Q2 2005 Volume Tre

180

description

landscap

Transcript of Q2 2005 Volume Tre

Page 1: Q2 2005 Volume Tre
Page 2: Q2 2005 Volume Tre
Page 3: Q2 2005 Volume Tre
Page 4: Q2 2005 Volume Tre
Page 5: Q2 2005 Volume Tre

1

Quaderni della Ri-Vista Ricerche per la progettazione del paesaggio ISSN 1824-3541 Università degli Studi di Firenze Dottorato di ricerca in Progettazione Paesistica http://www.unifi.it/drprogettazionepaesistica/

Firenze University Press anno 2 - numero 2 - volume 3 - settembre-dicembre 2005 sezione: Editoriale pagg. 1-4

EDITORIALE Alessandra Cazzola* Nella sezione dedicata ai “protagonisti della progettazione paesistica” vengono descritti due personaggi che, pur nella differenza dovuta soprattutto ai periodi storici e agli ambienti in cui hanno vissuto, hanno di fatto segnato la storia della nostra disciplina. Nel saggio di Emanuela Morelli vengono ripercorse la vita e le esperienze di Frederick Law Olmsted (1822 - 1903) che, ai primi del Diciannovesimo secolo, ha operato in una civiltà profondamente modificata dalla rivoluzione industriale, nella quale il concetto stesso di natura è stato presto separato da quello di civiltà urbana. Nelle sue esperienze progettuali Olmsted ha guardato alla Natura non come antagonista della Città, bensì come struttura portante all’interno degli insediamenti. L’attualità dell’opera di questo autore sta principalmente nel suo approccio sistemico al concetto di paesaggio e nella sua continua necessità di operare in sinergia con numerose altre discipline, sia nella sua visione di insieme degli spazi verdi in ambito urbano, sia nel caso della conservazione e gestione delle risorse naturali delle aree protette. La figura di Emilio Sereni in Italia viene descritta da Sabrina Tozzini soprattutto come quella di un uomo dalla forte personalità, che per tutta la storia del ventesimo secolo è stato fortemente condizionato dall’ideale di un ordine sociale nuovo: ha cercato di raggiungerlo e con la sua attività politica e sociale, e con una ricca produzione e ricerca scientifica. Il concetto di “rete” come tema del paesaggio che ha contraddistinto tutto il secondo numero dei “Quaderni della Ri-Vista” si chiude in questo terzo volume con il saggio di Emanuela Morelli, che esplicitamente vuol considerare il paesaggio come un organismo vivente. “Esso è soggetto dinamico e in continua evoluzione ed è in virtù di questa sua vivacità e del modo con cui si trasforma, muta o si evolve, che si determina la vita stessa del paesaggio e quindi la sua integrità.”1 Nel saggio si descrivono le tre categorie principali secondo le quali viene oggi articolato il paesaggio: nella similitudine con l’organismo vivente esse rappresentano le diverse componenti attraverso le quali confluiscono le energie utili a determinarne il funzionamento e lo stato di salute, ossia le reti storico-culturali, le reti ecologico-ambientali e quelle percettivo-visive.

1 EMANUELA MORELLI, Il paesaggio come sistema di reti, in Quaderni del Dottorato di ricerca in Progettazione paesistica n. 2 vol. 3, settembre-dicembre 2005, pagg. 43-54

Page 6: Q2 2005 Volume Tre

2

Le prime sono le matrici del paesaggio antropico e sono rappresentative di una precisa identità culturale di un luogo, di una comunità, di un periodo storico. Le reti ecologico-ambientali si configurano come vere e proprie infrastrutture naturali e ambientali, che sempre più sono riconosciute e trasportate all’interno di molti strumenti per le politiche territoriali. Le reti percettivo-visive, infine, sono di più difficile identificazione in quanto si basano essenzialmente su relazioni importanti ma tacite, quelle che si instaurano tra una comunità e il “suo” paesaggio. Lo stesso concetto di rete si può ritrovare nell’articolo sul Tevere, scritto da Alessandra Cazzola per la sezione “Piani e progetti per il paesaggio”. L’autrice illustra alcune esperienze di pianificazione in atto nell’area romana del fiume, che si pongono l’obiettivo di ritrovargli un ruolo nelle dinamiche di sviluppo della città. Le elaborazioni progettuali presentate si contraddistinguono per la tipologia di strumenti utilizzati e per la diversità (e spesso complementarietà) tra obiettivi e azioni proposte: vi è infatti il caso del Piano Stralcio elaborato dall’Autorità di Bacino, che si fonda sugli aspetti idraulici; vi è, poi, il Piano di gestione della Riserva del Litorale Romano che ha come obiettivi la tutela degli equilibri ecologici e della biodiversità; vi è, infine, l’ambito di programmazione strategica del Tevere individuato dal Nuovo PRG come elemento strutturante e primario sia della rete ecologica, sia di operazioni di riqualificazione urbana. La ricerca di un nuovo rapporto della città con il suo elemento fisico-geografico dominante sta alla base del progetto per il Parco de La Ereta ad Alicante, descritto da Giorgio Costa nella sezione “Parchi, giardini e verde urbano”. Il progetto, vincitore nel 1994 del Concorso Europan III, interessa un’area di circa 70 ettari posta sul limite del centro storico della città, che ospita al suo interno diversi edifici funzionali alla vita del parco. L’aspetto che più lo caratterizza è il mutare per gradi della vegetazione, da un tipo domestico nella zona più vicina alla città fino ad arrivare, attraverso una serie di passaggi graduali, ad una vegetazione autoctona nella parte finale più alta. Per la sezione delle “Letture” vengono presentate due interessanti riflessioni su autori e testi che hanno segnato il “fare progettazione paesistica”. Nel primo saggio Michela Saragoni ci porta tra le pagine del volume di Gyorgy Kepes The new landscape in art and science, nel quale l’autore porta a compimento una serie di riflessioni maturate negli anni ’40-’50 del secolo scorso relativamente al rapporto tra uomo e natura. In quel periodo storico l’uomo si trova in una doppia posizione: da un lato, infatti, l’industrializzazione e l’urbanizzazione avviate già dal XIX secolo hanno sostanzialmente rimodulato i ritmi che, prima, erano scanditi dalla natura come riferimento geografico e culturale; dall’altro lato, però, le scoperte scientifiche hanno aperto nuovi orizzonti, ampliando i limiti di una realtà che l’uomo stesso sente di non padroneggiare e non comprendere ancora in tutte le sue sfaccettature. Con la sua opera Kepes, pittore e fotografo ungherese, va alla ricerca di un linguaggio visivo della contemporaneità, in grado di restituire all’uomo i simboli necessari per la comprensione di questo nuovo mondo. Anna Lambertini, nella seconda lettura, illustra Jardins dessinés. Grammaire des jardins di René Pechère (edito delle Editions Racine nel 1987). Tale opera si presenta come una sorta di compendio di regole di base per il disegno dei giardini, ma in realtà è qualcosa di molto diverso da un contemporaneo manuale tecnico. Il volume non contiene, infatti, schede sulle diverse essenze, né abachi con i materiali da costruzioni o soluzioni tecniche dettagliate, bensì schizzi che accompagnano il lettore tra i segreti del mestiere, che si appoggiano su una tradizione secolare di elaborazione pratica e teorica. Le esperienze trattate da Michele Ercolini e Paola Marzorati per la sezione “Seminari di studio” costituiscono ulteriore dimostrazione della fiorente e articolata attività di ricerca che si svolge all’interno del Dottorato di ricerca in «Progettazione Paesistica».

Page 7: Q2 2005 Volume Tre

3

Il primo saggio rielabora quanto emerso durante il seminario condotto dall’ing. Maurizio Bacci, che ha dapprima sinteticamente illustrato gli aspetti base dell’ingegneria naturalistica (origini, definizioni, finalità), successivamente ha elaborato una riflessione sul concetto di “rinaturazione”, quindi ha messo a confronto l’ingegneria naturalistica con alcuni aspetti inerenti al “tema paesaggio”, con particolare riferimento al rischio “cosmesi ambientale”, infine ha analizzato - attraverso una lettura dettagliata - alcuni interventi esemplari di ingegneria naturalistica realizzati lungo corsi d’acqua nazionali ed internazionali. Paola Marzorati, con il suo contributo, riferisce su due incontri che il Dottorato ha organizzato con la dott.ssa Paola Altobelli sui temi della salvaguardia ambientale e sulla biodiversità, all’interno delle esperienze progettuali condotte dalla Provincia di Bologna con il nuovo Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale. Sin dal 1998 questa Provincia è infatti impegnata a promuovere la salvaguardia e la valorizzazione della biodiversità del proprio territorio, puntando a conservare ed incrementare gli spazi naturali e seminaturali esistenti al fine di contrastarne la frammentazione e l’isolamento, tanto che le Reti Ecologiche costituiscono oggi una politica strategica del PTCP approvato nel marzo 2004. Questo strumento, su questi temi, si presenta con un duplice ruolo: da un lato, infatti, regola lo sviluppo strutturale dei futuri assetti del territorio provinciale, dall’altro affida alla pianificazione comunale (in sinergia con la pianificazione di settore) il compito di elaborare le reti ecologiche locali. Un’altra testimonianza dell’attività del Dottorato viene dalle sintesi delle tesi di ricerca condotte da Michele Ercolini e Anna Lambertini durante i loro tre anni di studio. La prima tesi ha concentrato l’attenzione sul progetto del paesaggio fluviale, inteso qui come investimento culturale, sociale, economico. Si passa dalla mera gestione di matrice idraulico-ingegneristica alla salvaguardia di tutto il sistema delle risorse fluviali attraverso un disegno di paesaggio (che l’autore definisce “paesaggio terzo”) in grado di confrontarsi con le spinte della modernizzazione e di gestire i mutamenti e le trasformazioni che, comunque, soprattutto in assenza di interventi, interferiscono con esso. Anna Lambertini affronta il tema del progetto contemporaneo di parco urbano dimostrando come l’etica del fare parchi implichi una riflessione su principi e valori estetici. In particolare il parco è stato interpretato “come spazio etico ed estetico. Etico, nel senso proprio dell’etimo, cioè conforme al luogo, ed estetico, in quanto oggetto di valutazioni qualitative e ambito di produzione di esperienza estetica in un ambiente reale animato dalla presenza della natura”2. Il volume 3 del Quaderno numero 2 si chiude infine con il saggio di Antonella Valentini che illustra il termine Greenbelt, indagando l’idea di limite insita nel progetto stesso di città sin dall’antichità, le sue evoluzioni in epoca moderna, le esperienze che dall’Inghilterra del XIX secolo sono arrivate sino ai giorni nostri. L’autrice spiega come questa ricerca del limite sia andata aumentando in epoca recente: l’opposizione tra città e campagna è stata, infatti, sempre presente nei secoli, ma fino a quando l’agricoltura è stata alla base dell’economia esisteva una certa complementarietà tra i due luoghi, che pure avevano opposti stili di vita. Questa complementarietà si è spezzata nell’Ottocento con la nascita delle conurbazioni, dello sviluppo urbano disordinato nella campagna: oggi è diventato essenziale dare una risposta al desiderio di limitare la crescita e di definire compiutamente la forma urbana.

2 ANNA LAMBERTINI, Fare parchi urbani. Etiche ed estetiche del progetto contemporaneo in europa, in Quaderni del Dottorato di ricerca in Progettazione paesistica n. 2 vol. 3, settembre-dicembre 2005, pagg. 143-162

Page 8: Q2 2005 Volume Tre

4

Si conclude con questo numero il secondo anno dell’esperienza dei Quaderni e con esso l’attività di coordinazione della redazione tenuta da Laura Ferrari e Emanuela Morelli. A loro vanno i ringraziamenti di tutti gli autori, per aver innanzitutto tenuto a battesimo l’uscita dei Quaderni e per il costante lavoro di revisione e sprone che ci ha accompagnato in questi primi due anni di vita. A Tessa Matteini e a Lucia Elli che ne prenderanno il posto va contemporaneamente l’augurio di un buon lavoro, in una prospettiva di crescita continua della riflessione sui temi del paesaggio che lo strumento dei Quaderni del Dottorato in «Progettazione Paesistica» rappresenta.. * Dottore di Ricerca in Progettazione paesistica, Università di Firenze; Specialista in Pianificazione Urbanistica, Università di Roma “La Sapienza”.

Page 9: Q2 2005 Volume Tre

5

Quaderni della Ri-Vista Ricerche per la progettazione del paesaggio ISSN 1824-3541 Università degli Studi di Firenze Dottorato di ricerca in Progettazione Paesistica http://www.unifi.it/drprogettazionepaesistica/

Firenze University Press anno 2 - numero 2 - volume 3 - settembre-dicembre 2005 sezione: Protagonisti pagg. 5-21

FREDERICK LAW OLMSTED: NATURA E PAESAGGI PER UOMINI MIGLIORI Emanuela Morelli* Summary Frederick Law Olmsted (1822 - 1903) is undoubtedly one of the most important figures of the contemporary landscape not only for the immense amount of works that he has realised, for the beauty who characterizes to them and the various scale that they deal but, above all, for the innovated aspects that they have. Olmsted indeed had the ability to point up some of main the problematic that will put in crisis the environmental system of the future city areas of XX century, and to singling out the solutions thanks to one system vision of the landscape: it is with Olmsted that the term Landscape gardening evolve in Landscape architecture. Key-words Landscape architecture, public park, nature. Abstract Frederick Law Olmsted (1822 – 1903) è indubbiamente una delle figure più importanti della paesaggistica contemporanea non solo per l’immensa quantità di opere che egli ha realizzato, per la bellezza che le caratterizza e per la diversa scala che esse trattano, ma soprattutto per gli aspetti innovativi che esse detengono. Olmsted difatti ha avuto la capacità di evidenziare alcune delle principali problematiche che metteranno in crisi il sistema ambientale delle future aree urbane del XX secolo e di individuarne le soluzioni grazie ad una visione sistemica del paesaggio: è difatti con Olmsted che il termine Landscape gardening si evolve in Landscape architecture. Parole chiave Architettura del paesaggio, parco pubblico, natura, * Dottore di Ricerca in Progettazione paesistica, Università di Firenze.

Page 10: Q2 2005 Volume Tre

6

VERSO LA FORMAZIONE DEL PAESAGGISTA

Figure 1, 2. 1857 e 1893, ritratti fotografici di Frederick Law Olmsted. “Mi chiedevano se fossi convinto che i gentlemen avrebbero mai messo piede nel parco, o avrebbero consentito alle loro mogli e figlie di visitarlo. […] Così risponde un numero più recente dell’«Herald»: «Quando qualcuno si lascia andare a disperare dell'avvenire di questo paese, portatelo un sabato a Central Park, e fategli passare qualche ora a guardare la gente, non quelli che arrivano in splendide carrozze, ma quelli che vi giungono a piedi, o per mezzo di quei mezzi di trasporto popolari che sono i tram a cavalli; e vedrete se, quando il sole comincia a calare dietro gli alberi, egli non si leva per tornarsene a casa con il cuore pieno di gioia»”1. Frederick Law Olmsted è indubbiamente una delle figure più importanti della paesaggistica contemporanea non solo per l’immensa quantità di opere che egli ha realizzato, per la bellezza che le caratterizza e per la diversa scala che esse trattano, ma soprattutto per gli aspetti innovativi che esse detengono. Olmsted difatti ha avuto la capacità di evidenziare alcune delle principali problematiche che metteranno in crisi il sistema ambientale delle future aree urbane del XX secolo e di individuarne le soluzioni grazie ad una visione sistemica del paesaggio. Egli riesce a mettere a fuoco, a definire, il ruolo del paesaggista quale figura interdisciplinare capace di dialogare con numerose altre discipline e quindi capace di coordinare un’equipe di professionisti diversi. Grazie alla passione con cui esercita la sua professione egli riesce anche a diffondere una vera e propria politica degli spazi aperti in ambito urbano e una politica di conservazione e gestione delle risorse naturali delle aree protette: è quindi con Frederick Law Olmsted che il termine Landscape gardening coniato in Inghilterra da Humpry Repton si trasforma in Landscape architecture. Già ai primi del Diciannovesimo secolo fu evidente in alcuni paesi interessati dalla rivoluzione industriale (l’Inghilterra e gli Stati Uniti in particolar modo) l’esigenza di sintetizzare in un’unica disciplina le conoscenze di diverse scienze quali l’orticoltura, la 1 FREDERICK LAW OLMSTED, Il valore sociale e urbanistico dei parchi, tratto da Public Parks and the Enlargement of Towns, 1870 in PAOLO SICA, Antologia urbanistica. Dal Settecento ad oggi, Editori Laterza, Roma-Bari 1985, pagg. 240-242.

Page 11: Q2 2005 Volume Tre

7

botanica, l’ingegneria idraulica e civile, e l’architettura. Le nuove trasformazioni antropiche, gli insediamenti industriali e residenziali, le sistemazioni agrarie sempre più a vasta scala, le infrastrutture sempre più imponenti, vedevano le popolazioni concentrarsi sempre più nella città, in particolare entro quartieri congestionati e degradati in cui le condizioni igieniche erano scarse o nulle e la qualità della vita bassissima. Occorrevano quindi strumenti utili a garantire qualità e vivibilità di questi nuovi insediamenti coerentemente al loro contesto e in rispetto della Natura. Alla Natura in particolar modo negli Stati Uniti fu affidato il ruolo di protagonista, in quanto rappresentativa del concetto di civilizzazione2 3. Per questo motivo quella che in seguito fu definita Landscape architecture non poteva essere praticata singolarmente da un orticoltore o da un architetto o da un ingegnere poiché, benché ognuno di loro avesse competenze specifiche nel proprio campo, mancava nelle altre e soprattutto risultava privo di quella visione sistemica indispensabile per operare con il paesaggio. Frederick Law Olmsted nasce ad Hartford (Connetticut) il 26 aprile del 1822. “di Olmsted bambino, i biografi ci trasmettono un’immagine contraddittoria fatta di malinconia e curiosità”4: a quattro anni la madre Charlotte Law (Hull) muore e in seguito una malattia agli occhi lo obbliga a stare lontano dai libri. Costretto a rivedere i suoi progetti di studio al college trascorre gran parte della sua giovinezza vagabondando nella campagna circostante alla sua dimora. Nei primi decenni della sua vita compie comunque numerose esperienze e viaggi5: apprendista per tre anni presto lo studio di ingegneria civile di Fredrick A. Barton (1837, Andover Massachussets), commesso in un negozio di dry-food a New York (1840), apprendista pescatore sulla nave “Ronaldson” diretta in Cina (1843), studente presso il corso di Agricoltura Scientifica di Benjamin Silliman alla Yale University (1845), senza però mai conseguirne la laurea, giornalista del New York Daily Times, per il quale compie numerosi viaggi (1852 – 54) e in seguito del Putnam’s Monthly Magazine (1856). Tra questi numerosi accadimenti nel 1847 il padre, un ricco commerciante di spezie, gli compra una prima fattoria nel Connetticut e nell’anno seguente una seconda a Staten Island, dove Olmsted applica le teorie di Silliman, per quanto riguarda gli aspetti legati all’agricoltura, e ciò che aveva imparato dall’ingegnere Barton per l’organizzazione spaziale: riorganizzando la disposizione dei componenti, ad esempio del granaio, dello stagno e della viabilità interna, muta la classica disposizione della fattoria americana cercando di creare un nuovo modello basato su principi funzionali, moderni, ma anche estetici. Sull’esempio di quest’ultima realizza le fattorie di altri proprietari terrieri iniziando così la sua carriera di progettista, ma un nuovo impulso lo porta a viaggiare in Europa e in Gran Bretagna insieme a suo fratello malato di tubercolosi. Il suo diario Walks and talks of an American Farmer in England, iniziato nella primavera del 1950 e pubblicato nel 1852, già mette in evidenza la

2 Vedi ALESSANDRA PONTE, Il parco pubblico in Gran Bretagna e negli Stati Uniti. Dal genius loci al “genio della civilizzazione”, in MONIQUE MOSSER, GEORGES TEYSSOT, L’architettura dei giardini d’Occidente. Dal Rinascimento al Novecento, Electa editrice, Milano 1990, pagg. 369-382; FREDERICK LAW OLMSTED, SILVIA BARRY SUTTON, Civilizing American Cities. A Selection of Frederick Law Olmsted's Writings on City Landscape, The Mit Press, Cambridge, Ma., 1971. 3 La visione romantica e sublime della Natura è uno dei concetti fondanti l’identità degli Stati Uniti: la giovane nazione riconoscendosi nella Natura eleva tale immagine a simbolo. I suoi vasti e spettacolari paesaggi diventano motivo di orgoglio nazionale e possono porsi come valida alternativa alle cattedrali, alle ville, ai palazzi e ai giardini dell’Europa: “La ricerca del sublime nelle immagini del paesaggio americano divenne in realtà una questione di orgoglio nazionale. L’entusiasmo con il quale queste opere furono accolte nelle gallerie d’arte europee [ci si riferisce ai dipinti della scuola di pittura del Fiume Hudson] va considerato come il primo riconoscimento ufficiale all’estero della ricchezza di questa giovane nazione in termini di risorse naturali” (CHRISTIAN ZAPATKA, Il Sublime in una regione “selvaggia”, “Quaderni di Lotus”, L’architettura del paesaggio americano, 21, 1995, pag. 13). 4 GIANNI PETTENA, Frederick Law Olmsted e la nascita della landscape architecture, in GIANNI PETTENA (a cura di), Olmsted. L’origine del parco urbano e del parco naturale contemporaneo, Centro Di, Firenze 1996, pag. 15. 5 I primi viaggi li compie con la famiglia trascorrendo le vacanze in luoghi conosciuti per loro bellezze naturali e panoramiche.

Page 12: Q2 2005 Volume Tre

8

sua attenzione e sensibilità verso gli aspetti paesaggistici e sociali scoprendo che essi sono intimamente legati l’uno all’altro. In Inghilterra viaggia molto, visita numerose fattorie tra cui Eaton park, le realizzazioni di Humpry Repton, di John Nash, di Paxton e di Lancellot Capability Brown. Ciò che però più lo affascina è il carattere rurale del paesaggio inglese e l’aspetto sociale dei parchi pubblici: quando visita il Birkenhead Park a Liverpool, progettato e realizzato tra il 1839 e il 1844 da Gillispie Graham e da Joseph Paxton, in una nuova zona urbana della città, rimane impressionato al punto tale da ammettere che : “in democratic America there was nothing to be thought of as comparable with this People’s Garden”6. Al ritorno del suo viaggio europeo abbandona il proprio interesse per le fattorie e si dedica alla scrittura pubblicando numerosi articoli dediti agli aspetti sociali: nel 1952 parte come reporter del New York Daily Times per il sud degli Stati Uniti, dove si interessa in particolare delle condizioni di schiavitù della popolazione afro-americana7. Nel 1855 diviene socio della casa editrice Dix and Edwards e del suo periodico Putnam’s Monthly Magazine, per il quale compie un secondo viaggio in Inghilterra, ma al suo ritorno trova la ditta sull’orlo della bancarotta, cosa che accade poi nel 1857. Nel solito anno viene nominato soprintendente al nuovo Central Park di New York, in pratica di circa settecentosettanta acri di terra sterile protetti dall’urbanizzazione grazie a Egbert Viele, un ingegnere topografico e a William Cullen Bryant, che con il suo Evening Post aveva dichiarato per primo pubblicamente l’esigenza di realizzare un grande parco pubblico per la città8. William Cullen era stato nominato nei primi anni Cinquanta membro della commissione per la realizzazione del Central Park e, insieme a Andrew Jackson Downing, aveva scelto il sito per il parco. Egbert Viele responsabile della allora realizzazione tecnica del parco aveva elaborato un primo progetto a proprio spese approvato nel 1956. Ma i commissari non erano convinti della soluzione progettuale adottata così decisero di indire un concorso. Olmsted dopo la morte del fratello nel 1857 aveva dedicato gran parte del proprio tempo lavorando per la realizzazione del parco così, appurato che la sua partecipazione non avrebbe offeso il suo superiore Viele, decide di partecipare al concorso insieme a Calvert Vaux, un architetto che aveva incontrato precedentemente in Inghilterra e che si era trasferito negli Stati Uniti divenendo allievo di Downing9. Nell’aprile del 1958 il loro progetto Greensward vince, e all’età di trentasei anni Olmsted sembra aver trovato finalmente la sua strada. DAL PARCO URBANO AL PAESAGGIO La progettazione e la realizzazione del Central Park segna l’inizio dell’era del parco pubblico americano: ad eccezione di qualche commons presente nelle città coloniali del New England e pochi piccoli altri esempi quale Battery Park a New York, in America a metà Ottocento non c’era niente che potesse essere paragonato ad un parco. Il termine stesso difatti richiamava un simbolo aristocratico del Vecchio Mondo che contrastava con gli ideali della nuova giovane nazione.

6 FREDERICK LAW OLMSTED, Walks and Talks of an American Farmer, I, Dix , Edwards and Co., New York 1852, pag. 79, qui citato in CYNTHIA ZAITZEVSKY, Frederick Law Olmsted and the Boston Park System, The Belknap press of Harvard University, Cambridge 1982, pag. 20. 7 FREDERICK LAW OLMSTED, A Journey in the Seaboard Slave States, with Remarks on Their Economy, New York, 1856. 8 Agli inizi del Diciannovesimo secolo la città di New York aveva circa sessantamila abitanti concentrati per lo più nella bassa Manhattan. Un’onda migratoria, che cominciò nel 1830 portò la popolazione da circa trecentomila abitanti nel 1840 e a cinquecentomila nel 1850. La città in poco tempo, che si concentrava sotto la 38° strada, si era composta da caotici quartieri, dove il degrado e l’inquinamento acustico e atmosferico regnavano. Per questo motivo molti newyorkesi fuggivano dalla città per cercare un attimo di riposo nei paesaggi pastorali del Green-wood cemetery a Brooklyn. 9 Andrew Jackson Downing morì all’età di trentasei anni nel 1852, prima del bando di concorso per il Central Park.

Page 13: Q2 2005 Volume Tre

9

Olmsted quindi fa molto di più che disegnare egregiamente un parco, lottare con i politici che minacciano la sua esistenza o la sua integrità, proteggere le nuove piantagioni dagli attacchi vandalici, prevedere un’accurata gestione di questa importante risorsa che continuerà anche nel tempo, ancora ai giorni nostri, ad adempiere un ruolo centrale all’interno della città: “he had introduced an idea – the idea of using the landscape creatively. By making nature urbane he naturalized the city.”10

Figura 3. Mappa del Central Park. A sinistra la parte a sud della città dove si osservano gli unici elementi formali del parco, il Mall, viale rettilineo, che porta alla Bathesda Terrace, circondati entrambi da pratoni; al centro le grandi riserve d’acqua; a destra il nord del parco caratterizzato dallo stile sempre più pittoresco. Figura 4. Un vasto pratone situato a sud del parco, The Sheep Meadow, accoglie numerosi cittadini in un normale pomeriggio della settimana. Figure 5. Le caratteristiche rocce emergono nel parco quali elementi di sorpresa e di vivacità rispetto allo stile pastorale dei grandi prati. Il Central Park Benché leggermente modificato soprattutto per l'aggiunta di 70 acri fra la 106° e la 110° strada, 'The Greensward' viene concepito essenzialmente come un piano: un rigido rettangolo lungo cinque volte la sua larghezza, con la presenza di due riserve di acqua che dividono il parco in due. Una delle maggiori qualità apprezzate di questo progetto è la separazione fra i differenti tipi di traffico che Olmsted aveva già osservato nel parco inglese di Birkenhead: oltre all'attraversamento del traffico urbano in quattro punti, viene prevista anche una viabilità per carrozze, una per uomini a cavallo, ed una per i pedoni. Questi tre modelli di sentieri e di strade raramente si incrociano, grazie anche all'aiuto di ponti e di archi che li dispongono su diversi livelli di terra: le strade di maggior traffico e di maggior disturbo sono quelle situate più in basso così i carri di carbone, dei macellai e dei rifiuti, possono passare all'interno del sito senza disturbare i suoi fruitori. Allo stesso tempo queste strade permettono una continuità con il tessuto urbano, in modo tale che non ci sia una brusca interruzione e venga assicurata una corretta integrazione del parco alla sua città. Al fine di far sembrare il parco naturale e illimitato, gli alberi sono fittamente piantati sui confini, in maniera da creare un bordo arboreo continuo che copre i palazzi circostanti e da prediligere così le vedute dall’esterno verso l’interno che viceversa. Benché la parte sud del parco sia concepita con uno stile più pastorale rispetto alla parte nord, più boscosa e rocciosa e quindi più pittoresca, lungo tutto l'itinerario si aprono larghe vedute su prati e distese di acqua creando costanti variazioni di scenari. I sentieri sono volutamente disegnati curvilinei e tortuosi in modo tale da fare rallentare il passo al fruitore che ne deve godere la veduta. Gli unici elementi formali progettati sono il Mall e la Bathesda Terrace, collocati nella zona sud del parco più vicina al cuore della città e concepiti come passeggiata e mostra dell'eleganza della società borghese.

10 LEWIS MUMFORD, Frederick Law Olmsted in The Brown Decades. A Study of the Arts in America, 1865-1895. Harcourt Brace and Co., New York, 1931 pag. 69.

Page 14: Q2 2005 Volume Tre

10

La collaborazione fra Olmsted e Vaux non é mai stata definita: è certo però che Vaux colmò le lacune architettoniche di Olmsted (ad eccezione di pochi ponti rustici nella parte nord del parco tutti gli altri elementi architettonici, compreso il Belvedere, furono progettati da Vaux), mentre il principio fondamentale del parco nei suoi vari aspetti igienici e sociali è da attribuirsi ad Olmsted: egli vedeva Central Park non come un aggiunta correttiva ma come nuovo centro della città stessa: non più città contrapposta alla campagna, ma campagna dentro la città. Nel 1859 Olmsted insieme a Vaux diviene il direttore del Central Park e supervisiona circa quattromila uomini. L’anno seguente sposa la vedova di suo fratello, Mary Perkins e adotta i suoi tre figli ma i problemi e le polemiche legati alla realizzazione del parco lo portano ad ammalarsi e a tornare nuovamente in Europa per riposarsi: visita nuovamente l’Inghilterra, torna a Birkenhead, ma si reca anche in Francia dove può ammirare la nuova Parigi di Napoleone III e i parchi di Jean Alphand e Edouard Andrè. Guarito e pieno di entusiasmo torna a New York dove riprende i lavori per il Central Park e redige il progetto dell’Upper Manhattan a nord della 155° strada, basato su strade curvilinee che si adattano alla morfologia del terreno così come verrà realizzato in seguito l’insediamento residenziale di Riverside a Chicago. La Guerra Civile interrompe nuovamente la sua carriera di architetto paesaggista e nel 1861 viene nominato segretario esecutivo dell’United States Sanitary Commission, precorritrice della Croce Rossa, dirigendo il trasporto ospedaliero e coordinando l’attività di molte persone. Nel 1863 le pressioni politiche e una serie di problematiche ricorrenti, oltre il suo impegno per la Sanitary Commission, forzano Olmsted e il suo collaboratore Vaux a dimettersi dalle corrispettive posizioni assunte nel Central Park. Alla fine del medesimo anno Olmsted decide di assumere l’incarico di manager alla Mariposa Mining Company situata nelle colline della Sierra Nevada e di trasferire lì la sua famiglia. Durante il suo soggiorno sull’est coast prende alcuni incarichi: il progetto di paesaggio per il Mountain View Cemetery a Oakland e un piano preliminare per il College of California, ma il suo contributo più rilevante riguarda la lotta per la protezione della Yosemite Valley e del Mariposa Big Grove come riserva naturale pubblica: è qui forse che si intuisce il tentativo di Olmsted di evidenziare il sublime nella natura americana11. Il rapporto scritto nel 1865 da Olmsted in qualità di uno degli otto commissari della prima Commissione costituita dal governatore della California per istituire l’area protetta offre interessanti prime riflessioni riguardo al rapporto uomo a contatto con la wilderness, all’utilità della bellezza degli scenari per la percezione umana e alla responsabilità morale che un governo democratico ha nel preservare una regione di una straordinaria bellezza a beneficio dell’intera umanità. Olmsted aderisce alla filosofia del nascente “Conservation Movement”, basato sul pensiero espresso negli scritti di Henry Thoreau12 e di G. P. Marsh13 che ha l’obiettivo di conservare le grandi bellezze e risorse naturali del paese per il pubblico godimento da parte di una società sempre più urbanizzata. Il report contiene indicazioni riguardo alla gestione e alle modalità di accesso e comportamento che l’uomo deve avere all’interno del parco. Letto alla commissione al meeting del 9 agosto 1865, il report incontra ostilità e indifferenza e viene prontamente soppresso14. 11 Vedi CHRISTIAN ZAPATKA, Il Sublime in una regione “selvaggia”, “Quaderni di Lotus”, L’architettura del paesaggio americano, 21, 1995, pagg. 12-25. 12 L’opera del trascendentalista Henry David Thoreau (1817-1862) è rappresentata da due testi: A week on the Concord and Merrimack River e Walden, originariamente pubblicati rispettivamente nel 1849 e nel 1854. 13 Il testo Man and nature scritto nel 1864 da George Perkins Marsh (1801-1882) esprime con chiarezza come in Natura niente sia lasciato al caso e come ogni azione dell’uomo ha una diretta conseguenza nell’intero sistema ambientale. Dall’ideologia espressa da Thoreau e Marsh nascerà il “Conservation Movement”. 14 “It is the will of the Nation as embodied in the act of Congress that this scenery shall never be private property, but that like certain defensive points upon our coast it shall be held solely for public purposes.” (Frederick Law Olmsted, Yosemite and the Mariposa Grove: A Preliminary Report, 1865, riguardo all’intero documento presentato da Olmsted vedi: http://www.yosemite.ca.us/history/olmsted/report.html In seguito Olmsted si interesserà, con più successo, anche della salvaguardia ambientale delle cascate del Niagara.

Page 15: Q2 2005 Volume Tre

11

Figura 6. Yosemite Valley. “Salvaguardato, custodito e amministrato perché tutti ne possano per sempre usufruire liberamente … un dovere che attiene alla dignità di uno stato sovrano” Frederick Law Olmsted, Yosemite and the Mariposa Grove: A Preliminary Report, 1865, qui citato in GIANNI PETTENA, Frederick Law Olmsted e la nascita della landscape architecture, in GIANNI PETTENA (a cura di), Olmsted. L’origine del parco urbano e del parco naturale contemporaneo, Centro Di, Firenze 1996, pag. 15. Visti i problemi finanziari legati al Mariposa Mining e le delusioni riguardo alla sua esperienza californiana, Calvert Vaux cerca di convincere Olmsted a tornare a New York per riprendere il posto di landscape architect al Central Park e progettare insieme un nuovo parco a Brooklyn: il Prospect Park, che grazie alla maggiore esperienza di entrambi i paesaggisti, le migliori condizioni ambientali, ma anche politiche15 si presenta per taluni critici forse l’opera più rappresentativa e meglio riuscita. Prospect Park faceva comunque parte di un progetto ancor più ambizioso: esso era difatti il centro focale di un sistema di parchi per l’intero quartiere di Brooklyn connessi tra di loro grazie a delle parkways, termine coniato da Vaux e da Olmsted durante la presentazione della relazione alla Commissione di Brooklyn Park16. Dell’intero sistema, oltre al Prospect Park furono realizzate la Ocean parkway nel 1868 (strada scenica che collega Prospect Park con l’oceano), la Eastern Parkway. e tre piccoli parchi: The Parade Ground (1867), Fort Green Park (1867) e Tompkins park (1871).

15 Vaux ed Olmsted ad esempio riescono a convincere la Commissione per il parco a cambiare i confini e ad ampliarli. 16 Vaux ed Olmsted utilizzano per primi questo termine ispirandosi in particolar modo ai grandi viali alberati europei (come i boulevard francesi). Le parkway devono avere la caratteristica di non interrompere il traffico garantendo al tempo stesso, grazie al fatto di essere dotati di un consistente equipaggiamento vegetale, la presenza continua della Natura all’interno del tessuto urbano. Con l’esperienza paesaggistica di fine Ottocento e il diffondersi delle automobili, il concetto si sviluppa per indicare una larga striscia di terra dedicata alla ricreazione ed alla circolazione esclusiva dei veicoli a motore. Tra il 1900 e il 1943 la parkway diviene un vero e proprio movimento. Non solo: da viale cittadino per le passeggiate si trasforma in strumento di riqualificazione delle periferie urbane e in seguito in percorsi panoramici dediti alla scoperta e al godimento delle spettacolari bellezze naturali del paesaggio nazionale (per il termine parkway vedi in particolare CHRISTIAN ZAPATKA, I parkways americani. Origini ed evoluzione della strada-parco, in “Lotus International”, Spazio, tempo, e Architettura, 56, 1988, pagg. 98-128 e EMANUELA MORELLI, Disegnare linee nel paesaggio. Metodologie di progettazione paesistica delle grandi infrastrutture viarie, Firenze University Press, Firenze 2005.

Page 16: Q2 2005 Volume Tre

12

Figura 7. Immagine del grande patrone centrale di Prospect Park. Il progetto di Prospect Park (1865-1888), le cui spese per la realizzazione furono coperte grazie alla costruzione di un insediamento residenziale al suo contorno e all’aumento di rendita fondiaria delle abitazioni prospicienti il parco, è basato principalmente su tre elementi: l’acqua, il bosco e il prato. La sapiente alternanza di questi permette di evidenziare uno stile pastorale che conferisce al parco un aspetto di naturalità che si contrappone al suo contesto: “una porzione di territorio, rimasta intatta, all’interno della città, [che fece] dimenticare che quelle scenografie naturali erano in realtà frutto di artifici, di movimenti di terra, piantagioni e piccoli manufatti” (PAOLA VENTURI, Prospect Park, in GIANNI PETTENA (a cura di), op. cit., 1996, pag. 190). Il successo di questa visione di insieme degli spazi verdi, in cui un immenso parco pubblico permea tutta la città, colpisce alcune amministrazioni americane fra cui quella di Buffalo che chiama i due progettisti per la realizzazione di un sistema di parchi per la città17. La fama dei due paesaggisti si diffonde in tutta la nazione e giungono altri numerosi nuovi incarichi: tra questi si citano il piano di Berkeley (1866-67), il South Park di Chicago (1871) e il piano per la comunità di Riverside sempre a Chicago (1868 – 69). Nel 1872 Olmsted e Vaux sciolgono, per mutua convenienza, la loro associazione, anche se in seguito collaboreranno per il progetto di Morningside a New York nel 1887. Olmsted collabora in alcuni progetti con l’architetto svizzero Jacob Weidersmann, riceve numerosi incarichi importanti come il progetto per la sistemazione del Campidoglio di Washington D.C. (The United States Capitol Ground 1874–1885) e contemporaneamente accresce la sua fama, grazie anche ai suoi numerosi scritti in cui spiega dettagliatamente le caratteristiche dei suoi progetti cercando di educare e suscitare nella popolazione americana una sensibilità e un’attenzione sempre maggiore verso gli aspetti della Natura. Nonostante ciò, e che sia considerato anche dai suoi contemporanei uno degli uomini di cultura più importanti del secolo, Olmsted, a causa delle continue battaglie che deve affrontare per promuovere e proteggere il paesaggio all’interno del tessuto urbano, è stanco, si ammala e soffre di continue depressioni.

17 A Buffalo i due progettisti riuscirono a realizzare ciò che avevano previsto per New York. Grazie alla struttura urbana della città non basata sulla rigida maglia a “griglia”, Olmsted riesce a creare un sistema di parchi e di parkways con funzioni diverse caratterizzati da una sequenza di spazi concepiti sul rapporto campagna/città.

Page 17: Q2 2005 Volume Tre

13

Figura 8. Planimetria dell’insediamento urbano di Riverside, Chicago (1868 – 69). Per Riverside Olmsted e Vaux interpretano il tipico modello insediativo americano residenziale che si esprime con il suburb collocato in genere in prossimità ma al tempo stesso sufficientemente lontano dalla città: con la nascita del sobborgo si permette all’uomo di abbandonare l’artificialità della città per introdursi nel mondo della natura. Il parco quindi per la prima volta diviene modello abitativo: l’insediamento indirizzato alle classi dirigenti americane, è situato in prossimità alla città di Chicago e collegato ad essa grazie ad una parkway. Il progetto è articolato da grandi lotti disposti lungo sinuosi viali che si adagiano coerentemente alla morfologia del luogo. Centralmente alla disposizione viene collocato un sistema di spazi verdi d’uso pubblico e un centro commerciale. Anche in questo caso il perimetro è contornato da una fitta cortina di alberi. Il disegno, basato su alcuni elementi compositivi come: strade curve, assenza di intersezioni perpendicolari, piantagioni irregolari di alberature e arbusti, alternanza di piccole stanze verdi e grandi spazi paesaggistici, variazione di forme, luci e ombre e colori, è concepito secondo una coreografia di viste e di scenari, basati sul movimento, che si aprono e chiudono secondo gli spazi attraversati. In particolare alle alberature è affidato il ruolo principale: “trees are to be regarded as individuals, and as component parts of groups, which groups are again to be regarded both individually, and in relation one to another as components of landscapes as seen from special points of view” (FREDERICK LAW OLMSTED in CHARLES BEVERIDGE, and CAROLYN HOFFMAN, The Papers of Frederick Law Olmsted: Supplementary Series Volume I, Writings on Parks, Parkways, and Park Systems, Johns Hopkins University Press, Baltimore 1997, pag. 55). Il risultato finale, dettato dalla composizione delle alberature, delle strade e delle architetture, conferisce all’insediamento urbano un aspetto domestico che suggerisce l’ideale di comunità ambito e tipico del periodo, tanto caro sia a Ruskin che a Downing.

Page 18: Q2 2005 Volume Tre

14

Non solo, le continue pressioni politiche dovute a Central Park fanno si che egli lasci il suo incarico di architetto paesaggista al New York Department of Public Parks nel 1878. Così parte nuovamente per un viaggio in Europa e al suo ritorno, visto le amarezze newyorkesi, si trasferisce definitivamente nel 1883 nel quartiere di Brookline vicino Boston. Nel 1875 la città di Boston18 chiede ad Olmsted di individuare un’area dove poter realizzare un grande parco pubblico. Tra il 1878 e il 1881 il paesaggista studia e presenta alla Boston Parks Commission un sistema di parchi per l’intera città chiamato prima Green Ribbon e in seguito Emerald Necklace (collana di smeraldi) per la sua particolare forma e bellezza. Per la prima volta il parco diviene un piano complessivo il quale si sviluppa per sette miglia partendo dal centro della città (con le preesistenze Common Park e Commonwealth Avenue19) per giungere oltre i suoi margini, con il Franklyn Park. Questo affascinante sistema di spazi verdi, intimamente legato allo sviluppo urbano della città, è concepito a livello regionale, creando una vera e propria continuità territoriale. Gli aspetti estetici, il variare delle scenografie più formali o pittoresche in ambito urbano, e sempre più pastorali mano a mano che i parchi si spostano verso la campagna, sono forse le caratteristiche che più risaltano ad una prima lettura di questo progetto. Ma le esigenze ecologiche-ambientali non sfuggono al paesaggista: Olmsted con l’Emerald Necklace evidenzia ciò che era già presente in nuce nelle parkways: ogni parco non deve essere una presenza isolata, un episodio all’interno della città ma, per svolgere correttamente il suo ruolo di luogo-contenitore di risorse naturali con funzioni ecologiche, ambientali e sociali e anche di trasporto pubblico, deve essere organizzato secondo un vero e proprio sistema continuo che struttura il tessuto urbano stesso. Questo riconoscimento delle potenzialità degli spazi verdi lineari anticipa di un secolo il concetto contemporaneo di greenway. Nella progettazione e realizzazione dell’Emerald Necklace troviamo una brillante combinazione di conoscenze che spaziano da quelle ingegneristiche (soprattutto per il drenaggio delle acque del fiume Muddy), a quelle progettuali di ampio respiro e di immaginazione estetica. Laddove poi non è possibile per ragioni di spazio creare un parco, viene allargata la carreggiata della strada in modo tale da poterla corredare di sentieri pedonali e filari alberati. Olmsted anticipa anche molte tipologie future di uso dei parchi, con attività ricreative diverse a seconda dei luoghi (luoghi per passeggiare, per giocare, per andare in barca, per imparare come nell’Arboretum) includendo così nel nastro verde, un’alternanza continua di spazi grandi e piccoli con usi diversi: “We want a ground to which people may easily go when the day’s work is done, and where they may stroll for an hour, seeing hearing and feeling nothing of the bustle and jar of the streets, where they shall, in effect, find the city put far away from them... We want, especially, the greatest possible contrast with the restraining and confining conditions which compel us to walk circumspectly, watchfully, jealously, which compel us to look closely upon others without sympathy.”20 “City dwellers need contact with the natural world in order to preserve not only their physical health but also their mental tranquility.”21

18Nel 1867, la legislatura dello Stato del Massachusetts aveva approvato the Park Act per la città di Boston. 19 Il Common Park ha origine nella tipica città coloniale: si tratta di un grande prato verde (il corrispettivo prato delle città europee) situato al centro della città in cui si poteva portare al pascolo il bestiame e dove si svolgevano gran parte delle manifestazioni cittadine all’aria aperta. La Commonwealth Avenue, un grande viale alberato, invece era stata realizzata nel 1860. 20 Frederick Law Olmsted, Public Parks and the Enlargement of Towns, letto in Cambridge, Massachusetts, 1870, in http://www.cr.nps.gov/nr/twhp/wwwlps/lessons/86bostonparks/86bostonparks.htm. 21 FREDERICK LAW OLMSTED, SILVIA BARRY SUTTON, op. cit., 1971, pag. 223.

Page 19: Q2 2005 Volume Tre

15

Figura 9. Planimetria dell’Emerald Necklace di Boston (1887 – 1892). In tale piano possono essere riassunte molti dei principi base che hanno caratterizzato il lavoro di Olmsted. Risalendo dal centro della città, dal Common, il fiume Muddy che dal Jamaica Pond confluisce nel Fens, e uscendo nella campagna, L’Emerald Necklace può essere così brevemente descritto:

- La Commonwealth avenue é un viale con al centro una grande striscia di verde con filari di alberi, che divide il traffico stradale in due;

- Back Bay Fens Park è ricco di scenari tortuosi che mettono in risalto l'andamento serpeggiante del corso di acqua, il quale ha gli argini ricoperti da una folta vegetazione composta da canneti ed altre piante erbacee di tipo perenne, creando così una varietà di toni e di colori molto delicati (il fiume Fens separa la città di Boston da Cambridge);

- Muddy River è la naturale sequenza del corso d'acqua che discende dalle morbide colline. Anche qui il fiume è circondato da scarpate con giunchi, mentre gruppi di alberi e radure definiscono i confini dello spazio verde;

- Si prosegue poi per l'Upper Valley of the Muddy River una catena di pittoreschi laghetti che si alternano con prati naturali;

- Jamaica Pond è una naturale distesa di acqua (circa sessanta acri) ombreggiata da una delicata foresta che crea giochi di luce sullo specchio del lago grazie anche alla disposizione del terreno circostante posto su più livelli;

- The Arboretum è composto per lo più da colline rocciose e boscose, con grandi alberi (Tsuga canadensis ) e aperture prospettiche che si aprono verso il mare oltre la città, e sulla campagna;

- West Roxbury Park (Franklin Park) costituisce completa fuga dalla città: in aperta campagna si aprono scenari pastorali, composti da gentili valli serpeggianti che si perdono fra i pendii boscosi.

Contemporaneamente ai numerosi incarichi che provengono da tutti gli Stati Uniti, Olmsted avvia nel suo studio di Boston la società con i figli, John Charles Olmsted and Frederick Law Olmsted Jr.22, e con altri collaboratori. Non solo, forte ancora della sua vocazione pedagogica continua a formare giovani paesaggisti23: “egli istituì con gli allievi un rapporto intenso che prevedeva anche un loro coinvolgimento nei progetti che venivano commissionati allo studio e che, a questa esperienza diretta di lavoro quotidiano, univa un processo di apprendimento teorico basato su letture che essi erano poi chiamati a discutere, un metodo simile all’Atelier dell’Ecole des Beaux Arts che in parte aveva visto applicato nel vicino studio d’architettura di Henry Hobson Richardson, per il quale aveva grande amicizia e che lo aveva persuaso a stabilirsi a Brookline”24. Tra le ultime opere di Frederick Law Olmsted si trovano la realizzazione della Stanford University in California (Palo Alto 1886) e la sistemazione paesaggistica della World’s Columbian Exposition (1890 – 1893).

22 I due fratelli Olmsted, che continueranno l’attività dell’Olmsted Firm anche dopo la morte del padre, saranno fra i membri fondatori dell’American Society of Landscape Architects (1899), e giocheranno un ruolo fondamentale nell’istituire il National Park Service (25 agosto del 1916). 23 Tra i quali Horace Cleveland e Charles Eliot. 24 GIANNI PETTENA, Frederick Law Olmsted e la nascita della landscape architecture, in GIANNI PETTENA (a cura di), op. cit., 1996, pag. 36.

Page 20: Q2 2005 Volume Tre

16

Olmsted durante la sua professione di paesaggista ha progettato anche numerosi college e campus universitari americani25, ma il progetto per la Stanford University a Palo Alto si presenta particolarmente interessante in quanto rompe il tradizionale schema di impianto sullo stile della Harvard e della Yale University, racchiuso entro muri di mattoni ricoperti di edera. Il paesaggista qui cerca di progettare l’insediamento universitario in coerenza alle caratteristiche ambientali del luogo: “nel progettare una grande università in California occorre rinunciare agli ideali che ci sono stati propri riguardo a quel che ci appariva gradevole e che siamo indotti a credere fosse corretto nell’aspetto esteriore dei college dell’est e di quelli inglesi. Se vogliamo cercare degli esempi per edifici e impianti adatti al clima della California, dobbiamo piuttosto rivolgerci a quelli costruiti dai sapienti della Siria, della Grecia, dell’Italia o della Spagna”26. Olmsted, come lo stesso Daniel Burnham dichiarò alla serata inaugurale dell’esposizione, è anche il principale responsabile della realizzazione della World’s Columbian Exposition di Chicago. Questa nuova porzione di città disposta lungo la costa del lago viene progettata e strutturata secondo le caratteristiche naturali del luogo che al tempo stesso ne valorizzano gli aspetti architettonici grazie ad un ponderato equilibrio tra pieni e vuoti. Gli ampi spazi aperti e un sistema integrato di trasporti permette a centinaia di persone27 di muoversi liberamente all’interno dell’Esposizione mentre il grande bacino d’acqua centrale enfatizza le architetture coloniali dei padiglioni disposti attorno ad esso28. Un’isola in mezzo all’acqua dovrebbe funzionare da luogo di riposo, lontano dal frastuono della fiera, benché alcune attività incongrue vengono lì collocate contro il parere del paesaggista. Olmsted non progetta solo l’esposizione, ma, sempre attento al futuro, si domanda anche quale fine potrà fare quel luogo al termine dell’esposizione. Quindi il sistema a verde, i filari alberati e gli arbusti della World’s Columbian Exposition sono studiati e realizzati in modo tale che alla dismissione della fiera lì il terreno possa essere prontamente trasformato in un grande parco pubblico sulla riva del lago per la città di Chicago. Nel 1898 Olmsted si ritira dalla sua professione e dopo una vita intensamente dedicata al paesaggio muore il 28 agosto del 1903 a Waverley (Massachusetts).

25 È importante segnalare che proprio nei college realizzati con la collaborazione di Olmsted si sviluppano le prime basi della Landscape architecture in quanto disciplina scientifica. Sarà poi agli inizi del Novecento che F. L. Olmsted Junior avvierà ad Harvard un programma di pianificazione urbana in cui l’architettura del paesaggio viene associata alla pianificazione e all’architettura. 26 FREDERICK LAW OLMSTED 1886, citato in GIANNI PETTENA (a cura di), op. cit., 1996, pag. 114. 27 Fino a settencentocinquantamila al giorno. 28 Le architetture di questi padiglioni, che si specchiano sul lago, diverranno in seguito i modelli di riferimento nel movimento della City Beautiful.

Page 21: Q2 2005 Volume Tre

17

Figura 10. Abitazione e studio di Olmsted, Fairstead, Brookline (Boston). Quando Olmsted si trasferisce a Boston, nella sua dimora Fairsted di Brookline apre il primo studio professionale di architettura del paesaggio capace di progettare alle diverse scale, la Olmsted Landscape Architecture Firm. Considerata una vera e propria post-graduate school, qui iniziano la propria carriera personaggi quali Charles Eliot, Warren Manning e Arthur Shurcliff. Dopo la morte di Olmsted, i suoi figli John Charles Olmsted e Frederick Law Olmsted Jr insieme a Charles Eliot continueranno l’attività professionale dello studio sino al 1949. Oggi Fairsted è sede del Frederick Law Olmsted National Historic Site, gestito dal National Park Service (U.S.A.), e del rispettivo archivio della Olmsted Firm. La Master List of Design Projects of the Olmsted Firm 1857 – 1950 (in cui sono presenti anche i progetti dell’inizio dell’attività di landscape architect di Olmsted compresi quelli realizzati con la collaborazione di Calvert Vaux) comprende qualcosa come cinquemilacinquecento progetti tra cui:

- 650 public parks and ricreation area - 900 private estate - 270 subdivisions and residenzial communities - 245 school - the grounds of 60 hospital and asylums - 65 libraries and other public buildings - 75 commerical and industrial building - 40 churches

oltre scritti, stampe e fotografie. L’enorme quantità di materiale utile ad approfondire la ricerca sulla paesaggistica americana e contemporanea, è attualmente interessata da un progetto di restauro e riorganizzazione. L’IDEA DIETRO IL DISEGNO: LA VISIONE SISTEMICA DEL PAESAGGIO “Six Principles of Landscape Design: SCENERY Design of “passages of scenery” and a liberal use of planting, even in the smallest spaced and in areas with the most active use. SUITABILITY Creation of designs that are in keeping with the natural scenery and topography; respect for, and full utilisation of, the “genius of place”. SANITATION Provision for adequate drainage and similar engineering considerations; creation of designs to promote both physical and mental health of users.

Page 22: Q2 2005 Volume Tre

18

SUBORDINATION Subordination of all details, all features, both of natural and artificial materials, to the overall design, and the effect intended for it achieve. SEPARATION Separation of areas done in different styles so that “incongruous mixture of styles” will not dilute the intended affect of each; separation of ways in order to insure safety of use and reduce distractions for those using space; separation of uses that conflict with one another. SPACIOUSNESS Creation of designs that make the area seems larger that it is: bays and headlands of plantings, indefinite boundaries.”29 Durante la sua professione Olmsted non si interessa esclusivamente di un singolo aspetto della progettazione paesistica, ma la sua visione sensibile, lungimirante e sistemica gli permette di spaziare su tutte le scale, mettendo in rilievo ogni volta le puculiarità, i principi fondamentali e le ragioni per cui tale paesaggio deve essere esistere e deve essere progettato al fine di garantire la sua esistenza anche nel futuro. Egli progetta parchi, sistemi di parchi e parkways per la città e la sua regione (dove ogni vuoto viene visto in relazione al suo pieno, sapendo che questi si trasformeranno già nell’immediato futuro), sobborghi residenziali immersi nel verde, spazi pubblici e privati, si interessa della conservazione e della protezione dei grandi parchi nazionali americani, realizza fiere espositive, campus e college organizzati secondo spazi verdi e filari alberati. La Natura, le peculiarità locali diventano la struttura portante di ognuna di essi, articolandoli in spazi dove al loro interno il cittadino può svolgere qualitativamente la sua vita quotidiana30. Per Olmsted quindi la Natura ha un potere incommensurato in quanto migliorando le condizioni di vita ha la forza di rendere gli uomini migliori. Profondamente influenzato dal pensiero di Andrew Jackson Downing, dall’esperienza dei Rural Cemeteries31, e dall’ideologia Jeffersoniana in cui il progresso sociale della nazione americana è misurato in base all’avanzamento di ogni classe sociale, dalle letture degli scritti dei suoi contemporanei quali Emerson, Lowell e Ruskin, Olmsted si trova nella sua professione di paesaggista a dover risolvere i problemi legati allo sviluppo industriale, alla crescita delle metropoli sempre più congestionate, senza dover rinunciare agli aspetti rurali che rendono libero l’uomo. Non si tratta più come nei rural cemeteries di contrapporre il modello della campagna alla città, di creare luoghi eccezionali fuori dal mondo quotidiano dell’uomo e di ripugnare la città ma, in coerenza con il pensiero di Jeremy Bentham32, di risanare la struttura urbana, di migliorarla igienicamente: si tratta in breve di non porre la Natura contro la Città ma di portarla al suo interno in modo tale da rendere l’ambiente urbano più salubre e più vivibile da punto di vista igienico e sociale. “Jeremy Bentham, trattando dei Mezzi per prevenire i delitti, nota che ogni innocente divertimento che l’intelligenza umana può inventare è utile sotto un doppio aspetto: in primo luogo, per il piacere in se stesso che ne risulta; in secondo luogo per la sua tendenza a indebolire le tendenze pericolose che ogni uomo deriva dalla sua natura. Nessuno che abbia osservato da vicino il comportamento della gente che visita il parco può dubitare che esso esercita l’effetto evidente di equilibrare e di educare la classe più 29 Frederick Law Olmsted – Six principles of Landscape Design, opuscoletto informativo Frederick Law Olmsted National Historic Site, Fairstead, Brookline, Massachusetts (1994). 30 In ognuno di essi l’uomo può abitare, svolgere attività sportive, passeggiare, contemplare la natura, ricrearsi, imparare (ad esempio arboreti, campus e college), pregare, ammirare, vivere in definitiva ogni attimo della sua vita. 31 I Rural Cemeteries come quelli di Mont Auburn a Cambridge (1831), di Greenwood a Brooklyn (1838), e Albany (New York 1841) sono veri e propri spazi verdi, di impostazione romantica, situati in prossimità delle città che esprimono ideali religiosi e sociali ben precisi: in particolare la contemplazione della morte che rende tutti gli uomini uguali davanti a Dio. 32 Filosofo ed economista inglese, Jeremy Bentham (Londra 1748-1832) propugnava la filosfia dell'utilitarismo morale che era basata sul principio che doveva essere consentito la massima felicità possibile al maggior numero possibile di individui.

Page 23: Q2 2005 Volume Tre

19

disgraziata e più traviata della città: un effetto favorevole alle buone maniere, all’autocontrollo e alla temperanza.”33 Olmsted, attento agli aspetti sociali del suo tempo, riconosce nel parco uno strumento di unificazione delle classi: così come dinanzi a Dio e alla morte gli uomini sono tutti uguali (caratteristica già precedentemente detta dei rural cemeteries), così nel parco pubblico, godendo ancora della natura ogni uomo si può avvicinare al proprio Dio, si può sentire libero, e poveri e ricchi possono passeggiare e vivere assieme, contemporaneamente, nel medesimo luogo. È proprio l’esperienza di Birkenhead durante il suo primo viaggio in Inghilterra che gli permette di andare oltre ai suoi precedessori e di stabilire uno dei principi fondamentali su cui si basa il suo lavoro: “il parco come intervento pubblico in una grande città industriale, la natura come non più valore solo trascendente ma come sviluppo della città, città e natura alleate in una prospettiva di riforme istituzionali illuminate”34. Ma non è solo il parco in sé ad essere importante: determinante è anche la composizione degli scenari che lo compongono, in quanto permettono, oltre a rendere più igieniche le condizioni ambientali del suo contesto, attraverso la loro percezione, di influire positivamente sullo stato d’animo degli individui. Fondamentali quindi per la formazione del suo pensiero sono anche le letture degli scritti dello psicologo svizzero Johann Georg von Zimmermann e il teologo Horace Bushenell. Nel testo Ueber Die Einsamkeit, Zimmerman conduce un’interessante ricerca sul potente ruolo del paesaggio sull’immaginazione umana e come la natura può aiutare a guarire alcune malattie mentali, in Bushnell Olmsted invece apprende come gli effetti della vita industriale operano nel subconscio. Lo stile pastorale praticato da Capability Brown è forse la caratteristica dominante dei suoi progetti in quanto la rappresentazione armoniosa della natura è capace di rispondere pienamente alle sue esigenze compositive al fine di creare un luogo in cui l’uomo può rigenerare se stesso e trovare la pace lontano dagli schiamazzi della città. “Landscape move us in a manner more nearly analogous to the action of music than anything else … Gradually and silenty the charm overcomes us; we know excactly where or how”35. Ma anche gli scritti sul Pittoresco del tardo diciottesimo secolo contribuiscono alla formazione del suo pensiero36 e nei suoi parchi è sempre possibile trovare episodi di natura selvaggia in genere derivanti dalle caratteristiche morfologiche (come le rocce di Central Park) e naturali (ad esempio le stesse piante autoctone) del sito. Olmsted quindi nelle sue realizzazioni è capace di calibrare attentamente la Natura pastorale di Capability Brown, e i suoi aspetti più selvaggi invocati di Uvedale Price in modo da una

33 FREDERICK LAW OLMSTED, Il valore sociale e urbanistico dei parchi, tratto da Public Parks and the Enlargement of Towns, 1870 in PAOLO SICA, op. cit., 1985, pagg. 240-242. 34 GIANNI PETTENA, Frederick Law Olmsted e la nascita della landscape architecture, in GIANNI PETTENA (a cura di), op. cit. 1996, pag. 18. 35 Frederick Law Olmsted, opuscoletto informativo Frederick Law Olmsted National Historic Site, Fairstead, Brookline, Massachusetts (1994). 36 Nelle sue giovani letture si riscontrano ad esempio il testo Three Essay on the picturesque di Sir Uvedale Price (1810) e Remarks on forest scenery, and other woodland views: Relative chiefly to picturesque beauty, illustrated by the scenes of New Forest, in Hampshire di William Gilpin. (1791), testo che si ribellava alle forme geometriche francesi e germaniche in voga nei giardini settecenteschi inglesi. Price in accordo con Edmund Burke che nel 1757 nel suo testo Philosophical enquiry into the origins of our ideas of sublime and the beautiful, aveva definito il “bello” e il “sublime”, associò a quest’ultimo le sensazioni di vastità, di solitudine e di oscurità. Gli oggetti, le scene dovevano cioè suscitare forti emozioni, paura e sorpresa. Il Bello invece era invece associato alla delicatezza, all’armonia e alla variazioni graduali e alle linee fluenti. Ma a questi termini ne associò un terzo, quello di Pittoresco il quale mostrava varietà, irregolarità, contrasto, sorpresa ma anche aspetti irritanti e accidentali. Olmsted come Price notò che le categorie del bello e del pittoresco potevano erano “subject to the improver; to create the sublime is above our … powers” (vedi UVEDAL PRICE, Three essay on the picturesque, I, J. Mawman, 1810, London, pag. 102 citato in CYNTHIA ZAITZEVSKY, Frederick Law Olmsted and the Boston Park System, The Belknap press of Harvard Univeristy, Cambridge 1982, pag. 25). Il testo di Price non fu pubblicato prima del 1794 così il termine Pittoresco fu generalmente utilizzato per descrivere ciò che nel landscape gardening del Diciottesimo secolo aveva uno sviluppo irregolare e naturalistico, incluso il “bello” (o il pastorale) di Capability Brown.. Vedi CYNTHIA ZAITZEVSKY, op. cit., 1982, pag. 24-27, e ROBERT SMITHSON, Frederick Law Olmsted e il paesaggio dialettico, “Casabella”, 539, 1987, pagg. 44 –51.

Page 24: Q2 2005 Volume Tre

20

parte di creare luoghi contemplativi e silenziosi e dall’altra di indurre sorpresa e vivacità all’insieme. Gli scritti I numerosi scritti di Frederick Law Olmsted sono stati raccolti da Charles E. Beveridge, storico, professore presso l’American University Washington, D.C., e membro onorario dell’ASLA37 che ha dedicato i suoi quarant’anni di professione allo studio e alla divulgazione della filosofia e delle opere del paesaggista. CHARLES E. BEVERIDGE, The Papers of Frederick Law Olmsted, Senior Series Editor

- Volume I—The Formative Years 1822-1852 - Volume II—Slavery and the South 1852-1857 - Volume III—Creating Central Park 1857-1861 - Volume IV—Defending the Union, The Civil War and the U.S. Sanitary

Commission 1861-1863 - Volume V—The California Frontier 1863-1865 - Volume VI—The Years of Olmsted, Vaux & Company 1865-1874.

FREDERICK LAW OLMSTED, Walks and Talks of an American Farmer in England, Reprint of 1852 edition with introduction by Charles C. McLaughlin, LALH/University of Massachusetts Press, Amherst, 2002. Le opere I disegni e l’opera completa di Frederick Law Olmsted e della Olmsted Firm è stata catalogata nelle principali categorie di intervento da Beveridge e Hoffman: CHARLES E. BEVERIDGE, CAROLYN F. HOFFMAN, The Master List of Design Projects of the Olmsted Firm 1857 – 1950, Massachusetts Association for Olmsted Parks, Boston Ma 1987. Le categorie di intervento sono

(01) Parks, parkways & recreation areas (02) City & regional planning & improvement projects (03) Subdivisions & suburban communities (04) College & school campus (05) Grounds of residential instintutions (06) Grounds of public buildings (07) Private estates & homesteads (08) Monument & statue designs & cemeteries (09) Grounds of commercial & industrial buildings (10) Country clubs, resorts, hotels & clubs (11) Grounds of churches (12) Arboreta & gardens (13) Exhibitions & fairs (14) Miscellanueous project.

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI BEVERIDGE CHARLES E., The papers of Frederick Law Olmsted 1822-1903, Volume 1-6, Johns Hopkins university press, Baltimore, London, 1990. BEVERIDGE CHARLES E., ROCHELEAU PAUL, Frederick Law Olmsted. Designing the american landscape, Universe Publishing, New York 1998. MORELLI EMANUELA, Disegnare linee nel paesaggio. Metodologie di progettazione paesistica delle grandi infrastrutture viarie, Firenze University Press, Firenze 2005.

37 Nel 2005 ha ricevuto la “Olmsted Medal” istituita dall’ASLA.

Page 25: Q2 2005 Volume Tre

21

MUMFORD LEWIS, Frederick Law Olmsted in The Brown Decades. A Study of the Arts in America, 1865-1895. Harcourt Brace and Co., New York, 1931 pag. 69. OLMSTED LAW FREDERICK, Il valore sociale e urbanistico dei parchi, 1870 in PAOLO SICA, Antologia urbanistica. Dal Settecento ad oggi, Editori Laterza, Roma-Bari 1985, pagg. 240-242. OLMSTED LAW FREDERICK, SUTTON SILVIA BARRY, Civilizing American Cities. A Selection of Frederick Law Olmsted's Writings on City Landscape, The Mit Press, Cambridge, Ma., 1971, 1979. PETTENA GIANNI (a cura di), Olmsted. L’origine del parco urbano e del parco naturale contemporaneo, Centro Di, Firenze 1996. PONTE ALESSANDRA, Il parco pubblico in Gran Bretagna e negli Stati Uniti. Dal genius loci al “genio della civilizzazione”, in MONIQUE MOSSER, GEORGES TEYSSOT, L’architettura dei giardini d’Occidente. Dal Rinascimento al Novecento, Electa editrice, Milano 1990, pagg. 369-382 SMITHSON ROBERT, Frederick Law Olmsted e il paesaggio dialettico, “Casabella”, 539, 1987, pagg. 44 –51. FREDERICK LAW OLMSTED, SILVIA BARRY SUTTON, Civilizing American Cities. A Selection of Frederick Law Olmsted's Writings on City Landscape, The Mit Press, Cambridge, 1971. TAFURI MANFREDO, DAL CO FRANCESCO, Origini dell’urbanistica moderna, Architettura e città degli Stati Uniti, Architettura Contemporanea I, Electa editrice, Milano, 1979, pagg. 32-70. TISHLER WILLIAM H., American Landscape architecture. Designers and place, The Preservation Press - National Trust for historic preservation American Society of Landscape Architects, Washington D.C., 1989. ZAITZEVSKY CYNTHIA, Frederick Law Olmsted and the Boston Park System, The Belknap press of Harvard Univeristy, Cambridge 1982. ZAPATKA CHRISTIAN, L’architettura del paesaggio americano, “Quaderni di Lotus”, 21, 1995. ZAPATKA CHRISTIAN, I parkways americani. Origini ed evoluzione della strada-parco, “Lotus International”, Spazio, tempo, e Architettura, 56, 1988, pagg. 98-128. Atti e documenti vari Olmsted Law Frederick – Six principles of Landscape Design, opuscoletto informativo Frederick Law Olmsted National Historic Site, Fairstead, Brookline, Massachusetts (1994). Olmsted Law Frederick, Yosemite and the Mariposa Grove: A Preliminary Report, 1865, http://www.yosemite.ca.us/history/olmsted/report.html Olmsted Law Frederick, Public Parks and the Enlargement of Towns 1870, http://www.cr.nps.gov/nr/twhp/wwwlps/lessons/86bostonparks/86bostonparks.htm. RIFERIMENTI ICONOGRAFICI Figura 1: http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/d/d5/Frederick_law_olmstead_1857.jpg Figura 2: Cartolina fotografica Frederick Law Olmsted National Historic Site, Fairstead, Brookline, Massachusetts (1994). Figura 3. http://www.amerika.nl/reizen/images/imamericana/centralpkmap_lg.jpg Figure 4 – 7, 10: Fotografie di Emanuela Morelli Figura 8: PETTENA GIANNI (a cura di), Olmsted. L’origine del parco urbano e del parco naturale contemporaneo, Centro Di, Firenze 1996, pag. 143. Figura 9: Emerald Necklace, opuscoletto informativo Frederick Law Olmsted National Historic Site, Fairstead, Brookline, Massachusetts (1994). Testo acquisito nel mese di marzo 2006. © Copyright dell’autore. Ne è consentito l’uso purché sia correttamente citata la fonte.

Page 26: Q2 2005 Volume Tre

22

Quaderni della Ri-Vista Ricerche per la progettazione del paesaggio ISSN 1824-3541 Università degli Studi di Firenze Dottorato di ricerca in Progettazione Paesistica http://www.unifi.it/drprogettazionepaesistica/

Firenze University Press anno 2 – numero 3 – volume 2 – settembre-dicembre 2005 sezione: i protagonisti pag. 22 - 42

EMILIO SERENI DAL LAVORO DELL’UOMO: IL PAESAGGIO. Sabrina Tozzini* Abstract Emilio Sereni’s “Storia del paesaggio italiano agrario”isa discipline’s miliare stone, but the importance of Emilio Sereni does not get exausted in this fundamental contribution, he has been a leading figure for all the history of the twentieth century. His absolute engagement, his strong personality, has carried himself to living as protagonist all the main events of that century:the dream of the zionism, the communist engagement, the resistance to the fascism and the win on it, the challenge of the new democracy.But Sereni remains one disappointed figure: he has had need to believe to a new social order, and in that it has put all himself, the fall of the illusions bring him unavoidablly to withdraw himself in his studies, undertaken from when he was a boy and never definitively sets aside.From his notes scattered, taken in jail or in rare moments of peace, from the jobs interrupted or partially gone lost during the years of the conspiracy, in the sixty born his rich scientific production. Key-words Emilio Sereni, “Storia del paesaggio italiano agrario”, farming history, landscape, comunism, resistance. Abstract “Storia del paesaggio italiano agrario” di Emilio Sereni rappresenta per la disciplina una pietra miliare da cui prescindere è impossibile, ma l’importanza di Emilio Sereni non si esaurisce in questo suo fondamentale contributo, egli è stato una figura di spicco per tutta la storia del ventesimo secolo. Il suo impegno assoluto, la sua personalità forte, lo hanno portato a vivere in primo piano tutti i principali avvenimenti di quel secolo: il sogno del sionismo, l’impegno comunista, la resistenza al fascismo e la vittoria su esso, la sfida della nuova democrazia. Sereni resta però una figura delusa: ha avuto bisogno di credere ad un ordine sociale nuovo, ed in ciò ha messo tutto se stesso, la caduta delle illusioni lo porta inevitabilmente a ritirarsi nei suoi studi, intrapresi da ragazzo e mai definitivamente accantonati. Dagli appunti sparsi, presi in carcere o in rari momenti di pace, dai lavori interrotti o parzialmente andati perduti durante gli anni della cospirazione nasce negli anni sessanta, la sua ricca produzione scientifica. Parole chiave Emilio Sereni, “Storia del paesaggio italiano agrario”, storia dell’agricoltura, comunismo, resistenza,. * Dottore di Ricerca in Progettazione paesistica, Università di Firenze

Page 27: Q2 2005 Volume Tre

23

LA CULTURA E LA FAMIGLIA D’ORIGINE Inquadrare la figura ed il pensiero di Emilio Sereni significa non solo indagare sui contesti culturali e politici di buona parte del secolo ventesimo, ma anche ricostruire le vicende di una famiglia per niente ordinaria, i cui membri hanno lasciato eredità culturali e scientifiche eccellendo in campi disparati, spesso rappresentando tessere di rilievo nel complesso mosaico della storia europea. Di Emilio Sereni si è tramandata a lungo soprattutto una autobiografia di tipo curricolare in cui egli presenta, con diverse autocensure e attraverso tappe che spesso lasciano solo immaginare una formazione più complessa, esattamente l’io pubblico che egli necessitava, con perizia narrativa1, mentre la parte più privata, ma pur sempre “epurata” e talvolta reticente, è quella descritta da Marina Sereni, al secolo Xenia Silberberg moglie di Emilio, ne I giorni della nostra vita2, in cui le vite di Emilio e Marina si votano alla causa del Partito Comunista, quasi cancellando ogni vissuto precedente, ogni retaggio puramente culturale, ogni ragione che non fosse quella della causa comune. Emilio Sereni sfugge però anche ai tentativi di catalogazione fatti da lui stesso, e nelle sue contraddizioni, nelle aporie dell’utopia che si scontra con la realtà, degli ideali che si impastano e a volte si perdono nella politica deve essere letta la sua figura.

Figura 1 Storia del paesaggio agrario la conquista araba: miniatura del Theatrum sanitatis.

1 Discorso di Emilio Sereni per la sua elezione alla Costituente; Scheda per le elezioni nel collegio senatoriale di Salerno; entrambi conservati presso la Fondazione Istituto Gramsci di Roma, archivio Emilio Sereni. 2 Marina Sereni, I giorni della nostra vita, Roma, Edizioni di Cultura Sociale 1956. L’opera ebbe una diffusione incredibile anche a livello internazionale, venne tradotto in molte lingue ed edito addirittura a Cuba e in Giappone.

Page 28: Q2 2005 Volume Tre

24

Agli inizi del novecento la famiglia Sereni viveva in una Roma colta e privilegiata. Il padre Samuele, medico della real casa ma anche dottore per le classi artigiane e operaie romane, e la madre Alfonsa Pontecorvo, famiglia pisana di alto ceto, offrono ai quattro3 figli Enrico, Lea, Enzo ed Emilio, una educazione vivace e varia, impartita con severità ma anche con il rispetto della libertà di scelta. I Sereni erano ebrei di tradizione prima che di religione, osservanti, ma con un forte desiderio di integrazione alla nazione. Colsero presto le ragioni della politica, le problematiche del presente, e si interessarono delle vicende postbelliche, della rivoluzione russa, del fascismo emergente e delle sue violenze. Conducevano inoltre una vita sociale fatta di frequentazioni culturalmente e politicamente impegnate: appartenevano alla cerchia della famiglia Eugenio Colorni4, Tullio Ascarelli, Nello e Carlo Rosselli, Manlio Rossi Doria, Giorgio Amendola e molti altri tra i figli di quella borghesia romana impegnata e progressista che seppe rimanere a lungo estranea al fascismo. Il più grande dei figli, Enrico5, studioso e docente di fisiologia, durante la prima guerra mondiale combatte come volontario in trincea, esperienza che contribuì ad accentuare certi tratti bui del suo carattere, che lo separarono progressivamente dai rapporti fraterni consegnandolo infine ad una morte improvvisa su cui aleggia il sospetto del suicidio.

Figura 2 Storia del paesaggio agrario la piantata padana in una mappa cinquecentesca dei dintorni di Mantova

Il rapporto più stretto fu quello tra i fratelli Enzo ed Emilio. Il loro impegno, fin da adolescenti, fu quello di una ricerca delle origini, che li portò ad avvicinarsi all’ortodossia religiosa, prima, ed al sionismo, poi. I loro sogni e le loro aspirazioni miravano alla creazione di una comunità nuova, fondata su criteri di fratellanza ed uguaglianza sociale, da fondarsi in Palestina, che il sogno sionista di quegli anni vedeva pacifica, un luogo dove ebrei ed arabi potessero convivere e lavorare insieme per far fiorire e fruttare la terra. È da questo sogno che nasce l’interesse di Emilio, Mimmo come lo chiamavano i familiari, per l’agricoltura. Essa per i fratelli rappresenta non solo simbolicamente un ritorno alle radici,

3 I Sereni ebbero in realtà anche una quinta figlia, secondogenita, Velia, morta però ad appena tre anni, quando ancora Enzo ed Emilio non erano nati. Il lutto segnò comunque tutta la famiglia attraverso la severità ed anche la mestezza di una madre che forse non seppe mai superarlo. 4 Cugino, ucciso dai tedeschi a Roma nel 1944. 5 La morte Enrico Sereni (1900-1930) viene registrata dalla questura di Roma in un fascicolo in cui viene inquadrato come antifascista e socialista; nello stesso fascicolo si trovano anche annotazioni su Enzo ed Emilio.

Page 29: Q2 2005 Volume Tre

25

ma anche uno strumento reale per creare un mondo nuovo. Era il sogno sionista, che in quegli anni pilotava coloni, non solo ebrei, verso Israele. Ma il progetto di trasferirsi insieme in Palestina era destinato a non avverarsi. Enzo si laurea in Filosofia e diventa ben presto una figura chiave del movimento per l’alyà, l’emigrazione clandestina verso Israele6, dove, assieme alla moglie Ada Ascarelli, fu tra i fondatori del kibbutz di Givat Brenner7. Enzo parte convinto che Mimmo l’avrebbe seguito, non sarà così, amaramente i due fratelli si allontanano a causa, si potrebbe dire, di una forza maggiore: l’impegno totalizzante che aveva rapito sempre più Emilio, il comunismo militante. Le idee socialiste, condivise tra i fratelli, li avevano portati a studiare le dottrine economiche, i problemi sociali e politici, la storia dei partiti antichi e moderni, attraverso una lettura intensiva e vasta. I testi venivano consultati in lingua originale, in quanto entrambi erano poliglotti. I particolare Emilio parlava infinità di lingue antiche e moderne: il tedesco, l’inglese, il francese, il russo, greco, il latino, l’ebraico, varie lingue slave e anche alcune particolarmente antiche comprese quelle espresse in scritture cuneiforme, come l’accadico, il sumero, l’ittita. Le opere di Marx e di Engels erano il territorio comune alla cerchia di amici, e su queste, sulla loro interpretazione e sulle implicazioni pratiche essi si confrontavano ogni giorno.

Figura 3 Storia del paesaggio agrario. Sistemazione a ciglioni nel Tableau de l’agricolture toscane del Sismondi

Ben presto Emilio ebbe chiaro che l’impegno intellettuale doveva essere affiancato all’impegno pratico e cominciò frequentare il clandestino Partito Comunista, che a Roma faceva proseliti ed aveva una propria strutturazione forte, ancorché continuamente minacciata dagli arresti della polizia politica. Sono questi gli anni in cui si lega a Xenia Silberberg, detta Xeniuska, figlia di Lev Silberberg rivoluzionario socialdemocratico russo di origini ebraiche, arrestato e giustiziato in quel paese dopo i moti del 1905, quando la figlia era ancora bambina. La madre si rifugiò allora in Italia a Roma, dove si mantenne dando lezioni di russo, attività che permise la conoscenza con Emilio. Nel 1927 Emilio Sereni consegue la Laurea in scienze agrarie presso l’Istituto superiore agrario di Portici (in seguito Facoltà di Agraria dell’Università di Napoli) con la tesi “La colonizzazione agricola ebraica in Palestina”8. La tesi è non solo un trattato tecnico in cui ad esempio si esplicano le pratiche da utilizzare per fare della coltura irrigua intensiva la base della colonizzazione, ma si danno anche indicazioni che, in ultima analisi sono di tipo politico, come quelle che sconsigliamo l’adozione di forme di proprietà privata del terreno, che potrebbero secondo Sereni, diminuire una potenzialità fondamentale del popolo ebraico, la sua mobilità, finendo per legare troppo i contadini alla terra. La tesi di Sereni è impregnata

6 ADA SERENI, I clandestini del mare. L'emigrazione ebraica in Terra d'Israele dal 1945 al 1948, Mursia editore, collana GUM Testimonianze, 1994. 7Ada Ascarelli Sereni, fu responsabile delle relazioni del movimento dell'Aliyah Bet (l'immigrazione clandestina), a capo del settore italiano dall'aprile 1947 al maggio 1948, data della proclamazione dello Stato d'Israele. Fu inoltre fondatrice dell'Associazione Italia-Israele. 8 LUIGI MUSELLA, La scuola di Agricoltura di Portici nell’esperienza di Manlio Rossi Doria e di Emilio Sereni in Studi Storici anno XXX, n° 3, 1989, pagine 701-715.

Page 30: Q2 2005 Volume Tre

26

però anche di ottimismo, amaro se guardato con gli occhi di oggi, perché è fiduciosa che il lavoro in Israele unirà i due popoli, ebraico e palestinese entrambi beneficiati dal nuovo assetto territoriale: “quello che gli ebrei fanno in Palestina è qualcosa di più di una semplice opera di colonizzazione: il popolo ebraico è tutto febbrile alla ricerca di nuove forme di vita, che possano sostituire le antiche che esso non sente più vivere in sé: si tratta soprattutto, come è stato detto di una “Neubegruendung des Nationalismus” che gli operai ebrei hanno mostrato di saper trovare in Palestina, e non solo per sé ed è per questo che il Sionismo ha un vivo interesse non soltanto per gli ebrei, ma per quanti nel febbrile ed agitato mondo di oggi sentano, attraverso tutte le lotte la fondamentale solidarietà umana”9. In quello stesso anno Emilio e Xenia si sposarono e si spostarono a vivere a Napoli, dove lui aveva una borsa di studio per una analisi sulle condizioni dei contadini nel mezzogiorno.

Figura 4 Comunità rurali nell'Italia antica La toponomastica per l’indagine territoriale, distribuzione e densità dei

toponimi gallici in – ialos (radura nel bosco) in Francia.

L’IMPEGNO POLITICO E LA RESISTENZA Il lavoro degli anni trascorsi a Portici rappresenterà per Emilio una base formativa imprescindibile. Ebbe infatti la possibilità di esaminare un mondo contadino che andava sparendo, leggendolo con gli occhi idealisti di chi vedeva nel lavoro e nel rapporto tra lavoratore e luogo la parte sana della società, la speranza di rifondare un nuovo ordine sociale su di essa. Il suo lavoro era minuzioso e tanto ben fatto che anche il ministero, evidentemente all’oscuro delle idee antifasciste, ne inviò copia a tutti i redattori come

9 EMILIO SERENI, La colonizzazione agricola ebraica in Palestina, tesi di laurea, anno accademico 1926-1927, pagina 5, in Segreteria della Facoltà di Agraria dell’Università degli Studi di Napoli, fascicolo Sereni.

Page 31: Q2 2005 Volume Tre

27

“esempio di lavoro ben fatto”10. A Napoli, assieme all’amico Manlio Rossi Doria organizzò un distaccamento del Partito Comunista, attività che nel 1930 portò entrambi ad essere arresti. I quindici anni di prigione a cui Sereni era stato condannato si ridussero per fortuna a cinque, per gli effetti di una inaspettata amnistia.

Figura 5 Comunità rurali nell'Italia antica Lo spopolamento montano nell’area ligure e alpina.

Gli anni successivi, trascorsi a Parigi, dove ebbe modo di confrontarsi con Marc Bloch, lo videro di nuovo impegnato su più fronti, come egli stesso ricorda: “Uscito dal carcere alla fine del ’35, per effetto di amnistia e condono, e sottoposto a vigilanza speciale non riponeva naturalmente per me la possibilità della continuazione di un regolare curriculum scientifico universitario. Chiamato a far parte del centro estero del Partito comunista, ed espatriato 10 MARINA SERENI, op. cit.

Page 32: Q2 2005 Volume Tre

28

clandestinamente, come redattore della rivista teorica del Partito Comunista “Lo Stato operaio”, e come responsabile del lavoro culturale del partito stesso, continuai come risulta anche dalle pubblicazioni allegate, nello sforzo di fondare la mia lotta per la libertà e per il rinnovamento politico e sociale dell’Italia in una ricerca scientifica ed in un’analisi scientifica e storica della nostra realtà nazionale. È in questi anni che venni stendendo una Storia dell’agricoltura in Italia dal XVI secolo all’età contemporanea, della quale la maggior parte andò perduta nel corso delle mie successive vicissitudini cospirative, e della quale, soltanto tre capitoli – recuperati in copie dattiloscritte, clandestinamente diffuse in Italia – furono pubblicati dopo la liberazione dall’editore Einaudi sotto il titolo Il capitalismo nelle campagne (1860 – 1900)11”. In questo studio Sereni analizza quella che lui stesso definisce “l'incompiuta rivoluzione democratico-borghese” dal punto di vista dei residui feudali precapitalistici, che permangono a lungo nei rapporti sociali del nostro paese determinando arretratezza e disparità tra Nord e Sud. Ritiene che il Risorgimento non sia riuscito a coinvolgere le masse rurali, ed anzi come alla mancanza di una riforma agraria abbia fatto seguito un sistema di accumulo del capitale da parte della ancora incerta borghesia italiana a discapito delle campagne. In quegli anni, e fino alla fine della seconda guerra mondiale l’attività politica assorbì le energie di Sereni in modo pressoché completo, assumendo un ruolo di spicco all’interno del partito e movimento partigiano. Lo scoppio della seconda guerra mondiale lo coglie mentre si trova a Parigi ed a lui fu affidato l’incarico di organizzare l’attività politica fra gli emigrati. Nel settembre del 1941 a Tolosa assieme a Giuseppe Dozza per il Pci, Pietro Nenni e Giuseppe Saragat per il Psi, Silvio Trentin e Fausto Nitti per Giustizia e libertà costituisce un comitato d’azione finalizzato alla cospirazione antifascista. I suoi studi scientifici non sembrano però risentire più di tanto della sua attività rivoluzionaria, (è di questi anni “La questione agraria e la rinascita nazionale”) ma è il lavoro di cospiratore ad assorbire la maggior parte delle sue energie: tra Tolone, Nizza, Parigi e l’arco alpino occidentale passa dalla propaganda teorica (fonda il giornale “La parola del soldato”) all’azione pratica di sabotaggi e colpi di mano, commissario politico dei Franc tireurs et partisans delle Alpi Marittime.

Figura 6 Comunità rurali nell'Italia antica Un contratto di divisione terriera del 117 a.C., la Sententia Minuciorum nella

Tavola di Polcevera

11 EMILIO SERENI, Pagine autobiografiche di Emilio Sereni in “Studi Storici” anno 37, 1996 n°3. Da un documento dattiloscritto conservato presso l’Archivio Fondo Sereni con l’intestazione “Esame di abilitazione alla libera docenza in: Storia dell’agricoltura. Sessione 1959. Curriculum del candidato dott. Sereni Emilio.”

Page 33: Q2 2005 Volume Tre

29

Nel giugno del 1943 viene arrestato e processato dal tribunale straordinario di guerra della IV Armata Italiana che lo condanna a diciotto anni di carcere per “associazione sovversiva, emigrazione, istigazione di militari, documenti falsi”, destinandolo al carcere di Fossano. Qui, nel settembre del 1943, alla caduta del fascismo, Sereni persuade con un discorso le guardie carcerarie a liberare i detenuti politici, ma solo dopo dodici chilometri viene catturato e ricondotto in carcere, che nel frattempo era passato sotto il controllo delle SS tedesche. Un ulteriore tentativo di evasione gli valse invece il trasferimento nel braccio della morte delle SS alle Nuove di Torino dove rimane rinchiuso per sette mesi. Solo nell’agosto 1944 riesce a fuggire e stabilendosi a Milano, dove subito riprende il suo ruolo tra le fila partigiane comunista sia come dirigente dell’ufficio di agitazione e propaganda sia come rappresentante del partito assieme a Luigi Longo nel Comitato di Liberazione Nazionale. Inoltre è membro del comando generale delle brigate Garibaldi; nell’aprile ‘45 è tra i dirigenti dell’insurrezione al Nord. assieme a Leo Valliani e Sandro Pertini. Il 25 Aprile del 1945, il giorno della liberazione, decreta la condanna alla fucilazione di Mussolini, sentenza eseguita, pochi giorni più tardi, dopo le vicende mai realmente chiarite di Dongo.

Figura 7 Comunità rurali nell'Italia antica Statue-stele del Tipo Pontevecchio, testimoniano il momento di passaggio per

le comunità liguri da una fase patriarcale a quella patriarcale.

IL DOPOGUERRA: LA PRODUZIONE LETTERARIA Nel 1946 viene eletto all’Assemblea Costituente, successivamente entra a far parte degli ultimi due governi di unità nazionale presieduti da De Gasperi, come ministro dell’Assistenza postbellica, prima, e come ministro dei Lavori pubblici, dopo, ed infine eletto senatore. Lasciatosi alle spalle l’impegno partigiano, Sereni continua a dedicare le proprie energie all’impegno civile, ma anche lo studio ritrova nuovo vigore. La produzione bibliografia di maggior rilievo comincia in questi anni. “In questo periodo si destò in me un particolare interesse per i riflessi delle storia agraria italiana nel campo culturale e letterario, e per la documentazione “involontaria”, chele fonti letterarie e culturali, appunto, forniscono per la storia dell’agricoltura stessa”.12 Tra le fonti “involontarie” si deve sottolineare lo studio della cultura contadina, intesa non solo sotto l’aspetto di cultura materiale ed etnografica, ma anche folkloristica. Raccoglie ed analizza i testi dei canti tradizionali della ruralità e usa come chiave di lettura per le vicende

12 Ibidem, pagina 724.

Page 34: Q2 2005 Volume Tre

30

storiche dell’agricoltura: innovazioni tecniche, cambiamenti economici, modificazione di usi e costumi, evoluzioni alimentari. Le opere che riguardano questo tipo di studi possono sembrare fatte per una erudizione fine a se stessa, ma specialmente se considerate alla luce della produzione successiva, esse hanno una chiara finalità di documentazione specifica per la comprensione che si sviluppa in parallelo sia della situazione sociale e politica, sia della storia dell’agricoltura italiana. È del 1950 Attualità del Giusti: la cultura toscana del '48 e il significato storico della mezzadria, in cui, partendo dalla disamina della situazione della campagna toscana alla metà del secolo XIX, individua relazioni politiche e sociali indicative di una situazione, quella toscana, che era rimasta cristallizzata e che, e questo è il timore dell’autore, ancora oggi costituisce un terreno arido per la crescita dell’uguaglianza sociale. La lettura di queste dinamiche attraverso la poesia, ironica e apparentemente spensierata, ma in realtà impegnata e pungente, della poesia di Giuseppe Giusti, non è che la scelta di un punto di vista privilegiato ed originale per ripercorrere in Toscana quelle radici d’impegno sociale che portarono prima alla annessione allo stato unitario e alle aspirazioni democratiche e socialiste poi. “Abbiamo accennato come, tagliata fuori la Toscana dalle grandi correnti della civiltà e dei traffici, questo sistema si sia cristallizzato, fermando questa parte dell’Italia ad un grado di sviluppo che, avanzato nell’epoca in cui esso prima si costituì, ha rappresentato nella moderna civiltà capitalistica un punto di arresto e sovente un ostacolo allo sviluppo civile. (…) Ancora oggi nelle campagne toscane , le mani dell’umanità sofferente si levano al cielo; un’umanità più profondamente sommossa si divide in lotte civili. Ancora oggi come il Salvagnoli replicava al Capponi, « poco giova al contadino d’aver avuto la precisa metà, quando ha la coscienza di meritare di più, quando il ventre gli grida che quella metà non lo sazia ». Questa coscienza ormai radicata in vitali esigenza è la forza decisiva che rompe slarga i limiti di quel piccolo mondo antico, che fu il mondo di Giuseppe Giusti”13

Figura 8 Comunità rurali nell'Italia antica Il paesaggio agrario della valle padana e le tracce della centuriatio romana.

13EMILIO SERENI, Attualità del Giusti: la cultura toscana del '48 e il significato storico della mezzadria, in: Il 1848-1849. Conferenze fiorentine di C. Barbagallo, L. Russo, L Pizzetti, A. Levi, R. Bacchelli, A.C. Jemolo, D. Cantimori, E. Sereni, Firenze, Sansoni, 1950. pagine 17- 48; pagina 47 e 48.

Page 35: Q2 2005 Volume Tre

31

Nel 1955esceComunità rurali nell'Italia antica, che valse ad Emilio la laurea ad honorem all’Università Humboldt di Berlino, opera che sia nella propria autobiografia, sia nella prefazione dell’opera stessa il Sereni ascrive al filone storiografico inaugurato da Marc Bloch nel suo Les caractères originaux de l’histore rurale française che studia le problematiche dei sostrati più antichi. Le Comunità rurali analizza la fase più antica della storia agraria italiana ed in particolare dell’origine delle città e del contrasto tra città e campagne. La risonanza per quest’opera fu notevole e non solo in Italia, ma anche in paesi esteri come, Germani, Polonia, Francia, Gran Bretagna ed Unione Sovietica. A dispetto del titolo il soggetto principale non è una generica penisola italiana, ma si tratta piuttosto di una monografia che studia l’ambiente ligure antico nelle sue più dettagliate sfaccettature. A differenza di quanto avverrà in Storia del paesaggio agrario, qui Sereni fa largo uso delle note e si appoggia spesso nelle sue analisi a quelle già compiuti da specialisti ed esperti nei diversi campi. L’opera riesce nel suo intento di compendiare e articolare tra loro studi derivanti da discipline diverse e non sempre comunicanti tra loro, che sul suolo della Liguria Sereni fa dialogare ed aprire nuovi orizzonti di conoscenza. La Liguria antica torna alla luce come da un “… palinsesto, (che) sotto la più moderna ed evidente configurazione, sovente affiora nel dettaglio del paesaggio e dei regimi agrari, un sostrato più antico, che alle diverse figure del quadro ancora imprime una colorazione ed una tonalità caratteristiche”14 Tutto questo materiale doveva confluire in un’opera intitolata Illustrazioni per una storia del paesaggio e dei sistemi agrari in Italia “nel quale la storia del paesaggio agrario in Italia dall’età greca ed etrusca ai giorni nostri è esposta sotto forma di un commento a documenti iconografici del paesaggio stesso tratti da opere d’arte, da piante catastali etc.”15 Purtroppo l’opera fu respinta sia da Einaudi che da Editori Riuniti, uscendo infine a Bari, con Laterza, con un apparato iconografico ridotto e senza note, con il noto titolo di Storia del paesaggio agrario italiano.16 La sua assoluta fedeltà alla causa comunista lo fece aderire in toto alle scelte dell’Unione Sovietica. Nel 1956 nell’epoca dell’occupazione dell’Ungheria, si schierò dalla parte dell’URSS. Ma emblematico fu anche il caso Lysenko, alle cui dottrine biologiche, in realtà sconfessate dalla scienza successiva17, Stalin aveva aderito indicandole come strada da seguire. Anche all’interno del Partito Comunista Italiano si verificò un’adesione fideistica di massa a cui non si sottrasse Emilio Sereni. Luigi Silvestri e Massimo Aloisi, promettenti biologi e membri del partito, partendo da considerazioni di ordine rigorosamente scientifico, misero in guardia da quello che a loro apparve subito come un evidente errore. Aloisi, cauto ma determinato, demandò aduna serie di articoli sulle riviste del PCI la sua disamina di questa ed altre aberrazioni della scienza staliniana, denunciando l’inquinamento della scienza con preconcetti ideologici, mentre Silvestri, che volle portare la discussione tra i militanti di base, finì espulso dal partito anche per volontà di Sereni, mentre gli esiti fallimentari degli esperimenti di Lysenko in Unione Sovietica furono resi noti solo dopo la morte di Stalin. Gli anni sessanta vedono Emilio Sereni, se non ritirasi dalle scene politiche, almeno farsi da parte dalle posizioni di primissimo piano. Dopo anni di scelte politiche spesso difficili ed assolute, talvolta discutibili e poco comprensibili se non calate nel contesto storico che le

14EMILIO SERENI, Comunità rurali nell'Italia anticaRinascita, Roma 1955. Prefazione, pagina XIII. 15EMILIO SERENI, Pagine autobiografiche di Emilio Sereni, Op. Cit. pagina 725. 16DIEGO MORENO, OSVALDO RAGGIO, Dalla storia del paesaggio agrario alla storia rurale. L’irrinunciabile eredità scientifica di Emilio Sereni, in Quaderni storici 100 anno XXXIV, n° 1, aprile 1999, pagine 89-104 17 Nel 1948 lo scienziato sovietico Trofim Lysenko sostenne che lenovità organiche acquisite dagli animali e dalle piante durante laloro vita erano trasferibili al patrimonio ereditario. La teoria prevedeva, una volta applicata alla coltivazione agricola eall'allevamento zootecnico, notevoli vantaggi, rendendo l'URSS più ricca e potente. Fu probabilmente quest'allettante prospettiva che entusiasmò Stalin, il quale consentì che le concezioni di Lysenko diventassero i dettami irrinunciabili della scienza sovietica. GIACOMO SCARPELLI, La biologia italiana del Novecento, saggio on line su Aperture, rivista semestrale di cultura generale e filosofica, http://digilander.libero.it/aperture/.

Page 36: Q2 2005 Volume Tre

32

vide nascere, amareggiato da dolorose vicende personali come la lunga agonia della moglie Xenia colpita da un tumore, preferisce dedicarsi sempre più allo studio. Il 20 marzo 1977 muore a Civitavecchia, ed il suo archivio, che conta oltre duemila buste, sessantatremila pezzi e milleottocentoquarantatre voci, diventerà il “Fondo Emilio Sereni”conservato presso la biblioteca dell’Istituto Cervi.

Figura 9 Storia del paesaggio agrario La piantata padana in un dipinto di Aldo Borgonzoni

STORIA DEL PAESAGGIO AGRARIO ITALIANO L’opera viene pubblicata per la prima volta 1961. Nonostante le peripezie editoriali ed i tagli strutturali essa si pone subito come un elemento di rottura e di grande innovazione per la disciplina in Italia. Storia del paesaggio agrario italiano è fortemente connotata dalla conoscenza della personalità e dell’opera di Marc Bloch18. Anche per Sereni il paesaggio agrario è da studiarsi in modo interdisciplinare in quanto esso concerne gli aspetti materiali della vita rurale, l’evoluzione economica, tecnologica e sociale può essere compreso attraverso studi di tipo linguistico, archeologico, artistico e letterario.

18 Nato a Lione il 6 luglio 1886, anche Marc Bloch è, come Sereni, di origini ebraiche. Insegna storia medioevale all'Università di Strasburgo e successivamente storia economica alla Sorbona di Parigi. Durante il periodo di governo filonazista viene espulso dalla Sorbona a causa delle sue origini ebraiche. Impegnatosi nella Resistenza, viene arrestato dalla Gestapo e fucilato nel 1944. Nel 1929 fonda, in collaborazione con Lucien Febvre, la famosa rivista Annales d'histoire économique et sociale che introduce nuove metodologie di indagine storica che mirano alla definizione di una “storia globale”, fatta cioè non solo da strutture politico-militari ma anche geografiche, sociologiche economiche e sociali. Con questa metodologia Bloch appronta negli anni tra le due guerre le sue opere più famose: I re taumaturghi (1924), La società feudale (1939-1940) e soprattutto I caratteri originari della storia rurale francese (1930). Il suo ultimo saggio, Apologia della storia o mestiere dello storico, viene pubblicato postumo nel 1949 da Febvre. MARISTELLA STORTI Marc Bloch (1886-1944). Il viaggio verso la conoscenza dei caratteri originali del paesaggio e del mestiere di storico in Quaderni della Rivista, n° 1, volume 3- settembre/dicembre 2004.

Page 37: Q2 2005 Volume Tre

33

Nell’incipit del testo, riecheggiando una definizione di paesaggio agrario maturata nella geografia rurale degli anni cinquanta,19 Sereni enuncia sia la sintesi di tutto il suo pensiero scientifico sia la finalità della sua opera: “il paesaggio agrario significa … quella forma che l’uomo , nel corso ed ai fini delle sue attività produttive agricole, coscientemente e sistematicamente imprime al paesaggio naturale”20. Sereni si colloca dunque in quel filone culturale che in Italia è rappresentato dall’opera di G. P. Marsh, Man and Nature21, e che tende a spiegare le forme fisiche del paesaggio basandosi sulla contrapposizione, appunto, tra uomo e natura, tra “equilibrio ecologico primigenio” ed “azione modificatrice umana”. Tale dicotomia, pur nella sua arbitrarietà di voler collocare l’uomo al di sopra della natura, è accettabile e comprensibile ed ha trovato e trova vasto riscontro sia tra i paesaggisti che tra gli ecologisti. Sono però gli avverbi “coscientemente e sistematicamente” che rischiano di escludere da queste dinamiche tutta una serie di azioni spesso né coscienti né sistematiche che però il paesaggio lo hanno cambiato comunque. L’uso di questa specifica non sorprende però nel quadro generale della personalità e della formazione culturale dell’autore, il quale nel corso della propria vita ha sempre teso ad evitare posizioni chiaroscurali, preferendo affrontare ogni posizione politica, religiosa, personale o culturale abbracciandola in toto, convinto che ingiustizie, soprusi o errori della storia fossero destinati ad essere cancellati dall’azione positiva dell’impegno umano consapevole. Una delle più significative definizioni dell’idea storia che muove il pensiero diEmilio Sereni è quella contenuta nella prefazione all’edizione italiana dell’opera giovanile di Max Weber, Storia Agraria Romana, in cui egli ravvisava un’impostazione di tipo marxista, strutturalista ed attenta soprattutto agli aspetti economici, da lui condivisa22. Per Sereni i successivi studi di storia agraria romana restano invece menomati da una “artificiosa separazione tra “storia dell’agricoltura” e “storia agraria”… non che, beninteso, non sia ammissibile e proficua una specializzazione, quale è quella che induce gli storici dell’agricoltura a concentrare il loro interesse sullo studio delle tecniche e dei sistemi e più in generale delle “forze produttrici” agricole; e gli storici agrari a porre l’accento invece sui “rapporti di produzione agrari”. Tutto ciò è utile senza dubbio e persino necessario, purché non si dimentichi mai che la storia è una; e che determinate forze produttive agricole, in particolare, non possono mai operare all’infuori di determinati rapporti di produzione”.23 La storia del paesaggio agrario, partendo dal 500 a.C., epoca della colonizzazione greca, segue l’evoluzione dei territori agricoli italiani fino ai giorni nostri. Concettualmente l’opera si presenta come distinta in due parti separate, che hanno sortito risultati differenti. La prima parte, quella specificatamente storica, è la più completa e riuscita delle due. Questa si basa, come già accennato, su di un apparato informativo costituito da fonti tra le più disparate ed analizza i sistemi agricoli e impianti territoriali antichi. Si delinea così, a partire dalle radici più remote passando attraverso innovazioni tecniche e sociali il quadro complessivo della situazione italiana. L’affresco, pur a grandi linee, dell’Italia antica restituisce pluralità di situazioni e peculiarità locali, supportate da una scelta d’immagini che sono al contempo fonte per lo studio e esplicazione dei ragionamenti effettuati. “Il territorio che Sereni ci consegna nel suo vasto affresco plurisecolare è in realtà la storia del suolo agricolo molecolarmente plasmato e modellato dal lavoro contadino, dalle tecniche di coltivazione, dalle forme delle piantagioni, dai modelli di impresa, dalle dimensioni della proprietà, dai rapporti di produzione fra le varie figure gravanti sulla terra. L’ambito di trasformazioni di cui ci ha dato conto, prima di altri, questo grande studioso è in realtà solo

19 Ibidem, pagina 98. 20 EMILIO SERENI, Storia del paesaggio agrario, Laterza, Bari 1961, pagina 29. 21 GEORGE PERKINS MARSH, Man and Nature; or phisical geography as modified by human action 1864 22 DIEGO MORENO, OSVALDO RAGGIO, op. cit. 23 EMILIO SERENI, Premessa a MAX WEBER, Storia Agraria Romana, Il Saggiatore, Milano 1967, pagina XVII

Page 38: Q2 2005 Volume Tre

34

un geniale capitolo della storia dell’agricoltura italiana. È una vicenda che germina dalla cultura storiografica annalistica di metà novecento e dal contesto originale dell’Italia della seconda metà di quel secolo. Com’è noto, in quegli anni l’agricoltura e il mondo contadino sono al centro degli interessi della vita nazionale. Le grandi lotte contadine nelle aree latifondistiche del Sud, le vertenze nazionali dei mezzadri, i conflitti bracciantili nelle aziende capitalistiche padane, la riforma agraria del 1950, sono eventi che fanno epoca nella storia del Paese e che lasceranno una impronta politica e culturale profonda, destinata a ispirare le ricerche di più generazioni di studiosi e a fare della storia agraria italiana un capitolo senza dubbio importante della storiografia europea contemporanea.”24 Ma è nell’avvicinarsi ai giorni nostri, che l’opera tende a perdere in freschezza. Nell’ultimo capitolo, il panorama agrario dell’Italia contemporanea, la penna dello storico lascia il posto a quella del politico, e la ricchezza di quantificazioni numeriche, di certezze statistiche, non risulta convincente come le deduzioni e le intuizioni dei capitoli precedenti. Le numerose situazioni locali, il panorama particolareggiato di mille paesaggi si aggregano fino a distillarsi nei tre più evidenti sistemi riconoscibili nel nostro paese: grandi estensioni latifondistiche nel Mezzogiorno, residui mezzadrili nell’Italia Centrale, le grandi affittanze capitalistiche nella pianura padana. Le illustrazioni di quest’ultimo capitolo sono prevalentemente di tipo artistico, con funzione evocativa e non più interpretativa. Si tratta certamente di una parte aggiunta ad un lavoro già completato in precedenza, che con il suo salto di scala sembra essere la metafora della vita stessa dell’autore: un uomo che ha saputo fare scelte assolute e mai comode, che ha messo il proprio impegno e il proprio ingegno per la ricerca di uno stato sociale più giusto, che dopo anni di opposizione e di sogni utopici si trova perso davanti una realtà fatta di burocrazia e di illusioni che cadono. BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE DEGLI SCRITTI DI EMILIO SERENI25 1930 Rapporto sui fatti di Martina Franca, “Lo Stato operaio” n. 5-6, 1930, pp. 347-354. Sulle cause della crisi agraria, “Lo Stato operaio”, n. 5-6, 1930, pp. 333-337. Il capitale finanziario in Italia, “Lo Stato operaio”, n. 7, 1930, pp. 419-434, n. 8, 1930, pp. 498-512 (firmato Vittorio Agreste). 1931 Elementi per lo studio della questione agraria in Italia, “Lo Stato operaio”, n. 3-4, 1931, pp. 205-220, n. 5, 1931, pp. 261-268, n. 6, 1931, pp. 342-351. Sul carattere della crisi italiana, “Lo Stato operaio”, n. 6, 1931, pp. 319-332, n. 7- 8, 1931, pp. 418-427, n. 10-11, 1931, pp. 519-528. 1936 Le condizioni e le difficoltà della campagna militare italiana in Abissinia, “Lo Stato operaio”, n. 1, 1936, pp. 63-76. Nota sulla situazione economica in Italia, “Lo Stato operaio”, n. 3, 1936, pp. 211-218. La terra d'Italia ai contadini italiani, “Lo Stato operaio”, n. 6, 1936, pp. 399-407.

24 PIERO BEVILACQUA, Sulla impopolarità della storia del territorio in Italia in Natura e società : studi in memoria di Augusto Placanica; a cura di Piero Bevilacqua e Pietro Tino.Roma, Meridiana libri Donzelli, 2005. 25 GIUSEPPE AVOLIO Emilio Sereni. Ortodossia politica e genialità scientifica. Roma, Agra Editrice, 1999

Page 39: Q2 2005 Volume Tre

35

L'agriculture et la politique de guerre. Rapport du Dr. Emile Sereni, in: Conférence agraire internationale, Bruxelles, 4-5 septembre 1936. Le monde agraire et la paix, ou la paix sera paysanne ou il n'y aura pas de paix, Paris, Editions agraires internationales, s.d. pp. 53-69. L'agricoltura e la politica di guerra, “Lo Stato operaio”, n. 11, 1936, pp. 778-787. 1937 I contadini e gli ammassi, “l'Unità” n. 5, 1937, p. 6. 1938 La politica degli ammassi, “Lo Stato operaio”, 1938, n. 1, pp. 10- 11. I contadini e gli ammassi, “Lo Stato operaio”, n. 3, 1938, pp. 50-5 1. Napoli, “Lo Stato operaio”, n. 8-9, 1938, pp. 142-143, n. 10, 1938, pp. 166-167, n. 11, 1938, pp. 190-192. L'alimentazione dei contadini, “Lo Stato operaio”, n. 14-15, 1938, pp. 232-233. Napoli, Parigi, Edizioni di Cultura sociale, 1938. 1939 L'aristocrazia terriera, “Lo Stato operaio”, n. 5, 1939, pp. 104-106, n. 6, 1939, pp. 130-131, n. 7, 1939, pp. 156-157, n. 9, 1939, pp. 210-21l, n. 10, 1939, pp. 236-237. Note sull'autarchia, “Lo Stato operaio”, n. 7, 1939, pp. 161-162. Note sull'autarchia, “Lo Stato operaio”, n. 9, 1939, pp. 212-213, n. 10, 1939, pp. 233-235, n. 11, 1939, pp. 254-255, n. 12, 1939, pp. 279-281. Tommaso Campanella (nel trecentesimo anniversario della sua morte), “La voce degli italiani” 28 maggio 1939, p. 2. 1941 Il bilancio fallimentare dello stato fascista e l'aggressione contro l'URSS, “Lettere di Spartaco” n. 30, 1941, pp. 14-18, n. 31, 1941, pp. 19-22. 1942 La crisi del Partito fascista, “Lettere di Spartaco” n. 36, 1942, pp. 7-11. 1944 La classe operaia classe di governo, “La nostra lotta”, 15 settembre 1944, n. 15, pp. 3-5. 1945 Eugenio Curiel Un patriota, un compagno, un capo della gioventù nuova, “La nostra lotta”, 10 aprile 1945, n. 7, pp. 17-19. Interventi al primo Convegno dei CLN regionali dell'Alta Italia, in: Verso il governo di popolo, I Convegno dei CLN regionali dell'Alta Italia, 6- 7 giugno 1945, Milano, CLNAI, 1945, pp. 25-30, 6465,73-74. Intervento di Sereni al Convegno economico del PCI, in: Ricostruire. Resoconto del Convegno economico del PCI (Roma, 21-23 agosto 1945), Roma, Società editrice “L'Unità”, 1945, pp. 45-49, 115-125. La formazione del mercato nazionale, “Società”, n. 3, 1945, pp. 119-149. Le classi agricole e lo Stato nella politica della Destra, I, “Società”, n. 4, 1945, pp. 92-124. CLN. Il Comitato di liberazione nazionale della Lombardia al lavoro nella cospirazione, nell'insurrezione, nella ricostruzione, Milano, Percas, 1945. 1946 Le classi agricole e lo Stato nella politica della destra, II, “Società”, n. 5, 1946, pp. 160-201. Napoli, “Società”, n. 7-8, 1946, pp. 703-725. La questione agraria nella rinascita nazionale italiana, Torino, Einaudi, 1946.

Page 40: Q2 2005 Volume Tre

36

1947 Il capitalismo nelle campagne (1860-1900), Torino, Einaudi, 1947. Interventi al Convegno per le trasformazioni fondiarie nel Mezzogiorno e nelle isole, Napoli 26-28 ottobre 1946, Roma, Reda, 1947, pp. 109-121 e pp. 135-136. 1948 Gramsci e la scienza d'avanguardia, “Società”, n. 1, 1948, pp. 3-30. La tecnica e i tecnici nel rinnovamento agricolo del Mezzogiorno, “L'Italia agricola”, n. 7-8, 1948, pp. 448-456. Il Mezzogiorno all'opposizione. Dal taccuino di un Ministro in congedo, Torino, Einaudi, 1948. Popolo e poesia di popolo in Italia attorno al '48, in: Il 1848. Raccolta di saggi e testimonianze, “Quaderni di Rinascita”, n. 1, 1948, pp. 109-123. 1949 Il Congresso mondiale dei partigiani della pace, “Il Quaderno dell'attivista”, n. 3, 1949, pp. 3-5. Scienza, marxismo cultura, Milano, Edizioni sociali, 1949. 1950 Verso il Congresso della pace, “Nuova Terra”, n. 19, 1° ottobre 1950, p. l. Attualità del Giusti: la cultura toscana del '48 e il significato storico della mezzadria, in: Il 1848-1849. Conferenze fiorentine di C. Barbagallo, L. Russo, L Pizzetti, A. Levi, R. Bacchelli, A.C. Jemolo, D. Cantimori, E. Sereni, Firenze, Sansoni, 1950, pp. 21-48. 1953 Il sistema agricolo del debbio nella Liguria antica, “Memorie dell'Accademia Lunigianese di scienze, lettere ed arti Giovanni Capellini”, 1953, pp. 11-29. 1954 La comunità rurale e i suoi confini nella Liguria antica, “Rivista di studi liguri”, n. 1, 1954, pp. 42. 1955 Estratto dal discorso all'Assemblea mondiale della pace di Helsinki, 22-29 giugno 1955, in: Coopération et action des forces pacifiques (extraits des discours), Assemblée Mondiale de la paix, Helsinki, 22-29 juin 1955, Conseil Mondiale de la Paix, pp. 3-4. Grieco e la piccola borghesia meridionale, “Cronache meridionali”, n. 12, 1955, pp. 844-864. La liberazione dei servi della gleba. Una iniziativa per la celebrazione del settecentesimo anniversario a Bologna, “Riforma agraria”, n. Il -12, 1955, pp. 17-18. Problemi del sostrato nelle strutture agrarie italiane, “Rivista Italiana di Economia Demografia e Statistica”, n. 3-4, 1955, pp. 19-27. Piero de' Crescenzi e la tecnica d'avanguardia, “Riforma Agraria” n. 11 -12, 1955, pp. 23-24. Comunità rurali nell'Italia antica, Roma Edizioni Rinascita, 1955. La politica economica del CLN nelle zone liberate dai partigiani, “Rinascita”, n. 4, 1955, pp. 260-267. 1956 Paganino Bonafede e l'agronomia popolare in Italia nell'età dei Comuni, “Riforma Agraria” n. 1, 19-56, pp. 16-17. La lotta per la conquista della terra nel Mezzogiorno, “Cronache meridionali”, n.1-2, 1956, pp. 4-22.

Page 41: Q2 2005 Volume Tre

37

Michelangelo Tanaglia (1437-1512) e l'agronomia dell'umanesimo in Toscana, “Riforma Agraria”, n. 2, 1956, pp. 58-59. Vecchio e nuovo nelle campagne italiane, Roma, Editori Riuniti, 1956. Luigi Alamanni (1495-1556) e il bel paesaggio agrario in Toscana, “Riforma Agraria”, n. 3, 1956, pp. 109-112. “Il Podere” del Tansillo e l'agronomia del Rinascimento nel regno di Napoli, “Riforma Agraria”, n. 4, 1956, pp. 152-155. Agostino Gallo (1499-1570) e la scuola agronomica bresciana, “Riforma Agraria” n. 5, 1956, pp. 192-195. Il “Ricordo d'agricoltura” del Tarello (1567) gli inizi della rivoluzione agronomica nella Padana, “Riforma Agraria”, n, 6, 1950, pp. 247-250. 1957 Carlo Pisacane e i contadini meridionali, “Cronache meridionali”. n. 10, 1957, pp. 664-676. Nella vita e nella lotta di Giuseppe Di Vittorio bracciante pugliese, dirigente operaio e capo comunista si riflettono cinquant'anni di vita italiana, “Rinascita”, n. 10-11, 1957, pp. 541-556. Note per una storia del paesaggio agrario emiliano, in: Le campagne emiliane nell'epoca moderna, Milano, Feltrinelli, 1957. 1958 Note di storia dell'alimentazione nel Mezzogiorno. I napoletani da “mangiafoglia” a “mangiamaccheroni”, I II III, “Cronache meridionali”, n. 4, 1958, pp. 272-295, n. 5, 1958, pp. 351-377, n. 4, 1958, pp. 398-422. 1887: Il nodo della politica granaria, I, “Politica ed economia”, n. 12, 1958, pp. 11-23. Spunti della rivoluzione agronomica europea nella scuola bresciana cinquecentesca di Agostino Gallo e di Camillo Tarello in: Miscellanea in onore di Roberto Cessi, Roma, Edizioni di storia e di letteratura, 1958, pp. 113-128. 1959 1887: Il nodo della politica granaria, II III IV V e VI, “Politica ed economia”, n. 1, 1959, p. 10-17, n. 2, 1959, p. 15-24, n.3, 1959, p. 15-24.80, n. 4, 1959, p. 18-29, n. 6, 1959, p. 12-23. Note sui canti tradizionali del popolo umbro, I, “Cronache umbre”, n. 2, 1959, pp. 19-51, n. 4-6,1959, pp. 15-40. 1960 Pensiero agronomico e forze produttive agricole in Emilia nell'età del Risorgimento: Filippo Re, “Bollettino del Museo del Risorgimento”, parte seconda, 1960, pp. 893-933. Mercato nazionale e accumulazione capitalistica nell'unità italiana, in: Problemi dell'Unità d'Italia. Atti del II Convegno di studi gramsciani, Roma, Editori Riuniti, 1960, pp. 583-654. 1961 Due linee di politica agraria, Roma, Editori Riuniti, 1961. Storia del paesaggio agrario italiano, Bari, Laterza 1961. 1962 Intervento di Emilio Sereni, in: Tendenze del capitalismo italiano. Atti del Convegno economico dell'Istituto Gramsci, vol. II, Roma, 1962, pp. 379-388. La politica agraria del regime fascista, in: Fascismo e antifascismo (1918-1936). Lezioni e testimonianze, Milano, Feltrinelli, 1962, pp. 393-394.

Page 42: Q2 2005 Volume Tre

38

1963 Relazione e conclusioni al I Congresso nazionale dell'Alleanza nazionale dei contadini, in: Atti del I Congresso dell'Alleanza nazionale dei contadini. Roma, 1-2-3 febbraio 1962, Roma, pp. 15-55, 250-265. 1964 Intervento al Seminario su “Famiglia e società nell'analisi marxista”. Atti del seminario organizzato dall'Istituto Antonio Gramsci nei giorni 14-15 maggio 1964, “Quaderni di Critica marxista”, n. 1, 1964, pp. 157-166 Per la storia delle più antiche tecniche e della nomenclatura della vite e del vino in Italia, “Atti e Memorie dell'Accademia Toscana di scienze e lettere La Colombaria”, 1964, pp. 75-204. Il rapporto Saraceno e la programmazione democratica nelle campagne, Roma, 1964. 1965 Relazione introduttiva al Secondo Congresso dell'Alleanza nazionale dei contadini, in: Atti del Secondo Congresso dell'Alleanza nazionale dei contadini, Roma, 16-18 marzo 1965, pp. 10-43. La strategia di Lin Piao: città e campagna, “Rinascita”, n. 42, 1965, pp. 9-12. Intervento al Convegno dell'Alleanza nazionale dei contadini e della Lega dei comuni democratici sulle strutture civili nelle campagne, in: Condizioni e rinnovamento delle strutture civili nelle campagne, Roma, 4 ottobre 1965, Roma, La Litografica, 1965, pp. 229-250. 1966 Strutture e “blocco storico”. Città e campagne nell'Italia preromana, “Critica marxista”, n. 3, 1966, pp. 73-100, Antifascismo, democrazia, socialismo nella rivoluzione italiana: analisi strutturale e metodologia storica, “Critica marxista”, n. 5-6, 1966, pp. 1-37. Capitalismo e mercato nazionale in Italia, Roma, Editori Riuniti, 1966. 1967 Impresa coltivatrice e problemi agrari del socialismo, “Critica marxista”, ti. 1, 1967, pp. 78-105. La circolazione etnica e culturale nella steppa eurasiatica. Le tecniche e la nomenclatura del cavallo, “Studi storici”, n. 3, 1967, pp. 455-533. Prefazione a Max Weber, Storia agraria romana dal punto di vista del diritto pubblico e privato, Milano, Il Saggiatore, 1967, pp. 9-21. 1968 Dall'analisi strutturale e informazionale alla ricerca operativa: la teoria dei grafi topologici e le scienze dell'uomo, Critica marxista”, n. 1, 1968, pp. 3-25. Informazione democrazia socialismo, “Critica marxista”, n. 4-5, 3 1968, pp. 3-25. Agricoltura e sviluppo del capitalismo I problemi teorici e metodologici, “Studi storici”, n. 3-4, 1968, pp. 477-530. Rivoluzione scientifico-tecnologica e movimento studentesco, “Critica marxista”, n. 6, 1968, pp. 3-23. 1969 Problemi nuovi della rivoluzione, della democrazia e del potere, “Critica marxista”, n. 2, 1969, pp. 3-16. Discorso di apertura al III Congresso dell'Alleanza nazionale dei contadini, in: Atti del III Congresso dell'Alleanza nazionale dei contadini. Roma, 17-18-19 aprile 1969, Roma, Stabilimento grafico editoriale Fratelli Spada, pp. 5-10.

Page 43: Q2 2005 Volume Tre

39

Strategia e contenuto di classe della “rivoluzione culturale” nel “Rapporto” di Lin Piao “Critica marxista”, n. 3, 1969, pp. 1-25. 1970 Città e campagna nell'Italia preromana, in: Atti del Convegno di Studi sulla città etrusca e italica preromana, Imola, Galeati, 1970, pp. 109-128. Da Marx a Lenin: la categoria di “formazione economico-sociale”, in: Lenin teorico e dirigente rivoluzionario, “Quaderni di Critica marxista”, n. 4, 1970, pp. 29-79. I problemi teorici e metodologici, relazione, intervento e conclusioni al Convegno sii “Ricerca storica e ricerca economica. Agricoltura e sviluppo del capitalismo”, in: Agricoltura e sviluppo del capitalismo. Atti del Convegno organizzato dall'Istituto Gramsci, Roma, 20-22 aprile, Roma, Editori Riuniti, 1970, pp. 15-58, 603-604, 682-686. 1971 La scelta del 1943-45, “Rinascita”, n. 5, 1971, pp. 23-24. Antifascismo, riforme, programmazione, “Critica marxista”, n. 2, 1971, pp. 3-15. Il Mezzogiorno e lo Stato. Ancora su antifascismo e riforme, “Critica marxista”, n. 3, 1971, pp. 3-12. L'agricoltura toscana e la mezzadria nel regime fascista e l'opera di Arrigo Serpieri, in: La Toscana nel regime fascista. Convegno di studi, Firenze, 23-24 maggio 1969, Firenze, Olschki, 1971, pp. 311-337, 464-469. Introduzione al volume: Coste d'Italia, dal Tevere a Ventimiglia, Roma, Eni, 1971, pp. 4-7. 1972 Politica e ideologia nella Resistenza: un'introduzione inedita del gennaio-marzo 1945 ai “Principi del leninismo”, “Critica marxista”, n. 2-3, 1972, pp. 207-260. Fascismo, capitale finanziario e capitalismo monopolistico di Stato nelle analisi dei comunisti italiani, “Critica marxista”, n.5, 1972, pp. 17-46. Agricoltura e mondo rurale, in: Storia d'Italia, vol. I, I caratteri originali, Torino, Einaudi, 1972, pp. 135-252. Blocco storico e iniziativa politica nell'elaborazione gramsciana e nella politica del PCI, in: Cinquantesimo del PCI: Storia politica e organizzazione nella lotta dei comunisti italiani per un nuovo blocco storico, “Quaderni di Critica marxista”, n. 5,1972, pp. 3-20. 1973 Interventi al IV Congresso dell'Alleanza nazionale dei contadini, in: Alleanza nazionale dei contadini. Atti del IV Congresso, Firenze, 14-17 febbraio 1973, 1973, pp. 145-151, pp. 294-297. I Cervi: contadini e rivoluzione antifascista in Italia, in: Nel nome della libertà, Roma, Editrice cooperativa, 1973, pp. 19-26. La formazione economico-sociale schiavistica, “Studi storici”, n. 4, 1973, pp. 731-759. 1974 Resistenza contadina e democrazia in Italia. Introduzione a Renato Nicolai, I fratelli Cervi, Roma, Editori Riuniti, 1974, pp. 1-5. Rivoluzione antifascista e rivoluzione socialista in Italia, in: Il 1943: le origini della rivoluzione antifascista, “Quaderni di Critica marxista”, n. 7, 1974, pp. 48-70. 1975 Sources éffinographiques et méthode statistique dans l'histoiriographie des Lombards en Italie, in: Ethnologie et histoire, Paris, 1975, pp. 561-571.

Page 44: Q2 2005 Volume Tre

40

1981 Terra nuova e buoi rossi, e altri scritti per una storia dell'agricoltura europea, Torino, Einaudi, 1981. (postumo) RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI AVOLIO GIUSEPPE,Emilio Sereni : ortodossia politica e genialità scientifica : un contributo importante per una moderna agricoltura, AGRA, Roma 1999. BEVILACQUA PIERO, Sulla impopolarità della storia del territorio in Italia in Natura e società̀ : studi in memoria di Augusto Placanica; a cura di Piero Bevilacqua e Pietro Tino.Roma, Meridiana libri Donzelli, 2005. BLOCH MARC, Apologia della storia o Mestiere di storico, trad. it. di G. Gouthier, Einaudi, Torino 1998 (Apologie pour l’histoire ou Métier d’historien, Armand Colin Éditeur, Paris 1993). BLOCH MARC, I caratteri originali della storia rurale francese, trad. it. di C. Ginzburg, Einaudi, Torino 1973 (Les caractères originaux de l’histoire rurale française, Armand Colin, Parigi 1952). BIDUSSA DAVID, MERIGGI MARIA GRAZIA, (a cura di), Politica e utopia : lettere 1926-1943 / Enzo Sereni, Emilio Sereni , La nuova Italia, Milano 2000. BIGNARDI AGOSTINO, Ricordo di Emilio Sereni, in “Rivista di Storia dell'Agricoltura”, Accademia Economico-Agraria dei Georgofili, XVII, 1977, 2 Firenze. CAMPI FRANCO, TERRENATO NICOLA, Introduzione all’archeologia dei paesaggi, Carocci, Roma 1994. CERESA CHIARA, Nascita del capitalismo in Italia. Note sulla borghesia italiana durante il Risorgimento e i primi decenni dello Stato unitario, in“Rivista virtuale di analisi e critica materialista” http://www.intermarx.com/home.htm. FAVATI GIUSEPPE, (ristampa a cura di): MARINA SERENI I giorni della nostra vita, La nuova Italia, Firenze 1976. GIARDINA ANDREA, Emilio Sereni e le aporie della storia d'Italia. Pagine autobiografiche di Emilio Sereni, in “Studi Storici”37, 1996, 3, Roma pagine 693 - 727 DI SIENA PIERO, Emilio Sereni e la questione agraria, in “Studi Storici”19, 1978, 3, Roma pagine 509 -545 MARSH GEORGE PERKINS, Man and Nature; or phisical geography as modified by human action 1864 MORENO DIEGO, RAGGIO OSVALDO, Dalla storia del paesaggio agrario alla storia rurale. L'irrinunciabile eredità scientifica di Emilio Sereni, In “Quaderni storici” 1999 n° 100 anno XXIV, 1, Bologna, pagine 89-104. MUSELLA LUIGI, La scuola di Agricoltura di Portici nell’esperienza di Manlio Rossi Doria e di Emilio Sereni in Studi Storici anno XXX, n° 3, 1989, pagine 701-715. PARTITO COMUNISTA ITALIANO -SEZIONE CENTRALE STAMPA E PROPAGANDA, Sereni, Pubblicazione a cura della Commissione propaganda del PCI, Roma 1946. PRESTIPINO GIUSEPPE (a cura di), Bibliografia degli scritti di Emilio Sereni - Istituto Alcide Cervi , L. S. Olschki, Firenze 1987. QUAINI MASSIMO, “Su questa terra non seminata”. Limiti e attualità del concetto di paesaggio nella pratica storiografica di Emilio Sereni, in Ambienti e storie della Liguria. Studi in ricordo di Emilio Sereni, “Annali dell’ Istituto “Alcide Cervi”, 19 (1997), Dedalo, Bari 2000. GIACOMO SCARPELLI, La biologia italiana del Novecento, saggio on line su Aperture, rivista semestrale di cultura generale e filosofica, http://digilander.libero.it/aperture/. SERENI ADA, I clandestini del mare. L'emigrazione ebraica in Terra d'Israele dal 1945 al 1948, Mursia editore, collana GUM Testimonianze, 1994.

Page 45: Q2 2005 Volume Tre

41

SERENI EMILIO, Attualità del Giusti: la cultura toscana del '48 e il significato storico della mezzadria, in: Il 1848-1849. Conferenze fiorentine di C. Barbagallo, L. Russo, L Pizzetti, A. Levi, R. Bacchelli, A.C. Jemolo, D. Cantimori, E. Sereni, Firenze, Sansoni, 1950. SERENI EMILIO, Capitalismo e mercato nazionale in Italia,Editori riuniti, Roma 1974. SERENI EMILIO, Comunità rurali nell'Italia anticaRinascita, Roma 1955. SERENI EMILIO, Discorso di Sereni Emilio per la sua elezione alla Costituente; dattiloscritto conservato presso la Fondazione Istituto Gramsci di Roma, archivio Sereni Emilio. SERENI EMILIO, Il Mezzogiorno all'opposizione : dal taccuino di un ministro in congedo, Einaudi, Torino 1948. SERENI EMILIO, La colonizzazione agricola ebraica in Palestina, tesi di laurea, anno accademico 1926-1927, pagina 5, in Segreteria della Facoltà di Agraria dell’Università degli Studi di Napoli, fascicolo Sereni SERENI EMILIO, La questione agraria nella rinascita nazionale italiana, Einaudi, Torino 1975. SERENI EMILIO, Pagine autobiografiche di Sereni Emilio in “Studi Storici” anno 37, 1996 n°3. Da un documento dattiloscritto conservato presso l’Archivio Fondo Sereni con l’intestazione “Esame di abilitazione alla libera docenza in: Storia dell’agricoltura. Sessione 1959. Curriculum del candidato dott. Sereni Emilio.” SERENI EMILIO, Premessa a MAX WEBER, Storia Agraria Romana, Il Saggiatore, Milano 1967, pagina XVII SERENI EMILIO, Scheda per le elezioni nel collegio senatoriale di Salerno; dattiloscritto conservato presso la Fondazione Istituto Gramsci di Roma, archivio Sereni Emilio. SERENI EMILIO, Storia del paesaggio agrario, Laterza, Bari 1961. SERENI EMILIO, Terra nuova e buoi rossi e altri saggi per una storia dell'agricoltura europea, G. Einaudi, Torino 1981. SERENI EMILIO, Vecchio e nuovo nelle campagne italiane , Editori riuniti, Roma 1956. EMILIO.SERENI, Storia del paesaggio agrario italiano, Laterza, Bari 1961. SERENI MARINA, I giorni della nostra vita, Roma, Edizioni di Cultura Sociale 1956. STORTI MARISTELLA, Marc Bloch (1886-1944). Il viaggio verso la conoscenza dei caratteri originali del paesaggio e del mestiere di storico in Quaderni della Rivista, n° 1, volume 3- settembre/dicembre 2004. VILLANI PASQUALE, Società rurale e ceti dirigenti, XVIII - XX secolo : pagine di storia e storiografia, Morano, Napoli, 1989. ZANGHERI RENATO, VILLANI PASQUALE, ESPOSITO ATTILIO, Emilio Sereni e la questione agraria in Italia, Editori riuniti, Roma 1981. RIFERIMENTI INTERNET http://digilander.libero.it/aperture/ www.antoniogramsci.com/angelamolteni/ politica_resistenza.htm www.cronologia.it/storia/a1945a.htm www.linneo.it/ www.istitutodatini.it/ www.fratellicervi.it www.fratellicervi.it/Database/museocervi/museocervi.nsf/pagine/B163D483756D77B7C1256F1F00306299?OpenDocument www.gramsci.it/ www.pasolini.net/contributi_dariobottos.htm www.criticamarxista.net/ RIFERIMENTI ICONOGRAFICI

Page 46: Q2 2005 Volume Tre

42

Figura 1 SERENI EMILIO, Storia del paesaggio agrario, Laterza, Bari 1961, pagina 101. Figura 2 ibidem pagina 180. Figura 3 ibidem pagina 320. Figura 4 SERENI EMILIO, Comunità rurali nell'Italia antica, Rinascita, Roma 1955, pagina 367. Figura 5 ibidem pagina 206. Figura 6 ibidem pagina 14. Figura 7 ibidem pagina 223. Figura 8 ibidem pagina 15. Figura 9 SERENI EMILIO, Storia del paesaggio agrario, Laterza, Bari 1961, pagina 453. Testo acquisito dalla redazione della rivista nel mese di settembre 2005. © Copyright dell’autore. Ne è consentito l’uso purché sia correttamente citata la fonte.

Page 47: Q2 2005 Volume Tre

43

Quaderni della Ri-Vista Ricerche per la progettazione del paesaggio ISSN 1824-3541 Università degli Studi di Firenze Dottorato di ricerca in Progettazione Paesistica http://www.unifi.it/drprogettazionepaesistica/

Firenze University Press anno 2 - numero 2 - volume 3 - settembre-dicembre 2005 sezione: Temi del paesaggio pagg. 43-54

IL PAESAGGIO COME SISTEMA DI RETI Emanuela Morelli* Summary If we consider the landscape as a living organism we can assert that it is permeated from a delicate interlace of various nets in which flow the energies useful to determine its works and its state of health. These linear elements form generally reticular organisations that overlaying one to the others. These specific energies are diversified and have various roles (therefore like in the human body the blood system differ from that nervous one), and flow and insist on the same spatial zone. Key-words Landscape, networks, signs, lines. Abstract Se consideriamo il paesaggio come un organismo vivente possiamo affermare che esso è permeato da un delicato intreccio di reti diverse in cui fluiscono le energie utili a determinare il suo funzionamento e il suo stato di salute. Questi elementi lineari formano generalmente delle organizzazioni reticolari che inevitabilmente vanno a sovrapporsi ad altri sistemi esistenti. Queste specifiche energie sono diversificate tra loro e hanno ruoli diversi (così come nel corpo umano il sistema sanguigno differisce da quello nervoso), e fluiscono ed insistono soventemente sul medesimo ambito spaziale. Parole chiave Paesaggio, reti, segni, linee. * Dottore di Ricerca in Progettazione paesistica, Università di Firenze.

Page 48: Q2 2005 Volume Tre

44

PAESAGGIO COME INTRECCIO DI RETI

Figura 1. Foto aerea del fiume Arno e del centro urbano di Incisa in Val d’Arno (Fi). Fiumi e corsi d’acqua minori, sentieri, strade, autostrade, linee ferroviarie, insediamenti urbani, trame dei campi agricoli, ciglioni e terrazzamenti, lingue di vegetazione, siepi: un insieme complesso e articolato di reti che permea il paesaggio di vita. Così come stabilito dal Codice dei beni culturali e del paesaggio1 la fase in cui vengono definiti gli ambiti omogenei di paesaggio si presenta come momento di sintesi del processo analitico e, grazie alla loro natura dinamica e alla loro diversa caratterizzazione, permette di 1 “Capo III, Pianificazione paesaggistica, Articolo 143:Piano paesaggistico 1. In base alle caratteristiche naturali e storiche ed in relazione al livello di rilevanza e integrità dei valori paesaggistici, il piano ripartisce il territorio in ambiti omogenei, da quelli di elevato pregio paesaggistico fino a quelli significativamente compromessi o degradati. [3] La sua elaborazione si articola nelle seguenti fasi: a) ricognizione dell’intero territorio, attraverso l’analisi delle caratteristiche storiche, naturali, estetiche e delle loro interrelazioni e la conseguente definizione dei valori paesaggistici da tutelare, recuperare, riqualificare e valorizzare; b) analisi delle dinamiche di trasformazione del territorio attraverso l’individuazione dei fattori di rischio e degli elementi di vulnerabilità del paesaggio, la comparazione con gli altri atti di programmazione, di pianificazione e di difesa del suolo; c) individuazione degli ambiti paesaggistici e dei relativi obiettivi di qualità paesaggistica” Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 recante il "Codice dei beni culturali e del paesaggio" ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137, detto Codice Urbani.

Page 49: Q2 2005 Volume Tre

45

individuare quei soggetti che si pongono come intermediazione tra i fattori ecologici-ambientali e naturalistici, storico-insediativi e architettonici e visuali-percettivi e dell’aspetto sensibile2, utili alla diagnosi e alla definizione degli obiettivi di qualità paesaggistica. Uno dei principali scopi della lettura analitico-diagnostica di un paesaggio è comprenderne il suo funzionamento. Il paesaggio difatti, qualunque sia la definizione a cui si fa riferimento, ha natura complessa e di sistema, composto da una molteplicità di elementi relazionati tra loro, inteso come significato e significante, ovvero “la cosa e allo stesso tempo l’immagine della cosa”3. Esso è soggetto dinamico e in continua evoluzione ed è in virtù di questa sua vivacità e del modo con cui si trasforma, muta o si evolve, che si determina la vita stessa del paesaggio e quindi la sua integrità4. Gli ambiti omogenei, chiamati anche unità di paesaggio o ambientali, ambiti paesaggistici, eccetera, sono rappresentati da areali che comprendono la porzione di un determinato paesaggio, ma data la natura sempre più complessa delle opere dell’uomo, e le varie scale a cui il paesaggio fa riferimento, essi da soli non sono sufficienti a dare una completa lettura dell’oggetto di studio in quanto occorre comprendere le dinamiche, le connessioni e le interdipendenze reciproche tra le diverse unità e tra queste con l’esterno. Se consideriamo quindi il paesaggio come un organismo vivente possiamo affermare che esso è permeato da un delicato intreccio di reti diverse in cui fluiscono le energie utili a determinare il suo funzionamento e il suo stato di salute. Questi elementi lineari formano generalmente delle organizzazioni reticolari che inevitabilmente vanno a sovrapporsi ad altri sistemi esistenti. Queste specifiche energie sono diversificate tra loro e hanno ruoli diversi (così come nel corpo umano il sistema sanguigno differisce da quello nervoso), ma fluiscono ed insistono soventemente sul medesimo ambito spaziale. Appare evidente quindi l’utilità della lettura di questi sistemi in quanto ogni rete deve svolgere efficacemente il proprio ruolo senza essere interrotta: la progettazione e la pianificazione devono cioè valutare l’intero sistema di sistemi in quanto è la qualità dell’insieme dei sistemi che permette di garantirne la corretta efficacia. LE PRINCIPALI CATEGORIE DI RETI Il concetto di rete è rappresentabile da insieme di linee, ideali o reali, che si incontrano e si incrociano. I sistemi a rete strutturanti il paesaggio possono essere articolati secondo tre categorie principali: le reti storico-culturali, ecologico-ambientali, e percettive-visive. Tuttavia è bene tenere presente che in molte situazioni un elemento non è esclusivo di una categoria, ma piuttosto tende a svolgere un ruolo maggiormente determinante sotto alcuni di questi aspetti. Anche i confini tra le reti possono essere indefiniti dato che una siepe può essere letta come una testimonianza storico-culturale, un elemento ecologico, o un valore estetico-percettivo: tra i sistemi a rete quindi esistono punti di contatto e di reciproca influenza. L’esigenza di leggere il paesaggio come un insieme, o come insieme di reti, è stata evidenziata con il lavoro di Frederick Law Olmsted che per primo ha compreso l’importanza del concepire il verde, portatore di natura, come un insieme di spazi aperti (parchi) tra loro connessi (ad esempio parkways). In questo modo vengono legate assieme più funzioni quali ad esempio la continuità della natura, la fruizione e movimento delle persone, il godimento e

2 Così come definito dalla Carta di Napoli, ottobre 1999, Prima Conferenza Nazionale per il Paesaggio. 3 FRANCO FARINELLI, L’arguzia del paesaggio, “Casabella”, 575-576, 1991, pag. 12. Vedi anche EMANUELA MORELLI, Il Paesaggio, in GIULIO G. RIZZO, Leggere i luoghi, Aracne Editrice, Roma 2004. 4 Un paesaggio può essere reputato sostanzialmente integro laddove i processi di trasformazione in atto si fondano sulle matrici paesistiche esistenti, sono cioè coerenti ai processi di funzionamento che lo costituiscono, ai processi di stratificazione avvenuti precedentemente che hanno rinnovato, potenziato e/o reinterpretato di volta in volta le componenti presenti rendendole attuali. Un paesaggio che sta perdendo la sua integrità indica perciò la presenza di processi che alterano la sua struttura profonda: una trasformazione che non comporta evoluzione ma piuttosto un cambiamento radicale, quasi sempre purtroppo distruttivo in quanto non rispettosa di ciò che costituisce la matrice fondativa di quel determinato paesaggio, omettendo così i suoi caratteri identificativi, morfologici, storici, naturali.

Page 50: Q2 2005 Volume Tre

46

la percezione degli scenari, grazie alla presenza di strade e percorsi oltre un efficace e sostanzioso equipaggiamento vegetale. Il progetto che forse meglio rappresenta questo concetto è l’Emerald Necklace di Boston, dove un reticolo continuo di spazi verdi struttura e regola lo sviluppo della città nella sua regione. Il termine rete è stato acquisito in seguito per scopi diversi: il modello matematico della rete5 è ad esempio uno dei concetti fondamentali che stanno alla base del trasporto6. Lo stesso modello è stato però impiegato in altre discipline in particolare nell’ecologia che da sempre ha fatto uso di modelli matematici7: “Network theory has been a major contribution to the ideas of ecosystem science that arose from systems analysis approach. Applying theoretical concepts from electrical circuitry to the network of food webs (and trophic links) takes advantage of the large body of mathematics underlying network design. This theory describes five key features of ecosystems as network: homogenization, amplification, quantitative indirectness, synergy, and utilization efficiency. These concepts incorporate energy flows, inputs, tight linkages, indirect effects, connections, and cost-benefit efficiency. The concepts may be useful in analyzing and understanding road systems relative to ecosystems. Network theory also underlies hierarchical approaches to ecosystems, whereby interactions can be viewed at various levels within a food (trophic) chain or biological system.”8 Si può quindi affermare che il modello di rete è dotato di numerosi requisiti che soddisfano molte delle esigenze attinenti alla progettazione paesistica:

1. ha un ruolo di struttura; 2. ha un disegno sistemico; 3. esprime gerarchia tra i soggetti; 4. è capace di individuare, quantificare e valutare i flussi tra i soggetti; 5. in esso è intrinseco la dinamicità e il movimento.

Il concetto di rete, che soventemente ha affascinato gli studiosi delle politiche territoriali viene recentemente ripresentato in modo diffuso all’interno di numerosi strumenti urbanistici come indagini ma anche come veri e propri piani alle varie scale (da quelli a scala regionale a quelli locali) al fine di soddisfare l’esigenza di avere informazioni e gestire le dinamiche che hanno a che fare con le leggi della Natura e con gli aspetti relazionati alla percezione e alla fruizione della popolazione del paesaggio, integrando così i dati dei singoli ambiti paesaggistici. Le reti storico-insediative Le reti storico-culturali sono le matrici del paesaggio antropico e si rafforzano o perdono la loro intensità secondo le modalità con cui avvengono i processi di stratificazione. Esse assolvono alla funzione di organizzazione, connessione, orientamento e sviluppo delle comunità lì insediate e sono rappresentative di una precisa identità culturale, sia nello spazio che nel tempo.

5 “Basic Concepts: Direct linkages, Indirect Linkages. Connectivity = attribute of a network; measures the effort (minimum number of links) needed to reach all nodes from all other nodes Accessibility = attribute of a node: measures the effort needed to reach all or certain nodes from a specific node. Path: a set of consecutive links involving different nodes Forward and Backward Linkages, Directed Graphs (flows move in one direction only) "Fundamental Circuits": are circuits (= closed paths) which do not contain other circuits (such "loops" create redundancies in the network)” (Analysis of Interdependence Structures: Networks, in http://faculty.washington.edu/krumme/207/networks.html) 6 Vedi EDWARD J. TAAFFE, HOWARD L. GAUTHIER, AND MORTON E. O'KELLY, Geography of Transportation (1973), Prentice Hall, NJ, 1996. 7 Vedi STUART L. PIMM, J. H. LAWTON, J. E. COHEN, Food web patterns and their consequences, “Nature”, 350, 1991, pagg. 669-674, e RICHARD T.T. FORMAN, M.D CANTWELL, Landscape graphs: ecological modeling with graph theory to detect configurations common to diverse landscapes, “Landscape Ecology”, 8, 1993, pagg. 239-255 8 RICHARD T. T. FORMAN, DANIEL SPERLING, ET AL., Network theory for road ecology. Road Ecology. Science and solutions, Island press, Washington, Covelo, London 2003, pag. 294.

Page 51: Q2 2005 Volume Tre

47

I beni storico-culturali fino a pochi decenni fa sono stati considerati quasi sempre come oggetti puntuali, testimonianze isolate, per lo più sottoposte a vincolo dalle leggi ex 1089 e ex 1497 del 1939. La riscoperta in Italia del paesaggio in quanto valore e risorsa, in particolare nella sua ricchezza storico-culturale, ha portato non solo la ricerca ma anche numerosi piani alle varie scale, ad ampliare il punto di vista e a indagare il bene culturale non più come episodio ma piuttosto come sistema diffuso connesso da percorsi, trame e tessuti. Le reti storico-cultuali in breve rappresentano l’organizzazione spaziale ben precisa di una determinata comunità dove ad una prima lettura dominano i caratteri della viabilità e dell’urbanizzazione ma nella quale emergono anche altri caratteri fondamentali come la scansione dei campi delle aree agricole, l’equipaggiamento a sostegno della viabilità (siepi, alberature, tabernacoli, eccetera…), le opere idraulico-agrarie, le canalizzazioni, le centuriazioni, le modalità con cui sono state organizzate le bonifiche, eccetera… La trama dell’appoderamento si diversifica ad esempio da regione a regione, o ancora a secondo del periodo storico, e della proprietà e della gestione del bene. La lettura a sistema di queste informazioni permette di identificare una precisa comunità e molte delle sue peculiarità sociali. Difatti essa in genere disegna il modo con cui l’uomo si insedia all’interno di un determinato territorio, e quindi il suo modo di relazionarsi alla natura e al suo modo di vivere. Le reti ecologiche Le reti ecologiche (ecology network), nate nei paesi dell’est europeo e sviluppatesi nella disciplina dell’ecologia del paesaggio, in particolare nei paesi di lingua inglese, sono vere e proprie infrastrutture naturali: “Le reti ecologiche che si configurano quali infrastrutture naturali e ambientali aventi lo scopo di connettere e mettere in relazione gli ambiti territoriali con spiccate caratteristiche di naturalità con gli ambienti relitti e dispersi, si estendono a tutto il territorio, superando la contrapposizione tra “città” e “campagna” (o ambiente naturale/ambiente artificiale)”9. Proposte dal mondo scientifico attorno agli anni Ottanta del secolo scorso in virtù dei fenomeni di frammentazione sempre più rilevanti all’interno del paesaggio, sono state riconosciute e trasportate all’interno di molti strumenti per le politiche territoriali. Oggi divenute veri e propri piani per la conservazione della biodiversità le reti ecologiche si sono collocate tra i principali obiettivi di numerose regioni, province e comuni. La Direttiva “Habitat” 92/43/CEE adottata dalla Comunità Europea rappresenta forse la principale normativa a livello internazionale per incentivare una politica a favore della continuità ecologica ed ha come obiettivo la realizzazione della Rete Natura 2000, cioè la costituzione di una rete europea composta da aree di alto valore naturalistico al fine di mantenere habitat per le specie in via di estinzione10. Le reti ecologiche sono costituite da elementi vegetali e sono strutturate secondo:

a. nodi: cioè aree dove è concentrata la presenza delle specie minacciate, per lo più aree protette ma anche ambienti naturali e seminaturali quali boschi, aree umide eccetera;

b. aree cuscinetto: cioè fasce che proteggono i nodi da attività di disturbo; c. corridoi: elementi lineari di vegetazione o corsi d’acqua che favoriscono lo

spostamento delle specie tra i nodi;

9 MARCO DINETTI, Infrastrutture ecologiche, Il Verde Editoriale, Milano 2000, pag. 15. 10 Tale rete incorpora anche gli indirizzi e le applicazioni della Direttiva “Uccelli” 79/409/CEE che, a sua volta, si propone la tutela dei siti di importanza per l’avifauna. L’introduzione esplicita del modello di rete ecologica nell’ambito delle politiche internazionali risale al 1993, quando nel corso della conferenza internazionale Conservig Europe’s Natural Heritage: Towards a European Ecological Network di Maastricht, venne presentata l’iniziativa ECONET. L’obiettivo proposto fu quello di mantenere e migliorare la conservazione degli habitat naturali e semi-naturali, partendo dalla frammentazione del territorio. (APAT, Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici in http://www.apat.gov.it/site/it-IT/Temi/Natura_e_Biodiversit%C3%A0/Natura_e_paesaggio/Pianificazione_e_gestione/Reti_ecologiche/).

Page 52: Q2 2005 Volume Tre

48

d. aree d’appoggio (stepping stones): piccole aree che non hanno la possibilità di svolgere la funzione di nodo ma che sono in grado di offrire rifugio o nutrimento temporaneo alle specie minacciate.

Le reti ecologiche possono essere chiamate anche reti ambientali. Per taluni il significato appare il medesimo per altri la rete ambientale detiene un ruolo di più ampio respiro in quanto la rete ecologica sembra mirare principalmente ad evitare il rischio di insularizzazione degli habitat delle specie minacciate, mentre la rete ambientale ha il compito di incentivare le relazioni naturali con il fine di migliorare, grazie alla loro presenza, la qualità ambientale presente a prescindere dal luogo in cui essa viene realizzata, conferendo così una certa stabilità ecosistemica in particolare all’interno di quei paesaggi antropici fortemente mineralizzati e quindi degradati dal punto di vista ecologico. Le reti delle relazioni percettive e visive. Le reti delle relazioni percettive e visive sono forse quelle di più difficile identificazione e rappresentazione in quanto sono costituite non tanto da oggetti ma piuttosto da vuoti che innescano rapporti di intervisibilità e di identificazioni tra e con i luoghi. Utili a rafforzare anche la struttura delle precedenti reti, esse stabiliscono principalmente una relazione percettiva tra la comunità e il paesaggio. Ad esempio un viale alberato che da un determinato luogo conduce ad una emergenza (villa, chiesa, eccetera…) non è solo una strada equipaggiata ma è un vuoto racchiuso da elementi vegetali che permette a quella determinata organizzazione spaziale (villa, viale, sistemazione agraria circostante, eccetera…) di essere percepita, riconosciuta, identificata in quanto tale e quindi anche fruita. La realizzazione di un oggetto invasivo in questo vuoto, come ad esempio una infrastruttura posta trasversalmente al senso longitudinale del viale ostruendone così la vista completa dell’insieme, rompe un legame tra luogo e persone distruggendo o alterando memorie e processi di identificazione con esso. Lo stesso processo può essere riferito anche alla percezione di elementi naturali, quali ad esempio la vista delle cime di rilievi montani, laghi e corsi d’acqua, eccetera.. Gli studi sulla visualità11 appaiono già più facilmente rappresentabili rispetto a quelli sulla percezione in quanto maggiormente oggettivi: un crinale è per tutti un limite visivo così come una infrastruttura su di un rilevato funge da barriera rispetto a ciò che è situato dall’altra parte. L’analisi percettiva necessita invece di un’approfondita ricerca sociologica ed è spesso caratterizzata dalla dissonanza tra insider e outsider12. Comunque lo studio relativo alla percezione dello spazio vitale è significativo in quanto utile a misurare il grado di qualità dell’ambiente in cui vive una comunità e il suo attaccamento e riconoscimento al territorio. È difatti nei vuoti, negli spazi aperti che tanti pezzetti si trasformano in un tessuto in quanto avvengono quelle relazioni utili allo scambio e alla conoscenza: lo spazio aperto è forse più di tutti il principale responsabile per il conferimento del senso di comunità di un determinato luogo. Per questi motivi l’indagine non può essere esplicata attraverso la singola considerazione dello stato di conservazione di una risorsa, naturale o culturale, ma necessita di una lettura a sistema, o più semplicemente a rete.

11 Vedi VALERIO ROMANI, Il paesaggio dell’Alto Garda Bresciano. Studio per un piano paesistico, Comunità Montana Alto Garda Bresciano, Grafo Edizioni, 1988. 12 Sono molte le categorie tra insider e outsider, in genere si differenziano tra chi vive quotidianamente il paesaggio e chi ne fruisce per fini turistici (o comunque lo percorre di passaggio). La ricerca ad esempio che indaga tra infrastrutture viarie e paesaggio definisce queste come un rapporto tra sedentario e nomade ovvero tra chi abita in un paesaggio attraversato da una grande infrastruttura e chi invece fruisce dell’infrastruttura esplicitando così esigenze diverse. Sull’argomento vedi: ALAIN ROGER, Paysage et environnement: pour une théorie de la dissociation, CHRISTIAN LEYRIT, BERNARD LASSUS., Autoroute et paysages, ed. du Demi-cercle, Paris 1994, pagg. 15 – 36, e LUCA DAVICO, Il contributo della sociologia, in CLAUDIA CASSATELLA, ROBERTO GAMBINO, Il territorio: conoscenza e rappresentazione, Celid, Torino 2005, pagg. 81 – 88.

Page 53: Q2 2005 Volume Tre

49

Figura 2. Reticolo viario sulla dorsale appenninica, dal versante emiliano lungo la via Emilia fino alla conurbazione toscana Firenze-Prato-Pistoia. Figura 3. la percezione di un fruitore “esperto”, in movimento lungo una strada a scorrimento veloce: grafico d’approccio dei segni percepiti dalla tangenziale bolognese. GLI STRUMENTI DI LETTURA DELLE RETI Il modo più istintivo e diretto di leggere e rappresentare le reti del paesaggio è quello di disegnare un insieme di linee o di elementi aventi forme lineari. La linea in quanto segno contiene già in sé la caratteristica del movimento13, proprietà indispensabile per poter rappresentare la dinamicità del paesaggio e dei suoi flussi e quindi anche la funzione che le reti devono svolgere, cioè quella di connessione e di relazione. I metodi di rappresentazione variano in base al ruolo che la rete svolge: per quelle ecologiche si forniscono elaborati dove sono censiti e rappresentati gli elementi naturali a sistema, mentre per quanto riguarda le reti storico-insediative vengono elaborate cartografie che contengono informazioni riguardo ad esempio alla scansione dei campi e alla viabilità. Ogni elaborato comunque ha il fine di esprimere e definire il disegno e la geometria della rete, la sua maglia, ovvero la sua organizzazione spaziale, cercando di comprenderne il grado di qualità e individuare i punti di frattura, o le barriere che ne interrompono i flussi, in modo poi da poter ritrovare nella fase propositiva un ricollegamento. Le reti ecologiche Negli elaborati inerenti lo studio delle reti ecologiche vengono censiti i principali siti naturali e semi-naturali quali principalmente fasce di bosco, vegetazione arbustiva e corsi d’acqua. Il fine è quello di individuare delle indicazioni e delle linee guida a sostegno delle politiche territoriali riguardo ai temi della conservazione, della biodiversità e della naturalità diffusa, migliorando così l’efficienza del tessuto in chiave ecologico-paesaggistica. Per progettare comunque una rete ecologica occorrono numerose e complesse informazioni di diversa natura (in particolare anche sulla geometria stessa della rete e alle specie animale a cui la rete stessa si riferisce). In aggiunta agli elementi precedentemente detti (nodi, aree cuscinetto, corridoi e stepping stone) nella fase progettuale ne viene aggiunto un quinto: le aree di restauro ambientale (restoration areas), utili a garantire quella connettività perduta a causa delle lacune strutturali individuate. 13 Ricordiamo difatti che la linea è originata da un punto in movimento, vedi WASSILLY KANDINSKY, Punto, linea, superficie, (1926), Adelphi edizioni, Milano, 1990.

Page 54: Q2 2005 Volume Tre

50

Figura 4. Rete ecologica nazionale della Polonia (1998).

Figura 5. IBA, Emscher Park (Germania). La rete ecologica è strutturata secondo il fiume Emscher e i sette corridoi ad esso trasversali. Lo studio semiologico del paesaggio Generalmente nello studio storico di un paesaggio viene condotta una ricerca storica comprensiva di elaborati cartografici al fine di rappresentare la stratificazione del paesaggio e di individuarne le matrici più antiche. Si ricercano quindi catasti e cartografie storiche, cabrei o documenti simili riguardanti singole proprietà che aiutano a ricostruire le antiche organizzazioni spaziali in modo da comprendere cosa oggi sia rimasto e come queste hanno influito nei processi di trasformazione conseguenti. L’approccio semiologico è un’altra interessante modalità con cui leggere i mutamenti e i processi di stratificazione che avvengono in un determinato paesaggio inglobando in essa la lettura storica e contemporanea, in relazione agli aspetti antropico-culturali ma anche naturali. La semiologia difatti qui “si occupa di quegli elementi significativi che recano una

Page 55: Q2 2005 Volume Tre

51

determinata e misurabile quantità di informazioni (i segni), e che, sotto un altro profilo, possono dirsi le «forme disegnate» sul territorio da eventi naturali o antropici”14. L’uomo ad esempio imprimendo una forma al suo modo di operare sulla natura lascia un proprio segno, in quanto ogni azione antropica ha natura semiologica. Le carte della semiologia (naturale e antropica) sono redatte grazie ad un processo gestaltico che permette di individuare, selezionare e interpretare una quantità di segni necessari a svelare la struttura portante del paesaggio, ovvero a riconoscere quel sistema in cui scorrono i flussi di energie, le forze, che organizza il tessuto. Ecco allora che tipologie diverse di linee15 indicano i crinali e la morfologia, siepi e confini dei boschi, orli terrazzati, reticoli viari, anche quelli minori, così come i corsi d’acqua, la trama dei campi agricoli. Le carte della semiologia, che ci permettono di leggere più tipologie di rete assieme16 sono quindi molto utili in quanto ci aiutano a comprendere l’organizzazione spaziale di un paesaggio, se vi sono presenti punti di discontinuità, le parti di struttura più antiche (le matrici o le permanenze), la gerarchia tra i vari componenti, i punti di conflitto tra le varie reti (ad esempio tra la trama dei campi e una grande infrastruttura), eccetera… Questi elaborati sono inoltre spesso associati agli studi sulla visualità e sulla percezione in quanto utili a comprendere quali siano le relazioni percettive-visive fondamentali del paesaggio indagato grazie proprio al segno e alla modalità cosa-come e quanto vedo ad esso relazionata17.

Figure 6, 7. Semiologia antropica di Conegliano Veneto. Si leggono la scansione dei campi, il modo con cui sono coltivate le singole particelle, la gerarchia della viabilità, il modo con cui si diffonde l’urbanizzazione, eccetera… 14 VALERIO ROMANI, Il paesaggio dell’Alto Garda bresciano, Grafo Edizioni, Brescia 1988, pag. 88. 15 Linee possono avere segno più o meno marcato per spessore o anche per tipologia di linea continua o tratteggiata evidenziando così la loro forza. 16 “Una struttura è un modello costruito secondo certe operazioni semplificatrici che mi permettono di uniformare fenomeni diversi da un solo punto di vista […] La struttura è un modo, che elaboro, per poter nominare in modo omogeneo cose diverse. UMBERTO ECO, La struttura assente. La ricerca semiotica e il metodo strutturale (1968), Bompiani 2002, pagg. 45-48. 17 Vedi VALERIO ROMANI, op. cit., 1988.

Page 56: Q2 2005 Volume Tre

52

Figura 8. Semiologia antropica di Scandicci (Firenze) redatta per la Variante delle zone agricole. PAESAGGIO COME INSIEME DI RETI Abbiamo detto che se consideriamo il paesaggio come un organismo vivente conseguentemente i sistemi a rete assumono un ruolo importante all’interno del suo funzionamento poiché in ognuno di essi fluiscono quelle energie specifiche e diversificate tra loro atte a dare vita al paesaggio. È però utile sottolineare che non solo deve essere garantito il funzionamento di ognuna di esse ma anche le reciproche relazioni in quanto è la qualità dell’insieme dei sistemi che permette di assicurarne la corretta efficacia. In questo contesto possono determinarsi due ordini di problemi: Il primo riguarda il fatto che tutte le reti insistono nel medesimo ambito spaziale e che quindi una progettazione che non valuti l’intero sistema di sistemi può portare la prevaricazione di una sulle altre, rompendo così inevitabilmente flussi vitali per il paesaggio e generando frammentazione e disgregazione. Vi è quindi la necessità di creare reti antropiche permeabili agli altri flussi trasversali; Il secondo risiede nel fatto che alcune delle reti antropiche, come quelle relative alle grandi infrastrutture di trasporto, anche se utili a risolvere determinati problemi, sono comunque fonti di inquinamento e di disturbo per le componenti biologiche presenti e quindi influenzano negativamente il funzionamento ecologico complessivo. Prendendo in considerazione che un singolo oggetto può appartenere contemporaneamente a più reti, secondo le finalità con cui è stato concepito (una striscia di verde può avere funzioni ecologiche e al tempo stesso ricreative e sociali, una strada può essere utile alla mobilità ma parallelamente può instaurare relazioni visive e culturali tra i vari ambiti spaziali), ogni rete deve essere pensata in termini progettuali congiunta, piuttosto che indipendente, alle altre. In questo modo di operare viene garantita da una parte l’efficienza di ogni singola rete, e dall’altra dell’intero sistema complessivo di reti dando così stabilità al paesaggio: mentre una rete antropica, ad esempio una singola infrastruttura viaria, assicura una serie di funzioni proprie, il lavoro dell’insieme delle reti naturali può essere indirizzato anche verso l’assorbimento e la depurazione degli effetti negativi generati al suo interno (esempio sostanze inquinanti, disturbo, eccetera… causate e propagate dalla stessa strada).

Page 57: Q2 2005 Volume Tre

53

Figura n. 9. Semiologia naturale di Genova redatta per una valutazione di impatto ambientale di una infrastruttura viaria.

Figura 10. Semiologia naturale di Conegliano Veneto Figura 11. Visualità assoluta di Conegliano Veneto.

Page 58: Q2 2005 Volume Tre

54

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI ANGRILLI MASSIMO, Reti verdi urbane, Quaderni del Dipartimento di Architettura e Urbanistica di Pescara, 13, Palombi editore, Roma 2002. CASSATELLA CLAUDIA, GAMBINO ROBERTO, Il territorio: conoscenza e rappresentazione, Celid, Torino 2005. DINETTI MARCO, Infrastrutture ecologiche, Il Verde Editoriale, Milano 2000. ECO UMBERTO, La struttura assente. La ricerca semiotica e il metodo strutturale (1968), Bompiani 2002. FORMAN RICHARD T. T., SPERLING DANIEL ET AL., Road Ecology. Science and solutions, Island press, Washington, Covelo, London 2003. KANDINSKY WASSILLY, Punto, linea, superficie, (1926), Adelphi edizioni, Milano, 1990. LEYRIT CHRISTIAN, LASSUS BERNARD, Autoroute et paysages, edition du Demi-cercle, Paris 1994. MORELLI EMANUELA, Disegnare linee nel paesaggio. Metodologie di progettazione paesistica delle grandi infrastrutture viarie, Firenze University Press, Firenze 2005. RIZZO GIULIO G., Leggere i luoghi, Aracne Editrice, Roma 2004. ROMANI VALERIO, Il paesaggio dell’Alto Garda bresciano, Grafo Edizioni, Brescia 1988. ROMANO BERNARDINO, Dalla continuità ambientale alle reti ecologiche, “Parchi”, 27, 1999, in http://www.parks.it/federparchi/rivista/P27/58.html TAAFFE EDWARD J., GAUTHIER HOWARD L., MORTON E. O' KELLY, Geography of Transportation (1973), Prentice Hall, NJ, 1996. SITI INTERNET Analysis of Interdependence Structures: Networks, in http://faculty.washington.edu/krumme/207/networks.html APAT, Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici, Pianificazione e gestione: Reti ecologiche in http://www.apat.gov.it//. RIFERIMENTI ICONOGRAFICI Figura 1: Gentilmente concessa Arch. Renzo Fazzini, Comune Incisa in Val d’Arno. Figure 2, 3: BALDESCHI PAOLO ET AL., Paesaggio e struttura urbana, Renana Assicurazioni, Bologna 1970, qui tratte da CASSATELLA CLAUDIA, GAMBINO ROBERTO, Il territorio: conoscenza e rappresentazione, Celid, Torino 2005. Figura 4: Conseil d’Europe, Le Réseau écologique paneuropéen, in http://www.coe.int/T/F/Coop%E9ration_culturelle/Environnement/Nature_et_diversit%E9_biologique/R%E9seaux_%E9cologiques/REP/ Figura 5. Die Internationale Bauausstellungen, Emscher Park 1989-1999, in http://www.iba.nrw.de/iba/daten.htm Figure 6-7, 10-11. MORELLI EMANUELA, Semiologia naturale e seminaturale; Semiologia antropica; Visualità assoluta, in GALAN GIANCARLO ET AL., Frammentazione paesistica: permanenze e interferenze nel territorio di Conegliano, Regione del Veneto, Venezia 2005, pagg. 47-49. Figure 8-9. MORELLI EMANUELA. Testo acquisito nel mese di marzo 2006. © Copyright dell’autore. Ne è consentito l’uso purché sia correttamente citata la fonte.

Page 59: Q2 2005 Volume Tre

55

Quaderni della Ri-Vista Ricerche per la progettazione del paesaggio ISSN 1824-3541 Università degli Studi di Firenze Dottorato di ricerca in Progettazione Paesistica http://www.unifi.it/drprogettazionepaesistica/

Firenze University Press anno 2 - numero 2 - volume 3 - settembre-dicembre 2005 sezione: Piani e progetti pagg. 55-66

IL TEVERE: UN PONTE TRA PIANIFICAZIONE PAESISTICA E PROGETTAZIONE URBANA Alessandra Cazzola* Summary The Tevere and Rome had a relationship from the city’s birth to the end of the ‘800; during the XX century a morphological and functionally distance increases between city and river, and now they are two elements separate. The work describe some recent experiences that have the objective of integrate the river in the city’s dynamics of riqualification and transformation. Key-words Rome, Tevere, Open space planning, Natural spaces / Artificial spaces, relationship city-river. Abstract Il Tevere e Roma hanno formato un binomio indissolubile di reciproca necessità dalle origini della città sino alla fine dell’Ottocento; nel corso del XX secolo, invece, una distanza - misurabile in termini morfologici, funzionali e d’uso - si è via via accumulata tra città e fiume fino a farne due elementi quasi separati. Il saggio descrive alcune esperienze di pianificazione recenti che hanno avuto l’obiettivo di coinvolgere nuovamente il fiume nelle dinamiche della città. Parole chiave Roma, Progettazione degli spazi aperti, Spazi naturali / Spazi artificiali, rapporto città-fiume. * Dottore di Ricerca in Progettazione paesistica, Università di Firenze; Specialista in Pianificazione Urbanistica, Università di Roma “La Sapienza”.

Page 60: Q2 2005 Volume Tre

56

Il fiume Tevere nasce sul Monte Fumaiolo (oltre i millequattrocento metri) in Emilia Romagna e scorre attraverso la Toscana, l’Umbria e il Lazio per sfociare infine nel mare dopo Roma, tra gli insediamenti di Ostia e Fiumicino. Lungo il corso del fiume il paesaggio varia in relazione al diverso conformarsi del fondovalle rispetto ai sistemi collinari e montuosi attraversati: sono presenti - senza soluzioni di continuità e con una rilevanza di volta in volta diversa - aree montuose, collinari, boschive, vallive, aree urbanizzate. Si rintracciano beni di valore storico-archeologico, talora diffusi talora concentrati. Il quadro delle risorse è particolarmente ricco ed articolato: le valli tiberine in Umbria e nel Lazio, le aree naturalistiche lungo la dorsale appenninica, il sistema insediativo urbano di Perugia e quello metropolitano di Roma, oltre alle realtà di Sansepolcro, Città di Castello, Marciano, Todi, Civita Castellana, Monterotondo. La porzione di fiume oggetto del presente contributo è quella che si rapporta con l’area metropolitana. Il Tevere e Roma formano, infatti, un binomio di particolare interesse, di reciproca necessità dalle origini della città1 fino alla fine dell’Ottocento, periodo della formazione della prima area industriale che aveva il suo cuore nel porto di Ripa grande, epicentro di tutte le principali vie di comunicazione. Intorno ad esso sorsero i due insediamenti manifatturieri di Testaccio e Ostiense.

Figura 1. La grande ansa del Tevere con Ponte Milvio e la via Flaminia vista da Monte Mario, in un dipinto del XVII secolo di Jan Frans van Bloemen. Dall’inizio del XX secolo si è assistito invece ad una crescita del degrado e ad un progressivo abbandono del suo fiume da parte della città: ciò è avvenuto in primo luogo a seguito della costruzione dei muraglioni sabaudi2, che hanno portato città e fiume su due livelli diversi; in secondo luogo a causa dello spostamento dei centri di interesse sociale ed

1 Il fiume è stato storicamente coinvolto nel mito della fondazione di Roma: ne è la ragion d’essere primaria, ma ben presto ne è anche divenuto la rappresentazione simbolica per antonomasia. 2 I muraglioni lungo il Tevere furono costruiti a seguito della grande piena del dicembre del 1870, che sommerse buona parte della città da poco diventata capitale del Regno d’Italia.

Page 61: Q2 2005 Volume Tre

57

economico, che hanno progressivamente messo in second’ordine le attività fluviali fino a farle scomparire definitivamente. Scrive Ludovico Quaroni nel 1969: “il fiume Tevere è incassato oggi, quasi invisibile, fra due alte muraglie nell’interno della città. Esso ha giocato un ruolo determinante, forse, per decidere all’origine la posizione e il destino di Roma, ma le inondazioni frequenti e disastrose hanno finito per farlo considerare quasi una calamità”3. La distanza che nel corso dell’ultimo secolo si è accumulata tra Roma e il Tevere è oggi oggetto di numerosi studi e, soprattutto, di alcune esperienze di pianificazione in atto, che hanno l’obiettivo di coinvolgere nuovamente il fiume nelle dinamiche della città. IL CONTESTO TERRITORIALE Nonostante l’alto grado di antropizzazione del Tevere nel suo tratto metropolitano compreso tra Castel Giubileo e la foce, il fiume a Roma è ancora interessato dalla presenza di elementi che ne testimoniano la grande vitalità ecologica e l’importanza morfologica nell’intero contesto metropolitano.. Da un punto di vista morfologico, infatti, al sistema vallivo in area romana sono connessi i territori dei rilievi collinari della Marcigliana e di Veio, le zone vulcaniche dell’Appia Antica e dei Colli Albani, i terrazzi alluvionali della Valle dei Casali, nonché l’ampio ambito della piana deltizia, con la zona sabbiosa e argillosa del litorale. In particolare, il tratto di fiume a monte della città corre in una larga valle alluvionale, caratterizzata dalla presenza di formazioni meandriformi che ne modellano il corso e di terrazzi alluvionali che formano veri e propri affacci panoramici sul fiume. La valle è delimitata sulla sponda destra dalle morfologie degli apparati vulcanici Sabatini e sulla sponda sinistra da rilievi montuosi più alti ed aspri. Superata la tratta urbana, poi, il Tevere riprende il suo corso verso il mare lungo la pianura alluvionale delimitata a nord e a sud da strutture argillose e sabbiose, articolandosi in ampi meandri racchiusi in vaste golene. L’ampia pianura alluvionale è delimitata ai margini da rilievi collinari prevalentemente sabbiosi-ghiaiosi o argillosi che sono oggetto sin dai tempi antichi di un’intensa attività estrattiva di materiali per l’edilizia. Nel suo ultimo tratto il fiume scorre nella piana deltizia, caratterizzata storicamente da lagune e paludi e delimitata da terrazze a gradinate poste, la più recente tra i cinque e i quindici metri sul livello del mare, la precedente tra i venticinque e i trentacinque metri. Le rive del fiume presentano una vegetazione che varia notevolmente a seconda della zona attraversata: se infatti è molto ridotta nel tratto più densamente urbanizzato, presenta caratteristiche e concentrazioni di particolare importanza a monte e a valle della città. Nei tratti che si potrebbero definire periurbani, ovvero il tratto del fiume che va da Castel Giubileo alla confluenza con il fiume Aniene e il tratto che scorre tra la zona Ostiense e la foce, si riscontra la presenza tanto di specie arboree legate all’ambiente fluviale e ripariale (ad esempio il salice bianco, il pioppo o l’olmo campestre), quanto di specie erbacee legate al grado di antropizzazione e alterazione ambientale, come quelle che crescono solitamente vicino ai ruderi e ai margini delle aree coltivate (ne sono esempi l’euforbia, l’avena, il sambuco). Nel tratto più urbano (compreso tra ponte Milvio e il ponte dell’Industria), invece, la potenzialità dell’espansione della vegetazione è stata sacrificata dal notevole grado di antropizzazione presente ai margini del fiume. Nella zona più antica, tra ponte Matteotti e ponte Sublicio, il corso d’acqua scorre incanalato tra i muraglioni di travertino alti circa dieci metri; la vegetazione presente è molto scarsa e sulle rive si trovano sporadiche alberature provenienti, nella maggior parte dei casi, dalle alberature stradali presenti sui lungotevere sovrastanti.

3 QUARONI LUDOVICO, Immagine di Roma, Laterza, Bari - Roma 1969, pp. 15-16.

Page 62: Q2 2005 Volume Tre

58

Figure 2 e 3. I muraglioni nel tratto urbano del Tevere, a sinistra, e le sponde del fiume riconquistate dalla vegetazione a nord di Ponte Milvio, a destra. Nei due tratti ponte Milvio - ponte Matteotti e ponte Sublicio - ponte dell’Industria la situazione cambia un po’ rispetto a quella appena descritta, poiché la vegetazione presente è molto più ricca. Essa trova infatti in questi ambiti maggiori spazi per espandersi, in quanto l’alveo del fiume non è incassato tra i muraglioni ed è accompagnato da banchine seminaturali fiancheggiate da argini artificiali alti al massimo quattro metri. In secondo luogo, la presenza di aree utilizzate stabilmente (soprattutto per circoli e attività sportive), la varietà delle strutture di difesa idraulica (argini, cordoli, banchine), la diversa conformazione delle golene fluviali e sistematiche operazioni di eliminazione dei principali fattori di degrado antropico hanno determinato una notevole variabilità nella distribuzione - quantitativa e qualitativa - della vegetazione. A zone dove è più fitta la presenza di vegetazione sia sulla fascia ripariale immediatamente prospiciente il fiume, sia sulle scarpate retrostanti, si alternano, infatti, zone spoglie o caratterizzate dalla presenza di una vegetazione rada. In entrambi i casi, tuttavia, si ritrovano sia le specie proprie dell’ambiente fluviale, sia le specie proprie di ambienti antropizzati e/o degradati. LA PIANIFICAZIONE E PROGRAMMAZIONE IN ATTO Il tema del riavvicinamento della popolazione e dell’insediamento al fiume è stato oggetto recentemente di elaborazioni progettuali che si contraddistinguono da un lato per la tipologia di strumenti utilizzati, dall’altro per la diversità (e complementarietà in molti casi) tra obiettivi e azioni proposte. In primo luogo ci si trova di fronte ad un strumento di pianificazione settoriale particolare con il Piano stralcio (denominato P.S. 5) dell’Autorità di Bacino del Tevere, che si configura come elemento di riferimento per i vari livelli di pianificazione del territorio per ciò che riguarda i temi connessi all’acqua ed alla sua utilizzazione e salvaguardia, ma che nello stesso tempo identifica il reticolo idrografico come struttura di sostegno per il miglioramento della fruizione dei corridoi fluviali in ambito urbano e per la valorizzazione degli ambiti di pregio ambientale. In secondo luogo vi è il caso della pianificazione di tipo paesistico e di salvaguardia ambientale attuata attraverso il Piano di gestione della Riserva del Litorale Romano, che ha come obiettivi la tutela degli equilibri ecologici e della biodiversità, salvaguardando e favorendo la ricostituzione degli habitat naturali e seminaturali e la conservazione del paesaggio nel suo complesso. La Riserva assume contemporaneamente anche la finalità della promozione socio - economica della popolazione, attuata attraverso la riqualificazione del paesaggio agrario e la promozione di attività economiche compatibili (ne sono un esempio l’agriturismo e il turismo culturale, le attività di turismo naturalistico, di informazione, educazione e divulgazione). Infine ha rilievo la programmazione del Nuovo Piano Regolatore di Roma, attuata attraverso l’ambito di programmazione strategica del Tevere che mira a ricomporre in un quadro unico

Page 63: Q2 2005 Volume Tre

59

di riferimento sia gli aspetti che riguardano il coinvolgimento del fiume in questioni di valenza più urbana, sia quelli che riguardano il Tevere nella sua unità di corridoio ecologico principale di una rete ramificata in tutta l’area comunale e metropolitana. Il Piano stralcio dell’Autorità di Bacino del Tevere Il piano stralcio dell’area romana è stato redatto dall’Autorità di Bacino del Tevere e costituisce di fatto uno strumento attuativo delle indicazioni di massima dettate come linee di indirizzo dalla pianificazione generale impostata dall’Autorità stessa con il Piano di Bacino4. L’ambito del P.S. 5 è definito dall’area metropolitana romana che si estende tra le pendici dei Castelli Romani, la valle tiberina fino alle porte di Roma, le pendici del vulcano del lago di Bracciano e arriva al mare con le foci del fiume a Fiumara Grande e al canale di Fiumicino. Il territorio5 si presenta, quindi, come una zona di grande delicatezza sia dal punto di vista sociale (area metropolitana) sia dal punto di vista idraulico (foci del Tevere), e interessa una situazione urbana particolare quale è quella della città di Roma.

Figura 4. L’ambito territoriale interessato dal Piano stralcio PS5. La pianificazione attuata dal piano stralcio si è soffermata in principal modo sui temi legati agli usi del territorio, alle presenze archeologiche ed ambientali, alla presenza delle infrastrutture e di altro tipo di occupazioni del suolo nelle aree golenali, alle condizioni necessarie alla riduzione delle situazioni di rischio idraulico ancora presenti. Tali tematismi sono stati sviluppati su due livelli territoriali specifici:

4 Il Piano di Bacino redatto ai sensi della Legge 183/1989 è stato adottato dall’Autorità di Bacino del Tevere nell’ottobre del 1999 e ha rappresentato una sorta di piano di cornice entro il quale si collocano i vari piani stralcio. 5 Il territorio interessato dal P.S. 5 ha un’estensione di 1.724 kmq, dei quali ben 1.054 rientrano nel Comune di Roma.

Page 64: Q2 2005 Volume Tre

60

- un “ambito vasto”, costituito dal bacino idrografico del Tevere compreso tra i complessi vulcanici dei colli Albani e dei Sabatini, la diga e centrale elettrica di Castel Giubileo e la foce;

- un ambito più ristretto che costituisce una sorta di approfondimento del primo e comprende i “corridoi fluviali” del Tevere e dell’Aniene.

I principali obiettivi perseguiti dal piano per ciò che riguarda l’ambito vasto sono stati: a. la tutela e la riqualificazione del reticolo idrografico principale e secondario - sotto il

profilo quantitativo e qualitativo - inteso come struttura portante del sistema ecologico; b. la verifica della sicurezza idraulica connessa con le attuali situazioni ed opere di difesa e

la definizione di livelli di rischio compatibili connessi con i diversi scenari di intervento ipotizzati dal piano stesso o da altre situazioni pianificatorie in atto;

c. il miglioramento della situazione dell’ambito della foce attualmente oggetto di fenomeni di depauperamento e degrado ambientale come: erosione della costa, inquinamento e salinizzazione della falda, distruzione dei diversi tipi di formazioni vegetali e tipologie di paesaggio storico che ancora sussistono lungo le sponde del fiume;

d. la realizzazione definitiva e la messa a sistema degli interventi relativi alla navigazione, alla portualità e alla percorribilità del fiume, dei suoi argini e delle sue banchine.

Figura 5. Lo schema di Assetto del Corridoio fluviale del Tevere. Contemporaneamente, il progetto di riqualificazione del Corridoio fluviale del Tevere si è posto l’obiettivo complessivo di ottenere una continuità dell’ecosistema del fiume attraverso

Page 65: Q2 2005 Volume Tre

61

la quale qualificare effettivamente l’asta fluviale come corridoio ambientale. In questo approccio progettuale il fiume diventa l’elemento portante del sistema ambientale e idrogeologico del bacino. Parte integrante del progetto sono le aree ancora totalmente o parzialmente libere, che possono assumere molteplici funzioni: di supporto alle azioni di riqualificazione, di compensazione e potenziamento dei fattori ambientali, di recupero o incremento delle prestazioni ecologiche - faunistiche del corridoio fluviale, di facilitazione di deflusso delle piene, di riqualificazione e controllo della qualità delle acque, di delimitazione delle zone urbanizzate e di creazione di spazi per parchi con diverso carattere. Il Piano di gestione della Riserva del Litorale La Riserva Naturale Statale Litorale Romano è stata istituita, ai sensi della legge 394/91, con un Decreto del Ministro dell’Ambiente del 29 marzo 1996 e occupa una superficie complessiva pari a 15.821 ha (8.152 ettari nel Comune di Roma e 7.669 ettari nel Comune di Fiumicino).

Figura 6. L’area della Riserva del Litorale. Il nucleo centrale della Riserva è costituito dal sistema Tevere e aree della bonifica dal ponte del G.R.A. sul Tevere alla foce del fiume (3.600 ha) e dal sistema ambientale formato dalla Pineta di Castel Fusano e dalle pinete-leccete di Procoio (1.552 ha). A sud si trova l’isola del sistema dunale di Capocotta (45 ha), ambientalmente connessa alla Riserva dalla Tenuta Presidenziale di Castel Porziano; a nord del Tevere l’area della Piana del Sole (272 ha)

Page 66: Q2 2005 Volume Tre

62

compresa tra la ferrovia Roma - Genova e l’autostrada per Civitavecchia, ed infine, in contiguità con le aree della Riserva nel Comune di Fiumicino, la grande estensione di Macchiagrande di Galeria (2.684 ha), che rappresenta un terzo dell’intera superficie della Riserva nel territorio romano. Per quanto riguarda il Tevere, il piano di gestione della Riserva individua l’asta fluviale come importante corridoio di continuità biologico-vegetazionale; frammenti della vegetazione tipica del pioppeto-saliceto si rinvengono, infatti, fin nel centro di Roma e tornano a essere sviluppati nell’area nord della città, per ricollegarsi poi al tratto extraurbano del fiume.

Figura 7. Elaborato P1. Livelli di tutela e fruizione: in verde la tutela orientata alla fruizione naturalistica, in giallo la tutela orientata alla salvaguardia del paesaggio agrario e sviluppo delle attività agricole compatibili, in azzurro la tutela orientata alla promozione economica, sociale e del tempo libero. In particolare, l’ambito del fiume è sottoposto a tre regimi di tutela diversi. - Una “tutela orientata alla fruizione naturalistica” per la fascia più vicina al corso d’acqua,

nella quale sono previsti interventi di valorizzazione, tutela, ripristino e recupero ambientale e particolari direttive per la manutenzione idraulica, per la realizzazione di opere idrauliche e di consolidamento dei versanti. I criteri che guidano tali direttive sono di mantenere o ripristinare condizioni di naturalità, armonizzando tale necessità con quella di consentire il deflusso delle acque nell’alveo fluviale, anche in condizioni di piena, e di garantire la difesa delle aree circostanti.

- Una “tutela orientata alla salvaguardia del paesaggio agrario e sviluppo delle attività agricole compatibili” che mira, da un lato, alla conservazione del paesaggio agrario, in particolare delle bonifiche, come elemento costitutivo fondamentale e qualificante la Riserva, e, dall’altro lato, al mantenimento degli usi agricoli, laddove dotati di efficienza produttiva, tendendo a migliorare tale attività con modalità di coltivazione biologica o comunque compatibili con la Riserva.

- Una “tutela orientata alla promozione economica, sociale e del tempo libero” per quelle aree particolarmente antropizzate e degradate - per le quali lo sviluppo di attività economiche, socio-culturali, del tempo libero, costituisce una occasione di recupero e di

Page 67: Q2 2005 Volume Tre

63

valorizzazione - nelle quali sono previsti interventi di miglioramento ambientale e di realizzazione di centri di servizi pubblici; o per quelle aree investite da una consistente pressione antropica, per le quali si propongono attività ricettive-turistiche e del tempo libero, regolando il carico antropico in modo da risultare sostenibile per le capacità dei sistemi ambientali.

Il Nuovo Piano Regolatore Generale Il Nuovo PRG di Roma, adottato nel marzo del 2003 e per il quale si è appena conclusa la fase delle controdeduzioni, individua come supporto alle prescrizioni della zonizzazione i cosiddetti “ambiti strategici”, identificati “percorrendo segni eccellenti di rilievo urbano che attraversano luoghi e fasi storiche, […] che sollecitano la riscoperta, il potenziamento, talvolta la re-invenzione di relazioni funzionali, visive, ecologiche […]”6. Il tracciato sinuoso del Tevere è uno di questi segni, che attraversa da nord a sud l’intero territorio comunale ed è, nonostante tutto, ancora parte integrante e strutturante dell’immagine urbana. Il Piano si pone come obiettivo il recupero di questo ruolo strutturante del fiume, così come la valorizzazione delle diversità che caratterizzano i vari tratti fluviali. L’invaso fluviale viene inquadrato sia nella sua unità di grande ecosistema, sia negli aspetti più propriamente urbanistici e viene considerato, al di là delle differenze riscontrabili lungo il suo corso7, come un unico grande parco ambientale nel quale si susseguono aree dalle caratteristiche di naturalità più o meno accentuata e che si integra - con un propria forte unicità - con la già cospicua dotazione di parchi urbani e di aree verdi presenti nella città. Le principali azioni strategiche ipotizzate dal PRG si sono quindi indirizzate verso diversi campi: - la qualità dell’ambiente, attraverso interventi finalizzati al recupero delle qualità

ecologiche perdute o depauperate (operazioni di controllo dell’inquinamento e degli squilibri bio-idrologici coniugate alla valorizzazione delle possibilità di continuità ambientale offerte dalle connessioni verdi trasversali verso i rilievi orografici presenti anche dentro il tessuto urbano più compatto);

- la mobilità ecosostenibile, con la riscoperta sia di una nuova accessibilità pedonale e ciclabile lungo le sponde del fiume, sia della navigabilità fluviale, in maniera tale da collegare le risorse storico-archeologico presenti, per sperimentare un contesto che può realmente svilupparsi secondo tempi più lenti;

- la riqualificazione delle risorse storiche, ovvero di quel patrimonio di episodi archeologici, architettonici ed insediativi che costituiscono uno spaccato significativo della storia di Roma e che oggi necessitano di una valorizzazione in un sistema unitario

Infine, il rinnovamento dei rapporti tra fiume e città nel tratto urbano, nelle indicazioni di Piano, si fonda sulla risoluzione dei molti punti di crisi generati dalla costruzione dei muraglioni. È stato proposto un programma di interventi per la rimodellazione dell’invaso che, in definitiva, realizzi un sistema coerente teso a legare - fisicamente, funzionalmente, visivamente e percettivamente - le due differenti quote urbane.

6 GASPARRINI CARLO, La costruzione del piano. Strategie, regole e progetti per la Città storica, “Urbanistica”, 116, Roma 2001, pag. 102. 7 Il piano articola il Tevere in tre ambiti distinti:

- tratto a nord della città, dove prevalgono i caratteri naturali e la cui integrità è essenziale per la sicurezza di Roma dalle inondazioni;

- tratto centrale urbano, caratterizzato oggi da un sostanziale “non rapporto” tra città e fiume, dove prevale la necessità di un programma di sistemazioni urbane che stabiliscano nuovi rapporti della città con il fiume;

- tratto sud, nel quale il tema principale è quello del riequilibrio tra brani di territorio di eccezionale valore naturalistico e storico e le nuove centralità di rango metropolitane già esistenti o previste dal PRG stesso.

Page 68: Q2 2005 Volume Tre

64

Figura 8. Elaborato I.4.1. Ambito di programmazione strategica Tevere: inquadramento generale. CONCLUSIONI L’ambito territoriale che è stato oggetto di riflessione e ambito di sperimentazione dei diversi strumenti sin qui illustrati investe - come abbiamo avuto modo di vedere - un’area

Page 69: Q2 2005 Volume Tre

65

metropolitana il cui sviluppo edificatorio e produttivo tende a sovrapporsi e a prevalere rispetto alla tutela della millenaria risorsa idrica rappresentata dal Tevere. Da qui l’enorme sforzo compiuto dal Piano stralcio,dal Piano di gestione, così come pure dal PRG è stato principalmente volto a riequilibrare il rapporto di forza oggi esistente tra usi plurimi del territorio metropolitano (produttivo, agricolo, urbano, infrastrutturale, turistico, …) e tutela della risorsa idrica, del suo ambiente e del suo contesto paesistico e a recuperare quanto del segno sinuoso del fiume può ancora accompagnare la vita sociale ed economica della città. Tutti gli strumenti fin qui analizzati mostrano, infatti, l’intenzione prioritaria di riconnettere il fiume ed il tessuto idraulico superficiale alla città, seguendo in qualche modo la direttrice strategica indicata dall’Unione Europea con la Direttiva 2000/608, che suggeriva agli Stati membri di considerare le linee d’acqua come veri e propri ponti tra temi e problemi della pianificazione di uno stesso ambito territoriale e tra i diversi soggetti che su questi ambiti in maniera diversa intervengono: - organizzatori, legislatori, decisori, gestori (i ministeri, gli enti regionali, provinciali e

comunali con gli assessorati di vario livello, le aziende, i consorzi, gli altri organismi che - in modo diretto o indiretto - determinano le politiche e le modalità di utilizzazione delle acque e del territorio);

- elaboratori, ricercatori, operatori (funzionari, tecnici, imprenditori, studiosi, …); - fruitori, dai quali dovrebbero derivare ulteriori indicazioni sulle esigenze da soddisfare,

sulle tendenze da limitare o favorire, sui rischi e sulle potenzialità. L’esperienza romana illustrata a mio parere dimostra come, con strumenti e modalità differenti, si stia sviluppando tanto tra gli organizzatori quanto tra gli elaboratori una vera propria cultura dell’acqua, attenta ad armonizzare in primo luogo i diversi aspetti della pianificazione dell’acqua e del territorio dell’acqua, anche se non è ancora del tutto avviata una fase di coordinamento per una gestione integrata delle stessa acqua e dello stesso territorio, di valutazione dell’incidenza e dell’efficacia delle previsioni di tutela e di trasformazione contenute nei diversi strumenti sul comune patrimonio. In correlazione con questa fase - in tempi auspicabilmente brevi - e con un’opera quotidiana di comunicazione attiva, si potrà attuare positivamente anche il coinvolgimento dell’ultima categoria di soggetti citati: i cittadini cui in definitiva ogni progetto è rivolto. RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI AUTORITÀ DI BACINO DEL FIUME TEVERE, Progetto di piano stralcio per il tratto metropolitano del Tevere da Castel Giubileo alla foce - P.S. 5 - Relazione di sintesi, www.abtevere.it. COMUNE DI ROMA - DIPARTIMENTO X - POLITICHE AMBIENTALI ED AGRICOLE, Piano di gestione della Riserva del Litorale Romano. Relazione generale, Roma 2004. FERRANTI CARLO, PAOLELLA ADRIANO (a cura di), La pianificazione del bacino del fiume Tevere, Gangemi, Roma 2001. FERRANTI CARLO, Il P.S. 5 nella pianificazione di bacino, “Tevere”, 23-24, Roma 2003, pag. 5-8. GASPARRINI CARLO, La costruzione del piano. Strategie, regole e progetti per la Città storica, “Urbanistica”, 116, Roma 2001, pag. 93-108.

8 La Direttiva dell’Unione Europea n. 60 del 23 ottobre 2000 pone al primo punto dei considerata il principio che “l’acqua non è un prodotto commerciale al pari degli altri beni, bensì un patrimonio che va protetto, difeso e trattato come tale” affrontando nel loro complesso e in modo coordinato le questioni connesse con la regolamentazione e pianificazione delle risorse territoriali.

Page 70: Q2 2005 Volume Tre

66

QUARONI LUDOVICO, Immagine di Roma, Laterza, Bari - Roma 1969. RIFERIMENTI ICONOGRAFICI Figure 1, 2, 3: CALZOLARI VITTORIA (a cura di), Storia e natura come sistema. Un progetto per il territorio libero dell’area romana, Àrgos, Roma 1999, pag. 56-57. Figure 4, 5: AUTORITÀ DI BACINO DEL FIUME TEVERE, Il piano stralcio per il tratto urbano del Tevere da Castel Giubileo alla foce. P.S. 5, “Tevere”, 23-24, Roma 2003, pag. 17 e pag. 78. Figure 6 e 7: COMUNE DI ROMA - DIPARTIMENTO X - POLITICHE AMBIENTALI ED AGRICOLE, Piano di gestione della Riserva del Litorale Romano, Roma 2004. Figura 8: COMUNE DI ROMA, Nuovo Piano Regolatore Generale, Roma 2003, www.urbanistica.comune.roma.it. Testo acquisito nel mese di marzo 2006. © Copyright dell’autore. Ne è consentito l’uso purché sia correttamente citata la fonte.

Page 71: Q2 2005 Volume Tre

67

Quaderni della Ri-Vista Ricerche per la progettazione del paesaggio ISSN 1824-3541 Università degli Studi di Firenze Dottorato di ricerca in Progettazione Paesistica http://www.unifi.it/drprogettazionepaesistica/

Firenze University Press anno 2 - numero 2 - volume 3 - settembre-dicembre 2005 sezione: Parchi e giardini pagg. 67-75

IL PARCO DE LA ERETA, ALICANTE Giorgio Costa* Summary La Ereta’s park in Alicante, Valenciana region of Spain, is a good exemple on a new relationship between town and its main physical-geographical element: Mount Benancatil. The park’s achievement is based on the winner project of Europan 3 in 1994, by Marc Bigarnet & Frédéric Bonnet, two young French landscape architects. Its surface is, more or less, 7 ha with some buildings inside, functional to economic life’s park. During the project phase, a particular attention has been given to research of vegetation more right to specific clime of this geographic Mediterranean region, one of least rainy in Europe. Key-words Urban park, La Ereta, urban landscape, Europan. Abstract Il Parco de la Ereta ad Alicante è una buona manifestazione della ricerca di un nuovo rapporto della città con il suo elemento fisico-geografico dominante, in questo caso il Monte Benacantil. Progetto vincitore del concorso Europan 3 nell’anno 1994, progettisti Marc Bigarnet & Frédéric Bonnet, giovani paesaggisti francesi. La sua superficie si estende per 7 ha circa con diversi edifici al suo interno funzionali alla vita del parco. Particolare attenzione è stata data in sede progettuale alla ricerca della vegetazione più adatta al particolare clima di questa regione geografica, una delle meno piovose d’Europa. Parole chiave Parco urbano, La Ereta, Paesaggio urbano, Europan. * Dottorando di Ricerca in Progettazione paesistica, Università di Firenze.

Page 72: Q2 2005 Volume Tre

68

DATI GENERALI Il Parco de La Ereta1 del Monte di Benacantil ad Alicante in Spagna è la felice realizzazione del progetto vincitore nel 1994 del Concorso Europan III2. L’area interessata dal concorso-progetto è sul limite del centro storico della città di Alicante verso il Monte Benacantil sulla cui sommità si erge ancora il Castello di Santa Barbara.

Figura 1. Foto zenitale del centro storico della città di Alicante con il Monte Benacantil. In rosso l’area del Parco de La Ereta. La sua superficie si estende per 70.119 mq con diversi edifici al suo interno funzionali alla vita del parco. La sua esposizione e posizione rispetto alla città e al porto, hanno reso quest’area strategica per la qualità della vita del centro abitato, costituito da un tessuto viario stretto e articolato e ancora fortemente abitato. I lavori per la sua realizzazione sono iniziati nel febbraio 2000 e terminati nel marzo 2003.

1 La ereta in lingua spagnola è una forma diminutiva del termine aia, quindi piccola aia. 2 Il progetto è stato realizzato dagli architetti francesi: Marc Bigarnet & Frédéric Bonnet; staff francese: Sophie Cambrillat, Béatrice Clerget, Fabien Dautruche, Sylvain Le Stum, David Robin, Dariyus Sworowski, Jean-Louis Zelverte; con la collaborazione di Miguel Salvador Landman (architetto), Luis de Diego (architetto tecnico), Maria Dolores Lozano (agronoma); ADC Structure, Paris (David Chambolle) per le strutture in legno; CYPE ingenieros, Alicante per le strutture in c.a.; Aguas Municipalizadas de Alicante per gli impianti idrici; Elpidio Vasquez, (ingegnere), Alicante per gli impianti elettrici. Committente: Generalitat Valenciana, Consellería de Obras Públicas, Urbanismo y Transportes with Municipality of Alicante. Coordinatore per la Committenza: Gaspar Mayor Pascual, Director of "Patronato Municipal de la Vivienda". Supervisore per il Plan di Rehabilitación y Arquitectura del Centro Histórico de Alicante (Plan RACHA) Carmen Perez Molpeceres (architetto).

Page 73: Q2 2005 Volume Tre

69

IL PROGETTO Dal punto di vista paesaggistico il Monte di Benacantil è un importante elemento di natura calcarea in stretto rapporto visivo e fisico con la città di Alicante, sede di un importante porto commerciale e da diporto per l’intera costa a sud di Valencia. Il suo sviluppo urbanistico ed economico ruota attorno a questa importante infrastruttura sviluppatasi principalmente nell’ultimo secolo. Il clima di questa area geografica della Spagna, in cui si registra una percentuale di piogge fra le più basse di tutto il continente europeo (260 mm per anno), è caldo secco, conferendo al paesaggio un aspetto decisamente africano, dominato da garighe e vegetazione alofita. Un contributo a questa immagine è dato dal sistema agricolo a carattere sparso e dal sistema di canali per irrigazione che si incontrano all’interno della piana verso i centri di Orihuela e Elche, nota quest’ultima per il suo esteso palmeto da datteri che conferisce all’intera zona una forte connotazione moresca.3.

Figura 2. 1.Ingresso San Pedro 2.Locale delle guardie 3.Ingresso del ponte 4.Pozzo di Garrigos 5.Ingresso San Rocco 6.Ingresso le Navi 7.Ingresso San Raffaele 8.Frontiera 9.Pendio di San Juan 10.Strada bassa 11.Piazza dei carrubi 12.Giardino d’acqua 13.Pergola 14.Pendio degli ulivi 15.Paseo basso 16.Valle 17.Fontane 18.Ereta 19.Polveriera e resti archeologici 20.Bar e esposizione 21.Magazzino 22.Vivaio 23.Ristorante 24.Ingresso delle mura 25.Giardino dell’Angelo 26.Paseo alto 27.Piano dell’orizzonte 28.Collina alta 29.Ingresso San Jordi 30.Castello di Santa Barbara. La proposta progettuale risultata poi vincente coinvolgeva una superficie decisamente inferiore rispetto al progetto realizzato, frutto quest’ultimo di continue verifiche, incontri, mediazione fra le parti interessate. Al progetto del parco urbano è stata affidata la soluzione di molti problemi legati allo sviluppo di tutta l’area, al recupero delle ripide pendici degradate del monte e la connessione con la città. Con la partecipazione di circa trenta persone fra politici, associazioni, tecnici locali, abitanti, operatori economici, specialisti botanici e agronomi hanno messo a punto passo dopo passo elaborati che evidenziassero la strategia e la filosofia del progetto, le aree naturali da salvaguardare, le funzioni per

3 Per un riscontro sulla particolarità di questi luoghi si veda MARTHE MALLIÉ, Promenade à Alicante e à Elche, in Le tour du monde, vol. 64, Paris 1892, e ELIO MANZI, Paesaggi mediterranei tra mito e sostenibilità, in Regione mediterranea. Sviluppo e cambiamento, Patron Editore, Bologna 2001.

Page 74: Q2 2005 Volume Tre

70

collegarlo con la città, i materiali, l’irrigazione e la conservazione dell’acqua, la vegetazione, eccetera. L’intera operazione diventa strategica per la rivitalizzazione della città antica che si riappropria di un elemento geografico dominante, sostanzialmente non modificato dall’azione dell’uomo, sabbioso nel colore e nella texture. Si possono riassumere tre principi generali4 che hanno guidato il progetto nelle sue revisioni: preservare l’aspetto rude e naturale del monte come icona della città di Alicante; utilizzare una vegetazione adatta al luogo e materiali che richiamano la natura geologica della roccia; riconquistare questo luogo che domina il mare e il porto, fino ad oggi abbandonato, e collegare con il parco le differenti parti della città; realizzare delle infrastrutture tecniche, finalizzate all’accumulo dell’acqua, attrezzature di supporto, luoghi ludici, giardini, piazze, sentieri, terrazze. LA STRATEGIA PROGETTUALE DEL PAESAGGIO Per comprendere ancora meglio la strategia progettuale i progettisti spiegano che il collegamento fra la città e il Monte è stato ricercato anche attraverso il mutare per gradi della vegetazione che più vicino alla città è di tipo domestico come palm trees, lemon e mandarine trees, Myrthus sp., Bougainvillea sp. Mirabilis sp., ed altre; nella parte più bassa del Monte dove i luoghi sono più ombreggiati e freschi con la presenza di pergole, fontane e suoli umidi si è utilizzato specie come Coryza sp., Acanthus sp., Veronica sp., ed altre; nella parte intermedia carrubo, ulivo, leccio e pino d’Aleppo; la parte finale più alta ha una vegetazione autoctona. In questo modo il passaggio è anche climatico: da luoghi freschi e ombreggiati verso il basso a secchi e aridi verso l’alto.

Figura 3. Da sx a dx: Il piano dell’orizzonte; La Ereta; I terrazzamenti con gli ulivi. Il progetto del parco è stato predisposto sotto le indicazioni dei tecnici dell’ufficio del centro storico (Patronato Municipal de la Vivienda), i quali hanno evidenziato le necessità dell’antico quartiere, così densamente popolato e con forti problemi sociali, di sicurezza e occupazione. Il parco infatti punta alla risoluzione di problematiche classiche che affliggono i centri storici, in questo caso il tema guida è stato quello dell’accessibilità e della fruibilità del centro storico, risolto attraverso percorsi pedonali che creano possibilità di collegamento fra loro dei quartieri storici e , inoltre, fra questi e la spiaggia, il porto, gli spazi commerciali e di aggregazione sociale. Se si osserva la planimetria della città è facile notare che i quartieri antichi sono cresciuti attorno al Monte Benacantil, arroccati alle sue pendici e quindi fisicamente chiusi da un lato. Il parco rende possibile questo collegamento fisico orizzontale fra quartieri e in verticale fra questi e il Forte di Santa Barbara. La ricerca di un elemento d’unione e collegamento fra la città e il monte non si è limitato solo a questo, ma anche a privilegiare alcuni punti in cui la percezione non solo visiva dei due elementi fosse totale. Una particolare attenzione merita difatti la meseta del horizonte che con la sua semplicità costruttiva e formale, realizzata con solo legno dogato pone il visitatore in una posizione percettiva privilegiata nei confronti delle spettacolo offerto dalla geografia e dalla natura dei luoghi ed allo stesso tempo però è lui stesso attore osservato sul palcoscenico. 4 Vedi anche il sito-web: www.fredericbonnet.com

Page 75: Q2 2005 Volume Tre

71

Figura 4. La copertura del Bar e della sala espositiva, sullo sfondo il ristorante; Paseo basso.

Figura 5. Il piano dell’orizzonte o meseta del horizonte. La strada bassa. Il Paseo basso. Il progetto unisce le esigenze estetico percettive del paesaggio con le restrizioni tecniche necessarie per la sua realizzazione. Come espressamente detto dai progettisti, eredita dal diciottesimo secolo quelle concezioni tecnico-scientifiche utilizzate dagli ingegneri dell’epoca nella realizzazione di canali, strade, porti che progettavano e costruivano, ovvero inconsciamente ci restituivano un paesaggio nuovo. Così entrano in gioco i terrazzamenti, l’asse visivo centrale alla valle, il defluire delle acque meteoriche che disegna i bacini di raccolta e le cisterne sottostanti, la ereta concepita come una spugna drenante. Quest’ultimo

Page 76: Q2 2005 Volume Tre

72

spazio è il cuore del parco, posto circa sul punto medio dell’asse sul quale si attestano quasi tutte le attrezzature di nuova progettazione, non a caso difatti il parco porta il suo nome.

Figura 6. Dettagli della grande pergola e della piazza dei carrubi. LE ARCHITETTURE ED I MATERIALI Nel parco ci sono cinque nuovi edifici realizzati cercando di raggiungere la massima discrezione integrazione con il sito. Dal basso verso l’alto, all’ingresso il primo che si incontra è il locale dei custodi e dopo alcune rampe di scale una grande pergola di cedro rosso anticipata da grandi Ceratonia siliqua; di fronte alla Ereta, incassato nei terrazzamenti della montagna è stato realizzato un pub con una sala per esposizioni temporanee, semplice ed efficace per le sue funzioni, esposta a sud e per questo protetta da grandi pannelli a libro schermanti e dai pini ancora troppo giovani; proseguendo verso l’alto, quasi a ridosso delle mura preesistenti del Forte, e vicino al secondo ingresso alto del parco si trova un ristorante realizzato completamente in legno per ragioni anche tecniche dovute alla poca resistenza del terreno; l’ultimo edificio è il magazzino dei giardinieri.

Figura 7. Dettagli delle realizzazioni effettuate nel Parco in cui si mettono in evidenza i materiali utilizzati. Le architetture insieme al dinamismo dei percorsi sono il risultato di una attenta e sensibile progettazione, capace di inserire architetture importanti con azioni minime. L’unica parte che forse crea qualche perplessità al visitatore è la grande pergola, probabilmente per la sua eccessiva artificialità accentuata dalle pavimentazioni in pietra levigata e squadrata. Il gioco delle architetture è tutto sui materiali: legno, vetro, ferro, pietra, terra, e anche l’acqua che con i suoi giochi crea spazi minimi. La vegetazione entra in perfetto accordo con il disegno

Page 77: Q2 2005 Volume Tre

73

complessivo del parco e degli elementi di arredo, anche se alcuni di questi sembra non tengano conto del fatto che le attuali piante un giorno saranno alberi. Una nota particolare merita il ristorante che con una semplicità disarmante poggia su setti in cemento armato del medesimo colore della roccia, realizzando spazi stretti e ombreggiati contrapposti all’apertura visiva verso la città. L’idea di sospendere nel vuoto il visitatore separato dall’esterno dal solo vetro posto a tutta altezza accentua questa proiezione verso l’esterno, al di sopra del parco e della città, spinto verso il mare.

Figura 8. Il ristorante. GLI IMPIANTI A RETE Una delle questioni più importanti affrontate in fase di progettazione preparatoria ed esecutiva è stata la questione dell’acqua. Inizialmente la proposta prevedeva una eccessiva manutenzione e presenza di personale addetto alla irrigazione della vegetazione e al funzionamento delle fontane. L’idea di accumulare in cisterne l’acqua piovana è presente sin dalla prima proposta, ma le verifiche successive hanno evidenziato che non era sufficiente e sostenibile per i costi elevati. Si è reso necessario progettare e realizzare un sistema di irrigazione a goccia per l’intera area regolato da un sistema computerizzato programmato ad hoc. L’illuminazione del parco è affidata a sistemi anch’essi innovativi e non invasivi, come fibre ottiche e vetri retroilluminati. La vicinanza del parco alla città e al porto non ha reso necessaria una illuminazione eccessiva nelle ore serali, ma più un controllo nella qualità della luce. LA VEGETAZIONE Per riprendere il tema della vegetazione, i tecnici progettisti si sono dovuti misurare con una situazione ambientale per niente facile: suoli instabili, calcarei, poveri e aridi; clima con basse precipitazioni, influenzato dai venti salini del mare; esposizione sud sud-ovest con forte irraggiamento solare. Condizioni quindi avverse a qualsiasi giardino o parco. La scelta si è orientata dopo diverse selezioni su circa trecento specie delle quali la maggior parte autoctone o integrate con specifiche regole di integrazione. Uno degli obiettivi principali del progetto è stato quello di riportare la visibilità dell’alternarsi delle stagioni in un’area dove le regnavano solo le specie estive e la vegetazione urbana sempreverde, introducendo specie caducifolie con fioriture alternate, come la Jacaranda mimosaefolia dei percorsi e le Tipuana dalle fioriture gialle. Le specie da giardino che necessitano di maggiore acqua e manutenzione sono posizionate in aree limitate, come le due Dracena draco delle Isole Canarie del Giardino dell’Angelo.

Page 78: Q2 2005 Volume Tre

74

Le specie rurali come il carrubo, l’ulivo e il leccio occupano la parte intermedia del parco. I ripidi pendii sono stabilizzati da dense specie fruticose come Genista, Coronilla, Euphorbia, Rosmarino, Cistus sp., ed erbacee come Centranthus sp., ed altre. In alcuni punti strettamente localizzati della parte alta sono state sperimentate tecniche ibride di seminazione, già utilizzate nel recupero della vegetazione dei rilievi locali. I percorsi sono ombreggiati dai limoni nella parte bassa, Tipuana tipu nella parte media e alcune cespugliose nella parte alta, come Zizyphus, Phillirea, Daphne, Rhamnus, Osyris.

Figura 9. Fasce vegetali. Planimetria d’inverno e in primavera. Le associazioni vegetali, quindi, sono di più tipi: a. le associazioni già presenti sul luogo: Salsola, Ginepro, Osyris, Euforbia, Sedums,

Bourrache, Asfodelo, Pino d’Aleppo, ma anche Fico d’India, Agave; le specie da giardino che hanno colonizzato il luogo dalla vicina città: bougainvilliées, tabacco, fico;

b. le associazioni presenti a qualche chilometro di distanza nel Parco di Santa-Pola, sul bordo del mare, o meglio ancora quelle presenti nelle colline dei dintorni: chênes verts, ajoncs, erica, pistacchio e lentisco, Rhamnus;

c. le specie delle montagne della regione, che attraverso una leggera irrigazione si devono acclimatare in zone così vicino al mare: rosmarino, salvia, timo, tecrium, valeriana;

d. le specie coltivate nella regione mediterranea: ulivi, agrumi e carrubi; e. le specie ornamentali urbane che in Spagna sono le palme da datteri, in particolar modo

ad Alicante; f. le specie dei giardini freschi e umidi per i terrazzamenti della valle, ombreggiati e

irrigati: acanthes, aphyllantes, cyclamens, Crocus sativa (safran), eccetera, associate ad alberi: Jacarandas, Amelancheiers, Jujubiers et Bois-Gentil;

g. le specie dei giardini xerofili per le parti rocciose che bordano la valle: Chardons géants, Tulipia saxatilis, Stipa gigantea et tenuifolia;

h. le specie attualmente acclimatate nel Mediterraneo originarie dell’America del Sud e delle isole dell’Atlantico, raggruppate nel parco dentro il giardino rosso detto “Il giardino dei Chumberas”: Aloe, Agave, Fico d’India, Ricino, Yucca, Euphorbia delle Canarie;

i. infine nell’isolato Giardino dell’Angelo, che evoca altri luoghi, in contrasto con il suolo calcareo del monte, la ghiaia di basalto nera per le Dracena draco delle isole Canarie.

Page 79: Q2 2005 Volume Tre

75

Figura 10. Rapporto sensoriale all’interno del parco con il Monte Benacantil e con la geografia del luogo in cui è insediata la città di Alicante. BIBLIOGRAFIA BIGARNET MARC & BONNET FREDERIC, Parque de la Ereta, in Via-Arquitectura, n.2/2004, Collegio Arquitectes Comunitat Valenciana, Alicante 2004. MALLIÉ MARTHE, Promenade à Alicante e à Elche, in Le tour du monde, vol. 64, Paris 1892. MANZI ELIO, Paesaggi mediterranei tra mito e sostenibilità, in Regione mediterranea. Sviluppo e cambiamento, Patron Editore, Bologna 2001. RIFERIMENTI ICONOGRAFICI Figura 1. Foto aerea della città di Alicante gentilmente concessa dal Patronato Municipal de la Vivienda, Ayuntamiento di Alicante, Generalitat Valenciana. Figura 2. Planimetria generale del parco, tratta da BIGARNET MARC & BONNET FREDERIC, Parque de la Ereta, in Via-Arquitectura, n.2/2004, Collegio Arquitectes Comunitat Valenciana, Alicante 2004, pagg.106-113. Figura 3. Foto tratte da BIGARNET MARC & BONNET FREDERIC, Parque de la Ereta, in Via-Arquitectura, n.2/2004, Collegio Arquitectes Comunitat Valenciana, Alicante 2004, pagg.106-113. Figura 4. Parco de la Ereta, Alicante 2004, fotografia di Giorgio Costa. Figura 5. Disegni tratti da BIGARNET MARC & BONNET FREDERIC, Parque de la Ereta, in Via-Arquitectura, n.2/2004, Collegio Arquitectes Comunitat Valenciana, Alicante 2004, pagg.106-113. Figura 6. 7. Parco de la Ereta, Alicante 2004, fotografia di Giorgio Costa. Figura 8. Disegni e foto tratti da BIGARNET MARC & BONNET FREDERIC, Parque de la Ereta, in Via-Arquitectura, n.2/2004, Collegio Arquitectes Comunitat Valenciana, Alicante 2004, pagg.106-113. Figura 9. Planimetrie tratte dal sito-web: www.fredericbonnet.com Figura 10. Parco de la Ereta, Alicante 2004, fotografia di Giorgio Costa. Testo acquisito nel mese di marzo 2006. © Copyright dell’autore. Ne è consentito l’uso purché sia correttamente citata la fonte.

Page 80: Q2 2005 Volume Tre

76

Quaderni della Ri-Vista Ricerche per la progettazione del paesaggio ISSN 1824-3541 Università degli Studi di Firenze Dottorato di ricerca in Progettazione Paesistica http://www.unifi.it/drprogettazionepaesistica/

Firenze University Press anno 2 - numero 2 - volume 3 - settembre-dicembre 2005 sezione: Letture pagg. 76-86

“THE NEW LANDSCAPE IN ART AND SCIENCE”: ALLA RICERCA DI UNA SCALA UMANA PER I PAESAGGI DEL PROGRESSO TECNOLOGICO (PRIMA PARTE) Gyorgy Kepes, the new landscape in art and science, Paul Theobald & Company, Chicago 1956. Michela Saragoni* Summary Due to the big industrialization and the technological progress of 1940-1950, the man started to feel a sensation of double disorientation: from one hand industrialization and urbanization denied his age-old relation with nature; from the other hand scientific discoveries are opening him the horizon towards a new reality that he can’t understand taking away, once more, references and certainties. Part of the academic and intellectual world of United States reacted against this condition, and one of the first was Gyorgy Kepes. Hungarian painter and photograph, pioneer of visual art, in this book gives us back the atmosphere of the debate of these years, when they are searching for a new visual language that could give back to man the symbols that he needs to understand this new world. Key-words Kepes, pattern, art, science, industrial landscape Abstract A seguito della forte industrializzazione e del progresso tecnologico che hanno avuto il loro boom negli anni 1940-50, l’uomo viene a trovarsi doppiamente disorientato: l’industrializzazione e l’urbanizzazione lo hanno privato del secolare rapporto con la natura; le scoperte scientifiche, dall’altra parte, gli hanno aperto l’orizzonte su una realtà che non può afferrare, privandolo ancora una volta di riferimenti e certezze. A questo disorientamento reagisce parte del mondo intellettuale e accademico statunitense, per primo Gyorgy Kepes: pittore e fotografo ungherese, pioniere della visual art, che in questo ricco testo riporta il clima del dibattito di quegli anni, teso alla ricerca di un linguaggio visivo della contemporaneità in grado di restituire all’uomo i simboli necessari per la comprensione di questo nuovo mondo. Parole chiave Kepes, pattern, arte, scienza, paesaggio industriale * Dottoranda di Ricerca in Progettazione paesistica, Università di Firenze

Page 81: Q2 2005 Volume Tre

77

Negli anni ’40-’50 del secolo scorso si sviluppa negli Stati Uniti una forte reazione al boom tecnologico e scientifico che, iniziato nel XIX secolo, prosegue in crescita esponenziale coinvolgendo un numero sempre maggiore di ambiti ed influenzando, quindi, in maniera sempre più incisiva il quotidiano. Se il dibattito sull’alienazione portata dall’eccessiva industrializzazione e urbanizzazione e sul problema della separazione tra uomo e natura indotta dal progresso tecnologico era già vivo alla metà del XIX secolo, sorge ora una problematica nuova ed ancor più disorientante: è il progresso scientifico, più che quello tecnologico, a minare adesso il modus pensandi dell’uomo comune. Le recenti scoperte scientifiche, in particolare nel campo della fisica (dalla fisica nucleare, alla teoria quantistica, dell’elettromagnetismo, etc..), hanno rivelato come la struttura delle cose che l’uomo era abituato a considerare come reale non sia altro che l’immagine di processi e fenomeni non percepibili con i cinque sensi. Di più: si sviluppa l’idea che questa struttura invisibile che la scienza sta indagando e disvelando, sia l’essenza ultima e reale delle cose ed invece il mondo visibile cui siamo abituati sia qualcosa di effimero, scarsamente rilevante e spesso ingannevole. Ancora una volta quindi la sfera emozionale e sensoriale diventa secondaria rispetto alla funzione ed alla struttura. L’uomo viene così a trovarsi doppiamente sperso in un mondo che pare non conoscere più: se l’industrializzazione e l’urbanizzazione lo hanno privato del secolare rapporto con la natura, che ne scandiva i ritmi, riti ed i miti e ne costituiva il naturale riferimento sia geografico che culturale; le scoperte scientifiche, dall’altra parte, gli hanno aperto l’orizzonte su una realtà che non può afferrare, privandolo ancora una volta di riferimenti e certezze. E’ a questo disorientamento che reagisce parte del mondo intellettuale e accademico statunitense, sostenendo la necessità di cercare nuovi riferimenti e nuovi simboli che consentano all’uomo di riappropriarsi del proprio ambiente. In questo contesto si inserisce l’opera di Gyorgy Kepes: pittore e fotografo ungherese, pioniere della visual art, Kepes ha speso la gran parte della sua vita nella ricerca di un linguaggio visivo della contemporaneità, in grado di restituire all’uomo i simboli necessari per la comprensione di questo nuovo mondo. Questo è infatti per Kepes il ruolo dell’arte contemporanea, e in questa ricerca capisce la necessità di interagire con tutte quelle discipline e forme d’arte che hanno un’influenza diretta sulla vita quotidiana degli uomini, per prima l’architettura: lo troviamo infatti negli anni ’50 professore di Visual Design al MIT, dove realizza il “Centre for Advanced Visual Study”, una sorta di laboratorio interdisciplinare sul tema presso cui si forma, tra gli altri, anche Kevin Lynch. Gli studi di Lynch sull’immagine urbana e territoriale, molto più noti in Europa dell’opera di Kepes, discendono direttamente dal suo insegnamento e da questo fecondo laboratorio come riconosce lo stesso Lynch nella prefazione al famoso testo “The image of the city”1: “(…) un nome dovrebbe comparire sulla copertina col mio, se questo non lo rendesse corresponsabile dei difetti del libro. Questo nome è quello di Gyorgy Kepes. Lo sviluppo particolare e gli studi pratici sono miei, ma i concetti informatori nacquero attraverso innumerevoli scambi con il prof. Kepes. Se dovessi separare le mie idee dalle sue non saprei come fare. Per me, questi sono stati anni fecondi di associazione.”2 “The new landscape in Art and science”, il testo di cui si da di seguito una sintesi critica, si propone come strumento di questa ricerca ed è fortemente esplicativo del modo di Kepes di trattare l’argomento. Si tratta infatti di un libro articolato e complesso: Kepes costruisce una struttura, un filo conduttore, entro cui organizza contributi di esponenti di molte discipline, dall’architettura alla pittura, dalla fisica alla poesia, etc, dando così una visione multidisciplinare ma organica del problema, concentrandosi in particolare sul ruolo che ogni professionalità può/deve assumere nella creazione di questo nuovo linguaggio. Il testo propone inoltre ricchissime sezioni di citazioni dai testi e dagli autori più disparati, e molte immagini, delle quali quella di copertina è sicuramente il miglior esempio, non direttamente

1 LYNCH KEVIN, The image of the city, MIT, Boston 1960 2 LYNCH KEVIN, l’immagine della città, Marsilio editori, Venezia 2004

Page 82: Q2 2005 Volume Tre

78

collegate al testo, ma tese soprattutto a mostrare quei pattern di cui nel testo si da una bellissima definizione, dimostrando come quei “disegni strutturali” degli elementi naturali, non percepibili dall’occhio umano, abbiano tanto rilevanza scientifica quanto un aspetto artistico che si presta ad essere uno degli strumenti del nuovo linguaggio.

Figura 1. G. Kepes, the new landscape in art and science, Chicago 1956 , foto di copertina

Page 83: Q2 2005 Volume Tre

79

LE RAGIONI DI UNA RICERCA J.E. Burchard , educatore, presidente dell’American Academy of Art and Science, introduce il testo sostenendo sostanzialmente che la natura è sempre in armonia con se stessa, ovvero ogni suo elemento è sempre in armonia con tutti gli altri per il solo fatto di essere naturale e che è stato l’uomo ad introdurre disarmonie e ad avere quindi bisogno di “usare gli occhi come schermi protettivi”. Definisce questa azione dell’uomo “profanazione” (desecration) della natura. Burchard descrive la dicotomia, presente nell’uomo moderno, tra la necessità e l’ardente ricerca di bellezze naturali, e l’impossibilità di vivere poi in armonia con esse; dicotomia che imputa a una sostanziale grettezza d’animo dell’uomo, che a suo dire è privo di sensibilità in questo senso. L’uomo moderno sembra essere incapace di vedere lo squallore in mezzo a cui vive e ciononostante sente l’esigenza di un ritorno all’armonia con la natura. La necessità espressa da Burchard sembra essere quella di rieducare l’uomo a vedere, colmare la carenza di sensibilità visuale, anche per capire che le forme della nuova tecnologia non sono per forza in opposizione alle forme della natura: esse devono smettere di spaventarci, come molto tempo fa hanno smesso di spaventarci la visione delle montagne o del mare. Il dramma dell’uomo del XX sec. è di sentirsi perso in un mondo alieno. L’uomo aveva imparato a dare un significato alle forme della natura, a farne dei modelli di riferimento, dei simboli: alla realtà palpabile corrispondeva cioè un responso emozionale condiviso che permetteva di comprendere l’intorno del singolo, nelle nostre immagini personali, ma anche l’ambiente intero, la società, nelle immagini condivise con gli altri uomini del nostro tempo e della nostra situazione. Erano questi simboli, questo processo di significazione a trasformare il natural environment in human landscape, inteso come una porzione di natura che l’uomo ha sondato, compreso e trasformato nella propria casa. La scienza moderna ci ha però svelato un nuovo mondo di forme, che non corrisponde più ai simboli e ai significati del vecchio mondo dell’esperienza sensibile: questo cambiamento dei riferimenti disorienta l’uomo moderno che si sente minacciato da questo nuove forme che non conosce. All’uomo moderno è negato il piacere di sperimentare la percezione (significazione) delle forme (form-pattern) di questo nuovo mondo finchè non avrà tracciato il percorso attraverso cui questa poesia della forma possa riempirsi di significati. Secondo Kepes bisogna riconvertire questo nuovo ambiente in un nuovo human landscape, e per fare questo non può bastare la conoscenza razionale, pur approfondita, che ci offrono le nuove scienze. Il sensibile, l’emozionale hanno un’importanza fondamentale nella trasformazione del caos in ordine. Il nuovo mondo ha le sue dimensioni di colore, spazio, forma, textures, ritmi di suoni e movimenti: una gamma di qualità e sensazioni da apprendere e sperimentare. Il grande progresso tecnologico e scientifico ha portato ad un predominio del linguaggio di scienziati ed ingegneri rispetto al linguaggio del creativo, dell’artistico: non esiste un linguaggio comune, né simboli comuni. Le immagini e i simboli che possono realmente “addomesticare” il nuovo aspetto rivelato della natura si svilupperanno solo se useremo appieno tutte le nostre facoltà: la mente dello scienziato, il cuore del poeta e l’occhio del pittore. Se vogliamo comprendere il nuovo paesaggio dobbiamo toccarlo con i nostri sensi e costruire le immagini che lo faranno “nostro”: per fare questo dobbiamo ricostruire il nostro modo di vedere. IL RAPPORTO TRA ARTE E SCIENZA Partendo da un passo tratto dal “saggiatore” di Galileo si fa un breve excursus sulla nascita del pensiero scientifico e sul momento della separazione tra i due tipi di pensiero, che si fa risalire al XVII secolo. Kepes spiega invece come entrambe le visioni siano atti creativi interdipendenti, portando ad esempio il rinascimento in cui arte e scienza erano sentite e praticate come due facce della stessa medaglia. Arte e scienza sono infatti entrambe attività

Page 84: Q2 2005 Volume Tre

80

ordinarie della mente umana, che distillando le nostre esperienze ci inseriscono nell’ordine relazionale della natura. In particolare dà due definizioni: la scienza cerca di discernere le relazioni dell’ordine naturale attraverso asserzioni verificabili riguardo i processi naturali. I dati vengono esposti in termini di quantità misurabili e l’ordine trovato viene espresso in strutture concettuali; l’arte tenta di discernere le relazioni dell’ordine naturale creando immagini della nostra esperienza del mondo. I dati vengono esposti in termini di forme sensibili ricreate e l’ordine intuito viene espresso in strutture sensibili che mostrano proprietà di armonia, ritmo e proporzione. In ogni caso la creazioni di immagini è la base per l’arte, ma anche per la scienza anticipando i modelli di riferimento per la ricerca. Viene poi fatto un confronto tra la mentalità occidentale, che da priorità assoluta al pensiero scientifico e quella orientale, in cui prevale il pensiero emozionale, artistico: si auspica che la maggiore possibilità e facilità di scambi portata dalle nuove tecnologie porti allo scambio di idee e quindi al raggiungimento di un equilibrio tra queste due mentalità. C’è inoltre un passaggio che mi pare dia una valida spiegazione dell’intraducibile parola pattern: “simmetry, balance and rythm sequence express essential characteristics of natural phenomena: the connectedness of nature –the order, the logic, the living process. Here art and science can meet on common round”. Il pattern sarebbe cioè quella struttura geometrica che è alla base di ogni forma naturale e che è anche processo vitale. Non è forma vuota è espressione di “ritmo vitale” (rythmical vitality) :(…) the patterns seen were not frameworks binding details but patterns of living order”. Conclude dicendo che l’arte può dare un grande contributo alla scienza in particolare individuando ed evidenziando le corrispondenze strutturali comuni alle diverse discipline scientifiche ma ignorate dalle discipline stesse, che hanno necessità di restringere il campo di ricerca. In realtà invece noi dovremmo mettere sempre meno a fuoco i fatti per se stessi e sempre di più invece la loro interconnessione. E’ in questo modo che la scienza si approccia all’arte. Il ragionamento di Kepes tende a ricollegare arte e scienza, dimostrando come il pensiero scientifico nasca dal pensiero creativo e non sia quindi affatto separato dall’arte. Parte dalla “creazione” della linea come sintesi grafica di quello che si percepisce: la capacità di percepire le linee di confine tra gli oggetti e quindi di trasformarli in strutture bidimensionali che sono sintesi simboliche dell’oggetto, rende l’uomo capace di popolare il proprio immaginario con forme e strutture che corrispondono agli oggetti del mondo esterno e che gli permettono di percepire con chiarezza le relazioni tra essi. Questo implica il controllo sul proprio ambiente, ma soprattutto la capacità di comunicare queste immagini di strutture portando allo sviluppo delle idee base della religione, della filosofia e della scienza. L’autore sostiene che senza la delineazione di figure, senza la comunicazione grafica, senza cioè quella sintesi simbolica che rappresenta la concettualizzazione degli oggetti e delle relazioni tra essi, la scienza non si sarebbe mai potuta sviluppare. La teorizzazione deriva cioè dalla sintesi creativa dell’esperienza pratica: così come l’osservazione della natura ha portato alla graficizzazione di sintesi simboliche degli oggetti, l’avere a che fare direttamente con i materiali ha dato agli uomini i modelli per la loro creatività; la consapevolezza profonda del rapporto tra materia e forma sta alla base del pensiero architettonico. L’autore evidenzia poi alcuni passaggi chiave di questo passaggio dal pensiero creativo a quello scientifico, dalla pratica alla teorizzazione, individuandoli prima di tutto nella creazione del mattone, che portando con se il concetto di modulo è alla base dell’idea di misurazione e quindi del pensiero matematico. Altri importanti esempi vengono individuati negli studi botanici di Fuchs e in quelli anatomici di Vesalius: l’importanza scientifica di entrambi i testi consiste infatti nella precisa, accurata e dettagliata descrizione della realtà osservata con l’occhio insistente dell’artista rinascimentale, che a questo tipo di osservazione era allenato e fortemente interessato. Anche la prospettiva del resto nasce dalle necessità di creazione e rappresentazione degli artisti rinascimentali.

Page 85: Q2 2005 Volume Tre

81

IMMAGINE E SIMBOLO Kepes si chiede, retoricamente, se possa essere un puro caso che i maggiori passi dello sviluppo intellettuale siano derivati dalla creazione di immagini (image-making). Mentre la percezione comune si limita a mettere insieme un certo numero di impressioni sensoriali in una visione strutturata, la più elevata percezione data dalla visione artistica delle cose riferisce le percezioni sensoriali alla più alta struttura delle opere d’arte, data da armonia, equilibrio, sequenza e ritmo. Le immagini simboliche sono la struttura elementare dell’esperienza, rappresentano un’organizzazione dinamica della vita rendendoci capaci di interagire con l’ambiente, dirigendolo e controllandolo. Le immagini formano e danno senso al nostro pensiero e alle nostre sensazioni così come il materiale genetico forma la nostra struttura fisica. Le immagini che condividiamo codificano la cultura collettiva, le nostre immagini private codificano l’unicità del nostro mondo interiore. IL PAESAGGIO INDUSTRIALE Kepes introduce il tema descrivendo come un secolo e mezzo di industrializzazione abbia trasformato la faccia del nostro ambiente, dandone un quadro decisamente inquietante (“…the rithm of our human movement and respiration is syncopated with the beats of steel muscles driver by electricity or gasoline…”), sottolineando come l’uomo non riesca ancora ad appropriarsi dei benefici che questo progresso può avere. Per aprire la strada ad una visione nuova ed unisona tra uomo, natura e tecnica c’è bisogno di una chiave comune tra il “nuovo” ed il “vecchio”, un filo conduttore continuo con la tradizione, ma la nostra “civilizzazione” non ha provveduto a ciò. Questo mondo sovradimensionato, cementificato, disordinato e sostanzialmente inumano che continuiamo a riprodurre ci sta profondamente influenzando: questo mondo distorto ha in qualche modo distorto anche noi, privandoci della possibilità di averne una esperienza coerente e creativa (“When visual responses are warped, visual creativeness is impaired”). Alcuni artisti, già dall’inizio del XX secolo hanno cercato di interpretare e dare una risposta a questo disorientamento, ma si è trattato di piccoli contributi, non sufficienti a controbilanciare l’abbrutimento che, secondo Kepes, ci circonda e ci sovrasta .

Figura 2. Fritz Henle, New York Photograph Figura 3. Richard Neutra, Residence in Colorado Desert

Page 86: Q2 2005 Volume Tre

82

E’ importante che artisti ed architetti ci presentino le nuove ricchezze portate dal progresso tecnologico nei loro aspetti più positivi, aiutandoci ad orientarci e a capirne il valore, in modo che l’uomo comune possa arrivare a gustarsi la modernità come un’esperienza positiva. I paesaggi tecnologici devono entrare in armonia con la natura, con il ritmo delle stagioni, con le risorse del territorio; devono essere pensati per corrispondere alle necessità biologiche e psicologiche degli uomini. Proprio in virtù delle scoperte scientifiche, che ci hanno reso più profondamente consapevoli di quali siano queste necessità, bisogna cominciare a ricostruire un mondo a misura d’uomo, ristabilendo l’equilibrio tra noi ed il nostro ambiente. Per riuscire in questo ambizioso scopo l’uomo ha bisogno di nuovi simboli che ricreino l’ordine: dobbiamo trovare una nuova ricchezza di simboli, una nuova poesia dell’immagine che è latente nel nuovo paesaggio. L’introduzione si conclude con una vasta sezione di citazioni, da Constable a Von Humboldt, Ruskin, Morris, fino a Melville, Eisenstein e Saint-Exupéry, sui temi del rapporto uomo-paesaggio, del “bello” come necessità, della poesia dell’immagine e del cambiamento della percezione portato dalle “macchine moderne” come il treno e l’automobile. UNA PROBLEMATICA INTERDISCIPLINARE: I DIVERSI PUNTI DI VISTA Come si è detto, Kepes è convinto che il rapporto tra arte e scienza sia qualcosa che influenza e permea il quotidiano e riguarda quindi tutte quelle discipline e forme d’arte che hanno un’influenza diretta sulla vita quotidiana degli uomini. Questa interazione disciplinare già messa in pratica nel laboratori presso il MIT, viene riportata anche nel libro in cui Kepes comprende i contributi di esponenti delle più diverse discipline, o meglio arti, dando così una visione caleidoscopica della problematica. L’architettura: Richard J. Neutra L’architetto austriaco propone una riflessione su come l’architettura debba porsi nei confronti del paesaggio per rispettarlo, considerando il rapporto con il paesaggio stesso come una delle componenti fondamentali del benessere psicofisico delle persone. Neutra sottolinea come la natura sia unica e continua e come, quindi la parcellizzazione del paesaggio in unità topografiche geometriche non possa portare a risultati felici. Fa poi una critica al mondo dell’architettura, che è stato troppo a lungo segregato nel regno dell’ utile e dell’estetica, in un mondo dove la decorazione è semplicemente qualcosa di applicato alla superficie dell’essenziale. Ma la scienza, con le sue nuove scoperte ci ha mostrato che il paesaggio naturale non ha una superficie che possa essere in qualche modo separata dalla struttura profonda: il paesaggio è unico, vasto, profondo e sempre essenziale. Il pianificatore del territorio e del paesaggio, l’architetto, deve quindi avere una duplice sensibilità e creatività perché deve creare le condizioni che permettano agli esseri umani di stare fianco a fianco tra loro e con la natura. Il paesaggio “esterno” deve mantenere una affinità “organica” (organic affinity) con la nostra natura interiore. Il design: walter Gropius In questa rassegna di opinioni sul rapporto tra arte e scienza non poteva certo mancare la parola di Gropius, fondatore di quel Bauhaus che aveva tra i sui scopi fondanti proprio la costruzione di un ponte tra l’arte e la produzione industriale: il saggio tratta del rapporto tra il “design naturale” delle forme organiche e il design industriale, e del ruolo dell’artista all’interno di questo rapporto. Gropius ci spiega come in natura non esista separazione tra bellezza e funzionalità, in quanto esse sono entrambe entità costitutive della natura stessa, mutualmente interdipendenti. E’ stato l’uomo, nella sua eterna curiosità, che le ha separate e si trova adesso nell’imbarazzante situazione del bambino che ha rotto il suo gioco per capirne il funzionamento e non sa più come rimontarlo. E’ stato quindi soprattutto il grande sviluppo della scienza a scapito dell’arte a disequilibrarci, a disorientarci; secondo Gropius

Page 87: Q2 2005 Volume Tre

83

quello di cui l’uomo ha bisogno è quindi un ri-orientamento a livello culturale: “this is the century of science; the artisti s the forgotten man, almost ridicouled and thought of as a superflouos luxury member of society(…) Which so-called civilized nation today honestly promotes creative arts as a substantial part of life?” L’arte deve tornare ad avere un ruolo centrale nella vita, come essenziale controparte della scienza. Fa poi riferimento diretto al ruolo del design nella vita quotidiana, sottolineando come la separazione del creativo dal produttivo abbia modificato il concetto di bellezza in qualcosa di effimero, ridotto al trattamento superficiale. La qualità della vita dell’uomo moderno migliorerà solo quando lìindustria riconoscerà come valore essenziale l’alta qualità che deriva da un design organico, ottenuto da una produzione industrializzata controllata tanto dallo scienziato e dall’ ingegnere quanto dall’artista “who is their legittimate brother”. Entra quindi nel merito del concetto di standard, qualificandolo come un lungo in cui si fonde il contributo di molte persone con le migliori tecniche. Le macchine da sole non possono però produrre tutto ciò, è necessario il costante intervento dell’azione creativa: “(…)rationalisation, which many people immagine to be the cardinal principle of present design, is really only its purifying agent”. Lo scopo è quello diraggiungere un concetto di standard umanizzato, che soddisfi la comunità ma sia in grado di modificarsi in modo da soddisfare anche l’individuo, qualcosa di simile a quello che nel tempo hanno rappresentato l’armonico sviluppo di una città del New England o di un paesino italiano. La chiave del successo consiste nel mettere l’uomo al centro del design: solo allora sarà veramente funzionale. Conclude il saggio con una bella frase che si ritiene di riportare integralmente: “Design is becoming again an integral part of our life-a thing dynamic, not static. It lives, it changes, it express the intangibile through the tangible. It brings inert materials to life by relating them to human being. Thus conceived, its creation is an act of love”. la poesia:Richard Wilbur Un punto di vista ancora diverso è quello espresso dal poeta Richard Wilbur, che tratta del rapporto tra il paesaggio scientifico, quello cioè scientificamente spiegato nella sua struttura e nelle sue dinamiche dalle scienze moderne che costituisce la realtà razionale delle cose, ed il paesaggio poetico, oggetto dei significati soggettivi ed irrazionali ma non meno reale. Il rapporto non facile tra la poesia ed il paesaggio deriva prima di tutto da una crisi filosofica ma anche da altre cause, quali la progressiva urbanizzazione e meccanizzazione della vita moderna che hanno reciso il senso di dipendenza dalla natura e di partecipazione al ritmo delle stagioni, la grande mobilità che caratterizza la vita contemporanea, che insieme alla mutevolezza dei paesaggi moderni inficia il nostro senso di località e di appartenenza. Wilbur definisce vitale che i poeti riescano a far propri i simboli del nuovo paesaggio meccanizzato, per renderli accessibili alla sensibilità e non solo al mondo razionale, in quanto una necessità fondamentale della cultura è proprio quella di ricucire il proprio rapporto con la natura, considerando ferrovie, autostrade, etc come parte di essa. La metafora poetica stabilisce una sua personalissima verità, che può solo apparire assurda in un mondo in cui qualche tipo di verità viene considerata assoluta. Se la scienza offrisse davvero l’unica verità sulla natura, la natura risulterebbe essere qualcosa di estraneo al nostro campo emozionale, ma così non è. C’è una grande quantità di dati concreti e dimostrabili, di fatti, che attesta la nostra appartenenza al mondo naturale, ma per tutto il resto il paesaggio resta come sempre misterioso ed aperto alla nostra intuizione. la pittura: Fernand Leger e Jean Helion: I brevi interventi dei due pittori francesi seguono una linea di pensiero molto vicina. Leger sostiene di sentire false le forme di arte e poesia che cerca di rifuggire dai ritmi veloci ed in qualche modo violenti dell’era moderna; egli ritiene infatti che l’arte debba essere un riflesso del suo tempo. Helion prosegue su un ragionamento molto simile ma va oltre, sottolineando come anche l’arte che cerca di interpretare, e non rifuggire, i tempi moderni abbia un forte limite negli “ismi”, ossia nella visione parziale che ogni movimento considera: egli ritiene

Page 88: Q2 2005 Volume Tre

84

invece che l’arte più rivoluzionaria e quindi più moderna, sia una forma di figurazione che riesca a comprendere l’interezza del mondo di un artista, che consideri l’uomo nella sua piena realtà, di cui l’aspetto visibile è solo uno dei termini.

Figura 4.Constantin Brancusi, Sculpture for the Blind Figura 5. Naum Gabo, Linear Construction in Space #3 La scultura: Naum Gabo Lo scultore costruttivista russo, autore con Pevsner nel 1920 del manifesto del Costruttivismo, si interroga sul rapporto tra arte e scienza ed in particolare sul ruolo dell’arte e dell’artista nella nuova visione del mondo che il progresso scientifico sta aprendo. Quali sono quindi le conseguenze sull’artista moderno dei nuovo orizzonti aperti dagli scienziati ed in che modo il lavoro dell’artista può riflettere l’impatto che la scienza sta avendo sul mondo contemporaneo, contribuendo all’ampliamento di questi orizzonti? Una risposta a questi interrogativi viene proprio dalla scuola Costruttivista, nota per essere il primo movimento artistico che ha dichiarato di accettare lo spirito dell’era scientifica come base per la propria percezione del mondo, anche del mondo interiore degli esseri umani. E’ la prima ideologia a rifiutare l’idea che l’unico punto di riferimento per la creazione artistica sia la personalità unica dell’artista, il suo stato d’animo (mood). Il Costruttivismo riconosce che il mondo non si esaurisce in ciò che percepiamo con i nostri cinque sensi: la vita e la natura comportano anche una serie di forze ed aspetti invisibili e mai osservati fin’ora, che hanno bisogno di trovare un’immagine comunicabile per entrare a far parte non solo del nostro bagaglio razionale ma anche della sensazione immediata e quotidiana che abbiamo della vita e della natura. E’ sbagliato considerare quegli aspetti invisibili del mondo che la scienza sta svelando e spiegando come qualcosa di comunicabile solo attraverso la scienza stessa, attraverso le invenzioni scientifiche e la tecnica: il ruolo dell’arte è proprio quello di far si che la visione scientifica penetri in profondità nella psicologia dell’uomo comune, diventando parte integrante del suo bagaglio tanto quanto quella primaria concezione del mondo che gli deriva dai cinque sensi. L’arte può fare questo perché usa un linguaggio diverso dalla scienza, che si rivolge non al razionale ma all’emotivo, all’intuizione. L’artista si pone quindi come tramite, come una sorta di traduttore, tra il pensiero scientifico ed il pensiero comune. Educazione, filosofia e semantica: Charles Morris e Samuel Ichiye Hayakawa Nel 1951 Kepes organizza una mostra alla Hayden gallery dell’MIT, intitolata The New Landscape, in cui sono state esposte fotografie scientifiche estrapolate dal loro contesto e presentate sotto forma di fotografie artistiche: la mostra ha così assunto lo stesso significato di una mostra di pittura, pur trattando soggetti che nell’immaginario comune sono l’antitesi dell’arte. Questa mostra e questo libro sono forse i due apici della ricerca di Kepes, che deputa all’arte, ed alla pittura in particolare, l’importante funzione di portare al livello dell’immaginario comune i “nuovi paesaggi” rivelati dalle nuove scienze.

Page 89: Q2 2005 Volume Tre

85

Figura 6. La mostra The new Landscape, Massachusetts Institute of Technology, 1951 A questa mostra, a queste fotografie si riferisce direttamente l’intervento di Morris, educatore con interessi specifici in filosofia e semiotica, il cui senso è da lui stesso riassunto in un’ unica, efficace e bellissima frase: “The photographs can serve at once the pourpose of science, and of art, and of religion. They can be read for information about the world, or enjoyed as the textures of a structured process, or use for the reorientation of the self in the cosmos”. In questa frase Morris reassume tutto il senso degli interventi precedenti oltre che della mostra cui si riferisce. Le nuove forme proposte dalle nuove scienze rappresentano la base per la creazione di un nuovo immaginario visivo, strutture che devono essere trasformate dall’artista in simboli riempiti di significato, in modo che questo paesaggio finalmente completo di forma e struttura, che contiene in se stesso le sue spiegazioni, diventi un paesaggio percepibile ed accettabile dall’uomo. Educatore, scrittore, esperto di Semantica Generale, Hayakawa ci propone tematiche molto simili. Il ruolo dell’arte secondo Hayakawa è di ricercare emblemi adeguati a simbolizzare la nostra esperienza, rendendoci così capaci di affrontarla. Aprendoci la prospettiva su un

Page 90: Q2 2005 Volume Tre

86

“nuovo mondo”, la scienza ci ha posto in una condizione che P.W. Bridgman, citato nel testo, chiama “explanatory crisis”: ci mancano cioè i riferimenti per interpretarlo e per dargli un ordine. Il passaggio più importante per trovare questi riferimenti è, come sostiene anche Gabo, di far diventare queste nuove conoscenze parte integrante del pensiero comune, della coscienza quotidiana delle cose, perchè è questa e non la conoscenza razionale che ci permette di valutare e di orientarci. La grande difficoltà di questo processo di assimilazione sta nel fatto che il mondo della quantistica, della microbiologia, della fisica nucleare consistono di eventi e relazioni mai direttamente esperibili, visualizzabili soltanto attraverso la costruzione di modelli o attraverso speciali fotografie (ad esempio le analisi stroboscopiche). Sono questi i nuovi paesaggi, gli emblemi della nostra nuova conoscenza che arricchiscono e suggestionano tutti noi, artisti o scienziati, nella nostra personale ricerca di addomesticare quello che conosciamo già ma che non abbiamo ancora imparato a sentire. La fisica: Bruno Rossi A conferma della ricchezza e completezza del testo, ci viene proposto anche il punto di vista di un fisico, docente del MIT, utile soprattutto a chiarire quale sia il vero ruolo della scoperta scientifica e quale il filo conduttore che la unisce in qualche modo all’arte. Ci spiega, Rossi, che la ricerca scientifica nasce dall’osservazione dei fenomeni naturali e che i dati raccolti vengono poi analizzati, confrontati, raggruppati ed esaminati da diversi punti di vista finché non formano un quadro che soddisfi il nostro naturale desiderio di ordine ed armonia. Il passo finale consiste nell’interpretazione dei dati sperimentali per trarne una teoria: la scienza quindi in effetti non da spiegazioni, ma si limita a descrivere i fenomeni naturali ordinandoli in strutture (pattern) armoniche e trasparenti. Ci porta come esempio il caso della teoria dell’elettromagnetismo: la fisica non può spiegare tutti i fenomeni attraverso cui si manifesta (dai lampi alle onde radio, etc) ma ha potuto trovare quel singolo e semplice meccanismo che sta dietro a tutti. La “ruota” del funzionamento di questi meccanismi è costituita da entità non percepibili dai nostri sensi, entità molto limitate di numero rispetto alla moltitudine di effetti che provocano, costituite da strutture semplici e simmetriche in contrasto con la complessità e l’irregolarità delle loro manifestazioni visibili: è questo un esempio di come la fisica abbia creato un nuovo paesaggio, sostituendo alla complessità ed irregolarità del mondo visibile l’armonia e la linearità del mondo invisibile. Nella fisica come in altri campi della scienza, lo scopo ultimo è di scoprire strutture regolari che i nostri sensi non possono percepire per trovare relazioni tra fenomeni apparentemente separati, per formulare leggi capaci di descrivere sempre più a fondo i fenomeni naturali. La percezione intuitiva della semplicità insita nei fenomeni naturali è tanto essenziale per la creatività scientifica quanto per la creatività artistica, perché scoprire qualche verità scientifica è semplicemente rivelare qualche nuovo aspetto dell’armonia della natura. Testo acquisito nel mese di marzo 2006. © Copyright dell’autore. Ne è consentito l’uso purché sia correttamente citata la fonte.

Page 91: Q2 2005 Volume Tre

87

Quaderni della Ri-Vista Ricerche per la progettazione del paesaggio ISSN 1824-3541 Università degli Studi di Firenze Dottorato di ricerca in Progettazione Paesistica http://www.unifi.it/drprogettazionepaesistica/

Firenze University Press anno 2 - numero 2 - volume 3 - settembre-dicembre 2005 sezione: Letture pagg. 87-97

GRAMMAIRE DES JARDINS. SECRETS DE METIER: I SEGRETI DEL MESTIERE DI RENÉ PECHÈRE Anna Lambertini* Summary The paper deals with a reading of the work of René Pèchere.key-figure of European garden art in the 20th century. The Grammaire des Jardins by René Pèchere, fairly known in Italy, is no doubtly a out-of-ages classic masterpiece of the framework of a universal eituer ancient art: tre art of garden creating. Key-words René Pechère, garden art, garden design, design guide lines. Abstract Il contributo propone un itinerario di lettura di un’opera dell’arte dei giardini europea del Novecento. La Grammaire des Jardins di René Pèchere, poco divulgata in Italia, può essere annoverata a buona ragione tra i classici senza tempo delle teorie di un’arte universale quanto antica, quella di creare giardini. Parole chiave René Pechère, arte dei giardini, progettazione dei giardini, regole di composizione. * Dottore di ricerca in Progettazione paesistica, Docente a contratto presso l’Università degli Studi di Perugia.

Page 92: Q2 2005 Volume Tre

88

UN MESTIERE VECCHIO COME L’UOMO

Cominciamo proprio dalla fine. Dal risvolto della quarta di copertina, un ritratto in bianco e nero di un anziano signore accenna tra le rughe intorno alla bocca un sorriso senza enigmi. Il valore di quella espressione impressa nella posa fotografica, lieve quanto mediatrice di fermezza, si coglie pienamente nel momento in cui, sfogliando a ritroso il libro, come ultima frase a chiusura di una breve postfazione si legge “La vie est trop belle pour être médiocre”.

Figura 1. Ritratto di René Pechère.

René Pechère1 ha settantanove anni quando viene pubblicato Jardins dessinés. Grammaire des jardins. Il libro, che come lo stesso autore annuncia, contiene una sorta di compendio di regole di base per il disegno dei giardini, esce sul mercato internazionale per le Editions Racine nel 1987, ed in Europa acquista velocemente la fama di un vero e proprio vademecum per i creatori di giardini. L’opera originale, comprensiva di un ricco apparato iconografico a documentazione dell’attività professionale di una vita vissuta nel segno dell’Arte dei giardini (sono più di novecento le opere, pubbliche o private, realizzate nel corso della sua vita dal paesaggista belga!2), viene esaurita nel giro di pochi anni. Per colmare quanto prima il vuoto editoriale, in attesa di portare alle stampe una nuova edizione di pregio, ecco uscire nel 1995 la Grammaire des jardins in veste economica, senza tavole a colori e con un testo leggermente ampliato. Senza il corredo iconografico che aveva impreziosito la prima edizione, la seconda Grammaire des jardins, pensata soprattutto per soddisfare un pubblico meno danaroso fatto di studenti e giovani paesaggisti in formazione, riporta un significativo

1 Nato a Ixelles, in Belgio, il 12 febbraio 1908, scomparso nel 2003, René Pechère è stato architetto dei giardini e urbanista. Nella sua preziosa antologia critica di testi sul giardino ed il paesaggio, Jean-Pierre Le Dantec nelle brevi righe di introduzione ad un estratto dalla Grammaire des jardins, definisce Péchère come uno dei rari créateurs che dalla fine della Seconda Guerra mondiale si sono sforzati in Europa a mantenere viva la tradizione storica di un’arte dei “giardini disegnati”, in contrapposizione alle sterili declinazioni dello “spazio verde” dell’urbanistica funzionale. Presidente e fondatore del “Comitato internazionale dei giardini e dei siti storici” (ICOMOS), professore presso l’Ecole nationale d’Architecture et des Arts visuels-La Cambre e presso l’Ecole d’Art américaine de Fontainebleau, è stato per molti anni presidente dell’EFLA (Federazione internazionale europea degli architetti paesaggisti). Nel corso della sua attività professionale ha realizzato più di novecento giardini, tra pubblici e privati, lavorando soprattutto in Belgio, Francia, Svizzera. 2 Per una ampia documentazione sulle opere di Pechère si veda ad esempio il volume Les Jardins de René Pechère, curato da Laurent Grisel ed uscito nel 2002 per AAM Editions.

Page 93: Q2 2005 Volume Tre

89

quanto suadente sottotitolo: segreti del mestiere. In effetti, l’idea è quella di fornire un distillato di buoni consigli derivato da una lunga, appassionata, pratica professionale. Con uno stile semplice e diretto è l’autore stesso a fornire dell’opera la presentazione più efficace. “Il mio mestiere è creare giardini. Pertanto la mia vita professionale è stata molto diversificata: sono stato chiamato a dirigere delle opere pubbliche, a partecipare ad esposizioni universali ed internazionali, a studiare urbanistica, a discutere sul problema degli spazi verdi, infine ad interessarmi ai giardini storici…In effetti, si tratta delle molte sfaccettature di uno stesso mestiere. Il mio proposito qui non è quello di costruire le basi di una teoria e di una pratica dell’Arte dei Giardini, ma piuttosto di svelare qualche << Segreto del mestiere>> meno conosciuto e poco pubblicato fino ad oggi…Questo piccolo volume tenta di rivelare ciò che io credo sia l’essenziale.3” E per meglio aiutare a comprendere il senso di questa essenzialità, a chiusura questa volta della prefazione, Pechère prende in prestito da altri la seguente esortazione che racchiude una sensibilità Zen: Fate poco, ma bene Fate molto poco, ma molto bene Un niente, ma perfetto 4. FARE GIARDINI È UN’ATTIVITÀ POETICA Che si tratti di qualcosa di molto diverso da un contemporaneo manuale tecnico è evidente. Nulla a che vedere con un pratico prontuario per la progettazione del verde urbano: qui non ci sono schede tecniche, non si illustrano tabelle sui colori stagionali delle fioriture e le textures delle piante, non si trovano abachi dei materiali da costruzione e di soluzioni di dettaglio. Quanto al tipo di immagini che accompagnano il testo, il racconto iconico dei segreti del mestiere è affidato a minuti schizzi dal tratto apparentemente ingenuo o infantile ma estremamente efficace per la pulizia, la semplicità, la chiarezza del messaggio enunciato. Infine, nel corso del testo i richiami ed i rimandi alla trattatistica storica sono continui, e nelle considerazioni sul giardino e sull’arte dei giardini risuonano le parole di una tradizione secolare di elaborazione pratica e teorica. Ciò premesso, ben lungi dal risultare come un’opera pretenziosa, passatista e demodè, la Grammaire di Pechére può essere annoverata a buona ragione tra i classici senza tempo delle teorie di un’arte universale quanto antica, quella di creare giardini. Un’arte che in sé comprende tutte le altre, perchè, è buona cosa rammentarlo, come sottolinea il maestro belga, il giardino è al tempo stesso: “Architettura per la sua composizione, Scultura per il modellamento plastico del terreno, Pittura per l’effetto dei colori degli alberi, Musica per i ritmi della sua composizione, E per i riflessi cangianti dei suoi fiori, Poesia, Teatro (décor) e perfino danza.”5 Il nucleo centrale del testo, la Grammaire vera e propria, è preceduto da una quindicina di pagine dense di citazioni storiche, aneddoti personali, e considerazioni teoriche, scritte con convincente enfasi e che si raccolgono a formare un capitolo dal titolo Filosofia del mestiere.

3 RENE PECHERE, Grammaire des Jardins. Secrets de métier, Editions Racine, Bruxelles 1995, pag. 9. 4 Cfr. RENÉ PECHÈRE, op.cit., pag. 11. Traduzione nostra. “ J’ai devant les yeux un conseil de Mgr Dupanloup à un jeune étudiant un peu trop entreprenant: << Faites peu, mais bien Faites très peu, mais très bien Un rien, mais parfait.>>. Je n’aurai d’autre espoir que d’honorer la première proposition dont j’ai fait ma devise.” 5 Cfr. RENE PECHERE, op. cit., pag. 19.

Page 94: Q2 2005 Volume Tre

90

Qui oltre ad essere presentato una specie di manifesto poetico sul giardino, che è (guai a dubitarne!) prima di tutto un’opera d’arte, viene anche detto a chiare note che il percorso formativo di un buon paesaggista passa attraverso i gradi di un lungo, appassionato e lento processo di crescita culturale: occorre coltivare lo studio di molte discipline, e tra le tante non possono essere assolutamente trascurate quelle umanistiche. Perché, per riuscire, il paesaggista deve essere un uomo ben coltivato piuttosto che un erudito6. Il doppio significato del termine coltivato (cultivè) rimanda al gioco ciceroniano sull’uso del termine cultus “che percorre come un leitmotiv gli scritti umanistici, e permette di strutturare la convinzione secondo cui l’educazione non è che una forma più elevata della coltivazione delle risorse naturali”7. Si tratta quindi di un mestiere difficile, “non scientificamente complicato, ma con una infinita gamma di applicazioni”8. Conoscenze tecniche e cultura vanno strettamente unite ad una spiccata sensibilità artistica, a capacità intuitive, al senso del Bello: ecco gli ingredienti nella formazione del paesaggista, che deve essere cosciente di svolgere prima di tutto una pratica con finalità estetiche.

Figura 2. Composizione spaziale e principi di buona visione: uno schizzo di studio del giardino di Vaux-Le-Vicomte. “La maggior parte dei paesaggisti sembra oggi guardare verso altri orizzonti, e, volgendo lo sguardo ben oltre la siepe del giardino, si preoccupa di spazi verdi sociali, di grandi ensembles, di spazi aperti per il tempo libero e lo sport, di lottizzazioni, di progettazione di autostrade, di margini fluviali, di scuole, di cimiteri, e via dicendo. Ma qualunque sia l’orientamento della pratica professionale, il ruolo del paesaggista è, in primo luogo, quello di occuparsi dell’estetica delle piantagioni”9.

6 Cfr. RENE PECHERE, op. cit., pag. 18. “Pour réussir, on le voit bien, le paysagiste doit être plus un homme cultivé qu’un homme érudit”. L’autore poi prosegue: “La vraie culture est, je crois, la transcendance de la vocation, c’est-à-dire prendre dans son métier suffisamment de hauter pour jeter des regards autour de soi, être attentif à ce que font les autres et éviter, avant tout, de sa cantonner dans sa spécialité technique”. 7 TERRY COMITO, Il giardino umanistico, pag. 33, in MONIQUE MOSSER, GEORGE TEYSSOT, L’architettura dei giardini d’Occidente, Electa, Milano 1990, pagg. 33 – 41. 8 Cfr., “non pas scientifiquement compliqué, mais d’une étendue sans fin”. RENE PECHERE, op. cit., pag. 26. 9 Cfr. RENE PECHERE, op. cit., pag. 15.

Page 95: Q2 2005 Volume Tre

91

La memoria lunga di un paesaggista europeo che ha attraversato tutto il Novecento, ci testimonia come le difficoltà del mestiere siano state per molto tempo anche accresciute dallo scarso riconoscimento tributato alla disciplina (Arte dei giardini, prima ancora che Architettura del paesaggio), alla figura professionale ed al suo principale oggetto di creazione, il giardino appunto. Le parole dell’autore, scritte già in occasione della prima edizione dell’opera, fanno risuonare l’eco del dibattito culturale sulla presunta scomparsa del giardino come luogo pubblico dai processi di trasformazione delle città europee a partire dal secondo dopoguerra. “Non mi sono mai pentito di aver dato delle spiegazioni sulla figura dell’architetto dei giardini (n.d.a. il corsivo è dell’autrice) ogni volta che mi sono trovato davanti un orecchio attento. Anche quando poteva trattarsi di un orecchio ministeriale. Questo faceva anche parte delle mie responsabilità come “Consulente per gli Spazi Verdi” per i differenti Ministri ai Lavori Pubblici, a cui ero solito ricordare che <<esistono anche dei giardini>>”10.

Figura 3. 1958: René Pechère sul cantiere dell’Esposizione Universale e Internazionale di Bruxelles.

La conoscenza dell’Arte dei Giardini, come disciplina storica da cui recuperare un repertorio di regole, valori tecniche, viene indicata in ogni caso come base di ogni progetto di paesaggio e di “spazio verde". “E’ pericoloso creare una separazione, ponendo da una parte gli specialisti del giardino e dall’altra quelli del paesaggio, perché la conoscenza dell’arte dei giardini, della sua storia, della sua tecnica costituisce ciò che ho sempre chiamato la grammatica dell’architetto dei giardini”11. Proprio così, una grammatica, perché come tutte le arti, ed anche come tutte le discipline scientifiche, l’Arte dei Giardini non ha solo un suo vocabolario, ma è un linguaggio e come tale presenta delle regole di base precise, che occorre conoscere bene: solo così è possibile variarle e declinarle all’infinito. Lo studio di una poderosa letteratura storica ci può aiutare a costruire un patrimonio di buone regole, di principi di progettazione e di disegno di parchi e giardini. L’autore, da paesaggista colto e attento conoscitore della storia dell’Arte dei Giardini, consiglia di riprendere a leggere i trattati storici. E ne suggerisce alcuni: tra i francesi, la celeberrima opera Settecentesca di Antoine Dezallier d’Argentville La Théorie et la Pratique du Jardinage12, anche più volte richiamata nel corso

10 Cfr. RENE PECHERE, op. cit., pag. 27. 11 Cfr. RENE PECHERE, op. cit., pag. 16. 12 Vedi ANTOINE DEZALLIER D’ARGENTVILLE, ALEXANDRE LEBLOND, La Théorie et la Pratique du Jardinage, où l’on traite à fond des beaux jardins appelés communément les jardins de plaisance e de propreté, prima edizione

Page 96: Q2 2005 Volume Tre

92

del testo, e poi, Adolphe Alphand13 e l’André14 per l’Ottocento, Jules Vacherot15 ed i Duchêne per il Novecento. Tra gli inglesi viene citato Thomas Mawson16. Per sgombrare il campo da inutili equivoci sui contenuti e gli obiettivi della sua opera, Pechère chiarisce che nella Grammaire intende parlare solo di alcune di quelle regole di composizione, utili nel disegno e nella costruzione di un giardino, da lui “scoperte” direttamente o semplicemente applicate per averle apprese da altri, ma comunque sempre legate a sperimentazioni personali svolte sul campo in tanti anni di scrupolosa e felice pratica professionale. Si tratta solo di un piccolo contributo, si precipita a precisare l’autore fin dalle prime pagine, ma di un contributo che offre qualcosa, i piccoli segreti del mestiere appunto, di cui sono sprovvisti la maggior parte dei manuali e dei libri contemporanei sulla progettazione dei giardini. Per Pechère le sue regole sono come i buoni consigli di bottega di un artigiano, sono apparentate con le ricette speciali di cucina tramandate con saputa aura di mistero da madre in figlia, con le regole base di buona educazione. Con una avvertenza: non solo non bisogna esserne schiavi, ma occorre avere la consapevolezza che la conoscenza e l’applicazione delle regole non ha mai fatto di per sé un buon artigiano, un buon cuoco, e tanto meno una persona veramente gentile e ben educata. “Direi che chi è gentile lo è perché fa d’istinto ciò che fa nel momento in cui lo fa.(…) Occorre aver appreso le regole della propria specialità, assicurarsi insomma la propria base di partenza, per poi potersi muovere verso nuovi orizzonti”17. Un modo di argomentare che oggi può apparire venato da un timbro salottiero, a tratti addirittura vagamente reazionario; il concetto chiave espresso, poi, non è proprio originale. Ma il tutto è presentato con una tale sentita e sincera convinzione, da farcelo accogliere soprattutto come il consiglio appassionato e autentico di un autentico e appassionato gentiluomo dell’Arte dei Giardini del Novecento. Parigi 1709, quarta edizione ampliata 1747. Edizione Minkoff in stampa anastatica del 1972. Si tratta del primo trattato che affronta l’arte dei giardini nel suo complesso, affrontando in forma sistematica gli aspetti di composizione architettonica, gli aspetti agronomici e di coltivazione, quelli tecnico-idraulici (aggiunti nell’edizione del 1747 che si compone di quattro volumi). Prodotto del gusto e della cultura settecentesca francese, secondo Le-Dantec (2003) costituisce la sintesi dello spirito classico in materia di arte dei giardini e segna l’inizio del rococò. Per la precisione e la completezza dei temi trattati il libro venne tradotto in tutta Europa, fino ad essere riconosciuto come una sorta di bibbia del giardino alla francese. E’ anche il primo trattato a raccomandare l’uso dello Ha-Ha, il fossato che rese possibile l’invenzione del giardino-paesaggio in Inghilterra, come un ben congeniato trucco dell’arte dei giardini. 13 Vedi ADOLPHE ALPHAND, Les Promenades de Paris, Pargi, 1867 – 1873. 14 Vedi ÉDOARD-FRANCOIS ANDRÉ, L’Art des jardins. Traité général de la composition des parcs et jardins, Paris, 1879. Considerato uno dei più celebri giardinieri – paesaggisti della seconda metà del XIX secolo, André, di formazione agronomo, lavorò in tutta Europa, ma il suo nome è soprattutto legato agli interventi di trasformazione nella Parigi di Haussman a cui partecipò in maniera incisiva, essendo entrato a far parte dell’équipe diretta da Barillet-Deschamps per conto di Alphand. Il suo lavoro venne apprezzato a tal punto da permettergli di succedere a Barillet nella direzione dei lavori, in seguito alla partenza di quest’ultimo. Nel 1890 fu titolare della prima cattedra di paesaggismo, appositamente creata per lui presso l’Ecole de Orticulture de Versailles. Il suo manuale rappresenta la celebrazione dello stile del giardino paesaggista portato al suo apice in Francia da Barillet-Deschamp: l’opera ha costituito per molti decenni l’indiscusso riferimento per la formazione di molti giardinieri e paesaggisti francesi. 15 Vedi JULES VACHEROT, Les Parcs et jardins au commencement du XX siècle, Parigi, 1908. Giardiniere capo della Ville de Paris in occasione della Esposizione universale di Parigi del 1900, Vacherot è stato uno dei principali promotori del cosiddetto “stile misto o dell’invenzione” in cui l’inventiva e la creatività dell’artista-giardiniere possono fare ricorso alla composizione in libera associazione di forme geometriche e forme “naturali”. Progettista dei giardini della Tour Eiffel e del Trocadero, compone un testo che associa i temi del saggio storico, in cui vengono enfatizzate le opere di Le Notre e Barillet-Deschamps, ad un trattato teorico-pratico ricco di disegni e tavole di illustrazione di progetti. 16 Di THOMAS MAWSON si veda Art and Kraft of Garden making. Brillante esponente della progettazione paesistica nell’Inghilterra della fine dell’Ottocento – primi Novecento, Mawson (1861 – 1933), si pone in continuità con progettisti come Paxton ed Alphand, che nel XIX secolo avevano dato un fondamentale impulso al rinnovamento della tradizione paesaggistica applicandone principi e regole nei programmi di rinnovamento urbano. Mawson teorizza la costruzione del verde come precisa espressione di arte civica ed espone il suo pensiero nel volume Civic art. Studies in town planning parks boulevards and open spaces, uscito nel 1911. Cfr. FRANCO PANZINI, Per i piaceri del popolo, Zanichelli, Bologna 1993, pagg. 273-275. 17 Cfr. RENE PECHERE, op. cit., pag. 37.

Page 97: Q2 2005 Volume Tre

93

Dal fondo del libro lo sguardo fermo del volto serenamente rugoso dell’autore ne dà conferma. POCO, MA BENE Al cuore del testo, quello contenente i primissimi segreti, si giunge dopo aver superato una piacevole e ricca lettura preparatoria: una sorta di lunga anticamera letteraria allestita con le avvertenze al lettore, la prefazione, il capitolo sulla Filosofia del Mestiere, e infine le due pagine di introduzione alla Grammaire des jardins vera e propria. Le varie sezioni tematiche non vengono scandite da numerazioni per capitoli e paragrafi, secondo la strutturazione sistematica tipica di opere scientifiche o più in generale a carattere teorico divulgativo. Anche nella composizione, come nello stile poetico ma semplice della scrittura, la Grammaire sceglie il carattere intimo e colloquiale del racconto, piuttosto che quello più autorevole e freddo del manuale. I segreti del mestiere si raggrumano in tre principali nuclei relativi ad altrettanti temi di progettazione e composizione dei giardini: Le cheminement de l’œuvre jardin, Les corrections optiques ou <<il faut que l’œil soit satisfait>>, Les éléments d’architecture (e cioè: I percorsi dell’opera giardino, Le correzioni ottiche o <<bisogna che l’occhio sia soddisfatto>>, Gli elementi di architettura). Si può dire che per illustrare l’essenza della prima buona regola di base relativa al primo tema, quello sul disegno dei percorsi del giardino, Pechère abbia utilizzato tutta la parte iniziale del suo libro, con la costruzione di quel preciso percorso di lettura di cui sopra. Un segreto della composizione dei giardini, come ci insegnano bene i disegni e le realizzazioni dei giardini storici qualunque sia lo stile, il gusto o il modello di riferimento, è di fare attenzione a garantire sempre effetti di sorpresa, mettendo in relazione vari punti di attrazione visiva e di interesse, funzionale o estetico, e ritardando il piacere di beneficiarne per accrescere il senso di appagamento una volta che li si è raggiunti18. Il disegno dei percorsi costituisce l’ossatura del progetto, ma soprattutto garantisce la circolazione, il passaggio da una parte all’altra del giardino e quindi lo scambio di relazioni umane al suo interno. “Che si tratti di una casa, di un giardino o di un progetto urbano, i rapporti umani vengono per primi e devono esser risolti con chiarezza. Soprattutto per i parchi pubblici: obbligare le persone che passeggiano o camminano a fare dei gran giri con la scusa di inserire aiuole fiorite o a prato è un’illusione; è l’aiuola che finisce per essere attraversata, calpestata, poi rasa al suolo per fare posto alla logica della circolazione”19. Altrove questa legge non scritta della buona circolazione, che porta con la pratica ad alterare tracciati mal progettati o ingenuamente disegnati, è stata definita con la secca ed icastica espressione di vendetta del pedone. La parte dedicata al tema delle correzioni ottiche e delle regole della buona visione introduce ad un altro segreto: la buona composizione dei giardini è tutta una questione di effetti di illusione spaziale e di messa in atto di trucchi visivi. E’ la giusta chiave di interpretazione per concepire uno spazio poetico in cui dar sfogo al libero gioco dell’immaginazione. Nell’illustrare la scoperta del segreto con l’uso consueto degli aneddoti personali, Pechére racconta di quando, all’inizio della sua carriera, ad un incontro a Parigi con Achille Duchêne, dopo aver sottoposto al famoso architetto dei giardini francese la soluzione per un progetto di giardino privato, si sentì dire: “Cher ami, vous etes sauvé, vous avez compris. Tout le métier est un affaire d’apparence et d’escamotage”20. Ciò appurato, diventano strumenti del mestiere i tanti efficaci trucchi per effettuare correzioni in piano ed in alzato di figure ed elementi spaziali del giardino, basandosi sulle

18 Cfr. RENE PECHERE, op. cit., pag. 46. 19 Cfr. RENE PECHERE, op. cit., pag. 43. 20 “ Caro amico, siete salvo, avete capito. Tutto il nostro mestiere è una questione di apparenza ed escamotage!”.

Page 98: Q2 2005 Volume Tre

94

leggi della visione e della prospettiva. Corredati dai semplici schizzi a mano libera, ecco sfilare i suggerimenti su come ottenere una prospettiva gradevole e la giusta profondità di un piano di forma rettangolare (un bacino d’acqua o un prato ad esempio), su come tracciare un disegno armonioso di percorsi curvilinei, come risolvere prospettive assiali, come comporre le piantagioni lungo i viali a seconda dell’effetto desiderato, e così via. Ci assicura Pechère che la validità e l’efficacia di ogni trucco, di ogni escamotage applicato sono comprovate dalla progressiva migliore riuscita dei suoi progetti ma anche attraverso lo studio dei giardini dei maestri, da Le Nôtre, anzi Le Nostre21, ad André, a Duchêne. “Ho molto osservato e molto misurato, dall’inizio della mia carriera fino ancora ad oggi. All’origine era una necessità; adesso è diventato un gioco: raccogliere gli esempi a conferma delle regole, spesso trovati nei classici e i cui dati risultano sempre validi per le composizioni moderne. Certe leggi sono valide in eterno”22. Ed è sempre studiando,osservando, misurando che Pechère mette a punto la sua regola dei 22 gradi di visione di un paesaggio. Ventidue gradi viene indicata come misura di riferimento per calcolare l’angolo visuale sufficiente allo sguardo umano per raccogliere una buona veduta. Per meglio spiegare il senso ed il valore di questo segreto, vale la pena fornire la libera traduzione del racconto dell’autore. “Quello che cercavo, era una media, un angolo relativo che fosse di supporto alle mie ricerche, un’indicazione approssimativa, convalidata dall’esperienza. Mi sono messo alla prova. Procedendo, tornando sui miei passi. Ho finito per adottare una via di mezzo tra i 20 ed i 25°, che faceva 22 ½ e per fare pari, mi decisi per 22°. Per facilitare la pratica, cercai un modo che mi evitasse di usare strumenti. Il nostro corpo è capace di fornirci misure di valutazioni precise. Le Corbusier ha ben spiegato che l’ombelico si trova ad una altezza media di 93 cm….Ho cercato dunque come poter stimare i 22° con le mani. Alla fine ho adottato la soluzione che segue:

L’estate seguente, con i miei studenti americani, trovandomi a Vaux-le-Vicomte, fui impaziente di fare la prova. Il risultato mi diede la conferma. A braccia tese, constatai che Le Nostre aveva previsto 22° tra i primi grandi platani dell’ultima salita verde che porta all’Ercole. Ho annoiato tutti con questa storia, ma ho avuto qualche risultato. Per i marinai, il pugno era una misura di riferimento, mi hanno assicurato. I tedeschi lo chiamavano Fustregel, in fiammingo Vuistregel, e rappresentava un 11,5% (quindi x 2 = 23°). Un altro mi ha spiegato che l’angolo di rotazione per un aereo era di 22° ed un esperto di prospettiva architettonica mi ha assicurato che l’angolo di 22° era considerato ottimale per il disegno prospettico.

21 Ci tiene a spiegare, Pechére, che Le Nostre firmava il suo cognome con una s. Con il pretesto dell’equivoco del pronome possessivo si è finito per sostituire la s con un accento circonflesso, e si è scritto dall’inizio del Novecento soltanto Le Nôtre. E poi dichiara: “Io mi attengo alla raccomandazione di Ernest de Ganay che ha scritto un libro sul grande giardiniere André Le Nostre”. Cfr. RENÉ PECHÉRE, op. cit., pag. 22, nota 1 a pié di pagina. 22 Cfr. RENÉ PECHÉRE, op. cit., pag. 49.

Page 99: Q2 2005 Volume Tre

95

Durante un viaggio in India, nel 1984, ho teso le braccia per misurare l’ampiezza della tomba d’Akbar: 22°! Il funzionario indiano che mi accompagnava restò sbalordito. Gli spiegai le ragioni di questa misurazione, e lui mi rispose che <<gli architetti islamici conoscevano questo angolo armonioso: 27,5°>>. Si è sbagliato di numero? Io ho ancora di che divertirmi sfogliando magari le memorie di Jahangir. Nell’attesa, conservo i miei 22°!”23. L’entusiasmo e la testarda caparbia curiosità di Pechére nell’indagare e determinare la sua personale regola dei 22 gradi di visione di un paesaggio sono da leggersi nel segno delle lecite fissazioni di un vero maestro dell’Arte dei Giardini.

Figura 4. Alcuni trucchi di disegno per correggere effetti prospettici poco soddisfacenti.

Se andiamo a leggere ad esempio il trattato di Èdouard André, troviamo riportate nel Capitolo VI, dedicato ai Principi generali della composizione dei giardini, le seguenti considerazioni: “Le leggi dell’ottica o della visione hanno applicazione costante nell’arte dei giardini, ed è necessario esaminare in quali principali circostanze devono essere considerate (…) Ho ripreso l’esperienza di Repton, su cui ho improntato vari momenti di questo capitolo, sull’angolo di visione ottenuto con il solo movimento degli occhi, tenendo la testa immobile”. Dopo una serie di ragionamenti ed esempi, André fissa “nei 30 gradi circa l’angolo formato al di sotto della linea dell’orizzonte per percepire un oggetto nella pienezza delle sue proporzioni e di conseguenza per calcolare approssimativamente la distanza di un oggetto da uno spettatore, sapendo che una linea abbassata dalla sommità dell’oggetto di cui l’altezza è nota forma con l’asse ottico un angolo di 30 gradi”24.

23 Cfr. RENE PECHERE, op. cit., pag. 79. 24 Estratto riportato in JEAN-PIERRE LE DANTEC, Jardins et paysage: une antologie, Editions de la Villette, Paris 2003, pag. 312.

Page 100: Q2 2005 Volume Tre

96

Figura 5. Alcuni schizzi che illustrano i principali accorgimenti da adottare nel disegno degli spazi per attenuare

gli effetti deformanti della prospettiva.

La stretta linea di discendenza tra la Grammaire ed i classici dell’arte dei giardini viene rimarcata anche nella terza parte, Elementi di architettura dove vengono snocciolati continui richiami alla trattatistica storica e chiaramente alle opere di Le Nostre: Versailles e Vaux-le-Vicomte, che insieme formano la vera bibbia del giardino classico. Rapporto tra edificio e giardino, inserimento di elementi scultorei e di arredi, dimensionamenti ideali per la realizzazione di scale e percorsi, costruzione di terrasses e patii, studio delle ombre e dell’illuminazione: con la consueta vivace semplicità arrivano altri segreti. Ricordarsi che lo spazio aperto mangia gli oggetti, che la vegetazione invece può mangiare la luce, che l’acqua in un giardino privato e di piccole dimensioni deve preferibilmente creare un sereno mormorio, mentre in un parco pubblico è apprezzato soprattutto il rumore festoso di una grande fontana a getti d’acqua, e così via. Un messaggio pare sempre leggibile in filigrana: realizzare per credere. Tenendo presente che chi ha la fortuna di fare il mestiere di paesaggista/architetto dei giardini, come l’artista, potrà svolgere la professione, migliorandosi, fino ad un’età molto avanzata. Abbiamo cominciato a parlare del libro partendo dal fondo del volume, pare giusto concluderne la presentazione con la citazione della frase inserita nelle primissime pagine della Grammatica, un giardino di parole che possiamo ormai riconoscere come una delle più autentiche espressioni della personale (severamente gioiosa) poetica di Pechère: “Ami le jardin est temple et message il est rythme et forme dans le frémissent de la vie”. SCHEDA DI PRESENTAZIONE DELL’OPERA RENÉ PECHÈRE, Grammaire des Jardins. Secrets de métier, Bruxelles 1995. Editore: Editions Racine. Pagine:137. Veste editoriale: Edizione economica, disegni e schizzi dell’autore in B/N, una fotografia B/N. Indice Avertissement Avant – Propos Philosophie du métier

Page 101: Q2 2005 Volume Tre

97

Grammaire des jardins Introduction Le cheminement de l’oeuvre jardin Les corrections optiques ou <<Il faut que l’oeil soit satisfait>> Les elements d’architecture

Postface Index des nomes Index des lieux RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI COMITO TERRY, Il giardino umanistico, in MONIQUE MOSSER, GEORGE TEYSSOT, L’architettura dei giardini d’Occidente, Electa, Milano 1990, pagg. 33 – 41. DEZALLIER D’ARGENTVILLE ANTOINE, 1709) La Théorie et la Pratique du Jardinage, où l’on traite à fond des beaux jardins appelés communément les jardins de plaisance e de propreté, Actes Sud ENSP, 2003 Parigi. GRISEL LAURENT, Les Jardins de René Pechère, AAM Editions, Bruxelles 2002. HILL PENELOPE, Jardins d’aujourd’oui en Europe. Entre art et architecture, Fonds Mercator, Paris 2002. JELLICOE GEOFFREY & SUSAN, The Oxford Companion to Gardens, Oxford University Press, Oxford 1986. LE DANTEC JEAN-PIERRE, Jardins et paysage: une antologie, Editions de la Villette, Paris 2003. PANZINI FRANCO, Per i piaceri del popolo, Zanichelli, Bologna 1993. RIFERIMENTI ICONOGRAFICI Figure 1, 2, 4, 5: tratte da RENE PECHERE, Grammaire des Jardins. Secrets de métier. Bruxelles,1995, pagg. 143, 63, 48, 50. Figura 3: tratta da LAURENT GRISEL, Les Jardins de René Pechère, AAM Editions, Bruxelles 2002, pag. 17. Tutte le citazioni tradotte dal francese sono a cura dell’autrice. Testo acquisito nel mese di marzo 2006. © Copyright dell’autore. Ne è consentito l’uso purché sia correttamente citata la fonte.

Page 102: Q2 2005 Volume Tre

98

Quaderni della Ri-Vista Ricerche per la progettazione del paesaggio ISSN 1824-3541 Università degli Studi di Firenze Dottorato di ricerca in Progettazione Paesistica http://www.unifi.it/drprogettazionepaesistica/

Firenze University Press anno 2 - numero 2 - volume 3 - settembre-dicembre 2005 sezione: Seminari di studio pagg. 98-111

INGEGNERIA NATURALISTICA E PAESAGGIO: PRINCIPI, METODI, CASI-STUDIO Michele Ercolini* Summary In the initial part of the seminar, conducted by the engineer Maurizio Bacci, have been introduced, synthetically, the aspects base of the naturalistic engineering (origins, definitions, finality, et cetera); the second part, has had instead, as fears central a reflection on the concept of rinaturazione; in the third section, naturalistic engineering has been put then to comparison with some inherent aspects to the theme landscape, with particular reference to the risk environmental cosmetic; the fourth grade and last part, have concerned finally an analysis and a reading detailed of interventions of naturalistic engineering realized along some national and international courses of water. Key-words Naturalistic engineering, river, landscape, rinaturazione, environmental cosmetic, infrastructures, defended hydraulic. Abstract Nella parte iniziale del seminario, condotto dall’ingegner Maurizio Bacci, sono stati presentati, sinteticamente, gli aspetti base dell’ingegneria naturalistica (origini, definizioni, finalità, eccetera); la seconda parte, invece, ha avuto come tema centrale una riflessione sul concetto di “rinaturazione”; nella terza sezione, l’ingegneria naturalistica è stata poi messa a confronto con alcuni aspetti inerenti al “tema paesaggio”, con particolare riferimento al rischio “cosmesi ambientale”; la quarta ed ultima parte, infine, ha riguardato un’analisi e una lettura dettagliata di interventi di ingegneria naturalistica realizzati lungo alcuni corsi d’acqua nazionali ed internazionali. Parole chiave Ingegneria naturalistica, fiume, paesaggio, rinaturazione, “cosmesi ambientale”, infrastrutture, difesa idraulica. * Dottore di Ricerca in Progettazione paesistica, Università degli Studi di Firenze.

Page 103: Q2 2005 Volume Tre

99

INGEGNERIA NATURALISTICA: INQUADRAMENTO GENERALE1 Origini L’ingegneria naturalistica è una tecnica molto antica: già ai tempi dei romani, infatti, le piante, vive o morte, venivano utilizzate per garantire un’adeguata protezione alle sponde dei fiumi. In quest’ottica dunque, essa rappresenta “il recupero e l’affinamento di concetti e tecniche costruttive in uso fin da tempi remoti in tutte le realtà rurali e forestali, dove una secolare osservazione della natura aveva suggerito la possibilità di usare come materiali da costruzione gli unici disponibili e praticamente utilizzabili, e cioè quelli reperiti direttamente sul posto: legname, piante e pietrame”2. Una tecnica molto antica, dicevamo, le cui testimonianze meglio documentate risalgono, in particolare, al Rinascimento, grazie soprattutto alla figura di Leonardo da Vinci che nei suoi numerosi studi si occupò, spesso, di interventi che possono oggi essere definiti di ingegneria naturalistica3. Figura 1. “Manuale” di ingegneria naturalistica redatto nel 1847. Le prime dettagliate descrizioni dei fondamenti tecnici, dei particolari costruttivi e delle finalità di molte tipologie di intervento (oggi classificate come “naturalistiche” e divenute negli anni le basi della disciplina) vengono però redatte solo a partire dalla metà dell’Ottocento. In Italia (dove il termine verrà adottato nel 1990 in sostituzione di “bioingegneria”) i primi manuali sono stati pubblicati dalla casa editrice Hoepli attorno agli anni Trenta del secolo scorso. L’ingegneria naturalistica è diventata, quindi, una disciplina tecnico-scientifica solo da poco decenni grazie, soprattutto, ai contributi scientifici di Hugo Meinhard Schiechtl e Roland Stern.

1 Il presente documento è stato redatto citando e rielaborando stralci dell’intervento svolto dall’ing. Maurizio Bacci ed organizzato dal dott. Michele Ercolini e dalla dott.ssa Emanuela Morelli il 15 dicembre 2003 presso il Dipartimento di Urbanistica e Pianificazione del Territorio - Università degli Studi di Firenze. Ulteriori integrazioni sono state tratte dal documento di presentazione del seminario elaborato dal dott. Michele Ercolini e distribuito a tutti i partecipanti. 2 FRANCESCO SORBETTI GUERRI, PAOLO BATTELLI, ELENA CRESCI, Tipologie e metodologie costruttive idonee a realizzare un adeguato inserimento ambientale, in PAOLO FRANCALACCI, ATTILIA PEANO (a cura di), “Parchi, Piani, Progetti. Ricchezza di risorse, integrazione di conoscenze, pluralità di politiche”, G. Giappichelli, Torino 2002, pag. 399. 3 Da segnalare, ad esempio, alcuni schizzi riportati nel “Codice Leicester” che mostrano sbarramenti di un fiume realizzati conficcando alberi nel letto e ricoprendoli poi di terra.

Page 104: Q2 2005 Volume Tre

100

Figura 2. Locandina del seminario. Essa studia, basandosi su conoscenze biologiche, le modalità con cui poter utilizzare materiale “vivo” (semi, piante, parti di piante, porzioni di vegetazione) in associazione con materiali “non viventi” (pietrame, terra, legname, eccetera) nella progettazione delle infrastrutture da inserire nel paesaggio, inserimento però, è bene sottolinearlo, da intendere non come “mistificazione” ma come dialogo tra opera e paesaggio. L’ingegneria naturalistica, pertanto, deve essere intesa non come tecnica “al servizio” di teorie per lo più superate o controproducenti (vedi l’uso distorto che porta all’effetto “cosmesi”), ma quale strumento utile per riconferire un sufficiente grado di naturalità al sistema ambientale, nonché per ridurre le alterazioni (il più delle volte inevitabili) prodotte dal processo di trasformazione, del territorio e del paesaggio, conseguente al verificarsi di una specifica esigenza (di difesa idraulica, eccetera). Definizioni4 Nel 1951, il professor Kruedener definiva così l’ingegneria naturalistica: “Una tecnica costruttiva ingegneristica che si avvale di conoscenze biologiche nell’eseguire costruzioni in terra ed idrauliche e nel consolidare versanti e sponde instabili.

4 Sono impiegati i termini: “Ingegneria”, in quanto si utilizzano dati tecnici e scientifici a fini costruttivi, di consolidamento ed antierosivi; “Naturalistica”, in quanto tali funzioni sono legate ad organismi viventi, in prevalenza piante di specie autoctone, con finalità di ricostruzione d’ecosistemi naturaliformi e all’aumento della biodiversità.

Page 105: Q2 2005 Volume Tre

101

Figura 3. Ingegneria naturalistica: sistema degli interventi (nelle costruzioni e nella modellazione del paesaggio). Per questo scopo è tipico l’impiego di piante e di parti di piante messe a dimora in modo tale da raggiungere nel corso del loro sviluppo, sia da sole, come materiale da costruzione vivo, sia in unione con materiale da costruzione inerte, un consolidamento duraturo delle opere”5. Già in questa prima definizione ritroviamo alcuni concetti-chiave (una “tecnica” che si occupa di “costruzioni in terra ed idrauliche”, con l’“impiego di piante” e di “materiale da costruzione inerte”, finalizzate ad azioni di “consolidamento”) che diverranno, negli anni successivi, gli elementi cardine della sua diffusione e del suo successo. Quarant’anni più tardi, nel 1991, Schiechtl parla dell’ingegneria naturalistica come di una “disciplina tecnico-scientifica che studia le modalità di utilizzo, come materiale da costruzione, di piante viventi, di parti di piante o addirittura di intere biocenosi vegetali, spesso in unione con materiali non viventi come pietrame, terra, legname, acciaio”6. Finalità Grazie all’utilizzo delle tecniche di ingegneria naturalistica, che accelerano i processi naturali in atto, si possono soddisfare un insieme di finalità così sintetizzabili:

- tecnico-funzionali, per esempio antierosive e di consolidamento di una scarpata stradale o di una sponda fluviale;

- naturalistiche, in quanto non semplice copertura a verde ma ricostruzione o innesco di ecosistemi paranaturali mediante impiego di specie autoctone;

- paesaggistiche, di “ricucitura” al paesaggio naturale circostante; - economiche, relative al beneficio sociale indotto alla gestione economica delle

risorse naturali e al risparmio ottenibile, rispetto alle tecniche tradizionali, sui costi di costruzione e di manutenzione di alcune opere7.

“Grazie alle soluzioni che impiegano tecniche di ingegneria naturalistica - afferma Maurizio Bacci - in molti casi si possono soddisfare, contemporaneamente, diversi obiettivi normalmente fra loro conflittuali. In particolare: la difesa idraulica, la minimizzazione dell’impatto ambientale, la riqualificazione dell’ecosistema, il miglioramento della fruizione, il miglioramento del paesaggio. In sostanza queste tecniche aiutano brillantemente a trovare la soluzione migliore nell’ambito di un’analisi di tipo multicriterio delle alternative di intervento”8.

5 HUGO MEINHARD SCHIECHTL, ROLAND STERN, Ingegneria naturalistica. Manuale delle opere in terra, Edizioni Castaldi, Feltre 1992, pag. 5. 6 HUGO MEINHARD SCHIECHTL in FRANCESCO SORBETTI GUERRI, PAOLO BATTELLI, ELENA CRESCI, Tipologie e metodologie costruttive idonee a realizzare un adeguato inserimento ambientale, PAOLO FRANCALACCI, ATTILIA PEANO (a cura di), op. cit., Torino 2002, pagg. 398-399. 7 Tutto ciò si verifica quando l’intero processo è a regime, ovvero è funzionante e collaudato e i diversi attori coinvolti, sia pubblici che privati, compiono correttamente le rispettive funzioni. 8 MAURIZIO BACCI, SIMONA BARDI, ANDREA DIGNANI (a cura di), Manuale di metodologie e tecniche a basso impatto in materia di difesa del suolo. Studio di nuove metodologie ambientali in materia di difesa del suolo e miglioramento ambientale. Proposta per l’attuazione di interventi pilota-Legge N. 61/98, allegato rivista “Attenzione”, 10, Roma 2000, pag. 12.

Page 106: Q2 2005 Volume Tre

102

Figura 4. Ingegneria naturalistica: ambiti di intervento e obiettivi. Ambiti d’applicazione L’impiego delle tecniche di ingegneria naturalistica è esteso su più fronti: i campi di applicazione, infatti, sono vari e spaziano dai problemi classici di erosione dei versanti, delle frane, delle sistemazioni idrauliche in zona montana, a quelli del reinserimento ambientale delle infrastrutture viarie e idrauliche, delle cave e discariche, delle sponde dei corsi d’acqua, dei consolidamenti costieri, a quelli dei semplici interventi di ricostruzione di elementi delle reti ecologiche. Nello specifico, tali tecniche possono essere applicate ai seguenti settori:

- tutela del suolo: sistemazione di frane, consolidamento, bonifica e riqualificazione ecologica di versanti naturali soggetti a dissesti idrogeologici;

- sistemazioni idrauliche spondali: consolidamento e riqualificazione ecologica di sponde di corsi d’acqua, laghi ed invasi; di sponde soggette ad erosione; costruzione di briglie e pennelli; creazione di rampe di risalita per l’ittiofauna; realizzazione di ambienti idonei alla sosta ed alla riproduzione degli animali;

- sistemazione di porti, coste, stabilizzazione di dune costiere; consolidamento dei litorali soggetti ad erosione e assestamento delle dune;

- progettazione di opere di mitigazione ed esecuzione di sistemazioni temporanee o permanenti di aree di cantiere;

- consolidamento e stabilizzazione delle scarpate in ambito stradale e ferroviario; - riqualificazione ecologica di rilevati e trincee delle infrastrutture; - realizzazione di barriere e rilevati vegetali antirumore, fasce di vegetazione tampone:

messa in opera di barriere visive e mascheramenti vegetali; messa in opera di barriere antirumore mediante rilevati rinverditi; messa in opera di barriere vegetali per combattere la diffusione di polveri;

- ricostruzione di habitat, consolidamento e riqualificazione ecologica di versanti denudati derivanti da azioni di progetti infrastrutturali;

- realizzazione di nuove unità ecosistemiche in grado di aumentare la biodiversità locale o territoriale e/o di offrire fruizioni di tipo naturalistico;

- realizzazione di nuove strutture ambientali in grado di garantire la permanenza e la mobilità della fauna protetta (ad esempio, scale di risalita per pesci, sovrappassi o sottopassi per fauna, recinzioni);

- interventi di riqualificazione di aree destinate a interporti, centrali elettriche, insediamenti industriali;

- ripristino di cave e discariche: consolidamento e riqualificazione ecologica dei fronti di cava e delle discariche9.

9 Provincia di Terni, Manuale di Ingegneria naturalistica, Terni 2003, pag. 22. Documento disponibile sul sito internet dell’Amministrazione Provinciale di Terni http://www.provincia.terni.it/urbanistica/ptcp/Manu_Ing.htm

Page 107: Q2 2005 Volume Tre

103

Figura 5. Un “buon esempio” (Svizzera, Cantone Baselland, Località Oberwil, 1991-1992). Interventi di ingegneria naturalistica / interventi con tecniche tradizionali Ciò che principalmente contraddistingue l’intervento di ingegneria naturalistica da quello tradizionale si può riassumere nei seguenti punti:

- l’esame delle caratteristiche topoclimatiche e microclimatiche di ogni superficie di intervento;

- l’analisi del substrato pedologico con riferimento alle caratteristiche chimiche, fisiche ed idrologiche del suolo in funzione degli additivi e correttivi da impiegare;

- l’esame delle caratteristiche geomorfologiche e geotecniche; - le verifiche idrauliche, geomeccaniche e geotecniche; - la valutazione delle possibili interferenze reciproche con l’infrastruttura; - la base conoscitiva, floristica e fitosociologica con particolare riferimento alle serie

dinamiche degli ecosistemi interessati per l’efficace sfruttamento delle caratteristiche biotiche di ogni singola specie;

- l’utilizzo degli inerti tradizionali ma anche di materiali di nuova concezione quali le georeti tridimensionali e i geotessuti sintetici in abbinamento a piante o parti di esse;

- l’accurata selezione delle specie vegetali da impiegare con particolare riferimento a: miscele di sementi di specie erbacee, specie arbustive ed arboree da vivaio, talee, trapianto di zolle erbose, utilizzo di stoloni o rizomi;

- l’abbinamento della funzione di consolidamento con quella di reinserimento ambientale e naturalistico;

- il miglioramento nel tempo delle due funzioni sopra citate a seguito dello sviluppo delle parti aeree e sotterranee delle piante impiegate10.

Nello specifico si segnala come, a “livello culturale”, l’ingegneria naturalistica abbia riscosso apprezzamenti superiori ad ogni aspettativa segno sia della raggiunta consapevolezza dell’entità dell’impatto ambientale dei metodi dell’ingegneria tradizionale sia della rapida maturazione (se non nelle amministrazioni pubbliche, almeno nella società) di una nuova sensibilità nei confronti della tutela dell’ambiente e del paesaggio. Tuttavia, per non cadere in facili illusioni e per evitare di screditare questa promettente disciplina, è quanto mai opportuno avere chiaro l’ambito della sua corretta applicazione e mettere in guardia i professionisti sui rischi, incombenti, derivanti da un suo uso “distorto”. INGEGNERIA NATURALISTICA E RINATURAZIONE Rinaturazione La rinaturazione è qui intesa “come l’insieme degli interventi e delle azioni atte a ripristinare le caratteristiche ambientali e la funzionalità ecologica di un ecosistema in relazione alle sue

10 Da sito AIPIN – Associazione Italiana Per l’Ingegneria Naturalistica - www.aipin.it.

Page 108: Q2 2005 Volume Tre

104

condizioni potenziali, determinate dalla sua ubicazione geografica, dal clima, dalle caratteristiche geologiche e geomorfologiche del sito e dalla sua storia naturale pregressa”11. Nel campo della pianificazione a scala territoriale il termine “rinaturazione” compare nell’articolo n. 13 “Interventi di rinaturazione” delle Norme di attuazione del Piano Stralcio delle Fasce Fluviali (PSFF) dell’Autorità di bacino del fiume Po: “Nelle fasce A e B - si legge - e in particolare nella porzione non attiva dell’alveo inciso sono favoriti gli interventi finalizzati al mantenimento ed ampliamento delle aree di esondazione, anche attraverso l’acquisizione di aree da destinare al Demanio, il mancato rinnovo delle concessioni in atto non compatibili con le finalità del Piano, la riattivazione o la ricostruzione di ambienti umidi, il ripristino e l’ampliamento delle aree a vegetazione spontanea”. Dal punto di vista legislativo, lo ritroviamo anche nella Legge Regionale della Toscana n. 14, 8 agosto 1998, comma 1, articolo n. 37 “Nuove norme per la disciplina delle coltivazioni di sostanze minerali di cava”: “Nei corsi d’acqua e nel demanio fluviale e lacuale è vietata l’estrazione di materiali litoidi; tale divieto non si applica alle estrazioni che derivano da interventi di difesa e sistemazione idraulica finalizzati al buon regime delle acque e alla rinaturalizzazione dei corsi d’acqua”. In termini operativi, l’attività di rinaturazione promuove un approccio più rispettoso ed attento alla gestione del territorio e del paesaggio in quanto sottolinea e presuppone che, in particolare nella fase progettuale degli interventi, oltre agli aspetti sociali, economici e tecnici devono essere presi in considerazione, sempre e comunque, anche quelli di natura ambientale, ecologica e paesistica. La rinaturazione, inoltre, “può essere ‘estrema’, con l’obiettivo di ripristinare le condizioni naturali preesistenti di un’area, come può essere realizzata in funzione di obiettivi intermedi o specifici (esempio ripristino della capacità di laminazione; riduzione della velocità di corrivazione; recupero della capacità autodepurativa; salvaguardia di specie di particolare pregio, eccetera)”12. Gli interventi di rinaturazione, infine, sono applicabili in molteplici situazioni: dal recupero di ecosistemi fluviali degradati, al ripristino di ex aree estrattive per realizzare nuovi ecosistemi (ad esempio zone umide, aree lacustri, eccetera), alla creazione di nuovi ecosistemi forestali (ad esempio attorno alle aree urbane), al recupero di tratti fluviali prosciugati, lanche, golene fluviali, meandri, all’ampliamento o alla nuova creazione di ecosistemi dunali, al recupero di discariche, eccetera. “Restoration”, “Rehabilitation”, “Reclamation”, “Ecological recovery” Dopo essersi soffermati sul significato di “rinaturazione”, si ritiene opportuno citare ed analizzare altri importanti concetti13:

- “Restoration” (restauro). Il termine restoration significa “riportare all’origine o allo stato originario”. Il restauro ecologico (“ecological restoration”) significa quindi “restaurare” un ecosistema o parte di esso. “Restoration” è considerata spesso una forma distinta di gestione ambientale, differente dalla “salvaguardia”, “conservazione” o “gestione” stessa. Non c’è comunque una netta distinzione tra queste forme di intervento: tutte, in sostanza, tendono a compensare gli effetti ecologici dovuti ad alterazioni causate dalle attività umane.

11 WWF Italia, Patto per i fiumi. La rinaturazione del fiume Po, WWF, Roma 2002, pag. 11. Documento disponibile sul sito www.wwf.it 12 MAURIZIO BACCI, Significati e principi dell’ingegneria naturalistica, in LISA SACCHI (a cura di), “Linee guida per interventi di ingegneria naturalistica lungo i corsi d’acqua”, Quaderni del Piano Territoriale, 20, Provincia di Milano, Guerini Associati, Milano 2003, pag. 51. 13 Definizioni tratte e parzialmente rielaborate dal testo “Principles of conservation biology” (G.K.MEFFE, C.R.CARROLL, 1994), MAURIZIO BACCI, Significati e principi dell’ingegneria naturalistica, in LISA SACCHI (a cura di), op. cit., Milano 2003, pag. 51.

Page 109: Q2 2005 Volume Tre

105

- “Rehabilitation” (rivitalizzazione). È un termine che può essere usato per spiegare i tentativi di ripristinare elementi di strutture o funzioni di un sistema ecologico, senza necessariamente cercare di raggiungere completamente il suo “restauro” (“restoration”) come specifica condizione prioritaria.

- “Reclamation” (bonifica). Questo termine è riferito al ripristino di aree fortemente degradate (ad esempio, da attività minerarie). Attraverso il lavoro di bonifica si possono avere piccole ricadute di rinaturazione in senso pieno; è un primo stadio verso il ripristino di un più naturale ecosistema.

- “Ecological recovery” (ripresa ecologica). La ripresa è lasciata solo all’evoluzione del sistema generalmente nella speranza che si ripristino le caratteristiche desiderate attraverso la successione naturale. Questo approccio di “ordine zero” alla rinaturazione può o non può funzionare. Si tratta comunque, se sussistono le condizioni al contorno, del miglior esempio di recupero.

INGEGNERIA NATURALISTICA, PAESAGGIO E INFRASTRUTTURE: IL RISCHIO “COSMESI AMBIENTALE” Dopo aver spiegato che cosa si intende per ingegneria naturalistica ed elencato gli obiettivi, i ruoli e gli ambiti d’applicazione si ritiene opportuno segnalare i rischi di un suo uso distorto e di una sua non corretta interpretazione-applicazione. Analizzando, infatti, un discreto numero di progetti recenti sembrerebbe che dal momento in cui si utilizzano elementi vegetali si possa parlare, a priori, di “ingegneria naturalistica”. Sappiamo bene, invece, che questa “illusione” può talvolta essere totale e “mascherare” (nel vero senso del termine) una triste realtà dei risultati e dei fatti. Cerchiamo di capire meglio. Le azioni d’ingegneria naturalistica si trovano spesso di fronte a due scelte: svolgere quel ruolo di prezioso strumento finalizzato a favorire un approccio innovativo ed integrato nel rapporto paesaggio/esigenze/infrastruttura, oppure limitarsi a “mascherare” le conseguenze di un’errata politica di pianificazione territoriale e paesistica. Siamo di fronte a quello che può essere definito il rischio “cosmesi ambientale”14 a cui molti degli interventi di ingegneria naturalistica, sia quando applicata alle infrastrutture idrauliche fluviali che a quelle stradali, sono potenzialmente soggetti. Un rischio rappresentato da un’applicazione di carattere generico e casuale che limiterebbe tale tecnica ad un ruolo di abbellimento e di mistificazione delle vecchie opere tradizionali. Un altro tipo di rischio riguarda, altresì, il tentativo di attribuire a questa disciplina potenzialità superlative alla stregua di una “bacchetta magica”, pensando di poter rimediare grazie ad essa, in poco tempo e senza tanto impegno, ai gravi errori conseguenti all’utilizzo delle tecniche idrauliche tradizionali. Le basi di questa riflessione critica si possono ricondurre, sostanzialmente, a quattro importanti concetti:

- La presenza di “verde” non significa, necessariamente, che si è di fronte a un modello di biodiversità.

- Se l’utilizzo del vegetale è una condizione obbligatoria per la costruzione di opere d’ingegneria naturalistica, non tutte le opere che impiegano l’elemento vegetale (vivo o morto) possono essere definite “d’ingegneria naturalistica”.

14 “Non è sufficiente sostituire le tradizionali opere idrauliche con le più rispettose tecniche di ingegneria naturalistica; è necessario, invece, che l’opportunità di ogni intervento venga sottoposta ad una stringente analisi di verifica della correttezza degli obiettivi e delle inevitabili ripercussioni ambientali. L’ingegneria naturalistica può evitare il rischio di ridursi al mistificante ruolo di cosmesi ambientale solo se compie esplicitamente la scelta di inserirsi in una strategia coerente di buongoverno del territorio e del paesaggio”. GIUSEPPE SANSONI, I biologi e l’ambiente ... oltre il duemila, Atti Seminario di Studi Venezia 22-23 novembre 1996, CISBA, Reggio Emilia 1999, pag. 73. Documento tratto dal sito web del CIRF - Centro italiano per la riqualificazione fluviale, www.cirf.org

Page 110: Q2 2005 Volume Tre

106

- La tendenza a ricorrere alle soluzioni dell’ingegneria naturalistica solo a cose fatte, ossia quando le tecniche tradizionali hanno già fallito.

- Il diffondersi di un uso “indiscriminato” delle tecniche d’ingegneria naturalistica. Lo scopo di questa riflessione critica consiste, in pratica, nel fornire elementi per poter meglio distinguere quali tipologie di intervento possono rientrare fra quelle di ingegneria naturalistica e quali no. L’analisi di progetti realizzati in questi ultimi anni, infatti, evidenzia come alcuni interventi, sebbene classificati come “ingegneria naturalistica”, siano in realtà esempi di “ingegneria naturalistica rustica, di pseudo ingegneria naturalistica”15, ossia azioni ove la pianta è sì utilizzata ma ridotta a semplice elemento di cosmesi. È da ribadire, dunque, un importante concetto: “Non possono essere considerate in senso stretto opere di ingegneria naturalistica quegli interventi che hanno il solo scopo di conseguire, attraverso l’uso di elementi vegetali o minerali, il semplice mascheramento di interventi di altra natura, né tanto meno si può parlare di ingegneria naturalistica nel caso in cui non si faccia affidamento sulle caratteristiche biotecniche delle piante”16. In una recente pubblicazione17, l’ingegner Maurizio Bacci si sofferma su alcuni interessanti aspetti legati a questa tematica (si veda in proposito la tabella riportata in figura 6). “Si rende necessaria - scrive Bacci - una distinzione tra quella che potremmo definire «vera» piuttosto che «falsa» ingegneria naturalistica. È comunque opportuno premettere che non è inequivocabilmente possibile catalogare tutto in questi due termini. La nozione di «vero/falso», «giusto/sbagliato», «sì/no», «per/contro», «buono/cattivo» (in realtà, una semplice relazione binaria) non può essere il riflesso di tutto un insieme di tecniche; mancano in effetti molte sottigliezze”18. Se si prende, infine, l’esempio della Francia, dove è stato realizzato un interessante “bilancio” delle realizzazioni in ingegneria naturalistica su scala nazionale (Agence de l’eau Rhin-Meuse, “Etude Interagences de l’eau en France - Bilan des réalisations du genie biologique en France”, Ministero dell’Ambiente), si possono trarre alcune significative considerazioni:

- “Le persone e gli uffici di ingegneria ambientale che dominano realmente e perfettamente le tecniche d’ingegneria naturalistica sono ancora poco numerosi;

- l’analisi delle esperienze, seppur poche, denota sovente realizzazioni molto approssimative;

- spesso non esistono analisi e studi preliminari né tanto meno progetti ben concepiti e documentati: le tecniche d’ingegneria naturalistica sono applicate in modo «dilettantesco», sulla base di schemi presi qua e là nella letteratura;

- molti di coloro che concepiscono le sistemazioni non sanno analizzare le conseguenze di quello che hanno realizzato e di quello che non ha funzionato;

- la manutenzione dei corsi d’acqua, ad esempio, e la loro sistemazione con tecniche d’ingegneria naturalistica sono stati spesso utilizzati perlopiù come propaganda politica, in particolare come elemento di reinserimento urbanistico: questi sono stati spesso i punti di partenza di alcune catastrofi per i corsi d’acqua”19.

15 MAURIZIO BACCI, Significati e principi dell’ingegneria naturalistica, in LISA SACCHI (a cura di), op. cit., Milano 2003, pag. 52. 16 FRANCESCO SORBETTI GUERRI, PAOLO BATTELLI, ELENA CRESCI, Tipologie e metodologie costruttive idonee a realizzare un adeguato inserimento ambientale, in PAOLO FRANCALACCI, ATTILIA PEANO (a cura di), op. cit., Torino 2002, pag. 404. 17 LISA SACCHI (a cura di), Linee guida per interventi di ingegneria naturalistica lungo i corsi d’acqua, Quaderni del Piano Territoriale, 20, Provincia di Milano, Guerini Associati, Milano 2003. 18 MAURIZIO BACCI, Significati e principi dell’ingegneria naturalistica, in LISA SACCHI (a cura di), op. cit., Milano 2003, pag. 52. 19 MAURIZIO BACCI, Significati e principi dell’ingegneria naturalistica, in LISA SACCHI (a cura di), op. cit., Milano 2003, pagg. 52-53.

Page 111: Q2 2005 Volume Tre

107

Figura 6. Ingegneria naturalistica “vera” e “falsa” (elaborazione Maurizio Bacci). In ragion di ciò, le tecniche di ingegneria naturalistica devono essere inquadrate, inevitabilmente, all’interno di una nuova logica culturale-progettuale, per evitare di ridurre tale disciplina ad un ruolo di “sussidio estetizzante”20 delle infrastrutture mal progettate. È molto difficile, e per di più sbagliato, pensare di poter sostituire in toto le opere tradizionali (per la difesa idraulica, eccetera) con le più rispettose tecniche di ingegneria naturalistica. È necessario, al contrario, considerare questa tecnica non un’alternativa ma appunto un’integrazione, un completamento, indispensabile ed urgente, ai metodi tradizionali. Soltanto in questo modo, infatti, l’ingegneria naturalistica sarà in grado di assumere quel ruolo determinante e strategico non solo per il successo degli interventi di riduzione dell’impatto ambientale ma anche e soprattutto all’interno di una logica di “dialogo” tra progettazione paesistica e infrastrutture. INGEGNERIA NATURALISTICA, CORSI D’ACQUA, ESIGENZE DI DIFESA IDRAULICA Finalità ed obiettivi Secondo Th. Weibel, Presidente dell’Unione per l’ingegneria naturalistica, scopo dell’ingegneria naturalistica fluviale è “garantire ai corsi d’acqua tutte le funzioni ecologiche riportando i ruscelli ed i fiumi ad uno stato vicino alle condizioni naturali; l’ingegneria naturalistica vuole creare le premesse affinché la natura possa di nuovo o ancora operare. Per questo si deve favorire lo sviluppo naturale dei più importanti fattori locali riguardanti piante e animali”21. 20 HUGO MEINHARD SCHIECHTL, ROLAND STERN, Ingegneria naturalistica. Manuale delle costruzioni idrauliche, Edizioni Arca, Trento 1997, pag. 9.

Page 112: Q2 2005 Volume Tre

108

Figura 7. Nella tabella sono riportati, a titolo di esempio, i benefici ecologici in termini di biodiversità conseguenti ad una gestione dei corsi d’acqua fondata sull’approccio progettuale dell’ingegneria naturalistica. “Usando i metodi dell’ingegneria naturalistica nelle costruzioni idrauliche fluviali - afferma Helgard Zeh - si cerca di rispettare per quanto possibile lo scorrere naturale dei corsi d’acqua. Una massima varietà sostituisce la monotonia, alternanti spazi vitali garantiscono a molti esseri viventi un ambiente dove vivere […]. Nel caso delle costruzioni idrauliche - prosegue Helgard Zeh - i metodi di ingegneria naturalistica sostituiscono le ‘tecniche dure’; la forza dell’acqua non viene più ostacolata da consolidamenti rigidi e le sue energie si ridistribuiscono mediante la fine resistenza delle piante. Le piante si adattano allo scorrere dell’acqua e formano per esempio radici intrecciate sommerse. La vegetazione estesa di sponda diminuisce la velocità dell’acqua, l’impulso delle onde e la forza erosiva. L’esperienza ci ha insegnato a piantare le piante fino al livello medio dell’acqua o fino alla zona che deve esserne priva per almeno tre mesi nel periodo di vegetazione”22.

21 PIERO BINEL, Esperienze italiane, in NINO MARTINO (a cura di), “Tutela e gestione degli ambienti fluviali”, Serie atti e studi n. 8, WWF Italia 1991, pag. 81. 22 HELGARD ZEH, Le opere di ingegneria biologica per la sistemazione degli argini e la rinaturalizzazione dei corsi d’acqua, in Atti Convegno “Tutela dei corsi d’acqua: seminario e convegno”, Consorzio risorse idriche - Schema 23, Firenze 1991, pagg. 75-76.

Page 113: Q2 2005 Volume Tre

109

Figura 8. Un esempio di tecniche di ingegneria naturalistica fluviale (pennelli). Di fiumi, vegetazione, paesaggio fluviale ed esigenze ci parla, infine, il professor Hugo Meinhard Schiechtl: “Le acque correnti e la loro vegetazione di contorno sono elementi irrinunciabili del paesaggio fluviale. Conservare, integrare, ampliare questo quadro e la funzione svolta e crearne localmente anche di nuove, pone sia il progettista che l’esecutore di fronte a notevoli esigenze. Quegli obiettivi non possono essere raggiunti con il solo impiego di tipologie costruttive con materiali inerti”23. Lettura e analisi di casi-studio L’ultima parte del seminario è stata dedicata ad un’analisi e ad una lettura dettagliata di casi-studio inerenti progetti di ingegneria naturalistica applicati ai contesti fluviali. Tutti i casi-studio illustrati (nazionali ed internazionali) presentavano un unico comune denominatore: l’ingegneria naturalistica era letta ed interpretata non come strumento per “abbattere o sostituire le costruzioni ingegneristiche tradizionali, bensì per vitalizzare il paesaggio già costruito”24, ovvero per migliorare il dialogo con il paesaggio di certe infrastrutture (fluviali, stradali, eccetera) ritenute necessarie in una logica di sviluppo sostenibile, mitigando così il loro impatto sia a livello ambientale che naturalistico. RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI Amministrazione Provinciale di Pesaro Urbino, Ingegneria naturalistica: tecniche di intervento per la salvaguardia del territorio ed il ripristino degli ecosistemi naturali, Atti del Convegno, Pesaro 7 aprile 1995, Amministrazione Provinciale di Pesaro Urbino, Pesaro 1997. BACCI MAURIZIO, BARDI SIMONA, DIGNANI ANDREA (a cura di), Manuale di metodologie e tecniche a basso impatto in materia di difesa del suolo. Studio di nuove metodologie ambientali in materia di difesa del suolo e miglioramento ambientale. Proposta per l’attuazione di interventi pilota-Legge N. 61/98, allegato rivista “Attenzione”, 10, Roma 2000. BACCI MAURIZIO, Significati e principi dell’ingegneria naturalistica, in LISA SACCHI (a cura di), “Linee guida per interventi di ingegneria naturalistica lungo i corsi d’acqua”, Quaderni del Piano Territoriale, 20, Provincia di Milano, Guerini Associati, Milano 2003. BINEL PIERO, Esperienze italiane, in NINO MARTINO (a cura di), “Tutela e gestione degli ambienti fluviali”, Serie atti e studi n. 8, WWF Italia 1991.

23 HUGO MEINHARD SCHIECHTL, ROLAND STERN, op. cit., Trento 1997, pag. 8. 24 Regione Emilia Romagna, Regione Veneto, Manuale tecnico di ingegneria naturalistica, Centro di Formazione Professionale “O. Malaguti”, Bologna 1993, pag. 18.

Page 114: Q2 2005 Volume Tre

110

DI FIDIO MARIO, Architettura del paesaggio: criteri di pianificazione e costruzione, Pirola, Milano 1990. DI FIDIO MARIO, I corsi d’acqua. Sistemazioni naturalistiche e difesa del territorio, Pirola, Milano 1995. ERCOLINI MICHELE, Le infrastrutture di difesa idraulica fluviale: da “neutro” problema tecnico-ingegneristico ad occasione per un “progetto di paesaggio”, in LANZANI ARTURO, FEDELI VALERIA (a cura di), “Il progetto di territorio e di paesaggio - Cronache e appunti”, Atti VII Conferenza Nazionale SIU, Franco Angeli Editore, Milano 2004, pagg. 191-203. FLORINETH FLORIN, Opere di sistemazione e regolazione dei corsi d’acqua; aspetti bioingegneristici, Provincia Autonoma di Trento, Trento 1991. FRANCALACCI PAOLO, PEANO ATTILIA (a cura di), Parchi, Piani, Progetti. Ricchezza di risorse, integrazione di conoscenze, pluralità di politiche, G. Giappichelli, Torino 2002. GHETTI PIER FRANCESCO, Manuale per la difesa dei fiumi, Fondazione Giovanni Agnelli, Torino 1993. MARTINO NINO (a cura di), Tutela e gestione degli ambienti fluviali, Serie atti e studi n. 8, WWF Italia 1991. MEUCCI DONATELLA, Rapporto tra territorio e ingegneria naturalistica, in Regione Valle D’Aosta, Atti del XIII Corso-Seminario Regionale, “Il dissesto idrogeologico, verità e pregiudizi”, 17-18 giugno/30 settembre-1°ottobre Aosta 1995, pagg. 101-124. Ministero dell’Ambiente, Opere di ingegneria naturalistica sulle sponde. Tecniche costruttive ed esempi nel Cantone di Berna (Svizzera), Servizio V.I.A., Roma 1993. NEUGEBAUER MICHELE, SCOZZAFAVA TIBERIO, Ingegneria naturalistica: aspetti generali, Acer, 1, 1993. PIACENTINI GIUSEPPE, Ingegneria naturalistica. La rinaturazione dei corsi d’acqua e delle aree degradate nella pianificazione del bacino del Po, “Acer”, 1, 1995, pagg. 24-29. Provincia di Terni, Manuale di Ingegneria naturalistica, Terni 2003. Documento disponibile sul sito della Provincia di Terni http://www.provincia.terni.it/urbanistica/ptcp/Manu_Ing.htm Regione Emilia Romagna, Regione Veneto, Manuale tecnico di ingegneria naturalistica, Centro di Formazione Professionale “O. Malaguti”, Bologna 1993. Regione Lazio, Manuale di Ingegneria Naturalistica, Roma 2002. www.regione.lazio.it/ambiente/ingegneria_naturalistica/studi_set_idraulico/manuale.shtml Regione Toscana (a cura di), Principi e linee guida per l’ingegneria naturalistica, volumi 1 e 2 – Processi territoriali e criteri metodologici, Edizioni Regione Toscana-Collana Fiume e Territorio, Firenze 2001. SACCHI LISA (a cura di), Linee guida per interventi di ingegneria naturalistica lungo i corsi d’acqua, Quaderni del Piano Territoriale, 20, Provincia di Milano, Guerini Associati, Milano 2003. SANSONI GIUSEPPE, I biologi e l’ambiente ... oltre il duemila, Atti Seminario di Studi, Venezia 22-23 novembre 1996, CISBA, Reggio Emilia 1999. Documento tratto dal sito web del CIRF - Centro italiano per la riqualificazione fluviale, www.cirf.org SAULI GIULIANO, SIBEN SIMONETTA (a cura di), Tecniche di rinaturazione e di ingegneria naturalistica: esperienze europee, in Atti Congresso internazionale, Lignano Sabbiadoro (UD) 21-23 maggio 1992. SCHIECHTL HUGO MEINHARD, STERN ROLAND, Ingegneria naturalistica. Manuale delle opere in terra, Edizioni Castaldi, Feltre 1992. SCHIECHTL HUGO MEINHARD, STERN ROLAND, Ingegneria naturalistica. Manuale delle costruzioni idrauliche, Edizioni Arca, Trento 1997. SORBETTI GUERRI FRANCESCO, BATTELLI PAOLO, CRESCI ELENA, Tipologie e metodologie costruttive idonee a realizzare un adeguato inserimento ambientale, in FRANCALACCI PAOLO, PEANO ATTILIA (a cura di), “Parchi, Piani, Progetti. Ricchezza di risorse, integrazione di conoscenze, pluralità di politiche”, G. Giappichelli, Torino 2002, pagg. 397-444. WWF Italia, Patto per i fiumi. La rinaturazione del fiume Po, WWF, Roma 2002. Documento disponibile sul sito www.wwf.it

Page 115: Q2 2005 Volume Tre

111

ZEH HELGARD, Tecniche di ingegneria naturalistica: rapporto di studio n°4, 1993, Il Verde Editoriale, Milano 1997. ZEH HELGARD, Le opere di ingegneria biologica per la sistemazione degli argini e la rinaturalizzazione dei corsi d’acqua, in Atti Convegno “Tutela dei corsi d’acqua: seminario e convegno”, Consorzio risorse idriche - Schema 23, Firenze 1991, pagg. 75-81. RIFERIMENTI ICONOGRAFICI Figura 1: NEUGEBAUER MICHELE, SCOZZAFAVA TIBERIO, Ingegneria naturalistica: aspetti generali, Acer, 1, 1993, pag. 26. Figura 2: elaborazione di Michele Ercolini. Figura 3: SCHIECHTL HUGO MEINHARD, STERN ROLAND, Ingegneria naturalistica. Manuale delle costruzioni idrauliche, Edizioni Arca, Trento 1997, pag. 34. Figura 4: Regione Emilia Romagna - Regione Veneto, Manuale tecnico di ingegneria naturalistica, Centro di Formazione Professionale “O. Malaguti”, Bologna 1993, pag. 55. Figura 5: AIPIN, Sistemazioni in ambito fluviale, Quaderni di ingegneria naturalistica, Il Verde Editoriale, Milano 1998, pag. 12. Figura 6: SACCHI LISA (a cura di), Linee guida per interventi di ingegneria naturalistica lungo i corsi d’acqua, Quaderni del Piano Territoriale, 20, Provincia di Milano, Guerini Associati, Milano 2003, pag. 53. Figura 7: Regione Lazio-Assessorato all’Ambiente, Manuale di Ingegneria Naturalistica, Roma 2002, tabella 15.1. Figura 8: Regione Toscana (a cura di), Principi e linee guida per l’ingegneria naturalistica – Processi territoriali e criteri metodologici, Volume 2, Edizioni Regione Toscana-Collana Fiume e Territorio, Firenze 200, pag. 91. Testo acquisito nel mese di marzo 2006. © Copyright dell’autore. Ne è consentito l’uso purché sia correttamente citata la fonte.

Page 116: Q2 2005 Volume Tre

112

Quaderni della Ri-Vista Ricerche per la progettazione del paesaggio ISSN 1824-3541 Università degli Studi di Firenze Dottorato di ricerca in Progettazione Paesistica http://www.unifi.it/drprogettazionepaesistica/

Firenze University Press anno 2 - numero 2 - volume 3 - settembre-dicembre 2005 sezione: Seminari di studio pagg. 112-123

PIANIFICAZIONE PAESISTICA NELLA PROVINCIA DI BOLOGNA. DAL PROGETTO ALL’ATTUAZIONE Paola Marzorati* Summary Since 1998 the Province of Bologna has being promoting in its area the biodiversity safeguard and improvement. The goal is either the existing natural and semi natural areas preservation and increase in order to oppose their fragmentation and the promotion of every sort of sinergy and integration with the urban and infrastructural planning, according to the sustainable devlepoment idea. Nowadays the Ecological Network is a strategic layer of the Provincia of Bologna Masterplan, approved in March 2004. The masterplan gives to the Ecological Network a structural function for the future planning and entrusts the municipalities with the task of the Local Ecological Network design. Besides, the Masterplan forecasts either every project or plan affecting the territory ougt to agree with the Ecological Network Plan, by contributing to a concrete biodiversity safeguard. The Province of Bologna supports these innovative policies by giving to municipalities technical, scientific and financial consultancy for the realisation of the Local Ecological network. Key-words Ecological network, province’s masterplan, biodiversity Abstract Dal 1998 la Provincia di Bologna è impegnata a promuovere la salvaguardia e la valorizzazione della biodiversità del proprio territorio, puntando a conservare ed incrementare gli spazi naturali e seminaturali esistenti per contrastarne la frammentazione e l’isolamento, promuovendone la messa in rete e ogni possibile forma di sinergia ed integrazione con le normali attività produttive e insediative del territorio, in un’ottica di sostenibilità dello sviluppo. Le Reti Ecologiche costituiscono oggi una politica strategica del Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale, approvato nel marzo 2004. Il Piano riconosce infatti alle reti ecologiche un ruolo strutturale dei futuri assetti del territorio provinciale e affida alla pianificazione comunale il compito di elaborare le reti ecologiche locali, prevedendo inoltre che ogni intervento o piano settoriale di trasformazione del territorio sia congruente con la pianificazione delle reti ecologiche e contribuisca concretamente alla salvaguardia della biodiversità, dando il proprio apporto alla costruzione della rete. La Provincia sostiene queste politiche innovative offrendo ai comuni il supporto tecnico-scientifico e finanziario necessario per l’attuazione della rete ecologica a livello locale. Parole chiave Rete ecologica, piano territoriale di coordinamento provinciale, biodiversità *Dottoranda di Ricerca in Progettazione paesistica, Università di Firenze.

Page 117: Q2 2005 Volume Tre

113

INTRODUZIONE Il XX secolo è stato definito da Peter Hall e Ulrich Pfeiffer1 “il primo secolo interamente urbano”, in quanto, per la prima volta nella sua storia, oltre il 50% della popolazione umana ha vissuto per cento anni di seguito concentrata nelle aree urbane. Nel corso di questo secolo non abbiamo assistito solamente ad una drastica riduzione degli ambienti naturali, ma anche ad una loro degradazione: si può infatti sostenere che in Europa ogni ambiente naturale è stato alterato in maniera più o meno profonda dall’uomo e trasformato, in seguito alla rottura dell’equilibrio ecologico, in ambiente semi-naturale. La pianura padana è tra le zone italiane maggiormente antropizzate; la meccanizzazione dell’agricoltura, a causa di un tipo di gestione ad alta intensità di sfruttamento del suolo, ha portato alla distruzione di ogni elemento di naturalità presente all’interno delle aree agricole e alla perdita di elementi di identità del sistema rurale che producevano paesaggio. In questo contesto risulta quindi inverosimile parlare di conservazione della biodiversità e tutela del paesaggio, qualora la salvaguardia venga ipotizzata sulla base delle tradizionali politiche di conservazione, fondate principalmente sull’istituzione di aree protette, di piccole dimensioni e senza connessione tra loro, e sull’imposizione di vincoli generici e quindi poco cogenti rispetto al restante territorio rurale. E’ necessario che il territorio diventi oggetto di efficaci politiche di tutela che ne rafforzino le capacità richieste dalla nuova politica agricola comunitaria (PAC) di riequilibrare le aree cariche di funzioni antropiche e degradate dal punto di vista ecologico. Le istituzioni si stanno muovendo da circa una decina d’anni in questa direzione, ossia sperimentando l’attuazione di strumenti come le reti ecologiche in grado di affrontare la problematica della conservazione della biodiversità, in contesti territoriali densamente urbanizzati, garantendo favorevoli connessioni con le tematiche ambientali e paesistiche: i percorsi ciclo-pedonali per la fruizione del territorio, la conservazione e la valorizzazione del patrimonio storico-culturale, eccetera.

Figure 1 e 2. Locandine dei seminari. 1 PETER HALL, ULIRCH PFEIFFER (a cura di ), Urban 21, DVA, Stoccarda - Monaco 2000.

Page 118: Q2 2005 Volume Tre

114

La pianificazione provinciale tradizionale, rivisitata alla luce delle nuove disposizioni legislative, che affidano valenza paesistica al piano territoriale, ha prodotto alcune esperienze significative e, tra queste, quella del Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale di Bologna che ha introdotto, accanto ai più tradizionali contenuti di piano, una verifica del valore dei suoli agricoli e del sistema delle reti irrigue, “…integrando la rete ecologica con altri importanti temi: la fruizione del territorio mediante percorsi ciclo-pedonali che possono facilmente sovrapporsi a parte dei corridoi ecologici e la conservazione ed il miglioramento del paesaggio”2. PROGETTARE E REALIZZARE LE RETI ECOLOGICHE. L’ESPERIENZA DELLA PROVINCIA DI BOLOGNA3 Dal 1997 la Provincia di Bologna, con l’intento di contrastare l’impoverimento e la perdita del paesaggio e della biodiversità, ha messo a punto un sistema di politiche di riqualificazione nel campo della pianificazione ambientale e paesistica, i cui risultati sono confluiti nell’elaborazione del PTCP, approvato nel marzo 2004. Gli studi realizzati sono stati i seguenti: - Piano per la conservazione e il miglioramento degli Spazi Naturali (PSN), 1997-2000, nel

quale è stato disegnato l’assetto della rete ecologica provinciale e si è sperimentato, in collaborazione con alcuni Comuni di pianura particolarmente interessati alla riqualificazione ambientale del proprio territorio, l’applicazione della rete a livello locale;

- Progetto LIFE Ambiente ECOnet 4, 1999-2002, nel quale è stato sperimentato a livello europeo, insieme a Regno Unito e Olanda, un metodo per realizzare le reti ecologiche come modello di sviluppo sostenibile, con approfondimenti sia in campo scientifico che gestionale;

- Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale 5, 2002-2004, in cui è stata adottata la metodologia delle reti ecologiche nella pianificazione del territorio, sia come strategia provinciale che come compito dato alla pianificazione comunale, scala attuativa fondamentale e decisiva per il miglioramento della biodiversità dell’intero territorio;

- L’attuazione delle reti ecologiche a livello comunale, 2001-2004 e seguenti6.

2 Cfr., sito internet http://cst.provincia.bologna.it/ptcp/index.asp sul PTCP di Bologna. Per maggiori informazioni sul concetto di rete ecologica si può consultare il sito www.ecoreti.it realizzato a cura dell’APAT Piemonte. 3 Il presente documento è stato redatto citando e rielaborando ampi stralci dell’intervento tenuto dall’arch. Paola Altobelli, dirigente del Servizio Pianificazione Paesistica, Assessorato all’Ambiente della Provincia di Bologna ed organizzato dalla dott.ssa Paola Marzorati presso l’Università degli Studi di Firenze, Dottorato di ricerca in Progettazione Paesistica, Dipartimento di Urbanistica e Pianificazione del territorio, Firenze, 9 Dicembre 2004. Ulteriori integrazioni sono state tratte dalle presentazioni in power point messe a disposizione dalla relatrice e da un secondo incontro svoltosi presso la sede della provincia di Bologna il 13 aprile 2005, cui ha partecipato, in qualità di relatore, anche il dott. Giuseppe De Togni. 4 Vedi a questo proposito Un progetto europeo per lo sviluppo della sostenibilità attraverso le reti ecologiche, LIFE Ambiente ECOnet, Regione Emilia-Romagna, Istituto per i beni artistici, culturali e naturali, Provincia di Bologna e di Modena e il sito internet www.lifeeconet.com. 5 Vedi a questo proposito Conoscere e realizzare le reti ecologiche, LIFE Ambiente ECOnet, Regione Emilia-Romagna, Istituto per i beni artistici, culturali e naturali, Provincia di Bologna e di Modena. 6 Vedi a questo proposito ANDREA MORISI (a cura di), Recupero e gestione ambientale della pianura. La rete ecologica del Persicetano, Regione Emilia-Romagna, Provincia di Bologna, comuni di Calderaia di Reno, Crevalcore, Sala Bolognese, San Giovanni in Persiceto, Sant’Agata Bolognese.

Page 119: Q2 2005 Volume Tre

115

IL PIANO DEGLI SPAZI NATURALI (PSN): IL PRIMO ASSETTO DELLA RETE ECOLOGICA PROVINCIALE Il Piano degli Spazi Naturali (PSN) ha affrontato innanzitutto l’esigenza di conoscere e censire gli elementi naturali e semi-naturali presenti nel territorio provinciale, individuandone la localizzazione, le dimensioni e le caratteristiche, soffermandosi in particolare sul territorio di pianura nel quale appariva più urgente affrontare il problema del depauperamento ambientale e della frammentazione degli spazi naturali. Tutte queste informazioni sono state organizzate in un apposito sistema informativo geografico (GIS) che ha consentito di affrontare in modo adeguato la fase progettuale e di giungere così alla redazione del Piano programmatico per la conservazione e il miglioramento degli Spazi Naturali della Provincia di Bologna, approvato nel 20007. Questo Piano rappresenta uno strumento di indirizzo, guida e coordinamento per l’attività di pianificazione ai vari livelli territoriali, pur nel rispetto delle specifiche competenze degli Enti interessati. L’intento perseguito è stato di individuare un disegno di rete ecologica comune e condiviso con Regione e Comuni al fine di promuovere l’ottimizzazione delle risorse economiche complessivamente disponibili per interventi di riqualificazione naturalistica. Contenuti del Piano Il Piano degli Spazi Naturali, ha innanzitutto individuato gli spazi naturali e semi-naturali esistenti (zone umide, aree boscate, corsi d’acqua, siepi e filari, eccetera), riconoscendone la funzione di nodo ecologico (semplice o complesso) o collegamento ecologico, con l’obiettivo di verificare la possibilità di assicurare una continuità di tipo fisico tra questi elementi, quale presupposto per tutelare la biodiversità. Dalla lettura dello stato di fatto, si è quindi sviluppato il progetto, che è consistito nel completare la configurazione a rete degli spazi naturali individuando due strategie d’intervento: operazioni di completamento della rete, prevedendo nuovi elementi finalizzati ad un potenziamento in termini quantitativi ed operazioni di miglioramento degli elementi esistenti, prevedendo interventi di potenziamento della rete ecologica in termini qualitativi. In particolare col termine completamento si indica l’individuazione di nuovi ambiti territoriali da assoggettare sostanzialmente ad azioni di rinaturazione8. Tali ambiti si collocano strategicamente in modo da connettere spazi naturali e seminaturali già esistenti, da infittire la trama degli elementi ambientali funzionali alla rete ecologica ed aumentare la dotazione ecosistemica territoriale (sia in termini di nodi, che in termini di corridoi). Per miglioramento, invece, si intendono azioni di conservazione e gestione degli elementi paesaggistico-ambientali esistenti ed individuati come serbatoi di biodiversità e corridoi ecologici, ai quali si applicano le tecniche e le metodologie proprie della rinaturalizzazione9. Il progetto di rete ecologica è stato sviluppato sia a livello provinciale, che comunale. A livello provinciale è stato individuato l’assetto della rete di area vasta definendone i capisaldi e le connessioni ecologiche principali, promuovendo in tal modo un’azione di indirizzo, di supporto e di guida nei confronti delle amministrazioni interessate e stimolando la formazione di strumenti di pianificazione e/o programmazione attenti alla conservazione della biodiversità.

7 Il Piano, denominato sinteticamente Piano degli Spazi Naturali (PSN) è stato approvato con Deliberazione del Consiglio Provinciale n. 103 del 31 ottobre 2000. La relazione di sintesi del PSN può essere consultata in: http://www.provincia.bologna.it/ambiente/retiecologiche/index.htm. 8 Definizione di rinaturazione: creazione di un nuovo ecosistema in siti artificializzati, che mira ad ottenere una situazione morfologica e biologica identica a quella preesistente alla sua alterazione per opera dell’uomo. 9 Definizione di rinaturalizzazione: aggiunta di caratteristiche di naturalità ad un ecosistema preesistente; si applica per il miglioramento di una situazione non compromessa nel suo insieme o in corso di evoluzione spontanea.

Page 120: Q2 2005 Volume Tre

116

Figura 3. Il Piano degli Spazi Naturali. A livello locale (comunale e intercomunale) è stata sperimentata a scopo esemplificativo la formazione di un progetto di rete ecologica intercomunale, in collaborazione con cinque comuni dell’Area Persicetana, finanziato dalla Provincia, dalla Regione e dai Comuni interessati. Il Progetto si è basato sulla conoscenza degli elementi vegetazionali e faunistici (ornitofauna, lepidotteri ropaloceri, odonati, anfibi e rettili) rilevati, nei siti più significativi dal punto di vista naturalistico, con monitoraggi durati tre anni (1997-1999).

Page 121: Q2 2005 Volume Tre

117

Figura 4. Un prototipo di rete ecologica locale che riguarda i territori di cinque comuni della pianura bolognese (Calderara di Reno, Crevalcore, Sala bolognese, S. Giovanni in Persiceto, Sant’Agata bolognese).

Figura 5. Modello d’intervento di miglioramento che mostra diverse modalità per attuare, a livello locale, una diversificazione ecologica di un corso d’acqua artificiale.

Page 122: Q2 2005 Volume Tre

118

IL PROGETTO LIFE ECONET: LA SPERIMENTAZIONE DI UNA METODOLOGIA COMUNE A LIVELLO EUROPEO La seconda fase è stata quella del Progetto Life ECOnet, un progetto finanziato col Programma Life-Ambiente, realizzato dal 1999 al 2003 dalla Contea di Cheshire (Regno Unito), insieme a partners italiani ed olandesi, tra i quali la Regione Emilia-Romagna insieme alle Province di Bologna e Modena e la Provincia olandese del Gelderland, che ha realizzato le reti ecologiche negli anni Novanta. Obiettivo del Progetto è stata la sperimentazione di una metodologia comune per la realizzazione delle reti ecologiche a livello europeo e favorire così la conservazione della biodiversità e la sostenibilità dello sviluppo10. Contenuti del progetto La metodologia comune di realizzazione delle reti ecologiche sperimentata nei diversi contesti degli stati membri aderenti è articolata in cinque punti, ciascuno dei quali rappresenta un obiettivo operativo da perseguire in maniera fortemente integrata agli altri quattro: gestire la notevole quantità di dati ambientali necessari alla progettazione della rete attraverso un sistema informativo geografico (GIS); inserire le reti ecologiche negli strumenti di pianificazione ed utilizzare tutti gli strumenti finanziari possibili per la loro implementazione; realizzare le reti ecologiche in sinergia con le trasformazioni insediative ed infrastrutturali, attraverso modalità di gestione del territorio attente anche alla tutela della biodiversità; coinvolgere i differenti portatori d’interesse (agricoltori, autorità e consorzi di gestione dei corsi d’acqua, frequentatori nel tempo libero, eccetera); promuovere un’informazione corretta ed efficace rivolta alla sensibilizzazione dell’opinione pubblica. Uno dei tre casi studio ha affrontato il tema della realizzazione delle reti ecologiche nel territorio della pianura padana compreso nelle province di Bologna e di Modena. Il Gruppo di lavoro Emilia-Romagna, costituito dalle due Province interessate e dalla Regione, rappresentata dall’IBCN (Istituto Beni Culturali Naturali), ha sviluppato i cinque punti della metodologia nelle seguenti modalità: il GIS realizzato nell’ambito del Piano degli Spazi Naturali, è stato arricchito di una banca dati floristica e faunistica che ha riunito in un’unica sede e messo a sistema tutte le informazioni scientifiche già disponibili; il progetto di rete ecologica, già definito per il territorio bolognese, è stato sviluppato e completato anche per la parte modenese, ed entrambi i progetti sono stati sottoposti a duplice verifica: con il modello di analisi eco-paesistica LARCH e con la verifica di coerenza tra il progetto di rete ecologica e le previsioni del Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale; la rete ecologica è stata inserita nel PTCP della Provincia di Bologna, nel frattempo in elaborazione, come politica strategica e trasversale a tutte le scelte di piano, capace di attivare sinergie con le altre scelte di trasformazioni del territorio (insediativa, infrastrutturale, produttiva); sono stati coinvolti nel progetto di realizzazione delle reti ecologiche, quali fondamentali stakeholders, le autorità competenti alla pianificazione e alla gestione idraulica: Autorità di Bacino, Servizio Tecnico di Bacino, Consorzi di Bonifica; sono state realizzate pubblicazioni a carattere divulgativo per comunicare il significato di rete ecologica e per illustrare le azioni del Gruppo di lavoro Emilia Romagna nell’ambito del Progetto ECOnet. Tra le esperienze sopra elencate vale la pena di soffermarsi in particolare su quelle di contenuto più innovativo ed in particolare sulle due differenti verifiche del progetto di rete ecologica precedentemente elaborato nel PSN e sul coinvolgimento delle autorità idrauliche nel progetto. Il progetto di rete ecologica elaborato con il PSN è stato sottoposto a verifica con il modello matematico di analisi ecopaesistiche LARCH, già sperimentato in Olanda, ed elaborato dal Dipartimento di Ecologia del Paesaggio dell’Istituto di ricerca Alterra. Questo modello,

10 Vedi a questo proposito Un progetto europeo per lo sviluppo della sostenibilità attraverso le reti ecologiche, LIFE Ambiente ECOnet, Regione Emilia-Romagna, Istituto per i beni artistici, culturali e naturali, Provincia di Bologna e di Modena e il sito internet www.lifeeconet.com.

Page 123: Q2 2005 Volume Tre

119

partendo dall’analisi di habitat specifici e dalle esigenze ecologiche di alcune specie animali di riferimento, permette di determinare la qualità di una rete ecologica e il grado di coesione di elementi naturali e seminaturali, in diversi scenari di sviluppo, fornendo informazioni sulla relazione tra distribuzione degli habitat e persistenza nel tempo delle popolazioni potenzialmente presenti delle specie individuate come riferimento.

Figura 6. Scenario della rete ecologica locale del Persicetano individuato attraverso le analisi ecopaesistiche “LARCH”.

Page 124: Q2 2005 Volume Tre

120

Figura 7. Reti ecologiche e pianificazione: valutazione di compatibilità. L’analisi effettuata ha messo in evidenza che gli ecosistemi oggi presenti nel territorio provinciale non riescono a costituire una rete di habitat sufficiente per molte delle specie di riferimento; d’altra parte ha però anche rilevato che la realizzazione di nuove aree naturali, come previste dai progetti di rete ecologica provinciale e locale, migliorerebbe sensibilmente la qualità del territorio e del paesaggio e le possibilità di sopravvivenza della biodiversità. Ciononostante, il risultato futuro così progettato non riuscirebbe a superare completamente le problematiche di sopravvivenza della maggior parte delle specie rappresentative utilizzate nella ricerca, non riuscendo queste a costituire delle vere e proprie popolazioni persistenti11. Lo studio fornisce quindi indicazioni operative specifiche al fine di realizzare reti ecologiche di maggiore qualità, quali: aumentare la qualità degli habitat presenti lungo i corridoi; realizzare aree boscate e zone umide più estese, sfruttando le opportunità delle zone golenali dei corsi d’acqua; in generale, favorire le tecniche di coltivazione che richiedono bassi apporti di nutrienti e pesticidi, come l’agricoltura biologica e la messa a riposo dei terreni. La seconda verifica che è stata compiuta ha riguardato, come si è detto, la coerenza tra il progetto di rete ecologica e le previsioni del Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale, nonché la ricerca delle possibili sinergie tra le due forme di pianificazione. Un apposito studio ha messo in evidenza, attraverso la sovrapposizione del disegno di rete provinciale e le individuazioni di uso e trasformazione del territorio del PTCP, le interferenze e gli impatti, nonché le possibili sinergie, al fine di valutare le compatibilità tra i due scenari. Le criticità evidenziate sono state quindi riportate nella cartografia di progetto del PTCP, prevedendone la soluzione alla scala d’intervento più adeguata (provinciale o comunale). La terza tematica di particolare rilievo che si è affrontata riguarda la progettazione e sperimentazione degli interventi per la realizzazione della rete ecologica con particolare riferimento ai corridoi fluviali. Data la complessità e la specificità del tema del

11 Si definiscono tali le popolazioni che hanno possibilità di estinzione, entro cento anni, inferiori al cinque per cento.

Page 125: Q2 2005 Volume Tre

121

recupero, della tutela e della valorizzazione dei corsi d’acqua, sono stati coinvolti direttamente gli Enti idraulici competenti (Autorità di Bacino e Servizi tecnici provinciali, Consorzi di bonifica) con i quali si sono messe a punto alcune soluzioni integrate d’intervento, su alcuni tratti della rete dei canali di bonifica, con le seguenti finalità: mantenere la continuità ecologica del corso d’acqua, ridurre il rischio idraulico, migliorare la qualità dell’acqua (fitodepurazione), creare un reddito alternativo per gli agricoltori (utilizzo del legname delle fasce tampone boscate), diminuire i costi di manutenzione e di sistemazione idraulica delle sponde, arricchire il paesaggio rurale anche a fini fruitivi.

IL PTCP E LE RETI ECOLOGICHE COME STRATEGIA PROVINCIALE E COMUNALE La terza fase è rappresentata dall’elaborazione del Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale (PTCP), approvato dal Consiglio Provinciale il 30 marzo 200412, nel quale la rete ecologica è divenuta una politica strategica per lo sviluppo e le trasformazioni del territorio13. Il Piano infatti attribuisce alle reti ecologiche un ruolo strutturale dei futuri assetti del territorio provinciale e affida ai sessanta Comuni del proprio territorio il compito di elaborare un progetto di rete ecologica più definito e particolareggiato, nell’ambito dello strumento di pianificazione comunale14. Al tempo stesso il PTCP richiede agli altri piani e progetti settoriali elaborati dalla Provincia di essere congruenti con la pianificazione delle reti ecologiche e soprattutto di costituire specifiche opportunità per dare un contributo concreto alla costruzione della rete. Infatti, come il depauperamento degli spazi naturali è avvenuto a seguito di processi di trasformazione, così i futuri interventi sul territorio dovranno tenere conto anche della variabile della biodiversità e dare un contributo concreto a conservarla e ad accrescerla gradualmente, ma sistematicamente ed efficacemente. Nel disegno complessivo della rete ecologica provinciale (tav. 5 del PTCP) svolgono una funzione strutturale i grandi nodi ecologici costituiti dai siti della Rete Natura 2000 (pSIC e ZPS) e dalle Aree Protette (Parchi e Riserve naturali regionali) e i principali corridoi ecologici, costituiti dai corsi d’acqua, per i quali il piano prevede anche alcuni progetti di riqualificazione. La scelta strategica forte delle reti ecologiche punta a migliorare la qualità complessiva del territorio perseguendo, contemporaneamente al primario obiettivo del miglioramento della biodiversità presente, anche altri obiettivi, a questo collegati: l’arricchimento e la riqualificazione del paesaggio, la promozione dell’offerta di servizi di tipo ricreativo, sportivo e didattico-culturale rivolta ai cittadini e alla crescente domanda di servizi proveniente dall’area urbana centrale (percorsi ciclo-pedonali, aule all’aperto, aziende agri-turistiche, mete di itinerari di valore ambientale e paesaggistico, eccetera), il rafforzamento delle aziende agricole connotate da elevata qualità ambientale, con particolare riferimento a quelle multifunzionali, adatte a supportare tale offerta. LA DEFINIZIONE DELLA RETE ECOLOGICA A LIVELLO LOCALE In questa strategia un ruolo determinante viene assegnato al Comune che deve dotarsi, nel proprio strumento di pianificazione, di un progetto di rete ecologica a scala locale, che specifichi e attui la previsione fatta a livello provinciale. Per la definizione della rete ecologica di livello locale, il PTCP fornisce delle linee guida15, articolate in due capitoli:

12 Gli elaborati del PTCP sono consultabili in: http://cst.provincia.bologna.it/ptcp/elaborati.htm. 13 Cfr. art. A-1 della LR Emilia-Romagna 20/2000. 14 Vedi a questo proposito Conoscere e realizzare le reti ecologiche, LIFE Ambiente ECOnet, Regione Emilia-Romagna, Istituto per i beni artistici, culturali e naturali, Provincia di Bologna e di Modena. 15 Allegato 2 alla Relazione illustrativa del PTCP - “Linee guida per la progettazione e realizzazione delle reti ecologiche”.

Page 126: Q2 2005 Volume Tre

122

- Analisi ecologica e progettazione della rete, in cui si descrive la metodologia da seguire per realizzare il rilievo degli elementi di importanza naturalistica, valutarne il valore ecologico-paesaggistico e predisporre il progetto di rete ecologica;

- Elementi della rete: fornisce indicazioni specifiche per la concreta realizzazione degli elementi che costituiscono le reti ecologiche.

Figura 8. La rete ecologica provinciale. Una volta definito l’assetto della rete ecologica locale, è fondamentale per la sua concreta attuazione che vengano utilizzate con intelligenza tutte le sinergie possibili con ogni tipo di intervento che interessi il territorio (infrastrutture, insediamenti residenziali o produttivi, opere idrauliche, aree estrattive o di smaltimento rifiuti, eccetera) per contribuire così al miglioramento o al potenziamento della rete ecologica, secondo il progetto definito dal PSC. In questo modo il Comune, nell’attuazione del proprio piano, arricchisce e completa l’assetto della rete ecologica, migliorando nel contempo la qualità del paesaggio e l’offerta del sistema territoriale più complessivo. Se il livello provinciale è fondamentale per definire la strategia generale da perseguire, il livello comunale è quello in cui si realizzano concretamente le reti ecologiche. Attualmente16, nella provincia di Bologna, nove Comuni sono già dotati di un progetto proprio e undici Comuni lo stanno redigendo. Sono già dotati di un proprio progetto: il Comune di Bentivoglio, che lo ha inserito nel PRG già dal 2000, i cinque Comuni del Persicetano (Calderara di Reno, Crevalcore, Sala Bolognese, S. Giovanni in Persiceto, Sant’Agata Bolognese), il Comune di Castelmaggiore e il Comune di Argelato che lo hanno ultimato di recente. Dispongono inoltre di un progetto di rete ecologica a scala intercomunale i nove Comuni dell’area di nord-est, ed in particolare quelli il cui territorio è interessato dalla cosiddetta Area delle Bonifiche, caratterizzata da un particolare pregio naturalistico e paesaggistico legato alle zone umide, la maggior parte delle quali d’interesse comunitario (Comuni di Baricella, Budrio, Malalbergo, Minerbio, Molinella, Bentivoglio, Galliera, San Pietro in Casale). Per altri quattro Comuni di pianura, il lavoro di progettazione è stato intrapreso a cura della Provincia nell’ambito dell’iniziativa

16 Questa informazione si riferisce alla fine del 2004.

Page 127: Q2 2005 Volume Tre

123

dei PSC associati nella primavera 2003 ed è ora in fase di perfezionamento (Comune di Pieve di Cento, S. Giorgio di Piano, Castello d’Argile, Granarolo dell’Emilia). Tale politica lungimirante ed innovativa, non supportata ancora appieno sotto gli aspetti legislativi e finanziari, necessita di continuità avendo tempi di realizzazione necessariamente collocati nel medio-lungo termine; è perciò particolarmente importante che le amministrazioni che si succedono sappiano cogliere l’importanza dell’impegno già compiuto e proseguano alla realizzazione di questo processo di riqualificazione del proprio territorio per garantire un’adeguata qualità dell’ambiente di vita attuale e futuro. RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

ALTOBELLI PAOLA, Gli spazi naturali del territorio agricolo: un patrimonio da “mettere in rete”, “Portici”, Anno IV, 6, 2000. ALTOBELLI PAOLA, Tutela dell’ambiente e sviluppo: un matrimonio possibile?, “Portici”, Anno VI, 4, 2002. MORISI ANDREA, Regione Emilia-Romagna, Provincia di Bologna, comuni di Calderaia di Reno, Crevalcore, Sala Bolognese, San Giovanni in Persiceto, Sant’Agata Bolognese, Recupero e gestione ambientale della pianura. La rete ecologica del Persicetano, Centro Agricoltura Ambiente, Eds, Crevalcore (BO) 2001. OTTOLINI ENRICO, ROSSI PATRIZIA, Conoscere e realizzare le reti ecologiche, Istituto per i beni artistici, culturali e naturali della Regione Emilia-Romagna, Bologna 2002. MATERIALI CONSULTATI Alterra Studio, Networks for LIFE – Development of an ecological network for Persiceto (Emilia-Romagna, Italy), 2003. Provincia di Bologna (2000), Piano programmatico per la conservazione e il miglioramento degli spazi naturali nella Provincia di Bologna (PSN). Provincia di Bologna (2004), Piano territoriale di coordinamento provinciale (PTCP). RIFERIMENTI ICONOGRAFICI Figure 1 e 2: elaborazioni di Paola Marzorati. Figure 3, 6, 7 e 8: immagini tratte dal documento in power point presentato in sede di seminario e messo a disposizione dall’arch. Paola Altobelli. Figure 4 e 5: MORISI ANDREA e altri, Recupero e gestione ambientale della pianura. La rete ecologica del Persicetano, Centro Agricoltura Ambiente, Crevalcore (BO) 2001. Testo acquisito nel mese di marzo 2006. © Copyright dell’autore. Ne è consentito l’uso purché sia correttamente citata la fonte.

Page 128: Q2 2005 Volume Tre

124

Quaderni della Ri-Vista Ricerche per la progettazione del paesaggio ISSN 1824-3541 Università degli Studi di Firenze Dottorato di ricerca in Progettazione Paesistica http://www.unifi.it/drprogettazionepaesistica/

Firenze University Press anno 2 - numero 2 - volume 3 - settembre-dicembre 2005 sezione: Tesi di dottorato pagg. 124-141

DALLE ESIGENZE ALLE OPPORTUNITÀ: LA DIFESA IDRAULICA FLUVIALE OCCASIONE PER UN PROGETTO DI “PAESAGGIO TERZO”1 Michele Ercolini* Summary The purpose of this PhD thesis is trying to consider landscape river planning a cultural, social and economic investment instead of a “loss” (“paesaggio altro”), project that should aim to the control of a landscape that changes but, at the same time, keeps, from an ecological and environmental point of view, harmonic forms and sustainable structures and regenerates itself on the basis of human being needs without damage nature. The necessity of floods defence, before infrastructure, becomes an opportunity for planning new landscapes, new cities and new architectures (“paesaggio terzo”). Key-words River, landscape river, necessity of floods defence, opportunity, infrastructures, “paesaggio terzo”, “paesaggio altro”, PhD thesis. Abstract La tesi di dottorato qui presentata mira ad uno specifico obiettivo: arrivare a considerare il progetto del paesaggio fluviale un investimento culturale, sociale, economico anziché una “perdita”, puntando ad un “controllo” di un paesaggio che si trasforma mantenendo forme armoniche e strutture sostenibili sotto il profilo ecologico-ambientale e si ridisegna continuamente sulla base delle esigenze dell’uomo, senza per questo sopraffare la natura. L’esigenza di difesa idraulica fluviale, prima ancora che l’infrastruttura, diviene così una opportunità per un progetto di “paesaggio terzo”, occasione per trasformare in “luoghi” i “non luoghi”. Parole chiave Fiume, paesaggio fluviale, esigenze di difesa idraulica, opportunità, infrastrutture, “paesaggio terzo”, “paesaggio altro”, tesi di dottorato. * Dottore di Ricerca in Progettazione paesistica, Università degli Studi di Firenze.

1 Tesi di Dottorato di ricerca in Progettazione Paesistica - Università degli Studi di Firenze (XVII ciclo, coordinatore: Prof. Giulio Gino Rizzo) discussa il 28 aprile 2005, tutor Prof. Guido Ferrara (Università degli Studi di Firenze), co-tutor Prof. Carlo Alberto Garzonio (Università degli Studi di Firenze). La tesi Dalle esigenze alle opportunità: la difesa idraulica fluviale occasione per un progetto di “paesaggio terzo” sarà pubblicata presso la casa editrice Firenze University Press nella primavera 2006.

Page 129: Q2 2005 Volume Tre

125

PERCHÉ: APPROCCIO, QUADRO D’AZIONE E FINALITÀ METAPROGETTUALI A partire dagli anni Novanta, a seguito dell’affermazione e della diffusione del concetto di sviluppo sostenibile, “sono stati elaborati indirizzi e approntate linee guida per raggiungere e mantenere un valido assetto ecosistemico del territorio e allo stesso tempo conservare, recuperare e potenziare le qualità del paesaggio”2. È da notare, però, come su questi rilevanti aspetti il campo attinente il rapporto tra fiume, paesaggio fluviale ed esigenze di difesa idraulica rientri, inspiegabilmente, nel lungo elenco di priorità non ancora sufficientemente affrontate nei processi di governo del territorio e del paesaggio del nostro Paese. Tutto ciò nonostante l’urgenza determinata dal progressivo depauperamento ambientale, territoriale e paesistico caratterizzante i sistemi fluviali. In particolare, non risulta “assimilato” a dovere un aspetto di natura strategica: riconoscere, cioè, come l’obiettivo di riportare il paesaggio fluviale a livelli ottimali su base durevole implichi, necessariamente, il superamento di una politica di settore (di matrice esclusivamente idraulica), per dirigerci verso un sistema di qualità capace di utilizzare tutte le risorse esistenti, ivi compresi gli elementi appositamente ricostruiti, e di promuovere la collaborazione tra i diversi attori coinvolti. Muovendo dal concetto che tutto il territorio è da considerare paesaggio, le cui qualità vanno comunque salvaguardate e, ove necessario e possibile, recuperate ed incrementate, la ricerca ha perseguito uno specifico obiettivo: la definizione e promozione di un quadro d’azione in grado di possedere, anzitutto, i requisiti base per affrontare, con un nuovo e diverso approccio, il “sistema delle esigenze” (di messa in sicurezza idraulica del territorio) ricorrente nei contesti fluviali. Contesti ove, come accennato, rilevanti patrimoni di risorse (“sistema delle risorse”) vanno oramai deteriorandosi e peculiari rapporti tra uomo e ambiente vanno interrompendosi (“sistema delle alterazioni”), a causa del prevalere di una visione infrastrutturalista del territorio, del paesaggio e dei sistemi fluviali in particolare. Questa “visione” (errata e controproducente da tutti i punti di vista), porta a due preoccupanti conseguenze. La prima consiste nel rischio di relegare il paesaggio fluviale a semplice ruolo di “contenitore” ove inserire l’infrastruttura idraulica ed entro il quale operare processi indifferenziati di trasformazione della sua natura. La seconda riguarda invece il pericolo, oggi sempre più forte, di ridurre l’architettura del paesaggio a semplice ruolo di “sussidio estetizzante” delle infrastrutture di regimazione idraulica (e non solo) mal progettate. In entrambi i casi l’esito finale, in termini paesaggistici, si concretizza in quello che possiamo definire un “paesaggio altro”. Il “paesaggio altro” può essere letto come il risultato di un “modo di porsi” che, trascurando “culturalmente” gli aspetti naturalistici, ecologici, morfologici e paesaggistici, ha come obiettivo la trasformazione dei corsi d’acqua in canali attraverso la cementificazione delle sponde, la rettifica dei percorsi, la costruzione di argini con alvei sempre più geometrici. Il “paesaggio altro” è, pertanto, un paesaggio intubato, cementificato, rettificato, un paesaggio “statico” il cui progetto è il risultato esclusivo di un calcolo matematico, di un processo in cui la cultura del paesaggio (e non solo) non esiste, non è contemplata. Il “paesaggio altro”, insomma, non si progetta in quanto semplice conseguenza di “un qualcos’altro”. Si rileva, dunque, la necessità di un’inversione di tendenza qui intesa come esito di un’opzione strategica: passare cioè dalla mera gestione di matrice idraulico-ingegneristica (indirizzata prevalentemente verso un “paesaggio altro”) alla salvaguardia del “sistema delle risorse” e alla “produzione” di opportunità, anche attraverso un “disegno” di paesaggio, qui definito “paesaggio terzo”, in grado di confrontarsi con le spinte della modernizzazione e di gestire i mutamenti e le trasformazioni che, comunque, soprattutto in assenza di interventi, interferiscono con esso.

2 GIULIANA CAMPIONI, Tutela dei paesaggi culturali. Pregiudizi e vantaggi, in LEONE MANFREDI (a cura di), “Riscoprire il paesaggio della Valle dei Templi”, Atti giornata di studio, Agrigento 1 aprile 2003, Alaimo, Palermo 2003, pag. 59.

Page 130: Q2 2005 Volume Tre

126

Figura 1. Percorso di ricerca: diagramma di flusso. Il “paesaggio terzo” è un paesaggio dinamico, voluto, cercato, pensato, in una parola “progettato”, un obiettivo presente fin dal principio del processo progettuale. Una realtà, non a caso, strettamente interconnessa alla disciplina dell’Architettura del paesaggio. “È proprio l’Architettura del paesaggio infatti - riprendendo le parole del professor Guido Ferrara - che può proporre l’intervento suppletivo al variare delle funzioni, dei modi d’uso del suolo e dei rapporti sociali: al ‘bel paesaggio’ che scompare - come nel caso del “paesaggio altro” - noi possiamo rispondere creando dei nuovi paesaggi - appunto dei “paesaggi terzi” - ancora belli ma in modo diverso, perché rispondenti maggiormente ai nostri nuovi bisogni, e certamente più rispondenti di quelli che si creano naturalmente rinunciando del tutto ad operare”3 o, ancora peggio, operando a posteriori. Il concetto di “paesaggio terzo” risulta, altresì, strettamente interconnesso al “perché” della ricerca, ossia il voler indagare sul “ruolo” che l’Architettura del paesaggio (in quanto disciplina) può-deve avere all’interno della pianificazione alla scala di bacino. Ruolo inquadrabile su due differenti livelli:

- In termini di condizionamento nei confronti dell’“impostazione classica” - di natura idraulico/ingegneristica - nella progettazione degli interventi di difesa dai corsi d’acqua. Un condizionamento da intendere come “riequilibrio” di un “settorialismo monoculturale”, condizionamento capace, cioè, di indirizzare la pianificazione fluviale verso un approccio “olistico”.

- In termini di “opportunità”, di “occasione” per la creazione di un sistema di “valori aggiunti”, di “plusvalori” dovuti a condizioni di stato ambientali più elevate ottenibili dal processo di trasformazione conseguente agli interventi per la messa in sicurezza del territorio dal rischio idraulico. Non solo prevenzione, quindi, ma indagine sui possibili neo-ecosistemi che possono scaturire dalla natura delle esigenze.

In ragion di ciò, appare inevitabile riconoscere come la pianificazione dei sistemi fluviali, finalizzata alla messa in sicurezza del territorio dal rischio inondazioni, oltre che degli aspetti tecnico-idraulici debba tener conto delle condizioni di stato ambientali e delle interazioni ed interferenze che l’atto progettuale mirato produce nei confronti dei modelli d’assetto dell’area, preesistenti e futuri.

3 GUIDO FERRARA, Per una fondazione disciplinare, in “Architettura del Paesaggio”, Atti del Convegno dell’Istituto italo-britannico, Bagni di Lucca aprile 1973, La Nuova Italia, Firenze 1974, pag. 138.

Page 131: Q2 2005 Volume Tre

127

Figure 2-3-4. “Tragici bilanci”.

E questo non solo e non tanto per aprire la strada al capitolo specificatamente dedicato alla valutazione d’impatto ambientale o alla valutazione ambientale strategica, quanto per promuovere un approccio integrato entro cui definire criteri guida per la progettazione di un “paesaggio terzo”, criteri interpretati come riferimento costante, come “un a priori” rispetto ai processi di trasformazione da programmare e pianificare. Ed è proprio in questa nuova prospettiva incentrata sul “dialogo” tra risorse, esigenze e opportunità, ma soprattutto distinta e distante dall’approccio “cosmetico” e dalla logica del “compromesso”, che possono essere individuate le leve su cui agire, vale a dire le condizioni favorevoli, i punti di forza e gli approcci da promuovere per orientare e dirigere il sistema degli interventi nella direzione desiderabile. DOVE: ACQUE, FIUMI E PAESAGGI FLUVIALI Paesaggio fluviale significa, anzitutto, “paesaggio d’acqua”, acqua che assume le forme più svariate, acqua come “infrastruttura del paesaggio”4: “dai laghi grandi e piccoli racchiusi in un perimetro netto e regolare alle zone lacustri e di palude in cui non esiste un vero confine fra acqua e terra. Ma in tutti i casi è sempre l’acqua l’elemento predominante della scena paesaggistica, con tutto il fascino che le deriva dal colore e dalla trasparenza”5.

4 MARIAVALERIA MININNI, MARIA RAFFAELLA LAMACCHIA, Paesaggi dell’acqua e nuove infrastrutture, in ARTURO LANZANI, FEDELI VALERIA (a cura di), “Il progetto di territorio e di paesaggio – Cronache e appunti”, Atti VII Conferenza Nazionale SIU Trento 13-14 febbraio 2003, Franco Angeli Editore, Milano 2004, pag. 189. 5 GUIDO FERRARA, L’architettura del paesaggio italiano, Marsilio, Padova 1968, pag. 47.

Page 132: Q2 2005 Volume Tre

128

Figure 5-6. Paesaggi fluviali: Baie de Somme (Francia) a sinistra, la “Via delle Kasbe” (Marocco, Valle del fiume Dra, località Ouarzazate) a destra. “L’acqua infatti - come sottolinea Renzo Franzin - è un elemento assolutamente intrinseco a tutti i paesaggi, sia quelli reali che occupano quotidianamente il nostro orizzonte visivo, sia quelli assai più pervasivi e silenziosi che vivono nella nostra percezione, in quella sfera dei sensi che ha latitudini estese ancorché poco riconosciute, interrogate, considerate”6. Il paesaggio fluviale come “interazione tra abbondanza d’acqua e opera umana” è invece l’interpretazione di Aldo Sestini7 nella descrizione delle peculiarità della bassa campagna milanese: la fittissima rete di fiumi, rogge, colatori insieme ai fontanili - scrive Sestini - hanno consentito di creare “un paesaggio di campagna sempreverde”, scandito dalla maglia regolare dei campi e prati bordati da filari di pioppi entro la quale sono distribuite le grandi cascine a corte. Secondo Vittoria Calzolari il fiume rappresenta, altresì, un’entità territoriale e paesistica capace di esprimere due realtà storiche antitetiche e insieme complementari del rapporto uomo-natura: quella della permanenza e della continuità e quella del rapido cambiamento. Cerchiamo di capire meglio. “Da una parte il flusso continuo dell’acqua esercita un’azione lenta e inesorabile di modellamento delle rocce e dei suoli creando siti diversissimi (dagli speroni di tufo su cui si arroccano i paesi delle terre vulcaniche ai siti di meandro delle terre pianeggianti); alimenta associazioni vegetali e animali che vivono tenacemente lungo le fasce fluviali, dove esiste una continua permeabilità tra terra ed acqua; sollecita da parte dell’uomo un’opera costante per controllare e utilizzare il potere energetico dell’acqua - sia essa energia fisica o biologica - attraverso argini, chiuse, molini-fabbriche, derivazioni irrigue, ovvero per utilizzare il fiume come barriera difensiva o nastro trasportatore. D’altra parte il fiume può essere il protagonista diretto di eventi che trasformano, in poche ore di alluvione, intere regioni o determinano scelte destinate a cambiare per sempre la struttura ambientale e il paesaggio di una città, come è accaduto per la decisione - dopo lo straripamento del Tevere del 29 dicembre 1870 - di costruire i muraglioni che hanno trasformato Roma da città affacciata sul fiume a città che volta le spalle al fiume”8. “Il fiume e il paesaggio visto da esso”: a questi due elementi si richiama, invece, la lettura di Pier Francesco Ghetti. In questa interpretazione, il corso d’acqua è paragonato ad una sorta di lungo viaggio di “un organismo che cresce poco a poco, dopo ogni confluenza dell’acqua che sgorga da una sorgente, che tracima da una pozza o che scende da un altro rio. Sgroppa verso il basso in un letto prima scomodo e incassato e via via più ampio, dove la stessa acqua divaga, separandosi e tornando alla luce più sotto, sempre danzando allo scroscio sui sassi.

6 RENZO FRANZIN, La percezione delle acque nell'immaginario collettivo contemporaneo. Documento tratto dal sito web del “Centro Internazionale Civiltà dell'Acqua”, http://www.provincia.venezia.it/cica/itcica/home.htm 7 VITTORIA CALZOLARI, Natura, sito, opera: il caso del parco fluviale, “Casabella”, 575-576, 1991, pag. 57. 8 VITTORIA CALZOLARI, op. cit., 1991, pag. 57.

Page 133: Q2 2005 Volume Tre

129

Arrivata al piano l’acqua si raduna maestosa in alvei più tranquilli, scivola sui letti di sabbia morbidamente ricurvi, sotto baldacchini costruiti con le fronde degli alberi cresciuti sulle rive. Sembra percepire che il suo destino sta volgendo al termine e cerca di rallentare la corsa, prima di mescolarsi con il mare”9. In particolare, prosegue Ghetti, “il paesaggio fluviale visto dal fiume appare invertito rispetto ad una iconografia che ci ha abituati ad osservarlo dall’alto verso il basso. Il fiume corre infatti nella parte più bassa del paesaggio e questo motiva gran parte delle sue funzioni. Le acque del fiume sono influenzate dalle caratteristiche del territorio che si trova a monte e influenzano a loro volta le caratteristiche del tratto a valle”10. Sul tema del paesaggio fluviale letto come “risultante” delle sistemazioni idrauliche si muove l’interpretazione di Guido Ferrara. “La sistemazione delle vie d’acqua - scrive Ferrara - è una delle attività più strenuamente perseguite in Italia nel corso dei secoli […]: alcuni tra gli scopi più importanti che si tende a raggiungere con la regimazione dei fiumi sono di impedire straripamenti e inondazioni da un lato e garantire la costante presenza di acqua utile per le irrigazioni dall’altro. […] Tutti questi lavori di condizionamento dei corsi d’acqua hanno profondamente inciso nella determinazione del paesaggio fluviale italiano: l’andamento dei fiumi è stato modificato un’infinità di volte con opere spesso imponenti, sia per rettificare le anse (che sottraggono spazio alle aree produttive), sia per derivarne le acque per mezzo di canali a scopo irriguo o industriale, sia per controllarne in vario modo il tracciato in determinati punti obbligatori”11. Nell’interpretazione di Mariavaleria Mininni e Maria Raffaella Lamacchia, infine, il paesaggio fluviale è definito come “paesaggio matrice”, “nel senso etimologico di paesaggio generativo di un fenomeno, a cui è legata la forma del suo reticolo idrografico, o pattern di drenaggio, ma anche le funzioni che esso svolge come corridoio di distribuzione di materia e flussi. Il sistema fluviale costituisce un corridoio naturale nel paesaggio a cui si attribuisce, oltre al corso d’acqua vero e proprio, una banda di territorio ben drenato che subisce le influenze dirette del fiume sia sotto il profilo strutturale che funzionale dando origine a numerose conformazioni, anch’esse a corridoio: l’asta fluviale, il piano di scorrimento delle acque (letto fluviale), i versanti, le bande di vegetazione naturale interne lungo le sponde e lungo il piano di campagna coinvolto dalla fluttuazione laterale delle acque, le siepi o margini forestali e filari che separano il ciglio dai campi coltivati”12. COME: CRITERI GUIDA PER LA PROGETTAZIONE DI UN “PAESAGGIO TERZO” Primo criterio guida: “Salvaguardia” (restituire delle attenzioni) Attualmente, e lo si può facilmente constatare, i sistemi fluviali risultano per la gran parte scomparsi dalla memoria collettiva e completamente dimenticati persino negli insediamenti posti lungo le sponde. Risulta pertanto indispensabile riappropriarsi della volontà del conoscere in profondità il “sistema fiume”, recuperare, cioè, di quell’insieme di conoscenze che, accumulatisi in grande quantità quando i fiumi erano fonte primaria di energia e di materie prime per l’attività umana, sono andate via via disperse negli ultimi trent’anni. Questo aspetto è di grande importanza per comprendere come negli ultimi decenni la popolazione, o meglio la società nel suo complesso, non abbia più sentito il bisogno di salvare il fiume dalle manifestazioni di degrado che inesorabilmente lo hanno contrassegnato (dall’inquinamento alla sconsiderata occupazione delle aree golenali).

9 PIER FRANCESCO GHETTI, Manuale per la difesa dei fiumi, Fondazione Giovanni Agnelli, Torino 1993, pag. 153. 10 PIER FRANCESCO GHETTI, Il ruolo del fiume nel territorio, Atti del Seminario Internazionale, “Fiumi in restauro: proposte ed esperienze europee per la riqualificazione, Parma 19-20 Ottobre 2001. 11 GUIDO FERRARA, op. cit., Padova 1968, pag. 40. 12 MARIAVALERIA MININNI, MARIA RAFFAELLA LAMACCHIA, Paesaggi dell’acqua e nuove infrastrutture, in ARTURO LANZANI, FEDELI VALERIA (a cura di), op. cit., Milano 2004, pagg. 178-179.

Page 134: Q2 2005 Volume Tre

130

Bisogna ricordare, infatti, che più elevato è il livello di degrado del “sistema fiume” maggiore è il rifiuto da parte delle popolazioni di identificare il corso d’acqua quale componente naturale del paesaggio. Salvaguardia come “riappropriarsi della volontà del conoscere” significa, in sostanza, restituire al fiume la sua funzione di asse portante del territorio e del paesaggio, evitando il più possibile di canalizzarlo e separarlo dal resto del bacino; riconsiderarlo cioè un “sistema complesso”, un organismo vivente, rispettando i suoi equilibri/squilibri e le sue funzioni. In una parola, dare vita ad una (ri)lettura del corso d’acqua come “risorsa di risorse”, risorse ambientali, ecologiche, paesistiche, come patrimonio della nostra identità storica e culturale. Secondo criterio guida: “Equilibrio” La “frattura”. La difesa del fiume e la difesa dal fiume sono azioni che hanno sempre camminato parallelamente. Questo “percorso” comune, tramandato per secoli, ha rappresentato la base essenziale per la nascita delle più grandi civiltà che, come ci hanno insegnato a scuola, sono nate proprie lungo i maggiori corsi d’acqua. Eppure, in questo sistema integrato ed organico di acqua, terra, paesaggio, uomini e memoria, si è creata una grande e grave frattura. Una frattura che, con il passare degli anni, ha prodotto una vera e propria separazione tra uomini e corsi d’acqua “ingenerando pratiche di pianificazione e di progettazione differenziate, riferite a settori funzionali contrapposti”13. Il rapporto tra uomo e fiume si è così trasformato in una sorta di “conflitto”: a esondazioni e piene si è “allegato” il concetto di “natura da combattere”, di “fiume killer”, scordandosi completamente dell’entità di quel sistema di alterazioni e violenze che l’uomo ha compiuto nei confronti del corso d’acqua, trasformandolo da straordinario sistema di risorse a semplice e monotono canale utile solo per l’allontanamento delle acque. L’obiettivo da perseguire. Di fronte al quadro desolante del “che cosa è stato fatto” è necessario domandarsi “che cosa si può fare”, come si può agire. L’obiettivo da perseguire deve allora coincidere con la ricerca di un (ritrovato) equilibrio tra due esigenze, ad oggi contrapposte: garantire la necessaria sicurezza di difesa idraulica agli insediamenti e alle opere (la prima) compatibilmente con il mantenimento e/o il ripristino della qualità ambientale, territoriale e paesistica del sistema fluviale (la seconda). (Ri)trovare, in sostanza, un comune terreno di confronto (e non di scontro) tra i diversi attori coinvolti, proponendo soluzioni in grado di mediare le diverse esigenze, senza trascurare le problematicità. L’obiettivo del secondo criterio guida può essere raggiunto attraverso quattro specifiche azioni-chiave:

- Abbandonare la logica della “cultura dell’emergenza”; - Sostenere un approccio olistico, multidisciplinare ed integrato in fase di

pianificazione di bacino; - Promuovere un “nuovo modo di porsi” nei confronti del fenomeno alluvioni; - Favorire lo sviluppo di strategie “best practice”.

13 PAOLO FRANCALACCI, I fiumi e le risorse naturali del territorio, in PAOLO FRANCALACCI, ATTILIA PEANO (a cura di), “Parchi, Piani, Progetti - Ricchezza di risorse, integrazione di conoscenze, pluralità di politiche”, G. Giappichelli, Torino 2002, pag. 260.

Page 135: Q2 2005 Volume Tre

131

Figura 7. Abaco: “interfaccia” tra il “sistema dei casi studio”14 e la fase del metaprogetto. L’abaco elaborato è inteso quale “interfaccia” tra un “prima e un dopo”, ossia tra il “sistema dei casi studio” e la fase del metaprogetto. All’interno di tale abaco, i casi studio selezionati sono inquadrati-classificati in base ad una scala di valori facente riferimento ai tre criteri guida indispensabili per la progettazione di un “paesaggio terzo”, ovvero: Salvaguardia (per “restituire delle attenzioni”); Equilibrio, (“tra la Cultura della difesa dei corsi d’acqua e la Cultura della difesa dai corsi d’acqua”); Dinamicità, in termini di “dinamicità naturale”, “dinamicità culturale” e “dinamicità come opportunità per….”. Terzo criterio guida: “Dinamicità” Dinamicità naturale. Il paesaggio fluviale può essere considerato un esempio in cui emerge ed è evidente, più che in altri casi, uno dei requisiti chiave per la vita di un paesaggio ossia la “componente dinamica”. Il paesaggio, infatti, e ancor di più il paesaggio fluviale, muore allorché si inizia a “pensarlo” e soprattutto a pianificarlo nel nome di un’innaturale staticità (attraverso le canalizzazioni, le arginature sproporzionate, le rettifiche dell’alveo, eccetera). “In natura la linea retta non esiste”15 bisogna sempre ricordarlo e, ancor meno, può esistere o essere tollerata nei sistemi paesistici fluviali che per loro “natura”, appunto, necessitano di una continua evoluzione nello spazio e nel tempo.

14 Il “sistema” dei casi studio è stato elaborato e sviluppato all’interno del Capitolo Quarto della ricerca (“Dalle esigenze alle opportunità: il “sistema” dei casi studio”) attraverso l’analisi e la lettura dettagliata dei seguenti progetti: Italia: il progetto sul fiume Zero (Veneto); la “Questione” Tagliamento (Friuli Venezia Giulia). Olanda: il progetto IRMA sul fiume Reno. Danimarca: il progetto Skjern. Austria: il progetto Drava. Svizzera: l’esperienza del fiume Flaz. Inghilterra: le esperienze del fiume Cole e del fiume Skerne. Casi studio “al negativo”: il Sangro (Abruzzo); il caso della cassa di espansione “Lago di porta” (fiume Versilia-Toscana). 15 PIER FRANCESCO GHETTI, in occasione del Seminario di studi, “Fiume, territorio e paesaggio: l’opportunità di un approccio integrato”, organizzato dal Dottorato di Ricerca in Progettazione Paesistica - Università degli Studi di Firenze, Firenze 9 ottobre 2003. Promotori: Michele Ercolini e Laura Ferrari.

Page 136: Q2 2005 Volume Tre

132

Figura 8. Il “paesaggio terzo” come risultato di un processo di trasformazione fondato su tre criteri guida: “Salvaguardia”, “Equilibrio” e “Dinamicità”. “Paesaggio mobile”, “paesaggio transitorio”, “equilibrio dinamico”, sono tutti concetti che richiamano l’alto livello di dinamicità naturale del corso d’acqua, una dinamicità in grado di ridisegnare e trasformare completamente un paesaggio consolidato da anni. E proprio questa dinamicità, idraulica sì ma anche e soprattutto inquadrabile in termini ecologici e paesaggistici, ha reso da sempre il “sistema fiume” una realtà originale, unica e straordinaria16. Il percorso che si è cercato di seguire nell’elaborazione del terzo criterio guida (suddiviso in tre sotto-criteri), ci ha svelato un fiume “senza confini”, portatore delle diversità di un bacino, del suolo, delle stagioni, della gente, del paesaggio, della storia, delle tecnologie, delle comunicazioni e dei conflitti. Un equilibrio dinamico che si “mescola”, da sempre, con le attività quotidiane dell’uomo: coltivazioni, abitazioni, costruzioni, opere di mantenimento e dragaggio, transazioni commerciali. Dinamicità culturale. “La sostenibilità e l’equità nella gestione delle acque sono oggi due sfide della nostra società per le quali la comunità scientifica deve impegnarsi”. Inizia così la “Dichiarazione Europea per una Nuova Cultura dell’Acqua”17 presentata e sottoscritta, da oltre cento esperti provenienti da vari paesi europei, a Madrid il 18 febbraio 2005. Gli obiettivi principali della Dichiarazione si possono così sintetizzare:

- chiarire e promuovere lo sviluppo della Direttiva Europea Quadro sulle Acque (emanata nel 2000 dall’Unione Europea);

- definire e dare impulso agli impegni dell’Unione Europea a livello mondiale in materia di gestione delle acque in coerenza con lo sviluppo sostenibile.

Assumere come obiettivo la sostenibilità richiede, secondo la Dichiarazione, dei profondi cambiamenti nelle nostre scale di valori, nel nostro modo di intendere la natura e nell’approccio alle diverse esigenze. Richiede, insomma, una nuova Cultura dell’acqua, cultura in grado sia di promuovere un approccio olistico, sia di riconoscere la dimensione molteplice, ambientale, paesistica, sociale, economica e culturale del “sistema delle risorse”. 16 “Paesaggio dinamico”, “paesaggio movimentato”: è raro che “la natura sia perfettamente immobile. Nel cielo passano le nuvole, le foglie tremolano ed oscillano al vento, tronchi e gambi si piegano. Ma è soprattutto l’acqua che è dotata di un inesauribile movimento: essa corre, fluisce, defluisce, serpeggia, ondeggia, s’increspa, cade, salta, precipita”. WILLY HELLPACH, Geopsiche. L’uomo, il tempo e il clima, il suolo e il paesaggio, Edizioni Paoline, Roma 1960, pag. 322. 17 Dichiarazione Europea per una Nuova Cultura dell’Acqua, Madrid 18 febbraio 2005. Maggiori informazioni sono disponibili sui siti web: http://euwater.unizar.es; http://www.gruppo183.org/nuovaculturaacqua.html

Page 137: Q2 2005 Volume Tre

133

Figura 9. “Dalle esigenze alle opportunità”: il logo elaborato per la tesi. Tutto ciò porta a mettere in discussione, inevitabilmente, il modello tradizionale di gestione idraulica secondo cui l’acqua è considerata solo come bene economico, una semplice risorsa produttiva da sfruttare o da cui, come nel caso delle alluvioni, difendersi, a favore di un nuovo approccio che dà la priorità agli ecosistemi e alla loro sostenibilità. Le funzioni ecologiche e paesistiche generate dai fiumi, così come i valori storici, socio-culturali e degli usi, devono essere, quindi, riconosciuti e valorizzati. Adottare il principio della sostenibilità significa accettare una sfida etica e culturale così come assumere nuovi valori sociali e ambientali che trascendono gli interessi economici in gioco. Questo, in sostanza, è lo “spirito e la logica” della Dichiarazione Europea per una Nuova Cultura dell’Acqua, “spirito e logica” che hanno rappresentato l’input per l’elaborazione del criterio guida riguardante la “dinamicità culturale”. Dinamicità come opportunità per…. La frase potrebbe concludersi in diversi modi. Tenendo conto, però, delle finalità poste alla base del presente percorso di ricerca e dei due criteri guida precedentemente elaborati, si è deciso di completarla nel modo seguente: “Dinamicità come opportunità per….restituire una consapevolezza”, vale a dire “la difesa idraulica del territorio si può attuare (anche) restituendo spazio ai corsi d’acqua”. In sostanza, tutto ciò vuole essere un contributo utile al fine di mostrare (avvalendosi dello “strumento” dei casi-studio18) i criteri e le procedure chiave per l’avvio di un’inversione di tendenza; non vuole, quindi, essere esaustivo (come detto le “modalità” per completare la frase sono diverse) ma piuttosto proporsi come “strumento aperto” per favorire una riflessione critica, concreta e costruttiva per la definizione di un approccio “dinamico” e non più “statico” alla pianificazione dei sistemi fluviali. QUALI ESITI, QUALI SCENARI Il “paesaggio terzo”: premessa Il “paesaggio terzo, come visto, è il risultato di un processo fondato su tre diversi criteri guida: “Salvaguardia”, “Equilibrio” e “Dinamicità”.

18 Tra i casi-studio selezionati e analizzati si segnalano: l’esperienza americana del fiume Mississippi (vedi ANURADHA MATHUR, DILIP DA CUNHA, Mississippi floods. Designing a shifting landscape, Yale University Press, Yale 2001); l’esperienza svizzera dell’UFAFP - Ufficio federale dell’ambiente, delle foreste e del paesaggio e dell’UFAEG - Ufficio Federale delle Acque e della Geologia di Berna; il Piano relativo alla difesa idrogeologica del fiume Po attuato attraverso due specifici piani stralcio: il “Piano stralcio delle fasce fluviali” (approvato con Dpcm del 24 luglio 1998) e il progetto di “Piano stralcio per l’assetto idrogeologico” (adottato in data 11 maggio 1999 e approvato con Dpcm del 24 maggio 2001); l’esperienza olandese del progetto sul fiume Reno denominata “Room for the river”.

Page 138: Q2 2005 Volume Tre

134

Il “paesaggio terzo” è da ritenersi, anzitutto, un paesaggio sostenibile in quanto il processo progettuale su cui si basa è finalizzato a fare in modo che l’entità delle variazioni (“sistema delle alterazioni”), apportate dalle attività antropiche per rispondere a determinate necessità (“sistema delle esigenze”), si mantenga entro limiti tali da non danneggiare irrimediabilmente le risorse naturali e culturali (“sistema delle risorse”). In realtà, “fare paesaggio terzo” significa spingersi “oltre” l’obiettivo della sostenibilità, ossia vedere nel processo di trasformazione anche una opportunità, un’occasione per la progettazione di un “nuovo paesaggio”. Tutto ciò è possibile, come detto, solo attraverso l’instaurarsi di una nuova Cultura progettuale in grado di contribuire all’affermazione di un nuovo paesaggio (“paesaggio terzo”) al cui interno si intrecciano, dialogano, coesistono le infrastrutture (“sistema delle esigenze”), le opportunità per sviluppi tecnologici (progresso), ma anche e soprattutto occasioni per “nuove spazialità composite”, per “nuovi luoghi”, per “nuove creatività”, per valori ambientali e paesaggistici ritrovati. La Matrice degli Scenari Tale matrice (vedi figura 10) è finalizzata ad individuare e sviluppare i principali scenari per la progettazione di un “paesaggio terzo” secondo la triplice lettura approccio-obiettivi/azioni-risultati. La matrice degli scenari è da considerarsi non come uno strumento la cui applicazione porta automaticamente al risultato finale, ma come “griglia” sulla quale articolare la fase del metaprogetto. Matrice da intendere quale schema di riferimento semplificato delle connessioni, dei “nodi”, delle “dimensioni” cui tener conto nel rapporto esigenze di difesa idraulica/progettazione del paesaggio fluviale, nello sforzo di ridurre l’entità delle alterazioni ma anche di comprendere quella serie di opportunità conseguenti al processo di trasformazione (“approccio dinamico”). All’interno della medesima matrice è, altresì, indagato e analizzato il cosiddetto “approccio statico” alla pianificazione dei sistemi fluviali attraverso la definizione, sempre secondo la triplice lettura approccio-obiettivi/azioni-risultati, dei due scenari principali di “paesaggio altro”: i “paesaggi rettificati” e i “paesaggi Post Scriptum”. Di seguito sono riportate le descrizioni sintetiche dei singoli “scenari” individuati ed elaborati all’interno del percorso di ricerca ed inerenti il solo “paesaggio terzo”.

Page 139: Q2 2005 Volume Tre

135

Figura 10. Matrice degli scenari per la progettazione di un “paesaggio terzo”. Progettare un “paesaggio terzo”: scenari

Scenario uno: “Shifting Landscape” Approccio (“dinamicità come priorità”). Dinamicità in termini di recupero della “naturalità” della vallata fluviale. Dinamicità contrapposta all’uniformità e alla staticità conseguente la canalizzazione e la geometrizzazione dei corsi d’acqua. Dinamicità nella direzione di un processo naturale continuo modellato-segnato dalla forza delle acque e dalle quantità di sedimenti che si depositano. Dinamicità idromorfologica e paesistica ottenuta, ad esempio, attraverso l’opera di rimeandrizzazione (“remeandering”) differenziando i livelli d’acqua presenti nei territori (formazione di acquitrini, aree umide, paludi), modificando la vegetazione, la forma delle arginature, eccetera. Obiettivi e azioni. Ridurre al minimo gli interventi di natura “strutturale”; riportare il fiume al suo “naturale” andamento, ad esempio, ad un percorso meandriforme recuperando il tracciato (e dunque il paesaggio fluviale) “originario”; rimuovere i vecchi argini in modo da consentire al fiume di inondare, in maniera controllata, le aree circostanti; delimitare la zona interessata dal progetto con arginature in grado di proteggere dalle inondazioni le aree esterne all’intervento; migliorare le condizioni generali della flora e della fauna; garantire un livello di qualità dell’acqua elevato. Risultati. “Shifting landscape” significa un corso d’acqua per buona parte non regimato ma lasciato “aperto”. “Shifting landscape” come paesaggio mobile, in “continuo movimento”, un paesaggio contraddistinto da praterie, acquitrini, laghi, zone umide, canneti, corsi d’acqua meandrizzati, eccetera. “Shifting landscape”, infine, come “nuovo spazio” di rilevante valore naturalistico ed ecologico per l’alto livello di biodiversità raggiunta, un “nuovo spazio” che permette alla flora e alla fauna di ristabilirsi e di ritrovare un equilibrio naturale.

Page 140: Q2 2005 Volume Tre

136

Scenario due: “Paesaggi dell’inondazione” Approccio. L’esigenza di difesa idraulica fluviale è considerata un tema di natura “spaziale” strettamente interconnesso alla progettazione del territorio e del paesaggio, in cui l’ingegneria idraulica gioca sì un ruolo determinante ma non dominante ed esclusivo. L’interesse, infatti, non riguarda tanto l’infrastruttura in sé ma lo spazio che essa definisce. Si deve perciò promuovere (richiamandosi alla cultura olandese) un ragionamento sulla “qualità spaziale”, qualità in termini di progettazione ecologica e, soprattutto, paesistica di questi “nuovi” spazi, più che limitarsi-concentrarsi solo ed esclusivamente sulla loro funzione idraulica. Promuovere, dunque, un nuovo approccio in cui l’attenzione non va tanto - o meglio non solo - alla forma, alla dimensione, alla posizione, alla mitigazione delle infrastrutture di difesa idraulica, la cui presenza in alcuni casi deve essere data (quasi) “per scontata”, per “naturale” (visto gli errori, il più delle volte irrecuperabili, commessi nel passato), ma all’interpretazione paesaggistica dello spazio che queste opere definiscono. Obiettivi e azioni. Tutte le azioni mirano a: creare nuovi spazi non solo per finalità idrauliche (aree dove far esondare liberamente il fiume) ma come opportunità per una progettazione paesistica di questi luoghi; rafforzare l’identità individuale del paesaggio fluviale; stimolare le funzioni esistenti o nuove; recuperare la coerenza ecologica e paesistica perduta. Risultati (“nuovi spazi, nuovi paesaggi”). Lo “spazio idraulico” diventa (anche) “spazio paesistico”. La progettazione paesistica dello “spazio idraulico”: la risorsa paesaggio non è più considerata “a posteriori” ma trasformata in uno dei principi guida nella pianificazione degli interventi alla scala di bacino.

Scenario tre: “Paesaggi Ecologici” Approccio (approccio “pluridimensionale”). Il corso d’acqua è “inquadrato” in chiave ecologica con riferimento alle quattro dimensioni del “sistema fiume”: da monte a valle, da sponda a sponda, dalla superficie al fondo e nella dimensione temporale. “Dimensioni” a cui corrispondono altrettante componenti di “natura paesaggistica”: componente longitudinale, laterale, verticale e infine temporale. Obiettivi e azioni. L’idea di restituire spazio al fiume in “termini ecologici”, per ristabilire il rapporto con la piana circostante e per garantire la salvaguardia delle proprie peculiarità, rappresenta il filo conduttore di tutte le azioni intraprese: ripristino delle connessioni ecologiche “storiche”; demolizione delle vecchie infrastrutture idrauliche; recupero o creazione di nuovi biotopi fluviali lungo le sponde; recupero delle superfici ed estensione dell’alveo fluviale; rivitalizzazione delle lanche; recupero della vegetazione ripariale; riconnessione del fiume con i bracci laterali abbandonati. Risultati. Recupero del “ruolo ecologico” del corso d’acqua, ovvero il fiume “letto ed interpretato” come: unico ed insostituibile corridoio ecologico di collegamento tra le zone boschive montane e collinari, i paesaggi rurali ed eventuali aree protette; struttura portante per la creazione di reti ecologiche a scala territoriale; elemento portatore di naturalità, in quanto rappresentante degli unici “corridors” esistenti capaci di interrompere la continuità delle barriere, consentendo il movimento della fauna selvatica da un ecosistema all’altro e garantendo sia la sopravvivenza di molte specie che il mantenimento della funzionalità degli ecosistemi da essi attraversati; “elemento di ricucitura” di ecosistemi frammentati e, più in generale, “elemento di ricomposizione territoriale e paesaggistica”.

Scenario quattro: “Paesaggi Pilota” Approccio. Una “buona regola” per attuare progetti pilota è quella di non guardare ai grandi fiumi: è sugli affluenti, infatti, che si deve lavorare. Sperimentare un nuovo approccio, olistico e interdisciplinare, concentrando in poche centinaia di metri esperienze progettuali, dalla piccola alla grande scala, promosse e attuate per dare vita a casi pratici da “imitare”. Obiettivi e azioni. Puntare ad una soluzione efficace dal punto di vista idraulico e allo stesso tempo sostenibile in termini di salvaguardia del sistema delle risorse. Promuovere strategie progettuali che rispettino il “punto di vista” del fiume e non solo dell’uomo: l’obiettivo principale, infatti, non è solo quello di avere un corso d’acqua ambientalmente e

Page 141: Q2 2005 Volume Tre

137

paesaggisticamente sostenibile, ma anche di minimizzare il rischio idraulico e di utilizzare in modo razionale le risorse dei sistemi fluviali. Incentivare, infine, progetti utili per sperimentare direttamente “sul campo” alcune tecniche innovative di intervento. Risultati. Incremento della naturale capacità di laminazione del corso d’acqua; recupero dei processi naturali di flusso; “riscoperta” del paesaggio fluviale quale risorsa per l’ambiente, per le comunità locali, per il tempo libero, eccetera. INDICE DELLA TESI PREMESSA DIAGRAMMA DI FLUSSO CAPITOLO PRIMO - Il Sistema delle Risorse 1.1 Introduzione: “perché” sistema delle risorse 1.2 Il fiume, tra territorio e paesaggio

1.2.1 Territorio 1.2.2 Territorio e paesaggio 1.2.3 Paesaggio 1.2.4 Fiume e paesaggio fluviale

1.3 Le risorse del “sistema fiume” 1.3.1 Paesaggio fluviale e geomorfologia 1.3.2 Paesaggio fluviale e ecologia 1.3.3 Paesaggio fluviale e vegetazione ripariale 1.3.4 Paesaggio fluviale e “dimensione storica”

1.4 Sistema fluviale: gli indicatori di qualità 1.4.1 Introduzione 1.4.2 Gli indicatori biologici: Indice Biotico Esteso 1.4.3 Gli indicatori naturalistico-ecologici: Riparian Channel and Environmental Inventory, Wild

State Index , Indice di Funzionalità Fluviale 1.4.4 Gli indicatori paesistico-percettivi: Environmental Landscapes Index

1.5 Paesaggio fluviale: scenari di “ordinario degrado” 1.5.1 Premessa 1.5.2 Schede di sintesi

CAPITOLO SECONDO - Il Sistema delle Esigenze 2.1 Introduzione: perché “sistema delle esigenze” 2.2 “Esigenza”: la difesa idraulica del territorio

2.2.1 Premessa 2.2.2 “Da che cosa ci si difende”: gli aspetti idraulici 2.2.3 “Da quando ci si difende”: gli aspetti storici

2.3 Evoluzione degli aspetti legislativo-normativi in materia di acque, fiumi, opere idrauliche 2.3.1 Premessa 2.3.2 Acque, fiumi, opere idrauliche: l’evoluzione legislativa dal Regio Decreto del 1904 alla

Direttiva acque della Comunità Europea del 2000 2.3.3 Acque, fiumi, opere idrauliche: l’evoluzione legislativa, approfondimenti

2.4 Governo della “risorsa fiume”, Governo delle trasformazioni 2.4.1 Premessa 2.4.2 Acqua, fiumi, difesa idraulica: la pianificazione territoriale alla scala di bacino 2.4.3 La pianificazione di bacino in Italia: schede di sintesi delle Autorità di bacino nazionali 2.4.4 La pianificazione di bacino in Europa: le esperienze di Francia, Olanda e Germania

2.5 La pianificazione alla scala di bacino “tra esigenze ed opportunità”: l’esperienza del progetto pilota sul fiume Vara 2.5.1 La chiave di lettura 2.5.2 Inquadramento generale

Page 142: Q2 2005 Volume Tre

138

2.5.3 Il progetto preliminare 2.5.4 Lo studio di impatto ambientale

CAPITOLO TERZO - Il Sistema delle Alterazioni 3.1 Introduzione 3.2 Come ci si difende?

3.2.1 Introduzione 3.2.2 Le casse di espansione 3.2.3 Arginature, rettifiche, risagomature, protezioni di sponda 3.2.4 Infrastrutture trasversali: le briglie

3.3 Infrastrutture e alterazioni: le conseguenze 3.3.1 Introduzione 3.3.2 Infrastrutture di difesa idraulica fluviale: le conseguenze 3.3.3 Le conseguenze: schemi di sintesi

3.4 Infrastrutture, alterazioni e compensazioni: uso promiscuo, modalità di sfruttamento integrato, polifunzionalità 3.4.1 Introduzione 3.4.2 Polifunzionalità e casse di espansione 3.4.3 Polifunzionalità e arginature

3.5 Infrastrutture, alterazioni e mitigazioni : il ruolo dell’ingegneria naturalistica 3.5.1 Introduzione 3.5.2 Ingegneria naturalistica: inquadramento generale 3.5.3 Ingegneria naturalistica & rinaturazione 3.5.4 Ingegneria naturalistica, paesaggio e…… 3.5.5 Ingegneria naturalistica, corsi d’acqua, esigenze di difesa idraulica

CAPITOLO QUARTO - Dalle esigenze alle opportunità: il “sistema” dei casi studio 4.1 Schede di sintesi dei casi studio analizzati 4.2 Italia

Il progetto sul fiume Zero (Veneto) La “questione” Tagliamento (Friuli Venezia Giulia)

4.3 Olanda Il progetto IRMA sul fiume Reno

4.4 Danimarca Il progetto Skjern

4.5 Austria Il progetto Drava

4.6 Svizzera L’esperienza del fiume Flaz

4.7 Inghilterra L’esperienze del fiume Cole e del fiume Skerne

4.8 Casi studio “al negativo”: due esempi concreti Premessa Il Sangro: da fiume a “autostrada d’acqua” Il caso della cassa di espansione “Lago di porta” (fiume Versilia)

CAPITOLO QUINTO - Dalle esigenze alle opportunità: la difesa idraulica fluviale occasione per un progetto di “paesaggio terzo” 5.1 Introduzione 5.2 Abaco: “interfaccia” tra il sistema dei casi studio e fase del metaprogetto 5.3 Criteri guida per la progettazione di un “paesaggio terzo”

5.3.1 Salvaguardia: “restituire delle attenzioni” 5.3.2 Equilibrio: “equilibrio tra la Cultura della difesa dei corsi d’acqua e la Cultura della difesa

dai corsi d’acqua” 5.3.3 Dinamicità: dinamicità naturale, dinamicità culturale, dinamicità come opportunità per….

Page 143: Q2 2005 Volume Tre

139

5.4 Riflessioni conclusive 5.4.1 Le ragioni del “paesaggio altro” 5.4.2 “Fare paesaggio, terzo”

5.5 Matrice degli scenari per la progettazione di un “paesaggio terzo” RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI AIN, FEDAP, AIAP, Carta di Napoli. Il parere degli specialisti sulla riforma degli ordinamenti di tutela del paesaggio in Italia, in Notiziario AIN, 55, Napoli 1999. Alterra, Ihe, Riza, Tud, Wl|Delft Hydraulics, Living with floods resilience strategies for flood risk management and multiple land use in the lower Rhine River basin, project no. 10, NCR - The Netherlands Centre for River Studies Publication, Delft 2001. BALLETTI FRANCA (a cura di), Il parco tra natura e cultura. Conoscenza e progetto in contesti ad alta antropizzazione, De Ferrari Editore, Genova 2001. BROOKES ANDREW, Channelized rivers. Perspectives for environmental management, John Wiley & Sons, New York 1990. CALZOLARI VITTORIA, Natura, sito, opera: il caso del parco fluviale, “Casabella”, 575-576, 1991, pagg. 57-59. CALZOLARI VITTORIA, Rinaturalizzazione dei fiumi e cultura dell’acqua nella pianificazione urbanistica e paesistica, Atti del Seminario IAED “Rinaturalizzazione fluviale. Pianificazione, Progetto, Esecuzione”, Quaderno 4, Roma 1° Marzo 1996, pagg. 28-35. CAMPEOL GIOVANNI, Paesaggio fluviale ed impianti, “Architettura del Paesaggio”, 2, 1999, pagg. 38-43. CAMPIONI GIULIANA, Tutela dei paesaggi culturali. Pregiudizi e vantaggi, in MANFREDI LEONE (a cura di), “Riscoprire il paesaggio della Valle dei Templi”, Atti della giornata di studio, Agrigento 1 aprile 2003, Alaimo, Palermo 2003, pagg. 59-65. CLEMENTI ALBERTO, Infrascape - Infrastrutture e paesaggio, Dieci indirizzi per la qualità della progettazione, ottobre 2003. Documento gentilmente concesso dall’autore. DI FIDIO MARIO, I corsi d’acqua. Sistemazioni naturalistiche e difesa del territorio, Pirola Editore, Milano 1995. DUPUIS TATE MARIE FRANCE, FISCHESSER BERNARD, Rivières et Paysages, Editions De la Martinière, Parigi 2003. Ercolini Michele, Ferrari Laura, “Fiume, territorio e paesaggio: l’opportunità di un approccio integrato”, documento di presentazione del Seminario di Studi organizzato dal Dottorato in Progettazione Paesistica, Università degli Studi di Firenze, Firenze 9 ottobre 2003, relatore Pier Francesco Ghetti. FABBRI POMPEO, Assetto paesistico dei corsi d’acqua, in Regione Valle d’Aosta, “Il dissesto idrogeologico, verità e pregiudizi”, Atti del XIII Corso-Seminario Regionale 17-18 giugno/30 settembre-1°ottobre, Aosta 1995, pagg. 125-134. FABBRI POMPEO, Il paesaggio fluviale: una proposta di recupero ecologico della Dora Riparia, Guerini e Associati, Milano 1991. FERRARA GUIDO, Dall’analisi alle scelte di progetto del paesaggio, in FRANCA BALLETTI (a cura di), “Il parco tra natura e cultura. Conoscenza e progetto in contesti ad alta antropizzazione”, De Ferrari Editore, Genova 2001, pagg. 85-98. FERRARA GUIDO, L’architettura del paesaggio italiano, Marsilio, Padova 1968. FERRARA GUIDO, Non ingessate il paesaggio: note in margine alle modalità e livelli di attuazione dei piani paesistici in Toscana, in Atti Convegno Internazionale “Parchi e paesaggi”, Bergamo 4-6 giugno 1993. Documento dattiloscritto gentilmente fornito dall’autore. FERRARA GUIDO, Per una fondazione disciplinare, in “Architettura del Paesaggio”, Atti del Convegno dell’Istituto italo-britannico, Bagni di Lucca aprile 1973, La Nuova Italia, Firenze 1974, pagg. 129-144.

Page 144: Q2 2005 Volume Tre

140

FERRUCCI ERMINIO M. (a cura di), Primo Forum Nazionale: rischio idraulico e assetto della rete idrografica nella pianificazione di bacino. Questioni, metodi, esperienze a confronto, Maggioli Editore, Rimini 2003. FRANCALACCI PAOLO, I fiumi e le risorse naturali del territorio, in PAOLO FRANCALACCI, ATTILIA PEANO (a cura di), “Parchi, Piani, Progetti - Ricchezza di risorse, integrazione di conoscenze, pluralità di politiche”, G. Giappichelli, Torino 2002. FRANCALACCI PAOLO, PEANO ATTILIA (a cura di), Parchi, Piani, Progetti - Ricchezza di risorse, integrazione di conoscenze, pluralità di politiche, G. Giappichelli, Torino 2002. FRANZIN RENZO, La percezione delle acque nell’immaginario collettivo contemporaneo, documento tratto dal sito del “Centro Internazionale Civiltà dell’Acqua” http://www.provincia.venezia.it/cica/itcica/home.htm GAMBINO ROBERTO, Difesa idrogeologica e pianificazione territoriale, in FERRUCCI ERMINIO M. (a cura di), “Primo Forum Nazionale: rischio idraulico e assetto della rete idrografica nella pianificazione di bacino. Questioni, metodi, esperienze a confronto”, Maggioli Editore, Rimini 2003, pagg. 113-123. GAMBINO ROBERTO, Le trasformazioni del paesaggio, in BALDACCINI GILBERTO NATALE, SANSONI GIUSEPPE (a cura di), “Nuovi orizzonti dell’ecologia”, Atti del Seminario di studi, Trento 18-19 aprile 2002, Trento 2003, pagg. 45-54. GAMBINO ROBERTO, Separare quando necessario, integrare ovunque possibile, in “Urbanistica”, 104, 1995. GHETTI PIER FRANCESCO, Il ruolo del fiume nel territorio, Atti del Seminario Internazionale, “Fiumi in restauro: proposte ed esperienze europee per la riqualificazione, Parma 19-20 Ottobre 2001. GHETTI PIER FRANCESCO, Manuale per la difesa dei fiumi, Fondazione Giovanni Agnelli, Torino 1993. GOIO ADRIANO, Il territorio fragile, in FERRUCCI ERMINIO M. (a cura di), “Primo Forum Nazionale: rischio idraulico e assetto della rete idrografica nella pianificazione di bacino. Questioni, metodi, esperienze a confronto”, Maggioli Editore, Rimini 2003, pag. 377-392. HANSEN HANS OLE (a cura di), River Restoration. Danish experience and examples, National Environmental Research Institute, Silkeborg 1996. HELLPACH WILLY, Geopsiche. L’uomo, il tempo e il clima, il suolo e il paesaggio, Edizioni Paoline, Roma 1960. KIPAR ANDREAS, Il paesaggio e la difesa idraulica, in MAIONE UGO, BRATH ARMANDO, MIGNOSA PAOLO, “La difesa idraulica delle aree urbane”, Editoriale Bios, Cosenza 2002, pagg. 57-60. KLIJN FRANS, DIJKMAN JOS, SILVA WILM, Room for the Rhine in Netherlands. Summary of research, pubblicazione a cura di IRMA Sponge, Rotterdam / Utrecht, ottobre 2001. LACHAT BERNARD, Le Corse d’eau - Conservation, entretien et amenagement, Consiglio d’Europa, Strasburgo 1991. MCHARG IAN L., Progettare con la natura, (Design with nature, 1969), Franco Muzzio Editore, Padova 1989. MININNI MARIAVALERIA, LAMACCHIA MARIA RAFFAELLA, Paesaggi dell’acqua e nuove infrastrutture, in LINZANI ARTURO, FEDELI VALERIA (a cura di), “Il progetto di territorio e di paesaggio - Cronache e appunti”, Atti VII Conferenza Nazionale SIU, Trento 13-14 febbraio 2003, Franco Angeli, Milano 2004, pagg. 177-190. NIJLAND H.J., CALS M.J.R. (a cura di), River Restoration in Europe. Practical Approaches, Atti del Convegno “Conference on river restoration”, Wageningen, The Netherlands 2000. PASSINO ROBERTO, Pianificazione territoriale e controllo delle piene, in MAIONE UGO, BRATH ARMANDO, MIGNOSA PAOLO, “La difesa idraulica delle aree urbane”, Editoriale Bios, Cosenza 2002, pagg. 9-14. PETTS GEOFFREY, IAN FOSTER, Rivers and Landscape, Ed. Edward Arnold, London 1985. SANSONI GIUSEPPE, GARUGLIERI PIER LUIGI, Il Magra, analisi, tecniche e proposte per la tutela del fiume e del suo bacino idrografico, WWF Italia Sezione Lunigiana, La Spezia 1993.

Page 145: Q2 2005 Volume Tre

141

SCAZZOSI LIONELLA (a cura di), Leggere il paesaggio. Confronti internazionali, Gangemi editore, Roma 2002. STEINER FREDERICK, Costruire il paesaggio, McGraw Libri Italia, Milano 1994. TREU MARIA CRISTINA, COLUCCI ANGELA, I casi studio: il consorzio di bonifica dell’Agro mantovano reggiano e il bacino mantovano del fiume Chiese, in “Territorio” - Rivista del Dipartimento di architettura e pianificazione del Politecnico di Milano, 25, Franco Angeli, Milano 2003, pagg. 105-124. TREU MARIA CRISTINA, Dal piano di bacino al progetto urbanistico, in “Territorio” - Rivista del Dipartimento di architettura e pianificazione del Politecnico di Milano, 25, Franco Angeli, Milano 2003, pagg. 98-104. TREU MARIA CRISTINA, Politiche e gestione del suolo. I fattori ambientali, territoriali e tecnici nella pianificazione di situazioni sensibili e di aree a rischio, in “Territorio” - Rivista del Dipartimento di architettura e pianificazione del Politecnico di Milano, 25, Franco Angeli, Milano 2003, pagg. 9-17. TURRI EUGENIO, Antropologia del paesaggio, Comunità, Milano 1974. TURRI EUGENIO, La conoscenza del territorio. Metodologia per un’analisi storico-geografica, Marsilio, Venezia 2002. UFAEG - Ufficio Federale delle Acque e della Geologia, Esigenze in materia di protezione contro le piene, Berna 1995. UFAEG - Ufficio Federale delle Acque e della Geologia, UFAFP - Ufficio federale dell’ambiente, delle foreste e del paesaggio, Linee guida per una politica sostenibile delle acque, per la gestione dei corsi d’acqua svizzeri, Berna 2003. RIFERIMENTI ICONOGRAFICI Figure 1, 7, 8, 9, 10: elaborazioni di Michele Ercolini. Figura 2 (in alto a sinistra): www.ips.it/scuola/concorso/laguna/images/art63.jpg Figura 3 (in alto a destra): http://associazioni.comune.fi.it/ari/Galllery/alluvione/ Figura 4 (in basso a sinistra): fotografia di Stefano Lancia. Figura 5: DUPUIS TATE MARIE FRANCE, FISCHESSER BERNARD, Rivières et Paysages, Editions De la Martinière, Parigi 2003, pag. 27. Figura 6: fotografia di Michele Ercolini. Testo acquisito nel mese di marzo 2006. © Copyright dell’autore. Ne è consentito l’uso purché sia correttamente citata la fonte.

Page 146: Q2 2005 Volume Tre

142

Quaderni della Ri-Vista Ricerche per la progettazione del paesaggio ISSN 1824-3541 Università degli Studi di Firenze Dottorato di ricerca in Progettazione Paesistica http://www.unifi.it/drprogettazionepaesistica/

Firenze University Press anno 2 - numero 2 - volume 3 - settembre-dicembre 2005 sezione: Tesi i dottorato pagg. 142-161

FARE PARCHI URBANI. ETICHE ED ESTETICHE DEL PROGETTO CONTEMPORANEO IN EUROPA1 Anna Lambertini* Summary The research approaches the topic of contemporary design of urban parks. Trough the lees of a critical-perspective path, oriented both to the history of garden art and parks, and the contemporary issue of landscape design, it is quoted that ethics in park design and implementation includes always a reflection on aesthetics principles and values. The park is interpreted as a Ethic and Aesthetic Space: Ethic, because of its ethimology “conform to the place”; Aesthetic, as object of qualitative evaluation and frame of aesthetic experiences in a real environment moved by the presence of nature. Key-words Urban park, Ethic and Aesthetic values, park and landscape design, European town and city. Abstract La ricerca affronta il tema del progetto contemporaneo di parco urbano. Tracciando un percorso critico attraverso la storia dell’arte dei giardini e dei parchi e gli orientamenti attuali del landscape design europeo, si intende dimostrare che l’etica del fare parchi implica sempre e comunque una riflessione su principi e valori estetici. Il parco viene interpretato dunque come spazio etico ed estetico. Etico, nel senso proprio dell’etimo, cioè conforme al luogo, ed estetico, in quanto oggetto di valutazioni qualitative e ambito di produzione di esperienza estetica in un ambiente reale animato dalla presenza della natura. La varietas della produzione attuale viene letta quindi attraverso alcune originali chiavi di lettura: un quadro storico dei modelli etici ed estetici, la individuazione di specie di parchi, la definizione di categorie etiche/estetiche. La parte conclusiva propone un modus operandi che assume la dimensione narrativa come indirizzo progettuale. Parole chiave Parco urbano, etica ed estetica, progetto contemporaneo, arte dei giardini e dei paesaggi, città europea. *Dottoressa di Ricerca in Progettazione paesistica, Università degli Studi di Firenze, Docente a contratto presso l’Università degli studi di Perugia.

1 Tesi di Dottorato di ricerca in Progettazione paesistica, Università degli Studi di Firenze, (XVII ciclo, coordinatore Prof. Giulio G. Rizzo) discussa nell’aprile 2005. Tutor: Prof. Augusto Boggiano (Facoltà di Architettura, Firenze), co-tutor: Prof. Massimo Venturi Ferriolo (Politecnico di Milano). La tesi è in corso di pubblicazione presso la Firenze University Press.

Page 147: Q2 2005 Volume Tre

143

TEMA E FILTRO DI LETTURA Come tema progettuale, il parco urbano ha conquistato negli ultimi decenni una sua nuova centralità. Il panorama di progetti ed esperienze relativo a questa poliedrica tipologia di spazio aperto è tanto variegato per approcci culturali, poetiche, metodologie operative, criteri compositivi ed esiti spaziali, quanto unificato per finalità progettuali ed intenti che ne sostanziano l'inserimento nella dimensione urbana e paesaggistica. Risanare, connettere, riqualificare, valorizzare: sono questi gli obiettivi di qualità, imperativi etici, che tornano a scandire la filosofia progettuale delle più note realizzazioni, riconosciute ed apprezzate per le loro caratteristiche estetiche. Di volta in volta, le azioni di risanare, connettere, riqualificare, valorizzare, esprimibili attraverso l'esercizio di differenti atteggiamenti progettuali, vengono indirizzate per modificare il carattere di brani di natura (offesa, corrotta, manipolata, abbandonata, riconquistata) o di brani di città (compatta, diffusa, frammentata, confusa) fornendo un’articolata gamma declinazioni dello stesso tema. Nell’arco degli ultimi venti anni, il parco pubblico urbano pare quindi essersi evoluto quasi darwinianamente, e, adattandosi ai nuovi bisogni urbani ed alle mutate istanze sociali e culturali, si è unito ad altre tipologie spaziali per dare origine a specie ibride, che rendono la tassonomia tradizionale, di matrice funzionalista, del tutto inadeguata. A partire da queste considerazioni, la ricerca affronta una lettura del parco contemporaneo come spazio etico dotato di identità estetica2: un tratto costitutivo irrinunciabile per la vivibilità dei luoghi dell'abitare e del quotidiano. La definizione di spazio etico non fa riferimento solo ad un generico principio di responsabilità morale, ma, richiamando dalla radice etimologica del termine il senso di conforme al luogo, sottolinea la fondamentale importanza di una corrispondenza virtuosa e reale tra spazio progettato e contesto. Il contesto è inteso nella più ampia accezione comprensiva della dimensione fisico spaziale (la città, il paesaggio urbano), sociale (la collettività costituita dall’insieme dei fruitori potenziali e reali, con le sue necessità, le sue tradizioni, i suoi riti, le sue aspettative e le sue richieste), temporale (Zeitgeist) e culturale (clima estetico generale, valori etici, paradigmi progettuali). Il presupposto teorico che ha guidato lo sviluppo della ricerca è la convinzione che la qualità estetica debba costituire uno degli assi portanti nella redazione e messa in opera di ogni progetto di luogo, qualunque sia la sua destinazione d’uso ed il tipo di fruizione. In particolare, recuperata nella sua pienezza di significati la corrispondenza ontologica con il giardino, luogo estetico per eccellenza, il parco contemporaneo, spazio pubblico bello e utile, si candida a diventare l’ambito privilegiato delle relazioni umane3 ed al contempo della coltivazione/cura del rapporto uomo/natura e uomo/ambiente, che “è sempre un rapporto estetico, e non è mai un rapporto solamente estetico”4. Il giardino viene adottato in questo senso come categoria mentale e progettuale di riferimento, come eutopia possibile e metafora etica. 2 Si fa riferimento alle considerazioni sostenute da Paolo D'Angelo, in Estetica della natura. Bellezza naturale, paesaggio, arte ambientale. Editori Laterza, Roma-Bari, 2001. Nel saggio il filosofo propone di leggere il paesaggio come "identità estetica dei luoghi", per legare "il valore del paesaggio alla individualità dei singoli luoghi", offrendoci un'interpretazione che, oltre a svincolarci dalla lettura riduzionista di bel paesaggio inteso in termini di bella veduta o di rispondenza soggettiva emotiva, propone di pensarlo "in senso estetico come infinita pluralità di paesaggi". 3 Spiega, in proposito, ancora Massimo Venturi Ferriolo: "Il giardino è un'antica immagine, metafora della <<leggibilità>> del mondo con un senso ampio, uno spazio semantico vasto che assegna a questo luogo l'inventario della vita umana, dove non solo parole e segni, ma anche le cose stesse hanno significati. Tra i più profondi è quello etico: parte dall'ideale rincorso dal moderno, l'integrazione dell'uomo nella natura, nell'unità del cosmo dove troviamo le radici del genius loci connesse al carattere di un popolo, al suo ethos, che Aristotele considerava il modo consueto di agire, ethikos, caratteristico vivere quotidiano legato all'ambiente ideale per la vita dell'uomo. Questo luogo della sua origine non si identifica più con il cosmo, ma con l'unità delle stirpi. E grande funzione etica gioca l'amicizia, cemento della città, senza la quale nessuno sceglierebbe di vivere". In MASSIMO VENTURI FERRIOLO, Etiche del paesaggio. Il progetto del mondo umano, Editori riuniti, Roma, 2002, pag.165. 4 ROSARIO ASSUNTO, Il paesaggio e l’estetica, Napoli, 1973.

Page 148: Q2 2005 Volume Tre

144

Considerando il parco urbano come prodotto di un’arte contemporanea dei giardini e dei paesaggi, attraverso un percorso critico-propositivo che guarda sia alla storia dell’arte dei giardini e dei parchi, sia agli orientamenti attuali, la tesi intende dimostrare che l’etica del fare parchi implica sempre e comunque una riflessione su principi e valori estetici5: perseguire la bellezza dei luoghi fa parte della responsabilità teorica ed operativa del progettista che li crea, così come della società che lo interpella. Parlare di bellezza per il progetto di parco, vuol dire qui affrontare la questione estetica applicata alla creazione di uno spazio di natura in città prima di tutto come una questione filosofica: ponendosi degli interrogativi sullo scopo di ciò che stiamo facendo, per chi, in quale tempo e luogo, su come poterlo realizzare e gestire, quindi su come tradurre delle funzioni in forme estetiche, delle figure ideali in spazi reali. Non si può pensare ad una cultura del progetto di paesaggio priva di un pensiero estetico, tema filosofico essenziale6.

Figura 1. Schema di impostazione della ricerca. PIATTAFORMA TEORICA Lo studio si sviluppa a partire da alcune semplici constatazioni assunte come presupposti fondativi del percorso di ricerca e presentate di seguito come elenco di enunciati. 1. Il giardino (a livello ideale e reale, e con tutto il portato simbolico, poetico, espressivo di cui è investito) è tornato ad essere, in forma diffusa, tema di definizione estetica dei luoghi della città contemporanea e si pone come riferimento culturale per la costruzione di spazi aperti e nuovi paesaggi urbani. 2. Il parco urbano è un luogo di segno ambivalente: nasce come spazio destinato alla natura in città ed al contempo come spazio celebrativo dell’urbanità. Fin dalle sue origini si è specializzato per favorire la convivenza tra ambienti naturali e/o rurali e l’ambiente urbano. La storia delle sue idee e delle sue forme è strettamente intrecciata con quella delle idee e delle forme della città e, parallelamente, con l’evoluzione del concetto di bello naturale e bello artificiale nell’ambito della produzione artistica. 5 Cfr. RENATO RIZZI, Introduzione, in EMANUELE SEVERINO, Tecnica e architettura, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2003, pag. 24. 6 Cfr. RENATO RIZZI, Ibidem.

Page 149: Q2 2005 Volume Tre

145

3. Come il giardino, il parco pubblico è in origine luogo recintato, ed i limiti ne sottolineano oltre all’identità spaziale, una figurativa. Quando e dove, durante il Novecento, si comincia a diffondere ed applicare asetticamente l’idea della città funzionalista e di verde attrezzato diffuso, il parco pubblico perde assieme ai suoi confini, anche la sua riconoscibilità simbolica, figurale e nominale e si appiattisce sulla generica definizione di verde urbano.

Figura 2. Giardino e parco urbano: schema di interpretazione delle corrispondenze tra le due categorie progettuali. 4. Il parco urbano, luogo di innovazione e sperimentazione dei principi della modernità, riflette il rapporto tra natura, arte, e memoria all’interno della cultura emergente di una determinata società7. 5. Da sempre esiste un rapporto di contaminazione vantaggiosa tra teorie/pratiche del paesaggio ed espressioni/forme del sistema dell'arte. Nella dimensione contemporanea, l’immaginario dei progettisti si è arricchito sempre di più, e anche grazie al vocabolario figurale diffuso dagli interventi e dalle esperienze dei movimenti inscritti nell’ambito della cosiddetta arte ambientale ed ecologica, oggi si assiste ad una modifica dei clichè estetici legati alla definizione di bel paesaggio. 6. Rispetto al rinnovato successo del tema progettuale parco pubblico urbano in ambito europeo, e in riferimento al quadro italiano degli orientamenti culturali, disciplinari e professionali attuali, si presenta l’opportunità per considerare gli strumenti e le competenze necessarie alla sua redazione, volgendosi verso la tradizione dell’arte dei giardini. Nella cultura paesaggistica anglosassone esiste una differenza tra landscape designer e landscape architect, che rimanda a precisi percorsi formativi con diversa sfumatura specialistica. Per contro, in Italia, oltre a registrare un notevole ritardo culturale nel riconoscimento della figura e del ruolo del paesaggista (spesso ancora ritenuto coincidente o interscambiabile con quello dell’architetto, dell’agronomo, del forestale o dell’urbanista), è anche diffusa la tendenza a considerare l’arte dei giardini, rispetto all’architettura del paesaggio, un po’ come

7 Si assume come guida l’interpretazione già fornita da Luigi Latini nella sua tesi di Dottorato in Progettazione paesistica dal titolo Spazi aperti urbani. Percorsi progettuali e metodi di lavoro di tre paesaggisti contemporanei. Per una sintesi si veda: LUIGI LATINI, Spazi aperti urbani. Percorsi progettuali e metodi di lavoro di tre paesaggisti contemporanei, Quaderni della Ri-Vista del Dottorato in Progettazione paesistica, Firenze, Firenze University Press; anno 1, numero 1, gennaio-aprile 2004, pag. 2. http://www.unifi.it/drprogettazionepaesistica/

Page 150: Q2 2005 Volume Tre

146

una sorta di affascinante sorella minore dai gusti passatisti, buona a frequentare, più che studi ed uffici tecnici, salotti animati da signore vestite di sete e chiffon: una attività frivola. 7. Appare evidente la crescita di attenzione culturale avvenuta negli ultimi decenni rispetto a temi di etica, estetica ed ecologia, soprattutto all’interno del dibattito sui modi, i processi e i tempi di trasformazione dei sistemi insediativi urbani e metropolitani. Tutti questi elementi, in diversa misura, risultano materia prima di riflessione per la ricerca: ne formano la piattaforma teorica, costituendo il punto di partenza ed al tempo stesso il punto di arrivo di tutto l’itinerario di lavoro. OBIETTIVI E METODO DI LAVORO L’obiettivo generale è la ricerca di una teoria per una pratica, quella di fare parchi urbani. Fare un parco urbano significa essere in grado di controllare un processo che richiede capacità di anticipazione, definizione, realizzazione e gestione dell’immagine e della realtà di un luogo di natura con funzioni ricreative e sociali. Fare un parco urbano vuol dire quindi esercitare una disciplina che richiede specifiche competenze tecniche e pratiche, conoscenze teoriche, senso artistico; significa, anche, saper dar forma ad un sistema di valori che può funzionare come compendio tra cultura urbana e cultura rurale. Come già sottolineato sopra, il parco urbano contiene tutte le sfumature di senso e significato proprie del giardino, applicate ad un luogo specializzato della città: l’idea è di recuperare pienamente la forza espressiva, filosofica e la complessità multi-disciplinare alla base della teoria e della pratica della tradizionale arte dei giardini e dei paesaggi, per progettare i parchi pubblici contemporanei come metafore della natura e della leggibilità del mondo, come spazi destinati non solo a soddisfare i bisogni e le necessità (fisiche, psicologiche, culturali) degli abitanti delle città di oggi, ma anche ad essere teatro dei loro sogni. Gli obiettivi puntuali della ricerca sono sostanzialmente di tre tipi e fanno ricorso ad altrettanti stili di analisi: 1. storico analitico: i vari modelli di parco vengono letti come figura di natura in città e forma di paesaggio urbano, come prodotto di una evoluzione delle idee del rapporto natura, arte, società. 2. Critico interpretativo:il parco contemporaneo viene indagato come il prodotto di un certo clima culturale e di specifici processi di urbanizzazione. 3. Critico propositivo: il parco, come categoria progettuale, assume il valore di testo etico ed estetico con funzione narrativa. A questi tre livelli di approfondimento critico, tra loro sfalsati ma strettamente comunicanti, corrispondono puntualmente le parti con cui è stato articolato l’indice della ricerca. Nella prima parte, Memoria, si definisce uno sfondo teorico e storico di riferimento al tema generale. Viene tracciata una linea storica che, ripercorrendo le principali tappe delle trasformazioni delle idee di parco/giardino e delle forme di giardino/parco urbano/spazio pubblico, conduce alla individuazione delle matrici culturali attraverso cui poter interpretare gli orientamenti del progetto contemporaneo. Nella seconda parte, Itinerari (tra etiche ed estetiche), in cui si appunta l’attenzione sul parco come prodotto etico - estetico della società che lo ha creato, la linea di riflessione critica scelta scorre per sottolineare il senso di una interpretazione del progettista di parchi come traduttore di un clima estetico generale, applicato a realtà locali. Una ricognizione nel territorio dei parchi europei fornisce un quadro di luoghi, autori, esperienze, principi progettuali e permette di predisporre possibili chiavi di lettura della varietas del contemporaneo. Due città europee simbolo del cambiamento, Berlino e Barcellona, costituiscono gli scenari entro cui si svolgono due percorsi di esplorazione delle forme del contemporaneo scelti tra i tanti possibili. Una schedatura di parchi è stata composta come verifica del metodo di lettura

Page 151: Q2 2005 Volume Tre

147

critica approntato e basato sul concetto di specie di parco e sulla individuazione di categorie etiche-estetiche più ricorrenti. La terza parte, Narrazioni, si propone di fornire un modus operandi al progettista, richiamando le basi teoriche di una tradizione disciplinare che ha radici profondissime: l’arte dei giardini e dei paesaggi. ESITI La ricerca, per ognuno dei tre livelli di approfondimento critico, ha permesso di elaborare alcune chiavi di lettura originali, individuate rispetto ad una logica progettuale. Dal livello della Memoria, il percorso condotto dentro la storia del parco urbano, dall’Ottocento ad oggi, porta ad una interpretazione delle evoluzione delle forme e delle idee per modelli etici/estetici.

Figura 3. Il diagramma visualizza una interpretazione delle evoluzione delle forme e delle idee di parco pubblico urbano dall’Ottocento ad oggi, articolata rispetto alla individuazione di modelli etici ed estetici. E’ qui che si precisa una prima più ragionata definizione del parco urbano come spazio etico, di reciproche e vantaggiose corrispondenze ed integrazioni tra luoghi, persone, memorie, valori globali e locali, funzioni diverse, e spazio estetico, cioè ambito di produzione di

Page 152: Q2 2005 Volume Tre

148

esperienza estetica in un ambiente reale animato dalla presenza della natura, e oggetto di valutazione estetica. Un concetto fondativo è fissato: il parco varia i suoi connotati al variare del clima estetico dell’epoca e delle forme di città, ma soprattutto al variare della struttura, economica, politica, culturale, della società che lo crea. Dal livello degli Itinerari, emergono altri strumenti di interpretazione: a. specie di parchi, con un abaco di riferimento proposto ad interpretazione della varietas morfologica delle applicazioni del progetto contemporaneo, in cui si assume il concetto di ibridazione tra tipologie tradizionali come chiave di comprensione del panorama europeo; b. categorie etiche ed estetiche del progetto contemporaneo, individuate valutando le forme dei parchi in relazione alle idee che le hanno plasmate; c. due atlanti, costituiti da una schedatura critica di sedici parchi, scelti tra i tanti realizzati a Berlino e Barcellona negli ultimi vent’anni, e visitati direttamente. Nell’ultimo livello, Narrazioni, viene delineata una filosofia progettuale, basata sulla trilogia lessicale teorizzata dal filosofo francese Paul Ricoeur: prefigurare, configurare, rifigurare. A questa sono affiancati alcuni strumenti culturali per una progettazione in chiave etica/estetica. Facendo uso degli assunti epistemologici dell’estetica semiologica e della teoria della Gestalt, si considera il parco come un testo narrativo ed il racconto una forma di progetto. La narrazione di valori etici ed estetici diventa il fine del progetto, a prescindere dal tipo di meccanismo compositivo adottato e dall’esito formale che si intende raggiungere. Gli strumenti individuati sono compresi in tre categorie: pattern di fruizione estetica, da intendersi come strumenti guida del primo livello della riflessione progettuale; pattern narrativi, necessari per costruire una struttura narrativa dello spazio. Limiti, cronotopi8, percorsi, sono i tre gruppi di pattern narrativi, intesi come componenti base per la modulazione del racconto-parco. grammatiche del bello, da intendersi come sistemi di regole con cui confrontarsi. La ricerca propone quattro grammatiche base: della natura, della fantasia, della buona visione, dei giardini. Il percorso di ricerca si chiude ad anello, con alcune considerazioni sul fare parchi come attività etica ed estetica intesa come declinazione di un’arte contemporanea dei giardini e dei paesaggi, in cui Arte, Natura, Memoria e Società, costituiscono sempre le principali forze costantemente in gioco con cui il progettista è destinato a confrontarsi. E’ riflettendo intorno al significato ed al valore di questi quattro elementi che sono state composte le note conclusive del lavoro: di seguito ne viene riproposto uno stralcio. RIFLESSIONI CONCLUSIVE: UN CODICE PER IL PAESAGGISTA CONTEMPORANEO? In un contributo scritto all’inizio degli anni Novanta, il paesaggista olandese Adrian Geuze9 domanda provocatoriamente: ma ha senso parlare di parchi urbani, oggi che, per come si è

8 I cronotopi designano gli ambiti spaziali omogenei, interni al parco, la cui identità è considerata nella fusione tra dimensione spaziale e temporale. La denominazione è stata presa in prestito da MICHAIL BACHTIN, in Estetica e Romanzo, (1975), Einaudi, Torino, 1997. Il critico russo definisce in questa opera il cronotopo “l’interconnessione sostanziale dei rapporti temporali e spaziali dei quali la letteratura si è impadronita artisticamente. Questo termine è usato nelle scienze matematiche ed è stato introdotto e fondato sul terreno della relatività (Einstein. A noi non interessa il significato speciale che esso ha nella teoria della relatività e lo trasferiamo nella teoria della letteratura quasi come una metafora (quasi ma non del tutto), a noi interessa che in questo termine sia espressa l’inscindibilità dello spazio e del tempo (il tempo come quarta dimensione dello spazio)”, pag. 230. 9 ADRIAN GEUZE, op.cit., 1992, pag. 47. “Green ha become a kind of habit. And it ha salso become a clichè of its own. (…) There is absolutely no need for parks anymore, because they have solved all the 19th century problems and a new type of city has been created”.

Page 153: Q2 2005 Volume Tre

149

trasformata la città, per come sono cambiate la società e le abitudini di vita della gente comune, non sembra sostenibile riprodurre qualcosa di simile ai grandi parchi Ottocenteschi? Il fervore di esperienze in atto un po’ in tutta Europa pare affermare che sì, ha ancora senso parlare di parchi urbani. Anzi ne ha moltissimo. Solo che è cambiato significativamente il modo di concepirli e progettarli, e, rispetto ai primi modelli, è cambiata la loro dimensione etica ed estetica. Perchè se non siamo più sorretti dalla unificante ideologia paesistica e figurativa del pittoresco10, se la città cambia, come idea, nella forma, il parco si adegua, basta guardare quello che succede nel dibattito teorico così come a quello che accade in molte città. Il tessuto urbano è frammentato? Il parco può farsi connettivo. E’ magma informe e senza confini? Il parco può formarne limiti e struttura. E’ una maglia malamente bucata? Il parco si candida per donare senso ai suoi vuoti. E così via. Il parco, messo a sistema e declinato in varie forme, ha insomma conquistato ampia attenzione progettuale e si è qualificato come materiale strutturante e figurativo della città in trasformazione. Rispetto al pensiero estetico sulla natura, fuori dai confini del modello Ottocentesco, che pare continuare comunque a mantenere nell’immaginario collettivo tutto il suo charme, il tema del bel paesaggio è stato liberato dall’incantesimo del romantico e del pittoresco tradizionale ed il bel parco pubblico dal garbo delle ordinate aiuole fiorite. La natura dei nuovi parchi viene lasciata agire in mutevoli scenari attivi, in cui si affermano, con pari diritti, una estetica a base ecologica, del valore della friche, o la bellezza della natura agro-forestale o, ancora, della natura fortemente artefatta e geometrizzata. Quelle del paradiso del XXI secolo sono un’etica ed un’estetica pluraliste. Nella seconda parte della ricerca si è visto come il concetto di pluralismo sia trasversale rispetto ad una lettura delle connotazioni estetiche del progetto contemporaneo (riflessione sulle categorie etiche-estetiche) e ad un vaglio delle morfologie spaziali che caratterizzano i sistemi del verde urbano (individuazione delle specie di parchi). E se non è possibile appellarsi ad un unificante ed univoco ideale di bellezza, naturale o artificiale, né ad una unica e predeterminata idea di parco, anche il concetto di stile non appare più tanto adeguato. La disinvoltura con cui molti progettisti sono in grado di maneggiare e miscelare di volta in volta motivi, temi ed elementi, con una spiccata attitudine alla manipolazione formale e alla scelta di soluzioni aperte, porta alla creazione di figure sempre diverse, ibridi del tempo e della forma. Oltre al comune denominatore “dello spazio caotico e alienante della civiltà moderna”11 valido per molte città, il panorama europeo rivela la presenza di alcuni leit-motive di carattere transnazionale, che ricorrono, pur con diversa intensità e nella differenza di approcci progettuali tra i vari paesi: attenzione ai valori della tradizione, valenze ecologico-ambientali, ricerca di una nuova figuratività della natura di città, costruzione di identità locali. Il tutto pare convergere verso la riscoperta di un tema universale: il giardino come spazio eletto per la costruzione di un rapporto tra uomo e natura. Come in altre città europee, una vera e propria rivoluzione estetica dell’ambiente urbano è in corso a Berlino e a Barcellona, dove si sta sperimentando un rovesciamento paradigmatico nel significato e nell’uso del giardino12. In una dimensione urbana quotidiana che ci tiene lontani dal contatto con la terra e ci porta ad essere sempre meno consapevoli dei tempi e dei cicli dei processi biologici, il giardino, ambito di coltivazione e di cura della natura, viene utilizzato come una potente metafora etica. Per darle corpo, possiamo costruire i nuovi parchi guardando ad un’arte contemporanea dei giardini e dei paesaggi urbani, sapendo di poter disporre di consolidati meccanismi di costruzione dello spazio, di uno sperimentato repertorio figurale da maneggiare con avvedutezza, e dei principi progettuali rispetto a cui si è sviluppata una

10 Cfr. EUGENIO BATTISTI, Il verde urbano, in GIUSEPPE SACCARO DEL BUFFA, a cura di, Iconologia ed ecologia del giardino e del paesaggio, Leo S. Olschki, Firenze 2004, pag. 348. 11 CHRISTHOPE GIROT, Paesaggio e ossessione, in "Casabella" 711/2003, pagg. 50 - 53 12 CHRISTHOPE GIROT, Ibidem.

Page 154: Q2 2005 Volume Tre

150

tradizione millenaria. A questi temi sono dedicate le considerazioni raccolte nella terza parte della ricerca. Abbiamo parlato di grammatiche del bello, di un lessico proprio del progetto di paesaggio, di pattern narrativi, come di strumenti di cui il paesaggista può imparare a disporre, sottolineando che ogni progetto di parco si forma nell’intreccio inestricabile tra alcune costanti di progettazione: arte, natura, memoria, società. Alla domanda proposta ad apertura di questo paragrafo conclusivo, potremmo provare a rispondere che esiste la possibilità di elaborare nuove forme di paesaggio urbano rispetto ad una idea comune, chiara nella sua proposizione: il parco come spazio etico dotato di identità estetica. Dove il termine etico riporta ad un principio di responsabilità culturale e operativa, non di esclusivo appannaggio del progettista, ma riferito a tutta una società: è il richiamo alla radice etimologica di ethos come spazio comprensivo della totalità dell’esistenza, della vita attiva di una comunità13, e che apre la strada alla necessaria corrispondenza tra identità culturali locali e forme dei luoghi, tanto invocata nella cultura contemporanea. Uno spazio etico ed estetico non è solo frutto di valutazioni geometriche, economiche, utilitaristiche, ma è uno spazio della memoria attiva dove si svolgono e percepiscono insieme tempo della storia, tempo sociale, tempo biologico e tempo sensibile delle cose: il tempo della vita. Una prospettiva in cui il parco contemporaneo, destinato ad accogliere momenti di vita reale di una società sempre più improntata ad un modello multietnico e multiculturale, diventa lo spazio della città in cui sperimentare un “nuovo progetto estetico carico dell’antichissimo significato vitale di kepos”14. Un recinto in cui sentirsi accolti, in cui rimpatriare15. Il progettista lavorerà alla sua costruzione con l’attitudine propria ad un interprete, ad un mediatore linguistico e culturale, attento a depositare sistemi di segni composti da un significato collettivo e universale e da un significante riferito a culture e memorie locali. Sostiene Michel Corajoud, “il paesaggio è conversazione, dialogo e ascolto di quanto è stato già detto: si prende la parola sapendo di poterla restituire”16. Per una cultura del progetto di parco urbano come spazio etico ed estetico All’inizio del XXI secolo fare parchi in molti paesi d’Europa è divenuta una pratica diffusa, e si spera possa accadere lo stesso anche in Italia, dove, nonostante il gran parlare, si continua a registrare un nocivo ritardo culturale. Ritardo che trova le sue ragioni anche in una serie di equivoci teorici e di superficiali convinzioni sulla cultura, le finalità, i campi applicativi della progettazione paesaggistica. Citiamone alcuni ragionandoci sopra, così da definire al contempo una sequenza di proposizioni attorno a cui si ritiene debba svilupparsi una cultura del progetto di parco urbano, che è una delle forme dei nuovi paesaggi. Uno. Permane nella cultura di massa, nonostante il grande fervore editoriale e pubblicistico su parchi, giardini e paesaggio, l’idea di parco urbano come pezzo di natura naturale genericamente allestito. E’ un’idea ingenua, riduttiva e anacronistica, arretrata anche rispetto alla definizione suggerita ad esempio da Stübben, che, pur dalla distanza della sua visione Ottocentesca, aveva dei parchi urbani una concezione molto più all’avanguardia di tanti nostri contemporanei, se non altro perché definendo quello stesso pezzo di natura anche bello, dava per scontato che fosse oggetto di attenzioni estetiche da parte del progettista, del fruitore, di tutta una società. Il fatto è che nel dibattito (non solo italiano) su verde urbano e natura in città innescato negli ultimi decenni, le diversità dei punti di vista all’interno dei vari settori disciplinari (ecologi, naturalisti, architetti, paesaggisti, urbanisti…), piuttosto che convergere verso un modello culturale condiviso, hanno finito per determinare una gran costellazione di luoghi comuni, fatti di contrapposizioni tra ragioni estetiche e principi ecologici, tra idea di bel parco come replica di un modello Ottocentesco e idea di buon parco come applicazione di una logica solo quantitativa, tra parco come luogo in cui coltivare 13 Cfr. MASSIMO VENTURI FERRIOLO, Etiche del paesaggio, Editori Riuniti, Roma 2002, pag. 13. 14 MASSIMO VENTURI FERRIOLO, op.cit., Roma 2002, pag. 169. 15 E’ questo un tema di riflessione ricorrente nell’opera di Rosario Assunto. 16 MARIAVALERIA MININNI, Jump into your dream. Ovvero, ri-creare la naturalità, “Urbanistica informazioni”, N°186/2002, pag. 11.

Page 155: Q2 2005 Volume Tre

151

attività ricreative basate su un concetto di divertimento preconfezionato e parco come esclusivo spazio di conservazione della natura. Leggere il parco rispetto a categorie oppositive porta a negarne la sua essenza come spazio sottoposto a domande contraddittorie, proprio come succede per la città. E, come per la città, “voler superare tale contraddittorietà è cattiva utopia. Occorre darle forma”17. Una forma che va trovata di volta in volta: non è uno stereotipo che arriva come un a priori, una formula ricavata da una sommatoria di funzioni e bisogni o attraverso la generica articolazione di un set di parole-chiave. Processo, divenire, genius loci, recupero di memorie, identità locale, espressioni continuamente evocate come ingredienti base di ogni progetto, non dovrebbero essere semplici slogan da sbandierare, ma principi da accogliere anche in una prospettiva di un’etica dei risultati. Risultati prefigurabili rispetto ai tempi lunghi dei cicli biologici e naturali come di quelli politico-sociali, non rispetto agli allestimenti a pronto effetto a cui ci siamo così prontamente abituati. Due. A chi mantiene una accezione riduttiva di parco pubblico come mero pezzo di natura, o per contro, mero pezzo di città, pare sfuggire una visione chiara di un luogo che, ontologicamente, è al contempo spazio urbano di natura e ambito privilegiato per le relazioni sociali e umane, per l’incontro tra individui. Saranno gli utenti per l’urbanista, i cittadini urbani per il sociologo, gli appartenenti ad una determinata comunità per l’antropologo, ma comunque sempre, prima di tutto, persone. Dotate di sensorialità, di una loro identità culturale, di memorie individuali e collettive, di facoltà cognitive; con i loro bisogni e le loro necessità funzionali, ma anche con i loro sogni, la loro creatività, la loro capacità di immaginazione. Il parco, per usare una felice espressione di Sven-Ingvar Andersson può diventare allora, nella società dello spettacolo e del surplus di mondi digitali, un antidoto per la realtà virtuale. Come? Ma semplicemente riportando ad una dimensione quotidiana, reale e democraticamente accessibile a tutti, la semplice bellezza della natura, costruendo uno spazio vitale e vivente entro cui far uso diretto delle nostre facoltà cognitive ed esperienziali. Mettendo alla prova i nostri sensi e la nostra sensibilità in un luogo in cui, se vogliamo, possiamo scegliere di starcene soli in mezzo agli altri, partecipando del tempo biologico delle cose naturali, nel modo più semplice e libero possibile, lasciando andare il nostro pensiero dall’infinitamente piccolo all’infinitamente grande. Tre. Oltre a tutte le considerazioni sulla ambiguità semantica e la povertà evocativa della denominazione verde urbano, per cui si rimanda al contributo di autori d’eccellenza18, merita soffermarsi un momento sulla nociva permanenza di certe superficiali interpretazioni in uso. Vediamone le due più comuni. Il primo: Verde e/o Parco = (automaticamente) bello. Vista la sua scarsa presenza nelle nostre città, si finisce per credere che il verde sia sempre bello: comunque e ovunque sia, qualunque forma abbia, qualunque ruolo svolga nel contesto, si dà per scontato che porti sempre e comunque un miglioramento alla città, e che abbia una specie di potere salvifico e taumaturgico su necessari mali come l’inquinamento e la bruttezza della periferie. Ma non è così. “Perché mai tutta questa ‘verdolatria’? Forse perché il verde rinvia al vegetale, dunque alla clorofilla, e dunque alla vita? Va bene, ma non è un motivo sufficiente per erigere a valore estetico un valore biologico, per fare di un valore ecologico un valore paesistico. Chi ha stabilito che un paesaggio debba essere una sorta di lattuga gigante, una zuppa di verdura, un brodo di natura?”19, contesta, ironizzandoci sopra ed esagerando un po’, il filosofo francese Alain Roger. Un verde urbano malamente progettato e realizzato, può essere decisamente più brutto di un edificio di cemento ben concepito, formalmente e figurativamente. Anche un parco non è detto che sia automaticamente sempre bello. Già negli anni Sessanta nella sua polemica contro l’etica modernista-funzionalista, Jane Jacobs aveva dimostrato che

17 MASSIMO CACCIARI, La città, Pazzini Editore, Rimini, 2004. 18 Contro la asettica definizione funzionalista di verde urbano restano memorabili, in particolare, le pagine di Rosario Assunto, Pietro Porcinai, Eugenio Battisti. 19 ALAIN ROGER, Verdolatria, in “Lotus Navigator” n°5, 2002, pag. 99.

Page 156: Q2 2005 Volume Tre

152

un parco urbano, di per sé, non è un elemento positivo nella città, e che la sua fortuna dipende strettamente dal contesto e dalla sua possibilità di agganciarsi ad un sistema articolato di spazi e usi dentro il tessuto urbano. Ecco, direttamente, cosa pensava al riguardo: “i parchi di quartiere e gli spazi aperti aventi funzioni analoghe vengono considerati comunemente come benefici elargiti alle derelitte popolazioni urbane. Bisognerebbe rovesciare questo concetto e considerare piuttosto i parchi urbani come luoghi abbandonati, bisognosi di essere apprezzati e vitalizzanti; il che sarebbe più realistico, giacché sono gli utenti a decidere se frequentare un parco, determinandone così il successo, oppure evitarlo, condannandolo all’abbandono e all’insuccesso”20. Insomma, verde, parco è bello a condizione che sia un verde, parco di sistema e che sia un verde, parco pensato anche come valore estetico. Se poter beneficiare dello spettacolo di un paesaggio naturale costituisce di per sé, senza dubbio, un’esperienza estetica, c’è da ricordarsi che il parco urbano è una forma di paesaggio di città, quindi multicategoriale e polifunzionale, in cui la presenza di natura naturale non costituisce la sola possibilità per guidare la definizione dell’immagine complessiva. Il secondo. Verde = idea ingenua di natura = clichè di progetto di parco. La parola parco, che rimanda ad un tipo di spazio aperto che nello stato libero del verde urbano è monarca indiscusso, viene troppo spesso agitata a sproposito come una bacchetta magica. Solo un aneddoto per fare un esempio. “Qui nascerà un bel parco”, dichiarò trionfante un agente immobiliare per ingolosire un potenziale cliente, ad acquistare un appartamento nella periferia di una città spagnola. La casa si affacciava su un gradevole relitto di campagna coltivata, chiusa in mezzo a casermoni multipiano. Dopo qualche anno, il parco fu realizzato, e, passando di là, quel cliente mancato si sorprese felice per non aver ceduto alle lusinghe del venditore: un prato con qualche panchina e pochi pini spelacchiati stava intrappolato dentro un inutile intrico di viali cementati e piazzole sterrate e fangose, al posto di pomodori e zucchine. Insomma, l’idea di parco non sempre mantiene la sua promessa di felicità. Molti dei parchi contemporanei, nati per iniziativa di cittadini e/o associazioni ambientaliste (pensiamo ad esempio al berlinese Natur-park Südgëlande), si rivelano come gelosi contenitori di una natura ribelle, di una vegetazione nata e propagatasi spontaneamente in luoghi dimenticati dalla urbanizzazione (da quella pianificata freddamente a tavolino come anche da quella sregolata), e che convive con i relitti di vecchie infrastrutture e scarti urbani. Altri parchi ripropongono scampoli di natura coltivata, contengono inserti di orti, di campagna urbanizzata (francesi, tedeschi e olandesi, in particolare, sono maestri nella composizione di questi paesaggi ibridati senza indulgere in facili quanto inutili romanticherie). Altri ancora, e qui vengono in mente alcuni dei parchi barcellonesi di ultima generazione, trovano nell’esibizione compiaciuta dell’artificio i loro aspetti più accattivanti. Tutti amati, frequentati e animati dalla presenza assidua di cittadini e visitatori, questi parchi rinviano ad un’idea di spazio di natura che non è fatta solo di verde e dove l’idea di verde niente ha a che vedere con quella suggerita dal clichè del parco Ottocentesco o dai giardinetti pubblici dei primi del Novecento. Quattro. Si ritiene che a fare un parco, in fin dei conti, sia capace qualsiasi tecnico con un po’ di inventiva, di pratica e di buona volontà. Architetti, urbanisti, ingegneri, agronomi, eccetera: in Italia differenza non se ne fa. Ma se il parco ha bisogno di forma, il tecnico necessita di formazione, e da che giardino è giardino, da che i primi parchi pubblici sono stati aperti, la pratica per costruire questi luoghi si è chiamata giardinaggio, arte dei giardini, architettura del paesaggio in italiano, o garden art, landscape architecture, landscape design, park design, nella cultura anglosassone, ad esempio. Cosa si vuol dire con questo? Diverse cose, ma una in particolare: esiste una precisa figura professionale, quella del paesaggista, il cui profilo formativo si colloca in un quadro tecnico culturale fatto di continui e necessari scambi tra discipline diverse (architettura, arte, biologia, ecologia, eccetera). L’interdisciplinarietà, che è l’attitudine migliore alla costruzione di qualsiasi nuova forma di paesaggio quale è anche un parco urbano, è la peculiarità di questa figura. 20 JANE JACOBS, Vita e morte delle grandi città, Edizioni di Comunità, Torino, 2000. Ed.or. New York, 1961.

Page 157: Q2 2005 Volume Tre

153

Sostiene il geografo francese Pierre Donadieu che il paesaggista è colui che si occupa del “processo di produzione di un territorio basato sull’anticipazione, in parte vaga, in parte definita, del suo divenire sociale e spaziale”21. Anticipare il divenire del progetto di paesaggio non richiede solo un buono sforzo di immaginazione e di invenzione di forme, ma ha a che fare con l’aver imparato i tempi e le attese dei processi biologici e delle modalità di crescita naturali, messi in relazione ai diversi tipi di fruizione e di uso sociale. Al progettista di parchi è richiesta soprattutto l’abilità ad innescare e capire processi capaci di tenuta, nell’immagine e nel contenuto, attraverso il tempo e nello spazio. Il paesaggista è un costruttore di immagini reali che cambiano nel tempo, e dentro cui cambiamo, ciascuno individualmente, e tutti insieme come società. Ancora quattro punti facili E se, a questo punto, volessimo provare a tracciare una sorta di stringato codice del paesaggista? Giocando con le parole, lasciata da parte ogni ambiziosa pretesa deontologica, proviamo a rifarci alla definizione ontologica di giardino. Possiamo riprendere quella immagine del parco urbano come intreccio virtuoso tra natura, arte, memoria e società fornita da Luigi Latini e, con alcuni consigli di autori, andare a precisare una sequenza in quattro tappe che assomiglia più che altro ad un codicillo, un poscritto. Uno. Per progettare con la natura, c’è da conoscerla, rendersela familiare, farsela amica fuor di metafora. E quindi, uscire dallo studio per porre il piede direttamente sulla zolla. Guardare “innanzitutto al terreno, non soltanto nelle sue curve di livello, ma nelle sue forme concrete di sabbia argilla creta ciottoli pietre e rocce, e ai colori di queste cose; e se (si) ha la fortuna di avere a propria disposizione l’acqua, in qualche forma, osservare se si muove come si muove, quale forma prende in quel luogo, se è sorgente, ruscello, fiume, stagno, lago o laguna, e poi gli alberi, i cespugli, le erbe, e anche tutte le cose, gli animali …Perché in realtà entrano e escono nel nostro paesaggio, o giardino o parco che sia, altre forme della vita, nel corso del tempo, se pure con maggiore lentezza degli uccelli migratori: le foglie che spuntano, cambiano colore e cadono, i fiori e i frutti, le cui presenze sono certo più prevedibili e regolari, ma anche quelle, (come gran parte delle entrate in scena degli uccelli, dei rospi, delle cicale, dei grilli) cicliche”22. Il progettista di parchi conosce il rito del seminare, piantare, vangare, nutrire23. Conosce e rispetta la grammatica della natura, sa che tra le piante esistono antipatie e simpatie. Riascoltiamo a tal proposito le riflessioni di Pietro Porcinai: “Qual’era il segreto degli antichi costruttori di giardini? C’è voluta la scienza moderna per capirlo: quando, poche decine di anni fa, un botanico francese, Braun Blanquet, scoprì che le piante stanno meglio in compagnia piuttosto che da sole. Ma questa compagnia non è casuale; essa, per converso, è sapientemente determinata da rapporti misteriosi: l’ombra di una pianta serve ad un’altra pianta; le foglie dell’una, cadendo, sono preziose alle radici di un’altra ancora. I lecci prosperano all’ombra dei pini, e ne proteggono ad un tempo, le radici. E via discorrendo. Ma, quel che è più importante, si è scoperto che, quando le piante vivono fra di loro in piena armonia associativa (armonia botanica), anche il loro portamento, la loro forma esprimono una perfezione armonica: e tale armonia di rapporti si estende, ovviamente anche al colore. I più perfetti rapporti coloristici, pertanto, si hanno fra le piante botanicamente in armonia. Avevano gli antichi architetti di giardini compreso ciò? Forse. O, per lo meno, l’avevano intuito (…) Succede lo stesso, nella maggioranza dei parchi moderni? Eh, no.”24 Due. Per imparare a progettare ad arte abbiamo tutta una tradizione figurativa e di ricerca di forme e esperienze estetiche a cui guardare. La definizione di arte, nella progettazione del

21 PIERRE DONADIEU, Progettazione paesaggistica, in “Lotus Navigator” n°5, 2002, pag. 96. 22 IPPOLITO PIZZETTI, Attorno al progetto di un parco, in FRANCO GIORGETTA, a cura di, Natura e progetto del parco contemporaneo, Clup Milano 1988, pag. 110. 23 Con riferimento al capitolo VII del libro di RUDOLF BORCHARDT, Il giardiniere appassionato, Adelphi, 1992. 24 PIETRO PORCINAI, Il colore nei giardini e nel paesaggio, Atti 1°Convegno Nazionale del Colore, Padova, 10 – 11 giugno 1957. Pubblicato anche in MARIACHIARA POZZANA, a cura di, I giardini del XX secolo: Pietro Porcinai, Alinea, Firenze 1998, pagg. 205-209.

Page 158: Q2 2005 Volume Tre

154

parco contemporaneo, condensa l’idea di opera come espressione simbolica ed estetica della cultura di una società con quella di manufatto prodotto dalla creatività umana ed espressione percepibile di relazioni formali. Il riferimento diretto è dato dalla tradizione dell’arte dei giardini, in cui rito, evocazione, tecnica, saggezza popolare, invenzione si fondono per dare vita ad un’opera che è: “Architettura per la sua composizione, Scultura per il modellamento plastico del terreno, Pittura per l’effetto dei colori degli alberi, Musica per i ritmi della sua composizione, E per la natura cangiante dei suoi fiori, Poesia, Teatro (décor) e perfino danza.”25 Parlare di un’arte contemporanea dei giardini e dei paesaggi applicata alla costruzione di un parco, non significa pensare al parco giusto come ad un bell’oggetto artistico, ad un elemento decorativo piazzato per migliorare la qualità estetica della città. Significa piuttosto pensare al parco come ad una speciale componente urbana, utile e bella. Come il giardino, il parco è una macchina semantica in cui la natura trova le sue figure. Nei parchi della città contemporanea, queste figure possono rivelarsi lungo i binari di una stazione ferroviaria abbandonata, come nello spazio rappresentativo di un edificio pubblico, come nei vuoti delle periferie, come nei relitti di campagna inurbata. Tre. La memoria nel progettista è immaginativa, ricreativa, così ha senso, altrimenti comincia ad assomigliare ad una clinica in cui mettere i ricordi26 tributando stesso destino allo spazio progettato. Per il progettista di parchi urbani, la prima inevitabile immagine mnemonica attiva è il giardino, come mnemotopo di una memoria culturale di valore globale di cui si effettua una trascrizione a livello locale. Come si è più volte ripetuto, quella di giardino è un’idea antica e moderna, presente nella cultura di tante e diverse società: riferirsi ad un’arte contemporanea dei giardini e dei paesaggi urbani non significa richiamare un pensiero decorativo, ornamentale, un po’ frivolo, bensì un pensiero strutturante, radicato nei miti di fondazione di identità culturali e locali tuttora attivi. “Sogno e ricordo, desiderio e speranza, parabole e simboli dell’uomo si presentano come giardini. L’uomo continua a creare giardini per realizzare – in modo effimero o duraturo – la sua inappagata brama di un mondo negato.”27 Nel giardino si rimpatria, si ritorna a noi, perché ci si ricollega anche inconsciamente alla memoria di una condizione primigenia. La memoria ricreativa, inoltre, tesse trame di relazioni, visibili ed invisibili, attorno e dentro il luogo, tra esterno ed interno, tra prima e dopo. Il progettista di parchi urbani guarderà alla città, al contesto che avviluppa lo spazio del progetto, e che da questo sarà a sua volta avviluppato, e lavora nelle stratificazioni di immagini che la sua storia ha prodotto. “La storia entra nel progetto come la poesia nel quotidiano. Tale operazione non maschera l’idea di insegnarci qualcosa, ma vuole piuttosto tentare di provocare la nostra immaginazione, di affascinarci mediante degli indizi, dei suggerimenti capaci di renderci curiosi, di porci degli interrogativi”, dice Paolo Bürgi raccontando del suo progetto per Cardada, in Svizzera28. La memoria diventa un ethos affettivo29: guida la produzione di segni che veicolano un’affezione. A volte sono suggestioni impalpabili, a volte espliciti richiami al ricordo, leggere sottolineature di tracce esistenti o ancora immissione di dati che rievocano relazioni

25 Cfr. RENE PECHERE, op. cit., pag. 19. Traduzione di Anna Lambertini. 26 Cfr. MASSIMO CACCIARI, La città, Pazzini Editore, Rimini, 2004, pag. 35. 27 RUDOLF BORCHARDT, Il giardiniere appassionato, Biblioteca Adelphi, Milano 1992, pag. 14. Scritto nel 1938. Ed. orig. 1968. 28 PAOLO BÜRGI, Memoria e immaginazione: la storia quale sorgente di ispirazione, in GIULIANA BALDAN ZENONI-POLITEO, ANTONELLA PIETROGRANDE, a cura di, Il giardino e la memoria del mondo, Leo S. Olschki, Firenze 2002, pag. 149. 29 Cfr. RAFFAELE MILANI, Eloquenza della natura, in GIULIANA BALDAN ZENONI-POLITEO, ANTONELLA PIETROGRANDE, a cura di, Il giardino e la memoria del mondo, Leo S. Olschki, Firenze 2002, pagg. 117 - 124.

Page 159: Q2 2005 Volume Tre

155

ed immagini paesaggistiche perdute. La memoria ricreativa è eloquente, ma non crea rumore semantico: non grida, sussurra. Quattro. Constatata la difficoltà a ricostruire un senso estetico dei nuovi luoghi dell'abitare, la società del XXI secolo, dispersi in soli cinquant’anni i valori di una millenaria cultura rurale senza averne saputi forgiare di fondativi per quella urbana, ripensa ai suoi giardini. Il giardino, luogo in cui fioriscono le relazioni umane e di cura della natura, è una potente metafora, ed i nuovi parchi acquisiscono il valore di testi formativi30. Come? Rendendo possibili nuove ritualità urbane, mostrandosi disponibili ad offrire spazi d’uso flessibili, adatti a rispondere ai bisogni collettivi di tutti gli abitanti metropolitani (ad esempio fornendo un’ampia superficie a prato per il cricket domenicale dei gruppi di pakistani o per le partite a pallone degli italiani, orti urbani per coltivatori inurbati, spazi di ritrovo accessibili con i motorini per gli adolescenti, aree barbecue per le famiglie, boschetti ombrosi per gli innamorati, e via dicendo). I nuovi parchi per la società del XXI secolo non devono per forza proporre l’immagine di un altrove fantastico, mimando paesaggi esotici o tematizzando l’evasione dal quotidiano con pagode e laghetti romantici. Internet e i media ci hanno portato da un pezzo l’altrove dentro casa visivamente, i biglietti aerei a tariffa stracciata e i viaggi intercontinentali a basso costo ce lo rendono facilmente palpabile. I nuovi parchi potrebbero invece rendere possibili attività di coltivazione e di produzione di natura (ospitando piccoli lotti per giardini e orti da lasciar coltivare ai cittadini, annettendo inserti di terreni agricoli da lasciare a seminativo o frutteto, con la realizzazione di boschi urbani) o di osservazione, studio e scoperta (con orti didattici, city farm, collezioni botaniche, itinerari tematici…). Vengono in mente ancora le considerazioni di Pierre Donadieu, che nel suo La Société paysagiste,31 sottolinea la portata etica dei parchi, letti come possibili produttori di un modo alternativo di abitare lo spazio nel quotidiano, di trasformare delle risorse economiche, naturali e culturali in patrimonio collettivo. Inoltre, molte esperienze contemporanee rivelano che la limitata disponibilità economica, non costituisce di per sé un ostacolo per la costruzione di spazi a forte risonanza simbolica e poetica: quando la società ha chiari i suoi obiettivi etici, quando il paesaggista conosce bene il suo mestiere, anche un semplice prato, immaginato e strutturato non secondo la logica riduttiva e anestetica dello spazio attrezzato, ma come un grande vuoto teatrale, creato con le giuste seminagioni, quinte arboree ben disegnate e pochi elementi di arredo, può andare bene, anzi benissimo. Per finire. Arte contemporanea dei giardini e dei paesaggi come speranza progettuale La sfida più importante per il progettista di parchi e giardini del XXI secolo, impegnato a creare nuovi paesaggi, sembra quella di rendersi consapevole di un’etica dei risultati: sviluppando la capacità ad attribuire valore estetico e base etica a tutte le fasi di un processo, in cui la natura ed il parco non sono merci da consumare o belle immagini da fissare, la società non è un gruppo in esterno di utenti – consumatori, e l’identità locale non è il frutto di un immaginoso recupero di stereotipi identificativi, ma di un percorso dentro le differenze e le contraddizioni, tutto da costruire puntando al confronto e alla partecipazione degli abitanti. Nel parco urbano la natura mescolata all’arte e alla memoria, diventa latrice a scala locale di un messaggio di valenza globale: “ogni nuova realtà estetica ridefinisce la realtà etica dell’uomo. Perchè l’estetica è la madre dell’etica. Le categorie di buono e cattivo sono, in primo luogo e soprattutto, categorie estetiche che precedono le categorie del bene e del male. Se in etica non tutto è permesso, è precisamente perché non tutto è permesso in estetica, poiché il numero di colori dello spettro è limitato(…) Quanto più è ricca l’esperienza estetica di un individuo, quanto più è sicuro il

30 “I testi formativi – per esempio i miti tribali, i canti eroici, le genealogie – rispondono alla domanda: <<Chi siamo?>>. Essi sono finalizzati all’autodefinizione e al sinceramento della propria identità”. JAN ASSMANN, op.cit., Torino, 1997, pag. 110 31 PIERRE DONADIEU, La Société paysagiste, Actes Sud, Paris 2002.

Page 160: Q2 2005 Volume Tre

156

suo gusto, tanto più netta sarà la sua scelta morale e tanto più libero – anche se non necessariamente più felice – sarà lui stesso”32. Per fare i parchi urbani del XXI secolo, realtà etiche ed estetiche, possiamo continuare a guardare a tutto l’ampio repertorio di principi ed esperienze di un mestiere millenario e, reinterpretandolo, lavorare ad una arte contemporanea dei giardini e dei paesaggi, letta prima di tutto come espressione di una cultura per abitare la terra con la natura.

32 JOSIF BRODSKIJ, Discorso per l’accettazione del premio Nobel per la Letteratura, 8 dicembre1987. Traduzione dell’autrice dalla versione inglese di Barry Rubin.

Page 161: Q2 2005 Volume Tre

157

INDICE DELLA TESI 7 INTRODUZIONE 9. Tema della ricerca 17. Quando parliamo di etiche ed estetiche del paesaggio 27 PARTE I. MEMORIA

29. RADICI STORICHE 31. Il parco urbano: evoluzione di un’idea 101. Il parco e la città. Central Park e la forza del mito 113. Modelli etici/estetici 119. MATRICI CULTURALI 121. Regole tra arte e natura 143. Visioni estetiche anticipate: arte ed ecologia 149. Stili e tipi 163 PARTE II. ITINERARI (TRA ETICHE ED ESTETICHE) 165. FARE PARCHI PER LE SOCIETÀ DEL XXI SECOLO 167. Valori in gioco e processi di modernizzazione 191. Specie di parchi 203. LETTURE 205. La varietà del Bello 211. Categorie etiche/estetiche 223. Un orientamento prevalente: pensiero minimale 243. DUE CITTÀ 245. Barcellona: conservare il senso dell’innovazione Un atlante dei parchi urbani 279. Berlino: sperimentare la tradizione Un atlante dei parchi urbani 305 PARTE III. NARRAZIONI 307. TEMI E STRUMENTI 309. Il giardino come metafora etica 313. Una filosofia di progetto 327. Struttura narrativa dello spazio 349. Grammatiche del Bello 371. CONCLUSIONI Un codice per il paesaggista? 385. BIBLIOGRAFIA

Page 162: Q2 2005 Volume Tre

158

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI DI BASE

Storia del giardino, del parco, della città ARGAN GIULIO CARLO, Giardino e parco, in Enciclopedia universale dell’Arte, Volume VI, Unedi, Venezia-Roma 1958. Pagg. 155-159. BALDAN ZENON-POLITEO GIULIANA, PIETROGRANDE ANTONELLA, a cura di, Il Giardino e la memoria del mondo, Leo S. Olschki, Firenze 2002. CERAMI GIOVANNI, Il giardino e la città. Il progetto del parco urbano in Europa, Laterza, Roma-Bari 1996. CRANZ GALEN, The politics of Park Design. A history of Urban Parks in America, C.U.P., Cambridge, 1982. CRANZ GALEN, Urban Parks of the Past and Future, www.pps.org/upo/info/whyneed/newvisions/futureparks , estratto da Parks and Community Places, Urban Parkks Institute’s, Boston 1997. LE DANTEC JEAN-PIERRE, Jardins et paysage: une antologie, Editions de la Villette, Paris 2003. MIGLIORINI FRANCO, Verde urbano. Parchi, giardini, paesaggio urbano: lo spazio aperto nella costruzione della città moderna, Angeli, Milano 1989. MOSSER MONIQUE, TEYSSOT GEORGE, a cura di, L’architettura dei giardini d’Occidente dal Rinascimento al Novecento, Electa ed., Milano 1990. PANZINI FRANCO, Per i piaceri del popolo. L’evoluzione del giardino pubblico in Europa dalle origini al secolo XX, Zanichelli, Bologna 1993. TAGLIOLINI ALESSANDRO, VENTURI FERRIOLO MASSIMO, a cura di, Il Giardino idea natura realtà, Guerini e Associati, Milano 1987. TAGLIOLINI ALESSANDRO, a cura di, Il giardino europeo del Novecento 1900 – 1940, Edifir, Firenze 1993. TEYSSOT GEORGE, Grandi macchine pensanti, Editoriale di “Lotus International” n°30/1981. Pagg. 2 - 10. VERCELLONI VIRGILIO, Atlante storico del giardino europeo, Jaca Book, Milano, 1990. ZANGHERI LUIGI, Storia del giardino e del paesaggio. Il verde nella cultura occidentale. Leo S. Olschki, Firenze 2003. ZOPPI MARIELLA, Storia del giardino europeo, Laterza ed., Bari 1996. Teorie del paesaggio e del giardino ASSUNTO ROSARIO, Il paesaggio e l’estetica, Napoli 1973. ASSUNTO ROSARIO, Filosofia del giardino e filosofia nel giardino, Bulzoni editore, Roma 1981. ASSUNTO ROSARIO, Il verde pubblico tra «moda» e «coscienza ecologica», in Verde pubblico, REDA, Roma 1989, pagg. 25-30. ASSUNTO ROSARIO, La progettazione e il paesaggio, in Il progetto come modifica, a cura di Antonio Piva e Pierfranco Galliani, Di Baio, Milano 1992, pagg. 161-175. ASSUNTO ROSARIO, Ontologia e teleologia del giardino, Guerini e Associati, Milano 1994. BATTISTI EUGENIO, Iconologia ed ecologia del giardino e del paesaggio, Leo Olschki, Firenze 2004. BERQUE AUGUSTIN, Les Raisons du paysage, Editions Hazan, Parigi 1990. COCCO ENZO, Etica ed estetica dei giardini, Guerini studio, Milano 2003. CLEMENT GILLES, Manifeste du Tiers Paysage, Editions Sujet/Objet, Paris 2004. D’ANGELO PAOLO, Estetica della natura. Bellezza naturale, paesaggio, arte ambientale, Laterza, Bari 2001. DIXON HUNT JOHN, Sul concetto delle tre nature, «Casabella», 597-598, 1993, pagg. 98-101. MILANI RAFFAELE, Il pittoresco. L’evoluzione del gusto tra classico e romantico, Laterza, Roma-Bari 1996. MILANI RAFFAELE, L’arte del paesaggio, Società Editrice, Milano 2001.

Page 163: Q2 2005 Volume Tre

159

RITTER JOACHIM, Landschaft. Zur Funktion des Asthetischen in der modernen Gesellschaft, Munster 1963. Trad. ital. Paesaggio. Uomo e natura nell’età moderna, Guerrini associati, Milano 1994 RYKWERT JOSEPH, Il giardino del futuro tra estetica e tecnologia, in "Rassegna" 8/1981. Pagg. 5 - 12. ROGER ALAIN, Vita e morte dei paesaggi, in Lotus 101, Electa 1999. Pagg. 83-90. TURRI EUGENIO, Il Paesaggio come teatro, Marsilio, Venezia 1998. VENTURI FERRIOLO MASSIMO, Nel grembo della vita. Le origini dell’idea di giardino, Guerini e Associati, Milano 1989. VENTURI FERRIOLO MASSIMO, Giardino e filosofia, Guerini e Associati, Milano 1992. VENTURI FERRIOLO MASSIMO, Il progetto tra etica ed estetica, in «Architettura del paesaggio» n° 1, 1998, pagg. 8-9. VENTURI FERRIOLO MASSIMO, Giardino e paesaggio dei romantici, Guerini e Associati, Milano 1998. VENTURI FERRIOLO MASSIMO, Paesaggi. Progetto di un mondo umano, 1999. On line sul sito: http://www.studifilosofici.it/paesaggi.html. VENTURI FERRIOLO MASSIMO, Etiche del paesaggio. Il progetto del mondo umano, Editori Riuniti, Milano 2002. WHISTON SPIRN ANNE, The Authority of Nature: Conflict and Confusion in Landscape Architecture, pagg. 249- 261, in WOLSCHKE-BULMAHN, Nature and Ideology. Natural Garden Design in the Twentieth Century, Dumbarton Oaks Research Library an Collection, Washington 1997. Per progettare paesaggi urbani, parchi e giardini ALEXANDER CRISTOPHER, A pattern language for towns, buildings and construction, Oxford Univ. Press, New York, 1977. BALJON LODEWIJK, Designing Parks, A&N Press, Amsterdam, 1992. BELL SIMON, Landscape: Pattern, Perception and Process, E&FN Spon, 1999. BERNARD STEFAN, LOIDL HANS, Opening Spaces. Design as Landscape Architecture, Birkhauser, Basel, 2003. CROWE SYLVIA, The pattern of Landscape, Packhard ed., Chichester, 1988. CROWE SYLVIA, Il progetto del giardino, Franco Muzzio Editore, Padova 1989. CULLEN GORDON, Il paesaggio Urbano. Morfologia e progettazione, Calderini, Bologna, 1976. DONADIEU PIERRE, La Société paysagiste, Actes Sud/ENSDP, Parigi, 2002. FRANCIS MARK, HESTER RANDHOLP T., The meaning of gardens. Idea, Place and Action, Mit Press, Cambridge, 1991. KAPLAN RACHEL, KAPLAN STEPHEN, RYAN ROBERT L, Whit people in mind: design an management of everyday nature, Island Press, Washington 1998. JELLICOE GEOFFRY.A., L’architettura del paesaggio, Edizioni di Comunità, Cremona 1969. LASSUS BERNARD, Analyse Inventive, in BERQUE, CONAN, DONADIEU, LASSUS, ROGERR, a cura di, Mouvance. Cinquante mots pour le paysage, Editions De La Villette, Paris,1999 LASSUS BERNARD, Couleur, lumière, paysage…, Edition du patrimoine, Paris 2004. LYNCH KEVIN, The image of the City, MIT press, Cambridge 1960. Ed. it. L’immagine della città, Marsilio, Padova 1964. LYNCH KEVIN, A theory of good city form, Cambridge – Massachusetts 1981. Ed. it. Progettare la città. La qualità della forma urbana, Etaslibri 1990. LOMBARDI VICTOR, Pattern Languages for Interaction design, in Razorfish reports, publication of the science department N° 5 del 04.24.00, in www.razorfish.com MC HARG IAN L., Progettare con la natura, Franco Muzzio editore, Padova 1989. Ed. or. Design with Nature, New York 1969. MOORE CHARLES W., MITCHELL WILLIAM J., TURNBULL WILLIAM,JR., Poetica dei giardini, Franco Muzzio Editore, Padova 1991.

Page 164: Q2 2005 Volume Tre

160

OFFICE FEDERAL DE L’ENVIRONNEMENT, DES FORETS ET DU PAYSAGE, Esthetique du paysage. Guide pour la planification et la conception de projets, Berna 2001. ONETO GILBERTO, Fare paesaggio, Elemond, Milano 1989. PECHERE RENE, Grammaire des jardins. Secrets de métier, Éditions Racine, Bruxelles 1995. POTTEIGER MATTEW, PURINTON JAMIE, Landscape narrative: design pratices for telling stories, John Wiley & Sons, London, 1998. SUTHERLAND LYALL, Design the new landscape, Thames and Hudson, London, 1991. STEFULESCO CAROLINE, L’urbanisme végétal, Edition Institut pour le développement forestier, Paris 1993. TOCCOLINI ALESSANDRO, Piano e progetto di area verde, Maggioli Editore, Rimini, 2002. TODD NANCY JACK, TODD JOHN, Progettare secondo natura, elèuthera edizioni, Milano 1989. TURNER TOM, City as landscape. A post-postmodern view of design an planning, E&F Spon, London, 1996. TURNER TOM, All sing pakilda, in Landscape design n°300, London, Maggio 2001; pagg. 37-40. TURNER TOM, HyperLandscapes, in Landscape Design n°304, London, Ottobre 2001; pagg. 28-32. VON MEISS PIERRE, Dalla forma al luogo, Hoepli, Milano 1992. ZOPPI MARIELLA & CO. , Progettare con il verde 1. Verde di città, Alinea, Firenze 1987. ZOPPI MARIELLA & CO., Progettare con il verde 2. I vuoti urbani, Alinea, Firenze 1989.

Giardini e parchi contemporanei: rassegne critiche di opere e progetti AMIDON JANE, Radical Landscapes. Reinventing Outdoor Space, Thames & Hudson, London 2001. ARRIOLA ANDREU, GEUZE ADRIAAN ED ALTRI, Modern park design. Recent trends, Uitgeverij Thoth, Amsterdam, 1993. ASENZIO CERVER FRANCISCO, The world of environmental design, Barcelona 1994 (Urban spaces I, II, III. Landscape of recreation I, II. Civil engeneering. Landscape art. Elements of Landscape. The world of landscape architects). ASENZIO CERVER FRANCISCO, The world of environmental design. Landscape architecture, Barcelona 1996. BERNARD STEFAN, SATTLER PHILIPPE, Vor der Tur. Aktuelle Landschaftarchitektur aus Berlin, Munchen, Callwey 1997. BROTO CARLES, Urbanism. Architectural design. Carles Broto Editor, Barcelona 1997. BURCKHARDT LUCIUS, Tendenze attuali dell’arte dei giardini, «Domus», 817, 1999, pp. 4-5. BIENAL DE PAISAJE DE BARCELONA, Rehacer paisajes, , Catalogo 1° edizione 1999, Fundaciòn Caja de Arquitectos 2000, Barcelona 2000. BIENAL DE PAISAJE DE BARCELONA, Jardins insurgents, Catalogo 2° edizione 2001, Fundaciòn Caja de Arquitectos, Barcelona 2002. CONRAN TERENCE, PEARSON DAN, The essential garden book, London 1998. COOPER GUY , TAYLOR GORDON, Giardini per il futuro, Logos, Modena 2000. CORTESI ISOTTA, Il parco pubblico. Paesaggi 1985-2000, Federico Motta, Milano 2000. CORTESI ISOTTA, Il progetto del vuoto, Alinea, Firenze 2004. DE ROSA CHIARA E ALTRI, a cura di, Parchi naturali e urbani, Atti e Catalogo del Convegno del 1979 IN/ARC e Regione Lombardia, Milano 1982. DONIN GIANPIERO, Parchi, Biblioteca del Cenide, Reggio Calabria 1999. FABRIS LUCA MARIA FRANCESCO, Il verde postindustriale, Liguori Editore, Napoli 1999. GIORGETTA FRANCO, a cura di, Natura e progetto del parco contemporaneo, Clup, Milano 1988. GIROT CHRISTHOPE, Paesaggio e ossessione, in "Casabella" 711/2003. Pagg.50/53 GUCCIONE BIAGIO, Parchi e giardini contemporanei. Cenni sullo specifico paesaggistico, Alinea, Firenze 2001.

Page 165: Q2 2005 Volume Tre

161

HILL PENELOPE, Jardins d'aujourd'hui en Europe. Entre art et architecture, Fonds Mercator, Anversa 2002. HOLDEN ROBERT, New landscape design, Laurence King Publishing Ltd, London, 2003. KIENAST DIETER, Kienast Vogt. Parks and cemeteries, Birkhauser, Berlin – Boston – Basel, 2001. KONEMANN, Atlante di architettura contemporanea, Konemann, Colonia 2000. LANCASTER MICHAEL, The New European Landscape, Butterworth Architecture, Oxford 1994. “Lotus International”, n° 87, novembre 1995. “Lotus Navigator”, I nuovi paesaggi, n° 2, aprile 2001. “Lotus Navigator”, Fare l’ambiente, n° 5, maggio 2002. PIGEAT JEAN-PAUL, Les jardins du futur, Conservatoire international des parcs et jardins et du paysage, Ivry-sur-Seine, 2002. SCHROEDER THIES, Changes in scenery. Contemporary landscape architecture in Europe, BirKhauser, Basel, 2001. SPAGNA RAFFAELLA, a cura di, Giardini: indagine sugli spazi a verde della contemporaneità. Tra Arte del giardino e Architettura del Paesaggio, Osservatorio Città Sostenibili, Dipartimento Interateneo Territorio, Politecnico di Torino, database iconografico e documentario, sito web: www.ocs.polito.it/giardini, on line marzo 2003. STICHTING JAARBOEK LANDSCHAPSARCHITECTUUR, Landschaps architectuur en stedebouw in Nederland 1997-1999, Uitgeverij Thoth, Bussum 2000. UHRIG NICOLE, Freiraume Berlin, Callwey, Munchen,1997. WEILACHER UDO, Between landscape architecture and land art, introduzione di John Dixon Hunt, Basel, Birkhäuser, 1996. RIFERIMENTI ICONOGRAFICI Figure 1, 2, 3, schemi elaborati da ANNA LAMBERTINI, Fare parchi urbani. Etiche ed estetiche del progetto contemporaneo in Europa, Tesi di Dottorato di ricerca in Progettazione paesistica, Università degli Studi di Firenze, aprile 2005. Testo acquisito nel mese di marzo 2006. © Copyright dell’autore. Ne è consentito l’uso purché sia correttamente citata la fonte.

Page 166: Q2 2005 Volume Tre

162

Quaderni della Ri-Vista Ricerche per la progettazione del paesaggio ISSN 1824-3541 Università degli Studi di Firenze Dottorato di ricerca in Progettazione Paesistica http://www.unifi.it/drprogettazionepaesistica/

Firenze University Press anno 2 - numero 2 - volume 3 - settembre-dicembre 2005 sezione: Glossario pagg. 162-176

GREENBELT Antonella Valentini* Summary Since the first examples, the green belt model appears a “reassuring limit” to define the urban shape and dimension. At the beginning politic and social goals led to encircle the cities with un-built belt; later, with the industrial revolution, the anguish of loosing the identities of country and town pushed to build ring systems of green spaces, especially after the demolition of urban walls. During the XX century the model becomes richer in significance and functions, with the important Abercrombie’s Plan and the more recent experiences of German GrünGürtel. Key-words Green belt, cintura verde, cinture verte, grüngürtel. Abstract Fin dalle prime manifestazioni il modello di cintura verde si è posto come un “limite rassicurante” per la definizione della forma e della dimensione urbana. In origine motivazioni di ordine politico e sociale hanno spinto a circondare la città da fasce inedificate, poi, con la rivoluzione industriale, l’angoscia della perdita delle reciproche identità della città e della campagna, ha spinto sempre più, soprattutto con le demolizioni delle cinte fortificate, alla costruzione di sistemi anulari di spazi verdi. Nel Novecento, con l’importante esperienza del piano di Londra condotta da Abercrombie e più recentemente dei GrünGürtel tedeschi, il modello si arricchisce di significati e declinazioni diverse. Parole chiave Cintura verde, green belt, cinture verte, grüngürtel. * Dottore di Ricerca in Progettazione paesistica, Università di Firenze.

Page 167: Q2 2005 Volume Tre

163

L’idea di limite è insita nel progetto stesso di città, raffigurata infatti in antichità con il simbolo formato da una croce (centro) dentro un cerchio (limite). Questo concetto ha assunto configurazioni e significati diversi in funzione dei tempi e delle culture, trovando la sua più evidente espressione nei sistemi delle fortificazioni murarie. Talvolta la definizione dei limiti urbani è stata proposta attraverso cinture di verde, in aggiunta o in sostituzione dell’anello delle mura. Il desiderio, infatti, di fronte all’illimitatezza della città di porre un qualche limite rassicurante, di ridefinire “…la chiusura del cerchio: se non proprio con delle mura, almeno attraverso cinture di verde” 1, ha esercitato sempre una certa attrazione sugli urbanisti. Dai primi archetipi alle più recenti manifestazioni, sebbene in epoca contemporanea siano state introdotte importanti variazioni, si osserva come le cinture verdi siano storicamente legate al desiderio di limitare la crescita e definire la forma urbana. In origine motivazioni di ordine politico e sociale hanno spinto alla ricerca di soluzioni per ottenere il controllo dell’insediamento e contenerlo entro una certa dimensione; poi, il manifestarsi di una sempre maggiore contrapposizione tra città e campagna acutizza l’angoscia di perdere la forma e l’identità della seconda (ma in parte anche della prima) come conseguenza della rivoluzione industriale e sociale. Soprattutto quando le cinte fortificate e quanto simbolicamente esse rappresentano vengono abbattute, si avverte l’esigenza di ri-definire la forma e l’immagine della città. Se, infatti, l’opposizione tra città e campagna è stata sempre presente nei secoli ma, essendo l’agricoltura alla base dell’economia, esisteva una certa complementarietà tra i due luoghi e opposti stili di vita, la relazione si spezza nell’Ottocento con la nascita delle conurbazioni. Inizia a manifestarsi un conflitto, ma anche la sensazione di poter controllare questo binomio per riportarlo ad una situazione armonica: “La città invase la campagna; ma gli invasori […] cedettero all’influenza dell’ambiente e divennero gente di campagna; e a loro volta divennero più numerosi degli abitanti di città e li influenzarono; e così la differenza fra città e campagna diminuì sempre di più…”2. Nel XIX secolo in Inghilterra la ricerca di un equilibrio nel rapporto tra città e campagna, portando le amenità della seconda all’interno della prima, è un tema particolarmente sentito - ben evidente nel passo citato di William Morris - a cui si associa la percezione del senso di finitezza della città. “Le città devono essere armoniche, cristallizzate in una forma, non coaliscenti; limitate nella dimensione […] adornate ciascuna del suo sacro pomerio, e con corone di giardini pieni d’alberi in fiore e di canali dolcemente guidati”3.

Figure 1, 2 e 3. Osborn riporta quali archetipi delle cinture verdi le esperienze dei Levi, le cui città sono cinte pasture lands. Anche le città di Utopia di Tommaso Moro dispongono di cinture di verde agricolo ciascuna della profondità di dodici miglia. Il diagramma di Loudon per Londra (1829) ne mostra una crescita illimitata a cerchi concentrici alternati da fasce di verde.

1 EMYRS JONES, Metropoli. Le più grandi città del mondo, Donzelli, Roma 1993, pagg. 155-156. 2 WILLIAM MORRIS, News from Nowhere, Boston 1891, pag. 99, cit. in PAOLO SICA, L’immagine della città da Sparta a Las Vegas, Biblioteca Universale Laterza, Roma-Bari 1991, pag. 173. 3 EDWARD TYAS COOK, ALEXANDER WEDDERBURN, The works of John Ruskin, Library Edition, London 1870, cit. in PAOLO SICA, op. cit., 1991, pag. 191.

Page 168: Q2 2005 Volume Tre

164

Questi costituiscono i presupposti sui quali tra Ottocento e Novecento in Gran Bretagna, paese in cui le cinture verdi trovano la più completa definizione e istituzionalizzazione, si sviluppa il pensiero di Howard, Unwin e Abercrombie. Tutti e tre utilizzano lo stesso strumento della cintura verde come risposta a problematiche diverse: il sovraffollamento delle città vittoriane stimola il lavoro di Howard; le esigenze ricreative dei londinesi preoccupano Unwin; gli orrori dello sviluppo disordinato urbano nella campagna muovono Abercrombie. La cintura verde nasce dunque come risposta a specifici cambiamenti sociali ed economici della realtà inglese ed è legata alla consapevolezza della sua funzione come sistema estensivo di controllo sull’uso del territorio. La prima cintura verde inglese è fatta risalire da alcuni autori alla proclamazione della regina Elisabetta I che riduce l’insediamento cinquecentesco fuori le porte di Londra4; altri invece la attribuiscono alle indicazioni di Christopher Wren per la ricostruzione della capitale dopo l’incendio del 1666 oltre un raggio di dieci miglia; altri ancora la individuano nell’intervento di John Nash del 1830 per il collegamento di St. James Park attraverso l’apertura di Reagent Street5. Indipendentemente da quale sia il prototipo della green belt londinese, è interessante osservare come la più compiuta teorizzazione sul tema avvenga proprio in una nazione in cui la percezione del limite è sempre stata meno rigida che in altri paesi europei: si pensi allo stratagemma dello ha-ha che consente di integrare visivamente il parco di villa con il paesaggio rurale grazie ad una recinzione invisibile. In Inghilterra, però, le cinture verdi sono fondamentalmente uno strumento di pianificazione dell’uso del suolo e debbono essere lette nel loro ruolo di politiche complementari a quelle insediative, finalizzate principalmente al contenimento dell’urbanizzazione attraverso l’imposizione di un vincolo all’edificabilità. L’idea di cintura verde è comunque molto antica. Secondo Frederick Osborn6 l’organizzazione di una cintura agricola attorno all’insediamento affonda le radici nelle idee di città dei politici e filosofi greci, ai quali sono riferibili soprattutto intenti di limitazione demografica, in particolare Platone che nel Crizia descrive Atlantide circondata da cinte di mare e di terra. Il riferimento originario è però rintracciato da Osborn nelle esperienze delle città levitiche di Palestina (XIII sec. a.C.) dove pasture land, un’area agricola inalienabile estesa circa quindici volte quella urbana, circonda la città al di là delle mura7. Ragioni di sicurezza sono alla base delle estese fasce libere lasciate fuori le fortificazioni in epoca romana e medioevale. Il pomerio, romano ma di origine etrusca è infatti una porzione di terreno non costruita e consacrata lungo le mura delle città, sia sul lato esterno che interno, con funzione difensive e rituali, non tanto di contenimento quanto di controllo; anche il grande spazio privo di costruzioni e vegetazione intorno alle città medioevali, chiuse all’interno delle proprie mura, ha principalmente obiettivi di protezione. In molte teorie utopiche si trovano riferimenti all’idea di cintura verde, soprattutto perché la città immaginata è sempre caratterizzata da un senso di finitezza, sia fisica che demografica. Tra le molte suggestioni merita di essere citata l’isola di Utopia di Thomas More8, che possiede cinquantaquattro città, ciascuna circondata da dodici miglia di territorio destinato all’agricoltura, la cui capitale, Amauroto, si trova al centro dell’isola ed è cinta da alte mura e una profonda fascia agricola. Tra le prime realizzazioni ottocentesche di città ideali troviamo riferimenti alla creazione di aree libere, agricole, ai margini delle città nell’industriale filantropo inglese Robert Owen, che elabora un modello di convivenza ideale tra agricoltura e industria creando nel 1799 a New Lanark, in Scozia e nel 1825 a New

4 Cfr. MARTIN J. ELSON, Green Belts: conflict mediation in the urban fringe, Heinemann, London, 1986, e MARIO DI FIDIO, Architettura del paesaggio, Pirola, Milano 1990. 5 Cfr. TOM TURNER, Greenways: theory and history, conferenza Facoltà di Agraria, Università di Milano, 17 maggio 2001, http://www.users.unimi.it/~agra/ingag/greenways/intervento_turner.htm 6 Cfr. FREDERIC OSBORN, Greenbelts, in ARNOLD WITTICK (editor in chief), Encyclopaedia of Urban Planning, McGraw-Hill Book Company, New York 1974, pag. 484. 7 Cfr. FREDERIC J. OSBORN, Green-Belt Cities, Faber & Faber Limited, London 1946, pagg. 168-169. L’autore si richiama al Libro dei Numeri, quarto libro della Bibbia ebraica 8 TOMMASO MORO, L’Utopia, o la migliore forma di repubblica, (1516), trad. ita. Tommaso Fiore, Editori Laterza, Roma 1993, pagg. 56-60.

Page 169: Q2 2005 Volume Tre

165

Armony, in America, una comunità autosufficiente di dimensioni limitate che lavora collettivamente in campagna e in officina9. All’esterno del suo “parallelogramma” c’è il territorio agricolo che, oltre rivestire una funzione economica, funge da contenitore e separatore delle varie comunità: esso assume valore di un background verde, caratteristica che informerà anche la proposta della città giardino di Howard. Alla fine del XIX secolo in Inghilterra, inserendosi in un acceso dibattito in tema di sviluppo urbano, nasce infatti il movimento delle città giardino come risposta ai problemi sociali e funzionali della città industriale, in particolare Londra, che ormai alla metà dell’Ottocento ha raggiunto i due milioni di abitanti. Ad Ebenezer Howard10 è attribuito l’uso per la prima volta del termine green belt per indicare una cintura di spazi verdi agricoli intorno alla città. Lo schema urbanistico di Howard è particolarmente influenzato dal disegno di Londra a cerchi concentrici proposto da John Claudius Loudon, in cui fasce di verde si alternano a nuove espansioni. “Ogni volta che una cittadina sta per estendersi oltre un diametro di mezzo miglio, riteniamo che si dovrebbe individuare un’area di respirazione da lasciare inedificata, a vantaggio della salute della parte più povera degli abitanti”11. Pur nell’utopia di una crescita illimitata fino al mare, della quale egli stesso è consapevole dichiarando il valore diagrammatico della proposta, il piano denota una profonda consapevolezza della necessità di una integrazione tra aree urbanizzate e aree verdi da mettere a disposizione dei cittadini. Queste cinture, di forma anulare e di profondità di circa mezzo miglio, anticipano lo schema novecentesco della Green Belt londinese. Alla base del disegno di Loudon vi sono alcuni elementi affatto visionari che derivano da una profonda riflessione sulla città, sul suo funzionamento, sul rapporto con la campagna, sulla necessità di una pianificazione sostenibile capace di integrare il sistema residenziale, quello del verde e della mobilità. Per primo Loudon ha concepito un sistema del verde per Londra continuo, in cui la presenza di parchi e di altri spazi verdi dedicati alla ricreazione è regolata da precisi rapporti con le aree residenziali, anticipando le sperimentazioni sugli standard di Unwin e la visione sistemica che caratterizza il piano di Abercrombie. In particolare risulta significativa la strategia di annessioni dei suoli agricoli di frangia urbana che informerà tutta la politica inglese successiva di acquisizione della cintura verde alla proprietà pubblica. Il Comune acquista le aree indennizzando i proprietari, fornendo loro un terreno in altro luogo e sospendendo l’erogazione dei fondi per la manutenzione degli edifici rurali nel caso vi si oppongano. La cintura verde di Loudon riveste un peculiare interesse in quanto l’obiettivo del controllo dell’accrescimento urbano e dunque della separazione delle aree costruite, appare assumere un ruolo subordinato rispetto alla funzione connettiva che la green belt può assolvere. L’idea di cintura verde di Howard deve essere vista nel contesto della sua città sociale cellulare: egli prefigura una serie di piccole comunità separate da cinture strette di aperta campagna che formano uno sfondo verde, contenendo servizi come ospedali e aree ricreative e funzionando anche da luogo di produzione agricola. Le singole città variano da trenta a sessantamila persone, separate da non più di tre chilometri di aperta campagna. Howard propone una crescita complessiva a densità simili a quelle delle successive new towns, ma sotto forma di piccole unità a densità relativamente alta all’interno di questo background, su terreni che vengono posseduti e gestiti dalle stesse città.

9 Cfr. ROBERT OWEN, Report to the County of Lanark (1820) in A New View of Society and other Writings, London 1927. Altre traduzioni pratiche delle città ideali si trovano nei primi esperimenti di garden cities degli anni Quaranta e Cinquanta dell’Ottocento basati proprio sulle idee di Owen nelle città fondate a Christchurch, in Nuova Zelanda e Adelaide nel Sud Australia - quest’ultima richiamata da Howard come fonte di ispirazione - il cui piano del 1837 prevede due parti distinte da un parco e circondate da una cintura di verde. 10 EBENEZER HOWARD, Tomorrow, a peaceful path to real reform, Swan Sonnenschein, London 1898. Il testo è stato ristampato nel 1902 con il titolo Garden Cities of to-morrow; negli stessi anni (1899) Howard fonda l’Associazione delle Città Giardino. 11 JOHN CLAUDIUS LOUDON, Hints for Breathing Places for the Metropolis, and for Country Towns and Villages, on fixed Principles, “Gardener’s Magazines”, vol. V, 1829, pag. 489.

Page 170: Q2 2005 Volume Tre

166

La prima acquisizione pubblica di una vasta estensione di territorio come cintura verde risale alla fondazione di Letchworth, quando un’area di oltre cinquecento ettari è comprata dalla Letchworth Garden City Corporation con l’obiettivo di formare un background verde e di promuovere la produzione di prodotti agricoli per la città. Nonostante che nelle due uniche realizzazioni sul modello howardiano, Letchworth (1909) e Welwyn (1919), la fascia agricola sia stata nella pratica ridotta12 e sebbene dal punto di vista economico si sia rivelata un fallimento, la cintura agricola di Howard quale elemento separatore delle comunità, zona filtro, strumento di controllo dell’espansione urbana e garanzia della preservazione del paesaggio rurale, è alle origini delle esperienze moderne di cinture verdi. Negli anni Trenta del Novecento Raymond Unwin, consulente del Greater London Regional Plan Committee, avverte la necessità di predisporre attorno alle città di ampie zone verdi costituite da “cinture di parchi, campi gioco, e persino suolo agricolo”13. La sua preoccupazione è sia estetica, sia igienica: delimitare la forma delle città, prima garantita dalla presenza delle cinte fortificate e limitare le dimensioni contenendo l’espansione delle aree urbanizzate. E’ necessario infatti “…fissare un limite preciso all’espansione della città e della campagna, evitando così quel bordo irregolare di mucchi di rifiuti e di costruzioni abbandonate che attualmente deturpa l’accesso a quasi tutte le nostre città”14. La soluzione proposta si fonda sul modello ottocentesco dei boulevard, “…viali, o cinture verdi, che, in un certo senso, interrompono e definiscono la città al pari delle vecchie mura”15. Un aspetto particolarmente interessante del pensiero di Unwin è l’ipotesi di utilizzare gli spazi aperti ai margini degli agglomerati per rispondere alle esigenze ricreative della popolazione, compensando così la mancanza interna alle aree urbane. La sua proposta inquadra infatti il concetto di cintura verde in termini di spazio aperto legato alle esigenze di svago e tempo libero.

Figure 4 e 5. Diagramma di Howard per la città giardino inserita in uno “sfondo verde”, agricolo, ed articolata attorno ad un central park, 1899. Planimetria di Letchworth, 1909: l’area urbana circondata da una profonda green belt costituita con l’acquisizione pubblica dei terreni. Nel sistema del verde londinese immaginato da Unwin gli open space non sono però esclusivamente di proprietà pubblica, ma è ipotizzata una quota di aree private, pari addirittura a tre quarti del patrimonio complessivo. Egli propone inoltre che il terreno sia

12 A Letchworth i tremilaottocento acri sono divisi tra l’insediamento e la fascia agricola la cui dimensione è circa il doppio dell’area urbana. 13 RAYMOND UNWIN, Townplanning in practice, (1909), trad. ita. Antonietta Mazza, La pratica della progettazione urbana, Il Saggiatore, Milano, 1971, pag. 141. 14 RAYMOND UNWIN, op. cit., 1971, pag. 141. 15 RAYMOND UNWIN, op. cit., 1971, pag. 140.

Page 171: Q2 2005 Volume Tre

167

acquistato dalle autorità locali per formare una ghirlanda verde continua – il Green Girdle - attorno alla città, ampia tre-quattro chilometri. Qualche anno più tardi, con il Green Belt Act del 1938, tuttora vigente, inizia l’acquisizione pubblica della cintura, sebbene ancora ampi spazi non siano collegati tra loro e neppure destinati alle attività ricreative: dichiarati però green belt land solo uno speciale premesso ministeriale può consentire ai territori di tornare edificabili. Successivamente, il Town and Country Planning Act del 1947 consente alle autorità locali di incorporare le proposte delle cinture verdi nei loro primi piani di sviluppo e permette di evitare le acquisizioni per mantenere i territori liberi grazie all’introduzione della facoltà di rifiutare permessi di costruzione per insediamenti inappropriati, individuando forme di compensazione a carico del Governo per indennizzare i proprietari del mancato sviluppo16. La codificazione di questa politica e la sua estensione a livello nazionale si ha alla metà degli anni Cinquanta per rispondere alla necessità urgente di controllare la crescita delle aree urbanizzate, sebbene non si indichi una dimensione minima delle città che vi debbano ricorrere. Tre sono gli obiettivi principali per il mantenimento di una zona rurale periurbana: controllare la crescita di un’area costruita; impedire a città vicine di fondersi l’una con l’altra; preservare i caratteri specifici di una città. La Circolare del 1955 chiarisce che le cinture verdi rappresentano fondamentalmente uno strumento della pianificazione; tutti e tre i criteri guardano alla città, senza far menzione a nessuna particolare bellezza dei luoghi, a finalità ricreative, di incentivazione dell’agricoltura o altri usi dei territori protetti. La necessità di una cintura verde è fortemente determinata dall’atteggiamento anti-urbano tipico della cultura anglosassone unito ad un sentimento di fiducia nella capacità della società di potenziare gli standard ambientali. Le politiche urbanistiche inglesi degli anni Quaranta e Cinquanta hanno origine dall’intesa attività dei filantropi vittoriani nel processo di rinnovamento della pianificazione, ma anche di gruppi come il Council for the Preservation of Rural England (Cpre) o il Town and Country Planning Association (Tcpa), che hanno giocato un ruolo considerevole per l’affermarsi del concetto di cintura verde. Il Council for the Preservation of Rural England (Cpre) fornisce una prospettiva diversa e complementare alla proposta di Unwin, opponendosi al modello di cintura verde perseguito dai discepoli di Howard in quanto si ritiene che questo non avrebbe altro che aumentato le pressioni sulla città. La cintura verde è concepita come un tratto di campagna ordinaria di ampiezza variabile, in cui persistono soprattutto attività agricole e forestali (vi sono anche campi da golf e spazi ricreativi), dove il contadino, qui come altrove nel territorio rurale, è il custode del paesaggio. La sua estensione dovrebbe essere concordata con Ministero dell’Agricoltura con l’obiettivo di conservare un terreno agricolo di buona qualità e ampie zone forestali sia scenicamente attraenti che economicamente produttive. L’idea di cintura verde proposta dal Cpre, quindi, sottolinea la supremazia dell’uso agricolo all’interno di una struttura privata di custodia che garantisce la qualità delle risorse naturali. I diversi approcci (Howard, Unwin, Cpre) che hanno animato il dibattito della prima metà del XX secolo, sono stati in parte riconciliati nel pensiero di Abercrombie, che raggiunge un compromesso accettabile tra i vari operatori proponenti nuove forme per la città, ma anche tra gli opposti gruppi politici coinvolti. Patrick Abercrombie sostiene uno sviluppo urbano su un green background proponendo una serie di cinture verdi: un cordon sanitaire circonda la città per una profondità di dieci-sedici chilometri “separando la campagna minacciata dalla città minacciosa” (The Green Belt Ring); cinture minori, ampie due o tre chilometri i cui terreni sono principalmente dedicati alle attività ricreative, sono poste attorno alle città esistenti e a quelle nuove nella fascia della campagna più aperta (Outer Country Ring). Se la prima cintura ha finalità igieniche e di contenimento dell’urbanizzazione e le seconde

16 La legge istituisce tre importanti elementi: la nazionalizzazione del diritto di proprietà e l’introduzione di un’indennità da retribuire per il mancato sviluppo; l’obbligo per le autorità locali di preparare piani di sviluppo ventennali in cui evidenziare le aree destinate all’agricoltura e agli spazi aperti ricreativi; la definizione di regole che determinano quando i proprietari proponenti un certo sviluppo debbano richiedere un permesso.

Page 172: Q2 2005 Volume Tre

168

ricreativa, una terza cintura verde ha funzione scenica ed è messa in pratica, ad esempio, per limitare lo sviluppo ai piedi delle colline. Le tre tipologie formano un sistema di parchi continuo e consequenziale, costituito da quattordici componenti. Il concetto di cintura verde di Abercrombie è vicino a quanto proposto dal Cpre, di cui in questo periodo egli era presidente e al Rapporto Scott17, richiamato dall’ipotesi del “cordone sanitario” per la protezione delle aree agricole. Nel County of London Plan del 1943 Abercrombie, partendo dalla considerazione dell’inadeguatezza della dotazione di open space dimostrata redigendo un vero e proprio censimento degli spazi aperti, riprende e sviluppa le idee contenute nella proposta di Unwin, sia in termini di definizione di standard di verde, sia nella necessità di organizzare un sistema del verde continuo ed integrato che risponda alle esigenze ricreative della popolazione. “Ciò che esiste nella campagna attorno Londra è [infatti] di grande importanza per la Contea, poiché è la risorsa principale per le attività ricreative del fine settimana, per passeggiare, andare in bicicletta, fare picnic e per brevi vacanze […]. I parchi, sebbene belli, non possono servire al pari della campagna allo scopo di fornire un efficace antidoto alle aree urbanizzate”18. Abercrombie introduce ed applica all’intera area metropolitana il concetto di park system che agli inizi del secolo era stato proposto, sulla base dell’esperienza di Olmsted a Boston, da Patrick Geddes per Dorfermline. Egli ritiene indispensabile, infatti, avere una visione complessiva del verde in cui la campagna e la cintura verde sono parte integrante della città, affidando il disegno ad un Regional Open Space Plan che mostra “… come gli spazi aperti della Contea possano unirsi con i cunei verdi esterni, che a loro volta si uniscono alla cintura verde…”19.

Figure 6 e 7. Il Green Girdle proposto da Unwin negli anni Trenta del Novecento, evidenziato come insieme di aree libere su uno sfondo di territorio potenzialmente edificabile. Schematizzazione delle tre tipologie di cinture verdi proposte dieci anni più tardi da Abercrombie: Metropolitan Green Belt, Local Green Belt e Scenic Areas. Nel Greater London Plan del 194520 egli cerca la decentralizzazione e la distribuzione delle attività, ma presuppone che non vi sia alcuna crescita complessiva della popolazione: la cintura verde è parte integrante di una strategia per disperdere oltre seicentomila abitanti dall’area congestionata della Contea di Londra e altri quattrocentoquindicimila provenienti

17 Documento realizzato in tempo di guerra sull’utilizzazione delle aree rurali e promosso dalla diffusione fisica delle aree urbane che in quel tempo rappresentava una grave minaccia per paesaggio agricolo. 18 JOHN H. FORSHAW, PATRICK ABERCROMBIE, County of London Plan, Macmillan, London 1943, pag. 39. 19 Ibidem. 20 Cfr. PATRICK ABERCROMBIE, Greater London Plan 1944, HSMO, London 1945.

Page 173: Q2 2005 Volume Tre

169

dal resto dell’area. La cintura verde proposta nel Greater London Plan è distinta in due parti, unite da un sistema radiale di percorsi: una a carattere ricreativo profonda otto chilometri (Green Belt Ring), l’altra a carattere prevalentemente agricolo (Outer Country Ring) dove, a partire dal Town and Country Planning Act è vietata ogni ulteriore edificazione. A partire dunque dalla metà degli anni Cinquanta molte città hanno seguito l’esempio di Londra e oggi sono quattordici le città o conurbazioni che in Inghilterra hanno adottato un modello di cintura verde21. La designazione a cintura verde consiste principalmente nell’attribuire al territorio periurbano lo status di green belt land, che implica la definizione di norme che regolano l’edificazione e l’uso del suolo. D’altronde, si insiste nelle recenti Planning Policy Guidance Note 2 (PPG2)22, la principale finalità delle cinture verdi è l’openess: essere territori aperti, liberi, non costruiti; ed è questo carattere che si cerca di salvaguardare. Una delle criticità indotte da tale approccio, evidenziata dal Royal Town Planning Institute, è però che paradossalmente i territori limitrofi alla città hanno maggiori limitazioni di edificabilità rispetto ai territori dell’aperta campagna, provocando così anomalie di tipo ambientale ed economico23. Nelle PPG2 del 1995, accanto agli obiettivi tradizionalmente individuati per la creazione di una cintura verde – il contenimento dello sprawl, la limitazione della possibile fusione di centri urbani vicini e il mantenimento dei caratteri storici delle città - si introducono altre motivazioni quali la salvaguardia dell’identità della campagna, ma soprattutto un concetto, del tutto contemporaneo, rivolto alla riqualificazione urbana e al recupero e riuso delle aree abbandonate24. La designazione di un territorio attorno alla città come green belt non è quindi condizionata dalla bellezza dei luoghi; l’affermazione che “…la qualità di un paesaggio non è rilevante ai fini dell’inclusione dentro la cintura verde …”25 è di grande importanza per comprendere il carattere peculiare delle cinture verdi inglesi. Nelle PPG2 per la prima volta si indicano, accanto ai cinque obiettivi sopra esposti, sei finalità a cui destinare gli usi del suolo dei territori inclusi: 1. provvedere alla possibilità d’accesso all’aperta campagna per gli abitanti della città; 2. fornire possibilità di sport all’aperto e ricreazione in luoghi vicino alle aree urbane; 3. mantenere e valorizzare i paesaggi di pregio vicino ai luoghi abitati; 4. recuperare gli spazi danneggiati e derelitti intorno alle città; 5. assicurare l’interesse per la conservazione della natura; 6. conservare il territorio all’agricoltura, silvicoltura ed altri usi appropriati. Questa duplice articolazione tra gli obiettivi per la designazione di una cintura verde e gli obiettivi di uso di tali territori, è un aspetto particolarmente significativo che mette in luce come le green belts siano principalmente strumenti di pianificazione volti al contenimento dell’urbanizzazione e secondariamente alla tutela del paesaggio e al soddisfacimento delle esigenze ricreative della popolazione. Una volta approvata la delimitazione della cintura verde, questa può essere alterata solo in circostanze speciali e dopo aver verificato le opportunità di sviluppo all’interno dell’area urbana o fuori i confini stessi della cintura. Nel tracciare i limiti della green belt le Planning Policy, infatti, raccomandano che siano fatte adeguate valutazioni prima di includervi terreni adiacenti alle aree urbanizzate o rimasti interclusi, per evitare che in futuro questi siano sottoposti a pressioni insediative, consentendo così eventuali futuri ampliamenti. Sebbene sia in atto una fervida discussione circa una possibile revisione delle politiche in merito alle cinture verdi tra il Royal Town Planning Institute, il Town and Country Planning 21 Da Burton on Trent, a Cambridge, a Manchester, per un totale di oltre un milione e mezzo di ettari di territorio protetto sotto questa forma. 22 Cfr. Department of Environment, Planning Policy Guidance Note 2 (PPG2), Green belts, London revised January 1995, http://www.planning.dltr.gov.uk/ppg/ppg2/index.htm 23 Cfr. Royal Town Planning Institute (Rtpi), Modernizing Green Belt, May 2002 http://www.rtpi.org.uk/editorial/2002/q2/27052002.htlm, pag. 1. 24 Cfr. Department of Environment, op. cit., 1995, pag. 2. 25 Ibidem.

Page 174: Q2 2005 Volume Tre

170

Association e il London Green Belt Council, è oggi difficile considerare le cinture verdi inglesi progetti di paesaggio, come si evince chiaramente dalla mancanza di una qualunque forma disegnata del progetto: le green belt sono rappresentate come perimetri che includono o escludono i territori da sottoporre a tale disciplina. Le cinture verdi inglesi si configurano quindi più come forme di tutela passiva, cioè come il mezzo attraverso cui conservare (o immobilizzare) il paesaggio periurbano, piuttosto che strumenti progettuali in grado di guidarne le trasformazioni, proprio per la loro staticità nell’apporre un vincolo, che mal si adatta alla dinamicità propria dei paesaggi di margine urbano. Per renderle adatte a rispondere alle problematiche di tali paesaggi si rende necessario sviluppare elementi di differenziazione sensibili alle reali caratteristiche paesistiche all’interno di un indispensabile progetto, ponendo l’accento più sugli usi che sono considerati appropriati dalla legislazione, che sulle finalità di contenimento dell’urbanizzazione alle quali sono inevitabilmente legate. L’importanza delle green belt inglesi risiede invece nel rappresentare una politica nazionale in grado di guidare le attività di pianificazione delle singole Amministrazioni locali nel creare cinture di verde attorno alle principali aree urbanizzate, sebbene questo sollevi problemi in ordine all’ingerenza del governo centrale nella localizzazione dei nuovi sviluppi urbani. Se nella prima metà del Novecento nel Regno Unito il dibattito ruota intorno al movimento delle città giardino entro cui si definisce l’idea di cintura verde poi sviluppata da Unwin e Abercrombie, in Germania la discussione in tema di città industriale produce un’intesa attività teorica con l’elaborazione di modelli che vedono nelle cinture di verde lo strumento per il controllo dell’espansione urbana. Qui, sollecitati dalla rapidità del processo di industrializzazione e da sentimenti di inevitabilità di fronte alla crescita delle città, si sviluppa una ricca manualistica per opera di alcuni urbanisti che si oppongono ad uno sviluppo continuo e compatto che caratterizza la coeva espansione. In vari schemi si ritrova l’uso di cinture di verde per finalità ricreative, ma soprattutto contenitive e compaiono anche disegni di cunei di verde, talvolta associati alla cintura, ad indirizzare una crescita radiale della città. Colonia negli anni Venti del Novecento diventa protagonista di un modello di crescita urbana. Nella proposta di Fritz Schumacher per la città, il sistema degli spazi verdi è struttura portante, funzionale come il sistema arterioso nel corpo umano, dell’espansione urbana. Al pensiero di Schumacher si richiama Ernest May che, come direttore dell’attività edilizia municipale, negli stessi anni porta a compimento a Francoforte, coadiuvato da Lebrecht Migge, un sistema di nuovi insediamenti nella valle del fiume Nidda distinti dal nucleo storico mediante una cintura di verde, realizzazione parziale dello schema di piano regolatore nel quale aveva previsto una serie di comunità suburbane indipendenti separate da fasce di verde agricolo. A Berlino invece, dirige l’ufficio tecnico municipale Martin Wagner che predispone, mettendo in pratica le idee espresse in un testo qualche anno prima26, il Piano per le zone verdi, in cui cunei di spazi aperti pubblici penetrano nel tessuto edificato, circondato da una cintura di parchi ed aree agricole a contenere lo sviluppo urbano. In Francia, invece, la riflessione teorica è monopolizzata dal caso esemplare di Parigi. Qui due personaggi, Hénard e Forestier, sono protagonisti indiscussi di inizio secolo con due opere, pubblicate a pochi anni di distanza l’una dall’altra, in cui agli spazi verdi è attribuito ruolo connettivo e strutturale27. Le soluzioni proposte per la capitale sono differenti: Hénard elabora, con l’obiettivo della ricomposizione urbana, un progetto di sostituzione delle mura con un boulevard a redans, punteggiato da spazi aperti, squares, campi sportivi; Forestier si richiama alla tradizione inglese della città giardino e all’esperienza americana del park system di Olmsted per proporre un sistema di parchi a scala regionale per l’agglomerazione parigina.

26 Cfr. MARTIN WAGNER, Das sanitare Grün der Stadt, Berlino 1915. 27 JEAN CLAUDE NICOLAS FORESTIER, Grandes villes et systèmes de parcs, Hachette, Paris 1906 e EUGENE HENARD, Etudes sur les transformations de Paris, Libraire Centrale d’Architecture, Paris 1903-1909, ried. con introduzione di Jean Louis Cohen, L’Equerre, Paris 1982.

Page 175: Q2 2005 Volume Tre

171

Le varie ipotesi dunque che appaiono agli inizi del XX secolo per strutturare la crescita della città sono spesso condizionate da una ideologia antiurbana che caratterizza il movimento per la garden city, ampiamente diffuso in tutta Europa pur con declinazioni differenti. Questo riferimento è chiaramente leggibile nelle teorie di Forestier per Parigi o nella proposta di May per Francoforte, il quale era stato allievo in Inghilterra di Unwin. La rivisitazione del modello della città giardino caratterizza molti altri progetti coevi, come il piano regolatore di Mosca del 1935 o il piano di Eliel Saarinen del 1918 per Helsinki, dove una green belt separa il centro della città da un sistema di città giardino costituendo la prima applicazione ad una realtà urbana di grandi dimensioni della teoria howardiana. Il modello delle garden cities inglesi è ammirato anche oltre Oceano, con la fondazione della Garden City Association of America. Qui le greenbelt towns rappresentano un fenomeno del tutto singolare che si diffonde rapidamente negli anni Trenta, pur esaurendosi in pochi anni. Queste città - Greendale vicino Milwaukee nel Wisconsin, Greenhills nell’Ohio nei pressi di Cincinnati e Greenbelt nel Maryland alle porte di Washington - nascono nel quadro del New Deal Program promosso dal Presidente Roosveelt con l’intento di combattere la Grande Depressione. La presenza di una cintura verde protettiva costituisce parte integrante delle greenbelt towns, enfatizzata nel loro stesso nome, rappresentando uno degli obiettivi del programma dell’agenzia che guida la realizzazione, tesa a “…creare una comunità protetta da una cintura di verde […] un sistema di economia rurale in accordo con il piano di uso del suolo per le aree rurali che circondano la comunità”28. La cintura verde è per Clarence Stein – il quale, in qualità di presidente del Regional Planning Association29, comincia negli anni Venti a sostenere una nuova modalità di pianificazione rivolta alla realizzazione di new towns - il mezzo attraverso cui assicurare l’integrità della città e definire nei limiti e nelle dimensioni la crescita della comunità, con finalità ulteriori come garantire spazi per la ricreazione, portare i valori della campagna e della seminaturalità ad una distanza raggiungibile a piedi dalle abitazioni e rendere così familiare la vita rurale ai cittadini al fine di ottenere quella perfetta integrazione tra città e campagna propria della città giardino. Scrivendo di Greendale, Stein paragona la cintura verde della città alle mura urbane: “Greendale è difesa dai pericoli esterni come le città medioevali, ma con una grande differenza: le antiche comunità erano protette da grigie fortificazioni di pietra, Greendale è resa sicura da una cintura verde naturale.”30 Alla metà del Novecento alcune realtà metropolitane affrontano il tema della crescita affidando l’immagine della città in trasformazione a progetti di sistemi di spazi verdi di cintura: Londra, come si è visto, ma anche Parigi con la cinture verte prevista dallo Schéma Directeur della Regione Ile de France o, più recentemente, le città di Francoforte e Monaco con i loro GrünGürtel, oppure Barcellona con l’Anella Verda. Il segno sostanzialmente lineare dell’anello di parchi urbani, tipico delle esperienze ottocentesche di demolizione delle mura urbane e creazione di giardini paesaggistici nastriformi, si trasforma in un sistema spaziale articolato che coinvolge tutto il paesaggio non ancora edificato ai margini della città.

28 CLARENCE S. STEIN, Towards New Towns for America, Mit Press, Cambridge (Mass.), 1967, pag. 131. 29 Tra gli obiettivi contenuti nel programma dell’associazione presentato da Stein, quello di sostenere la realizzazione di città giardino, intese non tanto come modello ma come ideologia. Cfr. FRANCESCO DAL CO, Dai parchi alla regione, in GIORGIO CIUCCI, FRANCESCO DAL CO, MARIO MANIERI-ELIA, MANFREDO TAFURI, La città americana dalla guerra civile al New Deal, Laterza, Roma 1973, pagg. 283. 30 CLARENCE S. STEIN, 1967, op. cit., pag. 185.

Page 176: Q2 2005 Volume Tre

172

Figure 8 e 9. Plan Vert Regional (1994) per l’agglomerazione parigina: le quattro politiche ambientali relative alla trame verte d’agglomération, la ceinture verte régionale, la couronne rurale e le vallées et coulées verte. Il GrünGürtel di francoforte in una tavola di inquadramento per il workshop del 1990: il sistema dei parchi pubblici risalta sull’insieme delle aree agricole e dei boschi che caratterizzano il paesaggio periurbano. Nel panorama europeo l’esperienza di Parigi, ma soprattutto quelle tedesche, rappresentano episodi significativi per la scelta di salvaguardare i residui spazi liberi attorno alle aree urbanizzate attraverso un sistema verde di cintura a scala metropolitana, a cui è associata una politica di corridoi verdi a scala regionale. Gli esempi di Francoforte e Monaco, infatti, mostrano come l’adozione di disegni differenti a quello di cintura, non solamente indotti dalle configurazioni topografiche e urbanistiche, tradisce una diversità di approccio alla pianificazione che vede prioritario stabilire connessioni verdi funzionali sia a motivazioni ecologiche che di fruibilità ricreativa. La cintura verde risulta associata ad altri modelli spaziali che mirano a garantire obiettivi diversi e integrati alla stessa cintura, di cui sono superate così anche le limitazioni connesse alla geometria dello schema. A Parigi, a partire dagli anni Settanta si tenta di porre rimedio all’espansione di una conurbazione che ha raggiunto i nove milioni di abitanti e salvaguardare le residue aree agricole e forestali. Un documento preliminare riguardante il progetto di una cintura verde è presentato agli inizi degli anni Ottanta e finalizzato al conseguimento di tre obiettivi principali: impedire l’espansione a macchia d’olio dell’agglomerazione, conservare l’attività agricola periurbana e costituire un sistema di parchi metropolitani. Nel 1994 è approvato il Plan Vert Régional dell’area metropolitana parigina, documento propositivo a supporto delle attività di pianificazione a scala comunale ed improntato sull’integrazione di politiche ambientali che si appoggiano a modelli spaziali differenti. Si articola in quattro politiche, afferenti a livelli diversi, sia geografici (in funzione della distanza dal centro di Parigi), sia istituzionali (richiedendo l’azione congiunta di Regione, Dipartimenti e Comuni) e si traduce in quattro distinte carte: la trame verte d’agglomération, dal centro di Parigi fino ad un raggio di dieci chilometri, costituita da una rete capillare di parchi e spazi pubblici; la ceinture verte régionale, riferita all’insieme dei quattrocentodieci Comuni che si trovano entro un raggio compreso tra i dieci e trenta chilometri da Parigi; la couronne rurale, riguardante il territorio forestale e agricolo che si estende fino ai confini regionali, dove è avviata la creazione di parchi regionali e l’attivazione di incentivi per le attività agricole e forestali; le vallées et coulées verte, corridoi verdi che attraversano trasversalmente la regione sfruttando la presenza di elementi lineari naturali, come le valli fluviali e antropici, come gli assi infrastrutturali. La politica di preservazione degli spazi a corona della città dalla saturazione edilizia promossa con la ceinture verte régionale si inserisce in linea con quanto perseguito dall’Agence des espace vertes con l’acquisizione e il potenziamento delle aree boschive o la conservazione delle aree agricole; per questa seconda finalità, l’Agenzia ha adottato un meccanismo di acquisizione di aree agricole strategiche per la continuità della

Page 177: Q2 2005 Volume Tre

173

cintura verde, cedendole poi in locazione agli agricoltori con contratti favorevoli e a lungo termine. Nel panorama europeo il Frankfurt GrünGürtel è un esempio interessante di rivisitazione del modello tradizionale di cintura verde adattandolo a nuove esigenze di carattere strategico e strutturale. In primo luogo si esclude l’acquisizione pubblica di tutte le aree di cintura per l’insostenibilità di tale operazione sia nella fase progettuale che, soprattutto, gestionale; in secondo luogo si attribuisce alla cintura verde una molteplicità di funzioni, tra cui il controllo della diffusione urbana rappresenta solo una delle motivazioni. La cintura verde di Francoforte riveste un ulteriore valore esemplare configurandosi non come un segno di forma che definisce una corona di spazi attorno alla città, ma un sistema complesso che si adatta all’articolazione morfologica e tipologica degli spazi di margine urbano prevedendo anche una serie di connessioni verdi sia verso il centro urbano che verso l’esterno. Il GrünGürtel si integra ad una serie di Regionale Grünzüge (entrambi hanno lo status di paesaggio protetto) che lo uniscono alle aree di interesse regionale, come il Regionalpark RheinMain, entro la cui strategia questo sistema di corridoi è inquadrato. Al GrünGürtel di Francoforte è attribuito il compito di strutturare nel lungo periodo le trasformazioni urbane: alla funzione tradizionale per il contenimento dell’urbanizzazione, si associa la protezione del paesaggio periurbano rurale e seminaturale - anche questa finalità è insita nel modello fin dalle prime esperienze progettuali – ma si mira alla formazione di una strategia di collegamento, anche ecologico, che coinvolge l’intero territorio di cui la città è parte. Non si tratta infatti solo di stabilire connessioni per la mobilità carrabile, ciclabile e pedonale, ma di ottenere un disegno di cintura a scala metropolitana ritagliato sulla reale disposizione degli spazi aperti ai margini della città, inserito in uno schema generalmente a scala sovracomunale di sistemi verdi lineari di connessione. Anche in un’altra città tedesca è stata condotta un’esperienza similare, sebbene a Monaco la cintura verde non abbia raggiunto un valore giuridico e sia rimasta una strategia alla quale però ogni piano attuativo deve uniformarsi; qui si è inoltre sviluppato anche a livello comunale l’integrazione tra un disegno di cintura e un sistema di cunei verdi di penetrazione. Il Programma di Sviluppo del Land e il Piano Regionale di Monaco prevedono infatti la creazione di diciannove fasce verdi regionali al fine di garantire la tutela dell’ambiente, la salvaguardia degli habitat e il miglioramento del clima attraverso corridoi di rigenerazione; la conservazione di agricoltura e silvicoltura; la creazione di luoghi dedicati alla ricreazione accessibili con facilità; la protezione del territorio da un’ulteriore edificazione. Per evitare che la strategia di lunga durata stabilita a scala regionale sia disattesa, in sede di attuazione dei singoli progetti sono sviluppate una serie di misure tra cui la redazione di piani per le aree sensibili elaborati in accordo tra il Land, la Regione e la città. I criteri stabiliti a livello regionale sono inseriti nel piano regolatore comunale che è integrato dal piano paesistico. A livello comunale accanto al disegno di cintura, il Consiglio Comunale, già dagli inizi degli anni Novanta, si impegna a creare quattordici corridoi verdi che si inseriscono dentro il tessuto urbano, costituendo una rete per una lunghezza totale di circa settanta chilometri e si integrano e si collegano ai corridoi verdi regionali. Nei corridoi verdi si considera prioritario il mantenimento delle aree boscate e dei campi coltivati; si parla infatti di trenngrün, verde divisorio, cioè aree libere che devono essere tutelate per ostacolare il saldarsi delle periferie. Anche nei territori periurbani designati a cintura verde l’agricoltura gioca un ruolo determinante; qui, infatti, le aree agricole spesso di tipo intensivo, con evidenti problematiche in termini di percezione e di qualità ecologica, sono riconvertite verso modalità di coltivazione compatibili, introducendo fonti di reddito alternative per gli agricoltori come la produzione e vendita di prodotti di qualità. Lo sfruttamento intensivo delle superfici per le attività agricole ha inoltre condotto a una semplificazione semiologia ed ecologica del paesaggio che si intende superare attraverso il progetto di ricostruzione di siepi, filari alberati e macchie boscate.

Page 178: Q2 2005 Volume Tre

174

Figure 10 e 11. Anella verda dell’area metropolitana di Barcellona è formata dalla continuità di aree naturali protette. La mappa della Green Belt londinese è riportata nel sito web del North Mymms District Green Belt Society, l’associazione che si batte in difesa del suo mantenimento, al fine di individuare le aree che da sottoporre a vincolo di inedificabilità. Tra le esperienze di fine Novecento da ricordare, infine, l’Anella Verda di Barcellona è fondato sulla contiguità dei parchi naturali del Montseny, del Montenegre-Corredor, del Garraf, del Montserrat e De Sant Llorenç e di una serie di aree protette di dimensioni minori e di ambiti di connessione. Un sistema a scala regionale che coinvolge anche parchi urbani, come il Par de Collserola, una vera e propria isola verde di ottomila ettari gestiti da un Ente Metropolitano che rappresenta i nove Comuni interessati. Stimolante, nell’esperienza di Barcellona, è l’approccio al tema della creazione di una rete di continuità ambientale attraverso il collegamento di una serie di aree protette nella forma di un anello verde. Se le green belts inglesi difettano di quella ricchezza spaziale che Abercrombie con grande acutezza aveva delineato nel considerarle in associazione con altre categorie quali green wedges e parkways, mancando di fatto di progetto, le esperienze dei GrünGürtel tedeschi, pur mantenendosi a livello di strategia, definiscono un disegno di paesaggio - articolando differenze e annullando disarmonie - mettendo in evidenza come un schema circolare di spazi a corona della città possa essere arricchito e integrato in modo efficace da sistemi verdi lineari e dimostrando la possibile applicazione in chiave del tutto contemporanea di un modello antico quale quello delle cinture verdi. RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI ABERCROMBIE PATRICK, Greater London Plan 1944, HSMO, London 1945. DAL CO.FRANCESCO, Dai parchi alla regione, in CIUCCI GIORGIO, DAL CO FRANCESCO, MANIERI-ELIA MARIO, TAFURI MANFREDO, La città americana dalla guerra civile al New Deal, Laterza, Roma 1973. DE BUYER XAVIER, Le Plan Vert Régional: mise en pratique dans les schémas directeurs locaux, “Les Cahiers de l’Institut d’Aménagement et d’Urbanisme de la Région d’Ile de France”, 108, 1994. Department of Environment, Planning Policy Guidance Note 2 (PPG2), Green belts, London revised January 1995, http://www.planning.dltr.gov.uk/ppg/ppg2/index.htm DI FIDIO MARIO, Architettura del paesaggio, Pirola, Milano 1990. ELSON MARTIN J., Green Belts: conflict mediation in the urban fringe, Heinemann, London, 1986 FORESTIER JEAN CLAUDE NICOLAS, Grandes villes et systèmes de parcs, Hachette, Paris 1906. FORSHAW JOHN H., ABERCROMBIE PATRICK, County of London Plan, Macmillan, London 1943.

Page 179: Q2 2005 Volume Tre

175

GRUB HERMANN, LEJEUNE PETRA, München: Stadt-Land-Grün, Prestel-Verlag, München 1997. HENARD EUGENE, Etudes sur les transformations de Paris, Libraire Centrale d’Architecture, Paris 1903-1909, ried. con introduzione di Jean Louis Cohen, L’Equerre, Paris 1982. HOWARD EBENEZER, Tomorrow, a peaceful path to real reform, Swan Sonnenschein, London 1898, ristampato con il titolo Garden Cities of to-morrow, 1902. Iaurif, La métropole francilienne, in Franges des métropoles. Des territoires de projets, “Les Cahiers de l’Institut d’Aménagement et d’Urbanisme de la Region d’Ile de France”, 136, 2003. JONES EMYRS, Metropoli. Le più grandi città del mondo, Donzelli, Roma 1993. LONGO ANTONIO (a cura di), GrünGürtel Frankfurt, Emsher Landschaftspark: politica degli spazi aperti in Germania, “Urbanistica”, 107, 1996. LOUDON JOHN CLAUDIUS, Hints for Breathing Places for the Metropolis, and for Country Towns and Villages, on fixed Principles, “Gardener’s Magazines”, vol. V, 1829. MONTSENY Y DOMENECH ANTONI, L’anella verda, una proposta de planificatiò i gestiò dels espais naturals de la regiò metropolitana de Barcelona, “Area”, 6, Disputaciò de Barcelona 1999. MORO TOMMASO, L’Utopia, o la migliore forma di repubblica, (1516), trad. ita. Tommaso Fiore, Editori Laterza, Roma 1993. OSBORN FREDERIC J., Green-Belt Cities, Faber & Faber Limited, London 1946. OSBORN FREDERIC J., Greenbelts, in WITTICK ARNOLD (editor in chief), Encyclopaedia of Urban Planning, McGraw-Hill Book Company, New York 1974. OWEN ROBERT, Report to the County of Lanark (1820) in A New View of Society and other Writings, London 1927. Royal Town Planning Institute (Rtpi), Modernizing Green Belt, May 2002 http://www.rtpi.org.uk/editorial/2002/q2/27052002.htlm SICA PAOLO, L’immagine della città da Sparta a Las Vegas, Biblioteca Universale Laterza, Roma-Bari 1991. Stadt Frankfurt am Main, Dezernat für Umwelt, Energie und Brandschutz, GrünGürtel Frankfurt, Frankfurt 1991. Stadt Frankfurt am Main, Umweltamt, GrünGürtel Frankfurt, Societäts Verlag, Frankfurt 2003. STEIN CLARENCE S., Towards New Towns for America, Mit Press, Cambridge (Mass.), 1967. TURNER TOM, Greenways: theory and history, conferenza Facoltà di Agraria, Università di Milano, 2001, http://www.users.unimi.it/~agra/ingag/greenways/intervento_turner.htm UNWIN RAYMOND, Townplanning in practice, (1909), trad. ita. Antonietta Mazza, La pratica della progettazione urbana, Il Saggiatore, Milano, 1971. WAGNER MARTIN, Das sanitare Grün der Stadt, Berlino 1915. RIFERIMENTI ICONOGRAFICI Figure 1, 2: FREDERIC J. OSBORN, Green-Belt Cities, Faber & Faber Limited, London 1946, pagg. 168, 173. Figura 3: TOM TURNER, http://www.londonlandscape.gre.ac.uk Figura 4: PETER HALL, COLIN WARD, Sociable cities. The legacy of Ebenezer Howard, John Wiley & Sons, Chichester (England) 1998, pag. 20. Figura 5: PAOLO SICA, Storia dell’urbanistica. Il Novecento, (1978), Laterza, Roma 1996, pag. 14. Figura 6: RAYMOND UNWIN, Greater London. Regional Planning Committee. First Report December 1929, Knapp, Drewett & Sons Ltd., London 1929, pag. 16. Figura 7: MARTIN ELSON, Green belts: conflict mediation in the urban fringe, Heinemann, London 1986, pag. 7.

Page 180: Q2 2005 Volume Tre

176

Figura 8: TOM KOENIGS (a cura di), Vision Offener Grünräume, Campus Verlag, Frankfurt-New York 1991, pag. 3. Figura 9: IAURIF, Franges des métropoles. Des territoires de projets, “Les Cahiers de l’Institut d’Aménagement et d’Urbanisme de la Region d’Ile de France”, 136, 2003, pag. 30. Figura 10: Rehacer paisajes. Arquitectura del Paisaje en Europa. 1994-1999. Colección Arquíthemas n.6, Edicion Fundacion Caja de Arquitectos, Barcelona 2000, pag. 159. Figura 11: http://www.greenbeltsocity.org.uk Testo acquisito nel mese di marzo 2006. © Copyright dell’autore. Ne è consentito l’uso purché sia correttamente citata la fonte.