in quella di destra, e dall'arteria venosa in quella di sini-stra; perché i due vasi sono sempre pieni, e le loro aper-ture, che guardano verso il cuore, non possono allora es-sere chiuse; ma appena due gocce di sangue entrano unain ciascuna cavità – e tali gocce sono per forza assaigrosse, perché le valvole da cui entrano sono molto lar-ghe e i vasi da cui vengono sono molto pieni – esse sirarefanno e si dilatano a causa del calore che vi trovano,e così, facendo gonfiare tutto il cuore, spingono e chiu-dono le cinque valvole che stanno all'entrata dei vasi dacui provengono, impedendo in tal modo che altro san-gue scenda nel cuore; e continuando a rarefarsi semprepiù spingono e aprono le altre sei valvole, che sonoall'ingresso degli altri due vasi da cui escono, facendocosì gonfiare tutti i rami della vena arteriosa e dellagrande arteria, quasi nello stesso istante che il cuore; ilquale, subito dopo si gonfia, come anche le arterie, per-ché il sangue che è entrato vi si raffredda e le loro seivalvole si chiudono mentre le cinque della vena cava edella arteria venosa si riaprono, consentendo ad altredue gocce di passare e di far gonfiare di nuovo il cuore ele arterie, proprio come le precedenti. E poiché il sangueche entra così nel cuore passa attraverso quelle due bor-se che sono dette orecchiette, il movimento di queste ècontrario al suo, ed esse si gonfiano quando quello sigonfia. Del resto, perché quelli che ignorano la forzadelle dimostrazioni matematiche e non sono abituati adistinguere le vere ragioni dalle verosimili non ardisca-no negare tutto ciò senza esaminarlo, voglio avvertirvi

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in quella di destra, e dall'arteria venosa in quella di sini-stra; perché i due vasi sono sempre pieni, e le loro aper-ture, che guardano verso il cuore, non possono allora es-sere chiuse; ma appena due gocce di sangue entrano unain ciascuna cavità – e tali gocce sono per forza assaigrosse, perché le valvole da cui entrano sono molto lar-ghe e i vasi da cui vengono sono molto pieni – esse sirarefanno e si dilatano a causa del calore che vi trovano,e così, facendo gonfiare tutto il cuore, spingono e chiu-dono le cinque valvole che stanno all'entrata dei vasi dacui provengono, impedendo in tal modo che altro san-gue scenda nel cuore; e continuando a rarefarsi semprepiù spingono e aprono le altre sei valvole, che sonoall'ingresso degli altri due vasi da cui escono, facendocosì gonfiare tutti i rami della vena arteriosa e dellagrande arteria, quasi nello stesso istante che il cuore; ilquale, subito dopo si gonfia, come anche le arterie, per-ché il sangue che è entrato vi si raffredda e le loro seivalvole si chiudono mentre le cinque della vena cava edella arteria venosa si riaprono, consentendo ad altredue gocce di passare e di far gonfiare di nuovo il cuore ele arterie, proprio come le precedenti. E poiché il sangueche entra così nel cuore passa attraverso quelle due bor-se che sono dette orecchiette, il movimento di queste ècontrario al suo, ed esse si gonfiano quando quello sigonfia. Del resto, perché quelli che ignorano la forzadelle dimostrazioni matematiche e non sono abituati adistinguere le vere ragioni dalle verosimili non ardisca-no negare tutto ciò senza esaminarlo, voglio avvertirvi

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che il movimento che ho appena spiegato deriva dallasola disposizione degli organi visibile nel cuore, dal ca-lore che vi si può avvertire con le dita, e dalla natura delsangue che è nota per esperienza, con una necessità paria quella del movimento che in un orologio dipende dallaforza, dalla posizione e dalla forma dei contrappesi edelle ruote.Ma se si domanda perché il sangue delle vene non siesaurisca passando così di continuo nel cuore, e perchéle arterie non se ne riempiano troppo dal momento chetutto quello che passa dal cuore si riversa in esse, mi ba-sta rispondere con quel che ha già scritto un medico in-glese, il quale va lodato per avere rotto il ghiaccio suquesto punto, e per essere stato il primo a insegnare checi sono alle estremità delle arterie molti piccoli passaggiattraverso i quali il sangue che ricevono dal cuore pene-tra nelle piccole ramificazioni delle vene, e di qui tornadi nuovo al cuore, di modo che il suo corso non è altroche una circolazione ininterrotta. E questo lo prova assaibene con l'esperienza ordinaria dei chirurghi, che, legatoil braccio senza stringere troppo al di sopra del punto incui incidono una vena, fanno sì che il sangue ne esca piùabbondante che se non l'avessero legato. Accadrebbeproprio il contrario che se la legatura fosse al di sotto,tra la mano e il punto di incisione, o anche se fosse al disopra e molto stretta. È chiaro infatti che la legaturapoco stretta può impedire al sangue che è nel braccio ditornare al cuore attraverso le vene, ma non che continuiad arrivarne di nuovo alle arterie, perché sono poste sot-

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che il movimento che ho appena spiegato deriva dallasola disposizione degli organi visibile nel cuore, dal ca-lore che vi si può avvertire con le dita, e dalla natura delsangue che è nota per esperienza, con una necessità paria quella del movimento che in un orologio dipende dallaforza, dalla posizione e dalla forma dei contrappesi edelle ruote.Ma se si domanda perché il sangue delle vene non siesaurisca passando così di continuo nel cuore, e perchéle arterie non se ne riempiano troppo dal momento chetutto quello che passa dal cuore si riversa in esse, mi ba-sta rispondere con quel che ha già scritto un medico in-glese, il quale va lodato per avere rotto il ghiaccio suquesto punto, e per essere stato il primo a insegnare checi sono alle estremità delle arterie molti piccoli passaggiattraverso i quali il sangue che ricevono dal cuore pene-tra nelle piccole ramificazioni delle vene, e di qui tornadi nuovo al cuore, di modo che il suo corso non è altroche una circolazione ininterrotta. E questo lo prova assaibene con l'esperienza ordinaria dei chirurghi, che, legatoil braccio senza stringere troppo al di sopra del punto incui incidono una vena, fanno sì che il sangue ne esca piùabbondante che se non l'avessero legato. Accadrebbeproprio il contrario che se la legatura fosse al di sotto,tra la mano e il punto di incisione, o anche se fosse al disopra e molto stretta. È chiaro infatti che la legaturapoco stretta può impedire al sangue che è nel braccio ditornare al cuore attraverso le vene, ma non che continuiad arrivarne di nuovo alle arterie, perché sono poste sot-

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to le vene, e hanno un tessuto più duro, meno facile dacomprimere; e anche perché il sangue che viene dalcuore tende attraverso le arterie ad andare attraverso lamano con una forza maggiore di quella che ha quandotorna di là al cuore, nelle vene. E poiché il sangue escedal braccio attraverso l'incisione fatta in una vena, cideve essere necessariamente qualche passaggio al disotto dei legacci, e cioè verso le estremità dell'arto, at-traverso cui possa arrivare dalle arterie. Inoltre, egli pro-va molto bene quel che dice della circolazione del san-gue con certe piccole pellicole disposte in diversi puntilungo le vene in modo da non permettergli il passaggiodal centro del corpo alle estremità, ma solo di tornaredalla periferia al cuore; e ancora, con l'esperienza che ciinsegna come tutto il sangue contenuto nel corpo possafuoriuscire in pochissimo tempo da una sola arteria,quand'è recisa, anche se fosse legata strettamente e vici-nissimo al cuore, e tagliata tra questo e il legaccio, inmodo che non si possa immaginare che il sangue che neesce venga da una parte diversa.Ma ci sono molti altri fatti che confermano che la veracausa del movimento del sangue è quella da me indica-ta. Come, in primo luogo, la differenza che si nota daquello che esce dalle vene e quello che esce dalle arte-rie, e che non può dipendere se non da questo, che es-sendosi rarefatto passando per il cuore e quasi distillato,è più sottile, più vivo e più caldo subito dopo esserneuscito, cioè quando è nelle arterie, che non poco primadi entrarvi, ossia quando è nelle vene; se si fa attenzione

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to le vene, e hanno un tessuto più duro, meno facile dacomprimere; e anche perché il sangue che viene dalcuore tende attraverso le arterie ad andare attraverso lamano con una forza maggiore di quella che ha quandotorna di là al cuore, nelle vene. E poiché il sangue escedal braccio attraverso l'incisione fatta in una vena, cideve essere necessariamente qualche passaggio al disotto dei legacci, e cioè verso le estremità dell'arto, at-traverso cui possa arrivare dalle arterie. Inoltre, egli pro-va molto bene quel che dice della circolazione del san-gue con certe piccole pellicole disposte in diversi puntilungo le vene in modo da non permettergli il passaggiodal centro del corpo alle estremità, ma solo di tornaredalla periferia al cuore; e ancora, con l'esperienza che ciinsegna come tutto il sangue contenuto nel corpo possafuoriuscire in pochissimo tempo da una sola arteria,quand'è recisa, anche se fosse legata strettamente e vici-nissimo al cuore, e tagliata tra questo e il legaccio, inmodo che non si possa immaginare che il sangue che neesce venga da una parte diversa.Ma ci sono molti altri fatti che confermano che la veracausa del movimento del sangue è quella da me indica-ta. Come, in primo luogo, la differenza che si nota daquello che esce dalle vene e quello che esce dalle arte-rie, e che non può dipendere se non da questo, che es-sendosi rarefatto passando per il cuore e quasi distillato,è più sottile, più vivo e più caldo subito dopo esserneuscito, cioè quando è nelle arterie, che non poco primadi entrarvi, ossia quando è nelle vene; se si fa attenzione

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si osserverà che questa differenza è più visibile vicino alcuore e meno nei punti più distanti. La durezza dei tes-suti di cui sono composte la vena arteriosa e la grandearteria mostra poi a sufficienza che il sangue batte conmaggior forza qui che non nelle vene. E perché mai lacavità sinistra del cuore e la grande arteria sarebbero piùampie e più larghe di quella destra, e della vena arterio-sa, se non fosse che il sangue dell'arteria venosa, essen-do stato solo nei polmoni dopo essere passato dal cuore,è più sottile e si rarefà di più e più facilmente di quelloche viene immediatamente dalla vena cava? E che cosapotrebbero mai capire i medici quando sentono il polso,se non sapessero che, secondo che muti la sua natura, ilsangue può rarefarsi per il calore del cuore più o menofortemente e più o meno in fretta di prima? Se poi sicerca come questo calore si comunichi alle altre mem-bra, non si deve forse ammettere che avviene per mezzodel sangue che passando attraverso il cuore si riscalda edi qui si espande in tutto il corpo? Per questo, se si to-glie il sangue da una parte, se ne toglie anche il calore; eanche se il cuore ardesse come ferro rovente, non baste-rebbe a scaldare le mani e i piedi, come fa, se non vimandasse in continuazione nuovo sangue. Inoltre, sicomprende da ciò che la vera funzione della respirazio-ne è di portare nei polmoni tanta aria fresca da consenti-re al sangue che viene dalla cavità destra del cuore,dove si è rarefatto e quasi trasformato in vapore, diispessirsi e convertirsi di nuovo in sangue prima di ri-fluire nella cavità di sinistra; senza di che non sarebbe

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si osserverà che questa differenza è più visibile vicino alcuore e meno nei punti più distanti. La durezza dei tes-suti di cui sono composte la vena arteriosa e la grandearteria mostra poi a sufficienza che il sangue batte conmaggior forza qui che non nelle vene. E perché mai lacavità sinistra del cuore e la grande arteria sarebbero piùampie e più larghe di quella destra, e della vena arterio-sa, se non fosse che il sangue dell'arteria venosa, essen-do stato solo nei polmoni dopo essere passato dal cuore,è più sottile e si rarefà di più e più facilmente di quelloche viene immediatamente dalla vena cava? E che cosapotrebbero mai capire i medici quando sentono il polso,se non sapessero che, secondo che muti la sua natura, ilsangue può rarefarsi per il calore del cuore più o menofortemente e più o meno in fretta di prima? Se poi sicerca come questo calore si comunichi alle altre mem-bra, non si deve forse ammettere che avviene per mezzodel sangue che passando attraverso il cuore si riscalda edi qui si espande in tutto il corpo? Per questo, se si to-glie il sangue da una parte, se ne toglie anche il calore; eanche se il cuore ardesse come ferro rovente, non baste-rebbe a scaldare le mani e i piedi, come fa, se non vimandasse in continuazione nuovo sangue. Inoltre, sicomprende da ciò che la vera funzione della respirazio-ne è di portare nei polmoni tanta aria fresca da consenti-re al sangue che viene dalla cavità destra del cuore,dove si è rarefatto e quasi trasformato in vapore, diispessirsi e convertirsi di nuovo in sangue prima di ri-fluire nella cavità di sinistra; senza di che non sarebbe

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adatto ad alimentare il fuoco che vi si trova. Il che èconfermato dall'osservazione che gli animali privi dipolmoni hanno nel cuore una sola cavità, e che i bambi-ni non possono servirsene mentre sono rinchiusi nelventre materno hanno una apertura attraverso la quale ilsangue va dalla vena cava nella cavità sinistra del cuore,e un condotto attraverso il quale dalla vena arteriosaviene nella grande arteria, senza passare dal polmone. Epoi, come avverrebbe la digestione nello stomaco, se ilcuore non vi mandasse calore attraverso le arterie e in-sieme alcune delle parti più fluide del sangue che aiuta-no a sciogliere il cibo digerito? Ancora, l'azione che tra-sforma il succo di questi cibi in sangue, non si compren-de forse facilmente se si considera che, passando e ri-passando per il cuore, si distilla forse più di cento o due-cento volte al giorno? Non occorre dire altro, allora, perspiegare la nutrizione e la produzione dei diversi umoridel corpo, se non che la forza con cui il sangue rarefa-cendosi passa dal cuore verso le estremità delle arteriefa sì che alcune delle sue parti si arrestino fra quelle del-le membra in cui si trovano, prendendovi il posto di al-tre parti di sangue che di lì espellono; e che secondo laposizione, la figura o la piccolezza dei pori in cui si im-battono, solo alcune vanno a finire in certi luoghi, comeognuno può aver visto con i setacci diversamente foratiche servono a separare gli uni dagli altri grani diversi.Infine, il fatto più notevole in tutto questo è la genera-zione degli spiriti animali, che sono come un vento sot-tilissimo, o piuttosto come una fiamma molto pura e

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adatto ad alimentare il fuoco che vi si trova. Il che èconfermato dall'osservazione che gli animali privi dipolmoni hanno nel cuore una sola cavità, e che i bambi-ni non possono servirsene mentre sono rinchiusi nelventre materno hanno una apertura attraverso la quale ilsangue va dalla vena cava nella cavità sinistra del cuore,e un condotto attraverso il quale dalla vena arteriosaviene nella grande arteria, senza passare dal polmone. Epoi, come avverrebbe la digestione nello stomaco, se ilcuore non vi mandasse calore attraverso le arterie e in-sieme alcune delle parti più fluide del sangue che aiuta-no a sciogliere il cibo digerito? Ancora, l'azione che tra-sforma il succo di questi cibi in sangue, non si compren-de forse facilmente se si considera che, passando e ri-passando per il cuore, si distilla forse più di cento o due-cento volte al giorno? Non occorre dire altro, allora, perspiegare la nutrizione e la produzione dei diversi umoridel corpo, se non che la forza con cui il sangue rarefa-cendosi passa dal cuore verso le estremità delle arteriefa sì che alcune delle sue parti si arrestino fra quelle del-le membra in cui si trovano, prendendovi il posto di al-tre parti di sangue che di lì espellono; e che secondo laposizione, la figura o la piccolezza dei pori in cui si im-battono, solo alcune vanno a finire in certi luoghi, comeognuno può aver visto con i setacci diversamente foratiche servono a separare gli uni dagli altri grani diversi.Infine, il fatto più notevole in tutto questo è la genera-zione degli spiriti animali, che sono come un vento sot-tilissimo, o piuttosto come una fiamma molto pura e

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molto viva che, salendo in continuazione e in grande ab-bondanza dal cuore al cervello, va a finire di là, attraver-so i nervi, nei muscoli, e dà movimento a tutte le mem-bra. E non c'è bisogno di immaginare un altra causa chefaccia muovere le parti del sangue più agitate e pene-tranti, e quindi più adatte a formare questi spiriti, versoil cervello piuttosto che in una direzione diversa, se nonche le arterie che le trasportano sono quelle che vengo-no più direttamente dal cuore, e secondo le leggi dellameccanica, che sono le stesse leggi della natura, quandomolte cose tendono insieme a muoversi verso una stessaparte dove non c'è abbastanza posto per tutte, come ac-cade alle parti del sangue che uscendo dalla cavità sini-stra del cuore vanno verso il cervello, le più deboli emeno mobili sono deviate dalle più forti, che così vigiungono sole.Tutte queste cose le avevo spiegate con molti particolarinel trattato che mi proponevo allora di pubblicare. Diseguito avevo mostrato quale dev'essere la struttura deinervi e dei muscoli del corpo umano per far sì che glispiriti animali, standovi dentro, abbiano la forza di muo-vere le sue membra: come si vede nelle teste da poco ta-gliate che ancora si muovono e mordon la terra, benchéinanimate. Inoltre, quali mutamenti devono avvenire nelcervello per causare la veglia, il sonno, i sogni; e comela luce, i suoni, gli odori, i sapori, il caldo e tutte le altrequalità degli oggetti esterni possano imprimervi idee di-verse attraverso i sensi; e la fame, la sete e le altre pas-sioni interne possano inviarvi altresì le loro; quale sua

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molto viva che, salendo in continuazione e in grande ab-bondanza dal cuore al cervello, va a finire di là, attraver-so i nervi, nei muscoli, e dà movimento a tutte le mem-bra. E non c'è bisogno di immaginare un altra causa chefaccia muovere le parti del sangue più agitate e pene-tranti, e quindi più adatte a formare questi spiriti, versoil cervello piuttosto che in una direzione diversa, se nonche le arterie che le trasportano sono quelle che vengo-no più direttamente dal cuore, e secondo le leggi dellameccanica, che sono le stesse leggi della natura, quandomolte cose tendono insieme a muoversi verso una stessaparte dove non c'è abbastanza posto per tutte, come ac-cade alle parti del sangue che uscendo dalla cavità sini-stra del cuore vanno verso il cervello, le più deboli emeno mobili sono deviate dalle più forti, che così vigiungono sole.Tutte queste cose le avevo spiegate con molti particolarinel trattato che mi proponevo allora di pubblicare. Diseguito avevo mostrato quale dev'essere la struttura deinervi e dei muscoli del corpo umano per far sì che glispiriti animali, standovi dentro, abbiano la forza di muo-vere le sue membra: come si vede nelle teste da poco ta-gliate che ancora si muovono e mordon la terra, benchéinanimate. Inoltre, quali mutamenti devono avvenire nelcervello per causare la veglia, il sonno, i sogni; e comela luce, i suoni, gli odori, i sapori, il caldo e tutte le altrequalità degli oggetti esterni possano imprimervi idee di-verse attraverso i sensi; e la fame, la sete e le altre pas-sioni interne possano inviarvi altresì le loro; quale sua

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parte si debba intendere come senso comune che acco-glie quelle idee; come memoria che le conserva; e comeimmaginazione, che può mutarle in diverse maniere eforgiarne di nuove, e con lo stesso mezzo, distribuendogli spiriti animali nei muscoli, può far muovere le mem-bra di quel corpo imprimendo in esso, sia in rapportoagli oggetti che si presentano ai sensi, sia in rapportoalle passioni interne, tutti quei movimenti di cui le no-stre membra sono capaci senza intervento della volontà.Il che non sembrerà per nulla strano a coloro che sapen-do quanti diversi automi, o macchine semoventi, puòcostruire l'industria umana, e con pochissimi pezzi, inconfronto alla grande quantità di ossa, muscoli, nervi,arterie, vene e tutte le altre parti che sono nel corpo diogni animale, considereranno questo corpo come unamacchina fatta dalle mani di Dio e quindi ordinata in-comparabilmente meglio e capace di movimenti più me-ravigliosi di qualunque altra gli uomini possano inventa-re.Qui in particolare mi ero fermato per far vedere che seci fossero macchine con organi e forma di scimmia o diqualche altro animale privo di ragione, non avremmonessun mezzo per accorgerci che non sono in tutto ugua-li a questi animali; mentre se ce ne fossero di somiglian-ti ai nostri corpi e capaci di imitare le nostre azioni perquanto è di fatto possibile, ci resterebbero sempre duemezzi sicurissimi per riconoscere che, non per questo,sono uomini veri. In primo luogo, non potrebbero maiusare parole o altri segni combinandoli come facciamo

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parte si debba intendere come senso comune che acco-glie quelle idee; come memoria che le conserva; e comeimmaginazione, che può mutarle in diverse maniere eforgiarne di nuove, e con lo stesso mezzo, distribuendogli spiriti animali nei muscoli, può far muovere le mem-bra di quel corpo imprimendo in esso, sia in rapportoagli oggetti che si presentano ai sensi, sia in rapportoalle passioni interne, tutti quei movimenti di cui le no-stre membra sono capaci senza intervento della volontà.Il che non sembrerà per nulla strano a coloro che sapen-do quanti diversi automi, o macchine semoventi, puòcostruire l'industria umana, e con pochissimi pezzi, inconfronto alla grande quantità di ossa, muscoli, nervi,arterie, vene e tutte le altre parti che sono nel corpo diogni animale, considereranno questo corpo come unamacchina fatta dalle mani di Dio e quindi ordinata in-comparabilmente meglio e capace di movimenti più me-ravigliosi di qualunque altra gli uomini possano inventa-re.Qui in particolare mi ero fermato per far vedere che seci fossero macchine con organi e forma di scimmia o diqualche altro animale privo di ragione, non avremmonessun mezzo per accorgerci che non sono in tutto ugua-li a questi animali; mentre se ce ne fossero di somiglian-ti ai nostri corpi e capaci di imitare le nostre azioni perquanto è di fatto possibile, ci resterebbero sempre duemezzi sicurissimi per riconoscere che, non per questo,sono uomini veri. In primo luogo, non potrebbero maiusare parole o altri segni combinandoli come facciamo

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noi per comunicare agli altri i nostri pensieri. Perché sipuò ben concepire che una macchina sia fatta in modotale da proferire parole, e ne proferisca anzi in relazionea movimenti corporei che provochino qualche cambia-mento nei suoi organi; che chieda, ad esempio, che cosasi vuole da lei se la si tocca in qualche punto, o se si toc-ca in un altro gridi che le si fa male e così via; ma non sipuò immaginare che possa combinarle in modi diversiper rispondere al senso di tutto quel che si dice in suapresenza, come possono fare gli uomini, anche i più ot-tusi. L'altro criterio è che quando pure facessero moltecose altrettanto bene o forse meglio di qualcuno di noi,fallirebbero inevitabilmente in altre, e si scoprirebbecosì che agiscono non in quanto conoscono, ma soltantoper la disposizione degli organi. Infatti mentre la ragio-ne è uno strumento universale, che può servire in ognipossibile occasione, quegli organi hanno bisogno di unaparticolare disposizione per ogni azione particolare; ed èpraticamente impossibile che in una macchina ce ne sia-no a sufficienza per consentirle di agire in tutte le circo-stanze della vita, come ce lo consente la nostra ragione.Ora, con questi due criteri si può conoscere anche la dif-ferenza che c'è tra gli uomini e i bruti. E assai noto chenon c'è uomo tanto ebete e stupido, neppure un pazzo,che non sia capace di mettere insieme diverse parole efarne un discorso per comunicare il suo pensiero; e cheal contrario non c'è altro animale, per quanto perfetto efelicemente creato, che possa fare lo stesso. Questo av-viene non per mancanza di organi, perché gazze e pap-

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noi per comunicare agli altri i nostri pensieri. Perché sipuò ben concepire che una macchina sia fatta in modotale da proferire parole, e ne proferisca anzi in relazionea movimenti corporei che provochino qualche cambia-mento nei suoi organi; che chieda, ad esempio, che cosasi vuole da lei se la si tocca in qualche punto, o se si toc-ca in un altro gridi che le si fa male e così via; ma non sipuò immaginare che possa combinarle in modi diversiper rispondere al senso di tutto quel che si dice in suapresenza, come possono fare gli uomini, anche i più ot-tusi. L'altro criterio è che quando pure facessero moltecose altrettanto bene o forse meglio di qualcuno di noi,fallirebbero inevitabilmente in altre, e si scoprirebbecosì che agiscono non in quanto conoscono, ma soltantoper la disposizione degli organi. Infatti mentre la ragio-ne è uno strumento universale, che può servire in ognipossibile occasione, quegli organi hanno bisogno di unaparticolare disposizione per ogni azione particolare; ed èpraticamente impossibile che in una macchina ce ne sia-no a sufficienza per consentirle di agire in tutte le circo-stanze della vita, come ce lo consente la nostra ragione.Ora, con questi due criteri si può conoscere anche la dif-ferenza che c'è tra gli uomini e i bruti. E assai noto chenon c'è uomo tanto ebete e stupido, neppure un pazzo,che non sia capace di mettere insieme diverse parole efarne un discorso per comunicare il suo pensiero; e cheal contrario non c'è altro animale, per quanto perfetto efelicemente creato, che possa fare lo stesso. Questo av-viene non per mancanza di organi, perché gazze e pap-

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pagalli sono in grado di articolare parole come noi, etuttavia non possono parlare come noi, mostrare cioèche pensano quel che dicono; mentre chi è nato sordo emuto, privato perciò come e più delle bestie degli organiche servono a parlare, suole inventare da sé segni con iquali si fa intendere da chi, standogli solitamente vicino,può apprendere facilmente il suo linguaggio. E questonon dimostra soltanto che gli animali sono meno ragio-nevoli degli uomini, ma che non lo sono per nulla. Per-ché vediamo che di ragione, per essere capaci di parlare,ce ne vuole assai poca; e poiché si osservano tra gli ani-mali di una medesima specie disuguaglianze, come cene sono anche tra gli uomini, e si nota che alcuni si pos-sono ammaestrare meglio di altri, sarebbe incredibileche una scimmia o un pappagallo che fossero tra i mi-gliori della loro specie non eguagliassero in questo unbambino dei più stupidi o almeno uno che abbia il cer-vello leso, se non avessero un anima di natura affatto di-versa dalla nostra. Né si devono confondere le parolecon i moti naturali che rivelano le passioni, e possonoessere imitati dalle macchine tanto bene quanto daglianimali; o pensare, come qualcuno nell'antichità che lebestie parlino anche se non ne intendiamo il linguaggio:se fosse vero, dal momento che molti dei loro organicorrispondono ai nostri, potrebbero farsi intendere tantobene da noi quanto dai loro simili. Ed è ancora assai no-tevole il fatto che, sebbene molti animali mostrino inqualche loro azione un abilità maggiore della nostra,non ne rivelino tuttavia nessuna in molte altre, per cui

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pagalli sono in grado di articolare parole come noi, etuttavia non possono parlare come noi, mostrare cioèche pensano quel che dicono; mentre chi è nato sordo emuto, privato perciò come e più delle bestie degli organiche servono a parlare, suole inventare da sé segni con iquali si fa intendere da chi, standogli solitamente vicino,può apprendere facilmente il suo linguaggio. E questonon dimostra soltanto che gli animali sono meno ragio-nevoli degli uomini, ma che non lo sono per nulla. Per-ché vediamo che di ragione, per essere capaci di parlare,ce ne vuole assai poca; e poiché si osservano tra gli ani-mali di una medesima specie disuguaglianze, come cene sono anche tra gli uomini, e si nota che alcuni si pos-sono ammaestrare meglio di altri, sarebbe incredibileche una scimmia o un pappagallo che fossero tra i mi-gliori della loro specie non eguagliassero in questo unbambino dei più stupidi o almeno uno che abbia il cer-vello leso, se non avessero un anima di natura affatto di-versa dalla nostra. Né si devono confondere le parolecon i moti naturali che rivelano le passioni, e possonoessere imitati dalle macchine tanto bene quanto daglianimali; o pensare, come qualcuno nell'antichità che lebestie parlino anche se non ne intendiamo il linguaggio:se fosse vero, dal momento che molti dei loro organicorrispondono ai nostri, potrebbero farsi intendere tantobene da noi quanto dai loro simili. Ed è ancora assai no-tevole il fatto che, sebbene molti animali mostrino inqualche loro azione un abilità maggiore della nostra,non ne rivelino tuttavia nessuna in molte altre, per cui

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quel che fanno meglio non prova che abbiano un intelli-genza, giacché se così fosse ne avrebbero più di chiun-que fra noi e riuscirebbero meglio in ogni cosa; provapiuttosto che non ne hanno affatto, e che ciò che agiscein essi è la natura, in virtù della disposizione dei loro or-gani: così come un orologio, fatto solo di ruote e di mol-le, può contare le ore e misurare il tempo con maggioreprecisione di quanto possiamo noi con tutto il nostrosenno.Avevo descritto, dopo di ciò, l'anima razionale, e mo-strato che non può in nessun modo essere tratta dalla po-tenza della materia, come le altre cose di cui avevo par-lato, ma deve essere creata appositamente, e che non ba-sta che sia collocata nel corpo umano come il pilota del-la nave, se non forse per muovere le membra, ma è ne-cessario che sia congiunta ad esso e unita più stretta-mente perché si abbiano, in più, sentimenti e appetiti si-mili ai nostri, e ne risulti così un uomo vero. Del resto,mi sono soffermato un poco su questo argomento perchéè dei più importanti; infatti, subito dopo l'errore di chinega Dio, errore che ritengo di avere confutato a suffi-cienza, non c'è un altro che allontani maggiormente glispiriti deboli dalla retta via della virtù, che l'immaginareche l'anima dei bruti abbia la stessa natura della nostra,e che pertanto non abbiamo nulla da temere né da spera-re dopo questa vita, proprio come le mosche e le formi-che; mentre quando si conosce quanta differenza ci siasi capiscono molto meglio le ragioni che provano che lanostra è di una natura indipendente dal corpo, e dunque

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quel che fanno meglio non prova che abbiano un intelli-genza, giacché se così fosse ne avrebbero più di chiun-que fra noi e riuscirebbero meglio in ogni cosa; provapiuttosto che non ne hanno affatto, e che ciò che agiscein essi è la natura, in virtù della disposizione dei loro or-gani: così come un orologio, fatto solo di ruote e di mol-le, può contare le ore e misurare il tempo con maggioreprecisione di quanto possiamo noi con tutto il nostrosenno.Avevo descritto, dopo di ciò, l'anima razionale, e mo-strato che non può in nessun modo essere tratta dalla po-tenza della materia, come le altre cose di cui avevo par-lato, ma deve essere creata appositamente, e che non ba-sta che sia collocata nel corpo umano come il pilota del-la nave, se non forse per muovere le membra, ma è ne-cessario che sia congiunta ad esso e unita più stretta-mente perché si abbiano, in più, sentimenti e appetiti si-mili ai nostri, e ne risulti così un uomo vero. Del resto,mi sono soffermato un poco su questo argomento perchéè dei più importanti; infatti, subito dopo l'errore di chinega Dio, errore che ritengo di avere confutato a suffi-cienza, non c'è un altro che allontani maggiormente glispiriti deboli dalla retta via della virtù, che l'immaginareche l'anima dei bruti abbia la stessa natura della nostra,e che pertanto non abbiamo nulla da temere né da spera-re dopo questa vita, proprio come le mosche e le formi-che; mentre quando si conosce quanta differenza ci siasi capiscono molto meglio le ragioni che provano che lanostra è di una natura indipendente dal corpo, e dunque

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non è destinata a morire con esso; e dal momento chenon si vedono altre cause che possano distruggerla, si èportati naturalmente a giudicarla immortale.

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non è destinata a morire con esso; e dal momento chenon si vedono altre cause che possano distruggerla, si èportati naturalmente a giudicarla immortale.

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Parte sesta: Le cose richieste per andare piùavanti nello studio della natura

Sono passati tre anni da quando, arrivato alla fine deltrattato che contiene tutte queste cose, e mentre mi ac-cingevo a rivederlo per metterlo nelle mani di un tipo-grafo, venni a sapere che persone alle quali mi inchino ela cui autorità non ha sulle mie azioni un peso minore diquello che la mia ragione ha sui miei pensieri, avevanodisapprovato un'opinione di fisica pubblicata qualchetempo prima da un altro e dalla quale non dirò che lacondividessi, ma solo che non vi avevo trovato nulla,prima della loro censura, che potessi immaginare pre-giudizievole alla religione o allo Stato, e dunque nullache mi avrebbe impedito di sostenerla, se la ragione mene avesse convinto; e il fatto mi fece temere che se nepotesse trovare qualcuna delle mie in cui avessi errato,nonostante la grande cura che ho sempre avuto di nonaccoglierne di nuove, senza averne certissime dimostra-zioni, e di non enunciarne che potessero risultare danno-se a qualcuno. Tanto bastò perché cambiassi la primadecisione che avevo presa di pubblicarle. Sebbene infat-ti fossero assai forti le ragioni della prima decisione,l'inclinazione che mi ha fatto sempre odiare il mestieredi far libri me ne fece trovare tante altre per dispensar-mene. I motivi in un senso o nell'altro sono tali che nonsolo ho io qui qualche interesse a dirli, ma forse anche ilpubblico ad ascoltarli.

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Parte sesta: Le cose richieste per andare piùavanti nello studio della natura

Sono passati tre anni da quando, arrivato alla fine deltrattato che contiene tutte queste cose, e mentre mi ac-cingevo a rivederlo per metterlo nelle mani di un tipo-grafo, venni a sapere che persone alle quali mi inchino ela cui autorità non ha sulle mie azioni un peso minore diquello che la mia ragione ha sui miei pensieri, avevanodisapprovato un'opinione di fisica pubblicata qualchetempo prima da un altro e dalla quale non dirò che lacondividessi, ma solo che non vi avevo trovato nulla,prima della loro censura, che potessi immaginare pre-giudizievole alla religione o allo Stato, e dunque nullache mi avrebbe impedito di sostenerla, se la ragione mene avesse convinto; e il fatto mi fece temere che se nepotesse trovare qualcuna delle mie in cui avessi errato,nonostante la grande cura che ho sempre avuto di nonaccoglierne di nuove, senza averne certissime dimostra-zioni, e di non enunciarne che potessero risultare danno-se a qualcuno. Tanto bastò perché cambiassi la primadecisione che avevo presa di pubblicarle. Sebbene infat-ti fossero assai forti le ragioni della prima decisione,l'inclinazione che mi ha fatto sempre odiare il mestieredi far libri me ne fece trovare tante altre per dispensar-mene. I motivi in un senso o nell'altro sono tali che nonsolo ho io qui qualche interesse a dirli, ma forse anche ilpubblico ad ascoltarli.

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Non ho mai tenuto in gran conto i parti del mio ingegno,e finché non ho raccolto dal metodo di cui mi servo altrifrutti che qualche soddisfazione a proposito di alcunedifficoltà delle scienze speculative, oppure l'aver tentatodi regolare i miei costumi secondo le norme che mi pre-scriveva, non ho mai considerato un obbligo di scriver-ne. Giacché, riguardo ai costumi, ognuno abbonda a talpunto di senno che ci sarebbero così tanti riformatoriquante sono le teste se non fosse consentito soltanto aquelli che Dio ha fatto sovrani dei suoi popoli, o hariempito di grazia e di zelo profetico, di intraprenderviqualche mutamento; e sebbene le mie speculazioni mipiacessero molto, credevo che pure gli altri ne avesseroche a loro forse piacevano anche di più. Ma non appenaebbi acquistato alcune nozioni generali di fisica, e co-minciando a saggiarle in qualche problema particolare,compresi fino a qual punto potevano condurre e quantodifferito dai princìpi di cui ci si è serviti finora, ritenniche non potevo tenerle nascoste senza peccare grave-mente contro la norma che ci obbliga a favorire perquanto possiamo il bene generale di tutti gli uomini.Giacché esse mi hanno fatto vedere che è possibile arri-vare a conoscenze molto utili alla vita, e che in luogodella filosofia speculativa che si insegna nelle Scuole, sene può trovare una pratica, in virtù della quale, cono-scendo la forza e le azioni del fuoco, dell'acqua,dell'aria, degli astri e dei cieli e di tutti gli altri corpi checi circondano così distintamente come conosciamo lediverse tecniche degli artigiani, potremo parimenti im-

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Non ho mai tenuto in gran conto i parti del mio ingegno,e finché non ho raccolto dal metodo di cui mi servo altrifrutti che qualche soddisfazione a proposito di alcunedifficoltà delle scienze speculative, oppure l'aver tentatodi regolare i miei costumi secondo le norme che mi pre-scriveva, non ho mai considerato un obbligo di scriver-ne. Giacché, riguardo ai costumi, ognuno abbonda a talpunto di senno che ci sarebbero così tanti riformatoriquante sono le teste se non fosse consentito soltanto aquelli che Dio ha fatto sovrani dei suoi popoli, o hariempito di grazia e di zelo profetico, di intraprenderviqualche mutamento; e sebbene le mie speculazioni mipiacessero molto, credevo che pure gli altri ne avesseroche a loro forse piacevano anche di più. Ma non appenaebbi acquistato alcune nozioni generali di fisica, e co-minciando a saggiarle in qualche problema particolare,compresi fino a qual punto potevano condurre e quantodifferito dai princìpi di cui ci si è serviti finora, ritenniche non potevo tenerle nascoste senza peccare grave-mente contro la norma che ci obbliga a favorire perquanto possiamo il bene generale di tutti gli uomini.Giacché esse mi hanno fatto vedere che è possibile arri-vare a conoscenze molto utili alla vita, e che in luogodella filosofia speculativa che si insegna nelle Scuole, sene può trovare una pratica, in virtù della quale, cono-scendo la forza e le azioni del fuoco, dell'acqua,dell'aria, degli astri e dei cieli e di tutti gli altri corpi checi circondano così distintamente come conosciamo lediverse tecniche degli artigiani, potremo parimenti im-

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piegarle in tutti gli usi a cui sono adatte, e renderci quasisignori e padroni della natura. Il che non soltanto è desi-derabile per inventare una infinità di macchine che ciconsentirebbero di godere senza alcuna fatica dei fruttidella terra e di tutti gli altri beni che vi si trovano, maanche e in primo luogo di conservare la salute, che èsenza dubbio il primo di questi beni e il fondamento ditutti gli altri in questa vita; perché anche lo spirito di-pende a tal punto dal temperamento e dalla disposizionedegli organi corporei, che se è possibile trovare qualchemezzo che renda in generale gli uomini più saggi e piùabili di quanto siano stati fin qui, è proprio nella medici-na, credo, che si deve cercarlo. È vero che quella che sipratica ora contiene poche cose di cui si possa davveroindicare l'utilità; ma senza volerla disprezzare, son certoche non c'è nessuno, neppure tra quelli che la esercitano,che non confessi che tutto quel che in essa si sa si riducequasi a nulla in confronto di quel che resta da sapere, eche potremo liberarci da una infinità di malattie, sia delcorpo che dello spirito, e forse anche dalla decadenzadella vecchiaia, se ne conoscessimo a sufficienza le cau-se, e tutti i rimedi di cui la natura ci ha provvisto. Ora,essendomi proposto di impiegare tutta la mia vita nellaricerca di una scienza così necessaria, e avendo scopertouna strada lungo la quale mi sembra che si debbasenz'altro trovarla, a meno di non esserne impediti o dal-la brevità della vita o dal difetto di esperienze, giudicaiche non ci fosse miglior rimedio contro questi due osta-coli che quello di comunicare fedelmente al pubblico

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piegarle in tutti gli usi a cui sono adatte, e renderci quasisignori e padroni della natura. Il che non soltanto è desi-derabile per inventare una infinità di macchine che ciconsentirebbero di godere senza alcuna fatica dei fruttidella terra e di tutti gli altri beni che vi si trovano, maanche e in primo luogo di conservare la salute, che èsenza dubbio il primo di questi beni e il fondamento ditutti gli altri in questa vita; perché anche lo spirito di-pende a tal punto dal temperamento e dalla disposizionedegli organi corporei, che se è possibile trovare qualchemezzo che renda in generale gli uomini più saggi e piùabili di quanto siano stati fin qui, è proprio nella medici-na, credo, che si deve cercarlo. È vero che quella che sipratica ora contiene poche cose di cui si possa davveroindicare l'utilità; ma senza volerla disprezzare, son certoche non c'è nessuno, neppure tra quelli che la esercitano,che non confessi che tutto quel che in essa si sa si riducequasi a nulla in confronto di quel che resta da sapere, eche potremo liberarci da una infinità di malattie, sia delcorpo che dello spirito, e forse anche dalla decadenzadella vecchiaia, se ne conoscessimo a sufficienza le cau-se, e tutti i rimedi di cui la natura ci ha provvisto. Ora,essendomi proposto di impiegare tutta la mia vita nellaricerca di una scienza così necessaria, e avendo scopertouna strada lungo la quale mi sembra che si debbasenz'altro trovarla, a meno di non esserne impediti o dal-la brevità della vita o dal difetto di esperienze, giudicaiche non ci fosse miglior rimedio contro questi due osta-coli che quello di comunicare fedelmente al pubblico

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tutto il poco che avrei scoperto, e di invitare gli uominidi ingegno a sforzarsi di andare avanti contribuendo cia-scuno secondo l'inclinazione e le capacità sue agli espe-rimenti necessari, e comunicando anche loro al pubblicotutto quel che avrebbero appreso, affinché, partendo gliultimi dal punto di arrivo di chi li precedeva, e unendosicosì le vite e il lavoro di molti, andassimo tutti insiememolto più avanti di quanto ciascuno avrebbe potuto dasolo.Notai anzi, a proposito delle esperienze, che sono tantopiù necessarie tanto più si è avanti nella conoscenza.All'inizio è meglio servirsi soltanto di quelle che si pre-sentano da sé ai nostri sensi e che facendo un po’ di at-tenzione non possiamo ignorare, piuttosto che ricercarnedi più rare e artificiose; perché le più rare ingannanospesso, quando non si conoscono ancora le cause dellepiù comuni, e perché le circostanze da cui dipendonosono quasi sempre così particolari e minime che è assaidifficile notarle. Ma l'ordine che ho seguìto qui è il se-guente. Ho cercato come prima cosa di trovare in gene-rale i princìpi o cause prime di tutto ciò che è o può es-sere al mondo, considerando per questo soltanto Dio chel'ha creato, e ricavandoli solo da certi semi di verità chesono naturalmente nella nostra anima. In seguito ho cer-cato quali fossero gli effetti primi e più ordinari che erapossibile dedurre da queste cause: e mi sembra di avertrovato così cieli, astri, una terra e, su questa, acqua,aria, fuoco, minerali e altre cose simili, che sono le piùcomuni e le più semplici e dunque le più facili a cono-

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tutto il poco che avrei scoperto, e di invitare gli uominidi ingegno a sforzarsi di andare avanti contribuendo cia-scuno secondo l'inclinazione e le capacità sue agli espe-rimenti necessari, e comunicando anche loro al pubblicotutto quel che avrebbero appreso, affinché, partendo gliultimi dal punto di arrivo di chi li precedeva, e unendosicosì le vite e il lavoro di molti, andassimo tutti insiememolto più avanti di quanto ciascuno avrebbe potuto dasolo.Notai anzi, a proposito delle esperienze, che sono tantopiù necessarie tanto più si è avanti nella conoscenza.All'inizio è meglio servirsi soltanto di quelle che si pre-sentano da sé ai nostri sensi e che facendo un po’ di at-tenzione non possiamo ignorare, piuttosto che ricercarnedi più rare e artificiose; perché le più rare ingannanospesso, quando non si conoscono ancora le cause dellepiù comuni, e perché le circostanze da cui dipendonosono quasi sempre così particolari e minime che è assaidifficile notarle. Ma l'ordine che ho seguìto qui è il se-guente. Ho cercato come prima cosa di trovare in gene-rale i princìpi o cause prime di tutto ciò che è o può es-sere al mondo, considerando per questo soltanto Dio chel'ha creato, e ricavandoli solo da certi semi di verità chesono naturalmente nella nostra anima. In seguito ho cer-cato quali fossero gli effetti primi e più ordinari che erapossibile dedurre da queste cause: e mi sembra di avertrovato così cieli, astri, una terra e, su questa, acqua,aria, fuoco, minerali e altre cose simili, che sono le piùcomuni e le più semplici e dunque le più facili a cono-

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scersi. Poi quando ho voluto discendere a quelle più par-ticolari, se ne sono presentate tante così diverse chel'ingegno umano mi è sembrato incapace di distinguerele forme o specie che sono sulla terra dalle infinite altreche avrebbero potuto esserci, se Dio avesse voluto met-tercele, e di conseguenza anche incapace di renderceleutili, a meno di non andare dagli effetti alle cause, ser-vendosi anche di esperienze particolari. In seguito, ri-chiamando alla mente tutti gli oggetti che si erano pre-sentati ai miei sensi, oso dire di non aver notato nullache non potessi spiegare abbastanza facilmente median-te i princìpi che avevo trovato. Ma debbo anche confes-sare che la potenza della natura è così ampia e diffusa, ei princìpi così semplici e generali, che non mi accadequasi più di osservare un effetto particolare, senza vede-re subito che può esserne dedotto in molti modi diversi,e la mia più grande difficoltà è di solito trovare qual èquesto modo. Per riuscirvi non conosco altro mezzo checercare di nuovo altri esperimenti, tali che il loro risulta-to non sia lo stesso a seconda che lo si debba spiegarenell'uno o l'altro modo. Per il resto, sono arrivato al pun-to di vedere molto bene, mi pare, come si deve procede-re per fare quasi tutte quelle esperienze che possono ser-vire allo scopo; ma vedo anche che sono tali e tante chenon basterebbero a tutte né le mie mani né i miei averi,anche se fossero moltiplicati per mille; sicché i progres-si maggiori o minori che riuscirò a fare nella conoscen-za della natura dipenderanno d'ora in poi dai mezzi cheavrò di farne di più o di meno. Questo mi ripromettevo

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scersi. Poi quando ho voluto discendere a quelle più par-ticolari, se ne sono presentate tante così diverse chel'ingegno umano mi è sembrato incapace di distinguerele forme o specie che sono sulla terra dalle infinite altreche avrebbero potuto esserci, se Dio avesse voluto met-tercele, e di conseguenza anche incapace di renderceleutili, a meno di non andare dagli effetti alle cause, ser-vendosi anche di esperienze particolari. In seguito, ri-chiamando alla mente tutti gli oggetti che si erano pre-sentati ai miei sensi, oso dire di non aver notato nullache non potessi spiegare abbastanza facilmente median-te i princìpi che avevo trovato. Ma debbo anche confes-sare che la potenza della natura è così ampia e diffusa, ei princìpi così semplici e generali, che non mi accadequasi più di osservare un effetto particolare, senza vede-re subito che può esserne dedotto in molti modi diversi,e la mia più grande difficoltà è di solito trovare qual èquesto modo. Per riuscirvi non conosco altro mezzo checercare di nuovo altri esperimenti, tali che il loro risulta-to non sia lo stesso a seconda che lo si debba spiegarenell'uno o l'altro modo. Per il resto, sono arrivato al pun-to di vedere molto bene, mi pare, come si deve procede-re per fare quasi tutte quelle esperienze che possono ser-vire allo scopo; ma vedo anche che sono tali e tante chenon basterebbero a tutte né le mie mani né i miei averi,anche se fossero moltiplicati per mille; sicché i progres-si maggiori o minori che riuscirò a fare nella conoscen-za della natura dipenderanno d'ora in poi dai mezzi cheavrò di farne di più o di meno. Questo mi ripromettevo

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di far conoscere col trattato che avevo scritto, e anche dimostrare con tanta chiarezza l'utilità che il pubblico neavrebbe ricevuto, da obbligare coloro che desiderano ilbene comune degli uomini, e cioè quanti sono virtuosirealmente e non solo secondo l'apparenza o l'opinione,sia a comunicarmi le esperienze già fatte, sia ad aiutarminella ricerca di quelle che restano da fare.Ma da allora altri argomenti mi indussero a cambiareopinione, e a pensare che dovevo certamente continuarea scrivere tutto quello che giudicavo di qualche impor-tanza man mano che ne scoprivo la verità, e farlo con lastessa attenzione che se volessi pubblicarlo. E questo, inprimo luogo, per avere così un altra occasione di esami-nare le cose con cura, giacché indubbiamente si sta piùattenti a quel che si pensa debba essere visto da molti,che a quel che si fa solo per sé; e spesso cose che mierano sembrate vere quando avevo cominciato a pensar-le, mi apparvero false quando volli metterle su carta. Insecondo luogo per non perdere nessuna occasione di es-sere utile al pubblico, se ne sono capace, e perché deimiei scritti, se valgono qualcosa, possano fare l'uso piùappropriato quelli che ne verranno in possesso dopo lamia morte. Ma pensavo che non dovevo assolutamentepermetterne la pubblicazione finché ero in vita perchéné le opposizioni e controversie a cui sarebbero forseesposti, né la fama, qualunque essa fosse, che mi avreb-bero acquistato, mi facessero perdere il tempo che vo-glio impiegare a istruirmi. Se è vero, infatti, che ognunoha l'obbligo di favorire, per quanto gli è possibile, il

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di far conoscere col trattato che avevo scritto, e anche dimostrare con tanta chiarezza l'utilità che il pubblico neavrebbe ricevuto, da obbligare coloro che desiderano ilbene comune degli uomini, e cioè quanti sono virtuosirealmente e non solo secondo l'apparenza o l'opinione,sia a comunicarmi le esperienze già fatte, sia ad aiutarminella ricerca di quelle che restano da fare.Ma da allora altri argomenti mi indussero a cambiareopinione, e a pensare che dovevo certamente continuarea scrivere tutto quello che giudicavo di qualche impor-tanza man mano che ne scoprivo la verità, e farlo con lastessa attenzione che se volessi pubblicarlo. E questo, inprimo luogo, per avere così un altra occasione di esami-nare le cose con cura, giacché indubbiamente si sta piùattenti a quel che si pensa debba essere visto da molti,che a quel che si fa solo per sé; e spesso cose che mierano sembrate vere quando avevo cominciato a pensar-le, mi apparvero false quando volli metterle su carta. Insecondo luogo per non perdere nessuna occasione di es-sere utile al pubblico, se ne sono capace, e perché deimiei scritti, se valgono qualcosa, possano fare l'uso piùappropriato quelli che ne verranno in possesso dopo lamia morte. Ma pensavo che non dovevo assolutamentepermetterne la pubblicazione finché ero in vita perchéné le opposizioni e controversie a cui sarebbero forseesposti, né la fama, qualunque essa fosse, che mi avreb-bero acquistato, mi facessero perdere il tempo che vo-glio impiegare a istruirmi. Se è vero, infatti, che ognunoha l'obbligo di favorire, per quanto gli è possibile, il

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bene altrui, e che non essere utile a nessuno significaproprio non valere nulla, è vero anche che le nostre pre-occupazioni debbono estendersi più in là del presente, eche è bene tralasciare cose che potrebbero forse arrecarequalche vantaggio ai viventi, quando se ne vogliono farealtre che ne procurino di maggiori alla posterità. Nonvoglio nascondere, infatti, che il poco che ho appresofin qui è quasi nulla in confronto a quello che ignoro eche non dispero di riuscire ad apprendere; perché quelliche scoprono a poco a poco la verità nelle scienze sonocome chi, cominciando ad arricchirsi, non fatica tantoora, a guadagnare molto, quanto faticava prima,quand'era più povero, a guadagnare di meno. Li si puòanche paragonare ai condottieri, le cui forze aumentanodi solito in ragione delle vittorie, e che per tenere le loroposizioni dopo una sconfitta hanno bisogno di un accor-tezza maggiore di quella richiesta per occupare città eprovince dopo una vittoria. Perché sforzarsi di vinceretutte le difficoltà e gli errori che ci impediscono di arri-vare alla conoscenza della verità è davvero una battagliache si perde quando accogliamo qualche falsa opinionesu questioni generali e di qualche importanza; giacchéper tornare al punto di prima è necessaria, dopo, un abi-lità molto maggiore di quella che ci vuole per avanzaredi molto, quando si è in possesso di princìpi sicuri.Quanto a me, se ho già trovato qualche verità nellescienze (e dal contenuto di questo libro spero che così sigiudicherà), posso dire che ciò è soltanto il risultato o laconseguenza del superamento di cinque o sei principali

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bene altrui, e che non essere utile a nessuno significaproprio non valere nulla, è vero anche che le nostre pre-occupazioni debbono estendersi più in là del presente, eche è bene tralasciare cose che potrebbero forse arrecarequalche vantaggio ai viventi, quando se ne vogliono farealtre che ne procurino di maggiori alla posterità. Nonvoglio nascondere, infatti, che il poco che ho appresofin qui è quasi nulla in confronto a quello che ignoro eche non dispero di riuscire ad apprendere; perché quelliche scoprono a poco a poco la verità nelle scienze sonocome chi, cominciando ad arricchirsi, non fatica tantoora, a guadagnare molto, quanto faticava prima,quand'era più povero, a guadagnare di meno. Li si puòanche paragonare ai condottieri, le cui forze aumentanodi solito in ragione delle vittorie, e che per tenere le loroposizioni dopo una sconfitta hanno bisogno di un accor-tezza maggiore di quella richiesta per occupare città eprovince dopo una vittoria. Perché sforzarsi di vinceretutte le difficoltà e gli errori che ci impediscono di arri-vare alla conoscenza della verità è davvero una battagliache si perde quando accogliamo qualche falsa opinionesu questioni generali e di qualche importanza; giacchéper tornare al punto di prima è necessaria, dopo, un abi-lità molto maggiore di quella che ci vuole per avanzaredi molto, quando si è in possesso di princìpi sicuri.Quanto a me, se ho già trovato qualche verità nellescienze (e dal contenuto di questo libro spero che così sigiudicherà), posso dire che ciò è soltanto il risultato o laconseguenza del superamento di cinque o sei principali

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difficoltà, che considero come altrettante battaglie feli-cemente concluse. Oso anche affermare che penso didoverne vincere anche altre due o tre simili, per compie-re interamente il mio disegno; e che non sono tanto in làcon gli anni da non averne ancora davanti, stando al cor-so ordinario della natura, quanti bastano all'impresa. Macredo di essere tanto più obbligato a spendere con parsi-monia il tempo che mi resta, quanto maggiore è la spe-ranza di poterlo impiegare bene; e avrei senza dubbiomolte occasioni di perderlo se pubblicassi i fondamentidella mia fisica. Sebbene siano, infatti, quasi tutti cosìevidenti, che basta soltanto intenderli per convincersene,e non ce ne sia nessuno di cui non penso di poter dare ladimostrazione, tuttavia, dal momento che è impossibileche si accordino con tutte le diverse opinioni degli altriuomini, prevedo che sarei spesso distratto dalle obiezio-ni che farebbero nascere.Si dirà che queste obiezioni sarebbero utili sia a farmiconoscere i miei errori, sia a favorire negli altri, per que-sta via, una migliore intelligenza di quel tanto di buonoche posso avere; e dal momento che molti vedono me-glio di uno solo, cominciando a servirsi fin da ora dellemie, mi aiuterebbero anche con le loro scoperte. Mabenché riconosca di essere estremamente soggettoall'errore, e non mi fidi quasi mai dei primi pensieri chemi vengono, l'esperienza che ho delle obiezioni che misi possono fare non mi consente di sperarne qualchevantaggio. Infatti ho già sperimentato più volte i giudizisia di coloro che consideravo miei amici, sia di altri a

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difficoltà, che considero come altrettante battaglie feli-cemente concluse. Oso anche affermare che penso didoverne vincere anche altre due o tre simili, per compie-re interamente il mio disegno; e che non sono tanto in làcon gli anni da non averne ancora davanti, stando al cor-so ordinario della natura, quanti bastano all'impresa. Macredo di essere tanto più obbligato a spendere con parsi-monia il tempo che mi resta, quanto maggiore è la spe-ranza di poterlo impiegare bene; e avrei senza dubbiomolte occasioni di perderlo se pubblicassi i fondamentidella mia fisica. Sebbene siano, infatti, quasi tutti cosìevidenti, che basta soltanto intenderli per convincersene,e non ce ne sia nessuno di cui non penso di poter dare ladimostrazione, tuttavia, dal momento che è impossibileche si accordino con tutte le diverse opinioni degli altriuomini, prevedo che sarei spesso distratto dalle obiezio-ni che farebbero nascere.Si dirà che queste obiezioni sarebbero utili sia a farmiconoscere i miei errori, sia a favorire negli altri, per que-sta via, una migliore intelligenza di quel tanto di buonoche posso avere; e dal momento che molti vedono me-glio di uno solo, cominciando a servirsi fin da ora dellemie, mi aiuterebbero anche con le loro scoperte. Mabenché riconosca di essere estremamente soggettoall'errore, e non mi fidi quasi mai dei primi pensieri chemi vengono, l'esperienza che ho delle obiezioni che misi possono fare non mi consente di sperarne qualchevantaggio. Infatti ho già sperimentato più volte i giudizisia di coloro che consideravo miei amici, sia di altri a

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cui pensavo di essere indifferente, come anche di alcuniche sapevo si sarebbero sforzati per malignità di metterein luce quel che l'affetto nascondeva agli amici. Ma ra-ramente mi è accaduto di sentirmi fare qualche obiezio-ne che non avessi per nulla prevista, a meno che nonfosse assai lontana dal mio argomento; sicché non homai incontrato un censore delle mie opinioni, che nonmi sembrasse o meno severo o meno equo di me stesso.E non ho neppure mai notato che con le dispute che sitengono nelle Scuole si sia scoperta qualche verità cheprima si ignorava; giacché quando si tratta di avere lameglio ognuno si esercita molto di più a far valere il ve-rosimile che a pesare le ragioni dell'una e dell'altra par-te; e quelli che sono stati per lungo tempo buoni avvoca-ti non per questo diventano in seguito buoni giudici.Quanto all'utilità che altri ricaverebbero dalla pubblica-zione dei miei pensieri, non potrebbe essere, neppurequesta, molto grande, tanto più che non li ho portati finoa un punto che non ci sia bisogno di aggiungervi moltealtre cose prima di renderli atti all'uso. Posso dire senzavanità che se c'è qualcuno che ne è capace sono io piut-tosto che un altro: non che non ci possano essere almondo molti ingegni senza paragone migliori del mio,ma perché non si può concepire una cosa così bene néfarla propria quando la si apprende da altri, come quan-do si scopre da sé. Questo è nel mio campo così veroche, sebbene abbia spiegato spesso qualche mia opinio-ne a persone assai acute, che sembravano mentre parla-vo capirle molto distintamente, tuttavia quando le ripe-

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cui pensavo di essere indifferente, come anche di alcuniche sapevo si sarebbero sforzati per malignità di metterein luce quel che l'affetto nascondeva agli amici. Ma ra-ramente mi è accaduto di sentirmi fare qualche obiezio-ne che non avessi per nulla prevista, a meno che nonfosse assai lontana dal mio argomento; sicché non homai incontrato un censore delle mie opinioni, che nonmi sembrasse o meno severo o meno equo di me stesso.E non ho neppure mai notato che con le dispute che sitengono nelle Scuole si sia scoperta qualche verità cheprima si ignorava; giacché quando si tratta di avere lameglio ognuno si esercita molto di più a far valere il ve-rosimile che a pesare le ragioni dell'una e dell'altra par-te; e quelli che sono stati per lungo tempo buoni avvoca-ti non per questo diventano in seguito buoni giudici.Quanto all'utilità che altri ricaverebbero dalla pubblica-zione dei miei pensieri, non potrebbe essere, neppurequesta, molto grande, tanto più che non li ho portati finoa un punto che non ci sia bisogno di aggiungervi moltealtre cose prima di renderli atti all'uso. Posso dire senzavanità che se c'è qualcuno che ne è capace sono io piut-tosto che un altro: non che non ci possano essere almondo molti ingegni senza paragone migliori del mio,ma perché non si può concepire una cosa così bene néfarla propria quando la si apprende da altri, come quan-do si scopre da sé. Questo è nel mio campo così veroche, sebbene abbia spiegato spesso qualche mia opinio-ne a persone assai acute, che sembravano mentre parla-vo capirle molto distintamente, tuttavia quando le ripe-

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tevano notavo che le avevano quasi sempre cambiate atal punto che non potevo riconoscerle per mie. Conl'occasione voglio pregare qui i posteri di non crederemai che io sia l'autore delle cose che verranno loro rife-rite se non le avrò rese pubbliche io stesso. Non mi stu-pisco per niente delle stravaganze che si attribuiscono atutti i filosofi antichi di cui non abbiamo gli scritti; es-sendo le migliori intelligenze del tempo non ritengo chei loro pensieri fossero tanto irragionevoli, ma piuttostoche ce li abbiano mal riferiti. D'altronde non si è vistoquasi mai che qualcuno dei loro seguaci li superasse;sono certo che i più zelanti aristotelici di oggi si riter-rebbero fortunati di avere la stessa conoscenza della na-tura che ebbe Aristotele, anche a costo di non sapernemai di più. Sono come l'edera, che non cerca mai di sali-re più su degli alberi che la sostengono, e spesso anzi ri-cade, quando è arrivata fino alla loro cima; come misembra che ricadano, e cioè si rendano in qualche modomeno sapienti che se smettessero di studiare, quelli che,non contenti di sapere tutto quello che è spiegato nelloro autore in maniera comprensibile, vogliono oltre aciò trovarci dentro la soluzione di molte difficoltà di cuinon fa cenno e alle quali forse non ha mai pensato. Ep-pure il loro modo di filosofare è molto comodo per quel-li che hanno ingegno assai mediocre; giacché l'oscuritàdelle distinzioni e dei princìpi di cui si servono li rendecapaci di parlare di ogni cosa con tanto ardire, come sela conoscessero, e di sostenere le proprie affermazionicontro chi è più acuto e più abile, senza che si riesca a

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tevano notavo che le avevano quasi sempre cambiate atal punto che non potevo riconoscerle per mie. Conl'occasione voglio pregare qui i posteri di non crederemai che io sia l'autore delle cose che verranno loro rife-rite se non le avrò rese pubbliche io stesso. Non mi stu-pisco per niente delle stravaganze che si attribuiscono atutti i filosofi antichi di cui non abbiamo gli scritti; es-sendo le migliori intelligenze del tempo non ritengo chei loro pensieri fossero tanto irragionevoli, ma piuttostoche ce li abbiano mal riferiti. D'altronde non si è vistoquasi mai che qualcuno dei loro seguaci li superasse;sono certo che i più zelanti aristotelici di oggi si riter-rebbero fortunati di avere la stessa conoscenza della na-tura che ebbe Aristotele, anche a costo di non sapernemai di più. Sono come l'edera, che non cerca mai di sali-re più su degli alberi che la sostengono, e spesso anzi ri-cade, quando è arrivata fino alla loro cima; come misembra che ricadano, e cioè si rendano in qualche modomeno sapienti che se smettessero di studiare, quelli che,non contenti di sapere tutto quello che è spiegato nelloro autore in maniera comprensibile, vogliono oltre aciò trovarci dentro la soluzione di molte difficoltà di cuinon fa cenno e alle quali forse non ha mai pensato. Ep-pure il loro modo di filosofare è molto comodo per quel-li che hanno ingegno assai mediocre; giacché l'oscuritàdelle distinzioni e dei princìpi di cui si servono li rendecapaci di parlare di ogni cosa con tanto ardire, come sela conoscessero, e di sostenere le proprie affermazionicontro chi è più acuto e più abile, senza che si riesca a

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convincerli. In questo mi sembrano simili a un ciecoche, per battersi alla pari con uno che non ci vede lo fascendere in fondo a un sotterraneo assai buio; e possoaggiungere che costoro hanno interesse a che mi astengadal pubblicare i princìpi della filosofia di cui mi servo,perché sono molto semplici e molto evidenti, pubblicarlisarebbe come aprire qualche finestra e fare entrare laluce del giorno nel sotterraneo in cui sono discesi perbattersi. Ma neanche gli ingegni migliori hanno motivodi augurarsi di coglierli; perché se vogliono parlare ditutto e acquisire la fama di dotti, ci riusciranno più facil-mente accontentandosi del verosimile, che si può trova-re senza grande fatica per oggetti di ogni genere, piutto-sto che cercando la verità, che non si scopre se non apoco a poco e per alcune cose soltanto, e che ci impone,quando si tratta di parlare di altre, di confessare confranchezza che non ne sappiamo nulla. Se poi preferis-sero quello ch'è senza dubbio assai preferibile, cioè laconoscenza di poche verità alla vanità di apparire sa-pienti in ogni cosa, e volessero seguire un programmasimile al mio, non avrebbero bisogno per questo di sen-tirsi dire nulla di più di quanto ho già detto in questo di-scorso. Se sono infatti capaci di andare più avanti di me,lo saranno anche a maggior ragione di trovare da sé quelche penso di avere scoperto. Tanto più che, avendo sem-pre proceduto con ordine nelle mie ricerche, è certo chequel che mi resta ancora da scoprire è di per sé più diffi-cile e nascosto di quanto ho potuto incontrare fin qui,sicché proverebbero molto meno piacere ad apprenderlo

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convincerli. In questo mi sembrano simili a un ciecoche, per battersi alla pari con uno che non ci vede lo fascendere in fondo a un sotterraneo assai buio; e possoaggiungere che costoro hanno interesse a che mi astengadal pubblicare i princìpi della filosofia di cui mi servo,perché sono molto semplici e molto evidenti, pubblicarlisarebbe come aprire qualche finestra e fare entrare laluce del giorno nel sotterraneo in cui sono discesi perbattersi. Ma neanche gli ingegni migliori hanno motivodi augurarsi di coglierli; perché se vogliono parlare ditutto e acquisire la fama di dotti, ci riusciranno più facil-mente accontentandosi del verosimile, che si può trova-re senza grande fatica per oggetti di ogni genere, piutto-sto che cercando la verità, che non si scopre se non apoco a poco e per alcune cose soltanto, e che ci impone,quando si tratta di parlare di altre, di confessare confranchezza che non ne sappiamo nulla. Se poi preferis-sero quello ch'è senza dubbio assai preferibile, cioè laconoscenza di poche verità alla vanità di apparire sa-pienti in ogni cosa, e volessero seguire un programmasimile al mio, non avrebbero bisogno per questo di sen-tirsi dire nulla di più di quanto ho già detto in questo di-scorso. Se sono infatti capaci di andare più avanti di me,lo saranno anche a maggior ragione di trovare da sé quelche penso di avere scoperto. Tanto più che, avendo sem-pre proceduto con ordine nelle mie ricerche, è certo chequel che mi resta ancora da scoprire è di per sé più diffi-cile e nascosto di quanto ho potuto incontrare fin qui,sicché proverebbero molto meno piacere ad apprenderlo

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da me che da se stessi. Si aggiunga che l'abitudine cheacquisteranno cercando dapprima le cose facili, e pas-sando via via per gradi ad altre più difficili, servirà loropiù di quanto potrebbero tutti i miei insegnamenti. Così,per quel che mi riguarda, sono certo che se mi avesseroinsegnato fin da giovane le verità di cui ho più tardi cer-cato le dimostrazioni, e non avessi fatto alcuna faticaper impararle, non ne avrei forse mai appresa nes-sun'altra, o almeno non avrei mai acquistato l'abitudinee la facilità, che penso di avere, di trovarne sempre dinuove, quando mi applico alla loro ricerca. In una paro-la, se c'è al mondo una opera che non può essere com-piuta così bene da nessun altro come da chi l'ha comin-ciata, è proprio quella a cui sto lavorando.È vero che per le esperienze che possono occorrere unuomo solo non basterebbe a farle tutte; ma è anche veroche, oltre alle sue, non potrebbe impiegarvi altre maniche quelle di artigiani o di gente che possa pagare, e chela speranza del guadagno, mezzo assai efficace, indur-rebbe a eseguire esattamente tutte le cose ordinate. Per-ché i volontari, che potrebbero offrirgli il loro aiutomossi dalla curiosità o dal desiderio di imparare, oltreche di solito promettono più di quanto non facciano, e sipropongono tante belle cose di cui nessuna mai riesce,pretenderebbero senz'altro di essere pagati con la solu-zione di qualche problema, o almeno con complimenti econversazioni inutili, che gli farebbero perdere tantotempo che ci rimetterebbe. E quanto alle esperienze fat-te già da altri, anche quando volessero comunicargliele,

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da me che da se stessi. Si aggiunga che l'abitudine cheacquisteranno cercando dapprima le cose facili, e pas-sando via via per gradi ad altre più difficili, servirà loropiù di quanto potrebbero tutti i miei insegnamenti. Così,per quel che mi riguarda, sono certo che se mi avesseroinsegnato fin da giovane le verità di cui ho più tardi cer-cato le dimostrazioni, e non avessi fatto alcuna faticaper impararle, non ne avrei forse mai appresa nes-sun'altra, o almeno non avrei mai acquistato l'abitudinee la facilità, che penso di avere, di trovarne sempre dinuove, quando mi applico alla loro ricerca. In una paro-la, se c'è al mondo una opera che non può essere com-piuta così bene da nessun altro come da chi l'ha comin-ciata, è proprio quella a cui sto lavorando.È vero che per le esperienze che possono occorrere unuomo solo non basterebbe a farle tutte; ma è anche veroche, oltre alle sue, non potrebbe impiegarvi altre maniche quelle di artigiani o di gente che possa pagare, e chela speranza del guadagno, mezzo assai efficace, indur-rebbe a eseguire esattamente tutte le cose ordinate. Per-ché i volontari, che potrebbero offrirgli il loro aiutomossi dalla curiosità o dal desiderio di imparare, oltreche di solito promettono più di quanto non facciano, e sipropongono tante belle cose di cui nessuna mai riesce,pretenderebbero senz'altro di essere pagati con la solu-zione di qualche problema, o almeno con complimenti econversazioni inutili, che gli farebbero perdere tantotempo che ci rimetterebbe. E quanto alle esperienze fat-te già da altri, anche quando volessero comunicargliele,

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cosa che non farebbero mai quelli che le chiamano se-greti, sono rese per lo più complicate da tante circostan-ze o ingredienti superflui, che gli sarebbe assai difficiledistricarne la verità; si aggiunga che le troverebbe quasitutte spiegate così male, o addirittura falsate, perché chile ha eseguite si è sforzato di farle apparire conformi aisuoi princìpi, che se ce ne fosse qualcuna di utile, nonpotrebbe neppur essa valere il tempo necessario per in-dividuarla. Di modo che se ci fosse un uomo al mondodel quale si sa con certezza ch'è capace di scoprire lecose più grandi e più utili a tutti, e per questo gli altricercassero con ogni mezzo di aiutarlo a realizzare i suoiprogetti, non vedo cosa altro potrebbero fare per lui, senon contribuire alle spese richieste dagli esperimenti ne-cessari, e per il resto impedire che nessuno lo importuni.Ma oltre a non presumere tanto di me da prometterecose straordinarie, e oltre al fatto che non mi compiac-cio di pensieri così vani da immaginare che lo Statodebba interessarsi tanto dei miei progetti, non ho neppu-re l'animo così basso da accettare da chicchessia favoriche si possano ritenere immeritati.Tutte queste considerazioni messe insieme furono il mo-tivo per cui non volli, tre anni fa rendere pubblico il trat-tato che avevo per le mani e decisi anzi di non farne cir-colare nessun altro, finché ero in vita, che fosse altret-tanto generale o dal quale si potessero intendere i fonda-menti della mia fisica. Ma dopo intervennero due nuoveragioni che mi indussero a dare qui alcuni saggi partico-lari e a rendere in parte conto al pubblico di quello che

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cosa che non farebbero mai quelli che le chiamano se-greti, sono rese per lo più complicate da tante circostan-ze o ingredienti superflui, che gli sarebbe assai difficiledistricarne la verità; si aggiunga che le troverebbe quasitutte spiegate così male, o addirittura falsate, perché chile ha eseguite si è sforzato di farle apparire conformi aisuoi princìpi, che se ce ne fosse qualcuna di utile, nonpotrebbe neppur essa valere il tempo necessario per in-dividuarla. Di modo che se ci fosse un uomo al mondodel quale si sa con certezza ch'è capace di scoprire lecose più grandi e più utili a tutti, e per questo gli altricercassero con ogni mezzo di aiutarlo a realizzare i suoiprogetti, non vedo cosa altro potrebbero fare per lui, senon contribuire alle spese richieste dagli esperimenti ne-cessari, e per il resto impedire che nessuno lo importuni.Ma oltre a non presumere tanto di me da prometterecose straordinarie, e oltre al fatto che non mi compiac-cio di pensieri così vani da immaginare che lo Statodebba interessarsi tanto dei miei progetti, non ho neppu-re l'animo così basso da accettare da chicchessia favoriche si possano ritenere immeritati.Tutte queste considerazioni messe insieme furono il mo-tivo per cui non volli, tre anni fa rendere pubblico il trat-tato che avevo per le mani e decisi anzi di non farne cir-colare nessun altro, finché ero in vita, che fosse altret-tanto generale o dal quale si potessero intendere i fonda-menti della mia fisica. Ma dopo intervennero due nuoveragioni che mi indussero a dare qui alcuni saggi partico-lari e a rendere in parte conto al pubblico di quello che

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ho fatto e che intendo fare. La prima era che, se non loavessi fatto, molti che erano al corrente della mia prece-dente intenzione di far stampare alcuni scritti avrebberopotuto immaginare che i motivi della rinuncia fosseromeno onorevoli per me di quanto non siano. Perché seb-bene non ami eccessivamente la gloria, e anzi – se possodirlo – la detesti, in quanto la ritengo avversa alla quie-te, che stimo più di ogni altra cosa, non ho mai neppurecercato di nascondere le mie azioni come se fossero de-litti, né ho usato eccessive precauzioni per restare sco-nosciuto; giacché avrei creduto di far torto a me stesso,e poi me ne sarebbe venuta una certa inquietudine, con-traria anch'essa alla perfetta tranquillità dell'animo a cuiaspiro. E poiché, non avendo mai ceduto né al desideriodi essere famoso né a quello di essere ignorato, non hopotuto fare a meno di acquistare una sorta di reputazio-ne, ho pensato che dovessi fare del mio meglio per evi-tare almeno che questa fosse cattiva. L'altra ragione chemi ha spinto a scrivere queste pagine è che, vedendocrescere ogni giorno di più il ritardo subito dal progettoche ho di istruirmi, a causa di una infinità di esperienzedi cui ho bisogno e che non posso fare senza l'aiuto al-trui, anche se non mi lusingo tanto da sperare che lo Sta-to partecipi molto ai miei interessi, non voglio tuttavianeppure venir meno a me stesso, e dare così motivo acoloro che mi sopravviveranno di rimproverarmi ungiorno perché avrei potuto lasciare forse molte più cosee molto migliori di quelle che ho lasciato, se non avessitrascurato troppo di far conoscere in che cosa potevano

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ho fatto e che intendo fare. La prima era che, se non loavessi fatto, molti che erano al corrente della mia prece-dente intenzione di far stampare alcuni scritti avrebberopotuto immaginare che i motivi della rinuncia fosseromeno onorevoli per me di quanto non siano. Perché seb-bene non ami eccessivamente la gloria, e anzi – se possodirlo – la detesti, in quanto la ritengo avversa alla quie-te, che stimo più di ogni altra cosa, non ho mai neppurecercato di nascondere le mie azioni come se fossero de-litti, né ho usato eccessive precauzioni per restare sco-nosciuto; giacché avrei creduto di far torto a me stesso,e poi me ne sarebbe venuta una certa inquietudine, con-traria anch'essa alla perfetta tranquillità dell'animo a cuiaspiro. E poiché, non avendo mai ceduto né al desideriodi essere famoso né a quello di essere ignorato, non hopotuto fare a meno di acquistare una sorta di reputazio-ne, ho pensato che dovessi fare del mio meglio per evi-tare almeno che questa fosse cattiva. L'altra ragione chemi ha spinto a scrivere queste pagine è che, vedendocrescere ogni giorno di più il ritardo subito dal progettoche ho di istruirmi, a causa di una infinità di esperienzedi cui ho bisogno e che non posso fare senza l'aiuto al-trui, anche se non mi lusingo tanto da sperare che lo Sta-to partecipi molto ai miei interessi, non voglio tuttavianeppure venir meno a me stesso, e dare così motivo acoloro che mi sopravviveranno di rimproverarmi ungiorno perché avrei potuto lasciare forse molte più cosee molto migliori di quelle che ho lasciato, se non avessitrascurato troppo di far conoscere in che cosa potevano

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contribuire ai miei progetti.E ho pensato che mi era facile scegliere qualche argo-mento che, senza essere esposto a troppe controversie esenza obbligarmi a dichiarare dei miei princìpi più diquanto desidero, lasciassero vedere abbastanza chiara-mente quello che posso, o non posso, nelle scienze. Nonso dire se ci sono riuscito né voglio anticipare i giudizidi nessuno parlando io dei miei scritti; ma sarò ben lietoche vengano presi in esame, e perché se ne abbia mag-giore opportunità, prego tutti coloro che vorranno farmiqualche obiezione di prendersi la pena di inviarla al miolibraio; quando mi avvertirà, cercherò di aggiungervi lamia risposta nello stesso tempo e così i lettori, vendendol'una e l'altra insieme potranno più facilmente giudicaredove sta la verità. Prometto infatti di non dilungarmimai nelle risposte, ma solo di riconoscere con grandefranchezza i miei errori quando li vedrò, oppure, se nonriesco a vederli, di dire semplicemente quel che credonecessario per difendere quanto ho scritto, senza ag-giungere la spiegazione di qualche nuova materia, pernon trovarmi costretto a passare da una all'altra all'infi-nito.E se alcune cose di cui ho parlato all'inizio della Diottri-ca e delle Meteore colpiranno a prima vista perché lechiamo ipotesi e mostro di non volerle provare, chiedoche si abbia la pazienza di leggere tutto il saggio con at-tenzione, e credo che si finirà col trovarsi soddisfatti.Perché mi sembra che le ragioni si seguano l'una all'altrain modo tale che come le ultime vengono dimostrate

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contribuire ai miei progetti.E ho pensato che mi era facile scegliere qualche argo-mento che, senza essere esposto a troppe controversie esenza obbligarmi a dichiarare dei miei princìpi più diquanto desidero, lasciassero vedere abbastanza chiara-mente quello che posso, o non posso, nelle scienze. Nonso dire se ci sono riuscito né voglio anticipare i giudizidi nessuno parlando io dei miei scritti; ma sarò ben lietoche vengano presi in esame, e perché se ne abbia mag-giore opportunità, prego tutti coloro che vorranno farmiqualche obiezione di prendersi la pena di inviarla al miolibraio; quando mi avvertirà, cercherò di aggiungervi lamia risposta nello stesso tempo e così i lettori, vendendol'una e l'altra insieme potranno più facilmente giudicaredove sta la verità. Prometto infatti di non dilungarmimai nelle risposte, ma solo di riconoscere con grandefranchezza i miei errori quando li vedrò, oppure, se nonriesco a vederli, di dire semplicemente quel che credonecessario per difendere quanto ho scritto, senza ag-giungere la spiegazione di qualche nuova materia, pernon trovarmi costretto a passare da una all'altra all'infi-nito.E se alcune cose di cui ho parlato all'inizio della Diottri-ca e delle Meteore colpiranno a prima vista perché lechiamo ipotesi e mostro di non volerle provare, chiedoche si abbia la pazienza di leggere tutto il saggio con at-tenzione, e credo che si finirà col trovarsi soddisfatti.Perché mi sembra che le ragioni si seguano l'una all'altrain modo tale che come le ultime vengono dimostrate

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dalle prime che ne sono le cause, così le prime vengonoreciprocamente dimostrate dalle ultime, che ne sono glieffetti. Non si deve pensare che ho commesso qui l'erro-re che i logici chiamano circolo; infatti poiché l'espe-rienza rende per lo più certissimi questi effetti, le causeda cui li deduco non servono tanto a provarli quanto aspiegarli; e al contrario sono quelle che vengono provateda questi. E le ho chiamate ipotesi solo perché si sappiache penso di poterle dedurre da quelle prime verità cheho esposto sopra, ma che non ho voluto farlo di proposi-to, per evitare che certe teste che si figurano di poter im-parare in un giorno, appena ne hanno sentito due o treparole, tutto quello che un altro ha pensato in venti anni,e che sono tanto più soggette all'errore e tanto meno ca-paci di arrivare alla verità quanto più sono acute e viva-ci, colgano qui l'occasione per costruire su quelli cheimmaginano essere i miei princìpi qualche filosofia stra-vagante della quale mi si possa far colpa. Giacché per leopinioni che sono proprio mie, non ho bisogno di giusti-ficarle come se fossero nuove, perché son certo che, alconsiderarne bene le ragioni, risulteranno tanto semplicie conformi al senso comune da sembrare meno straordi-narie e strane di qualunque altra che si possa avere suglistessi argomenti. E neppure mi vanto di essere stato ilprimo inventore di qualcuna di esse, bensì di non avernemai accolta nessuna per il semplice fatto che fosse o an-che che non fosse insegnata da altri, ma solo perché mene aveva persuaso la ragione.Se gli artigiani non possono dare subito esecuzione

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dalle prime che ne sono le cause, così le prime vengonoreciprocamente dimostrate dalle ultime, che ne sono glieffetti. Non si deve pensare che ho commesso qui l'erro-re che i logici chiamano circolo; infatti poiché l'espe-rienza rende per lo più certissimi questi effetti, le causeda cui li deduco non servono tanto a provarli quanto aspiegarli; e al contrario sono quelle che vengono provateda questi. E le ho chiamate ipotesi solo perché si sappiache penso di poterle dedurre da quelle prime verità cheho esposto sopra, ma che non ho voluto farlo di proposi-to, per evitare che certe teste che si figurano di poter im-parare in un giorno, appena ne hanno sentito due o treparole, tutto quello che un altro ha pensato in venti anni,e che sono tanto più soggette all'errore e tanto meno ca-paci di arrivare alla verità quanto più sono acute e viva-ci, colgano qui l'occasione per costruire su quelli cheimmaginano essere i miei princìpi qualche filosofia stra-vagante della quale mi si possa far colpa. Giacché per leopinioni che sono proprio mie, non ho bisogno di giusti-ficarle come se fossero nuove, perché son certo che, alconsiderarne bene le ragioni, risulteranno tanto semplicie conformi al senso comune da sembrare meno straordi-narie e strane di qualunque altra che si possa avere suglistessi argomenti. E neppure mi vanto di essere stato ilprimo inventore di qualcuna di esse, bensì di non avernemai accolta nessuna per il semplice fatto che fosse o an-che che non fosse insegnata da altri, ma solo perché mene aveva persuaso la ragione.Se gli artigiani non possono dare subito esecuzione

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Page 80: Questo e-book è stato realizzato anche grazie al so-...AUTORE: Descartes, René (alias Renato Cartesio) TRADUTTORE: Cubeddu, Italo CURATORE: Cubeddu, Italo NOTE: CODICE ISBN E-BOOK:

all'invenzione spiegata nella Diottrica, non credo che sipossa dirla per questo cattiva; per costruire e mettere apunto la macchina che ho descritto, in modo che non vimanchi nessun particolare, sono necessari abilità e eser-cizio, sicché, se vi riuscissero al primo tentativo, non mistupirei di meno che se qualcuno potesse in un giornosolo, imparare a suonare in modo eccellente il liuto, peril solo fatto che gli è stata data una buona partitura. E sescrivo in francese, che è la lingua della mia terra, piutto-sto che in latino, che è quella dei miei precettori, è per-ché spero che quanti si servono della loro ragione natu-rale pura e semplice giudicheranno meglio delle mieopinioni di quelli che credono soltanto ai libri degli anti-chi. Quelli poi che al buon senso uniscono lo studio, eche mi auguro di avere come soli giudici, non saranno,ne sono certo, tanto partigiani del latino da rifiutarsi diintendere le mie ragioni perché le spiego in volgare.Per il resto, non voglio dir nulla, qui, nei particolari, deiprogressi che spero di fare in futuro nelle scienze, néimpegnarmi pubblicamente con promesse che non sonosicuro di mantenere; dirò soltanto che ho deciso di im-piegare unicamente il resto della mia vita nello sforzo diacquistare qualche conoscenza della natura, da cui pos-sano trarre per la medicina precetti più sicuri di quelliavuti fin qui; e che la mia natura mi tiene tanto lontanoda ogni disegno di altro genere, soprattutto da quelli chenon potrebbero giovare ad alcuni senza arrecare dannoad altri, che se qualche caso mi costringesse a impegnar-mi in essi, non sarei, credo, capace di riuscirci. Faccio

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all'invenzione spiegata nella Diottrica, non credo che sipossa dirla per questo cattiva; per costruire e mettere apunto la macchina che ho descritto, in modo che non vimanchi nessun particolare, sono necessari abilità e eser-cizio, sicché, se vi riuscissero al primo tentativo, non mistupirei di meno che se qualcuno potesse in un giornosolo, imparare a suonare in modo eccellente il liuto, peril solo fatto che gli è stata data una buona partitura. E sescrivo in francese, che è la lingua della mia terra, piutto-sto che in latino, che è quella dei miei precettori, è per-ché spero che quanti si servono della loro ragione natu-rale pura e semplice giudicheranno meglio delle mieopinioni di quelli che credono soltanto ai libri degli anti-chi. Quelli poi che al buon senso uniscono lo studio, eche mi auguro di avere come soli giudici, non saranno,ne sono certo, tanto partigiani del latino da rifiutarsi diintendere le mie ragioni perché le spiego in volgare.Per il resto, non voglio dir nulla, qui, nei particolari, deiprogressi che spero di fare in futuro nelle scienze, néimpegnarmi pubblicamente con promesse che non sonosicuro di mantenere; dirò soltanto che ho deciso di im-piegare unicamente il resto della mia vita nello sforzo diacquistare qualche conoscenza della natura, da cui pos-sano trarre per la medicina precetti più sicuri di quelliavuti fin qui; e che la mia natura mi tiene tanto lontanoda ogni disegno di altro genere, soprattutto da quelli chenon potrebbero giovare ad alcuni senza arrecare dannoad altri, che se qualche caso mi costringesse a impegnar-mi in essi, non sarei, credo, capace di riuscirci. Faccio

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Page 81: Questo e-book è stato realizzato anche grazie al so-...AUTORE: Descartes, René (alias Renato Cartesio) TRADUTTORE: Cubeddu, Italo CURATORE: Cubeddu, Italo NOTE: CODICE ISBN E-BOOK:

qui una dichiarazione che, lo so bene, non può servire aprocurarmi considerazione nel mondo, ma non ne honeppure nessuna voglia; e mi riterrò più obbligato, sem-pre, verso quelli che mi consentiranno col loro favore digodere senza impedimenti del mio tempo, di quanto losarei verso chi mi offrisse le cariche più onorevoli dellaterra.

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qui una dichiarazione che, lo so bene, non può servire aprocurarmi considerazione nel mondo, ma non ne honeppure nessuna voglia; e mi riterrò più obbligato, sem-pre, verso quelli che mi consentiranno col loro favore digodere senza impedimenti del mio tempo, di quanto losarei verso chi mi offrisse le cariche più onorevoli dellaterra.

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