NUMERO 3 / INVERNO 2012

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MODENA CITY RAMBLERS / DENTE SIMONE PIVA E I VIOLA VELLUTO / PAOLO DIZIO CIOT / ENRICO SIST MATTIA BALSAMINI / FRENZY HOUR AND MUCH MORE.... NUMERO 3 / INVERNO 2012

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MODENA CITY RAMBLES / DENTE / SIMONE PIVA & VIOLA VELLUTO / PAOLO DIZIO CIOT / ENRICO SIST / MATTIA BALSAMINI / FRENZY HOUR and much more...

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modena city ramblers / dente simone piva e i viola velluto / paolo dizio ciot / enrico sist mattia balsamini / frenzy hour and much more....

numero 3 / inverno 2012

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3ioascolto

modena city ramblersla storia dentro la musica

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dentevocazione cantautore

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simone piva e i viola vellutopreti o banditi?

8

made in italymay the circle remains unbroken

10

get out sound! 11

io vedo

paolo “dizio” ciotoltre “le pordenonesi”

12

enrico sistel señor tonto

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mattia balsaminil.a. stories

17

frenzy hourriprese frizzanti

20

io leggo

io contest letterario iodiostefano cantoni, sara comuzzostefano driussi

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fausto bica 24

io vesto

chiara boz 26

iodioetamopalp fiction

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iodio n.3 / inverno 2012

Direttore Responsabile: Stefano ZadroResponsabile di redazione: Andrea Cansei PassadorProgetto grafico: La Cloud - [email protected]

In redazioneKatrin Battiston, Vanessa Soledad CozzarinAnna De Nardi, Iana (Giuliana Zigante)Dave Martins (Davide Martin), Simona Pancaro,Alessandra Perin, Maura Piccin,Marianna Puppulin, Cliff Secord,Davide Tramontin, Alessandro Verona, DottorQ

IllustrazioniLa Cloud, Alessandra Perin

FotoElisa Moro, Luca Ambrosio

In copertina La Cloud

Special thanks toFrancesco Sogaro

StampaCentro Stampa Puiattivia delle Industrie 4, Fossalta di Portogruaro (VE)

NUM. REG. STAMPA 34 del 30.12.2010

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Siamo al 3^ numero, lo sappiamo che oramai vi state affe-zionando. Iodio è sempre con voi, per parlarvi di musica, fotografia, cinema, arti visive, moda ed amore. L’amore che ogni artista mette nella propria opera, ed il nostro, che ri-versiamo in queste pagine. Seguiteci sul nostro sito www.iodiomagazine.it e pure dal vivo. Abbiamo in programma tut-ta una serie di eventi per il 2012. Siete già invitati. Inoltre se qualcuno là fuori volesse collaborare con noi, saremo felici di accoglierlo. E ricordatevi che la carenza di iodio nuoce gravemente alla salute. Più Iodio per tutti!

Stefano

editoriale

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20 a n n i

dic o m b a t f o l k

intervista aimodena city

ramblers

emozionata. Me ne sono accorta solo quando durante il sound check ho sentito un flauto suonare e non riu-

scivo a ricollegarlo alla canzone, come quando senti un profumo o un sapore che ti ricorda l’infanzia ma non riesci a capire bene cosa, sai solo che sa di casa. Il flauto suonava il motivo de The lone-some boatman, nell’intro di Bella Ciao in versione Modena, ma questo non è affatto importante.Ecco come è andata la chiacchierata con i Modena City Ram-blers, nel vano e goffo tentativo di non fare domande scontate, di non sembra-re emozionata. Non ci sono riuscita.

Noi di solito intervistiamo gli emergenti, sappiamo da dove nascono e come si sono conosciuti. Ma voi?Io c’ero dall’inizio (Massimo), il primo nucleo si è costituito per la comune pas-sione per la musica e le tradizioni irlan-desi, che ci avevano conquistato. Quasi per scherzo abbiamo iniziato a suonare nei pub della zona. A quelli più anziani di noi il pub sembrava una cosa fighetta,

però piano piano l’immaginario irlande-se ha preso piede. Noi eravamo al posto giusto nel momen-to giusto. All’inizio degli anni ‘90 si era creata una distanza enorme tra chi faceva e chi ascoltava musica. L’Irlanda ci aveva affa-scinato perché era tutto un altro mondo, sia per la musica che per i rapporti. La loro era una musica diretta ed emozio-nante, che per noi si rivelò più potente del punk e dell’heavy metal. Io ad esem-pio, sono andato in Irlanda per la passio-ne degli U2.

Quindi voi siete andati in Irlanda per “Sunday Bloody Sunday”, noi ci siamo an-dati per “Il bicchiere dell’addio”... Noi siamo tutti partiti dagli U2, da loro e dai gruppi similari, tra cui i Pogues, l’elemento sul quale si è basata l’avven-tura dei Modena City Ramblers. Gruppo seminale, importantissimo. Loro propo-nevano la tradizione irlandese rivisitata in chiave punk folk rock, con un’energia ed una potenza che ci sconvolgeva.

...Così come voi avete unito il suono irlan-dese alla storia italiana...Noi siamo partiti dalla musica irlandese, poi è stato naturale trasportare le storie di tutti i giorni e portarle nelle canzoni. Argomenti reali e veri. Fin dall’inizio abbiamo suonato tan-tissimo, e abbiamo presto cominciato ad avere un pubblico e questo aumen-tava, cresceva. Il nostro primo demo tape, Combat Folk, cominciava a gira-re. Uscito nel ‘93 aveva venduto più di mille copie. All’epoca non c’era internet, lo scambio era materiale. Quindi arri-vò una presa di coscienza, che partiva dall’intenzione di prendere in prestito la tradizione irlandese e riappropriarsi di una propria tradizione. Come noi, gli irlandesi sono un popolo di migranti, di oppressi da colonizzato-ri, di soldati mandati a morire. Questo parallelismo ci ha portato poi a ritro-varci nella nostra dimensione e trovare una via personale, che è partita da Bel-la Ciao e dai canti partigiani, ma che

di Simona Pancaro - foto Elisa Moro

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poi, guardando a Dylan e al folk ameri-cano, e al punk inglese dei Clash, ci ha portato a scrivere dei brani nostri. Tramite le vostre canzoni, alla nostra generazione avete insegnato la storia. Ab-biamo conosciuto Che Guevara, abbiamo cercato la storia di Berlinguer, abbiamo letto Cent’anni di solitudine perché ce lo avete consigliato voi. C’è un intento didat-tico nella vostra musica?No no, per l’amor di Dio! Non vogliamo salire in cattedra. Quello che dici deri-

va dal fatto che le canzoni dei Modena da sempre vanno a toccare argomenti non comuni nel campo musicale. La no-stra è una musica attenta al sociale, che molti giovani con la propria testa vadano ad approfondire i nostri argomenti è un motivo di soddisfazione che ci spinge sicuramente a continuare. Non c’è mai stato intento divulgativo. È un passag-gio di passioni. Ci sono tanti altri gruppi che lo fanno senza guadagnare la ribalta. Quest’anno avete suonato al decennale

della morte di Carlo Giuliani. Nella vo-stra carriera avete suonato in tante mani-festazioni e cortei. Cosa vedete di sbagliato, perché non si arriva da nessuna parte?C’è qualcosa di sbagliato sì, ma è dall’al-tra parte. Nei confronti dei giovani c’è mancanza di fiducia, oltre che non voler dar loro gli strumenti adeguati per andare avanti. Non è solo questione politica, anche se la nostra è la più vec-chia d’Europa, il ricambio non avviene neanche al livello più basso. Questa cosa

NoN vogliamo salire iN cattedra. che molti giovaNi coN la propria testa vadaNo ad approfoNdire i Nostri argomeNti è uN motivo di soddisfazioNe che ci spiNge sicurameNte a coNtiNuare. NoN c’è mai stato iNteNto divulgativo. è uN passaggio di passioNi.

dell’esperienza sta fregando i giovani. Se ti riferisci ai movimenti di opinione, dal 2001 fino agli Indignados, il proble-ma è complesso. La sensazione è che se 10 anni fa ci fu una reazione organizzata in maniera consapevole mirata a bloc-care questa evoluzione dal basso dell’o-pinione pubblica, l’intento era quello di screditare i movimenti, di farli passare come conniventi dei Black Bloc. In qual-che maniera riuscirono a bloccare una grande “onda”, che poi celebrò la sua dipartita a Firenze qualche anno dopo. I movimenti di adesso sono un po’ più attenti, la trappola dei Black Bloc non funziona più bene, il giochino è stato scoperto. Il problema non è essere giovani e scen-dere in piazza a manifestare, anche chi ha 80 anni non viene ascoltato, le realtà politiche tendono ad essere autorefe-renziali, a pensare al loro stato vegeta-

tivo. Certi valori vanno rivendicati con forza e realizzati. Per noi questo non vuol dire andarsi a ritagliare una realtà triste ed impegnata, piuttosto l’inferno! Ci si può divertire an-che con le sensazioni più frivole. Il Gran-de Fratello non è il nemico, è un simbolo. Certe cose dovrebbero avere un certo tipo di spazio, altre quando diventano cultura dovrebbero aver riconosciuta maggiore attenzione. È attraverso la con-divisione che può nascere la rivoluzione.

Prima dicevate che ci sono dei gruppi che avrebbero bisogno di più spazio e di più palco, ci consigliate qualche gruppo emergente?Che meritino i palchi non so, sarebbe bello che avessero almeno la possibilità di dimostrarlo, gli spazi per suonare si riducono sempre di più. Non chiudono solo i locali e i club, smettono di fare musica dal vivo anche i pub e le birrerie.

Ci sono sempre meno spazi, i pochi ri-masti tendono a privilegiare quello che può portare pubblico, quindi chiamano cover band. È andare sul sicuro, c’è poca voglia di rischiare. Vanno bene anche Amici e X Factor, il problema è che c’è solo quello. È vero che c’è internet, ma gli Artic Monkeys sono un caso unico. Se non sali su un palco non capisci se ti piace e sei in gra-do di farlo. Adesso con i nomi dobbiamo tentare di non far torto a nessuno... i Nuju , un gruppo di ragazzi calabresi di stanza a Bologna. Gli Elizabeth, pop rock con ve-nature indie, i Mediterranea, sono sardi, molto bravi. I Nedlu da Roma. La scena indie italiana è molto bella. Il Teatro degli Orrori li apprezzo molto, già con i One Dimensional Man e, chi ha orec-chie per intendere intenda, ci beviamo anche ‘sto Rosso Piceno.

io ascolto /modena city ramblers

>> guarda l’intervista ai modena city ramblers su www.iodiomagazine.it

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Non si sente un nerd e non sa cos’è una nicchia né un artista. Parla come se fosse a cavallo

tra il palcoscenico e la cameretta, per cominciare la conversazione ho sba-gliato il suo cognome e lui m’ha detto: “Come il primo giorno di scuola, lo sba-gliavano sempre”. Dente, di nascita Giu-seppe Peveri, frequenta posti felici in cui i cantautori collaborano e sono amici ma si ricorda bene da dove viene. Nota di redazione: ha dei capelli bellissimi.

Sei considerato un artista di nicchia...ma cos’è una nicchia e tu stai bene nella tua?Innanzitutto spiegami cos’è un artista...Beh io non lo so cos’è la nicchia, non mi sento un’artista di nicchia...so che di solito però è il contrario del posto in cui sta la massa.Solo che adesso nella nicchia c’è un sacco di gente...Ma questo non è un male, secondo me è bello... Molte cose veramente grandi nascono dal basso, sono di solito quelle che partono dall’alto che tendono a mo-rire prima mentre le cose che nascono dal basso per poi diventare grandi han-no un po’ più di respiro...

Paragonato a Battisti, De Andrè, senti un po’ il peso di questi paragoni?Sono ovviamente lusingato, ma non sento il peso. Non credo che siano poi paragoni così veri, io faccio le cose che mi vien da fare in totale sincerità, poi ovviamente gli ascolti che ho fatto nella vita vengono fuori. Anche De Andrè ha ascoltato delle cose nella sua vita e le ha portate nella sua musica, così come Battisti ha fatto dei pezzi dance negli anni ‘70, ma ovviamente non è stato lui a inventare la musica dance, è tutto un riprendere e ripescare e trasformare per mezzo della propria esperienza.

Hai suonato con due band all’inizio, ma come si fa a diventare cantautore?Ho sempre scritto, dal momento in cui ho preso in mano la chitarra. Lo sono da sempre, poi il bacino d’utenza s’è al-largato dai miei 5 amici qualcuno in più ha cominciato ad ascoltare i miei pezzi.

Hai realizzato con Vasco Brondi una cover di “Siamo solo noi” di Vasco Rossi. Perché lo hai fatto?Perché mi è stato chiesto di interpreta-re un pezzo di Vasco Rossi. Lo ammiro perché non si può negare che abbia

scritto un’importante pagina di storia della musica italiana, mi piacciono i suoi pezzi fino alla fine degli anni 80. Ha fatto l’unico rock credibile in Italia, inventando un nuovo modo di parlare e di scrivere perché il rock è difficile da fare in Italia, non è nella nostra cultura.Mi è stato chiesto dal Mucchio di fare questo lavoro in duetto ed ho voluto chiedere a Vasco Brondi, non siamo nemmeno un granché contenti della ri-uscita del pezzo, ma la canzone secon-do me è molto bella... è una messa più che una canzone. Ha fatto qualcosa di meraviglioso con quel testo.Tu hai collaborato anche con Afterhours, Il Genio, Le luci della Centrale Elettri-ca... Esiste veramente un posto felice dove i cantautori italiani si incontrano e decidono di suonare insieme o sono le etichette che spingono verso magari col-laborazioni meno gradite?Le mie, e penso di poter parlare an-che a nome delle persone con cui ho collaborato, sono tutte cose nate mol-to spontaneamente, dall’idea di uno o piuttosto da un’idea comune... da una spaghettata insieme, conoscendosi a volte ci si è simpatici, si condivide lo

di Simona Pancarofoto Elisa Moro

u n a r t i s t a d e l l a n i c c h i adente

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dente

stesso stile di vita un po’ sregolato sen-za tempi ben scanditi, si vive di notte... quando facevo il magazziniere vivevo più regolarmente. E questa sembra un assurdità, una volta non lo avrei mai det-to, uno pensa di andare sul palco e can-tare le canzoncine e invece no, io sono stanco... Sono felicissimo di farlo ma è una vita strana, se ti piace ti ci dedichi, si dice anche “vocazione”, no?

Sì, come per le suore... Al primo ascolto le tue canzoni sembrano leggere, appro-fondendo arriva la malinconia, arriva il testo e anche lo stato d’animo... questa dicotomia è voluta?No...In realtà è quello che mi riesce di fare e rispecchia un po’ quello che sono...Sei triste dentro e felice fuori?No, non sono nemmeno felice fuori, sono triste ovunque... però ho maturato negli anni la capacità di sdrammatizzare molto e non prendermi mai sul serio, e forse nella musica che faccio viene fuori questo mio lato.

Ti è capitato durante le tue date o anche in altri contesti di aver sentito una band o un cantautore giovane che secondo te possa avere la stoffa e che valga la pena di ascoltare?Sì, non mi ha ancora fatto da spalla, ma credo che a breve lo farà ed è un certo Carnesi (Nicolò Carnesi – ndr), è molto bravo ho sentito un ep molto bello, sono curioso di sentirlo dal vivo. In questo tour raramente abbiamo la spalla ma quando ero io a suonare per primo pen-savo – guarda ‘sti stronzi che finiscono il soundcheck, se ne vanno in albergo e tornano solo per suonare e non mi sentono neanche – in realtà è difficile vedere la spalla con questi ritmi qua, magari sei stanco da quattro giorni di concerti e te ne vai dopo il soundcheck a dormire in albergo... ma io ancora non lo sapevo e li maledicevo tutti e pensavo a ‘sti pezzi di merda che nemmeno m’a-vevan sentito suonare...

...e adesso sei anche tu dalla parte dei pezzi di merda...

Sì, ma non sono un pezzo di merda io, sono solo stanco...

Una collaborazione auspicata? Valgono anche le cose impossibili, i morti e i per-sonaggi di fantasia.Sono quasi tutti morti... mi piacerebbe fare un duetto con Sergio Endrigo. Ma come dicevo le mie collaborazioni sono nate tutte per conoscenza vera e per la vera voglia di farle quindi no, non ho in mente nessuna collaborazione adesso.

7io ascolto /dente

beh io non lo so cos’è la nicchia, non mi sento un’artista di nicchia...so che di solito però è il contrario del posto in cui sta la massa..

iodio / inverno 2012

>> guarda l’intervista a dente su www.iodiomagazine.it

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iodio / estate 2011io ascolto / viola velluto8

l a s t o f f a dei musicistisimone piva e i viola velluto

di Simona Pancaro, Dave Martins Fotografie di Luca Ambrosio

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Se sia meglio un cervello o esse-re bello non ce l’hanno voluto dire ma i Viola Velluto sembrano

possedere tutt’e due le qualità. Simone Piva, Omar Dalla Morte, Christian De Franceschi formano questo velluto vio-la che se non altro, durante i concerti ti fa rimanere li a guardare e se non pre-sti attenzione alla musica, ascolti i testi e cerchi di fare una scelta... e finché la band suona tu ci rimani invischiato in questo velluto viola e lo accarezzi fino a quando non ti dicono basta. Perchè i Viola Velluto sono un po’ come certe lane, non sai quanto sono morbide fin-ché non le tocchi con mano...

Che cos’è Viola Velluto?Viola Velluto è un voler dare colore e consistenza alla nostra musica,cioè poter avere l’illusione che arrivi, a chiunque ascolti i nostri pezzi, una per-cezione.

Dalla vostra brochure: “i nuovi working class heroes del rock’n’roll italiano. Spu-tati fuori dalla realtà operaia del Friuli Venezia Giulia e di quel Nord Est umile e con le pezze al culo che si aggrappa al lavoro per resistere allo strapotere asiatico ecc. ecc. ecc.”. Non vi sembra di essere un po’ troppo noir?Noi siamo Noir ma soprattutto lo è il nostro Nord Est! Scriviamo i testi basandoci su ciò che ci circonda e comunque crediamo che anche nel resto dell’Italia non sia molto diverso, nel senso che tutti noi viviamo e cre-sciamo con il “Dio denaro”, lo rincor-riamo attraverso una società che ci fa lavorare milioni di ore per cercare di non farci pensare, e questo è l’aggra-vante. È questo che la nostra musica vuole comunicare: ognuno di noi deve pensare ed agire con la propria testa senza farsi assorbire dagli altri o es-sere succubi del sistema, perchè non siamo scimmie (canzone presente nel album : “Trattato Postumo Di Sbornia” del 2009 - ndr) come gli altri vorrebbe-ro che noi fossimo.

Forse però una possibile ancora di sal-vezza la troviamo all’interno dei vostri testi con una certa sublimazione della donna. Che cos’ è la donna per voi?La donna è da secoli sottovalutata, la donna può sopportare quello che l’uomo non potrebbe mai sopportare. La predisposizione che la donna ha, all’interno di se stessa, è unica, basta pensare alla creazione di un altro esse-re umano.

Ci sono state delle collaborazioni con de-gli scrittori dalle quali sono nate alcune vostre canzoni?Non proprio, io (Simone Piva) ho ini-ziato a leggere da adulto perché prima odiavo leggere. Quando ho capito che mi piacevano certi tipi di libri ho voluto ricercare scrittori friulani per sapere se la pensavano come me e sopratutto per chiarirmi delle idee che avevo in testa ma che erano offuscate, una volta co-nosciuto M. Santarossa ed E. Tonon mi sono accorto di non essere solo. I libri sono per me una grandissima fonte di ispirazione, ma non c’è nessun tipo di arrangiamento da parte di nes-suno nei nostri testi.

Rimanendo in tema ispirazione, chi vi ha influenzato nel panorama musicale italiano o straniero?Il genere musicale che ascolta Chri-stian (bassista) è differente da quello di Omar (batterista) che è differente dal mio. Io sono appassionato di can-tautori Italiani, dalla scuola Genovese come Tenco, Gino Paoli, ecc. fino a quelli che hanno scritto la storia della musica Italiana come De Gregori, Lu-cio Dalla, Battisti,Vasco Rossi, ecc.

Secondo alcuni fan il vostro sound può essere affiancato ad un altro gruppo italiano, i Marlene Kuntz. Vi fa piacere essere associati a loro ?Ci fa molto piacere perché significa che siamo inseriti, se così si può dire, nel mondo del rock italiano. Noi ci sen-tiamo rock o per lo meno vorremmo esserlo. Però bisogna anche dire che le sonorità sono diverse, solitamente i nostri pezzi sono scritti e suonati ini-zialmente da Simone con la chitarra e subito dopo riusciamo ad arrangiarli con gli altri strumenti, però fondamen-talmente il pezzo per un buon sessanta percento non subisce particolari varia-zioni, mentre per i Marlene alcuni suo-ni, faccio un esempio, magari vengono un po’ più studiati o ricercati.

Nel giro di tre anni circa avete all’attivo già un demo (Trattato Postumo di Sbor-nia) ed un disco (Ci Vuole Fegato Per Vivere). Com’è nato e si è sviluppato il progetto ?Ognuno di noi tre ha avuto le proprie esperienze con altri gruppi, anche in diversi generi musicali, dopodiché, tra-mite vari contatti di amici in comune, ci siamo trovati e abbiamo cominciato a scrivere. Ci è piaciuta la sintonia che c’è stata fin da subito così siamo riusci-ti a produrre il nostro primo demo e ad

emergere dalla sala prove suonando in tutti i luoghi possibili. La fortuna è sta-ta dalla nostra parte perché, nell’anno successivo, dopo aver inoltrato centi-naia di demo alle case discografiche, la RedPony Records (Etichetta Padovana di rilevanza nazionale - ndr) ci ha con-tattato dicendoci di essere interessata al nostro progetto e così nel giro di po-chi mesi abbiamo firmato e fatto uscire con loro il disco Ci Vuole Fegato Per Vivere.

Conoscete e ascoltate gruppi emergenti presenti nel nord est ?Sicuramente i The Oracles, ma ci sono tantissimi gruppi emergenti, e noi che li ascoltiamo, per esempio, vorremmo citare anche autori che sono un po’ più dietro le quinte ma che con i loro testi ci fanno impazzire, come Simone Fra-cas e Alberto Gallo.

Preti o Banditi ? Meglio un Cervello o Essere Bello?Noi in realtà non ce la sentiamo di dire cos’è meglio o peggio, c’è da dire che in giro si vedono tanti banditi ma anche tanti preti perciò lasciamo che ognuno scelga la propria strada, sicuramente noi abbiamo scelto quella più difficile da percorrere.

Guarisci la tua vita, perché comunque una salvezza esiste ?Certamente esiste! Vediamo sempre di più attorno a noi persone che hanno poco rispetto e stima di se stessi, così facendo incappano in delusioni e pen-sieri negativi. Bisogna cercare di guari-re la propria vita con la positività! Dob-biamo volerci più bene, accettandoci per quello che siamo, in questo modo possiamo cambiare il flusso negativo in positivo.

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è questo che la nostra musica vuole comunicare: ognuno di noi deve pensare ed agire con la propria testa senza farsi assorbire dagli altri o essere succubi del sistema, perchè non siamo scimmie come gli altri vorrebbero.

iodio / inverno 2012 io ascolto / simone piva e i viola velluto

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Nello scrivere questa rubrica l’idea di fondo che mi ha guidato è stata quella di ritagliare uno spazio per un genere in ogni numero e trattarlo per quanto ri-guardava i suoi esponenti in Italia, me-glio se non troppo conosciuti, in modo da poter fornire uno spunto per ascolta-re qualcosa di diverso.Arrivato il momento di consegnare l’articolo (ed io sappiatelo sono sempre in ritardo) avevo scritto diverse cose per lo più riguardanti la scena metal, hardcore e punk, ma poi ho cominciato a chiedermi ‘’chi legge queste cose?’’; insomma nel mio proposito iniziale ero partito dalla risposta, senza tener troppo conto di Te, lettore. Pensavo che la gente avesse voglia di ascoltare qualcosa di nuovo ed io, nel mio infini-to narcisimo, mi ero messo in testa di poter guidare dei novizi nell’esplorazio-ne della scena musicale underground. Ma un qualcosa sta cominciando a non quadrarmi da un po’ di tempo a questa parte...avete notato che sempre meno gente va ai concerti? Avete notato che ci sono sempre più esperti di musica, con I-pod gonfi di centinaia di dischi che hanno scaricato e di cui in genere conoscono solo la prima o al massimo la seconda canzone? Di questi tempi, in cui di tutto si vuol fare cultura, e non si puo’ ordinare un bicchiere di vino ros-so con del pesce senza subire sguardi compassionevoli da camerieri diciasset-tenni, la musica, continuando con me-tafore mangerecce diventa spazzatura da fast-food, concepita e fruita per un benessere istantaneo.Che puo’ fare allora questo narcisista che ama la musica, ma non ha nessu-na velleità profetica? Beh... non c’è una risposta facile... io mi ascolto dei dischi e ve ne parlo, proprio come faccio con i miei amici al bar, magari ogni volta in modo diverso, seguendo percorsi retti-linei, obliqui o ad L. Così, senza soluzio-ne di continuità. Forse qualcuno di voi ascolta RadioTre e conosce il program-ma Sei Gradi Di Separazione. Per chi non lo conoscesse questo programma prende il nome da una teoria proposta per la prima volta nel 1929 dallo scrit-

tore ungherese Frigyes Karinth, questa teoria (per altro mai dimostrata com-pletamente nella pratica) vorrebbe che nel mondo tra due persone ignote l’u-na all’altra non vi fossero più di cinque intermediari. E allora seguendo questa strada cercherò, partendo dalla scena musicale contemporanea underground italiana di creare un percorso che mi riporti ad essa ma, per l’appunto, arric-chendo il punto di partenza con cinque stadi intermedi. Funziona così:1. Ualrus. Erano un’ ignota band cor-denonese di cui esiste anche un myspa-ce, in cui si possono ascoltare diverse registrazioni caserecce di alcuni loro brani; in genere mantengono una for-tissima propensione al pop britannico , con testi in inglese. Nella playlist è pre-sente un’onestissima, anzi direi lodevo-le cover di Drive My Car dei Beatles2. e parlando di Beatles, siamo al de-cimo anno dalla scomparsa di George Harrison che, come è noto introdusse influenze indiane (vedi brani come With You Without You, in Sgt. Pepper, 1967) nel quartetto. Affascinato dalla misticità della musica indiana, Harri-son fu allievo di sitar di Ravi Shankar, colui che sdoganò queste sonorità in occidente. Shankar, e qui si puo’ capire quanto i gusti musicali siano una que-stione di abitudini, riteneva la musica occidentale monotona. Nella sua vasta produzione, che va dal 1956 ai giorni nostri, consiglio l’ascolto di Improvisa-tions del 1962.3. Tra le varie fascinazioni subite da John Coltrane ci fu certamente quel-la per Ravi Shankar (tanto che chiamò suo figlio con lo stesso nome) ed inserì nel disco Impressions (1963) un brano dal titolo India. In questa canzone la-scia ampio spazio al clarinettista Eric Dolphy che intesse un tema morbido ed ipnotico.4. Durante il tour inglese del 1965 dei Byrds la paura di volare in aero di Gene Clarke, una cassetta portata da David Crosby contenente registrazio-ni di Shankar e gli album di Coltrane Africa/Brass e Impressions, unita all’instancabile genio chitarristico di

McGuinn diedero vita ad Eight Miles High (1966), uno dei più grandi capola-vori del pop psichedelico di quegli anni. Il riff iniziale di chitarra è un omaggio diretto al tema di Dolphy. 5. Nella Minneapolis del 1979 si forma-no gli Husker Du, trio di estrazione punk-hardcore, che riuscì ad evolvere il proprio sound con influenze psichedeli-che, pop, ed in genere con un atteggia-mento molto aperto nei confronti della musica, solitamente alieno a chi pratica questo tipo di scena. Furono aspramen-te criticati dai loro fan nel passaggio da SST a Warner, ma in realtà non persero mai la propria identità artistica e se-gnarono l’avvio di produzioni di gruppi punk da parte di major. Il singolo con la loro versione di Eight Miles High, non è certo il punto più alto della loro carriera, ma si fa comunque rispetta-re, saturando il brano, velocizzandolo, distorcendolo, ma soprattutto pagan-do l’ennesimo tributo ai Sixties (vedi le loro cover di Sunshine Superman e Birthday) curiosamente fondamentali in un gruppo che in certi momenti della propria carriera è approdato a soluzioni stilistiche estreme.6. E come promesso si torna all’under-ground italiano con un altro trio che egli anni ottanta fu fortemente influen-zato dagli Husker Du: i Kina. Aostani, attivi dal 1982 al 1997, riformatisi nel 1999 come Frontiera, furono un grup-po hardcore di spicco a livello europeo. Pur portando sulle spalle una pesante eredità non furono meri emuli degli americani, ma esplorarono in modo personale il genere, soprattutto evitan-do le derive più pop non disdegnate gli Husker Du. Per loro consiglio calda-mente l’ascolto di Nessuno Schema dal demo del 1984 Nessuno Schema Nella Mia Vita, ma voglio anche ricordare una loro cover di Stop! In The Name Of Love delle Supremes. Tosta, eh?Chi lo avrebbe mai detto che ci fosse tutto questo nei Ualrus? Il Mistero è risolto, l’incomodo è tolto,la Storia l’ho raccontata,ci si vede alla prossima puntata.

made in italy

may the circle remains unbrokens c o r r a z z a m e n t i m u s i c a l i

di Davide Tramontin

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Get out sound!

Finalmente la musica emergente trova spazio a Por-denone grazie a “Get Out Sound”, brand del festival e della compilation nati per promuovere i musicisti che registrano presso lo studio “Peppino Impastato” del Deposito Giordani. L’idea nasce dall’associazione “Arte-sonika” di Ivan Moni Bidin e Fabio Amore, che gesti-scono lo studio e che, considerata la grande affluenza di band al Peppino Impastato, hanno deciso di creare uno strumento di sponsorizzazione per questi giovani talenti. In collaborazione con la cooperativa Nuove Tecniche e Virus Concerti, e con il contributo del Comune di Porde-none, è nato quindi il progetto “Get Out Sound”, prima con un “Get Out Sound Festival”, ed ora anche con il primo volume di “Get Out Sound Compilation”. Il festi-val conta già quattro appuntamenti all’attivo nel 2011: due Reggae Night (nelle quali si sono esibiti Catch A Fyah, Roots Bamboo e Yellow Pap), una Metal Night (Sagra del Tritono, Danger Division, Arkam e Nido di Vespe) e una Punk Night (Gonzales, Slang for Drunk, con Mad Sin come special guest); e a gennaio 2012 avrà luogo la quinta serata. A completare il filo conduttore tra sala prove, studio di registrazione e live da qualche mese, è arrivata quindi anche la “Get Out Sound Compilation”. Il primo volume, stampato in 500 copie, contiene 11 brani registrati al “Peppino Impastato”, ed è distribuita gratuitamente nel corso del festival, presso lo studio e al Deposito Giordani. Presto verrà pubblicato anche il secondo volume, sempre contenente pezzi dei giovani talenti che frequentano lo studio pordenonese! Get Out Sound è quindi finalmente un mezzo “pulito” di promozione della buona musica emergente, prezioso strumento per farci conoscere i gruppi che ci auguriamo siano il futuro del nostro territorio.

il nuovo brand della musica emergente dello studio peppino impastato!di Marianna Puppulin

delay snare yearswhite palmshigh speed chaseipericonevercallg-starzla genesi della noia e dell’autodistruzione nido di vespe

kangoodowble swindlelibertà dietro le sbarrepanda mcrainbowcatch a fyahfanklin had a trouble with me danger division

prossimo barharakiri bomb

diessedelarge

nesquik on the floor / infinity balls spavaldery

iodio / inverno 2012 11io ascolto /get out sound

“Andate lì e v'appostate però vi avviso, ha rifiutato interviste anche a Gazzettino e Messaggero”, Queste le premesse, benone...

Signor Vergassola, scusi possiamo farle un'intervista video... -

“Ma che, per Iodio? L'ho visto prima di là, si certo! Dove andiamo?”Dave gli accende la telecamera in faccia e lui non la finisce più di parlare:

“Iodio m'arriva a La Spezia, mi ci faccio le seghe prima d'andare a dormire...”È stata dura eh... ma ce l'abbiamo fatta. Trovate l'intervista completa nella rubrica IoVedo su www.iodiomagaziNe.it

di Simona Pancaro e Dave MartinsSparla con Iodio: Dario Vergassola

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di Iana

Dimenticatevi di PaoloDizioCiot in veste de “il fotografo delle Naonian Girls (le pordenone-

si)”, perché qui vi verrà presentato sotto un’altra luce, da un diverso punto di vista. Si parla sempre di fotografia (e non solo), forse in una maniera che definirei anche poetica, ma per il resto resettate la mente e iniziate a leggere.

Prima domanda, facile facile, ma so che in molti se lo chiedono: perché “il Dizio”?Ritengo che i misteri siano affascinan-ti solo fino a quando rimangono tali. Il poeta Novalis amava ripetere che «I misteri sono nutrimenti, potenze eccitanti; le spiegazioni sono misteri digeriti». Ed io, permettetemi la schiet-tezza, con la digestione ho un pessimo rapporto. «Dizio» potrebbe ricordare tizio, vizio, trizio, sfizio tutte parole che

amo e che potete trovare su un comu-ne vocabolario come la chiave di lettu-ra del mio enigma onomastico. Non vi svelo di più.

Entriamo nel vivo... la passione per la fotografia, dove, come e quando nasce?Ho sempre necessitato di una valvola di sfogo creativo. Prima di cimentarmi con la fotografia le avevo provate tut-te... provai a suonare il pianoforte, un vetusto Farfisa elettrico, ma il mio ma-estro di musica mi suggerì occupazioni

uno strano diziodi Iana

iodio / inverno 2012io vedo / paolo “dizio” ciot12

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iodio / inverno 2012 13io vedo /paolo “dizio” ciot

più salutari... per lui.Abbandonai anche la pittura nonostante qualche buon risultato e tante opere incompiute. Tentai la strada della recitazione e quella meno simulata del rugby.Le lasciai entrambe perché il la-voro cominciò a sottrarmi sempre più tem-po. Con la palla ovale giocai due stagioni in serie B finché un giorno del 2005, più per spasso che per cosciente aspirazione, realizzai un servizio fotografico ad una cara amica con una Nikon compatta da po-chi soldi. Fu una folgorazione senza usare il flash. Sebbene senza obiettivi ne trovai uno per il mio tempo a venire: continuare a fotografare.

La tua vera professione però è un’altra... un «lavoro letterario», come lo hai definito. Un mestiere che ti regala storie ed immagini da poter ampliare e ricostruire. Potresti spie-garlo a chi ci sta leggendo?Il portiere d’albergo. Faccio il portiere d’al-bergo. Amo il mio lavoro, è affascinante, mi ha aiutato ad imparare e a capire le per-sone, a conoscerle, a saperle interpretare. Ogni persona che incontro alla reception porta con sé una possibile storia da raccon-tare, un incipit, uno spunto da romanzare, ed è suggestivo a volte poter fantasticare sulle loro vite, da dove vengono, sul dove andranno, e sul cosa stanno facendo. Mi esercito in queste fantasticherie basando-mi sui pochi dati che posseggo di loro, sui gesti consueti e fugaci che mi rivolgono nella hall, su quel “non detto” e “non visto” che è il motivo della loro permanenza in albergo. Non faccio altro che cambiare lo strumento del mio racconto, non ho penna né computer. Sono uno scrittore di immagi-ni, quelle ideali e mentali della mia fantasia che traduco nelle situazioni delle mie foto-grafie. Così sono nate le «Naonian Girls» e così molti altri soggetti del mio mondo incantato, sfilacciato, onirico, liquido, deca-dente, visionario, fumettistico e noir.

Ho letto che hai anche partecipato a due film (All’altro capo e L’ultimo dei cacciatori, ndr), uno anche in veste di attore protago-nista. Cosa si prova a stare dall’altra parte dell’obiettivo, per di più di una videocamera? Sì, a due film, ad una pubblicità, a degli sketch comici andati in onda sulle reti lo-cali, e di recente ho recitato in una piccola parte nel film Lost in devil’s country e nel nuovo cortometraggio, Gli occhiali, en-trambi di Matteo Corazza. Cose in amicizia comunque, senza alcuna pretesa per me. È stato un gioco, un altro dei miei piccoli mondi paralleli. Piccoli ma emozionanti.

Nel n°1 di Iodio abbiamo appunto intervi-stato Matteo Corazza per il suo film “Lost in devil’s country”, di cui sei fotografo di scena. Come si pone, rispetto al film, un fotografo di scena? Si pone innanzitutto con discrezione (Paolo sorride, ndr) e cauti movimenti considera-to che stiamo girando in alcune strutture abbandonate e diroccate dove ogni minimo spostamento durante le scene può arreca-

è suggestivo fantasticare sulle vite dei clienti d’albergo. da dove vengono, sul dove andranno, e cosa stanno facendo. mi esercito in queste fantasticherie basandomi sui pochi dati che posseggo di loro, sui gesti consueti e fugaci che mi rivolgono nella hall, su quel “non detto” e “non visto”.

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iodio / inverno 201214 io vedo / paolo “dizio” ciot

re disturbo ai fonici. Poi l’importante è saper cogliere non solamente il mo-mento, la posizione, la luce che il di-rettore della fotografia ha allestito per immortalare attimi significativi del film; ma anche vestirsi dei panni del documentarista per raccontare il lavo-ro nascosto di tutta la troupe, quello

preparatorio, quello dietro le quinte, quello conviviale di una pausa.Cosa vorresti trasmettere con delle im-magini statiche che sono come riassunti di scene in movimento?Il fotografo di scena diventa una sorta di pittore. Ferma l’attimo nel momen-to in cui la composizione della scena, l’espressione degli attori, il gesto re-pentino diventa racconto autonomo, autoconcludente da un punto di vista formale ed estetico. Naturalmente ha il privilegio di godere di “collaborato-ri” speciali che si chiamano regista, direttore della fotografia, scenografi, truccatrici, costumiste, attrezzisti e ov-viamente attori.Non solo film. La fotografia di scena si applica benissimo anche ai videoclip musicali... e anche qui il tuo nome com-pare nella scena locale. Che rapporto hai con i musicisti e la musica?Io amo la musica, specie la musica rock. Da anni frequento il mondo un-derground pordenonese e questo mi ha dato modo di conoscere molte per-sone del panorama musicale locale e molte band di cui sono divenuto ami-co. Mi sento un privilegiato in questo senso perché la mia passione al di fuori della fotografia è diventata non solo un godimento personale, ma anche un’ulteriore opportunità di lavoro e di sperimentazione artistica come con gli Elkann Henudo, i Boyz Slenga, gli

Overunit Machine, gli After Moat con cui collaboro come fotografo di scena dei videoclip o per servizi fotografici promozionali.Nel tuo Flickr ho trovato dei set con dei nomi particolari come Carpe Diem, Ritratti rubati, Controluce. Titoli che possono racchiudere la filosofia di un fotografo. É la tua filosofia?Sono un ritrattista. Difficilmente mi vedrete mai andare in giro alle cinque di mattina con il cavalletto a fotografare paesaggi con la nebbia ecc. Con l’ as-sociazione Lucescrittura, presieduta da Piergiorgio Grizzo, realizzo il ca-lendario delle Pordenonesi ed il Foto-romanzo Pordenonese, attività che mi hanno dato e mi stanno dando moltis-sime soddisfazioni personali, sempre comunque legate al ritratto e all’inte-razione con altre persone. Il “cogliere l’attimo”, il “furto” e il “contrasto alla luce” sono tutte diverse espressioni di questi miei «misteri nutrienti» nati da «cattive digestioni».In molti avranno conosciuto un tizio, ops, Dizio, che non immaginavano... Scoprendo che dietro alla macchina fotografica si nasconde un fotografo e il suo pensiero. Lo preferivate come fotografo artistico di ragazze seminu-de? Ora avete due facce della stessa medaglia, sta a voi scegliere se provare a vederle entrambe o continuare a foca-lizzarvi solo su una di esse.

il fotografo di sceNa diveNta uNa sorta di pittore. ferma l’attimo Nel momeNto iN cui la composizioNe della sceNa, l’espressioNe degli attori, il gesto repeNtiNo diveNta raccoNto autoNomo, autocoNcludeNte da uN puNto di vista formale ed estetico.

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intervista a enrico s istdi Iana

Non so se sia corretto inserire Enrico Sist nella rubrica “Iovedo”, che parla principalmente di arti visive. Perché, come scoprirete, Señor Tonto, che è solo una delle vesti di Sist, è un perso-naggio multicolore e stratificato, come una torta di compleanno. Arte, musica, cucina, pile e pile di libri, fumetti, film di serie a/b/c..., pirati e sirenette, bere the, tagliare la carta e cercare patate sono solo alcuni dei suoi interessi. Ar-tisticamente parlando dichiara: “Sono affascinato dall’arte spontanea, dai disegni dei bambini, dai cartelli scritti a mano, dai vecchi fumetti americani d’inizio ‘900, dalla grafica degli anni ‘50, dal punk, dalle autoproduzioni e dallo spirito “Do It Yourself”.Un bel popò di roba. O no?Presentati in 2 righe.Sono Enrico Sist, un essere umano mol-to curioso con un gran numero di pas-sioni. Vivo in una città piuttosto surreale (che sarebbe Pordenone) dove cerco di fare più cose possibili per sopravvivere, soprattutto a livello neuronale. Señor Tonto è sicuramente conosciuto come l’alter ego di Enrico Sist. Com’è nata l’idea?Señor Tonto nasce verso l’inizio del 2000 con l’esigenza di avere un personaggio,un alter ego con il quale mettere in piedi alcuni progetti. Ton-to nasce da un collage di sensazioni e suggestioni della cultura pop a me molto vicine. Innanzitutto è un alieno intrappolato in un mondo che non è il suo. Una forte ispirazione per l’idea di alieno bizzarro sono stati due personag-gi dei fumetti: il papero Howard The Duck della Marvel bloccato tra gli uma-ni e Mr. Mxyzptlk, uno strano folletto da un’altra dimensione che cercava di mettere in difficoltà Superman. Il suo look è un mix di diversi stimoli, sempre pop, come le conigliette di Playboy, il mio idolo Pee Wee Herman, le creature naif dei cartoons di Hanna & Barbera, il Tenero Giacomo nelle vignette della Settimana Enigmistica, i personaggi del comico Andy Kaufman, il protagonista di Le Cinquemila Dita del Dr. T, un vec-chio film che adoro, e diverse altre cose. Come Señor Tonto ho collaborato per un bel po’ con il mio amico Davide Tof-

folo e con i Tre Allegri Ragazzi Morti in una serie di concerti e apparizioni in giro per l’Italia. Davide Toffolo ha spes-so disegnato il Señor Tonto in splendi-de vignette dal sapore retrò e ha usato il personaggio per illustrare la sua Zero-Guida alla città di Milano nel 2008. Ora, da qualche tempo, non impersono più direttamente il personaggio, ma non è affatto scomparso. Nascondi altri avatar?Diciamo che ne ho uno in cottura... D-E-Sist, un dj vigilante che suona solo per fare del bene.Non è curioso scoprire che digitando il tuo nome su Google, al secondo posto ci sia il sito www.matrimonio.com?Da un paio d’anni, tra le altre cose, la-voro come dj e ho cominciato a specia-lizzarmi anche nei ricevimenti di matri-monio e sono su quel sito perché c’è un mio profilo. Mi piace molto suonare ai matrimoni, è una lente sull’umanità per me interessantissima.Se ti dico arte tu mi dici?Un flusso multiforme e capriccioso di immagini mi ha sempre accompagnato, dai fumetti alla street-art. Da anni vado alla ricerca delle cose che mi piacciono di più come vecchi cartoni animati, film

di molti generi, fumetti, illustrazioni per l’infanzia, manufatti grafici fino agli anni ‘70, autoproduzioni, riviste, ritagli, libri, libri e ancora libri, prevalentemente con una forte componente visiva. Ho un esercito di artisti in discipline ed epoche diverse che ammiro e che mi stimola-no/ispirano molto. Alcuni tra i miei idoli sono Saul Steinberg, Gary Panter, Jack Kirby, Robert Crumb, Jean Dubuffet, Dr. Seuss, Milt Gross, Bob Clampett, Howard Finster, David Lynch, John Waters, Marco Ferreri ed una buona dose di dadaisti. Amo follemente quella che chiamo arte spontanea e che in giro per il mondo viene definita “Art Brut” e “Outsider Art”, espressioni artisti-che prodotte anche senza conoscenze tecniche o particolare talento, ma ispi-rate da un potente e spesso visionario impulso creativo. Quando, durante la mia adolescenza, ho scoperto il mondo delle autoproduzioni e delle fanzines, la suggestione e la poetica del fatto a mano, del “disegnato e fotocopiato” mi hanno completamente catturato. I miei sono dei disegni fatti assemblando for-me e colori ritagliati a mano come in una sorta di puzzle-mosaico. Purtroppo non sono molto produttivo per quanto riguarda i miei disegni, essendo una

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tecnica alquanto laboriosa. Negli ultimi anni ho anche esposto dei miei lavori in varie mostre e situazioni, soprattutto nella Galleria Vastagamma per cui ho inoltre lanciato l’idea della Maratonina del Collage che poi Giuseppe Collovati alias Zellaby ha contribuito a concre-tizzare. Una cosa che non mi convince totalmente è invece il ruolo primario che il computer sta avendo nel mondo della grafica, dell’illustrazione e dell’ar-te in generale. Sarà una forte chiusura mentale, forse starò un po’ generaliz-zando, ma trovo molte delle cose fatte al computer troppo standardizzate e senza una forte anima. Voglio il calore del fatto a mano, le piccole imperfezioni e quel feeling che mi servono a credere di ca-pire e fantasticare su chi c’è dietro. Ho collaborato inoltre con la rivista Black (e la sua edizione francese) della Coco-nino Press e nel 2001 ho pubblicato per l’associazione pordenonese Viva Comix una piccola guida al cartoonist america-no Basil Wolverton.E se ti dico musica?Io non ho alcun talento musicale e credo di essere una delle persone più stonate del cosmo, ma affronto la musica con la stessa voracità e curiosità con cui col-tivo tutte le altre cose, è fondamentale per me. Ho gusti variegatissimi, ti inon-derei di nomi e riferimenti, dall’amore pulsante per Elvis Presley e per i Devo al fascino totale per il tango di Carlos Gardel, dal punk alla musica africana, da Captain Beefheart a Thelonius Monk passando per il blues delle origini, dal pop degli anni ‘60 al funk, un mucchio di roba, un mucchio veramente. Prendo tutti questi amori musicali e nella mia recente attività di dj, o meglio seleziona-tore, li assemblo in set diversi. Gli unici generi che non tratto nei dj-sets sono la musica house o cose indie, contempora-nee, a cui proprio non riesco ad affezio-narmi e musica commerciale odierna senza cuore e cervello. Suono, poi, la sega musicale e cerco di imparare a suonare il theremin, due strumenti dal

suono unico, suggestivo, malinconico e con un feeling sonoro di altre dimensio-ni. Ho inoltre la fortuna di essere amico, in questa strana città, di musicisti diver-si tra loro che mi ispirano e trasmettono molto come Miss Xox, Davide Toffolo, Stefano Basso dei Photomodels, Marco Cossetti delle Bambine e degli Aquara-ma e altri ancora.Correva l’anno 2003 quando uscì il tuo lavoro Señor Tonto - Switched On T.A.R.M. Altri progetti musicali?Switched On T.A.R.M. non mi vede di-rettamente coinvolto come musicista, bensì come ideologo e “ragazzo imma-gine” in un progetto musicale curato in-teramente da Erik Ursich, un musicista veneto incredibile e talentuoso e con una collezione di strumenti musicali e vecchi sintetizzatori analogici da lascia-re senza fiato ogni appassionato. L’idea era quella di rimescolare la musica dei Tre Allegri Ragazzi Morti omaggiando la musica elettronica e gli album degli anni ‘70 con le versioni riarrangiate al sintetizzatore (in primis i leggendari Moog delle origini) di hits di successo che prendevano un sapore vagamente futuristico ed alieno. Altri miei progetti musicali/non-musicali sono la militan-za dal 1994 nella banda di terrorismo sonoro El Funeral De Kocis con Miss Xox, e nel 2008 ho fatto il rumorista nel progetto Banda Pirata che consisteva nella sonorizzazione di un vecchio film muto di pirati insieme ad un manipolo di musicisti pordenonesi, fighissimi, ma spericolati, dei veri pirati.Qual è la ricetta che ti viene meglio, vista la tua dote culinaria?Mi piace cucinare i dolci e in particola-re la pasta frolla e tutte le sue varianti o lontani parenti. La torta che preferisco cucinare è l’apple pie, la torta di mele secondo la classica ricetta americana. Una volta, nel 2006 per la precisione, ho partecipato ad una gara di torte presso la compianta Osteria Zuccolo di Porcia dove ho presentato una torta con sopra

dei Village People in pasta frolla alle prese con un’isola del tesoro. La torta ha vinto il premio come la più bella e, in seguito, avendo spedito una foto al sito dei Village People, l’attuale cantante del gruppo mi ha addirittura scritto un’e-mail complimentandosi.

Tra le mille cose bizzarre che hai fatto, qual è la più folle?A parte insonorizzare le campane di un campanile per fare uno scherzo al prete, nel 2006 ho realizzato un’installazione durante una manifestazione prima-verile a Cison Di Valmarino in cui ho letteralmente reso reale un mio sogno piuttosto criptico. Una volta sognai me, Enrico Sist, che vagando in un bosco abbandonato incontrava il me vestito da Senor Tonto occupato a vendere li-monate rosa in un chioschetto rosa. Per l’installazione in questione ho costruito lo stesso chioschetto rosa del sogno e mi sono messo a vendere limonate rosa in mezzo ad un bosco... mi è piaciuto molto!

“Enrico è una biblioteca vivente. Quan-do ce l’hai vicino, generoso, ti arricchisce senza che tu te ne accorga!”. È quello che ha detto di te Davide Toffolo. Su, arric-chisci anche i nostri lettori con una delle tue perle...Le parole di Davide mi onorano e lu-singano, ma non credo di riuscire ad arricchire nessuno così istantaneamen-te. Posso però suggerirvi un paio di li-bri che significano moltissimo per me: “Ruba questo libro” di Abbie Hofmann con i consigli di sopravvivenza urbana del maggiore guru della controcultura Yippie dagli anni ‘60 in poi, Come parla-re sporco e influenzare la gente del com-pianto genio dello humor nero e molto di più Lenny Bruce, “L’Uovo alla Kok” di Sandro Buzzi (con qualche illustrazione del gigantesco Saul Steinberg), che è il libro sul cibo più bello che io abbia mai letto e infine qualsiasi cosa troviate di Hunter Thompson. Good stuff!

“eNrico è uNa biblioteca viveNte. QuaNdo ce l’hai viciNo, geNeroso, ti arricchisce seNza che tu te Ne accorga!” davide toffolo.

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17io vedo / mattia balsamini

di Alessandra Perin

f r o m s a c i l e t o

l. a.and backintervista amattia balsamini

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iodio / matteocorazza

È di Pordenone, ha studiato in America ma ha una cartolina di Sacile, dove ha vissuto, tatuata addosso. Va matto per il

pane e per le mele, ma ha creato un blog di cu-cina e di ricette sperimentali. Ah dimenticavo, è riuscito a fare della propria passione un lavoro. Di chi sto parlando? Di Mattia Balsamini. La fotografia l’ha condotto lontano, ma l’amore per casa lo ha riportato qui fra di noi: abbiamo fatto quattro chiacchiere davanti ad uno spritz, fra musica, immagini, consigli di cucina e ricor-di di viaggio. Un classico: cos’è per te la fotografia?Per me rappresenta una possibilità di comuni-cazione. Mi ritengo una persona che sa comuni-care bene in certi campi, meno bene in altri e a volte non parlare è meglio, tutto quello che non è parola per me va bene. Il fatto che sia diventa-to un fotografo è del tutto casuale ed è legato al fatto che non so aspettare : non ho la pazienza di vedere un processo creativo che si evolve lenta-mente, mi piace vedere subito il risultato. La fo-tografia è questo, la possibilità di esprimersi in un tempo molto rapido rispetto a qualsiasi altro mezzo creativo. Ho smesso di credere che sia semplicemente fermare un istante : nel lavoro che faccio più che aspettare l’attimo, lo crei e il risultato finale è un’opera di artigianato. Non ti è mai capitato di provare altri mezzi espressivi? Sei anche un musicista...Con la grafica non mi è mai capitato e non mi ritengo neanche un musicista... è una passio-ne, ho fatto anche del giornalismo (per PnBox ndr), ma è la fotografia che mi permette di es-sere davvero indipendente. Negli altri processi

dipendi sempre molto da altre persone, mentre con un set fotografico sono io a scegliere tutto, dalla progettazione al risultato stampato.Nei tuoi scatti si riconosce un lavoro di post-produzione molto evidente, c’è un uso forte del fotoritocco anche se lo scatto risulta comunque naturale. Qual’è il rapporto fra lo scatto e il processo di post-produzione? Quale ritieni sia il giusto equilibrio fra questi due elementi?L’impressione di uno scatto “naturale” dipende dalla bravura del fotoritoccatore. Esistono foto-ritocchi eleganti e trasparenti (fa l’esempio di Annie Leibovitz ndr) e ritocchi invece pesanti ed evidenti, ma restano comunque delle scelte stilistiche. Credo che vedere le potenzialità di uno scatto e migliorarlo attraverso il ritocco sia solo positivo, è tecnologia a servizio dell’uomo. Le fotografie della California (quelle che vedete pubblicate ndr), sono state realizzate per strada con un sacco di luci diverse, in modo da far usci-re il personaggio dallo sfondo. Quelle immagini sono pesantemente ritoccate per suscitare lo stupore in chi le guarda: sembrano immagini “rubate” ma i personaggi sono perfettamente il-luminati, con mille riflessi che non si sa da dove vengano...Gli scatti sono infatti traslucidi e super det-tagliati, sembra quasi che i soggetti siano appiccicati sullo sfondo. Questo effetto è il risultato di una precisa scelta stilistica?Sì, era un effetto da cui sono sempre stato affa-scinato. Uno scatto in cui fotografi un passante a Pordenone, lo illumini perfettamente e viene fuori una persona che altrimenti non avresti no-tato... è un’opera d’arte.

Sembra che tu voglia raccontare la storia di quella persona, catturarne l’essenza...Ma anche raccontare una bugia, l’importante è vedere quella persona sotto una luce diversa. Prendi un passante qualunque, lo illumini e lo catturi quando non è in posa: riuscire a cogliere un momento di onestà e poi intervenire con il ritocco, questo è un approccio davvero partico-lare alla fotografia. Creare un’opera d’arte nella normalità, questo sì che mi piace. Parliamo del tuo percorso: per un po’ hai studiato Scienze e Tecnologie Multimedia-li a Pordenone poi hai scelto di studiare in America, dove hai avuto modo di lavorare per David LaChapelle. Quanto e come ha influito questa esperienza?Ho lavorato per un anno e mezzo nel suo studio, come terzo assistente. A me lui è sempre piaciu-to e mi ha sicuramente influenzato a livello tec-nico (luci, trattamento dei colori), ma quello che mi ha insegnato davvero è la produzione, a farsi un mazzo quadro per raggiungere un risultato. Mi ha insegnato ad essere preparato, ad essere competente e a lavorare sotto pressione. Lui è artista fino in fondo, mentre io mi sento più un tecnico, un artigiano.Esperienza all’estero: dimmi una cosa che pensavi di trovare in America e non hai trovato e una cosa che non ti aspettavi e che invece ti ha stupito.L’esperienza all’estero ti apre la testa. Ho avuto uno scontro culturale con l’America: è effimera, ad Hollywood vendono aria fritta. È tutto “tan-to”, sei costantemente bombardato da... roba. Pubblicità, feste, connessioni, possibilità di la-

iodio / aprile 201116 uN giorNo usceNdo di casa mi soNo fermato a guardare uN’auto parcheggiata sulla strada, la fiaNcata siNistra era ridotta piuttosto male e meNtre faNtasticavo su chi o cosa poteva averla trasformata così, uN ragazzo mi si è avviciNato chiedeNdomi se mi piaceva, era sua. Ne aNdava molto fiero.

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iodio / inverno 2012

voro che alla fine ti saturano: questa è una cosa che non mi aspettavo e che ho trovato. Un’al-tra cosa che mi ha stupito è stata la gente, ho trovato delle persone con una grande apertura, nonostante sia un ambiente molto superficiale. Quel tipo di amici che darebbero tutto per te qui forse non li trovi. Sei un caso strano: in un periodo in cui tutti scappano dall’Italia, tu sei emigrato ma hai anche scelto di tornare e lavorare qui. Perché?Ho deciso di tornare in Italia non solo per l’a-more di casa, ma anche perché negli Stati Uniti sono squali, sono tanti e sono più bravi. Non è difficile trovare lavoro lì, ci sono grandi possi-bilità per tutti, ma passi la vita a sgomitare per restare a galla. In Italia ho avuto la possibilità di crearmi una base solida nel mio paese. Sono stato in America, ora cerco di diventare qual-cuno qui e quando sarò pronto magari tornerò all’estero. Come riesci a conciliare l’espressione perso-nale con le richieste dei clienti?Ci sono dei lavori in cui hai maggiore libertà, ma più grossa è la commissione meno spazio viene concesso all’ispirazione personale e spes-so è una questione di budget. Il trucco è con-sigliare il cliente per avvicinarlo il più possibile alla tua visione artistica : devi essere un po’ arti-sta, un po’ businessman, insomma..Oltre al lavoro, riesci a seguire dei progetti più personali?Sì, anche se il tempo non è molto. Ho la pas-sione del cibo e con la mia ragazza gestisco un blog di cucina e di ricette (“Thebestfoodbloge-ver” ndr). Il lavoro mi appaga comunque, per me fare un lavoro divertente e portarmi a casa

lo stipendio è già un successo. Risolvere i pro-blemi di un cliente, mettere insieme tutti i pezzi è un’arte. Il mio blog “Bread&Apples” risale invece ai tempi della scuola, per mostrare tutte quelle immagini che non erano abbastanza “bel-le” per essere messe sul sito, ma che comunque valeva la pena di condividere.

Musica : cosa ascolti?Sono cresciuto da disadattato : mio padre mi faceva ascoltare i dischi di Pat Metheny, a die-ci anni ascoltavo jazz, alle medie sono andato di Nirvana e Distillers. Sono un grande fan dei Blink ma la mia grande passione sono i gruppi hardcore, punkrock e blues. Ultimamente ascol-to molto il folk melodico, James Taylor, non par-liamo poi di Ben Harper, dei Foo Fighters. Mi ricordo di un viaggio epico per assistere ad un loro concerto, qualche anno fa..

mi piace rompere i coglioNi alla geNte che NoN

coNosco, il fattoriNo ups è sicurameNte uNo di Questi. uN pomeriggio

meNtre aspettavo uNa coNsegNa, mi

soNo appostato iN giardiNo per aspettarlo. ho scattato solo

Questa.

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È giunta l’ora della frenesia! Eccoci quindi in compagnia del dinamico trio che compone la Frenzy Hour

Production, società di produzione video com-posta da tre ragazzi di Spilimbergo: Andrea Cinque (26 anni), Giacomo Urban (22 anni) e Tommaso Urban (26 anni). Giovani e friz-zanti ma nel contempo seri competenti e mol-to sicuri di loro stessi (un bel valore aggiunto di questi tempi). Un viaggio tra le esperienze, i successi gli insuccessi di una professione che molto spesso viene quasi data per scon-tata e che invece richiede inventiva creatività e passione.

Domanda di rito: Da chi è composta “Frenzy Hour” ?Tommaso: Siamo partiti io e mio fratello Gia-como, a fare cortometraggi prove video, di tutto un po’ e praticamente, da subito, si è aggiunto Andrea che ha dato una mano sia per il design grafico che per la fotografia e poi con la recitazione e ora appunto con lui curiamo tutta la parte che è di animazione grafica. Andrea è sempre con noi sui set, che da una mano, lavora. Principalmente siamo un nucleo di tre persone.

Com’è nato il nome “Frenzy Hour”?Tommaso: Trovato semicasualmente, per-ché Giacomo stava provando a fare delle magliette e nel disegno c’era anche scritto

“Frenzy Hour”. In quel periodo stavamo lavo-rando ai primi cortometraggi, dovevamo tro-vare un nome per mettere davanti il marchio di produzione e così è stato. Frenzy Hour. Suonava figo.Giacomo: E poi rappresenta anche il nostro modo di lavorare, un po’ i prodotti che faccia-mo: sono molto energici. Quindi l’ora della frenesia va comunque bene. Poi è questione anche di suono. Suona bene!

Come gestite i budget dei vostri film?Tommaso: Rapina in banca...(ridono). No seriamente, il budget dei cortometraggi era tutto a carico nostro. Io tengo sempre il con-trollo completo delle spese effettive più faccio anche il conteggio di quelle che sono le spese lavorative per ognuno dei membri della crew, facendo il conto delle ore per avere un effetti-vo riscontro di quanto viene a costare.

Un cortometraggio quanto tempo vi occupa in media? Parlo a livello di riprese.Giacomo: A livello di riprese non è tantissi-

mo, per esempio i film quanto sono? Circa un mese un mese e mezzo. Per l’ultimo corto-metraggio “The Guy” una settimana per ven-ti minuti. L’abbiamo girato tutto in notturna, quindi c’era quel limite.Tommaso: Partivamo alle 4 di pomeriggio e finivamo alle 4 di mattina. Abbiamo speso 2.000 euro. Sto parlando del 2008. E poi vo-glio dire ore di lavoro beh... infinite....

Parlando delle vostre colonne sonore: c’è que-sto ragazzo, Marco Boem, che se ne occupa. Voi date un input, avete una visione....come vi muovete?Giacomo: Un input? Assolutamente sì. Io spac-co i coglioni in una maniera incredibile. È vero. Quando faccio il montaggio molto spesso uso anche delle musiche, perché so quale deve essere il feeling che deve avere la scena. Lo decidiamo prima, abbiamo delle tracce tempo-ranee provenienti da altri film. Dopo di che dia-mo il film con le tracce temporanee al compo-sitore, che deve uniformare nel suo lavoro le tracce mantenendo però il feeling e l’emozioni che vogliamo trasmettere.

Voi per chi lavorate principalmente? Avete restrizioni da chi vi commissiona un lavoro?

FH

Frenzy Hourdi Alessandro Verona e Ciff Secord

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Giacomo: Noi fino adesso abbiamo lavorato per la pubblicità.Tommaso: E aggiungerei che lavoriamo me-glio con restrizioni.Giacomo: Noi chiediamo le restrizioni, vo-gliamo che il cliente abbia un’idea. In realtà molto spesso il cliente non ha proprio idea di cosa vuole. Bisogna lavorarci insieme per tirar fuori quello che vuole. Una volta che il cliente ha capito cosa vuole noi lavoriamo bene.

Parliamo ora della vostra formazione, cosa vi ha portato fin qui?Giacomo: Ho frequentato il liceo scientifico ad Udine. Università un anno a Milano e fi-nita a Trieste. Laureato regolare 2008 in Di-scipline dello Spettacolo (Trieste). Poi sono partito per il Canada dove ho fatto 2 anni e mezzo studiando sceneggiatura sono anda-to sui set di produzione.... sono rientrato e ho fatto la specialistica a Gorizia che ho concluso a Luglio. Ora sto seguendo corsi di produttore a livello europeo organizzati dal Media. Quest’anno ho fatto un corso da produttore.Tommaso: Io ho fatto scienze e tecnologie multimediali. La sconsiglio vivamente a chiunque perché la considero inutile per quello che è stata la mia esperienza. Non da le basi per quelle che sono le richieste del mercato adesso (e forse di 50 anni fa).

Horror e fantascienza. Quali altri generi o ambientazioni vi ispirano per il futuro?Noi crediamo che i nostri lavori o per lo meno la nostra inclinazione sia il thriller, che poi viene influenzata da uno stile horror o di fantascienza.

... e a livello di influenze?Tommaso: Assolutamente James Cameron.Giacomo: C’è chi lo ha paragonato a lui! Tommaso: sì sì, l’ho sempre rinnegato però è un po’ vero nel limite del paragone. Co-

munque io amo questo regista, adoro Alfred Hitchcock, tra gli italiani mi piace Mario Bava. Torno sempre a Terminator. Mi piace molto anche Ridley Scott, e Spielberg.

(Nel frattempo arriva il terzo Frenzy: Andrea Cinque)

Andrea, di cosa ti occupi all’interno della Frenzy Hour?Io nasco grafico, divento web designer, e fac-cio il motionographer. La prima passione è stata la fotografia, che poi è andata a braccet-to con quelli che erano i miei studi, ho fatto la stessa Università di Giacomo, approfonden-do per lo più tutto quello che è grafica e foto-ritocco. Mi occupo, appunto, di tutto quello che riguarda la grafica, dalle bozze grafiche ai titoli finali dei video. Inoltre curo il sito in-ternet della Frenzy Hour.

Concludiamo con un po’ di domande veloci. Il vostro film preferito?Tommaso: Un film che adoro Les diaboli-ques di Henri-Georges Clouzot del 1955.Giacomo: Io stavo per dire Jurassic Park ma non è questo il film che preferisco, non è ne-anche The Prestige ma è Prova a rendermi. Andrea: Io non ho cultura cinematografica. Vi posso dire che il mio artista preferito è Dalì.

Colonna sono preferita? Andrea: Sarebbe troppo scontato dire Pulp Fiction? ma dico comunque Pulp Fiction!Giacomo: Colonna sonora no, ma potrei dirti soundtrack di Revolutionary road, è un po’ triste ma molto bella.Tommaso: Ultimamente ho ascoltato in mac-china la colonna sonora di Driver e devo dir-vi che è bellissima, oltre che anche il film è bellissimo. Però se volete la mia preferita vi dico “La Cosa”.

Frenzy Hour

21io vedo / frenzy hour

il Nome “freNzy hour“ rappreseNta aNche il Nostro modo di lavorare, uN po’ i

prodotti che facciamo: soNo molto eNergici.

QuiNdi l’ora della freNesia va comuNQue beNe. poi è QuestioNe

aNche di suoNo. suoNa beNe!

iodio / inverno 2012

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Sara Comuzzo

Sara Comuzzo, 23 anni, laureata in Psicologia presso l’Università di Padova, studia Mediazione Culturale a Udine. Adora da sempre la letteratura, romanzi, autobiogra-fie e poesie. Specialmente ciò che riguarda il filone americano della Beat Generation. Tra i suoi scrittori preferiti troviamo Shakespeare e Dylan Thomas. Parlando di con-temporenei ama James Frey, Jim Carroll, Evelyn Lau e Johnatan Safran Foer. “Devo molto a tutti loro, per avermi fatto amare le parole e il loro impatto”. Nel tempo libero legge, scrive (ovviamente), corre, viaggia e ascolta un sacco di musica Indie.

Stefano Cantoni

Stefano Cantoni, 34 anni anagrafici; 3 anni d’animo candido, 15 anni di esuberanza sognatrice. Cantante eclettico, scrittore in prova, poeta nella poesia. Apolitico, diffida delle religioni e delle guerre, ama la ricerca della spiritualità individuale, sotto ogni forma e credo. “Le mie passioni segrete sono collezionare “carletti” in miniatura (sì, quelli dei “sofficini”….ci ho fatto pure un presepe una volta…) e perdermi in un libro senza mai finirlo subito, ma cogliendo ciò che mi serve in quel presente”.

Stefano Driussi

Stefano Driussi, 28 anni laureato in Informatica all’Università degli studi di Udine. Parlando di musica preferita troviamo i Tool, i RATM, i Muse, gli Audioslave e i Dredg, ma non solo: ascolta spesso anche hip hop italiano.

Ci siamo. Il primo contest letterario di Iodio. Che emozione. Ed eccovi i vincitori,

scelti basandoci su tre parametri: la tecnica, la creatività e il nostro cuore. Per il

racconto breve ha vinto Stefano Driussi, ex equo per la poesia tra Sara Comuzzo e

Stefano Cantoni. Congratulazioni a loro, e grazie a tutti quelli che hanno partecipa-

to al contest. I loro racconti e poesie saranno pubblicate sul nostro sito. Non perdeteli!

i l c a n t o d e l c i G n o

Stefano Cantoni

Cos’è l’amore per me? lasciate che io canti una canzone, e dove stonerò troverete le note più liete.

p a r l a n d o c o n l e i di Sara Comuzzo

Non importa dove la cosa ci porta adesso. I cieli sono amanti. Le nuvole il loro bestiame. Sono ispirata perché l’elettricità ha incontrato la mia spina dorsale. 20 minuti al macello. Girovagare. Non ha fatto né fa altro. A lei piacciono i vagabondi. Ecco perché. È questione di capovolgere l’importanza delle cose. La fragilità del leone è più preziosa di quella del cervo.Ti chiedi perché tutte queste cose nella tua testa. Non ricordi il tramonto? Ricordi la luna? Il pezzo mancante. Lei si chiede ed urla perché non ricordi. Ma non te ne importa. A nessuno importa. E andiamo avanti. Nell’angoscia delle nostre insoddisfazioni. Ci si sposa per ottenere cesoie. Non è che vorresti tornare indietro? Tocca la sua faccia per sapere che non è finita. Forse ci sarà qualcuno che annebbia cerbiatti ed avvelena corvi creando giacigli per i giorni più belli.

i0 contest letterario di iodio. i vincitoria cura di Katrin Battiston e Alessandro Verona

illustrazioni di Alessandra Perin

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Farewell ... “Cade la pioggia. Le goc-ce precipitano al suolo infrangendo-si sull’asfalto. Un rumore costante, come di mille orologi che ticchet-tano. Scivolano giù lungo le tegole della tettoia che sporge sopra la mia testa. Do un’ultimo tiro e poi getto a terra il mozzicone di cui oramai resta solamente un filtro avvizzito. Roto-la per qualche istante sul cemento bagnato mentre gli ultimi rimasugli di tabacco sfumano da un rosso in-tenso ad un grigio cenere. Ormai è passata un’intera ora. Lei non è an-cora arrivata. Fisso ancora l’orolo-gio. Le lancette scattano inesorabili, incuranti di ciò che accade attorno a loro, non devono aspettare nessuno, vanno avanti e basta. Passa un’altra mezzora. La pioggia non cessa. Il tempo sembra dilatarsi. All’improv-viso scorgo un movimento in fondo al vicolo: sta arrivando una persona.

Indossa un lungo impermeabile nero e un ombrello dello stesso colore la protegge dall’acqua che scende dal cielo. Socchiudo le palpebre. Metto a fuoco. Finalmente scorgo il suo vol-to. Le sue labbra rosse si stagliano nitide su quella pelle di un rosa pal-lido creando un netto contrasto. Due occhi verdi smeraldo le decorano il viso come gemme preziose. Occhi stupendi. Occhi che tradiscono una tristezza profonda e inutilmente ce-lata. Cammina nella mia direzione, passo dopo passo. Il mio sguardo è sempre su di lei e si ferma sotto al lampione che illumina quel tratto di marciapiede. Solleva il bavero ell’impermeabile per ripararsi dal vento gelido che a tratti urla lungo la strada e le sferza il viso delicato. Si è lei. Non ho alcun dubbio. L’ho aspet-tata a lungo e finalmente è qui. Una leggera pressione. L’indice scivola

lentamente quasi a sembrare una ca-rezza. Un soffio. Un secondo. Il suo sguardo che muta improvvisamente. Sembra quello di chi non ha più pen-sieri. Uno sguardo sereno. Le palpe-bre si posano sui suoi occhi stanchi. Lacrime scarlatte scivolano lenta-mente e si escolano con la pioggia sporca di asfalto. Giace a terra. Smet-to di guardare dal cannocchiale. Mi fermo per un istante e poi smonto il fucile per riporlo nella valigetta. Rac-colgo il bossolo. Il fumo e l’odore di polvere da sparo bruciata mi entrano nelle narici e infiammano i miei pol-moni. Non so chi fosse. Non conosco nemmeno il suo nome. Di lei resterà soltanto un ricordo vorticante nella mia memoria, uno fra molti. Questo è il mio lavoro, uno come tanti altri. Lascio l’appartamento. La pioggia continua a cadere.”

f a r e W e l lStefano Driussi

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Questa ragazza ha le idee chiare su ciò che vuole fare: illustratrice, grafica, creativa. Una come tanti, penserete voi. Invece Chia-ra ha saputo unire la sua passione ad altri due grandi settori: grafica e moda, da un lato, illustrazione ed editoria, dall’altro. Me-scolando idee ed esperienze riesce a dare una nuova immagine a maglie, borse e libri: un sogno che sta diventando realtà, frutto però di impegno ed amore costanti. Ecco a voi Chiara Boz, un altro giovanissimo talen-to pordenonese.

Dal diploma all’istituto d’arte fino ad oggi... qual è stata la tua formazione? Quali i tuoi maestri? Quali i tuoi modelli?Ho sempre ammirato l’arte italiana, quindi l’ispirazione e l’influenza dei grandi artisti rinascimentali è sicuramente evidente. Io sono diplomata all’istituto d’arte e ho fre-quentato un corso di grafica seguito da uno stage aziendale. Ammiro moltissimo le gra-fiche del tedesco Christian Hundertmark, ma non ho un modello di artista contempo-raneo a cui mi ispiro... É stato fondamentale per la mia formazione incontrare un grande come Giulio Iurissevich (che abbiamo inter-vistato su Iodio n.1 ndr).

I tuoi lavori si contraddistinguono per una tecnica che mescola arte manuale e digitale. Come nasce e cresce una tua illustrazione?Nasce sempre da un concetto, un’idea che voglio sviluppare. La prima cosa istintiva è segnare su carta ciò che devo rappresenta-re. Poi digitalizzo il tutto e tramite software completo l’illustrazione .

La figura femminile è una costante nelle tue opere, ma ad essa viene aggiunta una nuova dimensione di bellezza con il supporto della grafica. Cos’è per te la bellezza?L’arte è in continua evoluzione, e con essa anche il concetto di bellezza. Ogni epoca ha

i suoi canoni estetici, io considero bellezza tutto ciò che suscita armonia, la cura per il dettaglio e la ricerca del particolare. Buon gusto e sopratutto equilibrio. Oggi è diffusa la tendenza a confondere i confini tra bellez-za e ricerca ossessiva di differenziarsi. Tutti vogliono dipingersi anticonformisti quando in realtà è proprio questo che rende loro or-dinari. L’originalità è un’altra cosa.

Oltre all’arte sei appassionata anche di moda. E non c’è idea migliore di quella che hai messo in pratica tu: trasferire la tua arte nella moda. Ci parli del tuo brand Rëve+ (www.reveplus.com)? Dove lo distribuisci?Rëve+ nasce nel 2010. È un progetto che è nato e che condivido con il mio ragazzo, Marco. I capi li creiamo insieme, lui si occu-pa principalmente della stampa dei tessuti, io all’aspetto grafico e alla realizzazione manuale. Abbiamo iniziato con dei sempli-ci telai serigrafici, la macchina da cucire, e tantissima passione per questo progetto. Dal nulla, insomma, ma ogni cosa che stia-mo ottenendo e abbiamo realizzato fin’ora è stata esclusivamente frutto di un costante lavoro basato solo sulle nostre forze. Ini-zialmente il tutto è nato con t-shirt unisex, per poi concentrarci nell’abbigliamento femminile, anche se presto uscirà una nuo-va collezione tutta al maschile che desterà sorprese. Riguardo alla distribuzione si possono ordinare dal mio sito web oppure presso i negozi rivenditori che si trovano a Trieste e a Padova.

Hai viaggiato molto... e le tue esperienze si sono riversate nella tua arte. La più ricorren-te sembra essere quella francese, o sbaglio?Da ogni cultura si impara sempre qualcosa di nuovo, ecco perché trovo fondamentale che un creativo faccia delle esperienze all’e-stero. Conoscere realtà diverse dalla pro-

pria è lo strumento di formazione migliore. Gli artisti che io personalmente preferisco sono tedeschi: Jil Sander e Christian Hun-dertmark. I tedeschi amano i capi comodi e proprio in Germania ho capito che un abito, perché sia portabile con disinvoltura, deve essere in primo luogo confortevole. In Francia, d’altro canto, sono molto attenti al dettaglio, e lì ho imparato che il cliente compra il tuo prodotto perché lo trova par-ticolare, unico. In Spagna invece trionfa il colore, espressionista nei toni, e nelle mie creazioni ho sempre usato poco il nero. Co-modità, particolarità e un sapiente uso del colore: queste sono le tre caratteristiche fondamentali a cui penso quando creo un capo. La moda francese, insieme a quella italiana, è quella che preferisco: elegante e accurata, ed effettivamente i capi Rëve+ sono più richiesti in Francia che in Italia.

Sei ancora molto giovane... Qualche sogno nel cassetto?Nella lista dei desideri figurano uno studio di progettazione che unisca la grafica e l’ illustrazione per consentire ai giovani cre-ativi di conoscere e approfondire questo mondo. Consolidare il mio marchio e con-tinuare a lavorare come illustratrice.

Non a caso ho lasciato per ultima questa domanda. La parola reve in francese signi-fica infatti “sogno” ed oltre ad avere un bel suono, spiega Chiara, Rëve+ nasce proprio da un sogno iniziato mentre si trovava in Germania. Il termine unisce i luoghi in cui ha vissuto delle esperienze estere: una pa-rola francese, a cui sono state aggiunte la “ë” per richiamare la scrittura tedesca e il “+”, che si pronuncia similmente in inglese e in francese (“plus”).Un marchio molto “europeo” quindi. Très bien Chiara, good glück.

di Iana - illustrazione di Chiara Boz

un sogno ad occhi aperti

i n t e r v i s t a a c h i a r a b o z

iodio / inverno 2012io vesto / chiara boz26

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Stimabile Dottor Q,sono un grande fan di Real Time e da quando ho scoperto questo canale ho ben poco tempo per fare altre cose. Però l’altro giorno ho visto la pubblicità del nuovo programma “Non sapevo di essere incinta” - un turbine di sequenze di vomito, pianti isterici e divaricatori che culmina con un tautologico “pensavo che il medico fosse drogato”- e allora giro la domanda a Lei che è un dottore: è davvero possibile rimanere incinta e non accorgersene? Cordialmente,

ManlioTi capisco Manlio, quei dannati programma di casa, cucina e matrimoni mi hanno annullato la vita sociale. Ma quanti consigli preziosi per la vita di ogni giorno. Tornando alla tua domanda, ebbene sì, è possibile. Quante volte abbiamo liquidato episodi di urla, vomi-to, svenimenti e pianti istrici con il termine “sbronza colossale?”. La prossima volta che la tua ragazza mani-festa questi sintomi, prega che sia il vodka tonic.

saluteme a’soreta. e pure a’mammeta.

inviate le vostre domande al dottor q all’indirizzo [email protected]

Gentile Dottor Q, ho una relazione a distanza. Lui vive e lavora a Pn io vivo e lavoro, sempre se uno stage sottopagato può considerarsi lavoro, a Milano. Alla fine di quest’anno ho davanti a me due opzioni: sperare in un avvincente carriera professiona-le nella grigia mela (prolungando l’agonia della storia che oramai boccheggia) o rientrare in Friuli adeguandomi ad un qualsiasi forma o tipologia di lavoro.. per non buttare nel cesso la mia storia. Mi aspetto un po’ del suo fantoma-tico, ma razionale, cinismo. Un saluto, RobyAh, il vecchio dilemma tra amore e carriera! Di questi tempi lo stage sottopagato può essere il massimo della carriera a cui puoi ambire, quindi suggerisco di buttarti sull’amore. Oppure di met-terti insieme al figlio del capo. E se poi va male pure quello, puoi sempre sperare di trovare la tua anima gemella in un ufficio di collocamento.

iodio / iodioetamo 27iodio / inverno 2012

Venerabile Dottor Q, sto insieme ad un ragazzo da un paio di anni, ma sul nostro rapporto incombe una pesante eredità: l’ombra della sua ex con la quale ha condiviso dieci lunghi anni della sua vita. Come fargli mettere definitivamente da parte la vecchia relazione? Lucilla ‘83Cara Lucilla, la tua mi pare essere la classica sindrome da ruota di scorta. Ma non sottovalutare l’importanza e l’utilità della suddetta ruota. Lei se ne sta lì nel bagagliaio, ma basta svitare qualche bullone, prendere il cric, ed è già pronta ad essere montata. Scusa il gioco di parole, è che sono un fan del Bagaglino (Martufello genio). Vabbè lasciamo perdere la ruota di scorta, per tenerti l’uomo tutto per te concentrati sulla carrozzeria. E non dimenticare gli optional.

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www.tredicoppe.it

DomenicaDomenica 2929 gennaio – gennaio – aperitivo l ive “H STORTA”aperitivo l ive “H STORTA” (FOLK EN ROLL-TV)(FOLK EN ROLL-TV)

Giovedi Giovedi 99 febbraio febbraio – – Treatro di CoppeTreatro di Coppe

““Compagnia Sirteta present: SciSciòShow”Compagnia Sirteta present: SciSciòShow” (TEATRO-FI)(TEATRO-FI)

Domenica Domenica 1212 febbraio – febbraio – aperitivoaperitivo rr ee gggg aa ee livelive

““COLLECTIVE LAB”COLLECTIVE LAB” (REGGAE-DUB-TV)(REGGAE-DUB-TV) && ROMEO DJROMEO DJ (POSITIVE VIBRATION-VE)(POSITIVE VIBRATION-VE)

VenerdiVenerdi 1717 febbraio febbraio –– M'i l lumino di menoM'il lumino di meno cena a km cena a km 0 con l ive 0 con l ive

““SECRET KEY TRIO “ SECRET KEY TRIO “ (ACUSTIC TRIO-PN) (ACUSTIC TRIO-PN) visita il sito per vedere il menu' del la seratavisita il sito per vedere il menu' del la serata

DomenicaDomenica 19 19 febbraiofebbraio –– carnevale hard-core carnevale hard-core live “HOP HOP RIOT “ l ive “HOP HOP RIOT “ (HARD-CORE-PN) (HARD-CORE-PN) & “the BRUSARJA” & “the BRUSARJA” (HARD-CORE IN VENETO-VE)(HARD-CORE IN VENETO-VE)

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