ItaloCalvinoPRIMACHETUDICAPRONTO

ArnoldoMondadoriEditoreprimaedizionesettembre1993.

Italo Calvino incomincia a scriveremolto presto, quand'è ancoraadolescente: racconti, apologhi,poesieeopere teatrali. Il teatroè lasuaprimavocazioneeforseciòchepiù lo interessa. Di quel periodomolte sono le opere rimaste e maipubblicate. La sua straordinariacapacità di autocritica, di leggersisdoppiandosi, lo porta assairapidamente ad abbandonare quelgenere.In una lettera del 1945 annuncialaconicamente all'amico EugenioScalfari:

SONOPASSATOALLANARRATIVA.

Molto importante doveva essere lanotizia, scritta in maiuscole cheattraversano tutto lo spazio dellapagina. A partire da quel momentola sua attività di scrittore saràininterrotta; non c'è stato giorno incui non abbia lavorato, in qualsiasiluogo,inqualsiasicircostanza,suuntavolo o sulle ginocchia, in aereo oin una stanza d'albergo. Non c'èdunquedastupirsicheabbialasciatoun'opera così vasta, di cui fannoparte numerosi racconti e apologhi.Oltre a quelli da lui raccolti in varivolumi, molti uscirono soltanto superiodiciequotidiani;altririmaseroinediti.

Itestichequisiraccolgono-ineditienon-sonosolounapartediquelliscritti tra il 1943 quando l'Autorenonhaancoravent'anni-eil1984.Alcuni,concepiti inizialmentecomeromanzi, diventeranno racconti,procedimento non insolito inCalvino, che da un romanzo maipubblicato, Il bianco veliero, traepiù di un testo che inserisce nelvolumedeiRaccontidel1958.Altrisono il risultato di richiestespecifiche: forse non avrebbe maiscritto La glaciazione se unadistilleria giapponese di bevandealcoliche, sopratutto di un whiskymolto popolare in Oriente, non

avesse deciso di festeggiareil 50anniversario chiedendo un raccontoadalcuninotiscrittoriEuropei.C'erauna sola costrizione: quella dimenzionare una qualsiasi bevandaalcolicanel testo.Laglaciazione fupubblicata in giapponese prima chein italiano. Curiosi anche lagestazioneeildestinodeL'incendiodella casa abominevole. C'era statauna richiesta, piuttosto vaga, dellaIBM:finoachepuntoerapossibilescrivere un racconto con ilcomputer?QuestoaccadevaaPariginel 1973, e queste macchine nonerano di facile accesso. Senzaperdersi d'animo e dedicando loro

molto tempo, Calvino fece a manotutte le operazioni che avrebbedovuto fare il computer. Il raccontofinì poi sull'edizione italiana diPlayboy. In verità questo nonrappresentò un problema perCalvino che lo aveva destinatomentalmente all'Oulipo comeesempio di ars combinatoria e disfida alle proprie capacitàmatematiche.Per quanto riguarda i racconti cheaprono questo libro, quasi tuttiinediti e molto brevi Calvino lichiamava raccontini -, può essereutile sapere che in una nota del1943, trovata tra le sue carte

giovanili, scriveva:L'apologonascein tempi d'oppressione. Quandol'uomononpuòdarchiaraformaalsuo pensiero, lo esprime permezzodi favole. Questi raccontinicorrispondono a una seried'esperienzepolitiche e sociali d'ungiovane durante l'agonia delfascismo.Quando i tempi lo permetteranno,aggiungeva,ecioèdopolafinedellaguerra e del fascismo, il racconto-apologo non sarà più necessario elo scrittore potrà passare ad altro.Maititolieledatedigranpartedeitesti del presente volume e di altriscritti non raccolti sembrano

indicare che, malgrado iragionamenti di gioventù, Calvinoavrebbe continuato a scrivereapologhi per molti anni ancora.Sono stati inclusi in questo libroalcuni scritti difficilmente reperibilicome Il richiamo dell'acqua e ilPiccolo sillabario illustrato; anchesenonsononéapologhinéraccontiin senso stretto, meritano di essereproposti ai lettori. In altri casi, testichepossonosembrareunicioisolatinell'insieme della sua opera fannoparte di progetti cheCalvino avevachiari in mente ma non ebbe iltempodirealizzare.EstherCalvino.

PRIMACHETUDICAPRONTO.

APOLOGHIERACCONTI

1943-1958

L'uomochechiamavaTeresa

Scesi dal marciapiede, feci qualchepasso a ritroso guardando in su, e,giunto in mezzo alla via, portai lemaniallabocca,amegafonoegridaiverso gli ultimi piani del palazzo: -Teresa! La mia ombra si spaventòdella luna e mi si rannicchiò tra ipiedi.Passòuno.Iochiamaiancora:-Teresa!-Quellos'avvicinò,disse:- Se non chiamate più forte non visente. Proviamo in due. Allora:conto fino a tre, al tre attacchiamoinsieme-.Edisse:-Uno,due,tre-.E insieme gridammo: - Tereeesaaa!Passò un gruppetto d'amici che

tornavano dal teatro o dal caffè evidero noi due che chiamavamo.Dissero:-Su,chevidiamounavoceanchenoi-.Eanchelorovenneroinmezzo alla strada e quello di primadiceva uno due tre e allora tutti incoro si gridava: - Te-reee-saaa!Passòancoraqualcunoesiunìanoi;dopo un quarto d'ora eravamoradunati in parecchi, una ventina,quasi. E ogni tanto arrivavaqualcuno nuovo.Metterci d'accordoper gridare bene, tutti insieme, nonfufacile.C'erasemprequalcunochecominciava prima del tre o chetiravatroppoin lunedì maallafinesiriuscivaafaregiàqualcosadiben

fatto.Siconvenneche -Te-andavadetto basso e lungo, -re - acuto elungo, - sa - basso e breve. Venivamolto bene. Poi ogni tanto qualchelitigioperqualcunochestonava.Giàsi cominciava ad essere affiatati,quando uno, che, a giudicare dallavoce,dovevaaverelafacciapienadilentiggini,chiese:-Masietepropriosicuro che sia in casa? Io no -risposi.-Brutt'affare - disse un altro. -Dimenticato la chiave, vero? - Perquello-dissi - io lachiavece l'ho.-Allora - mi si chiese - perché nonsalite? - Ma io non sto mica qui -risposi. - Sto dall'altra parte della

città. - Ma, allora, scusate lacuriosità - chiese circospetto quelloconlavocepienadilentiggini-quichi ci sta? - Non saprei davvero -dissi. Ci fu un po' di malcontentointorno. -Ma si può sapere allora -chieseunoconlavocepienadidenti-perchéchiamateTeresaquasotto?-Per me - risposi possiamo anchechiamare un altro nome, o in unaltro posto. Per quel che costa. Glialtrici rimaserounpo'male. -Nonavetevolutomicafarciunoscherzo?chiese quello delle lentiggini,sospettoso.-Eche?-dissi,risentitoemi voltai verso gli altri a chiedergaranzia delle mie intenzioni. Gli

altrirestaronoinsilenzio,mostrandodi non aver raccolto l'insinuazione.Ci fu un momento di disagio. -Vediamo - disse uno, bonario. -Possiamo chiamare Teresa ancoraunavolta,poiceneandiamoacasa.Esifeceancoraunavolta-unoduetre Teresa! - ma non riuscì tantobene. Poi scantonammo, chi da unaparte,chidall'altra.Erogiàsvoltatoinpiazza,quandomiparvedisentireancora una voce che gridava: -Tee-reee-sa! Qualcuno doveva esserrimastoachiamare,ostinato.

Illampo

Mi capitò una volta, a un crocevia,in mezzo alla folla, all'andirivieni.Mi fermai, battei le palpebre: noncapivo niente. Niente, niente deltutto: non capivo le ragioni dellecose, degli uomini, era tutto senzasenso, assurdo. E mi misi a ridere.Lostranoerapermeallorachenonme ne fossi mai accorto prima. Eavessi fin'allora accettato tutto:semafori, veicoli, manifesti, divise,monumenti,quellecosecosìstaccatedal senso del mondo, come se cifosse una necessità, unaconseguenza che le legasse l'unaall'altra. Allora il riso mi morì in

gola, arrossii di vergogna.Gesticolai, per richiamarel'attenzione dei passanti e -Fermateviunmomento!-gridai-c'èqualcosa che non va! Tutto èsbagliato! Facciamo cose assurde!Questa non può essere la stradagiusta!Dovesivaafinire?Lagentemi si fermò intorno, mi squadrava,curiosa. Io rimanevo lì in mezzo,gesticolavo, smaniavo di spiegarmi,di farli partecipi del lampo chem'avevailluminatotutt'auntratto:erestavozitto.Zitto, perché nel momento in cuiavevo alzato le braccia e apertobocca, la grande rivelazione m'era

stata come ringhiottita e le parolem'erano uscite così, per via delloslancio.-Ebbene?-chieselagente-cosavuoldire?Tuttoèalsuoposto.Tutto va come deve andare. Ognicosaèconseguenzad'un'altra.Ogni cosa è ordinata con le altre.Noinonvediamoniented'assurdood'ingiustificato! E io rimasi lì,smarrito, perché allamiavista tuttoera tornato al suo posto e tutto misembrava naturale, semafori,monumenti, divise, grattacieli,rotaie,mendicanti,cortei;epurenonme ne veniva tranquillità, matormento.-Scusate-risposi-Forsehosbagliatoio.M'erasembrato.Ma

tutto è a posto. Scusate - emi fecilargo tra i loro sguardi irti. Pure,anche adesso, ogni volta (spesso)chemiaccadedinoncapirequalchecosa, allora, istintivamente, miprendelasperanzachesiadinuovolavoltabuona, eche io torni anoncapirepiùniente,aimpossessarmidiquella saggezza diversa, trovata eperdutanelmedesimoistante.

Chisicontenta

C'era un paese dove eraproibitotutto.Ora, l'unica cosa non proibitaessendoilgiocodellalippa,isudditisi riunivano in certi prati che eranodietroalpaeseelì,giocandoalla lippa, passavano le giornate. Esiccome le proibizioni eranovenuteun poco per volta, sempre pergiustificatimotivi,nonc'eranessunoche trovasse a ridire o non sapesseadattarsi. Passarono gli anni. Ungiornoiconnestabilividerochenonc'era più ragione a che tutto fosseproibito e mandarono messi adavvertireisudditichepotevanofare

quelchevolevano.Imessiandaronoinqueipostidoveusavanoriunirsiisudditi.Sapete-annunziarono-nonè più proibito niente. Quellicontinuavano a giocare alla lippa. -Avetecapito?-insistetteroimessi.-Sieteliberidifarequelchevolete.-Bene - risposero i sudditi. - Noigiochiamo alla lippa. I messis'affannarono a ricordar loroquanteoccupazioniebelleeutilivifosserocui loroavevanoatteso inpassatoecui potevano di nuovo attendered'allorainpoi.Maquellinondavanoretta e continuavano a giocare, unabotta dopo l'altra, senza nemmenoprenderfiato.

Visti vani i tentativi, i messiandarono a dirlo ai connestabili. -Prestofatto-dissero iconnestabili. -Proibiamoilgiocodellalippa.Fulavoltacheilpopolo fece la rivoluzione e liammazzò tutti. Poi senza perderetempo,tornòagiocareallalippa.

ILfiumeasciutto

Ora, io mi ritrovai nel fiumeasciutto.Giàdatempomitenevaunpaesenonmio,ovelecoseanzichefarmisi apocoapocopiù familiari,sempre più mi apparivano comevelate da insospettate differenze: enelle forme e nei colori e nellereciproche armonie.Altre da quelleche avevo imparato a conosceremicircondavano ora colline, condelicate curvature di declivi, e icampi pure e le vigne andavano iquietidecliviseguendoele terrazzeerte, s'abbandonavano in docilipendenze.Tuttinuovieranoicolori,

come toni di un arcobalenosconosciuto. Gli alberi, sparsi,sembravano sospesi, come piccolenubi, e quasi trasparenti. Allora iom'accorsi dell'aria, di come essa sifacevaconcretaalmiosguardo,emiriempiva le mani come io leprotendevo in essa. E vidi meimpossibile a conciliare con ilmondointorno,scoscesoecalcinosocom'ero io dentro e con squarci dicolore d'una vivezza quasi cupa,come urli o risate. E per quantom'ingegnassiamettereparoletrameelecose,nonmiriuscivaditrovarned'adatte a rivestirle; perché tutte lemie parole erano dure e appena

scheggiate: e il dirle era comeposaretantepietre.Pure,seinmesivenivadisviluppandoqualchesopitamemoria, questa era di cose nonvissute ma di apprese: forse paesinoncredutivistisulfondodiantichepitture, forse parole di antichi poetiincompresi. In una tale fluidaatmosfera io vivevo si può direnuotando e sentivo via viasmussarmisi gli attriti ed iodissolvermi,assorbito inessa.Maaritrovarmestesso,bastòchem'incontrassi nel vecchio fiumeasciutto.Mimuoveva - era estate -undesideriod'acqua,religioso,quasidiunrito.Midisponevo,scendendo

tra levignequella sera, aunbagnosacro e la parola acqua, già permesinonimodifelicità,sidilatavanellamiamentecomenomeoradideaoradiamante.Meneapparve il tempiosul fondo della valle, dietro unapallidaspondadiarbusti.Eraungrandefiumedisassibianchi,pieno di silenzio. Solo vestigiod'acqua, un rivolo strisciava indisparte, quasi di nascosto. A trattil'esiguità del rigagnolo, tra pietregrandiprecludentil'intornoerivedicanneti, mi ritrasportava tra i notitorrenti e mi riproponeva allamemoria più strette e faticate valli.Fu questo: e forse anche il contatto

delle pietre sotto imiei piedi - rosisassi del fondo dal dorso incrostatod'un velo d'alghe rattrappite -ol'inevitabilemuoveredeimieipassi,a balzi, da l'uno scoglio all'altro, oforse fu soloun rumore che fece laghiaia, franando. Sta il fatto che ildivariotrameeiluoghiquiscemòesi compose: una sorta di fratellanzacome di metafisica consanguineitàmi legava a quel pietrame, fecondosoloditimidi,tenacissimilicheni.Enelvecchiofiumeasciuttoriconobbiun mio antico padre ignudo. Così,noi andavamoper il fiumeasciutto.Coluichesimuovevaconmeerauncompagnodisorte,uomodeiluoghi,

cuil'oscuritàdellapelleedelpelameche gli scendeva a barbe fino dallaschiena, unita a la tumidezza dellelabbraealprofilocamuso,conferivaungrottesco sembiante di capotribùnon so meglio se congolese ooceano. Presentava egli un fiero egagliardoaspettoenelvisoancorchéocchialuto e nel procederecontrastato però dalla goffasbracatura di quei bagnantiimprovvisati che eravamo. Benchécastonellavitacomeunquacchero,era all'incontro osceno come unsatironeidiscorsi.Ilsuoaccentoeraquanto di più aspirato e fumigantemi fossemai stato dato d'intendere:

parlava egli a bocca eternamentespalancataopienad'ariaemettendo,a sfogo continuo del caratteresulfureo, uragani d'improperi maiuditi. Tali, noi risalivamo il fiumeasciutto in cerca d'un allargamentodellavenadovelavareinostricorpi,lordiestanchicheerano.Ora,anoiche camminavamo per il grandeventre,aun'ansa,losfondos'arricchìdi nuovi oggetti. Su alti scoglibianchi, avventura per gli sguardi,sedevano due, tre, forse quattrosignorine, in costume da bagno.Costumi rossi e gialli - ancheazzurri, è probabile, ma di questononricordo:solodirossoedigiallo

abbisognavano i miei occhi - ecuffiette, come in una spiaggia allamoda.Fucomeilcantodiungallo.Un verde palmo d'acqua correva lìvicino e arrivava ai calcagni; loroperbagnarsivisiaccoccolavano.Ciarrestammo,divisitralaletiziadellavista, ilmorso dei rimpianti ch'essaci destava, e la vergogna di noibruttieingaglioffiti.Poiavanzammoverso di loro che stavano conindifferenza considerandoci eazzardammo qualche frase,studiandole, come suole, piùspiritose e banali che potessimo. Ilcompagnosulfureosecondòilgiocosenz'entusiasmo con una sorta di

timidoriserbo.Sta il fattochedopopoco, stanchi e del nostro faticosodire e del freddo rispondere diquelle, ci rimettemmo in cammino,dando libero corso a più agevolicommenti. E, a consolarci, bastava,custodito negli occhi, quel ricordopiù che di corpi, di costumi dabagno gialli e rossi. Talora unbracciodellacorrente,nonfonda,sispandeva allagando tutto l'alveo; enoi, alte e inaccessibili essendo lerive, lo traversavamo coi piedinell'acqua. Portavamo scarpeleggere,ditelaegommael'acquacicorreva dentro: e quando si tornavanell'asciutto i piedi ci guazzavano

dentro ad ogni passo, con sbuffi esciacquio. Imbruniva. Il pietramebianco s'animava di punti neri,saltanti: i girini. Dovevano avermessolezampealloraallora,piccolie coduti che erano, e sembravanonon essersi ancora ben capacitati diquella nuova forza che, tratto atratto, li sbalestrava in aria. Ognipietra ne aveva uno, ma per poco,che quello saltava e un altrosuccedeva al suo posto. E poi chesimultanei erano i balzi e poi cheprocedendoperilgrandefiumealtronon si vedeva che il pullulare diquella moltitudine anfibia,avanzante come un esercito senza

limiti, un senso di sgomento mi sifaceva dentro, quasi quella sinfoniain bianco e nero, quel cartoneanimato triste come un disegnocinese,paurosamenterendessel'ideadell'infinito. Ci si fermò a unospecchio d'acqua che promettevaspaziobastantea immergere tutto ilnostro corpo; anzi, ad allungarequalche bracciata. Io m'immersiscalzo e spogliato: era un'acquavegetale,putridaperunlentosfacelodi piante fluviali. Il fondo eraviscido e melmoso: e innalzava, atoccarlo, torbide nuvole fino allasuperficie. Pure, era acqua; ed erabella. Il compagno scese in acqua

conscarpeecalze, solo lasciandoarivagliocchiali.Poi,pococompresodel lato religioso della cerimonia,preseadinsaponarsi.Cominciammocosì quella giuliva festa che è illavarsi, quando esso è raro edifficile.Illaghettochecicontenevaappena traboccava di schiuma e dibarriti, come per un bagno dielefanti.Sulleprodedelfiumeeranosalici e arbusti e case con ruote damolino;etaleeralaloroirrealtà, inconfronto alla concretezza diquell'acquaediquellepietre,che ilgrigio della sera, infiltrandosi, davaloro l'aspetto di un arazzo stinto. Ilcompagno si lavava i piedi, ora, in

strana guisa: senza scalzarsi einsaponandosi scarpe e calzeaddosso. Poi, ci asciugammo e civestimmo. Da una mia calza, nelraccoglierla, saltò fuori un girino.Sugli occhiali del compagno, posatia riva, doveva esser arrivataun'acquata.E-comeselimisecosìgaiodovetteapparirgliloscompigliodiquelmondo,coloratodagliultimisprazzideltramonto,vistoattraversounpaiodilentibagnate,chepresearidere, a ridere, senza freno e amechenechiedevoragionedisse:Vedotuttounputtanaio!.E,piùlindi,conuna tiepida spossatezza in corpo, alposto della sorda stanchezza di

prima, ci accomiatammo dal nuovoamico fiumee ci allontanammoperuna stradella che seguiva la rivaragionando delle cose nostre e diquando v'avremmo fatto ritorno, etendendo gli orecchi, attenti alontanisuoniditromba.

Coscienza

Venne una guerra e un certo Luigichiese se poteva andarci, davolontario.Tuttigli fecerounsaccodi complimenti. Luigi andò nelpostodovedavano i fucili,nepreseuno e disse: - Adesso vado aammazzare un certo Alberto. GlichieserochieraquestoAlberto.-Unnemico-rispose,-unnemicocheciho io. Quelli gli fecero capire chedoveva ammazzare dei nemici diuna data qualità, non quelli chepiacevano a lui. - E che? - disseLuigi-Mipigliateperignorante?QueltaleAlbertoèpropriodiquellaqualità, di quel paese. Quando ho

saputo che ci facevate la guerracontro, ho pensato: vengo anch'io,così posso ammazzare Alberto. Perquesto son venuto. Alberto io loconosco: è un farabutto e per pochisoldi mi ha fatto fare una bruttaparte davanti a una. Sono faccendevecchie. Se non ci credete, viracconto tutto per disteso. Lorodissero che sì, che andava bene. -Allora - fece Luigi - mi spiegatedov'è Alberto, così ci vado e cicombatto. Loro dissero che non nesapevano. - Non importa - disseLuigi,-mifaròspiegare.Primaopoilo troverò bene. Quelli gli disseroche non si poteva, che lui doveva

farelaguerradovelomettevanloro,e ammazzare chi capitava, diAlberto o non Alberto loro nonsapevanoniente.- Vedete insisteva Luigi - bisognaproprio che vi racconti. Perchéquello è proprio un farabutto e fatebeneafarcilaguerracontro.Maglialtri non ne volevano sapere. Luiginon riusciva a farsi ragione: -Scusate, per VOi se ammazzo unnemicooseneammazzounaltroèlostesso.Ameinvecediammazzarequalcuno che magari con Albertononhanienteachevedere,dispiace.Glialtriperserolapazienza.Qualcunoglispiegòditanteragioni

e di come era fatta la guerra e cheuno non poteva andarsi a cercare ilnemico che voleva. Luigi alzò lespalle.-Seècosì- disse - io non ci sto. -Ci sei e cistai! - gridarono quelli. - Avanti-march, un-duè, un-duè! - E lomandaronoafarlaguerra.Luiginoneracontento.Ammazzava dei nemici, così, pervedereseglicapitavadiammazzareancheAlberto o qualche suo parente. Glidavano una medaglia ogni nemicoche ammazzava, ma lui non eracontento.-SenonammazzoAlbertopensava ho ammazzato tanta gente

per niente. - E ne aveva rimorso.Intanto gli davano medaglie sumedaglie, di tutti i metalli. Luigipensava: Ammazza oggi ammazzadomani, i nemici diminuiranno everràpurelavoltadiquelfarabutto.Ma i nemici si arresero prima cheLuigi avesse trovato Alberto. Glivenneilrimorsodiaverammazzatotanta gente per niente, e siccomec'era lapace,mise tutte lemedagliein un sacco e girò per il paese deinemici a regalarle ai figli e allemogli dei morti. Girando così,successechetrovòAlberto.-Bene-disse -meglio tardi che mai - e loammazzò. Fu la volta che lo

arrestarono, lo processarono peromicidio e lo impiccarono. Alprocesso badava a ripetere chel'avevafattopermettersiapostoconla coscienza,manessuno lo stavaasentire.

Solidarietà

Mi fermai a guardarli. Lavoravanocosì,dinotte,inquellaviaappartata,intorno alla saracinesca di unnegozio. Era una saracinescapesante: loro facevano leva con unpalo di ferro ma quella non sialzava.Passavo di lì, solo e per caso. Miattaccai anch'io al palo a far forza.Loromifeceroposto.Nons'andavabene a tempo; io feci Ooh-op! Ilcompagno di destra mi diede unagomitatae,piano:Zitto!-midisse-sei matto! Vuoi che ci sentano? Ioscossiilcapocomeadirechemierasfuggito. Ci mettemmo un po' e

sudammo ma alla fine l'alzammotanto che si poteva passarci. Ci siguardò in faccia, contenti. Pois'entrò. A me diedero da tenere unsacco. Gli altri portavano roba e lamettevano dentro. Purché nonarrivino quei vigliacchi dellapolizia! dicevano. - Davvero -rispondevo io. -Vigliacchi che nonsonoaltro!-Zitto.Nonsentirumoredi passi? facevano ogni tanto. Iotendevo le orecchie con un po' dipaura. - Ma no, non sono loro! -rispondevo.-Quelliarrivanosemprequando meno ce li si aspetta! - mifaceva uno. Io scuotevo il capo. -Ammazzarli tutti, si dovrebbe -

dicevo.Poimidisserodi andareunpo' fuori, alla svolta, a vedere searrivava nessuno. Io andai. Fuori,allasvolta,c'eranodeglialtrirasentiai muri, nascosti negli angoli, chevenivanoavanti.Micimisianch'io.- Dei rumori laggiù, verso queinegozi disse quello che mi eravicino. Io feci capolino. - Metti latesta dentro, imbecille, che se civedono ci scappano un'altra volta -bisbigliò.Guardavo…-mi scusaiem'acquattaialmuro.-Seciriescediaggirarlisenzacheseneaccorgano-fece un altro - li prendiamo intrappola tanti quanti sono. Cimuovevamo a balzi, in punta di

piedi, trattenendo il respiro: ognipocociguardavamol'un l'altro,congli occhi lustri. - Non ci scappanopiù-dissi.-Finalmenteriusciremoacoglierliconlemaninelsacco-feceuno. - Era ora - dissi io. - Cani didelinquenti,svaligiarecosìinegozi!dissequello.Cani,cani!-ripeteiio,con rabbia. Mi mandarono un po'avanti, a vedere. Capitai dentro ilnegozio. - Ormai - diceva unomettendo in ispalla un sacconon cipiglianopiù.-Svelti-disseunaltro-tagliamovia dal retrobottega!Cosìgli scappiamo di sotto al naso.Avevamo tutti un sorriso di trionfosullelabbra.-Resterannoconunbel

palmodinaso-dissi.Esisgattaiolònel retrobottega. -Ancoraunavoltache li giochiamo come merli!dicevano. Su quella si sentì: - Altolà,chivalàelelucisiaccesero.Noici acquattammo dietro unnascondiglio, pallidi, e ciprendemmo per mano. Quellientrarono anche lì, non ci videro,girarono. Noi schizzammo fuori eviaagambelevate.-Gliel'abbiamofatta! -gridammo.Io inciampaidueo tre volte e rimasi indietro. Mitrovai in mezzo agli altri checorrevanopure.-Dai-midissero-che li raggiungiamo. E tutti sigaloppavapeivicoli,inseguendo.

Corridiqui,tagliadilà-cisidicevae quelli ci avanzavano ormai dipoco,esigridava:-DaichenonCiscappano. Io riuscii amettermi allecalcagna di uno.Quellomi disse: -Bravo,seiriuscitoascappare.Forza,da questa parte, che facciamoperdereletracce!-eiomiaccodaialui.Dopounpo'mitrovaisolo,inunvicolo.Unomi scantonòvicino,midissecorrendo:Dai,daquestaparte,li ho visto io, non possono essersiallontanati. Io corsi un po' dietro alui.Poimifermai,sudato.Nonc'erapiù nessuno, non si sentivano piùgrida.Rimasiconlemaniintascaeripresi

apasseggiare,soloeacaso.

Lapecoranera

C'era un paese dove erano TUTTIladri.La notte ogni abitante usciva,coigrimaldellie la lanternacieca,eandava a scassinare la casa di unvicino.Rincasavaall'alba, carico, e trovavala casa svaligiata. E cosi tuttivivevano in concordia e senzadanno, poiché l'uno rubava all'altro,equestoaunaltroancoraecosìvia,finché non si arrivava a un ultimoche rubava al primo. Il commercioinquelpaesesipraticavasolosottoforma d'imbroglio e da parte di chivendevaedapartedichicomprava.

Il governo era un'associazione adelinquere ai danni dei sudditi, e isudditidalcantolorobadavanosoloa frodare il governo. Cosi la vitaproseguiva senza inciampi, e nonc'eranonéricchinépoveri.Ora,nonsisacome,accaddechenelpaesesivenisse a trovare un uomo onesto.La notte, invece di uscirsene colsacco e la lanterna, stava in casa afumare e a leggere romanzi.Venivano i ladri, vedevano la luceaccesa e non salivano.Questo fattoduròperunpoco:poibisognòfarglicomprendere che se lui volevaviveresenzafarniente,noneraunabuona ragione per non lasciar fare

aglialtri.Ogninottecheluipassavain casa, era una famiglia che nonmangiava l'indomani. Di fronte aqueste ragioni l'uomo onesto nonpoteva opporsi. Prese anche lui auscirelaserapertornareall'alba,maa rubarenonciandava.Onestoera,nonc'eranulladafare.Andavafinoal ponte e stava a veder passarel'acqua sotto. Tornava a casa, e latrovava svaligiata. In meno di unasettimana l'uomo onesto si trovòsenza un soldo, senza di chemangiare,conlacasavuota.Mafinquipocomale,perchéeracolpasua;ilguaioerachedaquestosuomododi fare ne nasceva tutto uno

scombinamento.Perché lui si faceva rubare tutto eintanto non rubava a nessuno; cosic'era sempre qualcuno cherincasando all'alba trovava la casaintatta: la casa che avrebbe dovutosvaligiare lui.Fattostachedopounpoco quelli che non venivanoderubati si trovarono ad essere piùricchi degli altri e a non voler piùrubare. E, d'altronde, quelli chevenivano per rubare in casadell'uomo onesto la trovavanosempre vuota; cosi diventavanopoveri. Intanto, quelli diventatiricchipresero l'abitudineanche lorodiandarelanottesulponte,aveder

l'acqua che passava sotto. Questoaumentò lo scompiglio, perché cifurono molti altri che diventaronoricchi e molti altri che diventaronopoveri. Ora, i ricchi videro che adandare la notte sul ponte, dopo unpo' sarebbero diventati poveri. Epensarono: - Paghiamo dei poverichevadanoarubarepercontonostro-. Si fecero i contratti, furonostabiliti i salari, le percentuali:naturalmente sempre ladri erano, ecercavano di ingannarsi gli uni conglialtri.Ma,comesuccede, i ricchidiventavano sempre più ricchi e ipoveri sempre più poveri. C'eranodeiricchicosìricchidanonaverpiù

bisognodirubareedifarrubarepercontinuare a esser ricchi. Però sesmettevano di rubare diventavanopoveriperchéipoveriliderubavano.Allora pagarono i più poveri deipoveri per difendere la roba lorodaglialtripoveri,ecosìistituironolapolizia, e costruirono le carceri. Intal modo, già pochi anni dopol'avvenimentodell'uomoonesto,nonsi parlava più di rubare o di esserderubati ma solo di ricchi o dipoveri; eppure erano sempre tuttiladri.Dionesti c'era stato soloqueltale,ederamortosubito,difame.

Buonanulla

Il sole entrava nella via di sbieco,già alto, illuminandoladisordinatamente, ritagliando leombredeitettisuimuridellecasedifronte, accendendo di barbagli levetrine agghindate, battendo,sbucato da insospettati spiragli, sulvolto dei passanti frettolosi, che siscansavano sumarciapiedi affollati.Vidiperlaprimavoltal'uomodagliocchichiariauncrocicchio,fermooin marcia, non ricordo bene: certochelasuafiguramisifacevasemprepiùvicina,ocheioandassiincontroalui,oviceversa.Eraaltoemagro,vestito d'un impermeabile chiaro,

con un paracqua ben chiuso, estriminzitoappesoalbraccio.Avevain testa un feltro, chiaro anch'esso,dalla tesa larga e tonda; e, subitosotto, gli occhi, grandi, freddi,liquidi, con un movimento stranoagli angoli. Non si capiva che etàavesse,tuttorasoemagro.Tenevainuna mano un libro, chiuso con undito dentro, come per tenere ilsegno.Subito,miparvedisentire ilsuo sguardo posato su di me, unosguardo immobile che micomprendeva dalla testa ai piedi enonmirisparmiavaneppuredietroedentro.Voltaigliocchialtrovedibotto,ma,

andando, a ogni pocomi veniva dalanciargli contro delle sbirciaterapide, e ogni voltame lo rivedevopiù vicino, a guardarmi. Finii pertrovarmelo davanti fermo, con labocca quasi senza labbra che stavaper inclinarsi in un sorriso. L'uomotirò fuori di tasca un dito,lentamente, e con esso indicò interra, ai miei piedi; fu allora cheparlò, con una voce un po' umile,magra.-Scusidisse-haunascarpaslegata.Eravero.Iduecapidellastringamipensavano ai lati di una scarpatrascinati e pesti. Arrossiileggermente,bofonchiaiungrazie-,

mi chinai. Fermarsi per la strada alegarsiunascarpaèseccante:speciefermarcisi comemi ci fermai io, inmezzo almarciapiede, senzaposareil piede su un rialzo, inginocchiatoin terra, con la gente che miinciampava contro. L'uomo dagliocchichiari, fattounvagogestodisaluto,sen'erasubitoandato.Maeradestinoche lo riincontrassi:nonerapassato un quarto d'ora che me lorivididavanti,fermoaguardareunavetrina. E allora mi prese unasmania incomprensibile di voltarmie di tornare indietro, o meglio dipassare lesto lesto, adesso che luistavaattentoallavetrina,perchénon

seneaccorgesse.No:giàeratroppotardi, lo sconosciuto s'era voltato,m'aveva visto, mi guardava, volevadirmi ancora qualche cosa. Mifermai davanti a lui, con paura. Losconosciuto aveva un tono ancorapiùumile.-Guardi-disse-èancoraslegata. Io avrei voluto scomparireinunanuvola.Nonrisposinulla,michinai ad annodare la stringa conrabbiosadiligenza.Mifischiavanoleorecchie e mi sembrava che lepersonechepassavanointornoamescansandomi fossero tutte le stesseche già mi avevano scansato laprimavoltaegiàm'avesseronotato,e tra di loro mormorassero ironici

commenti. Ora però la scarpa eralegatastrettaebene,eiocamminavoleggero e sicuro. Anzi adessosperavo, con una sorta di inconscioorgoglio, d'imbattermi ancora nellosconosciuto, quasi a riabilitarmi.tuttavia, appena, fatto il giro lungodella piazza, mi ritrovai a pochipassi da lui, sullo stessomarciapiede, l'orgoglio cessòd'urgermi dentro, d'improvviso, esubentrò lo sgomento. Infatti losconosciuto aveva in volto unaespressione rincresciuta,guardandomi, e mi s'avvicinavascuotendo leggermente il capo, conl'ariadichisiduolediqualchefatto

naturalesuperioreallavolontàdegliuomini.Mettendo avanti i passi, iomi sbirciavo la scarpa incriminata,con apprensione; era sempreannodata, come prima. Pure, conmio sgomento, lo sconosciutocontinuò a scuotere il capo per unpo', poi disse: Adesso s'è slegatal'altra. Ora io avevo quel desiderioche viene nei brutti sogni, dicancellare tutto, di svegliarmi.Ostentai una smorfia di rivolta,addentandomi un labbro come inun'imprecazione repressa e ripigliaia cincischiare freneticamente ilegacci, curvo in mezzo alla via.M'alzai con le fiamme sotto gli

occhi e camminai via a testa bassa,di nient'altro desideroso che disottrarmiaglisguardidellagente.

Mailtormentononeraancorafinito,quelgiorno:mentrearrancavoperlaviadicasa,confretta,sentivochelevolute del fiocco, piano pianoscivolavano una sull'altra, che ilnodo si andava allentando semprepiù,cheilegacci,apocoapoco,misi svolgevano.Dapprima rallentai ilpasso, quasi un po' di cautelabastasse a sostenere il malcertoequilibriodiquelgarbuglio.Macasamia era ancora lontana e già i capidella stringa si trascinavano sulselciato, in corti svolazzi. Allora lamia andatura fu affannosa, da fuga,sotto l'incalzared'un terrore folle: ilterrore di incontrarmi ancora con

l'inesorabile sguardo di quell'uomo.Eraquellaunacittàpiccola,raccolta,tutta andirivieni; a girarla, inmezz'ora si rincontravano tre,quattro volte le stesse facce.Ora iomarciavo in essa con andaturad'incubo,combattutotralavergognadimostrarmi ancora in via con unascarpa slegata, e la vergogna difarmivedereancorachinoalegarla.Gli sguardi della gente misembravano affoltirsi intorno a me,comeramidiunbosco.Mituffainelprimo portone che incontrai, arifugiarmi. Ma in fondo all'andito,nella mezzaluce, in piedi, con lemani appoggiate al gancio

dell'ombrello striminzito, era fermol'uomo dagli occhi chiari, e parevam'aspettasse. Io ebbi prima unosbocco di stupore, poi azzardaiqualcosa come un sorriso, em'indicai la scarpa slegata, aprevenirlo. Lo sconosciuto assentìcon quell'aria di mestacomprensione che aveva. - Già -disse - sono slegate tutt'e due. Nelportonesenonaltroc'erapiùcalma,perlegarsilescarpe,epiùcomodità,poggiando un piede su un gradino.Anchesedietro,alto,inpiediavevol'uomo dagli occhi chiari che miosservavaenonperdevaunamossadelle mie dita e sentivo il suo

sguardo in mezzo ad esse, adimbrogliarmi.Madaiedaiormaiionon pativo più nulla; fischiettavoanzi, ripetendo per l'ennesima voltaqueinodimaledetti,maproprioperbenequestavolta,dadisinvoltocheero.Sarebbebastatochequell'uomofosse stato zitto, non avessecominciato,primaatossicchiare,unpo' incerto, poi a dire, tutto in unavolta,deciso:Scusi,leilescarpenonha ancora imparato a legarsele.Voltailafacciaarrossitaversodilui,restai curvo.Mipassai la lingua trale labbra. - Sa dissi - io per i nodison proprio negato. Non micrederebbe.Dabambinononhomai

vogliomettermilìaimparare.Lescarpeme le levoeme lemettosenzaslegarle,colcornocavastivali.Per i nodi sono negato, mi ciimbroglio.Nonsicrederebbe.Alloralosconosciutodisseunacosastrana,l'ultima cosa che ci si sarebbeaspettatipotessevolerdire. -Allora- disse - ai suoi figli, se ne avrà,come farà a insegnare a legar lescarpe?Mailpiùstranofucheiocirifletteisuunmomentoepoirisposi,quasi già mi fossi proposta altravolta tra me e me la questione el'avessi risolta e tenessi in serbo larisposta,comeaspettandocheprimaopoiqualcunomi rivolgessequella

domanda. - I miei figli - dissi -vedranno dagli altri com'è che ci silega le scarpe. Lo sconosciutoreplicò, sempre più assurdo: - E seper esempio venisse il diluviouniversaleetuttal'umanitàperisseeleifosseilprescelto,leieisuoifigli,a continuare l'umanità. Comefarebbe, ha mai pensato? Comefarebbeainsegnarloroinodi?Perché se no, dopo, chissà quantisecoli dovrebbe passare l'umanità,prima di riuscire a fare un nodo, ariinventarlo! Io non raccapezzavopiù niente, né del nodo, né deldiscorso.-Ma-provaiaobbiettare-perché dovrei essere proprio io il

prescelto, come dice lei, proprio iochenonsonemmenofareunnodo?L'uomodagliocchichiarieracontroluce sulla soglia del portone: c'eranella sua espressione qualcosa diterribilmente angelico. Perché io? -disse - Tutti gli uomini mirispondono così. E tutti gli uominihannounloronodoallascarpa,unaloro cosa che non sanno fare; unaloro incapacità che li lega agli altriuomini.Lasocietàsireggeormaisuquestaasimmetriadegliuomini:èunincastro di pieni e di vuoti. Ma ildiluvio? Se venisse il diluvio e sicercasse un Noè? Non tanto unuomo giusto quanto un uomo che

fosse capace di portare in salvoquelle poche cose, tutto quello chebastaperricominciare.Vede,leinonsa legarsi le scarpe, un altronon sapiallareillegno,unaltroancoranonha letto Tolstoi, un altro non saseminareilgranoecosìvia.Daannilo sto cercando, e, mi creda, èdifficile, terribilmente difficile;l'umanità pare debba tenersi permano come quel cieco e quellozoppo che non possono andareseparati, eppure litigano. Vuol direcheseverràildiluviomorremotuttiinsieme. Così dicendo si voltò escomparve nella via. Non l'ho piùvisto e ancora oggimi domando se

era uno strano maniaco oppure unangelo, che gira da anni invano inmezzoagliuomini,allaricercadiunNoè.

Comeunvolod'anitre

Si svegliò sentendo sparare e saltògiù dal tavolaccio; nel parapigliaqualcunoapriva leportedellecelle,anche la sua. S'affacciò un biondoconlabarba,muovendounapistola;gli disse: Dài, spicciati a scapparecheseilibero.Natale si rallegrò senza capire,ricordò d'essere nudo, in maglietta,mise le gambe dentro un paio dicalzoni militari, unico altro suoindumento, bestemmiando perchénons'infilavano.Fualloracheentròquello col bastone, alto due metri;avevaunocchiostrabicoemuovevale narici, mugolando: Duve i sun?

Duveisun?Nataleselovidegiàcolbastone alto sulla sua testa, che gliscendeva addosso. Fu come se unostormo d'anitre gli avesse preso ilvolodalcervello;unosprazzorossolobruciò inmezzoalcranio.Cascòin un pozzo d'ovatta, insensibile almondo. Venne uno dei militi cheerano d'accordo con loro già daprima, gridò: Cos'hai fatto? Era unprigioniero! Subito in moltis'affannarono intorno all'uomo interracheperdevasanguedallatesta.Quello dal bastone non siraccapezzava: Sapevo assai! Conqueicalzonidafascista!Intanto bisognava sbrigarsi, da un

momento all'altro potevano arrivarei neri di rinforzo. Si trattava diprendere i mitra, i caricatori, lebombe, bruciare tutto il resto,specialmente le carte; ogni tantoqualcuno andava a dare una voceagli ostaggi:Andiamo, siete pronti?Ma quelli erano in orgasmo; ilgenerale girava per la cella incamicia.Adessomivestodiceva. Ilfarmacista con la cravattaall'anarchica chiedeva consiglio alprete;l'avvocatessainveceerabell'epronta.Poibisognavatenerd'occhioi militi fatti prigionieri, due vecchiin brache alla zuava che stavanosempre fra i piedi a parlare della

famigliaedeifigli,eilsergentezittonell'angolo, con la faccia piena divene gialle. Alla fine il generalecominciò a dire che loro erano lìcome ostaggi, che erano sicurid'esser liberatipresto,che invece inbanda non si sapeva come sarebbeandata. L'avvocatessa, trentenne,prosperosa, a venire in banda cisarebbe stata, ma il prete e ilfarmacista furono d'accordo colgeneraleerimaserotutti.Suonavanole due di notte quando, chi da unastrada, chi dall'altra, i partigianipresero il largo verso i monti, einsieme a loro i due piantoni che liavevano aiutati a entrare, qualche

ragazzo liberatodalle celle e, spinticoi mitra nella schiena, quei trefascisti prigionieri. Il lungo delbastone involse la testadel ferito inun asciugamano e se lo caricò inspalla. Avevano appena scantonatoche sentirono una sparatoriadall'altra parte della città. Era quelmattodiGek, inmezzoallapiazza,chesparavarafficheinariaperchéineriaccorressero lìeperdesserodeltempo. All'accampamento l'unicodisinfettante era la pomata disulfamidici per gli sfoghi allegambe:ariempireilbucocheNataleavevaintestacisarebbeandatotuttoiltubetto.

Due uomini furono mandati allamattinapermedicinalidaundottoresfollatonellecampagnedisotto.Lavocesisparse,lagenteeracontentaper ilcolpodellanotteallacasermadei militi; in giornata i partigianis'erano riusciti a procurare tantomateriale da fargli delle docce didisinfettante sul cranio, e mettergliunturbantedigarza,cerottiebende.Ma Natale, a occhi chiusi e boccaaperta,continuavaafare ilmorto,enon si capiva se gemesse o serussasse.Poi,apocoapoco,attornoaquelpuntodelcranio,cosìsempreatrocemente vivo, principiarono aprenderformacolori,sensazioni,ma

ognivoltaeraunostrappoinmezzoalla testa, un volo d'anitre negliocchi, che lo facevano stringere identi e articolare qualcosa neigemiti. Il giorno dopo Paulin, chefacevadacuoco,da infermiereedabecchino,diedelabuonanotizia:Staguarendo! Ha bestemmiato!. Dopole bestemmie venne la voglia dimangiare; cominciò a rovesciarsinello stomaco delle gavette diminestrone come se le bevesse,sbrodolandocisifinoaipiedi.Allorasorrideva, con una faccia tonda ebeata, da animale, in mezzo allebende e al cerotto, brontolandochissà che cosa. - Ma che lingua

parla- domandavano gli altri,standolo a guardare. -Da che paesearriva? - Chiedetelo a lui -rispondevano i compagni diprigionia e gli ex piantoni. - Uh,paesà, di che paese sei? Natalesocchiudeva gli occhi per pensare,mapoidavainungemitoe tornavaasmozzicarefrasiincomprensibili.-E diventato scemo - chiedeva ilBiondo, che era il capo - oppure loera anche da prima? -Gli altri nonsapevanobene.Certolabottaèstataforte- dicevano -Se non lo era daprima lo è diventato adesso. Conquellasuafacciaafondodipadella,tonda, piatta e nera, Natale era in

giro per il mondo da quando, tantianni prima, l'avevano chiamatomilitare. Di casa sua non ne avevapiùsaputoperchéascriverenoneracapace e a leggere nemmeno.Qualchevolta l'avevanomandato inlicenza, ma lui sbagliava treno efiniva a Torino. Dopo l'ottosettembre era capitato nella Todi eaveva continuato a girare, mezzonudo, con la gavetta legata allacintura.Poil'avevanomessodentro.Auntrattovenivanoaliberarloeglidavano una bastonata in testa.Questo per lui era perfettamentelogico, come tutte le altre vicendedella sua vita. Ilmondo era per lui

uninsiemedicoloriverdiegialli,dirumori e di urli, di voglia dimangiare e di dormire. Un buonmondo, pieno di cose buone, anchesenoncisicapivaniente,ancheseatentare di capire si sentiva quellafitta in mezzo al cranio, quel volod'anitrenelcervello,labastonatacheglipicchiavaintesta.GliuominidelBiondo erano addetti alle azioni incittà; vivevano nei primi boschi dipini sopra i sobborghi, in una zonatutta villette dove le famiglieborghesi venivano a villeggiarenegli anni buoni. Visto che la zonaeraormai inmano loro, i partigianiuscironodallegrotteedallecapanne

e s'accamparono in qualche villettadigerarchi,riempiendodipidocchiimaterassi e installando imitragliatorisuicomò.Nellevillettec'erano bottiglie, qualche provvista,dei grammofoni. Il Biondo era unragazzo duro, spietato coi nemici,dispoticocoicompagni,macercava,quandopoteva,difarstarbeneisuoiuomini. Fecero un po' di feste,vennerosudelleragazze.Nataleeracontentoinmezzoaloro.Ormainonportavapiùnécerottinébende; della ferita gli restava solouna grossa ecchimosi in mezzo aicapelliispidi,unosbalordimentochegli sembrava fossenon in luima in

tutte le cose. I compagni glifacevanoognisortadischerzimaluinons'arrabbiava,urlavaimproperiinquelsuodialettoincomprensibileederasoddisfatto.Oppuresimettevaafar la lotta conqualcuno, anche colBiondo: le pigliava sempre ma eracontento lo stesso. Una sera icompagni decisero di fargli unoscherzo: mandarlo assieme a unadelle ragazze evedere cosa sarebbesuccesso. Di ragazze fu scelta laMargherita, una grassotta fatta dicarne soffice, bianca e rossa, che siprestò al gioco. Cominciarono alavorarsi Natale, a mettergli quellapulce nell'orecchio, che Margherita

s'era innamorata di lui. Ma Nataleera guardingo; non si trovava nelsuo.Simiseroaberetuttiinsiemeeleiglifumessavicino,peraizzarlo.Nataleavedersifargliocchidolci,asentirsi premere con lagamba sottoiltavolo,sismarrivasemprepiù.Lilasciarono soli e si misero a spiaredietro la porta. Lui rideva,imbambolato. Quella s'azzardò unpo' a provocarlo. Allora Natales'accorse che lei rideva falso;batteva gli occhi. Dimenticò labastonata, le anatre, l'ecchimosi:l'afferrò e la buttò sul letto.Capivatutto perfettamente adesso: capivaquelchevolevaladonnasottodilui,

bianca e rossa e soffice, capiva chenoneraungioco,capivaperchénonera un gioco, ma una cosa loro, diluiedilei,comemangiareebere.Aun tratto gli occhi della donna, giàlucidi, si fecero, a un battere dipalpebre, ostinati, irati, le suebraccia gli resistevano, lei sidivincolavadisotto,gridava:Aiuto,mi prende. Vennero gli altri,sghignazzando, urlando, gligettaronodell'acquaaddosso.Allorafu tutto come prima, quel dolorecolorato fino in fondo al cranio;Margherita, che si ricomponeva laveste sul petto, e sbottava in risateforzate, Margherita che quando

aveva già lo sguardo lucido e laboccaumidas'eramessaagridareechiamare gli altri, non si capivaperché.E Natale, con tutti i compagniintorno che si arrotolavano sui lettidal ridere e sparavano in aria,scoppiò a piangere come unbambino. I tedeschi si svegliaronotutto in una volta, un mattino:arrivarono su camion carichi ebatterono la zona cespuglio percespuglio.IlBiondo,svegliatodaglispari,nonfeceintempoascappareefu steso da una raffica inmezzo alprato.Natalesisalvòaccoccolatoinun cespuglio, ficcando la testa in

terra ad ogni fischiare di pallottola.DopolamortedelBiondo,labandasisfasciò:chimorì,chifupreso,chitradìepassòcoineri,chicontinuòagirare per la zona fra unrastrellamento e l'altro, chi salì conlebrigateinmontagna.Natalefutraquestiultimi.Inmontagnalavitaerapiù dura: a Natale toccavacamminare da una valle all'altra,caricocomeunmulo,farei turnidiguardia e di corvé; era come damilitare, cento volte peggio e centovolte meglio. E i compagni cheridevano di lui e lo canzonavanoeranocomeicompagnicheridevanoe lo canzonavano da militare, ma

anche qualcosa di diverso, che sisarebbediceriocapitoanonaverciquello starnazzare d'anitre nelcranio. Riusci a capire tutto nelmomentoincuisitrovòcoitedeschisotto di lui che salivano sullostradone alla Goletta e rafficavanoconglisputafuocosupericespugli.Allora, steso per terra, si mise asparare moschettate una dietroall'altra e capiva perché lo faceva.Capivachequegliuominilàinbassoeranoimilitichel'avevanoarrestatoperchénonaveva lecarte in regola,erano i sorveglianti della Todi chegli marcavano le ore, erano iltenente di picchetto che gli faceva

spazzarelelatrine,eranotuttequestecose insieme ma erano anche ilpadrone che lo faceva zappare tuttalasettimanaprimad'andaresoldato,erano i giovanotti che l'avevanofatto inciampare sul marciapiede lavolta che era andato in città per lafiera,eranopuresuopadre, lavoltache gli aveva dato unmanrovescio.Ed erano pure Margherita,Margherita che già era li li pervenire con lui e poi s'era rivoltata,non proprio Margherita ma quelqualcosa che aveva fatto rivoltareMargherita: questo era un pensierodifficileancorapiùdeglialtri,maluiin quelmomento capiva. Poi pensò

al perché quegli uomini lì sottosparavanocontrodilui,gliurlavanocontro,cascavanosotto i suoi spari.Ecapicheeranouominicomeluidabambini presi a manrovesci daipadri, messi a zappare dai padroni,canzonati dai tenenti, e ora se lapigliavano con lui; matti erano apigliarselaconluichenoneentrava,perquestoluisparava,masefosserostati tutti con lui non avrebbesparato a loro ma agli altri, nonsapeva bene a chi, e Margheritasarebbe venuta con lui. Ma comefacessero i nemici a essere questi equeglialtri,buoniecattivi,comeluie contro di lui; perché lui fosse di

qui, nel giusto, loro di là, nellosbagliato: questo Natale non locapiva: era il volo d'anatre; questoera, nient'altro. Quando mancavanopochi giorni alla fine della guerra,gli inglesi si decisero a fare deilanci. I partigiani passarono inPiemonte,marciandoperduegiornie accesero i fuochi, la notte inmezzoaiprati;Gliinglesibuttaronodei cappotti coi bottoni d oro, maormai era primavera, e dei fasci difucilacci italiani della prima guerrad'Africa. I partigiani li presero e simisero a fare fantasia intorno aifuochi come tanti negri. Nataledanzava e urlava in mezzo a loro,

contento.

Amorelontanodacasa

Allevolteuntrenovaviasullarivaferrata del mare e su quel treno cisono io che parto. Perché io nonvogliorestarealmiopaesepienodisonno e d'orti, decifrare le targhedelle macchine forestiere come ilragazzo montanaro seduto sullaspalletta del ponte. Io vado, ciaopaese. Nel mondo, oltre al miopaese, ci sonoaltre città, alcune sulmarealtrenonsisaperchésmarriteinfondoallepianure,inrivaaitrenichegiungononon si sa come,dopogiri trafelati per campagne ecampagne. Ogni tanto io scendo in

una di queste città e ho sempreun'ariadaviaggiatorenovellino,conle tasche gonfie di giornali e gliocchi irritati da bruscoli. La nottespengolalucedentroillettonuovoesto a sentire i tram, poi penso acamera mia del mio paese,lontanissima nella notte, pareimpossibile che nello stessomomento esistano due luoghi cosilontani. E, non so bene dove,m'addormento. Al mattino, fuoridellafinestrac'ètuttodascoprire,seè Genova vie che scendono esalgono e case a valle e amonte ecorrerediventodall'unaall'altra, seè Torino vie diritte senza fine, a

sporgersi dalla ringhiera deipoggioli,conunadoppiafilad'alberichesfumalaggiùneicielibianchi,seè Milano case che si voltano laschiena nei prati di nebbia. Altrecittàcidevonessereealtrecosedascoprire:ungiornoandròavederci.Lacameraperòèsemprelastessainognicittàparecheselamandinodicittà in città le madame appenasanno che io arrivo. Anche i mieiarnesidabarbasulmarmodelcomòsembra li abbia trovati cosiarrivando,noncheceliabbiamessiio,conquella loroaria inevitabileecosipocomiaAnnipossoabitareinuna camera dopo altri anni in altre

camere del tutto uguali, senzariuscireasentirlacomemia,adarlelamia impronta. E che la valigia èsempre pronta per ripartire, enessunacittàd'Italiaèlabuona,einnessuna città si trova lavoro, e innessuna città il trovar lavoroaccontenta perché c'è sempreun'altracittàmiglioredovesisperadandarealavorareungiorno.Cosilarobaèsempreneicassetticomel'hotoltadallavaligia,prontaperessercirimessa. Passano i giorni e lesettimane e nella stanza comincia aarrivarciunaragazza.Potreidirecheè sempre la stessa ragazza perchédapprincipiounaragazzaèlostesso

diun'altra,unapersonaestranea,concui si comunica attraverso unformulario obbligatorio. Bisognapassareunpo'ditempoefaremoltecoseconquestaragazza,perarrivaretutt'insiemeacapirnelaspiegazione;e allora comincia la stagione delleenormiscoperte,laveraeforsesolastagione entusiasmante dell'amore.Poi passando ancora altro tempo efacendo ancora molte cose conquesta ragazza, ci si accorge cheanchelealtreeranocosi,cheanch'iosono cosi, che tutti siamo cosi, eognisuogestoannoiacomeripetutoda migliaia di specchi. Ciao,ragazza.Laprimavoltachevienea

trovarmi una ragazza, mettiamoMariamirella, io tutto il pomeriggiocombinopoco:vadoavantialeggereun libro e poi m'accorgo che hotraversatoventipagineguardandolelettere come figure; scrivo e invecefacciodisegninisulbiancodelfoglioe tutti idisegnini insiemediventanoil disegno d'un elefante, all'elefantefaccio le ombreggiature e alla finediventaunmammuth.Allora m'arrabbio per questomammuthelostrappo:possibilecheogni volta, cosi bambino, unmammuth. Strappo il mammuth,suonailcampanello:Mariamirella.Iodevocorrere adaprireprimache

la madama s'affacci dall'inferriatadel cesso e gridi; Mariamirellafuggirebbe spaventata. La madamamorirà un giorno strangolata dailadri: è scritto, non ci si può farnulla. Lei crede d'evitarlo nonandando ad aprire quando suonano,e chiedendo: - Chi l'è c'al ciama?dall'inferriata del cesso, ma è unaprecauzione inutile, già i tipografihanno composto il titolo -L'affittacamere Adelaide Braghettistrangolatada ignoti- e aspettano laconferma per impaginare.Mariamirella è li nella mezzaluce,con un cappelluccio marinaio apompone la bocca a cuore.Apro e

leis'ègiàpreparatotuttoundiscorsoda fare appena entrata, un discorsoqualsiasi, perché bisogna discorreremolto fitto intanto che io la guidoattraverso il corridoio buio fino incamera mia. Dovrebbe essere undiscorso lungo,pernon rimanere inmezzoacameramiasenzasaperpiùcosadire.Lastanzaèsenz'appiglio,disperata nel suo squallore: laspallieradi ferrodel letto, i titolidilibrisconosciutinelpiccoloscaffale.- Vieni a vedere dalla finestra,Mariamirella. La finestra è unfinestrone con la ringhiera a pettosenzabalcone,altosuduegradiniecisembradisalireesalire.Fuori, il

mare rossiccio delle tegole.Guardiamo i tetti a perdita d'occhiointornoanoi,itozzicomignolicheaun momento sbottano in baffi difumo, le assurde balaustre sucornicioni dove nessuno puòaffacciarsi, i muriccioli dei recintivuoti,incimaallecasesinistrate.Lehoposatounamanosullaspalla,unamano quasi gonfia che non sentocome mia, come se ci toccassimoattraverso uno strato d'acqua. - Haivistoabbastanza?Abbastanza…. Si scende e chiude.Siamo sott'acqua, brancoliamo consensazioniinformi.Perlastanzagirail mammuth, paura antica umana. -

Di. Le ho tolto il cappellucciomarinaioel'hofattovolaresulletto.- No. Tanto ora vado via. Se lorimette in testa, io lo prendo e lobutto per aria, al volo, ora cirincorriamo, giochiamo a dentistretti, l'amore, ecco l'amore unodell'altra, una voglia di graffi emorsi uno dell'altra, pugni anche,sulle spalle, poi un baciostanchissimo:l'amore.Ora fumiamoseduti facciaa faccia:lesigarettesonoenormitralenostredita, come oggetti tenuti sott'acqua,grandiàncoreaffondate.Perchénonsiamo felici? - Cos'hai? - feceMariamirella. - Ilmammuth, -dico.

-Cos'è?-fa.-Unsimbolo,-dico.-Dicosa?-dice.-Nonsisadicosa,-dico.-Unsimbolo.-Vedi, -dico,-unaserasedevosullarivad'unfiumecon una ragazza. - Come sichiamava? - Il fiume si chiamavaPo, e la ragazza Enrica. Perché? -Niente:mi piace sapere con chi seiandato prima. -Ben, noi sedevamosulla riva erbosa del fiume. Eraautunno, di sera, già le rive eranobuieesulfiumescendeval'ombradidueuominiinpiedicheremavano.Nella città cominciavano le luci enoi sedevamo sulla riva al di là delfiume, e in noi c'era quello che sidicel'amore,quelruvidoscoprirsie

cercarsi, quell'aspro sapore unodell'altro, tu sai, l'amore. E in mec'era tristezza e solitudine, quellasera in riva alle nere ombre deifiumi, tristezza e solitudine deinuovi amori, tristezza e nostalgiadegli amori antichi, tristezza edisperazionedegliamorifuturi.DonGiovanni, triste eroe, anticacondanna, in lui tristezza esolitudine nient'altro. - Anche conme, cosi? diceMariamirella. - E separlassiunpo' tu,adesso,sedicessiun po' tu quello che sai? Mi sonmesso a gridare con rabbia; allevolte parlando senti come l'eco, et'infuri. - Cosa vuoi che di queste

cose io, voi uomini, non riesco acapire. E cosi: le donne non hannoavuto che notizie false sull'amore.Molte notizie diverse, tutte false. Einesatte esperienze. Eppure, semprefiducia nelle notizie, non nelleesperienze. Per questo hanno tantecose false in testa. - Iovorrei,vedi,noi ragazze, - dice. - Gli uomini:cose lette, cose dette tra noiall'orecchio fin da bambine.S'imparachequelloèpiùimportantedi tutto, loscopodi tutto.Poi,vedi,iom'accorgochenons'arrivamaiaquello, veramente a quello. Non èpiùimportanteditutto.Iovorreichenonci fossenientedi tutto ciò, che

si potesse non pensarci. E invecesempre si aspetta. Forsebisognerebbe diventare madri perraggiungereilsensoveroditutto.Oprostitute. Ecco: è meraviglioso.Tutti abbiamo la nostra spiegazionesegreta.Basta scoprire la sua spiegazionesegreta e lei non è più un'estranea.Stiamo accucciati vicini comegrandi cani, o divinità fluviali. -Vedi, -diceMariamirella, - forse ioho paura di te. Ma non so doverifugiarmi. L'orizzonte è deserto,non ci sei che tu. Tu sei l'orso e lagrotta. Perciò io sto ora accucciatatra le tue braccia, perché tu mi

proteggadallapauradite.Pure,perledonneèpiùfacile.Lavitacorreinloro, grande fiume, in loro, lecontinuatrici, c'è la natura sicura emisteriosa, in loro. C'era il GrandeMatriarcato, una volta, la storia deipopoli fluiva come quella dellepiante.Poi,l'orgogliodeifuchi:unarivolta,ecco la civiltà. Lo penso, e non cicredo. - Una volta non riuscii aessere uomo con una ragazza, sulpratodiunmonte,-dico.-Ilmontesi chiamava Bignone e la ragazzaAngela Pia. Un grande prato, tra icespugli,ricordo,esuognifogliaungrillo che saltava. Quel cantare di

grilli, altissimo, senza riparo. Leinon comprese bene perché iom'alzassialloraedicessichel'ultimafunivia stava per partire. Perchés'andava in funivia,aquelmonte:esuperandoipilonisisentivafarsiunvuotodentroe leidisse:Misembraquando tumibaci.Questo, ricordo,mi fumoltodi sollievo. -Nondevidirmi queste cose, - diceMariamirella. - Non ci sarebbe piùnél'orsonélagrotta.Epureintornoa me non resterebbe che paura. -Vedi.Mariamirella-,dico,-noinondobbiamo separare le cose daipensieri.Lamaledizionedellanostragenerazioneèstataquesta:nonpoter

farequellochepensava.Oppurenonpoter pensare quello che faceva.Ecco: per esempio, tanti anni fa(m'ero corretto la carta d'identitàperché non avevo ancora l'etàprescritta), andai con una donna inuna casa di tolleranza. La casa ditolleranzasichiamavaViaCalandra15 e la donna Derna. - Come? -Derna.Aqueltempoc'eral'imperoel'unicacosanuovaerache ledonnedelle case si chiamavano Derna,Adua, Harrar, Dessiè. - Dessiè? -Anche Dessiè, credo. Vuoi che tichiamiDessiè,d'orainavanti?-No.-Ben,pertornareaquellavolta,conquella Derna. Io ero giovane e lei

grande e pelosa. Sono scappato.Pagai quello che c'era da pagare escappai: mi sembrava che allatromba delle scale fossero tutteaffacciateemiridesserodietro.Ben,questoèniente:ècheappenaacasaquella donna divenne una cosapensata e allora non mi fece piùpaura.Mi prese un desiderio di lei,un desiderio di lei da morire…Questoè:chepernoilecosepensatesono diverse dalle cose. - Ecco, -dice Mariamirella, - io ho giàpensato tutte le cose possibili, hovissuto centinaia di vite colpensiero.Disposarmi,diaveretantifiglioli, di abortire, di sposare un

ricco, di sposare un povero, didiventare una donna di lusso, didiventare una donna di strada,ballerina, monaca, venditrice dicaldarroste, diva, deputatessa,crocerossina, campionessa. Tantevitecontuttiiparticolari.Etuttechefinivano felici. Ma nella vita veranonsuccedemainulladiquellecosepensate. Così ogni volta che micapitadifantasticare,mispaventoecercodi scacciare ipensieri,perchésesognounacosanonavverràmai.E una cara ragazza. Mariamirella;cararagazzavuoldirechecapiscelecose difficili che dico e le fadiventare subito facili. Vorrei darle

un bacio, ma poi penso chebaciandola penserei di baciare ilpensiero di lei, lei penserebbe diesserebaciatadalpensierodime, enonnefaccionulla.-Bisognachelanostra generazione riconquisti lecose, Mariamirella, dico. - Chepensiamo e facciamo nello stessomomento. Non che facciamo senzapensare,però.Bisognachetra lecosepensatee lecosenoncisiapiùdifferenza.Allorasaremo felici. - Perché è cosi? -michiede.-Vedi,nonpertuttiècosi,-dico.-Iodabambinovivevoinunagrandevilla, trabalaustrealtecomevoli sulmare.E iopassavo i giorni

dietro a queste balaustre, bambinosolitario,eognicosapermeeraunostrano simbolo, gli intervalli deidatteriappesiaiciuffideigambi, lebraccia deformi dei cereus, stranisegni nella ghiaia dei viali. Poic'erano i grandi, che avevano ilcompitodi trattare con le cose, conleverecose.Ionondovevofaraltroche scoprire nuovi simboli, nuovisignificati.Cosisonorimastotuttalavita,mimuovoancorainuncastellodi significati, non di cose, dipendosempre dagli altri, dai "grandi", daquelli che manovrano le cose.Invece c'è chi fin da bambino halavoratoauntornio.Aunarneseper

fare delle cose. Che non può avereunsignificatodiversodallecosechefa.Ioquandovedounamacchinalaguardo come se fosse un castellomagico, immagino ominipiccolissimi che girano tra le ruotedentate.Untornio.Chissà cos'è un tornio. Sai cos'è untornio, Mariamirella? - Un tornio,non so bene, adesso, - dice. -Dev'essere importantissimo, untornio.Dovrebbero insegnare a tuttiausareuntornio,inveced'insegnarea usare un fucile, che è sempre unoggetto simbolico, senza un veroscopo. - A me non interessa, untornio, - dice. - Vedi, per te è più

facile: hai macchine da cucire persalvarti, aghi, che so io, fornelli agas,anchemacchinedascrivere.Tuhaipochimitidicuitideviliberare;per me tutte le cose sono simboli.Ma questo è certo: dobbiamoriconquistare le cose. La vadoaccarezzando,pianpiano.-Di,sonounacosa,io?-dice.-Ugh,dico.Hoscopertounapiccolafossettasuunaspalla, sopra l'ascella, soffice, senzaossa sotto, del tipo di fossette delleguance. Parlo con le labbra sullafossetta. - Spalla come guancia, -dico.Nonsicapisceniente.-Come?chiede.Ma non le importa nulla diquelchedico.-Corsacomegiugno,-

dico, semprenella fossetta.Leinoncapisce quello che faccio ma ne ècontentaeride.Eunacararagazza.-Mare come arrivo, - dico, poi tolgola bocca dalla fossetta e ci posol'orecchio per sentire l'eco. Non sisenteche il suo respiroe, lontanoesepolto, il cuore. - Cuore cometreno, -dico.Ecco:oraMariamirellanon è Mariamirella pensata piùMariamirella vera: è Mariamirella!Equellochefacciamoadessononèunacosapensatapiùunacosavera:il volo sopra i tetti, e la casa chesvettacomelepalmeallafinestradicasamia al paese, un grande ventohapreso ilnostroultimopianoe lo

trasporta per i cieli e le fugherossiccedelle tegole. Sulla rivadelmiopaese,ilmares'èaccortodimeefalefestecomeungrandecane.Ilmare, gigantesco amico, dallepiccolemanibianchecheraspanolaghiaia, ecco che scavalca icontrafforti dei moli, impenna labiancapanciaesaltaimonti,eccolochearrivafestosocomeunimmensocane dalle zampe bianche dirisucchio.Tacciono i grilli, tutte le pianuresono invase, campi e vigneti, orasolo un contadino alza il tridente egrida: ecco il mare sparisce comebevuto dalla terra. Ciao, mare.

Uscendo, Mariamirella ed io cimettiamoacorreregiùperlescaleaperdifiato, prima che la madamas'affacci all'inferriata e cerchi dicapiretuttoguardandociinfaccia.

Ventoinunacittà

Qualcosa, ma non capivo cosa. Uncamminaredigenteperleviepianecome salissero o scendessero, unmuoversidi labbraedinaricicomebranchie di pesci, poi case e porteche fuggivanoegliangolidelleviepiùacuti. Ilvento, era:dopomeneaccorsi.Torino è una città senza vento. Levie sono canali d'aria ferma che siperdono all'infinito come urli disirena: d'aria ferma, vetrosa di geloo sofficed'afa,mossa solodai tramrasentiigiri.Permesidimenticocheil vento esiste; solome ne resta unindistintobisogno.Mabastacheun

giorno una folata s'alzi dal fondod'unvialeemivenga incontro,e ioricordo il mio paese seminato dalventoinrivaalmare,concaseunaamonte l'altra a valle, e in mezzo ilvento che scende e sale, e vie agradinieaciottoli,esquarcidicieloazzurro e ventoso sopra i vicoli. Ecasa mia con le persiane chesbattono, le palme che gemono allefinestre, e lavocedimiopadrechegridaincimaallacollina.Cosisonoio,uomodavento,chehabisogno camminando di attriti e diabbrivi,parlandodimettersitutt'auntratto a gridare mordendo l'aria.Quandoilventonascenellacittàesi

propaga di quartiere in quartiere inlingue d'un incendio incolore, lacittà s'apre ai miei occhi come unlibro,misembradiriconosceretuttii passanti, vorrei gridare chi! alleragazze, ai ciclisti, mettermi apensare ad alta voce gesticolando.Nonsostareincasa,allora.Abitoinuna stanza d'affitto a un quintopiano; sotto la mia finestrabeccheggiano i tram giorno e nottenella via stretta, come sferratiattraverso la stanza; a notte i tramlontani gettano gridi come di gufo.La figlia della padrona è unaimpiegata grassa e isterica: ungiorno ruppeunpiattodipisellinel

corridoio e si chiuse in cameragridando.Ilcessodàsulcortile;èinfondo a un corridoio stretto, quasiuna grotta, con le pareti verdi dimuffa,umide:forsecisiformerannodellestalattiti.Fuoridell'inferriatailcortile è uno di quei cortili torinesiimprigionatidaunapàtinadilogoro,con le ringhiere di ferro ai ballatoisu cui non ci si può appoggiaresenza sporcarsi di ruggine. Igabbioni dei cessi uno sopra l'altroformanocomeunatorre:cessiconimuri soffici di muffa, paludosi sulfondo.Eiopensoacasamiaaltasulmare tra le palme, casa mia cosìdiversa da tutte le altre case. E la

diversitàcheperprimamiritornaalricordo è il numero dei cessi cheaveva, cessi di tutte le fogge: instanze da bagno luccicanti dimattonelle bianche, in sgabuzzinisemibui, cessi alla turca, antichiwater-closetconla tazzaistoriatadifregiazzurri.Cosipensandoandavoperlacittàfiutandoilvento.Edeccoche incontro una ragazza checonosco:AdaIda.-Sonoallegro: ilvento!-ledico.- A me dà ai nervi, - risponde. -Accompagnami un pezzo: fin là.AdaIdaèunadiquelleragazzechet'incontrano e subito cominciano araccontarti della loro vita, dei loro

pensieri, anche se ti conosconoappena:ragazzesenzasegretiperglialtri,chenonsianosegretiancheperloro; e trovano parole anche perquestisegreti,paroledituttiigiorni,germogliatesenzasforzo,comese iloropensierinascesserogiàintessuticompletamente di parole. -Ame ilventodàainervi,-dice.-Michiudoin casa e getto via le scarpe e giroscalzaper lestanze.Poiprendounabottigliadiwhiskychem'haregalatounamericanoebevo.Nonsonomairiuscita a ubriacarmi da sola. A uncerto punto mi metto a piangere esmetto. E una settimana che giro enon riescoa trovar impiego. Ionon

so come faccia. Ada Ida, comefacciano tutti gli altri, donne euomini, che riescono ad averconfidenza con tutti, che trovanqualcosadadirea tutti,cheentranoneifattideglialtriefannoentrareglialtri nei loro. Dico: - Io sto in unastanza al quinto piano con tram lanottecomegufi. Il cessoèverdedimuffa,conmuschiestalattiti,eunanebbia d'inverno come sopra lepaludi.Iocredocheilcaratteredellagente derivi anche dal cesso in cuisoncostrettiachiudersiognigiorno.Sitornaacasadall'ufficioesitrovail cesso verde di muffa, paludoso:allora si rompe un piatto di piselli

nelcorridoioecisichiudeincameragridando. Non è chiaro quello chehodetto,nonèpropriocomeavevopensato, certo Ada Ida non capirà,maameipensieriperconvertirsiinparole pronunciate devonoattraversareun'intercapedinevuotaeneesconofalsati. - Iofacciopuliziaognigiornonelgabinettopiùcheintutta la casa, - dice lei, - lavo ilpavimento; lustro ogni cosa. Alfinestrinometto ogni settimana unatendina, pulita, bianca coi ricami, eogniannofaccioriverniciareimuri.Misembracheseungiornodovessismetteredi farcipulizia,sarebbeunbrutto segno, e mi lascerei andare

giùgiù fino alla disperazione.Eunpiccolo gabinetto oscuro, quello dicasa mia, ma lo tengo come unachiesa. Chissà quello del padronedella Fiat come sarà. Vieni,accompagnami un pezzo, fino altram. Il meraviglioso di Ada Ida ècheaccettaognicosachedici,nonsistupisce di nulla, ogni discorso cheincominci lo continua come fossestata lei a suggerirtelo.Evuole chelaaccompagnifinoaltram.-Ben,tiaccompagno, - dico. - Dunque, ilpadrone della Fiat s'era fattocostruire per cesso un salone concolonne e tendaggi e tappeti, edacquari nelle pareti. E grandi

specchiere tutt'intorno cheriflettevanomillevoltelasuafigura.E il comodo era con braccioli espalliera,altocomeun trono;ancheil baldacchino, aveva. E la catenaper l'acqua faceva suonare uncarillon dolcissimo. Ma il padronedella Fiat non poteva andare dicorpo. Si trovava in soggezione inmezzo a quei tappeti e a quegliacquari. Le specchiere riflettevanomille volte la sua figura mentrestava seduto sul comodo alto comeun trono. E il padrone della Fiatrimpiangeva il cesso della sua casadibambino,con la segatura in terrae i pezzi di giornale infilzati a un

chiodo.Così mori: per infezione intestinaledopomesichenonandavadicorpo.-Cosimori,-acconsenteAdaIda.-Proprio così mori. Ne sai altre distorie come questa? Ecco il miotram. Sali con me in tram eraccontamene un'altra. - In tram epoi dove altro? - In tram. Tirincresce?Saliamo in tram. -Storienon posso raccontartene, - dico, -perché ho l'intercapedine. C'è unprecipizio vuoto tra me e tutti glialtri.Cimuovolebracciadentromanonafferroniente,gettodeigridimanessunolisente:èilvuotoassoluto.-Inqueicasiiocanto,diceAdaIda,

- canto mentalmente. Quando a uncerto punto parlando con qualcunom'accorgo che non so più andareavanti,comesefossigiuntainrivaaun fiume, che i pensieri fuggono anascondersi, mi metto a cantarementalmenteleultimeparoledetteosentite,suunmotivoqualsiasi.E lealtre parole che mi vengono inmente,sempresuquelmotivo,sonoleparoledeimieipensieri.Ecosiledico. - Fa un po'. - E così le dico.Comeunavoltacheunomiabbordòperstradacredendomiunadiquelle.- Ma tu non canti. - Cantomentalmente,poitraduco.Senononcapiresti. Anche quella volta con

quell'uomo. Finii per raccontargliche da tre anni non mangiavocaramelle. Me ne comprò unsacchetto.Alloranonsapevopiùdavverocosadirgli. Balbettai qualcosa e scappaivia col sacchetto. - Io invece nonriusciròmaiadirenulla,parlando,-dico,-èperquestochescrivo.-Facome i mendicanti, - mi dice AdaIda,indicandoneuno,aunafermata.Torino è piena di mendicanti comeuna città santa indiana. Anche imendicanti hanno le loromode,nelchiederel'elemosina:cominciaunoepoi tutti lo copiano. Da un po' ditempoèusanzadimoltimendicanti

scrivere sul selciato la loro storia acaratteri cubitali, con dei pezzi digesso colorato: è un buon sistemaperché la gente s'incuriosisce aleggere e poi è impegnata a gettarequalche lira. - sì, - dico, - forsebisognerebbecheanch'ioscrivessilamiastoriacolgessosulmarciapiedeemisedessivicinoasentirelagentecosadice.Almenocisiguarderàunpo' in faccia. Ma forse nessunobaderà e la cancellerannocalpestandola.-Checosascriverestitu, su un marciapiede, se fossi unmendicante? - domanda Ada Ida.Scriverei, tutto in stampatello: Iosono uno di quelli che scrivono

perché non ce la fanno a parlare;scusatemi, cittadini. Una volta ungiornalehapubblicatounacosacheavevoscritto.Eungiornalecheesceallamattinapresto;locompranoperlopiùglioperaiandandoalavorare.Quelmattino sono salito per temposuitramehovistogentecheleggevalecosecheavevoscritto,eguardavole loro facce cercando di capire suquale rigaeranoposati i loroocchi.In ogni scritto c'è sempre un puntodi cui poi ci si pente, o per paurad'esser fraintesi, o per vergogna. Esui tram quel mattino andavospiandolafacciadegliuominifinchénon giungevano a quel punto, e

allora avrei voluto dire: Guardate,forse non mi son spiegato bene, èquesto che intendevo, macontinuavoa starzittoedarrossivo.Intanto siamo scesi a una fermata eAda Ida aspetta che arrivi un altrotram. Io non so più che tram devoprendere e aspetto con lei. - Ioscriverei così, - dice Ada Ida, -condeigessetti azzurri egialli:Signori,cisonopersonepercuiilpiúgrandegodimento è farsi orinare addosso.D'Annunzio era uno di questi,dicono.Io ci credo. A questo voi dovrestepensare ogni giorno, e pensare chesiamo tutti la stessa razza, e darvi

meno arie. Poi questo: a mia zianacqueun figlio col corpodi gatto.Dovreste pensare che succedonocose come queste, nondimenticatevenemai.EcheaTorinoci sono uomini che dormono suimarciapiedi, sopra le grate dellecantine calde de. Io li ho visti. Atutte queste cose dovreste pensare,ogni sera, invece di dire lepreghiere. E tenerle ben presentidurante il giorno. Avrete menoschemi in testa e meno ipocrisie.cosìscriverei.Accompagnami anche su questotram, sia buono. Continuavo aprenderetramconAda

Ida, chissà perché. Il tram andavaper un lungo corso dei quartieripoveri.Lagentesultrameragrigiaerugosa, tutta impastata come dellamedesimapolvere.Ada Ida ha la mania di fare leosservazioni: - E guarda che ticnervoso ha quell'uomo. E guardacome s'è data la cipria quellavecchia. A me faceva pena tutto evolevochesmettesse.Eben?Eben?- dicevo. - Tutto ciò che è reale èrazionale -. Ma non ero convintofino in fondo.Anch'io sono reale erazionale, pensavo, io che nonaccetto,iochecostruiscoschemi,ioche farò cambiare tutto.Ma per far

cambiare tutto bisogna partire di lì,dall'uomo col tic nervoso, dallavecchia con la cipria, non daglischemi. Anche da Ada Ida checontinua a dire:Accompagnami finlì.-Siamoarrivati,-diceAdaIda,escendiamo.Accompagnami fin lì, tirincresce? - Tutto ciò che è reale èrazionale,AdaIda, - ledico. -Altritramdaprendere?-No,abitogirataquella strada. Eravamo alla finedella città. Castelli di ferros'alzavano dietro i muri dellefabbriche; il vento agitavabrandellidi fumo ai parafulmini delleciminiere. E c'era un fiumerimboccato d'erba: la Dora. Io mi

ricordavod'unanottedi vento, annifa,lungolaDora,incuicamminavomordendo una guancia a unaragazza. Aveva i capelli lunghi efinissimicheogni tantomifinivanotra i denti. - Una volta, - dico, -mordevounaguanciaaunaragazza,qui, nel vento.E sputavo capelli. Euna storia bellissima. -Ecco, - diceAdaIda, - sono arrivata. - E una storiabellissima, - dico, - lunga daraccontare. -Io sono arrivata, - diceAdaIda.-Luidev'esseregiàincasa.-Luichi?-Sonoconunochelavoraalla Riv. Ha la mania della pesca.M'ha riempito la casa di lenze, di

mosche artificiali. - Tutto ciò che èreale è razionale, - dico. -Era unastoria bellissima. Dimmi che tramdevo prendere per tornare. - Ilventidue, il diciassette, il sedici, -dice. - Ogni domenica andiamo sulSangone.L'altro,ieri,unatrotacosì.-Staicantandomentalmente?-No.Perché? - Chiedevo. Ventidue,ventisette, tredici? - Ventidue,diciassette, sedici. Il pesce vuolfriggerselo da sé. Ecco, sentol'odore.Eluichefrigge.-El'olio?Vibasta quello della tessera? Ventisei,diciassette, sedici. -Facciamo degliscambi con un amico. Ventidue,diciassette. - Ventidue, diciassette,

undici? - No: otto, quindici,quarantuno. - Giusto: dimenticosempre.Tuttoèrazionale.Ciao.AdaIda. A casa arrivo dopo un'ora distrada nel vento, sbagliando tutti itram e discutendo a numeri con itranvieri. Torno e trovo piselli ecocci di piatto per il corridoio,l'impiegatagrassas'èchiusaachiavenellasuastanza,egrida.

Ilreggimentosmarrito

Unreggimentod'unpotenteesercitodoveva sfilare per le vie della città.Dalle prime luci dell'alba le truppeerano schierate nel cortile dellacaserma in formazione di parata. Ilsole si faceva già alto in cielo e leombre s'accorciavano al piededeglismilzi alberelli del cortile.Sottoglielmi verniciati di fresco, i soldati egli ufficiali stillavano sudore. Ilcolonnello, dall'alto del suo cavallobianco, fece un segno: rullarono itamburi, tutta la fanfara incominciòasuonareeilcancellodellacasermalentamente girò sui propri cardini.Fuori s'aperse la vista della città,

sottouncielocelesteattraversatodamorbide nuvole, la città coi caminiche perdevano baffi di fumo, iterrazziconlecordeirtedipinzeperstendere la roba, i riflessi dei raggidi sole che battevano sugli specchideicomò,letendecacciamoscheches'impigliano agli orecchini dellemadameconlasporta,uncarrettodigelataio con l'ombrello e la scatoladi vetro per i coni, e raso terra unaquilone con le code di carta rossainanellatachecorreva trascinatodaibambiniperunlungospagoeapocoa poco andava su nell'aria e sidrizzava contro le morbide nuvoledel cielo. Il reggimento aveva

cominciatoadavanzareal ritmodeitamburi, con gran battere di suolesulselciatoescarriolared'artiglierie;ma, a vedersi davanti quella cittàtranquilla, cordiale, intenta ai fattisuoi, ognuno dei militari si senticome indiscreto, importuno, e laparata saltò agli occhi di tutti comeunacosafuordi luogo,stonata,unacosa che si poteva proprio farne ameno. Un tamburino, tale Prè GioBatta, finse di continuare il rulloincominciatoeinvecesfioròappenalapelledeltamburo.Nevennefuoriun sommesso ticchettio, ma non dilui soltanto: generale; perché nellostessoistantetuttiglialtritamburini

avevanofattocomePrè.Le trombe,poi, fecero solo un solfeggio disospiri, perché nessuno ci mettevafiato. I soldati e gli ufficiali, dandointorno sguardi di disagio,s'arrestaronoconunagambaperariae poi la riposarono pian piano, eripresero la via in punta di piedi.Cosi la lunghissima colonna, senzache fosse staio impartito nessunordine, procedeva in punta di piediconmovimenti lenti e aggomitolati,eunfrusciante,smorzatoscalpiccio.Gliaddettiaipezzi,atrovarsivicinoquei cannoni cosi fuori di luogo,furono presi tutt'a un tratto da unsenso di pudore: alcuni vollero

ostentare indifferenza, camminaresenza guardar mai dalla parte deipezzi, come stessero passando di liper puro caso; altri si tenevanoaccosti ai pezzi più che potevano,come per nasconderli, risparmiandoalla gente quella vista cosisgradevole e inurbana, o cimettevanosopracoperte,mantelline,inmododa farli passare inosservatio almeno da non attirarel'attenzione;altriancoraprendevanoverso i cannoni un atteggiamentod'affettuosa canzonatura, battevanomanate sull'affusto, sulla culatta, seli indicavanoconunmezzosorriso:tutto per dimostrare che la loro

intenzionenoneradi servirseneperscopi micidiali, ma solo portarli ingirocomegrotteschiarnesi,grossierari.Quelconfusosentimentoavevaraggiunto anche l'animo delcolonnello Clelio Leontuomini, cheistintivamente aveva abbassato latestaall'altezzadiquelladelcavallo.Ilcavallo,dapartesua,avevapresoamuoverelegambeapause,conlacauteladellebestiedatiro.Mabastòunmomentodi riflessioneperché ilcolonnello ed il cavalloriprendessero la loro andaturamarziale. Leontuomini, resosirapidamente conto della situazione,lanciò un ordine secco: - Passo di

parata! I tamburi rullarono, poipresero a battere colpi cadenzati. Ilreggimento s'era velocementericomposto e adesso procedevapestando il terreno con aggressivasicurezza. - Ecco - si disse ilcolonnelloguardandodisottecchilasua schiera - è proprio un veroreggimento in marcia. Sulmarciapiede qualche passante sifermava a far ala alla parata, eguardava con l'aria di chi vorrebbeinteressarsi emagari compiacersiditanto spiegamento di energie, masentedentrodi séqualcosachenoncapisce bene, un vago sensod'allarme,eadognimodohatroppe

coseserieper ilcapopermettersiapensare a sciabole e cannoni. Asentirsi guardati, la truppa e gliufficialifuronoripresidaquellieve,inesplicabile turbamento.Continuarono amarciare impettiti apasso di parata, ma non sapevanotogliersi dal cuore il dubbio di starrecando torto a quei bravi cittadini.IlfanteMarangonRemigio,pernonessere distratto dalla presenza loro,teneva sempre gli occhi bassi:quando si marcia incolonnati leuniche preoccupazioni sonol'allineamentoeilpasso;pertuttoilrestoc'è il repartochecipensa.Macome il fante Marangon facevano

cento e cento altri soldati; anzi, sipuò dire che tutti loro, ufficiali,alfieri, colonnello, procedesserosenz'alzare mai gli occhi da terra,seguendofiduciosilacolonna.Cosisivideilreggimento,apassodiparata, fanfara in testa, inclinareverso un lato della via, uscire dalterreno asfaltato, sconfinare inun'aiuola dei giardini pubblici einoltrarsi deciso calpestandoranuncoli e lillà. I giardinieristavano innaffiando il prato e cosavedono?Un reggimentocheavanzaa occhi chiusi su di loro, pestandocolpi di suola sull'erbetta. Queipoveracci non sapevano più come

tener le pompe, per non dirigere igetti d'acqua contro i militari.Finirono per tenerle verticali, ma igetti con un lungo zampilloricadevano indirezioni insospettate;uno annaffiò da capo a piedi ilcolonnello Clelio Leontuomini cheprocedeva impettito a occhi chiusipure lui. Il colonnello a quelladoccia trasalì e usci in un grido:Alluvione!Alluvione!Mobilitatevi per i soccorsi! Poisubito si raccapezzò e riprese ilcomandoreggimentoperfarlousciredaigiardinipubblici.Maerarimastounpo'deluso.QuelgridoAlluvione!Alluvione! aveva tradito una sua

segreta, quasi inconscia speranza:che tutt'a un tratto succedesse uncataclisma naturale, senza vittimemapericoloso,emandasseall'arialaparata, e dessemodo al reggimentodi prodigarsi in opere utili allapopolazione: costruzione di ponti,salvataggi. Solo cosi gli sarebberitornatalacoscienzaaposto.Uscitodalgiardinopubblico, ilreggimentosi trovò in un'altra zona della città,non quella dei larghi viali dov'erastabilito che sfilasse, ma unquartierediviepiùpiccole,raccoltee tortuose. Il colonnello decise cheavrebbe tagliato per queste viuzze,perraggiungerelapiazzasenzaaltre

perditeditempo.Un'insolita animazione regnava inquel quartiere. Gli elettricistiaggiustavanolelampadeconlunghescale-porta e alzavano eabbassavano i fili del telefono. Igeometri del genio civilemisuravanolevieconlepalineedimetriavvolgibili.Igasisti,armatidipiccone, aprivano grosse buche nelselciato. I collegiali facevano lapasseggiata in fila. I muratori sipassavano i mattoni al vologridando: Hop! Hop!. I ciclisti,emettendo lunghi fischi,trasportavano scale a pioli sullespalle.Eatuttelefinestredellecase

le fantesche, strizzando straccibagnati in grossi secchi, pulivano ivetri ritte sopra i davanzali. Cosi ilreggimento doveva continuare lasfilata per quelle vie tortuose,facendosilargoinungrovigliodifilidel telefono,metri a nastro, scale apioli,buchenelselciato,scolareschedi ragazzepettorute,eprendendoalvolo mattoni: Hop! Hop! Hop!scansando stracci bagnati e secchiche fantesche emozionate lasciavanpiombare giù dal quarto piano. Ilcolonnello Clelio Leontuominidovette ammettere d'aver perso lastrada.Sichinòdacavalloversounpassante e chiese: - Scusi, sa la

strada più breve per la piazzaprincipale?Il passante, un ometto con gliocchiali, stette un po'soprappensiero: - E un girocomplicato;masevilasciateguidaredamevi porto attraversoun cortileinun'altravia,erisparmiatealmenounquartod'ora.-Potràpassaretuttoil reggimento per questo cortile? -chiese il colonnello.L'omettodiedeun'occhiataefeceungestoincerto:-Mah!Sipuòprovare-eliprecedettein un portone. Affacciate alleringhiererugginosedeiballatoi,tuttele famiglie di quel caseggiato sisporgevano a guardare in cortile il

reggimento che cercava d'entrarecon cavalli e artiglierie. - Dov'èl'altroportonedacuis'esce?chieseilcolonnelloaquell'ometto.-Portone?-chiesel'ometto.-Forsenonmisonspiegato bene. Bisogna salire finoall'ultimopiano,edilàsipassanellascala di un palazzo vicino, il cuiportoneappuntodàsuquell'altravia.

Il colonnello voleva continuare acavallo anche su per quelle strettescale, ma dopo due pianerottolidecisedilasciareilcavallolegatoalpassamano e continuare a piedi.Anche per i cannoni, decisero dilasciarli nel cortile, e un ciabattinos'impegnò a darci un'occhiata. Isoldativenivanosuinfila indianaeadognipianerottolos'aprivaqualcheporta e un bambino gridava: -Mamma! Vieni a vedere. Passano isoldati! Sta sfilando il reggimento!Al quinto piano, per passare daquellascalaaun'altrasecondariacheportava alle soffitte, dovettero fareun tratto di ballatoio. Ogni

finestrone dava in qualche nudastanza dai molti pagliericci, dovevivevanofamigliepienedibambini.Entrate,entrate-dicevanoibabbiele mamme ai militari. - Riposateviunpo',saretestanchi!Passatediquiche la strada è più breve! Ma ilfucile lasciatelo fuori; ci sono ibambini, capirete… Cosi ilreggimentosisfaldavaperlestrade,i corridoi. E in quella confusione,l'omettochesapeva la stradanonsiriuscipiùatrovarlo.Vennelaseraeancora le compagnie e i plotonicontinuavano a girare per scale eballatoi.Incimaaltetto,appollaiatosulla cimasa, stava il colonnello

Leontuomini.Vedevaaprirsisottodisélacittàspaziosaelimpida,conlascacchiera delle vie e la grandepiazza vuota.Con lui, carponi sulletegole,eranounasquadradisoldati,armatidibandierinecolorate,pistolea razzo,drappi a lampodi colore. -Trasmettete -diceva il colonnello. -Presto, trasmettete: Zonaimpraticabile… Impossibilitatiprocedere…Attendiamoordini…

Occhinemici

Pietro andava quelmattino per via,quandoavvertiunsensodi fastidio.Giàdaunpo'selosentivaaddosso,senza rendersene ben conto: era ilsenso d'aver qualcuno alle spalle,qualcuno che lo stesse guardando,nonvisto.Giròilcapodiscatto;erainunaviaunpo'appartata,consiepiai cancelli e steccati di legnoincrostati di laceri manifesti. Nonpassava quasi nessuno; Pietro fusubito contrariato d'aver ceduto aquelloscioccoimpulsodivoltarsi;eprosegui, deciso a riprendere il filointerrotto dei suoi pensieri.Era unamattinad'autunnoconunpo'disole;

c'era un'aria non consona a unaparticolareallegrezza,maneppureastrette di cuore. Invece, suomalgrado,queldisagiocontinuavaapesargli addosso; alle volte parevache gli si concentrasse sulla nuca,sullespalle,comeunocchiochenonlo perdesse di vista, comel'avvicinarsi di una presenza inqualchemodoostile.Percombattereil nervosismo, senti il bisogno ditrovarsi in mezzo alla gente: andòverso una via più frequentata, maancora, sull'angolo, si fermò aguardarsi indietro.Passòunciclista,una donna attraversò la strada, maegli non riusciva a scoprire alcun

legame tra le persone, le coseintorno e l'ansia che lo rodeva.Voltandosi, il suo sguardo s'eraincontrato con quello d'un altropassante,chestavaanch'egligirandola testa indietro in quel momento.Insieme distolsero subito gli occhil'uno dall'altro, come stesserocercando altro entrambi. Pietropensò:"Forsequell'uomos'èsentitoguardatodame.Forsequest'irritanteacuimentodellasensibilitànonsonoiosoloadaverlo,stamane;forseèiltempo, la giornata, che rendenervosi".Erainunaviaditraffico,econ quest'idea in testa osservava lagente, e s'accorgeva di certi piccoli

loro scatti, di mani che s'alzavanofin quasi al viso in movimenti difastidio,difrontiches'aggrottavanocome prese da un'improvvisapreoccupazione o da un ricordomolesto."Cherazzadigiornata!-siripeteva Pietro, - che razza digiornata!"ealla fermatadel tram,abattereipiedis'accorgevacheanchegli altri che aspettavano con luibattevano i piedi, rileggevano ilcartello delle linee tramviarie comecercando qualcosa che non c'erascritto. Sul tram il bigliettariosbagliava nel dare il resto es'arrabbiava; il conduttorescampanellava contro i pedoni e le

bicicletteconaccanimentodoloroso;eipasseggeristringevanoleditaallemanopole come naufraghi in mare.PietroriconobbelagrossapersonadiCorrado,seduto,chenonlovedeva;guardavaassortofuorideivetri,esiscavavaunaguanciaconun'unghia.- Corrado! - lo chiamò di sopra lasuatesta.L'amicosussultò.-Ah,seitu!Nont'avevovisto.Ero sovrappensiero. - Ti vedonervoso,-dissePietro,e,rendendosiconto che non voleva altro chericonoscere negli altri il suo stato,aggiunse: - Sono piuttosto nervosoanch'io,oggi.-Echinonloè?-feceCorrado, e sulla sua larga faccia

passòquelsorrisopazienteeironicocheconvincevatuttiadargliascoltoe fiducia. - Sai cosa mi sembra? -disse Pietro. - Di sentirmi addossodegli occhi chemi fissano. -Occhicome?-Occhidiqualcunogiàvisto,ma che non ricordo. Occhi freddi,ostili… - Occhi che quasi non ticonsiderano,ma di cui tu non puoifare a meno di tener conto? - Si…Occhicome…-Come i tedeschi? -disseCorrado.-Ecco,comeocchiditedesco. - Eh, si capisce, disseCorrado e aperse i giornali cheaveva in mano - con questenotizie…Indicò i titoli: Kesselring

amnistiato… Adunanze di SS…Finanziamenti americani alneonazismo… - Ecco che ce lisentiamodinuovoaddosso…-Ah,questo… Credi che sia questo… Eperchélosentiamosoloadesso…?Kesselring, le SS c'erano ancheprima, anche un anno fa, due annifa…Magarieranoancora ingalera,ma noi sapevamo bene cheesistevano, non li avevamo maidimenticati… - Lo sguardo, - disseCorrado.-Midicevidisentirecomeunosguardo.Finora,quellosguardonon l'avevano: tenevano ancora gliocchi bassi, e noi c'eravamodisabituati… Ormai erano degli ex

nemici, odiavamo quello che eranostati, non loro adesso. Invece orahannoripresolosguardodiprima…losguardodiottoannifadifronteanoi… Noi ce lo ricordiamo,ricominciamo a sentirceloaddosso…Avevanoparecchiricordiincomune,PietroeCorrado,diqueitempi.Enoneranoricordiallegri,ingenere.IlfratellodiPietroeramortoin un lager. Pietro viveva con lamadre, nella vecchia casa. Tornòverso sera. Il cancello cigolò conl'antico rumore, la ghiaia frusciavasottolescarpecomealtempoincuisi tendeva l'orecchio al rumored'ogni passo. Dove camminava in

quel momento il tedesco che eravenuto quella sera? Forseattraversava un ponte, costeggiavaun canale, una fila di basse caseilluminate, là nella Germania pienadicarboneedirovine;eravestitoinborghese con un cappotto neroabbottonato fino al collo, uncappello verde, gli occhiali, eguardava, guardava lui, Pietro.Aperse la porta. - Sei tu! - disse lavocedellamadre. -Oh, finalmente!- Lo sapevi che sarei tornato aquest'ora,-dissePietro.-Si,manonvedevo l'ora, - disse, - sono colbatticuore tutto il giorno…Non soperché… Queste notizie… Questi

generalichetornanoacomandare…adirecheavevanoragione loro…-Anche tu! - fece Pietro. - Sai cosadiceCorrado?Che tutti ci sentiamogliocchidiqueitedeschiaddosso…Perciòsiamotuttinervosi…-erise,come fossero state idee solo diCorrado.Masuamadresipassavaunamanosul viso. - Di, Pietro, ci sarà laguerra?Torneranno?"Ecco,-pensòPietro,-fino a ieri, quando sentivamo diredelpericolod'unanuovaguerra,nonriuscivamo a immaginarci nulla dideterminatoperchélavecchiaguerraaveva avuto la loro faccia, e questa

chissà come sarebbe stata. Orainvece lo sappiamo: la guerra haritrovatounafaccia:edèdinuovolaloro". Dopo cena Pietro usci;pioveva. - Di, Pietro, - chiese lamadre. -Cosa? -Uscire conquestotempo… - Ebbene? Niente… Nontardareatornare…-Sonograndedaunpezzo,mamma…-Si…Addio…La madre richiuse la porta, rimasead ascoltare i passi sulla ghiaia, losbatteredelcancello.Stetteasentirelapioggiachecadeva.LaGermaniaera lontana, dietro tutte le Alpi.Pioveva anche là, forse. Kesselringpassava in macchina spruzzandofango; l'esse-esse che aveva portato

viasuofiglioandavaaunariunione,conun impermeabilenero lucido, ilvecchioimpermeabiledamilitare.Certo quella notte era sciocco starein ansia; anche domani notte; forseanche tra un anno. Ma non sapevafino a quando avrebbe potuto nonstare in ansia; anche in tempo diguerra e erano sere in cui si potevanonstareinansia,magiàsistavainansia per la sera dopo. Era sola,fuori c'era il rumore della pioggia.Attraversoun'Europadipioggia,gliocchidegliantichinemicitagliavanola notte, fino a lei. "Io vedo i loroocchi,-pensòlamadre,-maancheloro vedranno i nostri". E stette

ferma,guardandofissonelbuio.

Ungeneraleinbiblioteca

In Panduria, nazione illustre, unsospetto s'insinuò un giorno nellementi degli alti ufficiali: che i libricontenessero opinioni contrarie alprestigio militare. Difatti, daprocessieinchiesteerarisultatochequest'abitudineormaicosidiffusadiconsiderare i generali come gentechepuòanchesbagliareecombinardisastri,eleguerrecomequalcosaditalvoltadiversodaradiosecavalcateverso destini gloriosi, era condivisada una gran quantità di libri,moderni e antichi, panduri eforestieri. Lo Stato Maggiore diPanduria si riunì per fare il punto

sulla situazione. Ma non sapevanoda che parte cominciare, perché inmateriabibliograficanessunodiloroera molto ferrato. Fu nominata unacommissione d'inchiesta, alcomando del generale Fedina,ufficiale severo e scrupoloso. Lacommissione avrebbe esaminatotutti i libri della più grandebiblioteca di Panduria. Era questabibliotecainunanticopalazzopienodiscaleedicolonne,scrostatoequae là cadente. Le sue fredde saleerano stipate di libri, strapiene, inparte impraticabili; solo i topipotevano esplorarle in tutti glianditi. Il bilancio dello Stato

panduro, gravato da ingenti spesemilitari, non poteva provvedere aalcun aiuto. I militari preseropossessodellabibliotecaunpiovosomattino di novembre. Il generalesmontò da cavallo, traccagnotto,impettito, con la grossa collottolarapata,conlesopraccigliaaggrottatesopra il pince-nez; da un'autosceseroquattrotenentispilungoni,amento alzato e palpebre abbassate,ognunocon lasuacartella inmano.Poivenneunasquadradisoldatiches'accamparono nell'antico cortile,con muli, balle di fieno, tende,cucine,radiodacampoebandierealampo di colore. Furono messe

sentinelle alle porte, e un cartelloche vietava l'ingresso, causa legrandi manovre, fino a tutta ladurata delle stesse. Era unespediente, perché l'inchiestapotesse essere compiuta in gransegreto. Gli studiosi che usavanorecarsi in biblioteca ogni mattino,tutti incappottati, con sciarpe epassamontagna per non gelare,dovettero tornarsene indietro.Perplessi,sichiedevano:-Macome,legrandimanovreinbiblioteca?Manonmetteranno in disordine?Ela cavalleria? E faranno pure i tiri?Del personale della bibliotecarimase solo un vecchietto, il signor

Crispino, reclutato perché spiegasseagli ufficiali la dislocazione deivolumi. Era un tipo bassottino, conla testa calva a uovo, e occhi comecapocchiedispillodietrogliocchialia stanghetta. Il generale Fedina sipreoccupò innanzituttodell'organizzazione logistica, perchégliordinieranoche lacommissionenon uscisse di biblioteca primad'avercondottoaterminel'inchiesta;era un lavoro che richiedevaconcentrazione, e non dovevanodistrarsi. Cosi si procuraronorifornimenti di viveri, alcune stufeda caserma, una provvista di legnacui andarono a aggiungersi alcune

raccolte di vecchie riviste, reputatepoco interessanti. Mai c'era statotanto caldo in biblioteca, di quellastagione.Inluoghisicuri,circondatidatrappolepei topi,furonoposte lebrande dove il generale e i suoiufficiali avrebbero dormito. Poi siprocedettealladivisionedeicompiti.A ognuno dei tenenti furonoassegnatedeterminatebranchedelloscibile, determinati secoli di storia.Il generale avrebbe controllato losmistamento dei volumi e appostotimbri diversi a seconda se il libroera dichiarato leggibile per gliufficiali, i sottufficiali, la truppa,oppure andava denunziato al

Tribunale militare. E lacommissione cominciò il suoservizio. Ogni sera la radio dacampo trasmetteva il rapporto delgeneraleFedina al comando supremo.Esaminati volumi numero tanti.Trattenuti come sospetti tanti.Dichiarati leggibili per ufficiali etruppa tanti. Di rado quelle freddecifre erano accompagnate daqualche comunicazionestraordinaria: la richiestadi unpaiodiocchialidapresbiteperuntenentecheavevarottoisuoi,lanotiziacheun mulo s'era mangiato un rarocodice di Cicerone lasciato

incustodito. Ma avvenimenti diportata ben maggiore andavanomaturando,dicuilaradiodacamponon trasmetteva notizia. La forestadei libri anziché sfoltirsi, parevafarsi sempre più aggrovigliata edinsidiosa. Gli ufficiali si sarebberosmarriti, non fosse stato per l'aiutodel signorCrispino. Per esempio, iltenenteAbrogatis'alzavainpiedidiscattoebuttavasultavoloilvolumechestavaleggendo:-Maèinaudito!Un libro sulle guerre puniche cheparlabenedeicartaginesiecritica iromani! Bisogna subito fare ladenuncia!-(Vadettocheipanduri,atorto o a ragione, si consideravano

discendenti dei romani). Col suopasso silenzioso nelle pantofolefelpate, gli s'avvicinava il vecchiobibliotecario. - E questo è niente -,diceva, - legga qui, sempre suiromani, cosa c'è scritto, ci potràmettere anche questo nel verbale, equesto,equesto-,eglisottoponevauna pila di volumi. Il tenentecominciava a sfogliare i volumi,nervoso,poipiùinteressatoleggeva,prendeva appunti. E si grattava latesta borbottando: - Perbacco! Maquante se ne imparano! Ma chil'avrebbe detto! - Il signorCrispinosispostavaversoiltenenteLucchettiche chiudeva un tomo con furia,

dicendo: -Bella roba!Qui hanno ilcoraggiod'esprimeredeidubbisullapurezza degli ideali delle Crociate!Signorsi,delleCrociate!-EilsignorCrispino, sorridente: - Ah, guardiche se deve fare un verbale suquell'argomento, posso suggerirlequalchealtrolibro,dovepuòtrovarepiùdettagli-,eglitiravagiùmezzoscaffale. Il tenente Lucchetti sifacevasottoatestabassa,eperunasettimana lo si sentiva scartabellareemormorare:-PeròquesteCrociate,bell'affare! Nel comunicato seraledella commissione, la cifradei libriesaminatierasemprepiùgrossa,manon si riportava più alcun dato sui

verdetti positivi o negativi. I timbridel generale Fedina restavanoinoperosi. Se egli, cercando dicontrollare il lavoro dei tenenti,chiedeva a uno di loro: -Ma comemai ha lasciato passare questoromanzo? La truppa ci fa più bellafigura degli ufficiali! E un autorechenonrispetta l'ordinegerarchico!-, il tenente gli rispondeva citandoaltri autori, e impelagandosi inragionamenti storici, filosofici eeconomici. Ne nascevanodiscussioni generali, checontinuavano ore e ore. Il signorCrispino, silenzioso nelle suepantofole, quasi invisibile nel suo

camicegrigio,intervenivasemprealmomentogiusto,conun librocheasuo parere conteneva particolariinteressanti sull'argomento inquestione, e che aveva semprel'effetto di mettere in crisi leconvinzioni del generale Fedina.Intanto i soldati avevano poco dafare e s'annoiavano. Uno di loro,Barabasso,ilpiùistruito,chieseagliufficialiunlibrodaleggere.Liperlivolevano dargliene uno di queipochi che erano già stati dichiaratileggibili dalla truppa;ma pensandoallemigliaiadivolumicherestavanoancora da esaminare, al generalerincrebbe che le ore di lettura del

soldatoBarabassoandasseroperduteai fini del servizio; e gli diede unlibro ancora da esaminare, unromanzo che pareva facile,consigliato dal signor Crispino.Letto il libro, Barabasso dovevariferirne al generale. Anche altrisoldatichieseroeottennerodifarlostesso. Il soldato Tommasoneleggeva a alta voce a un suocamerataanalfabeta,equestidicevail suo parere. Alle discussionigenerali cominciarono a partecipareanche i soldati. Sul proseguimentodei lavori della commissionenon siconoscono molti particolari: quelloche successe nella biblioteca nelle

lunghe settimane invernali non èstato riportato. Sta il fatto che alloStato Maggiore di Panduria irapporti radiofonici del generaleFedina arrivarono sempre più rari,finoachenoncessaronodeltutto.Ilcomando supremo cominciò aallarmarsi; trasmise l'ordine diconcluderel'inchiestaalpiùprestoedipresentareun'esaurienterelazione.L'ordine giunse alla bibliotecamentre l'animodiFedinaedei suoiuomini era combattuto da oppostisentimenti: da un lato stavanoscoprendo ogni momento nuovecuriosità da soddisfare, stavanoprendendogustoaquelle lettureea

quegli studi come mai primaavrebbero immaginato;d'altrocantonon vedevano l'ora di tornare tra lagente, di riprendere contatto con lavita che appariva loro adesso tantopiù complessa, quasi rinnovata ailoro sguardi; e d'altro canto ancora,l'approssimarsi del giorno in cuidovevano lasciare la biblioteca liriempiva d'apprensione, perchébisognava render conto della loromissione, e con tutte le idee cheandavano loro rampollando in caponon sapevano più come cavarsid'impiccio.Aseraguardavanodallevetrate le prime gemme sui ramiilluminate dal tramonto, e le luci

dellacittàaccendersi,mentreunodiloroadaltavoceleggevaiversid'unpoeta.Fedinanonerainsiemealoro:aveva dato ordine d'esser lasciatosolo al suo tavolo, perché dovevastenderelarelazionefinale.Maognitantos'udivailcampanellosuonareela sua voce chiamare: - Crispino!Crispino! - Non poteva andareavanti senza l'aiuto del vecchiobibliotecario, e finirono per sedersiallo stesso tavolo e stendere larelazione insieme. Un bel mattinofinalmente la commissione usci dibiblioteca e andò a rapporto alcomandosupremo;eFedina illustròi risultati dell'inchiesta davanti allo

Stato Maggiore riunito. Il suodiscorso era una specie dicompendio della storia dell'umanitàdalle origini ai nostri giorni, in cuitutte le idee più indiscutibili per ibempensanti di Panduria eranocriticate, le classi dirigentidenunciate come responsabili dellesventure della patria, il popoloesaltato come vittima eroica diguerreepolitichesbagliate.Era un'esposizione un po' confusa,con affermazioni spessosemplicistiche e contraddittoriecome capita a chi ha da pocoabbracciato nuove idee. Ma sulsignificato complessivo non si

poteva avere dubbi. Il consesso deigeneralidiPanduriaallibì,sbarrògliocchi, ritrovò la voce, gridò. Ilgeneralenonpoténeppurefinire.Siparlò di degradazione, di processo.Poi,pertimorediscandalipiùgravi,ilgeneraleeiquattrotenentifuronomandati in pensione per motivi disalute, causa un grave esaurimentonervosocontrattoinservizio.Vestiti in abiti civili, furono vistispesso entrare, incappottati eimbottiti per non gelare, nellavecchiabiblioteca,doveliaspettavailsignorCrispinocoisuoilibri.

Lacollanadellaregina

Pietro e Tommaso litigavanosempre.All'alba,ilcigoliodellelorovecchie biciclette e le voci,cavernosa e nasale quella di Pietro,chioccia e a tratti afona quella diTommaso, erano gli unici suoni perlevuotevie.Andavanoinsiemeallafabbricadoveeranooperai.Ditralestecche delle persiane si sentivaancora il suono e il buio gravarenellestanze.Gliattutitiscampanelliidelle sveglie cominciavano di casain casa un rado dialogo, che inperiferia s'infittiva, per mutarsifinalmente, come la città si mutava

incampagna, inundialogodigalli.Questo primo quotidiano ridestarsideisuonipassavainosservatoaidueoperai, occupati com'erano adiscutere a gran voce: perché eranosordi tutt'e due, Pietro un po'induritoditimpanidaqualcheanno,Tommasoconunfischiocontinuoinun orecchio dalla prima guerramondiale. - Ecco com'è che stannole cose. Caro mio - cosi Pietro, unomonesullasessantina,d'inbilicoalsuo tremante veicolo, tuonava giùaddossoaTommaso,piùvecchiodiluid'unlustro,mabassoegiàunpo'curvo. -Tunonhaipiùfiducia,caromio. Lo so anch'io che oggi come

oggi, fare dei figli vuol dire faredella fame, ma domani tu non sai,nonsailabilanciadachepartetiene,domani fare dei figli puòvoler direl'abbondanza. Ecco come io vedogiustamente le cose. Tommaso,senz'alzare lo sguardoall'interlocutore, sgranando i bulbigiallidegliocchi,gettavastrilliacutiche improvvisamente diventavanoafoni: - Siii! Siii! All'operaio chemette famiglia deve esser dettoquesto!: tu vai a mettere al mondodegli individui per aumentare lamiseria e la disoccupazione! Altroche!Questodevesapere!Altroche!Lodicoeloripeto!

Ladiscussionequelmattinovertevasu un problema generale: sel'aumento della popolazionegiovasse o nuocesse ai lavoratori.Pietro era ottimista e Tommasopessimista. In fondo a questocontrasto d'opinioni c'era ilprogettatomatrimoniotrailfigliodiPietroelafigliadiTommaso.PietroerafavorevoleeTommasocontrario.- E poi bambini, intanto, non nehanno ancora avuti! saltò su a untratto Pietro. - Campa cavallo! Cimancherebbe altro! Si discute delfidanzamento, non dei bambini!Tommasourlò:-Quandosisposano,li fanno! - In campagna! Dove sei

nato tu! - gli ribatté contro Pietro.Perpocononincastròconlaruotainun binario di tram. Imprecò. -Comeee…? - fece Tommaso chepedalava avanti. Pietro scosse ilcapo e stette zitto. Procedettero perunpo'insilenzio.-Poi,sicapisce-disse Pietro, concludendo ad altavoceunsuoragionamentointeriore-quando càpita, càpita! S'eranolasciatilacittàallespalle;andavanoperunavia rialzata traprati incolti.C'eraun'ultimanebbia.Dal limitato grigio orizzonte lafabbricaaffiorava.Unmotorerombòdietro di loro; fecero appena intempo a mettersi sul ciglio, che li

sorpassò una grossa automobilelussuosa.Lastradanoneraasfaltata,la polvere alzata dalla macchinaavvolse i due ciclisti e dalla spessanuvola si levava la voce diTommaso: - Ed è nell'esclusivointeresse diii… Och, och, och!…-Erascoppiatoinunaccessoditosseper la polvere inghiottita e dallanuvola emergeva un suo cortobraccio che indicava in direzionedellamacchina,certopersignificarel'interesse della classe padronale. EPietro, tossendo congestionato ecercando di parlare in mezzo allatosse,faceva:-Guach…Nooo… Guach… piuuù… -

indicando la macchina con ampiogesto negativo per esprimere ilconcetto che l'avvenire non era inmanoagliutentidellefuoriserie.Lamacchina correva via, quando les'aperse una portiera. Sbattéall'indietro, spinta da una mano, eun'ombra di donna quasi si lanciòfuoridall'auto.Machiguidavafrenòsubito; la donna saltò giù, e nellanebbietta del mattino gli operai lavidero correre e traversar la strada.Aveva i capelli chiari, una lungaveste nera, e una cappa di volpiazzurrecon lecodea frangia.Dallamacchina venne giù un uomo insoprabito,gridando:-Maseipazza!

Maseipazza!-Leivolavagiàfuoristrada tra i cespugli, e l'uomo lainseguì finché sparirono. I terrenisotto la strada erano prati con fittechiazze d'arbusti, e i due operaivedevanoquellasignoraorauscirneora scomparire, muovendo piccolipassi veloci nella guazza. Con unamano teneva la gonna sollevata daterra, e si liberava, conmossedellespalle, dai rami che les'impigliavanoallecodedellevolpi.Anzi, prese a tenderli, i rami, e afarli sbattere indietro, addossoall'uomo che la rincorreva senzatroppa fretta e, si sarebbe detto,senza voglia. La signora faceva la

mattaper iprati,estrillavarisate,esi faceva piovere la brina dei ramisui capelli. Finché lui, semprecalmo, invece d'inseguirla le tagliòla strada e la prese per i gomiti; esembravacheleisidivincolasseelomordesse. I due operai dalterrapieno della strada seguivano lacaccia pur non smettendo dipedalare e di badare a doveandavano,zitti, acigliaaggrottateea bocca aperta, con gravità piùdiffidente che curiosa.Così stavanoper raggiungere l'auto ferma,lasciata lì a portiere spalancate,quando l'uomo in soprabito tornò,tenendo la signora che si faceva

spingere e mandava un grido quasida bambino. Si richiusero inmacchina e partirono; e di nuovo iciclisti incontrarono la polvere. -Intanto che noi cominciamo lanostra giornata, - tossicchiòTommaso-gliubriachi finiscono laloro. - Obiettivamente - eccepìl'amico, fermandosi a guardareindietro-luinoneraubriaco.Guardache frenata. Studiarono l'improntadelle ruote. -Ma che…ma cosa…ma con una macchina così… -replicavaTommasosfidoio!Manonlo sai che una macchina così tiblocca… Non finì la frase; i lorosguardi,girandoper terra lì intorno,

s'erano fermati su un punto fuoristrada.C'eraqualcosache luccicavasu un cespuglio. Fecero insieme, abassavoce:Ehi.Smontarono di sella, appoggiaronolebiciaunparacarro.-Lagallinahafattol'uovo-dissePietroesaltònelpratoconunaleggerezzachenonsisarebbe aspettata in lui. Sulcespuglio c'era una collana diquattro fili di perle. I due operaitesero le mani e, con delicatezzacome cogliessero un fiore,staccarono la collana dal ramo. Latenevano tutt'e due con ambe lemani, tastando le perle tra ipolpastrelli, ma appena appena, e

così andavano avvicinandosela agliocchi. Poi, insieme, comeribellandosi all'affascinatasoggezione che l'oggetto ispirava,abbassaronoipugni,manél'unonél'altrolasciòandarelacollana.Pietrosentìchebisognavaparlare,soffiò,edisse:Haivistocherazzadicravattesondimoda… -E falsa! - gli gridò in unorecchio Tommaso,immediatamente,comesegiàdaunpo' scoppiasse dalla voglia di dirlo,anzi come fosse stato il suo primopensieroappenaavvistatalacollana,ed aspettava solo un qualche segnodi compiacimento da parte

dell'amicoperpotergliribatterecosì.Pietro alzò lamano che impugnavala collana e tirò su anche il bracciodiTommaso.-Cosanesai?-Nesochedevicredereaquellochetidico:i gioielli veri li tengono sempre incassaforte.Passavanolegrossemanidureerugosesullacollana,giravanoleditatrafiloefilo,el'unghianegliinterstizi tra le perle. Le perlefiltravano una debole luce come legocce di brina sulle ragnatele, unaluce di mattina d'inverno, che nonpersuade dell'esistenza delle cose. -Vere o false… - disse Pietro - io,sai… - e cercava di provocarenell'amico un'attesa ostile per quel

che stava per dire. Tommaso, chevoleva essere il primo a portare ildiscorso in quella direzione, capìd'esser stato preceduto e cercò dirimettersiinvantaggio,mostrandodiseguire un suo pensiero già da unpezzo.-Ah,midispiacepertefece,conariairritata-io,laprimacosa…Era chiaro che volevano sosteneretutt'edue la stessaopinione, eppuresi guardavano pieni d'ostilità.Gridarono tutt'e due, nello stessomomento e più in fretta chepotevano:-Restituzione!Pietro alzando il mento con lasolennità d'una sentenza, Tommasorosso in faccia e a occhi sgranati

come se tutte le sue forze fosserotese a pronunciare la parola primadell'amico.Ma il gesto compiuto liaveva eccitati e inorgogliti; comerappacificati d'improvviso, siscambiarono uno sguardosoddisfatto. -Non ci sporchiamo lemani,noi! -gridòTommaso.-Ah!-rise Pietro - una lezione di dignità,gli diamo! - Noi - proclamòTommaso - non raccogliamo i lororifiuti! - Ahà! Siamo poveri - fecePietro -ma più signori di loro! - Esai che cosa facciamo, anche? -s'illuminò Tommaso, felice d'esserriuscitofinalmenteasuperarePietro.-Rifiutiamolamancia!Guardarono

ancoralacollana;erasemprelì,chependeva dalle loromani. -Non haipreso il numero di quellamacchinadisse Pietro. - No; perché? Tu l'haipreso?-Echiandavaapensare?Ah! Come si fa? - Mah: un belpasticcio. Poi, tutti e due insieme,comesed'improvvisounafiammatad'avversione fosse riavvampata traloro: - L'ufficio oggetti smarriti. Laporteremo là. L'orizzonte sischiariva e la fabbrica non era piùsoltanto un'ombra ma si rivelavacolorata d'una ingannevole tintarosa.-Cheorasarà?-dissePietro.-Bolleremolacartolinainritardo,hopaura. Ci piglieremo la multa,

stamattina-feceTommaso-lasolitastoria: quelli là bagordano e noipaghiamo!Tutt'edueavevanoalzatola mano con quella collana che liuniva come detenuti ammanettati.La soppesavanonel palmo come sestessero entrambi per dire: Be',l'affido a te. Nessuno dei due lodiceva, però; avevano una stimaincondizionata l'uno dell'altro, maerano troppo abituati a litigareperché l'uno potesse concedereall'altro un qualsiasi punto divantaggio. Bisognava in frettarinforcarelebiciclette,eancoranonavevanoaffrontato laquestione:chidei due avrebbe tenuto la collana,

prima di poterla consegnare ocomunque di decidere qualcosa?Continuarono a star fermi e zitti,guardando la collana come se daessa potesse venir fuori la risposta.Difattivenne:ilgancettochetenevainsieme iquattrogiridiperle,nellalotta o cadendo, s'era mezzospezzato. Bastò torcerlo un pocoperché si spezzassedel tutto.Pietroprese due giri e Tommaso gli altridue, con l'intesa che qualsiasidecisione in proposito l'avrebberoprima concordata insieme.Appallottolarono ipreziosi aggeggi,selinascoseroaddosso,rimontaronosullebiciclette,zitti,senzaguardarsi,

eripreseroillorocigolantepedalareverso la fabbrica, sotto il cielo ches'andava riempiendo di nuvolebiancheefumonero.S'eranoappenaallontanati quando da dietro uncartellone pubblicitario a un latodella strada apparve un uomo. Erasecco, lungoemalvestito;daalcuniminuti stava scrutando da distante idue operai. Era il disoccupatoFiorenzo, che passava le giornatecercando oggetti utilizzabili tra irifiuti della periferia. In questacategoria d'uomini cova sempre,tenace e struggente come unamalattiaprofessionale,lasperanzaditrovare un tesoro. Venendo a quei

prati per il consuetogiromattutino,Fiorenzo aveva scorto l'auto cheripartiva,glioperaicorreregiùperlascarpata e raccogliere l'oggetto. Esubito s'era reso conto chequell'occasione così rara da nonpresentarsimaipiùdiunavoltanellavitad'unuomo,luil'avevapersapermeno d'un minuto. Dellacommissione interna che dovevaesser ricevuta dal dottor Starnafaceva parte anche Tommaso.Sordo,testardo,mentalitàall'antica,spirito di contraddizione, tuttoquello che si vuole: però nellevotazioni interne della fabbricaTommaso riusciva sempre eletto.

Era uno degli operai più anzianidell'azienda,conosciutodatutti,unabandiera;eancheseisuoicompagnidella commissione già da un pezzopensavano che al suo posto cisarebbeandatomegliounopiùabilenel discutere e più orientato epronto, pure riconoscevano cheTommaso aveva dalla sua ilprestigiodellatradizioneecometalelo rispettavano e gli ripetevanonell'orecchio senza fischio le frasipiù importanti dei colloqui. ATommasoilgiornoprimaunasorellache abitava in campagna e cheveniva a trovarlo ogni tanto avevaportato un coniglio, in regalo per il

suo compleanno, cheveramente erastato un mese prima. Un conigliomorto, naturalmente, da metteresubitoincasseruola.Sarebbe stato bello aspettare acucinarlo la domenica per fare unpranzo con tutta la famiglia riunitaattorno al tavolo; ma forse ilconiglio andava amale, cosi subitole figlie di Tommaso lo fecero inumido,e lasuaparte luise laportòinfabbrica,dentrounfilonedipane.Qualsiasipietanzacifosseapranzo:trippa, stoccafisso, frittata, le figliediTommaso(eravedovo)tagliavanoin due un filone di pane e laschiacciavano lì in mezzo; lui

ficcava il pane nella cartella,appendeva la cartella al telaio dellabiciepartiva,almattinopresto,perla sua giornata di lavoro. Ma quelgiorno, quel pane imbottito diconiglio che sarebbe stata laconsolazione di quella giornata dipensieri, non gli riuscì neanche diportarloallabocca.Glieravenutalacattiva idea, spogliandosi, nonsapendo dove nascondere quellabenedetta collana, di schiacciarladentroilpaneinmezzoallacarnediconiglioinumido.Alleundicieranovenuti ad avvertirlo, insieme aFantino, Criscuolo, Zappo,Ortica etutti gli altri, che il dottor Starna

accettava ilcolloquioe liaspettava.Si lavano, si cambiano in fretta efuria,esuconl'ascensore.Alquintopiano, aspetta e aspetta: viene l'oradell'interruzione del lavoro per lamensa, e il dottor Starna non li haancora ricevuti. Finalmente lasegretaria,unabiondadalbelcorpoe dalla brutta faccia da campioneciclista, viene a dire che il dottoreora non può, che tornino pure aireparti con gli altri e che appenasarebbe stato libero li avrebbe fattirichiamare. Alla mensa, tutti icompagni li aspettavano col fiatosospeso: - E allora? e allora? - maparlaredicosesindacaliamensaera

proibito. - Niente, torniamo alpomeriggio. - Ed è già l'ora dellaripresa del lavoro: quelli dellacommissione si sono appena sedutiai tavoli di zinco, a mangiare unbocconeinfuria,perchéallaripresaiminuti di ritardo glie li avrebberosegnati. - Ma per domani, cosa sidecide?- chiedevano gli altri,uscendo dalla mensa. - Appenaavremo avuto il colloquio, viriferiremoedecideremosuldafarsi.Tommasotiròfuoridallasuacartellauna testa di cavolfiore bollita, unaforchetta, una bottiglina d'olio, neversòunpo'inunpiattod'alluminioemangiòcavolfiore,eintantoconla

mano carezzava nella tasca dellagiacca il panciuto sfilatino pieno dicarne e perle, che la presenza deicompagnigliimpedivaditirarfuori.Einunassaltodighiottoneriaperilconiglio, malediva quelle perle chelo incatenavano a una dieta dicavolfiorepertuttalagiornata,echelo allontanavano dalla pienaconfidenza coi compagni,imponendogliunsegretochenoneraaltro, in quel momento, che unfastidio. A un tratto, si vide difronte, al di là del tavolo, in piedi,Pietro, che prima di tornare inreparto voleva fargli un cenno disaluto.Glistavadavantialto,grosso,

con uno stecchino che girava inbocca, e un occhio strizzato in unostentato ammicco. A Tommaso, alveder li Pietro pasciuto, spensieratotale almeno gli pareva - mentre luimandava giù forchettate quasiimpalpabili di cavolfiore bollito,venne una tale rabbia che il piattod'alluminio prese a tremare sullozinco del tavolo come se ci fosserogli spiriti. Pietro scrollò le spalle aandò via. Ormai anche gli ultimioperailasciavanoinfrettalamensa,e Tommaso con le labbra unteattaccateaunabottigliettadagazosapienadivinocorseviaanchelui.L'atteggiamentodeglioperaiversoil

cane danese entrato nella stanzad'aspetto della direzione - s'eranotutti voltati di scatto alla portacredendo fosse finalmente il dottorGigi Starna - fu festoso da parted'alcuni e da parte d'altri ostile. Iprimi vedevano nel danese unanimalefratello,unavigorosaliberacreatura tenuta prigioniera, uncompagnodi servitù, i secondi soloun'anima dannata della classedirigente, un suo strumento oammennicolo, un suo lusso. Lestesse opinioni contrastanti,insomma, che talora gli operaimanifestano a proposito del cetointellettuale.IlcontegnodiGuderian

invecefuriservatoeindifferente,siaverso chi gli diceva: - Bello! Vieniqui!Da'quilazampa!-siaversochigli diceva: - Passa via! -. Conun'appena accennata aria di sfidache si esprimeva in superficialipuntate olfattive e in un uniforme,lentoscodinzolio,feceilgirodituttiloro: non degnò d'uno sguardo ilriccioluto e lentigginoso Ortica -quello che s'intendeva di tutto eappena entrato s'era piantato coigomiti sul tavolo a brucare certeriviste pubblicitarie posate li, e chevedendo il cane lo considerò dacima a fondo, e disse tutto sullarazza l'età i denti il pelo - né il

glabro Criscuolo dallo sguardoperduto lontano, che, succhiando ilsuo sigaretto spento, fece perallungargli un calcio. Fantino, cheaveva tratto di tasca il suo giornalespiegazzato, un giornale proibito infabbrica - e sentendosi in quelmomento protetto da una specied'immunità diplomatica,approfittava di quel tempo d'attesaperleggerlo,datochelaseraacasalopigliavasubitoilsonno-sivideilmuso affumicato del cane coi rossiocchi luccicanti apparire sopra unaspalla, e istintivamente, lui non usoa lasciarsi intimorire, gli venne dapiegare il foglio per nascondere la

testata. Arrivato a Tommaso,Guderian si fermò, si sedette sullezampe di dietro e restò a orecchieritteenasoalzato.Tommaso, che non era tipo damettersi a giocherellare né conbestienéconpersone,pure,perunacerta soggezione al trovarsi in quellucido autorevole ambiente, sicredette in dovere d'usare al canequalcheblandacordialità,comeunoschiocco di lingua, o un leggerofischio che subito, nelle sueincontrollate reazioni di sordo,risultò acutissimo. Cercò insommadi ristabilire quella spontaneaconfidenza tra uomo e cane che lo

riportava alla sua giovinezzacontadina, ai cani campagnuoli,mansieorecchiutisegugiopelosieringhianti botoli da pagliaio.Ma ladisparitàsocialetraqueisuoicaniequesto, cosi lustro, ben raso epadronale,glisaltòsubitoagliocchi,ed egli ne rimase come intimidito.Sedutocon lemani sulleginocchia,muoveva il capo in piccoli scattilaterali, a bocca aperta, come in unmuto abbaio, per invitare il cane adecidersi, amuoversi, a togliersi dili. Invece,Guderian restava davantia lui, immobilema tutto ansimante,e alfine allungò il muso verso unlembo del giaccone del vecchio. -

Avevi un amico, in direzione,Tommaso,enoncel'haimaidetto!-scherzavano i compagni. MaTommaso impallidiva: aveva capitoin quelmomento che era l'odore diconiglio in umido che il caneannusava. Guderian passòall'attacco.MiseunazampasulpettodiTommasoequasiloribaltòconlasua sedia, gli dette una linguata infacciainsalivandogliela,eilvecchiopermandarlo via faceva il gesto dichilanciaunsasso,dichimiraauntordo, di chi salta un fosso, ma ilcane non capiva la mimica o noncascava nei tranelli, e non gli sispiccavadidosso,anzi,presocome

da un'improvvisa vena d'allegria,saltava alzando le zampe anteriorifin sopra le spalle dell'operaio, esempretornavaaintrufolareilmusoindirezionedellatascadellagiacca.Via, bello, su, va' via! Su, bello,mondo boia! borbottava Tommaso,congliocchiiniettatidisangue,einmezzo alle sue feste Guderian sisentiarrivareunaseccapedatainunfianco. Gli s'avventò contromostrandogli i denti, all'altezza delviso,poisubitoazzannòillembodelgiaccone, e tirò. Tommaso feceappenaintempoaportarviailfilonedi pane, perché non gli strappassevia la tasca. - To', uno sfilatino! -

dissero icompagni. -Bravo, ti tieniil desinare in tasca, sfido che tivannodietro i cani!Lodassi a noi,quando t'avanza! Tommaso alzandoquanto poteva il suo corto braccio,cercava di salvare il pane dagliassalti del danese. - E mollaglielo!Non te lo togli più, ormai!Mollaglielo!-dicevanoicompagni.- Passa! Passa a me! Perché nonpassi?dicevaCriscuolo,battendo lemani, pronto a prenderlo al volocome un giocatore di pallacanestro.Ma Tommaso non passò. Guderianspiccòunbalzopiùaltodeglialtri,eandòadaccucciarsiinunangoloconlo sfilatino fra i denti. Lasciaglielo,

Tommaso, che vuoi farci, ormai?Finisce che ti morde! - dicevano icompagni, ma il vecchio,accoccolato vicino al danese sisarebbedettocercassediragionargli.-Cosa vuole adesso?Ripigliarsi unpane mezzo mangiato? - sichiedevanoicompagni,mainquellala porta si aperse e ricomparve lasegretaria:-Voglionoaccomodarsi?-e tutti si affrettarono a seguirla.Tommaso fece per avviarsi dietro aloro,manoneraaffattorassegnatoabuttar via cosi la collana. Cercò difarsi venir dietro il cane, poi pensòche vederlo comparire davanti aldottorStarnaconlacollanainbocca

era peggio, e si chinò di nuovo asussurrargli(cercandod'atteggiarelasua faccia irosa ad un inutilegrottesco sorriso): -Da' qui, bello,da' qui bestia maledetta! La portas'era richiusa.Nellastanzad'aspettonon c'era più nessuno. Il canetrasportò la sua preda in uncantuccio, dietro una poltrona.Tommaso si torse le mani, la suasofferenza più che per la perditadella collana (non aveva sempredetto di non attribuirle alcunvalore?)eraperildoversitrovareincolpa davanti a Pietro, e dovergliraccontare com'era andata,giustificarsi… ed era anche per il

suononsapersiadessospiccicaredili, e il perder tempo in quellasituazione cosi stupida eincomprensibileaglialtri…-Glielostrappo! - decise. - Se mi morde,chiedo i danni.- E si mise carponianche lui, dietro quella poltrona, eallungòunamanoversolaboccadelcane.Ma il cane, abbondantementenutrito, ed educato alla scuolatemporeggiatrice del suo padrone,nonmangiava ilpane, limitandosiamordicchiarlo da una parte, néreagivaconquellaciecaferociacheè caratteristica del carnivoro cui sivuol strappare il cibo: cigiocherellava, invece, conunacerta

qual'inclinazione felina, che in uncagnaccioadultoe taurinocome luiera un ben grave segno didecadenza. Gli altri dellacommissionenons'eranoaccorticheTommaso non li aveva seguiti.Fantino stava facendo il suodiscorso, e, giunto al punto in cuidiceva: -… E Cl sono qui presentitra noi uomini coi capelli bianchiche hanno dato all'azienda più ditrent'anni della loro vita… - volleindicareTommaso,eprimaindicòadestra, poi a sinistra, e tutti siaccorsero che Tommaso non c'era.Cheglifossepresomale?Criscuolosi voltò in punta di piedi e andò a

cercarlo nella stanza dov'erano statiprima. Non vide nessuno: - Si saràsentito stanco, povero vecchio -pensò - e se ne sarà andato a casa.Pazienza!Tantoèsordo!potevapurdircelo però! -. E tornò con lacommissione, senza pensare diguardare dietro la poltrona.Accucciatilàinfondo,ilvecchioeilcane giocavano: con le lacrime agliocchi Tommaso, e Guderianscoprendoidentiinunrisocanino.L'ostinazionediTommasoavevaunfondamento preciso: era convintoche Guderian fosse stupido e chesarebbestataunavergognadarglielavinta. Difatti, quando profittando

delle sue compiacenze feline, riusciadareunamanata al pane inmododafarvolarevialapartedisopra,ilcane balzò verso il mezzo sfilatinovolatovia,eTommasoebbeinmanol'altrametàconleperleeilconiglio.Arraffòlacollana,laliberòdaipezzidiconiglio impigliati tra leperle, lacacciòintasca,ecacciòinboccalacarne, dopo aver rapidamenteriflettuto che i morsi del cane allosfilatinoeranostatisolomarginalienon avevano raggiunto l'infarcitura.Poi, in punta di piedi, fece il suoingresso nello studio del dottorStarna, paonazzo in viso, a boccapiena, col fischio che infieriva

altissimo nell'orecchio, e s'uni algruppo dei compagni che glilanciarono traverse occhiateinterrogative. Gigi Starna chedurante la relazione di Fantino nonalzava lo sguardo dai suoi prospettisquadernati sulla scrivania, comeconcentrandosi sulle cifre, senti unrumore come di qualcuno chemangiasse vicino a lui. Alzò gliocchiesividedifronteunafacciainpiù, che prima non aveva visto:rugosa, cianotica, con due gialli evenosi bulbi d'occhio sbarrati,infuriata, insensibile, e che simuoveva masticando masticandoconunrabbiosorumoredimascelle.

E ne rimase cosi turbato cheriabbassòlosguardosullesuecifreenon osò più rialzarlo, e non capivaperchémaipotessequell'uomoesservenutoamangiareliinsuapresenza,e cercava di scacciarselo di menteperesserprontoacontrobattereconenergia ed astuzia alla relazione diFantino, ma già s'accorgeva chebuona parte della sua sicurezza erasvanita.Ogni notte prima di coricarsi, lasignora Umberta si ungeva il visocon crema di cetriolo, vitaminica.L'essersibuttataalettoquelmattinononricordavabenecome,dopounanotte in bianco, senza crema di

cetriolo, senza massaggi, senzaginnastica contro le pieghe delventre,senzainsommatuttoilsolitosuo rituale estetico, non poteva checausarle un sonno irrequieto.All'avertrascuratoquelleoperazioni,non alla quantità di alcolici bevuta,attribuiva l'agitazione, il mal ditesta, la bocca amara chefunestaronoquelle sue scarseoredisonno. Solo l'abitudine a dormiresupina,perosservanza auna regoladi bellezza divenuta atteggiamentoverso la vita, faceva si chel'irrequietudinediquesto suo riposos'esprimesse in forme armoniose esempre in qualchemodo -ella n'era

ben conscia - attraenti per unimmaginarioosservatore, cosi comeapparivano di tra le contorte volutedel lenzuolo. In quel risveglio edisagio, in quel senso di cosedimenticate, la prese un allarmeindistinto. Dunque, era rientrata incasa,avevabuttatolacappadivolpisu una poltrona, s'era sfilata l'abitoda sera… ma tra le lacune dellamemoria c'era questa, che le davafastidio: la collana, quella collanachedovevatenerepiùpreziosadellostesso suo morbido e liscio collo,non ricordava affatto d'esserselatolta,emenoancorad'averlaripostanelcassettosegretodella toilette.Si

levòdalletto,inunvolodilenzuola,gonned'organzaecapelliscomposti,traversò la stanza, gettò un'occhiatasul cassettone, sulla toilette,dovunque potesse aver lasciato lacollana,siguardòvelocementenellospecchio con una smorfia didisapprovazione per l'aria sbattutacheaveva,aperseunpaiodicassetti,si guardò ancora nello specchiosperando di smentire quella primaimpressione, entrò nella stanza dabagno e guardò sulle mensole,indossòunaliseuse,guardòcomelestava nello spec chio del lavabo epoi di là nella specchiera, aperse ilcassetto segreto, lo richiuse, si

scompigliò i capelli, prima allacieca, poi con una certacompiacenza.Avevapersolacollanadi quattro giri di perle. Andò altelefono. - Mi dia l'architetto…Enrico, si, sono già alzata… Si, iosto bene, ma senti, la collana, lacollana di perle… L'avevo quandosiamo usciti di là, sono sicura chel'avevo… E no che non l'ho più…Nonso…Sichehocercatobene…Tunontiricordi?…Enrico,arrivatotardi allo studio, assonnato pesto(aveva dormito due ore), nervoso,annoiato, col giovane disegnatoreche facendo finta di lucidare unprogetto stava li tutt'orecchi, col

fumo della sigaretta che gli irritavagli occhi, disse: - Be', te ne farairegalare un'altra… Gli rispose unostrillo nel microfono che fecesussultareancheildisegnatore:-Masei mattoo! Ma è quella che miomarito m'aveva proibito di portare,capisciii! Ma è quella che costa…no, non posso dirlo per telefonooo!Finiscilaaa! Se sa solo che l'homostrataingiromicacciadicasa!Se poi sa che l'ho persa… miuccide! - Sarà in macchina, sai -disse Enrico, e lei d'incanto sicalmò.-Dici?-Dico.-Matiricordise l'avevo?… Ma ti ricordi chesiamo scesi, a un certo punto…

dov'era?-Ecosavuoichericordi…facevaEnrico,passandosiunamanosul viso, e con estrema noiaripensava a quel punto dove lei eracorsa giù fra i cespugli, e s'eranomezzo accapigliati, e rifletteva chela collana poteva benissimo esserlecadutalà,egiàsentivailfastidiodidover andare a cercarla, d'esplorarepalmo a palmo quell'estensioneincolta.Avevaunapuntadinausea.-Sta' tranquilla: è cosi grossa, siritrova… Guarda in macchina… Efidato l'uomo del garage? (Lamacchina era la macchina di lei.Anche il garage). - Sì. E Leone, ècon noi da tanti anni. Telefonagli

subitocheguardi,allora.-Esenonc'è?-Ritelefonami.Andròacercarlalaggiù… - Caro, tesoro… - si.Riappese il ricevitore. La collana.Feceunversocon le labbra.Chissàche sfilza di milioni valeva. E ilmaritodiUmbertalasciavaandarelecambialiinprotesto.Unabella storia.Nepotevanasceretutta una bella storia. Sul fogliodisegnòunacollanaaquattrogiri,ela rifinì minuziosamente, perla perperla.Dovevateneregliocchiaperti.Nel disegno trasformò le perle inocchi,ognunoconlasuairide,lasuapupilla, le sue ciglia. Non c'eratempodaperdere.Dovevaandarlaa

cercare per quei prati. Che glitelefonassesubito,Umberta.Figuriamoci se era nella macchina.Continuerai da te quel lavoro disseal disegnatore - io devo uscire dinuovo.Vadall'impresario?Siricordiquella pratica… - No, no, vado incampagna.Perfragole-eriempiconla matita la collana facendoladiventare un'enorme fragola, coisepali e il picciuolo. -Vedi, unafragola. - Sempre a donne,ingegnere - disse il ragazzoghignando. -Porco - fece Enrico.Suonòil telefono.-Egià,nonc'eraniente.Sta'calma.Adessovado li.L'hai raccomandato

al garagista di non dir nulla? Manulla a lui, diamine, a coso, a suamaestà!Bene.Sichemiricordodelposto…Dopotitelefono…ciao,sta'tranquilla… - riattaccò, fischiettò,indossò il soprabito, usci, inforcò ilmotoscooter. La città gli s'apersecome un'ostrica, come un limpidomare. Quando si è giovani accadeandando, specialmentedi corsa, perunacittà,divedertelaapriretutt'auntratto davanti, anche se è nota erichiusa ormai e cosi lisa da parereinvisibile.Eilsaporedell'avventura:l'unico che della sua giovinezzaancora conservasse Enrico,architetto scettico anzitempo. Ecco

che andare per collane perdute sirivelavadivertente,nonnoiosocomeaveva tutt'a prima creduto. Forseproprio perché della collana gliimportava cosi poco. Se la trovavabene e se no pazienza: i drammidiUmberta erano drammi da ricchi,che più grossa è la cifra in cui sivalutano più ci paiono leggeri. Epoi, cos'era mai che potevaimportare a Enrico? Niente almondo. Ma questa città in cui oracorreva spensierato e avventuroso,era pur stata per lui una specie diletto da fachiro, che da ogni partebuttasse l'occhio era uno strillo, unsalto, un chiodo aguzzo: case

vecchie,casenuove,isolatipopolario palazzi gentilizi, ruderi oimpalcature di cantieri, la città eraun tempo per lui una foresta diproblemi: lo Stile, la Funzione, laSocietà, la Misura Umana, laSpeculazione Edilizia… Ora il suosguardo passava con la stessacompiaciuta ironia storica sulneoclassico, sul liberty, sulnovecento,econ l'oggettivitàdichiconstata fenomeni naturali passavain rivista i vecchi agglomeratiantigienici, i nuovi grattacieli, leofficine razionali, i rosoni dimuffasui muri senza finestre; e nonsentiva più quello squillo come di

trombe di Gerico che una voltaaccompagnava i suoi passi, di luiche avrebbe colpito nella cittàmostruosa le colpe della borghesia,di lui che avrebbe distrutto eriedificato per un'umanità nuova.Aquel tempo quando un corteod'operai coi cartelli e col codazzodelle biciclette spinte per manoriempiva le strade verso laprefettura,Enricoglis'univa,esopraquella folla disadorna gli pareva silibrasse, geometrica nube,l'immagine della Città Futura,bianca e verde, che lui avrebbecostruito per loro. Era stato unrivoluzionario,aqueitempi,Enrico:

aspettava che il proletariatoprendesseilpotereegliaffidasse lacostruzione della Città. Ma ilproletariato tardava avincere, epoipareva che non condividessel'esclusiva passione d'Enrico per lemuraglie nude e i tetti piatti.Cominciòperilgiovanearchitettolastagione agra e rischiosa in cui siammaina ogni entusiasmo. Peresprimere il suo rigore stilistico,scoperse un'altra via: applicarlo aprogetti di ville al mare, cheproponeva, immeritato onore, aimiliardari filistei. Era anche quellauna battaglia: un aggiramento, pervie interne, del nemico. Per

rafforzarelesueposizionibisognavacercar di diventare l'architetto dimoda; Enrico dovette cominciare aporsiseriamenteilproblemadelsuotrenodivita>:comefacevaagirareancorainmotoscooter?Ormainonguardavapiùanientesenon a accaparrarsi lavori redditizi,qualicheessifossero.Ipianiper laCittà Futura ingiallivano arrotolatinegli angoli del suo studio e ognitanto qualcuno gliene ricapitava inmano, mentre cercava un pezzoqualsiasi di carta da disegno perbuttar giù, sul rovescio, un primoabbozzo d'un sopraelevamento.Passandoinmotoscooterquelgiorno

periquartieridellaperiferia,Enricononripigliavaaireperlesueanticheriflessioni sullo squallore deicasamenti operai, ma fiutava nelvento, come un cerbiatto in cercad'erba tenera, l'odore delle areefabbricabili. Appunto un'areafabbricabile aveva voluto andare avedere, quel mattino presto, con lamacchina di Umberta. Uscivano dauna festa, lei era sbronza, e nonvoleva più tornare a casa. Portamiqui,portamilà,Enricointantogiàdaun po' mulinava quell'idea: girarepergiraretantovalevaandareadareun'occhiatainunpostodovesapevalui, a quell'ora in cui non c'era

nessuno, per veder bene lepossibilitàcheaveva.Eraun'areadiproprietà del marito di Umberta, iterreni intorno alla sua fabbrica.Enrico sperava, attraversol'appoggio di lei, di farsi darel'appaltoperunagrossacostruzione.Era stato andando laggiù, cheUmbertaperpoconon saltavadallamacchina in corsa. Litigavano; leifacevalasbronzapiùdiquantononlofosse.-Edovemiportiadesso?-piagnucolava. Ed Enrico: - Da tuomarito. M'hai stufato. Ti riporto daluiinfabbrica.Nonvedichestiamoandandopropriolà!-Leicanticchianon si sa che, poi apre la portiera.

Luifrenasubitoeleisaltagiù.Cosiaveva perso la collana. Adesso,ritrovarla: una parola.Ai suoi piedisi stendeva un pendio incolto ecespuglioso. Sapeva d'essere nellostesso punto di quel mattino soloperché la strada polverosa e pocofrequentata aveva conservato ilsegno della frenata dell'auto: delresto tutto il paesaggio intorno erainformeemail'espressionecatastaleterreno vago s'era caricata nellamented'Enricod'un significato cosipreciso e sottilmente angoscioso.Mosse qualche passo intornocacciando lo sguardo sul terrenoincrostato, tra gli stecchi degli

arbusti:alcontattoconquestosuolomisero e vile, sordo alle impronte,seminato di rifiuti, sfuggente einconoscibile, striato d'un lucorecome bava di lumaca, il gustodell'avventuraglivenivameno,cosicome si contrae e rientra ladisposizione d'amore in chi viencolto da un'impressione di freddo odibruttezzaodidisagio.Lanausea,che a ondate l'aveva accompagnatofin dal risveglio, ora lo riprendeva.Cominciò la sua perlustrazione giàconvinto che non avrebbe trovatoniente. Forse avrebbe dovutostabilire prima un metodo preciso:delimitare lo spazio in cui era

probabile che Umberta si fossemossa, suddividerlo in settori, edesplorarli palmo a palmo.Ma tuttopareva cosi inutile e insicuro, cheEnrico continuava a camminaredisordinatamente, scostando appenai ramoscelli.Sollevando losguardo,videunuomo.Stavaamaniintasca,inmezzo al prato, coi cespugli chegli arrivavano ai ginocchi. Dovevaessersiavvicinatoinsilenzio,nonsicapiva donde. Era lungo,allampanato, affilato come unacicogna;portavaunvecchioberrettomilitarecalcatointestacoilembidelpassamontagna penzolanti aorecchie di can da caccia, e una

giubbapuremilitare,conlespallinesbrindellate. Era fermo come sel'aspettasse al varco. Eranoparecchieorechel'aspettava,infatti:daprimaancoracheEnricosapessedi dover venire. Era il disoccupatoFiorenzo. Sbollito il primomoto didispetto per aver visto sfuggirgli disotto il naso quel probabile tesoroche avevano raccolto i due operai,egli s'era detto che doveva restarefermo li. La partita non potevaancoradirsichiusa:selacollanaeraproprio preziosa, prima o poi chil'aveva smarrita sarebbe tornato acercarla; e sulla scia d'un tesoro c'èsempre la speranza di raccoglierne

qualcosa. L'architetto, alla vistadello sconosciuto laggiù immobile,s'erarifattoattento.Sifermò,acceseunasigaretta.Enricoricominciavaaprendere interesse per quella storia.Era uno di quei tipi, Enrico, checredono d'avere un fondamento incoseeidee,einvecenonhannoaltraragione di vita che i mutevoli,intricati rapporti con il prossimo;messidifronteallavastanatura,oalmondo sicuro degli oggetti, oall'ordine delle cose pensate, sismarriscono; e riprendono fiduciasolo quando possono fiutare lemosse d'un possibile avversario oamico;cositratantipianil'architetto

nontiravasunullanéperglialtrinéper sé. Avvistato Fiorenzo, permegliostudiarelesuemosse,Enricocontinuò a cercare chino,muovendosi secondouna linea rettacheloavvicinavaa lui,machenonloavrebbeincontrato.L'uomo,dopounpo', simosseanche lui, inmododaattraversareilcamminod'Enrico.Sifermaronoaunpassodidistanza.Il disoccupato aveva una scarnafacciadauccello chiazzatadibarbaincolta.Fuluiaparlareperprimo.-Cerca qualcosa? - disse. Enricoportò la sigaretta alle labbra.Fiorenzo fumava il proprio fiato,una nuvoletta densa nel freddo

dell'aria. - Guardavo - dissevagamenteEnrico,facendoungestointorno. Aspettava che l'altro siscoprisse.Se ha trovato la collana pensò -tasterà il terreno per capire quantovale.L'hapersaqui?-feceFiorenzo.E Enrico, pronto: - Cosa? L'altrolasciò un tempo di pausa e poi: -Quella cosa che cerca. - Come sache cerco qualche cosa? - feceEnrico, brusco. Era stato unmomento a riflettere se convenivaapostrofarlocoltuintimidatoriocheusalapoliziaconlagentemalvestitao col lei della formale e egualitariaurbanità cittadina; avevadeciso che

il lei dava meglio quel tono tra dipressione e di trattative col qualevoleva impostare i suoi rapporti.L'uomo rifletté un poco, mandòfuori un altro po' di fiato, si girò efece per andarsene. Si ritiene il piùforte - pensò Enrico l'avrà trovatadavvero?. Certo, ora lo sconosciutos'era messo in posizione divantaggio: toccava a Enrico starglidietro. Chiamò: - Ehi! - e tese ilpacchetto delle sigarette. L'uomo sivoltò. - Fuma? - chiese Enrico, colpacchetto teso, ma senzamuoversi.L'uomo tornò indietro di qualchepasso, prese una sigaretta dalpacchetto, e nello sforzo di tirarla

fuori con le unghie sbuffò qualcosache poteva anche essere un grazie.Enrico rimise il pacchetto in tasca,tiròfuoril'accendino,loprovò,feceaccendere la sigaretta all'uomolentamente.-Midicacosacercalei,prima-disse-epoilerisponderò.-Erba - fece l'uomo, e indicò uncestinoposato sull'orlo della strada.- Per i conigli? Avevano risalito ilpendio. L'uomo prese in mano ilcestino. -Permangiarenoi - fece es'avviòper la strada.Enricosali sulmotoscooter e avviatolo lentamentesiposealsuofianco.-Cosi,leisifail suo giro per erba tutte lemattineda queste parti, no?- e voleva

arrivareadire:Eunpo'iltuoregnoquesto,no?Sono posti dove non può caderfoglia senza che tu te ne accorga!.Ma Fiorenzo lo prevenne: - Sonoposti di tutti disse. Era chiaro cheaveva capito il suo gioco, e, avessetrovato o no la collana, non sisarebbesbottonato.Enricodecisediscoprirelecarte:-Stamattinaèstatoperso un oggetto proprio li disse,fermandosi. - L'ha trovato lei? - etacque aspettando che l'altrochiedesse: - Che oggetto? - Lochiese,difatti,maprimaerarimastoa pensarci un po' sopra; un po'troppo. -Una collana - feceEnrico

storcendo il labbro con l'aria di chiaccenna a cose poco importanti; enello stesso tempo fece un gestocomechitendedaunamanoall'altraun cordino, un fiocchetto, unacateninadabambino.-Eunricordo,citeniamo.Quindimeladia,ioglielapago-eaccennòametteremanoal portafoglio. Il disoccupatoFiorenzoavanzòunamanocomeperdire: Io non l'ho; ma si guardò daldirlo, e restò con la mano protesadicendo,invece:-Eunlavoroduro,cercare una cosa là in mezzo… civorrannodiversegiornate.Ilpratoègrande. Possiamo cominciare avedere,intanto…

Enrico riappoggiò le mani almanubrio.-Credevochel'avessegiàtrovata.Peccato. Pazienza. Mi dispiace perlei soprattutto. Il disoccupato buttòvialacicca.-MichiamoFiorenzo-dissepossiamomettercid'accordo.-Sono l'architetto Enrico Pré. Erosicuro che avremmo cominciato afar sul serio. -Possiamo mettercid'accordo - ripeté Fiorenzo - untantoagiornata;epoiuntantoallaconsegna dell'oggetto, quando sarà.Enricogiròilbustoquasidiscatto,eancora muovendosi non sapeva sel'avrebbe afferrato per la giubba, osevolevasolosaggiarneancorauna

volta le reazioni. Fatto sta cheFiorenzosifermòsenzaaccennareadifendersi, tendendo in una ironicaaria di sfida il suo viso d'uccellospennato. E a Enrico parveimpossibile che nelle tasche diquella giubba striminzita e sgonfiapotesseroesserciquattrofilidiperle:se l'uomo sapeva qualcosa dellacollana, chissà dove l'avevanascosta. - E quanto vuoi starci, arastrellare quel prato? chiese. Erapassatoal tu.-Echi ledicechesiaancoranel prato? - feceFiorenzo. -Se non è nel prato è a casa tua. -Casamia è quella - disse l'uomo, eindicò fuori strada. -Venga.Dove i

primi sparsi casamenti dellaperiferia si voltano la schiena tra iprati nebbiosi, là era il termine deipascoli di Fiorenzo. E prossima alconfine,comedisolitosisituano lecapitali dei regni più lontani, era lasua casa. A formarla avevanoconcorsomoltevicendeecataclismistorici: le basse pareti in muraturamezzo diroccate erano d'un'anticascuderia militare, poi abolita per ildeclino dell'arma equestre; ilgabinetto alla turca e un'indelebilescritta murale provenivano da unasuccessiva utilizzazione ad armeriadei premilitari; una finestra ainferriataderivavadalsinistrousodi

prigione cui era stata adibita intempo di guerra civile; e persnidarne l'ultimo plotone d'armigeriera occorso quell'incendio chel'aveva quasi distrutta; il pavimentoeletubatureappartenevanoall'epocain cui era stata accampamento disinistratiprima,epoidiprofughi;inseguito un prolungato saccheggioinvernaledilegnadaardere,tegoleemattoni l'avevano di nuovosmantellata; finché ci giunse con imaterassi e i mobili, sfrattatadall'ultimo alloggio, la famiglia diFiorenzo.Metà del tetto infine era statosostituitodaunavecchiasaracinesca

contorta da uno scoppio, trovata linei pressi. Così, Fiorenzo, suamoglie Ines e i quattro figli viventiriebbero una casa in cui poterappendere ai muri i ritratti deiparenti e le bollette della tassa difamiglia, e attendere la nascita delloro quintogenito con qualchesperanza che sopravvivesse. Sel'aspetto della casa non poteva dirsimoltomiglioratodalgiornoincuilafamiglia vi s'era installata, eraperché lo spirito di Fiorenzonell'abitarla pareva più simile aquello del primitivo che s'intana inuna grotta naturale, che a quellodell'industre naufrago o pioniere,

ches'adoperaafarrivivereattornoasé qualcosa della civiltà lasciata inpatria.Di civiltà Fiorenzo ne avevaintorno tutta quella che potevadesiderare,maessaglieranemicaeproibita. Dopo il licenziamento,presto disimparato quel po' dimestiere in cui era riuscito inqualchemodoaqualificarsi-quellodi lucidatore di tubi di rameappesantitaglisilamanoinunlavorodimanovale che anche quello duròpoco, tagliato fuori da un giornoall'altro - con la famiglia sullebraccia dal gran giro dellacircolazione del denaro, aveva fattoprestoarisalireilcorsodellastoria:

ormai, persa l'idea che le cosenecessarie si costruiscono, sicoltivano, si fanno, teneva contosolodi ciò che si può raccogliereocacciare.La città era diventata per Fiorenzounmondodelqualeeglinonpotevafarparte,cosicomeilcacciatorenonpensa di diventare foresta, ma solodi strapparle una preda selvatica,una bacca matura, un riparo per lapioggia. Cosi per il disoccupato laricchezzadellacittàeraneitorsolidicavolo che restano sul selciato deimercatirionaliquandosismontanoibanchi; nelle erbe eduli cheguarniscono i binari delle tramvie

interurbane; nel legno dellepanchine pubbliche che si possonosegare pezzo a pezzo per bruciarenellastufa;eraneigatticheanotte,innamorati, s'inoltravano nei terrenidemanialienonnefacevanoritorno.Esisteva per lui tutta una cittàbuttatavia,disecondaoterzamano,semisepolta, escrementizia, fatta discarpesfondate,dicicche,distecched'ombrello. E giù giù al livello diquesteimpolveratericchezzepuresitrovava ancora un mercato, con ledomande e le offerte, lespeculazioni, le incette. Fiorenzovendevabottiglievuote,stracci,pellidi gatto, e cosi riusciva a dare

ancora qualche fuggevole beccatanellacircolazionemonetaria.L'attività più faticosa ma piùredditizia era quella degli scopritoridiminiere,chescavanolaterrad'undirupo sotto una certa fabbricacercando rottami ferrosi tra i rifiutidellalavorazione,etalvoltasterranoin un giorno tanti chili di ferro pertrecento lire. La città avevairregolari stagioni e vendemmie:dopo le elezioni c'erano tutti imuriricoperti di strati di manifesti dastaccare scaglia a scaglia coldiligente e rabbioso raspo d'unvecchio coltello; i bambiniaiutavanoancheloroeriempivanoi

sacchi di brandelli multicolori chevenivano pesati dalle avare staderedei mercanti di cartaccia. In questeed altre spedizioni seguivanoFiorenzo i due bambini più grandi.Cresciuti in quella vita non nesupponevano altre possibili, ecorrevanoperlaperiferiaselvaticievoraci, fratelli ai topi con cuispartivanocibiegiochi.InveceIness'erafattaunamentalitàdaleonessa;non si muoveva dal covo, leccaval'ultimonato,avevapersol'abitudinedomesticadell'aggiustareedeltenerpulito, si gettava avida sul bottinocheportavanoacasal'uomoeifigli,aiutava talora a renderlo

commerciabile scucendo i pezzi ditomaia da vendere per toppe aiciabattini o sgrumando il tabaccodelle cicche; e s'era fatta, pur nellafame,grassaetozza,e,asuomodo,tranquilla. L'altro mondo, quellodelle calze e dei cinema, non lachiamava più, dai cartelloni cheormai per lei non raffiguravano piùnulla d'intelligibile,ma solo enormirebus indecifrabili. La fotografia dilei con Fiorenzo vestita di velobianco il giorno delle nozze, cuicontinuavaognigiornoaspolverareilvetro,nonsapevapiùseerasuaodiunasuabisnonna.Ireumatismileavevano portato l'abitudine di stare

sempre coricata anche quando nonavevamale.A letto inpienogiornonellacasasgangherata,colbambinoaccanto, guardava il cielo spesso enebbioso e si metteva a cantare unvecchio tango. Cosi Enrico,avvicinandosi al tugurio, senticantare: capiva sempre meno. Conocchioespertoosservòl'inclinazionedel tetto ondulato, gli spigoliirregolari delle paretimarezzate daisegnidell'incendio.Certetrovate, inuna villa almare avrebbero fatto illoroeffetto.Dovevatenerloamente.Si ricordò un suo discorso d'unavolta,auncongressod'urbanistica:-Non è dal palazzo ma dal tugurio,

colleghi, chenoi cimuoveremoperilnostrocammino…

LagranbonacciadelleAntilleconnota1979

Dovevate sentire mio zio Donald,che aveva navigato conl'ammiraglioDrake, quandoattaccavaa raccontareunadellesueavventure. - Zio Donald, zioDonald! - gli gridavamo nelleorecchie, quando vedevamo ilguizzo d'uno sguardo affacciarsi ditra le sue palpebre perennementesocchiuse,-raccontatecicomeandòquella volta della gran bonacciadelleAntille!-Eh?Ah,bonaccia,si,si, la gran bonaccia… cominciavalui, con voce fioca. - Eravamo allargo delle Antille, procedevamo a

passo di lumaca, sul mare lisciocomel'oliocontuttelevelespiegateperacchiappareunqualcherarofilodivento.Edeccocheci troviamoatiro di cannone da un galeonespagnolo.Ilgaleonestavafermo,noicifermiamopure,eli,inmezzoallagran bonaccia, prendiamo afronteggiarci.Non potevamo passare noi, nonpotevano passare loro. Ma loro, adire il vero, non avevano nessunaintenzione d'andare avanti: erano liappostapernon lasciarpassarenoi.Noialtri invece, flotta di Drake,avevamo fatto tanta strada non peraltro che per non dar tregua alla

flotta spagnola e togliere da quellemani di papisti il tesoro dellaGrande Armada, e consegnarlo inquelle di Sua Graziosa MaestàBritannicalaReginaElisabetta.Peròora, di fronte ai cannoni di quelgaleone, con le nostre pochecolubrine non potevamo reggere, ecosi ci guardavamo bene dal farpartireuncolpo.Eh,si,ragazzi, talierano i rapportidi forza,voicapite.Quei dannati del galeone avevanoprovviste d'acqua, frutta delleAntille, rifornimenti facili dai loroporti, potevano stare li quantovolevano: anche loro però sitrattenevano dallo sparare, perché

per gli ammiragli di Sua MaestàCattolica quella guerricciuola congli Inglesicosicomestavaandandoeraproprioquel che ci voleva, e sele cose si mettevano diversamente,per una battaglia navale vinta opersa, tutto l'equilibrio andavaall'aria, certo ci sarebbero stati deicambiamenti,e lorodicambiamentinon ne volevano. Cosi passavano igiorni, la bonaccia continuava, noicontinuavamo a star qua e loro là,immobiliallargodelleAntille…-Ecomeandòafinire?Diteci, zioDonald! - facemmo noi,vedendocheilvecchiolupodimaregià piegava il mento sul petto e

riprendevaasonnecchiare.-Ah?Si,si, la gran bonaccia! Settimane,durò.Livedevamocoicannocchiali,quei rammolliti di papisti, queimarinaidaburla,sottogliombrellinicon le frange, il fazzoletto tra ilcranioe laparruccaperdetergere ilsudore, che mangiavano gelati diananasso. E noi, che eravamo i piùvalenti marinai di tutti gli oceani,noi che avevamo per destino diconquistare alla Cristianità tutte leterrechevivevanonell'errore,noicene dovevamo star li con lemani inmano, pescando alla lenza dallemurate, masticando tabacco. Damesieravamoinrottasull'Atlantico,

le nostre scorte erano ridotteall'estremoeavariate,ognigiornoloscorbuto si portava via qualcuno,che piombava in mare in un saccomentre il nostromo borbottava infretta due versetti della Bibbia. Dilà,sulgaleone,inemicispiavanocolcannocchiale ogni sacco chesprofondava in mare, e facevanosegniconleditacomeaffaccendatiacontare le nostre perdite. Noiinveivamo contro di loro: ce nevoleva prima di darci tutti morti,noialtri che eravamo passatiattraverso tanti uragani, altro chequellabonacciadelleAntille…-Mauna via d'uscita, come la trovaste,

zio Donald? - Cosa dite? Viad'uscita?Mah, ce lo domandavamodicontinuo,pertuttiimesicheduròla bonaccia… Molti dei nostri,specietraipiùvecchieipiùtatuati,dicevano che noi eravamo semprestati una nave da corsa, buona perazioni rapide,e ricordavano i tempiin cui le nostre colubrinesguarnivano delle alberature le piùpotentinavispagnole,aprivanofallenelle murate, giostravano conbrusche virate… Ma si, nellamarineria di corsa, certo eravamostatibravi,maallorac'erailvento,siandava svelto… Adesso, in quellagran bonaccia, questi discorsi di

sparatorieed'abbordaggieranosoloun modo di trastullarci aspettandochissacché; una levata di libeccio,unfortunale,addiritturaun tifone…Perciò gli ordini erano che nondovessimo neanche pensarci, e ilcapitano aveva spiegato che la verabattaglia navale era quello star lifermiguardandoci,tenendocipronti,ristudiando i piani delle grandibattaglie navali di Sua MaestàBritannica, e il regolamento delmaneggiodelleveleeilmanualedelperfettotimoniere,eleistruzioniperl'uso delle colubrine, perché leregole della flotta dell'ammiraglioDrake restavano in tutto e per tutto

leregoledellaflottadell'ammiraglioDrake: se si cominciava a cambiarenon si sapeva dove… - E poi, zioDonald? Ehi, zio Donald! Comeriusciste a muovervi? -Uhm…Uhm…cosavi dicevo?Ah si, guaise non si teneva la più rigidadisciplina e obbedienza alle regolenautiche.SualtrenavidellaflottadiDrake c'erano stati cambiamentiufficiali e anche ammutinamenti,sommosse: si volevaormaiun altromodo di andar per i mari, c'eranosemplici uomini della ciurma,marinai di quarto e puremozzi cheormais'eranofattiespertieavevanoda dir la loro sulla navigazione…

Questo i più degli ufficiali equartiermastri ritenevano il pericolopiù grave, perciò guai se sentivanoin aria discorsi di chi volevaristudiare da capo il regolamentonavalediSuaMaestà Elisabetta. Niente,dovevamo continuare a ripulire lespingarde, lavare il ponte,assicurarci del funzionamento dellevele, che pendevano flosce nell'ariasenzavento, enelleore liberedellelunghegiornate,sullatoldalosvagoritenuto più sano erano i solititatuaggisulpettoesullebraccia,cheinneggiavano alla nostra flottadominatricedeimari.Eneidiscorsi,

si finiva per chiudere un occhio suquelli che non riponevano altrasperanza che in un aiuto del cielo,come un uragano che magari ciavrebbemandatoapiccotutti,amicie nemici, piuttosto che quelli chevolevano trovare un modo permuovere la nave nella condizionepresente… Capitò che un gabbiere,certoSlimJohn,nonsoseilsoleintesta gli avesse fatto male o checos'altro, fatto sta che cominciò atrastullarsi conuna caffettiera.Se ilvapore solleva il coperchio dellacaffettiera, - diceva questo SlimJohn,alloraanchelanostranave,sefosse fatta come una caffettiera,

potrebbeandaresenzavele…Eraundiscorso un po' sconnesso, bisognadire, ma forse, studiandoci ancorasopra,senepotevaricavarequalchecostrutto. Macché: gli buttarono inmarelacaffettieraepocomancòchecibuttasseroanchelui.Questestoriedi caffettiere, presero a dire, eranopocomenocheideedapapisti…èinSpagna che si costuma il caffè e lecaffettiere, non da noiMah, io nonne capivo nulla, ma purché simuovessero,conquelloscorbutochecontinuava a falciar gente… - Eallora, zio Donald, -esclamammonoi, gli occhi lucidi d'impazienza,prendendolo per i polsi e

scuotendolo, - sappiamo che visalvaste, che sgominaste il galeonespagnolo, ma spiegateci comeavvenne,zioDonald!-Ah,si,anchelànelgaleone,micachefosserotuttidella stessa idea,mancoper sogno!Lo si vedeva, osservandoli colcannocchiale,anchelic'eranoquelliche volevano muoversi, gli unicontro di noi a cannonate, altri cheavevano capito che non c'era altravia che affiancarsi a noi, perché ilprevalere della flotta d'Elisabettaavrebbe fatto rifiorire i traffici datempo languenti…Ma anche li, gliufficiali dell'ammiragliato spagnolononvolevanochesimuovessenulla,

percarità!Suquelpunto,icapidellanostra nave e quelli della navenemica, pur odiandosi a morte,andavano proprio d'accordo.Cosicché, la bonaccia nonaccennando a finire, si prese alanciare dei messaggi, con lebandierine, da una nave all'altra,come si volesse aprire un dialogo.Manonsiandavapiùinlàd'un:Buongiorno!Buonasera!Neh,chefa bel tempo! e cosi via… - ZioDonald! Zio Donald! Nonriaddormentatevi, per carità! Ditecicome riusci a muoversi la nave diDrake! - Ehi, chi, non sono micasordo! Capitemi, fu una bonaccia

che nessuno s'aspettava durassetantoaddiritturaperdeglianni,làallargodelleAntille, e conun'afa, uncielo pesante, basso, che parevafosse li li per scoppiare in unuragano.Noistillavamosudore,tuttinudi, arrampicati su per le sartie,cercando un po' d'ombra sotto levele avvoltolate. Tutto era cosiimmobile, che anche quelli di noiche erano più impazienti dicambiamenti e di novità, stavanoimmobili anche loro, uno in cimaall'albero di parrocchetto, un altrosulla branda di maestra, un altroancora cavalcioni del pennone,appollaiatilassùasfogliareatlantio

carte nautiche… - E allora, zioDonald!-cibuttammoinginocchioai suoi piedi, lo supplicavamo amani giunte, lo scuotevamo per lespalle,urlando.-Ditecicomeandòafinire, in nome del cielo! Nonpossiamo più aspettare! Continuateilvostroracconto,zioDonald!

Nota1979

Ho riletto La gran bonaccia delleAntille. Forse è la prima volta cherileggevo questo mio racconto, daallora. Non lo trovo invecchiato, enon solo perché si regge comeracconto in sé, indipendentementedall'allegoria politica, ma anche

perché il contrasto paradossale tralottaaccanitae immobilitàforzataèuna situazione tipica, tantopolitico-militare quanto ePico-narrativa,antica almeno quanto l'Iliade, eviene naturale riferirla alla propriaesperienza storica. Come allegoriapolitica italiana,apensarechesonopassati ventidue anni e che i duegaleoni sono sempre lì che sifronteggiano, l'immagine diventaancor più angosciosa. Certo questiventidue anni non sono stati affattod'immobilismo per la societàitaliana,chesiètrasformatapiùcheneicent'anniprecedenti.El'epocaincuiviviamononsipuòcertodefinire

unabonaccia.Inquestosensononsipuò proprio dire che la metaforacorrispondapiùallasituazione;ma-attenzione! anche allora solo conunacertaforzaturasipotevaparlaredi bonaccia: erano anni d'unatensione sociale dura, di lotterischiose, di discriminazioni, didrammi collettivi e individuali. Laparola bonaccia ha un suonobonaccionechenonhanienteachefarecolclimad'alloranéconquellod'adesso, ma si ha a che farel'atmosfera greve, minacciosa,snervante delle bonacce oceanicheper i bastimenti a vela come lerappresentanoiromanzidiConrade

di Melville, da cui evidentementederiva il mio racconto. Dunque lafortuna che ebbe quella miametafora nella pubblicistica politicaitaliana si spiega col fatto che essadice qualcosa di più d'un qualsiasitermine del linguaggio politico, peresempio immobilismo. E l'impassein una situazione di lotta,d'antagonismo inconciliabile, a cuicorrisponde un immobilismoall'interno dei due campi:immobilismo connaturato al campospagnolo, in quanto coincide coiloroprogrammieilorofini;mentreincampopiratac'èlacontraddizionetra la vocazione per la guerra di

corsa con relativa ideologia (leregole della flotta dell'ammiraglioDrake) e una situazione in cuiricorrere a cannoneggiamenti eabbordaggi oltre che impossibilesarebbecontroproducente,suicida…Nel racconto non proponevosoluzioni - così come non sapreiproporne adesso -ma tracciavounaspecie di catalogo degliatteggiamentipossibili.C'erano i due stati maggioriantagonisti, accomunati nellavolontà di mantenere la situazionecolminimodicambiamentipossibili(permotivioppostimatutt'altrocheprivi di fondamento), all'interno

delle rispettive navi soprattutto, eall'esternonell'equilibriodelleforze.(Su questo punto, certo,cambiamenti non si può negare checenesonostati,soprattuttonelPCenella sinistra in genere, ma anchenella DC, se non altro perdecozione). Poi c'erano i fautoridello scontro, da una parte edall'altra, spinti da motivazioni piùtemperamentali che strategiche; e ifautori del dialogo, da una parte edall'altra.(Losviluppodiquesteduepolarità corrisponde a quanto si èverificato nella realtà, sia comepoliticadellegrandi intesesiacomepressione rivoluzionaria, sempre

senzaspostaredimoltolasituazionema comunque dando l'illusionedell'attività). C'è anche laprospettiva apocalittica (un uraganoche magari ci avrebbe mandato apicco tutti), allusione allediscussioni sulla prospettiva d'unaguerra atomica, che proprio alloradividevano i sovietici che lapresentavano come la fine dellaciviltà, dai cinesi che tendevano aminimizzarne i pericoli. Purecaratteristico delmomento in cui ilraccontoèstatoscrittoèilrichiamoallo sviluppo tecnologico da cuiallora si sperava venisse unasoluzione (si parlava molto di

automazione come di qualcosa cheavrebbecambiatoradicalmenteidatidelproblema).Mal'invenzionedellamacchina a vapore che io evocavo,forseèrimastaallostadiodelpiratachegiocaconlacaffettiera.Qualcheprecisazione storica: non possostabilire ora la data esatta in cuiscrissi il racconto; ricordo che ilnumerodiCittàapertatardòmoltoauscire, quindi il racconto è databilealcuni mesi prima, quando ancoraero nel caldo delle discussioniinterneperilrinnovamentodelPCI.All'internodelmondo impegnato inquesto dibattito, il mio raccontotrovò subito consensi tra i fautori

d'un revisionismo tanto di destraquanto di sinistra: sia rivoluzionaricheriformistivivedevanoleproprieragioni;mabisognadirechealloraiduecampi non erano semprechiaramente delineati. Quando ilnumero di Città aperta uscì il mioracconto fu ripreso sull'Espresso edebbe una diffusione generale.L'Avanti gli dedicò un articolo difondo.Inseguitounfogliod'estremasinistra Azione comunista pubblicòunaparodia del racconto, legandoloa situazioni e persone precise. Aquestaparodia,esullostessotonodipolemiche personali, rispose conun'altraparodiaMaurizioFerrarasu

RinascitafirmandosiLittleBald.Maintanto, nell'estate 1957, c'eranostate lemie dimissioni dal PC, e laGran bonaccia fu considerata unaspecie di messaggio cheaccompagnava le mie dimissioni,cosachenoneraperchéappartenevaa una fase precedente.La tribù congliocchialcieloLenottisonobellee il cielo estivo è attraversato daimissili. La nostra tribù vive incapanne di paglia e fango. La sera,tornati dalla raccolta delle noci dicocco, stanchi, ci mettiamo sullesoglie, chi seduto sui calcagni, chisuunastuoia,conintornoibambinidai buzzi rotondi come palloni che

giocanoperterra,econtempliamoilcielo. Da molto tempo, forse dasempre, gli occhi della nostra tribù,questinostripoveriocchiinfiammatidal tracoma, sono puntati al cielo:ma specialmente da quando per lavolta stellata sopra il nostrovillaggio trascorrono nuovi corpicelesti: aerei a reazione dalla sciabiancastra, dischi volanti, proiettilirazzo, e adesso questi missiliatomici telecomandati, tanto alti evelocichenemmenopiùsivedonoosi odono, ma solo, stando beneattenti, si può cogliere nel brilliodella Croce del Sud come unbrivido,unsinghiozzo,ealloraipiù

esperti dicono: Ecco, è passato unmissile a ventimila chilometriall'ora; un po' più lento, se nonsbaglio, di quello che è passatogiovedì. Ora, da quando c'è in ariaquestomissile,tantidinoisonostatipresi da una strana euforia. Alcunidegli stregoni del villaggio, infatti,hanno fatto capire, sotto sotto, chescaturendo questo bolide di làdalKilimangiaro, è esso il segnoannunciatodallaGrandeProfezia, eperciò l'ora promessaci dagli Deis'avvicina,edoposecolidiservitùemiseria la nostra tribù regnerà sututta la valle del Gran Fiume, e lasavana incolta darà sorgo e mais.

Quindi paiono questi stregonisottintendere - non si stia adalmanaccarenuovisistemiperusciredalla nostra situazione; confidiamonella Grande Profezia, stringiamociattorno ai suoi soli retti interpreti,senzachiederedipiù.Vadettoperòche,anchesesiamounapoveratribùdi raccoglitori di noci di cocco,siamo ben informati su tutto quelloche succede: un missile atomicosappiamo cos'è, come funziona,quanto costa; sappiamo che nonsaranno soltanto le città dei sahibbianchi a esser falciate comecampidi sorgo, ma che per poco che simettanoa spararlidavvero,quelli ti

riducono tutta la crosta della terracrepata e spugnosa come untermitaio.Cheilmissilesiaun'armadiabolica non lo dimentica mainessuno, neanche quegli stregoni;anzi, continuano, secondol'insegnamentodegliDei, a lanciaremaledizioni contro di esso. Però,questo non toglie che sia comodoconsiderarlo anche in senso buono,comeilbolidedellaprofezia;magarinon soffermandoci troppo ilpensiero, ma solo lasciando nelcervello uno spiraglio aperto aquellapossibilità,ancheperchédilìogni altra preoccupazione se neesce.Ilguaioèche-l'abbiamovisto

già diverse volte - dopo un po' chenel cielo del nostro villaggio èapparsa una qualche diavoleria cheproviene di là del Kilimangiarocomevuolelaprofezia,eccocheneappare un'altra dalla parte opposta,ancorapeggio,efilavia,elàoltrelacrestadelKilimangiarovaasparire:segno infausto, dunque, e lesperanze dell'approssimarsi dellaGrandeOrasideludono.Così, con alterni sentimenti,scrutiamoilcielosemprepiùarmatoe micidiale, come un tempoleggevamo il destino nel serenocorsodegliastriodivaganticomete.Nella nostra tribù non si discute

ormaid'altrochedirazziteleguidati,e intanto continuiamo ad andarearmati di rozze asce e lance ecerbottane. Perché preoccuparcene?Siamo l'ultimo villaggio almarginedella giungla. Non cambierà nullaqui da noi, prima dello scoccaredellaGrandeOradeiprofeti.Eppureanchequi,nonèpiùiltempoincuia comprare noci di cocco arrivavaogni tanto un mercante bianco inpiroga, e alle volte ci truffava sulprezzo, alle volte eravamo noi afargliela in barba; adesso c'è laCoccobelloCorporationchecompratuttoilraccoltoinbloccoeimponeiprezzi, e noi siamo obbligati a

raccogliere noci a ritmi accelerati,consquadreches'alternanogiornoenotte,perraggiungerelaproduzioneprevistadalcontratto.Ciononostantec'è tra noi chi dice che i tempipromessidallaGrandeProfeziasonopiùmaturichemai,enonperviadeipresagi celestimaperché imiracoliannunciati dagli Dei ormai sonoaltrettanti problemi tecnici che solonoi potremmo risolvere, e non laCoccobello Corporation. E già:dicononiente!Intanto, valla a toccare laCoccobello! I suoi agenti, nei loroufficideidockssulGranFiume,conlegambesultavoloeilbicchieredi

whisky in mano, pare abbiano solopaura che questo missile nuovo siapiù grosso di quell'altro, insommanonparlanod'altroneancheloro.C'ècoincidenza, in questo, tra ciò chedicono loro e ciò che dicono glistregoni: è nella potenza dei bolidicelesti che risiede tutto il nostrodestino!Anch'io,sedutosullasogliadella capanna, guardo stelle e razziapparire e sparire, penso alleesplosionicheavvelenanoipescinelmare, e agli inchini che Siscambiano, tra un'esplosione el'altra, quelli che decidono leesplosioni. Vorrei capire di più:certo i voleri degli Dei si

manifestano in questi segni, e v'èracchiusa anche la rovina o lafortuna della nostra tribù… Peròun'idea ho in testa che nessuno mileva: cheuna tribùche s'affida soloalvoleredeibolidicelesti,perbeneche le vada, continuerà sempre avendere le sue noci di coccosottocosto.

Monologo notturno di un nobilescozzese

La candelaminaccia continuamentedi spegnersi per il soffio d'aria chespiradallafinestra.Maiononpossolasciare che il buio e il sonnoinvadano la stanza, e la finestradebbo tenerlaapertaper sorvegliarela brughiera che in questa nottesenza luna è un'informe distesad'ombre. Non c'è nessuna luce difiaccole o lanterne, almeno per duemiglia, è sicuro, né si sente altrorumore che il verso del gallocedrone, e i passi della sentinellasugli spalti del nostro castello.Unanotte come tante altre, ma l'assalto

dei Mac Dickinson potrebbecoglierci prima dello schiariredell'alba. Debbo passare la nottevegliando e riflettendo allasituazione in cui ci troviamo.Oraèpoco è salito da me Dugald, il piùvecchioefedeletraimieiuomini,em'ha esposto il suo caso dicoscienza: egli è membro dellaChiesa episcopale, come gran partedei contadini di questa regione, e ilsuo vescovo ha imposto a tutti ifedeli di parteggiare per la famigliaMac Dickinson, proibendod'impugnar le armi per qualsiasialtro clan. Noi Mac Fergusonapparteniamo alla Chiesa

presbiteriana, ma per vecchiatradizione di tolleranza nonfacciamo questione di religione trala nostra gente. Ho risposto aDugaldchelolasciavoliberod'agiresecondo la sua coscienza e la suafede, ma non ho potuto trattenermidal ricordargli quanto egli e i suoidebbano alla nostra famiglia. Hovisto allontanarsi quel rude soldatocoi bianchi baffi stillanti lacrime.Non so ancora cos'abbia deciso. Einutile nascondercelo: la secolarecontesa tra la nostra famiglia MacFerguson e il clan dei MacDickinson sta per sboccare in unaguerra di religione. Dal tempo dei

tempiiclandell'altipianoregolanoiconti tra loro nel rispetto dellevecchiebuoneusanzescozzesi:ognivoltachecièpossibilevendichiamol'assassinio dei nostri parentiassassinandomembri delle famiglierivali e cerchiamo a vicenda dioccupare o devastare territori ecastelli altrui, ma la ferocia delleguerre di religione aveva finorarisparmiato questo lembo dellaScozia. sì, certo, tutti sappiamochela Chiesa episcopale ha sempreappoggiato apertamente la famigliaMac Dickinson, e se oggi questepovere terre dell'altopiano sonofunestate dai saccheggi dei Mac

Dickinsonpiùchedallagrandine,lodobbiamo al fatto che qui il cleroepiscopale ha sempre fatto lapioggia o il beltempo. Ma fino algiorno incui ilmaggiornemicodeiMac Dickinson e dell'Episcopatosono stati i Mac Connolly, cheessendo seguaci della perniciosasetta metodista hanno l'idea che sidebba perdonare ai contadini chenonpaganogliaffittieviadiquestopasso si debba finire per distribuireterre e averi ai poveri, tutti noi deiclan nemici dei Mac Dickinsonabbiamo preferito chiudere unocchio.Datuttiipulpitiepiscopali,iministri durante il servizio

promettevano l'inferno ai MacConnolly e a chiunque avesseportato le loro armi o solamenteservitolalorocasata,enoialtriMacFerguson, o Mac Stewart, o MacBurton, buone famigliepresbiteriane, lasciavamo fare.Certo,iMacConnollyciavevanolaloro parte di responsabilità, inquestostatodicose.Noneranoforsestatiloro,quandoilloroclanerabenpiùpotentediadesso,a riconoscerealcleroepiscopaleivecchiprivilegidelle decime sui nostri territori?Perché lo fecero? Perché disserolorosecondolalororeligionelecoseimportanti non erano quelle

(formalità o poco di più) ma altre,più sostanziali;operché -dicemmonoicredevanodisaperneunapiùdeldiavolo,queidannatimetodisti,edifarla in barba a tutti. Fatto sta chemaleloroneincolse,incapoapochianni. Noi, da parte nostra, nonpossiamo certo alzar la voce.EravamoalleaticoiMacDickinson,allora, badavamo a rafforzare lapotenzadelloroclan,perchéeranoisoli a poter tener testa ai MacConnollyeallelorofamigerateideesui tributi dei raccolti d'avena. Equando vedevamo in mezzo a unapiazza di paese un uomo dei MacConnollymessodagliepiscopalicol

cappio al collo come creatura deldemonio, non voltavamo i nostricavalli perché erano faccende chenon ci riguardavano.Adesso che lagentedeiMacDickinsonspadroneggiainognivillaggio e in ogni osteria conprepotenze e abusi, e nessuno puòpiù girare per le strade maestre diScoziasenonha lestrisciecoi lorocolori sulla gonnella, ecco che laChiesa episcopale s'è messa alanciare anatemi contro di noi,famigliedirettafedepresbiterianaea sobillarcicontro inostri contadinie financo le nostre cuoche. Si sa ache cosamirano: ad allearsimagari

coi clan dei Macduff o dei MacCockburn, vecchi fautori di reGiacomo Stuart, papisti o giù di li,tirandoli fuori dai loro castelli dellamontagna,doves'eranoridottitralecapre, a vivere ormai comebanditi.Sarà laguerradi religione?Manonc'è nessuno, neppure gli episcopalipiùbigotti,checredachebattersiperquei mangiabistecche dei MacDickinson, capaci di bere pinte dibirraanchedidomenica,equivalgaabattersi per la fede. Come lamettono,allora?MagaripensanochequestoentrineidisegnidiDio,comela cattività in Egitto. Però allaprogeniediIsaccononfuchiestodi

battersi per i Faraoni, anche seDiovoleva che sotto a quelli essilungamente soffrissero! Noi MacFerguson, se guerra di religione cisarà, l'accetteremo come una provaper rafforzare la nostra fede. Masappiamochesuquestacostaifedelidella giusta Chiesa di Scozia sonouna eletta minoranza, e potrebberoesseredaDio-cheEglinonvoglia!-sceltiperilmartirio.Horipresoinmano la Bibbia, che in questi mesidifrequentiscorrerienemicheavevoun po' trascurato, e vadosfogliandola al lume della candela,pur senza perder d'occhio laggiù labrughiera dove ora passa il fruscio

delvento,comesemprepocoprimadell'alba.No,nonmiciraccapezzo;se Dio si metterà di mezzo nellenostre questioni familiari scozzesi -e incasodiunaguerradireligione,dovràpuroccuparsene-chissàcosaandràasuccedere;ognunodinoihaisuoiinteressieisuoipeccati,iMacDickinsonpiùdi tutti, e laBibbiaèlìaspiegarcicheDiohasempreunaltroscopodaraggiungeredaquelloche gli uomini si aspettano. Forseabbiamo peccato proprio in questo,perché ci siamo sempre rifiutati diconsiderare le nostre guerre comeguerre di religione, illudendoci checosì potessimo arrangiarcimeglio a

far compromessi quando ci facevacomodo.C'è troppo spiritod'accomodamentoinquestapartedellaScozia,nonc'èclan che non si batta senza secondifini.Cheilnostrocultos'amministriattraverso la gerarchia di questa oquella chiesa, o nella comunità deifedeli, o nel fondo delle nostrecoscienze, non ci ha mai importatoabbastanza. Ecco, vedo laggiù, allimitedellabrughiera,unaddensarsidi fiaccole. Anche le nostresentinelle le hanno scorte: sento ilpiffero suonare le note dell'allarme,dall'alto della torre. Come andrà labattaglia? Tutti forse stiamo per

scontare il nostro peccato: nonabbiamo avuto abbastanza ilcoraggio d'essere noi stessi. Laveritàèche,tratuttinoipresbiterianiepiscopali metodisti, non c'ènessunoinquestapartedellaScoziache creda in Dio: nessuno dico,nobiliocleroofittavolioservi,checredadavvero inquelDiodicuihasempreilnomesullelabbra.Ecco,lenuvole impallidiscono a oriente.Olà, voi, svegliatevi! Presto,sellatemiilcavallo!

Unabellagiornatadimarzo

La cosa che mi turba di più inquest'attesa - ci siamo tutti ormai,quisottoiporticidelSenato,ognunoaisuoiposti,MetelloCimbroconlasupplicacheglideveporgere,Cascadietroa luichedarà ilprimocolpo,Bruto laggiù sotto la statua diPompeo,edèquasil'oraquinta,eglinon dovrebbe tardare - la cosa chepiù mi turba non è questo freddopugnalenascostoquisottolatoga,ol'ansia di come andrà,dell'imprevisto che potrebbesventare i nostri piani, non è iltimore d'una spiata, né l'incertezzaper ildopo: è soltantovederecheè

una bella giornata di marzo, unagiornatadi festacome tutte lealtre,e che la gente va a spasso, se neinfischia della repubblica e deipoteri di Cesare, le famiglie vannoincampagna,lagioventùèallecorsedeicarri, le ragazze indossanocertevesti che piombano giù dritte, unnuovomodoper far indovinare conpiù malizia le forme. Noi qui traquestecolonnechesifischietta,sifafinta di discorrere con disinvoltura,abbiamo un'aria sospetta più chemai,amesembra;maachiverrebbein mente? Tutti quelli che passanoper la strada sono lontani le millemiglia dal pensare a queste cose, è

una bella giornata, tutto è calmo.Quando ci butteremo, snudati ipugnali, là, sull'usurpatore dellelibertà repubblicane, i nostri attidovranno essere rapidi come lampi,secchi e nello stesso tempo furiosi.Ma ci riusciremo? Tutto in questigiorni ha preso un'andatura cosìlenta, tirata in lungo,approssimativa, flaccida, il Senatoche un po' per giorno rinuncia allesue prerogative, Cesare che paresempre lì lì per mettersi in capo lacorona ma non ha fretta, l'oradecisiva che sembra stia perscoccare a ogni momento e invecec'è sempre un rinvio, un'altra

speranzaoun'altraminaccia.Siamotutti invischiati inquestafanghiglia,anche noi altri: il nostro pianoperché abbiamo aspettato le Idi permetterlo in pratica? Non potevamogià agire alle Calende di marzo? Evisto che ci siamo, perché nonaspettare le Calende d'aprile? Oh,non era così, non era così cheimmaginavamo la lotta contro iltiranno, noi giovani educati nellevirtùrepubblicane:ricordocertesereconqualcunocheadessostaconmesotto questo portico, Trebonio,Ligario, Decio, quand'eravamoinsieme agli studi, e leggevamo lestoriedeigreci,ecivedevamonoia

liberarelanostracittàdallatirannia:ebbene, erano sogni di giornatedrammatiche, tese, sotto cielicorruschi, di tumulti concitati, dilottemortali,odiquaodi là,operla libertà o per il tiranno; e noi, glieroi,avremmoavutoilpopolodallanostra, a sostenerci e, dopo lerapidissime battaglie, a salutarcivincitori. Invece niente: magari glistorici futuri racconteranno, alsolito, di chissà quali presagi neicieli in tempesta o nelle visceredegli uccelli; ma noi lo sappiamoche è unmitemarzo, con qualchescrosciodipioggiaognitanto,l'altrasera un po' di vento che ha

scoperchiato qualche tetto di pagliadel suburbio. Chi lo direbbe chestamane noi uccideremo Cesare (oCesare noi, gli dei non vogliano)?Chi crederebbe che la storia diRomastapercambiare(inmegliooinpeggio, lodecideràilpugnale) inuna giornata pigra come questa? Iltimorechemiprendeèche,puntatiipugnali contro il petto di Cesare,anchenoi cominciamoa rimandare,a vagliare il pro e il contro, adaspettaredisentireluicosarisponde,di decidere cosa controproporre, eintanto le lame dei pugnalicomincino a penzolare molli comelingue di cani, si sciolgano come

serpenti di burro contro il pettotronfiodiCesare.Maperchéfinisceper apparire anche a noi una cosatantostranailtrovarciquiafarequelche dobbiamo fare? Non abbiamoper tutta la vita sentito ripetere chele libertà della repubblica sono lacosapiù sacra?Nonera intesa tuttalanostravitacivileavigilarecontrochi volesse usurpare i poteri delSenato e dei consoli? E adesso chesiamo al dunque, ecco invece chetutti, gli stessi senatori, i tribuni, eanchegliamicidiPompeo,eidottiche più veneravamo come lo stessoMarco Tullio si mettono a fardistinzioni, a dire che sì, Cesare

manomette gli ordinamentirepubblicani, si fa forte delleprepotenze dei veterani, blatera didignitàdivinecheglispetterebbero,mapureèuomodigloriosopassato,e per far la pace coi barbari ha piùautorità d'ogni altro, e che la crisidella repubblica solo lui puòrisolverla,e insomma, fra tantimaliCesareè ilmaleminore.Allagentepoi, figurarsi, Cesare va benissimo,o comunque se ne infischiano, è ilprimo giorno di festa in cui il beltempoprimaverilespingelefamiglieromaneperipraticonlecestedelleprovviste,l'ariaèdolce.Forsenonèpiùtempopernoi,amicidiCassioe

diBruto; credevamodi passare allastoria come eroi della libertà, Climmaginavamocolbracciolevatoingestistatuari,invecenoncisonopiùgesti possibili, le braccia ciresteranno rattrappite, le manis'apriranno a mezz'aria in mossecautelative, diplomatiche. Tutto siprolunga oltre il dovuto: ancheCesaretardaadarrivare,nessunohavogliadifarnulla,stamane,eccolaverità. Il cielo è appena venato ditenuifiocchidinuvole,evisaettanole prime rondini, attorno ai pini.Nelle vie strette c'è il chiasso delleruote che battono sul selciato estridonoallecurve.Macheavviene

allaportadilà?Cos'èquelgruppodipersone?Ecco,m'erodistrattodietroi miei pensieri e Cesare è arrivato!EccoCimbro che gli tira la toga, eCasca,Cascagiàtraeaséilpugnalerosso di sangue, tutti gli son sopra,aheccoBruto, che finora s'è tenutoin disparte come assorto, buttarsianch'egli avanti, ora pare crollinotuttigiùperigradini,certoCesareècaduto, la calca mi sospinge lìaddosso, ecco che anch'io levo ilpugnale, colpisco, e sotto vedoaprirsiRomacoisuoimurirossinelsoledimarzo,gli alberi, i carri chepassanovelocisenzasaperniente,euna voce di donna che canta a una

finestra,unatabellacheannuncialospettacolo del circo, e ritirando ilpugnale mi pren de come unavertigine, un senso di vuoto, diessersoli,nonquiinRoma,oggi,madi restar soli dopo, nei secoli cheverranno, la paura che noncapiscano quel che ora abbiamofatto,chenonsappianoripeterlo,cherestino lontani e indifferenti comequesta bella e calma giornata dimarzo.

RACCONTIEDIALOGHI

19681984.

Lamemoriadelmondo.

E' per questo che l'ho fattachiamare, Muller. Ora che le miedimissioni sono state accettate, leisarà il mio successore: la suanominaadirettoreèimminente.Nonfinga di cadere dalle nuvole: è daparecchiochelavocecircolatranoi,e certo sarà arrivata anche al suoorecchio. Del resto, non c'è dubbioche tra igiovaniquadridellanostraorganizzazione, lei Muller è il piùpreparato, quello che conosce - sipuò dire -tutti i segreti del nostrolavoro. In apparenza, almeno. Milascidire:nonèdimiainiziativachele parlo, ma per incarico dei nostri

superiori. Solo di alcune questionilei non è ancora al corrente, ed èvenuto il momento che lei sappia,Muller. Lei crede, come tutti delresto, che la nostra organizzazionestia damolti anni preparando il piùgrande centro di documentazioneche sia mai stato progettato, unoschedariocheraccolgaeordinituttoquello che si sa d'ogni persona eanimale e cosa, in vista d'uninventario generale non solo delpresente ma anche del passato, ditutto quello che c'è stato dalleorigini,insommaunastoriageneraledi tutto contemporaneamente, omegliouncatalogodituttomomento

per momento. Effettivamente, è aquesto che lavoriamo, e possia modirediessereabuonpunto:nonsoloil contenuto delle più importantibibliotechedelmondo,degliarchiviedeimusei,delleannatedeigiornalid'ogni paese è già nelle nostreschede perforate, ma anche unadocumentazione raccolta ad hoc,persona per persona, luogo perluogo.Etuttoquestomaterialepassaattraverso un processo di riduzioneall'essenziale, condensazione,miniaturizzazione, che nonsappiamo ancora a che puntos'arresterà; cosi come tutte leimmagini esistenti e possibili

vengono archiviate in minuscolebobinedimicrofilm,emicroscopicirocchetti di filo magneticoracchiudono tutti i suoni registrati eregistrabili. E una memoriacentralizzata del genere umanoquella che noi siamo intenti acostruire, cercandod'immagazzinarla in uno spazio ilpiù ristretto possibile, sul tipo dellememorie individuali dei nostricervelli. Ma è inutile che ripetaqueste cose proprio a lei che èentrato qui da noi vincendo ilconcorso d'ammissione col progettoTutto il British Museum in unacastagna. Lei è tra noi da

relativamente pochi anni, maconosceormai il funzionamentodeinostri laboratori quanto me che hooccupato il posto di direttore dallafondazione.Nonl'avreimailasciato,questo posto, gliel'assicuro, sem'avessero sorretto le forze. Madopolamisteriosascomparsadimiamoglie, m'ha preso una crisi didepressione da cui non riesco arimettermi. E giusto che i nostrisuperiori - accogliendo del restoquellocheèancheunmiodesiderio- abbiano pensato a sostituirmi.Tocca quindi a me metterla alcorrente dei segreti d'ufficio chefinoralesonostatitaciuti.

Quellocheleinonsaèilveroscopodel nostro lavoro. E per la fine delmondo, Muller. Lavoriamo in vistad'una prossima fine della vita sullaTerra. E perché tutto non sia statoinutile, per trasmettere tutto quelloche sappiamo ad altri che nonsappiamo chi sono né cosa sanno.Posso offrirle un sigaro? Laprevisione che la Terra non resteràabitabile per molto tempo ancora -almeno per il genere umano - nonpuò farci troppa impressione. GiàsapevamotutticheilSoleèarrivatoallametàdellasuavita:perbenecheandasse, tra quattro o cinquemiliardi d'anni tutto sarebbe finito.

Di qui a un po', insomma, ilproblema si sarebbe posto in ognimodo; la novità è che le scadenzesonomoltopiùravvicinate,chenonabbiamo tempo da perdere, eccotutto. L'estinzione della nostraspecieècertounaprospettivatriste,ma piangervi sopra non è che unaben vana consolazione, comerecriminare una morte individuale.(E sempre alla scomparsadellamiaAngela che penso, perdoni la miacommozione). In milioni di pianetisconosciutivivonocertamentedegliesserisimilianoi;pocoimportasearicordarci e a continuarci saranno iloro discendenti anziché i nostri.

L'importante è comunicare loro lanostra memoria, la memoriagenerale messa a puntodall'organizzazionedicui leiMullerstaperessernominatodirettore.Nonsi spaventi; l'ambito del suo lavororesterà quello che è stato finora. Ilsistema per comunicare la nostramemoria ad altri pianeti è studiatoda un'altra brancadell'organizzazione;noiabbiamogiàil nostro daffare, e nemmeno ciriguarda se saranno ritenuti piùidonei mezzi ottici o acustici. Puòanche darsi che non si tratterà ditrasmetterli, i messaggi, ma didepositarli al sicuro, sotto la crosta

terrestre: il relittodelnostropianetavagante per lo spazio potrebbe ungiornoessereraggiuntoedesploratoda archeologi extragalattici.Nemmeno il codice o i codici chesaranno prescelti sono affar nostro:c'è pure una branca che studia soloquesto, il modo di rendereintellegibile il nostro stockd'informazioni, qualsiasi sistemalinguisticousinoglialtri.Perlei,orache sa, non è cambiato nulla, leassicuro, tranne che nellaresponsabilità che l'aspetta E diquesto che volevo discorrere un po'conlei.Cosasaràilgenereumanoalmomentodell'estinzione?

Unacertaquantitàd'informazionesuse stesso e sulmondo, unaquantitàfinita, dato che non potrà piùrinnovarsieaumentare.Peruncertotempo, l'universo ha avuto unaparticolare occasione di raccogliereed elaborare informazione; e dicrearla, di far saltar fuoriinformazionelàdovenoncisarebbestato niente da informare di niente:questo è stata la vita sulla Terra esoprattutto il genere umano, la suamemoria, le sue invenzioni percomunicare e ricordare. La nostraorganizzazionegarantiscechequestaquantità d'informazione non sidisperda, indipendentemente dal

fattocheessavengaonoricevutadaaltri. Sarà scrupolo del direttore farsi chenon resti fuoriniente,perchéquelcherestafuoriècomesenoncifossemaistato.Enellostessotemposarà suo scrupolo fare come se nonci fosse mai stato tutto ciò chefinirebbeperimpasticciareometterein ombra altre cose più essenziali,cioè tutto quello che anzichéaumentare l'informazione creerebbeun inutile disordine e frastuono.L'importante è il modello generalecostituito dall'insieme delleinformazioni, dal quale potrannoessere ricavate altre informazionichenoinondiamoechemagarinon

abbiamo.Insomma non dando certeinformazioni se ne danno di più diquantenonsenedarebbedandole.Ilrisultatofinaledelnostrolavorosaràunmodello in cui tutto conta comeinformazione,ancheciòchenonc'è.Solo allora si potrà sapere, di tuttociò che è stato, cos'è che contavadavvero, ossia cos'è che c'è statoveramente, perché il risultato finaledella nostra documentazione saràinsieme ciò che è, è stato e sarà, etutto il resto niente. Certo capitanodeimomentinelnostrolavoroancheleineavràavuti,Muller-incuisiètentati di pensare che solo ciò che

sfugge alla nostra registrazione èimportante, che solo ciò che passasenza lasciar traccia esisteveramente, mentre tutto quel che inostri schedari ritengono è la partemorta, i trucioli, la scoria. Viene ilmomento in cui uno sbadiglio, unamoscachevola,unpruritocipaionoil solo tesoro appunto perchéassolutamente inutilizzabile, datouna volta per tutte e subitodimenticato, sottratto al destinomonotono dell'immagazzinamentonella memoria del mondo. Chi puòescludere che l'universo consistanella rete discontinua degli attiminon registrabili, e che la nostra

organizzazionenonnecontrollialtrochelostamponegativo,lacornicedivuotoed'insignificanza?Ma la nostra deformazioneprofessionale è questa: appena cifissiamo su qualcosa, subitovorremmo comprenderla nei nostrischedari; e cosi mi è spessoaccaduto, le confesso, di catalogaresbadigli, foruncoli, associazionid'idee sconvenienti, fischiettii, e dinasconderli nel pacco delleinformazioni più qualificate. Perchéil posto di direttore cui lei sta peressere chiamato ha questoprivilegio:dipoterdareun'improntapersonaleallamemoriadelmondo.

Mi segua, Muller: non le stoparlando d'un arbitrio e d'un abusodi poteri, ma d'una componenteindispensabile del nostro lavoro.Una massa d'informazionifreddamente oggettive,incontrovertibili, rischierebbe difornire un'immagine lontana dalvero, di falsare quel che è piùspecificod'ognisituazione.Supponiamocheciarrividaunaltropianetaunmessaggiodipuridatidifatto, d'una chiarezza addiritturaovvia: non gli presteremmoattenzione,nonceneaccorgeremmonemmeno; solo un messaggio checontenesse qualcosa di inespresso,

di dubbioso, di parzialmenteindecifrabile forzerebbe la sogliadella nostra coscienza, imporrebbed'esser ricevuto e interpretato.Dobbiamo tener conto di questo:compito del direttore è dareall'insieme dei dati raccolti eselezionati dai nostri uffici quellalieveimprontasoggettiva,queltantod'opinabile, d'arrischiato, di cuihanno bisogno per essere veri. Diquesto volevo avvertirla, prima difarle le consegne: nel materialefinora raccolto si nota qua e làl'intervento della mia manod'un'estrema delicatezza,intendiamoci -; vi sono disseminati

giudizi, reticenze, anchemenzogne.La menzogna esclude solo inapparenza la verità; lei sa che inmolti casi le menzogne - peresempio, per il psicoanalista quelledelpaziente-sonoindicativequantoo più della verità; e cosi sarà percoloro che si troveranno ainterpretare il nostro messaggio.Muller, dicendole quel che le dicooranonèpiùperincaricodeinostrisuperiori che parlo ma in base allamiapersonaleesperienza,dacollegaa collega, da uomo a uomo. Miascolti: la menzogna è la verainformazione che noi abbiamo datrasmettere. Perciò non mi sono

voluto vietare un uso discreto dellamenzogna, là dove essa noncomplicava il messaggio, anzi losemplificava.Soprattutto nelle notizie su mestesso, mi sono creduto autorizzatoadabbondare inparticolarinonveri(la cosa non credo possa dardisturboanessuno).Peresempio,lamia vita con Angela: l'ho descrittacome avrei voluto che fosse, unagrandestoriad'amore,incuiAngelae io appaiamo come due eterniinnamorati, felici in mezzo adavversità d'ogni sorta, appassionati,fedeli.Nonèstatoesattamentecosi,Muller: Angela mi sposò per

interesse e subito se ne penti, lanostra vita fu un seguito dimeschinità e sotterfugi. Ma cosaconta quello che è stato giorno pergiorno? Nella memoria del mondol'immagine d'Angela è definitiva,perfetta,nullapuòscalfirlaeiosaròper sempre lo sposo più invidiabileche sia mai esistito. Dapprincipionon avevo che da compiere unabbellimentodeidatichemifornivalanostravitaquotidiana.Auncertopunto questi dati che mi trovavosottogliocchinell'osservareAngelagiorno per giorno (e poi nellospiarla, nel pedinarla, alla fine)cominciarono a diventare sempre

più contraddittori, ambigui, tali dagiustificaresospettiinfamanti.Cosa dovevo fare, Muller?Confondere, rendere inintelligibilequell'immagine di Angela cosìchiara e trasmissibile, così amata eamabile, offuscare ilmessaggio piùsplendentedi tutti inostri schedari?Eliminavo questi dati giorno pergiorno, senza esitare. Ma avevosempre paura che intornoall'immagine definitiva di Angelarestasse qualche indizio, qualchesottinteso, una traccia da cui sipotesse dedurre quello che lei -quello che l'Angela nella vitaeffimera - era e faceva. Passavo le

giornateinlaboratorioaselezionare,acancellare,aomettere.Erogeloso,Muller: non geloso dell'Angelaeffimera - quella ormai era per meuna partita perduta - ma geloso diquell'Angela-informazione chesarebbe sopravvissuta per tutta ladurata dell'universo. La primacondizione perché l'Angela-informazione non fosse toccata danessuna macchia era che l'Angelavivente non continuasse asovrapporsi alla sua immagine. FualloracheAngelascomparvee tuttele ricerche furono vane. Sarebbeinutile che adesso io le raccontassi,Muller, di come riuscii a disfarmi

delcadaverepezzoapezzo.Resti pur calmo, questi particolarinon hanno nessuna importanza aifini del nostro lavoro, perché nellamemoria del mondo io resto losposo felice e poi il vedovoinconsolabilechetuttivoiconoscete.Manonhotrovatolapace:l'Angela-informazione restava pur sempreparte d'un sistema d'informazioni,alcunedellequalipotevanoprestarsia essere interpretate, - per disturbinella trasmissione, o per malignitàdel decodificatore - comesupposizioni equivoche,insinuazioni, illazioni. Decisi didistruggere nei nostri schedari ogni

presenzadi personeconcuiAngelapoteva aver avuto rapporti intimi.Mi è molto dispiaciuto, perché dialcunideinostricolleghinonresteràtraccia nella memoria del mondo,comesenonfosseromaiesistiti.Leicrede che le dica queste cose perchiedere la sua complicità, Muller.No,nonèquestoilpunto.Devo informarla delle misureestreme che sono obbligato aprendere per far sì chel'informazione d'ogni possibileamante di mia moglie resti esclusadagli schedari. Non mi preoccupodelle conseguenze per me; gli annichemirestanodaviveresonopochi

rispetto all'eternità con cui sonoabituato a fare i conti; e quello cheio sono stato veramente l'ho giàstabilito una volta per tutte econsegnatoalleschedeperforate.Senella memoria del mondo non c'èniente da correggere, la sola cosache resta da fare è correggere larealtàdoveessanonconcordaconlamemoria del mondo. Come hocancellato l'esistenza dell'amante dimia moglie dalle schede perforatecosì devo cancellare lui dal mondodelle persone viventi. E per questocheoraestraggo lapistola, lapuntocontro di lei, Muller, schiaccio ilgrilletto,l'uccido.

Ladecapitazionedeicapi

Il giorno in cui arrivai alla capitaledovevaesserelavigiliad'unafesta.Nelle piazze stavano costruendopalchi, tirando su bandiere, nastri,palme. Si sentivano martellate daogni parte. - La festa nazionale? -domandaiaquellodelbar.Indicòlafila dei ritratti alle sue spalle. - Inostricapi-rispose.-Elafestadeicapi.Pensaichefosseunaproclamazionedinuovieletti.Nuovi? -domandai.Tra ilpicchiaredei martelli, gli altoparlanti chefacevano le prove, lo stridere dellegru che rizzavano catafalchi,dovevo,perfarmiintendere,lanciare

frasi brevi, quasi urlando. L'uomodel bar fece segno di no: non sitrattavadinuovicapi,c'eranogiàdaun po'. Chiesi: - L'anniversario diquandohannopresoilpotere?-Unacosa così, - spiegò un avventore almio fianco. -Periodicamente, vieneilgiornodellafesta,etoccaaloro.-Tocca a loro, cosa? - Di salire sulpalco. - Quale palco? Ne ho vistimolti, uno a ogni crocicchio. - Aognunotoccaunpalco.Inostricapisonomolti-Ecosafanno?Discorsi? - No, discorsi no. -Salgono,ecosafanno?-Cosavoleteche facciano? Aspettano un po',finché durano i preparativi, poi la

cerimoniafinisce indueminuti. -Evoi?-Siguarda.C'eraunvaevieninel bar: carpentieri, manovali chescaricavano dai camion gli oggettiper l'addobbo dei palchi - scuri,ceppi, cesti - e si fermavano a berebirra.Iorivolgevolemiedomandeaqualcuno e rispondeva semprequalcun altro. - E una specie dirielezione, insomma? Unariconferma dei posti, diciamo, deimandati? -No, no,mi corressero, -non avete capito! E la scadenza. Illoro tempo è finito. - E allora? - Eallora smettono d'esser capi, di starsu: cadono. - E perché salgono suipalchi? - Sui palchi si può vedere

benecomecadeilcapo,ilsaltochefa, tagliatonetto, e comevaanellacesta.Cominciavoacapire,manonero ben sicuro. - Il capo dei capi,volete dire? Nella cesta? Facevanosegnodisì.Ecco. La decapitazione. Proprioquella.Ladecapitazionedeicapi.

Io ero arrivato lì di fresco, non nesapevo niente, non avevo lettoniente sui giornali. - Così, domani,tutt'a un tratto? - Quando toccatocca,-dicevano.Stavoltacadeametàsettimana.Sifafesta. Tutto chiuso. Un vecchiosoggiunse, sentenzioso: - Il fruttoquandoèmaturosicoglie,ilcaposidecapita.Lascerestemarcire i frutti sui rami?I carpentieri eranoandati avanti nelloro lavoro: su certi palchi stavanoinstallando le intelaiature di grevighigliottine; su altri fissavanosaldamente dei ceppi per ladecollazione con la mannaia,

addossati a comodi inginocchiatoi(unodegliaiutantifacevalaprovadimettersigiùcolcollosulceppo,perverificare se era all'altezza giusta);altrove ancora allestivano dellespeciedibanchidamacellaio,conlascannellatura per far scorrere ilsangue. Sull'impiantito dei palchiveniva stesa della tela cerata, ederano già preparate le spugne pernettarla dagli spruzzi. Tuttilavoravano con brio; li si sentivaridere, fischiare. - Allora voi sietecontenti? Li odiavate? Erano deicattivi capi? -No, chi l'ha detto? siguardarono tra loro, sorpresi. -Buoni. Insomma, né meglio né

peggio di tanti. Ehi, Si sa comesono: capi, dirigenti, comandanti…Seunoarrivaaqueiposti…-Però,-fece uno di loro, - a me questipiacevano. - Anche a me. A mepure,-feceroecoaltri.-Iononcihomai avutoniente contro. -Enonvidispiacecheliammazzino?-dissi.-Come si fa? Se uno accetta d'essercapo sa già come finisce. Micapretenderà di morire nel suo letto!Gli altri risero. -Sarebbe comodo!Uno dirige, dirige, poi, come seniente fosse, smette, e torna a casa.Unofece: -Allora,ve lodico io,cistarebberotuttiafareilcapo!Anch'io, guardate, sarei pronto,

eccomi qua! - Anch'io, anch'io, -dissero molti, ridendo. - Io propriono,-feceunocongliocchiali-cosìno: che senso avrebbe? - E vero.Chegustocisarebbeaessercapiinquelmodo?intervennerovarievoci.- Una cosa è fare quel lavorosapendo quel che ti aspetta, e altroè… ma come si potrebbe farlo,altrimenti? Quello con gli occhiali,che doveva essere il più colto,spiegò: -L'autorità sugli altri è unacosa sola col diritto che gli altrihanno di farti salire sul palco eabbatterti, un giorno non lontano…Che autorità avrebbe, un capo, senonfossecircondatodaquest'attesa?

E se non glie la si leggesse negliocchi, a lui stesso, quest'attesa, pertuttoiltempocheduralasuacarica,secondoper secondo?Le istituzionicivili riposano su questo doppioaspetto dell'autorità; non si è maivista civiltà che adottasse altrosistema. - Eppure, - obiettai, io vipotrei citaredei casi…-Dico:veraciviltà - insisté quello con gliocchiali, - nonparlodegli intervallidi barbarie che hanno durato più omeno a lungo nella storia deipopoli… Il vecchio sentenzioso,quello che prima aveva parlato deifrutti sui rami, brontolava qualcosatra sé. Esclamò: -Il capo comanda

finché è attaccato al collo. - Cosavolete dire? gli chiesero gli altri. -Volete dire che se per ipotesi uncapo passa il termine, facciamo ilcaso,enonglisitaglialatesta,restalì adirigere,per tutta lavita? -Cosìandavano le cose, - assentì ilvecchio, - ai tempi in cui non erachiaro che chi sceglie d'esser caposceglie d'essere decapitato a brevetermine. Chi aveva il potere se loteneva stretto…Qui io avreipotutointerloquire,citaredegliesempi,manessuno mi dava retta. - E allora?Come facevano? - chiedevano alvecchio. - Dovevano decapitare icapiperforza,conlecattive,contro

la loro volontà! E non a datestabilite, ma solo quando non nepotevano proprio più! Questosuccedevaprimachelecosefosseroregolate, prima che i capiaccettassero… -Oh, vorremmobenvedere che non accettassero! -dissero gli altri. - Vorremmo anchevederequesta!-Lecosenonstannocosì come dite, -intervenne quellocongliocchiali. -Nonèveroche icapi siano costretti a subire leesecuzioni. Se diciamo questoperdiamo il senso vero dei nostriordinamenti, il vero rapporto chelega i capi al resto dellapopolazione. Solo i capi possono

essere decapitati, perciò non si puòvolere essere capi senza volereinsiemeiltagliodellascure.Solochisente questa vocazione puòdiventare un capo, solo chi si sentegiàdecapitatodalprimomomentoincui siedeaunpostodicomando.Apoco a poco gli avventori del bars'erano diradati, ognuno era tornatoal proprio lavoro. M'accorsi chel'uomo con gli occhiali si rivolgevasolo a me. - Questo è il potere, -continuò,quest'attesa.Tuttal'autoritàdicuiunogodenonèche il preannuncio della lama chefischia in aria, e s'abbatte con untaglio netto, tutti gli applausi non

sono che l'inizio di quell'applausofinale che accoglie il rotolare dellatesta sull'inceratadelpalco.Si tolsegliocchialiperpulirlinelfazzoletto.M'accorsi che aveva gli occhi pienidilagrime.Pagòlabirraeandòvia.L'uomo del bar si chinò al mioorecchio. - E uno di loro, - disse. -Vede?-Tiròfuoriunapiladiritrattiche aveva sotto il banco. -Domanidevo staccare quelli e appenderequesti altri. - Il ritratto in cima eraquellodell'uomocongliocchiali,unbrutto ingrandimento d'unafotografia formato tessera. -E statoeletto per succedere a quelli chelasciano ilposto.Domanientrerà in

carica.Tocca a lui, adesso. Secondo mefanno male a dirglielo il giornoprima. Ha sentito su che tono lamette? Domani assisterà alleesecuzioni come se già fossero lasua.Fanno tutticosì, iprimigiorni;s'impressionano, s'esaltano, gli parechissacché. La vocazione: cheparolonetiravafuori!-Edopo?-Sifaràuna ragione, come tutti.Hannotante cose da fare, non ci pensanopiù,finchénonvieneilgiornodellafesta ancheper loro.O almeno: chipuò leggere nel cuore dei capi?Fanno mostra di non pensarci.Un'altra birra? La televisione ha

cambiatomolte cose. Il potere, unavolta, restava distante, figurelontane, impettite su di un palco, oritrattiatteggiatiaespressionidiunafierezza convenzionale, simbolid'un'autorità che male si riusciva ariferire a individui in carne e ossa.Adesso, con la televisione, lapresenza fisicadegliuominipoliticiè qualcosa di vicino e familiare; leloro facce, ingrandite dal video,visitanoquotidianamentelecasedeiprivati cittadini; ognuno può,tranquillamente affondato nella suapoltrona, rilassato, scrutare ilminimomotodilineamenti,loscattoinfastidito delle palpebre alla luce

dei riflettori, il nervoso umettaredelle labbra tra parola e parola…Specialmente nelle convulsionidell'agonia il viso, già bennotoperesserestatoinquadratotantevolteinoccasioni solenni o festose, in poseoratorieodiparata,esprimetuttosestesso: è in quel momento, più chein ogni altro, che il semplicecittadino sente il governante comesuo, come qualcosa che gliappartiene per sempre. Ma già daprima, per tutti i mesi precedenti,ognivoltachelovedevaappariresulpiccolo schermo e incederenell'adempimentodeisuoicompiti -per esempio a inaugurare degli

scavi, ad appuntare medaglie sulpetto dei meritevoli, o soltanto ascendere scalette d'aeroplaniagitando la mano aperta -giàstudiava in quel volto le possibilicontrazioni dolorose, cercavad'immaginare gli spasimi cheavrebbero preceduto il rigormortis,di distinguere nella pronuncia deidiscorsiedeibrindisigliaccenticheavrebbero caratterizzato il rantoloestremo. In questo consiste appuntol'ascendente dell'uomo pubblicosulla folla: è l'uomo che avrà unamorte pubblica, l'uomo alla cuimorte siamo certi d'assistere, tuttiinsieme, e che per questo è

circondato in vita dal nostrointeresse ansioso, anticipatore.Come andassero le cose prima, altempo in cui gli uomini pubblicimorivano nascosti, non riusciamopiùa immaginarlo;oggicifaridereilsentirechedefinivanodemocraziacerti loro ordinamenti d'allora; pernoilademocraziacominciasolodalgiornoincuisihalasicurezzachealgiorno stabilito le telecamereinquadreranno l'agonia della nostraclasse dirigente al completo, e, incoda allo stesso programma (mamolti degli spettatori a quelmomento spengono l'apparecchio)l'insediamento del nuovo personale,

che resterà in carica (e in vita) perunperiodoequivalente.Sappiamo che anche nelle altreepoche ilmeccanismo del potere sibasavasuuccisioni,suecatombioralente ora improvvise, ma gli uccisierano,trannerareeccezioni,personeoscure, subalterne, maleidentificabili; spesso le stragipassavano sotto silenzio, venivanoufficialmenteignorate,ogiustificatecon motivi speciosi. Solo questaconquista, ormai definitiva,l'unificazionedei ruolidelcarneficee della vittima, in una rotazionecontinua, ha permesso d'estinguerenegli animi ogni resto d'odio e di

pietà. Il primo piano del tendersidellemascellespalancate,lacarotideriversa che si dibatte nel collettoinamidato, la mano che salecontrattaelacerailpettoscintillantedidecorazioni,vengonocontemplatida milioni di spettatori conraccoglimento sereno, come chiosservaimovimentideicorpicelestinel loro ciclico ripetersi, spettacoloche quanto più ci è estraneo tantopiùsentiamocomerassicurante.Manon vorrete ucciderci fin d'ora?Questa frase, pronunciata daVirghilij Ossipovic con un leggerotremito che contrastava col tonoquasi protocollare, anche se carico

d'aspriaccentipolemici, incui s'erasvolta la discussione fino a quelmomento, ruppe la tensionenell'assembleadelmovimentoVoljai Raviopravie. Virghilij era il piùgiovane componente del Comitatodirettivo una peluria sottile gliombrava il labbro prominente;ciocche di capelli biondi glispiovevanosugrigiocchioblunghi;quellemanidallenocchearrossate icui polsi sporgevano sempre damaniche di bluse troppo corte, nonavevano tremato nell'innescare labombasotto lacarrozzadelloZar. Imilitanti di base occupavano tutti iposti intorno nella bassa e fumosa

stanza dello scantinato; i più sedutisu panche e sgabelli, alcuniaccoccolati al suolo, altri in piedi abraccia conserte addossati allepareti. Il Comitato direttivo sedevaal centro, otto ragazzi curvi intornoaltavoloingombrodicarte,comeungruppodicompagnidicorso intentialla sgobbata finale prima degliesami estivi. Alle interruzioni deimilitantichepiovevanoloroaddossodai quattro angoli della stanza,rispondevano senzavoltarsi e senzaalzare il capo.A tratti, un'ondata diproteste o di consensi si levavadall'assemblea e poiché moltis'alzavanoinpiediesiprotendevano

in avanti - pareva convergere dallepareti verso il tavolo a sommergerele schiene del Comitato direttivo.Liborij Serapionovic, l'irsutosegretario, aveva già più voltepronunciato la massima lapidaria acui spesso si faceva ricorso persmorzareledivergenzeirriducibili:-Se il compagno si divide dalcompagno, là ilnemicos'uniscecolnemico-, e l'assemblea avevareplicatoincoroscandito:-Latestache è alla testa fino al di là dellavittoria, vittoriosa e onoratal'indomani cadrà -, ritualeammonimento che i militanti delVolja iRaviopravienonmancavano

d'indirizzare ai loro dirigenti ognivoltacherivolgevanolorolaparola,e che i dirigenti stessi siscambiavano tra loro comeespressione di saluto. Ilmovimentolottava per instaurare, sulle rovinedell'autocrazia e della Duma, unasocietà egualitaria in cui il poterefosse regolato dall'uccisioneperiodica dei capi elettivi. Ladisciplina delmovimento, tanto piùnecessaria quanto più la poliziaimperiale inaspriva la suarepressione, richiedeva che tutti imilitanti fossero tenuti a seguiresenza discussione le decisioni deldirettivo;nellostessotempolateoria

ricordavaintuttiisuoitesticheognifunzione di comando eraammissibilesoloseesercitatadachiaveva già rinunciato a godere deiprivilegi del potere, e virtualmentenon era più da considerarsi nelnumero dei vivi. I giovani capi delmovimento non pensavanomai allasorte che riservava loro un futuroancora utoPico: per ilmomento erala repressione zarista cheprovvedevaaun rinnovodeiquadripurtroppo sempre più rapido; ilpericolo degli arresti e delle forcheeratropporealeequotidianoperchéle congetture della teoriaprendessero forma nelle loro

fantasie. Un piglio giovanilmenteironico, sprezzante, serviva arimuovere dalle loro coscienzequello che pur era l'aspetto salientedellalorodottrina.Imilitantidibasesapevano tutto questo, e comecondividevano con i membri deldirettivo rischi e disagi, cosìcomprendevano il loro spirito;eppure custodivano il senso oscurodel loro destino di giustizieri, daesercitare non solo sui potericostituitimaanchesuquellifuturi,enon potendo esprimerlo altrimenti,ostentavano nelle assembleeun'attitudine proterva, che purlimitandosi a un modo formale di

comportamento, non mancavad'incombere sui capi come unaminaccia. - Finché il nemico difronte a noi è lo Zar, aveva dettoVirghilij Ossipovic, - stolto è chicerca lo Zar nel compagno -affermazione forse inopportuna, ecerto male accolta dall'assemblearumoreggiante. Virghilij sentì unamano stringere la sua; seduta perterra ai suoi piedi era EvghenijaEphraimovna, le ginocchia raccoltenella gonna tutta pieghe, i capelliannodatiallanucaependentiaiduelati del viso come giri d'una fulvamatassa.UnamanodiEvghenijaerasalita lungo gli stivali di Virghilij

fino a incontrare la mano delgiovanecontrattaapugno,neavevasfioratoildorsocomeinunacarezzaconsolatrice,poiviavevaconficcatole unghie aguzze graffiandololentamente a sangue. Virghilijcompresecheciòchequelgiornosimuoveva nell'assemblea era unadeterminazione ostinata e precisa,qualcosa che riguardavadirettamenteloro,idirigenti,echesisarebberivelatatrapoco.Nessunodinoi dimentica mai, compagni, -intervenne a calmare gli animiIgnatij Apollonovic, il più anzianodel Comitato, che passava per lospiritopiùconciliante,-ciòchenon

va dimenticato… comunque, ègiusto che voi ce lo ricordiate, ditantointanto…sebbene,-soggiunse,ridacchiando nella barba, - aricordarcelo già ci pensanoabbastanza il conte Galiizin, e glizoccolideisuoicavalli…-Alludevaal comandante della Guardiaimperiale che con una carica dicavalleria aveva di recente fatto apezzi un loro corteo di protesta, alponte del Maneggio. Una voce,chissà da dove, lo interruppe: -Idealista! - e Ignatij Apollonovicperdetteilfilo.-Eperché?-chiese,sconcertato. - Credi che basticustodire nella memoria le parole

della nostra dottrina? - disse, daun'altra parte della sala, unospilungoneches'erafattonotaretraipiù agitati dell'ultima leva. - Saiperché la nostra dottrina non puòessereconfusaconquelledituttiglialtri movimenti? - Certo che losappiamo.Perchéè lasoladottrinache quando avrà conquistato ilpotere,nonpotràesserecorrottadalpotere!- brontolò, china sulle carte,la testa rapata di Femja, quello tralorocheeradettol'ideologo.- E perché aspettare a metterla inpratica, insisté lo spilungone, - ilgiorno in cui avremo conquistato ilpotere, colombuccimiei? -Adesso!

Qui! - s'udì gridaredapiùparti.LesorelleMarianzev,detteletreMarievennero avanti tra le panchecinguettando Pardon! Pardon! eimpigliandosiconlelunghetrecce.Ripiegate tra le braccia reggevanotovaglie, canterellando e spingendovia i ragazzi, come se stesseroapparecchiando per un rinfrescosulla veranda della loro casa diIzmailovo.Questo ha di diverso, lanostra dottrina, - lo spilungonecontinuava la sua predica, - che sipuò scrivere solo col taglio d'unalamaaffilatasullapersonafisicadeinostri amati dirigenti! Ci fu unmuoversi e rovesciare di panche

perché molti dell'assemblea s'eranoalzatiebuttatiavanti.Quellechepiùdavano spintoni e alzavano la voceerano le donne: - Seduti, fratellinimiei! Vogliamo vedere! Cheprepotenza,madresanta!Diquinonsivedeproprioniente!-eaffacciavano tra le schiene deimaschiilorovisidamaestrinecuiicapellicortisotto iberrettiavisieravolevano dare un'aria risoluta. AVirghilij una cosa sola poteva farvacillare il coraggio, ed era unqualsiasi segno d'ostilità da partefemminile. S'era alzato,succhiandosi il sangue dei graffid'Evghenija suldorsodellamano,e

glieraappenauscitadiboccaquellafrase:-Manonvorreteuccidercifind'ora?-quando s'aperse la porta edentrò il codazzo in camice biancospingendo i carrelli carichi di ferrichirurgici scintillanti. Da quelmomento qualcosa nell'attitudinedell'assemblea cambiò. Presero apiovere frasi fitte fitte: - Ma no…chihaparlatodiuccidervi?…voi, inostri dirigenti… con l'affetto cheabbiamo per voi e tutto il resto…cosa faremmo senza di voi?… lastrada è ancora lunga… saremosempre qui vicino a voi… - e lospilungone, le ragazze, tutti quelliche prima sembravano costituire

l'opposizione si prodigavano aincoraggiare i capi, con un tonorassicurante, quasi protettivo. - Esolo una cosina leggera, di grandesignificatoma in sé non grave, ohiohiohi,unpo'dolorosa,certamente,ma è perché si possa riconoscervicome i capi davvero, i nostri capibenvoluti, una mutilazione, è soloquello, quando è fatta è fatta, unapiccola mutilazione una volta ognitanto,nonvel'avreteamalepercosipoco?,èquestochedistingue icapidelmovimentonostro,cos'altromai,seno?Già i membri del direttivo eranoimmobilizzati da decine di braccia

robuste. Sul tavolo disponevano legarze, le bacinelle col cotone, icoltelliseghettati.L'odore d'etere impregnaval'ambiente. Le ragazzeapparecchiavano svelte, diligenti,come se da tempo ognuna si fossepreparataalsuocompito.-Adessoildottorevispiegheràtuttoperbenino.Dài, Tòlja! Anatòl Spiridionovic,fuori corso di medicina, venneavanti tenendo sollevate le maniguantate di gomma rossa sullostomaco già obeso. Era uno stranotipo,Tòlja,cheforsepermascherareuna sua timidezza metteva avantiuna comica smorfia infantile e una

sfilzadispiritosaggini.-Lamano…Eh, la manina… la mano è unorgano prensile… eh, eh… moltoutile… per questo se ne hannodue…e le dita, generalmente, sonodieci…ogni dito si compone di tresegmenti ossei detti falangi…almeno, nei nostri paesi cosi lechiamano… falange falanginafalangetta… Piantala! Ci haiscocciato! Non vorrai farci lalezione!-L'assemblearumoreggiava.(Questo Tòlja in fondo non erasimpatico a nessuno). -Veniamo aifatti!Sotto!Cominciamo!PerprimoportaronoavantiVirghilij.Quando capi che gli avrebbero

amputato solo la prima falangedell'anulareritrovòilsuocoraggioesopportò il dolore con una fierezzadegnadilui.Altri invece gridarono; dovetterotenerli inparecchi;per fortunaauncerto punto i più svenivano. Leamputazioni riguardavano ditadiverse secondo la persona, ma ingenere non più di due falangi per idirigenti più importanti (le altresarebbero state tagliate in seguito,pocopervolta;bisognavaprevedereche queste cerimonie si sarebberoripetute molte volte negli anni cheattendevano). Il sangue che siperdeva era più del previsto; le

ragazzeasciugavanoattente.Leditaamputate, in fila sulla tovaglia,sembravano piccoli pesci sgozzatidall'amo e tirati a riva. Prestorinsecchivanoeannerivano,e,dopouna breve discussionesull'opportunitàdiconservarle inunastuccio, le buttarono nellaspazzatura. Il sistemadella potaturadeicapifeceunabuonariuscita.Conundannoper il fisico relativamentemodestos'ottenevanorisultatimoralidi rilievo. L'ascendente dei capicresceva con le mutilazioniperiodiche.Quando unamano dalleditamozzes'alzavasullebarricate,idimostranti facevano blocco e gli

ulani a cavallo non riuscivano adisperdere la folla urlante che lisommergeva.Icanti,itonfi,initriti,legrida:VoljaiRaviopravie!,Morteallo Zar!, Vittoriosa e onoratal'indomani cadrà! correvano perl'aria diaccia, trasvolavano le rivedella Nevà, raggiungevano lafortezza Pietro e Paolo, erano uditifin nelle celle più profonde dove icompagni imprigionati battevano incadenza le catene e protendevanodalle inferriate i moncherini. Igiovani dirigenti, ogni volta cheavanzavano lamanoper firmare undocumentoopersottolineareconunsecco gesto una frase in una

relazione, si ritrovavano sotto gliocchi leditamozze,equestoavevaun'immediata efficacia mnemonica,stabilendo l'associazione d'idee tral'organodelcomandoeiltempoches'accorciava.Eraunsistemapratico,oltretutto: le amputazioni potevanoessere eseguite da semplici studentie infermieri, in sale operatorieimprovvisate, con attrezzature difortuna; se scoperti e arrestati dallapolizia sempre sulle loro tracce, lepene previste per una semplicemutilazioneeranolievi,ocomunquenon paragonabili a quelle che sisarebbero tirati addosso seguendoalla lettera le prescrizioni della

teoria. Erano ancora i tempi in cuil'uccisione pura e semplice dei capinonsarebbestatacompresanédalleautorità né dall'opinione pubblica;gli esecutori sarebbero staticondannati come assassini, ilmovente sarebbe stato cercato inqualche rivalità o vendetta. In ogniorganizzazione locale e in ogniistanzadelmovimento,ungruppodimilitanti, distinto dal gruppodirigente, e i cui membricambiavanodicontinuo,s'incaricavadelle amputazioni; fissava lescadenze, le parti del corpo,l'acquisto dei disinfettanti, e,giovandosi del consiglio di qualche

esperto, dava personalmente manoagli strumenti. Era una specie dicomitato di probiviri che noninfluiva sulle decisioni politiche,rigidamenteaccentratedaldirettivo.Quando ai capi cominciarono ascarseggiare le dita, si studiò ilmodo d'introdurre qualche varianteanatomica.Dapprimafulalinguaadattirare l'attenzione: non solo siprestava ad ablazioni successive difettine o fibrille, ma come valoresimbolico e mnemonico era quantovi fosse di più indicato: ognitaglietto incideva direttamente sullafonazione e le virtù oratorie.Ma ledifficoltà tecniche inerenti alla

delicatezza dell'organo eranosuperiori al previsto. Dopo unaprima serie d'interventi, le linguefurono lasciate in disparte, e siripiegòsumutilazionipiùvistosemameno impegnative: orecchi, nasi,qualchedente. (Quantoal tagliodeitesticoli, pur senza escluderlo deltutto,fuquasisempreevitato,perchésiprestavaadallusionisessuali).Lastrada è lunga. L'ora dellarivoluzione non è ancora suonata. Idirigenti delmovimento continuanoa sottomettersi al bisturi. Quandoarriveranno al potere? Per tardi chesia, saranno i primi capi che nondeluderanno le speranze riposte in

loro.Giàlivediamosfilareperlevieimbandierate il giornodell'insediamento:arrancandoconlagambadi legnochiancoraavràunagamba intera; o spingendo lacarriola con un braccio chi ancoraavràunbraccioper spingerla, i visinascosti da maschere piumate pernascondere le scarnificazioni piùripugnanti alla vista, alcuniinalberando il proprio scalpo comeun cimelio. In quel momento saràchiaro che solo in quel minimo dicarneche lororestapotrà incarnarsiilpotere,seunpotereancoraavràdaesistere.

L'incendiodellacasaabominevole

Tra poche ore l'assicuratore Skillerverrà a chiedermi i risultatidell'elaboratore, e io non ho ancorainserito gli ordini sui circuitielettronicichedovrannomacinareinun pulviscolo di bit i segreti dellavedova Roessier e della sua pocoraccomandabile pensione. Là dovesorgeva la casa, su una di quelledune di terreni vaghi tra scambiferroviari e depositi di ferramentache la periferia della nostra cittàlascia dietro di sé come mucchiettidi rifiuti che sfuggono alla scopa,ora non è rimasta che qualchemaceria fuligginosa. Poteva esser

stata una villetta civettuola, alleorigini, o non aver avuto altroaspetto che quello d'un tuguriospettrale: irapportidellacompagniad'assicurazioninonlodicono;ormaiè bruciata, dal tetto spiovente allacantina,esuicadaveriinceneritideisuoi quattro abitanti non s'è trovataalcunatracciacheservaaricostruirei precedenti di questa solitariacarneficina. Più dei corpi parla unquaderno, trovato tra le rovine,interamente bruciato tranne lacopertina protetta da una fodera diplastica.Sul frontespizio sta scritto:Relazione sugli atti abominevolicompiuti in questa casa e sul retro

un indice analitico comprendedodici voci in ordine alfabetico:Accoltellare, Diffamare, Drogare,Indurre al suicidio, Legare eimbavagliare, Minacciare conpistola, Prostituire, Ricattare,Sedurre, Spiare, Strozzare,Violentare.Nonsi saqualeabitantedella casa redigesse questo sinistroresoconto, né quali fini siproponesse: di denuncia, diconfessione, d'autodifesa, dicontemplazione affascinata delmale?Tutto quello che ci resta èquest'indice che non riporta i nomidei rei né quelli delle vittime delle

dodici azioni - delittuose o soltantocolpevoli - e neppure rende nota lasuccessione in cui sono statecommesse, che già aiuterebbe aricostruire una storia: le voci inordine alfabetico rimandano anumeri di pagina cancellati da unastriatura nera. Alla completezzadell'elenco manca un verbo,Incendiare, certo l'atto finale diquesta torvaperipezia: compiutodachi? Per nascondere, perdistruggere?Ancheammettendocheognuna delle dodici azioni sia statacompiuta da una sola persona aidanni d'una sola altra persona,ricostruire gli avvenimenti è un

compito arduo: se i personaggi inquestionesonoquattro,presiadueadue possono configurare dodicirelazioni diverse per ciascuno deidodici tipi di relazione elencati. Lesoluzioni possibili sono dunquedodicialladodicesimapotenza,cioèoccorre scegliere tra un numero disoluzioni che ammonta aottomilaottocentosettantaquattromiliardi, duecentonovantaseimilioni,seicentosettantaduemiladuecentocinquantasei.Non c'è da stupirsi se la nostratroppo indaffarata polizia hapreferito archiviare l'inchiesta, conla buona ragione che, per quanti

delittipossanoesserstaticommessi,certo i rei sono morti insieme allevittime. Solo la compagniaassicuratrice ha urgenza diconoscere la verità: soprattutto pervia d'una polizza incendi stipulatadal proprietario della casa. Il fattoche ora anche il giovane Inigo siamorto tra le fiamme non fa cherendere più spinosa la questione: lasuapotente famiglia, chepur avevadiseredato ed estromesso questofigliodegenere,ènotoriamentepocoinclinearinunciareaqualcosachelespetta. Le peggiori illazioni(comprese o meno nell'indiceabominevole) possono essere

avanzatesulcontod'ungiovaneche,membroereditariodellaCameradeiPari, trascinavaun titolo illustre suigradini delle piazze che fanno dadivano a una gioventù nomade econtemplativa, e s'insaponava ilunghi capelli sotto il getto dellefontane municipali. La casettaaffittata alla vecchia affittacamereera l'unico immobile rimasto di suaproprietà,edeglivierastatoaccoltocome subinquilino dalla suainquilina, incambiod'unariduzionedelgiàmodestocanonedilocazione.Sel'incendiarioèstatolui,Inigo,reoe vittima d'un disegno criminosoeseguito con l'imprecisione e la

noncuranzacheparefosseropropriedelsuocomportamento,leprovedeldoloesimerebberolacompagniadalpagamentodeidanni.Maquestanonèlasolapolizzachelacompagniaètenuta a onorare dopo la catastrofe:lastessavedovaRoessier rinnovava ogni announ'assicurazione sulla propria vita afavore della figlia adottiva,indossatrice ben nota a chiunquesfoglilerivisted'altamoda.OraancheOgivaèmorta,inceneritainsiemeallacollezionediparruccheche trasformavano il suo viso dalfascino agghiacciante - comedefinirealtrimentiunagiovanebella

edelicatadalcraniocompletamentecalvo? - in quello di centinaia dipersonaggi diversi e squisitamenteasimmetrici. Ma risulta che Ogivaaveva un bambino di tre anni,affidato a certi parenti del SudAfrica, che non tarderanno areclamare i frutti dell'assicurazione,amenochenonsiprovicheèstatalei a uccidere (Accoltellare?Strozzare?) la vedova Roessier.Anzi,datoche la stessaOgiva s'erapreoccupata d'assicurare la suacollezione di parrucche, i tutori delbambino possono pretendere anchequesto indennizzo, salvo il casod'una responsabilità di lei nella

distruzione.Del quarto personaggioscomparso nell'incendio, ilgigantescouzòeko lottatoredicatehBelindoKid,sisacheavevatrovatonella vedovaRoessier non solo unasolerteaffittacamere(eglierailsoloinquilinopagantedellapensione)maanche un oculato impresario. Negliultimi mesi la vecchia s'era infattipersuasa a finanziare la tournéestagionale dell'excampione deimediomassimi, garantendosi conun'assicurazione dal rischio chemalattia o inabilità o infortunio gliimpedissero di tener fede ai suoicontratti. Ora un consorziod'organizzatori di riunioni di cateh

reclama i danni copertidall'assicurazione;ma se la vecchiaha indotto al suicidio Belindo,magari diffamandolo o ricattandoloo drogandolo (ilgigante era notosulle arene internazionali per il suocarattere suggestionabile) lacompagniapotràfacilmentetacitarli.

Nonpossoimpedireailentitentacolidella mia mente d'avanzareun'ipotesi per volta, d'esplorarelabirinti di conseguenze che lememorie magnetiche percorrono inunnanosecondo.E dal mio elaboratore che Skilleraspetta una risposta, non da me.Certo ciascuno dei quattrocatastrofici personaggi si presentapiù idoneo ad assumere il ruolo disoggetto d'alcuni verbi contenutinell'elenco, e il ruolo d'oggettod'altri verbi. Ma chi può escludereche i casi in apparenza piùimprobabili non siano i soli daritenere? Prendiamo quella che si

direbbelapiùinnocentetraledodicirelazioni, il sedurre. Chi ha sedottochi? Ho un bel concentrarmi sullemie formule: un flusso d'immaginicontinua a vorticare nella miamente, a franare e a ricomporsicome in un caleidoscopio. Vedo lelunghe dita dalle unghie laccate diverde e viola della fotomodellasfiorareilmentosvogliato,l'erbaceapeluria del giovin signore pezzente,o solleticare la collottola coriacea erapace del campione uzòeko cheraggiuntodauna remota sensazionegradevole inarca i deltoidi comegatti che fanno le fusa. Ma subitoanchevedolalunareOgivalasciarsi

sedurre, ammaliata dalle lusinghetaurine del mediomassimo o dalladivorante introversione del ragazzoalla deriva. E vedo pure l'anzianavedova visitata da appetiti che l'etàpuò scoraggiarema non estinguere,imbellettarsi e infiocchettarsi peradescare l'una o l'altra predamaschile (o entrambe) e averragione di resistenze differenziatedal peso ma, quanto alla volontà,egualmente labili. Oppure vedo leistessaoggettodiseduzioneperversa,vuoiperladisponibilitàdeidesiderigiovanili che porta a confondere lestagioni, vuoi per losco calcolo. Edecco che a completare il disegno

interviene l'ombra di Sodoma eGomorra e scatena la giostra degliamori trasessinonopposti.Forse ilventaglio dei casi possibili sirestringe per i verbi più criminosi?Non è detto: chiunque puòaccoltellare chiunque.EccoBelindoKid trafitto a tradimento da unalama di pugnale nella nuca che glitronca il midollo spinale come altoro nell'arena. A vibrare l'esattacoltellata può essere stato tantol'esile polso tintinnante dibraccialetti d'Ogiva, in un freddoraptus sanguinario, quanto le ditagiocherellantid'Inigochedondolanoilpugnaleperlalama,lolancianoin

aria con abbandono ispirato su unatraiettoriachecolpisceilsegnoquasipercaso;oppurel'artigliodellaladyMacòeth affittacamere che scostanottetempo le tende delle stanze eincombe sul respiro dei dormienti.Non sono solo queste le immaginiche si affollano nella mia mente:Ogivao laRoessier sgozzano Inigocomeunagnellosegandoglilecannedella gola; Inigo oOgiva strappanodi mano alla vedova il coltellacciocon cui affetta il bacon e lasquartano in cucina; la Roessier oInigo come chirurghi sezionano ilcorponudod'Ogivachesidivincola(legata e imbavagliata?). Quanto a

Belindo, se il coltellaccio eracapitato in mano a lui, se in quelmomento aveva perso la pazienza,magarisequalcunol'avevamessosucontro qualche altro, a farli a pezzitutti ci metteva poco. Ma chebisogno aveva lui, Belindo Kid, diaccoltellare, quando aveva adisposizione, iscritto nell'indice delquadernoeneisuoicircuitisensoriomotori, un verbo come strozzare,tantopiùconsonoalle sueattitudinifisiche e al suo addestramentotecnico?Unverbo,inoltre,dicuiluipoteva essere solo soggetto e nonoggetto: vorrei vederli gli altri treche si provano a strangolare il

mediomassimodelcateh,conleloroditine che nemmeno riescono a farpresasuquelcolloatroncod'albero!Dunque questo è un dato di cui ilprogramma deve tener conto:Belindo non accoltella ma dipreferenzastrozza;enonpuòesserestrozzato; solo se minacciato conpistola può essere legato eimbavagliato; una volta legato eimbavagliato gli può succedere ditutto, perfino d'essere violentatodall'avidavecchia,odall'impassibilefotomodella, o dal giovaneeccentrico. Cominciamo a stabiliredelle precedenze e delle esclusioni.Qualcunopuòprimaminacciarecon

pistolaqualcunaltroepoi legarloeimbavagliarlo; sarebbe per lomenosuperfluo legareprimaeminacciarepoi.Chi inveceaccoltellao strozza,se nel contempo minacciasse conpistola, commetterebbe un attoscomodo e ridondante,imperdonabile. Chi conquistal'oggetto dei suoi desideriseducendolo non ha bisogno diviolentarlo; e viceversa. Chiprostituisce un'altra persona puòaverla in precedenza sedotta oviolentata; farlo dopo sarebbeun'inutile perdita di tempo e dienergie. Si può spiare qualcuno perricattarlo, ma se lo si ha già

diffamato la rivelazione scandalosanonpotràpiùspaventarlo;quindichidiffamanonhainteresseaspiare,néha più argomenti per ricattare. Chiaccoltellaunavittimanonèesclusoche ne strozzi un'altra, o che lainducaalsuicidio,maèimprobabileche le tre azioni mortifere siesercitino sulla stessa persona. Eseguendo questo metodo che ioposso rimettere a punto il mioorganigramma: stabilire un sistemad'esclusioni in base al qualel'elaboratore possa scartare miliardidi sequenze incongrue, ridurre ilnumero delle concatenazioniplausibili, avvicinarsi a scegliere

quella soluzione che s'impongacome vera. Ma ci si arriverà mai?Un po' mi concentro a costruiremodelli algebrici in cui fattori efunzioni siano anonimi eintercambiabili, allontanando dallamia mente i visi, i gesti di queiquattro fantasmi; un po'm'immedesimo nei personaggi,evoco le scene in un cinematografomentale tutto dissolvenze emetamorfosi. Attorno al verbodrogare forse gira la ruota dentatache ingrana in tutte le altre ruote:subitolamenteassociaaquelverboil viso lattiginoso dell'ultimo Inigod'una progenie illustre; la forma

riflessiva drogarsi nonimplicherebbe alcun problema: cheil giovane si drogasse è altamenteprobabile, fatti che non miriguardano; ma la forma transitivadrogare presuppone un drogatore eun drogato, quest'ultimoconsenziente o inconsapevole ocostretto.EaltrettantoprobabilecheInigo si lasci drogare quanto checerchi di far proseliti allastupefazione; immagino sigarettefiliformichepassanodallasuamanoa quella d'Ogiva o della vecchiaRoessier. E il giovane nobiluomo atrasformare la desolata pensione inuna fumeria popolata da

allucinazioni cangianti? O èl'affittacamere che l'ha attratto persfruttare la sua propensioneall'estasi?ForseèOgivacheprocurala droga alla vecchia oppiomane, eInigo spiandola s'è accorto delnascondiglio, e irrompeminacciando con pistola oricattando; la Roessler chiama inaiuto Belindo e diffama Inigoaccusandolo d'aver sedotto eprostituito Ogiva, casta passionedell'uzòeko che si vendicastrozzandolo; per togliersi dai guainon resta all'affittacamere cheindurre al suicidio il lottatore, tantopiùchel'assicurazionepagaidanni,

ma Belindo, perso per perso,violentaOgiva,lalegaeimbavagliae appicca le fiamme al rogosterminatore. Piano, piano: nonposso avere la pretesa di battere invelocità l'elaboratore elettronico.Ladroga potrebbe pure essererelazionata con Belindo: vecchiocatcher sfiatato, non sale ormai sulringsenonèimbottitodistimolanti.ElaRoessiercheglielisomministra,imboccandolo con un cucchiaio daminestra. Inigo spia dal buco dellaserratura:ghiottodipsicofarmaci,sifaavantienepretendeunadose.Alrifiuto, ricatta il lottatoreminacciandolo di farlo squalificare

al campionato; Belindo lo lega eimbavaglia, poi lo prostituisce perpocheghineeaOgivachedatempos'era incapricciata dello sfuggentearistocratico; Inigo, indifferenteall'eros, può trovarsi in condizioneamatoriasoloseèsulpuntod'esserestrozzato; Ogiva gli comprime lacarotide con gli affusolatipolpastrelli; forseBelindo ledàunamano;bastanodueditadellesueeilpiccolo lord torce gli occhi e restasecco; che fare del cadavere? Persimulareunsuicidiol'accoltellano…Alt! Tutta la programmazione darifare: devo cancellare l'istruzioneormaiimmagazzinatadallamemoria

centrale,chechivienestrozzatononpuòessereaccoltellato.Glianellidiferrite si smagnetizzano erimagnetizzano; io sudo.Ricominciamo da capo. Qual èl'operazionecheilclienteaspettadame?Disporreinunordinelogicouncerto numero di dati. Edell'informazione che stomaneggiando,nondelleviteumane,collorobeneeilloromale.Perunaqualcheragionechenonmiriguardai dati di cui dispongo si riferisconosolo al male, e l'elaboratore devemetterloinordine.Nonilmale,cheforse non può essere messo inordine,ma l'informazione delmale.

In base a questi dati, contenutinell'indice analitico degli Attiabominevoli, devo ricostruire laRelazione perduta, vera o falsa chefosse. La Relazione presupponequalcuno che l'ha scritta. Soloricostruendola sapremo chi è: giàpossiamo però stabilire alcuni datidella sua scheda. L'autore dellaRelazione non può essere mortoaccoltellatonéstrozzato,perchénonavrebbepotuto inserirenel raccontolapropriamorte;quantoalsuicidio,potrebbe esser stato deciso primadella compilazione del quaderno-testamento, emesso in attopoi;machi è convinto d'essere indotto al

suicidiodaunavolontàaltruinonsisuicida; ogni esclusione dell'autoredelquadernodaun ruolodivittimaaccresce automaticamente leprobabilità che si possanoattribuirgli ruoli di reo: egli quindipotrebbe essere insieme autore delmale e dell'informazione del male.Questononponealcunproblemaperil mio lavoro: il male el'informazione delmale coincidono,tantonellibrobruciatoquantonelloschedario elettronico. La memoriaha immagazzinato un'altra serie didati da mettere in relazione con laprima: sono le quattro polizzed'assicurazione stipulate con Skiller

da Inigo, da Ogiva e due dallavedova, una per sé e una perBelindo.Unoscurofilolegaforselepolizze agli Atti abominevoli e lecellule fotoelettriche devonoripercorrerlo in una vertiginosamoscacieca,cercandolalorovianeisottiliforidelleschede.Ancheidatidelle polizze, ora tradotti in codicebinario, hanno il potere d'evocareimmagini nella mia mente: è sera,c'èlanebbia;Skillersuonaallaportadellacasasulladuna;l'affittacamerelo accoglie come un nuovoinquilino; lui estrae dalla borsa iprospetti delle assicurazioni; èsedutoinsalotto;prendeiltè;nonè

certo inuna solavisita che riesce afar firmare i quattro contratti; èun'assidua familiarità che eglistabilisceconlacasaeisuoiquattroabitanti. Vedo Skiller che aiutaOgiva a spazzolare le parrucchedella collezione (e di passata sfioracon le labbra il cranio nudo dellamodella); lo vedomentre con gestosicurocomeunmedicoepremurosocome un figlio misura la pressionearteriosa della vedova cingendole ilbraccio molle e bianco con losfigmomanometro;eccolochecercad'interessare Inigo allamanutenzionedellacasa,glisegnalaavarie nelle condutture, cedimenti

nelle travi portanti, e paternamentelo trattienedalmangiarsi leunghie;eccolo che legge con Belindo igiornali sportivi, commentando conmanate sulle spalle l'avverarsi deisuoi pronostici. Non mi è affattosimpatico questo Skiller: devoammetterlo. Una ragnatela dicomplicità s'estende dovunque egliannoda le sue fila; se davvero egliaveva tanto potere sulla pensioneRoessier, se era lui il factotum, ildeusexmachina,senulladiciòcheavveniva tra quelle mura potevaessergliestraneo,perchéèvenutodame a chiedere la soluzione delmistero? Perché mi ha portato il

quadernobruciacchiato?Eluichehatrovatoilquadernotralemacerie?Oèluichecel'hamesso?Eluichehaportato questa quantitàd'informazione negativa, d'entropiairreversibile,chel'haintrodottanellacasa, come ora nei circuitidell'elaboratore? La strage dellapensione Roessier non ha quattropersonaggi:nehacinque.Traducoinfori puntiformi i datidell'assicuratore Skiller e liaggiungo agli altri. Le azioniabominevoli possono essere suecome di ciascuno degli altri: puòaver Accoltellato, Diffamato,Drogato eccetera, o meglio ancora

può aver fatto Prostituire, Strozzaree tutto il resto. I miliardi dicombinazioni crescono, ma forsecomincianoaprendereunaforma.Apuro titolo d'ipotesi potrei costruireun modello in cui tutto il male siaopera di Skiller, e prima del suoingresso la pensione si librinell'innocenzapiù liliale: lavecchiaRoessier suona un Lied sulpianoforte Bechstein che il buongigante trasporta da una stanzaall'altra per il miglior ascolto degliinquilini, Ogiva innaffia le petunie,Inigo dipinge petunie sul cranio diOgiva. Suona il campanello: èSkiller.Cercaunbedandbreakfast?

No, ha da proporre delleassicurazioni vantaggiose: vita,infortuni, incendi, patrimoni mobilie immobili. Le condizioni sonobuone;Skiller li invita a riflettere;riflettono; pensano a cose cui nonavevanomaipensato;sonotentati;latentazionecominciailsuocamminod'impulsi elettronici per i canalicerebrali…Mi rendo conto che stoinfluenzando l'obiettività delleoperazioni con antipatie soggettive.In fondo, cosa ne so di questoSkiller? Forse la sua anima ècandida,forseèluil'unicoinnocentedi questa storia, mentre tutte lerisultanze definiscono la Roessier

comeun'avara sordida,Ogivacomeunanarcisistaspietata,Inigoperdutonella sua sognante introversione,Belindo condannato alla brutalitàmuscolare permancanza dimodellialternativi… Sono loro che hannochiamato Skiller, ciascuno con unloscopianoaidannideglialtri treedella compagnia assicuratrice.Skiller è come una colomba in unnido di serpenti. La macchina siferma. C'è un errore, e la memoriacentrale se ne è accorta; cancellatutto. Non ci sono innocenti dasalvare, in questa storia.Ricominciamo. No, non era Skillerche aveva suonato alla porta. Fuori

pioviggina, c'è nebbia, non sidistingue la fisionomia delvisitatore. Entra nell'ingresso, sitoglieilcappellobagnato,sisciogliela sciarpa di lana. Sono io. Mipresento. Waldemar,programmatore-analistad'elaboratori elettronici. Sa che latrovomoltobene,signoraRoessier?No,noncieravamomaivistiprima,mahopresentiidatidelconvertitoreanalogico-digitale e vi riconoscoperfettamente tuttiequattro.Nonsinasconda, signor Inigo! Sempre informa, il nostro Belindo Kid! E lasignorina Ogiva quella capigliaturaviolachevedoaffacciarsiallescale?

Eccovi tutti riuniti; bene: lo scopodellamiavisitaèquesto.Hobisognodi voi, proprio di voi così comesiete,perunprogettochedaannimitiene inchiodato al supporto diprogrammazione. I lavorioccasionali per conto di terzioccupano lemie ore lavorative,malanotte, chiusonelmio laboratorio,mi dedico a studiare unorganigramma che trasformerà lepassioni individuali aggressività,interessi,egoismi,vizi - inelementinecessari al bene universale.L'accidentale,ilnegativo,l'abnorme,in una parola l'umano potrannosvilupparsi senza provocare la

distruzionegenerale,integrandosiinun disegno armonioso… Questacasaèilterrenoidealeperverificaresesonosullastradagiusta.Perciòvichiedo d'accogliermi tra voi comeinquilino, come amico… La casa èbruciata, tutti sono morti, ma nellamemoria dell'elaboratore io possodisporre i fatti secondo una logicadiversa, entrare io stesso nellamacchina, inserire un Waldemar-programma, portare a sei il numerodei personaggi, espandere nuovegalassie di combinazioni epermutazioni. Ecco risorge la casadalleceneri,tuttigliabitantitornanoin vita, io mi presento con la mia

valigia a soffietto, coi miei bastonida golf, chiedo una camera inaffitto… La signora Roessier e glialtri mi ascoltano in silenzio.Diffidano. Sospettano che io lavoriper le assicurazioni, che sia statomandato lì daSkiller…Non si puònegarecheilorosospettiabbianounfondamento. E per Skiller chelavoro, certo. Potrebbe essere statolui a chiedermi d'entrare inconfidenza con loro, di studiare iloro comportamenti, prevedere leconseguenze delle loro cattiveintenzioni, classificare stimoli,pulsioni, gratificazioni,quantificarle, immagazzinarle

nell'elaboratore… Ma se questoWaldemar-programmanonècheundoppione dello Skiller-programma,inserirloneicircuitièun'operazioneinutile. Bisogna che Skiller eWaldemar siano antagonisti, ilmisterosidecideinunalottatranoidue. Nella sera piovigginosa dueombre si sfiorano sul cavalcaviaarrugginito che porta a quello cheunavoltadev'esserstatounquartiereresidenziale suburbano e di cui oranonrestacheunavillettasbilencasuunadunatraicimiterid'automobili;le finestre illuminate della pensioneRoessier affiorano nella nebbiacomesullaretinad'unmiope.Skiller

e Waldemar non si conosconoancora. All'insaputa l'uno dell'altros'aggirano attorno alla casa. A chitocca la prima mossa? Eincontestabile che l'assicuratore hadiritto di precedenza. Skiller suonaalla porta. Vogliate scusarmi, perconto della mia compagnia stocompiendo una ricerca sulledeterminazioni ambientali dellecatastrofi.Questacasaèstatasceltacomecampionerappresentativo.Colvostropermesso, vorrei tenere sottoosservazione il vostrocomportamento. Spero di nonscomodarvi troppo: si tratterà diriempirealcuniformulariognitanto.

In compenso la compagnia vi offrela possibilità di stipulare acondizioni speciali assicurazioni divario tipo: sulla vita, sugliimmobili… " I quattro ascoltano insilenzio;giàognuno stapensandoacome può trarre partito dallasituazione, sta macchinando unpiano… Ma Skiller mente. Il suoprogramma ha già previsto quellocheciascunabitantedellacasafarà.Skiller ha un quaderno in cui èelencata una serie d'atti violenti oprevaricatori di cui non resta cheverificare la probabilità. Sa già chesi produrranno una serie di sinistridolosi, ma che la compagnia non

dovrà versare alcun indennizzo,perché i beneficiari sidistruggeranno a vicenda. Tuttequeste previsioni gli sono statefornite da un elaboratore: non dalmio,devoipotizzarel'esistenzad'unaltro programmatore, complice diSkiller in una macchinazionecriminosa.Lamacchinazione è cosiconcepita:unoschedarioraccoglie inominativi dei nostri concittadinianimati da impulsi distruttivi efraudolenti;sonoparecchiecentinaiadi migliaia; un sistema dicondizionamenti e di controlli liporterà a diventare clienti dellacompagnia, ad assicurare tutto

l'assicurabile, a produrre sinistridolosi e ad assassinarsi a vicenda.La compagnia avrà predisposto laregistrazione delle prove a suovantaggio,esiccomechifailmaleèsempreportatoastrafare,laquantitàd'informazionecomporteràunafortepercentualedidatiinutilichefaràdacortina fumogena sulleresponsabilità della compagnia.Anzi, questo coefficiente d'entropiaè già stato programmato: non tuttigli Atti abominevoli dell'indicehanno una funzione nella storia;alcuni creano semplicemente uneffettodirumore.L'operazionedellapensione Roessier è il primo

esperimento pratico tentato daldiabolico assicuratore. Avvenuta lacatastrofe,Skillerricorreràaunaltroelaboratore,ilcuiprogrammatoresiaall'oscuro di tutti i precedenti, percontrollare se dalle conseguenze sipuò risalire alle determinazioni.Skiller fornirà a questo secondoprogrammatore tutti i dati necessariinsieme a una quantità di rumoretaledaprodurreingorghisuicanaliedegradare l'informazione: il dolodegliassicuratisaràsufficientementeprovato, ma non quellodell'assicuratore. Il secondoprogrammatore sono io. Skiller hagiocatobene.Tuttiicontitornano.

Il programma era fissato inprecedenza,elacasa,ilquaderno,ilmio organigramma e il mioelaboratore non dovevano far altrocheeseguirlo.Sonoquiinchiodatoaimmettere-emetteredatid'una storiache non posso cambiare. E inutileche gettime stesso nell'elaboratore:Waldemar non salirà alla casa sulladuna, non conoscerà i quattromisteriosi abitatori, non sarà lui ilsoggetto (come aveva sperato) delverbo sedurre (oggetto: Ogiva).AncheSkiller del resto forse è solouncanaled'immissione-emissione:ilvero elaboratore è altrove. Ma lapartita che si gioca tra due

elaboratori non la vince quello chegioca meglio dell'altro, ma quelloche capisce come fa l'avversario agiocare meglio di lui. Il mioelaboratoreoraha immagazzinato ilgioco dell'avversario vincente:dunque ha vinto? Suonano allaporta.Primad'andareadapriredevorapidamentecalcolarequali sarannole reazioni di Skiller quando sapràche il suo piano è stato scoperto.Anch'ioerostatoconvintodaSkillera firmare un contrattod'assicurazione contro l'incendio.Skillerhagiàprevistod'uccidermied'appiccarelefiammeallaboratorio:distruggerà le schede che lo

accusanoedimostrerà chehopersolavita tentandoun incendiodoloso.Sento la sirena dei pompieri che siavvicina: li ho chiamati in tempo.Tolgolasicuraallapistola.Orapossoaprire.

Lapompadibenzina

Avrei dovuto pensarci prima, ora ètardi. E passato mezzogiorno emezzo e non mi sono ricordato difare benzina; i distributori sonochiusi fino alle tre. Ogni anno duemilioniditonnellatedigreggiosonoestratti dalla crosta terrestre che leconservavadamilionidisecolinellepieghe delle rocce sepolte tra stratidisabbiaed'argilla.Separtoadessorischiodirestareinpanneperstrada;ègiàdaunpezzochel'indicatoredilivellomiavverte che il serbatoioèin riserva.Egiàdaunpezzochecihanno avvertito che le riservemondiali del sottosuolo potranno

durare pressappoco vent'anni.Avreiavuto tutto il tempo di pensarci,sono il solito incosciente: quandonelcruscottocominciaadaccendersila lucina rossa non ci faccio caso,oppure rimando, mi dico che restaancoratuttalariservadaconsumare,e poi mi passa di mente. No, forsequesto era in altri tempi che micapitava, di non badarci, didimenticarmene: quando ancora labenzinasembravaunbeneillimitatocome l'aria. Adesso l'accendersidellaspialuminosamicomunicaunsenso d'allarme, di minaccia,indefinito, incombente; è questo ilmessaggio che ricevo, che registro

tra i tanti segni d'angoscia che sidepositano nelle pieghe della miacoscienzaesisciolgonoinunostatod'animo che continuo a portarmidietro, senza trarne nessuna precisaconseguenza pratica, come sarebbequella di fare il pieno alla primapompacheincontro.Oppureèunistintodirisparmiochemi invade, un riflesso d'avarizia:comesocheilmioserbatoiostaperrestare in secco, così sentoassottigliarsi le scorte delleraffinerie,ilflussodeglioleodotti,ilcaricodellepetroliere che solcano imari;lesondefruganoleprofonditàdella terra e tirano su solo acqua

sporca;ilmiopiedesull'acceleratorediventa cosciente che alla sua piùlieve pressione gli ultimi sprazzidell'energia accumulata dal nostropianeta si vanno bruciando; la miaattenzione si concentra nelcentellinare i superstiti fiotti dicarburante;premoilpedalecomeseil serbatoio fosse un limone dastrizzare senza sprecare unagoccia;rallento; no: accelero, la reazioneistintiva è che più corro piùguadagno chilometri su questaspinta che potrebbe essere l'ultima.Non mi fido d'uscire dalla cittàsenza aver fatto il pieno. Undistributorechefunzionadovròpure

trovarlo. Mi metto a perlustrare iviali, lungo imarciapiedie leaiole,dove fioriscono le insegne coloratedelle marche di benzina, ora menoaggressive d'una volta, ai tempi incui tigri e altri animali miticisoffiavano fiamme nei motori. Milascioilludereognivoltadalcartelloapertocheservesoltantoaavvertirechequelchioscooggièapertonelleore di servizio e di conseguenza èchiuso nelle ore di chiusura. Allevoltec'èunbenzinaiosedutosuunase dia pieghevole che mangia unpanino o sonnecchia:allarga lebraccia, il regolamentoèugualepertutti, i miei gesti interrogativi sono

inutili, già lo sapevo da prima.L'epoca incui tuttosembravafacileèfinita,l'epocaincuipotevicredereche le energie umane fosseroillimitatamenteal tuoserviziocomele energie naturali: quando idistributori di benzina sbocciavanosultuocamminoinvitantituttiinfilacon l'uomo in tuta verde o blu o arighine, con la spugna grondantepronta a purificare il vetrocontaminatodalmassacrodi sciamidimoscerini.Opermegliodire: trala fine dei tempi in cui in certimestierisilavoravasenzaorarioelafinedeitempiincuicis'illudevachecerti consumi non si sarebberomai

consumati,c'èdimezzoun'interaerastoricalacuiduratavariaasecondadei paesi e delle esperienzeindividuali. Dirò allora che stovivendo in questo stesso momentosimultaneamente la ascesa ilculmineildeclinodellesocietàdetteopulente, cosi come una sonda arotazionepassadaunistanteall'altroattraverso i millenni perforando leroccesedimentariedelPliocene,delCretaceo, del Triassico. Vadofacendoilpuntodellamiasituazionenellospazioeneltempo,aconfermadei dati che mi comunicano ilcontachilometri da poco azzerato,l'indicatore del carburante fermo

sullo zero, l'orologio dalla lancettacorta ancora alta nel quadrantemeridiano. Nelle ore meridiane,quando la Tregua dell'Acquaavvicina la tigre e il cervo assetatiallostessospecchiod'acquafangosa,la mia vettura cerca invano di cheabbeverarsi e la Tregua della Naftalascacciadipompainpompa.NelleoremeridianedelCretaceogliesseriviventi fluttuavano alla superficiedel mare, sciami d'algheminutissime e sottili gusci diplancton,morbidespugneetaglienticoralli,crogiolandosialcaloresolarechecontinueràadagireattraversodiloro nel lungo periplo che la vita

affronta oltre la morte, quandoridotti a una pioggia leggera didetriti vegetali e animali sidepositano sui bassi fondali es'impastano nel fango, e coltrascorrere dei cataclismi vengonomasticati dallemascelle delle roccecalcaree, digeriti nelle piegheanticlinali e sinclinali, liquefatti indensi oli che risalgono le buieporosità sotterranee ed ecco chezampillano nelmezzo del deserto es'infiammano riportando sullasuperficie della terra una vampatadel mezzodì primordiale. Ecco chein mezzo al deserto del mezzodicittadino ho avvistato una stazione

di servizio aperta: le fluttua intornouno sciame di macchine. Non c'èpersonale;èunodiqueidistributoriche funzionano a self-service. Gliautomobilisti si danno da faresguainando le canne cromate dellepompe,sifermanoametàd'ungestoperleggereleistruzioni,maniunpo'incerte premono tasti, serpenti digomma inarcano le loro spireretrattili. Le mie mani armeggianoattorno a una pompa, le mie manicresciute in un'epocadi transizione,abituate a aspettare da altremani ilcompiersi dei gesti piùindispensabili alla miasopravvivenza. Che questo stato di

cose non fosse definitivo l'hosempresaputo,inteoria;inteorialemie mani non aspettano altro cheriacquistare la loro attitudine acompiere tutte le operemanualidell'uomo, come quando la naturainclemente circondava l'uomoarmato delle sole sue mani, cosicome oggi ci circonda il mondomeccanico certo più agevole amanipolarsi della bruta natura: ilmondoincuid'orainavantilemanidi ciascuno dovranno tornare acavarsela da sole, senza poter piùdemandare a mani altrui il lavoromeccanicodacuidipende lavitadiogni giorno. In pratica sono un po'

deluse, le mie mani: ilfunzionamento della pompa è tantosemplice che ci si domanda comemai l'usanza del self-service non sisia già generalizzata da tempo.Malasoddisfazionedi faredasénonèmoltomaggiorediquellachedàundistributoreautomaticodicaramelleo altro congegno mangiasoldi. Leoperazioni che richiedonouna certaattenzione riguardano solo ilpagamento della tariffa, bastamettere un biglietto da mille in uncassettino nella posizione giusta, inmodo che un occhio fotoelettricoriconoscal'effigiediGiuseppeVerdio forse soltanto il sottile filo

metallico che attraversa ognibanconota. Il valore dellemille lirepare si concentri tutto in quel filo;quando il biglietto viene inghiottitounalampadinasiaccende,eiodevoaffrettarmiainserirelatrombadellapompa nella bocca del serbatoiofacendoirrompereilgettochevibracompatto nella sua trasparenzairidata, affrettarmi a godere diquesto dono inappetibile dai mieisensi ma avidamente concupito daquellapartedimestessocheèilmiomezzodilocomozione.Hoappenailtempo di pensare tutto questo edecco che con uno scatto secco ilflusso s'interrompe, le lampadine si

spengono, il complicato dispositivomesso in moto qualche secondoprima è già fermo ed inerte, ilrisvegliodelle forze telluriche che imiei riti erano riusciti a evocare èdurato un istante. Per le mie millelire ridotte a un filo la pompaconcede solo un filo d'essenza.Undici dollari al barile è il prezzodel greggio. Devo ricominciarel'operazione da capo, imbucareun'altra banconota, poi altre ancora,amille lire per volta. Il denaro e ilmondo sotterraneo mantengono unvecchio legamediparentela; la lorostoriasisvolgeattraversocataclismiora lentissimi ora improvvisi;

mentre sto facendo rifornimento alselfserviceunabolladigassigonfiainunnerolagosepoltosottoilfondodel Golfo Persico, in silenzio unemiro si porta al petto le maninascoste nelle larghe manichebianche, in un grattacielo uncomputer della Epson macinanumeri, in alto mare una flotta dicargo riceve l'ordine di cambiare dirotta, io mi frugo nelle tasche, ilfiliforme potere della cartamonetasvanisce.Mi guardo intorno: sono rimastosolo nel chiosco deserto. Il va evieni delle macchine èinaspettatamente cessato intorno al

solorifornimentodellacittàapertoaquest'ora, come se proprio aquest'ora dal convergere di lenticataclismi si fosse prodottol'improvvisocataclismafinale,forseil prosciugarsi simultaneo di pozzioleodotticisternepompecarburatoricoppedell'olio.Ilprogressohaisuoirischi, l'importante è poter dired'averli previsti. Già da tempo misonoabituatoaimmaginareilfuturosenzabattereciglio,giàvedofiledimacchine abbandonate invase daragnatele, la città ridotta a unrottame di plastica, gente che correportando dei sacchi sulle spalleinseguita dai topi. Di colpo mi

prende la smania di scappare; perandare dove? non so, non importa;forse solo per bruciare quel pocod'energiachecirestaeconcludereilciclo.Hoscovatounultimobigliettoda mille per attingere ancora unadose di carburante. Una macchinasport si ferma al distributore. Laguidatrice, avvolta a spirale neicapelli spioventi, nella sciarpa, nelgirodelcollettonedimaglia,alzadaquesta matassa un piccolo naso edice: Ilpienodi super. Iosto liconla canna sospesa; tanto vale che gliultimi ottani li dedichi a lei, perchébrucinolasciandosidietroalmenounricordodicolorigraditiallavista,in

un mondo in cui tutto è cosi pocoattraente: operazioni che compio,materiali che adopero, salvezze chepossosperare.Svitoilcappucciodelserbatoio della macchina sport, viimmetto il becco obliquo dellapompa, schiaccio il tasto e nelsentire il getto che penetra,finalmente mi s'affaccia come ilricordo di un piacere lontano, unaspecie di forza vitale mediante laquale s'instaura un rapporto, unafluidacorrenteorapassatrameelasconosciutaalvolante.Sièvoltataaguardarmi,sollevalagranbardaturadegli occhiali, ha occhi verdi d'unatrasparenza iridata.Ma leinonèun

benzinaio… Ma che fa… Maperché…Iovorreifarlecapirecheilmio è un estremo atto d'amore,vorrei coinvolgerla nell'ultimavampatacheancorailgenereumanopuòfarpropria,unattod'amorecheè anche un atto di violenza, unostupro, un amplesso mortale delleforzedisottoterra.Lefacciosegnoditacereeindicoingiù con la mano sospesa come peravvertire che il miracolo potrebbeinterrompersi da un momentoall'altro, poi faccio un cennocircolare come per dire che non c'èdifferenza e intendo dire cheattraverso dime un nero Plutone si

protende dagli inferi per rapireattraverso di lei una fiammeggianteProserpina, e cosi la Terradivoratrice spietata di sostanzeviventirinnovailsuociclo.Leiride.Scopre due giovani incisiviappuntiti.Nonsa.Nellaprospezioned'un giacimento in California sonoriemersischeletrid'animalidispecieestinte da cinquantamila anni, tra iquali una tigre dai denti a sciabola,certo attratta da uno specchiod'acqua che si estendeva sullasuperficie del nero lago di pece dacuifuinvischiataeinghiottita.Mailbreve tempo chemi era concesso èfinito: la corrente si blocca, la

pompa resta inerte, l'amplesso èinterrotto. C'è un grande silenzio,come se tutti i motori avesserosospeso gli scoppi, e la vita rotantedelgenereumanosifossefermata.Ilgiorno in cui la crosta terrestreriassorbiràlecittà,quelsedimentodiplanctoncheèstatoilgenereumanosarà ricoperto da strati geologicid'asfalto e cemento e tra milionid'anni s'addenserà in giacimentioleosi,nonsappiamoavantaggiodichi. La guardo negli occhi: noncapisce, forse solo ora comincia adaverepaura.Ora,contofinoacento:se questo silenzio continua, laprenderòpermanoeCimetteremoa

correre.

L'uomodiNeanderthal INTERVISTATORE -- Vi parlodalla pittoresca vallata di Neander,neidintornidiDusseldorf.Attornoame si estende un anfrattuosopaesaggiodi roccecalcaree.Lamiavoce risuona contro le pareti sia dicaverne naturali sia di cave apertedalla mano dell'uomo. Fu durante ilavori di queste cave di pietra chenel 1856 avvenne il ritrovamentod'uno dei più anziani abitatori diquesta vallata, stabilitosi qui circatrentacinquemila anni or sono.L'uomo di Neanderthal: cosi, perantonomasia, si è convenuto dichiamarlo. Sono venuto a

Neanderthal'appunto perintervistarlo. Il signorNeander -mirivolgeròa lui conquest'appellativosemplificato, durante la nostraintervista - il signorNeander, comeforse sapete, è di carattere un po'diffidente, anzi scorbutico, dataanche l'età avanzata, e sembra chenon tenga in gran conto la famainternazionale di cui gode.Ciononostante ha cortesementeacconsentito a rispondere ad alcunedomande per il nostro programma.Ecco che s'avvicina, col suocaratteristico passo un po'dondolante,emiscrutadasottoallaprominentearcatasopraccigliare.Ne

approfitto subitoper rivolgergliunaprimadomandaindiscreta,checertocorrisponde a unacuriosità di moltidei nostri ascoltatori. SignorNeander, leis'aspettavadidiventaretanto famoso?Voglio dire: per quelchesisa, invitasua leinonhamaifatto niente di speciale: e tutt'a untratto s'è trovato a essere unpersonaggio cosi importante. Comeselospiega?NEANDER--Telodicitu.Ceri tu?Iosicheeerolì.Micatu.INTERVISTATORE -- D accordo,lei era qui. Ebbene, le sembra chebasti?NEANDER--C ero già.

INTERVISTATORE - Questa mipare un'utile precisazione. Il meritodel signor Neander non sarebbetanto il semplice fatto d'esserci,mad'esserci già, d'esserci allora, primaditantialtri.Laprioritàèinfattiunadotechenessunovorràcontestarealsignor Neander. Per quanto… giàprima ancora, come ricercheulteriori hannodimostrato - e comelei stesso può confermare, vero,signor Neander?- siano segnalatetracce,numeroseanche,edestesesuvari continenti, d'esseri umani,propriogiàumaniumani…NEANDER--Mio papà…INTERVISTATORE--SuSUfinoa

unmilionedanniprima…NEANDER--Mia nonna…INTERVISTATORE -- Dunque lasua priorità, signor Neander,nessuno può contestarla, ma sitratterebbe d'una priorità relativa:diciamo che lei è il primo…NEANDER-Sempreprimadi te…INTERVISTATORE - Siamo daccordo, ma non è questo il punto.Vogliodirecheleièstatoilprimoaessere creduto il primo da quellivenuti dopo. NEANDER - Te locredi tu. Prima c'è mio papà…INTERVISTATORE-Non soltanto,ma…NEANDER-Lanonna…INTERVISTATORE - E prima

ancora? Stia ben attento, signorNeander: la nonna di sua nonna…!NEANDER - No.INTERVISTATORE - Come no?NEANDER-Lorso!INTERVISTATORE - L orso! Unantenato totemico! Come avetesentito, il signor Neander pone acapostipite della sua genealogial'orso, certamente l'animale-totemche simboleggia il suo clan, la suafamiglia!NEANDER--Latua!Primaeèl'orso,dopol'orsova,esimangialanonna…Dopocisonoio,dopo io vado e l'orso iol'ammazzo…Dopoiomelomangio,l'orso.INTERVISTATOREPermetta

unmomento che io commenti per inostri ascoltatori le prezioseinformazioni che lei ci sta dando,signorNeander.Primac'è l'orso! leihadetto benissimo, affermando congrande chiarezza la priorità dellanatura bruta, del mondo biologico,che fa da scenario, è vero signorNeander?, che fa da lussureggiantescenario all'avventodell'uomo, ed èquando l'uomo s'affaccia per cosidire alla ribalta della storia, cheinizialagrandeavventuradellalottacon la natura, prima nemica e poiman mano assoggettata ai nostrivoleri, un plurimillenario processoche il signor Neander ha evocato

così suggestivamente nelladrammatica scena della cacciaall'orso, quasi un mito dellafondazione della nostra storia…NEANDER-Eroiochec'ero.Micate. C'era l'orso. Dove ci vado io civiene l'orso.L'orsoc'è tutt'intornoadovecistoio,seno,no.INTERVISTATORE-Ecco.Mipareche l'orizzonte mentale del nostrosignor Neander comprenda solo laporzione delmondo che entra nellasua percezione immediata,escludendo la rappresentazioned'avvenimenti lontaninellospazioeneltempo.L'orso è dove io vedo l'orso, egli

dice, se non lo vedo io non c'è.Questo è certo un limite di cuivorremmo tener conto nel seguitodella nostra intervista, evitando diporgli domande che esorbitino, èvero?, dalle capacità intellettualid'uno stadio evolutivo ancorarudimentale…NEANDER - Sei te.Cosaparli?Cosa sai? Il mangiare, no? è lostessomangiarechecivadodietroioe che ci va dietro l'orso. Le bestiesvelte il più bravo a pigliarle sonoio; le bestie grosse il più bravo apigliarle è l'orso. No? E dopo o èl'orsoaportarleviaameosonoioaportarle via all'orso. No?

INTERVISTATORE-Echiarissimo,d accordo, signor Neander, non c'èmotivo perché lei s'innervosisca. Euncasodiciamodisimbiosi traduespecie,unaspeciedelgenerehomoeuna specie del genere ursus; omeglioèunasituazionediequilibriobiologico, se vogliamo: in mezzoallaferociaspietatadellalottaperlasopravvivenza, ecco stabilirsi comeuna tacita intesa…NEANDER - Edopo, o è l'orso che m'ammazza, ame, o sono io che l'ammazzo,all'orso… INTERVISTATORE -Ecco, ecco, la lotta per lasopravvivenza torna a scatenarsi, ilpiù adatto trionfa, cioè non solo il

più forte, - e il signor Neander,anchesehalegambeunpo'corte,èmoltomuscoloso,-masoprattuttoilpiùintelligente,eilsignorNeander,nonostante la fronte dalla curvaturaconcava, quasi orizzontale,manifesta facoltà mentalisorprendenti…Questaèladomandachevolevofarle,signorNeander:c'èstato un momento in cui lei hatemuto che il genere umanosoccombesse? Mi capisce, signorNeander, scomparisse dalla facciadella terra? NEANDER - Mianonna… Mia nonna per terra…INTERVISTATORE - Il signorNeander ritorna su quest'episodio

che deve essere una esperienzadiciamo traumatizzante del suopassato…Anzi: del nostro passato.NEANDER - L'orso per terra… Iomisonomangiatol'orso…Io: mica te. INTERVISTATORE -Volevo appunto chiederle anchequesto: se c'è stato un momento incui lei ha avuto la netta sensazionedella vittoria del genere umano, lacertezza che sarebbero stati gli orsiadestinguersi,nonnoi,perchénullaavrebbe potuto fermare il nostrocammino, e che lei signor Neandersi sarebbe un giorno trovato ameritare la nostra gratitudine, dicoda parte dell'umanità giunta al più

alto grado della sua evoluzione,gratitudinecheioleesprimooggidaquesto microfono… NEANDER -Mmm… Io se c'è da camminarecammino… se c'è da fermarmi mifermo…sec'èdamangiarel'orsomifermo e mangio l'orso… Dopo iocammino, e l'orso resta fermo, unosso qui, per terra, un osso li, perterra…Dietrodimecisonoglialtrichevengono,camminano,finodovec'èl'orso,fermo,glialtrisifermano,mangiano l'orso… Mio figliomorsicaunosso,unaltromiofigliomorsica un altro osso, un altromiofiglio morsica un altro osso…INTERVISTATORE - E uno dei

momenti culminanti della vita d'unclan di cacciatori che il signorNeander ci sta facendo rivivere inquestomomento:ilbanchettoritualedopo una fortunata impresa dicaccia…NEANDER -Mio cognatomorsicaunaltroosso,miamogliemorsicaunaltroosso…INTERVISTATORE - Come avetepotuto sentire dalla viva voce delsignor Neander, le donne erano leultime a servirsi del banchettorituale, il che costituisce unaammissionedell'inferioritàsocialeincui era tenuta la donna…NEANDER La tua! Prima io porto

l'orsoamiamoglie,miamogliefailfuoco sotto l'orso, dopo io vado araccogliere il basilico, dopo tornocolbasilicoedico:madi',dov'ècheè la coscia dell'orso? e mia mogliedice: l'ho mangiata io, no? perassaggiare se era ancora crudo, no?INTERVISTATORE - Già nellecomunitàdicacciatorieraccoglitori- questo è quanto risulta dalla testimonianza del signor Neander -vigevaunanettadivisionedellavorotrauomoedonna…NEANDER - Dopo io vado araccogliere la maggiorana, dopotornocon lamaggioranaedico:madi', dov'è che è l'altra coscia

dell'orso? e mia moglie dice: l'homangiata io, no? per assaggiare senon era già bruciata, no? E io ledico:madi',l'origanoadessosaichici va a raccoglierlo? tu ci vai, ledico,seituchecivai,perl'origano,di'.INTERVISTATORE--Daquestagustosa scenetta familiare moltisono i dati di fatto che possiamoestrarre sulla vita dell'uomo diNeanderthal: primo, la conoscenzadel fuoco e il suo impiego per lacucina; secondo, la raccolta d'erbearomatiche e il loro usogastronomico; terzo, il consumodella carne a grandi porzionistaccate,ilchepresupponel'impiego

di veri e propri strumenti da taglio,cioè uno stadio avanzato dellalavorazionedellaselce.Masentiamodirettamente dall'intervistato se haqualcosa da dirci su questo punto.Formulerò la domanda in modo danon influenzare la sua risposta:signorNeander, leicon lepietre,si,queibei ciottoli, sassoloni, come sene trovano tantiqui intorno,nonhamai provato, non so, a giocarci, apicchiare un po' l'uno con l'altro, avedere se sono proprio cosiresistenti?NEANDER--Ma cosa parli delciottolo? Ma lo sai cosa ci fai colciottolo!Dang!

Dang! Io col ciottolo: dang! Prendiil ciottolo, no? lo metti sulla pietragrossa,prendiquell'altrociottolo,cidaiaddosso,secco,dang!losaidovecidaiilcolposecco?èli!èlichecidai: dang! il colpo secco! dai! ahi!cosi ti schiacci il dito! Dopo tisucchi il dito, dopo fai dei salti,dopo riprendi quell'altro ciottolo,rimettiilciottolosullapietragrossa,dang!Vedi che s'è spaccato in due,una scheggia grossa e una scheggiafina, una curvata di qua, l'altracurvatadilà,prendiinmanoquestaquachesitienebeneinmano,diquacosi, prendi l'altra con l'altramano,dilicosi,efai:deng!capiscichefai

deng li in quel punto li, dai! ahi! tisei infilzata la punta nella mano!dopotisucchi lamano,dopofaiungirosuunpiedesolo,doporiprendila scheggia nella mano, l'altrascheggianell'altramano,deng!, ti èsaltataunapiccolascheggia,ahi!,inun occhio! ti freghi l'occhio con lamano, dai un calcio alla pietragrossa,riprendiinmanolascheggiagrossa e la scheggia fina, deng! faisaltare un'altra scheggia piccolavicino vicino, deng! un'altra, deng!un'altraancora,evedichedovesonosaltate via ci rimane una tacca cherientra in dentro bella rotonda, edopo un'altra tacca, e dopo un'altra

tacca, cosi su e giù tutto in giro, edopo anche dall'altra parte, deng!deng!vedicomevienetuttoingiro,finofino,taglientetagliente…INTERVISTATORE--Ringraziamoil nostro… NEANDER --… poi cidaideicolpetticosi,ding!ding!efaisaltaredellescheggepiccolepiccole,ding!ding!evedicomerimanecontanti denti piccoli piccoli, ding!ding! INTERVISTATORE --Abbiamo capito benissimo.Ringrazioanomedegliascoltatori…NEANDER -Ma cos hai capito?Eadessochecipuoidareuncolpoqui:dong!ecosìdopocenepuoidareunaltro dall'altra parte: dung!

INTERVISTATORE--Dung,esatto,passiamoaunaltra…NEANDER-…cosìpuoiprenderlobeneinmanoquesto ciottolo lavorato da tutte leparti e dopo comincia il lavoro sulserio,perchéprendiunaltrociottoloe lometti sulla pietra grossa, dang!INTERVISTATORE - E così diseguito, chiarissimo, l'importante ecome si comincia. Passiamo…NEANDER - E no, una volta checomincio, non mi viene più dismettere, c'è sempre per terra unciottolochesembramegliodiquellodiprimaeallorabuttoviaquellodiprimaeprendoquestoedeng!deng!elescheggechesaltanocen'ètante

dabuttarviaetantechesonomeglioancora per lavorare, e allora ci dodentro su quelle lì, ding! ding! evienefuorichepossofarvenirfuorituttoquellochevogliodatuttiquestipezzi di pietra e più ci faccio delletacche più posso farci delle altretacche,dovecenehofattaunacenefaccio due, e poi dentro ognuna diquesteduetacchecifaccioaltreduetacche,eallafinesisbriciolatuttoelo butto nel mucchio delle scheggesbriciolate che cresce cresce daquesta parte, però dall'altra parte ciho tutta la montagna di rocciaancora da fare a schegge.INTERVISTATORE -- Ora che il

signor Neander ci ha descritto illavoro snervante, monotono…NEANDER - Monotono sei tu,monotono! Le sai fare le tacchenelle pietre, tu, le tacche tutte lestesse, le sai fare monotone letacche?No,ealloracosaparli?Iosiche le so fare! E da quando mi cisonomesso,daquandohovistochecihoilpollice, lovediilpollice?Ilpollicechelomettodiquielealtredita lemettodi làe inmezzocistauna pietra, nellamano, stretta fortechenonscappa,daquandohovistochetenevolapietranellamanoecidavo dei colpi, cosi, oppure così,allora quello che posso fare con le

pietre lo posso fare con tutto, con isuoni che mi escono dalla bocca,possofaredeisuonicosi,aaa,ppp,gngngn,ealloranonsmettopiùdi fare suoni,mimetto a parlare, aparlareenonlasmettopiù,mimettoa parlare di parlare, mi metto alavorare delle pietre che servono alavorare delle pietre, e intanto miviene da pensare, penso a tutte lecose che potrei pensare quandopenso, e mi viene anche voglia difarequalcosaperfarcapireaglialtriqualcosa,peresempiodidipingermidelle strisce rosse sulla faccia, nonper altro ma per far capire che misono fatto delle strisce rosse sulla

faccia, e a mia moglie mi vienevogliadifarleunacollanadidentidicinghiale, non per altro ma per farcapire che mia moglie ha unacollanadidentidicinghiale,elatuano, chissà cosa ti credi di avere tuche non ci avevo io, non mimancavaproprioniente,tuttoquellocheè stato fattodopogià lo facevoio, tutto quello che è stato detto epensato e significato c'era già inquello che dicevo e pensavo esignificavo, tutta la complicazionedellacomplicazioneeragiàli,bastache ioprendoquestociottolocon ilpolliceeilcavodellamanoelealtrequattroditachecisipieganosopra,

egiàc'è tutto,ciavevo tuttoquelloche poi si è avuto, tutto quello chepoisièsaputoepotutoce loavevononperchéeramiomaperchéc'era,perché c'era già, perché era li,mentredopolosièavutoesaputoepotuto sempreunpo'meno, sempreun po' meno di quello che potevaessere,diquellochec'eraprima,cheavevo io prima, che ero io prima,davveroioallorac'erointuttoepertutto,mica come te, e tutto c'era intutto e per tutto, tutto quello che civuoleperesserciintuttoepertutto,anche tutto quello che poi c'è statodi balordo c'era già in quel deng!deng!ding!ding!dunquecosavieni

adire,cosaticredidiessere,cosaticredi di esserci e invece non ci sei,seciseièsoloperchéiosichec'eroec'eral'orsoelepietreelecollaneelemartellatesulleditaetuttoquelloche ci vuole per esserci e chequandoc'èc'è.

Montezuma

IO - Maestà… Santità!…Imperatore!… Generale! Non socome chiamarvi, sono obbligato aricorrere a termini che solo inparterendono le attribuzioni della vostracarica, appellativi che nella mialingua d'oggi hanno perduto moltodella loro autorità, suonano comeechidipoterisvaniti…Cosicomeèsvanito il vostro trono, alto suglialtipiani del Messico, il trono dalqualeregnastesugliAztechi,comeilpiùaugustodei lorosovrani, epurel'ultimo, Montezuma… Anchechiamarvi per nome mi è difficile:Motecuhzoma, cosi pare suonasse

veramente il vostro nome, che neilibri di noi europei apparevariamente deformato: Moteezuma,Moctezuma… Un nome che,secondoalcuniautori,vorrebbedireuomo triste. Davvero avreste benmeritatoquestonome,voicheavetevisto crollare un impero prospero eordinatocomequellodegliAztechi, invaso da esseriincomprensibili, armati di strumentidimortemai visti. Dev'essere statocome se qui nelle nostre cittàcalassero d'improvviso degliinvasori extraterrestri.Ma noi, quelmomento ce lo siamo giàimmaginatointuttiimodipossibili:

almeno, così crediamo. E voi?Quando avete cominciato a ca pireche era la fine d'un mondo quellache stavate vivendo?MONTEZUMA - La fine… Ilgiorno rotola verso il tramonto…L'estate marcisce in un autunnofangoso. Cosi ogni giorno - ogniestate…Nonèdettochetornerannoogni volta. Per questo l'uomo deveingraziarsiglidei.Perchéilsoleelestelle continuino a girare sui campidi granturco - ancora un giorno -ancora un anno… IO - Volete direche la fine del mondo è sempre lìsospesa, e tra tutti gli avvenimentistraordinari di cui la vostra vita fu

testimone, il più straordinario erache tutto continuasse, non che tuttostessecrollando?MONTEZUMA - Non sempre glistessi dei regnano in cielo, nonsempre gli stessi imperi riscuotonoletassenellecittàenellecampagne.In tutta la mia vita ho onorato duedei, uno presente e uno assente: ilColibrì Azzurro Huiizilopochili cheguidavanellaguerranoiAztechi,eildioscacciato,ilSerpentePiumatoQueizacoatl, esule oltre l'oceano,nelle terre sconosciutedell'Occidente. Un giorno il dioassente avrebbe fatto ritorno alMessicoesisarebbevendicatodegli

altrideiedeipopolialorofedeli.Iotemevo laminacciachegravavasulmio impero, lo sconvolgimento dacui avrebbe preso inizio l'era delSerpentePiumato, ma nello stesso tempol'attendevo, sentivo in mel'impazienzaperilcompiersidiqueldestino, pur sapendo che avrebbeportato con sé la rovina dei templi,la strage degli Aztechi, la miamorte… IO - E davvero avetecreduto che il dio Queizacoatlsbarcasseallatestadeiconquistatorispagnoli, avete riconosciuto ilSerpente Piumato sotto l'elmo diferroelabarbaneradiHernán

Cortés? MONTEZUMA, unlomentodidolore.IO-Perdonatemi,reMontezuma:quelnomeriapreunaferita nel vostro animo…MONTEZUMA - Basta… Questastoriaèstataraccontatatroppevolte.Chequeldionellanostra tradizioneera rappresentato col viso pallido ebarbuto, e che vedendo (emette ungemito)Cortéspallidoebarbutoloavremmoriconosciuto come il dio…No,nonè così semplice. Le corrispondenzetraisegninonsonomaicerte.Tuttova interpretato: la scritturatramandatadainostrisacerdotinonèfattadiletterecomelavostra,madi

figure.IO-Voletedirechelavostrascrittura pittografica e la realtà sileggevano allo stesso modo:entrambe dovevano esseredecifrate… MONTEZUMA Nellefiguredeilibrisacri,neibassorilievidei templi, nei mosaici di piume,ogni linea,ogni fregio,ogni strisciacoloratapuòavereunsenso…Eneifatti che accadono, negliavvenimenti che si svolgono sotto inostri occhi, ogni minimo dettagliopuò avere un senso che ci avvertedelle intenzioni degli dei: losventolio d'una veste, un'ombra chesidisegnasullapolvere…Secosièpertuttelecosechehannounnome,

pensaaquantecosemisonovenuteincontrochenonavevanounnomeedi cui dovevo continuamentedomandarmi il senso!Appaiono sulmare case di legnogalleggianti conali di tela gonfie di vento… Lesentinelle del mio esercito cercanodi rendere con parole tutto ciò cheavvistano, ma come dire ciò cheancora non si sa cosa sia? Sullespiaggesbarcanouominivestitid'unmetallo grigio che luccica al sole.Montanoaddossoabestiemaiviste,somiglianti a robusti cervi senzacorna, che lasciano sul suoloimpronte a forma di mezzaluna.Invece d'archi e lance portano delle

specie di trombe e ne scatenano illampo e il tuono, e sfracellano leossa da lontano. Cos'erano piùstrane,lefiguredeinostrilibrisacri,con i piccoli dei terribili tutti diprofilo sotto acconciaturefiammeggianti, o questi esseribarbutiesudatiemaleodoranti?Avanzavanonelnostrospaziod'ognigiorno,rubavanolegallinedainostripollai,learrostivano,nespolpavanoleossatalqualeanoi:eppureeranotanto diversi da noi, incongrui,inconcepibili. Cosa potevamo fare,cosa potevo io che avevo tantostudiato l'arte d'interpretare leantichefiguredeitemplielevisioni

dei sogni, se non cercared'interpretare queste nuoveapparizioni?Non che queste somigliassero aquelle:maledomandecheiopotevofarmi di fronte all'inspiegabile chestavovivendoeranolestessechemifacevo guardando gli dei chedigrignavano i denti nellepergamene dipinte, o scolpiti inblocchi di rame rivestiti di lamined'oro e incrostati di smeraldi. IO -Ma qual'era il fondo della vostraincertezza, re Montezuma? Quandoavete visto che gli spagnoli nondesistevano dall'avanzare, chemandargliincontroambasciatoricon

regali sontuosi non serviva che aeccitare la loro avidità di metallipreziosi,cheCortéssifacevaalleatele tribù che mal sopportavano levostre vessazioni e le sollevavacontrodi voi, emassacrava le tribùche sobillate da voi gli tendevanoimboscate,alloraloavetefinalmenteaccolto come ospite con tutti i suoisoldati nella capitale, e avetelasciato che, da ospite, sitrasformasse rapidamente inpadrone, accettando che siproclamasse difensore del vostrotrono pericolante, e, con questascusa, vi trattenesse prigioniero…Nonmi direte che potevate credere

in Cortés… MONTEZUMA - Ibianchi non erano immortali, losapevo;certamentenoneranoglideicheattendevamo.Maavevanopotericheparevanoaldi làdell'umano: lefrecce si piegavano contro le lorocorazze;lelorocerbottaneinfuocate- o che altra diavoleria fosse-proiettavano dardi sempre mortali.Eppure, eppure, non si potevaescludere una superiorità anche dapartenostra,taleforsedapareggiarela bilancia. Quando li condussi avisitare le meraviglie della nostracapitale il loro stupore fu cosigrande! Il vero trionfo fu nostro,quel giorno, sui rozzi conquistatori

d'oltremare. Uno di loro disse chenemmeno leggendo i loro librid'avventure avevano maifantasticatounsimilesplendore.PoiCortés mi prese come ostaggio nelpalazzo dove l'avevo ospitato; noncontento di tutti i regali che glifacevo, fece scavare una galleriasotterranea fino alla stanza deltesoro e la saccheggiò; lamia sorteera contorta e spinosa come uncactus.Maquesti soldatacci chemifacevano la guardia passavano legiornategiocandoaidadiebarando,facevano rumori sconci,s'azzuffavano per gli oggetti d'oroche io gettavo come mancia. E io

restavo il re. Ne davo prova ognigiorno:erosuperiorealoro,eroioilvincitore, non loro. IO - Speravateancora di rovesciare la sorte?MONTEZUMA-Forsetraglideiincieloera in corsounabattaglia.Tranoi s'era stabilita una specied'equilibrio,comeselesortifosserosospese. Sui nostri laghi circondatida giardini biancheggiavano le veledeibrigantinicostruitidaloro;dallerive, i loro archibugi sparavano asalve. C'erano giorni in cui unaimprovvisa felicità s'impadronivadime, e ridevo fino alle lacrime. Egiorni in cui lacrimavo soltanto, tralerisatedeimieicarcerieri.Lapace

risplendevaaintervallitralenuvolecariche di guerra. Non dimenticatecheallatestadeglistranieric'eraunadonna, una donna messicana, d'unatribù nostra nemicama della nostrastessa razza. Voi dite: Cortés,Cortés, e credete che Maliizin -DonaMarina,comevoilachiamate-gli facessesoloda interprete.No, ilcervello,oalmenometàdelcervellodiCortés,era lei:eranodue le testeche guidavano la spedizionespagnola;ildisegnodellaConquistanasceva dall'unione d'una maestosaprincipessa della nostra terra e d'unpiccolouomopallidoepeloso.Forseerapossibile-iolavedevopossibile

-unanuovaera incui si saldasserole qualità degli invasori - che iocredevo divine - e la nostra civiltàtanto più ordinata e raffinata. Forsesaremmostatinoiarisucchiarli,contutte le loro armature i cavalli lespingarde, ad appropriarci dei loropoteristraordinari,afarsedereilorodeialbanchettodeinostridei…IO-Così v'illudevate, Montezuma, perrifiutarvi di vedere le sbarre dellavostra prigione! Eppure, sapevateche c'era un'altra via: quella diresistere,dibattervi,disopraffareglispagnoli.Eraquesta laviasceltadavostro nipote, che aveva ordito unacongiuraperliberarvi…evoil'avete

tradito, avete prestato agli spagnoliquelcherestavadellavostraautoritàpersoffocarelaribellionedelvostropopolo… Eppure Cortés in quelmomento aveva con sé soltantoquattrocento uomini, isolati in uncontinentesconosciuto,epergiuntaerainrottaconlestesseautoritàdelsuo governo d'oltremare… Certo,perCortésocontroCortés, la flottae l'armatadiSpagna,dell'ImperodiCarlo Quinto, incombevano sulNuovo Continente… Era il lorointervento che temevate? Già virendevate conto che il rapporto diforze era schiacciante, che la sfidaall'Europa era disperata?

MONTEZUMA - Sapevo che noneravamo uguali, ma non come dicitu, uomo bianco, non era pesabile,misurabile la diversità che mifermava…Noneracomequandotradue tribù dell'altopiano - oppure tradue nazioni del vostro continente -unavuoledominaresull'altra,edèilcoraggio e la forza nel combattereche decidono le sorti. Per battersiconunnemicobisognamuoversinelsuo stesso spazio, esistere nel suostessotempo.Enoiciscrutavamodadimensioni diverse, senza sfiorarci.Quando lo ricevetti per la primavolta,Cortés,violandotuttelesacreregole,mi abbracciò. I sacerdoti e i

dignitaridellamiacortesicoprironoil viso per lo scandalo. Ma a mesembra che i nostri corpi non sisiano toccati. Non perché la miacarica mi poneva al di là d'ognicontatto estraneo, ma perchéappartenevamoaduemondichenons'erano mai incontrati né potevanoincontrarsi.IO-ReMontezuma,eraquello il primo vero incontrodell'Europa con gli altri. Il NuovoMondo era stato scoperto daColombomenoditrent'anniprima,efin'allora s'era trattato solo d'isoletropicali, villaggi di capanne…Adesso era la prima spedizionecoloniale d'un esercito di bianchi

che incontrava non i famosi"selvaggi"chesopravvivonodall'etàdell'oro della preistoria, ma unaciviltà complessa e doviziosa. Ed èstatoproprio inquelprimo incontrotrailnostromondoeilvostro-dicoil vostro mondo come esempiod'ognialtromondopossibile-cheèavvenuto qualcosa d'irreparabile. Equesto che mi domando, chedomando a voi, re Montezuma. Difronte all'imprevedibile, avetedimostrato prudenza, ma ancheincertezza, remissività. E non avetecertoevitatocosìalvostropopoloealla vostra terra le stragi, la rovinache si perpetua attraverso i secoli.

Forse bastava che vi foste opposticon risolutezza a quei primiconquistatori perché il rapporto tramondi diversi si stabilisse su altrebasi, avesse un altro seguito. Forsegli europei, ammoniti dalla vostraresistenza, si sarebbero fatti piùprudenti e rispettosi. Forse eravateancora in tempo per estirpare dalleteste europee la piantamaligna chestava appena spuntando: laconvinzione d'aver diritto didistruggere tutto ciò che è diverso,di saccheggiare le ricchezze delmondo,d'espanderesuicontinentilamacchia uniforme d'una tristemiseria. Allora la storia del mondo

avrebbepresounaltrocorso,capite,reMontezuma,capisci,Montezuma,quel che ti dice un europeo d'oggi,che sta vivendo la fine d'unasupremaziaincuitantestraordinarieenergie sono state volte almale, incui tuttociòcheabbiamopensatoecompiutoconvintichefosseunbeneuniversale porta il marchio d'unalimitazione…Rispondiachisisentecome te vittima e come teresponsabile… MONTEZUMA -Anchetuparlicomestessileggendounlibrogiàscritto.Pernoi,allora,discritto non c'era che il libro deinostri dei, le profezie che sipotevano leggere in cento modi.

Tutto era da decifrare, ogni fattonuovo dovevamo per prima cosainserirlo nell'ordine che sostiene ilmondoefuoridalqualenullaesiste.Ogninostrogesto eraunadomandacheaspettavaunarisposta.Eperchéognirispostaavesseunacontroprovasicura io dovevo formulare le miedomande induemaniere:una inunsenso e l'altra in senso contrarioDomandavo con la guerra edomandavo con la pace. Per questoero alla testa del popolo cheresisteva ed ero nello stesso tempoal fianco di Cortés che losottomettevacrudelmente.Dici chenon ci siamo battuti? La città di

Messico si è ribellata agli spagnoli;piovevano sassi e frecce da ognitetto.Estatoalloracheimieisudditim'hanno ucciso a colpi di pietra,quando Cortés mi mandò arabbonirli. Poi gli spagnoliricevettero rinforzi; gli insortifurono massacrati; la nostra cittàimpareggiabile fu distrutta. Larisposta di quel libro che andavodecifrando è stata: no. Per questovedi la mia ombra che si aggiracurvatraquesterovine,daallora.IO- Ma anche per gli spagnoli voieravate gli altri, i diversi, gliincomprensibili, gli inimmaginabili.Anche gli spagnoli dovevano

decifrarvi. MONTEZUMA - Voi viappropriate delle cose; l'ordine cheregge il vostro mondo è quellodell'appropriazione; tuttoquello cheavevate da capire era che noipossedevamounacosapervoidegnad'appropriazione più d'ogni altra eche per noi era solo una materiagraziosa per monili e ornamenti:l'oro. I vostri occhi cercavano oro,oro, oro; i vostri pensieri giravanocome avvoltoi attorno a quell'unicooggettodi desiderio.Pernoi invecel'ordine del mondo consisteva neldonare. Donare perché i doni deglidei continuinoa colmarci, perché ilsole continui a levarsi ognimattino

abbeverandosi del sangue chesgorga… IO - Il sangue,Montezuma! Non osavo parlartene,eseituchelonomini,ilsanguedeisacrifici umani MONTEZUMAAncora… ancora… Perché voiinvece, facciamo il conto, facciamoil conto delle vittime della vostraciviltàedellanostra…IO-No,no,Montezuma, l'argomentononregge,saichenonsonoquipergiustificareCortés e i suoi, non sarò certo io asminuireidelittichelanostraciviltàha commesso e continua acommettere, ma ora è della vostraciviltà che stiamo parlando! Queigiovani stesi sull'altare, i coltelli di

pietra che sfracellano il cuore, ilsangue che zampilla tutt'intorno…MONTEZUMA--Eallora?Eallora?Gli uomini d ogni tempo e d'ogniluogos'affannanoconunsoloscopo:tenere insieme ilmondoperchénonsi sfasci. Solo la maniera varia.Nelle nostre città tutte laghi egiardini quel sacrificio del sangueera necessario, come zappare laterra, come incanalare l'acqua deifiumi.Nellevostrecittàtutteruoteegabbielavistadelsangueèorrenda,loso.Maquantepiùvitestritolanoivostriingranaggi!IO - D'accordo, ogni cultura vacompresa dal suo interno, questo

l'ho capito,Montezuma, non siamopiùai tempidellaConquistachehadistrutto i vostri templi e i vostrigiardini. So che la vostra culturasotto molti aspetti era un modello,ma allo stesso modo vorrei che turiconoscessiisuoiaspettimostruosi:cheiprigionieridiguerradovesseroseguirequellasorte…MONTEZUMA - Che bisognoavremmoavuto,altrimenti,difareleguerre? Le nostre guerre eranogentili e festose, un gioco, inconfrontoconlevostre.Maungiococonunoscoponecessario:stabilireachi toccasse coricarsi supinosull'altarenellefestedelsacrificioe

offrireilpettoalcoltellod'ossidianabrandito dal Gran Sacrificatore. Aciascunopotevatoccarequellasorte,perilbeneditutti.Levostreguerreacosaservono?Lemotivazionichetirate fuori ogni volta sono pretestibanali: le conquiste, l'oro. IO -Oppure il non lasciarci dominaredagli altri, il non fare la fine cheavete fatto voi con gli spagnoli! Sevoi aveste ucciso gli uomini diCortés, dirò di più, sta' a sentirebenequellochetidico,Montezuma,se li aveste sgozzati a uno a unosull'altare dei sacrifici, ebbene inquestocasoavreicapito,perchéerainquestionelavostrasopravvivenza

come popolo, come continuitàstorica…MONTEZUMA - Vedi come ticontraddici, uomo bianco?Ucciderli…Iovolevo farequalcosadi più importante ancora: pensarli.Seriuscivoapensareglispagnoli,afarli entrare nell'ordine dei mieipensieri, a essere sicuro della lorovera essenza, dei o demonimaligninon importa, o esseri come noisoggettiavoleridiviniodemoniaci,insomma a farne - da inconcepibiliche erano - qualcosa su cui ilpensiero potesse fermarsi e farpresa, allora, solo allora, avreipotuto farmene degli alleati o dei

nemici, riconoscerli comepersecutoriocomevittime.IO-PerCortés tutto era chiaro, invece.Questiproblemiluinonseliponeva.Sapevaquelchevoleva,lospagnolo.MONTEZUMA - Per lui era comeper me. La vera vittoria che sisforzava d'ottenere su di me eraquella:pensarmi.IO-Ec'èriuscito?MONTEZUMA-No.Puòsembrarecheabbiafattodime quel che ha voluto: m'haingannato molte volte, hasaccheggiato i miei tesori, ha usatola mia autorità come scudo, m'hamandato amorire lapidato daimieisudditi:manonèriuscitoadavermi.

Ciòche ioeroè rimasto fuoridallaportata dei suoi pensieri,irraggiungibile.Lasuaragionenonèriuscita ad avvolgere nella sua retelamia ragione.E per questo che tutorni a incontrarmi tra le rovinedelmioimpero-deivostriimperi.Eperquesto che vieni a interrogarmi.Dopoquattro secoli e piùdallamiasconfitta, non siete più sicurid'avermivinto.Le vere guerre e le vere paci nonavvengonosullaterramatraglidei.IO -Montezuma, ormai m'haispiegato perché era impossibile chevoi vinceste. La guerra tra gli deivuoldire chedietrogli avventurieri

diCortésc'era l'ideadell'Occidente,la storia che non si ferma, cheavanza inglobando leciviltàpercuilastorias'èfermata.MONTEZUMA-Anche tu sovrapponi i tuoi dei aifatti.Che cos'è questo che tu chiami lastoria? Forse è solo la mancanzad'un equilibrio. Mentre dove laconvivenza degli uomini trova unequilibrio duraturo, là dici che lastoria s'è fermata. Se con la vostrastoria foste riusciti a rendervimenoschiavi, ora non verresti arimproverare me di non avervifermato in tempo. Cosa cerchi dame?Tiseiaccortodinonsaperepiù

cos'è, la vostra storia, e ti chiedi senon poteva avere un altro corso. Esecondo te, quest'altro corso avreidovuto darglielo io, alla storia. Ecome?Mettendomiapensareconlavostra testa? Anche voi avetebisogno di classificare sotto i nomidei vostri dei ogni cosa nuova chesconvolge i vostri orizzonti, e nonsietemaisicurichesianoverideiospiriti maligni, e non tardate acaderne prigionieri. Le leggi delleforze materiali vi appaiono chiare,ma non per questo cessated'aspettare che dietro ad esse vi siriveli il disegno del destino delmondo.Sì,èvero,inquell'iniziodel

vostro Sedicesimo Secolo forse lasorte delmondo non era decisa.Lavostraciviltàdelmotoperpetuononsapevaancoradovestavaandando-comeogginonsapiùdoveandare-e noi, la civiltà della permanenza edell'equilibrio, potevamo ancorainglobarlanellanostraarmonia.IO-Eratardi!AvrestedovutoesserevoiAztechiasbarcarepressoSiviglia,ainvaderel'Estremadura!Lastoriahaun senso che non si può cambiare!MONTEZUMA - Un senso che glivuoi imporre tu, uomo bianco!Altrimentiilmondosisfasciasottoituoipiedi.Anch'ioavevounmondochemi reggeva, unmondo chenon

era il tuo. Anch'io volevo che ilsenso di tutto non si perdesse. IO -So perché ci tenevi. Perché se ilsenso del tuo mondo si perdeva,allora anche le montagne di teschiaccatastate negli ossari dei templinonavrebberoavutopiùsenso,e lapietra degli altari sarebbe diventataunbancodimacellaio imbrattatodisangue umano innocente!MONTEZUMA - Così oggi guardiletuecarneficine,uomobianco.

PrimachetudicaPronto

Spero che tu sia rimasta accanto altelefono, che se qualcun altro tichiama lo preghi di riagganciaresubito in modo da tener libera lalinea:saicheunamiachiamatapuòraggiungerti da un momentoall'altro.Giàtrevoltehocompostoiltuo numero ma il mio richiamo s'èperso negli ingorghi del circuito,non so se ancora qui, nella città dacuitistochiamando,olaggiù,nellarete della tua città. Dappertutto lelineesonocariche.Tuttal'Europastatelefonando a tutta l'Europa. Sonopassate poche ore da quando misonoaccomiatatodate,infrettaein

furia;ilviaggioèsemprelostesso,elo compio ogni voltamacchinalmente,comeintrance:untaxichem'aspettainstrada,unaereoche m'aspetta all'aeroporto, un'autodella ditta che m'aspetta a un altroaeroporto, ed eccomi qui, a moltecentinaia di chilometri da te. Ilmomentochecontapermeèquesto:hoappenaposato levaligie,nonmisonoancora tolto il soprabito, egiàstacco il ricevitore, compongo ilprefisso della tua città, poi il tuonumero. Il mio dito accompagnaogni cifra lentamente fino al dented'arresto del disco, mi concentronella pressione del polpastrello

come se da essa dipendes sel'esattezza del percorso che ogniimpulso deve imbroccare attraversouna serie di passaggi obbligatidistantissimitraloroedanoi,finoascatenare la suoneria al tuocapezzale. E raro che l'operazioneriescaalprimocolpo:nonsoquantodureranno le fatiche dell'indiceinchiodato alla ruota, le incertezzedell'orecchio incollato alla buiaconchiglia. Per dominarel'impazienza ricordo il tempo nonlontanoincuispettavaalleinvisibilivestali della centrale il compito diassicurare la continuità di questofragile flusso di scintille, di

combattereinvisibilibattagliecontrofortezze invisibili: ogni pulsioneinteriore che mi spingeva acomunicare era mediataprocrastinata filtrata da unaprocedura anonima e scoraggiante.Ora che una rete di connessioniautomatiche s'estende su intericontinenti e ogni utente puòchiamare immediatamente ogniutente senza chiedere aiuto anessuno, questa straordinaria libertàdevo rassegnarmi a pagarla condispendio di energia nervosa,ripetizione di gesti, tempi morti,frustrazioni crescenti. (A pagarlaanche a suono d'unità a peso d'oro,

ma tra l'atto del telefonare el'esperienzadellecrudeli tariffenonc'è una relazione diretta: le bollettearrivano dopo un trimestre, lasingola interurbana automatica èannegata in una cifra globale cheprovoca lo sbalordimento dellecatastrofi naturali contro le quali lanostra volontà trova subito l'alibidell'inevitabile.) La facilità ditelefonarecostituisceunatentazionetale che telefonare diventa semprepiù difficile, per non direimpossibile.Tuttitelefonanoatuttiatutte le ore, e nessuno riesce aparlare a nessuno, gli appellicontinuano a vagare su e giù per i

circuiti di ricerca automatica, asbatacchiare le ali come farfalleimpazzite, senza riuscire a infilarsiin una linea libera, ogni utentecontinua a mitragliare numeri neiregistratoriconvintochesitrattisolod'una panne momentanea e locale.Vero è che il più gran numero dichiamate si fanno senza avernienteda dire, quindi l'ottenere o no lacomunicazione non ha grandeimportanza, e danneggia tutt'al piùqueipochicheavrebberoveramentedadirsiqualcosa.Certononèquestoil mio caso. Se ho tanta fretta ditelefonartidopopocheored'assenza,nonèperchémisiarimastodadirti

qualcosa d'indispensabile, né è lanostraintimitàinterrottaalmomentodella partenza che sono impazientediristabilire.Seprovassiasostenerequalcosa di simile, subitom'apparirebbe il tuo sorrisosarcastico,osentireilatuavocechecon tutta freddezza mi dà delbugiardo. Hai ragione: le ore cheprecedono le mie partenze sonopiene di silenzi e disagio tra noi;finchérestoaltuofiancoladistanzaèincolmabile.Ma è proprio per questo che nonvedo l'ora di chiamarti: perché soloin una telefonata interurbana, omeglio internazionale, possiamo

sperarediraggiungerequelmododistare che viene definito di solitocomestareinsieme.Equestoilveromotivo del mio viaggio, di tutti imieicontinuispostamentisullacartageografica, dico la giustificazionesegreta, quella che do a me stesso,senza la quale i miei obblighiprofessionali d'ispettore agli affarieuropei d'una impresamultinazionale mi sembrerebberouna routine senza senso: parto perpoterti telefona re ogni giorno,perchéiosonosemprestatoperteetu sei sempre stata per me l'altrocapo d'un filo, anzi d'un cavoconduttore coassiale in rame, l'altro

polo d'una sottile corrente afrequenza modulata che scorre nelsottosuolo dei continenti e suifondali oceanici. E quando non c'ètra noi questo filo a stabilire ilcontatto, quando è la nostra opacapresenza fisica aoccupare il camposensorio,subitotuttotranoidiventarisaputo superfluo automatico, gestiparole espressioni del viso reazionireciproche di gradimento od'insofferenza, tutto quello che uncontatto diretto può trasmettere tradue persone e che in quanto tale sipuòanchedirechevengatrasmessoe ricevuto perfettamente, sempretenendo conto dell'attrezzatura

rudimentale di cui gli esseri umanidispongonopercomunicaretraloro;insommalanostrapresenzasaràunabellissimacosaperentrambimanonsi può certo paragonare con lafrequenza di vibrazioni che passaattraverso la commutazioneelettronica delle grandi retitelefoniche e con l'intensitàd'emozionicheessapuòsuscitareinnoi.Leemozionisonotantopiùfortiquanto più il rapporto è precarioazzardoso insicuro. Ciò che non cisoddisfa dei nostri rapporti quandosiamo vicini, non è che vadanomale, ma al contrario, che vadanocomedevonoandare.Mentreorami

ritrovo col fiato sospesocontinuando a sgranare la serie dicifre nel disco rotante, ad aspirarecon l'orecchio i fantasmi di suoniche affiorano dal ricevitore: untamburellìo di occupato come insecondo piano, così vago da farsperare che sia un'interferenzafortuita, qualcosa che non ciriguarda; oppure uno smorzatosfrigolìo di scariche che potrebbeannunciare il successo d'unacomplicata operazione o almenod'una sua fase intermedia, o ancoralo spietato silenzio del vuoto e delbuio. In qualche inidentificabilepuntodel circuito ilmio appello ha

perduto la strada.Staccoe riprendola linea, riprovo con raddoppiatalentezza le prime cifre del prefissoche servono solo a trovare una viad'uscitadallareteurbanaepoidallarete nazionale. In alcuni paesi aquesto punto una tonalità specialeavvertechequestaprimaoperazioneèandataabuonfine;senonsisenteronzare una musichetta è inutilesnocciolare altre cifre: bisognaaspettare che una linea si sblocchi.Da noi alle volte è un brevissimofischiochesifasentireallafinedelprefisso,oametà:manonpertuttiiprefissi e non in tutti i casi.Insomma,chequelfischiettinosisia

sentito o no non dà nessunacertezza: emesso il segnale di vialibera la linea può restare sorda omorta, oppure rivelarsiinaspettatamente attiva senz'averdato prima alcun segno di vita.Convieneperciònonscoraggiarsi innessun caso, comporre il numerofino all'ultima cifra e aspettare.Quando non succeda che il segnaled'occupato esploda a metà delnumero, ad avvertire che è faticasprecata. Meglio così d'altronde:posso riagganciare subitorisparmiando una nuova inutileattesa, e ritentare. Ma il più dellevolte, dopo essermi lanciato nella

snervante impresa di marcare unadozzina di cifre nelle rotazioni deldisco,restosenzanotiziesuirisultatidella mia fatica. Dove starànavigando, in questo momento, ilmioappello?Saràancora fermonelregistratore della centrale dipartenza, aspettando il suo turno incodaconaltrechiamate?Saràstatogiàtradottoincomandiaiselettori,divisoingruppidicifrechesisguinzaglianoacercarel'imboccodellesuccessivecentralidi transito?O è volato senza sfiorare ostacolifino alla retedella tua città, del tuoquartiere, ed è rimasto li impigliatocome una mosca in una ragnatela

protendendosi verso il tuo telefonoirraggiungibile? Dall'auricolare nonmivienenessunanotizia,enonsosedevodarmipervintoeriagganciare,osetutt'auntrattounalievescaricafrusciante m'avvertirà che il miorichiamo ha trovato via libera, èpartitocomeunafrecciae trapochisecondi risveglierà come un eco ilsegnale della tua suoneria. E inquestosilenziodeicircuitichetistoparlando. So bene che, quandofinalmentelenostrevociriuscirannoaincontrarsisulfilo,cidiremodellefrasigenericheemonche;nonèperdirti qualcosa che ti sto chiamando,né perché creda che tu abbia da

dirmiqualcosa.Ci telefoniamo perché solo nelchiamarcialungadistanza,inquestocercarci a tentoni attraverso cavi dirame sepolti, relais ingarbugliati,vorticare di spazzole di selettoriintasati, in questo scandagliare ilsilenzio e attendere il ritorno d'uneco, si perpetua il primo richiamodella lontananza, il gridodiquandola prima grande crepa della derivadeicontinentis'èapertasottoipiedid'una coppia d'esseri umani e gliabissidell'oceanosi sonospalancatiasepararlimentrel'unosuunarivael'altra sull'altra trascinatiprecipitosamente lontano cercavano

col loro grido di tendere un pontesonorocheancoralitenesseinsiemee che si faceva sempre più flebilefinché il rombo delle onde non lotravolgevasenzasperanza.Daallorala distanza è l'ordito che regge latrama d'ogni storia d'amore comed'ogni rapporto tra viventi, ladistanza che gli uccelli cercano dicolmare lanciando nell'aria delmattino le arcate sottili dei lorogorgheggi, cosi come noi lanciandonelle nervature della terrasventagliate d'impulsi elettricitraducibiliincomandiperisistemiarelais: solo modo che resta agliesseriumanidisaperechesistanno

chiamando per il bisogno dichiamarsi e basta. Certo gli uccellinon hanno da dirsi molto di più diquellochehodadirtiio,cheinsistoad annaspare col dito nella ruotamacinanumeri, sperando che unoscattopiùfortunatodeglialtrifacciasquillareiltuocampanello.Comeunboscoassordatodal cinguettiodegliuccelli, il nostro pianeta telefonicovibra di conversazioni realizzate otentate, di trilli di suonerie, deltinnire d'una linea interrotta, delsibilo d'un segnale, di tonalità, dimetronomi; e il risultato di tuttoquesto è un pigolio universale, chenasce dal bisogno d'ogni individuo

di manifestare a qualcun altro lapropria esistenza, e dalla paura dicomprendereallafinechesoloesistelaretetelefonica,mentrechichiamae chi risponde forse non esistonoaffatto. Ho sbagliato ancora unavolta il prefisso, dalle profonditàdella rete m'arriva una specie dicanto d'uccelli, poi brandelli diconversazionialtrui,poiundiscoinuna lingua straniera che ripete ilnumero da voi chiamato non èattribuito attualmente. Alla finel'incalzanteoccupatosopraggiungeachiudere ogni spiraglio. Mi chiedose anche tu in questomomento staitentando di chiamarmi e inciampi

negli stessi ostacoli, annaspi allacieca, ti perdi nello stesso labirintospinoso. Sto parlando come mai tiparlerei se tu fossi in ascolto; ognivolta che abbasso il tastocancellandolafragilesuccessionedinumeri cancello pure ogni cosa cheho detto o pensato come in undelirio: è in questo cercarci ansiosoinsicuro frenetico il principio e ilfine di tutto; mai sapremo l'unodell'altro più di questo fruscìo ches'allontanaesiperdeperilfilo.Unavana tensione dell'orecchioconcentra la carica delle passioni, ifuroridell'amoreedell'odio,qualiiodurante la mia carriera di quadro

d'unagrandecompagniafinanziaria,nelle mie giornate regolate da unprecisoimpiegodel tempo-nonhomai avuto agio di sperimentare senoninmodosuperficialeedistratto.E chiaro che ottenere lacomunicazione a quest'ora èimpossibile.Meglio arrendermi,mase rinuncio a parlare con te devosubito tornare ad affrontare iltelefono come uno strumentocompletamente diverso, comeun'altra parte di me stesso cuicorrispondonoaltrefunzioni:c'èunaserie d'appuntamenti d'affari inquesta città che devo confermared'urgenza, devo staccare il circuito

mentale che mi collega con te einserirmi in quello che corrispondealle mie ispezioni periodiche alledittecontrollatedalmiogruppooapartecipazione incrociata; cioèdevooperare una commutazione non neltelefono ma in me stesso, nel mioatteggiamento verso il telefono.Prima voglio fare un ultimotentativo, ripeterò ancora una voltaquellasequenzadinumericheormaitiene il posto del tuo nome, del tuoviso,dite.Seva,va;seno,smetto.Intanto posso continuare a pensarecose che non ti dirò mai, pensieriindirizzati al telefono più che a te,che riguardano il rapporto che ho

con te attraverso il telefono, anzi ilrapporto che ho col telefono colpretestodite.Nel ruotare di pensieri cheaccompagnano il ruotare di lontanicongegni mi si presentano visid'altre destinatarie d'interurbane,vibrano voci di timbro diverso, ildisco combina e scompone accenti,atteggiamenti e umori, ma nonriesco a fissare l'immagine d'unainterlocutrice ideale per la miasmania di collegamenti a lungadistanza. Tutto comincia aconfondersinellamiamente:ivisi,inomi,levoci,inumerid'Anversa,diZurigo, d'Amburgo. Non che io mi

aspettidaunnumeroqualcosadipiùchedaunaltro:néperlaprobabilitàd'ottenere la comunicazione, né perquello che - una volta ottenuto ilnumeropotreidireosentire.Maciònon mi dissuade dall'insistere neitentativi di stabilireun contatto conAnversa o Zurigo od Amburgo oquale altra città sia la tua: già l'hodimenticato nella giostra di numerichevadoalternandodaun'orasenzafortuna.Cisonocoseche,senzachela mia voce ti giunga, sento ilbisognodidirti:enonimportasemistorivolgendoated'Anversa,oatedi Zurigo, o a te d'Amburgo. Sappiche il momento del mio vero

incontro con te non è quando, adAnversa,oaZurigo,oadAmburgo,ti ritrovo alla sera dopo le mieriunioni d'affari; quello è solol'aspetto scontato, inevitabile delnostro rapporto: gli screzi, lericonciliazioni, i rancori, i ritornidifiamma; in ogni città e con ogniinterlocutrice si ripete il rituale chemi è consueto con te. Così come èunnumerodiGoteborg,odiBilbao,o di Marsiglia, quello chespasmodicamente chiamerò(cercherò di chiamare) appena saròdi ritorno nella tua città, primaancorachetusappiadelmioarrivo:unnumerocheoramisarebbefacile

raggiungere con una telefonataurbanaquinellaretediGoteborg,odi Bilbao, o di Marsiglia (non miricordo più dove sono). Ma non èconquelnumerochevoglioparlareora;èconte.Eccoquelloche-datoche non puoi sentirmi ti dico. Daun'ora provo a turno a una serie dinumeri tutti imprendibili quanto iltuo, a Casablanca, a Salonicco, aVaduz:midispiacecherestiatetutteadaspettarmiaccantoal telefono; ilservizio si va facendo semprepeggiore.AppenasentiròunadivoidireAllò!dovròstareattentoanonsbagliarmi,ricordarmi a chi di voi corrisponde

l'ultimo numero che ho chiamato.Riconoscerò ancora le voci? E datanto che aspetto ascoltando ilsilenzio. Tanto vale dirvelo ormai,dirlo a te ed a tutte voi, visto chenessunodeivostritelefonirisponde:ilmiograndeprogettoètrasformarel'intera rete mondiale inun'estensione di me stesso chepropaghi ed attragga vibrazioniamorose, usare questo apparecchiocome un organo della mia personaper mezzo del quale consumare unamplessocontuttoilpianeta.Stoperriuscirci.Aspettateaccantoaivostriapparecchi. Dico anche a voi, aKyoto, a Sao Paulo, a Riad!

Purtroppo ora il mio telefonocontinua a dare occupato anche seaggancioesollevo,anchesebattoiltastodellaforcella.Eccoadessononsi sente addirittura più nulla, sidirebbe che sono tagliato fuori daqualsiasilinea.Statecalme.Dev'essere una panne momentanea.Aspettate.

Laglaciazione

Con ghiaccio? Si? Vado unmomento in cucina a prendere ilghiaccio.Esubitolaparolaghiacciosi dilata tra lei e me, ci separa, oforse ci unisce, ma come la fragilelastra che unisce le rive d'un lagogelato.Sec'èunacosachedetestoèpreparare il ghiaccio. Mi obbliga ainterrompere la conversazioneappena avviata, nel momentocruciale incui ledomando: tiversounpo'diwhisky?elei:grazie,dice,appena tanto così, e io: conghiaccio? E già mi inoltro verso lacucina come verso l'esilio, già mivedo lottare coi cubetti di ghiaccio

che non si staccano dalla bacinella.Figurati, dico, è questione d'unattimo, anch'io prendo sempre ilwhisky con ghiaccio. E vero, iltintinnio del bicchiere mi facompagnia, mi separa dal chiassodeglialtri,nellefesteincuic'ètantagente, m'impedisce di perdermi nelfluttuaredellevociedeisuoni,quelfluttuare da cui lei s'è staccataquandoèapparsaperlaprimavoltanel mio campo visuale, nelcannocchiale rovesciato del miobicchiere da whisky, i suoi colorivenivano avanti per quel corridoiotra due stanze piene di fumo e dimusicaatuttovolume,eiorestavoli

colmiobicchieresenzaandarenédiquanédi là,eanchelei,mivedevain un'ombra deformata attraverso latrasparenza del vetro del ghiacciodel whisky, lei non so se sentivaquello che io ledicevoperchéc'eratutto quel chiasso o anche perchéforsenonavevoparlato,avevosolomosso il bicchiere e il ghiaccioondeggiandoavevafattodiindiin,eancheleihadettoqualcosanellasuacampanella di vetro e di ghiaccio,ancora non m'immaginavo di certoche sarebbe venuta a casa miaquesta sera. Apro il freezer, no,chiudoilfreezer,primadevocercareil secchiello. Abbi pazienza un

momento, sono subito di ritorno. Ilfreezer è una caverna polare,stillantedi ghiaccioli, labacinella èsaldata da una crosta di gelo allalamiera,lastrappoconsforzo,conipolpastrelli che diventano bianchi.Nell'igloo la sposa esquimeseattende il cacciatore di fochesperduto sul pack. Ora basta unaleggerapressioneperché icubetti siseparino dalle pareti dei loroscompartimenti: invece niente, è unblocco compatto, anche se rovesciola bacinella non cascano, la mettosottoilrubinettodellavandino,aprol'acqua calda, il getto sfrigola sullalamiera incrostata di brina, le mie

ditadabianchediventano rosse.Misono bagnato un polsino dellacamicia, questo è molto fastidioso,se c'è una cosa che detesto èsentirmi attorno al polso la telabagnata appiccicata informe. Mettiundiscointanto,iovengosubitocolghiaccio, mi senti? Non mi sentefinché non chiudo il rubinetto, c'èsempre qualcosa che impedisce disentirci e vederci. Anche in quelcorridoio, parlava attraverso icapelli che le coprivanometà dellafaccia,parlavasull'orlodelbicchiereesentivoridereidentisulvetro,sulghiaccio, ripeteva: glacia-zione?come se di tutto il discorso che le

avevo fatto le fosse arrivata soloquellaparola,anch'ioavevoicapellispioventi sugli occhi e parlavo nelghiaccio che si scioglievalentissimo. Batto il bordo dellabacinella contro il bordo dellavandino,sistaccasolouncubetto,cade fuori dal lavandino, farà unapozza sul pavimento, devoraccoglierlo, è andato a finire sottola credenza, devo inginocchiarmi,allungare una mano là sotto, miscivola tra le dita, ecco che l'hopresoelobuttonellavandino,tornoapassarelabacinellacapovoltasottoil rubinetto. Ero io che le avevoparlatodellagrandeglaciazioneche

sta per tornare a coprire la terra,tutta la storia umana s'è svoltanell'intervallotradueglaciazionicheora sta per finire, i raggi intirizzitidel sole riescono appena araggiungere la crosta terrestreluccicantedibrina,igranidelmaltoaccumulano la forza solare primache si disperda e tornano a farlafluirenella fermentazionedell'alcol,in fondo al bicchiere ancora il solecombatte la sua guerra coi ghiacci,nel curvo orizzonte del maelstromruotano gli icebergs. D'improvvisotre quattro pezzi di ghiaccio sistaccano e cascano nel lavandino,prima che io faccia a tempo a

rivoltare la bacinella sono tutticrollati giù tambureggiando controlozinco.Annasponellavandinoperacchiapparli e metterli nelsecchiello,adessonondistinguopiùil pezzetto che s'era sporcatocadendo per terra, per recuperarlituttièmeglio lavarliunpo'unoperuno, con l'acqua calda, no, con lafredda,già si stanno sciogliendo, infondo al secchiello si forma unlaghetto nevoso. Alla deriva delmarearticogli icebergs formanounbianco ricamo lungo la correntedelgolfo,lasuperano,avanzanoversoitropici come un branco di cignigiganti, ostruiscono l'imbocco dei

porti,risalgonogliestuarideifiumi,alti come grattacieli infilano i lorosperoni taglienti tra i grattacielistridendocontroleparetidivetro.Ilsilenzio della notte boreale èpercorsodalrombodeicrepacciches'aprono inghiottendo interemetropoli, poi da un fruscio dislavine che attutiscono smorzanoovattano. Chissà cosa stacombinandoleidilà,cosisilenziosa,non dà segno di vita, poteva benvenireadarmiunamano,benedettaragazza, nemmeno le è venuto inmentedidirmi:vuoichetiaiuti?Perfortunaadessohofinito,miasciugolemaniconquestopannodacucina,

ma non vorrei che mi restassel'odoredipannodacucina,èmegliochemilavilemanidinuovo,adessodove mi asciugo? Il problema è sel'energia solare accumulata nellacrosta terrestre basterà a mantenereil calore dei corpi durante laprossima era glaciale, il caloresolare dell'alcol dell'igloo dellasposaesquimese.Eccoora tornodalei e potremo bere il nostrowhiskytranquilli. Vedi cosa faceva li, zittazitta?S'è tolta i vestiti, è nuda sul divanodicuoio.Vorreiavanzareversodileima la stanza è stata invasa daighiacci: cristalli d'un bianco

abbagliantesisonoammucchiatisultappeto, sui mobili; stalattiti translucide pendono dal soffitto, sisaldanoincolonnediafane,trameelei si è alzata una lastra verticalecompatta, siamo due corpiprigionieri nello spessoredell'iceberg, riusciamo appena avederci attraverso a un muro tuttospunzoni taglienti che scintilla airaggid'unsolelontano.

Ilrichiamodell'acqua

Avanzo il braccio verso la doccia,poso la mano sulla manopola, lamuovolentamentefacendolaruotareverso sinistra. Mi sono appenasvegliato, ho gli occhi ancora pienidi sonno, ma sono perfettamentecosciente che il gesto che stocompiendo per inaugurare la miagiornataèunattodecisivoesolenne,che mi mette in contatto con lacultura e la natura insieme, conmillenni di civiltà umana e coltravaglio delle ere geologiche chehannodatoformaalpianeta.Quellochechiedoalladocciaèinnanzituttodi confermarmi come padrone

dell'acqua, come appartenente aquella parte dell'umanità che haereditato dagli sforzi di generazionilaprerogativadi chiamare l'acquaasé con la semplice rotazione d'unrubinetto, come detentore delprivilegiodivivereinunsecoloeinun luogo in cui si può godere inqualsiasi momento della piùgenerosa profusione d'acquelimpide. E so che perché questomiracolo si ripeta ogni giorno deveverificarsi una serie di condizionicomplesse, per cui l'apertura d'unrubinetto non può essere un gestodistratto e automatico, ma richiedeuna concentrazione, una

partecipazioneinteriore.Eccochealmio richiamo l'acqua sale per letubature,premeneisifoni,sollevaeabbassa i galleggianti che regolanol'afflusso nelle vasche, appena unadifferenza di pressione l'attrae làaccorre, propaga il suo appelloattraverso gli allacciamenti, sidirama per la rete dei collettori,scolma e ricolma i serbatoi, premecontroledighedeibacini,scorredaifiltri dei depuratori, avanza lungotuttoilfrontedellecondutturechelaconvogliano verso la città, dopoaverla raccolta e accumulata in unafase del suo ciclo senza fine, forsestillatadallebocchedeighiacciaigiù

per scoscesi torrenti, forse aspiratadalle falde sotterranee, sgrondataattraverso le vene della roccia,assorbitadallecrepedelsuolo,scesadal cielo in un fitto sipario di nevepioggia grandine. Mentre con ladestra regolo il miscelatore,protendo la sinistra aperta a concaper buttarmi la prima acquata sugliocchiesvegliarmidefinitivamente,eintanto sento a grande distanza leondetrasparentiefreddeesottilicheaffluiscono verso di me perchilometriechilometrid'acquedottoattraverso pianure valli montagne,sento le ninfe delle fonti che mistannovenendo incontroper le loro

liquide vie, e tra poco qui sotto ladoccia m'avvolgeranno con le lorocarezzefiliformi.Maprimacheunagoccia s'affacci a ogni foro dellarosaesiprolunghi inunostillicidioancora incerto per poi subitotutt'insiemegonfiarsi inunaraggeradi getti vibranti, bisogna sopportarel'attesa d'un intero secondo, unsecondo d'incertezza in cui nullam'assicura che il mondo contengaancoradell'acquaenonsiadiventatoun pianeta secco e pulverulentocome gli altri corpi celesti piùprossimi, o comunque che ci siaacqua abbastanza perché io possariceverla qui nel cavo delle mie

mani, lontano come sono da ognibacino o sorgente, nel cuore diquesta fortezza di cemento ed'asfalto.L'estate scorsaunagrandesiccitàsièabbattutasull'EuropadelNord, le immagini sul videomostravano distese di campidall'aridacrostascrepolata,fiumigiàopulenti che scoprivano conimbarazzo il loro letto in secca,bovini che frugavano col muso nelfango cercando sollievo all'arsura,code di gente con anfore e brocchedavanti a una magra fontana. Micoglie il pensiero che l'abbondanzaincuihodiguazzato finoaoggi siaprecaria e illusoria, che l'acqua

potrebbe tornare a essere un beneraro, trasportato con sforzo, eccol'acquaiolo col bariletto a tracollache lancia il suo richiamo verso lefinestreperchégliassetatiscendanoa comprare un bicchiere della suapreziosa mercanzia. Se or ora unatentazione d'orgoglio titanicom'aveva sfiorato nell'impadronirmidelle leve di comando dellerubinetterie,èbastatoun istanteperfarmi considerare il mio deliriod'onnipotenza come ingiustificabilee fatuo, ed è con trepidazione eumiltàchespiol'arrivodelfiottoches'annuncia su per il tubo in untremitosommesso.

Masefossesolounabollad'ariachepassa nelle condutture vuote? IopensoalSaharacheinesorabilmenteavanza ogni anno di alcunicentimetri, vedo nella caliginetremolare il miraggio verdeggianted'un'oasi, penso alle pianure aridedella Persia drenate da canali sotterranei verso città dalle cupole dimaiolica azzurra, percorse dallecarovanedeinomadi cheogni annodiscendono dal Caspio al GolfoPersico e s'accampano sotto neretendedoveaccoccolataperterraunadonnachereggecoidentiunvelodicoloresgargianteversal'acquaperiltè da un otre di cuoio.Alzo il viso

verso la doccia attendendo che traun secondo gli schizzi mi piovanosulle palpebre semichiuse liberandoilmiosguardoassonnatocheorastaesplorando la rosa di lamieracromatacosparsadiforelliniorlatidicalcare, ed ecco che in essam'appare un paesaggio lunarecrivellato di crateri calcinosi, no,sono i deserti dell'Iran che stoguardando dall'aereo, punteggiati dipiccoli crateri bianchi in fila adistanze regolari, che segnalano ilviaggio dell'acqua nelle conduttureda tremila anni in funzione: i qanatchescorronosotterraneiper trattidicinquantametriecomunicanoconla

superficie attraverso questi pozzidove un uomopuò calarsi, legato auna fune, per la manutenzione delcondotto.Eccoanch'iomiproiettoinquei crateri oscuri, in un orizzontecapovolto mi calo nei fori delladoccia come nei pozzi dei qanatverso l'acqua che corre invisibilecon smorzato fruscio. Una frazionedi secondomibastaper ritrovare lanozione dell'alto e del basso: èdall'alto che l'acqua sta perraggiungermi, dopo un irregolareitinerario in salita. I percorsiartificialidell'acquapressoleciviltàassetate scorrono sottoterra o insuperficie cioè non si differenziano

molto dai percorsi naturali, mentreinvece il gran lusso delle civiltàprodighe di linfa vitale è quello difar vincere all'acqua la forza digravità, di farla salire perché poiricada: ed ecco che si moltiplicanole fontane con giochi d'acqua ezampilli, gli acquedotti dagli altipilastri.Nellearcatedegliacquedottiromani l'imponente lavoro murariofa da sostegno alla leggerezza d'unfiottosospesolàinalto,un'ideacheesprime un paradosso sublime: lamonumentalità più massiccia edurevole al servizio di ciò che èfluidoepasseggeroeinafferrabileediafano.Tendol'orecchioallagabbia

dicorrentisospesechemicircondaesovrasta, alla vibrazione che sipropagaperlaforestadeitubi.Sentosopradime ilcielodell'AgroRomano solcato dalle condutture incimaallearcate in leggerodeclivio,e più su ancora dalle nuvole che ingara con gli acquedotti sollevanoimmense quantità d'acqua in corsa.Il punto d'arrivo dell'acquedotto èsempre la città, la grande spugnafattaperassorbiree irrorare,Ninivee i suoi giardini, Roma e le sueterme.Unacittàtrasparentescorredicontinuo nello spessore compattodellepietreedellacalce,unaretedifili d'acqua fascia lemura e le vie.

Lemetaforesuperficialidefinisconola città comeagglomeratodi pietra,diamante sfaccettato o carbonefuligginoso,ma ognimetropoli puòesserevistaanchecomeunagrandestruttura liquida, uno spaziodelimitato da linee d'acqua verticalie orizzontali, una stratificazione diluoghi soggetti a maree einondazioni e risacche, dove ilgenere umano realizza un ideale divita anfibia che risponde alla suavocazione profonda. O forse è lavocazione profonda dell'acquaquellache lacittà realizza: il salire,lo zampillare, lo scorrere dal bassoverso l'alto. E nella dimensione

dell'altezza che ogni città siriconosce: una Manhattan cheinnalza le sue vasche in vetta aigrattacieli,unaToledochepersecolideve attingere barile su barile dallecorrenti del Tago laggiù in fondo ecaricarlisopraibastideimuli,finoache per la delizia del malinconicoFilippo Il scricchiolandosimette inmotoel'artificiodeJuaneloetravasasu per il dirupo dal fiumeall'Alcazar,miracolodicortadurata,il contenuto di secchi oscillanti.Eccomidunqueprontoadaccoglierel'acqua non come qualcosa che misiadovutonaturalmentemacomeunincontro d'amore la cui libertà e

felicitàèproporzionaleagliostacoliche ha dovuto superare. Per viverein piena confidenza con l'acqua iRomani avevano posto al centrodella loro vita pubblica le terme;oggi per noi questa confidenza è ilcuore della vita privata, qui sottoquestadocciaicuirivolitantevoltehovistoscorreregiùperlatuapelle,naiadenereideondina,ecosiancorati vedo apparire e sparire nellosventagliare degli spruzzi, ora chel'acqua sgorga obbedendo veloce almiorichiamo.

Lospecchio,ilbersaglio

Nellamiagiovinezza,passavooreeore davanti allo specchio a faresmorfie.Nonchelamiafacciamisembrassetanto bella da non farmi stancaremaidiguardarla;alcontrario,nonlapotevosoffrire, lamiafaccia,efaresmorfie mi dava la possibilità diprovare delle facce diverse, facceche apparivano e venivano subitosostituite da altre facce, cosicchépotevo credermi un'altra persona,molte persone d'ogni genere, unafolla d'individui che a turnodiventavano me, cioè io diventavoloro, cioè ognuno di loro diventava

un altro di loro, e io intanto eracome se non ci fossi. Alle voltedopoaverprovatotreoquattrofaccedifferenti, o magari dieci o dodici,mi convincevo cheuna tra tutte eraquellacheiopreferivo,ecercavodifarlariapparire,dimuoveredinuovoi miei lineamenti in modo damodellarli in quella fisionomia chem'era riuscita cosi bene. Macché.Una smorfia, una volta sparita, nonc'era piùmododi riacchiapparla, difarlatornareacoincidereconlamiafaccia. Nell'inseguirla, assumevofacce sempre diverse, faccesconosciute, estranee, ostili, chepareva m'allontanassero sempre di

più da quella faccia perduta.Smettevo di fare smorfie,spaventato, e riappariva la miafacciadisempre,emisembravapiùinsipida che mai. Ma questi mieiesercizi non duravanomai troppo alungo. Accadeva sempre che unavocevenisseariportarmiallarealtà.Fulgenzio!Fulgenzio!Dov'è andatoacacciarsiFulgenzio?Alsolito!Losobenecomepassalegiornatequeldeficiente! Fulgenzio! T'abbiamocolto ancora una volta davanti allospecchio a far smorfie!Freneticamente improvvisavosmorfie di colpevole colto inflagrante, di soldato che si mette

sull'attenti, di bravo bambinoobbediente, di idiota congenito, digangster,d'angioletto,dimostro,unasmorfia dopo l'altra. Fulgenzio,quante volte dobbiamo dirti di nonchiudertiintestesso!Guarda fuori dalle finestre! Vedicome la natura lussureggia verzicastormisce frulla sboccia!Vedicomela città operosa ferve pulsa fremeforgia sforna! E ognuno dei mieifamiliariabracciolevatom'indicavaqualcosa là nel paesaggio, qualcosache secondo loro avrebbe avuto ilpotere d'attrarmi entusiasmarmicomunicarmi l'energia che - sempresecondo loro - mi mancava. Io

guardavo, guardavo, seguivo con losguardo i loro indici puntati, misforzavo d'interessarmi a quel chemiproponevanopadremadrezieziinonnenonnifratellimaggiorisorellemaggiori fratelli e sorelle minoricuginidiprimosecondoterzogradoinsegnanti sorveglianti supplenticompagni di scuola compagni divacanze. Ma nelle cose cosicom'erano non riuscivo a trovarciproprio niente di straordinario.Invece, dietro alle cose forse sinascondevano altre cose, e quelle,quelle si potevano interessarmi,anzi, mi riempivano di curiosità.Ognitantovedevoapparireesparire

qualcosa, o qualcuno, o qualcuna,non facevo in tempo a identificarequeste apparizioni, e subito mislanciavo per inseguirle. Era ilrovescio d'ogni cosa chem'incuriosiva,ilrovesciodellecase,il rovescio dei giardini, il rovesciodellestrade,ilrovesciodellecittà,ilrovescio dei televisori, il rovesciodelle lavastoviglie, il rovescio delmare, il rovescio della luna. Maquando riuscivo a raggiungere ilrovescio, capivo che quello checercavo io era il rovescio delrovescio, anzi il rovescio delrovesciodelrovescio,no;ilrovesciodel rovescio del rovescio…

Fulgenzio,cosafai?Fulgenzio,cosacerchi? Stai cercando qualcuno,Fulgenzio? Io non sapevo cosarispondere.Allevolte, in fondoallospecchio, dietro la mia immagine,misembravadivedereunapresenzache non facevo in tempo aidentificare e subito si nascondeva.Cercavo di scrutare nello specchiononmestessomailmondoallemiespalle: nulla colpiva la miaattenzione. Stavo per volgere losguardo ed ecco la vedevo farcapolino dal lato opposto dellospecchio. La coglievo sempre conl'angolo dell'occhio là dove menom'aspettavo, ma appena cercavo di

fissarla era sparita. Nonostante larapidità dei suoi movimenti questacreatura era fluente e soffice comese nuotasse sott'acqua. Lasciavo lospecchio e mi mettevo a cercare ilpunto dove l'avevo vista sparire. -Ottilia! Ottilia! - la chiamavo,perché quel nome mi piaceva epensavo che una ragazza che mipiaceva non potesse chiamarsialtrimenti. - Ottilia! Dove tinascondi? - Avevo semprel'impressione che fosse vicinissima,lidavanti,no: lidietro,no; ligiratol'angolo, ma arrivavo sempre unsecondodopocheleis'eraspostata.-Ottilia!Ottilia!-Masemiavessero

chiesto: chi è Ottilia? non avreisaputocosadire.Fulgenzio,bisognasaperecosasivuole!FulgenZio,nonsi può essere sempre cosi vago neituoi propositi! Fulgenzio, deviproportiunoscopodaraggiungere-un obiettivo - un traguardo - unbersaglio - devi avanzare fino allameta-deviimpararelalezione,devivincereilconcorso,deviguadagnaretantoerisparmiaretanto!Iopuntavosul punto d'arrivo, concentravo leforze, tendevo la volontà, ma ilpuntod'arrivoeradipartenza,lemieforzeeranoforzecentrifughe,lamiavolontà tendeva solo a distendersi.Ce lamettevo tutta,m'impegnavoa

studiare ilgiapponese,aprendere ildiploma d'astronauta, a vincere ilcampionato di sollevamento pesi, amettere insieme un miliardo inmonetedacento lire.Va'dirittoperla tua strada, Fulgenzio! E ioinciampavo. Fulgenzio, non deviaredalla linea che ti sei tracciato!E iom'impelagavoinzig-zagesuegiù.Superad'unbalzogliostacoli,figliomio! E gli ostacoli mi cadevanoaddosso.Ho finito per scoraggiarmi a talpunto che neanche le smorfie allospecchio mi venivano più in aiuto.Lospecchiononriflettevapiùlamiafaccia e nemmeno l'ombrad'Ottilia,

ma solo una distesa di sassisparpagliati come sulla superficiedella luna. Per rafforzare il miocarattere presi a esercitarmi nel tiroalbersaglio.Imieipensierielemieazioni dovevano diventare come idardi che saettano nell'ariapercorrendo la linea invisibile cheterminainunpuntoesatto,alcentrodi tutti i centri. Però io non avevomira.Imieidardinoncolpivanomaiil segno. Il bersaglio mi parevalontano come un altro mondo, unmondo tutto di linee precise, colorinetti, regolare, geometrico,armonioso.Gliabitantidiquelmondodovevano

faresologestiesatti,scattanti,senzasbavature; per loro dovevanoesistere solo le linee rette, i circolitracciati col compasso, gli angolitirati con la squadra…QuandovidiperlaprimavoltaCorinna,compresiche quel mondo perfetto era fattoper lei, mentre io ne ero ancoraescluso. Corinna tirava all'arco ezviann! zviann! zviann! una frecciadopo l'altra si conficcavano nelcentro. - Sei una campionessa? -Mondiale.Sai tendere l'arco in tantimodi diversi e ogni volta latraiettoria della freccia colpisce ilbersaglio.Come fai? -Tucredi cheiosiaquieilbersagliolà.

No: io sono e qui e là, sono quellachetiraesonoilbersagliocheattiralafreccia,esonolafrecciachevolael'arcochescoccalafreccia.-Noncapisco. - Se diventerai anche tucosi, capirai. - Posso imparareanch'io? -Posso insegnarti. Nellaprima lezione Corinna mi disse: -Perdare al tuo sguardo la fermezzache ti manca devi guardare ilbersaglio a lungo, intensamente.Solo guardarlo, fisso, fino aperdertici dentro, a convincerti chealmondoc'èsoloilbersaglio,echenel centro del centro ci sei tu. Iocontemplavo il bersaglio. La suavistam'avevasemprecomunicatoun

sensodicertezza;maadesso,piùlocontemplavo, più questa certezzalasciava il passo ai dubbi. In certimomenti le zone rosse misembravano in rilievo sulle zoneverdi, in altri momenti vedevo leverdi sopraelevate mentre le rossesprofondavano giù. Dislivellis'aprivano tra le linee, strapiombi,abissi, il centro era nel fondo d'ungorgoosullacuspided'unaguglia,icerchi aprivano prospettivevertiginose.Mi sembravachedi trale linee del disegno sarebbe uscitauna mano, un braccio, unapersona… Ottilia! Pensavo subito.Mam'affrettavoadallontanaredalla

mente quel pensiero. Era Corinnache dovevo seguire, non Ottilia, lacuiimmaginebastavaafarsvanireilbersagliocomeunabolladisapone.Nella seconda lezione Corinna midisse:-Equandosirilassachel'arcoscocca la freccia, ma per questodeveprimaesserbenteso.Se vuoi diventare esatto come unarco devi imparare due cose: aconcentrarti in te stessoe a lasciarefuori di te ogni tensione. Io mitendevo e mi rilassavo come unacordad'arco.Facevozviann!mapoifacevo anche zviinn! e zviunn!,vibravo come un'arpa, le vibrazionisi propagavano nell'aria, aprivano

parentesidivuotodacuiprendevanoorigine i venti. Tra gli zviinn! e glizviunn! dondolava un'amaca. Iosalivo a spirale avvitandomi nellospazio ed era Ottilia che vedevocullarsi nell'amaca tra gli arpeggi.Malevibrazionisismorzavano.Io precipitavo. Nella terza lezioneCorinna mi disse: - Immaginad'essere una freccia e corri verso ilbersaglio.Iocorrevo,fendevol'aria,mi convincevo di somigliare a unafreccia. Ma le frecce a cui iosomigliavo erano frecce che siperdevanointutteledirezionitranneche nella giusta. Correvo araccogliere le frecce cadute.

M'inoltravo in distese desolate esassose. Era la mia immaginerimandata da uno specchio? Era laluna? Tra i sassi ritrovavo le miefrecce spuntate, conficcate nellasabbia,storte,spennacchiate.Elì inmezzo c'era Ottilia. Passeggiavatranquillacomefosseinungiardino,raccogliendo fiori e ghermendofarfalle. Io -Perchéseiqui,Ottilia?Dovesiamo?Sullaluna?Ottilia - Siamo sul rovescio delbersaglio. Io -E tutti i tiri sbagliatifiniscono qui? Ottilia - Sbagliati?Nessuntiroèsbagliato.Io-Peròquilefreccenonhannonulladacolpire.Ottilia-Quilefreccemettonoradici

e diventano foreste. Io - Non vedoche rottami, frantumi, calcinacci.OttiliaTanticalcinacciunosull'altrofannoungrattacielo.Tantigrattacieliuno sull'altro fanno un calcinaccio.Corinna - Fulgenzio! Dove seifinito? Il bersaglio! Io - Devolasciarti, Ottilia. Non mi possofermare qui con te. Devo puntaresull'altra faccia del bersaglio…Ottilia - Perché? Io - Qui tutto èirregolare, opaco, informe…Ottilia- Guarda bene. Da vicino vicinovicino.Cosa vedi? Io - Una superficiegranulosa, picchiettata,bernoccoluta. Ottilia -Passa tra

bernoccolo e bernoccolo, granello egranello,venaturaevenatura.Troverai il cancello d'un giardino,converdiaioleevaschelimpide.Iostolàinfondo.Io-Tuttoquellochetoccoèruvido,arido,freddo.Ottilia- Passa lentamente la mano sullasuperficie. E una nuvola sofficecome di panna montanta… Io -Tutto è uniforme, sordo, compattoOttilia -Apri bene occhi e orecchi.Senti il brulichio e luccichio dellacittà, finestre evetrine illuminate, ele trombe e lo scampanellio, e lagentebiancaegiallaenerae rossa,vestitadiverdeeazzurroearancioezafferano.Corinna-Fulgenzio!

Dove sei! Io ormai non potevo piùstaccarmidalmondodiOttilia,dallacittà che era anche nuvola egiardino. Qui le frecce inveced'andar dritte facevano tantegiravolte, lungo linee invisibili ches'aggrovigliavano e si sbrogliavano,s'aggomitolavano e si sdipanavano,ma alla fine colpivano sempre ilbersaglio,magari un altro bersagliodaquello che ci s'aspettava. Il fattostrano era questo: più mi rendevoconto che il mondo era complicatofrastagliato inestricabile più mipareva che le cose da capireveramentefosseropocheesemplici,eseleavessicapite,tuttomisarebbe

stato chiaro come le linee di undisegno. Avrei voluto dirlo aCorinna,oppureaOttilia,maeradaun po' che non le incontravo, nél'una né l'altra, e, altro fatto strano,nei miei pensieri spesso leconfondevo una con l'altra. Permoltotempononm'eropiùguardatonello specchio. Un giorno per casopassandodavantiaunospecchiohovistoilbersaglio,contuttiisuoibeicolori. Ho provato a mettermi diprofilo,ditrequarti:vedevosempreil bersaglio. - Corinna! esclamai. -Eccomi,Corinna!Guarda:sonocosicomemivolevi!-Ma poi ho pensato che quel che

vedevo nello specchio non ero soloio ma anche il mondo, dunqueCorinna dovevo cercarla lì, traquelle linee colorate. E Ottilia?Forse anche Ottilia era lì cheappariva e spariva. Era Corinna oOttilia che se fissavo il bersaglio-specchio molto a lungo, vedevospuntare di tra i cerchi concentrici?Alle volte mi pare d'incontrarla,l'unaol'altra,nelviavaidellacittà,eche mi voglia dire qualcosa, maquesto succede quando due trenidella metropolitana s'incrocianocorrendo in direzioni opposte, el'immagined'Ottilia-odiCorinna?-mi viene incontro e fugge via, e la

seguono una serie di faccerapidissime inquadratedai finestrinicome le smorfie che facevo unavoltaallospecchio.

LememoriediCasanovaDurante tutto il mio soggiorno axxx, ebbi stabilmente due amanti:CateeIlda.Cate mi veniva a trovare ognimattino,Ildanelpomeriggio;laseraandavo in società e la gente simeravigliava al vedermi sempresolo. Cate era formosa, Ilda erasnella; nell'alternarle rinverdivo ildesiderio,che tende tantoalvariareche al ripetere. Uscita Catenascondevo ogni sua traccia; cosiper Ilda; e credo d'esser sempreriuscito a evitare che l'una sapessedell'altra, allora e forse anche inseguito.Naturalmentequalchevolta

avvenivachemisbagliassiedicessiall'una cose che avevano sensosoltantosedetteall'altra:Hotrovatooggi dal fioraio queste fucsie, tuofiorepreferitooppureNon scordarti anche stavolta qui latua collana, causando stupori, ire,sospetti. Ma questi equivoci banalisi dettero soltanto, se ben ricordo,agli inizi della doppia relazione.Molto presto appresi a separarecompletamente una storia dall'altra;ognistoriaavevailsuocorso,lasuacontinuità di conversazione ed'abitudini, e non interferiva mainell'altra.Alprincipiocredevo (ero,come si sarà capito,molto giovane,

e cercavo di farmi un'esperienza)che il sapere amoroso fossetrasmissibile dall'una all'altra:entrambe ne sapevanomolto più dime e io pensavo che le arti segreteche apprendevo da Ilda potessiinsegnarle a Cate, e viceversa.M'ingannavo: non facevo cheingarbugliare ciò che vale soloquand'è spontaneo e diretto. Eranoognunaunmondoasé,anziognunaun cielo in cui dovevo rintracciareposizioni di stelle e di pianeti,orbite, eclissi, inclinazioni econgiunzioni, solstizi ed equinozi.Ogni firmamento si muovevasecondo un diverso meccanismo e

un diverso ritmo. Non potevopretendered'applicarealcielod'Ildale nozioni d'astronomia che avevoimparatoosservandoilcielodiCate.Madevodirechelalibertàdisceltatradue lineedicomportamentononmi si presentavanemmenopiù: conCate ero addestrato ad agire in unmodo e con Ilda in un altro; erocondizionato in tutto dallacompagna con cui mi trovavo, alpuntochecambiavanoanche lemiepredilezioniistintiveedimieiticchi.Due io s'alternavano in me; e nonavreipiùsaputodirequaleiofossiioveramente. Quel che ho detto valetanto per il corpo quanto per lo

spirito: le parole dette all'una nonpotevano essere ripetute all'altra, em'accorsibenprestodidovervariareanche ipensieri.Quandomiprendela vena di raccontare e rievoco unadelle tante peripezie della mia vitaavventurosa, ricorro di solito aversioni che ho già collaudato insocietà,conpassaggichesiripetonoalla lettera, con effetti calcolatianche nelle divagazioni e nellepause. Ma certe bravate che nonmancavano mai di riscuotere ilfavore di gruppi di personesconosciute o indifferenti, aquattr'occhiconCateoconIldanonriuscivo a farle passare se non con

una serie d'adattamenti. Certeespressioni che con Cate eranomonetacorrente,conIldasuonavanostonate;lebattutedispiritocheIldacoglievaalvoloerilanciava,aCateavreidovutospiegarleperfiloepersegno, mentre ne apprezzava altrechelasciavanofreddaIlda;allevolteera la conclusione da trarredall'episodiochecambiavadaIldaaCate, cosicché ero portato a farfinire i miei racconti in mododifferente. A questo modo andavopianpianocostruendomiduediversestorie della mia vita. Ogni giornoraccontavo a Cate e a Ilda quantoavevovistoesentitogirandolasera

primaperiritrovieleriunionidellacittà: pettegolezzi, spettacoli,personaggi di spicco, abiti allamoda, stramberie. Nel primo mioperiodo di rozzezza indifferenziata,ilraccontocheavevofattoilmattinoaCate lo ripetevopariparia Ilda ilpomeriggio: credevo così dirisparmiare l'immaginazione cheoccorre spendere di continuo pertenerevivol'interesse.M'accorsibenpresto che lo stesso episodio ointeressava l'una e non l'altra, o, sele interessava entrambe, i dettaglichemi richiedevanoeranodiversiediversieranoicommentie igiudiziche ne derivavano. Dovevo dunque

trarre dallo stesso spunto dueracconti ben distinti: e fin quisarebbe niente; ma dovevo anchevivere in due modi differenti ognisera i tatti che avrei raccontatol'indomani: osservavo ogni cosa epersona secondo l'ottica di Cate el'otticadiIlda,egiudicavosecondoicriteri dell'una e dell'altra; nelleconversazioni intervenivo con duereplicheallastessabattutaaltrui,unachesarebbepiaciutaadIlda,l'altraaCate; ogni replica provocavacontrorepliche cui dovevorispondereduplicandoancora imieiinterventi.Losdoppiamentoagivainme non quand'ero in compagnia

d'unadiloro,masoprattuttoquandoloroeranoassenti. Ilmioanimoeradiventatoilcampodibattagliadelleduedonne.CateeIlda,chenellavitaesteriore s'ignoravano, stavanocontinuamente fronte a fronte acontendersiilterritoriodentrodime,s'azzuffavano, si sbranavano. Ioesistevosoloperospitarequellalorolotta di rivali accanite, di cui loronullasapevano.Questafularagionevera che mi spinse a partired'improvviso da xxx, per non farvipiù ritorno. Ero attratto da Irmaperché mi ricordava Dirce. Sedettivicino a lei: bastava voltasse unpoco il busto verso di me e

nascondesseilvisodietrounamano(ledicevocosesottovoce:leirideva)perchél'illusioned'avervicinoDirceprendesseforza.L'illusione svegliava ricordi, iricordi desideri. Per trasmetterli inqualchemodoaIrma,leafferraiunamano.Ilcontattoeiltrasalimentodilei me la rivelarono qual'era,diversa. Questa sensazione ebbe ilsopravvento sull'altra, pur senzacancellarla, e risultando, in sé,gradevole.Compresichemisarebbestato possibile trarre da Irma undoppiopiacere:quellodelrincorrereattraverso di lei la perduta Dirce, equellodilasciarmisorprenderedalla

novità d'una presenza sconosciuta.Ognidesiderio tracciadentrodinoiun disegno una linea che sale eondeggia e talora si dissolve. Lalinea che evocava in me la donnaassente poteva, un istante prima dideclinare, intersecarsi con la lineadellacuriositàperladonnapresente,e trasmettere lasuaspinta inascesaa questo disegno ancora tutto datracciare. Il progetto meritavad'esseremessoinpratica:prodigailemie attenzioni per Irma, finché nonlaconvinsiaraggiungerminellamiastanza nottetempo. Entrò. Lasciòcadereilmantello.Portava una camicetta leggera e

bianca, dimussola, che il vento (lafinestraessendodiprimaveraaperta)agitò. Compresi in quel momentoche un meccanismo diverso dalprevisto comandava le miesensazioni e i miei pensieri. EraIrmaariempire tutto ilcampodellamia attenzione, Irma in quantopersona unica e irripetibile, pelle evoce e sguardo, mentre lesomiglianze con Dirce che diquando in quando tornavano adaffacciarsi alla mia mente m'eranosolo di disturbo, tanto chem'affrettavoascacciarle.Cosiilmioincontro con Irma diventò unabattaglia con l'ombra di Dirce che

nonsmettevad'intrufolarsitranoi,eognivoltachemiparevadistarpercogliere l'indefinibile essenzad'Irma, d'aver stabilito tra noi dueun'intimità che escludeva ogni altrapresenzaopensiero,eccocheDirce,l'esperienza già vissuta che era permeDirce, imprimeva il suo calco aquanto stavoproprio allora vivendoe m'impediva di sentirlo comenuovo.OrmaiDirce,ilsuoricordoela sua impronta, non m'ispiravanoaltro che fastidio, costrizione, noia.L'albaentravadaglispiragliinlamedilucegrigioperla,quandocompresicon certezza che la mia notte conIrmanoneraquellachestavaoraper

finire ma un'altra simile a questa,una notte ancora da venire in cuiavrei cercato il ricordo d'Irma inun'altradonna,eavreisoffertoprimanel ritrovarla e nel riperderla, e poidi non riuscire a liberarmene.Ritrovai Tullia dopo vent'anni. Ilcaso, che allora ci aveva fattiincontrareeseparatinelmomentoincui avevamo compreso di piacerci,ci permise finalmente di riprendereilfilodellastoriaalpuntointerrotto.Nonseicambiata-cambiatoinnulla,cidicemmoavicenda.Mentivamo?Nondeltutto:Iononsonocambiato-cambiataeraciòchevolevamosiaioche lei far sapere a me e a lei. La

storia ebbe stavolta il seguito daentrambiatteso.LabellezzamaturadiTulliaoccupòdapprima tutta la mia attenzione, esolo in un secondo momento miproposidinondimenticarelaTulliadella giovinezza, cercando direcuperare la continuità tra le due.Cosi, in un gioco che era venutospontaneo parlando tra noi,fingevamo che il nostro distaccofosse durato ventiquattr'ore e nonvent'anni, e i nostri ricordi fosserocose di ieri. Era belloma non eravero.Sepensavoalmed'alloraconla lei d'allora, m'apparivano dueestranei;suscitavanoinmesimpatia,

affetto quanto si vuole, tenerezza,ma quanto riuscivo ad immaginaredilorononavevaalcunrapportoconquanto eravamo ora Tullia ed io.Certorestavainnoiunrimpiantoperquell'antico nostro incontro troppobreve. Era il rimpianto naturale perlagiovinezzapassata?Manellamiasoddisfazione attuale mi pareva dinon avere niente da rimpiangere; eancheTullia, cosi come andavooraconoscendola, era donna troppopresanel presente per abbandonarsianostalgie.Rimpiantodiquellochenon avevamo potuto avere allora?Forse un po' ma non del tutto:perché (sempre nell'entusiasmo

esclusivo per quel che il presentestava dandoci) mi pareva (forse atorto) che se quel nostro desideriofosse stato appagato subito avrebbepotuto sottrarre qualcosa alla nostracontentezza d'oggi. Se mai ilrimpianto riguardava ciò che queidue poveri giovani, quei due altri,avevanoperdutoeches'aggiungevaallasommadelleperditecheinogniistante il mondo subisce e nonrecupera. Dall'alto della nostraimprovvisaricchezza,cidegnavamodi gettare uno sguardocompassionevole sugli esclusi: unsentimento interessato, perché cifaceva meglio assaporare il nostro

privilegio. Due conclusioni opposteposso trarre dalla mia storia conTullia. Si può dire che l'esserciritrovati cancella la separazione divent'anni prima, annullando laperdita subita; e si può dire alcontrario che rende quella perditadefinitiva, disperata. Quei due(quella Tullia e quel me stessod'allora) s'erano persi per sempre enon si sarebbero più ritrovati, einvano avrebbero chiesto soccorsoallaTulliaealmediadesso,iquali(l'egoismo degli amanti felici èsenza limiti) s'erano ormaicompletamente dimenticati di loro.D'altre donne ricordo un gesto, un

modo di dire, un'inflessione, chefanno tutt'uno con l'essenza dellapersona e la distinguono come unafirma. Non di Sofia. Ossia, ricordodi leimolto, forse troppo:palpebre,caviglie, una cintura, un profumo,molte predilezioni e ossessioni, lecanzonichesapeva,unaconfessioneoscura, alcuni sogni; tutte cose chela mia memoria tiene ancora inserbo riferendole a leima che sonodestinate a disperdersi perché nontrovo il filo che le leghi e non soqualed'esse contenga laveraSofia.Tra un dettaglio e l'altro c'è unvuoto; e presi uno per uno,potrebbero essere attribuiti a lei

come a un'altra. Quanto all'intimitàtra noi (ci incontrammo in segretoperpiùmesi),ricordocheognivoltaera diversa dall'altra, e questo chedovrebbe essere un pregio per chicome me teme l'ottundimentonell'abitudine, risulta ora undifetto,tant'è vero chenon ricordo cosamispingesse a cercare proprio lei divoltainvolta.Insomma,nonricordoproprionulla.Forseciòchevolevocapiredileialprincipio era solo se mi piaceva ono:perquesto laprimavoltache lavidi l'assediai con una serie diinterrogazioni,ancheindiscrete.Lei,chepure avrebbepotuto schermirsi,

mi subissò per ogni domanda d'unaquantitàdiprecisazionierivelazionie allusioni sparpagliate e divaganti,al che io, sforzandomidi seguirla edi ritenere quantom'andava via viadicendo, mi perdevo sempre più.Risultato:eracomesenonm'avesserispostounbelniente.Per stabilire una comunicazione inun linguaggio diverso, azzardai unacarezza. I movimenti di Sofia, tuttiintesi a contenere e a dilazionare ilmio attacco, se non pure arespingerlo, facevano si che la miamano, nel momento che una zonadel suocorpo le sfuggiva, scorressesualtre, cosicché la schermagliami

portavaaeffettuareunaricognizionedella sua pelle, frammentaria maestesa.Insomma le notizie raccolte al tattonon erano meno copiose, anche sealtrettanto incoerenti, di quelleregistratedall'udito.Noncirestòchecompletare al più presto la nostraconoscenza su ogni piano. Ma eraunadonnaunicaquellachedavantiamesispogliavadellevestivisibiliedi quelle invisibili imposte alcontegno dagli usi del mondo, oeranomoltedonneinsieme?E di queste, quale donna era adattrarmiequalearespingermi?Nonc'eravoltachenonscoprissiinSofia

qualcosa che non m'aspettavo, esempre meno avrei saputorispondere al primo quesito chem'eroposto:mipiacevaono?Oggi,riandando con la memoria, ho unaltro dubbio: o sono io che se unadonnanonnascondenulladisénonsoncapacedi capirla; o eraSofia amettereinattounatatticasopraffinaper non lasciarsi catturare da memanifestandosi con tantaabbondanza. E mi dico: tra tutte,proprio lei è riuscita a sfuggirmi,comesenon l'avessimaiavuta.Mal'hodavveroavuta?Epoimichiedo:e chi ho avuto davvero? E poi,ancora: avere chi? che cosa? che

vuol dire? Conobbi Fulvia almomentogiusto:ilcasovollecheilprimo uomo della sua giovane vitafossi io. Purtroppo quest'incontrofortunato era destinato a esserebreve; le circostanzem'imponevanodi lasciare la città; la mia nave eragià in rada; l'indomani era la datadella partenza. Eravamo entrambiconsapevolichenoncisaremmopiùrivisti, e consapevoli ugualmentecheciòfacevapartedell'ordinedellecose stabilito e ineluttabile; cosi latristezza, presente in grado diversoin me e in lei, era da noi, pure ingrado diverso, governata dalragionamento. Fulvia presentiva il

vuoto che avrebbe provatoall'interrompersi della nostraconsuetudine appena iniziata, maanche la nuova libertà che le siaprivaelemolteplicipossibilitàchenesarebberoscaturite;ioeroinveceportato a situare gli episodi dellamia vita in un disegno in cui ilpresente riceve luce e ombra dalfuturo: di questo già indovinavotuttol'arcofinoalsuodeclinare;edileianticipavo ilpienoattuarsid'unavocazione amorosa che avevocontribuito a svegliare. Cosi inquesti ultimi indugi prima delcommiato non potevo impedirmi divedere me stesso soltanto come il

primod'unalungaseried'amantichecertamente Fulvia avrebbe avuto, edi riconsiderare ciò che s'era svoltotranoiallalucedellesueesperienzefuture. Capivo che ogni minimodettaglio d'un amore che Fulviaaveva vissuto con assolutoabbandonosarebbestato ricordatoegiudicatodalladonnacheleisarebbediventatainunbrevevolgered'anni.Oracomeora,Fulviaaccettavatuttodi me senza giudicarlo: ma in undomaninonlontanosarebbestataingrado di paragonarmi ad altriuomini;ogniricordodimeverrebbeda lei sottoposto a confronti, adistinzioni, a giudizi. Io avevo

ancoradifronteunragazzainespertaper la quale rappresentavo tutto ilconoscibile, ma nello stesso tempomisentivoosservatodallaFulviadidomani, esigente e disincantata. Lamiaprimareazionefudi timoredelconfronto. I futuri uomini di Fulviam'apparivano capaci d'ispirare uninnamoramento totale, che per menon c'era stato. Fulvia m'avrebbeprimaopoigiudicato indegnodellafortuna che m'era toccata; il mioricordo sarebbe stato tenuto vivo inlei dalla delusione, dal sarcasmo.Invidiavo i miei ignoti successori,sentivo che erano già li al varcopronti a strapparmi Fulvia, li

odiavo,giàodiavoanche lei perchéla sorte l'aveva destinata a loro…Persfuggireall'angoscia,invertivoilcorso dei miei pensieri edall'autodenigrazione passavoall'autoesaltazione.Ciriuscivosenzasforzo: per temperamento sono piùpropensoafarmiunaltoconcettodime stesso. Fulvia aveva avuto unafortuna inestimabile a conoscermiper primo; ma tenendomi ormaicome modello si sarebbe esposta adisinganni crudeli. Gli altri uominiche avrebbe incontrato dopo di mele sarebbero parsi rozzi, bolsi,balordi, bietoloni. Nella suaingenuità certo credeva lemievirtù

largamente diffuse tra gli individuidelmiosesso;dovevoavvertirlachecercando in altri quel che avevatrovato in me non avrebbeconosciuto che delusioni. TremavodiraccapriccioalpensierochedopounesordiocosifeliceFulviacadessein mani indegne, che l'avrebberooffesa, menomata, degradata. Liodiavo tutti quanti; e finivo perodiareanche leiperché ildestino lastrappava a me condannandola acontatti avvilenti. In un senso onell'altro, la passione che m'avevacolto penso fosse quella che hosempre sentito nominare comegelosia, affezione dell'animo da cui

credevo che le circostanzem'avessero reso immune. Stabilitoch'ero geloso, non mi restava checomportarmidageloso.Me lapresicon Fulvia; dissi che non potevosopportarelasuaserenitàallavigiliadel distacco; la accusai di nonvedere l'oradi tradirmi; fui ingiustocon lei, crudele. Ma lei (certo pereffetto dell'inesperienza) sembravatrovarenaturaleilmiocambiamentod'umore e non se ne preoccupò piùche tanto. Con buon senso miconsigliò di non sprecare inrecriminazioni inutili il poco tempoche ci rimaneva per stare insieme.Allora m'inginocchiai ai suoi piedi,

la supplicai di perdonarmi, di noninfierire troppo sul mio ricordoquando avrebbe trovato uncompagno degno di lei; io nonsperavo una grazia più grande chequella d'essere dimenticato. Mitrattò da matto; non permetteva siparlasse di quanto era avvenuto tranoi se non nei termini piùlusinghieri; seno,disse,siguastaval'effetto.Questobastòarinfrancarmiriguardo alla mia immagine, maallora mi venne da commiserareFulvia per la sua sorte futura: glialtriuominieranogentedappoco;iodovevo avvertirla che la pienezzacheavevaconosciutoconmenonsi

sarebbe ripetuta con nessuno. Mirispose che lei pure compiangevame, perché la nostra felicità venivada lei e me insieme, e separandocine saremmo rimasti privi entrambi;comunque per conservarla più alungo dovevamo lasciarceneimbevere interamente senzapretendere di definirla dal di fuori.La conclusione cui giunsi dal difuori mentre dalla nave che levaval'ancora sventolavo il fazzolettoverso di lei sul molo, è questa:l'esperienza che occupavainteramenteFulviapertuttoiltempocheavevapassatoconmenoneralascopertadimeeneanchelascoperta

dell'amoreodegliuomini,madi sestessa; anche inmia assenza questascoperta,ormaiiniziata,nonavrebbeavuto più fine; io ne ero stato solounostrumento.

HenryFord

INTERLOCUTORE - Mister Ford,sono incaricato di sottoporle… Ilcomitato di cui faccio parte ha ilpiacere d'informarla… Dovendoerigere un monumento alpersonaggio del nostro secolo ilquale… La scelta del suo nome,all'unanimità… Per la maggioreinfluenza esercitata sulla storiadell'umanità… sull'immagine stessadell'uomo… Considerata la suaoperaeilsuopensiero…ChisenonHenry Ford ha cambiato il mondo,rendendolo completamente diversodacom'eraprimadilui?ChipiùdiHenryFordhadatoforma

al nostro modo di vivere? Eccodunque vorremmo che ilmonumento avesse la suaapprovazione… Vorremmo chefosse lei a dirci come preferisceessere raffigurato, su che sfondo…HENRY FORD - Come mi vedeora… Tra gli uccellini… Avevocinquecento uccelliere comequesta… Le chiamavo gli alberghidegli uccelli; la più grande era lacasa dei balestrucci, con settantaseiappartamenti;d'estateed'invernogliuccelli trovavano da me riparo ecibo e acqua da bere. Facevoriempire di becchime dei cestiniappesi agli alberi con fili di ferro,

pertuttol'inverno,eabbeveratoiconun dispositivo elettrico perchél'acquanongelasse.Facevometteresuglialberideinidiartificialidivaritipi: i reattini preferiscono i nididondolanti, chesiagitanoalvento;cosi non c'è pericolo che cis'installino i passeri, che amanosoltantoinidimoltostabili.D'estatefacevo lasciare le ciliegie suglialberi e le fragole nei cespugliperché gli uccelli trovassero il lorocibo naturale. Tutte le specied'uccellidegliStatiUnitipassavanopercasamia.Ehoimportatouccellid'altri paesi: zigoli, frinquelllli,pettirossi, stornelli, monachini,

ghiandaie, fanelli, allodole… circacinquecento specie in tutto.INTERLOCUTORE - Ma, MisterFord, io volevo parlare… HENRYFORD -(improvvisamente rigido,scattante,collerico)Perchéleicredeche gli uccelli siano soltantoqualcosadigrazioso,perlepiume,igorgheggi? Gli uccelli sononecessari per ragioni strettamenteeconomiche!Distruggonogli insettidannosi!Leisaqualeèstatal'unicavoltachehomobilitato l'organizzazione dellaFordpersollecitareuninterventodelGovernodegliStatiUniti?Fuperlaprotezione degli uccelli migratori!

C'eraunottimoprogettodileggeperistituiredelleriservecherischiavadifinire insabbiato; quelli delCongresso non trovavano mai iltempo per approvarlo. Sfido: gliuccelli non votano! Allora io hochiesto a ognuno dei seimila agentidella Ford, sparsi in tutti gli StatiUniti,dimandareun telegrammaalpropriorappresentantealCongresso.Ed ecco che a Washingtoncominciarono a prendersi a cuore ilproblema… La legge fu approvata.Guardi che io non ho mai volutoadoperarelaFordMotorCompanyafinipolitici:ognunodinoihadirittoalle sue opinioni e l'azienda non

deveimmischiarsene.Quellavoltailfine giustificava i mezzi, io credo,ed è stata l'unica eccezione.INTERLOCUTORE - Ma, MisterFord,mi faccia capire: lei è l'uomoche ha cambiato l'immagine delpianeta attraverso l'organizzazioneindustriale, la motorizzazione…Cosa c'entrano gli uccellini?HENRY FORD--Perché? Anche leièdiquellichecredonochelegrandifabbriche hanno fatto sparire glialberi,ifiori,gliuccelli,ilverde?Everoilcontrario!Esolosesapremoservirci nelmodopiù efficace dellemacchine e dell'industria cheavremotempopergodercilanatura!

Il mio punto di vista è moltosemplice: più tempo e più energiasciupiamo, meno ce ne resta pergoderci la vita. Io non considero lemacchine che portano il mio nomecome delle semplici macchine:voglio che servano a provarel'efficacia della mia filosofia…INTERLOCUTORE -Lei vuol direche ha inventato e fabbricato evenduto automobili perché la gentepotesse allontanarsi dalle fabbrichedi Detroit e andare a sentir cantaregli uccelli nei boschi? HENRYFORD - Una delle persone che hoammiratodipiùèstatounuomochehadedicatolasuavitaaosservaree

descrivere gli uccelli, JohnBurroghs. Era un nemico giuratodell'automobile e di tutto ilprogresso tecnico!Masono riuscitoafarglicambiareidea…Iricordipiùbelli della mia vita sono lesettimane di vacanza che hoorganizzato con lui Burroghs e glialtrimieimaestrieamicipiùcari,ilgrandeEdisoneFirestonequellodeipneumatici. Viaggiavamo incarovane d'automobili, attraverso imonti Airondacks, gli Alleghany,dormivamo sotto le tende,contemplavamoitramonti,leauroresulle cascate… INTERLOCUTORE- Ma non pensa che un'immagine

come questa… rispetto a ciò che sisa di lei… il fordismo… sia, comedire?, fuorviante… un'evasione datutto ciò che è essenziale?HENRYFORD - No, no, è questol'essenziale.Lastoriadell'Americaèuna storia di spostamenti traorizzonti sconfinati, una storia dimezziditrasporto:ilcavallo,icarridei pionieri, le ferrovie… Ma solol'automobile ha dato agli americanil'America. Solo con l'automobileessi sono diventati padronidell'estensione del paese, ogniindividuopadronedelsuomezzoditrasporto,padronedelsuotempo,inmezzo all'immensità dello spazio…

INTERLOCUTORE - Devoconfessarle che l'idea che avevamoper il suomonumento… era un po'diversa… con uno sfondo difabbriche… di catene dimontaggio…HenryFord,ilcreatoredella fabbrica moderna, dellaproduzione in serie… La primaautomobilecomeprodottodimassa:il famoso Modello T… HENRYFORD - Se è un'epigrafe checercate, scolpite il testodell'annuncio con cui ho lanciato ilModello T sul mercato, nel 1908.Noncheioabbiamaiavutobisognodi pubblicità per le mie macchine,attenzione!Hosempresostenutoche

la pubblicità è inutile, un buonprodotto non ne ha bisogno, si fapubblicità da sé! Ma in quelfoglietto c'erano le idee che iovolevodiffondere.Enellapubblicitàcomeeducazionecheiocredo!Legga, legga. Costruirò una vetturaper il grosso pubblico. Saràsufficientemente grande per unafamiglia, ma sufficientementepiccola perché possa soddisfare leesigenze d'un individuo. Saràcostruita con i materiali migliori,dagliuominimigliorichesipossanotrovare sul mercato, seguendo iprogettipiùsemplicichelamodernaingegneriapossafornire.Maavràun

prezzo così basso che nessun uomocheabbiaunbuonstipendiononsiain grado di possederla e di godereconlasuafamiglialabenedizionedialcune ore di piacere nei grandispazi aperti da Dio.INTERLOCUTORE - Il ModelloT…Perquasivent'annilefabbrichedi Detroit hanno prodotto soloquesto tipo d'automobile… Leiparlava delle esigenze degliindividui… Ma le attribuisconoanche questa battuta: Ogni clientepuò volere la macchina del coloreche preferisce, purché sia il nero.Lei ha detto veramente questo,MisterFord?HENRYFORD-sìho

dettoelhoscritto.Comecredechesia riuscito ad abbassare i prezzi, amettere le auto alla portata di tutti?Credechecisarei riuscitoseavessiprodotto nuovi modelli ogni anno,come i cappellini delle signore? Lamoda è una delle forme di sprecoche io detesto.Lamia idea era unamacchina di cui ogni pezzo fossesostituibile, in modo che nondovesse invecchiare mai. Solo cosìsonoriuscitoa trasformarel'autodaoggettodilusso,dabenediprestigioauno strumentodi primanecessità,che vale per quello che serve…INTERLOCUTORE - E stato ungrandecambiamentonellamentalità

industriale.Daallorainpoiglisforzidell'industria mondiale hannopuntato a soddisfare i consumi dimassa,a farcrescere ladomandadiquesticonsumi.Eproprioperquestoche l'industria si è orientata suprodottichepotesseroinvecchiareinfretta, che fossero da buttar via alpiù presto, in modo da potervendernedeglialtri…Ilsistemachelei ha inaugurato ha dato risultatiche vanno contro tutte le sue ideefondamentali:siproduconocosechesi logorano presto, o passano dimoda,perfarpostoadaltriprodottiche non valgono più dei primi mache sembrano più nuovi e la cui

fortuna dipende solo dallapubblicità. HENRY FORD--Non èquesto che io volevo. Cambiare haun senso fino a quando non si èraggiunto quell'unico ottimo mododi produrre che deve esistere perogni cosa, quello che garantisceinsieme la massima economia e ilmiglior rendimento. C'è una e unasola via per fare ogni cosa nelmiglior modo possibile. Una voltaraggiunta, perché cambiare?INTERLOCUTORE-- Il suo idealedunque è un mondo di macchinetutte uguali? HENRY FORD - Innaturanonci sonoduecoseuguali.Eanchel'uguaglianzatragliuomini

è un'idea sbagliata e disastrosa. Ionon ho mai adorato l'uguaglianza,ma non me ne sono neanche fattouno spauracchio. Anche se noifacciamodi tuttoperprodurredellemacchine identiche, composte dipezzi identici, tali che ogni pezzopuò essere tolto da unamacchina emontatosuun'altra,questaidentitàèsoloapparente.OgniFord,unavoltamessa su strada, ha uncomportamentounpo'diversodallealtre Ford, e un bravo guidatore,dopo aver provato una macchina,riesceariconoscerlatratuttelealtre,bastachesimettaalvolante,chegirila chiavetta dell'accensione…

INTERLOCUTORE--Mailmondoche leiha contribuito a creare… leinon ha mai avuto paura che fosseterribilmenteuniforme,monotono?HENRYFORD-Elapovertàcheèmonotona. E lo spreco di energie edivite.Lagentechefaceva lacodaalnostroufficiodelleassunzionierauna folla di italiani, di greci, dipolacchi, di ucraini, emigranti datutte leprovincedell'imperorussoedell'impero austro-ungarico, cheparlavano lingue e dialettiincomprensibili.Noneranonessuno,nonavevanonémestierenécasa.Lihomessiioall'onoredelmondo,hodatoatuttiunlavoroutile,unsalario

che li ha resi indipendenti, ne hofattodegliuominicapacididirigerelapropriavita.Ho fatto imparare loro l'inglese e ivaloridellanostramorale:questaerala sola condizione che ponevo; senon ci stavano non avevano che daandarsene. Ma chi era disposto aimparare non l'ho mai rimandatoindietro. Sono diventati cittadiniamericani, loro e le loro famiglie,allapariconchieranatodafamigliechestavanoquidagenerazioni.Nonmi importa quel che un uomo èstato: nongli chiedo il suopassato,nédadoveviene, né chemeriti ha.Nonm'importaseèstatoaHarvard

e non m'importa se è stato a SingSing!M'interessa solo quel che può fare,quel che può diventare!INTERLOCUTORE-Si…diventareuniformandosi a un modello…HENRY FORD--Capisco quel chelei vuol dire. La diversità tra gliuominièilpuntodipartenzachehosempretenutopresente.Forzafisica,rapidità di movimenti, capacità direagireasituazioninuovesono tuttielementichevarianoda individuoaindividuo. La mia idea è stataquesta: organizzare il lavoro deimiei stabilimenti in modo che chiera inabile o invalido potesse

rendere quanto l'operaio più abile.Ho fatto classificare le mansionid'ogni reparto a seconda serichiedevanomaggiorerobustezza,oforza e statura normale, o sepotevano essere svolti anche dapersone meno dotate fisicamente emeno svelte.E risultato che c'erano2637 lavori che potevano essereaffidatiaoperaiconunagambasola(esegue mimicamente operazionimeccaniche fingendo d'essere senzauna gamba), 670 a chi mancavadelle due gambe (esegue comesopra), 715 per quelli senza unbraccio (esegue come sopra), 2 perchi è senza braccia (esegue come

sopra) e 10 mansioni potevanoessere svolte da ciechi. Un ciecoincaricato di contare i bulloni inmagazzino è stato capace di fare illavoro di tre operai con gli occhisani(esegue).Equestochechiamateuniformità?Iodicochehofattotuttoil possibile perché ogni uomosuperasse i suoi handicap. Anche imalati nei miei ospedali potevanolavorare e guadagnare la lorogiornata.Standoaletto.Avvitando dei dadi su piccolibulloni. Serviva anche a tener su ilmorale.Guarivano prima.INTERLOCUTORE - Ma il lavoro

alla catena di montaggio… Esserecostretti a concentrare la propriaattenzione su movimenti ripetitivi,secondo un ritmo incessante,imposto dalle macchine… Cosa cipuòesseredipiùmortificanteperlospirito creativo… per la piùelementare libertà di disporre deimovimenti del proprio corpo, dellaspesa della propria energia secondoilproprioritmo,ilpropriorespiro…Fare sempre un'unica operazione,un'unico gesto, sempre allo stessomodo… Non è una prospettivaterrificante?HENRY FORD - Per me, sì.Terrificante. Per me sarebbe

inconcepibile fare sempre la stessacosa tutto il giorno, e un giornodopol'altro.Manonècosìpertutti.La stragrande maggioranza degliuomini non ha nessun desiderio difare dei lavori creativi, di doverpensare, decidere. E dispostasemplicementeafarequalcosaincuipossaimpegnareilminimodisforzofisico e mentale. E per questastragrande maggioranza laripetitività meccanica, lapartecipazione a un lavoro già disposto nei minimi particolariassicuraunaperfettacalmainteriore.Certo, non devono essere dei tipiirrequieti. Lei è irrequieto? Io sì,

moltissimo. Ebbene, io non laimpiegherei inun lavorodi routine.Magranpartedellemansioniinunagrande industria sono di routine, ecome tali accette alla stragrandemaggioranza della mano d'opera.INTERLOCUTORE - Sono cosiperchéleavetevolutevoicosi…siale mansioni, sia le persone…HENRYFORD - Noi siamo riusciti aorganizzare il lavoro nel modo chefosse più facile per chi dovevasvolgerlo,epiùredditizio.Diconoii"creativi", se lei vuole chiamarcicosi, noi gli irrequieti, noi che nonabbiamo pace fino a che non

abbiamotrovatoilmodomiglioredifare lecose…Sacomemièvenutal'ideadellacatenacheporti ilpezzoall'operaio senza che lui debbaspostarsi verso il pezzo? Dallefabbriche di carne in scatola diChicago, vedendo i buoi squartatiche passavano appesi a carrelli, subinari sopraelevati, per esserecosparsi di sale, tagliati, spolpati,sminuzzati… I buoi squartati chepassavano,penzolanti…lanuvoladigranellidisale…lelamedeicoltelli,zac, zac… e io vidi i telai dellaModelloTchescorrevanoall'altezzadelle mani degli operai chestringevano i bulloni…

INTERLOCUTORE - La creativitàdunque è riservata a pochi… a chiprogetta… a chi decide… HENRYFORD-No!siallarga!Quantieranogli artisti, i veri artisti, una volta?Oggigliartistisiamonoi,noichecicimentiamoconlaproduzioneecongliuominicheproducono!Unavoltale funzioni creative si limitavano amettere insieme colori o note oparoleinunquadro,inunapartitura,inunapagina…Eperchi,poi?Per quattro fannulloni, stanchi dellavita,chefrequentanolegallerieelesale da concerti! Siamo noi, i veriartisti,cheinventiamoillavorodelleindustrie necessarie per milioni di

persone! INTERLOCUTORE - Madal lavoro manuale l abilitàprofessionale scompare! HENRYFORD -- Basta! Ripetete tutti lastessa solfa! E vero il contrario.L'abilità professionale trionfa, nellacostruzione delle macchine enell'organizzazionedellavoro,ecosièmessaadisposizioneanchedichinon è abile e può raggiungere lostessorendimentodeipiùdotati!Sadi quanti pezzi è composta unaFord?Contandoanchevitiebullonisonocircacinquemila:pezzigrandi,medi,piccolioaddiritturaminuscolicome rotelle d'un orologio. Glioperai dovevano camminare per il

reparto per cercare ogni pezzo,camminareperportarliallapartedamontare, camminare per cercare lachiave inglese, il cacciavite, ilsaldatore…Leoredellagiornata sene andavano in questi andirivieni…Ed ecco che finivano sempre perscontrarsi l'uno con l'altro, perimbrogliarsi nei movimenti, peraddossarsi, ammucchiarsi… Eraquesto il modo di lavorare umano,creativo, come piace a voi? Hovoluto fare in modo che l'operaionon avesse da correre avanti eindietro per i reparti. Era un'ideadisumana? Ho voluto fare in modoche l'operaio non avesse da solleva

re e trasportare pesi. Era un'ideadisumana? Ho fatto collocare glistrumentiegliuomininell'ordinedisuccessione delle operazioni, hoimpiegato carrelli su binari o lineesospese, in modo che i movimentidelle braccia fossero ridotti alminimo. Basta risparmiare diecipassialgiornoadiecimilapersoneeavrete risparmiato cento chilometridimovimenti inutilied'energiemalspese. INTERLOCUTORE --Riassumiamo: lei vuole risparmiaremovimenti alle persone checostruisconoautomobilicherendonopossibileatuttidivivereincontinuomovimento… HENRY FORD - Il

risparmiodi tempo,carosignore, inun caso e nell'altro. Non c'ècontraddizione!Laprimapubblicitàche ho fatto per convincere gliamericani a comprarsi l'automobileera basata sul vecchio proverbio Iltempoèdenaro!Cosinellavoro:perogni operazione l'operaio devedisporre del tempo giusto: non unsecondo dimeno e non un secondodi più! E tutta la giornatadell'operaiodeveessereispirataaglistessi principi: deve abitare vicinoalla fabbricapernonperdere tempospostandosi. Per questo mi sonoconvinto che le fabbriche di mediagrandezza erano preferibili a quelle

mastodontiche… e permettevano dievitare i grandi agglomerati urbani,gli slums, la sporcizia, ladelinquenza,ilvizio…INTERLOCUTORE -- EppureDetroit… Le masse che si sonoconcentrate nel Middie West pertrovar lavoro negli stabilimentiFord…HENRYFORD-Certo,soloio riuscivo a dare salari elevati esemprecrescenti, inun'epoca incuinessun industriale voleva sentirneparlare…Cen'èvolutapersosteneree imporre la mia idea a tutto ilmondo economico americano: chesono isalaripiùaltichemettono inmoto il mercato, non i profitti più

alti. E per dare salari alti bisognarisparmiare sul sistema diproduzione. E quello l'unico verorisparmiocherende:risparmiarenonper accumularema per aumentare isalari,cioèilpotered'acquisto,cioèl'abbondanza. Il segretodell'abbondanza sta in un equilibriotra prezzi e qualità. E solosull'abbondanza, non sulla scarsità,che si può costruire: questo sonostato io il primo a capirlo. Se uncapitalista lavoracon la speranzadivivere un giorno di rendita, è uncattivocapitalista.Io ho sempre pensato che nonpossedevo niente di mio, ma che

gestivo lamia proprietàmettendo imigliori mezzi di produzione alserviziodeglialtri.INTERLOCUTORE -- Ma isindacati vedevano le cose in unaltro modo. E lei, per anni, disindacati non ha voluto saperne…Ancora nel 1937 ha assoldatosquadre di lottatori e di pugiliprofessionisti per impedire con laforzagli scioperi…HENRYFORD-C'eranodeimestatorichevolevanocreare dei conflitti tra la Ford e glioperai, conflitti che non potevanosussistere logicamente. Io avevocalcolato tutto in modo che gliinteressi degli operai e quelli

dell'azienda fossero la stessa cosa!Quellitiravanofuorideidiscorsichenon c'entravano niente con i mieiprincipi e con i principi cheappartengonoalcodicedellanatura.C'è una morale del lavoro, unamorale del servi zio che non puòesseresconvolta,perchéèunaleggedi natura. La natura dice: lavorate!prosperità e felicità possono essereraggiunte solo attraverso l'onestafatica!INTERLOCUTORE-- Ma quelloche fu chiamato il fordismo, oalmeno le sue idee sociali cheebbero più popolarità - il posto dilavoro stabile, il salario sicuro, un

certo grado di benessere -, hannomesso in moto nuove aspirazioninella mentalità degli operai. Se nerendevaconto,MisterFord?Daunamassa informe e fluttuante lei hacontribuito a creare una manod'opera con qualcosa da difendere,conunadignitàeunacoscienzadelproprio valore, e che quindipretendevasicurezza,garanzie,forzacontrattuale,autonomianeldeciderelapropriasorte.Eraquelchesidiceunprocesso irreversibile, che il suopaternalismo non poteva piùcontenere né controllare…HENRYFORD - Io guardo sempreall'avvenire, ma per semplificare,

non per complicare le cose. Invecetuttiquellicheprogettanol'avvenire,chepropongonoriforme,sembrachenon vogliano altro che complicare,complicare.Tutticosiiriformatori,iteorici politici, anche i presidenti:Wilson, Roosevelt… Mi sonotrovato tante volte solo, a battermicontro un mondo inutilmentecomplicato:lapolitica,lafinanza,leguerre…INTERLOCUTORE-Nonvorrà negare che le guerre abbianoportato vantaggi agli affari…HENRY FORD - Questi vantagginon erano nei miei piani. Sonosempre stato un pacifista, questonessunopotràmainegarlo.Misono

sempre battuto contro l'interventoamericano, nella Prima GuerraMondialeenellaSeconda.Nel1915ho organizzato la Nave della Pace,ho attraversato l'Atlantico fino inNorvegiainsiemeapersonalitàdelleChiese,delleuniversità,deigiornali,perchiedereallepotenzeeuropeedisospendere le ostilità. Non hannovoluto ascoltarmi. E anche il miopaeseèentratoinguerra.AnchelaFordsièmessaalavorareper la guerra. Allora ho dichiaratoche non avrei toccato un soldo deiprofitti delle commesse belliche.INTERLOCUTORE --Lei promisedi restituire quei profitti allo Stato,

ma non risulta che lo abbia maifatto… HENRY FORD - Dopo laguerra dovetti affrontare unasituazione finanziaria molto grave.Lebanche…INTERLOCUTORE--Lebanchesonosemprestataun'altradelle sue bestie nere… HENRYFORD - Il sistema finanziario èun'altra complicazione inutile, cheostacola la produzione, anzichéfacilitarla.Per me il denaro dovrebbe veniresempre dopo il lavoro, comerisultato del lavoro, non prima. Finche mi sono tenuto lontano dalmercato finanziario lecosemi sonoandatebene:nel'29misonosalvato

dalla Grande Crisi perché le mieazioni non erano quotate in borsa.Lo scopo del mio lavoro è lasemplicità.INTERLOCUTORE -- Ma lei haavuto un posto di primo pianonell'affermazione di questo sistemaeconomico che dice di nonapprovare. Non pensa che le sueconsiderazionisianoispirate,piùchealla semplicità, a un certosemplicismo?HENRYFORD -Negli affari iomisonosemprebasatosusempliciideeamericane.Wall Street è un altro mondo, perme… un mondo straniero…

orientale…INTERLOCUTORE-Unmomento,Mister Ford… Lei probabilmenteavevatutteleragioniperprenderselacon Wall Street… Ma da questo aidentificare l'alta finanza e tutti isuoi nemici con persone d'una dataorigine, d'una data religione… ascrivere articoli antisemiti sui suoigiornali… a raccoglierli involume… a appoggiare quelfanatico in Germania che avrebbepreso il potere di li a poco…HENRYFORD -Lemie idee sonostate fraintese… Io con quelleporcherie che sarebbero successe inEUROPAnonc'entro…Parlavoper

il bene dell'America e anche per ilbeneloro,diquestepersonediverseda noi, che se volevano parteciparealla nostra comunità dovevanocomprendere quali sono i veriprincipiamericani…quellicoiqualim'onoro d'aver condotto la miaazienda…INTERLOCUTORE - Lei harealizzato moltissimo nellafabbricazione delle cose, MisterFord…Ehapureteorizzatomolto…Ma mentre le cose rispondevanosempre alle sue previsioni e ai suoiprogetti, gli uomini no, negli esseriumani c'era sempre qualcosa che lesfuggiva, che deludeva le sue

aspettative… E cosi? HENRYFORD - La mia ambizione non èstatasolodifarelecose.Ilferro, lalamiera, l'acciaio non bastano. Lecosenonsonofineasestesse.Eraaun modello d'umanità che pensavo.Non fabbricavo solo merci. Volevofabbricare uomini!INTERLOCUTOREVorreicheleisispiegasse meglio su questo punto,Mister Ford. Posso sedermi? Possoaccendere una sigaretta? Desidera?HENRY FORD --Noooo! Non sifuma,qui!Lesigarettesonounvizioaberrante! Nelle fabbriche Ford lesigarette sonoproibite!Hodedicatoalla campagna contro il fumo anni

d'energie! Anche Edison m'ha datoragione! INTERLOCUTORE - MaEdison era un fumatore! HENRYFORD Sigari soltanto. Qualchesigaropossoanchepermetterlo.Anche la pipa. Fanno parte delletradizioniamericane.Malasigarettano! Le statistiche dicono che ipeggiori criminali sono fumatori disigarette.Lasigarettaportadirittoaibassifondi! Ho pubblicato un librocontro la sigaretta!INTERLOCUTORE - Non pensache, oltre che della sigaretta,avrebbe potuto preoccuparsi deglieffetti del ritmo di lavoro sullasalute? O dell'inquinamento

provocatodallesuefabbriche?Odelpuzzo di nafia che esce dagliscappamenti delle sue automobili!HENRY FORD - Le mie fabbrichesonosemprepulite,benilluminateeventilate. Posso dimostrarle chequantoapreoccupazioniperl'igiene,nessunonehaavutepiùdime.Oraparlo della morale, della mente. Ilmio progetto aveva bisognod'uomini sobri, laboriosi, morali,con una vita familiare serena, conuna casa pulita e ordinata!INTERLOCUTORE-Perquestoleihaistituitouncorpodi ispettoricheindagavano sulla vita privata deisuoi dipendenti? che ficcavano il

nasonegliamori,nellavitasessualedi donne e di uomini? HENRYFORD -Un dipendente che vive inmodoappropriato farà il suo lavoroinmodoappropriato.Hoselezionatoilmiopersonalenonsolo inbasealrendimento nel reparto, ma anchealla moralità in famiglia. E sepreferivo assumere gli uominiammogliati,ibuonipadridifamigliapiuttostocheilibertini,gliubriaconie i giocatori, questo corrispondevaanche a criteri d'efficienza. Quantoalle donne, sono favorevole adassumerle in fabbrica se hanno deifigli a carico da mantenere, ma sehanno un marito che guadagna, il

loro posto è a casa!INTERLOCUTORE-Eppure,isuoiprimi avversari sono stati i benpensanti puritani che combattevanola diffusione delle vetture amotorecome un pericolo per le famiglie! Ipredicatori e i moralisti tuonavanocontro l'automobile che serviva aifidanzati per incontrarsi lontano daogni sorveglianza; l'automobile cheportava le famiglie a scorazzare ladomenica inveced'andare inchiesa;l'auto per acquistare la quales'ipotecava la casa, s'intaccavano isacri risparmi; l'auto che creavanella popolazione parsimoniosal'esigenzadivacanzeprolungateedi

viaggi; l'auto che diffondeval'invidia tra i poveri e istigava allarivoluzione… HENRY FORD - Ireazionari sono come i bolscevichi:nonvedono la realtà,nonsannociòche è necessario per le funzionielementaridellavitaumana.Anch'iohosempreagitosecondoun'idea,unmodello. Ma le mie idee sonosempre applicabili.INTERLOCUTORE - Già, ibolscevichi… Cosa pensa del fattocheilcomunismosovieticoabbiafindall'inizio preso come modello ilfordismo?LenineStalinsonostatiammiratoridella sua organizzazione produttiva

e in una certa misura seguaci dellesueteorie.Anchelorovolevanochetutta la società si organizzassesecondo criteri di rendimentoindustriale, anche loro volevano farfunzionarele lorofabbrichee i lorooperai come a Detroit, anche lorovolevano educare masse dilavoratori disciplinati e puritani…HENRYFORD-- Ma quel che ho dato io ai mieioperai loro non hanno saputodarglielo. La loro austerità, comequella dei reazionari, ha perpetuatola scarsità; la mia austerità portaval'abbondanza. Ma non m'interessacosahannofattoloro:lamiaideaera

americana, pensata in funzionedell'America, animata dallo spiritodeipionieri,chenonavevanopauradella fatica e sapevano adattarsi alnuovo, che erano frugali e austerima volevano godere delle cose delmondo… INTERLOCUTORE -Però quell'America dei pionieri èscomparsa… Cancellata dallaDetroit di Henry Ford… HENRYFORD-IovengodaquellavecchiaAmerica. Mio padre aveva unafattoria, nel Michigan. Hocominciato a sperimentare le mieinvenzioniallafattoria,finanziatodamio padre; volevo costruire re deimezzi di trasporto pratici per

l'agricoltura. L'automobile è nata incampagna.Sonorimastoaffezionatoall'Americadellamia infanzia edeimiei vecchi. Appena mi sonoaccorto che stava scomparendo, misono messo a comprare ecollezionarevecchiattrezziagricoli,aratri, ruote di mulini a acqua,carrozze, buggies, slitte, mobiliodelle vecchie case di legno cheandavano in rovina…INTERLOCUTORE-Dunque,comel'ecologia nasce dalla stessa culturachehaprodottol'inquinamento,cosil'antiquariato nasce dalla stessaculturachehaimpostolecosenuovein luogo delle vecchie… HENRY

FORD - Ho comprato una anticataverna a Sudòury, nelMassachussets,conlasuainsegna,ilsuo portico… Ho fatto anchericostruire la strada di terra battutadacuipassavanolecarovanediretteversoilWest…INTERLOCUTORE- E vero che per ripristinarel'atmosfera del tempo dei cavalli edelle diligenze intorno a quellavecchia osteria, lei ha fatto deviarel'autostrada, quell'autostrada su cuirombanoatuttavelocitàlemacchineFord? HENRY FORD - C'è postoper tutto nella nostra America, noncrede?La campagna americana non deve

scomparire. Sono sempre statocontrario all'esodo degli agricoltoridalle campagne. Ho progettato uncomplesso idroelettrico sulTennessee per fornire energia abassocostoagliagricoltori.Gliavreifornito elettrodomestici, concimi, esi sarebbero tenuti lontano dallecittà. Nonmi hanno voluto sentire,né il governo, né i farmers. Noncapiscono mai le idee semplici: lefunzionielementaridellavitaumanasono tre: l'agricoltura, l'industria e itrasporti.Tuttiiproblemidipendonodal modo come si coltiva, come sifabbricaecomesitrasporta,eiohosempre proposto le soluzioni più

semplici. Il lavoro dell'agricoltoreera inutilmente complicato. Solo ilcinque per cento della loro energiaera impiegato utilmente.INTERLOCUTORE - Non sentenostalgia di quella vita, allora?HENRYFORD-Seleipensacheiorimpiangaqualcosadelpassato,vuoldirechenonhacapitonientedime.Non me ne importa niente, delpassato! Non credo nell'esperienzadella storia! Già, riempire la testadellagenteconlaculturadelpassatoè la cosa più inutile che si possafare. INTERLOCUTORE - Ma ilpassatovuoldireesperienza…Nellavita dei popoli e in quella delle

persone… HENRY FORD Anchel'esperienzaindividualenonserveadaltro che a perpetuare il ricordodeifallimenti. In fabbrica gli espertisanno solo dirti che questo non sipuò fare, che quello è già statoprovato ma non funziona… Seavessi dato retta agli esperti, nonavreimairealizzatonientediquelloche sono riuscito a realizzare, misarei scoraggiato fin dal principio,nonsareimai riuscitoamontareunmotore a scoppio.Aquell'epoca gliesperti pensavano che l'elettricitàpotesse risolvere tutto, che anche imotori dovessero essere elettrici.Tutti erano affascinati da Edison,

giustamente, e anch'io lo ero. Eandaiachiederealuisecredevacheio fossi un pazzo, come dicevano,perchém'erointestatoafarmarciareun motore che faceva tuff tuff. Eallora proprio lui, Edison, il grandeEdison, mi ha detto: Giovanotto, tidiròquellochepenso.Ioholavoratosull'elettricità tutta la mia vita.Ebbene, le macchine elettriche nonpotranno mai allontanarsi troppodallestazionidirifornimento.Inutilepensare di portarsi dietro dellebatteried'accumulatori: sono troppopesanti. Neanche le macchine avapore sono l'ideale: avrannosempre bisogno d'una caldaia e di

fuoco, e di quel che ci vuole peralimentarlo.Invecelamacchinachehai trovato tu è sufficiente a sestessa: niente fuoco, niente caldaia,niente fumo, niente vapore; la suafabbricad'energiaselatrasportaconsé. E questo che ci voleva,giovanotto.Tu sei sullabuona strada!Continuaa lavorare, non ti perdere d'animo!Se riesci a inventare un motore dipiccolopesochesialimentidasolo,senzabisognodicaricarsicomeunabatteria, avrai un grande futuro!.Ecco cosa m'ha detto il grandeEdison. Lui che era il redell'elettricitàfuilsoloacapireche

stavo facendo qualcosa a cuil'elettricitànonsarebbearrivata.No,non conta essere un esperto, nonconta quello che uno ha fatto. Equellocheunopuòfareevuolefare,checonta!Leideecheunohaperilfuturo!INTERLOCUTORE-Oggiilsuo futuro è già un passato… econdizionatuttoilnostropresente…Mi dica, oggi, guardandosi intorno,riconosce il futuro che lei voleva?Dico il futuro che lei vedeva agliinizi, quando era un giovanecampagnolo del Michigan, che sichiudevanellarimessadellafattoriadisuopadre,asperimentaremodellidi cilindri e pistoni, e cinghie di

trasmissione, e differenziali per leruote… Mi dica, Mister Ford,ricorda cosa voleva allora…?HENRY FORD - Si, volevo laleggerezza, un motore leggero perun veicolo leggero, come ilcalessino sul quale cercavoinutilmented'installareunacaldaiaavapore… Ho sempre cercato laleggerezza, la riduzione deglisprechi di materiale, di fatiche…Passavo le giornate chiuso nelcapanno della rimessa… Da fuorisentivo arrivare ventate d'odor difieno… e il fischio del tordo, dalvecchio olmo vicino allo stagno…una farfalla entrava dalla finestra,

attratta dal bagliore della caldaia,sbatteva le ali intorno, poi altrepestiodellostantuffo,volavavia,silenziosa, leggera… (Immagini diingorghi del traffico in una grandecittà, di code di camion a unaautostrada,dilavoroallepressed'unlaminatoio,dilavoroaunacatenadimontaggio,difumodiciminiereete.sisovrappongonoallafiguradiFordmentrepronuncialeultimefrasi).

L'ultimocanale

Il mio pollice s'abbassaindipendentemente dalla miavolontà:dimomentoinmomento,aintervalli irregolari,sentoilbisognodi premere, di schiacciare, discoccare un impulso improvvisocomeunproiettile;seeraquestochevolevano dire quando m'hannoconcesso la seminfermità mentale,hannovistogiusto.Masbaglianosecredonochenoncifosseundisegno,un'intenzione ben chiara nel miocomportamento. Solo ora, nellacalma ovattata e smaltata di questastanzetta di clinica, posso smentirele incongruità che m'è toccato

sentirmi attribuire al processo, daparte tanto dell'accusa quanto delladifesa.Conquestomemoriale che spero difarrecapitareaimagistratid'appello,benché i miei difensori vogliano atutti i costi impedirmelo, intendoristabilire laverità, lasolaverità, lamia, semai qualcuno sarà in gradodi capirla. I medici annaspano nelbuioancheloro,maalmenovedonocon favore il mio proposito discrivere em'hanno concesso questamacchina e questa risma di carta:credono che ciò rappresenti unmiglioramento dovuto al fatto diritrovarmi rinchiuso in una stanza

senza televisore e attribuiscono lacessazione dello spasimo che micontraeva una mano all'avermiprivato del piccolo oggetto cheimpugnavo quando sono statoarrestato e che ero riuscito (leconvulsioni che minacciavo ognivoltachemelostrappavanodimanononeranosimulate)atenereconmedurante la detenzione, gliinterrogatori,ilprocesso.(E come avrei potuto spiegare - senon dimostrando che il corpo delreatoeradiventatounapartedelmiocorpo - ciò che avevo fatto e pursenzariuscireaconvincerli-perchél'avevo fatto?) La prima idea

sbagliata che si sono fatti di me èche la mia attenzione non possaseguire per più di pochiminuti unasuccessione coerente d'immagini,che la mia mente riesca a captaresolo frantumi di storie e di discorsisenza un prima né un dopo,insomma che nella mia testa si siaspezzatoilfilodelleconnessionichetiene insieme il tessuto del mondo.Nonèvero,elaprovacheportanoasostegno della loro tesi - il miomododistareimmobileperoreeoredavanti al televisore acceso senzaseguirenessunprogramma,costrettocome sono da un tic compulsivo asaltare da un canale all'altro - può

ben dimostrare proprio il contrario.Iosonoconvintocheunsensonegliavvenimenti del mondo ci sia, cheuna storia coerente e motivata intutta la sua seriedi causeed'effettisistiasvolgendoinquestomomentodaqualcheparte,nonirraggiungibiledallanostrapossibilitàdiverifica,eche essa contenga la chiave pergiudicare e comprendere tutto ilresto. E questo convincimento chemitieneinchiodatoafissareilvideocon gli occhi abbacinati mentre gliscatti frenetici del telecomandofanno apparire e scomparireinterviste con ministri, abbraccid'amanti, pubblicità di deodoranti,

concerti rock, arrestati che sinascondono il viso, lanci di razzispaziali, sparatorie nel West,volteggi di ballerine, incontri diboxe, concorsi di quiz, duelli disamurai.Senonmifermoaguardarenessuno di questi programmi èperché il programmachecerco io èunaltro,eiosochec'è,sonosicurochenonènessunodiquesti,equestili trasmettono solo per trarre ininganno e scoraggiare chi comemeèconvintochesial'altroprogrammaquellocheconta.Perquestocontinuoapassaredauncanale all'altro: non perché la miamente sia ormai incapace di

concentrarsi neppure quel minimochecivuoleperseguireunfilmoundialogo o una corsa di cavalli. Alcontrario: la mia attenzione è giàtutta proiettata su qualcosa che nonposso assolutamente mancare,qualcosa di unico che staproducendosi in questo momentomentre ancora il mio video èingombro d'immagini superflue eintercambiabili, qualcosa chedev'esseregiàcominciatoecertoneho perduto l'inizio e se nonm'affrettorischiodiperdernepurelafine.Ilmioditosaltellasullatastieradel selettore scartando gli involucridella vana apparenza come spoglie

sovrapposte d'una cipollamulticolore. Intanto il veroprogramma sta percorrendo le viedell'eteresuunabandadifrequenzacheiononconosco,forsesiperderànello spazio senza che io possaintercettarlo: c'è una stazionesconosciutachestatrasmettendounastoriachemiriguarda,lamiastoria,l'unica storia che può spiegarmi chisono, da dove vengo e dove stoandando. Il solo rapportochepossostabilire in questo momento con lamia storia è un rapporto negativo:rifiutarelealtrestorie,scartare tuttele immagini menzognere che mi sipropongono.

Questopulsareditastièilpontecheio getto verso quell'altro ponte ches'apre a ventaglio nel vuoto e che imiei arpioni non riescono adagganciare: due ponti discontinuid'impulsielettromagneticichenonsicongiungono e si perdono nelpulviscolo d'un mondo frantumato.Estatoquandohocapitoquestocheho cominciato a brandire iltelecomandononpiùversoilvideo,mafuoridellafinestra,sullacittà,lesue luci, le insegne al neon, lefacciate dei grattacieli, i pinnacolisuitetti,itraliccidellegrudallungobecco di ferro, le nuvole. Poi sonouscito per le vie col telecomando

nascosto sotto l'ala del mantello,puntato come un'arma. Al processohannodettocheodiavo lacittà, chevolevo farla scomparire, che erospintodaunimpulsodidistruzione.Nonèvero.Amo,hosempreamatola nostra città, i suoi due fiumi, lerare piccole piazze alberate comelaghid'ombra, ilmiagoliostraziantedelle sirene delle ambulanze, ilvento che prende d'infilata leAvenues, i giornali spiegazzati chevolano raso terra come stanchegalline. So che la nostra cittàpotrebb'essere la più felice delmondo, so che lo è, non qui sullalunghezzad'ondaincuiiomimuovo

masuun'altrabandadifrequenza,èlichelacittàchehoabitatopertuttalamiavitadiventafinalmenteilmiohabitat. E quello il canale checercavo di sintonizzare quandopuntavo il selettore sulle vetrinescintillanti delle gioiellerie, sullefacciatemaestose dellebanche, suibaldacchini e le porte girevoli deigrandi alberghi: a guidare i mieigestiera ildesideriodisalvare tuttele storie in una storia che fosseanche la mia: non la malevolenzaminacciosa e ossessiva di cui sonostatoaccusato.Annaspavano tutti nel buio: lapolizia, i magistrati, i periti

psichiatrici, gli avvocati, igiornalisti. Condizionato dalbisogno compulsivo di cambiarecontinuamente canale, untelespettatore impazzisceepretendedi cambiare il mondo a colpi ditelecomando: questo lo schema checon poche varianti è servito adefinire il mio caso. Ma i testpsicologici hanno sempre esclusoche in me ci fosse la vocazionedell'eversore; anche il mio gradod'accettazione dei programmiattualmente incorsononsidistaccadimoltodallamedia degli indici digradimento.Forsecambiandocanalenon cercavo lo sconvolgimento di

tutti i programmi ma qualcosa chequalsiasi programma potrebbecomunicaresenonfossecorrosodaldidentrodalvermechesnaturatuttele cose che circondano la miaesistenza. Allora hanno escogitatoun'altra teoria, adatta a farmirinsavire, essi dicono; anzi,attribuiscono all'essermene ioconvinto da solo il freno inconscioche m'ha trattenuto dagli atticriminosichemicredevanoprontoacommettere. E la teoria secondo laquale si ha un bel cambiare canalemailprogrammaèsemprelostessoo è come se lo fosse, sia film onotiziario o pubblicità che venga

trasmesso, il messaggio è uno soloda tutte le stazioni perché tutto etutti facciamo parte d'un sistema; eanche fuori del video, il sistemainvade tuttoenon lasciaspaziochea cambiamenti d'apparenza; dunqueche io m'agiti tanto con la miatastiera o cheme ne stia amani intascafapropriolostesso,perchédalsistemanonriusciròmaiascappare.Non so se quelli che sostengonoquesteideecicredonooselodiconosolopensandodimettermiinmezzo;comunque su dime non hannomaiavuto presa perché non possonoscalfire la mia convinzionesull'essenza delle cose. Per me ciò

che conta nel mondo non sono leuniformità ma le differenze:differenzechepossonoesseregrandio anche piccole, minuscole, magariimpercettibili, ma quel che conta èappunto il farle saltar fuori emetterle a confronto. Lo so anch'ioche a passare da canale a canalel'impressione è d'un'unica minestra;esoanchecheicasidellavitasonostretti da una necessità che non lilascia variare più di tanto: ma è inquelpiccoloscartochestailsegreto,la scintilla che mette in moto lamacchinadelleconseguenze,percuiledifferenzepoidiventanonotevoli,grandi, grandissime e addirittura

infinite. Guardo le cose intorno ame, tutte storte, e penso che unniente sarebbe bastato, un erroreevitato a un determinato momento,un si o un no che pur lasciandointatto il quadro generale dellecircostanze avrebbe portato aconseguenzetuttediverse.Cosecosisemplici, cosi naturali, chem'aspettavosemprechestesseropersvelarsi da un momento all'altro:pensare questo e premere i pulsantidel selettore era tutt'uno. ConVolumnia avevo creduto d'averimbroccato finalmente il canalegiusto.Difatti,duranteiprimitempidella nostra relazione, lasciai

riposare il tele comando. Tutto mipiaceva di lei, la pettinaturaachignon color tabacco, la vocequasi da contralto, i pantaloni allazuava e gli stivali appuntiti, lapassione da me condivisa per ibulldog e per i cactus. Ugualmenteconfortevoli trovavo i suoi genitori,le località dove essi avevanoeffettuatoinvestimentiimmobiliariedove trascorrevamo corroborantiperiodi di vacanza, la societàd'assicurazioni in cui il padre diVolumnia m'aveva promesso unimpiegocreativoconcointeressenzadopo il nostro matrimonio. Tutti idubbi, le obiezioni, le ipotesi che

non convergessero nel senso volutocercavo di scacciarle dalla miamente, e quando m'accorsi che siripresentavanosemprepiùinsistenti,cominciai a domandarmi se lepiccole incrinature, i malintesi, gliimpacci che fin'allora m'eranoapparsi come offuscamentimomentanei e marginali nonpotessero essere interpretati comepresagidelleprospettivefuture,cioèche la nostra felicità contenesselatente la sensazione di forzatura edi noia che si prova con un cattivoteleromanzo. Eppure la miaconvinzione che Volumnia e iofossimo fatti l'uno per l'altra non

venivamaimeno: forse su un altrocanale una coppia identica allanostramacheildestinoavevadotatadi doni solo leggermente diversis'accingeva a vivere una vita centovolte più attraente…Fu con questospirito che quel mattino alzai ilbraccio impugnando il telecomandoe lo diressi verso le corbeille dicameliebianche,verso il cappellinoguarnito di grappoli azzurri dellamadre di Volumnia, la perla sullacravattaaplastrondelpadre,lastoladell'officiante, il velo ricamatod'argentodellasposa…Ilgesto,nelmomento in cui tutti gli astantis'aspettavano il mio sì, fu male

interpretato:daVolumniaperprima,chevivideuna ripulsa,uno sfregioirreparabile. Ma io volevosignificare solo che di là, suquell'altro canale, la storia diVolumniaemiacorreva lontanodaltripudiodellenotedell'organoedeiflash dei fotografi, ma con moltecose di più che l'identificavano allaverità mia e sua… Forse su quelcanale al di là di tutti i canali lanostra storia non è finita.Volumniacontinuaadamarmi,mentrequi,nelmondo incui ioabitonon sonopiùriuscito a farle intendere le mieragioni: nonhapiùvolutovedermi.Da quella rottura violenta non mi

sono più sollevato; è da allora chehocominciatoquellavitacheèstatadescritta sui giornali come quellad'un demente senza fissa dimora,che vagava per la città armato delsuoaggeggioincongruente…Invecemaicomealloraimieiragionamentisono stati chiari: avevo capito chedovevo cominciare ad agire dalvertice: se le cose vanno per stortosu tutti i canali, ci dev'essere unultimo canale che non è come glialtri in cui i governanti, forse nontroppo diversi da questi ma condentro di sé qualche piccoladifferenza nel carattere, nellamentalità,neiproblemidicoscienza,

possono fermare le crepe ches'aprono nelle fondamenta, lasfiducia reciproca, il degradarsi deirapporti umani… Ma la polizia miteneva d'occhio da tempo. Quellavolta che di tra la folla assiepata aveder scendere dalle macchine iprotagonisti del grande incontrodeiCapi di Stato mi feci largo em'intrufolai tra le vetrate delpalazzo, inmezzo agli schieramentidei servizi di sicurezza, non feci intempo ad alzare il braccio coltelecomando puntato e mi furonotutti addosso trascinandomi via, perquanto protestassi che non volevointerrompere la cerimonia ma solo

vederecosadavanosull'altrocanale,percuriosità,soloperpochisecondi.

PICCOLO SILLABARIOILLUSTRATO

(daGeorgesPerec) Il ‘Petit abécédaire illustré’ diGeorges Perec (pubblicatoprivatamente nel 1969 e poi in:Oulipo, La littératurepotentielle,Gallimard1973,pp.239e 305) è composto di 16 brevissimitesti narrativi la cui chiave vienedata in fondo: ognuno di essiequivale semanticamente a un altrotestodipochesillabecheasuavoltaequivale foneticamente allasuccessione d'una consonante edelle cinque vocali come nei

sillabari: BA-BE-BI-BO-BU, CA-CE-CI-¬CO-CU, DA-DE-DI-DO-DU, e così via per tutte leconsonantidell'alfabeto.Per esempio: PA-PE-PI-PO-PU è reso così:«Trasferitosi a Cremona, il Sommo Ponteficescruta con ansia il fiume che manda cattivoodore.Papeépie,Pópue».Un'operazione equivalente presenta in italianomaggiori dífficoltà, dato che il rapportofonetica-ortografia nella nostra lingua nonpermette varianti se nonminime, e dato ancheche i monosillabi sono più scarsi, e sopratuttochepochissimeparolefinisconoinu.Hotuttaviacercato di condurre l'operazione fino in fondo,per tutte le consonanti dell'alfabeto italiano(esclusalaQ)compresiildoppiosuonodellaCedellaGeleconsonanticomposteGL,GN,SC:intotale19esercizidisillabario.MisonotenutorigorosamentealleserietipoBA-BE-BI-BO-BU, senzaaltra libertàchequelladiraddoppiare la consonante e la vocale. (In

qualchecaso lavocaleviene triplicata).LeduesoleeccezioniriguardanolaserieGN,incuiunavocale estranea viene elisa nella pronunciamanonnellagrafia,elaserieinPcheterminaconuna consonante estranea semimuta. (Questotesto in P è un contributo di GiampaoloDossena).L'usodellesigle,raroinPerec,èstatoquinecessarioinparecchicasi.Credod'essereriuscitoadattribuireunsensoatuttelesuccessionidisillabe.PerlaserieZl'impresasipresentavadisperata,ma sarebbe stato poco sportivo arrendersiproprioallafine.

BA-BE-BI-BO-BU

Tutte le ragazze impazziscono perBobma eglisembrainsensibileallelorolusinghe.SaputocheBob parte per una crociera in India, Ulricadecided'imbarcarsisullostessopiroscafo,sicura

che le lunghe giornate di navigazione sarannopropizieallaconquista.All'amicaLudmilla,chele manifesta il suo scetticismo, Ulrica dice:«Vedrai. Appena riuscirò a sedurlo ti scriverò.Scommetto che sarà prima d'uscire dal MarRosso». Difatti, da Bab-el-Mandeb, Ludmillariceveunalaconicacartolina.

Bab.EbbiBob.U.

CA-CHE-CHI-CO-CU

Nella clinica gastroenterologica viene condottauna ricerca sulle feci dei pazienti. Ogniproduzionefecalevieneclassificataindiciassettecategoriedesignateda letteredell'alfabeto:dallaA, per le più voluminose, alla Q, per quelleminuscole.Uninfermierecompieognimattinoilgiro dei reparti, chiede a ogni ricoverato se hafeci recenti da mostrare, e dopo una rapidaocchiata, segna la lettera corrispondente nel

registro. Poche parole gli bastano a formularedomande,valutazionieconclusioni.

-Cacche?Chicco.Q.

CIA-CE-CI-CIO-CIU

L'istituzionedelleComuni,nellaCinadiMao,siscontrò agli inizi contro gravi difficoltà. Ladistribuzionedeige¬nerialimentariavveniva inmodo irregolare e i magazzini di vendita alpubblico restavano talora completamentesprovvisti.Potevasuccederecheunamassaiachechiedevaallospacciolasuarazionedilegumisisentisse rispondere che le scorte erano finite echenelnegoziovuotononrestavacheilritrattodelprimoministroappesoalmuro.-Cihaceci?-CihoCiu.

DA-DE-DI-DO-DU

Una giovane americana che studia bel canto inItalia non è molto dotata per il do di petto. Ilmaestro la implorachebutti fuori lanota,eperesserepiùpersuasivo,cercad'esortarlainingleseafarequantoluilechiede.Dà,deh,dido!Do!**Ininglese.

FA-FE-FI-FO-FU

Difetto di registrazione o contraffazioneintenzionaledellavoce,daldiscononsiriuscivaa riconoscere chi era l'attore comico che avevaincisoquellosketch.Mabastò

ascoltare la registrazione con un impianto hi-fipernonaverepiùdubbi.

-Fafe'fi:Fofu.

GA-CHE-CHI-GO-GU

UncertoGhigofariderediséognivoltacheperdifendere un suo diritto sbandiera un decretopubblicatosullaGazzettaUfficiale.

GagèGhigo:-HoG.U.

GIA-GE-GI-GIO-GIU

- Questa volta non mi scappi, Joe! - disse losceriffo.¬Buttaaterralepistole,svelto!Nonèilmomentodimettertiagingillare!

-Giàaggeggi,Joe?Giù!

GLIA-GLIE-GLI-GLIO-GLIU

Unerbivendolo toscano, sentendochequalcunosido¬mandasehadell'aglio,rispondecheisuoiaglisonosugosicomel'olio.

-Glihaagliegli?-Glihoogli,uh!

GNA-GNE-GNI-GNO-GNU

La signora Agnese, in dialetto Gnà Agnè, èparagonata, da un poeta che la corteggia, aun'antilope di fuoco, anzi a tutte le antilopi difuocochesipossonoimmaginare.

GnàAgnèè(o)gniigneognù.

LA-LE-LI-LO-LU

Nei suoi inquieti amori con Nietzsche, LouSalomeavrebbebenvolutoprovocarenell'amico

una levitazione non solo spirituale ma anchefisica.Battendosilemanisullafronte,ilfilosofole rispondeva che solo la sua mente era dotatad'aliperinnalzarsiavolo.

-L'alelil'ho,Lou!

MA-ME-MI-MO-MU

ImaestridelbuddismoZen,postidifronteaunado¬mandachenonammettealtrarispostacheunsi o un no, ricorrono a un terzo termine: mu,parola giapponese che significa: «né sì né no»ossia«questadomandaèmalposta».Cosìanch'ioaccompagnoisìeinochemivengonostrappatidallecircostanzeconalzatedi spalle e scrollatedelcapochesirivolgonosopratuttoamestesso.

-Maamemimomu.

NA-NE-NI-NO-NU

L'obiezione che veniva mossa alla nomina diPietroNenniaMinistrodegliEsterieracheeglinon godesse della simpatia degli ambientidiplomatici americani. 1 suoi sostenitoricontrobattevano questo argomento ricordandoche poteva contare sumolti amici alle NazioniUnite.

-N'haNenniinONU.

PA-PE-PI-PO-PU

(daGiampaoloDossena)

1944. Il cielo notturno dell'Italia del Nordoccupata dai Tedeschi è solcato non solo dallepotentisquadrigliedeibombardieriamericanima

anchedaunpiccoloaereo inglese solitario, cheogni notte sorvola campagne e paesi sperduti esgancia qualche bomba ogni tanto senz'altroobiettivoapparentechequellod'unasua«guerradei nervi». Gli Italiani hanno imparato ariconoscere il suo rombo e a non mettersi inallarme per le sue visite quasi sempreinoffensivo.Lochiamano«Pippo».Una notte stavo leggendo il libro diDesideriusPappAvvenireefinedelmondoeriflettevosullafuga delle galassie, sull'esplodere e spegnersidellestelle,sulleprospettived'un'estinzionedellavita sulla terra. Fu allora che sentii un romboavvicinarsinelcielo,poiun'esplosione.«Pippo»aveva sganciato una bomba. Dalle remotelontanze del cosmo, fui riportatoimprovvisamenteal«quieora».

-Papp,ePippo:Pu(m)!

RA-RE-RI-RO-RU

Quando alla Segreteria delle Nazioni Unite fuinsediatounbirmano,c'erachisidomandavasela cattiva pronuncia della lettera «r»,caratteristicadegliorientali,nonavrebbecausatodifficoltà.InveceinpochimesiUTantdimostròdi padroneggiare benissimo la foneticaoccidentale.Eunamicosenecongratulòconlui,dandogli atto che ormai solo poche volte lapronunciadiuna«erre»lasciavaadesiderare.

-Rareerri«r»or,U.

SA-SE-SI-SO-SU

IPer convincere il proprietario d'un night-club ascritturarla, una spogliarellista lo assicura dellapropriaefficacianelprovocarel'eccitazionedeglispettatori.

-Sa?Sessiissosu!

SCIA-SCE-SCI-SCIO-SCIU

Unostudiosodilinguisticacomparata,giuntoinPersia per verificare alcune particolarità dellafonetica indoeuropea, si avventura nel palazzodello Scià. Un giannizzero gli intima d'uscire,avvertendolochel'imperatorericorreancoraalladecapitazionemediantelascure.Concandore,lostudioso si limita a indicare l'oggetto della suaricerca:l'originedelledesinenzeinuneidialettidella Campania preromana, particolarmente inquellodegliOsci.

-Sciàhaasce!Esci!Sciò!-Osciu.

TA-TE-TI-TO-TU

Unimpiegatodibanca toscano,aunamicoche

gli chiede schiarimenti sulla causale d'una cifrache risulta addebitata al suo conto corrente,spiegachesi trattadelpagamentodellabollettadel telefono che la banca preleva d'ufficio perversarlaallasocietàTETI.

-T'haTETItot,tu.

VA-VE-VI-VO-VU

Apparizione insolita nel centro dellametropoli,una gallina attraversava lentamente la stradaprovocando bruschi arresti nel traffico. Uncittadinos'affrettòadavvertireunvigileurbano,conparolerapideeunpo'enfatiche.

-Vaavevivo,V.U.!

ZA-ZE-ZI-ZO-ZU

Ilverbo«zazzeare»èusatodiradomafiguraneidizionaricolsignificatodi«andareazonzo».Untale,cheamaivocabolidesuetieperdipiùfaunfrequente uso di elisioni, incontra suo zio e glichiedesevaaspasso.Loziocheasuavoltahalamaniad'usareadrittoeatraversopreposizionitedesche, gli risponde che è diretto al giardinozoologico.

-Zazze',zi?-Zoozu!

Notadell'Editore

Leproseraccolteper laprimavoltain questo volume sono statepubblicate nelle sedi sotto elencate.Nei casi in cui si disponga sia delmanoscritto che del testo a stampa,si è data la preferenza a titolo elezionidelmanoscritto.Apologhi e racconti 1943 1958L'uomo che chiamava Teresa,manoscritto datato 12.4. 1943. Illampo, manoscritto datato25.4.1943. Chi si contenta,manoscritto datato 17.5.1943;pubblicato in la Repubblica17.9.1986. Fiume asciutto,manoscritto datato ottobre 1943.

Coscienza, manoscritto datato1.12.1943.Solidarietà, manoscritto datato3.12.1943. La pecora nera,manoscritto datato 30.7.1944. Buona nulla, 1945-46, titolo delmanoscritto originale; progetto diromanzopoidivenutoracconto.Conil titoloComenon fuiNoè apparvein una piccola rivista nonidentificabile. Sono state trovatesoltanto le pagine di questoracconto, strappate. Come un volod'anitre, Il Settimanale Il, 18,3.5.1947. Amore lontano da casa,bozze con correzioni autografe,1946.

Vento in una città, bozze concorrezioni autografe, 1946. Ilreggimento smarrito, L'Unità15.7.1951; versione definitiva inAA.VV., Quattordici racconti,Mondadori, Milano 1971. Occhinemici (titolo del manoscritto); poiin L'Unità 2.2.1952 col titolo Gliocchi del nemico. Un generale in6iblioteca (titolo del manoscritto);poi inL'Unità 30.10.1953 col titoloIl generale inbiblioteca.La collanadella regina,pubblicatocon il titoloFrammentodiromanzoinIgiorniditutti, Edindustria editoriale S.p.A.,1960.LaNotadell'Autorerecita:Lepaginecheseguonosonotrattedaun

romanzo che ho lavorato negli anni'52,'53,'54echenonhocontinuato.Attraversoleperipezied'unacollanadiperlesmarrita, il romanzovolevadare una rappresentazione satiricadei vari ambienti sociali d'una cittàindustriale,neglianniditensionedeldopoguerra. La gran bonaccia delleAntille, Città Aperta,> I, 4-5,25.7.1957;laNota1979fuscrittadaCalvino nel 1979 dietro richiesta diFeliceFroio.La tribù con gli occhi al cielo,manoscritto con una nota autografadell'Autore,chedice:Ottobre1957-dopo ilmissile sovietico, prima delsatellite.Per"CittàAperta",poinon

pubblicato. Monologo notturno diun nobile scozzese, L'Espresso25.5.1958; nella nota in terzapersona che accompagna lapubblicazione di questo racconto sidice, certamente su suggerimentodell'Autore: In questo apologo loscrittore Italo Calvino esprime unsuogiudiziosullasituazioneitalianaallavigiliadelleelezioni.Sitrattadiun racconto a chiave. Nei MacDickinson, cioè negli episcopali,sono raffigurati i democristiani; neiMacConnolly, cioè neimetodisti, icomunisti; nei Mac Ferguson, cioènei presbiteriani, i laici. Il nobilescozzese è uno di essi. Abbiamo

peccato, dice in sostanza Calvino,perché ci siamo sempre rifiutati diconsiderare le nostre guerre comeguerre di religione, illudendoci checosì fosse più facile arrivare ad uncompromesso.Iltestoquipubblicatoè quello del dattiloscritto concorrezioniautografediCalvino.Unabellagiornatadimarzo,CittàApertaIl,9-10,giugnoluglio1958.Raccontiedialoghi1968-1984

Lamemoriadelmondo,ClubdegliEditori,Milano1968.Ladecapitazionedeicapi,IlCaffèXIV,4,4.8.1969;laNotadell'Autoredice:Lepaginecheseguonosono

abbozzidicapitolid'unlibrochedatempovadoprogettando,echevorrebbeproporreunnuovomodellodisocietà,cioèunsistemapoliticobasatosullauccisioneritualedell'interaclassedirigenteaintervalliditemporegolari.Nonhoancoradecisocheformaavràillibro.

Ognunodeicapitolicheorapresentopotrebbe essere l'inizio d'un librodiverso; i numeri d'ordine che essiportano non implicano perciò unasuccessione.

L'incendio della casa abominevole,Playboy edizione italiana, 1973. Lapompa di benzina (titolo delmanoscritto); poi in Corriere dellaSera 21.12.1974 col titolo La forzadellecose.L'uomodiNeanderthal, inAA.VV.,Le interviste impossibili,Bompiani,Milano 1975. Montezuma, inAA.VV., Le interviste impossibili,Bompiani,Milano 1975. Prima chetu dica Pronto, Corriere della Sera27.7.1975. La glaciazione, testoscritto su richiesta della dittanipponica di bevande alcolicheSuntori pubblicato dapprima ingiapponese, poi in Corriere della

Sera 18.11.1975. Il richiamodell'acqua, prefazione-racconto alvolume di Vittorio Gobbi e SergioTorresella, Acquedotti ieri e oggi,Montubi,Milano1976.Lospecchio,il bersaglio (titolo delmanoscritto);poi in Corriere della Sera14.12.1978col titoloC'èunadonnadietro il bersaglio. Le memorie diCasanova, racconti scritti peraccompagnare un volume diacqueforti di Massimo Campiglipubblicato da Salomon e Torrinieditori, 1981, con una Notadell'Autore in terza persona: Dopo"Lecittàinvisibili",catalogodicittàimmaginarie visitate da un redivivo

MarcoPolo, ItaloCalvinocominciaun'altraseriedibreviracconti,anchequeste avventure attribuite a unfamoso veneziano, che stavolta èGiacomo Casanova. Un "catalogo"anche questo, ma di situazioniamorose. Poi in la Repubblica 15-16.8.1982.HenryFord,dattiloscrittocon correzioni autografe datato30.9.1982.DialogoscrittoperlaTVpoi non realizzato. L'ultimo canale,la Repubblica 31.1.1984. Piccolosillabario illustrato, BibliothèqueOulipienneIl6, plaquette fuoricommercio, con breve introduzionedi Italo Calvino, Paris 1978.Pubblicato, con stesura leggermente

diversa, in Il Caffè a. XXII, serieVIII, n 1, 1977 e poi in Oulipo, laletteratura potenziale, CLUB,Bologna1985.

TableofContents

PRIMA CHE TU DICAPRONTO.1943-1958

L'uomo che chiamavaTeresaIllampoChisicontentaILfiumeasciuttoCoscienzaSolidarietàLapecoraneraBuonanullaComeunvolod'anitreAmorelontanodacasaVentoinunacittà

IlreggimentosmarritoOcchinemiciUngeneraleinbibliotecaLacollanadellareginaLa gran bonaccia delleAntilleconnota1979

Nota1979Monologo notturno di unnobilescozzeseUna bella giornata dimarzo

19681984.Lamemoriadelmondo.LadecapitazionedeicapiL'incendio della casaabominevoleLapompadibenzina

L'uomodiNeanderthalMontezumaPrimachetudicaProntoLaglaciazioneIlrichiamodell'acquaLospecchio,ilbersaglioLememoriediCasanovaHenryFordL'ultimocanalePICCOLO SILLABARIOILLUSTRATO

Notadell'Editore

TableofContents

PRIMACHETUDICAPRONTO.1943-1958

L'uomochechiamavaTeresaIllampoChisicontentaILfiumeasciuttoCoscienzaSolidarietàLapecoraneraBuonanullaComeunvolod'anitreAmorelontanodacasaVentoinunacittàIlreggimentosmarritoOcchinemici

UngeneraleinbibliotecaLacollanadellareginaLa gran bonaccia delle Antilleconnota1979

Nota1979Monologo notturno di unnobilescozzeseUnabellagiornatadimarzo

19681984.Lamemoriadelmondo.LadecapitazionedeicapiL'incendio della casaabominevoleLapompadibenzinaL'uomodiNeanderthalMontezumaPrimachetudicaPronto

LaglaciazioneIlrichiamodell'acquaLospecchio,ilbersaglioLememoriediCasanovaHenryFordL'ultimocanalePICCOLO SILLABARIOILLUSTRATO

Notadell'Editore