QL numero 3

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La Fondazione liberal è nata a Roma nel 1995 intorno al mensile liberal per iniziativa di Ferdinando Adornato che propose ad alcuni protagonisti del mondo culturale, economico ed istituzionale, di fondare un think-thank, un laboratorio culturale, con il proposito di favorire lo sviluppo dei valori etici e politici del pensiero liberale laico e cattolico e di far sì che essi, dall’uomo e dalla società, si trasmettano nella famiglia, nelle comunità locali, nel sistema produttivo, nelle istituzioni pubbliche e nelle organizzazioni internazionali.

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L’ITALIA OLTRE LA SECONDA REPUBBLICAL’ITALIA OLTRE LA SECONDA REPUBBLICA

FARE CENTROFARE CENTRO

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Z Il richiamo di Sturzo Rocco Buttiglione • 6

Z Parola chiavepartecipazione Savino Pezzotta • 12

Z Alla ricerca dinuove convergenzeArnaldo Forlani • 17

Z Modello tedescoBruno Tabacci • 20

Z Perché partito, perché nazioneFrancesco D’Onofrio • 22

Z Finché reggeBerlusconicolloquio con SergioRomano di RiccardoParadisi • 28

Z Nostalgia della politica Gennaro Malgieri • 34

Z Il coraggio di uscire dal Palazzo Stefano Folli • 40

Z Ricordiamoci di BluntschliPaolo Pombeni • 46

Z Il rischio è il bloccodell’alternanazaGiovanni Sabbatucci • 56

Z Un nuovo partito holding Enrico Cisnetto • 60

Z MemorieIl blocco e il boomMauro Canali • 68

Versoil partito

della nazione

IL DOCUMENTO/IL MANIFESTO DI TODI

pagina • 76

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4-5 liberal 3•2009

TRE DOMANDESUL FUTURO

BIPARTITISMO, RIFORMA ELETTORALE, PARTITO DELLA NAZIONE:DODICI INTERVENTI SUI NODI PRINCIPALI DELLA COSTRUZIONE DEL CENTRO

11)) PUÒ SOPRAVVIVERE IL SISTEMA TENDENZIALMENTE bipartitico attualmente incorso o gli acuti ed evidenti problemi di identità irrisolta imporranno nel prossimofuturo novità rilevanti sia nell’area del Pd (come è già chiaro) che in quella del Pdl?

22)) È CORRETTO SOSTENERE CHE LE PIÙ RILEVANTI aree culturali presenti nelPaese siano cinque-sei: la lega, la destra post-missina, l’area di centro popolare eliberale, quella riformista post-comunista e, infine, quella giustizialista e antagoni-sta? Se così è, conviene tenersi un sistema elettorale che obbliga culture anchemolto distanti a stare insieme (per ottenere il premio di maggioranza) oppure èmeglio andare verso un sistema che permetta una libera alleanza programmatica(precedente al voto) tra queste aree, rendendo flessibile, e non rigido come è oggi, ilsistema delle coalizioni?

33)) È CONVINCENTE IL PROGETTO DI UN PARTITO che punti tendenzialmente a uni-ficare le diverse componenti di centro oggi presenti, oltre che nell’Udc, anche nelPdl e nel Pd. Non un Terzo polo ma un partito di programma, un Partito dellanazione come l’ha chiamato Pier Ferdinando Casini?

Per esaltare e rendere al meglio l’essenza

di Centro abbiamo scelto

di illustrare questo numerodei “Quaderni

di liberal” con riproduzioni

fotografiche e pittoriche

delle più importanti

piazze d’Italia.Nella pagina

a fianco: piazzaSan Marco

a Venezia

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IL RICHIAMO DI STURZO

6-7 liberal 3•2009

SIAMOIN UNA

SITUAZIONESIMILE

A QUELLADEL ‘19

U Rocco Buttiglione U

I

Nella pagina a fianco: uno scorciodi piazza del Plebiscito a Napoli

N UN PAESE LIQUIDO, DOVE NON VALGONO PIÙ le regole della moralità e si disfa ognisentimento di appartenenza a una comunità e con esso ogni sentimento di responsa-bilità e di dovere, il riferimento più autorevole che rimane è quello all’identità cri-stiana della nazione e al magistero del Papa. Non si tratta di una posizione confessio-nale. Molti si riservano piena libertà di dissentire su questo o quell’aspetto dell’inse-gnamento della Chiesa, secondo la convinzione e (qualche volta ) anche il comodopersonale. Quando, tuttavia, dobbiamo identificare un nocciolo di valori che sentia-mo come nostro, quando le vicende dell’esistenza ci costringono a domandarci conserietà chi siamo e cosa vogliamo, la tradizione cristiana riemerge come inevitabilefattore identitario. Altri tentativi di unificare il popolo o di creare un popolo nuovosono falliti. Quello comunista di imporre una nuova integrale concezione del mondoè stato l’ultimo tentativo delle ideologie dell’Ottocento di creare un nuovo caratterenazionale italiano. I suoi resti permangono nella pretesa della sinistra di rappresenta-re una sempre più dubbia superiorità morale che le attribuirebbe il ruolo di coscien-za morale della nazione. Dall’altro lato la società liquida, di cui il berlusconismo è l’e-spressione più evidente, non crede di avere bisogno di un punto di identificazionemorale. Ognuno è fondamentalmente un consumatore e un utente di programmitelevisivi e di altro, in realtà, non vi è bisogno. Il mercato e l’immagine sono tutto ilcollante di cui la società liquida crede di avere necessità. Ciò non vuol dire che ildiscorso sui valori si arresti. Come ogni altro discorso può essere esercitato e perfinotornare utile, purché non si prenda troppo sul serio e non cerchi di uscire dagli spazi(modesti) che nel palinsesto generale gli vengono assegnati.

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Il partito nuovo che nasce, l’Unione di Centro, deve essere un partito nazionale epopolare, cioè un partito che chiama a raccolta un popolo che oggi appare in via didissoluzione, a partire da valori presi sul serio: la vita, la libertà nella verità, il lavo-ro, il risparmio, la legalità. Dobbiamo rivolgerci a chi a questi valori si sente legato.Mentre una forma della cristianità e della nazione si venivano dissolvendo, all’in-terno della società liquida nascevano forme nuove di solidarietà, di comunità, diappartenenza reciproca di valori concreti ricreati da una fede viva. L’Italia è unpaese in via di rievangelizzazione e i primi frutti di questa rievangelizzazione sivedono. C’è un popolo cristiano sempre più presente nei luoghi della sofferenzaumana, nel volontariato e nella assistenza ai poveri ma anche nelle fabbriche, nelleuniversità, negli uffici, in tutti i luoghi della vita sociale. È grazie a questo popoloche è stato possibile vincere il referendum sulla bioetica ed è questo popolo che èentrato di forza nella sfera dell’attenzione pubblica con la grande manifestazionedelle famiglie a San Giovanni. Questo popolo è il nostro popolo, non nel senso che ci appartenga, ma nel sensoche noi apparteniamo a lui, parliamo lo stesso linguaggio e coltiviamo la stessasperanza e lo stesso desiderio. Quel popolo è arrivato al confine della politica e

La società liquida di cui il berlusconismo è l’espressione più evidente, non crede di aver bisogno di un punto di identificazione morale.

Il mercato e l’immagine sono gli unici collanti considerati necessari

L’Italia è un paese in via di rievangelizzazione. Mentre l’idea di cristianità e di nazione si stavano dissolvendo sono nate nuove forme di solidarietà.

Ora sulla soglia della politica c’è un popolo ansioso di affermare i propri valori

[Il richiamodi Sturzo]

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[RoccoButtiglione]sosta sulla soglia della politica. Ne ha paura, ne sente il potenzia-le di divisione e di corruzione, ma sente anche di non poteresvolgere compiutamente la propria missione se non investeanche la politica, laicamente e senza integralismi. Noi quel popo-lo vogliamo rappresentare e vogliamo aiutarlo e da lui farci aiuta-re per rinnovare la politica in Italia. Siamo in una situazione simile a quella in cui si trovava donLuigi Sturzo quando decise di fondare il Partito popolare.L’Opera dei Congressi aveva vivificato la presenza dei cristianinella società, di modo tale che diventava inevitabile l’incontrocon la politica. Questo incontro, però, non poteva avvenire nelleforme di attività perseguite fino ad allora. Si poteva rifluire e tor-nare indietro in un cattolicesimo individualista e devozionale,

senza pretesa di incidere nella società. Si poteva stringere un accordo con il pote-re, vendergli i propri voti in cambio della promessa di non attentare ad alcunivalori (era la via del Patto Gentiloni). Oppure si poteva formulare un proprio pro-gramma e fondare un partito. Questa ultima fu la scelta di Sturzo. Ovviamente ilpartito non pretende di rappresentare tutti i cattolici e altri, in modo del tutto leci-to, potranno perseguire altri cammini. Esso però crede di trovare nella esperienzadel popolo elementi sufficienti a formulare un programma e da quel popolo vuoleselezionare una classe dirigente. Oggi siamo di nuovo di fronte alla medesimascelta. Se vogliamo salvare l’Italia, che chiaramente minaccia di affondare, dobbia-mo selezionare una nuova classe dirigente. E l’unico luogo in cui possiamo sele-zionare una classe dirigente onesta, competente, appassionata al bene comune èproprio quel popolo cristiano. C’è un qualche significato simbolico nel fatto chequesto tentativo nasca proprio nel novantesimo anniversario della fondazione delPartito popolare. Un’intuizione non molto differente ha espresso Benedetto XVIquando, a Cagliari, ha invitato i giovani cattolici a una nuova stagione di impegnopolitico. L’avventura che inizia il 3 aprile a Roma è anche la nostra risposta al Suoappello.

L’Italia è un paese in via di rievangelizzazione. Mentre l’idea di cristianità e di nazione si stavano dissolvendo sono nate nuove forme di solidarietà.

Ora sulla soglia della politica c’è un popolo ansioso di affermare i propri valori

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All’inizio del Novecento l’Europa, illuminata dalla Belle époque, era divisa fratanti Stati separati da confini e barriere, ma era nel suo complesso la capitale dello

sviluppo industriale, della cultura e dei grandi imperi coloniali.All’inizio del XXI secolo, cento anni dopo, passati attraverso lacatastrofe di due guerre mondiali, artefici e vittime dei granditotalitarismi, perse le colonie, a lungo tenuti distanti dalla«cortina di ferro», gli europei scoprono di essere uniti e integrati come non lo sono mai stati in passato. E nonostante la profondità delle crisi economichee finanziarie che si sono susseguite, sanno anche di viverein una condizione di benessere, di protezioni sociali e ditutela dei diritti individuali come non succede in nessun’altra parte del pianeta. Però vedono anchequanto sia difficile capire dove passano le frontiere cheessi stessi hanno via via allargato, quanto coraggio civoglia per trovare la forza di affrontare i drammaticiproblemi esplosi sulla soglia di casa (come quelli dellaex Jugoslavia nello scorso decennio e del terrorismofondamentalista ora) o direttamente in casa (comel’incontro-scontro con l’immigrazione), quanto siaarduo tradurre princìpi e valori in azione politica enon avere paura del futuro. E, pur avendo assorbito

nel profondo i modelli americani (nella vita, nei consumi e così via), siaccorgono di voler segnare le distanze dagli Stati Uniti. Come è successo? In questo dialogo che ripubblichiamo – fra un padre e un figlio che hanno visto,con occhi e attenzioni diverse, l’uno tutto il Novecento e l’altro la sua secondametà e che hanno avuto fra di loro un particolare scambio intellettuale – c’è il racconto di come sono diventati gli europei lungo un secolo di grandi cambiamenti.

RENZO E VITTORIO FOA RENZO E VITTORIO FOA NOI EUROPEI

edizioni

104 pagine l euro 12,00104 pagine l euro 12,00

IN LIBRERIA

Un dialogo tra padre e figlio

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12-13 liberal 3•2009

LE FORZE E LE IDEE IN CAMPOIN GRADO DI RICOSTRUIRE

UN POPOLO E DI RIDARE VITALITÀALLA DEMOCRAZIA

U Savino Pezzotta U

P

La copia della statua di Marco Aurelio nella piazza del Campidoglio a Roma

ER SEMPLIFICARE IL SISTEMA POLITICO ITALIANO da tempo si è scelta la strada del mag-gioritario e del bipolarismo, certi che avrebbero favorito la governabilità. In questa pro-spettiva sono nate coalizioni eterogenee e composite, il cui principale obiettivo era quellodi vincere le elezioni. Siamo così precipitati in quindici anni di campagna elettorale per-manente. Nelle elezioni politiche dell’anno scorso, preso atto che il modello della cosid-detta Seconda Repubblica non aveva generato maggior governabilità, per semplificareulteriormente ci si è spinti verso il bipartitismo. Così al Lingotto e alla proposta del partitoa vocazione maggioritaria ha fatto seguito quella del «predellino» del Partito delle libertà.Per fortuna non tutti gli elettori sono caduti nel tranello e con le loro scelte hanno sempli-ficato il quadro politico ma non abolito il pluralismo. La crisi che ha attraversato il Pd, ilconsolidamento dell’Unione di Centro, la crescita dell’Italia dei Valori, i movimenti dellaLega che condizionano la maggioranza e le tensioni nel Pdl, dimostrano che il bipartiti-smo è fallito. La forzatura in direzione binaria ha finito per consolidare l’area di destra e ilsuo leader. Siamo nuovamente a una svolta ma senza chiarezza sui progetti alternativi. Omeglio, c’è il desiderio del presidente del Consiglio di ulteriori semplificazioni e di unamodifica sostanziale del sistema parlamentare. In tutto questo c’è una tensione neo-auto-ritaria. Non mi associo certo a coloro che parlano di regime, ma non posso non vederecome si agisce e come lentamente - a partire dal caso Alitalia/Cai - avanzino nuove rela-zioni di potere nell’economia e nell’informazione. Ci si deve allora chiedere come tutto

PAROLA CHIAVEPARTECIPAZIONE

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[Parola chiavepartecipazione]

questo sia stato possibile. Una delle motivazioni è stata proprio l’idea che i partiti e lecoalizioni servissero solo per catturare il consenso. C’è stata negli ultimi anni una lungamarcia dei partiti verso una sorta di «nichilismo morbido», fatto di affermazioni pro-grammatiche e ideali alquanto generiche e concentrato soprattutto sulla figura media-tica del leader. Si è preteso di essere nuovi senza una verifica approfondita e concet-tuale della storia da cui si proveniva. In pratica si è pensato che i nuovi contenitoripotessero servire da lavacro e da dimenticatoio. Nei nuovi Pantheon si è mescolato ildiavolo con l’acqua santa, creando una sorta di sincretismo ideologico che sicuramentepremia chi crede si possa fare a meno di pensare politicamente la realtà e crede checonti solo la pura e semplice gestione del potere. In una situazione di questo genereciò che conta è l’annuncio, è la dimensione mediatica, è la virtualizzazione della politi-ca. Così manca chiarezza sul terreno dalla rappresentatività del sistema elettorale e sulpotere di scelta e di sanzione dei cittadini, sul rapporto tra scuola pubblica e privata,sulla giustizia sociale, sul conflitto di interesse, sulle politiche di reindustrializzazione esulle risposte da dare alla crisi, sui diritti civili e sulle questioni biopolitiche. Non si è ingrado di fare scelte profonde e programmatiche perché le differenze culturali nei duepartiti maggiori sono così profonde da inibire ogni progettualità a lungo termine. Si

Il problema non è oggi con chi ci si allea per ottenere un posto di governo a livello comunale, regionale o nazionale,

ma se si ha un progetto credibile di rinnovamento della politica

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[SavinoPezzotta]agisce solo in funzione della prossima campagna elettorale. Così a pagare è il paese e ilsuo futuro. La dialettica tra opposizione e maggioranza si è ridotta a schermaglie dicorto respiro.C’è il rischio che, mantenendo la politica entro questi schemi, ci si consegni a un pote-re che a volte sembra essere ai limiti della costituzionalità. C’è il pericolo della logicadegli interessi più forti e convenienti, in cui una maggioranza, nel rispetto formaledelle regole, terrà in una situazione di marginalità la minoranza e in via surrettiziamodificherà l’assetto istituzionale e di gestione del potere. Dobbiamo renderci contoche una prassi politica agitata dal modernismo e da un novismo senza profonde basiculturali, dimentico o imbarazzato delle culture politiche che hanno segnato la storiadel nostro paese e le sue istituzioni, ha già prodotto una modificazione in senso mate-riale della Costituzione. Occorre essere attenti al formarsi, oltre a quella formale, diuna Costituzione materiale, intesa come istituzione posta e imposta non da tutti gli

interessi organizzati politicamente, ma soltanto dagli interessi vincenti; non da tutte leforze politiche, ma soltanto dalla forza politica che riesce a imporre alle altre, e quindiall’intera società, la sua idea di politica. È l’unità raggiunta attraverso la vittoria di unaparte degli interessi economici e sociali e la sconfitta degli altri. In definitiva, è la costi-tuzione della forza politica della maggioranza dominante e pertanto e di un progetto disocietà sugli altri. La stessa strategia del federalismo fiscale esplicita un modo di pensa-re la politica che non convince. Non si parte - come sarebbe corretto - dalla modificadella Costituzione in senso federale, ma dalla dimensione fiscale e pertanto da quelladegli interessi. Con questa azione si perverrà, lo si voglia o meno, alla modificazioneprofonda della Costituzione materiale e, tramite essa, a una rimodulazione dell’idea diunità nazionale. Utilizzando lo stesso sguardo per valutare come è gestito il tema della sicurezza e del-l’immigrazione, si comprendono molto bene le idee che si fanno prevalere. Non sitratta di contrapporre «buonismo» a «cattivismo» - due concetti che non possonoappartenere al lessico politico - perché entrambi tendono a sollecitare i timori, lepaure, le separazioni anziché produrre azione politica tesa al rispetto delle persone, alrigoroso rispetto delle leggi e a una corretta attenzione ai più deboli. Sono tutti segni

Una prassi politica agitata dal modernismo, da un novismo senza basi culturali e dimentica delle culture che hanno fatto la nostra storia,

ha già di fatto prodotto una modificazione materiale della Costituzione

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Di fronte alla pervasività della tecnica è necessario ricercare regole che provenganodall’idea di persona. È questo oggi il confinein cui la questione sociale s’intreccia con la questione antropologica

dello smarrimento e della debo-lezza della politica intesa comecura delle persone e del benecomune. A tutto ha contribuitola dispersione delle culture poli-tiche e la riduzione della politi-ca a stretti gruppi di comando oleadership piglia tutto. L’attualecrisi economica sicuramenteaccentuerà i problemi sociali, laperdità dei posti di lavoro, l’au-mento di nuove sacche dipovertà e di disuguaglianze nelmondo. I cambiamenti nellavita sociale, nelle forme dellaproduzione e distribuzionedelle merci e della ricchezza, lacrescita delle disuguaglianze, la

nuova divisione internazionale del lavoro, il rimescolamento degli equilibri geo-politici, sollecitano risposte e proposte inedite sia sul piano normativo che su quellodell’agire personale. Il Novecento si è caratterizzato nella dialettica tra totalitarismie democrazia con la vittoria di quest’ultima, ma è anche stato il tempo dell’afferma-zione dei diritti, della ricerca delle tutele sociali e della promozione dei lavoratori.Ora stiamo entrando sempre più in un rapporto ravvicinato con le questioni pecu-liari di etica della vita umana, di bioetica. Sfere di azione come quella della bioeticaesigono una dialettica nuova fra princìpi e problemi concreti, una declinazionedinamica dei princìpi, anzitutto di quelli maturati in una cultura individualistica checontinua a mettere l’individuo al centro dell’universo di valori. Mi domando se difronte alla pervasività delle tecniche non sia necessario ricercare regole che salgano

e scaturiscano dall’idea di persona.È questo oggi il confine in cui laquestione sociale s’intreccia con laquestione antropologica e con l’esi-genza di salvaguardare in ogniaspetto la dimensione dell’umano.

16-17 liberal 3•2009

[Parola chiavepartecipazione]

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Diventa sempre più cogente lanecessità di una vigilanza criti-ca, senza cedere alle visionicatastrofiste che guardano conpaura ai progressi della tecnicae della scienza. L’obiettivo,quindi, è quello di manteneresaldamente sotto la direzionedell’uomo i fini dell’umano. Lapolitica dovrà sempre fare iconti con la biopolitica, ovverocon i problemi del governodella vita, dell’ambiente e per-tanto di una vivibilità semprepiù compromessa. Da qui l’esi-genza di una nuova articolazio-ne del sistema politico che siain grado di ricomporre e faragire le culture politiche, cherestituisca il senso comune allaparola partecipazione. Servonoforze e idee in grado di rico-struire - dentro e dopo la «rivo-luzione individualista» che haattraversato il mondo sotto laspinta del liberismo economico- un popolo. È un lavoro lentoe faticoso ma necessario. Perfare questo servono strumentinuovi che sappiano innovare einverare storie, tradizioni edare corpo alle aspettative chematurano nella società. Èimportante quindi ripartire dalcentro e ricostruire una forza

11)) Adesso che l’opposizione forte non è più comunista e lamaggioranza di governo, anche nella sua parte già legata al passa-to, si propone liberaldemocratica, non capisco perché non siapossibile il confronto più ravvicinato e costruttivo sui temi istitu-zionali e soprattutto sui problemi gravi che rendono ormai dram-matica la situazione economica e sociale. Qui è l’anomalia: lapolitica vuol farsi più pragmatica ma le contrapposizioni diventa-no intanto sempre più intransigenti e settarie. È rispetto a questacontraddizione che prende rilievo, credo, la ragione della posi-zione autonoma assunta da Casini e dagli amici dell’Udc. E solocosì si può capire: come ricerca di un denominatore fra gruppiche da campi diversi perseguano obiettivi convergenti di interes-se generale e avendo comuni ispirazioni ideali. Che l’attuale«sistema tendenzialmente bipartitico» sopravviva è però possibilee non credo che le sue ragioni siano solo motivate e collegate alfenomeno Berlusconi e alla capacità di iniziativa del personalepolitico che non intende rinunciarvi. Penso che si dovrebbe sem-pre guardare in modo realistico allo scenario europeo doveindubbiamente due sono le tendenze decisive a confronto, quel-le più largamente rappresentative sul piano politico.

22)) Per il sistema elettorale ritengo sempre che il proporziona-le sia da preferire, con i correttivi ragionevoli e necessari già pro-posti a suo tempo dall’Udc e da altri.

33)) La linea proposta merita di essere considerata con attenzio-ne, e penso che si definirà ancora meglio sul campo e in confron-ti concreti. Gli obiettivi che comporta sono infatti propri di unadialettica anche interna alle due coalizioni maggiori e verificaresui due lati riscontri o avversità per decidere in concreto come econ chi andare avanti non sarà compito facile. Non lo era d’al-tronde in altri tempi e in scenari diversi nemmeno per la Dc.

[SavinoPezzotta]

U Arnaldo Forlani U

ALLA RICERCADI NUOVE CONVERGENZE

LE RISPOSTE ALLE NOSTRE DOMANDE DELL’EX SEGRETARIO DELLA DC

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[SavinoPezzotta]

che si ponga sul terreno programmatico, in grado di contribuire e determinare unsistema politico in cui l’alternaza si coniughi con il pluralismo e con la capacità dioffrire una chiara idea di paese. La sfida è di fronte a noi e non possiamo esseretimidi o temere di perdere qualche posizione. L’ambizione è di conquistare il cen-tro della politica italiana, chiamando a raccolta tutti i democratici cattolici e laiciche credono in una visione mite del fare politica e che vogliono costruire una casanuova, nel programma, nelle prospettive e nel modo di essere, con una stretta cor-relazione tra ciò che si dichiara e come si agisce concretamente. E si deve creareun luogo di dialogo in cui incontrarsi per pensare e agire, in grado di risponderealle inquietudini di coloro che si sentono a disagio in un sistema di partiti fusionisti.Il problema non è oggi con chi ci si allea, se riusciamo ad avere un posto di governoa livello comunale, regionale o nazionale, ma se si ha un progetto credibile di rin-novamento della politica. Non lavoriamo per la politica delle convenienze o dei due forni, ma per renderepraticabile un’idea diversa di alternanza, non più basata sullo schieramento ma sulprogramma. Per questi motivi la Costituente del nuovo soggetto politico deve esse-re un processo aperto e puntare alla costruzione di un nuovo partito che si regga suregole di democrazia interna condivise e praticate. Non vogliamo costruire un par-tito cattolico, ma un partito popolare, attento e sensibile all’ispirazione cristiana epertanto fortemente laico, in cui i cattolici possano esprimere le loro idee con chia-rezza e in un rapporto fecondo con chi proviene da altre esperienze, senza maiessere piegati a posizioni prevalenti se non per libera scelta. È la pratica, l’esercizio e il dovere di una spiritualità laica che depura la politica daogni incomprensibile radicalismo e pragmatismo e che fa sorgere l’esigenza di unavisione della politica come servizio e cura. La politica assunta come permanenteinappagamento, che si sintetizza nell’esigenza di una presa di coscienza civile che -come ci ha insegnato don Primo Mazzolari - chiede alla politica null’altro che«piano di eguaglianza nel dovere, nella libertà, nel diritto comune; che non sia peròl’arbitrio né di uno, né di pochi, né di molti, ma il riconoscimento preciso e reale diquelle fondamentali libertà umane, civili e religiose che [...] formano per virtù pre-cipua dello spirito cristiano il patrimonio inalienabile dell’uomo». Si deve costruireun soggetto, un partito in grado di ridare spazio alla partecipazione delle persone,di rivalutare il ruolo delle assemblee elettive, in primo luogo del Parlamento, capa-ce di mantenere una visione nazionale entro cui si esercitano le autonomie orizzon-tali e verticali. Lo scopo principale è contribuire a ridare vitalità alla democrazia,intesa come regime della libertà e della «cura» della cosa pubblica.

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20-21 liberal 1•2006

IN DAI PRIMI ANNI DELLA LEGISLATURA iniziata nel 2001 sostengo che il tentativo di ridurre ilsistema politico italiano prima a un bipolarismo muscolare e coatto e poi a un bipartitismo all’a-mericana non può riuscire perché il nostro è il Paese del Guicciardini, delle 100 città, che hasaputo fare nel corso della sua storia virtù delle sue differenze. Accanto alle ragioni storiche esi-stono poi ragioni istituzionali concrete, legate al fatto che in Italia non esistono i contrappesinecessari all’inevitabile accentramento di potere che una brutale semplificazione del quadropolitico a due soli partiti comporterebbe. Negli Stati Uniti sia Bush che Obama sono costretti amediare con il Congresso, mentre da noi si è giunti a considerare il Parlamento un impiccio.Senza dimenticare poi che il vero obiettivo di Berlusconi, più ancora che il bipartitismo è il pre-sidenzialismo, il passaggio da una Repubblica parlamentare a una presidenziale: il bipartitismoinsomma potrebbe essere al massimo un mezzo per lui per giungere più agevolmente al presi-denzialismo. Quindi il problema non riguarda solo la possibilità per le diverse componenti di Pdle Pd di rimanere insieme, con il Pd che già mostra tutte le sue crepe e il Pdl che non potrà chefarlo mano a mano che al suo interno ci si renderà conto che oltre Berlusconi non c’è altro. Mariguarda ancor più il futuro assetto politico e istituzionale del paese intero.

*****

IL PREMIO DI MAGGIORANZA COSTITUISCE un autentico invito alla corruzione politica e primaverrà eliminato meno danni farà. Ci si mette insieme per spartirsi il premio in vista delle elezionie dal giorno successivo ci si divide come se nulla fosse accaduto. Sarebbe bene, come sostengoda tempo, che le cinque o sei aree politiche in cui tradizionalmente si ritrovano gli italiani sipotessero esprimere liberamente anziché essere costrette ad alleanze innaturali. Per ottenerequesto obiettivo occorre intervenire sulla legge elettorale introducendo il modello tedesco. E

U Bruno Tabacci U

FMODELLO TEDESCO

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non è vero come alcuni dicono che un sistema proporzionale senza premio di maggioranzacome quello tedesco impedirebbe il formarsi di governi stabili: al contrario in Germania in oltresessant’anni con quel sistema si sono succeduti appena otto Cancellieri. Così come è falso soste-nere che con quel sistema i cittadini diano una delega in bianco ai partiti per formare il governo.Basti ricordare quel che è accaduto proprio alle ultime elezioni tedesche quando prima del votoSchroeder ha avuto il coraggio di chiudere la porta a un eventuale accordo con la sinistra radica-le di Lafontaine, finendo col pareggiare una partita che altrimenti avrebbe potuto vincere. Masarebbe stata una vera vittoria, con un Cancelliere costretto a pagare dazi sempre più elevati adun alleato tanto differente? Al contrario dal pareggio è nata una Grosse Koalition con AngelaMerkel a capo dell’esecutivo. Da noi si sarebbe gridato allo scandalo ma la verità è che non mipare che la Germania non abbia un governo autorevole e apprezzato.

*****

UNIRE LE VARIE ANIME CHE FANNO RIFERIMENTO ai valori del buonsenso e alla cultura di gover-no di uomini come De Gasperi, Fanfani e Moro è indispensabile se si vuole tentare di costruireun futuro diverso per il nostro paese. Non si tratta di rifare la Dc come afferma qualche criticopreconcetto ma semmai di andare oltre lo schema politico attuale, e quindi anche oltre l’Udc,per costruire un soggetto completamente nuovo che sappia cogliere le istanze provenienti dalpaese e fornire risposte di governo all’insegna della responsabilità. In questa SecondaRepubblica hanno prevalso la furbizia individualista e il populismo di chi fa politica pensando dinon poter mai andare controcorrente. Il risultato è che dal 1994 perdiamo regolarmente terrenorispetto agli altri paesi più industrializzati. Se vogliamo invertire la rotta dobbiamo farlo anche sulfronte della politica. Non ha senso, come ho ricordato molte volte, che io ed Enrico Letta, purpensandola allo stesso modo su quasi tutte le questioni più rilevanti, siamo costretti a rimaneredivisi da un taglio innaturale del sistema politico praticato giusto al centro. Né avrebbe avutosenso negli ultimi anni che io passassi con Enrico Letta nel centrosinistra o lui passasse con menel centrodestra. Sono proprio centrosinistra e centrodestra a essere inadeguate. Il centro hauna sua dignità, una sua autonomia e una sua cultura e deve poter esprimere le proprie politichesenza subalternità. Non tanto nell’interesse dello stesso centro, quanto nell’interesse del paese.

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22-23 liberal 3•2009

D

LE BASI PER IL NUOVO SOGGETTO POLITICO

SULLE TRACCE DI STURZO MA GUARDANDO AL FUTURO

OPO UN LUNGHISSIMO PERIODO DI TRANSIZIONE da quella che siamo stati solitidefinire Prima Repubblica a quella che numerosi anche se frettolosi commenta-tori hanno definito Seconda repubblica, sembra che la vita politica italiana stiafinalmente prendendo atto che occorre un nuovo equilibrio istituzionale, politi-co, economico, sociale e culturale se vogliamo che l’Italia in quanto tale riesca aguardare al proprio futuro senza alcun tradimento del proprio passato e soprat-tutto senza alcuna illusione di poter vivere di solo presente. Quasi che si trattassedi una deriva inarrestabile si è passati - a partire dal 1994 - dagli esiti partitocra-trici degli ultimi anni della Prima Repubblica all’illusione che si potesse imporrein Italia un sistema bipartitico nel quale non contasse più alcuna grande idea delpassato ma soltanto il fatto elettorale considerato come unico punto di apprododelle diverse ispirazioni culturali che avevano concorso in qualche modo allacosiddetta Prima Repubblica.Abbiamo pertanto assistito a una vera e propria esplosione di vocazioni maggio-ritarie sia che si trattasse di pretese maggioritarie autosufficienti di modello vel-troniano sia che si trattasse di dimostrazioni maggioritarie elettorali di modelloberlusconiano: tra l’una e l’altra «vocazione maggioritaria» si sta costruendo nonun inesistente Terzo Polo, sia perché Pd e Pdl sono stati due Poli soltanto insenso elettorale e non politico, sia perché l’Italia ha bisogno di un grande sogget-to di governo popolare e d’ispirazione cristiana e non certo di un esangue Terzo

Polo tutto ripiegato sullanostalgia perché il pas-sato non è costretto aessere vissuto soltantocome promotore di un’i-spirazione di pura testi-monianza. Una grandeidea politica-culturaleinnanzitutto - perchél’Italia tutta nel contestocontemporaneo euro-

PERCHÉ PARTITOPERCHÉ NAZIONE

U Francesco D’Onofrio U

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[Perché partitoperché nazione]

peo e globalizzatomanca proprio di que-sta grande idea nonpotendo trovare l’ali-mentazione di cui habisogno né nel passatocomunista né in quellostoricamente fascista.La costruzione di un sif-fatto nuovo soggettopolitico prende certa-mente le mosse dall’e-sperienza concretadell’Udc prima edell’Unione di Centrosuccessivamente pur

non fermandosi certamente ai soggetti individuali e collettivi che hanno dato vitaalla Costituente di Centro. Un’idea di Italia innanzitutto, rispetto alla sollecita-zione durissima che è posta da qualche decennio dalla Lega Nord proprio inriferimento all’idea di Italia. Non si tratta del solito discorso sulla secessione piùo meno morbida perseguita oggi dalla Lega Nord: chiedersi infatti quale sia l’i-dea d’Italia che si ha oggi significa proprio rispondere alla domanda di fondo chesi stanno ponendo in tante parti d’Europa i cittadini che dopo la fine della guer-ra fredda si chiedono cosa sia appunto l’Unione europea. Nessuna tentazionenazionalistica di tipo ottocentesco nel parlare dunque di partito della nazione daparte di molti di noi che sono tra i promotori della Costituente di Centro.Da quando l’Italia si è costituita a unità a metà dell’Ottocento vi sono stati varitentativi di dar vita a un comune sentire della nazione: dopo il tentativo delleclassi dirigenti liberali e risorgimentali della seconda metà dell’Ottocento; dopoil tentativo del fascismo mussoliniano di nazionalizzare il Mezzogiorno in nomedei presunti destini imperiali di Roma; dopo il tentativo gramsciano di naziona-lizzare le masse contadine in nome dell’egemonia operaia; dopo l’esperienzademocristiana di nazionalizzare le diverse tradizioni corporative in un’unicadimensione egualitaria e popolare, possiamo ora affermare che si può seriamen-

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Nella pagina a fianco, Giorgio De Chirico: “Piazza d’Italia con torre rosa”, 1943

te tentare di nazionalizzare l’Italia tutta secondo il coraggioso insegnamentosturziano: liberali perché non clericali, popolari perché non elitari, anche federa-listi purché municipali, nazionali purché sempre democratici. Occorre aver pre-sente l’insieme dei significati profondi che gli altri tentativi di nazionalizzazionehanno avuto per poter porre il nuovo ambizioso e strategico obiettivo di naziona-lizzazione dell’Italia di oggi, nel contesto europeo istituzionale e nell’avventodella globalizzazione economica e finanziaria. Saper dunque guardare al futurosenza dimenticare il passato nella certezza che occorre stabilire un nuovo equili-brio proprio fra passato, presente e futuro senza cedere alla tentazione del faredel solo presente l’obiettivo dell’impegno politico. Chi parla di democrazia deglielettori al posto della democrazia dei partiti lo fa non sempre consapevolmenteavvertito che i diversi passati dell’Italia non si possono tutti annegare in un indi-stinto presente qual è quello tipico degli elettori al momento del voto: il sapere eil lavoro da un lato; il risparmio e l’investimento dall’altro hanno bisogno certa-mente di presente ma non possono produrre risultati degni di essere vissutisenza passato e futuro.La prima fondamentale scelta che si pone dunque agli italiani è quella sul tempodell’azione politica: se intendiamo costruire il senso comune dell’appartenenza auna medesima nazione dobbiamo pazientemente ricercare le ragioni del passatodi ciascuna parte del territorio nazionale e di ciascun segmento della società ita-liana e allo stesso tempo guardare al futuro delle prime e dei secondi nel nuovocontesto unitario europeo. Centrale e non Terzo Polo, questo nuovo soggettopolitico, proprio perché la costruzione della nazionalizzazione dell’Italia di oggi èutile a ciascuna parte politica, al governo o all’opposizione che essa si collochi inriferimento a ciascuna elezione politica. Questo obiettivo di evidente interessegenerale, e non solo di parte, pone a noi il compito di definire ulteriormente ilsignificato del popolarismo oggi nella politica italiana. La grave crisi economica efinanziaria che anche l’Italia sta vivendo oggi trova le sue origini - a mio giudizio- non già nella fine dell’ipotesi capitalistica dello sviluppo quanto nei modi ancheradicalmente nuovi con i quali il capitalismo è stato vissuto in Europa e soprat-tutto in Italia dopo la fine dell’esperienza storica sovietica. Il nuovo equilibrioculturale non può trovare nel liberalismo e nel socialismo i suoi punti di riferi-

Liberali perché non clericali, popolari perché non elitari, federalisti purché municipali,nazionali purché sempre democratici. Ecco le linee guida per nazionalizzare l’Italia

[FrancescoD’Onofrio]

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mento ultimi: allorché parliamo di economia sociale di mercato siamo consape-voli di affermare un’ipotesi che vuol ricercare faticosamente un punto di incon-tro tra i due estremi. L’affermazione dell’economia sociale di mercato non può essere una sempli-ce ripetizione verbale di un assunto culturale che soprattutto in Germania èstato indicato nel corso della prima metà del XX secolo quale soluzione delloscontro tra liberalismo e socialismo, perché oggi questa affermazione devefare i conti proprio con le ragioni culturali della grave crisi economica che èin atto e dimostrare nei fatti che la soluzione della crisi non può essere ricer-cata né negli strumenti del solo Stato né negli strumenti del solo Mercato:l’uno e l’altro dovranno essere seriamente ripensati perché entrambi essen-ziali ma nessuno da solo sufficiente.

Il popolarismo pertanto costituisce una robusta affermazione di una lineaculturale di fondo che non si è esaurita con la nascita del Partito popolare ita-liano del 1919 perché si tratta di un’ispirazione di fondo capace proprio oggidi essere messa alla prova di questa grave crisi economica e finanziaria. Inquesto contesto il nuovo soggetto centrale è chiamato a dimostrare che lanazione italiana sa concorrere alla risoluzione europea della crisi in attosenza alcuna rivendicazione di antistorici rigurgiti coloniali europei né dialcuna pretesa di alternativa agli strumenti che gli Stati Uniti soprattutto conla presidenza Obama si stanno dando per affrontare i gravi rischi dell’oggisenza rinunciare agli ambiziosi progetti del domani. L’ispirazione popolaredel partito consiste pertanto in una radicale affermazione di cultura econo-mica e finanziaria per quel che concerne la proiezione europea e mondialedella nazione italiana e in una modalità di raccolta del consenso elettoraleche deve partire dal rapporto interpersonale e diretto tipico dei rapporti chehanno la persona umana al centro della propria riflessione. Una grande eambiziosa idea dell’Italia da un lato e una rigorosa proposta di economiasociale di mercato dall’altro costituiscono pertanto i primi due capisaldi di unnuovo soggetto politico, capace di andare ben oltre i tentativi in atto nei pre-sunti due Poli politici - Pd e Pdl - presenti alle ultime elezioni politiche quasi

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[Perché partitoperché nazione]

Chi parla di democrazia degli elettori al posto di democrazia dei partiti, lo fa spesso in modo non avvertito: non si possono annegare i diversi passati dell’Italia

in un indistinto presente. Occorre dare tempo all’azione politica

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a completamento di una stagione di straordinario abbandono di qualunqueidea del passato e di qualunque speranza di futuro. Ed è in questo contestoche assume significato strategicamente nuovo la stessa questione ambientalenon più vista in termini di antagonismo tra lavoro umano e ordine materialedella natura ma di integrazione tra quel che l’uomo sa fare senza danneggia-re e men che meno distruggere l’ordine materiale delle cose. Ancora una volta i tedeschi hanno proposto una rilevante iniziativa culturaleallorché hanno iniziato a ragionare di economia sociale di mercato ecologica-mente sostenibile: è questa la sfida di fronte alla quale oggi si trova anche l’Italiae non si tratta di una sfida soltanto economica o di risparmio energetico tradizio-nale ma di una cultura capace, anche se in tempi non brevissimi, di fare dellanazionalizzazione dell’Italia un obiettivo strategico anche in materia ambientale.

Se non intendiamo in alcun modo costruire un partito della nazione con tenta-zioni coloniali e nazionalistiche in genere, dobbiamo saper guardare con serietàe con forza alla questione di fondo dell’identità nazionale: certamente cristiana,non clericale, consapevole che con le molteplici sfide dell’immigrazione da paesidiversi dal nostro per lingua e per religioni, la nazionalizzazione dell’Italia nonpotrà ridursi alla semplice rivendicazione dell’identità cristiana del nostro popoloproprio perché in questi anni e per un lungo periodo davanti a noi l’identità cri-stiana originaria sarà giudicata - e non solo in Italia - proprio in riferimento allacapacità di convivenza con religioni diverse dalla nostra.Questa è la nuova frontiera dell’ispirazione cristiana oggi: non semplice rivendi-cazione di un passato assolutamente ovvio ma neanche riduzione dell’ispirazionecristiana a mera testimonianza artistica. Questa è una grande e coraggiosa aper-tura al futuro: nazionalizzazione italiana senza tentazioni coloniali; economiasociale di mercato ecologicamente compatibile anche per far fronte alla gravecrisi economica e finanziaria in atto; identità cristiana consapevole del passato econtestualmente aperta coraggiosamente al futuro. Questo è il senso culturale epolitico di un nuovo e grande partito alla cui costruzione chiamiamo quanti sonointeressati e consapevolmente pronti ad agire, anche se provenienti da altreesperienze politiche.

[FrancescoD’Onofrio]

L’apertura al futuro prevede un’economia sociale di mercato ecologicamente compatibile e capace di far fronte alla crisi, un’identità cristiana

consapevole del passato e aperta alla convivenza con religioni diverse

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U colloquio con Sergio Romano di Riccardo Paradisi U

SOLO UNA CRISI DEL PDLPOTRÀ DARE SPAZIO A DISEGNI POLITICI ALTERNATIVI

Finché reggeBERLUSCONI

ON L’AMBASCIATORE SERGIO ROMANO, EDITORIALISTA del Corriere della Sera e osser-vatore attento del mondo politico e del dibattito pubblico italiano, liberal ragiona sulleprospettive del ruolo del Centro e delle possibili mutazioni del sistema elettorale.

Il Pd è in crisi, il Pdl celebra il suo congresso di fondazione: tuttoquesto in un sistema bipartitico che sembra consolidarsi. È anchevero che all’interno dei due maggiori partiti gli attori principali sof-frono di problemi di definizione della propria identità. Il bipartiti-smo che viaggia su questi binari, ambasciatore, ha un futuro serenodavanti a sé?

Per il momento io vedo un tripartitismo nel paese: un centrodestra piuttosto consolida-to da una forte leadership, un centrosinistra in crisi e un centro che tiene le posizioni.La nostra è una situazione che assomiglia per certi aspetti a quella della Germania.

In Italia però il centrosinistra è in una crisi più grave. Certo, il Pd è in condizioni peggiori di quanto non siano i socialdemocratici tedeschiche però hanno attraversato una crisi profonda quando erano al governo coi Verdi. Larealtà è che la crisi politica attraversa tutte le sinistre europee. In Italia questa difficoltà

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della sinistra deriva dal fattoche il Pd è la sintesi non riusci-ta dell’ex Pci e di una partedegli ex Dc: mondi moltodiversi che si sono addiritturacombattuti negli anni dellaguerra fredda. Le proporzionidi questa difficoltà le vediamonelle elezioni europee. Qualesarà il gruppo di approdo delPd a Strasburgo? Torniamo al tripartitismo: la

legge elettorale presente in Italia non lo agevola. Certo la forma degli schieramenti è resa complicata dal funzionamento del siste-ma elettorale. Allo stato attuale delle cose anche quelli a cui non piace peròdevono giocare all’interno di un sistema bipartitico. L’Udc in questo è aiutatadalla crisi della sinistra. Se non ci fosse una crisi della sinistra infatti il centrodovrebbe aspettare, per essere influente e condizionante come oggi, una crisialtrettanto grave della destra. Ma se si gioca così di sponda non si ha una basepropria così solida. Finché non si cambia la legge elettorale e non c’è una crisidella destra il quadro è il presente. Peraltro non so quanto sia giusto augurarsiuna sua mutazione radicale e traumatica. Preferirei che piuttosto la sinistracurasse i suoi mali, consentendo un sistema di alternanza più funzionale.

Non è da auspicare nessuna crisi anche se non è peregrinomettere in ipotesi qualche tensione nel Pdl: le contraddizionitroveranno una composizione o questo soggetto unitario ciriserverà delle sorprese?

Le sorprese non mancano mai in politica. L’unità del Pdl, d’altra parte, è sostan-zialmente dovuta e fondata sulla per-sonalità di Berlusconi. È un uomosolo che oggi tiene in piedi le forzedel Pdl e la coalizione del governo. ÈBerlusconi l’imbastitura o addiritturala cucitura del Pdl. La sua uscita dallascena politica metterebbe in crisi ilcentrodestra e l’intera coalizione. E a

Nel sistema proporzionale, l’elettore non sceglie,

dà una procura che poi viene usatasenza che lui possa poi dire la sua.

Il sistema bipartitico, invece, pur con tutti i suoi difetti,

permette di fare delle scelte

Piazza San Pietro a Roma in una raffigurazione ottocentesca

[Finché reggeBerlusconi]

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[SergioRomano]

quel punto tante cose sarebbero possibili, anche la soluzione centrista cui pensaPier Ferdinando Casini. Ma lo ripeto, io provo un certo disagio a sperare qualco-sa che comporta esiti così incerti. Anche perché, accanto ai suoi difetti, occorrericonoscere i meriti di Berlusconi. Il principale è quello di avere portato all’inter-no del sistema due forze extrasistema: Lega e Msi. Anche chi critica il Cavalieredall’estero forse non considera sufficientemente il vantaggio di tenere all’internodel sistema forze che invece tendevano a scivolare fuori.

Per ora, lei diceva, le regole del gioco sono quelle che abbiamo,ma considerato che le più rilevanti aree culturali presenti nelpaese sono cinque-sei - la Lega, la destra post-missina, l’area dicentro popolare e liberale, quella riformista post-comunista e,infine, quella giustizialista e antagonista - non sarebbe più razio-nale un sistema che consenta una libera alleanza programmaticatra queste aree rendendo più flessibili le coalizioni?

Dipende da ciò che si considera prioritario e importante. Se si considera priorita-ria la soddisfazione di un’appartenenza ideologica e culturale dell’elettore a unpartito, allora non c’è dubbio che sia così. Ma se si ritiene che la priorità perqualsiasi paese e per il nostro in particolare debba essere governare, crearegoverni che abbiano il massimo di stabilità possibile, allora la prospettiva cambiamolto. Io personalmente non considero molto importanti i capricci italiani diriconoscersi in identità quasi familistiche. I partiti, come famiglie di appartenen-za, mi sembrano francamente vecchissima politica. E poi si devono anche consi-derare i problemi seri che implicherebbe il sistema proporzionale. Che nell’im-mediato consentirebbe di avere governi costituiti da forze omogenee - MarioMonti sostenne questa tesi quando voleva che si facesse il governo dei riformato-ri - presentando quindi certi vantaggi. Però per raggiungere questo scopo si pagaun prezzo molto alto. Si ritorna indietro: al voto di delega. Dove i giochi politicidelle alleanze si fanno dopo il verdetto elettorale. In un sistema come quello pro-porzionale l’elettore infatti non sceglie, dà una procura che viene poi usata senzadare all’elettore la possibilità di dire la sua. Io continuo a pensare che questosistema tendenzialmente bipartitico, pur con tutti i suoi difetti, mi permette difare delle scelte.

Che efficacia potrebbe avere ambasciatore il progetto di unpartito di centro che punti a unire le diverse aree centriste pre-senti nel paese disponibili oggi a un’unione? È ipotizzabile unsoggetto che punti tendenzialmente a unificare le diverse aree

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Tra i meriti di Berlusconi, il principale è quello di aver portato all’interno del sistema due forze che altrimenti sarebbero scivolate fuori: Lega e Msi.

Chi critica il Cavaliere forse non considera questo aspetto...

Nei sistemi bipartitici c’è sempre una componente di insoddisfazione. In Italia si esprime attraverso estesi sentimenti di antipolitica,

mentre il centro funziona da camera di decompressione

di centro oggi presenti, oltre che nell’Udc, anche nel Pdl e nelPd?

Allo stato attuale delle cose direi di no e lo stato attuale delle cose è quello cheabbiamo cercato di descrivere, vale a dire la legge elettorale che abbiamo e amaggior ragione quella che avremmo se il referendum ottenesse il risultato chesi auspicano i suoi promotori. E poi perché mi sembra molto remota l’ipotesi diuna crisi del centrodestra mentre Berlusconi è ancora pienamente attivo ed è ilpunto di riferimento di una parte importante del paese. La crisi del centrodestrapassa attraverso una crisi del leader. Se non c’è una crisi del leader - può essere lasua scomparsa, un errore clamoroso, una sentenza giudiziaria - mi sembra che ilquadro non possa essere nel medio periodo suscettibile di mutazione.

In fondo non è così irrazionale però per un centro che si candi-da a essere alternativo ai due principali blocchi di questo bipo-larismo pensare che Berlusconi possa, prima o poi, lasciare lamano. Anche perché essendo il Pdl un partito a leadershipcarismatica potrebbe ingenerare il paradosso di AlessandroMagno: al massimo del suo potere arrivò il collasso del suoimpero.

Certo è uno scenario su cui si può anche costruire un disegno politico, ma leripeto mi provoca un certo disagio immaginare che qualcuno possa costruire lapropria fortuna politica sulla base di qualcosa che non è desiderabile per il paese.

Il centro tiene alle politiche e implementa consenso inSardegna. Alle prossime elezioni europee viene dato intornoall’8 per cento...

Siamo ancora una volta nel discorso del sistema elettorale. La Francia non è incondizioni molto diverse dall’Italia. Bairou aveva raccolto quella parte del con-senso nazionale che era ugualmente delusa da Chirac e Mitterrand. Il pendolofrancese si è puntualmente spostato in controtendenza rispetto al colore del pre-sidente. Se il presidente era di destra votavano a sinistra e viceversa. Nei sistemibipartitici c’è sempre una componente di insoddisfazione. In Italia questa insod-disfazione si esprime con sentimenti di antipolitica mentre il centro funziona dacamera di decompressione per il popolo di centro, perché non arriva mai ilmomento della semplificazione definitiva.

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Nei sistemi bipartitici c’è sempre una componente di insoddisfazione. In Italia si esprime attraverso estesi sentimenti di antipolitica,

mentre il centro funziona da camera di decompressione

Un anno fa lei diceva a liberal che Casini avrebbe rischiatomolto del suo consenso se avesse stretto accordi a sinistra conVeltroni. Oggi con l’ex Dc Franceschini alla segreteria del Pd ècambiato qualcosa da allora?

Da allora sono molto cambiate le condizioni generali. Ma non credo che i rap-porti tra Udc e Pd possano migliorare in virtù dell’avvento di Franceschini. Nondimentichiamoci che quando in Italia è cambiato il sistema elettorale la Dc si èspaccata. Un motivo ci sarà. Casini e Franceschini facevano parte di correntidiverse di quella Dc. Oggi Casini e Franceshini possono apparire in pubblicoconcordi. Ma nella sostanza? Non mi si dica che la proposta fatta daFranceschini sul salario minimo garantito potrebbe essere sostenuta e impugnatada Casini. Quindi le differenze ci sono eccome. E non credo che il loro supera-mento tattico per costruire una nuova formazione centrista rappresenterebbe unsistema più coerente e omogeneo rispetto al centrodestra di oggi. Che ha unatenuta interna maggiore del centrosinistra.

Nell’ultima campagna elettorale i temi eticamente sensibili,quelli riferibili cioè alla bioetica, sono stati elusi dal dibattitopolitico. In nome della laicità della politica si è detto. Però conil caso Englaro tutte le formazioni politiche sono state costrettea prendere posizione su questa vicenda drammatica.

L’unico modo per affrontare questi problemi - a mio avviso - è quello dellalibertà di coscienza. Però certo il caso Englaro ha provocato un trauma autenticonella coscienza del paese. Devo dire che c’è un altro problema oggettivo: è veroche il concetto della libertà di coscienza funziona male in un sistema in cui non simuore più in casa ma di fronte a medici curanti che non sono diventati i funzio-nari di una sanità molto burocratizzata. I quali peraltro possono essere trascinatiin tribunale e per questo sono sempre più inclini a chiedere regole che li proteg-gono. Sicché delle regole sono a questo punto necessarie. Sono gli stessi italiani,mi sembra, a chiederle. Però sarebbe bene non esagerare, sforzarsi di essere ilmeno ideologici possibile. Altrimenti si rischia di finire in uno di quei dibattiti neiquali è molto facile diventare giacobini.

[SergioRomano]

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I

PERCHÉ È POSSIBILE, ANZI AUSPICABILE, SUPERARE I VECCHI BLOCCHI

L BIPARTITISMO ITALIANO SI FONDA SU UN DESIDERIO che fatica a diventarerealtà. Lo hanno compreso anche coloro i quali alla sua concretizzazionehanno profuso l’impegno maggiore. E oggi, dopo traversie che hanno pro-dotto anche dolorose lacerazioni interne alle formazioni politiche protagoni-ste della semplificazione del sistema politico, ci si interroga se davvero lademocrazia italiana è pronta per assumere le fattezze di una democraziafondata su due partiti e qualche marginale e ininfluente compagine. Perquanti sforzi siano stati fatti, bisogna concludere che il massimo a cui si puòrealisticamente aspirare è un bipolarismo dalle connotazioni sfuggenti e piùmovimentista di quanto si possa immaginare, nel senso che i partiti di riferi-mento non sono inclini a cristallizzarsi in questo o in quello schieramento. Èuna questione di identità culturali, prima che politiche, irrisolte e che, conbuona pace di tutti coloro i quali scommettevano fino a qualche tempo sul-l’affinamento delle sensibilità diverse tra le forze in campo, dimostrano unavitalità sorprendente nel non appiattirsi sulla ragione che le vorrebbe nellemani di un paio di potenti Leviatani. Lo abbiamo visto nel Partito democra-tico; lo stiamo osservando nel Partito del Popolo della libertà. Entrambisono nati da «fusioni a freddo», sia pure seguendo percorsi dissimili e aven-do obiettivi opposti. Il risultato, in entrambi i casi, non può dirsi entusia-smante. Che poi nell’uno e nell’altro si cerchi di mascherare le difficoltà

asserendo che la com-patibilità tra i «soci»fondatori si realizzeràcon il passare deltempo, è comprensibi-le, ma non giustifica la«mistica» dell’assem-blaggio a cui sono stati«costretti», per ragionidiverse ma convergen-ti nel proposito di dare

NOSTALGIADELLA POLITICA

U Gennaro Malgieri U

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[Nostalgiadella politica]

forma alla semplificazione del siste-ma. Semplificazione che avrebbetutte le ragioni di sussistere qualorale identità politiche nel nostro paesefossero poca cosa, come accadealtrove e non avessero segnato lastoria stessa della nostra democraziaoltre che della più complessiva sto-ria politica italiana ben prima che loStato unitario si affermasse. È perciò del tutto improprio imma-ginare partiti che possano reggereall’urto delle contraddizioni interne(a meno che non decidano di fare ameno di un’identità riconoscibile)con il solo collante della necessitàche tiene insieme soggetti disparatidalle provenienze più varie.Beninteso, anche quest’operazione èlegittima da tutti i punti di vista, maciò che da essa viene fuori non è unaforza politica omogenea, per quantopluriculturale, ma una piccola coali-zione mascherata o un cartello elet-

torale. Il Pdl, ad esempio, come partito non è altro che la formalizzazionedella lista che si è presentata alle elezioni. In più c’è soltanto un organi-gramma unitario, che non è cosa da poco naturalmente, ma che rispecchiaidentità disomogenee poiché quel che bisognava fare, avendo avuto il tempoper farlo se si fosse voluto, non è stato fatto, cioè a dire «omogeneizzare» lesensibilità dei diversi soggetti e dar luogo a una sintesi alla fine di un lavoropreparatorio che avrebbe dovuto coinvolgere anche la cosiddetta societàcivile di riferimento. Faticoso, indubbiamente. E forse dagli esiti incerti. Maoggi, dopo la fine di An, il centrodestra incarnato dal Pdl è una creatura fra-gile anche se accreditata del 40 per cento dei consensi, legata alla durata del

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berlusconismo al declino del quale, posto che nulla è eterno soprattutto inpolitica, è plausibile immaginare una scomposizione del partito e uno scio-glimento del centrodestra dal momento che Berlusconi, incontestabilmente,è stato il federatore capace di tenere insieme ciò che insieme non potevastare. Non so se la destra se n’è resa conto, ma aver legato i propri destini,senza inverarsi in una sintesi che avrebbe salvaguardato e fatto vivere i suoivalori, a una formazione programmaticamente effimera perché proiezioneimmediata di una personalità carismatica, ha significato la sua dispersioneinevitabile non tanto come soggetto politico strutturato, ma come idea evisione del mondo. La stessa cosa può dirsi del mondo cattolico e delmondo post-comunista o socialdemocratico che si ritrovano nel Partitodemocratico. Le differenze qui sono vistose. L’incompatibilità tra persona-lità e spezzoni di movimenti addirittura plateali. Le culture non si sonointrecciate e mai s’intrecceranno: il Pd è un’operazione di potere, mentretutti speravano (anche chi scrive) che fosse altra cosa. C’è un pregiudizioegemonico che connota tutte le nuove formazioni che hanno ritenuto didare vita a unioni o a fusioni: ognuno guarda all’altro come se fosse qualcosadi meno di un alleato eppure stanno insieme protestando ogni giorno la lorocomune appartenenza. Se il Pdl è comunque un partito fortemente segnatodalla personalità di Berlusconi il quale non teme rivali interni, il Pd non puòvantare neppure un capo indiscusso e assoluto che si assuma in proprio ledecisioni che impegnano il partito. Tra ex popolari ed ex diessini la competi-zione perciò è sfrenata, si formano correnti interne che bloccano l’attivitàdel partito, bruciano leader con una voluttà che lascia allibiti. Tanto il Pdl che il Pd, grazie anche a una legge elettorale che glielo consen-te, sono i pilastri di una democrazia oligarchica la cui deriva populista èsotto gli occhi di tutti. Quando da entrambe le parti comprenderanno chel’Italia ha necessità di riformare il suo sistema istituzionale, di rivedere il suoimpianto costituzionale, si renderanno conto che la partecipazione popolare(e non il plebiscitarismo da cui sembrano conquistati) sarà la sola stradapercorribile per arrivare a una nuova democrazia i cui caratteri sono tutti dariscrivere posto che l’arretratezza del governo dell’economia, non meno che

[GennaroMalgieri]

Tanto il Pdl che il Pd, nati da “fusioni a freddo”, complice una legge elettorale che glielo consente, sono i pilastri di una democrazia oligarchica la cui deriva populista è sotto gli occhi di tutti

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il quadro ordinamentale all’interno del quale si cerca di inserire istituticontraddittori fino a modificare surrettiziamente la forma-Stato, sonodecrepiti, inadeguati a recepire le istanze della modernità, soggiogati daicosiddetti «poteri forti» che hanno nell’attuale sistema dei partiti il loroterminale, mentre la politica soffre nell’aver perso il suo primato e di con-seguenza i poteri costituzionali sono in continua fibrillazione fino a dele-gittimarsi reciprocamente.Tutto questo è all’attenzione dei due grandi partiti? Credo di sì, ma nonmi pare che dall’una e dall’altra parte si faccia molto per ovviare a unacrisi di legalità e di legittimità i cui prodromi sono proprio nella confusio-ne dei ruoli e nel «cattiverio» in cui sono state costrette le identità senzache nessuno si sia applicato a superarle per dar vita a identità più grandi e

complesse su cui fondare nuovi soggetti politici. È questo il deficit chesegna il bipartitismo italiano. Il quale, come nuova ideologia, ha preteso difagocitare tutto senza digerire nulla. Sicché le aree culturali invece chediventare permeabili l’una rispetto all’altra, in funzione di una contamina-zione feconda, si guardano adesso con maggiore diffidenza che nel passa-to. Laici e cattolici sono più lontani; nazionalisti e secessionisti sembranopiù vicini, ma in realtà si sopportano malamente; liberal-liberisti e solida-risti convivono sotto gli stessi tetti, ma non si capiscono; radical-socialisti epost-comunisti sembra che siano prossimi, ma in realtà si guardano condiffidenza; tutti, naturalmente, com’è giusto che sia, detestano i neo-giu-stizialisti, ma in parte vi si alleano proprio come fanno gli assertori dell’in-tegrità e dell’identità nazionale con coloro che vorrebbero fare a pezzil’Italia. Convenienza vuole che il melting pot politico sia diventato talmen-te «corretto» e accettato per puri motivi di agibilità elettorale da escluderequalsivoglia riforma seria, organica e coerente poiché nessuno nel cortileche condivide con altri può praticare la politica che vorrebbe al punto chela mediazione e il compromesso si trasformano quasi sempre in ricattitanto nell’ambito della maggioranza, quanto dell’opposizione. Se la ragione operasse nel senso della ricerca del bene comune e da una

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[Nostalgiadella politica]

C’è bisogno di ricostruire il tessuto partitico, posto che nessuna democrazia decentene può fare a meno. Un Partito della nazione, con connotazioni cattoliche,

solidariste e nazional-conservatrici potrebbe concorrere a questo...

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parte stessero i conservatori-popolari, da un’altra i socialdemocratici post-marxisti, da un’altra ancora i massimalisti e neo-pauperisti, e poi i separa-tisti-federalisti e via esemplificando, sarebbe paradossalmente più faciletrovare punti di intesa tra diversi, come accadde alla Costituente. Invece,con l’alibi della semplificazione - che non significa estinzione di famigliepolitiche, ma dovrebbe significare invece rafforzamento di quelle ricono-scibili ed emarginazione delle altre fittizie che non esprimono niente - si èreso praticamente impossibile l’incontro tra le culture e le identità doven-do fronteggiare all’interno dei partiti-coalizioni le difficoltà che inevitabil-mente mettono a repentaglio la convivenza tra coloro che non sono assi-milabili, né integrabili. Non saprei dire se dall’incontro tra possibili «affi-ni» sul piano valoriale possano discendere altrettanti «poli».

L’esperimento sarebbe da tentare. Ma prima di tutto bisognerebbe modi-ficare la legge elettorale e poi rivedere le forme di partecipazione politica.Insomma, c’è bisogno di ricostruire il tessuto partitico, posto che nessunademocrazia decente può prescinderne. Al contrario rischiamo che lasubalternità della politica ai «poteri forti» diventi assoluta. Come il domi-nio delle oligarchie nei nuovi schieramenti nei quali le logiche del merito,della selezione, della competenza, del radicamento territoriale sono stateespulse con conseguenze nefaste per l’intero sistema. Un Partito della nazione, con connotazioni cattoliche, solidariste e nazio-nal-conservatrici, potrebbe concorrere, al pari di altri soggetti, alla forma-zione di una coscienza politica nella quale siano presenti i caratteri rias-sunti fin qui. Si tratta di vedere come, in quali tempi e con chi. Certo èche se il leader dell’Udc Pier Ferdinando Casini al Partito della nazioneha fatto riferimento e, nel suo discorso congressuale, a esso pure si è rife-rito il presidente della Camera ed ex leader di An, Gianfranco Fini, vuoldire che una certa idea della ricomposizione della politica comincia a farsistrada: non so se la circostanza autorizza un po’ d’ottimismo, ma certa-mente è segno che i vecchi blocchi possono essere superati. Almeno que-sta è la speranza.

[GennaroMalgieri]

Forse la destra non se ne è resa conto, ma legare i propri destini a una formazione così legata a una personalità carismatica significa la sua dispersione

non tanto come soggetto politico ma come visione del mondo

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Q

IL CORAGGIOdi uscire dal Palazzo

U Stefano Folli U

UANDO SI FARÀ LA STORIA POLITICA DI QUESTI ANNI, si dovrà prendere atto diun dato tra i più significativi: il centro moderato, rappresentato in modo parti-colare dall’Udc, avrebbe dovuto scomparire, invece non è stato così. Avrebbedovuto sparire in base ai canoni della divaricazione bipolare. Il postulato, comeè noto, è che la nascita di due grandi blocchi tende a schiacciare le forze inter-medie fino a renderle superflue. L’elettorato segue l’onda e sceglie: o di qua odi là. Al contrario, le vicende che hanno accompagnato le elezioni legislativedel 2008 e soprattutto i fatti successivi, compresi alcuni appuntamenti parziali(ad esempio il voto in Abruzzo e in Sardegna) hanno dimostrato che una forzamoderata, all’opposizione dell’attuale governo ma distinta dal PartitoDemocratico, riesce a conservare il suo spazio e addirittura, in qualche caso,ad accrescerlo. Tutto questo non costituisce una garanzia per il futuro, maaiuta a comprendere alcune caratteristiche di fondo del nostro sistema.Con ogni evidenza, la spinta bipolare non soddisfa tutte le esigenze dell’eletto-rato: anche perché l’evoluzione del quadro politico è avvenuta senza essereaccompagnata da un processo di maturazione istituzionale. Le fatidiche rifor-me, a lungo invocate, non hanno mai preso forma in modo compiuto. Al puntoche oggi si parla di un «presidenzialismo» di fatto, fondato sulla personalità dei

L’ALTERNATIVA ALLA TENAGLIA BIPARTITICAÈ POSSIBILE: ECCO LE CONDIZIONI

Un’immaginedel Duomo di Amalfi

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[Il coraggiodi uscire…]

leader e di uno in particolare, come èlogico: Silvio Berlusconi. Il che esponeil paese alle suggestioni di un modelloplebiscitario, insofferente alle regole epropenso a considerare la legislaturauna sorta di campagna elettorale per-manente. In qualche momento questetentazioni hanno coinvolto anche ilcentrosinistra, quasi si trattasse di unascorciatoia per ritrovare la sintonia conl’elettorato perduto. Ma si è visto chesul terreno leaderistico-plebiscitarioBerlusconi è imbattibile. E in ogni casoun bipolarismo che si evolve secondoquesti criteri non garantisce l’equilibriopolitico-istituzionale di cui oggi più chemai si sente il bisogno. Tanto meno se

l’evoluzione sfociasse - senza correttivi - in un assetto bipartitico consolidatoe definitivo. Sotto questo profilo, è evidente che la nascita del Popolo dellalibertà rappresenta senz’altro la premessa di un futuro bipartitismo.Sviluppo che la gestione veltroniana del Partito democratico aveva assecon-dato, mentre il nuovo corso di Franceschini lo vede con qualche dubbio enon poca diffidenza. Tuttavia la tentazione di «semplificare» e di essere inqualche modo i beneficiari di tale semplificazione è quasi irresistibile pertutti. Il problema è che i fatti vanno in un’altra direzione. Alla volontà deileader, in particolare di Berlusconi, non ha corrisposto finora una propen-sione altrettanto chiara dell’elettorato. Basta vedere i sondaggi in vista delleprossime elezioni europee, in cui accanto ai due partiti maggiori (Pdl e Pd)crescono una serie di forze il cuipeso è valutabile tra il 5 e il 9 percento: dalla Lega all’Udc all’Italia deiValori, senza contare l’arcipelago del-l’estrema sinistra. In altre parole, lospazio fra i due maggiori schiera-menti rimane sufficientementeampio, tanto da autorizzare una stra-

Una forza che voglia rappresentarel’Italia moderata non deve temere di proporre un programma che contempli un’autentica rifondazione sul piano istituzionale,amministrativo, economico e morale

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[StefanoFolli]

tegia alternativa alla tenaglia bipartiti-ca. Non sarà semplice, è ovvio. Mabisogna partire dalla realtà. In primoluogo, lo stesso Gianfranco Fini sirende conto che il binomio seccodestra-sinistra presenta qualcherischio di troppo per l’Italia che nonha nel suo bagaglio storico la tradizio-ne anglosassone. Nel discorso in cui hadato l’addio ad Alleanza Nazionale, ilpresidente della Camera si è posto unaserie di interrogativi cruciali. Dire, adesempio, che il nuovo Popolo dellalibertà non può essere condizionatodal «pensiero unico» significa porre uncuneo nella concezione del partitocarismatico, accentrato nella figura delcapo. Ma vuol dire anche sottolineare la vera sfida dei prossimi anni: lacostruzione di una democrazia matura, e quindi immune da derive plebisci-tarie. Una democrazia affidata a salde istituzioni liberali, nel rispetto dellastoria italiana. Quella storia - possiamo aggiungere - «complessa e complica-ta», come la definiva Benedetto Croce, in cui il rapporto tra laici e cattoliciresta essenziale, se non si vuole lacerare il tessuto nazionale in nome di bru-tali manicheismi.Nessuno può offrire al centro moderato la garanzia di vivere da protagonistala prossima fase. Ma di sicuro non si parte dall’«anno zero»: né sul pianodelle proposte, né su quello dei numeri elettorali. L’idea liberale dello Statounitario, la difesa dell’interesse generale contro le corporazioni, una politicaestera nel solco della tradizione europeista e occidentale, un’economia chenon soffoca le imprese, ma nemmeno le abbandona a se stesse in nome diun malinteso liberismo: ci sono buone ragioni per credere che questi obiet-tivi siano meglio tutelati se esiste una forza in grado di condizionare la poli-tica dei grandi schieramenti, senza essere obbligata a inseguire il consensoogni giorno. Una forza che non può coincidere con i confini dell’attualeUdc, ma che richiede di essere costruita passo dopo passo riannodando tantifili sparsi. Poi si vedrà. È chiaro che ogni giorno ha la sua pena. Ma non si

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[StefanoFolli]I sondaggi delle prossime elezioni europee dimostrano che lo spazio

tra i due maggiori schieramenti è sufficientemente ampio da autorizzare un’alternativa

Piazza del Duomo

a Milano in un’incisione

d’epoca

può negare che la grande missione di questa legislatura sia quella di rinno-vare lo Stato. Vincerà chi riuscirà a esprimere su questo terreno l’idea piùforte e più capace di creare coesione. Del resto, è evidente che la posizione

leghista (il federalismo) finora haavuto successo anche perché nonha trovato dall’altra parte un con-trappunto altrettanto solido: hatrovato il «no» della sola Udc,senza che l’opposizione nel suocomplesso riuscisse a mettere incampo un progetto diverso, capa-ce di parlare al cuore degli italianisenza apparire succube delle tesileghiste. Di qui l’astensione delPartito democratico, che dimostral’incertezza di fondo di fronte aldinamismo di Bossi e Calderoli.Peraltro, lo stesso successo perso-nale e politico di Berlusconi, chedura ormai da quindici anni, èpossibile anche a causa delladebolezza ideale e pratica dei suoi

avversari. Quando è accaduto che a tale debolezza si è sostituita una chiaradeterminazione e un programma serio, come al tempo del primo Prodi e diCiampi ministro dell’economia, le cose hanno cambiato segno. Si tratta allo-ra di abbandonare i giochi di piccolo cabotaggio e di non aver paura di avan-zare un programma che contempli una vera e propria rifondazione delloStato: sul terreno istituzionale, amministrativo, economico e, perché no,persino morale. Le alleanze politiche verranno dopo e saranno calibrate inbase alle prospettive delle riforme. Uscire dal palazzo significa anche smet-terla di fornire argomenti alle polemiche sulla «casta» e cominciare a offrireagli italiani una visione, un progetto. Una speranza autentica e non retoricaper il futuro. È un ottimo esercizio per una forza che voglia rappresentarel’Italia moderata.

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L

Ricordiamoci diBLUNTSCHLI

U Paolo Pombeni U

Un angolo di piazza

Navona a Roma

A CRISI PROVOCATA DAL CROLLO DEL SISTEMA POLITICO della cosiddetta PrimaRepubblica è tutt’ora irrisolta, per la semplice ragione che non ha ancora dato vitaa una stabilizzazione ragionevole con una legittimazione riconosciuta, almeno difatto, delle componenti in cui il sistema sta cercando di articolarsi. Credo sarebbeopportuno misurasi con questa situazione affrontando il tema da un punto di vistastorico, avendo l’occhio non solo alla realtà italiana, ma a quella europea più gene-rale. Il sistema politico italiano post 1945 è stato fondato sul presupposto, a lungonegato nella nostra storia, che il paese avesse un’unità «politica», ma non un’unità«culturale». La prima era stata confermata dalla Resistenza, quando il crollo delsistema istituzionale del regime monarchico e fascista non aveva dato vita a unaframmentazione delle fedeltà «nazionali», ma aveva visto il convergere spontaneodi tutte le forze in campo nella difesa della «patria». Non ci furono infatti vere ten-tazioni disgregatrici dell’unità nazionale (il separatismo siciliano fu un fenomenomarginale; i tentativi francesi di suscitare un distacco della Valle d’Aosta fallirono,come quelli tedeschi verso il cosiddetto Alpenvorland, cioè il Trentino) e tutti ipartiti si mossero in un’ottica fortemente nazionale. A testimonianza si potrebberocitare i miti della Resistenza come «Secondo Risorgimento» o ancor più significa-tivamente il fatto che le brigate partigiane comuniste fossero intitolate a Garibaldi.Quella unità «politica» si raggiungeva però grazie al mantenimento di «identità

LA LEZIONE DEL TEORICO SVIZZERO CHE NELL’OTTOCENTOTENTÒ DI ADATTARE IL BIPOLARISMO ALL’EUROPA

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[Ricordiamoci diBluntschli]

Piazza Santa Maria

Maggiore a Roma

culturali» molto forti, testimoniate dal fatto che ogni «partito»aveva, in misura più o meno consistente, le proprie unità com-battenti, poi coordinate (sino a un certo punto) in un sistemamilitare unitario grazie alla politicizzazione e lottizzazione delsistema di comando fra le diverse forze politiche. In realtà lacosiddetta «repubblica dei partiti» nasce qui e quel modellonon sarà mai messo veramente in discussione: l’unità della poli-tica ha radice nella compartecipazione di tutte le «culture socia-li» esistenti nel paese alla produzione della decisione politica,che, non a caso, si vorrà in seguito fortemente incentrata sulParlamento, luogo dove possono convivere tutti in forma più omeno dialettica. Qualche riflessione andrebbe pur fatta su unfenomeno interessante come l’aver respinto da parte della mag-

gioranza uscita dalle elezioni del 18 aprile 1948 ogni tentazione di messafuori legge dell’estrema sinistra e anche dell’estrema destra, puntando inve-ce ad averle in Parlamento. Si tratta, si badi bene, di una scommessa vinta,perché il Parlamento funzionava come strumento di compartecipazione,magari in negativo, alla decisione politica, sicché tanto il Pci quanto il Msi siparlamentarizzarono sempre più al di là di liturgie rivoluzionarie che man-tennero per tempi diversi in funzione di difesa dei confini del loro bacino diconsenso. È questo che ha dato luogo fino all’incirca alla metà degli anniSessanta a quello strano sistema che metteva insieme una feudalizzazionenotevole del paese con lo sviluppo di un crescente senso di appartenenzacomune che, grazie anche allo sviluppo dei mezzi di comunicazione dimassa (specialmente la televisione), dava adito a un progressivo indeboli-mento delle componenti culturali identitarie presenti nei partiti. Peraltro lacoesione del sistema era favorita dal fatto che il suo perno fosse in certamisura un «partito sintesi» come la Democrazia Cristiana, che aveva all’epo-ca una forte radice socio-culturale (la comunità cattolica, vincolata a quelpartito dalla scelta delle gerarchie vaticane), ma di natura non immediata-mente politica, in quanto, a dispetto della retorica su una autonoma culturasociale cattolica, questa conteneva posizioni prese da diversi settori delloschieramento politico (destra e sinistra; progressisti e conservatori; sosteni-tori del centralismo e sostenitori delle autonomie locali; ecc.).Si era così sviluppata progressivamente una certa «cultura nazionale» chetendeva a uscire dai vecchi recinti identitari e dava spazio alla competizione

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[PaoloPombeni]

Quattro partiti, due “medi” e due “estremi”: così secondo

lo schema di Johan KasparBluntschli era possibile

mantenere il sistema politico in equilibrio dinamico

compiacenti ingegneri politici assaidigiuni di storia, che il riequilibrio delsistema poteva nascere dal ricreareartificialmente qualche funzione chiavedel sistema: una maggioranza in gradodi governare, come primo obiettivo;poi, alternativamente, un sistema che o

per chi potesse essere l’erede dell’interpretazione «centrale» di quella«nuova Italia» di cui si cominciò a discutere alla fine degli anni Sessanta.Era complice una trasformazione profonda delle grandi ideologie, se nonproprio una loro morte: quella cattolica affrontava il confronto con ilConcilio Vaticano II che la richiamava a pensare in termini religiosi, lascian-do alla sua indipendenza la sfera della politica; quella comunista si misuravacol trauma dell’invasione sovietica della Cecoslovacchia che rilanciava ilproblema del «socialismo dal volto umano»; quella che per estensione gene-ralizzante potremmo chiamare laico-liberale era sempre più attratta dallasirena di una trasformazione sociale che metteva in gioco istanze libertarie enuove fiammate di positivismo scientifico (o talora pseudo-tale). La viscositàdei regimi politici avrebbe tenuto insieme i vecchi presupposti partitici perancora un quarto di secolo, ma il progressivo svuotamento delle «culturesociali» come contenitori obbligati dei percorsi di apprendimento della poli-tica e di ingresso nelle sue strutture avrebbe inevitabilmente portato allafine del loro ruolo di perno del sistema politico. Che poi vari gruppi di pote-re nella dura competizione per sopravvivere a quella che, magari inconscia-mente, tutti sentivano come fine imminente siano stati spinti a rifugiarsinella forza di attrazione economica che poteva loro derivare dal ruolo rico-perto è ormai storia: la radice della «corruzione» del sistema è lì, e non fusolo corruzione nel senso banale di tangenti e malaffare, ma proprio nelsenso forte di un contesto che si corrode dall’interno. Sembra a me che ilsistema politico italiano non voglia fare i conti con questa sua storia e chefondamentalmente ancora oggi non promuova una riflessione seria su comeristabilire un equilibrio che non può reggersi né sul resuscitare un mondodefunto né su una superficiale riappropriazione delle vecchie bandiere fatteadottare a eserciti che non sono in grado di riconoscerle. La soluzione tenta-ta è stata costantemente quella della manipolazione elettorale. Gli eredidelle classi politiche precedenti si sono raccontati fra loro, con l’ausilio di

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[Ricordiamoci diBluntschli]

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Il bipartitismo classico fa fatica ad affermarsi perché in realtà non mantiene ciò che promette: il dualismo tra progresso e conservazione

La planimetriamichelangiolesca

di piazza del Campidoglio

a Roma

preservasse al massimo tutti i clan politici che si erano formati nella diaspo-ra o tagliasse via le frammentazioni restringendosi a pochi (tendenzialmentea due) «blocchi elettorali» di incerta identità. Sino a ora il risultato di questomodo di procedere è stato, a dir poco, fallimentare. A seconda dei sistemi sisono avute esplosioni in frammenti generatrici di clan di varia natura oppu-re blocchi elettorali in cui però ogni clan superstite badava bene a mantene-

re salde le sue fedeltà e le sue truppe. Nell’uno e nel-l’altro caso tutto si è risolto in una perpetuazione dellafamigerata «lottizzazione», ora non più giustificata intermini di pluralismo culturale, ma di semplice distri-buzione delle spoglie fra i clan dei pretoriani.Oggi si sta ponendo il tema di come uscire da questasituazione che non è semplicemente insoddisfacentedal punto di vista della stabilizzazione del sistema, mache si rivela non solo incapace, ma ostativa alla gestio-ne di una crisi epocale di passaggio i cui contornivanno drammaticamente definendosi di giorno in gior-no. Il problema sul tappeto è dunque quello di comeridisegnare un sistema che contempli meccanismi di«divisione» dell’opinione pubblica (necessari e fisiolo-gici in ogni democrazia) con un contesto di legittima-

zione generale che consenta una dialettica proficua tra le parti in causa, unamobilità dell’elettorato (senza la quale non ci può essere rappresentanzacompetitiva) e il mantenimento al contempo di una «cultura nazionale»senza la quale difficilmente si può realizzare la convergenza politica versol’obiettivo di fondo di ogni regime, che è la realizzazione del «bene comu-ne». La tentazione bipartitica ripropone la storica alternativa ai sistemi,come quello italiano o tedesco, che, come si è visto, erano fondati sulle cul-ture sociali trasformate in partiti politici. Questa alternativa è ciò che si defi-nisce, sin dalla seconda metà dell’Ottocento, come il bipartitismo anglosas-sone, quello di Gran Bretagna e Usa. Qui la divisione non era nei terminiclassici destra e sinistra1 ma piuttosto quella fra «progressisti» e «conservato-ri» o, per essere ancora più precisi, fra il partito del cambiamento e il partitodel lasciare le cose come stanno. Naturalmente un sistema di questo genere,

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nel suo stadio evoluto, suppone una società «pacificata» in cui l’alternanzafra progressisti e conservatori non sia in grado di spostare gli assi di fondodel consenso politico. Coloro che storicamente si opposero all’importazionedi questo modello sul «continente» sostennero che ciò era impossibileappunto perché qui non vi erano società pacificate che rendevano nonattuabile e pericolosa una alternanza frequente. Per la verità un teorico sviz-zero tedesco degli anni Sessanta-Settanta dell’Ottocento, Johan KasparBluntschli, cercando di adattare la questione bipolare all’Europa continen-tale propose una teoria che ebbe una grande fortuna ai suoi tempi, ma chepoi venne completamente dimenticata. La riassumono brevemente perchécredo che oggi potrebbe tornare di qualche interesse. Sostenne Bluntschliche in realtà i partiti «puri» che avrebbero dovuto esserci in ogni sistema(bandendo quelli legati alle culture sociali che a suo giudizio minavano latenuta del corpo sociale unitario) non erano due, ma quattro: i radicali, iliberali, i conservatori e i reazionari. L’equilibrio, che è l’obiettivo fonda-mentale a cui mirava il costituzionalismo classico, si sarebbe ottenuto quan-do l’alternanza fra liberali e conservatori fosse garantita dal fatto che i libe-rali tenevano sotto il loro controllo i radicali e i conservatori i reazionari.Ove questo non fosse successo e invece a dominare in ciascuno dei due polifosse stata l’ala estrema, ecco che allora si sarebbe dovuta avere l’alleanzafra i due partiti «medi» per impedire che le estreme, arrivando tramite loroal governo o dominando l’opposizione, portassero il paese al disastro.Naturalmente qui non ci interessa la plausibilità assoluta dello schema diBluntschli, ma solo il suo cogliere il problema, che diventerà fondamentale,di come si può mantenere un sistema politico al tempo stesso dinamico (conla competizione per l’alternanza) e in equilibrio (evitando le tentazioni gia-cobine insite nel dominio delle estreme). A me sembra che sia questo il pro-blema che oggi ha davanti il sistema politico italiano. Il bipartitismo classicofa molta fatica ad affermarsi per due semplici ragioni: non ha dalla sua né lariproponibilità del dualismo progresso/conservazione, né una sedimentazio-ne storica che abbia abituato gli italiani a pensarsi in uno schema bipartitico.Oggi far coincidere la volontà di progresso con un polo e la conservazionecon un altro è impresa assolutamente ardua, a meno di giocarla sul pianopuramente retorico dove si può fare tutto. Destra e sinistra, per tornare allevecchie etichette, sono ciascuna impasti di progressismo e di conservazione,per di più del tutto a casaccio perché la scelta per l’una o per l’altra direzio-ne non è motivata da scelte ideologiche di carattere generale, da «ragionipolitiche» su cui si possa discutere, ma per lo più da posizionamenti tattici.

[PaoloPombeni]

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[Ricordiamoci diBluntschli]

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Destra e sinistra sono un impasto casuale di progressismo e conservazione, non motivati da ideologie o da ragioni politiche ma solamente da posizionamenti tattici

Una riproduzioneottocentesca

di piazza San Marco

a Venezia

Di conseguenza è difficile fondare «partiti» nel senso classico del termine(istituzioni che vogliono incidere sulla decisione politica in nome di una cul-tura capace di interpretare il mondo) e imporre questa linea di frattura nellaraccolta del consenso.Molti obiettano che non è più questa la linea di frattura che esiste nei siste-mi bipartitici, come ad esempio negli Usa. Ciò è vero, ma appunto perchéqui la frattura bipolare che all’origine era motivata in quel modo, ha inrealtà dato vita a due raggruppamenti «storici» che sono semplicemente le«calamite» per organizzare lo spostamento dei consensi, tanto è vero che iloro candidati per le cariche pubbliche non vengono selezionati sulla base difiliere stabili di adesione a questa o a quella ideologia di partito (per nonparlare di «militanze» al loro interno), ma sulla base delle «esigenze di vitto-ria» che di volta in volta appaiono prevalenti (di qui l’origine del testarequeste capacità in elezioni primarie, che appunto sono sondaggi sulle esi-genze dell’elettorato e sulla capacità dei candidati di «raccontare la storia»che ha la maggiore capacità di presa in termini di consenso). In Italia nonpossiamo né costruire davvero una frattura ideologica fra conservatori eprogressisti, non da ultimo perché di questi tempi cosa valga la pena di con-servare e cosa richieda una iniezione di vero progresso è arduo da dire, népossiamo disporre di tradizioni storiche che abbiano già prodotto quei con-tenitori che adesso potrebbero sopravvivere anche dopo l’atrofizzarsi dellemotivazioni originarie. La vicenda del Pd sta proprio lì a dimostrare questedifficoltà, per l’esilità del ragionamento che presumeva di mettere insieme«riformismo comunista» (e socialista) e «riformismo cattolico», senza tenereconto che in termini culturali non esistono più né l’uno né l’altro (che sianoancora usati come bandiere da vari capi clan è un altro paio di maniche). IlPdl, partito ancora una volta personale e tutto pragmatico, può riusciremeglio sul momento, avendo più convenienze tattiche da spendere (lacomune partecipazione alla gestione del potere), ma anch’esso è assai arischio quando deve dare una qualche veste «ideologica» a una gestione delpotere che in tempi di crisi epocale non potrà limitarsi ad accontentare unpo’ tutti come si faceva ai tempi dei «partiti pigliatutto», quando c’era l’ab-bondanza e le risorse da distribuire parevano infinite. Con questa situazioneè allora meglio tornare al vecchio sistema della frammentazione ampia?

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Personalmente do aquesta domanda unarisposta del tutto negati-va, per la sempliceragione che la frammen-tazione ampia nonopera per dare spazio erappresentanza a unareale frammentazione socio-culturale esistente nel paese, ma per consentireai clan politici di fare il nido nei pre-giudizi delle angosce collettive, da loroscomposte e opportunamente gestite per via mediatica. Mi permetto anchedi ricordare che al momento nei grandi paesi europei sistemi seccamentebipartitici non ne esistono: mai in Germania, dove una volta i partiti eranotre (coi liberali che facevano la spola fra i due maggiori) e adesso sono cin-que o sei; non in Inghilterra, dove i liberali hanno sempre mantenuto unaqualche area di consenso non facendosi assorbire né dai conservatori, né dailaburisti; non in Francia, come si è visto chiaramente nelle ultime elezionipresidenziali. Allora come produrre un sistema che non sia artificiosamentebipartitico, ma che impedisca al tempo stesso una frammentazione infinita esenza senso in vista di pure aggregazioni di potere? La risposta non può venire, a mio avviso, solo dalla manipolazione del siste-ma elettorale, anche se possono essere utili alcuni strumenti, come ragione-voli clausole di sbarramento, individuazione di circoscrizioni sufficiente-mente ristrette da obbligare a un voto sulle persone dei candidati anzichéad astratti schieramenti ideologici, disincentivi alla sopravvivenza di gruppiche non hanno rappresentanza nelle istituzioni o che non vanno al di là ditestimonianze individuali (revisione di tutti i sistemi pubblici di sussidio efinanziamento a queste forze a livello centrale e locale).La risposta più forte deve venire da due dinamiche, che, purtroppo, nonpossono essere create artificialmente. La prima è il ritorno a una seria cultu-ra politica fondata sul primato del «fare» rispetto al primato della «testimo-nianza». Se dovessimo dirlo con Max Weber, parleremmo della preminenzadell’etica della responsabilità su quella della convinzione. Si capisce che l’o-perazione è molto difficile, perché ovviamente i «commentatori» oggi predi-

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[PaoloPombeni]

ligono il ruolo di giudici della «ortodossia» dei politici a quello di analistidelle operazioni che si mettono in atto (ovviamente è più facile ragionare, inmateria di «proposte», in termini di bianco e nero, buono e cattivo, che nonfarlo quando ci si misura con le «realizzazioni», le quali richiedono tempilunghi, aggiustamenti e quant’altro). La seconda è la presenza di leader capaci di coagulare consenso intorno aproposte forti e di espungere, o quanto meno marginalizzare, i demagoghi ei populisti che in politica ci sono sempre, ma che in tempi di crisi trovanopiù spazio, perché sono come quei ciarlatani che promettono guarigionimiracolose a chi ha avuto dai medici prognosi infauste e irreversibili. Nél’una né l’altra di queste soluzioni si possono produrre artificialmente inlaboratorio. Certo si possono creare situazioni un po’ più favorevoli al lororealizzarsi: aiutano senz’altro meno demagogia in Tv, promozione di luoghiseri e fuori dei circuiti dello scontro politico diretto per il confronto delleidee, spazio alla circolazione delle nuove élite (generazionali o meno non èdecisivo: l’importante è che siano «nuove»). Tuttavia se poi queste due con-dizioni non si avverano, sarà gioco forza aspettare, perché non le si puòavere per decreto.Certamente oggi la prospettiva che manca è quella del one nation partycome si diceva nella teoria classica inglese, cioè partiti (non necessariamen-te se ne deve avere uno solo) che si pongono come obiettivo l’unificazionedel corpo sociale interpretato come un insieme, anzi, prendendo anche quia prestito una terminologia weberiana, come una «comunità di destini»,capace di unificare la ricerca della felicità che, in termini ovviamente laici elimitati, interessa ogni individuo, e la consapevolezza che questa può essererealizzata solo in un contesto di solidarietà che coinvolga tutti i moltepliciambiti in cui ogni individuo e ogni comunità elementare sono coinvolti(dagli ambiti più immediatamente territoriali di insediamento, alla nazione,all’Europa, all’intero sistema globale, oggi tanto di moda).

1) Questa a rigore è una distinzione in origine sociale perché deriva dalla disposizione nella cameracetuale francese pre-rivoluzionaria: i nobili e l’alto clero sedevano a destra del re (sulla convenzioneche nella Apocalisse sta scritto che i giusti siederanno alla destra del Padre) e gli altri a sinistra.Poiché furono gli altri a fare la rivoluzione, la sinistra divenne il simbolo della rivoluzione, la destradella conservazione.

Ma non bisogna tornare alla frammentazione che consentirebbe ai clan politici di fareil nido nei pregiudizi delle angosce collettive degli italiani, da loro gestiti per via mediatica

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I

Il RISCHIO è il bloccodell’alternanza

PERCHÉ LA SCOMPOSIZIONE DELL’ATTUALESISTEMA POTREBBE RIPORTARCI

AI DIFETTI DELLA PRIMA REPUBBLICA

L PROBLEMA NON NASCE OGGI: LE CRITICHE alle modalità di funzionamen-to del sistema politico vigente in Italia, le deplorazioni nei confronti del«bipolarismo coatto» (o «bipolarismo polarizzato», come mi è capitato didefinirlo) e della sua incapacità di rappresentare un arco di posizioni piùampio e articolato hanno accompagnato il nuovo assetto sin dai suoi esordi,nel 1994. E si sono via via intensificate, a fronte delle non brillanti perfor-mance del sistema in termini di qualità di governo e in seguito al fallimentodi tutti i tentativi volti a renderlo più dolce e più virtuoso (ultimo quelloabbozzato da Berlusconi e Veltroni all’indomani delle elezioni del 2008).Eppure, da qualche mese a questa parte, l’evocazione di altri scenari si èfatta più insistente, a partire da alcuni fatti nuovi. Le novità sono sostanzialmente tre: la crisi evidente di consensi e il possibileconseguente sfaldamento di uno dei due poli (il Partito democratico, la cuiscissione potrebbe «liberare» un pezzo importante del mondo cattolico); l’e-mergere di posizioni di dissenso abbastanza marcate in seno al Popolo dellelibertà; la crescita, nelle urne e nei sondaggi, dell’unico partito (l’Udc) chegià oggi svolge la funzione di «piccolo centro» (come i liberali tedeschi, perintenderci) e ha da tempo puntato le sue carte sull’insostenibilità del bipola-rismo all’italiana, fino al punto di ipotizzare la nascita di un grande «partitodi programma» destinato a occupare stabilmente l’area mediana e moderatadello schieramento politico.I segnali sono forti e indicano indubbiamente una situazione in movimento.Ma non credo che l’esito possa essere quello auspicato dai centristi. E, tutto

U Giovanni Sabbatucci U

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[Il rischioè il blocco…]sommato, nemmeno me lo auguro. Provo a spie-gare perché, cominciando con una valutazione difattibilità. Per sbancare davvero gli assetti attuali,non basta che sia in crisi uno dei due poli: da solaquesta condizione non fa che rafforzare l’attualemaggioranza, dando luogo a una sorta di nuovo«bipartitismo imperfetto» (ovvero senza possibi-lità immediata di alternanza) e costringendo l’op-posizione, dato che la politica non tollera il vuoto,a mettere in atto nuove strategie, a inventarsinuove formule in una prospettiva verosimilmentedi lungo periodo, ma sempre in una logica bipola-re. Perché si possa parlare di un nuovo assetto delsistema, è necessario che in crisi siano entrambi ipoli. Ma questo scenario appare al momento lon-tano. Nonostante i suoi eccessi, nonostante le suedivisioni, nonostante le uscite infelici del presi-dente del Consiglio e - quel che è più notevole -

nonostante la crisi economica, il patrimonio di consensi, reali e virtuali, delPopolo della libertà non è stato sinora seriamente intaccato: al contrario,alla vigilia del congresso di fondazione, sembra in crescita. Le voci di dis-senso che si levano all’interno della maggioranza su singoli temi, e anche sutemi importanti, non mutano questo dato. Non lo mutano le periodicheprese di distanza della Lega (che non è mai stata organica alle diverse incar-nazioni dello schieramento di centrodestra, né mai lo sarà). Non le pursignificative riserve espresse da singoli esponenti di Forza Italia (è il caso diPisanu). E nemmeno il controcanto, ormai costante, intonato da GianfrancoFini, che propone un suo modo - più equilibrato, più moderato, in unaparola più «europeo» - di intendere la funzione di una destra democratica. La sua è una proposta che riguarda il futuro più che il presente; ed è unaimplicita auto-candidatura alla leadership dello stesso schieramento di cen-trodestra oggi guidato da Berlusconi. Quella proposta non prevede quindiun mutamento degli attuali assetti sistemici e, anche se lo prevedesse, non

Perché si possa parlare di un nuovo assetto politico, è necessario che in crisi entrino entrambi i poli. Uno scenario al momento lontano, nonostante gli eccessi e le uscite infelici del presidente del Consiglio

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[GiovanniSabbatucci]avrebbe la forza per realizzarlo, dal momento che poggia solosul prestigio personale e sul ruolo istituzionale del presidentedella Camera. Stando così le cose, le pulsioni moderate e cen-triste che pure percorrono settori non trascurabili dell’opinio-ne pubblica non possono tradursi che in un ampliamento deiconsensi (e dunque della forza contrattuale) dell’attuale «pic-colo centro», ossia dell’Udc, in vista di una possibile alleanzacon un centrosinistra non troppo sbilanciato sul versantedell’Estrema: alleanza peraltro apertamente invocata daimportanti settori del Pd. Questo per quanto riguarda la fatti-bilità del progetto. Resta da dire qualcosa sulla sua auspicabi-lità, nel quadro di un miglior funzionamento della democrazia repubblicana.I fautori di una nuova configurazione di sistema dichiarano di non desidera-re un ritorno al modello fondato su un grande centro inamovibile per viaelettorale (la «soluzione trasformista», nel senso non spregiativo del termi-ne, tipica della tradizione italiana). Si rifanno invece al modello tedesco, inquanto capace di assicurare l’alternanza attraverso alleanze programmatiche«flessibili», in una partita con quattro, cinque o sei giocatori. Trascurano però il fatto che il modello tedesco ha smarrito la sua virtuosafunzionalità nel momento in cui è comparsa sulla scena una sinistra-sinistra(die Linke) capace di raccogliere quote di elettorato vicine al 10% e di ridi-mensionare drasticamente gli spazi della Spd. Da quel momento (essendoassai remota l’ipotesi di un fronte delle sinistre vincente) l’alternanza inGermania è diventata una chimera e gli scenari più probabili oscillano fraun proseguimento a tempo indeterminato della Grosse Koalition e un nuovostabile equilibrio di centrodestra stile anni Cinquanta, fondato sull’alleanzafra Cdu-Csu e liberali. Tornando agli scenari di casa nostra, credo che una contemporanea scompo-sizione dei due poli (al momento, lo ripeto, improbabile) avrebbe comeconseguenza ultima il ritorno ad assetti da Prima Repubblica, con alleanzemobili, ma entro un range limitato, e con coalizioni comunque gravitantiverso il centro, o più probabilmente, verso il centrodestra (era la preclusio-ne a destra, ormai caduta, che dava alle coalizioni a guida Dc un segno cen-trista). In altri termini, si avrebbe un nuovo e duraturo blocco dell’alter-nanza, quella vera, quella decisa dagli elettori. È uno scenario che non misento di auspicare, per quanto gravi siano i difetti e i misfatti del nostrobipolarismo.

Le pulsioni moderatetendono a rafforzarel’attuale “piccolo centro” in vista di una possibilealleanza con un centrosinistra non sbilanciato sul versantedell’Estrema

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U Enrico Cisnetto U

SSUNTO: LA CRISI ECONOMICA METTERÀ FINE ALLA SECONDA REPUBBLICA.Strumento: la creazione di un «nuovo partito nuovo». Approdo: la nascita dellaTerza Repubblica e la conseguente salvezza del paese attraverso la rifondazionedel suo sistema politico e dei suoi assetti istituzionali. È questo, schematicamente,il canovaccio politico che a mio giudizio abbiamo davanti per i prossimi, decisivimesi. Proviamo a esplorare punto per punto. Partiamo dal quadro politico. Iocredo che in Italia - unico paese occidentale con il Giappone a entrare in recessio-ne già nel 2008 - la crisi economica esploderà in tutta la sua virulenza nei prossimimesi, tanto che a fine anno dovremo prendere atto di una regressione del pil tra il3% e il 4%. Sarà dunque la crisi più grave dal dopoguerra a oggi, visto che si som-meranno il declino strutturale accumulato negli ultimi tre lustri e la peggiore con-giuntura che si ricordi. Essa si concentrerà nelle quattro aree (Piemonte,Lombardia, Triveneto ed Emilia) maggiormente sviluppate e produttive del paese.Così, quello che fino a ieri era una «questione settentrionale» dovuta alla mancatacrescita per effetto di vincoli, burocrazie e povertà infrastrutturale, ora sta diven-tando una «questione settentrionale» derivante dalla maggiore concentrazione

COME REALIZZARE L’AMBIZIONE DI CASINI: UNA PROPOSTA DAL PRESIDENTE DI SOCIETÀ APERTA

Un nuovo partitoHOLDINGUno

scorcio di piazza

del Campo a Siena

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degli effetti recessivi. Con tutto quelloche ciò significa in termini sociali epolitici. In particolare, si scatenerannoalmeno due tipi di sentimenti. Da unlato, una crescente intolleranza versochi «mi porta via il posto di lavoro» -stile lavoratori inglesi verso quelli ita-liani, per capirci - e in una rabbia versochi si ritiene abbia di più di quel chemerita, sia esso il Sud considerato trop-po assistito, siano essi i dipendentipubblici, non a caso concentrati mag-giormente da Roma in giù, il cui posto

di lavoro non c’è recessione che possa mettere in discussione. Dall’altro,pulsioni di tipo «rivendicativo»: difesa dell’esistente, anche se improduttivoo comunque fuori mercato, e risentimento se tutto ciò non sarà possibile. Sequesto scenario ha fondamento, non è difficile credere che esso genereràconseguenze politiche oggi inimmaginabili. Per esempio, c’è da scommette-re che la Lega diventerà sempre più «partito di lotta» e sempre meno «digoverno», proprio per intercettare quei disagi e trasformarle in voti, già alleprossime europee e amministrative di giugno. Così come non è difficileimmaginare che al Sud sarà la linea populista di Di Pietro a fare il pieno, adanno sia del Pd che del duo Fi-An. E allora sarà dura per Berlusconirispondere con la politica del sorriso e dell’ottimismo di maniera, così comeper Tremonti tener ferma la barra del «non si spende perché se aumentia-mo il debito rischiamo il default».Insomma, la crisi economica s’incaricherà di dimostrare che ancheBerlusconi e non solo la sinistra sono nudi davanti a essa, così come lo sonostati di fronte al declino. Penso dunque che, nonostante in Parlamento e nelpaese non ci sia una maggioranza alternativa, il governo dimostrandosi inca-pace di reggere alla forza d’urto della recessione rischi di entrare in crisi. Sipuò cadere da soli, per implosione, mica solo perché qualcun altro ti fa losgambetto e ti prende il posto. Qualcuno dice: ma non essendoci alternativa, Berlusconi tirerà a campare,dirà che la crisi è mondiale e che anche gli altri paesi fanno fatica a uscirne.Vero, questo sarà il comportamento del premier, il quale non esiterà ad

[Un nuovo partitoholding]

Giorgio De Chirico, “L’ora del silenzio”, 1943

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[EnricoCisnetto]

viste, non a strappi «di fatto» - e lacreazione di una sorta di «decisioni-smo senza decisioni», tutto di naturamediatica. Malattia che è stata iltratto distintivo della SecondaRepubblica nell’intero arco dellasua (troppo lunga) durata. Ma se èvero che tutte queste contraddizioni

aprire un «fronte costituzionale» sostenendo che la difficoltà di risponderein modo forte e tempestivo alle complicazioni economiche non discendedalle incapacità del governo ma da un sistema politico di tipo parlamentarenon funzionale (ha già aperto la questione rivendicando il reiterato uso deidecreti e del voto di fiducia). Ma credo che di fronte alla virulenza dellarecessione, che unirà imprenditori e lavoratori coinvolti, tutto questo nonsarà sufficiente a passare indenni la «nottata». D’altra parte, si provi a ragio-nare su questo: se quando c’era il declino, inesorabile ma lento e poco visi-bile, i governi (tanto il centrosinistra quanto il centrodestra) sono riusciti a«tirare a campare», ora che la recessione imprime alla crisi strutturale unavelocità molto più elevata e rende percepibile ciò che fino a ieri venivanegato, come si può pensare che la conseguenza sia ancora una volta il «gal-leggiamento»? No, penso che non sia possibile. Credo, invece, che la crisipolitica esploderà - prima, a cavallo o dopo le europee, questo lo vedremo,molto dipenderà dai tempi della recessione - e che sarà di sistema. In quelmomento verranno di colpo al pettine tutti i nodi irrisolti della «crisi italia-na», che possono essere riassunti in quella che è giusto chiamare la «que-stione democratica», di cui le forzature costituzionali - quelle già perpetuatee quelle che si profilano - il leaderismo senza partiti e il giustizialismo sonogli aspetti più gravi di un sistema-paese che è ormai scivolato in quella chenon esito a definire la «deriva putiniana», cioè una democrazia che conservai suoi tratti formali ma perde quelli sostanziali. Non si tratta, si badi bene,del «regime berlusconiano» di cui la sinistra straparla da anni, regalando alCavaliere un lucroso ruolo di vittima. No, si tratta di una malattia grave eprogressiva della democrazia, che investe l’intera classe dirigente e la men-talità collettiva del paese, i cui sintomi più evidenti sono il superamento difatto dei dettami costituzionali - la Costituzione, si badi bene, si può e sideve cambiare, ma occorre farlo nei luoghi deputati e con le procedure pre-

Serve un grande “progetto Italia” che guardi all’esperienza storica

dell’asse De Gasperi-La Malfa e che consenta a laici e cattolici

di incontrasi intorno a un piano rifondativo del paese

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[Un nuovo partitoholding]

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La diga berlusconiana non potrà resistere più di tanto agli effetti della crisi che si faranno sentire nei prossimi mesi. L’uscita del Cavaliere dal “mercato del consenso” creerà le condizioni per passare davvero alla Terza Repubblica

Gli azionisti del nuovo soggetto politico, oltre all’Udc e alle diverse realtà del cattolicesimo liberale,potranno essere i socialisti, i repubblicani, i liberali di tutte

le diaspore, forze laiche e cattoliche provenienti dall’ex Margherita, ex Ds, Forza Italia...

sono destinate a esplodere, l’orologio della politica tornerà al 1993, primadella «discesa in campo» di Berlusconi, riaprendo quella voragine dirappresentanza dei ceti medi e della borghesia, insomma della maggioranzamoderata degli italiani, che allora rimasero orfani della Dc e dei partiti laici delcentrosinistra (quello vero). In più, ci sarà - anzi, già c’è ora - una voraginealtrettanto grande a sinistra, visto che l’allora pur perdente «gioiosa macchinada guerra» di Occhetto valeva mille volte di più della «armata sgangherata»della sinistra di oggi. Dunque, due grandi serbatoi di voti, due mondi peraltroin via di mescolamento, che dovranno trovare un’offerta politica adeguata arappresentarli. Scettici? Non facciamoci ingannare dal risultato delle recentielezioni in Sardegna: oltre a essere un passaggio decisivo del processo di auto-distruzione del Pd, soprattutto esse rappresentano la certificazione del fattoche finora gli italiani «vedono» ma ancora non «sentono» la recessione, nelsenso che la percepiscono come pericolo - tant’è che si aggrappano aBerlusconi nella speranza che li difenda - ma non ne hanno ancora patito sullaloro pelle tutte le conseguenze, cosa che quando avverrà li indurrà a prender-sela con chi «comanda». Per questo sono dell’idea che i tempi dello show downsiano decisamente brevi e che pur sulle barricate di una recessione gravissimaverrà finalmente il momento per il Paese di mettere mano alla propria falli-mentare situazione. Infatti, non credo che la diga berlusconiana saprà resisterepiù di tanto, e l’uscita del Cavaliere da quel «mercato del consenso» di cui inquesti anni è stato insuperato (e purtroppo inutilmente imitato) protagonista,creerà le condizioni per passare davvero alla Terza Repubblica. E qui veniamo alla seconda questione: la creazione di un nuovo soggetto politi-co. È del tutto evidente che se lo scenario appena descritto si rivelasse fondato,esso aprirebbe spazi politici enormi per chi nel frattempo avesse guadagnatouna posizione terza rispetto ai due poli del fallimentare bipolarismo all’italiana.Certo, occorre mettere in campo una proposta forte e radicale, intorno allaquale costruire il lavoro politico di tutti coloro che si sentono impegnati alla«rifondazione» della politica italiana. Non ci si può permettere di esibire surro-gati che si dimostrano allo stesso tempo troppo vuoti (di contenuti) e troppopieni (di cesarismo, di personalizzazione della politica, di forzature istituzionali,e per di più regressive), bensì forze che pur nuove (come non esserlo, se molto

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Gli azionisti del nuovo soggetto politico, oltre all’Udc e alle diverse realtà del cattolicesimo liberale,potranno essere i socialisti, i repubblicani, i liberali di tutte

le diaspore, forze laiche e cattoliche provenienti dall’ex Margherita, ex Ds, Forza Italia...

deve cambiare) hanno nel loro dna la forma-partito e le regole di governancetipiche della democrazia. Ma rispetto agli anni scorsi, quando il bipolarismoall’italiana ha comunque chiuso tutti gli spazi, persino gli interstizi, fra pocosarà davanti a noi un’intera prateria, e questo renderà meno difficile il compitodi dar vita a un nuovo partito che dovrà essere un «partito nuovo». E qui vienela proposta - che torno ad avanzare dopo averla già lanciata nel recente passa-to, devo dire inutilmente - del «partito holding». Lo faccio non solo a titolopersonale, ma soprattutto a nome di Società Aperta, il movimento che ho fon-dato e presiedo, e che danni si batte per una Terza Repubblica che nasca daun’Assemblea Costituente e che per sconfiggere il declino dia vita a una stagio-ne politica di «grande coalizione». L’idea è semplice: creare una nuova forma-zione in cui tutte le forze esistenti - partiti, associazioni, fondazioni, movi-menti - interessate a quello che Pier Ferdinando Casini ha chiamato il «par-tito della nazione», possano federarsi senza per questo perdere la loro iden-tità e rinunciare alla loro autonomia. Questo consentirebbe a laici e cattolici, e alle loro diverse anime, di incon-trarsi intorno a un progetto rifondativo del paese, della sua democrazia,delle sue regole basilari, ma nello stesso di mantenere intatta la loro capa-cità di iniziativa e battaglia politica sui temi più propri alle rispettive radicipolitico-culturali. Per capirci, sulle tematiche etiche liberi tutti, mentre sulprogramma di governo - un grande «progetto Italia» che guardi all’esperien-za storica dell’asse De Gasperi-La Malfa - piena convergenza e assolutalealtà. Al primo lavoro ci penseranno i soggetti esistenti (o quelli che vorran-no costituirsi intorno a delle specificità), al secondo dovrà badare il partitoholding, che poi sarà quello che dovrà presentarsi alle elezioni e riscuotereil consenso di quei tanti, verosimilmente la maggioranza degli italiani, chesaranno politicamente orfani. E a chi obbietta che le questioni etiche sonofondamentali, rispondo che pur essendo temi molto sentiti, quando si trattadi votare alle Politiche i cittadini scelgono con altri criteri - come dimostrala storica marginalità parlamentare dei Radicali o il fallimento di operazioniclericali, come la lista Ferrara - riferibili ai temi economici o alla politicaestera. Da laico dico che tra il caso Englaro e il declino strutturale delpaese, non ho dubbi su cosa sia più importante per il futuro dell’Italia. Ma

[EnricoCisnetto]

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[EnricoCisnetto]

attenzione: il nuovo partito deve anche essere un vero «partitonuovo». Non possiamo permetterci «ricicli» e pasticci. Certo,mi rendo conto che un punto di partenza ci vuole, e che l’Udc- considerato che ha superato lo tsunami delle «elezioni dellasemplificazione» del 2008, e che si è efficacemente collocatoal centro del sistema politico - consente a Casini di mettersi abuon titolo alla testa di un complesso disegno di ristrutturazio-ne dell’intera geografia politica italiana. Ma un conto è coltiva-re questa ambizione, altro è riuscire a realizzarla. E per farce-la, l’Unione di Centro non basta. A parte il facile gioco dellesigle - sempre di Udc si tratta - francamente si fa fatica a com-prendere la differenza tra la «vecchia» Unione democratico-cristiana e la «nuova» Unione di Centro. C’è bisogno di moltodi più e di molto meglio. Ma siccome, nello stesso tempo, nonè utile il suo scioglimento a favore di qualcosa d’altro, né èpensabile che essa possa essere in grado di lanciare «opa» sualtre forze, né infine in questa fase ci sono il tempo e le condi-zioni per una «grande fusione» di forze diverse, ecco allora l’i-dea del «partito holding». Chi penso potranno essere gli azio-nisti di questa nuovo soggetto politico? L’Udc, ovviamente, ele diverse realtà del cattolicesimo liberale. E poi i socialisti, irepubblicani e i liberali di tutte le diaspore. Ma anche le forzelaiche e cattoliche dell’ex (?) Margherita, e le componentimaggiormente riformiste degli ex (?) Ds. Così come i settorinon di matrice aziendalista di Forza Italia (Pisanu, per fare unnome). Senza contare quelle realtà della società civile, acominciare da Società Aperta, che in questi anni hanno tenutoaccesa la fiammella della speranza che non tutto il Paese siomologasse all’italico bipolarismo straccione. Lo so, si tratta diun progetto difficile, complicato, fuori dagli schemi. Ma nonha alternative. Disegnarlo e avviarlo aiuta ad accelerare itempi di chiusura della Seconda Repubblica. Realizzarlo ècondizione indispensabile per aprire - finalmente - la TerzaRepubblica.

Piazza del Popolo a Roma vista dal Pincio

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IL BLOCCO E IL BOOM

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LA STAGIONEDEL CENTRISMO

E LE RESPONSABILITÀDELLA SINISTRA

U Mauro Canali U

L

La Cinquecento Fiat in un logo d’epoca.Nella pagina a fianco:Alcide De Gasperi in partenza per Parigi nel 1946

A STAGIONE DEL CENTRISMO, COME L’HA DEFINITA Francesco Malgeri in un bel saggio diqualche anno fa, è il decennio che dura dalle elezioni del 18 aprile 1948, con l’inaspettatasconfitta di comunisti e socialisti uniti, alla fine degli anni Cinquanta, con l’ingresso delPsi nell’area di governo, - «la stanza dei bottoni», come si disse allora, - preludio ai primigoverni di centro-sinistra. Sul piano politico furono anni di grande instabilità, mentre sulterreno economico e dello sviluppo civile si trattò di un decennio di progressiva e, allafine, robusta crescita che per definirne i ritmi politologi ed economisti sarebbero ricorsi altermine di «miracolo economico». Malgrado la drammatica cesura, imposta dalla guerrafredda, tra le forze politiche uscite alleate dall’esperienza resistenziale, con la cacciata deicomunisti dall’area governativa, e il conseguente inasprimento del clima politico e sociale,i partiti politici al governo, la Dc e i partiti laici minori (repubblicani, socialdemocratici eliberali) riuscirono ad avviare e attuare una politica di riforme che senza dubbio rese ilpaese più moderno e maggiormente legato a una dinamica di sviluppo di tipo europeo.Paul Ginsborg afferma che la politica «centrista» fece dell’Italia il paese dell’Europa meri-dionale «più integrato nelle strutture economiche, politiche e militari dell’Occidente», e,che «i frutti di queste scelte sarebbero divenuti sorprendentemente evidenti a partire dal1958», dove è chiaro il riferimento agli anni del «miracolo economico». Complessivamente tutta la sinistra, se ottenne indubbi successi nella mobilitazione dellemasse su temi strettamente politici, come la brutalità della polizia, la legge truffa, gliimpegni internazionali del governo, le battaglie contro l’ingresso dell’Italia nella Nato econtro l’istituzione della Ced, ecc…., uscì sconfitta dal confronto sui grandi temi dellaricostruzione e dello sviluppo, a cui non seppe fornire risposte e progetti adeguati al con-testo che in quel momento si offriva alle forze politiche. Il massimalismo ideologico, ina-

MEMORIE

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sprito dalle esigenze propagandistiche imposte dal clima della guerra fredda, impedì alPci e al Psi di prestare la necessaria attenzione ai profondi mutamenti e ai nuovi indi-rizzi che la politica delle classi dirigenti moderate stavano imprimendo ai vari settoridell’economia italiana. Non compresero, ad esempio, il valore che per lo sviluppo delMezzogiorno poteva avere la riforma agraria del 1950, che pure era stata oggetto neglianni 1944-45 dei decreti del ministro comunista Gullo, il quale aveva cercato di mette-re ordine al movimento spontaneo di occupazione delle terre in atto nel Centro-suddel paese. Nel 1949-50, mentre il Pci e il Psi continuavano a battere il tasto della rifor-ma basato sull’esproprio tout court delle terre incolte e sull’applicazione dell’imponibi-le di manodopera, il varo della riforma Segni, pur con tutti i suoi limiti, intaccava ilpotere dei latifondisti, creando, come ha scritto Castronovo, non solo «nuovi centri diaggregazione elettorale», ma anche nuovi centri «d’interesse fra i ceti contadini».Nascevano nuovi centri di potere sulle ceneri della vecchia classe egemone degli agrarie dei «galantuomini», radicandosi negli enti di riforma , nella Federconsorzi e nelleamministrazioni periferiche a cui veniva affidata la gestione del denaro che la riformaaveva cominciato a far affluire al Sud. Tutto ciò sfuggiva alla sinistra, ipnotizzata dalla necessità della condanna classista emassimalista di tutto ciò che veniva prodotto in campo riformatore dalle forze modera-te, e ferma alla ricerca dell’obiettivo massimo della fine del grande latifondo parassita-rio attraverso una vasta espropriazione con la mobilitazione diretta dei contadini e deibraccianti. Se le novità della riforma Segni sfuggirono al Pci, non sfuggirono natural-mente ai diretti interessati, i latifondisti, che, per reazione ai loro interessi lesi, non esi-

Il massimalismo ideologico peggiorato dal clima della guerra fredda impedì a Pci e Psi di capire i profondi mutamenti che la politica

delle classi dirigenti moderate stava imprimendo all’economia italiana

Sia la riforma agraria che la Cassa per il Mezzogiorno poterono attingere al fondo Erp del Piano Marshall e questo fu un motivo in più per l’ostilità

della sinistra che vi leggeva solo volontà di asservimento agli Usa

[Il bloccoe il boom]

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[MauroCanali]tarono a spezzare il patto con le forze politiche moderate, e a far pagare alla Dc il prez-zo della riforma Segni nelle elezioni del 1953 dove spostarono in modo massiccio i lorovoti più a destra, su monarchici e neofascisti. Ma al Pci sfuggirono anche le profonderipercussioni che la riforma aveva provocato in seno a fasce consistenti dei ceti conta-dini, che, invece di attendere la utopica liquidazione del latifondo, più realisticamentepresero a rivolgersi ai nuovi enti finanziari disponibili per l’acquisto anche di un fazzo-letto di terra da coltivare. Altrettanto inascoltate ripercussioni la riforma ebbe nei cetimedi meridionali, in seno ai quali stava ormai avvenendo una rivoluzione silenziosa, in

forza della quale la piccola e media borghesia tradizionale delle arti e delle professioniveniva progressivamente scalzata nella sua posizione centrale tradizionalmente occu-pata da nuovi ceti tecnici e impiegatizi nati dalla costruzione del complesso e ramifica-to apparato amministrativo-burocratico necessario all’attuazione della riforma. Allafine del processo le forze centriste avevano allargato la base del loro consenso socialeinglobando la nuova piccola e media borghesia, e dall’altra avevano finito per svuotaredi attendibilità le istanze «rivoluzionarie» della sinistra legata al movimento delle occu-pazioni e allo slogan massimalista della «terra a chi la lavora». Pur con tutti i suoi limiti la riforma agraria riuscì alla fine a distribuire in tutto 700 milaettari di terreni, che se si aggiungono ai 700 mila acquistati dai contadini tra il 1948 e il1956 grazie ai mutui agevolati concessi da un fondo speciale stanziato dal governo nel1948, si giungeva alla ragguardevole cifra di un milione e mezzo di ettari. I comunistis’accorsero tardi dell’enorme impatto che la riforma stava provocando sulla redistribu-zione dei rapporti di forza tra i ceti sociali meridionali, e se prima s’erano battuti control’attuazione della riforma, in seguito presero ad agitare strumentalmente contadini ebraccianti per la rigorosa attuazione di essa. Come osserva giustamente Ginsborg: «Icomunisti avevano guidato le agitazioni contadine, ma era la Democrazia cristiana cheportava a termine la riforma», che fu, conclude lo storico inglese, «senza dubbio ilprimo serio tentativo nella storia dello Stato Unitario di modificare i rapporti di pro-prietà in favore dei contadini poveri». La riforma agraria del 1950 venne qualche annodopo commentata, in una intervista alla Bbc, da Manlio Rossi Doria, uno studioso al disopra di ogni sospetto, il quale, pur sottolineandone i gravi limiti, riconosceva come

Sia la riforma agraria che la Cassa per il Mezzogiorno poterono attingere al fondo Erp del Piano Marshall e questo fu un motivo in più per l’ostilità

della sinistra che vi leggeva solo volontà di asservimento agli Usa

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Particolare ostilità fu riservata al Piano-casa Fanfani, forse perché catturavail consenso delle classi lavoratrici attraverso

il soddisfacimento di un bene primario

con essa i governi «centristi» avessero trovato il coraggio «diattaccare la grande proprietà fondiaria assenteistica, attorno allaquale si erano sempre barricati il conservatorismo e l’immobili-smo meridionali». Ma la riforma agraria non fu l’unica occasione in cui l’ideologiamassimalista dominante nella sinistra contribuì a non far ade-guatamente fruttare l’enorme patrimonio morale accumulatodalle classi lavoratrici con la Resistenza e con le lotte sociali del-l’immediato dopoguerra, un patrimonio che avrebbe potutoattingere a ben altri risultati per la generosità delle lotte condot-te dai suoi militanti e dirigenti locali, tra i quali le vittime dellareazione latifondista e mafiosa furono molte. La guerra fredda el’appiattimento del Pci sulle posizioni del blocco filosovietico

impedirono che alcuni fondamentali interessi delle masse avessero voce e rappre-sentanza politica negli importanti processi riformatori avviati dalle classi dirigentimoderate. Stessa sorte Pci e Psi riservarono alla istituzione, nel 1950, della Cassaper il Mezzogiorno, che sempre Rossi Doria definì «il contributo più importante alsuperamento dell’isolamento del Meridione, dai tempi delle costruzioni ferroviariedei primi decenni successivi all’Unità d’Italia». I principali settori da finanziareerano stati individuati nella irrigazione, bonifica, costruzione di strade, acquedotti,canali, insomma i secolari problemi in cui si dibattevano le popolazioni meridionali.Piuttosto che puntare direttamente sulla industrializzazione del Sud, i governi«centristi» preferirono privilegiare la costruzione delle infrastrutture. Lo stessoPaul Ginsborg, che pure si mostra assai critico verso il riformismo moderato, eattribuisce alla Cassa le principali responsabilità della mancata industrializzazionedel Meridione, invita tuttavia a non «sottovalutare l’estensione delle opere di infra-struttura costituite dalla Cassa». In un bel saggio, molto serio e intellettualmente onesto, La democrazia in Italia,Angelo Ventrone si spinge più in là dello storico inglese quando afferma che laCassa per il Mezzogiorno contribuì molto a ridurre la disoccupazione e a distribui-re in maniera più equa il reddito, consentendo l’ampliamento delle vie di comuni-cazione e della rete di distribuzione dell’energia elettrica, la costruzione di acque-

dotti e fognature, la bonifica dicentinaia di migliaia di ettari, l’ef-fettiva crescita del potere d’acqui-sto delle popolazioni interessate edei loro livelli di consumi. Sia lariforma agraria che la Cassa per il

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[Il bloccoe il boom]

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Mezzogiorno poterono attingere generosamente al fondo Erp del Piano Marshall,e questo fu un motivo in più per l’ostilità della sinistra, che, del tutto in sintoniacon l’azione propagandistica di Mosca, aveva condannato il Piano Marshall, efacendo mostra di ignorare gli accordi di Yalta e la progressiva occupazione daparte del regime staliniano dei paesi dell’Europa orientale, sostennero, non senzauna certa dose di ipocrisia, che il vero obiettivo di esso era l’asservimento delpaese agli Usa. Naturalmente, in sostituzione del Piano Marshall e dei capitali chesarebbero affluiti, non erano in grado di indicare alcuna soluzione alternativa senon una posizione, assolutamente impraticabile in quella temperie internazionale,di equidistanza in politica estera, che avrebbe significato di fatto una saldatura alPatto di Varsavia. Questo arrière-pensée relativo alle alleanze internazionali vennecamuffato con denunce dei guasti che stavano producendo gli organismi finanzia-ri nati grazie agli aiuti del Piano Marshall. Si sottolineò l’elefantiaco apparatoburocratico a cui la Cassa aveva dato vita, le sperequazioni di cui fu centro indi-scusso, l’occupazione di esso da parte delle forze di governo che ne fecero natu-ralmente un serbatoio elettorale, ma non ne vollero vedere gli aspetti innovativi,che pure vi erano, in primis il fatto inedito per la storia del nostro Mezzogiornorappresentato dalla concentrazione di un enorme flusso di denaro indirizzato allasoluzione di problemi che investivano popolazioni dimenticate sin dai tempi del-l’unità del paese; si negarono in seguito i dati positivi che alla fine del primodecennio di vita la Cassa poteva vantare al suo attivo, come l’aumento del tenoredi vita della popolazione meridionale, l’aumento del consumo di carne, energiaelettrica, mezzi di trasporto individuali, macchine agricole, concimi chimici, vanicostruiti. Senza trascurare il fatto che essa fece inoltre da volano alle industrie set-tentrionali, le quali, grazie alla forte richiesta di macchinari agricoli, e di beni legatialla costruzione delle infrastrutture che venivano dal Sud, avviarono un forte pro-cesso di ampliamento e di modernizzazione con l’introduzione di nuove macchinee tecnologie, e una maggiore specializzazione.Il Piano Tupini per le opere pubbliche dei Comuni e il Piano Fanfani per le case ailavoratori ebbero la stessa accoglienza da parte del radicalismo ideologico dellasinistra, cioè ostile in modo assoluto. Particolare ostilità venne riservata al Piano-casa Fanfani varato nel 1949, forse perché cercava in modo evidente di catturare ilconsenso delle classi lavoratrici attraverso il soddisfacimento di un bene per loroprimario, cioè la casa. Eppure a vararlo era un seguace di Giuseppe Dossetti, lea-der della sinistra cristiana in seno alla Dc, fautore di una politica sociale particolar-mente attenta alle esigenze delle masse, e assai vicino in molte battaglie politiche

[MauroCanali]Nella pagina a fianco: Amintore Fanfani con la moglie. A pagina 70, Antonio Segni con John Kennedy.

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alle posizioni della sinistra. Le critiche furono molteplici e talvolta assai pesanti e ariassumerle ci penserà lo storico dell’urbanistica Pier Luigi Cervellati, in un saggioapparso nel 1976: espansione edilizia selvaggia, assenza di piani regolatori, valoriz-zazione eccessiva della rendita fondiaria, deficit eccessivi dei comuni per la costru-zione delle necessarie infrastrutture. Tuttavia alla fine lo studioso non potrà negareche si trattò comunque «nei trent’anni considerati il momento più alto di produzio-ne edilizia pubblica», che collocava l’Italia in questo settore assai vicina a paesieuropei più progrediti come la Francia, la Germania e l’Inghilterra. Un altro risul-tato non irrilevante il riformismo moderato lo ebbe sul piano fiscale, con l’attuazio-ne della riforma Vanoni, un insieme di leggi varate tra il 1951 e il 1956, che intro-dusse un moderno sistema di tassazione, con l’esenzione per le fasce sociali piùdeboli, la riduzione delle aliquote fiscali, e con una lotta più decisa all’evasionefiscale rendendo obbligatoria la dichiarazione annuale dei redditi. Anche qui, lasinistra ne sottolineò i limiti, ma tacque sui vantaggi che la legge introduceva e chenon erano pochi: dagli accertamenti più facili alla possibilità per lo Stato di fareprevisioni più precise sulle proprie entrate con una ricaduta importante nel settoredel finanziamento degli interventi pubblici.Nel corso del decennio centrista la sinistra agitò lo spauracchio che in definitiva ilpaese si trovasse in una fase di decadenza e che dovesse essere salvato dal compor-tamento irresponsabile delle classi dirigenti moderate, equiparate con insistenzamartellante alla classe dirigente fascista, e asservite al capitalismo monopolistico.Tuttavia, nel 1984, Michele Salvati riassumeva i risultati ottenuti dai governi centri-sti negli anni Cinquanta definendoli «un capolavoro economico e politico». Allaluce di tutto ciò non ce la sentiamo di liquidare come di parte e fazioso il commen-to di Angelo Costa, allora presidente della Confindustria che osservava che «anchequando vengono presentati piani economici che hanno l’apparenza di essere

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[Il bloccoe il boom]

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costruttivi, la finalità politicaè così evidente che pur-troppo non consente unavera collaborazione nean-

che sui punti sui quali non esisterebbe contrasto di interessi neanche apparen-ti». Insomma la «doppiezza» togliattiana finiva per far pagare a tutta la sinistraun prezzo politico altissimo sul terreno della affidabilità democratica e sullacapacità di assunzione di responsabilità di governo nel rispetto delle regoledemocratiche. La stessa Cgil, a sua volta, fece poco per smentire il suo ruolo di«cinghia di trasmissione» del Pci, che rendeva impossibile il ripristino di quel-l’unità del proletariato infranta nel 1948 e che a parole e con frequenza ritualesi cercava sempre di ricomporre. Ma v’era un elemento ideologico moltoimportante che, tra i tanti altri, impediva il dialogo tra le diverse confederazio-ni sindacali, ed era un tema legato alla guerra fredda, cioè la forte subalternitàdella Cgil al modello di costruzione del socialismo in atto in Urss. Ha scrittoGinsborg che «nelle riunioni politiche o durante le occupazioni si proiettavanodocumentari sull’Urss e si diffondevano così le immagini famigliari del reali-smo socialista: operai eroici e muscolosi che maneggiavano pesanti macchine,donne che guidavano trattori, quote di produzione raggiunte e superate».Osserva sempre Ginsborg che il romanzo del 1935 di Ostrovski, Come si tem-prò l’acciaio, ebbe una larghissima diffusione tra gli attivisti sindacali. Questasubordinazione rendeva le proposte avanzate dalla Cgil e da Di Vittorio, anchequelle che si muovevano in una prospettiva laburista e neo-keynesiana, come ilgià citato Piano di Lavoro, inaffidabili e sospette agli occhi dei partiti di gover-no e della Confindustria. Ciò di cui soffrì il paese fu quindi l’assenza di unaforza politica autenticamente riformista, o per meglio dire la presenza di unaforza politica massimalista, il Pci, egemone nella sinistra, allineata a posizionifilosovietiche nell’aspra temperie della guerra fredda in atto. Da ciò derivò l’as-soluta inattendibilità presso consistenti fasce di ceti medi e di classe operaiadelle sue proposte riformistiche. Il netto schierarsi con Mosca determinò laghettizzazione del sindacato e del partito che di più rappresentavano le masseoperaie, e ciò favori la sterilità delle loro proposte anche le più interessanti.Tale situazione finì per consegnare i compiti riformatori a una classe politicamoderata, quella dei partiti centristi al governo, che non poteva certo sostituir-si al riformismo d’ispirazione socialista, ma che tuttavia cercò di raccogliere ereinterpretare come poteva, in chiave modernizzatrice, molti delle suggestioniprovenienti dallo sforzo progettuale social-comunista.

[MauroCanali]L’Italia ha sofferto l’assenza di una forzaautenticamente riformista. Un compito che si assunse la classe politica moderata,raccogliendo molte suggestioni d’ispirazione socialista

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Atutti gli uomini liberi e forti, che in questa grave ora sentono alto il doveredi cooperare ai fini supremi della Patria, senza pregiudizi né preconcetti,facciamo appello perché, uniti insieme, propugnino nella loro interezza gli ideali di giustizia e di libertà”

Luigi Sturzo

L’Italia ha bisogno di una profonda rigenerazione politica e morale. Ègiunto di nuovo il tempo di fare appello alle migliori energie dell’Italia, allo slan-cio delle donne e degli uomini liberi, alla responsabilità delle donne e degli uomi-ni forti, per determinare una grande svolta nel futuro della nazione. Novanta annidopo l’atto di coraggio di Luigi Sturzo, un nuovo coraggioso impegno è richiesto

[il documento]

“È TEMPO DI RIMETTERSI IN CAMMINO.CON IL CORAGGIO DEI LIBERI E DEI FORTI”

UNIONE DI CENTRO

MANIFESTOPER UNA NUOVA ITALIA

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[FerdinandoHillmann]a chi crede nel valori della giustizia e della libertà.

Perciò nasce l’Unione di Centro. Per proporre una nuova casa politica atutti i popolari, i liberali, i moderati e i riformisti italiani che avvertono con preoccupa-zione il vuoto etico e politico sul quale si basa l’attuale sistema dei partiti. La cosid-detta Seconda Repubblica è fallita. Non ha saputo ricostruire il corpo e l’anima dellanostra democrazia. Non ha creato le basi di un nuovo patto istituzionale tra gli italiani.

Quando, negli anni Novanta, crollò il vecchio sistema, quattro erano legrandi questioni che giustificavano la transizione verso un nuovo tempo dellaRepubblica: 1) La questione istituzionale, già posta alla fine degli anni Settanta,affrontata lungo il corso degli Ottanta e infine riproposta dall’illusione referendaria. 2)La questione giudiziaria, parte essenziale della questione istituzionale, esplosa dram-maticamente in un inedito, radicale e pericoloso conflitto con la politica di settoridella magistratura, dei media e dell’opinione pubblica. 3) La questione dell’unitànazionale e del sistema delle autonomie, nell’incombente rischio di una nuova fratturastorico-sociale tra Nord e Sud. 4) La questione della modernizzazione economica,sentita come ineludibile, in tutti i campi della vita pubblica, per ricollocare l’Italia insintonia con le esperienze più avanzate dell’Occidente.

Ebbene, tutte queste questioni sono ancora davanti a noi, irrisolte; anzi,incancrenite dal tempo perduto. Abbiamo ormai alle spalle quasi un ventennio spreca-to. Le pochissime realtà riformate (Regioni, Comuni, legge elettorale) lo sono state

seguendo suggestioni del momento o logiche di conve-nienza, fuori da un omogeneo progetto nazionale. E cosìsi continua ancora oggi, tentando di piegare leggi eletto-rali e nodi istituzionali agli interessi di parte.Bisognerebbe trovare le sedi e gli strumenti per soluzionilargamente condivise. Il panorama è stato invece domi-nato da una sorta di guerra civile ideologica.

Il risultato è che la cosiddetta Seconda Repubblica hafinito per mettere in archivio i concetti di “interessegenerale” e di “bene comune” che sono invece il fonda-mento di ogni democrazia. Ha offuscato la partecipazio-ne popolare alla vita pubblica trasformando il consensoin audience, le strategie politiche in surrogato quotidiano

[il documento]

Una nuova casa per chi avverte

con preoccupazione il vuoto politico

su cui si basa l’attuale sistema

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[FerdinandoHillmann]dei sondaggi, i partiti in clan elettorali dei leader e, infine, ciò che è più grave, ilParlamento in una sorta di “ente inutile”, pura cassa di risonanza dell’Esecutivo. Nonè questa la modernità politica che gli italiani pretendevano. Fingendo di costruire una“democrazia degli elettori” si è, in realtà, dato vita ad una soffocante “democraziadelle oligarchie”. Questo è il vero volto dell’Italia nel primo decennio del XXI secolo.

Per questo nasce l’Unione di Centro. Per aprire un nuovo tempo dellaRepubblica. Per ricostruire i valori fondativi della democrazia italiana: l’interessenazionale e il bene comune come esclusiva finalità dell’agire politico. La competenza,lo spirito di servizio, il senso dello Stato come modello di selezione della classe diri-gente. Il ruolo dei “corpi intermedi” nella gestione della cosa pubblica. La partecipa-zione popolare come motore della vita associata. Il dovere di “guidare” eticamente epoliticamente il Paese, al di là delle effimere rilevazioni statistiche del consenso. Lademocrazia nei partiti e nei sistemi elettorali come unica garanzia di libertà per tuttigli eletti e per tutti i cittadini. La centralità del parlamento come sede legittima dellaformazione dell’interesse pubblico. Fuori da questa “cornice di valori” nessuna demo-crazia può avere futuro.

L’Unione di Centro, partita dall’incontro tra l’esperienza storica dell’Udccon nuove realtà di movimento come la Rosa per l’Italia, i circoli liberal e i Popolaridemocratici, forte dei due milioni di consensi che, nelle elezioni del 2008, le hannopermesso di resistere all’illusione del “voto utile”, nasce per proporre ai cittadini ita-liani di tutti gli schieramenti che vivono il disagio del finto bipartitismo, al mondo delvolontariato e dell’associazionismo laico e cattolico, un grande progetto politico: l’o-rizzonte di un nuovo partito popolare e liberale di governo.

L’unità politica dei cattolici è formula che appartiene ad altra e superatastagione storica. Ciò però non vuol dire che tutti coloro che si riconoscono nell’ispira-zione cristiana debbano necessariamente accettare la “diaspora” come condanna inap-pellabile della storia dei cattolici italiani, come se dovesse essere obbligatorio viverein “partibus infidelium”, e non possano invece ritrovarsi in una stessa casa politica, sela cornice identitaria e programmatica corrisponde ai loro valori.

Ma non è certo questo il tempo di “rifare la Dc”. Il passato è il nostrotesoro di esperienza e di saggezza. Ma il presente e il futuro ci chiedono di aprireun diverso tempo politico. Il tempo di un nuovo soggetto nel quale i popolari, iliberali, i riformisti, i moderati di tutte le aree politiche riscoprano insieme la via

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maestra del Centro come luogo sempre essenziale per il governo.

C’è un popolo cristiano che guarda alla politica con diffidenza, ma che sache solo attraverso la politica può ottenere risposta alle sue esigenze. C’è un popololaico che non si riconosce più nelle posizioni laiciste e che sente giunta l’ora di intra-prendere nuovi sentieri.

È giunto dunque il momento di aprire una nuova storia politica. Non un“terzo polo” di risulta tra due immutabili giganti bipolari, ma un’offerta politica, digoverno, di partecipazione democratica del tutto nuova, che nasca dalla “rottura”del finto bipartitismo, pericolante esito del fallimento della cosiddetta SecondaRepubblica. Un centrosinistra che metta insieme tutto, dall’estrema sinistra al centro,così come un centrodestra costruito con analoga disomogeneità non sono stati e nonsaranno mai in grado di governare, nella stabilità, l’innovazione.

L’Italia di oggi è malata di immobilismo, mentre tutt’intorno il mondocambia e prepara, a cominciare dagli Stati Uniti, l’avvento di una nuova era. Noisiamo fermi. La grave crisi economica internazionale mette in discussione la tenutadel nostro patto sociale e denuncia come ormai intollerabili le arretratezze del nostrosistema istituzionale ed economico. Il deficit di valori che colpisce soprattutto le gio-vani generazioni sta facendo nascere un vero e proprio allarme sulla tenuta etica dellanostra società.

Non c’è più tempo da perdere. Non c’è più tempo per pigrizie, per paure,per coltivare piccole rendite di posizione. È tempo di rimettersi in cammino. Con ilcoraggio dei liberi e dei forti.

PARTITO DI VALORI FORTI

L’Europa del XX secolo ha incredibilmente cercato di uccidere se stessa,dando corpo ai mostri del nazismo e del comunismo, e permettendo l’affermarsi delpiù grande tentativo di annullamento delle culture basate sulla centralità della persona:il cristianesimo, il liberalismo, l’ebraismo. Se il XXI secolo vuole davvero chiuderecon gli orrori del Novecento non basta dunque che si dichiari nemico di ogni dittatura.Occorre che torni a innalzare, come valori forti e positivi della sua identità, proprioquelle filosofie che i totalitarismi intendevano annichilire, in primo luogo il cristiane-

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simo e il liberalismo. Questi sono i valori forti dell’Occidente, questi sono i valoriforti dell’Europa, questi sono i nostri valori forti.

Nella storia politica europea e italiana una tradizione sulle altre ha saputoelaborare la sintesi più convincente di cristianesimo e liberalismo: il popolarismo.Perciò noi intendiamo muoverci nel solco di questa grande strada, partecipi come giàsiamo della grande famiglia del Ppe, coscienti come vogliamo sempre essere che que-sto cammino è illuminato da due stelle polari: la Libertà e la Solidarietà. Stelle chepossono guidare una nuova grande alleanza tra popolarismo e modernità, orientandoi rapporti tra i singoli individui, tra impresa e Stato, tra le diverse categorie e le classisociali, tra le nazioni nell’arena della globalizzazione mondiale.

Centralità della persona, tutela della dignità e dell’integrità della sua vita.Centralità del diritto naturale contro ogni abuso della Politica, dell’Ideologia, dellaScienza. Centralità della famiglia come cellula fondamentale della conservazionedella specie e dello sviluppo materiale e morale della società. Centralità della sussidia-rietà come principio regolatore di un corretto rapporto tra Stato e Società. Centralitàdell’equilibrio tra economia e natura come dovere umano per governare con saggezzal’ambiente ricevuto in dono. Centralità della libertà come unica garanzia per poterraggiungere sempre più alti livelli di pace nel mondo.

Proprio perché siamo un partito di ispirazione cristiana e liberale, ci bat-tiamo con convinzione per difendere, in ogni circostanza, la laicità dello Stato e lareciproca autonomia tra Chiesa e potere politico. La netta separazione tra gli affari diDio e quelli di Cesare appartiene all’essenza stessa della nostra civiltà e deriva, delresto, dall’ispirazione cristiana. Essa è la chiave di volta della convivenza umana perogni democrazia liberale.

Il fatto che su questi temi continuino a prodursi infinite polemiche pubbli-che deriva da una infelice confusione culturale. Una cosa infatti è il rapporto di sepa-razione tra Chiesa e Stato, che non sembra davvero nel mondo occidentale contestatoda nessuno. Altra cosa è il rapporto tra la democrazia e i suoi valori fondativi che illaicismo nega, proponendo una visione relativista della vita pubblica, nella quale ognivalore viene messo sullo stesso piano. Non è così. Il valore del primato della Personarispetto allo Stato, alla Razza, alla Classe, alla Scienza, il valore dell’inviolabilità dellasua vita, della sua dignità e della sua libertà, il valore del diritto naturale, sono valoriuniversali, codici fondativi delle democrazie liberali. Se le nostre società smarrissero

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il carattere universale, e dunque non relativo, dei valori che le hanno fondate, sediventassero “società indifferenti”, perderebbero ben presto la loro anima e, neltempo, decadrebbero come foglie morte.

Il politico laico - e dunque non laicista - non può che orientarsi intornoa questo schema binario: rigorosamente autonomo deve essere il rapporto tra laChiesa e lo Stato, tra la Politica e la Religione. Assolutamente condiviso deve esse-re, invece, quello tra la Democrazia e i suoi Valori di fondazione.

PARTITO APERTO E DEMOCRATICO

Quale che sia il giudizio sui vecchi partiti, neanche i più disinvolti pro-tagonisti dell’antipolitica hanno il coraggio di teorizzare (neppure quando la prati-cano) che sia possibile una democrazia senza partiti. Eppure è proprio questo ilrischio di fronte al quale si trova oggi l’Italia.

In seguito alla lunga consunzione degli storici insediamenti politici(già prevista da Aldo Moro) e, poi, alla loro traumatica scomparsa, la politica ita-liana avrebbe dovuto procedere ad un serio lavoro di ricostruzione: dei fondamentiidentitari, spiazzati dai mutamenti dell’assetto geopolitico mondiale; della formapartito per renderla adeguata ai nuovi sistemi di comunicazione e alle mutatecaratteristiche della partecipazione; dei meccanismi di selezione della classe diri-gente, accertato l’esaurimento delle tradizionali sedi di formazione. In una parola,c’era bisogno di un’evoluzione del pensiero politico per individuare la strada dinuovi partiti di massa del XXI secolo. Più leggeri ma non meno radicati, più velo-ci ma non meno democratici.

Viceversa abbiamo assistito ad un generale decadimento del pensieropolitico. Così, tra i vecchi partiti tramontati e i nuovi partiti necessari, sta vincendola pragmatica e sbrigativa soluzione del non-partito. Le conseguenze sono sotto inostri occhi: la decadenza della qualità della rappresentanza parlamentare; la sele-zione delle classi dirigenti affidata a meccanismi casuali, oligarchici e padronali;l’assenza di sedi reali del dibattito politico e culturale, l’aggravarsi della crisi trarappresentanza e territorio.

La necessità di dotarsi di leader capaci di significative suggestioni sim-boliche, circostanza certamente normale per ogni democrazia moderna, ha finito,

[il documento]

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in questo quadro, per determinare l’avvento di un leaderismo senza partiti, fenomeno invece assaianomalo in tutto il mondo occidentale.

Il fallimento della cosiddetta Seconda Repubblica, evidenziato dalla crisi del bipolarismopoggiato su due coalizioni eterogenee e perciò stesso ingovernabili, è stata finalmente riconosciuta inoccasione della campagna elettorale del 2008. Ma la soluzione trovata, quella del finto bipartitismo,ha peggiorato la situazione.

Sono nati in realtà due nuovi cartelli elettorali: il Pdl generato da una fusione pubblicita-ria tra Forza Italia e An, ed il Pd fondato su una fusione “a freddo” tra Margherita e Ds. Entrambihanno impostato la loro strategia sul presupposto che una semplificazione brutale del quadro politi-co rappresentasse la panacea per rimediare agli errori dei quattordici anni precedenti. Ridurre ilnumero dei partiti era certamente una necessità, ma forzare il sistema verso un “artificiale bipartiti-smo” è stato ed è un disegno sciagurato. Perché è del tutto evidente che ciò impone sia al Pdl che alPd un doppio salto mortale: da una parte un’autoritativa restrizione del pluralismo politico e culturaledel Paese e, nel contempo, una significativa contrazione degli spazi della propria democrazia interna.

Il bi-leaderismo senza partiti ha una sola inevitabile conseguenza: la trasformazione dellademocrazia in oligarchia.

L’Unione di Centro nasce per scongiurare questo rischio superando il finto bipartitismo.E lancia una sfida politica e organizzativa. Vogliamo essere un partito moderno, leggero, rapido nelledecisioni, all’altezza delle nuove esigenze della comunicazione, ma allo stesso tempo non vogliamorinunciare a quella che consideriamo l’essenza stessa dellapolitica: il contributo ideale dei militanti e dei simpatiz-zanti, la formazione culturale delle classi dirigenti, la pos-sibilità di ricambio dei leader attraverso la democraziainterna.

Non vogliamo essere un partito di apparati e ditessere, ma un partito della società. Pensiamo sia giuntal’ora di immaginare un modello organizzativo che, accan-to al ruolo sempre decisivo degli iscritti, sappia dare vocee diritto di rappresentanza anche ai movimenti d’opinione,alle associazioni sociali e civili, agli istituti culturali che simuovono nell’area popolare e moderata. Si tratta dicostruire una forma-partito che consenta anche a questi

Il rischio che correl’Italia

di oggi è quello

di vivereuna democrazia

senza partiti

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[il documento]centri di partecipare alla vita quotidiana del partito, e alle sue campagne congressualied elettorali, garantendo una presenza permanente che caratterizzi l’Unione di Centrocome un partito aperto e in costante riferimento dialettico con la società.

Con particolare interesse guardiamo, ovviamente, a tutte quelle realtà diassociazionismo e volontariato cattolico e laico, che operano con spirito di servizionella società italiana e alle quali rivolgiamo un appello perché partecipino alla nostrasfida, con l’autonomia della loro elaborazione ma anche con la consapevolezza di unacondivisione progettuale.

Sono proprio i giovani presenti in questi movimenti che possono dar vita aquella che è stata evocata come una “nuova generazione di politici cattolici”. Sono leloro idee e il loro entusiasmo, che hanno animato le grandi giornate della gioventù, apoter fermare l’inaridimento di valori del tempo che viviamo. È la loro freschezza chepuò sconfiggere il nichilismo morale e politico che l’Unione di Centro vede come ilprimo nemico di una società “a misura della persona”.

Vogliamo essere dunque un partito nuovo. Un partito nazionale e, insie-me, un partito delle autonomie, fondate sulla sussidiarietà che esprime, proprio attra-verso una selezione vera sul territorio, un gruppo dirigente in grado di catturare unaforte attenzione nell’opinione pubblica. Un partito con un nucleo centrale snello e piùimpegnato nell’elaborazione politica che non nel controllo verticistico delle sue ema-nazioni locali. Un partito forte al centro e radicato in periferia. Un partito sempreattento alla dimensione sociale. Un partito flessibile, capace di appassionare i giovaniper la sua generosità ideale e non di respingerli per la sue chiusure burocratiche. Unpartito con un forte e riconosciuto leader, non un partito del leader. Un partito di servi-zio, non un partito padronale.

PARTITO DELL’EQUILIBRIO ISTITUZIONALE E DELLA RESPONSABILITÀ NAZIONALE

Il passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica è avvenuto perforza d’inerzia, in un processo confuso e superficiale. Le spinte referendarie nonsono state accompagnate da alcun progetto condiviso di riforma. Il ripetuto falli-mento delle diverse Commissioni Bicamerali ha certificato l’impotenza delle nostreclassi dirigenti. L’ipotesi di eleggere un’Assemblea Costituente è stata sempre fret-

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tolosamente scartata. Il risultato è che i ripetuti “strappi” prodotti sulla legge eletto-rale e sulla seconda parte della Costituzione ci hanno consegnato un sistema con-traddittorio, nel quale il rapporto tra i diversi poteri non poggia più su alcun razio-nale equilibrio. Viviamo in una sorta di “presidenzialismo di fatto” senza aver ridi-segnato il sistema di bilanciamento dei poteri. Un’assurda anomalia politica e isti-tuzionale: assai pericolosa per la tenuta della democrazia.

L’Unione di Centro nasce per fare dei temi dell’equilibrio istituzionale edella responsabilità nazionale le proprie bandiere. Fuori da ogni logica di parteoccorre ripensare l’intera architettura dello Stato, per ricomporre un quadro coeren-te, funzionale e moderno della nostra convivenza pubblica.

La Prima Repubblica ha privilegiato la questione della rappresentanza.La Seconda il momento della decisione. È giunto il tempo di trovare un nuovoequilibrio capace di realizzare un efficace bilanciamento tra le due esigenze,entrambi irrinunciabili.

Nella Prima Repubblica avevamo un sistema rigido nelle regole del tor-neo (l’alternanza era consentita solo in riferimento agli schieramenti internazionali)e flessibile nello schema di gioco (la dialettica tra le correnti dc e gli alleati, e perfi-no il consociativismo, funzionavano come correzione permanente del potere). Quelsistema finì per produrre un’instabilità cronica, quasi un governo ogni anno, e sirivelò non più adatto a gestire la modernità. Oggi soffriamo l’errore opposto: unsistema flessibile nelle regole del torneo (c’è l’alternanza) ma espressione di un’e-strema rigidità, quasi militare, nello schema di gioco. Una volta che uno schiera-mento ha vinto le elezioni non c’è più alcuna possibilità di correzione parlamentaredel potere, di condivisione di progetti di interesse nazionale, di adeguamento delgoverno ai mutamenti della società. Si tratta di una sorta di bipolarismo leninista.Anacronistico e antimoderno.

È l’era della flessibilità. La chiediamo a tutti gli attori sociali: eppure lapolitica resta vittima di un’artrosi sistemica ancora più evidente di quella del passa-to. Tanto per fare un esempio macroscopico: a noi non è consentita, se anche itempi lo suggerissero, la flessibilità di un governo di Grande Coalizione come inGermania.

Il principale ostacolo alla flessibilità del sistema è la forzosa introduzio-

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[il documento]ne del premio di maggioranza su un sistema proporzio-nale. Si obietta che eliminarlo significherebbe aumentarela frammentazione politica e tornare a negare ai cittadinila scelta “diretta” dei governi. Non è vero. Una purmodesta soglia di sbarramento è in grado di ridurre acinque-sei i soggetti parlamentari. Ed è solo un pregiudi-zio l’idea che ciò che si chiama “modello tedesco”,debba inevitabilmente riportarci al passato, quando igoverni si componevano dopo il voto.

L’Unione di Centro ritiene che gli elettori debbanopoter scegliere le alleanze di governo prima del voto.Ma tali alleanze non possono essere il frutto di una pie-

trificazione del sistema politico. Le diverse aree politiche del Paese debbono esserelibere di proporre ai cittadini, di volta in volta, le alleanze che ritengono più adattealla fase politica, facendo davvero prevalere i programmi sugli schieramenti.Guadagnandosi la maggioranza dei seggi solo se gli elettori gliela concedono.Senza alcun premio. E confrontandosi poi, liberamente, in Parlamento con tutte lealtre forze politiche.

La differenza con l’oggi di un modello proporzionale senza premio dimaggioranza non starebbe dunque nella rinuncia a proporre leader e governi primadel voto. Starebbe invece nella liberazione dalla rigidità di un bipolarismo fondatosull’eterno scontro destra-sinistra, categorie otto-novecentesche che non corrispon-dono più, se non genericamente, alle domande delle società moderne.

Il vero valore della nostra modernità politica non è il bipolarismo. È lademocrazia dell’alternanza. L’Italia moderna deve proteggere questa seconda, nonil primo. Dobbiamo garantire il ricambio del potere, e la scelta preventiva, da partedegli elettori, dei partiti e degli uomini che debbono governare. Ma questo puòavvenire anche con un sistema tripolare o quadripolare. Il bipolarismo è solo unadelle forme possibili di governance. La democrazia dell’alternanza è la sostanza.

Partendo da questo chiaro orizzonte politico è possibile ridisegnare,secondo un progetto razionale, l’architettura dello Stato facendosi guidare da unasola grande priorità: la centralità del Parlamento e di tutte le assemblee elettive.Perfino nei più consolidati sistemi presidenziali il ruolo delle assemblee nazionali è

La prima repubblica

ha privilegiato la rappresentanza,

la secondala decisione.

Occore un nuovoequilibrio

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decisivo. Nell’Italia della Seconda Repubblica si assiste invece ad una inquietanteespropriazione di sovranità delle Camere.

È necessario accrescere i poteri del premier ma solo se, nel contempo, sidefiniscono con precisione le prerogative delle assemblee elettive che debbonoessere dotate di un potere di veto rispetto all’esecutivo. Si può prevedere, ad esem-pio, che su alcune materie di rilevante interesse nazionale, siano necessarie mag-gioranze qualificate. Ciò impedirebbe la “dittatura dei decreti” in auge da alcunianni e costringerebbe governi e opposizioni a collaborare, ricercando le soluzionimigliori per il Paese, con spirito di responsabilità nazionale.

Intorno a questa idea-forza vanno unificati i diversi sistemi elettorali ele diverse forme di governo, dai Comuni alle Regioni: laddove è sempre più evi-dente la crisi delle assemblee elettive e la trasformazione del ruolo di governatorein una sorta di vicerè, sciolto da ogni controllo, sotto il quale proliferano, assaispesso, burocrazie sprecone e inefficienti. Anche il possibile federalismo va lettodentro questo orizzonte: può essere un traguardo positivo solo se non si trasformain una scissionistica moltiplicazione dei centri di spesa.

Il potere legislativo che è il caposaldo della democrazia parlamentare èstato negli ultimi decenni aggredito da due versanti: dal potere esecutivo che hatentato di attribuirsene le prerogative istituzionali e dall’ordine giudiziario che haoperato come una sorta di “contropotere”. L’equilibrio dei poteri voluto dai PadriCostituenti è saltato. Si tratta di ricostruirlo uscendo dalle contrapposizioni forzate.Per riuscirci la via è una sola: recuperare il primato del potere Legislativo, siarispetto all’Esecutivo che al Giudiziario.

L’unione di Centro nasce per sottoporre al Paese l’urgenza di prendereatto del fallimento della Seconda Repubblica e di aprire un nuovo tempo dellanostra storia nazionale: una Terza Repubblica che si lasci alle spalle il pressappo-chismo, la faziosità, lo strapotere delle attuali oligarchie e riscriva, con serietà ededizione, in modo condiviso, le regole della nostra vita pubblica.

Il nuovo equilibrio della Repubblica deve favorire la soluzione dellaquattro grandi questioni aperte dall’inizio della transizione, quella istituzionale,quella giudiziaria, quella dell’unità nazionale e delle autonomie territoriali, quelladella modernizzazione economica.

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[il documento]Occorre un Nuovo Inizio. L’Italia ha bisogno di un nuovo “patto demo-

cratico”. Tutto il tempo che si perderà prima di aderire a questa necessità saràtempo rubato al futuro del Paese.

PARTITO EUROPEISTA E OCCIDENTALE

L’Italia, grazie alla lungimiranza di Alcide De Gasperi, ha scelto dientrare nel novero dei Padri Fondatori dell’Unione Europea. È una scelta da cuinon si può tornare indietro. Al contrario, sentiamo come nostro dovere lavorare perimprimere un’ulteriore accelerazione al processo di unificazione, riprendendo ilcammino di approvazione della Carta Costituzionale europea.

Lavoriamo affinché l’Unione europea diventi un soggetto politico uni-tario, protagonista della scena mondiale. Raggiunto l’obiettivo della moneta unicae della riunificazione politica tra Ovest e Est si può far più vicino il sogno deiPadri Fondatori: un continente unito che sia visto come un’affidabile sponda didialogo verso quei Paesi del mondo islamico che vogliono incamminarsi lungo lavia della democrazia e come un partner affidabile dell’unica democrazia liberalepresente nell’area del Medio Oriente: quella d’Israele. E più in generale come pro-tagonista di una nuova cooperazione di tutta l’area del Mediterraneo.

L’auspicabile autonomia dell’Europa non può certo essere interpretatain modo antagonista nei confronti degli Stati Uniti ma, al contrario, come la levaper assumere nel mondo precise responsabilità politiche e militari rispetto ai temidella sicurezza globale cui finora l’Europa non è stata in grado di attendere, sem-pre facendo conto sulla forza di Washington.

Del resto, De Gasperi, Adenauer e Schumann ci hanno insegnato cheEuropa e Stati Uniti rappresentano le due facce di un’unica storia di civilizzazio-ne e di libertà. Questa comune consapevolezza salvò prima il mondo dal totalita-rismo nazista e poi contribuì al crollo di quello comunista. Un ritorno indietro daquesta chiave di volta dell’assetto geopolitico del pianeta segnerebbe un passoindietro della storia del mondo. Perciò un eventuale isolazionismo americanorispetto all’Europa sarebbe un gravissimo errore strategico. Così come un ipoteti-co isolazionismo europeo rispetto a Washington, magari per avvicinarsi allaRussia di Putin, segnerebbe l’inizio di un’autentica decadenza politica, economi-

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ca e culturale del vecchio continente.

Una stretta alleanza di intenti tra Europa e Usa, fatta di reciprocorispetto e capacità d’ascolto, è decisiva anche per riuscire a coinvolgere il maggiornumero di Stati possibile in un nuovo patto di collaborazione planetaria. L’Onu èla sede più importante del dialogo tra gli Stati, ma non sempre è stata in grado,nel recente passato, di svolgere un ruolo positivo nella soluzione delle controver-sie. In ogni caso le nuove sfide della globalizzazione, il ruolo della finanza, ilgoverno dell’ecosistema, la lotta al terrorismo e le politiche di sicurezza, la tuteladei diritti umani, i limiti e gli sviluppi delle biotecnologie, l’allarme povertà,richiedono la definizione di una nuova Carta dei diritti e dei doveri del XXI seco-lo da far sottoscrivere alle principali potenze, per condividere alcuni valori difondo nella governance del pianeta.

Europa e Usa, nell’ambito di tutte le organizzazioni internazionali, pos-sono essere i principali promotori di questa ineludibile necessità. Il multilaterali-smo è il giusto metodo da seguire. Ma, appunto, è solo un metodo: la cosa piùimportante è condividere gli stessi contenuti. Altrimenti il multilateralismo diven-terebbe solo una formula rituale per sancire l’esistenza di veti contrapposti e, diconseguenza, l’impotenza della politica mondiale.

Per l’Unione di Centro la parola pace rappresenta un valore supremo euniversale. Ma seguendo l’insegnamento della Pacem in Terris, sappiamo che inassenza della Libertà, della Verità, dell’Amore e della Giustizia non si dà verapace. Pace e Libertà, dunque sono due concetti gemelli: simul stabunt, simulcadent. La pace senza libertà diventa solo una parola-totem, un feticcio senz’ani-ma, uno scudo talmente generico da risultar valido anche per chi esercita violen-za, oppressione e ingiustizia. C’è pace, infatti, anche sotto la cappa di piombodelle dittature.

La medesima etica della responsabilità ci guida anche nell’affrontare lequestioni dell’integrazione multirazziale e il dialogo con le altre civiltà. Noi siamoconvinti che l’“interculturalismo” sia un destino inevitabile delle nostre terre eanche un’occasione di crescita per le nostre società. Ma non siamo affatto convintiche esso debba dar luogo da parte nostra ad una sorta di abdicazione identitaria.

La nostra è una cultura dell’accoglienza, della solidarietà, della tutelauniversale della dignità umana. Perciò ci opponiamo con fermezza ad ogni diffi-

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[il documento]denza xenofoba. Nello stesso tempo vogliamo che l’Italiae l’Europa tornino a coltivare l’amore per la propria iden-tità, per la propria storia e la propria etica pubblica, l’af-fetto per la nostra religione, tutte cose che negli ultimidecenni sembrano essere state smarrite. Perché senzaamore e rispetto per se stessi non è possibile alcun verodialogo. L’amore per l’altro, lo spirito di amicizia e dicomprensione, la ricerca dell’integrazione devono coniu-garsi con una permanente e convinta richiesta di recipro-cità. Anche di fronte ai massicci fenomeni di immigrazio-ne, la generosità verso chi cerca la nostra terra come spe-ranza di futuro è doverosa. Ma altrettanto doveroso è pre-tendere rispetto per la nostra cultura, la nostra religione,

le nostre tradizioni, le nostre leggi. Questa è l’unica via maestra per provare acostruire dialogo e solidale convivenza.

I profondi cambiamenti in atto nella società richiedono dunque un “dop-pio movimento”: la più ferma determinazione a difendere la sicurezza nelle nostrecittà e nelle periferie e uno sforzo altrettanto deciso per garantire nuove forme diintegrazione dei lavoratori stranieri e delle loro famiglie. Finora l’oscillazione dellasinistra e della destra tra accoglienza facile senza regole e durezza ideologica ai con-fini della xenofobia, non solo non ha risolto il problema, ma lo ha persino aggravatocaricandolo di irrazionali emotività. Anche su questo argomento il “partito dell’equi-librio” è l’unico vincente.

PARTITO DELLA MODERNIZZAZIONEDIECI PROPOSTE CONTRO IL DECLINO

L’Italia è ormai da due decenni il Paese del “riformismo bloccato”. NellaSeconda Repubblica i roboanti impegni di innovazione assunti sia dalla destra chedalla sinistra sono il più delle volte naufragati nell’impotenza. Così, anno dopo anno,lo spettro di un grave declino storico del nostro Paese si è fatto sempre più incom-bente.

All’impotenza politica si è accompagnata la confusione culturale. Si èpassati dalla declamazione della “rivoluzione liberale” alla teorizzazione di un

L’economiasocialedi mercato resta la più

efficace dottrina di governo

delle società occidentali

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“nuovo statalismo” con spensierata spregiudicatezza. Gli stessi protagonisti che untempo si facevano paladini del “più mercato-meno Stato” oggi sono i principali fandella tesi opposta “meno mercato-più Stato”. Non si può governare un grande Paesecon tale superficiale volubilità di visione del mondo. L’economia sociale di mercatoresta per noi, non solo a parole, la più efficace dottrina di governo delle società occi-dentali. Essa propone da sempre un orizzonte assai chiaro: “più mercato” (per accre-scere la ricchezza) e “più Stato” (quando è necessario per riequilibrarla).

Questo orizzonte di flessibilità vale sempre: nei periodi di crescita cheieri hanno consentito all’Italia di diventare una grande nazione industriale, come inquelli di crisi che oggi segnano uno dei momenti più gravi di tutta la nostra storia. Ilpendolo tra liberalismo e statalismo è dunque “normale”: ma deve essere gestito consaggezza. Il governo di un grande Paese industriale non può essere sottoposto a radi-cali e repentini squilibri di indirizzo.

La destra ha finora messo l’accento sulla modernizzazione. La sinistraha insistito sull’equità. Si è trattato e si tratta di una contrapposizione insensata.Anche perché, negli ultimi quindici anni, nessuno di questi due obiettivi è stato rag-giunto, consegnando dell’Italia al mondo una strana e deprimente immagine: quelladi un Paese nel quale inaudite arretratezze da Terzo mondo convivono con scintillan-ti ricchezze da California!

Il fatto è che modernizzazione ed equità sono due facce della stessamedaglia. Non è moderno un Paese ingiusto che lascia soli i più deboli e non siaccorge delle nuove povertà. Non può essere solidale un Paese che rinuncia a produr-re ricchezza, a produrre energia anche con il nucleare, che ha una tassazione eccessi-va, che non si dota di infrastrutture, che non sia apre a un rivoluzione liberalizzatricedel rapporto tra Stato ed economia. C’è una parola che lega la modernizzazione all’e-quità: qualità. È questa l’unica vera grande missione verso la quale un governo devesaper indirizzare il proprio popolo.

La qualità deve tornare ad essere la vera chiave di volta di tutto il lavorodella nazione. Qualità nell’industria, certo. Ma anche e necessariamente qualità deiservizi, qualità dell’amministrazione, qualità della ricerca, qualità della scuola, qua-lità della vita.

L’Unione di Centro nasce per contribuire a superare il deficit italiano diriformismo ponendosi l’obiettivo di una seconda modernizzazione dopo quella che,

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[il documento]nel dopoguerra, guidata da De Gasperi e Einaudi, realizzò la “ricostruzione italiana”.Lungo dieci grandi aree di intervento. Le uniche capaci di farci uscire anche dal tun-nel dell’attuale crisi.

1) La difesa della vita

Che si tratti dell’efferata criminalità che ormai invade i nostri paesi e lenostre città. Che si tratti della biotecnologia che manipola i nostri corpi e il ciclonaturale dell’esistenza. Che si tratti della pedofilia che insidia i nostri bambini. Che sitratti dell’indifferenza nei confronti dei diritti del nascituro. Che si tratti dell’inquina-mento o, peggio, della distruzione del nostro habitat. Che si tratti degli ormai quoti-diani incidenti sul lavoro o delle settimanali stragi della strada. In ogni caso, oggi,l’estrema, risoluta, intransigente difesa della vita è la nuova frontiera della nostraciviltà.

Dietro gli inauditi crimini quotidiani che offendono le nostre comunità,dietro le mille polemiche laiciste che negano il diritto naturale, dietro le maschere diuna società che umilia e volgarizza i nostri corpi, soprattutto quelli delle donne, sicela un unico grande nemico: il nichilismo.

Stiamo perdendo il senso della vita, stiamo offendendo la sacralità di unmistero, di un dono che non è nelle nostre disponibilità distruggere. Noi vogliamounire nell’unico concetto di difesa della vita i temi più importanti del nostro tempo.

• La sicurezza della nostra esistenza e delle nostre città.• La difesa della famiglia. • Un equilibrato rapporto con il corpo e con il sesso. • La libertà e la dignità della persona umana. • La qualità del nostro ambiente. • L’umanità del nostro rapporto con la scienza e con il progresso.

2) Un nuovo patto fiscale

L’economia sommersa oggi raggiunge e supera il 25%. Si tratta di unacifra enorme, decisamente superiore a quella degli altri Paesi dell’Ocse. Sono datiche inquinano i bilanci dello Stato, alterano la concorrenza e soffocano i cittadini e le

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imprese oneste, costretti a pagare aliquote elevate per bilanciare la riduzione dellabase imponibile. La sinistra ha inseguito l’improponibile modello di un GrandeFratello fiscale. La destra ha ripetutamente tradito il proprio impegno di ridurre letasse. Ecco perché è ormai indifferibile un nuovo “patto fiscale” tra Stato e cittadiniche, senza demonizzare o criminalizzare alcuna categoria, sia in grado di ottenereuna maggiore giustizia sociale e far recuperare competitività alle imprese italiane nelmondo.

La nostra proposta è semplice quanto risolutiva: passare ad un modellodi tassazione fondato sul “contrasto di interessi” per consentire ad ogni cittadino dipoter portare in tutto, o in parte, in detrazione i costi dei servizi che acquista,garantendo ulteriore tutela alle famiglie attraverso l’adozione del modello del“quoziente familiare” che misura il peso del fisco sulla base della composizionedei nuclei familiari. Solo attraverso l’allargamento della base imponibile si potràrealizzare il vero federalismo fiscale di cui il Paese ha bisogno, evitando di affig-gerne soltanto i manifesti come sembra voler fare la Lega.

Contemporaneamente occorre liberare il sistema produttivo dai vincoliche rendono impari la competizione con le imprese degli altri Paesi: una forte econcreta riduzione dell’imposizione fiscale nei confronti delle imprese non puòpiù essere rinviata, soprattutto se si intendono garantire condizioni di sviluppoeconomico durature e strutturali all’Italia, consentendole di uscire più rapidamentedalla grave crisi finanziaria internazionale.

3) Il rilancio della famiglia contro il declino demografico

Il declino economico è accompagnato, in Italia e in Europa, da unpreoccupante declino demografico che porterà, a breve, drammatici squilibri dalpunto di vista sociale, previdenziale, sanitario e solidaristico. Si tratta di un declinoannunciato ma sempre sottovalutato che aggraverà la già difficile situazione italia-na perché l’invecchiamento della popolazione vuol dire meno consumi, menolavoro, meno investimenti: vuol dire una società debole e perciò più fragile e insofferenza. Dunque le politiche per la famiglia non sono una delle diverse opzionipossibili; sono al contrario decisive per il nostro futuro. L’Unione di Centro ritieneche i soldi spesi per i figli non debbano essere tassati, in omaggio agli articoli 29,30, 31 e 53 della nostra Carta Costituzionale. Ciò che avviene in tutta Europa deve

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[il documento]essere possibile anche in Italia. La famiglia è un’impresa che produce capitaleumano e come tale va considerata con politiche di promozione e di tutela, cosìcome si fa con tutte le aziende del Paese. Occorre inoltre mettere in campo politi-che del lavoro che consentano la conciliazione dei tempi della famiglia con i tempidel lavoro fuori casa; politiche educative che garantiscano la libertà di scelta edu-cativa delle famiglie come condizione ineludibile anche per il rilancio della scuolastatale, politiche di welfare che sostengano la famiglia nel suo quotidiano lavoro dicura verso i soggetti più deboli. La definizione di un nuovo contratto sociale passaattraverso la concezione della famiglia quale soggetto sociale di rilievo prioritario.Primo soggetto dell’intervento statale dovrà dunque essere la famiglia e non l’indi-viduo. È questa la più grande sfida dei prossimi anni.

4) Una svolta nelle liberalizzazioni: per il consumatore, per la piccola e media impresa

L’Unione di Centro si propone come partito di tutela del cittadino-con-sumatore. Partiamo dalla consapevolezza che, dal 1996 al 2001, i governi di cen-trosinistra hanno realizzato una serie di privatizzazioni che, in luogo dei cittadini,hanno favorito nuovi monopolisti di settori strategici come banche, assicurazioni,telecomunicazioni, gas ed energia con il risultato di appesantire i costi dei serviziper i cittadini-consumatori, le famiglie-consumatrici e le imprese consumatrici.Ma la destra non ha cambiato strada: la nuova fase di governo, dietro il paraventodella crisi internazionale, sembra mirare anch’essa solo a costruire nuovi equilibridi potere nell’ambito del sistema bancario e industriale.

Occorre invertire la rotta: solo attraverso un’imponente spinta libera-lizzatrice sarà infatti possibile completare il processo di ammodernamento dell’e-conomia italiana creando finalmente condizioni di concorrenza tra le imprese,riducendo i costi e migliorando la qualità per i consumatori. Lo Stato, abbandonatodefinitivamente il ruolo di Stato-imprenditore, ha il dovere di assumere quello diStato-regolatore ponendo al centro della propria azione la figura del consumatore.

La spinta liberalizzatrice, oltre che a livello nazionale, va diffusaanche al livello dei servizi pubblici locali e delle professioni, abbandonando l’eter-na malattia italiana di coltivare corporativismi e interessi particolari. Ciò valeovviamente anche per la macchina burocratica dello Stato e dei suoi enti perifericiche appare organizzata più in funzione di chi vi lavora, spesso peraltro in condi-

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zioni di frustrazione, che del cittadino che ne usufruisce.

L’Unione di Centro si propone anche comepartito di riferimento della piccola e media impresa cherimane il principale traino economico dell’Italia. Lesfide del mercato globale impongono una continuarimodulazione delle politiche di sostegno e un’analisiattenta ma severa dell’evoluzione del sistema imprendi-toriale italiano. Il “nanismo” delle nostre imprese costi-tuisce da una parte un elemento di freno dello sviluppo,dall’altra un punto di forza, garantendo flessibilità edinamismo. Occorre individuare i settori nei quali favo-rire selettivamente le aggregazioni d’impresa e quellinei quali le politiche di distretto agevolano la competiti-vità, salvaguardando anche i caratteri distintivi delle aziende, per imprimere ulte-riore spinta all’affermazione del made in Italy. In questo percorso la ricerca e l’in-novazione di prodotto diventano l’unico vero traino di una riscossa, non effimera,dei nostri indici di competitività.

5) Elevare il tasso di solidarietà

Un partito moderato e riformatore ha il dovere di assumere scelteanche apparentemente impopolari se improntate alla tutela dell’interesse generale.Ebbene, il nostro Paese ha bisogno che torni in politica il tempo del coraggio peraffrontare seriamente il tema della povertà, della disuguaglianza, delle redistribu-zione del reddito; per definire un nuovo welfare, sostenibile e giusto, non più cen-tralizzato ma fondato sulla sussidiarietà orizzontale; per promuovere un modernosistema di protezione sociale capace di garantire un avvenire meno incerto ainostri giovani che hanno bisogno di una scuola e di un’università radicalmente rin-novate, per offrire sostegno agli anziani, per assicurare solidarietà ai “nuovi pove-ri” e realizzare condizioni di pari opportunità a tutte le donne.

L’attuale sistema pensionistico non tiene conto dei mutamenti demo-grafici in atto e finirà con il far pagare alle giovani generazioni il prezzo dell’irre-sponsabilità dei governi attuali. È indispensabile approvare una riforma della pre-videnza che tenga conto della combinazione tra allungamento dell’attesa di vita ecaduta delle nascite. Dalla previdenza occorre inoltre sganciare l’assistenza, recu-

Solo con un’imponente

spintaliberalizzatrice sarà possibilemodernizzare

l’economiaitaliana

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[il documento]perando risorse che potranno essere destinate a chi ne ha veramente bisogno.Elevare il tasso di solidarietà del Paese è la missione più alta che una buona politi-ca possa darsi nel medio-lungo periodo. Occorre allora incentivare e non abbando-nare a se stessi i tanti italiani che oggi si dedicano alla solidarietà, aiutandoli a pro-seguire nel loro impegno con un rinnovato spirito imprenditoriale. Intorno allafigura dell’imprenditore sociale il Paese può ritrovare gli stimoli e le energie persostenere i cittadini che attualmente vivono in condizioni di povertà.

6) Una nuova cultura del lavoro

Negli ultimi decenni sono intervenuti profondi cambiamenti nell’orga-nizzazione del lavoro e nelle sue regole. Il lavoro in nero si è spesso intrecciatocon l’immigrazione clandestina; il rapporto tra flessibilità, precarietà e stabilità siè fatto più complesso; la presenza degli immigrati ha reso i luoghi di lavoro sem-pre più multiculturali, multireligiosi e multietnici; l’ingresso delle donne ha modi-ficato sia quantitativamente che qualitativamente il paesaggio professionale.L’insieme di questi elementi ha prodotto una profonda modificazione. La tradizio-nale relazione tra scelta del lavoro e realizzazione della persona è ormai messa inseria discussione. Avanza al contrario una concezione strumentale del lavoro nonvisto più come missione, ma più semplicemente come mezzo. Il fine della vitaoltrepassa il lavoro e viene individuato essenzialmente nella realizzazione econo-mica, nel prestigio della carriera e nell’uso del tempo libero. È cambiata di conse-guenza anche la relazione tra lavoro e socialità. Un tempo il mondo del lavoro eraun luogo di forti relazioni cooperative e solidali, mentre oggi prevale la spinta diun forte individualismo assieme a sempre più marcate forme di corporativismo. Lastessa natura della relazione tra uomo e lavoro è fortemente condizionata da unprogressivo predominio della tecnologia che domina lo sviluppo della persona.

Noi riteniamo che tali fenomeni non siano irreversibili, che la moder-nità non debba necessariamente essere caratterizzata da questi fenomeni di “nuovaalienazione”. Riteniamo che sia possibile, e per questo intendiamo batterci, rico-struire una cultura del lavoro fondata sulla centralità della persona, recuperando lavisione antropologica di un’attività capace di rendere sempre più umana la vita, lacultura e la società. Occorre, in altri termini, segnare il passaggio da una visioneconflittuale delle relazioni sociali ad una solidale e cooperativa. Immaginare unanuova “socialità del lavoro” che torni ad esibire una tensione dinamica, dei singolie dei gruppi, verso il bene comune.

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7) Sanità e Scuola: la società del bene comune

Lo Stato italiano produce ormai un livellamento verso il basso di pre-stazioni e servizi, e non riesce più a promuovere verso l’alto chi sta indietro nellascala sociale. L’Unione di Centro lavora, viceversa, per ridefinire lo Stato sociale,per un nuovo grande modello da costruire in Italia e in Europa: la Welfare Society.Quest’ultima si potrebbe anche definire come “la società del bene comune”.

Una società dove la responsabilità della gestione sociale è affidataanche ai corpi intermedi della comunità. Nella quale il livello privato e il livellostatale cooperino e competano nell’offerta di servizi formando, insieme, un unicosistema pubblico all’interno del quale sia più plurale e libera possibile la scelta deicittadini e delle famiglie.

L’equazione che chi governa le moderne società europee deve risolvereè la seguente: come mantenere in piedi il carattere universale della tutela socialeriuscendo, nel contempo, a innalzare la qualità e l’efficienza dei servizi. Ebbene,le comunità umane non hanno fino a oggi trovato altro strumento per accrescere laqualità di qualsiasi sistema che far ricorso alla gara, alla concorrenza, all’emula-zione. La soluzione del problema sta dunque nella costruzione di un Sistema Mistogeneralizzato nel quale, soprattutto nella Sanità e nella Scuola, il cittadino possaavere piena “libertà di scelta” tra una pluralità competitiva di offerte, private e sta-tali. Il che vuol dire l’esatto contrario della cosidetta “privatizzazione dei servizisociali”: significa, al contrario, far entrare, a pieno titolo, nelle regole del sistemapubblico anche l’offerta privata, chiamando a intervenire imprese, cooperative,mondo del no-profit. Si determinerebbe così, tra l’altro, un pieno coinvolgimentodella società nella gestione dei servizi, accrescendo la responsabilità di tutti versoil “bene comune”. Finora è accaduto esattamente l’opposto.

8) Una nazione ad “energia libera”

Un Paese moderno deve avere la capacità di conciliare lo sviluppo conla qualità della vita. Tutela del territorio e crescita economica devono camminareinsieme. Siamo per la politica del “sì”: per fare della difesa dell’ambiente non solouno slogan, ma una politica.

• Sì allo sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili, insieme a un rientro

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[il documento]serio, consapevole e rapido nel nucleare. Riteniamo inoltre indispensabile riportarein capo allo Stato gli indirizzi di fondo di tutta la politica energetica, strategica perun Paese che ha bisogno di ridurre i costi e di non diventare nel tempo una nazionea “sovranità limitata” di energia. Nell’era della globalizzazione l’autonomia ener-getica è una funzione decisiva della stessa autonomia della democrazia.

• Sì alla realizzazione delle grandi infrastrutture che, velocizzando lamovimentazione, riducono l’inquinamento.

• Sì alla ricerca e al sostegno delle nuove tecnologie ambientali per evi-tare il continuo finanziamento d’impianti ormai superati. Condizione per riuscire asuperare il devastante effetto Nimby (“fate tutto basta che non sia vicino a me”) èinfine la buona gestione degli impianti industriali e l’accesso trasparente alle infor-mazioni, per ridare fiducia nelle istituzioni e rendere partecipi i cittadini del lorofuturo.

9) Tornare a vedere nel Mezzogiorno una risorsa

Nella Grande Mutazione imposta dalla globalizzazione il Mezzogiornodel nostro Paese può assumere un ruolo geopolitico di grande importanza strategi-ca nel rapporto con il Medio Oriente e con l’Africa. Si tratta di una nuova frontieradella quale soprattutto l’Italia può avvantaggiarsi nella leadership mediterranea.Nazioni più dinamiche della nostra, come la Spagna, l’hanno già compreso.Viceversa la “questione meridionale” è avvertita dalla nostra opinione nazionalecome un problema irrisolvibile, o quasi; di certo, non come una risorsa. La debo-lezza del tessuto economico associata alla inadeguatezza delle politiche hannoconsolidato l’idea che si tratti solo di una società fragile, permeabile alla violenzadella criminalità organizzata che si limita a selezionare i propri gruppi dirigenti inragione dei localismi. Eppure, ci sono tante risorse ed intelligenze: vocazioni terri-toriali inespresse, la più alta percentuale di giovani laureati, una varietà di piccoleassociazioni e di movimenti di ispirazione cattolica o a difesa della legalità. Si trat-ta, però, di tante monadi, con le quali la politica deve avere il coraggio di misurarsiin maniera innovativa, aiutandole ad organizzarsi insieme e per riaccendere la spe-ranza nel cambiamento possibile.

Questo è e sarà l’impegno dell’Unione di Centro perché ilMezzogiorno è la parte dell’Italia che può crescere di più e costituisce, quindi, unastraordinaria opportunità per tutto il Paese. Altre nazioni in Europa, che hannoinvestito con coraggio sui territori in deficit di sviluppo hanno realizzato poi incre-

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menti significativi del loro PIL. Ciò perché in un’economia globale non ci si puòpermettere di correre con una gamba più corta dell’altra.

10) Il merito al primo posto

L’insieme di questi grandi obiettivi non potrà mai essere raggiunto senon si diffonderà nel Paese una nuova cultura diffusa: la promozione del merito intutti i campi della vita pubblica. I quarant’anni che ci separano dal ’68 hanno fattodiventare senso comune idee del tutto opposte, soprattutto la devastante equazionetra selezione di merito e selezione di classe. È vero esattamente il contrario: l’uto-pia dell’egualitarismo, che livella verso il basso, è infatti la tomba dell’emancipa-zione sociale. I ricchi, infatti, possono cavarsela in tanti modi, ma se ai figli deipoveri togli la chance del merito e del talento, li condanni all’inferno.L’uguaglianza delle opportunità è la nostra bussola, perché il destino sociale diemarginazione può essere combattuto dai giovani meno fortunati solo in unasocietà che promuove il merito. L’assistenzialismo è conservatore. La promozionedel merito è rivoluzionaria.

L’assenza di questa consapevolezza è forse il tributo più alto chel’Italia di oggi paga all’egemonia culturale delle sinistre. In virtù di questa ideolo-gia siamo diventati un Paese bloccato, pansindacalizzato, nel quale, per eccellere,ormai si può solo fuggire all’estero.

La situazione dell’Italia non è affatto sem-plice. Troppi sono i ritardi accumulati, troppe le con-traddizioni di una politica superficiale e a volte irre-sponsabile. Ma in virtù della nostra fiducia nel popoloitaliano ci sentiamo di affermare che non abbiamopaura della crisi. Perché il passaggio storico che stiamoattraversando, oltre ad evidenti gravi difficoltà, offreanche inedite opportunità, il possibile sorgere di unnuovo atteggiamento collettivo, responsabile e fattivo.

Ebbene, proprio intorno all’affermarsi diquesta chance l’Unione di Centro chiama gli italiani araccolta. Lo ripetiamo: è il tempo del coraggio.

L’assistenzialismo è conservatore. La promozione del merito

è rivoluzionaria.È arrivato

il tempodel coraggio

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[il documento]CONCLUSIONI

Ancora una volta la storia ci chiede di essere liberi e forti. Liberi daogni conformismo, da ogni meschinità, da ogni pegno da pagare alle oligarchiecostituite. Forti della nostra identità cristiana e liberale, dei valori dei nostri padriche vogliamo trasmettere ai nostri figli, forti del nostro giuramento di servire, sem-pre e comunque, il bene comune degli italiani.

Liberi perché liberali e popolari. Forti perché cristiani. Liberi di dire laverità sull’Italia. Forti perché oggi il vento del declino che minaccia il nostro paesepretende saldezza di principii e spirito di sacrificio. Per rimettere l’Italia in piedici vuole coraggio. Il coraggio di contestare luoghi comuni, verità di comodo, ren-dite di posizione. Il coraggio di saper rischiare. Ebbene, noi questo coraggio l’ab-biamo e lo stiamo dimostrando, sfidando da soli l’attuale finto bipartitismo e le sueoligarchie. Per rimettere l’Italia bisogna ripristinare il senso dell’autorità. Perdecenni ci è stato raccontato che, dietro ogni autorità si nascondeva autoritarismo,che dietro ogni ordine sociale si nascondeva repressione, che dietro il rigore deglistudi si nascondeva una limitazione delle libertà personali; che il professore ascuola era come il padrone in fabbrica. Il risultato è sotto i nostri occhi: hannoperso autorità lo Stato, la scuola, gli insegnanti, la famiglia. Il principio di autoritàè invece elemento essenziale di ogni comunità umana.

L’autorità dei genitori è essenziale per la crescita dei figli. La madre eil padre non dovrebbero trasformarsi in amici, fratelli o sorelle del proprio figlio.L’autorità degli insegnanti è altrettanto essenziale per la crescita dei ragazzi: a con-dizione che essa derivi dalla competenza e dalla capacità pedagogica, troppo spes-so oggi minacciate dalla dequalificazione di una categoria che tende a ripiegareverso il ruolo del dipendente pubblico piuttosto che a esaltare la dignità dell’edu-catore.

L’autorità dello Stato è necessaria per rendere effettive la sicurezza e lagiustizia. Negli ultimi decenni si è messo l’accento sulle garanzie degli imputati. Èstato giusto. Ma si è finito per dimenticare di difendere i diritti delle vittime. Delterrorismo, della violenza, degli rapine, degli stupri. Questa grave carenza, som-mata ai lunghi tempi dei processi e all’incertezza o alla debolezza delle pene, hafinito per logorare ogni autorità delle istituzioni. Per rimettere l’Italia in piedi, civuole serietà. Bisogna saper dire anche cose impopolari, chiudere i libretti dei

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sogni oggi dispensati a piene mani, trattare gli italiani per come sono: cittadiniadulti, gente operosa, professionisti responsabili. Per rimettere l’Italia in piedi, civuole amore per il bene comune. Ci vuole una grande apertura mentale, quasi unarivoluzione culturale, per indurre noi stessi ad anteporre sempre l’interesse genera-le alle logiche di partito, di clan, di clientela. Il bene comune dovrebbe essere l’o-biettivo primario della politica. Eppure in Italia esso giace dimenticato nell’archi-vio della storia, offeso da una lotta tra caste che inquina l’intera vita nazionale.

L’Italia del coraggio, l’Italia della serietà, l’Italia del bene comune.Ecco l’Italia alla quale rivolgiamo l’appello di condividere la nostra sfida.

È un’Italia che esiste e resiste, smarrita di fronte agli arbitrii e al disor-dine, ma sempre consapevole dei doveri.

È l’Italia dei nostri soldati che, rischiando la vita, fanno il loro doverein tutto il mondo, portando pace e libertà in terre lontane. È l’Italia delle forze del-l’ordine che, con mezzi non sempre adeguati, difendono ogni giorno la nostra sicu-rezza. Se tutti in Italia vivessimo il senso del dovere come loro lo vivono, il nostroPaese sarebbe primo nel mondo.

È l’Italia delle piccole e medie imprese, l’Italia delle famiglie operoseche, al contrario delle grandi aziende da sempre protette dallo Stato, devono soloalle loro capacità e alle loro fatiche, il progresso della loro vita. E ancora oggi, tramille difficoltà burocratiche, vessati da tassazioni inique, formano un originale“modello economico” che è il vero traino del Paese. Se tutti in Italia avessimo illoro spirito di sacrificio, il nostro Paese sarebbe primo nel mondo.

È l’Italia delle ragazze e dei ragazzi che pensano positivo e che, invecedi abbandonarsi alla droga e alla protesta, o di pensare che l’unico futuro sia quellodi fare la velina o il calciatore, studiano sodo, aprono nuove imprese, inventano,nel settore del volontariato e del no-profit, nuovi lavori e inedite iniziative econo-miche, sfidano la società mettendo su famiglia e facendo figli, cercano di sopperi-re, con la creatività, all’assenza di una politica che non pensa a loro. Se tutti inItalia mettessimo in campo l’ottimismo e la speranza che, malgrado tutto, questiragazzi trasmettono, il nostro Paese sarebbe primo nel mondo.

Senso del dovere, spirito di sacrificio, ottimismo e speranza. Proprio di

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[il documento]questo ha oggi bisogno l’Italia.

Sarà dura farcela. Perché per troppi anni abbiamo vissuto sopra lenostre possibilità. Perché siamo tutti bravissimi a lamentarci delle cose chenon vanno, ma solo in pochi siamo disposti a rimboccarci le maniche per farleandare meglio. Perché stiamo smarrendo il principio di unità della nazione edello Stato, e sta venendo meno la solidarietà tra Nord e Sud, tra le Regioni,tra le diverse categorie sociali. Perché sull’Italia delle persone oneste rischiadi prevalere l’Italia dei furbi, dei mediocri, dei parassiti.

Ma l’Italia può ancora evitare il proprio declino. Alla condizionedi capire che nessuno ha la bacchetta magica. Che nessun demiurgo, ammessoche ce ne siano, può salvarci. Solo gli italiani possono salvare l’Italia. Perciò èindispensabile resistere alle tentazioni del rifiuto, del disimpegno, dell’antipo-litica, del leaderismo senza sostanza. Al contrario abbiamo tutti bisogno diattraversare insieme una nuova frontiera di responsabilità. Di nuovi diritti e dinuovi doveri.

L’Unione di Centro nasce per raggiungere questo obiettivo. Perproporre una nuova politica: insieme umile e coraggiosa, responsabile ecostruttiva.

Siamo figli di chi, nel dopoguerra, ha permesso che questo Paesecrescesse nella libertà. Adesso la storia ci chiama a un nuova decisiva prova.Essere i padri di nuove generazioni di liberi e di forti.

Roma, 20 febbraio 2009

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E F I R M EL del numero

ROCCO BUTTIGLIONE: vicepresidente della Camera dei deputati,è tra i promotori del Comitato per la Costituente di Centro.

MAURO CANALI: è professore ordinario di Storia contemporanea presso l’Università di Camerino.

ENRICO CISNETTO: presidente di «Società aperta».

FRANCESCO D’ONOFRIO: è docente di Istituzioni di Diritto Pubblico presso l’Università La Sapienza di Roma, è tra i promotori del Comitato per la Costituente di Centro.

STEFANO FOLLI: giornalista, editorialista del Sole 24 Ore.

ARNALDO FORLANI: è stato segretario della Democrazia Cristiana.

GENNARO MALGIERI: deputato del Pdl, giornalista e scrittore.

SAVINO PEZZOTTA: deputato dell’Unione di Centro, presidente del Comitato Promotore della Costituente di Centro.

PAOLO POMBENI: professore ordinario di Storia dei sistemi politici europei presso il Dipartimento di Politica, Istituzioni e Storia dell’Università di Bologna.

SERGIO ROMANO: editorialista del Corriere della Sera e Panorama, storico ed ex diplomatico.

GIOVANNI SABBATUCCI: ordinario di Storia contemporanea presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università La Sapienza di Roma.

BRUNO TABACCI: deputato dell’Unione di Centro, vicepresidente della Commissione Bilancio della Camera, è tra i promotori del Comitato per la Costituente di Centro.

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