Quaderni di riabilitazione psichiatrica n.1-2011 LA ... di... · Laboratorio Teatrale “Angeli”...

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INDICE Giornata della Comunicazione: il perchè di un incontro. dott.ssa Annamaria Tamborra Dir. Area Sanitaria – Coordinatrice Asse Comunicazione I laboratori della comunicazione dott.ssa Antonietta Favia Referente tecnico Asse Comunicazione La dimensione narrativa della vita Giuseppe Latorre Educatore professionale Laboratorio della comunicazione “il gabbiano Jonathan Livingston” Cosimo Belvito Educatore professionale Ognuno di noi ha una storia Anna Pia Indraccolo Educatrice professionale Tutto è comunicazione Anna Iannone Educatrice professionale Akròasis, l’ascolto del mondo Giuseppe Latorre Educatore professionale Bande rumorose: scheda di presentazione del gruppo musicale Michele Magno Educatore professionale (Musicista Musicoterapista) Laboratorio Teatrale “Angeli” “Che cos’è l’amor” dott. Cosimo Muolo Educatore professionale Il teatro Mario Gabriele Educatore professionale

Transcript of Quaderni di riabilitazione psichiatrica n.1-2011 LA ... di... · Laboratorio Teatrale “Angeli”...

INDICE Giornata della Comunicazione: il perchè di un incontro. dott.ssa Annamaria Tamborra Dir. Area Sanitaria – Coordinatrice Asse Comunicazione I laboratori della comunicazione dott.ssa Antonietta Favia Referente tecnico Asse Comunicazione La dimensione narrativa della vita Giuseppe Latorre Educatore professionale Laboratorio della comunicazione “il gabbiano Jonathan Livingston” Cosimo Belvito Educatore professionale Ognuno di noi ha una storia Anna Pia Indraccolo Educatrice professionale Tutto è comunicazione Anna Iannone Educatrice professionale Akròasis, l’ascolto del mondo Giuseppe Latorre Educatore professionale Bande rumorose: scheda di presentazione del gruppo musicale Michele Magno Educatore professionale (Musicista Musicoterapista) Laboratorio Teatrale “Angeli” “Che cos’è l’amor” dott. Cosimo Muolo Educatore professionale Il teatro Mario Gabriele Educatore professionale

“Giornata della Comunicazione” il perché di un incontro

dott.ssa Annamaria Tamborra

Dir. Area Sanitaria –Coordinatrice ASSE Comunicazione

Nel corso del 2010, attraverso la programmazione di asse, è stato possibile potenziare alcune azioni e progettualità che hanno coinvolto un ampio numero di utenti ed operatori delle strutture EPASSS.

Le azioni programmate dall’Area comunicazione hanno avuto tra l’altro la finalità di:

- promuovere il confronto di metodologie adottate per il conseguimento di specifici obiettivi;

- favorire scambio di vissuti professionali e contaminazione di conoscenze ed esperienze tra gruppi;

- elevare il livello di conoscenza delle diverse metodologie operative agite nei diversi gruppi di lavoro e nei diversi laboratori;

- elevare il livello di conoscenza degli esiti conseguiti;

- avviare un processo di sistematizzazione delle esperienze e dei saperi.

Le azioni genericamente comprese nell’Asse “comunicazione”, hanno sviluppato, tra l’altro, una particolare attenzione sui diversilaboratori di attività espressive attivi presso le strutture.

Laboratori quali ad esempio, di attività teatrale, musicale o di narrazione autobiografica attivi da anni, sono strutturati e pensati come strumenti di mediazione e di riabilitazione nella relazione con gli assistiti. Essi hanno manifestato la loro efficacia in termini di contributo nella conoscenza dell’altro, nella individuazione di risorse e potenzialità possedute da ognuno; in particolare, in merito alla capacità di elaborare il proprio vissuto e manifestarlo in maniera positiva e creativa, portandolo fuori verso una maggiore conoscenza e consapevolezza di sé, verso una ricostruzione positiva del proprio essere persona.

Infatti, attraverso gli strumenti della narrazione, del teatro, della musica, della espressione grafica, è possibile esprimere sentimenti ed emozioni di cui non è sempre facile parlare. Seminario • GIORNATA DELLA COMUNICAZIONE 1

E’ possibile riconoscere ed affrontare conflitti; migliorare il rapporto con il proprio corpo; migliorare l’autostima; migliorare le capacità comunicazionali e relazionali.

Proprio per la rilevante valenza terapeutico-riabilitativa, specifica di tali attività, gli Educatori condividono il percorso del singolo laboratorio con i referenti sanitari della struttura, sviluppano conoscenze specifiche sia attraverso momenti formativi interni o esterni all’Ente, sia agendo la leva dell’autoformazione.

Nel 2010, quindi, nel corso dei diversi coordinamenti promossi per monitorare le attività in atto, è emersa la necessità di promuovere occasioni di confronto tra Educatori affinché fosse data visibilità ai metodi, alle tecniche utilizzate ed agli esiti conseguiti.

Emergeva la necessità di individuare strategie operative che potessero essere confrontate e verificate, all’interno del sistema,in modo da individuare buone prassi operative più efficaci da adottare nei percorsi riabilitativi.

Nasce da questo bisogno la “Giornata della comunicazione”.

Il coinvolgimento di tutti gli Educatori impegnati nei diversi “laboratori della comunicazione” attivi in molte strutture EPASSS e l’opportunità di raccontare la propria esperienza ad una ampia platea sono stati non solo accolti con grande entusiasmo ma hanno anche reso evidente la competenza e la passione diffusa nel nostro sistema.

Gli Educatori hanno rappresentato, attraverso i lavori prodotti, facce diverse di una grande volontà di contribuire, attraverso il proprio lavoro, al miglioramento della qualità della vita dei pazienti in assistenza.

Il quaderno raccoglie i materiali presentati in questa Giornata che ci auguriamo costituisca il primo appuntamento in una prassi di partecipazione attiva degli Operatori nella finalità di una continua crescita istituzionale. 2 Bari • 1 dicembre 2010 • Salone “Arena Giardino”

I laboratori della comunicazione

dott.ssa Antonietta Favia Referente tecnico Asse Comunicazione

Abbiamo condiviso all’interno del gruppo della comunicazione, istituito nel 2009-2010, la necessità di focalizzare l’attenzione su tutte le attività di laboratorio che convergono nell’Asse comunicazione. L’uso del mezzo espressivo (pittura, scrittura, musica e teatro) apre un “canale comunicativo” e costituisce di per sé un fatto evolutivo per ogni persona ma, perché assuma un valore terapeutico, occorre osservare non solo il “prodotto espressivo”, ma anche l’attività stessa del soggetto nel percorso che compie per arrivare a quel prodotto. Solo nella relazione terapeutica l’espressione libera della creatività potrà essere utilizzata come un oggetto di cui si può parlare, su cui si può lavorare, un momento conoscitivo, punto di partenza di un possibile percorso terapeutico.

Diversi sono i canali comunicativi che vengono utilizzati come “farmaco” per la cura della mente, come pratica riabilitativa che consente al soggetto affetto da disturbi psichici: - di recuperare la dimensione simbolica della realtà - di esplorare il proprio mondo interiore - di suscitare emozioni - di acquistare consapevolezza - di produrre cambiamenti.

La Drammaterapia o Teatroterapia si propone di usare l’impianto teatrale nella sua complessità come mediatore nelle relazioni di aiuto. Usando le tecniche e il linguaggio teatrale è possibile portare avanti un lavoro combinato su corpo, emozioni, immaginazione, memoria, pensiero (creativo analitico e narrativo), attenzione, voce e respirazione per raggiungere l’obiettivo di benessere ed integrazione in ambito terapeutico-riabilitativo e sociale.

La Videoterapia (foto o filmati) è lo strumento per l’acquisizione delle competenze “di cui ho osservazione” e per il monitoraggio di sé. Ciò che riveste importanza non è la foto, ma il criterio di scelta delle immagini da riprendere o scattare. La fotografia è il racconto di ciò che sto guardando; ogni foto rappresenta un’immagine carica di un senso esistenziale e un’importante traccia del percepito della persona. L’immagine diventa strumento di una tecnica narrativa di conoscenza del sé in quanto attraverso l’iter di costruzione del prodotto

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audiovisivo si entra nel vivo della re-visione dei propri modelli cognitivi, emotivi, relazionali e posturali.

La Narrazione Le nostre vite sono incessantemente intrecciate alle narrazioni, alle storie che raccontiamo e che ci vengono raccontate, a quelle che sogniamo e vorremmo poter raccontare. Tutte vengono raccontate nella storia della nostra vita, che noi raccontiamo a noi stessi in un lungo monologo spesso inconsapevole ma ininterrotto. Noi viviamo immersi nella narrazione, ripensando e soppesando il senso delle nostre azioni passate, anticipando i risultati di quelle progettate per il futuro.

“Come le storie curano” Ricordare ovvero ri-membrare = rimettere insieme membra ed elementi dispersi. Si tratta di un lavoro ri-costruttivo, volto al mondo interno frantumato dello psicotico, al quale il contesto narrativo si offre come “un primario contenitore“. Possiamo porre in termini propositivi le tematiche narratologiche associate alla lettura dell’anamnesi: un approccio ad esse, caratterizzato dalle riflessioni sulla creazione del racconto come prodotto legato in modo indissolubile alla matrice stessa dell’esistere, può permettere il recupero di una dimensione nuova della vita stessadel paziente, all’interno dell’istituzione. Può essere la base per un modo diverso di lavorare con il paziente cronicizzato, la cui storia può riprendere corso se sostenuta dalle possibilità creative della vita di relazione. All’interno della vita di relazione l’anamnesi diventa terreno su cui germogliare per dare origine ad una storia raccontata e non ad un’immagine fredda e statica. In questo “guardare creativo” sono ravvisabili gli albori di quella scoperta di verità, fecondità che è auspicabile obiettivo del lavoro terapeutico. Insomma, la narrazione come processo attivo di produzione di senso.

Noi non siamo solo quello che siamo stati, ma anche quello che scordiamo di essere stati, con vissuti, emozioni, ricordi sentiti come propri. Ogni soggetto è un sé che si costituisce solo riflessivamente, cioè solo dopo un lungo itinerario di scoperta di sé tramite l’interpretazione dei propri molteplici atti. Nel corso della vita non facciamo altro che raccontare noi stessi attraverso storie che rappresentano dei veri e propri atti narrativi in 4 Bari • 1 dicembre 2010 • Salone “Arena Giardino”

quanto frutto di operazioni attive di organizzazione ed elaborazione dei diversi episodi che riteniamo più importanti per la nostra vita. Tale operazione, tuttavia, non nasce esclusivamente dall’esigenza di raccontarci all’esterno, bensì dalla necessità di dare un senso a ciò che ci accade, di collegare i diversi eventi che costellano la nostra esistenza lungo una dimensione sia temporale che spaziale. Nasce dal desiderio di raccontarci a noi stessi. Gli avvenimenti molteplici che costellano la vita delle persone vengono com-presi ed integrati tra loro, dando origine a rappresentazioni narrative sul sé.

La narrazione è un essenziale strumento relazionale e soprattutto rappresenta la via attraverso cui dare forma alla propria identità. Sono le storie che le persone raccontano e si raccontano delle proprie vite a determinare il significato che loro stesse attribuiscono alle esperienze vissute. Narrare rappresenta un’operazione di consapevolezza in quanto equivale a costruire una propria visione di sé stessi e del mondo. L’attività narrante acquista un senso solo se c’è un ALTRO che ascolta, acquista un senso solo nella relazione tra narrante ed ascoltatore della narrazione. Il terapeuta deve aiutare il paziente a ri-scrivere la propria autobiografia, la propria storia, tenendo presente un obiettivo: facilitare la persona nell’assunzione di responsabilità, aiutarla a rischiare possibilità diverse, a modificare un copione di vita che si ripeteva sempre nello stesso modo ed avviarne un altro, costruire una nuova visione di sé e del mondo. All’interno del setting si produce una storia di cui terapeuta e paziente sono co-narratori. Il qui ed ora della terapia diventa il luogo e il tempo all’interno dei quali iniziare e vivere esperienze nuove, nuovi modi di sentire versioni diverse della propria esistenza e quindi nuovi racconti. In tal modo la narrazione può essere un veicolo di cambiamento.

“Ricostruire una storia diventa un costruire insieme un tratto di vita, rimodellare parti di sé, della rappresentazione della propria identità e del proprio contesto sociale.” (Duccio Demetrio-1994)

“Attraverso la narrazione della storia, non solo vengono comunicate le proprie emozioni, ma viene favorita anche la riconciliazione di parti frammentate del sé: il nominarle e il definirle produce l’acquisizione di consapevolezza, punto iniziale per un’evoluzione che coinvolge l’intero sistema di sé attraverso il ri-orientamento.” (Rossi -2003)

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La dimensione narrativa della vita

Giuseppe Latorre Educatore professionale

Raccontarsi…l’autobiografia come cura di séImparare a leggere il libro della propria vita

La dimensione narrativa della vita è dunque un aiuto prezioso per riconoscere gli aspetti sapienziali dell’esistenza.

Scrivere, leggere, proprio come vivere, sono un continuo esercizio della propria libertà e delle possibilità da essa mostrate: il lettore in tal modo non giunge soltanto ad acquisire nuove informazioni, egli conosce se stesso in un’altra maniera, perché si confronta con un differente universo, mostrato dal racconto, con cui interagisce e che anche lo modifica; di fronte al testo egli acquisisce una maggiore capacità di comprensione di sé, mutando il proprio universo di pensiero, scoprendo nuove possibilità di azione e un differente modello di valutazione.

Il lettore ritrova di fronte al testo la propria identità, un’identità di tipo narrativo, nel senso che lo aiuta a leggere quel libro così importante e purtroppo altrettanto disatteso che è la propria vita. La scoperta della propria identità, delle domande fondamentali che ne hanno accompagnato il percorso e la ricerca, può trovare un aiuto potente nell’ascolto, nella lettura e nella interpretazione di racconti esemplari, a loro volta confrontati con il racconto della propria vita; come per l’azione, non esiste identità che non sia narrata, poiché il nostro modo di conoscere e valutare la varietà delle esperienze occorse è narrativo.

C’è un altro elemento fondamentale, caratteristico della narrazione, il coinvolgimento del lettore: egli non resta distaccato e passivo,perché quanto viene raccontato muove i suoi sentimenti. Tutto ciò è di grande valore pedagogico, pertanto il compito di un educatore dovrebbe essere anzitutto di stimolare, nella lettura di vita dell’accompagnato, il senso del mistero, dello stupore, dell’immaginazione. Anche se può sembrare che i racconti, al massimo, ci offrano una conoscenza culturale, percorrere la storia insieme al protagonista costituisce un viaggio esperienziale che serve a costruire le nostre menti, a regolare le nostre emozioni e a mettere alla prova le nostre capacità. Le narrative personali

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contribuiscono alle nostre reazioni, risposte e modi di impegnarci con gli altri quando ripensiamo alla nostra storia per fare delle scelte nelle relazioni e in altri ambiti della nostra vita. L’autobiografia non è soltanto un tornare a vivere. È un tornare a crescere per se stessi e gli altri, è un incoraggiamento a continuare a rubare giorni al futuro che ci resta, e a vivere più profondamente -aiutati da quell’io necessario e tessitore reso più vigile e al contempo indulgente- quelle esperienze che, per la fretta e disattenzione degli anni cruciali, non potevano essere vissute con la stessa intensità.

In Fernando Pessoa tutto questo diventa poesia: …Se ricordo che fui, diverso mi vedo, e il passato è il presente della memoria. Chi sono stato è qualcuno che amo, ma soltanto nei sogni… nulla se non l’istante mi riconosce. Nulla il mio stesso ricordo, e sento che chi sono e chi sono stato sono sogni differenti. Andar per biografie…con giochi autobiografici e di gruppo, torna puntualmente il bisogno di lavorare ancora su di sé. Metodologia.

Percorso autobiografico diviso in tre sezione fondamentali:

Le trenta fiches del gioco della vita possono essere spese seguendo una traccia che ora vi proporremo o scelto in base all’estro del momento. L’autobiografia inizia quando prendiamo coscienza che stiamo vivendo; è l’alfa dei primi importanti balbettamenti riflessivi e l’omega degli sguardi maturi e più saggi. Le fiches sono dunque suddivise in ragione della memoria come rievocazione, ricordo, rimembranza. Vi rammentiamo che:

Rievocare significa richiamare dalla penombra dell’oblìo cose, fatti, sensazioni, figure.

Ricordare vuol dire ritrovare quelle particolari rievocazioni più significative di altre per le emozioni, gli stati d’animo e affettivi che ci fanno Rivivere;

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Rimembrare equivale a rimettere insieme rievocazioni e ricordi per dare loro una forma, un disegno, un’architettura. Affinché gli impulsi della memoria non restino a livello di effimere sensazioni, ma ci aiutino a ricomporre in una rappresentazione dotata di una certa qual unitarietà la nostra storia. Per fare bilanci e dipingere un nostro autoritratto virtuale anche in periodi diversi della vita.

Le fiches, sono per tale ragione divise in tre comparti. La numerazione è unica ma, in tal modo, saprete subito a colpo d’occhio quale sarà l’esito di ogni singola sollecitazione.

Per Rievocare…. Il gioco dell’oca Rivedo… La prima volta che… Sensi… Il sesto senso… Cose e luoghi Parole Quella volta che… Figure fatali Mentori

Per Ricordare… Stupori Apici Cronologie Passaggi Fasi Inizi ed epiloghi Coincidenze Galleria di famiglia (ma non solo) L’autoritratto, molti ritratti Mutamenti

Per Rimembrare… Arcipelago Simboli La spirale e il triangolo Sguardi dall’alto Labirinti Metafore La risacca e la deriva Ovali Mandala Messaggi in bottiglia.

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Laboratorio della comunicazione “Il gabbiano Jonathan Livingston”

Cosimo Belvito

Educatore professionale

Il racconto come genere letterario

Il racconto è una narrazione breve che occupa un numero limitato di pagine e richiede perciò un tempo di lettura anch'esso limitato. E. A. Poe afferma che durante l'ora della lettura del racconto l'anima del lettore è in balìa dello scrittore. Il racconto è dunque qualsiasi testo che sia organizzato attorno ad una storia raccontata da un narratore. Il termine ingloba la narrazione orale, quella scritta e la narrazione per immagini, suoni, parole (racconto filmico). Elementi costitutivi del racconto sono la storia (il contenuto) e il discorso, ossia il modo in cui il contenuto è raccontato. Tutte le situazioni prospettate nei racconti, anche quelle più assurde ed incredibili, ci riconducono sempre alla realtà: o a quella esterna della storia e della vita sociale o a quella interna, dei sentimenti o degli stati d'animo. Il racconto disvela quindi il proprio sé, i propri sogni, le proprie aspirazioni. Alla stesura di un buon racconto concorre la divisione del testo in sequenze: sequenze di tempo, (il giorno successivo, due anni dopo), sequenze di luogo, (dietro l'angolo, nel cortile); tale divisione ha la funzione di distinguere i fatti narrati dalle descrizioni e dalle riflessioni che aiutano ad interpretare il senso. In ogni racconto occorre partire da una situazione iniziale e procedere con l'esordio, ossia con la narrazione delle cause che portano al cambiamento della situazione, quindi con la narrazione del cambiamento stesso, per giungere al momento di massima tensione (spannung) e subito dopo ritornare ad un ordine ritrovato, mantenendo costantemente l'attenzione non per i fatti ma per le reazioni psicologiche ai fatti.

Il racconto autobiografico: cenni storici

La scrittura autobiografica come riflessione, meditazione sugli avvenimenti della propria vita passata nasce in epoca tardo-latina con l'opera straordinaria di un religioso che col tempo verrà Seminario • GIORNATA DELLA COMUNICAZIONE 9

considerato uno dei grandi Padri fondatori della Chiesa: Sant'Agostino. “Le Confessioni” di Agostino sono un testo senza precedenti nella storia della letteratura occidentale, se si escludono i “Colloqui con se stesso” dell'imperatore Marco Aurelio, nel Il secolo d. C. Per la prima volta un uomo scrive di sé non per celebrare le sue imprese militari o politiche, ma per raccontare la propria storia interiore. Oltre al loro indiscutibile valore letterario “Le Confessioni” hanno anche una grande importanza come documento storico. Nonostante numerosi esempi illustri l'Autobiografia come genere letterario codificato si afferma nel Settecento, perchè è solo nel Settecento- con l'avvento dell'Illuminismo- che si diffonde l'idea che la vita di un individuo possa avere un qualche interesse in sé. Prima di allora era considerata utile solo in quanto modello di vita per gli altri (agiografia o vita di Santi). A differenza del diario, l'autobiografia è scritta per essere- letta. La sua caratteristica più evidente è che non è contemporanea aglieventi che racconta, ma è scritta quando questi sono ormai lontani nel tempo, per questo spesso può essere considerata una sorta di romanzo di formazione. Con l'avvento della psicanalisi e la scoperta della complessità dell'io il Novecento può essere considerato il secolo dell'autobiografia per eccellenza, di chi scrive per non dimenticare, per raccontare l'orrore, la paura, la guerra, ma anche i propri personali tormenti, la storia interiore della propria vita. A dispetto di quello che si potrebbe pensare, l'autobiografia non è un genere letterario ingenuo, il semplice e lineare racconto della vita. Visto che nel momento in cui viene raccontata una vita acquista valore, chi racconta spesso omette dei particolari, ne ritocca altri, inventa addirittura cose che non sono mai successe. Così l'autobiografia diventa il romanzo di quella vita, diventa in tutto e per tutto un'opera letteraria, perchè ciò che rende la vita di un uomo interessante non è il racconto dei fatti ma come i fatti vengono raccontati.

Il disagio esistenziale nel racconto di sé

La narrazione autobiografica evidenzia il suo potere curativo in quanto rappresenta uno strumento terapeutico, educativo e formativo utilizzabile con diverse tipologie di utenza. 10 Bari • 1 dicembre 2010 • Salone “Arena Giardino”

Narcisistiche autocontemplazioni

La dimensione narcisistica alimentata di continuo nello svelarsi del racconto, rivela nuovi interessi nei confronti della narrazione. Il racconto della personale storia di sé fa innamorare il protagonista di una passione positiva che genera l'esigenza di approfondire la conoscenza interiore ed introspettiva. La narrazione delle proprie istanze interiori, condurrà alla valorizzazione di aspetti, eventi, emozioni dimenticate, rinnovando la capacità di emozionare, di stupire, di incantare. Il racconto autobiografico rende infatti consapevoli del fascino insito nell'esistenza di ogni persona. L'emozione fatta scaturire dalla narrazione si svela un valore prezioso per l'arricchimento del proprio animo.

Il metodo

Autobiografia

Se per autobiografia s'intende il racconto della propria vita è pur vero che non esistiamo da soli, ma siamo pezzi di una storia più grande di cui parte è stata già scritta, parte la scriveremo noi e parte la passeremo ad altri per completarla. Che cosa cercare nell'autobiografia. Nell'autobiografia si cerca il senso che il Soggetto attribuisce alle esperienze compiute, il senso del suo vissuto, il suo bisogno di appartenenza, il suo bisogno di aggregazione e di comunicazione. Se un racconto orale non ha senso senza un ascoltatore, la scrittura autobiografica non ha senso senza un racconto, senza lo scrivere di sé e per sé. L'autobiografia dunque, prima di essere un racconto scritto è l'insieme delle narrazioni che il soggetto compie nel momento in cui si sforza di dare senso alla sua esperienza umana. Nell'autobiografia il soggetto occupa interamente la scena, senza interferenze. Si racconta seguendo un impulso emozionale e affettivo a riflettere e poi a raccontare gli eventi che ha vissuto. Quando una persona ricorda il suo passato, più che assumere il ruolo dello storico in cerca di verità oggettive, rivive gli eventi trascorsi come una rappresentazione teatrale in cui è l'interprete principale ed è in scena come protagonista. Quando ciascuno di noi ricorda, si trova a svolgere operazioni di analisi, di arricchimento, integrazione. In questo modo si alterano la traccia originale e la verità del ricordo.

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Nell'esercizio autobiografico si sviluppa la disponibilità all'ascolto. Il monologo è lo strumento che consente lo sviluppo dell'interiorità e si basa su una forma di dialogo con una realtà interna. L'autobiografia è la ricostruzione della memoria personale che nella sua rappresentazione non esclude anche altri. Si può parlare di una conversazione con se stessi che si realizza grazie all'attivazione di un processo definibile come bilocazione cognitiva. La bilocazione cognitiva è la capacità di scoprirsi dotati della possibilità di dividersi senza perdersi; è la capacità di essere qui e contemporaneamente nell'allora della reminiscenza di sé.

L'archivio dei ricordi

Un buon archivio dei ricordi necessita di : Foto, riflessioni scritte, racconti scritti, registrati e filmati, narrazioni scritte o registrate, film. Molteplici sono i temi che possono ingenerare veri e propri viaggi sulla traccia del tempo: -Il nome proprio. E' importante indagare sulle ragioni che nella storia familiare hanno determinato la scelta del nome, i diminutivi, gli accrescitivi, indagare sulle tradizioni.

-La famiglia. La storia familiare deve essere ricostruita con foto, con racconti registrati e filmati.

-La casa. Deve essere descritta minuziosamente la casa abitata nel passato, deve essere confrontata con quella abitata nel presente e con quella che si vorrebbe abitare nel futuro.

- Giochi e giocattoli. Il recupero dei giochi aiuta a comprendere la funzione di transizione verso il mondo esterno che molti giocattoli, pur nella loro estrema semplicità, hanno svolto nel passato

-Il corpo. Specificità del proprio esistere. E' importante riflettere sui cambiamenti corporei per accettare i cambiamenti nell'aspetto esteriore e proporre impegni correttivi.

-Feste e cerimonie. Le feste e le cerimonie devono essere documentate con foto e filmati.

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-Amici e avventure. Devono essere raccontati episodi significativi su alcuni legami di amicizia, su come sono nati e come si sono modulati nel tempo. E' molto importante ricercare le regole d'oro della vera amicizia.

-Animali. Si devono ricostruire ricordi di animali incontrati e conosciuti. A questo proposito sarebbe auspicabile narrare storie di animali del cinema e della televisione ( Rin tin tin – Lassie – Rex - Alla ricerca della valle incantata –Dumbo – Fievel - La carica dei 101 - Lilly e il vagabondo - Gli Aristogatti).

-Viaggi. Devono essere raccontati viaggi reali o fantastici con il supporto di cartoline o di souvenirs.

-Emozioni. Devono essere raccontati episodi di emozioni forti fino a inscenarli, (paura - terrore - gioia).

-Scuola. Si devono ricostruire ricordi di insegnanti, di ambienti e di spazi dell'edificio scolastico, di aule, di compagni di scuola, di materie di studio.

-Identificazione. E' importante ricordare i miti del passato e confrontarli con quelli del presente per comprendere i processi di identificazione.

Indicazioni operative

Ricorda il primo racconto importante della tua vita. Scrivi il diario; annota episodi di vita quotidiana, scrivi una presentazione di te stesso indirizzata a qualcuno che non ti conosce. Descrivi un personaggio mitico del passato, l'ambiente, la professione, il valore simbolico.

La vita non e' quella che si e’

vissuta ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla.

G. G. MARQUEZ

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Il Gabbiano Jonathan Livingston

Parla della voglia di lottare, di ottenere ciò in cui si crede e che spesso invece, per paura di fallire o di essere giudicati, non si tenta neppure di intraprendere. Al di là del testo che narra la storia di un gabbiano che scopre la bellezza di librarsi nel cielo, si nasconde il significato profondo della vita: la ricerca della libertà. il piccolo gabbiano riesce ad intravedere una nuova via da poter seguire, una via che lo allontana dalla banalità e comprende che oltre che del cibo un gabbiano vive della luce e del calore del sole, del soffio del vento, delle onde spumeggianti del mare e della freschezza dell'aria. Jonathan desidera solo poter volare e far partecipi della sua gioia anche i suoi amici: ma questi non lo capiranno, accecati da quei valori materiali nei quali intravedono l'unica ragione di vita e dalla paura di cambiare, arrivando persino a cacciarlo dallo stormo, vedendolo come una minaccia. Ma è proprio la forza di volontà di Jonathan che prevale su tutti i preconcetti: egli continua a volare e a gioire delle emozioni che riesce a percepire. Jonathan non è un ribelle: è solo un piccolo gabbiano che segue il suo istinto. Lo stesso Richard Bach (l’autore del racconto) dedica la sua opera al gabbiano Jonathan che vive nel profondo di ognuno di noi. Dovremmo tutti avere il coraggio delle azioni, senza il timore di non riuscire nel nostro intento. Solo così riusciremo a vedere e a percepire tutte quelle cose che ci fanno sentire vivi e saremo capaci di far alzare in volo quel gabbiano che si nasconde nel nostro cuore. 14 Bari • 1 dicembre 2010 • Salone “Arena Giardino”

Ognuno di noi ha una storia

Anna Pia Indraccolo Educatrice professionale

Ognuno di noi ha una storia del proprio vissuto, un racconto interiore, la cui continuità, il cui senso è la nostra vita. Si potrebbe dire che ognuno di noi costruisce e vive un racconto, e che questo racconto è noi stessi, la

nostra identità. Il pensiero autobiografico, comunque espresso, anche quando è rivolto verso un passato doloroso fatto di errori e di eventi infelici, è sempre un ripatteggiamento con ciò che si è stati e questa riconciliazione procura un senso di tranquillità, di pace. Ricostruire alla moviola la propria esistenza, e accettarla, procura una sensazione di benessere che ha origine nella capacità di prendersi in carica L'autobiografia, sottolinea Demetrio(1), è un tempo per sé che non ha segreti per sé e, per questo, la si può definire, una cura di sé. La funzione curativa dell'autobiografia non è quella di liberare il soggetto dal proprio passato, ma è quella di soddisfare il suo desiderio di cercare, scoprire, comprendere il senso della sua vita e della vita, è un modo per tornare a crescere e vivere più intensamente la propria storia personale nel presente e nel futuro. Il racconto è una sorta di liberazione, uno sfogo emotivo che permette di comunicare tanto le proprie emozioni quanto le tensioni, è un modo per rielaborare l'esperienza dolorosa, una sorta di sostegno durante i momenti più difficili della propria vita. Oltre al benessere psicologico, scrivendo di sé, la persona può arrivare a cambiare i suoi atteggiamenti nei confronti della realtà, atteggiamenti che possono essere radicati nella ripetizione di narrazioni mentali e sociali negative che rappresentano le fondamenta del disagio psichico.

Seminario • GIORNATA DELLA COMUNICAZIONE 15

L'esito della ricerca autobiografica dipende esclusivamente dalla relazione che si instaura tra il soggetto che racconta e chi l'ascolta. In tale relazione assumono un ruolo importante gli aspetti di alleanza tra i partner, la circolarità dell'informazione, l'empatia, l'ascolto attivo. In ambito specificatamente psichiatrico, il "rimpasto" di frammenti relativi a diversi livelli autobiografici sottratti allo smarrimento che deriva inevitabilmente dalla distruzione della esperienza composita della vita è da intendere come punto d'arrivo. Il soggetto narrante è dato o può essere dato soltanto a conclusione di un processo più o meno lungo e complessivo di almeno una parziale ricostruzione e ricomposizione dell'io. Gli elementi propedeutici indispensabili all'avvio di tale processo sono costituiti dalla consapevolezza della "malattia", dall'appartenenza ad un "gruppo di pari", dall'accettazione di un percorso terapeutico-riabilitativo.

L'esperienza del "laboratorio della comunicazione", inteso come luogo della narrazione autobiografica, presente nel Centro diurno di Carbonara può essere così descritto. "il gruppo ignora il laboratorio e le sue attività. Operatori e pazienti non si conoscono, non si sono mai incontrati. L'elemento iniziale di certezza è costituito dalla professionalità e dall'esperienza degli educatori. Conoscersi reciprocamente sul campo è prassi consolidata: le relazioni vanno agite nel fare. Gli utenti non sono abituati a parlare di sé, a comunicare liberamente, a strutturare il pensiero. Allora non si può che iniziare a giocare con le parole dando potenza a quello che si dice.

In una atmosfera di diffidenza e attesa, gli operatori invitano a definire con immediatezza una porta, un attaccapanni, una sedia. Capita che qualcuno dica una parola a sproposito, che non ha attinenza alcuna con l'oggetto da definire e che qualche altro del gruppo la censuri sarcasticamente in quanto non logica. E' convinzione della maggioranza che gli educatori la boccino e la scartino. Ma tanto non accade. La parola fuori posto è invece accettata e accolta con grande dignità. Sono accolti anche gli "errori". E' possibile cioè sbagliare, anzi lo sbaglio è più vero della correzione. Nell'immediatezza si è autentici quando il dire non passa attraverso le preventiva riflessione. Il gruppo si rilassa, entra e si lascia trasportare dal gioco. L'apice del coinvolgimento è raggiunto dalla declamazione. Il ritorno "potente" e "nobile" di ogni 16 Bari • 1 dicembre 2010 • Salone “Arena Giardino”

parola pronunciata è l'avvio di una relazione accettante e gratificante. Resa nobiltà al dire, a qualsiasi dire, si tenta di strutturare piccoli pensieri e racconti di fantasia. In circolo si lega una parola all'altra sino a chiederle, appunto, nella logica della fantasia. Il gioco va avanti, l'avventura della conoscenza di sé e degli altri trova un punto d'approdo nella creazione dei racconti collettivi. L'entusiasmo deve essere accolto, colto ed esternato, quindi, vengono letti e drammatizzati in uno spettacolo pubblico Esercitata la fantasia, si avvia con cautela e attenzione un percorso di narrazione del sé in ambiti parziali di autobiografia: il gusto, il corpo, la malinconia, la felicità, la famiglia per iniziare a demolire difese ed autocensure. Quando queste cadono definitivamente, il paziente può dirsi pronto a diventare soggetto narrante, a raccontarsi individualmente inprima persona. Ma un altro sforzo lo attende, quello del rapporto con l'altro. Dove altro è da intendere come appartenenza perduta, spazi di vita resi estranei o vissuti in modi ostili, cultura smarrita. La graduale formazione del gruppo, serve come modello ai pazienti per la creazione di un'identità. In questo modo, i pazienti iniziano ad incorporare l'identità del gruppo, come propria, provando un senso di rassicurazione che deriva dalla loro appartenenza al gruppo stesso ed è tale identificazione con il gruppo ad offrire protezione. La paura e l'imbarazzo di esporsi di fronte agli altri membri del gruppo è una delle forze che legano gli uni agli altri. Il gruppo produce sentimenti di sicurezza, conforto e gioia. I pazienti tentano di definire i propri limiti personali. Nel 2009 ben 8 pazienti riescono a raccontarsi creando così la propria autobiografia. (1) Duccio Demetrio “L’autobiografia come cura di sé” 1996, Cortina Raffaello

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Tutto è comunicazione

Anna lannone Educatrice Professionale

La pratica comunicativa ha accompagnato la Comunità riabilitativa di Corato sin dalle sue origini, in primo luogo come metodo di formazione per gli educatori, in secondo luogo con l'applicazione pratica su gruppi di utenti durante le attività di laboratorio a sfondo espressivo. Nascono così i laboratori grafico- espressivo e della comunicazione e con essi comincia il raffronto tra teoria e pratica. Si stabiliscono finalità e metodo e si comincia ad operare su alcuni gruppi. Lo stile di conduzione adottato è caratterizzato da: • capacità di ascolto, • capacità di far circolare la comunicazione, • capacità di ottenere un interscambio dialogico tra i partecipanti. La finalità consiste nell'educare il paziente a: • pensare, • raccontare gli eventi relativi alla propria esperienza di vita, • far provare l'emozione di questa attività liberatoria, • alleviare l'ansia ed imparare a gestirla. Il metodo adottato è quello del racconto degli eventi in forma prima scritta e personale poi partecipata tramite la lettura in gruppo. Ciò aiuta il paziente a produrre una ristrutturazione cognitiva legata agli eventi presenti e passati. "L'uomo che non ritorna su quanto ha vissuto resta alla superficie di sé stesso. Non c'è esperienza nel puro accadere degli eventi." ( J. Thomas) Prima che l'utente giunga a parlare di sé è necessario creare nel gruppo un clima emotivo adeguato, di fiducia reciproca, uno spazio dove egli può mettersi in gioco senza essere giudicato, dove può parlare della propria intimità ed essere accolto. Per favorire il racconto è spesso necessario fornire degli stimoli finalizzati ad attivare il processo della memoria. L'utilizzo di foto, disegni, oggetti del passato o parole "chiave" come amicizia, amore, solitudine, gioia... facilita l'espressività. 18 Bari • 1 dicembre 2010 • Salone “Arena Giardino”

Gli elaborati, brevi testi o semplici pensieri, prodotti durante o prima dell'incontro, sono poi oggetto di discussione in gruppo e danno origine a riflessioni su tematiche comuni. Ogni utente, supportato dal gruppo, ha la possibilità di riflettere sul proprio passato raccontando vicende belle o tristi, rivivendo gioie e frustrazioni, ripercorrendo successi e delusioni. Il gruppo è una risorsa preziosa per ogni partecipante in quanto favorisce i processi di autostima ed eterostima. Nel primo caso il soggetto viene aiutato a ritrovare la sua soggettività attraverso la riscoperta della propria storia di vita, nel secondo il soggetto riceve attenzione e conferma dalla disponibilità di uno sguardo, da parole incoraggianti, dal tempo offerto e si riconosce nelle parole degli altri. Il laboratorio della comunicazione può essere definito laboratorio di "educazione interiore" (L. Tussi) sia perché si basa sulla meditazione, sull'autoriflessione, sulla capacità introspettiva sia per la funzione di portare gli utenti a "sentirsi persone" di nuovo e a far recuperare insieme al passato il senso dell'essere oggi e il desiderio di una progettualità futura. Se il paziente giunge ad un contatto più stretto con sé e a creare un io più emancipato acquisisce la capacità di entrare in relazione con gli altri senza grossi disagi e in modo più profondo. Nell'ambito della pratica comunicativa si è inserito, alcuni anni fa, il laboratorio del racconto autobiografico. Interrotto per un po' di tempo, perché non rispondeva alle necessità dei pazienti, è stato ripreso nel 2010 con un utente in fase depressiva, con scarsa autostima e scarsa fiducia nelle sue potenzialità, un utente che ha cominciato ad avvertire il bisogno di parlare della sua storia, che non ha ancora trovato accoglienza nel gruppo ed ha prediletto un setting individuale in cui è sicuro di parlare ad un ascoltatore attento. Il ruolo che l'educatore "autobiografo" svolge in questo tipo di attività è utile al narratore che ha la possibilità di riflettere sul proprio vissuto e dare un senso alla sua esistenza ma anche all'educatore che è costretto a mettersi in gioco, a conoscere ed interrogarsi sulla sua vicenda esistenziale. Per entrambi l'attività è strumento di formazione, è un modo per scambiarsi identità e significati. Per l'educatore non è una conoscenza su qualcuno ma un'esperienza "con". La relazione con l'utente si modifica, anche i reciproci comportamenti cambiano. Nella Comunità riabilitativa di Corato l'attività è nata in modo spontaneo cioè senza una contrattazione con il paziente circa i Seminario • GIORNATA DELLA COMUNICAZIONE 19

tempi, i luoghi e le modalità dell'ascolto. Ben presto è emersa l'esigenza di dare una progettualità temporale e di metodo sia perché diventasse uno strumento terapeutico sia per dare uno spazio adeguato all'utente e un riconoscimento a ciò che racconta. Gli incontri avvengono settimanalmente. L'educatore sollecita l'utente alla costanza nell'esercizio della narrazione, lo invita a scrivere; se la capacità di scrittura è scarsa è l'educatore a trascrivere il racconto. L'educatore non segue una griglia già predisposta e il racconto avviene in forma libera e spontanea dietro input, suggestioni e semplici domande relative all'infanzia, alle amicizie, al rapporto con i genitori, alle esperienze scolastiche e lavorative ,etc... La scelta del luogo è fondamentale; uno spazio tranquillo, silenzioso, in cui il soggetto non venga interrotto frequentemente, favorisce l'interazione dialogica anzi l'intimità dialogica. La narrazione non è sempre lineare ma frammentaria e discontinua, costellata di ricordi, fratture, esitazioni. L'educatore ha il compito di ricomporre la vita passata in forma riconoscibile trovando un nesso ed un'armonia tra le diverse esperienze frammentarie La raccolta dei dati e il feedback sono concordati attraverso un lavoro di supervisione anche partecipata da parte dello psicologo. Si condividono input di tipo ristrutturativo e di ricomposizione, prima di riprendere il percorso. In questo incontro-confronto il narratore si intrattiene con séstesso, racconta la sua storia di vita incompiuta ricca di vicende contrastanti e, con l'azione del rimembrare gli eventi, recupera il proprio mondo interiore svolgendo il ruolo di attore protagonista. In questo incontro si rivelano spesso atteggiamenti comunicativi che riguardano il linguaggio non verbale: espressione del volto, sguardo, postura, pause, silenzi che riguardano sensazioni ed emozioni rispetto a ciò che sta raccontando. L'educatore rispetta lo stato d'animo, non interrompe l'interlocutore e mostra sempre interesse anche quando ripete cose già dette, se ci sono pause o esitazioni si ferma, non prende la parola e favorisce il silenzio. Questo atteggiamento attenua il senso di ansia e di impotenza e da la possibilità di elaborazioni riflessive. L'educatore impegnato nel laboratorio del racconto autobiografico ha la necessità di porre le distanze tra la sua vita e quella del

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paziente, attua quindi un confronto periodico con lo psicologo o con gli altri colleghi al fine di: • evitare "scivolamenti empatici" come l'identificazione con le situazioni raccontate,

• sollevarsi dalla fatica di parlare, ascoltare, pensare, • analizzare le narrazioni. L'ascoltatore annota impressioni, temi emersi, contenuti ricorrenti, rileva la lunghezza o la brevità di alcuni nuclei tematici, la ricorrenza di parole e frasi, l'assenza di certi temi; li riporta nell'incontro con il supervisore dove si cerca di decodificare la narrazione, di comprendere il significato dei diversi racconti e di cogliere nuclei vitali per potenziali narrazioni negli incontri successivi. Entrare nel mondo delle "storie di vita" significa entrare in un mondo di significati che l'utente desidera comunicarci ponendo i fatti in un determinato modo piuttosto che in un altro. Dal bagaglio di ricordi si ricavano frammenti di desideri ed esigenze personali su cui attivare una progettualità futura. I ricordi prendono vita e la vita si fa attraverso i ricordi. "L'autobiografia è un viaggio formativo e non un chiudere i conti; ogni abilitazione acquisita non è mai l'ultima e nasconde sempre una faccia, quella del non ancora realizzato." (Bruno Schettini) DAL LABORATORIO DEL RACCONTO AUTOBIOGRAFICO. ALCUNI STRALCI DELLE STORIE E DISEGNI: “Avevo soltanto due anni, ero in fondo ad un lungo corridoio; ad un tratto notai le gambe di un uomo avvicinarsi. Non guardai il suo volto ma mi aggrappai forte a lui e non mi distaccai più sino a quando giungemmo a casa. Finalmente avevo lasciato quella casa tanto grande, quelle donne vestite di nero e quei bimbi più grandi di me che mi picchiavano.” “Ogni tanto mi chiedevo se ero solo al mondo o se esisteva qualcuno che mi amava. Seminario • GIORNATA DELLA COMUNICAZIONE 21

All’età di nove anni, mentre giocavo per strada, appresi dai compagni la verità: io non appartenevo a quella famiglia in cui mi trovavo. Avevo avuto la conferma, ne era a conoscenza tutto il quartiere. Iniziò da quel momento una crisi d’identità che mi porto dentro ancora adesso che ho 40 anni.” “Mi piaceva moltissimo la primavera, vedere svolazzare le farfalle e poi posarsi sui fiori, osservare le prime gemme degli alberi, ascoltare il canto delle cicale e camminare a piedi nudi tra le vigne lasciando di qua e di là le scarpe e i calzini.” “Mia moglie sorridendo mi salutò e andò via lasciandomi nelle mani del medico di turno che mi sottopose ad una prima visita. Quel medico mi fece delle strane domande, ma ancora non avevo capito in quale ambiente ero capitato. Un infermiere alto e robusto mi accompagnò al secondo piano, salendo per le scale notai delle grate molto alte che circoscrivevano la gabbia scale con funzione di sicurezza. Cominciai a capire che non dovevasi trattare di un ospedale civile e ne ebbi la conferma quando vidi che l’infermiere che mi accompagnava chiudeva a chiave tutte le porte delle corsie che lasciavamo alle nostre spalle. Giunto nella stanza, come prima cosa mi fecero una fiala di Serenase e poi presi posto nel mio letto. Rimasi ricoverato un mese e dodici giorni. Ricordo che piangevo ogni giorno perché mi sentivo debole, mi sedarono a tal punto che non avevo più la forza di reagire di fronte a qualsiasi stimolo. Rimanevo per ore a guardare fisso il muro ad un palmo di distanza. Una mosca poteva entrare da una narice ed uscire dall’altra senza che io me ne accorgessi.” “La vita scorreva, mio padre era stato trasferito dalle suore, ma il 20 Dicembre 1986 fui chiamato da una suora perché mio padre peggiorò. Un operatore mi accompagnò a trovarlo. Mentre salivo le scale vidi arrivare gli infermieri con la barella vuota, mi comunicarono che mio padre era morto. Caddi di nuovo in depressione, ma questa volta non ero solo.” “Dal momento in cui ho incominciato a vivere questa favola con Anna e il Dr. Saverio, ho vissuto un’esperienza serena, tranquilla

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e mi è servita per trovare il coraggio di combattere le brutalità della vita. Quando sto con loro e racconto i “miei vissuti” mi sento in pace . Vorrei che quest’avventura continuasse perché a me piace sia il modo in cui mi rispondono e sia ciò che pensano di me. Il mio racconto è un po’ povero ma autentico. La vita è un film e ognuno di noi lo scrive ed è il protagonista. In tutta la mia vita non ho mai avuto due amici così generosi e disponibili. Con loro sto ripercorrendo il mio passato e spero di continuare questo gioco in modo che io venga fuori con un sorriso”.

“Dopo una festa di carnevale ho sognato il demonio. Sono all’inferno.”

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“Quando ho una delusione penso all’alcool, al fumo e alla droga per dimenticare.”

“Sole birichino ora si nasconde ora si presenta. Il sole è simbolo della vita e del calore.”

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“E’ una donna un po’ timida. Nasconde dei problemi.” Riferimenti Bibliografici:

"Ognuno di noi ha una storia del proprio vissuto, un racconto interiore, la cui continuità il cui senso è la nostra vita.” “Si potrebbe dire che ognuno di noi costruisce e vive un racconto, e che questo racconto è noi stessi, la nostra identità.” “Per essere noi stessi, dobbiamo avere noi stessi, possedere se necessario ripossedere, la storia del nostro vissuto.” “Dobbiamo ripetere noi stessi, nel senso etimologico del termine, rievocare il dramma interiore, il racconto di noi stessi.” “L'uomo ha bisogno di questo racconto, di un racconto interiore continuo, per conservare la sua identità, il suo sé.” O. Sacks, L'uomo che scambiò sua moglie per un cappello, Milano, Adelphi, (tr.it., 1986, pp.153-4.)

“Autobiografia per accomunare culture e subculture differenti – La complessità introspettiva Spazi e tempi di racconti in evoluzioni narrative. Le trame della narrazione.” “La didattica autobiografica: Una traccia per percorsi scolastici alla scoperta di sé e dell'altro.” Laura Tussi

“La pratica autobiografica come cura di sé lungo il corso della vita.” Bruno Schettini

“Animazione e storie di vita.” da Prospettive sociali e sanitarie

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Akròasis, l’ascolto del mondo

Giuseppe Latorre Educatore professionale

Dall’amore per la musica può nascere il desideriodi approfondire la ricerca che ci permette di cogliere lanatura più profonda della realtà e della nostra identità,

da ascoltare con un orecchio opportunamente preparato.

La musica può diventare strumento di comunicazione, incontro e scambio non solo tra le persone e tra popoli e culture diverse, ma può svolgere prima di tutto la stessa funzione all’interno dell’essere umano grazie al potere di far emergere tutte le diverse sfaccettature del diamante che ognuno di noi è, e di cui spesso conosciamo solo pochi lati invece di godere della ricchezza e della molteplicità della nostra natura. Musiche diverse stimolano e risvegliano in noi aspetti diversi, umori diversi, questo ormai lo abbiamo scoperto tutti. Uno degli scopi del laboratorio musicale strutturato nel Centro diurno di via Caldarola, in Bari, è quello di fornire quegli elementi teorici e pratici che consentono di vivere con maggior apertura ed intensità la musica, sia l’Ascolto musicale sia la creazione musicale. Si potrà così imparare a risvegliare la sensibilità per conoscere e riconoscere l’effetto che ogni particolare melodia ha sul nostro organismo, stato d’animo, lucidità mentale, rapporto con gli altri e sintonia con i nostri aspetti più profondi e più alti. Akròasis, l’ascolto del mondo. L’Akròasis, l’ascolto del mondo, è un’arte dimenticata. Siamo sordi all’ascolto della natura, delle persone, di noi stessi. E non avendo imparato ad ascoltare, non ci rendiamo conto di quanto diversi possano essere gli influssi del suono sulla psiche. Le proprietà curative della musica sono conosciute ed applicate sin dai tempi antichi. La musica diventa curativa nella misura in cui si impara a riconoscere l’influenza specifica che essa opera sull’individuo. Tenendo conto, però, che in parte l’effetto di una musica è strettamente personale, dipende dalla storia di ognuno, dal particolare significato che nella propria esperienza si attribuisce a una determinata melodia, e in parte può essere invece

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considerato simile per tutti, in quanto interazione tra una vibrazione, la musica, e un campo energetico, il corpo umano. Allora la musica diventa curativa non di per sé, ma quando viene ascoltata dalla persona giusta e nel momento giusto. La musica può avere un effetto riposante e rasserenante, può trasformarsi in una opportunità per aprirsi alle emozioni, può risvegliare la volontà e incitare all’azione; può attivare funzioni intellettuali e suscitare l’ispirazione artistica e creativa. La musica rasserena, allieta, spiana le fronti corrugate e in tal senso ci sono autori che sortiscono tali effetti. Hayden, Bach, Mozart, Corelli, Rossini, Vivaldi, Strauss, Respighi. La musica religiosa, e oltre al solito Bach, Pachelbel, Pier Luigi da Palestrina, Handel. Ma tanto accade non solo negli ambiti più ricercati, ma anche nell’ambito della musica popolare, gli Spiritual. A questo punto non servono parole, se non per invitare ognuno ad aprirsi a questa dimensione sonora interiore. Parlando di musica ci si preoccupa di che cosa ascoltare, ma non ci si sofferma mai abbastanza su come invece ascoltare. Ci si può lasciar sfiorare dalla musica oppure farsene assorbire completamente, la musica può essere un sottofondo sul quale fantasticare, oppure può diventare la protagonista assoluta di una esperienza in cui si trascendono i limiti tra colui che ascolta e ciò che è ascoltato, in cui ci si lascia compenetrare dalla musica. Questo atteggiamento di totale apertura nei confronti della musica viene definito Ascolto musicale, una modalità di ascolto che stimola un’attenzione multipla che coinvolge tutto il corpo. Noi non ascoltiamo solo con le orecchie, ma con tutto il corpo, attraverso i sensori presenti in tutte le cellule che fanno si che il nostro corpo a sua volta risuoni. Così il nostro ascolto diventa ritmo, suono, musica. Pertanto, nell’ambito delle attività creative, l’ascolto della musica diventa quel veicolo necessario affinché le emozioni, le sensazioni possano essere tradotte in disegno (tecnica mandala, scrittura creativa, laboratorio dell’Ascolto). Gli stili musicali sono molteplici e variano a seconda dell’attività che si va a strutturare. Si tratta di un vero e proprio nutrimento musicale, che favorisce lo sviluppo di tante potenzialità assopite, risveglio dell’emotività e creatività. L’obiettivo dell’attività è quello di fornire agli utenti l’opportunità di riconoscere di aver bisogno di stare a casa magari ascoltando della buona musica. Infatti già si verifica che durante Seminario • GIORNATA DELLA COMUNICAZIONE 27

alcune attività gli utenti richiedano una particolare scaletta musicale per calmarsi, rilassarsi e dedicarsi alla creatività che promana da una mente tranquilla. La musica è un linguaggio che permette all’inesprimibile di trovare forma di espressione, è il linguaggio delle emozioni, dei sentimenti delle rivelazioni improvvise sugli aspetti più alti della nostra natura e della realtà. L’esercizio della capacità d’ascolto è dunque un percorso che in realtà non ha mai fine, perché permette sempre di scoprire qualche cosa di nuovo dentro e fuori di noi. Nell’aprirsi alla musica, molti noteranno quanto spontaneamente emergano immagini, ricordi, emozioni: è il caso di offrire opportunità di espressione a tutto quanto emerge, con le parole, con il disegno o con il movimento. Queste le proposte per approfittare al massimo del percorso musicale, poiché il fine fondamentale è di ampliare i confini della consapevolezza. Bibliografia: • AA.VV: L’ ascolto che guarisce • R. Assagioli: Lo sviluppo transpersonale • R. Benenzon: Manuale di musicoterapica • A. Storr: La dinamica della creatività • F. Massaro: L’ ascolto musicale terapeutico 28 Bari • 1 dicembre 2010 • Salone “Arena Giardino”

Bande rumorose

Scheda di presentazione del gruppo musicale

Michele Magno Educatore professionale (Musicista Musicoterapista)

Tempo fa, più o meno nel 2001, all'interno del laboratorio musicale attivo presso il Centro Diurno EPASSS di Bari Carbonara, nasceva l'esperienza "Bande Rumorose". Uno dei partecipanti al laboratorio aveva cominciato a tirar fuori delle liriche proprie. La loro struttura invitava a musicarle, sembrava a volte che la melodia fosse già presente nel testo. Presero forma delle canzoni, e altri, per spirito di emulazione, proposero le loro poesie desiderosi di sentirle musicalmente trasformate. Circolavano brani musicali che venivano cantati con un'espressione inimmaginabile, condivisi da tutto il gruppo. Si trasmettevano forti emozioni, ognuno finiva per ritrovarsi nel vissuto dell'altro. Ci si caricava di un'energia liberatoria, forse si cominciava a dare un senso a se stessi. Presto nacque l'esigenza di comunicare tutto questo agli altri. Perché si voleva dare visibilità a quello che si stava facendo. Essere riconosciuti dalla comunità sociale. Essere accettati per quello che si è, carichi di problemi ma con tanta voglia di esistere nonostante tutto. Quello che fa la differenza è la nostra autenticità, che mette al bando qualsiasi competenza tecnica. Abbiamo affidato questa ai musicisti che ci accompagnano nella nostra avventura. Sono il nostro tramite con il mondo, a tratti impietoso, dello spettacolo. Ma noi andiamo avanti con coraggio e testardaggine. Preferiamo circondarci di gente che abbia una certa sensibilità. Che sia disposta a riscoprire l'altro. Chi ci vede e ci ascolta dice che l'impatto è notevole. Abbiamo suonato nelle parrocchie, nelle scuole, nelle circoscrizioni, nei pubs, nelle associazioni, nelle sale comunali, ma abbiamo affrontato anche le piazze. Ad esempio abbiamo partecipato alla Festa dei Popoli, organizzata dal Centro Abusuan di Bari in collaborazione col Comune e la Provincia, ma anche recentemente all'Estate Biscegliese, esibendoci all' Anfiteatro Mediterraneo, e al Settembre Modugnese, esibendoci all'Anfiteatro di Piazza Garibaldi.

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Il gruppo è in un continuo evolversi per quanto riguarda la formazione. Punti fermi sono i musicisti consulenti che attualmente sono Gino Portoghese al flauto traverso e come fonico, Adolfo La Volpe al basso e Vittorio Gallo ai sassofoni e alla tastiera. Responsabile e coordinatore di questa esperienza, ma anche chitarrista - compositore, è Michele Magno. Gli altri componenti sono Jean Paul Bitetti alla batteria e alla voce, Saverio Calabria, Francesco Terranova, Cosimo Chironna e Gabriella Fiorile alle voci. I testi sono di Lorenzo D'Aloya, Jean Paul Bitetti, Nicola Fornarelli, Lia Gagliardi, Giuliano Muti, Donato Strisciuglio e Antonio Trentunzi. Del gruppo hanno fatto parte anche altre persone, ognuna delle quali ha lasciato e continua a lasciare una traccia di sé in tutto quello che facciamo. “Bande Rumorose” nel 2003, con l'intento di dare una testimonianza tangibile del lavoro svolto fino a quel momento, ha inciso un CD intitolato "Persone in estinzione". Per noi è una maniera ulteriore per farci conoscere, per lasciare un ricordo dei nostri concerti o per raggiungere chi ai nostri concerti non è ancora potuto venire. E' in cantiere la realizzazione di un altro CD, perché i tempi sono maturi per fermare con un supporto musicale la fotografia attuale del nostro gruppo, diversa di molto rispetto alla situazione del 2003. 30 Bari • 1 dicembre 2010 • Salone “Arena Giardino”

Laboratorio Teatrale

"Angeli" "Che cos'è l'amor"

dott. Cosimo Muolo

Educatore professionale Quella che viene presentata attraverso questa relazione è la testimonianza che è possibile, utilizzando tecniche proprie dell'arte scenica, attuare iniziative che tendano alla riabilitazione di soggetti, che si trovano in situazione di svantaggio psichico e/o sociale.

Il percorso ha avuto inizio lo scorso anno quando si è fatta concreta la possibilità di attivare un iter riabilitativo in arte teatrale. Non abbiamo fatto o tentato di fare psicodramma, neanche animazione teatrale, ma solo creato con il nostro laboratorio, uno spazio comune, in cui ad ogni partecipante, è stato reso possibile guardarsi allo specchio per osservare le proprie capacità.

Il teatro ha fornito i suoi strumenti e le sue tecniche.

Per noi operatori si è subito posto il problema di individuare una rosa di candidati tra i quali, successivamente, il regista ha compiuto la sua selezione. Non abbiamo utilizzato rigidi parametri clinici (le diagnosi) di inclusione o esclusione. La nostra attenzione è stata focalizzata sui livelli motivazionali ed attitudinali delle persone segnalate.

Il gruppo è stato strutturato con cadenza periodica. Forse inizialmente è risultato persino difficile, per ciascuno, capire che cosa si dovesse fare, tutti seduti in cerchio. Ben presto questo spazio è stato trasformato in luogo di conoscenza, in possibilità di espressione e di comunicazione. Un posto dove ci si è ritrovati per fare tante prove, ma anche un'occasione per analizzare ed affrontare tutte le problematiche derivanti dalla costruzione di uno spettacolo. È stato presentato il progetto, a tutti è parso ambizioso. È risultato infatti evidente che sono state gettate le basi per creare opportunità di crescita e stimoli nuovi, uscendo dai binari del teatro fatto finora.

Si è cominciato con un lavoro che ha implicato l'educazione alla

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sensorialità e alla percezione del movimento corporeo e vocale. Le prove sono state semplici ed elementari, con esercitazioni per rendere armonico il rapporto tra corpo e voce, nella relazione con se stessi, gli altri e lo spazio a disposizione. Non è stato indispensabile pensare ed arrivare alla elaborazione dello spettacolo finale, però non abbiamo voluto escluderlo. Il fattore specifico di questa esperienza è stato dato dall'interventocreativo durante tutto il percorso.

Questo lavoro di improvvisazione è stato verbalizzato con cura, poi reso disponibile ed usato come punto di riferimento e/o spunto per il lavoro successivo sul testo da rappresentare. A differenza delle esperienze precedenti, questa volta non è stato necessario il lavoro di mediazione tra il testo e l'attore. L'obiettivo non è stato quello di riportare sulla scena un copione imparato a memoria, ma quello di pensare, sperimentare e creare qualcosa.

E' stato creato uno spettacolo la cui storia, forma e contenuti sono nati, volta per volta, da ciò che i partecipanti hanno fatto emergere da sé e dal gruppo. Hanno seguito costantemente e con attenzione tutto il percorso, scandito da orari prestabiliti e prove ripetute. Sono stati capaci di creare qualcosa, che ha consentito al pubblico di identificarsi con ciò che l'attore ha rappresentato. Il pubblico, ha visto il protagonista in una veste creativa e ha potuto, attraverso l'applauso, riconoscere nel protagonista nuove capacità e ne ha rinforzato l'autostima ed il senso di identità.

Gli allievi raccontano

Da poche settimane abbiamo ripreso le attività che riguardano il laboratorio teatrale. Adesso riuniti intorno al tavolo, con la guida degli operatori, stiamo tentando di fare un resoconto di questo percorso che ha avuto inizio lo scorso anno.

Un'attività come quella del teatro non è certamente facile da raccontare, ma possiamo affermare che è stata senza dubbio positiva, anche se per tutti ci sono stati momenti davvero difficili. Non aver ricevuto il copione da memorizzare e di conseguenza con la preoccupazione di dover fare una cosa nuova ci ha tolto ogni certezza. Poi noi abbiamo sempre difficoltà di concentrazione: inizialmente riusciamo a seguire tutto, ma dopo un po' la testa si perde e la

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concentrazione si dissolve sempre più. Siamo stati però confortati dal fatto che ci è stata messa a disposizione un'organizzazione perfetta e poi siamo stati seguiti bene, sia dal punto di vista delle persone che dal punto di vista teatrale, tutto questo ci ha permesso di fare lo spettacolo. L'inizio non è stato per nulla difficoltoso, in quanto si è trattato solamente di rispondere a delle domande molto semplici: «cosa sono per te gli angeli, che regali hai ricevuto da piccolo, cosa ricordi della tua infanzia e così via». Il tutto è durato poco tempo, ma i giorni successivi, in attesa del secondo incontro, sono passati tra la voglia di provare questa nuova esperienza e la preoccupazione forte di non farcela. E arrivato il giorno del secondo incontro ed abbiamo iniziato a lavorare. Pian piano, provando e riprovando, abbiamo potuto constatare di riuscire sempre più a migliorare. La regista ci ha insegnato ad impostare la voce in maniera tale da ascoltarci con chiarezza. In seguito abbiamo continuato con i gesti ed i movimenti. Lo scopo di queste esercitazioni è stato quello di imparare a muoverci sullo spazio scenico usando il corpo in maniera più fluida e sciolta.

Per ottenere questo risultato ci ha fatto eseguire un'infinità di esercizi a corpo libero che poi sono sfociati in una sorta di balletto, su una base musicale. Gli operatori ci hanno poi spiegato che l'obiettivo era quello di riuscire ad armonizzare il rapporto tra il corpo, la voce e la mente nella relazione con se stessi, gli altri e lo spazio. La sera del debutto, l'emozione provata è stata molto forte, ma siamo riusciti a superare la paura che c'era prima di andare in scena; siamo stati così capaci di recitare di fronte ad una sala piena di persone.

Angelo, Anna, Marzia, Nicoletta

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Il teatro

Mario Gabriele Educatore professionale

I gruppi che si sono avvicendati nel Laboratorio teatrale dal 1998 ad oggi non hanno mai utilizzato testo o copioni altrui. L’elaborazione delle trame, due per ogni anno, è sempre avvenuta in apposite riunioni di gruppo. Quindi sono da intendersi collettive e di autore collettivo. Nell’incontro d’avvio ogni partecipante era invitato a scrivere in forma anonima su un piccolo foglio una parola che richiamasse e racchiudesse una variante significativa del proprio vissuto, ripiegarlo e deporlo in un contenitore. Si procedeva a sceglierne uno e la parola sorteggiata costituiva una sorta di “incipit” alla narrazione, le altre, nessuna esclusa, erano di volta in volta richiamate e utilizzate nello sviluppo e nel completamento della trama medesima.

Si provvedeva in tal modo a riconoscere, accettare e comprendere il vissuto di ciascuno per poi valorizzarlo, sdrammatizzarlo e trasfigurarlo in commedia, laddove la percezione del sé e dell’altro fondavano:

una comunità una appartenenza un tragitto un obiettivo una relazione un aiuto una stima un’autostima un controllo un’integrazione una ricomposizione un’autonomia un’accettazione una valorizzazione una logica un ordine un impegno una sfida un autocontrollo

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una puntualità una coralità un’emozione una commozione una conquista un cammino una nascita una rinascita un riconoscimento una catarsi. Così poetava Graziella, in origine ragazza con la pistola:

“No ji non voghe jesse n’attrice non m’indèrésse a tenè no véste cu striscione le vuande rètinade nu cappidde che la Mine nand’a l’ecchje.

Non m’indèréssene u lusse le battemane le lusce appecciade attuarne attuarne.

M’ indèréssene invèce la vida de le chembagne mi e la vida mèje de marideme e de le figghje mi p’amaje e pe jesse amade.

Prime de salì sob’a cusse benedette palche ji penzève ché tutte me velèvene male ché non jére bbuè a nunde e che jére fèmene scadénde.

E allore m’appecciave totte m’arrajave gredave malèdescèva e tenéve tutte in catture.

Cusse palche quande cose m’è fatte capì m’è fatte assì fore le cose chjù bélle ché tenève annaschennude jind’a mè la forze la feducje u coragge Seminario • GIORNATA DELLA COMUNICAZIONE 35

e pure la paziènze.

Me so ‘mbarade a sendì l’alde e a jésse sendude a ajiudè l’alde e a jésse ajiutade.

Mo sacceche fa la mamme e la megghiere e pure la figghje.

Ma la cose chjù importande jé che me so’ mbarade a velè bbéne a tutte probrje a tutte.” Credo che in questi scarni versi siano contenuti verità e valori di una esperienza e di un agire centrati sulla persona e per la persona. D’altra parte Graziella , dopo essersi liberata dalla pistola, da cinque anni, con grazie e letizia, lavora curando basilico, maggiorana, menta, timo e peperoncino. E con lei altri tre “teatranti” sono nel mondo, guadagnando salario e dignità.

36 Bari • 1 dicembre 2010 • Salone “Arena Giardino”