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PREMESSA (di Dario F. Romano) 7 INTRODUZIONE GENERALE 11 INDICAZIONI PER LA LETTURA 15 CAP. 1 DUE MAPPE PER ORIENTARSI NELLO SVOLGIMENTO DELLE TRACCE 17 Mappa di processo 17 Mappa di contenuto 18 CAP. 2 PROGETTAZIONE DI INTERVENTI COMPLESSI: INDIRIZZO CLINICO E DI COMUNITÀ 21 Tracce svolte 21 Progetto 1-3 Esercitazioni guidate 29 Progetto 4-8 Alcune prove già assegnate 38 Bibliografia 40 CAP. 3 PROGETTAZIONE DI INTERVENTI COMPLESSI: INDIRIZZO SVILUPPO E EDUCAZIONE 43 Tracce svolte 43 Progetto 1-3 Esercitazioni guidate 50 Progetto 4-8 Alcune prove già assegnate 57 Bibliografia 59 CAP. 4 PROGETTAZIONE DI INTERVENTI COMPLESSI: INDIRIZZO GENERALE E SPERIMENTALE 63 Tracce svolte 63 Progetto 1-3 Esercitazioni guidate 75 Progetto 4-8 Alcune prove già assegnate 83 Bibliografia 84 CAP. 5 PROGETTAZIONE DI INTERVENTI COMPLESSI: INDIRIZZO DEL LAVORO E DELLE ORGANIZZAZIONI 87 Tracce svolte 87 Progetto 1-3 Indice

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Psicologo domani Kaneklin

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PREMESSA (di Dario F. Romano) 7

INTRODUZIONE GENERALE 11

INDICAZIONI PER LA LETTURA 15

CAP. 1 DUE MAPPE PER ORIENTARSI NELLO SVOLGIMENTO DELLE TRACCE 17 Mappa di processo 17

Mappa di contenuto 18

CAP. 2 PROGETTAZIONE DI INTERVENTI COMPLESSI: INDIRIZZO CLINICO E DI COMUNITÀ 21 Tracce svolte 21 Progetto 1-3 Esercitazioni guidate 29 Progetto 4-8 Alcune prove già assegnate 38 Bibliografi a 40

CAP. 3 PROGETTAZIONE DI INTERVENTI COMPLESSI: INDIRIZZO SVILUPPO E EDUCAZIONE 43 Tracce svolte 43 Progetto 1-3 Esercitazioni guidate 50 Progetto 4-8 Alcune prove già assegnate 57 Bibliografi a 59

CAP. 4 PROGETTAZIONE DI INTERVENTI COMPLESSI: INDIRIZZO GENERALE E SPERIMENTALE 63 Tracce svolte 63 Progetto 1-3 Esercitazioni guidate 75 Progetto 4-8 Alcune prove già assegnate 83

Bibliografi a 84

CAP. 5 PROGETTAZIONE DI INTERVENTI COMPLESSI: INDIRIZZO DEL LAVORO E DELLE ORGANIZZAZIONI 87 Tracce svolte 87 Progetto 1-3

I n d i c e

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Esercitazioni guidate 99 Progetto 4-8 Alcune prove già assegnate 106

Bibliografi a 108

CAP. 6 DISCUSSIONE DI CASI: INDIRIZZO CLINICO E DI COMUNITÀ 111 Tracce svolte 111 Caso 1-3 Esercitazioni guidate 125 Caso 4-8 Alcune prove già assegnate 135

Bibliografi a 140

CAP. 7 DISCUSSIONE DI CASI: INDIRIZZO SVILUPPO E EDUCAZIONE 143 Tracce svolte 143 Caso 1-3 Esercitazioni guidate 157 Caso 4-8 Alcune prove già assegnate 169

Bibliografi a 174

CAP. 8 DISCUSSIONE DI CASI: INDIRIZZO DEL LAVORO E DELLE ORGANIZZAZIONI 177 Tracce svolte 177 Caso 1-3 Esercitazioni guidate 187 Caso 4-8 Alcune prove già assegnate 193

Bibliografi a 198

CAP. 9 PROGETTI CON TRACCE TRASVERSALI AGLI INDIRIZZI E TITOLI RIGUARDANTI IL TIROCINIO 201 Progetti con tracce trasversali agli indirizzi 201

Titoli riguardanti l’esperienza di tirocinio 203

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2PremessaDario F. Romano

L’esame di Stato è, nel nostro Paese, il corollario del valore legale del titolo di studio: una competenza professionale viene uffi cialmente certifi cata dallo Stato così da permettere l’accesso agli ordini (agli albi) che regolano l’esercizio di quella competenza. Ciò sottende due preliminari convinzioni. In primo luogo, che la competenza professionale derivi (in maniera più o meno additiva) da un sapere teorico o libresco (testimoniato dal titolo di studio) e da un suo esercizio pratico sotto una guida esperta (il tirocinio). In secondo luogo, che la certifi cazione sia compito, oltre che dell’università, anche dell’ordine professionale, così da permettere a quest’ultimo di controllare l’accesso alla professione (benché nel caso della psicologia tale controllo sia, almeno per ora, assai meno restrittivo che in altri ordini). Ciò aiuta, tra l’altro, a capire perché l’esame di Stato comprenda comunemente prove teoriche oltre che pratiche.

Sotto questo profi lo l’esame di Stato per gli psicologi appare assai simile a quello per altri mestieri (architetti, medici, avvocati, ingegneri, ecc.). Vi sono però anche ragioni che suggeriscono di portare l’attenzione sulle peculiarità dei primi. Ciò vale soprattutto ove si tenga presente che gli ordini professionali nascono eminentemente come difesa corporativa o di funzioni connesse alla pubblica amministrazione (notai, avvocati) o di applicazioni del sapere scientifi co-naturale (ingegneri, medici, biologi).

Lo psicologo, per cominciare, non si confi gura solitamente né come un esperto di procedure (giuridiche, amministrative, contabili, ecc.) né come un tecnico. Anzi instaura una relazione professionale in cui rimarcare con forza la posizione dell’esperto o del tec-nico può essere controproducente. Si pensi alle innumerevoli situazioni in cui lo psicologo interviene per promuovere apprendimento, sviluppo, benessere dei propri clienti; in simili frangenti il rimarcare l’asimmetria tra la posizione del professionista e quella del cliente sovente non giova al risultato. Per il semplice motivo che il risultato è in larga misura affi dato alle risorse (cognitive ed emotive) del cliente stesso. In parole diverse, lo psicologo non esercita per lo più il proprio mestiere offrendo soluzioni, per così dire, chiavi in mano o applicando un sapere dato che è e resta sostanzialmente estraneo all’altro.

Inoltre, il sapere di base a cui ovviamente anche lo psicologo si riferisce non è uni-voco. Contrariamente alla medicina, alla ingegneria, alla avvocatura, la psicologia mette

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8 PSICOLOGO DOMANI – VOLUME 2

quasi sempre in campo un corpo di conoscenze pluri-paradigmatico. Che si tratti di servizi clinici alla persona oppure di interventi sulle comunità oppure di sviluppo organizzativo, lo psicologo, pur optando per un certo approccio teorico e pratico, ha nel proprio orizzonte disciplinare una molteplicità di teorie (paradigmi) equivalenti (almeno nel senso che sono in uso nella comunità professionale), ma sovente tra loro inconciliabili. Certo, anche il medico che cura lo scompenso cardiaco o l’ingegnere che disegna un ponte fanno scelte, prendono decisioni e trovano soluzioni che possono essere di caso in caso differenti. Ma il sapere di base retrostante è tendenzialmente univoco. E questa circostanza non è priva di conseguenze per il modo in cui l’evidenza è disponibile alla pratica professionale e per come essa viene generata e accumulata. Una evidenza non univoca infatti resta in qualche misura problematica, non solo e non tanto per ragioni epistemologiche generali, quanto perché comporta l’esigenza di esser di volta in volta dettagliata e ancorata alle circostanze entro cui si manifesta. In altri termini l’operare dello psicologo e la sua relazione con il cliente richiedono spesso di essere compresi, piuttosto che «in generale» (cioè rispetto a norme universali), nello specifi co della situazione presente.

Infi ne la psicologia compare sulla scena degli ordini professionali in tempi piuttosto recenti e l’istituto dell’esame di Stato non ha ancora compiuto due decenni. Non è per-tanto da meravigliarsi se le procedure in uso non si sono ancora del tutto sedimentate, se le formulazioni delle diverse prove variano ancora da sede a sede, se le commissioni interpretano ancora il proprio compito in maniera non uniforme.

Le considerazioni svolte permettono di cogliere prerogative e novità del volume qui presentato. Esso nasce innanzitutto da una ricerca condotta dagli autori sulle prove pro-poste nelle diverse sedi di esame dal 2001 a oggi. Ciò permette ai candidati di orientarsi nella varietà dei temi e delle tracce che circoscrivono il perimetro entro cui le commissioni hanno tradizionalmente svolto le loro valutazioni. Ciò permette però anche alle stesse commissioni di considerare l’assetto che le diverse prove hanno assunto nel corso del tempo. L’auspicio è che, al di là della preparazione dei giovani, si sedimenti una storia e una consapevolezza che gradualmente porti maggiore omogeneità di intenti e di indirizzi anche entro una comunità scientifi co-professionale giovane, quale è la nostra.

La suddivisione in due volumi (il primo sulla prova teorica, il secondo su quelle pra-tiche) rifl ette poi la declinazione dell’esame di Stato nelle sue due parti. Merita soffermarsi sull’impianto del primo volume che, al di là dei contenuti tipici della psicologia generale, dedica ampio spazio alla posizione dello psicologo stesso quale professionista (si vedano i capitoli su «ruolo», «intervento», «strumenti»). Quanto ciò sia opportuno discende dalle breve rifl essioni iniziali sulla specifi cità dell’agire psicologico. Merita comunque aggiungere una ulteriore nota che riguarda il passaggio dall’università alla professione.

Parlando con i tirocinanti che svolgono il loro praticantato nelle aziende o negli ospe-dali (cioè lontano dal mondo accademico e in contesti non di «libera professione» in senso stretto) capita spesso sentirli lamentare come le cose apprese in università non abbiano alcuna rilevanza applicativa o, se si preferisce, non servano nella pratica quotidiana. E, per inciso, ciò è quanto affermano anche gli psicologi da anni al lavoro, allorché si chieda loro di valutare la rilevanza degli studi universitari per la loro attuale pratica professionale.

Questo svilire l’educazione universitaria rappresenta, a mio avviso, in parte una formazione reattiva ai lunghi e noiosi «anni di scuola». Esso contiene però anche un innegabile nucleo di verità. I corsi di laurea in psicologia, anche quelli oggi chiamati ma-gistrali, si presentano più come scaffali di saperi disgiunti che come organiche proposte

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PREMESSA 9

di modelli professionali. Il tempo passato a mostrare agli studenti come tante e diverse conoscenze possano coniugarsi nella soluzione di un unico problema è molto poco. E ancora minore quello speso a raccontare quali siano nel mondo i problemi per cui quelle conoscenze sarebbero rilevanti.

Rifl ettere sul perché ciò accada porterebbe troppo lontano. Si può però ribadire che, almeno allo stadio dell’esame di Stato, non ha senso alcuno riproporre questioni «generali» (cioè costruite sulla divisione del sapere accademico) senza che queste siano state prima mediate e confezionate tenendo conto dei temi e delle questioni che uno psicologo normalmente affronta nel proprio agire professionale. È questo, come dicevo, un non piccolo pregio del primo dei due volumi qui in esame.

Quanto al secondo volume, la distinzione tra «progetti» e «casi», la loro declinazione nelle tre aree canoniche (clinica, sviluppo, lavoro) e l’ulteriore distinzione tra temi «locali» e «trasversali» riprendono fedelmente lo stato dell’arte dei nostri esami di stato. Bisogna dare atto agli autori di aver colto con precisione la condotta effettiva delle commissioni e di aver tentato di connettere queste categorie ancora distinte e forti mediante lo stimolo fornito dalla proposta delle mappe concettuali. Credo però che in prospettiva questo punto meriti una breve rifl essione.

Negli ultimi anni sono state condotte diverse ricerche (a cura sia degli ordini regio-nali sia di quello nazionale) da cui risulta con una qualche chiarezza come il mestiere di psicologo si vada confi gurando, pur tra molte incertezze e diffi coltà. A titolo di esempio mi limito al caso della psicologia clinica, che resta tuttora il baricentro del nostro impianto professionale. Qui è ormai opportuno distinguere tra la presa in carico diretta delle persone (a sua volta scissa tra ambito privato e ambito pubblico) e l’intervento (di sostegno come di riabilitazione) su pazienti in carico ad altri professionisti (per lo più medici e in ospedale). Attività, sia la prima che la seconda, ormai ben demarcate (sul piano dei modelli profes-sionali e delle carriere individuali) dalle attività territoriali (nei servizi socio-assistenziali, nel terzo settore, ecc.) volte al ricupero e all’affi ancamento della sofferenza generata dalla diversità, dall’emarginazione, dalle dipendenze e simili.

Rispetto a un panorama di questo tipo l’articolazione delle prove pratiche appare, non solo e non tanto un po’ riduttiva, quanto ancora una volta generata dalle pratiche di tirocinio e dalle loro ascendenze accademiche, piuttosto che dallo stato effettivo del nostro mestiere. Ci si potrebbe allora interrogare su quale sia il modello professionale della «psicologia generale e sperimentale». Su come si confi guri la sovrapposizione tra «psicologia clinica e di comunità». Se dietro la separazione tra «progettazione» e «casi» non corra effettivamente un diverso modo di intendere le competenze professionali. In breve, l’attento lavoro di ricostruzione fi lologica dell’«esame» fatto da Caterina Gozzoli e da Cesare Kaneklin pone a tutti noi un problema. Se la certifi cazione vada intesa in rapporto e in funzione di quanto faranno gli psicologi nel mondo; oppure quale ratifi ca di un processo di produzione di competenze non sempre e necessariamente in sintonia con le richieste del mondo. E saranno gli utenti di questo volume (candidati psicologi e commissioni) che sapranno offrire una soluzione (grazie anche all’ausilio dello stesso volume).

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2Introduzione generale

Come docenti universitari e come psicologi che si occupano del mondo lavorativo, il tema dell’identità adulta al lavoro e del progetto professionale ci stanno molto a cuore.

Da anni ci stiamo occupando con alcuni colleghi di una proposta formativa univer-sitaria che non dimentichi, o rimandi a tempi successivi, la questione dell’identità profes-sionale. A diverso titolo da più di dieci anni abbiamo contribuito a sviluppare nel nostro Ateneo dispositivi formativi1 che hanno posto al centro proprio il tema della professione psicologica.

Il rischio presente ieri ma ancor oggi forte è quello del riduzionismo della professio-nalità a un accumulo e assorbimento di saperi e tecniche. È questa una via per certi versi rassicurante perché richiede e si accontenta di una minor messa in gioco, sia da parte degli studenti, sia da parte del sistema universitario medesimo.

Grazie all’esperienza di questi anni, ci appaiono oggi più chiari quegli aspetti che dicono della possibilità o meno di generare nuova conoscenza e professionalità, così come viene tematizzato nel capitolo 1 del primo volume «Il “ruolo” dello psicologo». Tali elementi sono generati entro processi non semplici, non lineari, entro spazi e tempi che richiamano continuamente saperi, metodi e tecniche al senso e al signifi cato che possono o non possono avere nella relazione concreta con l’altro/i, nei diversi contesti in cui si andrà a operare.

Entro questo sguardo gli anni di università, il tirocinio e l’esame di Stato assumono una connotazione particolare, in stretta connessione e intrecciati l’un l’altro.

1 Per un approfondimento di tali dispositivi si vedano: Kaneklin C., Scaratti G. e Bruno A. (2006), La formazione Universitaria, Roma, Carocci; Kaneklin C. e Gozzoli C. in G. Venza (a cura di) (2008), La qualità dell’Università, Milano, FrancoAngeli; Kaneklin C. e Gozzoli C. (2008), Fare formazione universitaria oggi: contesti, persone, vincoli e risorse. Un’esperienza di didattica tutoriale. In G. Venza (a cura di), La qualità dell’Università. Verso un approccio psicosociale, Milano, FrancoAngeli.

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12 PSICOLOGO DOMANI – VOLUME 2

Tale accezione viene rinforzata se recuperiamo il signifi cato del termine tirocinio. Esso deriva dal latino Tirònes, vocabolo con cui i romani indicavano i giovani soldati che facevano la prima campagna indossando la toga al diciassettesimo anno con grande solennità tra il giubilo dei parenti. La voce sembra derivare anche dal greco Tèrèò — guar-do, tutelo, prendo in cura — poiché i giovani Tironi dovevano per un anno frequentare il campo di Marte ove fare esercizi militari e ginnici, sotto la tutela e la protezione del popolo. Quest’ultimo durante l’anno di prova doveva vegliare sul giovane e osservare le sue attitudini e la sua condotta, per poter un giorno con cognizione di causa concedergli o negargli il proprio appoggio quando egli, fatto adulto, avesse concorso ai pubblici uffi ci.

A nostro avviso, il rischio più grande appare, dunque, da un lato che l’esame di Stato si articoli solo sulle conoscenze acritiche, lontane dal campo in cui porle in uso; o dall’altro pensarlo legato in modo esclusivo al fare che diviene la sola misura dell’effi cacia. Pensiamo invece che la sfi da sia provare a cercare continue connessioni, convergenze e diversità tra percorso universitario, tirocinio ed esame di Stato, entro il delinearsi di un progetto personale.

Anche le commissioni valutative sono coinvolte in questa sfi da e tanto più sosterranno la proposta di un esame di Stato diverso dall’esame scolastico, tanto più favoriranno il processo di passaggio dalla scuola al lavoro e all’esercizio della professione. Se l’obiettivo dell’esame di Stato infatti è quello di concludere il periodo di tirocinio e di autorizzare l’esercizio della professione, esso sarà necessariamente un’esperienza utile ai candidati tanto più sarà occasione di apprendimento e di rifl essione su di sé in un’ottica professio-nalizzante.

Ecco perché abbiamo pensato a questi volumi. Data la ricchezza della disciplina e la continua evoluzione, l’intento non è ovviamente quello di essere esaustivi nell’affrontare tematiche e questioni, ma quello di proporre esempi per organizzare e affrontare alcune di esse con chiarezza logica ed entro uno sguardo personale e rifl essivo.

Al lavoro hanno collaborato un gruppo di giovani psicologhe che da poco tempo hanno affrontato e vissuto l’esame di Stato; si tratta di giovani professioniste che, entro e fuori il contesto universitario, si stanno specializzando in diverse discipline e che abbiamo scelto di coinvolgere in virtù dei loro diversi interessi entro l’ambito della psicologia. A loro un ringraziamento per la propositività e le ricche rifl essioni condivise, e a Elena Stanchina per il prezioso lavoro di confronto e revisione.

Con loro abbiamo lavorato fi n dalle prime fasi di ideazione e strutturazione dei testi, un primo volume più teorico, che accompagni nella stesura della «prima prova» dell’Esame di Stato, e un secondo volume più applicativo, su cui vorremmo spendere qualche altra rifl essione.

Rispetto al senso dell’esame di Stato, infatti, le cosiddette «prove pratiche» hanno grande rilevanza, anche se spesso sono sottostimate sia da parte dei candidati che chiedono «ingresso» nella comunità professionale, sia da parte delle stesse commissioni giudicatrici, o almeno da quelle che tendono a privilegiare la prima prova.

Di fatto la centratura sulle pratiche professionali rinvia a un interrogativo inerente a quali siano le categorie conoscitive di tipo psicologico utili per costruire della conoscenza per l’intervento in situazioni duali, di gruppo, organizzative. Questione che riproponiamo qui in premessa poiché proprio i nuovi psicologi, sostenitori motivati, ma necessariamente poco esperti della disciplina, corrono il rischio di diventare un buon esempio di come,

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INTRODUZIONE GENERALE 13

a fronte di problemi umani e sociali «aperti», si possa cadere intrappolati in percorsi di conoscenza autoreferenziali, riduttivi e sempre più distanzianti, chiusi e infecondi.

In questi casi, come già Winnicott magistralmente ci insegnava nel 1971, è come se il sapere psicologico venisse assunto come «un bagaglio di nozioni che fortifi ca chi le possiede e che viene sfruttato senza poter essere usato».2

Diversamente la conoscenza psicologica può essere una conoscenza che ci immette nella complessità dei sistemi psicosociali. Si tratta, come dice Laura Ambrosiano,3 di un approccio alla conoscenza come «processo interattivo di ricerca e costruzione di signifi cati» sempre parziali e provvisori.

Ciò richiede allo psicologo di sopportare, a fronte di situazioni problematiche speci-fi che, e a fronte di una realtà che non è solo esterna al soggetto osservante, dei cammini conoscitivi relativamente incerti, indiziari, non necessariamente subito appaganti, in cui non vi sono protocolli validi a priori su cui cominciare ad avviare l’agire professionale.

Agire e agire professionale non sono la stessa cosa. Se non si tratta tanto di ap-plicare schemi e nozioni già ben defi nite, si tratta allora di sopportare, anche per breve tempo, in modo ricorrente, di sospendere l’azione4 per avviare e sviluppare processi di pensiero complesso, e per verifi care e/o riorientare le ipotesi di intervento. Concludiamo ricordando che un vertice conoscitivo è «psicologico» non perché il professionista aderisce a una teoria psicologica, ma in quanto egli tiene conto di ciò che avviene nelle «menti», ovvero nel funzionamento psichico di singoli, di gruppi e organizzazioni, compreso quello che si genera nella relazione tra psicologo e altri attori coinvolti.

Per concludere ci sembra importante fornire al lettore alcune note rispetto alle mo-dalità con cui ha lavorato il gruppo costituitosi per la stesura dei due volumi, rimandando poi alle specifi che «indicazioni per la lettura» riferite a ciascuno dei due volumi maggiori dettagli.

Per l’identifi cazione dei capitoli in cui suddividere i volumi si è scelto di partire dall’analisi delle tracce assegnate dal 2001 (anno della riforma) ad oggi nelle diverse uni-versità italiane sede dell’esame di Stato (per lo meno quelle a cui è stato possibile accedere tramite i siti Internet), per suddividerle poi per tematiche. Da questo lavoro di analisi delle tracce è derivata la suddivisione in capitoli dei due volumi.

Si è poi valutato di mantenere una struttura unitaria per lo svolgimento di tutti i capitoli, struttura condivisa prima della fase di stesura degli stessi; così il gruppo di lavoro si è suddiviso in base alle aree di maggiore competenza per la prima stesura di ogni ca-pitolo. Infi ne nella fase fi nale di accorpamento dei capitoli tutto il gruppo è intervenuto nella rilettura e analisi critica di ogni specifi co capitolo.

Questo lavoro a più mani rappresenta a nostro avviso uno dei valori aggiunti dei volumi proposti, in quanto è frutto di uno sforzo di esplicitazione e sintesi di ognuno dei passaggi logici sottesi a ciascun capitolo.

2 Winnicott D.W. (1971), Playing and Reality, London, Tavistock Publications, trad. it. Gioco e Realtà, Roma, Armando, 1985, p. 163.

3 Ambrosiano L., Clinica medica e clinica psicologica, «Vivere oggi», anno II, n. 3, p. 21.4 Si vedano in proposito: Zanarini G. (1985), L’emozione di pensare. Psicologia dell’informatica,

Milano, CLUP-CLUED; Carli R. (1987), Psicologia clinica. Introduzione alla teoria e alla tecnica, Torino, UTET.

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2Indicazioni per la lettura

Il processo di lavoro che ci ha guidato nella stesura dei due volumi è stato il medesi-mo: siamo cioè partiti da un’analisi e da una classifi cazione delle «seconde e terze prove» assegnate dalle Università.

Nel caso del secondo volume, più che una classifi cazione in base al tema in oggetto, già chiaro a seconda dell’indirizzo cui la traccia faceva riferimento (psicologia clinica e di comunità, psicologia dello sviluppo e dell’educazione, psicologia generale e sperimentale, psicologia del lavoro e delle organizzazioni), si è resa necessaria una chiara distinzione tra casi e progetti. Secondo la normativa, la seconda prova scritta riguarda «la progettazione di interventi complessi con riferimento alle problematiche della valutazione dello sviluppo delle potenzialità dei gruppi, della prevenzione del disagio psicologico, dell’assistenza e del sostegno psicologico, della riabilitazione e della promozione della salute psicologica», e segue poi «una prova scritta applicativa, concernente la discussione di un caso relativo a un progetto di intervento su individui, ovvero in strutture complesse».

Non tutte le Università hanno però richiesto la stesura di progetti nella seconda prova, e l’analisi di casi come ultimo scritto. Per questo abbiamo valutato di classifi care le prove, indipendentemente dall’ordine in cui sono state assegnate, defi nendole come segue: «progetti» laddove fossero presenti solo indicazioni generali rispetto al tema, e che quindi richiedessero al candidato sia una defi nizione più specifi ca dell’oggetto e del contesto, sia un maggiore sforzo creativo e ideativo; «casi» quando gli elementi/dati di partenza sulla specifi ca situazione erano invece già forniti nella traccia, e rappresentavano il punto di partenza del candidato per lo svolgimento della stessa.

Rispetto al secondo volume ci sembra inoltre importante sottolineare che alcune Università a volte assegnano alcune tracce generali e trasversali ai quattro indirizzi e altre già specifi che per indirizzo; per questo abbiamo scelto di usarle entrambe e alle prime abbiamo dedicato una parte specifi ca (capitolo 9), che può aiutare anche a orientarsi per la rivisitazione dell’esperienza di tirocinio.

Un’ultima specifi ca riguarda invece la scelta di non svolgere i casi assegnati dell’indi-rizzo di psicologia generale e sperimentale. Secondo la classifi cazione che abbiamo adottato

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16 PSICOLOGO DOMANI – VOLUME 2

essi possiedono, a nostro avviso, una componente altamente progettuale (molti sono ad esempio progetti di ricerca) e sono quindi stati inseriti nella sezione «progettazione»; quei casi che invece contengono elementi che rimandano a temi di psicologia generale di solito rientrano all’interno dei casi di clinica e sviluppo (essendo spesso sintomi o informazioni utili a diagnosi).

Rispetto alla struttura del primo volume, nel secondo, di natura evidentemente meno teorica e più applicativa, si è scelto di presentare alcune mappe concettuali in apertura, con lo scopo di dare al lettore alcune linee guida rispetto a come svolgere progetti e analisi di casi, e su quali sono le specifi che tematiche che si potrebbero incontrare per ognuno dei quattro indirizzi.

Anche in questo caso, le indicazioni bibliografi che fornite alla fi ne di ognuno dei capitoli rappresentano un’utile guida per orientare il ripasso o lo studio di specifi che tematiche su cui il lettore si sentisse più carente.

Nei diversi capitoli viene invece mantenuta la proposta di alcune «tracce svolte» accompagnate dal ragionamento «a lato», altre «tracce facilitate» con alcuni spunti per uno svolgimento guidato e infi ne la proposta di altre tracce assegnate dalle università che il lettore può provare a svolgere in autonomia.

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DUE MAPPE PER ORIENTARSI NELLO SVOLGIMENTO DELLE TRACCE 19

DUE

MAP

PE P

ER O

RIEN

TARS

I

Trasversali e comuniagli indirizzi

Es. multiculturalità;identità, confl itto

– consulenza– ricerca– marketing – formazione– selezione– terapia, soste-

gno o counse-ling

– valutazione– diagnosi– orientamento– progettazione

sociale– prevenzione– …

Specifi ci per gli indirizzi

TRASVERSALMENTEAGLI INDIRIZZI

Temi e questioni

ContestiTipo di

intervento

Indirizzo Clinico e

Comunità:es. integra-

zione sociale; disagio (sia a livello psichi-co, sia a livel-

lo sociale); gestione delle

emozioni; dipendenza

da sostanze; alimentazione; relazioni fami-

liari; ecc.

Indirizzo Sviluppo ed Educazione:

es. aggressività e bullismo;

apprendimento; relazioni familia-ri; relazioni tra pari; capacità mentalistiche e intelligenza; orientamento scolastico;

alimentazione; ecc.

Indirizzo Generale e

Sperimentale:es. apprendi-mento; abilità

e manteni-mento delle abilità resi-

due; memoria;attenzione; percezione; emozioni;

disabilità; ecc.

Indirizzo Lavoro e Organizzazioni:es. riorganizza-zioni; sicurezza; gruppo di lavoro; valutazione di po-

tenziale, competen-ze e prestazioni; qualità; consumi;

management; benessere, males-sere e convivenza

organizzativa; orientamento pro-fessionale; ecc.

– organizzazioni pubbliche e pri-vate; istituzioni; reti tra pubblico e privato; co-munità e reti sociali; gruppi informali e grup-pi di lavoro, ecc.

– realtà produttive di servizi

– …

Fig. 1.2 Mappa di contenuto.

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Progettazione di interventi complessi: indirizzo clinico e di comunità

2> TRACCE SVOLTE

PRO

GET

TAZI

ON

ECL

INIC

A E

COM

UNIT

À

PROGETTO 1> Dovendo valutare l’idoneità all’adozione di una coppia di coniugi con problemi di sterilità, il candidato illustri il percorso valutativo che sarebbe, a suo av-viso, più opportuno intraprendere esplicitando: le fasi in cui suddividerebbe il processo di valutazione; gli aspetti del problema analizzati e valutati; le modalità e gli strumenti impiegati; i criteri in base ai quali esprimerebbe l’eventuale giudizio di idoneità.

(Università degli Studi di Bari, data non disponibile)

Ipotesi di svolgimento

L’idoneità all’adozione è un percorso lungo, complesso e multidi-mensionale poiché è individuale, biologico, familiare, psicosociale, culturale e giuridico. L’esigenza di valutare aspetti individuali delle coppie aspiranti adottive nasce dalla considerazione che nell’adozione ci troviamo di fronte a due problemi, non uno solo: bambini senza genitori ma anche genitori, nella maggior parte dei casi, senza fi gli. Prendendo in considerazione tale situazione, all’interno della storia personale dei potenziali genitori assumono particolare rilievo le seguenti aree, che potrebbero essere indagate sia in colloqui individuali, sia in colloqui di coppia e poi messi a confronto (Rossi, 1998).

Aspetti individuali

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22 PSICOLOGO DOMANI – VOLUME 2

– Motivazione: la scelta di adottare un bambino potrebbe essere mo-tivata da molteplici aspetti, come il dolore per non poter generare, la mancanza dell’esperienza della genitorialità e della continuità, o dal risarcimento per il torto subito. Problematici vengono considerati quegli atteggiamenti estremi, ad esempio acritica accettazione di ogni proposta e problema, sopravvalutazione delle proprie capacità, atteggiamenti salvifi ci, urgenza di avere un bimbo ad ogni costo, diffi denza e grande criticità per ogni aspetto burocratico. Queste motivazioni di fatto rifl ettono una non plasticità e fl essibilità della coppia, requisito indispensabile nell’adozione.

– Età: la differenza d’età tra genitori e fi glio non deve superare i 45 anni, rendendo così la situazione il più possibile simile a quella della famiglia naturale, come sancito anche dalla legge italiana (L. 184/83 e L. 149/01).

– Assenza di patologie del genitore: ad esempio disturbi della condotta, gravi forme di depressione.

– Relazioni con la famiglia d’origine e la capacità della coppia ad af-frontare le reazioni dei loro genitori e parenti. Uno strumento utile a questo livello può essere l’Adult attachment interview (George, Kaplan e Main, 1985).

– Strategie di coping. È auspicabile che si riscontri spontaneità e ca-pacità di condividere esperienze emotive, forte senso di realtà, basso livello d’ansia, vitalità e sentimento di adeguatezza personale.

– Vissuto della sterilità. È importante capire se sia una ferita ancora dolorosa, un vuoto o un’offesa o è stata già elaborata e accettata.

– Il bambino immaginato e se stessi come genitori immaginati: ogni persona, durante lo sviluppo, si forma una sua idea di bambino, idea che si infrange di fronte all’infertilità e all’impossibilità procreativa. A questo scopo può essere molto utile l’utilizzo del Diario futuro commentato (viene chiesto a ciascun membro della coppia di scrivere una pagina di diario relativa a come si immagina una giornata che si potrà svolgere tra cinque anni) e del Disegno della famiglia futura commentato (in questo caso viene chiesto di disegnare quella che secondo lui sarà la sua famiglia fra cinque anni), come suggerito da Favaloro (1990). È importante quindi rifl ettere con la coppia su come ognuno immagina se stesso, come immagina il partner, come immagina l’evoluzione che ci sarà.

In un percorso di idoneità all’adozione è importante andare ad ap-profondire le dinamiche della coppia: essa è il luogo in cui il bambino impara ad apprendere, a signifi care le cose, come elaborare sofferenza e frustrazione, come condividere, come separarsi, come adattarsi, nei diversi modi materno e paterno. Andranno quindi valutati i seguenti aspetti.

– Apertura della coppia e inserimento nel contesto sociale e naturale: all’interno di una famiglia chiusa si possono sviluppare comporta-menti inadeguati che non consentono l’estrinsecarsi delle potenzialità

Aspetti di coppia

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individuali; al contrario una coppia caratterizzata da fl essibilità sembra fornire maggiori garanzie di successo nell’accogliere il bambino.

– Funzionamento di coppia: vari studi hanno dimostrato che determi-nate variabili interpersonali del rapporto padre-madre infl uenzano le interazioni del bambino con gli altri e in particolare il suo adattamento sociale ed emotivo.

– Spazio mentale preparato per il bambino, ossia la disponibilità della coppia a tollerare ciò che è altro da sé, come un bambino portatore di una sua storia e di una sua alterità.

In conclusione i criteri da utilizzare per esprimere un eventuale giudizio di idoneità ruotano intorno a questi aspetti.

– Plasticità, ossia la capacità di attuare comportamenti adeguati alle possibili diverse situazioni; questi aspetti possono essere anche osservati e rilevati dall’operatore durante il colloquio. Preoccupante è l’utilizzo di modalità scarsamente adattive accompagnate da una certa rigidità di atteggiamenti e posizioni.

– Atteggiamenti «generativi» e creativi, che non hanno nulla a che fare con la componente biologica ma con la capacità di arricchire il mondo esterno con qualcosa dato da sé e dal proprio impegno. Il processo che trasforma un uomo e una donna in genitori e un bambino in fi glio è speculare: quanto più il clima familiare si fa vivo, pieno d’interesse e curiosità, tanto più i bambini sentono di essere vivi e accolti in uno spazio che è loro. Questi aspetti potrebbero essere colti durante una visita domiciliare; ad esempio attraverso il modo che la coppia ha di arredare e vivere la casa; durante i colloqui attraverso il tono e il clima emotivo, gli hobby, gli sport, quando praticati, oltre a tutte le possibili espressioni di creatività.

– Capacità di «riparare», rispetto alla sterilità, nel senso che il soggetto rinuncia a una mèta irraggiungibile per investire su altro, e ripara-zione rispetto al bambino, come desiderio di eliminare la sofferenza che gli è stata procurata ridandogli la propria integrità e dignità di essere amato.

– Capacità di elaborare il lutto del non poter essere genitori; spesso il fallimento dell’adozione ha radici proprio in questo punto, poiché è come se la coppia non riuscisse a riconoscere il bimbo adottato come proprio, trattandolo come se fosse nato da loro, senza essere inoltre in grado di vederlo nella sua veste reale.

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PROGETTO 4> Il candidato defi nisca gli obiettivi, le metodologie, le modalità di funziona-mento e i tempi di attuazione di un progetto di sostegno rivolto a un gruppo di pazienti anoressici, dopo aver delineato un opportuno scenario, che indica la tipologia dei soggetti, gli operatori da coinvolgere e il contesto in cui si deve realizzare l’intervento.

(Università degli Studi di Padova, 2006)

Ipotesi di svolgimento

– Inquadramento della tematica Le diffi coltà principali nella terapia dei Disturbi della condotta alimentare risiedono nella

forte tendenza delle pazienti alla negazione della malattia, nella mancanza di collabora-zione, nell’elevata comorbidità psichiatrica, nell’alta frequenza di tentativi di suicidio e nell’elevato rischio di cronicizzazione. Il quadro clinico rende ragione del fatto che venga privilegiato un trattamento multidisciplinare che si rivolge a tutti gli aspetti di queste complesse patologie. L’intervento si basa sulla integrazione di interventi psicoterapici, riabilitativi, farmacologici (ove necessario) e familiari.

– Obiettivi• Psicoterapia supportiva-espressiva: ridurre l’ansia sui sintomi; aumentare l’autosti-

ma; osservare ma rispettare le difese; ri-orientamento alla realtà (reality testing); chiarifi cazione, interpretazione, e riformulazione (obiettivi, decisioni, programmi); attenzione agli elementi transferali; favorire la consapevolezza intorno alle emozioni e ai sentimenti; facilitare la differenziazione delle sensazioni corporee da quelle suscitate dalle emozioni; favorire modalità attive di risoluzione dei problemi.

• Intervento sulla famiglia: creare maggior consapevolezza sulla malattia; evidenziare gli effetti del disturbo sulla famiglia; migliorare le dinamiche relazionali all’interno della famiglia; far emergere le risorse presenti nella famiglia; favorire il consenso agli interventi, soprattutto nel caso di minori; nelle situazioni più disfunzionali, permettere l’invio a un servizio specialistico.

• Riabilitazione nutrizionale: correggere lo stato di malnutrizione (anoressia) o l’abitudine alle abbuffate e alle condotte di eliminazione (bulimia); favorire, tramite il diario alimen-tare, la conoscenza delle proprie abitudini alimentari, aumentando la consapevolezza delle attitudini distorte e delle cognizioni scorrette che vi sottendono; permettere, sempre attraverso il diario alimentare, l’introiezione del terapeuta quale Io ausiliario non critico (diario come oggetto transizionale), coinvolgimento dei pazienti nella verifi ca delle conseguenze della malnutrizione e nella verifi ca dei progressi; monitoraggio del programma terapeutico.

> ESERCITAZIONI GUIDATE

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30 PSICOLOGO DOMANI – VOLUME 2

– Tempi• Prima fase: utilizzo di tecniche per ottenere un aumento ponderale (riabilitazione

nutrizionale) e una normalizzazione del comportamento alimentare più disturbato, accanto a una prima presa in carico della paziente e della sua famiglia.

Nota bene: in questa fase è frequente l’ospedalizzazione, che consente di separare la paziente dai propri genitori, particolarmente utile in caso di forti tensioni, alta confl it-tualità ed eccessivo criticismo che spesso mantengono il comportamento patologico. Durante il ricovero le pazienti possono avvalersi di un supporto psicologico che le aiuti a sostenere l’aumento di peso e ad affrontare i cambiamenti che esso richiede. Sebbene in una fase acuta del disturbo le pazienti non siano in grado di intraprendere una psicoterapia vera e propria, è utile lavorare affi nché arrivino a riconoscere di avere dei problemi psicologici che devono essere affrontati.

• Una seconda fase del trattamento, con obiettivi più a lungo termine, è fi nalizzata alla modifi cazione degli assetti cognitivi disfunzionali, al superamento dei confl itti relativi alla dipendenza e all’autonomia, e al conseguimento di un’identità più sicura di sé (psicoterapia).

• Data la natura particolarmente mutevole dell’evoluzione di questi disturbi, con un’alta frequenza di recidive e una frequente cronicizzazione, alcuni dei trattamenti medici, psicologici e psicoterapeutici devono essere ripetuti in momenti successivi con op-portuni follow-up.

PROGETTO 5> Il candidato elabori un progetto di intervento fi nalizzato alla valutazione e allo sviluppo delle potenzialità dei gruppi o della prevenzione del disagio psicologico o dell’assistenza e del sostegno psicologico, o della riabilitazione e della promozione della salute psicologica in ambito familiare.

(Università degli Studi di Bari, data non disponibile).

Ipotesi di svolgimento

– Ambito di intervento Tra le transizioni critiche che la famiglia deve sostenere, la crisi della coppia e la sepa-

razione dei genitori rappresentano un evento assai complesso, che mette a dura prova le relazioni. I fi gli sono coinvolti nella separazione dei loro genitori e spesso non sanno bene come esprimere la rabbia, la tristezza, i dubbi, le diffi coltà che incontrano per la separazione di papà e mamma. È importante che i bambini possano avere accesso sia al padre che alla madre e potersi sentire parte di entrambi i rami familiari, elemento

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38 PSICOLOGO DOMANI – VOLUME 2

> ALCUNE PROVE GIÀ ASSEGNATE

> Si defi niscano in modo dettagliato gli obiettivi, le metodologie e la tempistica per l’attuazione di un progetto di sostegno rivolto a un gruppo di pazienti tossi-codipendenti da realizzarsi nel contesto di un’istituzione pubblica. (Università degli Studi di Padova, 2007)

> Il candidato presenti un progetto di intervento psicologico (obiettivi, metodolo-gie, setting, valutazioni), all’interno di una comunità (terapeutica, educativa o altro), individuando vincoli e risorse del contesto desiderato. (Università degli Studi di Bari, data non disponibile)

> Il candidato presenti un progetto di intervento psicologico (obiettivi, metodolo-gie, setting, valutazioni), volto alla prevenzione del disagio e alla promozione della salute psicologica, facendo riferimento a uno dei tradizionali ambiti dell’operatività psicologica. (Università degli Studi di Bari, data non disponi-bile)

> Il candidato descriva sinteticamente i punti essenziali di un suo intervento di progettazione in una delle seguenti aree: Sportello scolastico in una scuola superiore; Servizio di sostegno e/o accompagnamento a coppie adottive in un consultorio familiare; Percorso riabilitativo per un gruppo di pazienti psichiatrici che afferisce a un Servizio di diagnosi e cura dell’Asl. Sulla base dell’esempio scelto, il candidato illustri i criteri di riferimento metodologico inerenti al progetto, specifi cando gli obiettivi del suo intervento, le modalità e gli strumenti utilizzati nelle varie fasi. (Università degli Studi di Padova, 2005)

> Il candidato elabori un progetto di intervento psicologico che tenga conto dell’interazione con professionalità multiple e/o servizi territoriali diversi, relativamente a uno di questi argomenti: la valutazione dello sviluppo della potenzialità dei gruppi; la prevenzione del disagio psicologico; l’assistenza e il sostegno psicologico; la riabilitazione e la promozione della salute e del be-nessere psicologico. (Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, 2007)

> Il candidato descriva sinteticamente i punti essenziali di un progetto avente come obiettivo la promozione della salute psicologica. (Università degli Studi di Torino, 2006)

> La candidata/Il candidato descriva le fasi di un progetto alla prevenzione della violenza intrafamiliare e dopo aver scelto uno specifi co ambito di intervento (scuola, territorio, famiglia, associazioni…) costruisca un progetto di preven-zione, specifi cando: il tipo di intervento che si intende attuare; i destinatari dell’azione preventiva; i tempi e le fasi di realizzazione del progetto; gli strumenti metodologici che si intendono utilizzare; il modello teorico cui fare riferimento nella determinazione degli assunti e delle ipotesi empiriche; gli obiettivi che si desiderano raggiungere. (Università degli Studi di Torino, 2007)

(continua)

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> (continua)

> Il candidato illustri il percorso metodologico per progettare un intervento com-plesso fi nalizzato alla riabilitazione cognitiva e psicosociale in pazienti affetti da sindrome post-traumatica. (Università degli Studi di Bologna, 2006)

> Il candidato defi nisca gli obiettivi, le metodologie, le modalità di funzionamen-to e i tempi di attuazione di un progetto di sostegno rivolto a un gruppo di pazienti anoressici, dopo aver delineato un opportuno scenario che indica la tipologia dei soggetti, gli operatori da coinvolgere e il contesto in cui si deve realizzare l’intervento. (Università degli Studi di Padova, 2006)

> Il candidato tracci le linee di un «Progetto di prevenzione dei disturbi alimentari» per un gruppo di scuole secondarie di 1° grado di una città industriale del nord Italia che abbia come destinatari gli studenti, gli insegnanti, le famiglie. In questo progetto il candidato avrà cura di individuare e defi nire il modello di riferimento teorico concettuale, le fi nalità generali, obiettivi e contenuti operativi dell’intervento, la metodologia di lavoro, gli strumenti di intervento, gli operatori implicati, la struttura e la periodizzazione temporale, le possibili procedure di valutazione dell’intervento sia in itinere che conclusive. (Università degli Studi di Torino, 2006)

> Il candidato indichi i presupposti teorici ed elabori un progetto di prevenzione del danno psicologico che può nascere nei cittadini immigrati dal confronto con (il candidato ne scelga almeno due): il lavoro e la previdenza sociale; l’assistenza sanitaria; la scuola; la formazione linguistica e professionale. (Università degli Studi di Firenze, 2006)

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40 PSICOLOGO DOMANI – VOLUME 2

Letture consigliate per una trattazione più specifi ca di alcune teorie e ambiti di intervento riguardanti i progetti svolti

Per una trattazione in generale dei temi relativi alla psicologia clinica e di comunità si vedano:

Amerio P. (2000), Psicologia di comunità, Bologna, Il Mulino.Andreoli V., Cassano G.B. e Rossi R. (a cura di) (2002), DSM-IV. Manuale diagnostico

e statistico dei disturbi mentali, Milano, Masson.Codispoti O. e Clementel C. (a cura di) (1999), Psicologia clinica. Modelli, metodi,

trattamenti, Roma, Carocci. Gabbard G.O. (2000), Psichiatria psicodinamica, Milano, Cortina.Grasso M., Cordella B. e Pennella A. (2004), Metodologia dell’intervento in psicologia

clinica, Roma, Carocci.Lavanco G. e Novara C. (2006), Elementi di psicologia di comunità. dalla teoria all’in-

tervento, Milano, McGraw-Hill, 3a ed.

> Sugli aspetti clinici dei percorsi di adozione:

Favaloro M. (1990), La selezione delle coppie aspiranti all’adozione: costruzione di un contesto collaborativo, «Terapia Familiare», vol. 33, pp. 37-52.

George C., Kaplan N. e Main M. (1985), Adult attachment interview classifi cation system, manoscritto non pubblicato, Berkeley, University of California.

Rossi B. (1998), Criteri di valutazione della coppia adottiva. Esperienze a confronto, «Psicologia Clinica dello Sviluppo», vol. 1, pp. 169-179.

> Sull’alessitimia:

Baiocco R., Giannini A.M. e Laghi F. (2005), SAR-Scala Alessitimica Romana, Trento, Erickson.

Caretti V. e La Barbera D. (a cura di) (2005), Alessitimia. Valutazione e trattamento, Roma, Astrolabio-Ubaldini.

Majani G. e Callegari S. (1998), Test SAT-P. Soddisfazione soggettiva e qualità della vita, Trento, Erickson.

Parker J.D.A., Bagby R.M., Taylor G.J., Endler N.S. e Schmitz P. (1993), Factorial validity of the Twenty-item Toronto alexithymia scale, «European Journal of Personality», vol. 7, pp. 221-232.

Stürmer T., Buring J.E., Lee I.M., Michael Gaziano M.J. e Glynn R.G. (2006), Metabolic abnormalities and risk for colorectal cancer in the physicians’ health study, «Cancer Epidemiology Biomarkers & Prevention», vol. 15, pp. 2391-2397.

Wallston B.S. e Wallston K.A. (1978), Locus of control and health: A review of the literature, «Health Education Monographs», vol. 6, pp. 107-117.

> Sui disturbi della condotta alimentare:

Bryant-Waugh R. e Lask B. (2004), Disturbi alimentari. Guida per genitori e insegnanti, Trento, Erickson.

> BIBLIOGRAFIA

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Castoldi F., Palazzi M., Bertozzi N., Prati E., Franzoso G. e Barducci C. (2006), Corsi psi-coeducativi per persone obese e sovrappeso: valutazione dell’esperienza Cesenate, «Psicologia della Salute», vol. 3, pp. 133-145.

Costa E. e Loriedo C. (2007), Disturbi della condotta alimentare. Diagnosi e terapia, Milano, FrancoAngeli.

Gordon R.A. (2002), Anoressia e Bulimia. Anatomia di un’epidemia sociale, Milano, Cortina.

> Sugli effetti della separazione coniugale:

Cigoli V. (1998), Psicologia della separazione e del divorzio, Bologna, Il Mulino.Cigoli V., Giuliani C. e Iafrate R. (2002), Il dolore del divorzio: adolescenti e giovani

adulti tra ravvicinamento e distacco alla storia familiare, «Psicologia Clinica dello Sviluppo», vol. 7, n. 3, pp. 473-492.

Marzotto C. (2007), Appartenere alle due stirpi: i Gruppi di Parola per fi gli di coppie separate. In E. Scabini e G. Rossi (a cura di), Promuovere famiglia nella comunità, Milano, Vita e Pensiero.

Parkinson L. (1995), Separazione, divorzio e mediazione familiare, Trento, Erickson

> Sulle dipendenze da sostanze:

Benjamin L.S. (1999), Diagnosi interpersonale e trattamento di disturbi di personalità, Roma, LAS.

Brown S. (1997), Alcolismo: Terapia multidimensionale e recupero, Trento, Erickson.Corlito G. (a cura di) (2006), Alcologia e salute mentale, Trento, Erickson. Derogatis L.R. (1983), Description and bibliography for the SCL-90 R and other in-

struments of the Psychopathology rating scale series, manoscritto non pubblicato, Baltimore, John Hopkins University School of Medicine.

Folgheraiter F. (2004), Tossicodipendenti rifl essivi, Trento, Erickson.Luci G., D’Alessandris L., Focà F. e Vasale M. (2005), S.A.I.D., Scheda di auto-valutazione

degli indici di dipendenza, «Dipendenze patologiche», vol. 0, pp. 68-70.Meringolo P. e Zuffa G. (2001), Droghe e riduzione del danno: un approccio di psicologia

di comunità, Milano, Unicopli.Rigliano P. (2004), Doppia diagnosi: tra tossicodipendenza e psicopatologia, Milano,

Raffaello Cortina. Scilligo P. (2000), Il questionario ANINT-A36: uno strumento per misurare la percezione

di sé, «Psicologia Psicoterapia e Salute», vol. 6, pp. 1-35.Spider J. (1993), The Minnesota model, Minnesota, Hazelden Foundation.

> Sui temi dell’immigrazione:

Besozzi E. e Colombo M. (a cura di) (2007), Giovani stranieri in Lombardia tra presente e futuro. Motivazioni, esperienze ed aspettative nell’istruzione e nella formazione professionale, Osservatorio Regionale per l’integrazione e la multietnicità, Milano, Fondazione Ismu.

Colombo A., Genovese A. e Canevaro A. (2006), Immigrazione e nuove identità ur-bane, Trento, Erickson.

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42 PSICOLOGO DOMANI – VOLUME 2

Colombo A., Genovese A. e Canevaro A. (a cura di) (2006), Educarsi all’interculturalità, Trento, Erickson.

Fondazione ISMU (2009), Quattordicesimo rapporto sulle migrazioni 2008, Milano, FrancoAngeli.

Gozzoli C. e Regalia C. (2005), Migrazioni e famiglie. Percorsi, legami e interventi psicosociali, Bologna, Il Mulino.

Valtolina G.G. e Marazzi A. (a cura di) (2006), Appartenenze multiple. L’esperienza dell’immigrazione nelle nuove generazioni, Milano, FrancoAngeli.

Zanfrini L. (2007), Cittadinanze. Appartenenza e diritti nella società dell’immigrazione, Roma-Bari, Laterza.

> Sulla psicologia dello sport:

Andersen M.B. (2000), Doing sport psychology, Champaign, Human Kinetics.Gozzoli C. (2005), Funzione sociale e psicologica dello sport. In C. Ottaviano e M.

Travagliati (a cura di), Ripartire dallo sport, Milano, ISU.Manzi C. e Gozzoli C. (a cura di) (2009), Sport. Prospettive psicosociali, Roma, Ca-

rocci.Porro N. (2006a), Le organizzazioni dello sport come soggetti dell’economia civile. In

C. Buscarini, F. Manni e M. Marano (a cura di), La responsabilità sociale e il bilancio sociale delle organizzazioni dello sport, Milano, FrancoAngeli.

Porro N. (2006b), L’attore sportivo. Azione collettiva, sport e cittadinanza, Bari, La Meridiana.

Russo P. (2004), Sport e società, Roma, Carocci.

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Discussione di casi: indirizzo sviluppo e educazione

7> TRACCE SVOLTE

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CASO 1> Una coppia di genitori si rivolge allo psicologo preoccupata per il fi glio M. che ha 4 anni. La coppia riferisce che M. è molto attratto dagli elettrodomestici in genere e dalle lampade in particolare, da cui è letteralmente assorbito. M. accende e spegne più volte le luci osservando attentamente le lampade e, in estate, è attratto, in modo esclusivo e per tempi anormalmente prolun-gati, dai ventilatori. M. ha un fratellino minore per il quale non mostra alcun interesse: non gioca mai insieme a lui, tentando, invece, di coinvolgerlo nei suoi interessi per gli elettrodomestici.A scuola le maestre riferiscono che M. è un bambino le cui capacità di sviluppo cognitivo, di autoaccudimento e di linguaggio sono in linea con la sua età. Le maestre hanno, tuttavia, rilevato alcune caratteristiche di M. che le hanno preoccupate: nel gruppo dei pari M. non riesce a inserirsi. Egli sta appartato quando sono organizzati giochi simbolici, e non è attratto da giochi motori quando i compagni o le maestre tentano di coinvolgerlo in essi. Quando M. è convinto a partecipare, si mostra impacciato e goffo. Nelle relazioni con i compagni le maestre hanno osservato espressioni del viso, dello sguardo e in generale comportamenti non verbali che non erano usati per creare comunicazione di interazione con i compagni.Il candidato formuli:

– l’ipotesi diagnostica;– la diagnosi differenziale;– gli strumenti che egli userebbe per confermare l’ipotesi diagnostica.

(Università degli Studi di Firenze, 2006)

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144 PSICOLOGO DOMANI – VOLUME 2

Ipotesi di svolgimento

Occorrerà innanzitutto procedere a un’accurata e attenta analisi della domanda dei genitori. Che cosa desiderano i genitori esattamente? Qual è per loro il dato più preoccupante relativamente al comportamento del proprio bambino? Qual è il loro grado di consapevolezza rispetto alle sue diffi coltà? Quale tipo e grado di collaborazione saranno essi disposti a dare al terapeuta, così come all’istituzione scolastica? Una corretta analisi della domanda è cruciale, soprattutto nei casi di tera-pia con i bambini, in cui si porrà la necessità di una collaborazione costante con i genitori.Anche con il bambino sarà poi opportuno precisare, in un modo adeguato alla sua età, i motivi della richiesta di consulenza e gli obiet-tivi che si intende raggiungere. Pare poi estremamente importante analizzare e dar voce alle preoccupazioni e alle paure che il bambino può esprimere in merito alla terapia, ciò al fi ne di costruire un clima sereno e di fi ducia. Dopo aver proceduto a un’analisi delle richieste e dei bisogni della coppia, pare opportuno procedere a una classifi -cazione diagnostica. La diagnosi non ha qui l’obiettivo di inquadrare ed etichettare il paziente, quanto piuttosto di raccogliere informazioni precise in merito ai sintomi presentati e di proporre un intervento il più possibile mirato e adeguato.In base ai sintomi descritti dalla coppia genitoriale possiamo ipotizzare una diagnosi di Disturbo Pervasivo dello Sviluppo e, in modo parti-colare, paiono essere soddisfatti i criteri per la diagnosi del Disturbo di Asperger. Infatti, secondo i criteri del DSM-IV-R (Andreoli et al., 2002; Rapaport e Ismond, 2000), perché sia possibile effettuare tale diagnosi sono necessari i seguenti elementi.

a) Una compromissione qualitativa nelle interazioni sociali. Nello specifi co:– compromissione marcata nell’uso di diversi comportamenti non

verbali, come ad esempio lo sguardo diretto, indicare per dirigere l’attenzione dell’altro verso uno specifi co oggetto;

– incapacità di sviluppare relazioni adeguate con i coetanei;– mancanza di ricerca spontanea di condivisione di gioie, interessi

o obiettivi;– mancanza di reciprocità emotiva e sociale.

b) Comportamenti, interessi e attività ristretti, ripetitivi e stereotipati. Nello specifi co:– dedizione, anormale per intensità o livello di attenzione, verso

una o più occupazioni stereotipate e ristrette;– presenza di rituali rigidi, infl essibili e non necessari;– movimenti corporei stereotipati e ripetitivi (dondolarsi, sfregarsi

o battere le mani, ecc.);– persistente e eccessivo interesse per parti di oggetti.

Analisi della domanda

Analizzare e comprendere le paure e le aspettative del bambino riguardo lo psicologo e la terapia

Ipotizzare una diagnosi

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DISCUSSIONE DI CASI: INDIRIZZO SVILUPPO E EDUCAZIONE 145

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c) Compromissione marcata e clinicamente signifi cativa nell’area sociale, scolastica o lavorativa, o in altre aree importanti per la vita quotidiana del soggetto.

d) I sintomi in A e B sussistono in un quadro di sostanziale non com-promissione delle abilità linguistiche.

e) Lo sviluppo cognitivo e delle capacità di autoaccudimento è nella norma e adeguato all’età, così come il comportamento generale (ad eccezione che nelle situazioni di interazione sociale) e la curiosità nei confronti dell’ambiente.

f) Non ci sono i criteri per formulare una diagnosi di Schizofrenia o di altro Disturbo pervasivo dello sviluppo.

Nel caso in esame la diagnosi di Disturbo di Asperger pare opportuna per i sintomi descritti dai genitori così come dagli insegnanti, anche se un ulteriore approfondimento è necessario al fi ne di verifi care la diagnosi ipotizzata e proporre un intervento centrato sui reali bisogni del bambino.M. presenta infatti un interesse anomalo e persistente per i ventilatori, le luci e gli elettrodomestici in genere; al pari di molti altri bambini con sindromi afferenti allo spettro autistico, M. si mostra affascinato da oggetti meccanici in movimento e tale attrattiva è superiore a quella mostrata per l’interazione con altre persone. Il bambino infatti non mostra interesse e non gioca né con il proprio fratello minore né con i compagni, preferendo invece attività più solitarie. Oltre all’interesse persistente e restrittivo per i congegni elettrici, M. ha alcuni compor-tamenti che possono far pensare alla presenza di stereotipie, tra cui accendere e spegnere continuamente la luce. Inoltre M. mostra di non utilizzare il linguaggio non verbale per stabilire una relazione con gli altri: non usa il contatto visivo per iniziare un’interazione o per dirigere l’attenzione di altre persone verso un oggetto di suo interesse, non sfrutta la mimica facciale per comunicare emozioni e stati d’animo. Tali atteggiamenti, comuni nei bambini affetti dalla Sindrome di Asperger, dicono di un’enorme fatica nello stabilire relazioni sociali, in quanto manca una teoria della mente e dunque la capacità di comprendere gli stati affettivi altrui e di modulare il proprio comportamento sulla base delle aspettative e delle richieste implicite del contesto (Schopler et al., 2001). Uno tra i passi più importanti per la diagnosi della Sindrome di Asperger è escludere una possibile diagnosi di autismo. Le due pa-tologie presentano infatti caratteristiche estremamente simili, tra cui la presenza di stereotipie, l’interesse focalizzato e restrittivo verso alcuni oggetti o parti di oggetti, la diffi coltà nelle interazioni sociali, lo scarso interesse per la socializzazione, i giochi di gruppo e la netta preferenza per le cose più che per le persone. Un altro sintomo che sovente accomuna i bambini autistici con quelli affetti da Sindrome di Asperger è la presenza di una certa goffaggine nei movimenti, proprio come avviene nel caso di M. Sebbene esso non costituisca un sintomo

Giustifi care l’ipotesi diagnostica sulla base dei sintomi

Porre una diagnosi differenziale

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146 PSICOLOGO DOMANI – VOLUME 2

necessario, può indubbiamente rivelarsi utile ai fi ni diagnostici (Cohen e Volkmar, 1997).In questo caso si è preferito porre una diagnosi di Sindrome di Asperger anziché di autismo in quanto nel primo caso le abilità linguistiche e cognitive sono conservate e adeguate all’età e allo sviluppo. I bambini autistici hanno infatti gravi problemi linguistici, al contrario, i bambini affetti da Sindrome di Asperger sono frequentemente estremamente verbosi, anche se il loro eloquio può risultare spesso bizzarro e il linguaggio non venire usato con funzioni comunicative. Nel caso della Sindrome di Asperger, poi, lo sviluppo cognitivo è nella norma, e le funzioni di autoaccudimento sono conservate, mentre sono più frequentemente presenti diffi coltà motorie.Pare opportuno inoltre porre una diagnosi differenziale anche per altre sindromi che presentano un quadro sintomatologico simile; tra le altre sovente la Sindrome di Rett, così come il Disturbo pervasivo dello sviluppo non altrimenti specifi cato, vengono spesso confuse con la Sindrome di Asperger. Quest’ultima, tuttavia, a differenza della sindrome di Rett che compare solo nelle femmine, è diagnosti-cata prevalentemente nei maschi e presenta di solito una prognosi migliore. Nel caso della Sindrome di Rett, infatti, l’eloquio è assente o gravemente defi citario (Molinari, 2002).Per quanto riguarda il Disturbo pervasivo dello sviluppo non altrimenti specifi cato, i soggetti presentano diffi coltà nelle interazioni sociali, stereotipie e interessi restrittivi e bizzarri, ma tali sintomi sono fre-quentemente accompagnati da un ritardo nello sviluppo cognitivo e linguistico mentre, nel caso di M., le maestre riferiscono uno sviluppo assolutamente nella norma.Infi ne è indispensabile porre una diagnosi differenziale per la Schizo-frenia. In questo caso la diagnosi è piuttosto tardiva e sopraggiunge dopo anni di sviluppo normale; vi è inoltre una signifi cativa perdita delle abilità acquisite.Nonostante siano già presenti, nella descrizione dei genitori, elementi suffi cienti a ipotizzare una diagnosi, sarebbe di estrema utilità raccoglie-re ulteriori elementi e informazioni relativamente al comportamento del bambino.Indubbiamente la maggiore fonte di informazioni saranno nuovamente i genitori, ma dettagli preziosi possono essere tratti anche da un colloquio con le insegnanti. In particolare il colloquio dovrà essere orientato a una migliore comprensione della sintomatologia: davvero non ci sono diffi coltà o disturbi nell’uso del linguaggio, oppure l’eloquio risulta eccessivamente verboso e bizzarro? Il bambino è in grado di iniziare spontaneamente un’interazione? Egli ascolta le risposte alle domande che gli vengono fatte? Quale grado di comprensione ha delle risposte o conversazioni astratte? Sono presenti stereotipie nel comportamento? Il bambino reagisce negativamente o con scoppi di collera di fronte a cambiamenti nella propria routine o nella disposizione degli oggetti in

Raccogliere informazioni da fonti diverse per avvalorare l’ipotesi diagnostica

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ambienti familiari? L’ordine e la necessità di una elevata strutturazione e prevedibilità sono infatti altre caratteristiche normalmente associate ai disturbi dello spettro autistico.Sarà inoltre fondamentale procedere all’osservazione diretta del bambino: ciò consentirà al professionista di poter analizzare a fondo le sue competenze comunicative e le abilità sociali. Una seduta in cui sia prevista la possibilità di usare dei giochi potrà inoltre rivelarsi alta-mente informativa. In tal caso sarà fondamentale fornire al bambino bambole o pupazzi per osservare il suo modo di interagire con questa tipologia di giocattoli; molto spesso infatti i bambini con Autismo o Sindrome di Asperger faticano a organizzare giochi che prevedano l’uso di bambole con sembianze umane. Potrà inoltre essere impor-tante chiedere al bambino di mettere in atto o di partecipare a giochi simbolici per valutare le sue potenzialità e abilità.Non va infi ne sottovalutata la potenzialità diagnostica dei test. Nel caso di M. potrebbe essere importante effettuare un test di livello per valutare il QI e per verifi care la differenza tra QI verbale e di performance; capita spesso infatti che nei soggetti affetti da Disturbo di Asperger il QI verbale sia signifi cativamente più elevato e ciò consentirebbe anche di escludere defi nitivamente una eventuale diagnosi di autismo. Infi ne, uno strumento essenziale per la diagnosi di Sindrome di Asperger è la Australian Scale for Asperger’s Syndrome (ASAS).

Avvalersi anche di test

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CASO 6> G. è un bambino di otto anni che giunge in osservazione a un servizio materno-infantile in seguito a problemi di rendimento scolastico e diffi coltà relazionali con insegnanti e compagni di scuola. La famiglia di G. vive in condizioni di marginalità sociale: il padre è detenuto per spaccio di droga e la madre, tossicodipendente, affi da spesso il bambino ai vicini di casa. Il bambino giunge all’osservazione in seguito a segnalazioni degli insegnanti. A un primo colloquio G. appare chiuso in se stesso, risponde a monosillabi e affronta malvolentieri le consuete procedure testali (disegno di fi gura umana, disegno della famiglia, WISC-R, CAT, Rorschach). Il livello formale e grafi co dei disegni, caratterizzati da un tratto incerto e da povertà di dettagli, è riconducibile a quello solitamente riscontrato in bambini di età inferiore. Il QI totale misurato alla WISC-R è di punti 85, con QI verbale di 80 e QI non verbale di 94. Ai CAT, G. racconta storie molto brevi e povere di dettagli e al Rorschach emergono frequenti risposte che richiamano contenuti di minaccia e aggressione.Al candidato si chiede di indicare, in un elaborato non superiore alle due pagine:

– quali ulteriori indagini e approfondimenti predisporrebbe;– quale validità attribuirebbe agli elementi emersi dai test; – quali ipotesi diagnostiche prenderebbe in considerazione;– quali ipotesi di intervento penserebbe di impostare.

(Università degli Studi di Bari, data non disponibile)

Ipotesi di svolgimento

– Procedere a un’accurata anamnesi dei problemi di G. attraverso il colloquio con le insegnanti

In particolare indagare che cosa le abbia portate a chiedere l’aiuto di uno psicologo. Verosimilmente le insegnanti conoscono G. da due anni, cioè dal suo ingresso nel sistema scolastico: quale comportamento o evento le ha condotte a chiedere una consulenza in questo momento? Quali sono le diffi coltà di G.? Sono esse riconducibili a una specifi ca area o sono esse generalizzate?

– Raccogliere maggiori informazioni sul contesto di vita Pianifi care una serie di colloqui con la madre per stabilire il suo grado di consapevolez-

za rispetto ai disturbi del fi glio, nonché l’adeguatezza delle cure da lei fornite (Lancini, 2008).

Dai dati appare un quadro di grave trascuratezza familiare: il bambino è spesso lasciato solo o affi dato ai vicini, il padre è assente perché è in carcere e la madre non sembra

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in grado di rispondere alle esigenze fi siche e di supporto emotivo di G. (Hildyard e Wolfe, 2005). Sarà dunque importante provvedere a una valutazione delle competenze genitoriali e, nel caso, predisporre un affi do temporaneo del minore. A tal proposito il lavoro in rete con i servizi sociali potrebbe rivelarsi fondamentale nel comprendere le condizioni di vita del nucleo familiare, i suoi rapporti con la comunità e per poter avere un quadro delle risorse territoriali disponibili per aiutare madre e bambino (Mazza Galanti, 1994).

Dai colloqui con la madre occorrerà raccogliere informazioni circa lo sviluppo e l’infanzia di G. e circa la situazione familiare durante i primi anni di vita del bambino. Sarà anche importante indagare il rapporto attuale madre-bambino e capire il ruolo occupato dal padre (tempo di permanenza in carcere, eventuali visite da parte del bambino).

– Interpretare i punteggi e i risultati dei test Dai dati forniti sappiano che il QI di G. è nella norma, il che consente di escludere una

diagnosi di ritardo mentale. Il punteggio per il QI di Performance, più elevato di quello Verbale, ci dice tuttavia di una diffi coltà nell’area del linguaggio. Occorre pertanto escludere un problema in tal senso. È anche possibile che le diffi coltà del bambino siano ascrivibili al contesto di trascuratezza in cui egli si trova a vivere; è infatti probabile che fi n da piccolo egli abbia imparato ad agire piuttosto che a esprimere i propri bisogni ed emozioni.

Dalle risposte al test Rorschach emergono contenuti di minacce e aggressioni e anche durante il colloquio il bambino si mostra timoroso e inibito. Questo accanto alla situazione familiare fa pensare a un Disturbo dell’Attaccamento di tipo inibito. Ovviamente tale diagnosi andrà confermata attraverso i colloqui con la madre e l’osservazione diretta di G..

– Pianifi care un intervento Per quanto riguarda il trattamento è possibile proporre due tipi di intervento.

• Una psicoterapia per la madre volta ad analizzare i motivi soggiacenti l’abuso di sostanze e a sostenerla attraverso un percorso di disintossicazione. La terapia dovrebbe essere inoltre incentrata sul recupero delle competenze e delle responsabilità genitoriali.

• Una terapia con G. mirante a sviluppare le sue potenzialità e ad aiutarlo nell’espressione delle emozioni e nella socializzazione, anche favorendo la creazione di un’immagine positiva di sé. È inoltre possibile proporre per G. un intervento di ADM (Assistenza domiciliare ai minori); la presenza di una fi gura adulta che funga da modello e aiuti il bambino nei compiti e lo sostenga durante la socializzazione, proponendo modelli di comportamento alternativi, potrebbe infatti rivelarsi altamente terapeutica.

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> ALCUNE PROVE GIÀ ASSEGNATE

> Giovanna è una bambina di quasi sette anni. La famiglia viene invitata a rivolgersi al Servizio per l’età evolutiva. Dallo psicologo viene evidenziato un discreto ritardo nello sviluppo del linguaggio (povertà lessicale, errori di strutturazione logico temporale nell’enunciato). La bambina parla un dialetto stretto e ha diffi coltà nella comprensione delle consegne verbali, anche semplici e ripetute, non appare in grado di organizzarsi nel lavoro scolastico, non ha maturato una conoscenza adeguata dello schema corporeo e non riesce a rappresen-tare grafi camente una fi gura umana. Non conosce e non denomina i colori, si dimostra disorientata di fronte all’uso di concetti spazio-temporali anche elementari, la sua capacità attentiva è molto labile e il tempo di applicazione su di un compito è ridotto. Non è in grado di procedere autonomamente in una attività scolastica.

La WISC-R presenta i seguenti valori: QIV=68; QIP=68; QI=66. I subtest ot-tengono i seguenti punteggi: Informazione=3; Somiglianze=6; Aritmetica=4; Vocabolario=6; Comprensione=3; Memoria in cifre=2; Completamento di fi gure=5; Storie fi gurate=4; Disegno con cubi=10; Ricostruzione oggetti=2; Cifrario=4.

Dall’anamnesi fi siologica non emerge alcun dato di rilievo; in anamnesi familiare si evidenzia una situazione socio-ambientale diffi cile; tre fi glie che trascorrono molto tempo da sole; genitori che non danno adeguata rilevanza agli ambienti scolastici, assenza di regole educative.

Il candidato formuli un’ipotesi diagnostica e proponga delle modalità di inter-vento volte a favorire l’inserimento scolastico di Giovanna. (Università degli Studi di Firenze, 2003)

> I genitori portano all’attenzione dello psicologo un bambino di cinque anni che ha avuto tappe evolutive normali fi no a tre anni, arrestate al momento in cui avviene la nascita di un fratellino che presenta un vizio cardiaco congenito che richiede un intervento chirurgico e un prolungato ricovero ospedaliero. Le condizioni attuali del bambino presentano il seguente quadro: parla poco e dice poche parole e non usa frasi. Al colloquio con lo psicologo gioca come un bambino molto più piccolo della sua età. I genitori riferiscono che rifi uta frequentemente di andare alla scuola dell’infanzia, che ha diffi coltà nell’ad-dormentarsi e si alza frequentemente di notte per assicurarsi della vicinanza dei genitori. Le analisi mediche non danno risultati di malattie organiche, la TAC e l’elettroencefalogramma sono normali.

Il candidato esponga: quali approfondimenti ritiene utili per l’inquadramento del caso; in quale categoria psicopatologica vanno presumibilmente collocate le manifestazioni comportamentali del bambino, motivando dettagliatamente la scelta di eventuali strumenti clinici; le indicazioni di intervento più opportune, motivandone la scelta. (Università degli Studi di Firenze, 2005)

(continua)

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> (continua)

> Viene richiesto all’AUSL l’inserimento di un bambino di un anno affetto da sindrome di Down, all’interno di un nido d’infanzia. Il/La candidato/a espliciti le principali problematiche psicologiche connesse a questa situazione e illustri brevemente, ma in maniera accurata, il compito dello psicologo nell’operare con i diversi interlocutori, al fi ne di garantire un buon inserimento del bambino e della famiglia all’interno del nido. (Università degli Studi di Bologna, 2006)

> Luca è un bimbo di nove anni segnalato dalla madre a causa di una balbuzie che, comparsa già in epoche precedenti (quando era più piccolo), si è ripresentata dopo la nascita del fratellino 5 mesi fa. La balbuzie di Luca si presenta soprat-tutto a scuola quando deve leggere ad alta voce: di questo problema il bimbo è consapevole e, durante il colloquio, afferma di vergognarsi dei compagni. Durante il colloquio con la psicologa e nella prova di lettura (di buon livello) Luca non balbetta, nonostante creda di averlo fatto. Questo fa ritenere che, insieme ad altri elementi presenti nella storia, la balbuzie presentata abbia un’origine «affettiva». Sappiamo che in questi ultimi tempi è diventato insicuro e in confl itto con il fratellino. Dal racconto della madre emerge una duplice immagine di Luca: quella del bambino a casa, nel rapporto con i fratelli minori, e quella del bimbo a scuola, nel rapporto con i compagni. La prima evidenzia una certa gelosia e confl ittualità del bambino verso i fratelli, che non vuole aiutare e a cui fa anche i dispetti; la seconda ci mostra un bambino «modello» che aiuta i compagni a fare i compiti ma che poi rimane fuori dai loro giochi, che aiuta la madre nelle faccende domestiche quando torna da scuola, che si relaziona con suoi compagni di classe come un adulto come quando dice che gioca solo qualche volta con loro «perché li fa arrabbiare». In realtà ci sembra di poter evidenziare anche nei confronti dei compagni di scuola un rapporto di confl itto; Luca si pone dei loro confronti come se fosse un adulto (li aiuta) ma poi soffre perché viene escluso dai loro giochi; l’espressione «li fa arrabbiare» sembra nascondere difensivamente la rabbia che prova nel sentirsi escluso dai compagni; non sarebbero loro a essere arrabbiati, piuttosto lui sembrerebbe provare la rabbia e una certa aggressività verso di loro. Inoltre il fatto di voler essere un leader in classe ci fa pensare a quanto Luca possa soffrire per questa esclusione. A casa sembra che la madre si appoggi molto a Luca, infatti, nonostante dica di non voler commettere l’errore che hanno fatto i suoi genitori con lei quando era piccola, emerge che il bambino è per lei un importante sostegno, anche a causa del fatto che il marito è in realtà una fi gura assente nella vita familiare e, direi, sicuramente non di aiuto né per la signora né per i bambini. (Università degli Studi di Padova, 2005)

(continua)

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Letture consigliate per un approfondimento dei temi trattati

Per una trattazione in generale relativa alla psicologia e psicopatologia dell’infanzia:

Ammaniti M. (a cura di) (2001), Manuale di psicopatologia dell’infanzia, Milano, Raf-faello Cortina.

Ammaniti M. (a cura di) (2002), Manuale di psicopatologia dell’adolescenza, Milano, Raffaello Cortina.

Anchisi R. e Gambotto D.M. (a cura di) (2009), Manuale per il colloquio psicologico, Milano, FrancoAngeli.

Andreoli V., Cassano G.B. e Rossi R. (a cura di) (2002), DSM-IV. Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, Milano, Masson.

Axia G. e Bonichini S. (a cura di) (2007), L’assessment psicologico nella prima infanzia, Roma, Carocci.

Barker P. (1990), Il colloquio con il bambino e l’adolescente, Roma, Astrolabio.Bracken B.A. (2003), TMA-Test di valutazione multidimensionale dell’autostima,

Trento, Erickson.Carli R. e Paniccia R.M. (2003), Analisi della domanda, Bologna, Il Mulino.Elliott J. e Place M. (2001), Interventi di psicologia clinica dello sviluppo, Trento,

Erickson.Kaufman J., Birmaher B., Brent D., Rao U. e Ryan N. (2004), K-SADS-PL, Trento,

Erickson.Lancini M. (2008), Genitori e psicologo. Madri e padri di adolescenti in consultazione,

Milano, FrancoAngeli.Lis A. e Venuti P. (1996), L’osservazione in psicologia dello sviluppo, Firenze, Giunti.Lucarelli L., Piperno F. e Balbo M. (a cura di) (2008), Metodi di valutazione in psicopa-

tologia dello sviluppo, Milano, Raffaello Cortina.Marcelli D. (2005), Psicopatologia del bambino, Milano, Elsevier Masson, 5a ed.Novick K.K. e Novick J. (2009), Il lavoro con i genitori. I migliori alleati nella psicote-

rapia con il bambino e l’adolescente, Milano, FrancoAngeli.Rapaport J.L. e Ismond D.R. (2000), DSM-IV. Guida alla diagnosi dei disturbi dell’in-

fanzia e dell’adolescenza, Milano, Masson.Quaglia R. e Longobardi C. (2007), Psicologia dello sviluppo, Trento, Erickson.Vygotskij L.S. (2006), Psicologia pedagogica, Trento, Erickson.

Per un approfondimento più specifi co di alcune delle tematiche sviluppate, si vedano le seguenti indicazioni.

> Sulla Sindrome di Asperger:

Attwood T. (2007), Guida alla sindrome di Asperger, Trento, Erickson.Cohen D. e Volkmar F. (1997), Autismo e Disturbi generalizzati dello sviluppo. Vol. 1.

Diagnosi e assessment, ed. it. Nardocci F. (a cura di) (2004), Brescia, Vannini.De Meo T., Vio C. e Maschietto D. (2000), Intervento cognitivo nei disturbi autistici e

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Torino, Bollati Boringhieri.

> BIBLIOGRAFIA

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> Sul Disturbo da defi cit di attenzione e iperattività:

Chiarenza G.A., Bianchi E. e Marzocchi G.M. (2004), Linee guida per il Disturbo da defi cit attentivo con iperattività (ADHD) in età evolutiva II. Trattamento cognitivo comportamentale, «Giornale di Neuropsichiatria dell’Età Evolutiva», vol. 24, n. 1, pp. 89-107.

Duhaney L.M.G. (2006), Un approccio pratico per la gestione dei comportamenti problematici degli studenti con DDAI, «Disturbi di Attenzione e Iperattività», vol. 1, n. 2, pp. 195-212.

Maj E. e Marzocchi G.M. (2007), Predittori dell’effi cacia del parent training per pro-blemi comportamentali esternalizzanti dell’età evolutiva, «Disturbi di Attenzione e Iperattività», vol. 2, n. 2, pp. 171-186.

Marzocchi G.M., Vio C., Offredi F. (1999), Il bambino con defi cit di attenzione/iperat-tività, Trento, Erickson.

Perticone G. (2005), Defi cit dell’attenzione iperattività e impulsività: linee guida per la conoscenza e l’intervento, Roma, Armando.

> Sulla terapia comportamentale:

Martin G. e Pear J. (2000), Strategie e tecniche per il cambiamento. La via comporta-mentale, Milano, McGraw-Hill.

Graham P. (2007), Manuale di terapia cognitivo comportamentale con i bambini e gli adolescenti, Roma, Carlo Amore.

> Sul disturbo oppositivo provocatorio:

Alfi o M. ed Elena R. (2003), Adolescenti trasgressivi. Le azioni devianti e le risposte degli adulti, Milano, FrancoAngeli.

De Leo G. e Patrizi P. (2002), Psicologia della devianza, Roma, Carocci.

> Sulla terapia razionale emotiva:

Di Pietro M. (2000), La terapia razionale emotiva, Roma, Bulzoni.

> Sulla psicologia transculturale e l’integrazione degli alunni stranieri:

Bastianoni P. (2001), Scuola e immigrazione. Uno scenario comune per nuove appar-tenenze, Milano, Unicopli.

Berry J.W., Poortinga Y.H., Segall M.H. e Dasen P.R. (1994), Psicologia transculturale, Milano, Guerini.

Gilardoni G. (2008), Somiglianze e differenze. L’integrazione delle nuove generazioni nella società multietnica, Milano, FrancoAngeli.

> Sui disturbi d’ansia in età evolutiva:

Dacey J.S. e Fiore L.B. (2002), Il bambino ansioso, Trento, Erickson.

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176 PSICOLOGO DOMANI – VOLUME 2

Giannetti L.M., Balsamo M. e Nazzaro A. (2001), Tecniche e strategie cognitive, emotive e comportamentali in età evolutiva. Approccio psicoterapico e psicofarmacologico, Milano, FrancoAngeli.

Kendall P.E. e Di Pietro M. (1995), Terapia scolastica dell’ansia. Guida per psicologi e insegnanti, Trento, Erickson.

Perna G., Cavallini M.C., Pegna C. e Neri F. (1999), Disturbo di panico nell’infanzia. In G.B. Cassano, P. Pancheri e L. Pavan (a cura di), Trattato italiano di psichiatria, Milano, Masson, 2a ed.

Sgarro M. (1997), Post traumatic stress disorder. Aspetti clinici e psicoterapie, Roma, Kappa.

> Sulla trascuratezza dei minori e l’intervento con famiglie multiproblematiche:

Hildyard K.L. e Wolfe D.A. (2005), La trascuratezza: aspetti evolutivi e conseguenze, «Maltrattamento e abuso all’infanzia», vol. 7, n. 1, pp. 5-30.

Malagoli Togliatti M. e Rocchietta Tofani L. (2002), Famiglie multiproblematiche. Dall’ana-lisi all’intervento su un sistema complesso nuova edizione, Roma, Carocci.

Mazza Galanti F. (1994), Tutela della famiglia o famiglia sotto tutela, Roma, Unicopli.Miller A. (1999), L’infanzia rimossa. Dal bambino maltrattato all’adulto distruttivo nel

silenzio della società, Milano, Garzanti.Reder P. e Lucey C. (1997), Cure genitoriali e rischio di abuso. Guida per la valutazione,

Trento, Erickson.

> Sulla psicologia dell’adolescenza:

Bonino S. e Cattelino E. (a cura di) (2008), La prevenzione in adolescenza, Trento, Erickson.

Carrà e. E Marta E. (a cura di) (1995), Relazioni familiari e adolescenza: sfi de e risorse nella transizione all’età adulta, Milano, FrancoAngeli.

Ciacci S. e Giannini S. (2006), Accompagnare gli adolescenti, Trento, Erickson. Confalonieri E. e Grazzani Gavazzi I. (2002), Adolescenza e compiti di sviluppo, Roma,

Unicopli.Geldard K. e Geldard D. (2009), Il counseling agli adolescenti. Strategie e abilità,

Trento, Erickson.Maggiolini A. e Pietropolli Charmet G. (2004), Manuale di psicologia dell’adolescenza:

compiti e confl itti, Milano, FrancoAngeli.

> Sulla psicoterapia sistemica:

Andolfi M. (1977), La terapia con la famiglia, Roma, Astrolabio.Edelstein C. (2007), Il counseling sistemico pluralista, Trento, Erickson.Hoffman L. (1984), Principi di terapia della famiglia, Roma, Astrolabio.Malagoli Togliatti M. e Telfener U. (1991), Dall’individuo al sistema, Torino, Bollati

Boringhieri.Minuchin S. (1976), Famiglie e terapia della famiglia, Roma, Astrolabio. Telfener U. e Casadio L. (2003), Sistemica: voci e percorsi nella complessità, Torino,

Bollati Boringhieri.