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Quarta settimana Valutazione e partecipazione

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Quarta settimana

Valutazione e partecipazione

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Le prime tre settimane

• Le prime tre settimane si sono affrontati dei problemi che sono di premessa alla valutazione vera e propria, una tematica che sta diventando sempre più importante sia in sede europea, sia in sede nazionale.

• Per questo, restando ancora solo una settimana di lezione, presenteremo più una bibliografia che una disanima dei problemi connessi con pretesa di esaustività.

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PRIMA PARTE

• La valutazione attraverso la partecipazione

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MEANS

• MEANS è un acronimo che si è diffuso in sede europea per una pubblicazione in sei volumi che viene indicata come Collection MEANS.

• MEANS sta per MEANS for Evaluating Actions of Structural Nature oppure per Methods of Evaluating Structural Policies.

• I sei volumi dell’opera sono stati pubblicati nel 1999 e hanno dato una sistemazione, che sta diventando, sempre più condivisa del dizionario della valutazione.

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Commission Européenne (C.E.)• C.E.(1999), Fonds structurels communautaires,

Évaluer les programmes socio-economiques. Collection MEANS, Commissione des Communautés Européennes, 1993, Manuel Gestion du Cycle du Projet. Approche integrée et cadre logique, n. 1, Bruxelles, 6 voll., Luxembourg, Office des publications officielles des Communautés européennes

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• 1999, I, Conception et conduite d’une évaluation, Volume 1

• 1999, II, Choix et utilisation des indicateurs pour le suivi et l’évaluation, volume 2

• 1999, III, Principales techniques et outils d’évaluation, Volume 3

• 1999, IV, Solutions techniques pour évaluer dans un cadre de partenariat, Volume 4

• 1999, V, Évaluation transversale del impacts sur l’environment, l’emploi et les autres priorités d’intervention, Volume 5

• 1999, VI, Glossaire de 300 concepts et termes techniques, Volume 6

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Il primo problema concettuale• In inglese ci sono due modi di tradurre il

concetto di valutazione: evaluation e assessment.

• Sia Wildavsky, sia MEANS, sia la gran parte della letteratura traduce con evaluation la valutazione delle politiche sociali e dei servizi sociali.

• Assessment viene riservato a quello che in italiano viene normalmente chiamato valutazione dell’impatto.

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Assessment• La valutazione del Servizio Sociale non ha a

che vedere con la valutazione d’impatto. A meno che non si voglia parlare di “impatto sociale”, che non ha senso perché il Servizio Sociale non impatta la società, ma è la società.

• Non perché la valutazione di impatto non sia importante. Anzi, per molti versi, è più importante e comunque le due valutazioni si completano a vicenda. Soltanto perché la valutazione dei servizi o delle politiche sociali è cosa che punta ad obiettivi diversi.

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Perché la valutazione sta diventando sempre più importante?• MEANS lo spiega in modo diplomatico: “La

valutazione gioca un ruolo cruciale, sia come segnale di cosa deve essere fatto o no, sia come strumento capace di giustificare l’esistenza dell’azione pubblica agli occhi dei cittadini” (C.E. 1999, I, p. 8). Si può dire in modo più chiaro (Palumbo, Mauro, Il processo di valutazione. Decidere, programmare, valutare, Milano, FrancoAngeli, 2002, p. 7)

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• “Tra le cause della fortuna che la valutazione sta conoscendo si può citare in primo luogo un fenomeno assai diffuso nelle democrazie occidentali. Si tratta della progressiva erosione delle basi tradizionali di legittimazione dei poteri pubblici, riconducibili alla partecipazione elettorale e al ruolo dei partiti, ossia al carattere democratico e rappresentativo delle istituzioni, cui corrisponde il crescente rilievo assegnato alla capacità dei servizi pubblici di rispondere in modo adeguato ai bisogni dei cittadini…..

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• …. In altri termini, dal fatto che i decisori sono considerati meno ‘rappresentativi’ deriva che la loro legittimazione riposa che più sul buon esito di quel che decidono di fare che non sul mandato a decidere che è stato loro conferito ……

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• …… Questa macro-causa deriva a sua volta da molti fattori, cui non è possibile in questa sede assegnare uno spazio adeguato. Vanno comunque ricordati quantomeno i processi di secolarizzazione e de-ideologizzazione, la minore partecipazione politica, che si riscontra anche, ma non solo e non principalmente, nella minore partecipazione elettorale, ……

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• …. lo sviluppo del welfare state, la cui crisi attuale non deve far dimenticare la consistente mole di servizi che tuttora dipendono, nella loro erogazione e programmazione, dalla mano pubblica. È opportuno considerare tuttavia, all’interno di questa macro-causa, non solo i fattori legati all’offerta, ma anche quelli legati alla domanda” (Palumbo 2002, pp. 7-8).

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• … “abbiamo di fronte un cittadino ormai maggiorenne, che chiede allo Stato un modo diverso di porsi nei suoi confronti e che pretende non solo di giudicare in modo competente la qualità dei servizi che vengono erogati, ma anche di conoscere le modalità attraverso cui i programmi pubblici sono definiti e attuati e quali effetti hanno ottenuto……

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• …… Una domanda insomma di trasparenza e controllo che, se correttamente intesa, deve essere vista dai pubblici poteri come occasione per un miglioramento continuo, piuttosto che come ingerenza fastidiosa in materie in precedenza riservate agli addetti ai lavori” (Palumbo 2002, p. 8).

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La valutazione implica il mutamento del modello di Stato

• Lo Stato italiano è stato costituito, più che dallo Statuto Albertino, graziosamente concesso da Carlo Alberto, per il Regno di Sardegna, e successivamente esteso alle altre Regioni d’Italia (1859, al Centro-NordOvest, 1860, al Meridione, 1866, al Veneto, 1870, al Lazio, 1918, a Trento e Trieste), dalla legge del 20 marzo 1865 che ha disegnato l’intera ossatura del nuovo Stato.

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La legge 20 marzo 1865

• La legge del 1865 ha modellato la struttura formale dello Stato senza formarsi sul contenuto e sul valore delle decisioni che vengono prese, ma sulla loro forma. La forma la da la legge, qualsiasi legge, ma il contenuto lo da la cultura della classe politica, dei giudici e, in ultima istante, dei cittadini.

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La legge 20 marzo 1865

• Per esempio, in un contratto, non ci si preoccupa che un’opera venga costruita male o in ritardo o per niente, ma ci si preoccupa di avere uno Stato neutrale nei confronti dei concorrenti, dando a tutti loro la stessa possibilità di vincere la gara. Finito questo ruolo, lo Stato non controlla più quello che è ormai diventato responsabilità e quasi proprietà del vincitore.

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La legge 20 marzo 1865• Sempre Pietro Manfrin illustra la cultura

statalista che si sta diffondendo nella classe politica post-risorgimentale, con un aneddoto: se un amministrato e lo Stato entrano in conflitto e si presentano davanti a un giudice, ha detto una volta un Ministro di Grazia e Giustizia, se vince lo Stato, il male è piccolo perché lo Stato rappresenta l’interesse di tutti e, quindi, anche l’interesse dello sconfitto che vede ridotto il proprio danno; se vince l’individuo, danneggia tutti.

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La legge 20 marzo 1865• Quindi l’interesse generale è che l’individuo

soccomba sempre di fronte allo Stato. Questa è diventata la filosofia hegeliana ridotta in pillole ad uso e consumo della classe politica italiana: il bene pubblico è sempre più importante e superiore del bene individuale perché esistono solo beni individuali o di parte e beni generali o di tutti e questi ultimi sono quelli che vengono gestiti dallo Stato. Al di fuori della gestione dello Stato esisterebbero solo beni individuali o di parte.

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La cultura sottesa alla legge 20 marzo 1865

• L’impostazione statalista della legge 20 marzo 1865 rimane, per quasi un secolo e mezzo, alla base della struttura organizzativa dello Stato italiano e si manifesta nel fatto che la valutazione dell’operato di un funzionario o di un assistente sociale, e quindi del funzionamento del servizio, viene realizzata dai suoi colleghi o dai superiori i quali valutano solo gli aspetti formali del corretto assolvimento delle procedure previste.

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Il cittadino è ancora minorenne?• “Questa situazione era giustificata, da un lato,

dal convincimento che la correttezza delle procedure fosse la migliore garanzia della bontà del risultato e, dall’altro lato, dal presupposto che il cittadino, in questo caso ridotto allo scomodo ruolo di ‘utente’, non fosse, ne dovesse essere, in grado di esprimere una propria opinione sugli esiti delle pratiche (amministrative o professionali) di cui era stato oggetto ….

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• …. Anche in questo caso la situazione sta cambiando rapidamente: nella società contemporanea si diffonde il principio della centralità dell’utente o del ‘cliente’, a sua volta fortemente connesso a quello della qualità del servizio; in entrambi i casi diventa impossibile programmare e realizzare gli interventi senza interrogarsi sui risultati dell’attività svolta e sul grado di soddisfazione del suo destinatario finale. Da qui il proliferare di carte dei servizi, di codici deontologici, di standard minimi di risultato …..” (Palumbo 2022, p. 8).

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E la crisi fiscale dello Stato?• “È poi d’obbligo citare, tra le cause

dell’affermarsi della valutazione, la crisi fiscale dello Stato, che richiede maggiori capacità di allocare in modo ottimale le risorse, sia dal punto di vista della loro efficienza che da quello della loro efficacia” (Palumbo 2002, p. 9).

• Almeno per quanto riguarda la valutazione dei costi standard (vedi legge 42 del 5 maggio 2009 sul federalismo fiscale) questo è vero.

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Chi fa o può fare valutazione?• 1) l’autovalutazione come alternativa alla

valutazione;• 2) algoritmi matematici che elaborano

complessi sistemi di indicatori sociali;• 3) organi superiori, indipendenti o neutrali

tipo Corte dei Conti che valutano la corretta applicazione delle procedure;

• 4) colleghi che valutano alla pari attraverso processi del tipo “peer review”;

• 5) cittadini che partecipano valutando.

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L’autovalutazione• Il veneto Pietro Manfrin spiega il sistema

dell’autovalutazione con l’esempio dei medici provinciali il cui compito, in Lombardia e nelle Venezie, era quello di vigilare sui medici condotti, con le loro frequenti visite nei singoli Comuni, di tenere conto dei reclami, di giudicare delle cure e dei metodi adottati. Quando arrivano i Piemontesi, la prima cosa che dicono è: ma che ci fanno i medici in giro per i Comuni? Vadano a lavorare all’ospedale!

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• I medici provinciali vengono prima aboliti per poi essere ripristinati molti anni dopo, ma senza il compito di andare a fare ispezioni sul posto. Il loro compito è di scrivere ai medici condotti e ottenere risposte. E si è inventato il formulario d’inchiesta che viene mandato al prefetto, il quale niente sapendo delle realtà locali, lo invia ai Comuni, i quali lo inviano ai medici che lo compilano. In questo formulario d’inchiesta ci dovrebbero essere le denunce dei disservizi e delle inefficienze nell’azione dei medici condotti. Anche a presupporre che tutti i medici siano galantuomini, difficile che arrivino fino al punto di autodenunciarsi.

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La valutazione secondo indicatori• Un esempio di valutazione secondo indicatori

è la misurazione dei costi standard pensata per realizzare il federalismo fiscale.

• La valutazione attraverso indicatori si realizza, il più delle volte, quando si è consapevoli di non avere il consenso necessario per realizzare una valutazione basata sulla rilevazione esperta della qualità.

• In un Comune vicino Padova i servizi offerti, ma anche il lavoro di ciascun impiegato, sono valutati con 5000 indicatori: una follia.

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La valutazione attraverso la legge 42/2009 sul federalismo fiscale

• Un trasferimento di risorse riducendo i flussi dallo Stato verso le Regioni meridionali che eleggono il 40% dei deputati in Parlamento non può essere realizzato se non al costo di mettere d’accordo tutti i deputati del Centro e del Nord, indipendentemente dallo schieramento politico. Se, poi, si costruisce una Commissione Stato-Regioni per vigilare sull’applicazione della legge, il consenso necessario non si otterrà mai.

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Valutazione attraverso costi standard

• Diversa è la cosa se si sostiene, ex ante, che gli indicatori riescono a rilevare lo spreco di risorse pubbliche. Così la modifica di flussi di risorse si presenta come uno strumento per ridurre lo spreco. E questo può aumentare i consensi per l’operazione. Inoltre, il non saper prima quali saranno i risultati di un insieme complesso di indicatori aiuta ad accettare meglio il responso e, quindi, ad aumentare il consenso preventivo all’operazione stessa.

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La Corte dei Conti• La Corte dei Conti è un organo dello Stato con

funzioni giurisdizionali e amministrative di controllo in materia di entrate e spese dello Stato, delle Regioni, degli Enti Locali, etc.

• La Corte dei Conti nasce nella Francia napoleonica ed è presente, in prevalenza, nei Paesi di civil law, di tradizione latina (Francia, Italia, Spagna, Portogallo, Belgio, molti paesi francofoni ed alcuni latinoamericani, ecc.).

• La corte dei conti è solitamente prevista dalla Costituzione.

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La Corte dei Conti• È un organo collegiale o un organo complesso

costituito da una pluralità di organi collegiali (che prendono il nome di sezioni, camere, etc.) ed è composto da magistrati contabili diversi dai magistrati che giudicano dei reati dei, o delle controversie tra, cittadini.

• Non in tutti i Paesi questi magistrati sono indipendenti dal Parlamento o dal Governo.

• Contro le pronunce della Corte dei Conti, in Italia, si può fare ricorso rivolgendosi ad apposite sezioni della stessa Corte dei Conti.

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La Corte dei Conti

• Le corti dei conti verificano anche il bilancio consuntivo dello Stato o di altri enti pubblici, e i conti periodicamente resi da coloro che gestiscono denaro o beni pubblici. Questi controlli servono allo scopo di verificare i movimenti in entrata ed uscita, valutando che siano conformi alla legge ed alle regole contabili, oltre che valutando il rispetto delle regole contabili e l'attendibilità del bilancio.

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Auditor or/and comptroller general

• Nei paesi di common law la funzione di controllo è svolta da un organo monocratico denominato auditor general o comptroller general, come negli Stati Uniti a livello federale, o comptroller and auditor general, come in Gran Bretagna, Irlanda e India. Si tratta di un organo indipendente, nominato dal capo dello Stato.

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• L’istituzione di auditor general è costituita da un ufficio nel quale operano professionisti della revisione contabile. Questa istituzione trasmette rapporti periodici ad un'apposita commissione parlamentare la quale, sulla base di tali rapporti e di audizioni di esponenti del governo e della pubblica amministrazione, riferisce a sua volta all'assemblea.

• La differenza rispetto alla Corte dei Conti sta nel fatto che opera audizioni dei responsabili delle spese oltre che controllarne i conti.

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La partecipazione dei cittadini

• Il controllo delle attività amministrative, compreso il controllo dei servizi del cosiddetto welfare state, se realizzato attraverso la partecipazione dei cittadini non segue questo o quel momento della realizzazione di una politica pubblica, ma segue l’intero ciclo della realizzazione della politica o dell’erogazione del servizio. Un ciclo costituito da: programmazione, decisione e valutazione.

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La partecipazione• Per capire come sia seguito questo ciclo va

considerato l’intero “albero della partecipazione” (vedi Allegato n. 8) che è il risultato di una analisi comparativa di tutte le scale di partecipazione previste a livello internazionale.

• Le scale di partecipazione sono tanto più significative e pregnanti quanto più sono espressione di un approccio pragmatico alla gestione negoziata e partecipata dei problemi.

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• Questo pragmatismo consiste nell’entrare nei processi partecipativi con dei frame cognitivi di natura culturale e non ideologica.

• All’interno di questo pragmatismo, le differenze tra le varie forme di partecipazione diventano espressione di diverse “specializzazioni” della partecipazione. In questo senso va intesa la classificazione presentata nella prima parte di queste lezioni quando si è parlato di partecipazione nella dimensione del power, dell’advice e dell’audit.

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La partecipazione

• Sempre l’atteggiamento fortemente pragmatico con cui viene affrontato il tema della partecipazione non è di ostacolo al fatto che ciascuna di queste “specializzazioni” può essere attivata a preferenza delle altre o può anche essere attivata in compresenza delle altre.

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La partecipazione nella fase della progettazione/programmazione

(advice)• Può accadere che la partecipazione si

esaurisca con la fase della progettazione (o programmazione) e con la produzione di competenze esperte (advice);

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La partecipazione nella fase della decisione (power)

• Può succedere che si esaurisca nella richiesta di partecipazione alla decisione (power) e si può chiedere ai rappresentanti del sovrano regolarmente eletti di lasciare la scelta tra varie soluzioni possibili, costruite sulla base dei diversi punti di vista delle varie forze politiche. Un esempio di questo genere è il referendum confermativo;

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La partecipazione nella fase della valutazione/implementazione

(audit)• Può accadere che si richieda di partecipare

all’audit, nell’implementazione di una politica che è stata concepita sulla base dell’expertise, di politici e tecnici di loro fiducia ed è stata decisa dagli organi istituzionali addetti;

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• Può anche succedere che la cittadinanza si attivi per contribuire sia alla progettazione (advice) di una politica, che alla scelta (power) dell’alternativa più corretta da scegliere e, infine, alla fase della valutazione o implementazione (audit). Infatti, sul piano della pragmatica, l’attivazione della cittadinanza non crea problemi di incommensurabilità sia nel caso la partecipazione si sviluppi in una sola forma “specializzata”, sia che si sviluppi in tutte e tre le forme di “specializzazione” possibili.

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Un esempio di valutazione di un Servizio attraverso la

partecipazione• Il Servizio Sanitario Regionale della Puglia.

• Il caso della partecipazione della cittadinanza attiva pugliese alla redazione del Piano Sanitario Regionale: un processo di valutazione in prospettiva di una riforma del Servizio Sanitario Regionale (vedi Allegati nn. 4 e 8).

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Il principio su cui viene disegnata la riforma sanitaria

• Il nuovo Piano Regionale Sanitario stabilisce i seguenti principi: il potere di programmare le linee generali tocca al Governo Politico del Piano, il potere di implementare le strategie sanitarie viene delegato dal Governo Politico al Governo Clinico e ai cittadini attivi va affidato il compito di cooperare con le direzioni sanitarie.

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Il principio come espresso nel Piano Sanitario Regionale

• Al Governo Clinico viene affidata l’attività di “miglioramento continuo della qualità dei loro servizi e della salvaguardia di elevati standard di assistenza attraverso la creazione di un ambiente in cui possa svilupparsi l’eccellenza dell’assistenza sanitaria” (Piano Salute, pag. 176).

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Nel PRS, si dice che:• 1) Il Governo Tecnico è “la dimensione

attraverso la quale le professioni cliniche adeguano i servizi alle mutevoli condizioni organizzative e cliniche determinate dalle innovazioni tecnologiche ed organizzative e promuovono nell’ambito di questi ultimi le iniziative di cambiamento necessarie a garantire il mantenimento di una qualità dell’assistenza in linea con gli standard professionali” (Piano Salute 2007, pag. 176).

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Nel PRS, sempre a proposito del Governo Clinico, si dice che:

• 2) Il Governo Clinico è “l’insieme di strumenti con i quali l’organizzazione assicura l’erogazione di assistenza sanitaria di alta qualità, responsabilizzando i professionisti sanitari sulla definizione, il mantenimento e il monitoraggio di livelli ottimali di assistenza” (Piano Salute 2007, pag. 176).

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• Secondo il PRS, il compito dei cittadini attivi è quello di collaborare alla realizzazione degli obiettivi del Governo Clinico. Ed è su questo punto che la partecipazione dei cittadini produce un risultato diverso rispetto a quello disegnato dal Governo Politico: i contributi forniti dai cittadini attivi mostrano una diversa aspirazione in quanto scartano gli aspetti relativi alla competenza tecnica del personale e si soffermano su altri aspetti che danno consistenza pratica (cioè valutano la capacità/volontà di fare bene) alla competenza tecnica astrattamente intesa (la valutazione della possibilità di fare bene, qualora ci fossero le condizioni per impegnarsi nel farlo).

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• Il Governo Clinico viene accusato, dai cittadini, di non essere all'altezza delle proprie funzioni:

• a) frequenti sono le accuse di incapacità ai direttori generali e ai direttori sanitari;

• b) aperte sono anche le accuse alla responsabilità dei politici che hanno costruito attraverso il clientelismo una classe medica che aspira più ad assumere ruoli dirigenziali che a svolgere il lavoro clinico;

• c) esplicite sono le accuse al fatto che la classe medica è autocratica, che non si preoccupa o non si accorge del modo come sono tenuti, in termini di pulizia e igiene, gli ospedali e che volta gli occhi da un'altra parte quando altre categorie non rispettano i diritti del malato;

• d) non mancano le accuse del fatto che i medici si coprono l'un l'altro perché, nessuno essendo senza magagne, la copertura delle magagne degli altri è la prima garanzia della copertura delle proprie responsabilità.

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• In riferimento al Governo Clinico, viene anche sanzionata l'azione del personale sanitario:

• a) accusato di commettere errori perché stanco per i turni aggiuntivi, per l'attività aggiuntiva di ambulatorio e anche per l’attività privata che svolge parallelamente a quella "di ufficio" nelle strutture pubbliche;

• b) accusato di scarsa professionalità e competenza sia per quanto riguarda i medici che gli infermieri e i portantini;

• c) accusato di comportarsi con arroganza, cioè come dei capetti che bistrattano i malati e li trattano con maleducazione (al punto che vengono richiesti corsi di buone maniere per i medici e per gli infermieri).

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• Il problema è, infatti, soprattutto in un triangolo: la cittadinanza attiva non si sente garantita dal Governo Clinico le cui professionalità sono distorte dai conflitti di interesse e non si sente rappresentata dal Governo Politico fin quando questo concepisce la riforma sanitaria come un piano deciso dalla politica e, poi, affidato nella sua operatività al Governo Clinico. La delega operata dal Governo Politico al Governo Clinico della responsabilità della gestione della sanità, dell’applicazione delle leggi e dello stesso Piano Sanitario Regionale non convince la cittadinanza attiva.

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Per i seguenti motivi:• 1) il Governo Politico è cambiato, ma i

raccomandati di oggi sono gli stessi di prima (per bonificare la sanità bisogna cominciare da politiche tendenti a ridurre la corruzione e, soprattutto, l'ereditarietà delle cattedre o la loro attribuzione per meriti politici più che professionali);

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• 2) la pianificazione politica della sanità è inadeguata anche perché vista con gli occhi dei politici e gli interessi dei primari. Questo fa apparire (sono purtroppo frequenti queste denunce) i direttori generali, i direttori sanitari, etc. come degli incapaci, anche quando sono dei medici prestati alla politica. Le accuse che vengono loro rivolte sono tante (e molte di queste sono state già enunciate nei temi precedenti);

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• 3) il legiferare dei politici continua a non produrre politiche concrete perché le leggi e i piani che vengono approvati non hanno contenuti operativi (si privilegia la dimensione dell'intervento sull'intero sistema e non quella del microintervento correttivo e trasversale alle suddivisioni in reparti);

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• 4) l'accorpamento delle ASL, voluto dal Presidente della Regione, Nichi Vendola, (secondo alcuni critici con l’intento di poter rinominare i direttori generali sanitari delle nuove ASL) ha tolto i punti di riferimento istituzionali, aperti al dialogo, che si erano creati nell'organizzazione sanitaria, e ha portato come conseguenza un ulteriore allontanamento dei cittadini attivi dalla sanità e la disorganizzazione dei comitati consultivi misti……

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• (questa critica, avanzata da più parti, introduce la possibilità che sinergie importanti per la riforma sanitaria siano state compromesse e che si debba fare ogni sforzo per ripristinarne i collegamenti: non si riforma un qualsiasi sistema aperto, per dirla con Weber, senza aprire l'amministrazione a chi si attiva e fornisce un contributo di esperienze indispensabile da porre in interazione con il contributo di competenze presenti nell'intreccio, altrimenti tendente a chiudersi, del sistema sanitario);

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• 5) si nota ancora, e viene denunciato in varie forme, un distacco della cittadinanza attiva dai luoghi della politica e della decisione (con relativo scarso interesse alla partecipazione alla decisione, quindi al potere). Questo distacco si manifesta nella forma di incomprensioni della ratio sottesa a molte decisioni. I cittadini attivi sottolineano la scarsa penetrabilità dei criteri con cui si stabiliscono ticket, accesso gratuito a servizi e acquisto medicinali per alcune patologie, mentre altre restano escluse, pur essendo di grossa importanza……

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• … Una lunga lista di segnalazioni specifiche e di domande è pervenuta e dovrebbe trovare una qualche risposta. Ad esempio, un campo lasciato troppo spesso alla gestione dei servizi privati è quello delle cure dentarie e comunque non ci si pone i problemi dei costi delle protesi dentarie e dell’importanza della qualità delle stesse, soprattutto per la vita degli anziani ……

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• … Anche il rapporto tra pubblico e privato richiede una regolazione esplicita e più attenta per quanto riguarda i costi, le tariffe, e soprattutto i meccanismi che conducono spesso con eccessiva facilità a farne ricorso come unica spiaggia. Questo può avvenire solo se il settore privato viene potenziato e compenetrato al sistema della sanità pubblica. Il come è compito del politico stabilirlo, anche se il politico tende a stabilirlo con il legame del clientelismo, mentre la richiesta della cittadinanza attiva è quella di stabilire questi criteri di valutazione in un sistema che nasce dalla compenetrazione del Governo Politico con la fonte della sua sovranità: la cittadinanza;

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• 6) le politiche sanitarie sono politiche integrate e questo va considerato nella predisposizione della riforma sanitaria. Le politiche sanitarie integrate richiedono che i responsabili della politica e delle strutture sanitarie si incontrino a tutti i livelli di responsabilità e affrontino, tutti insieme con i direttori generali e i direttori sanitari, la valutazione degli aspetti professionali della cura secondo la nuova visione del piano ……

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• …… Per la richiesta e indispensabile esigenza di apertura del sistema, ai fini dell'implementazione del PRS, occorre continuare a realizzare incontri con la cittadinanza attiva a partire dai problemi muovendosi trasversalmente alle strutture. Ogni politica integrata va affrontata attraverso la cooperazione e la negoziazione interna alla pubblica amministrazione (cooperazione e negoziazione tra i vari assessorati) e una governance esterna alla pubblica amministrazione (tra assessorati e cittadini).

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Conflitti di interesse del Governo Clinico

• Se non si attiva la cittadinanza e non si realizza la cooperazione peer-to-peer tra government (Governo Politico) e cittadinanza (via empowerment di quest’ultima) il Governo Clinico lascerà le cose come stanno, indipendentemente dai Piani Regionali Sanitari, buoni o cattivi che siano, per il gran peso che continuano ad avere i conflitti di interesse. Questi conflitti, evidenti a tutti tranne che ai politici, sono:

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• 1) il conflitto di interessi del medico di base che scrive sulle ricette “farmaco non sostituibile” anche per farmaci che tutti sanno essere perfettamente sostituibili da farmaci identici che la sanità offrirebbe completamente gratuiti (con questa scritta, il medico fa pagare al malato una cifra che quello potrebbe anche risparmiare). Perché?, si domanda il cittadino attivo. Perché, probabilmente, è la risposta, quel medico ha un accordo con una casa farmaceutica in base al quale, quanto più prescrive un dato farmaco, tanto più significativo è il regalo natalizio o il viaggio premio ……

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• …… Poiché quel regalo o quel viaggio premio viene, di fatto pagato, con parte dei soldi dei suoi assistiti, perché la sanità deve essere più disorganizzata di una casa farmaceutica nel saper valutare quante prescrizioni trasferiscono, inutilmente, denaro dagli assistiti alle imprese sanitarie? Perché non si controlla, medico per medico, quante ricette contengono, inutilmente, la dicitura “farmaco non sostituibile” per individuare e sanzionare quel tipo di conflitto di interessi?;

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• 2) il conflitto di interessi del medico specialista che opera nella struttura sanitaria, sia come dipendente pubblico negli orari di ambulatorio, sia come privato negli stessi locali di ambulatorio oppure che opera in una clinica privata convenzionata dividendo il proprio tempo tra attività di ambulatorio convenzionato e libera attività di ambulatorio privato oppure che opera sia in ospedale che in clinica privata. Il conflitto di interessi di questo specialista è più coinvolgente perché presuppone già una piccola “associazione a delinquere” il cui intreccio di interessi è proporzionale alla vicinanza alla struttura pubblica ……

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• …… Questo tipo di conflitti di interesse viene segnalato dalla cittadinanza attiva che si sente, rispetto ad esso, dalla parte di chi è danneggiato. Vedremo, poi, che vi sono anche altri conflitti di interesse che la cittadinanza attiva non considera come problematici, ma come una normale e lecita dialettica tra posizioni contrapposte e che, di fronte a queste, si schiera con delle posizioni precise. Cominciamo dal primo tipo di conflitto di interessi:

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• a) il medico specialista, che opera nella struttura pubblica e nella clinica privata, direttamente o attraverso i suoi collaboratori (infermieri, portantini, inservienti) della struttura pubblica, suggerisce che una cura sarebbe più rapida nella struttura privata (dove le analisi verrebbero fatte in tempo reale, in due o tre giorni, mentre in ospedale ci vorrebbero mesi, probabilmente anche anni);

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• b) il medico specialista, che opera nella clinica convenzionata, si serve della centralinista che prende gli appuntamenti la quale risponde, immancabilmente, “il dottore la può visitare subito, nel pomeriggio, se privatamente, oppure tra un mese, se convenzionato”. Una risposta di questo genere è possibile soltanto se l’ambulatorio in ospedale è meno tempestivo nella prenotazione ……

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• …… Di conseguenza, nell’intreccio di interessi non ci sono solo il medico specialista e i suoi collaboratori della struttura sanitaria pubblica, ma anche i medici specialisti che operano negli ambulatori della struttura pubblica, senza la cui incapacità di smaltire le liste di attesa la convenzione con la clinica non potrebbe diventare veicolo di trasferimento dell’assistenza dal trattamento convenzionato al trattamento privatistico;

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• c) il medico specialista che opera nell’ambulatorio della struttura sanitaria pubblica, si serve di un dipendente pubblico addetto alla prenotazione per l’ambulatorio, il quale comunica che la lista di attesa è di mesi per essere visitato gratuitamente, ma che l’attesa per essere visitati in ambulatorio è di pochi giorni o di poche settimane. L’intreccio di interessi in questi casi è più coinvolgente e il livello di complicità può arrivare a punte molte elevate, come racconta un cittadino attivo:

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• “nell’ambulatorio dell’ospedale, vengo visitato dal medico specialista. Dopo di che passo a pagare alla addetta alle prenotazioni, anche essa dipendente pubblica. Pago 120 euro e rimango in attesa della ricevuta, detraibile dalle tasse. Visto che non arriva spontaneamente, la chiedo. La collaboratrice chiama il medico che mi ha visitato il quale mi dice: ‘la sua visita è 120 euro, ma se vuole la ricevuta è 150 euro’. In pratica, l’ospedale fornisce tutte le strutture e persino il personale a uno specialista che, ciononostante, evade palesemente le tasse, con la complicità della sua collaboratrice”;

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• 3) il conflitto di interessi del “medico vittima della burocrazia” che si lamenta degli strumenti che mancano per colpa della burocrazia sanitaria. All’ospedale di B*, si accettano normalmente prenotazioni per l’endoscopia (per le quali si aspetta, in genere, tre o sei mesi o forse anche un anno) e queste endoscopie vengono effettivamente effettuate (magari mostrando nelle statistiche un elevato indice di produttività su quel tipo di intervento) solo che lo strumento con cui vengono fatte le endoscopie manca di bisturi elettronico. L’endoscopia, di fatto, serve a individuare i sani e lasciarli andare tranquilli ……

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• Ma se l’endoscopia individua un polipetto, cosa molto frequente, la mancanza del bisturi elettronico porta soltanto a una diagnosi e all’invito al “paziente” di prenotare in fretta una seconda endoscopia presso un’altra struttura dotata di bisturi elettronico. E siccome, anche in quella struttura bisognerà aspettare tre mesi o sei mesi o un anno per la nuova endoscopia, più si mette fretta a quel paziente (scaricandosi così della responsabilità), più lo si invita, di fatto, a recarsi con urgenza presso una struttura privata a farsi estrarre il polipetto e analizzarlo. Se si indagasse più a fondo, si potrebbe scoprire che, nei pressi dell’ospedale di B* vi è una clinica privata con un ottimo bisturi elettronico e, forse, prezzi non eccessivamente alti.

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• Ma vediamo quali sono i contributi che quel “medico vittima della burocrazia” non può dare al PRS:

• a) non dà alcun contributo alla prevenzione perché qualsiasi medico di base sa che se si individua un polipetto in una persona, è buona prassi mandare fratelli, figli e nipoti a fare (senza urgenza) la stessa endoscopia (naturalmente non in quell’ospedale e non senza essersi prima informati dell’esistenza di un bisturi elettronico);

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• b) dà uno scarsissimo contributo allo sgonfiamento delle liste di attesa delle altre strutture perché esclude solo una percentuale minima di pazienti che necessitano di endoscopie;

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• c) non può dare alcun contributo al piano di ristrutturazione delle liste di attesa che punta moltissimo sul decentramento delle visite e degli interventi per sgonfiare le liste di attesa: se l’ospedale di Bari ha liste troppo lunghe e quello di Giovinazzo ha liste molto brevi, forse è perché a Giovinazzo vi è qualche problema e se, per esempio, a Giovinazzo manca il bisturi elettronico, si riuscirà a mandarci a Giovinazzo per una endoscopia solo i meno informati, e le liste di attesa di Bari non si sgonfieranno affatto o si sgonfieranno molto meno di quanto previsto sulla carta ……

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• …… Se si va a guardare un ospedale con liste di attesa corte, si scoprirà forse che in quella struttura c’è un “medico vittima della burocrazia”, un medico con una reputazione non molto buona (nelle guardie mediche dei piccoli centri dove tutti sanno tutto di tutti, anche dei medici di turno, attraverso il passaparola, se un bambino si fa male ed è di turno il medico A, glielo portano, se è di turno il medico B, scappano di corsa e quasi di nascosto, prima che questi arrivi avvisato da altri, verso il pronto soccorso) ……

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• …… Analizzare, quindi, gli squilibri della regolazione è la prima premessa ad una buona programmazione perché, in natura, i processi sono di tipo regolativo e, a meno di problemi, l’intasamento delle liste di attesa dovrebbe essere più o meno simile ovunque. Se non lo è, è perché ci sono dei problemi;

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• 4) il conflitto di interesse del primario che è anche docente universitario. Ha l’ambizione di fare ricerca in situazione di carenza di finanziamenti per la ricerca e li cerca nella forma di contributi delle case farmaceutiche che hanno interesse a sperimentare i propri farmaci non solo al fine di ottenere le autorizzazioni ministeriali, ma anche negli anni successivi per testare gli effetti di più lungo periodo rispetto ai tempi di sperimentazione ministeriale ……

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• …… Per questo, la diffusa denuncia dello strapotere dei baroni universitari va presa sul serio perché il barone universitario spaventa sia quando è molto reputato (lo si accusa di utilizzare i malati come cavie per trattamenti sperimentali), sia quando non lo è (lo si accusa di nepotismo, una pratica che la cittadinanza attiva consiglia di cominciare a colpire dal momento dei test di ingresso alla Facoltà di medicina);

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• 5) il conflitto di interesse tra primari di ospedali piccoli ed ospedali grandi. I primi affermano che “le carenze degli ospedali grandi sono conseguenza del numero eccessivo degli ospedali piccoli” i secondi reclamano “nuovi reparti, nuovi strumenti, maggiori posti letto” facendosi anche forti del sostegno dei politici locali. La cittadinanza attiva si è schierata dalla parte dei primi invitando, nella grande maggioranza, a:

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• A) “non istituire nuovi ospedali”; • B) “condannare le forme di campanilismo per avere un proprio piccolo ospedale in ogni Comune”;

• C) “ridurre le strutture ospedaliere esistenti attraverso l’istituzione di centri provinciali”.

• La motivazione è sempre la stessa: molte delle cure sono multidisciplinari e i piccoli ospedali con pochi reparti spesso non riescono a seguii tutti gli aspetti multidisciplinari di un problema di cura;

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• 6) il conflitto di interesse tra i grandi laboratori di analisi e quelli piccoli. I responsabili dei primi sostengono che molte delle analisi più rare devono essere realizzate esclusivamente nei grandi centri perché solo così si accumulano le esperienze necessarie a evitare i troppi falsi positivi che si registrano quando certi tipi di analisi si fanno raramente. Essi osservano che è invalsa ormai l’abitudine di ripetere tutte le analisi positive, con questi tipi di test, spostando la seconda richiesta di analisi verso i laboratori più grandi ……

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• …… Il suggerimento implicito, ma non troppo, è che la prima richiesta di analisi verso i piccoli laboratori è, spesso, gonfiata da comportamenti tendenti a permettere ai piccoli laboratori di mantenersi come laboratori generalisti, e che medici di base e specialisti potrebbero, data la scarsa fiducia che ne hanno, saltare la prima richiesta e passare direttamente alla seconda e puntare su una divisione del lavoro tra grandi laboratori generalisti e piccoli laboratori specializzati sulle analisi più comuni ……

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• …… I responsabili dei piccoli laboratori ribattono che le lunghe liste di attesa per le analisi derivano dal fatto che i grandi laboratori accaparrano tutta la domanda possibile, anche se non sono attrezzati a gestirla con una organizzazione adeguata alla mole di lavoro che intercettano (da ciò, anche, la scarsa qualità e accuratezza delle loro analisi, anche le domande di analisi comuni per i grossi centri che hanno lunghe liste di attesa). La cittadinanza attiva si è pronunciata nel senso di considerare credibili entrambe le critiche e urgente una valutazione di questi problemi strategici;

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• 7) altri conflitti vengono creati dalla carenza di soldi. Tutti questi conflitti di interesse toccano il tema del diritto alla salute di tutti. Vi è, però, anche il problema di chi ha più bisogno di altri, cioè l’esenzione dai ticket in base al reddito, l’esenzione per le cure invalidanti, per le malattie sociali, etc. Tutti questi diritti riconosciuti dalla legge, nazionale o regionale, vengono spesso resi di difficile fruizione, se non al limite vanificati, dai troppi controlli burocratici o da altri intoppi…..

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• …. Faccio un elenco di queste segnalazioni, veramente numerose, prima di introdurre le soluzioni che vengono proposte:

• a) “i malati cronici vengono seguiti solo se ci sono i soldi”;

• b) “sono state ridotte le prestazioni gratuite per i disabili”;

• c) “sono state introdotte prestazioni non gratuite in cure dichiarate gratuite”;

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• d) “i settori handicap sono abbandonati all’inefficienza”;

• e) “la trafila dell’assistenza gratuita è molto complessa perché comincia con la richiesta del medico curante, continua con l’autorizzazione amministrativa e la ricerca dello specialista”;

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• f) “anche coloro che hanno avuto prescritte terapie a vita, quindi farmaci da smettere di usare solo il giorno della morte, sono costretti, da nuove disposizioni, a ripetere la trafila dell’assistenza gratuita presentandosi ogni tot mesi dal medico di base o dallo specialista per farsi compilare una nuova ricetta”; con la conseguenza di creare disagi ai malati (sia ai soggetti a terapie a vita che agli altri e allungare le liste di attesa di tutti).

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• La spiegazione che viene data è che, non avendo abbastanza soldi per fare tutto, si è operata una precisa scelta politica: “si è preferito badare tanto ai tanti con pochi o con piccoli problemi e badare poco ai pochi con molti problemi”.

• Ma sono state adottate strategie anche per rendere difficile la fruizione dei servizi sanitari anche con iniziative che non fanno risparmiare soldi, ma creano soltanto disagi aggiuntivi e non necessari:

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SECONDA PARTE

• Il lavoro dell’Assistente Sociale

• come Lavoro di Comunità • Il Lavoro di Comunità • come partecipazione dal

basso.

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Cominciamo con un inizio accademico

• Andando a guardare nel sito dell’Università La Sapienza di Roma, la storia del Corso di Laurea in Servizio Sociale viene presentata con riferimento a un progetto di ricostruzione della democrazia risalente al 1946. Subito dopo la fine della guerra, ispirandosi allo Stato Sociale (Welfare State) sull’onda del New Deal e del Piano Beveridge (1942), nasce la storia del ruolo di Assistente Sociale in Italia.

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La storia del Servizio Sociale

• “In un vecchio convento sull’Aventino fu fondato nel 1946 il CEPAS (Centro per l’Educazione Professionale degli Assistenti Sociali): in questo ambito prendeva l’avvio il primo corso per la formazione degli operatori del Servizio Sociale in Italia.Nel 1966 il CEPAS si trasforma in Scuola Speciale di Assistenza Sociale e di Ricerca per le Scienze Morali e Sociali….

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Lo sbocco accademico

• …… È il primo passo per l’inserimento accademico della formazione degli assistenti sociali, che si concretizza con l’entrata ufficiale nella Facoltà di Lettere e Filosofia de La Sapienza nel 1971, come “Scuola diretta a fini speciali”……

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• … Le varie riforme universitarie portano ad un sempre più forte coinvolgimento nella didattica universitaria: prima con l’istituzione del DUSS (Diploma Universitario in Servizio Sociale) nel 1994, poi con la recente trasformazione in ClaSS (Corso di Laurea in Servizio Sociale), il cui curriculum rappresenta, pur con le innovazioni necessarie per garantire la qualità formativa di un Corso di laurea triennale, la continuità didattica con i principi culturali laici, democratici e di solidarietà del CEPAS… …

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Lo sbocco accademico• …… Il 7 maggio 2002 sono state conferite le

prime “lauree in Servizio Sociale” e il nostro impegno è rivolto ad un sempre costante miglioramento dell’offerta didattica che, in continuità con i nostri principi ispiratori, permetta ai nostri laureati di affrontare le sfide che il nuovo millennio porta alla professione dell’assistente sociale: operare per l’aiuto, sostenere i diritti dei più deboli, lavorare per cambiare in meglio la nostra società complessa”.

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Ancora un po’ di storia

• Pochi accenni alla storia italiana dei Centri Sociali, perlomeno alla storia di questa espressione che oggi ha un significato molto diverso di quello che aveva agli inizi, subito dopo la fine dell’ultima guerra, quando si è cominciato a parlare di welfare e di servizio sociale, lo Stato non se ne assumeva ancora l’onere e la società civile si attivava organizzando, appunto, dei Centri Sociali.

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I Centri Sociali• Al nascere delle pratiche moderne dei Servizi

Sociali, che a mio avviso coincidono con la fondazione del CEPAS (Centro di Educazione Professionale per Assistenti Sociali), nel 1946, i Centri Sociali o Centri Comunitari erano tutt’altra cosa rispetto a quello che sono reputati essere adesso-

• Successivamente, i vari Centri Sociali, nati localmente, si aggregarono nella Federazione Italiana dei Centri Sociali.

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Il metodo dei Centri Sociali• Nel 1954, fu fondata anche la rivista Centro

Sociale che affrontava soprattutto i problemi di metodo nell’indagine sociale al modo pre-neopositivista (il neopositivismo è quella metopdologoia che cerca di trasformare le qualità in quantità per analizzarle con strumenti statistici più potenti).

• Lo strumento di metodologia privilegiata era il colloquio e l’inchiesta famigliare.

• La famiglia era considerata l’unità di analisi elementare.

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Breve storia del concetto di Centri Sociali

• La prima scuola per assistenti sociali fu fondata nel 1928 ed era rivolta al servizio sociale di fabbrica. Fu chiusa durante la Seconda Guerra Mondiale.

• Nel 1946 fu fondato il CEPAS.• Con gli aiuti umanitari dell’AAI (Assistenza per

gli Aiuti Internazionali) queste scuole svilupparono una serie di collegamenti internazionali.

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Breve storia• Dalla lezione internazionale, maturò la

consapevolezza che i Centri Sociali dovessero sorgere spontaneamente sulla base dell’iniziativa privata locale.

• I Centri Sociali dei Paesi più sviluppati erano, tuttavia, operanti in città. E in città erano concentrate le forze culturali e sociali capaci di progettare la costruzione di Centri Sociali.

• In Italia, un Paese agricolo, la lezione internazionale non poteva essere adottata.

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Breve storia

• La realtà prevalentemente rurale dell’Italia fa sì che i primi e più numerosi Centri Sociali operino nei piccoli centri di campagna e di montagna.

• Ma siccome le forze locali in questi paesi in via di emarginazione sono molto scarse, finisce che i Centri Sociali vengono fondati per iniziativa nazionale, cioè dalle principali città italiane.

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Breve storia• Ben presto, quasi tutti i Centri Sociali Italiani

fanno riferimento all’UNLA (Unione Nazionale per la Lotta contro l’Analfabetismo).

• E siccome la piaga maggiore dell’analfabetismo di trova concentrata in campagna, quasi tutti i suoi centri sono localizzati nei piccoli centri rurali.

• La conseguenza è che la città rimane sguarnita di Centri Sociali proprio nel momento in cui si stava preparando una fase di intensa urbanizzazione conseguenza del boom economico e dello spopolamento della campagne e della montagna.

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Ancora qualche accenno di storia• Con gli anni Sessanta, si realizzano due grandi

processi: • A) la seconda rivoluzione industriale (il

cosiddetto “boom economico” che cambia l’Italia nel giro di pochi anni e sposta una quantità enorme di popolazione dalla campagna alla città);

• B) un processo di urbanizzazione senza industrializzazione che sposta le popolazioni anche nelle città dove non c’è lavoro per tutti;

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Accenno di storia

• I primi Centri Sociali, quelli nati dopo la guerra, erano ispirati dalla nuova concezione dello Stato Sociale come emersa dal New Deal (1933) e dal Piano Beveridge (1942), cioè dalle esperienze anglosassoni.

• Con l’arrivo dei socialisti al governo e la costituzione del primo governo di centro-sinistra (1963) la nuova concezione dell’intervento sociale viene modellata sulla Pianificazione dei Paesi Socialisti.

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Accenno di storia• Come è noto, i socialisti, come tutti i marxisti o

i movimenti di derivazione marxista, non ragionano in termini di città, cioè di “questioni urbane”, ma in termini di Stati, cioè di “territori”.

• In Italia, poi, l’arrivo dei socialisti al governo si accompagna a una scelta politica in controtendenza rispetto a quanto sta succedendo negli altri Paesi:

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I cattolici negli anni Cinquanta• Il rapporto tra Maritain e Alinsky era di tale fiducia che, nel 1958, Maritain fa incontrare, a Milano, Alinsky con l’Arcivescovo di Milano, futuro Papa Paolo VI. Il motivo dell’incontro è che Montini scopre che il problema più importante di quell’area che egli conosce bene, essendo bresciano di origine, è il fatto che i comunisti stessero prendendo il sopravvento sui posti di lavoro, sottraendo, con i loro sindacati e partiti, gli operai all’influenza dei parroci, non solo al controllo politico ed elettorale della Democrazia Cristiana ……

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I cattolici negli anni Cinquanta• Maritain, secondo quanto riferisce Doering,

nel 1958, consigliò all’arcivescovo Montini di ricorrere ad Alinsky per costruire una strategia di recupero del consenso operaio. Una strategia costruita, ovviamente, sulle strategie di People’s Organizations praticate con successo da Alinsky, negli USA. In conseguenza di questo consiglio, Montini invitò Alinsky a Milano per discutere su come realizzare questo obiettivo. Ma niente di concreto ne seguì.

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I cattolici negli anni Cinquanta • Prima di spiegare il perché di questo fallimento,

è bene cominciare con il descrivere una realtà ben diversa in cui l’incontro tra le teorie e le pratiche di Alinsky e la Chiesa ebbe molto seguito: gli U.S.A.

• Per la Chiesa cattolica Statunitense negli anni Cinquanta si era creata una situazione che possiamo chiamare “costituente”, in quanto si erano aperti ampi spazi a una ridefinizione del ruolo e degli obiettivi, dei fini e dei mezzi da adottare.

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I cattolici negli anni Cinquanta• In questa situazione costituente, vi era

realizzato molto spazio anche per accogliere le teorie eterodosse di Alinsky e la Chiesa cattolica si era mossa per realizzare un intenso progetto di lotta alla povertà con mobilitazioni dal basso, simili a quelle suggerite e praticate da Alinsky. In questa situazione costituente, vi era realizzato molto spazio anche per accogliere le teorie eterodosse di Alinsky e la Chiesa cattolica si era mossa per realizzare un progetto di lotta alla povertà con mobilitazioni dal basso, simili a quelle praticate da Alinsky.

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• “Padre Charkes Curran crede che Alinsky, e l’Industrial Areas Foundation che egli ha fondato, abbia avuto più impatti sulle radici del lavoro di Cattolici per la giustizia sociale di qualsiasi altra persona negli ultimi decenni” (Doering 1994, pp. XV-XVI). Il fatto era che la Chiesa cattolica statunitense si era accorta che la situazione dei cattolici negli U.S.A. era profondamente cambiata e che essi erano diventati da immigrati, cittadini americani a pieno titolo. Con loro, doveva cambiare anche la Chiesa che doveva modificare il proprio ruolo: da Chiesa di immigrati a Chiesa di cittadini Americani.

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• E non è un caso che questo cambiamento viene sancito anche da un importante risultato politico: tra il 1960 e il 1968 i cattolici hanno avuto un peso enorme nella vita politica della Federazione. Infatti, nel 1960, fu eletto per la prima volta nella storia degli U.S.A. un Presidente di religione cattolica: John F. Kennedy. E per quanto sia stato ucciso dopo appena tre anni, fu uno dei Presidenti più popolari della storia degli U.S.A. Dopo la sua morte, un ruolo molto importante fu svolto da suo fratello Robert Kennedy che arrivò molto vicino ad essere eletto Presidente nel 1968. Per impedirglielo, fu a sua volta ucciso nel corso della campagna elettorale, dando origine a una epica e intensa emozione.

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• La situazione Italiana era, invece, completamente diversa e questo spazio non si aprì. Anzi, proprio nei cinque anni successivi al 1958, tutti gli spazi che apparentemente si erano aperti dal 1945 al 1958, si chiusero abbastanza drasticamente sul piano della politica e solo restarono aperti, con contraddizioni, sul piano dottrinale, attraverso il Concilio Vaticano II.

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• Il motivo di questo mutamento drastico è il fatto che, tra il 1958, anno dell’incontro tra Montini e Alinsky, e il 1963, anno in cui Paolo VI diventa Papa, accadono, in Italia, molte cose importanti: la prima è più importante è che alla morte di Pio XII, nell’ottobre del 1958, viene eletto Papa il Cardinale Roncalli, con il nome di Giovanni XXIII. Roncalli convoca un Concilio, il Vaticano II, che è destinato a cambiare profondamente la Chiesa mondiale.

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• Montini e Maritain sono, per tutto il tempo del Concilio, più impegnati alla riuscita del Concilio che ad altro. Maritain viene infatti considerato il padre spirituale del Concilio ed è stato più volte consultato da Montini per la definizione di importanti questioni teologiche.

• Ma soprattutto, nel corso di questi cinque anni, è la situazione italiana a cambiare rapidamente. Il primo cambiamento è il passaggio della questione urbana dall’essere un interesse preminente dei cattolici e dei comunitaristi all’essere un interesse di marxisti e laici.

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• Il secondo mutamento è che scoppia anche in Italia, con una virulenza che i cattolici e la Chiesa non si aspettavano, la questione della secolarizzazione e con essa tre grossi argomenti di crisi per la cultura cattolica: agnosticismo, e in parte anche ateismo, sempre più diffuso; marxismo sempre più trionfante (nel 1959 persino Cuba vicinissima agli U.S.A. diventa comunista); e laicismo che si batte per affermare principi sempre in conflitti con quelli della Chiesa (per esempio, il divorzio che la Chiesa accetterà, obtorto collo, solo dopo aver perso un referendum).

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• Il problema era complicato dal fatto che, più che una situazione di apertura, al 1958, era riscontrabile una situazione dicotomia interna da adottare contro i vizi del mondo moderno: 1) una lotta al comunismo con i suoi stessi mezzi o comunque di attenzione alle teorie e alle pratiche di partecipazione di Alinsky; 2) un attacco ideologico e integralista al comunismo attraverso l’arma ideologico-dottribale della scomunica e del rifiuto totale di ogni forma di dialogo.

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• Per quale motivo, pur essendo diventato Papa Montini, si finì per applicare la seconda politica invece della prima?

• La spiegazione sta in vari motivi che possono essere sintetizzati in una frase di Paolo VI che esprime al meglio la situazione dal suo punto di vista: “Aspettavamo la primavera, ed è arrivata la tempesta”.

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• Nel maggio del 1957, cade il governo Segni e inizia il governo Zoli che dura fino alle elezioni del 1958. Essendo andate bene le elezioni, Fanfani che le ha condotte da segretario, diventa Presidente del Consiglio e finalmente può varare il suo Piano Casa che prevede la costruzione di 300.000 abitazioni per i poveri. Il suo governo viene logorato, però, dalla strategia dei “franchi tiratori”, deputati e senatori della maggioranza che, nel segreto dell’urna, votano contro il governo.

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• A furia di imboscate parlamentari, Fanfani è costretto a dimettersi e, il 15 febbraio 1959, Segni lo sostituisce come Presidente del Consiglio. Segni dura poco più di un anno e il 25 marzo 1960, lo sostituisce Fernando Tambroni. Gli scontri di piazza dei giovani dalle “magliette a righe” e i morti che ci sono in varie città d’Italia (per protestare contro il sostegno al governo del MSI) portano alla caduta del governo e a un nuovo governo Fanfani, dal 26 luglio 1960. Fanfani rimane presidente del Consiglio, succedendo a se stesso con un nuovo governo il 21 febbraio 1962, fino alle elezioni del 1963. Intanto, nel 1962, Segni viene eletto Presidente della Repubblica e si muove nel modo che tutti sanno, fino al cosiddetto “rumore di sciabole” e al “Piano Solo”.

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• Ciò contro cui Segni combatte è l’ipotesi di alleanza, perseguita da Fanfani, con il Partito Socialista Italiano che, nel 1956, in conseguenza della rivolta di Ungheria e del modo brutale e violento in cui viene soffocata dai sovietici, si sono distaccati dai comunisti. Il progetto di riforma contro cui più si batte Segni è l’ipotesi di riforma del regime dei suoli come disegnata dal progetto di legge urbanistica di Fiorentino Sullo.

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• La proposta di legge di Fiorentino Sullo trova l’opposizione esplicita del suo proprio partito e finisce per essere attaccato con una campagna diffamatoria portata avanti dai giornali di destra (e senza essere difeso dal suo partito). Per questo egli lascerà la DC, nel 1974, per dissidi con il segretario Fanfani, si farà eleggere deputato del PSDI e ritornerà, nel 1981, nella DC dopo la riconciliazione con il nuovo segretario Ciriaco De Mita, suo ex pupillo.

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• I ministri socialisti Giacomo Mancini nel 1967, Salvatore Lauricella nel 1971 e il repubblicano Pietro Buccalossi nel 1977 riusciranno a varare dei provvedimenti, profittando di situazioni di emergenza (il 1967 è l’anno successivo ad Agrigento; il 1971 l’anno in cui si conclude la vicenda per Reggio Capoluogo anche questa vicenda originata da lotte tra i partiti legate al Piano Regolatore) o di una nuova atmosfera politica (il 1977 è l’anno successivo alla costituzione di governi con il PCI nella maggioranza), nei quali sono recuperati alcuni principi di una visione urbanistica moderna.

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• È evidente, però, che la questione urbana come vista sai socialisti è cosa completamente diversa dalla questione urbana come vista dai “comunitaristi”. La prima differenza rispetto alla visione che ha finito per prevalere negli U.S.A. è il diverso ruolo che finiscono per svolgere gli Assistenti Sociali nelle due diverse realtà politiche e culturali.

• Alla fine, finirà per prevalere la posizione della contrapposizione dottrinale e ideologica che renderà precari tutti i governi di centrosinistra, e sarà costellata dalle forzature operate dai laici ad oltranza come Marco Pannella.

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• Il “radicale” Marco Pannella non è, ovviamente, un radicale alla Saul Alinsky, in quanto è espressione di una forma di laicismo dottrinale, settario e ideologizzato. Purtroppo, si rivelerà molto capace di mobilitare l’opinione pubblica attraverso i referendum. Dopo la vittoria del 1974, comincia la grande stagione dei referendum, dominata dalle strategie radicali, che dura fino al 1990, quando i loro tre referendum contro la caccia e l’uso dei pesticidi non riescono ad ottenere il quorum necessario per essere valido.

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I referendum dopo il 1990• Con il 1991-93, Mario Segni, figlio dell’ex

Presidente della Repubblica Antonio Segni, si serve della strategia dei referendum per operare un ridisegno delle leggi elettorali, l’abolizione di alcuni ministeri, la fine del finanziamento pubblico dei partiti, etc.

• Questa strategia, che in parte sarà disattesa in vario modo, segnerà il passaggio dalla cosiddetta prima repubblica alla seconda, ma anche l’inizio della carriera politica di un costruttore edile (Silvio Berlusconi).

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Il ruolo di Silvio Berlusconi• Al di là di tutte le polemiche sulla sua

controversa figura che, forse, non è stata ancora del tutto consegnata alla storia, Silvio Berlusconi rappresenta, come leader più importante di questo ultimo ventennio, il punto di arrivo di quella politica di cecità verso le questioni urbane che ha caratterizzato l’Italia. Non è un caso che mentre un costruttore edile diventava l’uomo più potente d’Italia, un ex Assistente Sociale diventava l’uomo più potente degli U.S.A. (il Presidente Obama).

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• E non è nemmeno un caso che gli Assistenti Sociali abbiano un ruolo molto più importante negli U.S.A. di quello che abbiano in Italia. Sia come costruttori di comunità, ruolo che in Italia non è assolutamente affidato agli Assistenti Sociali, mentre lo è negli U.S.A. Sia come professionisti che seguono casi umani problematici o famiglie in difficoltà.

• Negli U.S.A. gli Assistenti Sociali gestiscono entrambi i ruoli con la responsabilità che deriva loro dalla loro professionalità ed hanno una forte autonomia dalla politica.

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• La discrezionalità, ovviamente basata sulla competenza, dell’Assistente Sociale è la garanzia della sua autonomia. È una autonomia che viene garantita dalla concezione particolare della democrazia statunitense. Questa non ha come valore unico e fondamentale la rappresentatività, cioè le elezioni con le quali la sovranità del popolo si trasferisce agli eletti, ma anche sulla competenza, perché il politico è responsabile dell’incompetenza di coloro che mette in un determinato ruolo e dei loro errori.

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• Questa concezione della democrazia come basata su due pilastri (rappresentatività e competenza) si è affermata negli U.S.A. alla fine del XIX secolo, proprio mentre in Italia e in Europa, si affermava, invece, il partito ideologico di massa in cui la competenza veniva messa al servizio delle scelte ideologiche e politiche. In un contesto di questo tipo, né l’Assistente Sociale, né altre figure professionali possono mantenere a lungo la loro autonomia.

• Senza autonomia, sono i politici a decidere attraverso leggi, regolamenti e decreti.

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• Negli U.S.A., salvo il caso di provata incompetenza dell’Assistente Sociale, nessuno può imporgli con decisione politica o comunque autoritaria come affrontare un caso sotto la sua responsabilità.

• In Italia, questa garanzia di autonomia non esiste. Ma non solo, spesso a svolgere il ruolo di Assistente Sociale non vengono messi dei veri Assistenti Sociali con questa formazione, ma degli impiegati che vengono trasferiti da altre funzioni a quella funzione.

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• La competenza dell’Assistente Sociale è stata l’ultima a essere accademicizzata con un titolo accademico pieno (la laurea, prima, la laurea magistrale adesso). Come si è già visto, solo con il 2002 si rilascia la prima laurea triennale. Fino a prima di quella data, l’Università rilasciava solo un diploma. Prima del 1971, addirittura, la Scuola per Assistenti Sociali era solo una Scuola a fini speciali.

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PARTE TERZA

• Il ruolo dell’Assistente Sociale come costruttore di comunità.

• Esempi di possibili applicazioni concrete della competenza dell’Assistente Sociale in politiche effettive realizzate dai politici, fino ad adesso, nella loro più completa autonomia.

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I Centri Comunitari• I primi Centri Sociali vengono considerati dei

Centri Comunitari perché la comunità viene considerata la prima forma di difesa e di selfhelp del povero.

• I nuovi Centri Sociali vengono trasformati in Centri Sociali a carattere assistenziale

• In questa funzione essi vengono inglobati nelle istituzioni, ma per quanto riguarda la presenza nelle città falliscono completamente.

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Centro di Comunità o di vicinato• In Germania, l’analogo del centro sociale

italiano, si chiama in un modo che può essere tradotto come “Centro di Vicinato”

• Il concetto di vicinato va valutato in base alla massima che “il povero ha vicini, il ricco no!”

• Il concetto di vicinato sostituisce, per la città, il concetto di comunità che è più adatto per un piccolo centro. Il successo di questo concetto mostra che in Germania i centri sociali sono riusciti a radicarsi anche in città

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Crisi dei primi Centri Sociali

• In Italia, non essendo riusciti i Centri Sociali a radicarsi in città;

• essendo diventati, sotto l’onda cosiddetta “riformista” del centro-sinistra, dei centri sociali a carattere assistenziale;

• con la crisi del “riformismo”, cioè con il biennio 1968-69, sono entrati in crisi e sono stati sostituiti da una nuova generazione di centri sociali

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I nuovi Centri Sociali• Se oggi entrate su Google e inserite

l’espressione Centri Sociali, in Wikipedia trovate la seguente definizione:

• “Centri Sociali = fenomeno di aggregazione politica extraistituzionale nato nell’alveo culturale della Sinistra extraparlamentare”

• Il che non è storicamente vero, ma è politicamente vero: gli attuali Centri Sociali non hanno niente a che vedere con i Centri Sociali come erano fino agli anni Settanta

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Il lavoro di Assistente Sociale secondo Angela Zucconi

• Angela Zucconi è una delle figure più rappresentative del Movimento di Comunità e del CEPAS, di cui è stata a lungo direttrice negli anni ‘50 e ‘60.

• Il Movimento di Comunità è stato fondato e guidato da Adriano Olivetti e si è presentato anche alle elezioni amministrative e politiche, ma senza grande successo.

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Il lavoro e la professionalità dell’Assistente Sociale

• In tutte le vostre SWOT analysis del Servizio presso cui avete svolto il periodo di tirocinio, avete sempre tirato fuori la questione della professionalità dell’Assistente Sociale. In nessun momento avete chiarito come questa professionalità si manifestasse o in che cosa consistesse. Vediamo se la vostra idea di professionalità dell’Assistente Sociale corrisponde a quella che ne aveva Angela Zucconi.

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Per questo confronto attingeremo dalla seguente pubblicazione:

• Zucconi, Angela (2008), Il lavoro di comunità come metodologia professionale, pp. 213-226, in Giuseppe Certomà, a cura di, Angela Zucconi. Il lavoro di Comunità come partecipazione dal basso, Antologia degli scritti 1951-1966, Acqui Terme (AL), Edizioni Sensibili alle foglie

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Il metodo professionale nella Organizzazione di Comunità

• “Quando noi parliamo di ‘metodo professionale’ dobbiamo chiederci di quale professione parliamo. Nel lavoro sociale operante in una situazione di organizzazione di comunità, l'assistente sociale è il solo professionista di questa operazione, diretta a coordinare i servizi esistenti, a renderli rispondenti ai bisogni attuali, a mobilitare la comunità perché sappia utilizzarli meglio” (Zucconi 2008, p. 218).

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Il metodo professionale nello Sviluppo di Comunità

• “Nella situazione dei progetti di sviluppo di comunità, opera invece un'equipe interprofessionale, di cui l'assistente sociale è parte più o meno essenziale: proprio perché le strutture sono mancanti o inadeguate, può occorrere il tecnico agricolo, se gli ispettori agrari non sono in grado di fornire il servizio che necessita, può occorrere il tecnico per sviluppare le piccole imprese economiche,…” (Zucconi 2008, p. 128).

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La differenza tra Organizzazione e Sviluppo di Comunità

• “Se questa distinzione, tra sviluppo di comunità e organizzazione di comunità è chiara, per una migliore intelligenza delle letture che facciamo, dobbiamo sempre ricordarci che i testi americani, che in questo seminario vengono citati, si riferiscono sempre e solo ad un lavoro sociale operante in una situazione di organizzazione di comunità, come del resto dicono i titoli stessi di queste opere” (Zucconi 2008, p. 218).

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Nella Organizzazione di Comunità• Nella Organizzazione di Comunità, dice

Zucconi, l’assistente sociale mobilita la comunità, laddove questa sia già organizzata.

• L’assistente sociale è un mobilitatore della comunità.

• Ma se la comunità non è organizzata, egli la organizza. Quindi, l’assistente sociale è anche un “organizzatore di comunità”.

• La pratica della “costruzione di comunità” ha una lunga storia negli U.S.A.

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E se il problema sta nel fatto che la comunità non esiste?

• Allora non si tratta più di organizzare la comunità, ma di costruire la comunità. Ed è questo il compito che un certo tipo di Assistente Sociale si pone o si deve porre nelle città, laddove i legami di comunità si sono disgregati e laddove i gruppi emarginati non hanno più la forza di operare come una comunità.

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Il più noto costruttore di comunità: Saul D. Alinsky

• Le sue opere:• Alinsky, Saul D. (1969), Reveille for Radicals, New York, Vintage Books, A Division of Random House

• Alinsky, Saul D. (1970), John L. Lewis. Un unauthorized biography, New York, Vintage Books, A division of Random House

• Alinsky, Saul D. (1989), Rules for Radicals. A Practical Primer for Realistic Radicals, New York, Vintage Book, A Division of Random House

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I più noti allievi di Alinsky• Oggi due allievi di Alinsky (Barack Obama e

Hillary Rodham, quest’ultima meglio nota come Hillary Clinton), utilizzando appunto, il primo e più giovane meglio della seconda, le nuove possibilità offerte dalla partecipazione attiva della cittadinanza e dall’e-democracy sono arrivati ad occupare le cariche più importanti dell’amministrazione U.S.A. (Presidente il primo e Sottosegretario di Stato la seconda).

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• Barack Obama ha fatto, per qualche anno, il “costruttore di comunità” a Chicago e su questa sua esperienza ha scritto anche un articolo (dal titolo Why Organize? Problems and Promise in the Inner City), nel 1988 (il saggio è stato, due anni dopo, pubblicato come capitolo 4 del libro collettaneo After Alinsky: Community Organizing in Illinois). Nel frattempo, era andato a studiare ad Harvard e, subito dopo, ha cominciato la propria fortunata carriera politica.

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• Hillary Rodham ha discusso al Wellesley College (in Massachusetts), nel 1969, per il Bachelor of Arts degree, la propria tesi (dal titolo "THERE IS ONLY THE FIGHT...". An Analysis of the Alinsky Model). Dopo di che le è stato offerto di lavorare come “costruttore di comunità”, cioè come realizzatore nella pratica delle città americane delle teorie di Alinsky, ma ha preferito andare a Yale e laurearsi. Qui, dove ha conosciuto Bill Clinton, la sua vita ha preso un’altra direzione.

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I referenti italiani di Alinsky• Quando nel 1958, Alinsky viene in Italia per un

mese, chiede di poter incontrare tre persone: • Il Cardinale Montini, futuro Paolo VI, arcivescovo di

Milano (vengono organizzati tre incontri e due ci sono stati sicuramente);

• Adriano Olivetti (viene organizzato un incontro, ma non si sono incontrati perché i loro relativi impegni non lo permisero);

• Giorgio La Pira, sindaco di Firenze (nessuna notizia di incontri organizzati o realizzati è ancora in mio possesso).

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Perché queste tre persone?

• Perché sono i tre più importanti esponenti del personalismo italiano, la dottrina filosofica predicata da Jacques Maritain.

• Jacques Maritain ha conosciuto in U.S.A. Saul D. Alinsky e i due sono diventati amici.

• Malgrado i diversi caratteri dei due, Maritain è convinto che la dottrina personalista sia perfettamente rappresentata dall’azione di Alinsky come organizzatore di comunità.

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Una collaboratrice di Olivetti: Angela Zucconi

• Non si hanno prove di un incontro tra la Zucconi e Alinsky e se l’incontro sfiorato tra questi e Olivetti sia stato comunque realizzato nella forma di un incontro con Angela Zucconi.

• Nicoletta Stame che insegna l’analoga materia di “Qualità e valutazione dei servizi sociali” all’Università La Sapienza di Roma, ha fatto fare una tesi su Alinsky e Zucconi. La tesi è stata pubblicata on line dalla Fondazione Olivetti

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• La tesi stata pubblicata nel sito della Fondazione Olivetti: Alice Belotti, La Comunità democratica. Partecipazione, educazione e potere nel lavoro di Comunità di Saul Alinsky e Angela Zucconi, Serie Tesi n. 16, Collana Intangibili, 2011.

• L’ipotesi alla base di questa tesi è che il metodo di costruzione di comunità di Saul Alinsky sia molto simile, al limite identico, a quello di Angela Zucconi. Le idee di A. Zucconi sul metodo di lavoro di comunità meritano di essere conosciute e sono quelle che seguono:

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Il metodo del lavoro sociale

• “Per illustrare nei dettagli il metodo di lavoro, immaginiamo di seguire l'assistente sociale di comunità nella sua prima giornata di lavoro. Il piano di lavoro stabilisce che per due mesi non faccia altro che studiare l'ambiente. Potrebbe studiare l'ambiente, presentandosi, come purtroppo molto spesso avviene, sotto le mentite spoglie di sociologo, e l'approccio con la comunità sarà del tutto falsato da questa presentazione….

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• … Il suo metodo di studiare l'ambiente sarà [di ascoltare] quello che la gente dice sui problemi del paese, non senza essersi presentato alle autorità e aver spiegato chi lo manda e perché. In questi colloqui esplorativi, famiglia per famiglia, si presenterà come è: non dispone di aiuti finanziari a beneficio dei singoli o dei gruppi né presume di conoscere la comunità, per qualche dato statistico che abbia in mano, insieme alla carta topografica della zona o per qualche lettura che abbia fatto….

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• … La famiglia viene considerata l'unità di misura della comunità, e l'assistente sociale troverà in nuce in ogni famiglia l'insieme dei problemi che travagliano il paese. Notate bene, non si tratta di espedienti o di accorgimenti tecnici, non si tratta di "fare come se" l'assistente sociale non sapesse niente o quasi della comunità nella quale lavora. Pure avendo in mente tutti i dati obiettivi possibili, tutti i possibili indici di depressione, se non sa che cosa la comunità sa di se stessa, come valuta quello che sa, che cosa è disposta a fare, possiamo dire onestamente che questo assistente sociale non sa niente di questa comunità. …

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• … Fin dalla fase esplorativa, nel suo peregrinare di casa in casa per sapere quello che i dati statistici non dicono, l'assistente sociale non potrà eludere il problema di certe scelte che il metodo di lavoro impone fin dall'inizio. Non farà l'errore, per esempio, di cominciare il suo giro dalle case delle persone che vengono considerate potenti e influenti, né parlando con queste persone si comporterà diversamente da come si comporterebbe parlando con la famiglia di uno che non conta niente. …

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• … L'assistente sociale non deve lavorare né per fiancheggiare la leadership esistente né contro di essa, non perché la giudichi buona o cattiva, ma perché la cosa non lo riguarda; operare per rafforzare o indebolire questa leadership è diritto e responsabilità esclusiva della comunità. Varrebbe la pena di discutere a lungo sulle conseguenze che ha l'identificazione dell'assistente sociale col cliente, quando questo cliente è la comunità. ….

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• …. L'attenzione dell'assistente sociale in questi contatti con le famiglie sarà invece rivolta all'individuazione delle persone che possono essere "civicamente impegnate", al problema del ricambio e della espansione della leadership. L'assistente sociale di cui parliamo, nel presentarsi casa per casa, avrà chiarito che uno degli aspetti del suo lavoro consiste nell'organizzare delle riunioni” (Zucconi 2008, pp. 219-220).

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Un particolare cui prestare attenzione: partire dal basso

• Intervistare la gente, partire dalle famiglie: questo il primo passo dell’Assistente Sociale.

• Nella tradizione americana, laddove i poteri locali sono autonomi dai poteri federali, la stessa cosa fanno gli amministratori di fondi federali che devono spenderli per realizzare un progetto di spesa sociale.

• Lo racconta Wildavsky parlando di Oakland in California.

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Il progetto di spesa per diminuire la disoccupazione giovanile nera

• Il punto di partenza dello Oakland Project è il 1966 quando viene affidato, dal Congresso Federale, ad una agenzia che si interessa di interventi nelle aree sottosviluppate (Economic Development Administration, EDA) un finanziamento di 23 milioni di dollari per un esperimento finalizzato a trovare una politica per aumentare l’occupazione giovanile delle minoranze nere che stavano diventando un grosso problema, non solo a Oakland.

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• Le previsioni fatte dal programma erano quelle di realizzare 2200 nuovi posti di lavoro con i 23 milioni di dollari. A questi finanziamenti si prevedeva si sarebbero ben presto aggiunti investimenti privati per 1.600.000, con la creazione di altri 800 posti di lavoro.

• Non conta il modo in cui è stato realizzato il progetto e i risultati, molto controversi, che esso avrebbe prodotto, in quanto per il momento, quello che interessa è come si mossero ad Oakland i responsabili dell’EDA.

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• Quando gli organizzatori del progetto vanno per la prima volta a Oakland a raccogliere informazioni, non si recano in Municipio, dal sindaco, ma da un pastore luterano che opera nel sociale e ha raccolto un gruppo di persone con cui farli parlare della situazione economica dei quartieri poveri della città (altra prova della situazione di ridondanza tra EDA e Municipio). Dopo quel primo incontro, parlano con disoccupati in cerca di lavoro.

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• Un mese dopo ritornano e partecipano a una assemblea. Quindi fanno una visita al ghetto nero di Oakland. Alla fine concludono che i poveri ascoltati hanno una visione più chiara dei loro problemi rispetto a quella che ne avevano gli esperti. Anche se non istruiti, i poveri esprimono con chiarezza le loro idee originate dall’esperienza. Successivamente interrogati sul perché avessero evitato di andare in Municipio, risposero che non avevano voluto alienarsi il consenso della comunità nera presentandosi come degli appartenenti all’establishment.

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E il Sindaco di Oakland?

• La strategia adottata dai responsabili dell’EDA, ovviamente, alienò loro le simpatie del sindaco repubblicano che se ne lamentò a Washington (Pressman e Wildavsky 1984, p. 19). Il sindaco ottenne, così, per via politica, che l’incontro dei funzionari della EDA con le autorità locali di Oakland fosse finalmente fissato, anche se due mesi dopo l’inizio delle consultazioni dirette con i poveri.

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• “Vi potranno essere riunioni dedicate ad un programma di sviluppo culturale della comunità o riunioni in cui la gente discute i problemi del paese. Per quanto riguarda il primo tipo di riunioni, è l'assistente sociale che le promuove, "la riunione è sua" come dicono a Portorico, il programma è deciso e scelto da lui, l'educazione degli adulti fa parte del lavoro dell'assistente sociale di comunità. In questo caso il ruolo dell'assistente sociale è decisamente attivo….

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• … Nel secondo caso, invece, nelle riunioni per discutere un problema, per prendere o organizzare una iniziativa, il ruolo dell'assistente sociale è semplicemente quello di leader della discussione, attento al modo di realizzare l'obiettivo che il gruppo si propone, più che all'azione concreta” (Zucconi 2002, p. 220). In questo secondo tipo di riunione, in effetti il compito dell’Assistente Sociale è quello dell’arbitro, che deve controllare che nella discussione si rispettino logica, etica e diritto naturali.

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• “Questo modo di procedere deve mirare a correggere i mali di un'amministrazione pubblica accentrata e segreta nel suo stesso linguaggio, di una clas se politica isolata dalla realtà sociale, e quelli di una classe di tecnici avvezzi a intendersi solo fra di loro. La partecipazione dei cittadini di cui tanto si parla nel nostro lavoro non si realizza quando non si sa a che cosa si partecipa e con chi. Nessuno di noi farebbe parte di un comitato senza sapere che cosa questo comitato si propone e da chi è composto” (Zucconi 2002, p. 221).

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• La partecipazione non è un dovere. Considerare che il mancato adempimento di questo dovere sia conseguenza di vizi, che prendono il nome di apatia o di disinteresse, è un errore. Il problema è che la partecipazione è un diritto che varie condizioni sociali e politiche (a cominciare dalla stessa classe politica) rendono difficile da realizzare.

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• “Nel largo elenco delle iniziative possibili c'è un elemento comune a tutte, che caratterizza il lavoro dell'assistente sociale in una comunità: la paziente tessitura della vita associativa e la formazione e la crescita dei gruppi. Non è compito dell'assistente sociale risolvere i problemi della comunità, perché solo questa è in grado e nel diritto di farlo. Il suo compito, come accennavamo all'inizio di questa relazione, è di fornire degli stimoli ed eliminare degli ostacoli” (Zucconi 2002, p. 224).

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•“Il presentare le cose fatte, anche quando sono fatte benissimo, come non serve a stimolare lo spirito d'iniziativa dei singoli, così non serve a stimolare l'iniziativa delle istituzioni. Un terzo ostacolo, che il lavoro sociale di comunità può eliminare, è dato dal carattere settoriale dei vari interventi dello Stato. Un processo di sviluppo, anche nelle situazioni più disperate, si realizza quando la comunità può avere una visione globale dei problemi e degli interventi. I conflitti dovuti a motivi di interesse, più frequenti di quelli dovuti ai fattori culturali, si possono risolvere solo offrendo alla comunità una visione globale dei problemi all'interno del paese e addirittura una visione dei problemi di un'intera zona” (Zucconi 2002, p. 225).

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• “Il lavoro sociale di comunità può operare questa apertura risolutiva, può passare come un filo che cuce insieme gli in teressi dei vari gruppi che compongono la comunità e gli interventi vari e a volte incoerenti dello Stato” (Zucconi 2002, p. 225).

• L‘Assistente Sociale si trova in questa situazione quando non è più soltanto responsabile di un certo numero di casi, ma di una intera comunità (come avviene nelle politiche di edilizia popolare, una volta politiche nazionali – INA-CASA e UNRRA-CASAs – ed ora regionali).

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Altri esempi di responsabilità di intere comunità

• Prendiamo il caso del Contratto di quartiere per la riqualificazione di un edificio con oltre 100 appartamenti nel quartiere Savonarola.

• Il progetto coinvolge tutto il quartiere perché si tratta di spostare oltre 100 nuclei famigliari, in genere nuclei marginalizzati, ristrutturare e rimettere al loro posto altre 100 e più famiglie di tutte le età e condizioni, per impedire la loro marginalizzazione. Questo dovrebbe riqualificare tutto il quartiere.

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Il Contratto di quartiere Savonarola• L’Assistente Sociale dovrebbe avere un ruolo di

primo piano nella costruzione della nuova comunità Savonarola. Non ne ha avuto nessuno, nemmeno per realizzare l’inchiesta sociologica che potesse dare le indicazioni per meglio realizzare l’obiettivo.

• L’inchiesta era obbligatoria per legge ed è stata affidata a un docente universitario, con dotazione 300.000.000. I risultati di questa ricerca furono consegnati quando il progetto era già stato concluso.

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Prima conclusione• Non è che mancano i soldi per realizzare gli

obiettivi dei Servizi Sociali, ma sono gli Assistenti Sociali che sono estranei ai flussi di denaro che contano.

• Questa conclusione, secondo la Zucconi, era inevitabile, una volta che gli Assistenti Sociali fossero stati relegati in ruoli meramente esecutivi di procedure, anche il loro ruolo e la loro capacità di intercettare risorse, pubbliche o private, sarebbe stata ridimensionata di altrettanto.

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Le calamità naturali• Quando una calamità naturale di un qualsiasi tipo (un terremoto, un’alluvione, una guerra, una carestia, etc.) spinge popolazioni intere a spostarsi dal loro luogo di residenza abituale, l’Assistente Sociali ha vari compiti essenziali: organizzare i servizi che non sono solo quelli che può prestare l’esercito (cibo, alloggio e vestiario), ma sono anche: costruzione della Chiesa, di punti di incontro, di scambio di informazioni; ristabilire i legami di vicinato nei villaggi per profughi o per sfollati; selezionare i volontari che occorrono da tutte le parti per prestare aiuto; etc.

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La linea di comando nel caso di calamità naturali

• Gli Assistenti Sociali sono esclusi da linee di comando che sono fortemente gerarchizzate e tutto si affronta in termini di ordine pubblico: sia le proteste, sia la selezione dei volontari che accorrono, sia la distribuzione dei soccorsi. A L’Aquila, per esempio, furono espulsi dei volontari che svolgevano un ottimo lavoro solo perché documentavano su internet tutto quello che succedeva nei campi per gli sfollati. Ed altri esempi analoghi sono possibili.

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Il quartiere Arcella• Un intero quartiere di Padova è stato riempito

di nuove infrastrutture sulla base di un assunto che non è stato affermato da nessuna ricerca sociologica e da nessuna organizzazione di Assistenti Sociali.

• L’assunto era che l’Arcella fosse isolata e che occorressero delle infrastrutture che risolvessero il problema dell’isolamento.

• A questo fine furono realizzati: un tram che passa sopra le riviere e due cavalcavia.

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Effetti di queste politiche• L’effetto del tram è stato che per i cittadini

dell’Arcella è diventato più facile accedere ai negozi del centro (e questo ha ridotto il giro di affari dei negozi dell’Arcella).

• L’effetto dei due cavalcavia è stato che è diventato più facile accedere agli altri quartieri con la macchina. L’isolamento è finito, ma al costo di un maggiore uso della macchina per muoversi dentro una città che ha gli indici di inquinamento tra i più alti d’Italia.

• Ma era proprio isolata l’Arcella?

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Era isolata l’Arcella?• L’ipotesi che l’Arcella fosse isolata non

convince tutti. Molti sono convinti che l’Arcella aveva un accesso più facile, rispetto al centro, verso le cittadine dei dintorni di Padova, proprio quella cintura urbanizzata che sta togliendo respiro al centro inquinato di Padova e ai servizi che offre.

• L’ipotesi di questi critici è che fosse il centro che si stava gradatamente isolando e che i due cavalcavia, che hanno aumentato la circolazione di auto dentro l’Arcella, abbiano ridotto questo isolamento.

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E se anche l’Arcella fosse stata isolata?

• Ma se anche l’Arcella fosse stata in condizioni di isolamento, era quella la politica più urgente da realizzare? Forse vi è una politica più urgente di quella dell’isolamento ed è la politica del sottosuolo, cioè dello scorrimento delle acque fognarie e di riporto del quartiere.

• A chi sarebbe dovuto toccare la decisione su quale delle due politiche (cavalcavia o rete fognaria) fosse la più urgente? Agli Assistenti Sociali intesi nel senso della Zucconi.