Psicologia Dell'arte

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IMPARARE AMMIRANDO

Un’introduzione alla psicologia dell’arte

Stefano Mastandrea

Dispensa delle lezioni

Anno accademico 2011-12

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Premessa

Questa dispensa è una sintesi delle lezioni svolte nei corsi di Psicologia delle arti che tengo da

alcuni anni. La dispensa si articola in due parti: la prima parte tiene conto dei diversi approcci psi-

cologici di studio che hanno tentato di indagare un fenomeno vasto, complesso e affascinante come

quello artistico. La trattazione di questi approcci non è esauriente, in quanto tiene conto di una sele-

zione dei contributi che i diversi autori hanno proposto nella fondazione di questa disciplina deno-

minata psicologia dell’arte. La seconda parte è nata da un’esigenza che ho sentito durante i corsi te-

nuti. La difficoltà, iniziale, da parte degli studenti, di analizzare e comprendere le correnti più mo-

derne dell’espressione artistica, quelle che hanno origine dai primi anni del ‘900 (le cosiddette A-

vanguardie artistiche) e che proseguono per tutto il 900. Viene proposta una modalità di analisi per-

cettiva dell’opera che tiene conto della lezione di Arnheim e più in generale dell’educazione

all’immagine. Tale approccio può essere applicato con relativa facilità da ogni studente nella “lettu-

ra dell’immagine”, per tentare di superare le difficoltà iniziali di comprensione di quegli stili artisti-

ci che si sono proposti il superamento dell’imitazione naturale per esplorare un terreno non figurati-

vo, dall’astrattismo al concettuale.

Per questo motivo ho proposto come titolo “Imparare ammirando”: attraverso il percorso indica-

to spero si possa giungere alla comprensione di quelle immagini artistiche che più di altre suscitano

perplessità e che attraverso il processo di analisi possano essere ammirate in maniera più piena e

completa.

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Introduzione

Come prima cosa cerchiamo di dare una definizione di questa disciplina: che cos’è la psicologia

dell’arte?

Esistono discipline, come per esempio la storia dell’arte, la critica d’arte, l’estetica, che si occu-

pano in maniera specifica dell’arte e del suo significato, che sono nate e si sono sviluppate in fun-

zione dell’analisi, comprensione e interpretazione del fenomeno artistico.

Dal momento che l’arte, creazione e fruizione, coinvolge aspetti storici, culturali, sociali, affetti-

vi e cognitivi, diverse discipline, come per esempio la sociologia e l’antropologia, hanno utilizzato

le proprie teorie, metodologie e strumenti, per intervenire in un campo non di loro strettissima com-

petenza; anche la psicologia ha sentito l’esigenza di proporre un suo contributo dal momento che

nel processo di comprensione dell’arte sono in gioco componenti cognitive, affettive e comunicati-

ve.

Storicamente si sono delineati tre differenti filoni che la psicologia ha utilizzato per studiare il

mondo dell’arte; negli ultimi 10-20 anni circa se n’è aggiunto un quarto:

1.  L’artista e la sua personalità (Freud e la psicoanalisi dell’arte)

2.  L’opera d’arte da un punto di vista percettivo (Arnheim e la psicologia della Gestalt)

3.  L’estetica sperimentale e la misurazione (Fechner e Berlyne)

4.  La neuroestetica, la relazione tra esperienza estetica e neuroscienze (Zeki).

Perché l’arte

Come prima cosa cerchiamo di definire che cos’è l’arte. Nelle culture primitive la creazione e la

decorazione di oggetti sono considerate dagli studiosi le prime forme di manifestazioni artistiche.

Tra i primi e più famosi esempi di espressione artistica troviamo le pitture rupestri di Altamira in

Spagna (14000-12000 a.C. circa) e le grotte di Lascaux in Francia (dette la “Cappella Sistina della

preistoria”, 15000-10000 a.C. circa).

Si è discusso a lungo sullo scopo di queste prime forme di espressione artistica e su quali fosserole motivazioni che spinsero “gli artisti” di quel periodo a questo tipo di attività creativa. Una prima

spiegazione potrebbe essere attribuita al desiderio di allontanare o eliminare le influenze negative

provenienti dalla realtà e dall’ambiente circostante. Con un termine più impegnativo quella che vie-

ne definita funzione “apotropaica”; secondo l’etimologia greca l’aggettivo apotropaico ha il signifi-

cato di allontanare; in questo caso le immagini prodotte avrebbero dovuto avere il potere di allonta-

nare, scongiurare o addirittura annullare gli influssi maligni provenienti dall’ambiente esterno. An-

che se questa funzione può sembrare bizzarra, neanche noi siamo del tutto esenti da questa pratica;

infatti a volte utilizziamo oggetti (monili, braccialetti, statuette, sculture) con lo scopo principale di

ridurre e allontanare potenziali influssi negativi provenienti dall’ambiente.

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Da un punto di vista evoluzionistico, l’arte è un grosso enigma. La decorazione di vasi, ciotole e

manufatti, la creazione di immagini o di sculture non avrebbero una funzione evoluzionisticamente

adattiva. Il nostro organismo e il nostro comportamento è rivolto in maniera istintuale alla soprav-

vivenza e alla continuazione della specie. Sembra improbabile che dedicare parte del tempo ad atti-

vità grafico-espressive possa contribuire significativamente all’adattamento ambientale in funzione

di una più elevata possibilità di sopravvivenza. Secondo Darwin anche le emozioni hanno la fun-

zione di creare un migliore adattamento all’ambiente; per esempio se non provassimo paura sarem-

mo facili bersagli dei nostri predatori. Secondo questo approccio, l’arte difficilmente potrebbe forni-

re strumenti per un migliore adattamento funzionale. Una ciotola serve per bere ed assolve molto

bene la sua funzione; le decorazioni disegnate sulla sua superficie esterna non facilitano un migliore

accostamento della ciotola in maniera da soddisfare un bisogno essenziale come il bere. Allora per-

ché i nostri predecessori sprecavano energie in questi inutili abbellimenti? Era una perdita di tempo

che poteva essere dedicata a cose più utili e funzionali. Nel suo libro del 1871, “L’origine

dell’uomo”, Darwin sosteneva che la bellezza delle decorazioni o degli abbellimenti del corpo, a-

nimale e umano, potesse essere il risultato di una motivazione alla selezione sessuale. Nello studio

dei rituali sul corteggiamento dei compagni, in numerose specie, Darwin giunse alla conclusione

che le decorazioni del loro corpo, colorate, attraenti e la loro esibizione dovessero avere necessa-

riamente un fine. Se viene dedicato del tempo a queste attività di miglioramento estetico un fine ci

deve essere; tutto il tempo che vi è dedicato non può essere inutile. Tra l’altro, da un punto di vista

adattivo, questi abbellimenti potrebbero essere addirittura controproducenti. Quando si parla di que-sti aspetti, l’esempio che si porta è quello della coda del pavone; una ruota bellissima, colorata, am-

pia che solo il maschio può fare. Da un punto di vista pratico, adattivo, sarebbe addirittura disfun-

zionale perché ingombrante. Ma perché allora i maschi del pavone hanno e fanno la ruota? Lo sco-

po sarebbe quello di farsi apprezzare dalle femmine ed essere dunque oggetto della loro scelta ses-

suale. Le femmine ammirano la bellezza del partner maschio e la loro scelta ricadrebbe su chi riesce

a formare la ruota più bella. Si usa infatti il termine pavoneggiarsi. Potremmo estendere questo di-

scorso ai bellissimi colori e forme che troviamo in specie diverse come pesci, farfalle, uccelli; que-ste caratterizzazioni cromatiche e formali devono possedere un beneficio che sarebbe costituito dal

fatto di facilitare la scelta sessuale con l’obiettivo di superare la competizione dei propri compagni

per la conquista del partner. Secondo Miller, psicologo evoluzionista, l’arte si sarebbe sviluppata,

almeno nella sua concezione originaria, per attrarre i propri partner, attivando i diversi canali senso-

riali (vista, udito, tatto, ecc.), per mostrare ed esibire la propria fitness (efficienza riproduttiva).

L’ipotesi di Miller, in linea con la tradizione evoluzionista, che l’arte sia una forma di adattamento

sessuale e che il comportamento artistico e le opere d’arte siano indicatori di “fitness” è riportata in

maniera esauriente e accattivante nel suo libro “Uomini, donne e code di pavone” del 2002.

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Esempi di questa bellezza primitiva tuttora presenti nella società contemporanea potrebbero esse-

re rappresentati da quelle forme di decorazione corporea che sono i tatuaggi e i piercing. Alcune

culture non occidentali hanno sempre usato questi abbellimenti del corpo, mentre nella nostra cultu-

ra occidentale questo fenomeno è molto più recente. Un contributo significativo alla diffusione di

queste modalità di espressione è provenuto dal movimento giovanile punk , degli anni ’80 in Inghil-

terrra. I tatuaggi, i piercing, le acconciature variopinte erano forme di manifestazione e ostentazione

molto visibili, riconoscibili ed identificabili come appartenenza ad un gruppo per evidenziare il pro-

prio dissenso nei confronti della società. In forme molto più blande sono utilizzate oggi da gruppi

sociali giovanili.

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L’approccio psicodinamico all’arte

Introduzione

Per introdurre il tema della psicoanalisi dell’arte è necessario tenere conto del clima culturale che

si svolgeva a Vienna, la capitale dell’esteso impero Austro-Ungarico, verso fine ‘800, inizio ‘900,

periodo noto come Fin de siècle. Si assiste alla nascita di numerosi movimenti artistici, letterari, fi-

losofici, scientifici e tra questi anche la psicoanalisi. L’aspetto più evidente è la rottura con il passa-

to, sia in ambito politico e sociale, sia in ambito artistico e scientifico.

Per quanto riguarda l’aspetto storico-politico, si assiste al disfacimento dell’impero Austro-

Ungarico. L’Ungheria è stata già persa e i paesi che formavano Balcani iniziavano ad avanzare ini-

ziative e provocare sommosse per ottenere l’indipendenza. La cosa interessante è che in opposizio-

ne al disfacimento e alla caduta dell’impero si assiste ad un fermento culturale, artistico, scientifico

fortissimo che produrrà effetti significativi nell’ambito della cultura mondiale. Secondo Jervis e

Bartolomei (2001) si è in presenza di una sorta di meccanismo di difesa di massa come la negazione 

delle situazioni minacciose che provengono dall’esterno e ad una concentrazione di energie produt-

tive e creative all’interno di singoli individui e di gruppi che producono fenomeni culturali che a-

vranno ripercussioni sulla cultura non solo nazionale.

Un fenomeno artistico degno di rilievo è quello della secessione austriaca, che ha come esponen-

ti principali: Klimt, Hoffmann, Otto Wagner, Olbrich, Loos. Anche in ambito musicale si assiste ad

una vera e propria rivoluzione con la seconda scuola di Vienna e la musica dodecafonica di Scho-enberg, Berg, Webern. In letteratura troviamo scrittori come Musil, Schnitzler, Hofmannstal. Perso-

naggi come Wittgenstein saranno considerati tra i filosofi più influenti del novecento. La psicoana-

lisi fa quindi la sua comparsa in un clima ricco di fermenti culturali molto eclettici. Questo clima

culturale è ben descritto da Stefano Zweig nel suo libro “Il mondo di ieri”, completato nel 1941.

Anche i romanzi di Schnitzler, medico e coetaneo di Freud, forniscono una ricca descrizione della

Vienna Fin de siècle, con i suoi protagonisti, spesso borderline, che vivono storie al limite tra realtà

e fantasie interiori.La psicoanalisi può essere definita sia come una teoria della personalità, sia come una tecnica di

trattamento dei disturbi della personalità. In psicologia esistono approcci diversi rivolti allo studio

della personalità. Il primo è quello della psicologia sperimentale che nasce nelle Accademie, nelle

Università, utilizza come metodo l’esperimento di laboratorio e ha come esponenti principali

Wundt, Helmholtz, Pavlov, Thorndike. Il secondo è quello della teoria della personalità legata alla

psicopatologia, che utilizza come metodo privilegiato di studio l’esperienza clinica e la pratica me-

dico-psichiatrica e neurologica con pazienti affetti da disturbi psichiatrici; gli esponenti principali

sono Janet, Charcot, Freud, Jung, Adler. La teoria della personalità ha occupato un posto a sé nello

sviluppo della psicologia. La psicologia sperimentale studia i contenuti della psiche umana e le lo-

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calizzazioni cerebrali. Il teorico della personalità studia i sintomi nevrotici in assenza di lesioni or-

ganiche.

La psicoanalisi del’arte

La teoria psicologica sull’arte probabilmente più conosciuta ad un vasto pubblico è la psicoanali-

si dell’arte. E’ la teoria che ha avuto un maggiore impatto sia sull’analisi della pratica artistica, sia

come filone a cui si ricollega la critica d’arte. Ha avuto ripercussioni anche su fenomeni e correnti

artistiche come, per esempio, il surrealismo; senza la psicoanalisi il surrealismo (che tanta impor-

tanza attribuiva all’attività onirica e fantastica, surreale appunto) non sarebbe probabilmente mai

nato.

Sigmund Freud nasce nel 1856, studia medicina e neurologia. Le prime scoperte e le prime teo-

rizzazioni sulla teoria psicoanalitica, sull’inconscio e sul ruolo della sessualità iniziano con la sua

prima paziente, Anna O, affetta da nevrosi isterica. Il trattamento di Anna è stato affrontato con la

tecnica dell’ipnosi; la “trance” ipnotica raggiunta dalla paziente produceva uno stato grazie al quale

venivano riportate alla coscienza situazioni conflittuali che avevano provocato il sintomo isterico

(fobie o paralisi). In seguito Freud abbandonerà l’ipnosi per l’utilizzo delle libere associazioni e

l’interpretazione dei sogni. Non è questa la sede per entrare nel dettaglio della tecnica psicoanaliti-

ca. Ciò che vorrei sottolineare è che Freud era completamente assorbito dalla sua attività clinica e

dalla riflessione per la costruzione di una teoria della personalità. Quando Freud si occupa di arte e

la prima volta avviene con il saggio su Leonardo del 1910, lo fa per cercare sostegno alla sua teoriasulla personalità. Freud si è occupato di arte con gli stessi strumenti utilizzati nella sua pratica clini-

ca con i pazienti (libere associazioni, sogni, lapsus) con lo scopo di esplorare e analizzare la perso-

nalità dell’artista.

Direi che la cosa migliore per comprendere dall’interno l’approccio psicoanalitico all’arte è an-

dare a vedere direttamente due tra i saggi più affascinanti e interessanti (almeno a mio avviso),

quelli su Leonardo e sul Mosè di Michelangelo.

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“Il caso Leonardo”

Nell’incipit del saggio “Un ricordo d’infanzia di Leonardo da Vinci” Freud scrive:

“Quando l’indagine psichiatrica, che di solito si accontenta di un materiale umano piuttosto fragile, si ac-

costa a uno dei rappresentanti del genere umano, non obbedisce ai motivi che così spesso le vengono at-tribuiti dai profani. Non aspira a “offuscare il risplendente e trascinare nella polvere il sublime” (Freud,

1910).

Nell’accingersi a scrivere il saggio, Freud è consapevole del rischio che corre; andare ad occu-

parsi di un personaggio del calibro di Leonardo, vissuto circa 500 anni prima di lui e tentare con gli

strumenti della psicoanalisi (che sta mettendo a punto in questo periodo) di fare luce sugli aspetti

profondi della personalità di Leonardo che lo hanno condotto a concepire i suoi capolavori, in parti-

colare uno: S. Anna la Vergine e il Bambino, che si trova al Louvre. Il saggio è del 1910 e con que-

sta operazione Freud tenta di diffondere la psicoanalisi oltre la ristretta cerchia dei suoi allievi. E’

sicuramente consapevole che la psicoanalisi potrebbe correre il rischio di dimostrarsi una disciplina

imperialistica che va ad occuparsi di fatti e persone nate e vissute in epoche diverse. E’ proprio

Freud che afferma che il sogno non può essere conosciuto e interpretato se non in presenza del so-

gnatore; è nelle rivelazioni che il paziente sognatore fa che può essere dato senso e significato nel

passaggio tra contenuto latente e manifesto. Esiste una notevole differenza tra questo saggio su Le-

onardo e gli altri casi clinici. Leonardo non è un paziente di Freud e questo potrebbe essere conside-

rata un’offesa per il genio di Leonardo. Freud, probabilmente è consapevole della portata universale

della psicoanalisi, nata per affrontare problemi di ordine psicopatologico e sviluppatasi e ampliatasi

fino ad arrivare ad occuparsi di arte e di estetica. Con Leonardo si assiste ad un passaggio da una

psicologia interessata all’isteria e alla patologia, ad una interessata alla creatività, alla sublimazione,

alla simbolizzazione.

Freud stesso considera questo saggio come un romanzo psicoanalitico. Il nucleo centrale della

trattazione del saggio su Leonardo è costituito dalla domanda che Freud si pone: perché solo unapersona come Leonardo con la sua personale esperienza biografica e familiare, due madri e una

nonna, avesse potuto concepire il dipinto S. Anna la Vergine e il bambino in una nuova organizza-

zione compositiva, con le due figure S. Anna e la Vergine che sembrano fondersi e confondersi in

un’unica figura? Pur essendo, la S. Anna e la Vergine, madre e figlia non sembrano esserci diffe-

renze d’età.

E’ probabilmente una sorta di situazione edipica che ha colpito Freud e lo ha interessato e appas-

sionato al caso Leonardo. L’originalità della composizione avrebbe a che fare con la storiadell’infanzia di Leonardo. Leonardo era figlio naturale di una contadina, Caterina, con cui trascorse

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i primi anni della sua infanzia. Tra i 3 e i 5 anni però Leonardo fu portato a casa del padre; lì visse

con la sua nonna paterna e la prima moglie del padre. Secondo Freud, la S. Anna e la Maria del di-

pinto rappresenterebbero, da un lato la matrigna e la nonna paterna, dall’altro la madre naturale e la

matrigna. Per questo motivo Freud rappresenterebbe le due donne come coetanee. Secondo Freud

attraverso un processo di condensazione, mediante cui si fondono elementi diversi appartenenti a

situazioni differenti, Leonardo avrebbe appunto condensato nelle figure di S. Anna e la Vergine le

figure importanti della sua infanzia, madre naturale, matrigna e nonna paterna.

L’interpretazione di Freud si riferisce alla connessione tra gli eventi della fanciullezza di Leo-

nardo così come Freud li ha ricostruiti e il dipinto di Leonardo in cui le due donne appaiono come

coetanee, mentre nella realtà sarebbero madre e figlia. Uno storico dell’arte, Shapiro, afferma che la

S. Anna veniva spesso descritta e disegnata come giovane. Shapiro porta come esempio la S. Anna

di Luca di Tommè del 1367, dove la S. Anna sembra una replica ingrandita della figlia. Leonardo

però sembra essere stato il primo, almeno nella pittura italiana, ad aver rappresentato le due sante

come coetanee nel dipinto in questione.

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Leonardo da Vinci, Sant’Anna, la Vergine e il Bambino, 1510-13

Luca di Tommè, Sant’Anna con la Madon-na e Gesù Bambino (particolare), 1367

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Freud e il Mosè di Michelangelo

Nel secondo saggio dedicato ad un altro protagonista dell’arte, Michelangelo, Freud affronta

l’analisi del gruppo scultureo di Mosè che fa parte del mausoleo commissionatogli dal papa Giulio

II che Michelangelo scolpì introno al 1550, che si trova nella chiesa di S. Pietro in Vincoli a Roma.

E’ interessante leggere la dichiarazione di intenti che Freud fa all’inizio del saggio del 1913 che fa

riferimento al suo interesse per l’arte e a quali aspetti di questa predilige.

“Prometto che in fatto d’arte non sono un intenditore, ma un profano. Ho notato spesso che il contenuto

di un’opera d’arte esercita su di me un’attrazione più forte che non le sue qualità formali e tecniche, alle

quali invece l’artista attribuisce un valore primario” (Freud, 1913, p. 299).

Freud afferma che il suo interesse è rivolto al contenuto, al significato comunicato dall’opera d’arte

e non alle sue qualità formali. Freud è molto chiaro in questo. Dice di non essere un intenditore

d’arte e dichiara quali saranno le sue linee di riflessione e speculazione in questo campo.

La teoria freudiana dell’arte è stata proprio per questo motivo molto criticata, proprio perché fa

riferimento solo al contenuto, prevalentemente latente della produzione artistica e non è suo interes-

se rivolgere l’attenzione agli aspetti formali e strutturali. Le qualità formali dell’opera, affermano

gli studiosi non vengono mai prese in considerazione; gli elementi compositivi come la linea, la

forma, il colore del dipinto, la tecnica utilizzata non fanno parte del suo lessico di analisi. Questi a-

spetti che Freud ha trascurato sono importanti e per alcuni versi fondamentali sia per alcuni filoni

della critica d’arte, dell’estetica e anche per la psicologia della percezione che ha per oggetto di stu-

dio l’oggetto d’arte. Ma Freud conosce bene il suo limite “artistico” e infatti lo afferma chiaramente

nel passaggio riportato sopra. Non dimentichiamoci che Freud è e rimane un medico della psiche e

il suo interesse principale rimane costruire una teoria della personalità e mettere a punto una tecnica

di trattamento dei disturbi della personalità. Si può dire che Freud usava le opere d’arte e l’analisi

psicologica per trovare ulteriore sostegno teorico e di esemplificazione per lo sviluppo della teoria

psicoanalitica e per comprendere meglio le scoperte rivoluzionarie che in tema di personalità anda-va facendo in questo periodo molto prolifico per la teoria psicoanalitica. Se pensiamo che i “Tre

saggi sulla sessualità” sono del 1905, “Leonardo” del 1910, “Il Narcisismo” del 1914, osserviamo

che sono degli anni fondativi per la teoria psicoanalitica.

Freud ebbe modo di apprezzare la scultura di Mosè in San Pietro in Vincoli durante un soggiorno

romano. Era solito recarsi quotidianamente per ammirare e riflettere sull’imponente figura del Mosè

di Michelangelo.

Nell’ammirare questa scultura, Freud, come anche altri studiosi di storia e critica d’arte, si poseil problema del perché Michelangelo avesse voluto ritrarre Mosè proprio in questa posizione, seduto

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con un piede appoggiato sul terreno e l’altro in posizione sollevata. E’ il Mosè che dopo la discesa

dal monte Sinai e dopo aver ricevuto le tavole della legge, scopre che il suo popolo l’aveva tradito

nell’adorazione di un vitello d’oro. L’interpretazione più diffusa della scultura è che Michelangelo

abbia voluto ritrarre Mosè esattamente nel momento immediatamente precedente il suo balzare in

piedi, irato, pronto a scagliare le tavole della legge che si infrangeranno per terra (come sostiene la

fonte biblica d’altronde). Freud afferma che :

“Ciò che ci avvince con tanta forza non può essere a mio modo di vedere se non l’intenzione dell’artista,

nella misura in cui egli sia riuscito a esprimere tale intenzione nella sua opera e a renderla intelligibile ai

nostri occhi. Mi rendo conto che non può trattarsi di una comprensione puramente intellettuale: deve de-

starsi in noi la stessa disposizione affettiva, la stessa costellazione psichica che ha sospinto l’artista alla

creazione” (Freud, 1913, p. 300).

Per sostenere la sua ipotesi, che cioè il Mosè scultoreo rappresenti non il momento prima dellamanifestazione dell’ira, ma ciò che rimane di un movimento esaurito, Freud sostiene che è vero che

in un primo momento Mosè avrebbe voluto alzarsi all’improvviso per scagliarsi contro il suo popo-

lo traditore, manifestando così la sua forte collera, ma Mosè è rappresentato dopo che questo moto

d’ira si è placato e pertanto è il trattenimento di una passione, di un’emozione:

“Così facendo egli ha impresso nella figura di Mosè qualcosa di nuovo, di sovrumano, e la possente mas-

sa corporea e la muscolatura formidabile del personaggio diventano il mezzo d’espressione fisica della

più alta impresa psichica possibile all’uomo: soggiogare la propria passione a vantaggio e in nome di una

causa alla quale si è votati” (Freud, 1913, p. 322).

Nonostante Freud affermi nella sua dichiarazione di intenti riportata all’inizio che il suo interesse

è rivolto al contenuto a discapito degli aspetti formali, compie invece un’analisi molto minuziosa e

approfondita degli aspetti formali e plastici della scultura di Michelangelo. Fa fare addirittura ad un

disegnatore degli schizzi che ritraggano in successione il manifestarsi dell’azione in sequenza che

Mosè avrebbe compiuto:

“all’inizio quando la figura sedeva tranquilla, essa reggeva le tavole perpendicolarmente sotto il braccio

destro. La mano destra ne afferrava in basso i bordi e trovava un appoggio nella voluta che sporge in a-

vanti. Essendo questo il modo più facile di reggere le tavole, ciò spiega senz’altro perché erano capovol-

te. Poi venne il momento in cui la pace fu scossa dal tumulto. Mosè volse il capo in quella direzione e,

quando ebbe osservato la scena, il piede si preparò al balzo, la mano allentò la presa sulle tavole e risalì a

sinistra, afferrando la barba, quasi a esercitare la sua irruenza sul proprio corpo. Le tavole a questo punto

erano affidate alla pressione del braccio, che doveva premerle contro il torace. Ma questo modo di soste-

nerle non bastava, incominciarono a scivolare in avanti e in basso, il bordo superiore –che prima era te-

nuto orizzontalmente- si diresse in avanti all’ingiù; il bordo inferiore, privo di sostegno, si accostò con lospigolo anteriore al seggio” (Freud, 1913, p. 316).

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Per evitare che le tavole si infrangano contro il terreno

“La mano destra torna indietro e abbandona la barba, una parte della quale è trascinata senza volere nella

stessa direzione; poi la mano riesce a raggiungere il bordo delle tavole e le sostiene vicino all’angolo po-

steriore, che è ora quello più in alto di tutti. Così lo strano insieme costituito dalla barba, dalla mano e

dalla copia di tavole appoggiate sullo spigolo – che sembra il frutto di una costrizione – deriva da

quell’unico movimento appassionato della mano e dalle sue conseguenze ben giustificate” (Freud, 1913,

p. 316).

“Ciò che noi scorgiamo in lui non è l’avvio a un’azione violenta, bensì il residuo di un movimento tra-

scorso. In un accesso d’ira egli voleva, dimentico delle tavole, balzare in piedi e vendicarsi; ma la tenta-

zione è stata superata, egli continuerà a star seduto frenando la collera, in un atteggiamento di dolore mi-

sto a disprezzo” (Freud, 1913, p. 319).

“ Il Mosè del passo biblico era già stato informato dell’idolatria del suo popolo e si era posto dalla parte

della dolcezza e dell’indulgenza; ciononostante quando si trovò al cospetto del vitello d’oro e della folla

danzante soggiacque a un improvviso accesso d’ira. Non ci sarebbe quindi da meravigliarsi se l’artista,

che voleva rappresentare la reazione dell’eroe a questa dolorosa sorpresa, si fosse reso indipendente, per

motivi interiori, dal testo biblico” (Freud, 1913, pp. 321-322).

In ogni caso la rappresentazione di Mosè seduto non ha riscontro nei versi della Bibbia e quindi

l’artista avrebbe potuto prendersi delle libertà rispetto alle fonti originali. Secondo Freud

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“Michelangelo ha posto nel mausoleo del papa un altro Mosè, che va al di là del Mosè storico o tradizio-

nale….Ha impresso alla figura di Mosè qualcosa di nuovo, di sovrumano, e la possente massa corporea e

la muscolatura formidabile del personaggio diventano il mezzo d’espressione fisica della più alta impresa

possibile all’uomo: soggiogare la propria passione a vantaggio e in nome di una causa alla quale si è vo-

tati” (Freud, 1913, p. 322).

Conclusioni

Secondo Freud il vero scopo dell’arte e dell’attività creativa artistica è, per l’artista, non tanto il

raggiungimento della bellezza, quanto il compito di liberare le tensioni e i conflitti presenti nel suo

inconscio (Hauser, 1969). Gli aspetti formali sono un pretesto per soddisfare principalmente gli a-

spetti istintuali e pulsionali. Il processo creativo artistico è visto come una forma di abreazione (sca-rica energetica emozionale associata al trauma) che provoca un passaggio delle rappresentazioni

psichiche che risiedono nell’inconscio nella sfera della consapevolezza. L’attività creativa fa princi-

palmente leva sul meccanismo di difesa della sublimazione; la sublimazione è quel processo psichi-

co che consiste nella deviazione della pulsione libidica rispetto alla sua meta naturale verso un ap-

pagamento indiretto accettabile socialmente; per esempio, non potendo mettere in atto un compor-

tamento di violenza fisica nei confronti di un individuo, una persona può dare sfogo a tale pulsione

aggressiva in una partita di tennis in cui il bersaglio è colpire la palla, trasformando dunquel’aggressività nella produzione di energia fisica. Così anche la pulsione creatrice artistica è frutto di

una deviazione rispetto al suo percorso istintuale e naturale; non potendo raggiungere l’oggetto del-

la pulsione libidica istintuale, l’artista sublima questa pulsione attraverso l’attività creativa che lo

condurrà alla creazione dell’oggetto artistico. La sublimazione in sé, però, non può costituire la

spiegazione della capacità creativa dell’artista. Come afferma Hauser (1969), la sublimazione può

essere il meccanismo di difesa utilizzato dall’artista per mettere in atto la sua pulsione creativa, ma

la sublimazione in sé non è garanzia dell’artisticità del prodotto. La qualità del manufatto artistico

non può essere spiegata solo in termini di passaggio delle pulsioni psicologiche da una sfera ad

un’altra, dalla rinuncia all’investimento libidico dell’oggetto che libera la pulsione creativa che

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conduce l’artista al manufatto finale. La sublimazione può essere un fattore importante e di base che

spinge all’atto creativo, ma non corrisponde e non si identifica con l’atto creativo stesso.

L’arte, secondo la psicoanalisi freudiana è vista come una forma di nevrosi; sia l’arte che la ne-

vrosi sarebbero considerate forme di un errato adattamento alla realtà. Forme diverse di disadatta-

mento alla vita quotidiana potrebbero trovare un adattamento, una sorta di compensazione psicolo-

gica nell’arte; così come, alla stessa stregua, la persona nevrotica opera un ritiro dalla spiacevolezza

della vita e della realtà per andare incontro alla nevrosi. Una condizione fondamentale per ottenere

gratificazione attraverso l’arte è avere difficoltà nevrotica nella vita di tutti i giorni. Freud nel sag-

gio “Il poeta e la fantasia” afferma che “chi è felice non fantastica mai, fantastica solo che è inappa-

gato”. Anche Proust sosteneva che tutto ciò che è grande nel mondo lo dobbiamo ai nevrotici.

L’arte dunque come modalità di sublimazione, di simbolizzazione e di appagamento sostitutivo.

Il piacere che l’artista ricava dalla creazione di manufatti è interpretato come una sostituzione di

qualcos’altro, di qualcosa che non è possibile raggiungere in maniera pulsionale (l’oggetto di inve-

stimento libidico) e dunque viene operato il meccanismo di difesa della sublimazione. Lo studio

della sublimazione, della creatività e dell’arte è funzionale per lo sviluppo della teoria psicoanalitica

e dello studio della personalità. Infatti dopo pochi anni Freud scriverà l’importante saggio sul narci-

sismo che terrà conto degli studi compiuti in tema di sublimazione attraverso l’arte. Freud si occupa

dunque in maniera parziale di arte, lo fa da una prospettiva molto specifica perché proprio attraver-

so questa visione può studiare e osservare gli aspetti che gli interessano maggiormente. Non vuole

sostituirsi agli storici e ai critici d’arte e infatti afferma più volte la sua limitata conoscenza del fe-nomeno artistico.

L’aspetto rilevante e significativo dell’approccio psicoanalitico all’arte è l’aver posto

l’attenzione sui processi inconsci dell’esperienza artisitica per quanto riguarda in particolare la rela-

zione tra autore e creazione artistica, proponendo un approccio molto affascinante e interessante.

Freud ha dedicato numerosi saggi, oltre all’arte visiva anche allo studio della letteratura promuo-

vendo un interessante filone di studi sull’arte e la letteratura che ha avuto importanti sviluppi anche

da parte degli psicoanalisti post freudiani.Bisogna però dire, in conclusione, che quell’ambito di studio che Freud ha trascurato, le caratte-

ristiche strutturali e gli aspetti compositivi dell’opera d’arte sono centrali per gli storici, per i critici

e anche per gli psicologi della percezione che si occupano di arte.

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L’opera d’arte da un punto di vista percettivo

La psicologia della Gestalt

Se per Freud l’oggetto della sua speculazione artistica era il contenuto, per gli psicologi che han-

no analizzato l’opera d’arte da un punto di vista percettivo (riconducibili alla psicologia della Ge-

stalt) l’oggetto di indagine sono le qualità formali costitutive dell’opera. Mentre Freud si è occupato

del segmento Autore-Opera d’arte, per gli psicologi della Gestalt il segmento da analizzare è Opera

d’arte-Fruitore.

L’esponente principale di una psicologia che si è occupata dell’analisi percettiva delle immagini,

da semplici raffigurazioni geometriche in bianco e nero a opere artistiche di notevole complessità, è

Rudolf Arnheim. Arnheim, essendo uno psicologo di formazione gestaltista, considera i principi ba-

se della percezione, le leggi di organizzazione del campo, come presupposti fondamentali, come e-

lementi base di una grammatica visiva, che vengono adoperati nella percezione e interpretazione

delle qualità formali delle immagini visive in generale e, in particolare, degli oggetti d’arte. Secon-

do questo approccio, il lavoro più organico di Arnheim è rappresentato dal suo libro “Arte e perce-

zione visiva”, la cui prima edizione risale al 1954 e che è stato riveduto in maniera significativa nel

1974. In questo testo, configurazioni, immagini, dipinti, sculture, architetture e oggetti vengono sot-

toposti ad un’approfondita analisi delle caratteristiche formali, strutturali ed espressive che costitui-

scono le cosiddette regole compositive adoperate dall’artista, che guidano l’osservatore nella perce-

zione dell’immagine (un approfondimento di questi aspetti sarà trattato nella seconda parte di que-

sta dispensa).

Esistono, in particolare, due aspetti che acquisiscono rilevanza per una psicologia dell’arte in

chiave gestaltista: la buona forma e la teoria dell’espressione. Per buona forma è definita quella ten-

denza a preferire le forme che appaiono più equilibrate, regolari, simmetriche, le forme più “buone”

appunto. Le unità che compongono il campo percettivo si articolano in maniera tale che vengano

aggregate in strutture equilibrate, armoniche, coerenti tra loro, in una forma “il più buona possibi-

le”. Prendiamo l’esempio delle due figure sottostanti.

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La figura sulla sinistra è vista su un piano bidimensionale, composta da sei triangoli regolari. Se

però eliminiamo semplicemente tre lati, otteniamo una figura formata da tre rombi adiacenti sul

piano; risulta però più semplice vedere un cubo tridimensionale: i tre rombi vengono regolarizzati,

secondo il principio più economico della buona forma, in un cubo formato da tre quadrati in pro-

spettiva (figura sulla destra).

In entrambi i casi proposti, lo stimolo prossimale, l’informazione retinica, dà luogo a diverse in-

terpretazioni: noi, in genere, quando le condizioni prevalenti lo consentono, scegliamo la forma più

semplice, regolare, simmetrica, appunto buona o pregnante. E’ come se il nostro sistema visivo fos-

se retto da una sorta di tendenza alla parsimonia, all’economizzazione degli sforzi, scegliendo, tra le

diverse alternative, quella che conduce alla massima semplicità figurale attraverso una riduzione del

numero di elementi della configurazione complessiva: lati, angoli, figure. Perché vedere nella figura

sulla destra, per esempio, tre rombi (poligono formato da lati uguali, ma angoli diversi), quando in

un cubo unifichiamo, innanzitutto, i singoli elementi in un tutto (il cubo) e, in secondo luogo, ab-

biamo un poliedro formato da quadrati che da un punto di vista geometrico sono poligoni più sem-

plici del rombo?

Il secondo aspetto analizzato da Arnheim è la teoria dell’espressione. Secondo questa teoria un og-

getto d’arte esprimerebbe una serie di caratteristiche dirette e non mediate. Per esempio una forma o

un colore esprimerebbero in maniera immediata la loro allegria o tristezza. La psicologia della Ge-

stalt propone un approccio differente rispetto a quello più tradizionale; secondo la tradizione filoso-

fica e psicologica le qualità espressive che si attribuiscono ad un oggetto hanno a che fare con le as-sociazioni che nel tempo e nell’esperienza individuale si sono apprese. Secondo i gestaltisti la per-

cezione non è appresa, non proviene dall’esperienza e non è soggetta a modificazioni culturali (ov-

viamente per quanto riguarda gli aspetti di base, riconoscimento, organizzazione e qualità espressi-

ve degli stimoli). Arnheim definisce l’espressione “come il corrispettivo psicologico dei processi

dinamici che si risolvono nell’organizzazione degli stimoli percettivi” (Arnheim, 1949, trad it., p.

79). In altri termini, il rapporto tra il pattern stimolatorio (la dinamica della forma visiva) e

l’espressione che trasmette.Per Arnheim la funzione psicologica degli oggetti è di natura sostanzialmente espressiva: gli

oggetti devono essere in grado di comunicare, attraverso le loro caratteristiche formali, qualità di

tipo espressivo. Sono dunque gli oggetti che portano in sé l’espressività. E’ famoso l’esempio del

salice piangente che non viene visto come triste perché assomiglia ad una persona triste, ma perché

la sua forma, la sua flessuosità, il suo pendere passivo impongono una configurazione strutturale

simile a quella della tristezza negli esseri umani (Arnheim, 1975).

L’espressione è spiegata sulla base del principio dell’isomorfismo. Nelle sue linee fondamentali

ed essenziali, col postulato dell’isomorfismo (ísos = stesso, morfé = forma) veniva avanzata

l’ipotesi (che è stata in seguito criticata) secondo cui la percezione di una forma o di un oggetto tro-

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va delle precise corrispondenze (un isomorfismo appunto) nei processi fisiologici del cervello. Per

estensione, anche l’espressione è spiegata, appunto, in termini di isomorfismo. Si tratta di un pro-

cesso che può aver luogo in supporti, oggetti, media molto diversi tra di loro, ma che possono risul-

tare simili nella loro organizzazione strutturale (Arnheim). Il punto debole di questo approccio è che

questa relazione isomorfica tra forma (esterna) e attivazione di aree cerebrali corrispondenti e simili

non ha trovato riscontro empirico. I critici della psicologia della Gestalt affermano che tale teoria è

più conosciuta per le sue convincenti dimostrazioni delle famose leggi di organizzazione formale

che per l’interpretazione di queste leggi.

La seconda parte di questa dispensa è dedicata interamente all’analisi percettiva delle immagini

secondo un approccio che si può ricondurre ad Arnheim. Verranno prese in considerazione le carat-

teristiche strutturali delle immagini e gli aspetti compositivi che hanno condotto l’autore alla crea-

zione artistica con le possibili spiegazioni teoriche.

Escher, un artista gestaltista?

Un’artista che si è interessato molto di psicologia della percezione, in particolare dei lavori dei

Gestaltisti, a cui deve parte del suo lavoro, è l’artista olandese Maurits Cornelius Escher. Gli studi

dei gestaltisti e di Rubin sul rapporto figura e sfondo furono di grande interesse e ispirazione per la

sua attività artistica. L’articolazione figura e sfondo con la sua ambiguità percettiva caratterizzò in

particolare i lavori di Escher alla fine degli anni trenta.

Escher visse per un lungo periodo in Italia, dal ‘21 al ‘34 circa, era molto attratto dal mare, daipaesaggi e dalla luce. La sua produzione fino a questo periodo era prevalentemente figurativa e rea-

listica. Il cambiamento verso una produzione più astratta e sperimentale fu determinato probabil-

mente dalla lettura del libro di Koffka ‘Principi di psicologia della forma’. Riprese quindi con molto

interesse un argomento al quale si era dedicato in maniera saltuaria precedentemente.

Un altro fatto importante che determinò questo cambiamento di stile fu il viaggio che nel 1935

intraprese in Spagna dove poté ammirare i mosaici moreschi dell’Alhambra ed iniziò i suoi studi e

lavori sulla simmetria e sulla tassellazione del piano.

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L’estetica sperimentale

Fechner

Fechner può essere considerato come l’iniziatore di una estetica sperimentale, in cui

l’esperimento proprio delle discipline scientifiche (fisica e chimica), veniva utilizzato come stru-

mento della misurazione, per esempio, del valore estetico di una configurazione. Un’estetica quindi

delle forme visive, il cui scopo era quello di stabilire quali forme (poligoni semplici e regolari) fos-

sero preferite. Fechner (Trattato di Estetica, 1876) riteneva che l’esperienza estetica fosse dovuta ad

un insieme di fattori elementari, così come sostenuto dalla teoria strutturalista di Wundt sulla perce-

zione visiva (è la somma dei singoli elementi che danno luogo ad un percetto). Per Fechner sono le

proprietà fisiche dell’oggetto, proporzioni, equilibrio, ordine, che determinano una reazione di pre-

ferenza. L’estetica sperimentale di Fechner è considerata un’estetica “dal basso” perché sono i dati

esterni, gli elementi formali dell’oggetto, ad essere considerati significativi nella valutazione esteti-

ca.

Il lavoro più conosciuto di Fechner, riportato nel suo Trattato di Estetica, è sicuramente quello sulla

preferenza dei rettangoli. In questo esperimento, Fechner prese in considerazione 10 rettangoli dise-

gnati a tratto aventi tutti la stessa superficie, in cui il rapporto larghezza/altezza variava da 1:1 (qua-

drato) a 1:0,40, passando per quella particolare proporzione detta “sezione aurea” (pari a 1:0,618).

Trecento soggetti valutarono i 10 rettangoli con il compito di scegliere quello che piaceva di più e

quello che piaceva di meno. I risultati mostrarono che il 35% dei soggetti preferiva il rettangolo ilcui rapporto altezza/larghezza era stabilito dalla sezione aurea e comunque tale rettangolo non veni-

va mai rifiutato. C’è da dire che tutti i rettangoli erano scelti almeno una volta. La preferenza se-

condo Fechner era dovuta alla composizione strutturale della figura in cui la proporzione tra i lati

assumeva un significato importante e decisivo nella scelta.

In particolare veniva preferito il rettangolo, il cui rapporto base/altezza corrispondeva a quella

particolare proporzione detta “sezione aurea”. Per sezione aurea s’intende uno speciale rapporto tra

le diverse lunghezze di due segmenti o di due parti dello stesso segmento. Se dobbiamo dividere unsegmento in parti diseguali abbiamo un’infinita possibilità di scelte e di rapporti tra le due parti. La

sezione aurea consiste in un particolare rapporto in cui la parte più grande del segmento risulta me-

dia proporzionale tra la lunghezza di tutto il segmento e la parte rimanente. In altre parole, consiste

nella divisione di un Segmento (S) in due parti diseguali, in cui il Segmento intero (S) sta alla parte

Maggiore (M) come la parte Maggiore (M) sta alla parte minore (m). La formula è la seguente:

S:M=M:m. Se si sviluppa la proporzione si ottiene un valore pari a 0,618 (vedi la figura nella pagi-

na seguente). Questo rapporto aureo, o numero d’oro o divina proporzione (da un libro del matema-

tico rinascimentale Luca Pacioli), è stato utilizzato come sistema codificato per la costruzione di

proporzioni armoniche tra le parti, segmenti, figure geometriche, rapporti architettonici. La sezione

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aurea è considerata una sorta di regola dell’armonia perché costituisce, con le sue leggi numeriche,

un rapporto tra le parti che risulta piacevole ed equilibrato agli occhi, né troppo regolare, semplice e

dunque monotono, ma armonico appunto nella sua asimmetria. Il rapporto aureo è stato alla base

della costruzione di importanti opere architettoniche (il tempio greco, il duomo romano, le cattedrali

gotiche) e di numerosi dipinti durante i secoli, soprattutto in epoca rinascimentale; nelle opere di

Piero della Francesca si raggiunge probabilmente l’espressione massima dell’uso pittorico di tale

rapporto.

Questo tipo di estetica sperimentale “dal basso”, di cui Fechner fu l’iniziatore, attribuiva grande si-

gnificato e importanza al reperimento sperimentale di dati e alla ricerca di regolarità nelle valuta-

zioni di preferenza.

Figura Sezione aurea. Il rapporto tra i segmenti per ottenere una sezione aurea è il seguente: AC sta ad AB, come ABsta a BC; se si sviluppa questa proporzione, dato il segmento AC di dimensione 1,00, si ottiene il valore di 0,618.

Birkhoff e Eysenck

Una cinquantina d’anni dopo Fechner, il matematico Birkhoff nel 1932 indicò una formula

matematica con cui si potesse individuare il valore dell’esteticità di un’immagine. Secondo Birkhoff 

il valore estetico di un oggetto e di conseguenza il piacere che dalla sua percezione se ne trae, dove-

va essere in funzione di due elementi strutturali fondamentali: l’ordine (la massima omogeneità, la

semplicità, l’equilibrio di una configurazione) e la complessità (la massima eterogeneità, il disordi-

ne, la numerosità degli elementi presenti). Il piacere estetico che si ricava dalla percezione di

un’immagine è dovuto alla prevalenza dell’ordine rispetto alla complessità. La formula proposta era

dunque M=O/C. Dove M indicava la Misura estetica (aesthetic Measure), mentre O e C indicavano

l’ordine e la complessità rispettivamente. Il piacere o il valore estetico era dunque riconducibile

all’ordine (semplicità, simmetria, regolarità, equilibrio) diviso per la complessità che l’oggetto stes-

so presentava. Un buon rapporto tra queste due componenti avrebbe dovuto condurre alla creazione

di un oggetto con forte qualità estetica.

Eysenck (1942), attraverso una serie di verifiche sperimentali criticò la formula proposta da Bir-

khoff, in particolare la funzione tra ordine e complessità. Eysenck non era convinto che la comples-

sità dovesse essere il divisore dell’ordine; riteneva che, al contrario la complessità dovesse essere

moltiplicata all’ordine. Secondo Eysenck un’immagine con elevato valore estetico deve contenere

allo stesso tempo elementi di complessità e semplicità. Si otterrebbe dunque una nuova formula tra-

sformando il tipo di rapporto tra ordine e complessità proposto da Birkhoff. Il piacere come caratte-

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ristica che si ottiene dal prodotto tra ordine e complessità, secondo Eysenck dovrebbe invece essere:

M=OxC. La qualità estetica dell’immagine è determinata dall’azione comune di ordine e complessi-

tà. In questo modo Eysenck amplificava il portato delle due caratteristiche strutturali dell’oggetto

ordine e complessità.

In realtà queste formule, pur interessanti sono difficilmente applicabili agli oggetti d’arte. Posso-

no funzionare con immagini costituite da poligoni in cui si possa controllare la variazione sistemati-

ca di ordine e complessità; dato un certo numero di elementi e la loro disposizione compositiva si

può raggiungere un determinato livello di esteticità. Aumentando o diminuendo gli elementi che co-

stituiscono queste due variabili si possono anche raggiungere risultati che confermano le ipotesi di

partenza. Definire la funzione del rapporto tra ordine e complessità, ma anche stabilire il livello di

complessità di un’immagine o a maggior ragione di un’opera d’arte non è cosa facile. Se pensiamo

ad alcune opere di arte astratta composte da campiture di colore distese in maniera uniforme sulla

tela, dovremmo avere il massimo di ordine e il minimo di complessità, con un risultato estetico,

proveniente dalle formule proposte, molto scadente; al contrario opere apparentemente semplicis-

sime e quindi con un livello di ordine massimo possono risultare estremamente apprezzabili e attra-

enti: pensiamo, per esempio, alle opere di arte astratta, di Malevic e Mondrian.

Il problema è che il tentativo di utilizzare formule di questo genere (seppur apprezzabile e inte-

ressante) non tiene conto della varietà e complessità delle immagini che incontriamo. Appaiono

strumenti troppo semplificati per lo studio di fenomeni complicati; se questo tipo di formule posso-

no funzionare con determinati stimoli è molto difficile che possano rendere conto di spiegazionisoddisfacenti quando si applicano a immagini e oggetti del variegato panorama artistico.

Berlyne

La teoria più influente che ha preso le mosse dall’estetica dal basso di Fechner e che si è svi-

luppata circa un secolo dopo è stata la teoria di Berlyne (1971), definita la “Nuova estetica speri-

mentale”, in cui è stata sottolineata ancora una volta l’importanza delle caratteristiche oggettive del-lo stimolo nel produrre una preferenza estetica. Berlyne affermava che l’interesse verso uno stimolo

è attivato da un certo numero di proprietà possedute dallo stimolo stesso. Berlyne ha definito queste

proprietà “variabili collative”, descritte come elementi di conflitto percettivo, suscettibili di stimola-

re l’attività nell’esplorazione visiva. Le variabili collative possono essere raggruppate in tre catego-

rie: 1) La novità, riferita a diversi livelli di conoscenza dello stimolo; per esempio, gli stimoli pos-

sono essere definiti con un elevato livello di novità quando non sono mai stati incontrati preceden-

temente o da molto tempo. Alla novità vengono associati i concetti di cambiamento, di sorpresa, di

incongruità. 2) L’incertezza è la seconda proprietà che è stata introdotta in riferimento alla teoria

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dell’informazione ed ha a che fare con possibili interpretazioni alternative dello stimolo. 3) Infine la

complessità, intesa con il numero di elementi presenti in una composizione.

Secondo Berlyne il piacere prodotto dalle qualità possedute dalle immagini è dovuto ad un aumento

di attivazione (arousal) dell’organismo. L’arousal è definito come una dimensione lungo la quale

varia lo stato di attivazione dell’organismo, dal sonno profondo allo stato di veglia, all’attenzione

vigilante per giungere a livelli elevati di eccitazione. La qualità edonica (piacere) prodotta dalla va-

lutazione di un’immagine sarebbe determinata da una “motivazione intrinseca”: l’elaborazione degli

stimoli produrrebbe un aumento di tensione o un alternarsi di aumento e decremento. L’arousal co-

stituirebbe un meccanismo di ricompensa e orienterebbe verso la preferenza dello stimolo che gene-

ra tale attivazione.

Sono presenti dei limiti evidenti in questa spiegazione della risposta estetica all’arte. La teoria di

Berlyne focalizza l’attenzione principalmente sull’attivazione dell’organismo. L’arousal però consi-

ste in una risposta generica che non tiene conto di tutte le diverse componenti dello stimolo e del

possibile percettore. Inoltre, per poter avere un maggiore controllo e poterli manipolare variandoli

sistematicamente, gli stimoli sperimentali utilizzati da Berlyne erano spesso costituiti da poligoni

(ben lontani quindi da oggetti d’arte veri e propri). E’ uno di quei casi in cui il rigore della ricerca

sperimentale è a discapito della validità ecologica. Inoltre non venivano prese in considerazione le

differenze individuali dei percettori nella valutazione degli stimoli: la novità, la complessità o

l’ambiguità dello stimolo avevano lo stesso peso per tutti i partecipanti. Rimaneva un’estetica dal

basso perché erano sempre le caratteristiche dello stimolo a produrre delle differenze nella valuta-zione di preferenza.

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La neuroestetica

Il termine neuroestetica è stato coniato da Semir Zeki nel 1999 (The Inner vision, tr. It.  La visio-

ne dall’interno, 2003)). Zeki sostiene che le arti visive possono essere considerate un utile strumen-

to per osservare e studiare i processi visivi del cervello. Attraverso le immagini artistiche possono

essere indagati i meccanismi cognitivi e percettivi alla base della conoscenza dell’ambiente circo-

stante. Secondo questo approccio neuroscientifico vi è il tentativo di ridurre fenomeni e problemi

complessi come quelli dell’arte al livello di analisi dell’elaborazione che compie la corteccia visiva.

La corteccia visiva, posta nell’area occipitale del nostro cervello è composta da diverse aree specia-

lizzate. Diversi neurofisiologi tra cui Zeki, hanno condotto numerosi lavori per poter pervenire ad

una comprensione approfondita di questa porzione di corteccia, in alcune arre denominate V, ognu-

na con una elevata specializzazione nell’elaborazione delle scene visive (vedi figura): V1 = Cortec-

cia visiva primaria; riceve i segnali dalla retina; centro di smistamento dei segnali visivi; V2 = Cir-

conda V1 con funzioni analoghe; V3 = Direzione e orientamento; V4 = Percezione del Colore; V5

= Movimento.

Per esempio si è scoperto che il colore viene percepito prima della forma e la forma prima del

movimento. L’intervallo tra la percezione del colore e quello del movimento è di circa 60-80 milli-

secondi. Esiste dunque una gerarchia temporale e modularità della visione.

Gli aspetti critici di tale impostazione si riferiscono al fatto che la descrizione percettiva a livello

neuronale non coglie in sé il senso dell’esperienza dell’arte. Le caratteristiche neurali assumono un

significato molto importante che però serve per descrivere ciò che si vede. Sulla base, di queste

premesse come facciamo a definire arte sia Raffaello che Burri?

V3a

 

V5 (movimento)

V3

V1 / 2

V4 (colore)Area del riconoscimentodei volti e degli oggetti

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Secondo Zeki, i pittori sono anche dei neurobiologi che utilizzano inconsapevolmente le aree vi-

sive cerebrali. Zeki propone un esempio di lettura neurofisiologica dell’opera di Piet Mondrian

(1872-1944), il famoso artista olandese appartenente alla corrente De Stijl. Partendo da rappresenta-

zioni di immagini figurative, Mondrian giunse all’astrazione più pura, dipingendo elementi geome-

trici in cui fossero presenti esclusivamente elementi ortogonali, linee orizzontali e verticali, utiliz-

zando esclusivamente colori primari. La cifra distintiva dell’opera di Mondrian è proprio questa es-

senzialità delle sue opere (vedi figura). Secondo Zeki, Mondrian (in maniera del tutto involontaria

ovviamente) propose con largo anticipo rispetto ai tempi della scoperta scientifica (come tra l’altro

avviene spesso negli artisti; con il loro lavoro propongono soluzioni innovative a temi e argomenti

che poi verranno affrontati scientificamente dai ricercatori) ciò che i neurofisiologi scoprirono un

cinquantina di anni dopo (Hubel e Wiesel vinsero nel 1981 il premio Nobel per la medicina grazie

alle loro scoperte sulle cellule presenti in quest’area del cervello visivo); esistono nella nostra cor-

teccia visiva neuroni specializzati nella risposta selettiva a determinati orientamenti di linee; per e-

sempio è solo una classe di neuroni che si attiva in risposta a linee verticali, mentre sarà un’altra

classe che si attiva in presenza di linee orizzontali.

Piet Mondrian, Composition with Red, Yellow and Blue (1921).

Semir Zeki ha dunque analizzato e studiato l’arte da un punto di vista prettamente neurofisiologico,

e uno dei suoi contribuiti più importanti è stato sicuramente quello di scoprire le specializzazioni

delle varie aree corticali del sistema visivo.

Neuroni specchio

Una recente scoperta, tutta italiana, operata da un gruppo di ricercatori neurologi dell’Università

di Parma diretti da Giacomo Rizzolati (negli anni ’90 del Novecento), che ha avuto una diffusione

molto vasta è quella dei neuroni specchio. I neuroni specchio si chiamano così perché sono gli stessi

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neuroni (presenti nella corteccia pre-motoria) che scaricano sia quando un’azione è osservata, sia

quando è eseguita. La presentazione di lettere attiva un settore della corteccia premotoria che è atti-

vata anche quando i partecipanti scrivono le lettere. Quando qualcuno osserva un’immagine che

produce forti risposte (paura) il nostro cervello riprodurrebbe lo stesso stato somatico (embodiment)

rappresentato nell’immagine (Damasio, 1994, 2003)

L’arte e i neuroni specchio

I neuroni specchio, secondo gli autori, sarebbero responsabili anche delle risposte di fronte alle ope-

re d’arte, in particolare per quanto riguarda la nostra immedesimazione con queste.

Vi ricordate che all’inizio, quando abbiamo descritto l’approccio psicodinamico all’arte avevo ri-

portato una citazione del saggio di Freud sul Mosè di Michelangelo. La riporto per comodità di let-

tura:

“Ciò che ci avvince con tanta forza non può essere a mio modo di vedere se non l’intenzione dell’artista,

nella misura in cui egli sia riuscito a esprimere tale intenzione nella sua opera e a renderla intelligibile ai

nostri occhi. Mi rendo conto che non può trattarsi di una comprensione puramente intellettuale: deve de-

starsi in noi la stessa disposizione affettiva, la stessa costellazione psichica che ha sospinto l’artista alla

creazione” (p. 300, Boringhieri).

E’ interessante il riferimento che Freud fa al fatto che “deve destarsi in noi la stessa disposi-

zione affettiva, la stessa costellazione psichica che ha sospinto l’artista alla creazione”.Si tratta di una immedesimazione profonda nell’opera (affettiva e anche cognitiva). Questa nostra

capacità potrebbe essere attribuita a questo sistema dei neuroni specchio, che sono in grado di ri-

produrre a livello corporeo risposte emotive scaturite dalle opere. In questo modo si potrebbe rico-

stituire quel legame speculare tra artista e opera e tra opera e fruitore. Più in generale potremmo de-

finire, per usare un termine noto, questa disposizione individuale e corporea, empatia (“sentire den-

tro”). Anche nell’esperienza estetica che proviamo di fronte ad un’opera viviamo emotivamente, ma

anche fisicamente, corporalmente la risposta. In maniera più incisiva, anche se non sorretta da proveempiriche, Gallese e Freedberg sostengono che l’apprezzamento estetico possa essere basato su

meccanismi cosiddetti incarnati.

Nell’articolo “ Movimento, emozione, empatia”, Freedberg e Gallese hanno indagato gli aspetti lega-

ti all’attivazione corporea e ai meccanismi neurali che si attivano durante l’osservazione di opere

d’arte. Attraverso il processo della simulazione incarnata è possibile mettere in atto una imitazione

a livello corporeo che sarebbe speculare a ciò che si osserva. Gli autori prendono come esempio le

sculture cosiddette “non finite” di Michelangelo, Prigioni. Nell’osservare quest’opera il visitatore

tenderebbe ad attivare una serie di muscoli localizzati nelle stesse parti del corpo scolpite e messe in

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evidenza da Michelangelo. In questo modo si creerebbe una sorta di specularità tra l’intenzione di

Michelangelo di rendere la drammaticità del gesto di questi uomini imprigionati dalla pietra da cui

cercano di sfuggire.

Un altro esempio che Freedberg e Gallese riportano è riferito all’opera di Caravaggio,

“L’incredulità di San Tommaso”.

Secondo gli autori questo meccanismo di simulazione non avverrebbe solo per le opere d’arte figu-

rativa, ma anche per quelle astratte. Per esempio, nell’opera di Pollock (vedi figura) gli autori avan-

zano l’ipotesi che i gesti utilizzati dall’artista nel creare il dipinto (Pollock utilizzava una tecnica

particolare denominata Dripping, dove con un pennello intriso di pittura densa si muoveva intorno

al quadro e faceva gocciolare -dripping- il pennello), produrrebbero, attraverso i neuroni specchio,

un coinvolgimento corporeo dell’osservatore che, in parte, simulerebbe i gesti prodotti dall’artista.

Anche nell’opera di Fontana, i tagli porterebbero lo spettatore a simulare tali operazioni di rottura e

lacerazione

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Limiti delle teorie neuroestetiche 

E’ evidente l’indubbio valore degli studi delle neuroscienze per comprendere meglio la struttura del

sistema visivo e Zeki ha dato un contributo molto importante. La critica rivolta però a tale imposta-

zione è che non si può ridurre l’esperienza estetica alla struttura, organizzazione ed elaborazione

compiuta dalle aree visive del nostro cervello. L’opera d’arte e l’esperienza estetica è qualcosa che

va oltre gli aspetti puramente neurofisiologici. Potrebbe anche essere possibile spiegare la risposta

empatica a determinati dipinti figurativi e astratti che riproducono nell’osservatore le stesse strutture

che sono insite nell’azione rappresentata, però si tratterebbe di un’applicazione ad un numero molto

limitato di opere e in ogni caso si lascerebbero aperti molti interrogativi.L’attivazione dei neuroni specchio non è sufficiente perché si possa parlare di esperienza o

anche solamente di valutazione estetica. Le nostre risposte estetiche ad alcune opere e stili artistici

potrebbero anche essere spiegate sulla scorta dei neuroni specchio, in particolare quelle opere che

attivano risposte motorie. Gli esempi riportati di Michelangelo o Caravaggio sono sicuramente degli

esempi efficaci per la verifica della teoria neuroni specchio. Ma già con le opere di Pollock e Fonta-

na si fa molta più fatica ad accettare come buona tale spiegazione. Quanti conoscono la particolare

tecnica del dripping di Pollock? E più in generale, con altri stili artistici, più contemporanei, per e-sempio con l’arte concettuale, diventa molto più difficile accettare spiegazioni in linea con la teoria

dei neuroni specchio.

Più in generale, nessuno dei diversi quattro approcci proposti sarà di per sé sufficiente per com-

prendere un fenomeno così ampio e sfuggente come quello artistico. Ognuno però è importante e

può sicuramente dare un contributo per una comprensione sempre più estesa e approfondita

dell’arte.

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PARTE SECONDA

L’analisi percettiva delle immagini

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L’analisi percettiva delle immagini

L’esponente principale di una psicologia che si è occupata dell’analisi percettiva delle immagini,

da semplici raffigurazioni geometriche in bianco e nero a opere artistiche di notevole complessità, è

Rudolf Arnheim. Arnheim è uno psicologo di formazione gestaltista che si è occupato prevalente-

mente di psicologia della percezione e di psicologia dell’arte.

Arnheim considera i principi base della percezione, le leggi di organizzazione del campo, come

presupposti fondamentali, come elementi base di una grammatica visiva, che vengono adoperati

nella percezione e interpretazione delle qualità formali delle immagini visive in generale e, in parti-

colare, degli oggetti d’arte. Secondo questo approccio, il lavoro più organico di Arnheim è rappre-

sentato dal suo libro “Arte e percezione visiva”, la cui prima edizione risale al 1954 e che è stato ri-

veduto in maniera significativa nel 1974. In questo testo, configurazioni, immagini, dipinti, sculture,

architetture e oggetti vengono sottoposti ad un’approfondita analisi delle caratteristiche formali,

strutturali ed espressive che costituiscono le cosiddette regole compositive adoperate dall’artista,

che guidano l’osservatore nella percezione dell’immagine. L’indice del testo di Arnheim riporta ti-

toli come equilibrio, configurazione, forma, sviluppo, spazio, luce, colore, movimento, dinamica ed

espressione.

Prendendo spunto da questi temi, vorrei proporre un approccio di analisi percettiva

dell’immagine. Lo scopo è quello di fornire i tasselli di base di una grammatica visiva da utilizzare

nell’incontro con l’oggetto d’arte. Il lavoro è rivolto, in particolare, a chi non ha una grande familia-

rità con questi manufatti e con i luoghi dove questi oggetti sono custoditi ed esposti, ma che ha cu-

riosità e interesse verso i più alti prodotti della creatività umana.

Lettura e comprensione di un oggetto d’arte

L’obiettivo di queste pagine è quello di accompagnare il lettore poco esperto di arte e di comuni-

cazione visiva in un percorso che tenterà di porre le promesse che lo condurranno ad un primo ap-

proccio di lettura e comprensione di un oggetto d’arte. Immaginate di trovarvi in un museo d’arte(forse ci siete andati controvoglia, preferivate fare altro, ma visto che ci siete tanto vale tirare fuori

qualcosa da questa noiosa esperienza) o magari avete tra le mani un giornale con delle belle figure o

state navigando sul web e vi imbattete in immagini d’arte digitalizzate. Che cosa fare per cercare di

trarre una possibile gratificazione estetica dall’incontro con questi oggetti multicolori che popolano

il vostro spazio visivo? La mia proposta è quella di tracciare un percorso di “lettura” di immagini

costituito sostanzialmente da tre tappe: descrizione, analisi e interpretazione. Lo scopo è quello di

fornire alcuni strumenti per comprendere immagini d’arte, ma con possibili applicazioni anche ad

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immagini pubblicitarie, a oggetti d’uso quotidiano ecc., col fine di rendere questa esperienza utile e

possibilmente interessante e piacevole, che possa sollecitare analoghe esperienze future.

Un paio di raccomandazioni. Se si dovessero incontrare immagini d’arte, soprattutto contempo-

ranea, molto semplici e lineari, formate per esempio solo da vasti campi cromatici o da grafismi es-

senziali, cercate di evitare di etichettare o commentare l’opera con una di quelle frasi che si sentono

ripetere spesso: questo lo potevo fare anch’io. Il secondo suggerimento è quello di arrivare alla va-

lutazione personale conclusiva, mi piace/non mi piace, solo dopo aver attraversato le tappe di anali-

si e comprensione descritte di seguito. Per la maggior parte dei fruitori di opere d’arte, come i lettori

di queste pagine, la cosa probabilmente più rilevante dell’esperienza con l’arte è il piacere persona-

le, il vissuto emozionale. Questo approccio va benissimo! Ognuno è libero, ovviamente, di provare

quello che vuole. Ritengo comunque che il raggiungimento del piacere personale, dopo un percorso

articolato di analisi e comprensione fatto attraverso gli strumenti concettuali proposti, potrà trarre

giovamento da tale approccio ed essere più ricco, soddisfacente e gratificante.

Descrizione dell’oggetto artistico

Iniziamo con la descrizione. Sembra un compito facile, basta riconoscere gli oggetti rappresenta-

ti, elencarli e il gioco è fatto. Tutto dipende dalla nostra capacità di osservazione. Un primo consi-

glio: non diamo niente per scontato. Cerchiamo di osservare tutti gli elementi presenti

nell’immagine e di cogliere le interazioni reciproche tra questi. Questo è un primo esercizio di ri-

scaldamento.I principali fattori da utilizzare nella “lettura” di un oggetto d’arte, in questa prima fase di descri-

zione, potrebbero essere sintetizzati nei punti riportati di seguito. E’ chiaro che, quante più cono-

scenze personali possediamo, maturate da interessi personali, letture, studi, tanto più saremo in gra-

do di dare un senso compiuto a questa nostra esperienza percettiva. Ma non scoraggiatevi, anche se

non aveste nessuna conoscenza specifica, sarà ugualmente possibile trarre giovamento e gratifica-

zione estetica da questo percorso.

  Tipologia dell’oggetto. Innanzitutto bisogna considerare se si tratta di un dipinto, di una scultu-ra, di un’architettura, di una fotografia, di un oggetto artigianale, di un oggetto funzionale di de-

sign, di un’immagine pubblicitaria ecc. Sembra un fatto ovvio e in realtà lo è; siamo tutti in gra-

do di compiere questa distinzione. Ciò che però vorrei sottolineare è che per arrivare allo specifi-

co manufatto (pittura, scultura, fotografia ecc.), l’artista avrà utilizzato materiali molto diversi tra

loro che possono limitare o ampliare il contenuto dell’opera. Per fare un esempio, con la scultura

è molto difficile rappresentare ambientazioni o scene di grande portata (fiumi, montagne, anima-

li, persone), mentre ciò è realizzabile con la pittura. Ma la tridimensionalità della scultura è reale

mentre quella del dipinto è illusiva. Parafrasando McLuhan si potrebbe affermare che “il mate-

riale è il messaggio”.

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•  Artista. E’ importante sapere chi è l’artista. Ne avevamo già sentito parlare, è famoso, ci è com-

pletamente sconosciuto? Non sarebbe male avere notizie sulla sua vita, sulle influenze ambienta-

li, sulla sua formazione artistica. Se siamo in un museo, è probabile che ci siano pannelli, dida-

scalie che possono essere d’aiuto. Se ci sono, leggiamo qualcosa. Siamo in grado di dire a quale

stile o corrente artistica appartiene l’artista? Questo ha a che fare con la nostra formazione; se

abbiamo compiuto studi di storia dell’arte nel nostro curriculum scolastico ci potrebbero tornare

utili. E’ chiaro che sarebbe produttivo leggere la letteratura critica sull’autore, ma forse è chiede-

re un po’ troppo in questa prima fase. Sarebbe sicuramente proficuo mettere a confronto più ope-

re o più oggetti anche differenti (pitture, sculture, testi ecc.) dello stesso periodo, ma soprattutto

di periodi diversi per lo stesso artista. Questo ci consentirebbe di osservare un eventuale cam-

biamento di stile e di contenuti, dovuto, per esempio, alle influenze di altre correnti artistiche. Un

ulteriore aiuto potremmo averlo dal confronto con opere di altri artisti dello stesso periodo.

•  Periodo storico: In quale periodo è stata creata l’opera? Sarebbe importante avere grosso modo

idea a quale epoca risale anche se non della sua esatta datazione. Ogni immagine racchiude ed

esemplifica un particolare contesto storico, sociale, culturale, ambientale e geografico; cerchia-

mo di cogliere questi aspetti. Non sarebbe poi male conoscere anche quali altri eventi significati-

vi sono avvenuti nello stesso periodo di datazione dell’opera. Eventi storici, scoperte importanti,

innovazioni tecnologiche, in genere, hanno un’apprezzabile influenza sulla genesi e la produzio-

ne dell’opera.

•  Il titolo. Il titolo dell’opera è spesso di aiuto per inquadrare il soggetto, l’argomento e il contenu-to trattati, soprattutto se non abbiamo altre informazioni. Il titolo riassume in poche parole so-

prattutto il contenuto dell’opera, ma, in genere, non descrive le sue caratteristiche compositive

formali. In alcune ricerche condotte, sono stati presentati, a diversi gruppi di partecipanti, dipinti

di genere artistico vario (figurativo, astratto, cubista ecc.). Veniva manipolata la presentazione

delle opere: ad un gruppo venivano presentate alcune opere col titolo originale, ad un altro grup-

po le stesse opere, questa volta però senza titolo; ad un terzo gruppo sempre le stesse opere, però

con un titolo fuorviante. Le opere presentate col titolo originale sono state quelle che hanno otte-nuto la valutazione migliore in termini di piacere e interesse. Essendo il titolo l’unico elemento

esplicativo a disposizione, nonostante le limitate informazioni che forniva, produceva un contri-

buto utile alla maggiore comprensione dell’opera (rispetto alle altre due condizioni sperimentali)

che conduceva ad un apprezzamento più elevato dell’opera stessa.

•  Il soggetto rappresentato. Un utile esercizio (apparentemente ovvio, ma non lo è) sarebbe quel-

lo di elencare e di descrivere gli oggetti presenti nell’opera (animali, frutta, persone, mare, alberi,

fiumi ecc.; questo ovviamente vale per un’opera d’arte figurativa). Una volta concluso il ricono-scimento, bisognerebbe fare uno sforzo ulteriore per cercare di cogliere le relazioni reciproche

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che intercorrono tra i soggetti rappresentati e descritti. Questa semplice tecnica osservativa e de-

scrittiva è un primo passo verso la comprensione dell’opera. Legata al contenuto è il tipo di fun-

zione rappresentato dall’immagine: si tratta di una funzione religiosa, pubblica, privata, narrati-

va, surreale ecc.?

•  Stile: materiali, tecniche, abilità esecutiva. Un altro aspetto utile sarebbe quello di individuare

la specifica tecnica artistica eseguita dall’autore. Si tratta di una pittura ad olio o ad acquarello?

Oppure è un affresco, un mosaico, un’incisione ecc.? Riconoscere la tecnica usata può fornire in-

formazioni importanti rispetto alla resa cromatica, alla difficoltà e all’abilità di esecuzione.

Se invece non si conosce assolutamente niente, né autore, né stile, né periodo ecc., non ci si deve

scoraggiare; occorrerà affidarsi interamente alla propria capacità di analisi della struttura formale e

di contenuto della composizione. E’ quello che esamineremo tra poco.

Analisi percettiva degli elementi pittorici

In questo livello devono essere presi in considerazione gli elementi strutturali della composizio-

ne nel linguaggio specifico utilizzato dall’artista. Se nella descrizione precedente l’attenzione è stata

focalizzata sui contenuti e sulla descrizione degli oggetti rappresentati, in questa seconda fase del

processo saranno descritte le caratteristiche strutturali che costituiscono gli assi portanti di una

composizione. Gli elementi base che solitamente si adoperano per descrivere un’opera d’arte, o an-

che più in generale un’immagine, sono i seguenti:

•  Linea•  Forma

•  Colore

•  Texture (tessitura o trama di superficie)

•  Materiale

Linea

La linea può essere definita come la traccia di un punto che si muove dinamicamente nello spa-zio. La linea può essere retta o curva. Secondo la definizione euclidea, la linea retta è la linea più

corta che unisce due punti. La linea retta può essere orientata nello spazio secondo tre direttrici: o-

rizzontale, verticale e diagonale.

Come afferma Arnheim in Arte e percezione visiva, ogni linea disegnata su un foglio è come una

pietra lanciata in uno stagno; vedere è come percepire un’azione. Così come le onde provocate

dall’impatto della pietra con la superficie dell’acqua rimandano all’azione del lancio della pietra,

così una linea tracciata su una superficie rimanda all’azione compiuta, al gesto che ha prodotto ilsegno.

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Gli oggetti della realtà ci colpiscono per le loro forme, i volumi, i colori, le luci; raramente per-

cepiamo un oggetto attraverso le sue linee. La linea rappresenta il limite, il confine tra l’oggetto e lo

sfondo; in genere la linea, così definita, corrisponde al margine di separazione dove si riscontra il

maggiore contrasto d’intensità luminosa tra l’oggetto e lo sfondo su cui esso si staglia.

Anche se nella realtà non esistono oggetti così come sono rappresentati dal disegno a tratto (cor-

risponderebbero ad oggetti formati da fil di ferro), questa espressione grafica è un buon esempio e-

splicativo della funzione della linea come limite tra superfici.

Esaminiamo ora le varie tipologie di linea e di orientamento.

 La linea orizzontale è la linea che congiunge le due parti del campo visivo sinistra/destra. Tra

tutte, esprime un significato massimo di stabilità perché poggia stabilmente e continuativamente su

una base orizzontale.

 La linea verticale è una linea regolare che congiunge le due parti basso/alto. Esprime un signifi-

cato di innalzamento, di slancio, di verticalità appunto.

 La diagonale, secondo la sua definizione geometrica, è quella linea che unisce i due angoli opposti

di un poligono. Secondo un’accezione più generale è una linea che attraversa obliquamente, rispetto

a dei presunti assi ortogonali (verticale/orizzontale), uno spazio qualsiasi, anche non ben delimitato

da una forma geometrica. E’ una linea che esprime instabilità, dal momento che gli assi ortogonali

(orizzontale e verticale) con cui è posta in relazione, sono al contrario molto stabili e regolari. Per

queste caratteristiche è una linea dinamica che esprime movimento. Si può osservare un effetto di-

namico della diagonale nella rappresentazione pittorica dei mulini a vento olandesi. Arnheim (1974)afferma che i mulini a vento appaiono statici quando le pale sono rappresentate in posizione ortogo-

nale, mentre sembrano muoversi quando le pale sono poste in diagonale, a 45 gradi rispetto alla

precedente posizione ortogonale. La diagonale che attraversa uno spazio dalla parte inferiore sini-

stra verso la parte superiore destra è percepita come ascendente; al contrario una diagonale che at-

traversa lo spazio dalla parte inferiore destra verso la parte superiore sinistra è vista come discen-

dente.

Quando la linea diagonale è presente in maniera massiccia, si può creare una rotturadell’equilibrio che può generare anche incertezza e disorientamento nell’osservatore.

Curva. La linea curva è una linea che per le sue caratteristiche geometriche non presenta repenti-

ni cambiamenti di direzione e non produce angoli netti e precisi. Queste qualità fanno sì che, in ge-

nerale, le forme curve vengano viste come morbide e suscitino in chi le osserva un senso di tran-

quillità e di distensione. Un’esasperata ripetizione della linea curva (come si può ottenere in cerchi

concentrici o in forme a spirale), dal momento che viene percepita come estremamente dinamica e

in movimento, potrebbe, al contrario, provocare inquietudine e agitazione se non addirittura uno sta-

to di vertigine.

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Spezzata. La linea spezzata, in contrapposizione alla linea curva, presenta rapidi e continui cam-

biamenti di direzione che formano angoli acuti e spigoli. Gli angoli acuti che si vengono a formare

possono essere percepiti come acuminati, pungenti, inquietanti. Un oggetto acuminato, in cui pre-

valga la linea spezzata può essere percepito come pungente e minaccioso. Di una persona diciamo

che è spigolosa quando presenta tratti del suo carattere che denotano una certa durezza.

In Tabella 1, sono descritte in maniera sintetica le diverse tipologie di linea con riferimento alle

principali caratteristiche strutturali.

Tab. 1. Possibili tipologie di linee

Linea Retta, Spezzata, Curva, Chiusa, Aperta 

Tratto grafico Leggero, Calcato, Sottile, Spesso 

Direzione Verticale, Orizzontale, Diagonale 

Relazione con gli assi Centro, Alto, Basso, Destra, Sinistra 

Aspetti Compositivi Equilibrio, Simmetria, Ritmo, Peso, Dinamismo 

Espressività Dinamico/Statico, Morbido/Duro, Rilassante/Inquietante ecc. 

Forma

Le linee che delimitano superfici chiuse sono definite forme. Le forme regolari di base sono il

triangolo, il quadrato e il cerchio. Queste forme sono definite dalla direzione dei lati, orizzontali,

verticali, diagonali e curvi. Essendo le forme costituite da segmenti, è valido, in generale, il discorso

fatto precedentemente sulle linee. Il quadrato per la sua regolarità e simmetria (lati e angoli uguali) e per il fatto che poggia in ma-

niera stabile sulla base esprime solidità e fermezza. Più in generale, i rettangoli (il quadrato è infatti

un caso specifico di rettangolo) possono essere molto diversi in relazione al rapporto tra base e al-

tezza. Quanto più il rapporto è sbilanciato a favore della base (un rettangolo molto largo e poco al-

to) tanto più apparirà stabile, in quanto è maggiormente presente una dimensione orizzontale. Se lo

si ruota di 90° in maniera che poggi sul alto corto, risulterà meno stabile, ma slanciato.

 Il triangolo è costituito da linee miste, orizzontali, verticali e diagonali. Il prevalere di una diqueste determinerà il tipo di triangolo (equilatero, isoscele, scaleno). Il suo significato dipenderà

anche dall’orientamento. Se il triangolo poggia sul lato orizzontale sembrerà stabile alla base e

slanciato nella verticalità; se lo si ruota di 180°, con appoggio sul vertice dei due lati, la sua preca-

rietà e instabilità sarà massima e subirà uno schiacciamento del lato orizzontale superiore.

 Il cerchio, rispetto al quadrato e al triangolo, è la figura più simmetrica, in quanto ogni punto

della circonferenza è identico a qualsiasi altro punto. Se ruotiamo il cerchio di 90° o di 180° come

abbiamo fatto prima con le altre due figure, non otteniamo nessun cambiamento, la figura rimane

identica a se stessa. Per la sua simmetria e per il fatto che è formato da linee curve ed ha una base

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d’appoggio molto ridotta, viene percepito come una figura molto dinamica che comunica

un’impressione di rotolamento, di movimento circolare o di scorrimento (confronta Tabella 2).

Tab. 2. Possibili tipologie di forme ed esempi di descrizione

Forma Triangolo, Quadrato, Rettangolo, Rombo, Cerchio, Trapezio ecc. 

Direzione Verticale, Orizzontale, Diagonale Relazione con gli assi Alto, Basso, Destra, Sinistra, Centro 

Aspetti Compositivi Equilibrio, Simmetria, Ritmo, Peso, Dinamismo 

Espressività Dinamico/Statico, Morbido/Duro, Rilassante/Inquietante ecc. 

Colore

Il mondo è ricco di un’infinita e svariata gamma di sfumature cromatiche. La percezione del co-

lore è il risultato di un continuo scambio tra le informazioni presenti nella luce e l’assorbimento e la

riflessione della luce nel suo incontro con gli oggetti presenti nell’ambiente. La realtà cromatica na-sce dunque da una complessa combinazione tra queste due entità, luce e oggetti, oltreché, ovvia-

mente, dalla presenza di un sistema biologico adatto a coglierla.

Nonostante l’infinità varietà di gradazioni cromatiche, sono state proposte nei secoli diverse mo-

dalità di classificazione del colore. E’ differente la prospettiva da cui lo si osserva. Il fisico, il fisio-

logo o l’artista attribuiranno di volta in volta rilevanza a diverse caratteristiche del colore. Un primo

livello di riduzione è quello di classificare i colori in primari e secondari: primari, in quanto non si

possono ottenere da nessuna mescolanza e secondari perché provengono dalla combinazione deiprimari. Per lo scienziato i colori primari sono il rosso, il verde e il blu. Per il pittore invece, i colori

primari sono il rosso, il giallo e il blu. La lunga diatriba (anche tra gli stessi scienziati) ha avuto

spesso come oggetto il giallo. Si sono infatti contrapposte teorie tricromatiche (con tre colori prima-

ri di base) contro teorie quadricromatiche (con quattro colori di base) in cui il giallo era presente o

nell’una o nell’altra teoria. L’unione dei colori primari se si utilizza la prospettiva scientifica o arti-

stica dà risultati diversi. Nel primo caso si combinano delle luci e quindi delle lunghezze d’onda,

nel secondo caso si mescolano dei pigmenti. Se lo scienziato unisce quelli che ritiene due coloriprimari (due lunghezze d’onda diverse), per esempio, la luce rossa e la luce verde, ottiene il colore

(luce) giallo. Se invece il pittore unisce gli stessi colori rosso e verde (questa volta come pigmenti)

ottiene il marrone. Se si sovrappongono le tre luci (sintesi additiva) si ottiene la luce bianca, se si

mescolano i tre colori (sintesi sottrattiva) si ottiene il nero.

Come esempio di classificazione dei colori si può prendere in considerazione il “cerchio croma-

tico” del pittore Johannes Itten (1888-1967; Fig. 1). Itten (1961) ha proposto un sistema di suddivi-

sione, classificazione e produzione dei colori primari, secondari e terziari partendo da un triangolo

equilatero, inscritto in un cerchio composto dai tre colori primari: rosso, giallo e blu. Se si combi-

nano i colori primari che compongono il triangolo, due a due, si ottiene: giallo + blu = verde; rosso

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+ giallo = arancio; blu + rosso = viola; questi ultimi tre triangoli (verde, arancione e viola) formano

i colori secondari. Si definisce così un esagono regolare i cui vertici toccano un cerchio che è com-

posto dai colori primari e secondari e da sei colori intermedi. I colori opposti nel cerchio sono colori

complementari: si dicono complementari due colori che mescolati tra di loro generano il grigio pu-

ro. Ad esempio, rosso (primario) e verde (secondario, ottenuto dalla mescolanza di giallo e blu) co-

stituiscono una coppia di colori complementari. Le altre due coppie di colori complementari sono:

giallo (primario) e viola (secondario); blu (primario) e arancione (secondario). L’individuazione dei

colori complementari è significativa per gli effetti reciproci che determinano. La percezione del sin-

golo colore è sempre influenzata dal colore adiacente (contrasto simultaneo di colore).

Fig. 1. Itten, Il cerchio cromatico, 1961

L’aspetto forse più importante per l’osservatore è il significato affettivo ed espressivo che si at-

tribuisce ai colori. Una prima classificazione dei colori in questi termini è data dalla dicotomia cal-

do/freddo. Sono considerati “caldi” quei colori che sono associati per contiguità cromatica con la

luce solare che irradia energia e calore e per analogia con il fuoco. Sono dunque colori caldi per la

“temperatura” che intrinsecamente contengono e sono il rosso, il giallo, l’arancione, i derivati e i

composti che da questi discendono.

I colori caldi sembrano riscaldare la superficie del dipinto e per questo danno una sensazione di

calore e di energia. L’associazione dei colori caldi col sole e col fuoco è immediata. Sono colori po-

sitivi in quanto, da un punto di vista evoluzionistico, hanno avuto la funzione di evocare vita ed e-

nergia che non sarebbero possibili in assenza di luce. Esprimono dunque qualità come energia, di-

namismo, vigore, vivacità. Il colori caldi hanno in genere un effetto di apertura, espansione, dilata-

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zione nella zona circostante. Un oggetto dinamico è probabilmente rappresentato più frequentemen-

te con un colore caldo come rosso o giallo.

Quando diciamo di una persona che è calda, rileviamo alcuni tratti come, affettuosità, tenerezza,

dolcezza. Il calore metaforico espresso dalla persona induce ad un avvicinamento in quanto elemen-

to caratterizzato positivamente.

Colori freddi. Vengono definiti colori “freddi” quei colori che sono associati ai colori del cielo,

dell’acqua e della natura; sono il blu, il verde, il viola e tutti quei colori che derivano da queste to-

nalità. I colori freddi sono vissuti come più statici, distanti e spirituali. Danno una sensazione di

maggiore freschezza in quanto rimandano ad elementi naturali che possiedono una temperatura ri-

dotta.

Ma vediamo più in dettaglio i singoli colori e il possibile significato espressivo. Nell’attribuzione

di valore simbolico ai colori bisogna sempre tenere presente che il significato conferito è sempre

frutto di convenzioni, consuetudini e consensi presenti all’interno di una particolare cultura e socie-

tà, nella sua evoluzione storica. Il significato che si attribuisce allo stesso colore potrebbe essere dif-

ferente tra società diverse, ma potrebbe anche assumere significati differenti a seconda dei momenti

storici.

Bianco, nero e grigio. Dal punto di vista della luminosità, il bianco, il nero e il grigio non ven-

gono considerati colori veri e propri; sarebbero tinte con assenza di colore. Il bianco corrisponde al-

la somma di tutti i colori. Se infatti sommiamo tutte le lunghezze d’onda dello spettro cromatico ot-

teniamo il bianco. La luce che proviene dalle radiazioni solari è bianca proprio perché è il risultatodella sommazione di tutti i colori dello spettro. Al contrario il nero è l’annullamento del colore. Il

buio, l’oscurità, l’assenza di luce corrisponde all’impossibilità di vedere e quindi all’assenza di lu-

minosità. Il grigio è un non colore che si colloca in una posizione intermedia tra il bianco e il nero a

seconda delle quantità di bianco e nero presenti. In uno specifico grigio si può distinguere la percen-

tuale di bianco e di nero proporzionali alla luminosità contenuta.

Da un punto di vista percettivo però, il bianco, il nero e il grigio sono considerati colori veri e

propri in quanto esprimono e comunicano all’osservatore tutta una serie di sensazione e d emozionispecifiche.

Bianco. Il bianco da un punto di vista simbolico è considerato il colore della purezza,

dell’innocenza, della bontà, del bene ecc. Come dicevamo prima, il significato che si attribuisce al

colore può variare a seconda del contesto storico, sociale, culturale e contestuale. Per esempio, in

Cina, il bianco è il colore del lutto perché simbolicamente starebbe ad indicare il percorso che il de-

funto compie verso la purezza.

Nero. Essendo il nero il colore dell’oscurità, nella cultura occidentale è considerato il colore del

lutto, della perdita, del dolore e dell’annullamento. Può anche essere associato a ciò che non si co-

nosce e dunque all’ignoto e alla paura. E’ un colore che può denotare aggressività. Però il nero è

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anche un colore che esprime serietà ed eleganza. E’ il colore utilizzato nelle cerimonie ufficiali. Per

esempio, le automobili di rappresentanza sono nere o almeno scure. La maggior parte degli oggetti

tecnologici (computer, Hi-fi ecc) sono neri o grigi. Se applicato a questi oggetti risponde ad una

funzione di efficienza e tecnologia. L’annullamento di tonalità operata con l’uso del nero, rimanda

ad un’immagine di funzionalità in quanto l’attenzione non è distratta dalle caratteristiche cromati-

che, ma si focalizza sulla qualità di funzionamento di questi strumenti.

Essendo il bianco e il nero, l’uno il contrario dell’altro, insieme esprimono il massimo contrasto

cromatico simultaneo. Simbolicamente possono essere rappresentativi di opposti, bene/male, vi-

ta/morte ecc.

Rosso. Il rosso in termini fisici è il colore, tra quelli dello spettro visibile, con la lunghezza

d’onda più elevata. Il colore rosso ha un effetto stimolante ed eccitatorio per l’organismo.

L’attivazione di correlati neurofisiologici come la frequenza respiratoria, la pressione sanguigna, il

battito cardiaco risultano aumentati durante una esposizione prolungata a questo colore (che deve

essere presente in maniera massiccia). Il rosso è infatti usato per i segnali che indicano attenzione e

allerta da parte dell’osservatore proprio perché sfrutterebbe questa caratteristica di attivazione fisio-

logica naturale. E’ dunque un colore che esprime energia, dinamismo, forza, coraggio.

Il rosso, essendo un colore caldo, è anche un colore gioioso con cui sottolineare un evento piace-

vole e positivo (per esempio, le decorazioni natalizie sono rosse).

Il rosso è anche il colore del sangue; di una persona si dice che ha un carattere sanguigno; si in-

tende con questo termine indicare una persona vivace, coraggiosa, estroversa, passionale. E’ ancheil colore del cuore e quindi metaforicamente si associa alla passione amorosa; infatti è spesso usato

per evocare erotismo (labbra rosse, unghie laccate, luci rosse, ecc).

Giallo. Il giallo, rispetto a tutti gli altri colori è quello più luminoso (dopo il bianco ovviamente).

Trattandosi di un colore caldo e luminoso ha la caratteristica di essere attivante e vivace; per la sua

luminosità ha la capacità di irradiamento ed espansione nelle zone circostanti. Il giallo viene inter-

pretato principalmente con caratteristiche positive in quanto può rappresentare la luce e la materia;

inoltre è il colore dell’oro, del grano maturo, tutti oggetti connotati positivamente. Potrebbe peròesprimere anche emozioni negative come gelosia e rabbia.

Blu. Il blu, per il suo rimando immediato alle colorazioni del cielo e del mare, è visto come un

colore della distanza spaziale, dell’allontanamento e della spiritualità proprio perché rimanda alle

cose non terrene, ma celestiali o alla profondità e immensità marina. Il blu o l’azzurro evocano sen-

sazioni di infinito. E’ associato principalmente ad emozioni positive come calma, riposo e tranquil-

lità; può essere il colore della contemplazione e della spiritualità. “Nell’azzurro si trova la potenza

del significato profondo… E’ il tipico colore del cielo, la sensazione fondamentale che crea è di ri-

poso”. Kandinsky, Lo spirituale nell’arte.

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Essendo incluso tra i colori freddi potrebbe anche essere percepito come un colore sfuggente,

lontano, razionale. Il blu, o le varie tonalità di blu, vengono utilizzate nei prodotti usati per l’igiene

della casa, del bagno e della cucina poiché hanno a che fare con l’acqua e dunque con la pulizia.

Colori secondari. I colori secondari sono quelli prodotti dall’unione di coppie di colori primari

(blu + rosso = verde; rosso + giallo = arancione; blu + verde = viola).

Verde. Il verde rimanda immediatamente alla natura, all’erba, alla vegetazione, in particolare

quando questa è nel periodo di massimo rigoglio. I prati e le foreste assumono le colorazioni delle

varie tonalità del verde. Sappiamo da numerosi studi come l’azione del verde sul nostro organismo

è riposante, benefica e rigenerativa. Ricordiamoci che il verde è un colore che si ottiene dalla me-

scolanza tra blu e giallo, ma viene avvertito come un colore a se stante. Il movimento che si occupa

del rispetto ambientale si definisce “verde” proprio per l’impegno rivolto alla salvaguardia delle ri-

sorse naturali. Ha connotazioni positive che rimandano a freschezza e naturalezza.

Il verde è codificato nella nostra cultura come il colore dell’accesso (il verde del semaforo) o del

colore che indica l’inizio di un’azione da compiere.

Il verde, in alcuni casi potrebbe avere delle interpretazioni negative; è anche il colore della putre-

fazione, del marcio; negativo dunque, ma anche utile perché ci informa a livello visivo sullo stato di

conservazione dei cibi, evitandoci spiacevoli intossicazioni causate dall’ingerimento di questi.

Arancione. L’arancione è un colore caldo ottenuto dalla mescolanza di rosso e giallo. In questo

colore si avverte implicitamente la presenza dei due primari generatori. E’ una combinazione tra la

vivacità del rosso e la luminosità del giallo, tra l’energia del rosso temperata dalla luminosità delgiallo. Due colori vivaci e luminosi producono un colore, l’arancione, che a sua volta è esso stesso

caldo e vivace. Esprime un’energia trattenuta e controllata, sempre con connotazioni positive. E’ un

colore allegro che può comunicare ottimismo ed estroversione.

Viola. Il viola è dato dalla mescolanza di rosso e blu, è quindi una combinazione di energia pro-

veniente dal rosso con la profondità e spiritualità del blu. Anche il viola può essere simbolo del lut-

to: nella liturgia cattolica gli arredi sacri della Pasqua sono viola e stanno ad indicare la morte e la

resurrezione. E’ probabile che per questo motivo il viola sia considerato un colore connotato nega-tivamente. Negli ambienti dello spettacolo porta sfortuna vestirsi di viola e quindi è un colore rigo-

rosamente bandito.

Marrone. Il marrone è un colore che si ottiene dalla somma di diversi colori, rosso, giallo scuro

e viola. Non è considerato un colore terziario, ma è un colore importante perché è associato alla ter-

ra. Il tronco degli alberi è marrone. Il marrone in virtù di questa analogia esprime realismo, concre-

tezza e materialità.

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Tab. 3. Possibile classificazione delle caratteristiche cromatiche

Colori primari Rosso, Giallo, Blu 

Colori secondari Verde, Arancione, Viola 

Collocazione delle masse cromatiche Alto, Basso, Destra, Sinistra, Centro 

Aspetti Compositivi Equilibrio, Simmetria, Ritmo, Peso, Dinamismo cromatico 

Espressività del colore Caldo/Feddo, Dinamico/Statico, Morbido/Duro, Rilassante/Inquietante ecc. 

Texture 

Mentre il colore fa riferimento ad una o più parti distinte della superficie complessiva del dipin-

to, la texture (che non è necessariamente sempre presente) è quella trama cromatica della superficie,

ottenuta spesso con la ripetizione regolare di un tratteggio lineare. La texture è spesso fatta a matita

o ad inchiostro, ma può anche assumere colorazioni uniformi. Può dare un senso di morbidezza o

ruvidezza della superficie a seconda del tratto usato.

Tab. 4. Possibile classificazione delle textures

Texture Ampia, parziale, uniforme 

Tratto Leggero, Calcato, Sottile, Spesso 

Collocazione delle textures Alto, Basso, Destra, Sinistra, Centro 

Aspetti Compositivi Equilibrio, Simmetria, Ritmo, Peso, Dinamismo del colore 

Espressività della texures Dinamico/Statico, Morbido/Duro, Rilassante/Inquietante ecc. 

Materiale

Il materiale è costituito dall’uso di materia diversa dal pigmento pittorico utilizzato.

L’introduzione dei materiali nell’arte risale ai movimenti delle avanguardie di primo Novecento,

quando gli artisti iniziarono ad esplorare nuovi linguaggi espressivi utilizzando non più solo colori

ad olio o acquerelli, ma anche materiali come la carta (nel collage), e in seguito la stoffa, la plastica

ecc. Comunque, sia pure in modo minore, anche con l’uso di tecniche pittoriche più tradizionali, ilmateriale utilizzato (olio, acquerello) può dare una consistenza e luminosità diversa al dipinto.

Tab. 5. Possibile classificazione dei materiali

Materiali base, principali utilizzati Legno, carta, plastica, ferro ecc. 

Materiali già pronti Quotidiano/giornale, manifesto, piatti, bicchieri ecc. 

Collocazione dei materiali Alto, Basso, Destra, Sinistra, Centro 

Espressività del colore Caldo/Feddo, Morbido/Duro, Rilassante/Inquietante ecc. 

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ANALISI DELLA COMPOSIZIONE

Prendiamo ora in considerazione come gli elementi base appena descritti (linea, forma ecc.) pos-

sano essere organizzati dall’artista nella creazione della sua opera. Infatti, dal modo in cui vengono

posti in relazione linee, forme e colori, si configurerà la struttura della composizione.

Solitamente lo schema compositivo dell’immagine è costituito dai seguenti elementi.

•  Simmetria

•  Equilibrio 

•  Spazio

•  Dinamismo

•  Ritmo

•  Espressività

Simmetria

Il termine simmetria, in greco, significa proporzione, misura, equilibrio. La definizione più co-

mune di simmetria si riferisce al rapporto tra le diverse parti di una configurazione o di un oggetto

che si integrano in un tutto. Esempi di simmetria possono essere osservati non solo negli oggetti

d’arte, ma anche in elementi della natura come i cristalli, la cui composizione è costituita da una

struttura geometrica regolare.

Secondo una definizione geometrica moderna, per simmetria si intende il mantenimento

dell’identità di un oggetto in seguito ad operazioni di trasformazione: per esempio, se prendiamo un

quadrato regolare e lo ruotiamo di 90°, non saremo in grado, in seguito a quest’operazione di tra-

sformazione della figura, di notare delle differenze tra prima e dopo; in altre parole, la figura, nono-

stante siano stati operati degli scambi tra le parti, mantiene inalterata la sua identità. Possiamo dun-

que parlare di simmetria in una configurazione quando una parte dell’immagine coincide perfetta-

mente con altre parti (può quindi essere sovrapposta esattamente ad altre parti che dovranno essere

identiche alla precedente), mediante specifiche operazioni di spostamenti.

L’esempio più tipico di simmetria è quello della simmetria bilaterale. La bilancia è il classico e-sempio di simmetria bilaterale in cui esiste un’esatta corrispondenza tra destra e sinistra; ad un peso

sul piatto destro deve corrispondere un peso equivalente sul piatto sinistro per ottenere un equilibrio

perfetto. Anche il corpo umano (visto dall’esterno) è un buon esempio di simmetria bilaterale: divi-

dendolo lungo un asse longitudinale, la parte destra corrisponde, più o meno esattamente, alla parte

sinistra.

Il mantenimento dell’identità tra le parti di una configurazione può essere ottenuto in seguito a

tre operazioni di simmetria: riflessione, traslazione e rotazione.

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La simmetria di riflessione è un tipo di simmetria bilaterale, in cui la parte destra viene riflessa

nella parte sinistra o la parte inferiore in quella superiore, come quando si riflette un’immagine allo

specchio e si ottengono due immagini identiche contrapposte.

La simmetria di traslazione è quel tipo di operazione che viene realizzata mediante spostamenti

della configurazione su altre parti del piano o dello spazio. La tassellazione di un piano, per esem-

pio, se il vincolo è di usare solo figure geometriche regolari, può essere fatta solo con tre forme: tri-

angolo, quadrato (o meglio i quadrangoli) ed esagono. Se partiamo da un tassello iniziale, poniamo

il quadrato, è sufficiente operare ripetute operazioni di traslazione della figura, per ottenere una

completa e simmetrica tassellazione della superficie. Un altro esempio di simmetria traslatoria è da-

to dalla posizione spaziale delle finestre degli edifici: le finestre, in genere, sono ripetute, per trasla-

zione, alla stessa distanza l’una dall’altra, in maniera da suddividere in parti uguali l’estensione del-

la facciata del palazzo.

Una figura ha simmetria rotatoria quando una rotazione rispetto al suo centro o al suo asse cen-

trale genera una configurazione identica. Per esempio, una stella marina è composta da cinque brac-

ci, grosso modo uguali; se volessimo disegnare al computer una stella marina, potremmo iniziare da

un braccio e, operando cinque rotazioni dello stesso braccio con i comandi di copia e incolla, otter-

remmo una stella marina completa. Se ora ruotassimo di un quinto la stella marina intorno al suo

centro, avremmo una figura identica a quella precedente (prima della rotazione) e non saremmo in

grado di notare nessuna differenza tra le due immagini. Più in generale, la rotazione di una figura di

un certo numero di gradi intorno ad un centro o ad un asse, riporta una figura in un altro punto delpiano in maniera da ottenere un’esatta corrispondenza tra le figure.

Equilibrio

Per quanto riguarda l’attribuzione di equilibrio di un’immagine sono importanti diversi fattori

come: posizione rispetto agli assi, linee di forza, direzione, peso, dimensione.

Per equilibrio s’intende una situazione di massimo bilanciamento strutturale tra tutte le componenti

dell’immagine (linee, forme, colori). Ma come facciamo a cogliere l’equilibrio della composizione?Innanzitutto dalle cosiddette linee di forza. Le linee di forza della composizione rappresentano le

tensioni dinamiche tra i diversi elementi rappresentati. Un elemento molto importante nel determi-

nare l’equilibrio della composizione è il centro. In un saggio di Arnheim (1982), che ha per titolo Il

 potere del centro, veniva analizzata l’importanza di questa componente nelle immagini e nell’arte.

Secondo la definizione di Arnheim “per centro si intende, nella maggior parte dei casi, il centro di

un campo di forze, un punto focale dal quale le forze scaturiscono e verso il quale le forze conver-

gono. Ogni centro dinamico distribuisce simmetricamente intorno a sé le forze del proprio campo”

(Arnheim, 1982, trad. it., p.5).

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Prendiamo in considerazione una situazione semplicissima, quella di un piccolo cerchio inserito

in un quadrato: avremo il massimo dell’equilibrio se, inseriti gli assi ortogonali (vertica-

le/orizzontale), il cerchio si troverà nel punto di intersezione dei due assi (quindi al centro). Se inse-

riamo anche le due diagonali, che congiungono gli angoli opposti del quadrato, il cerchio risulterà

posizionato anche nel punto di incrocio fra le diagonali. Il centro del quadrato è dunque il punto di

incontro di queste quattro principali linee strutturali. Se invece collochiamo il cerchio in una posi-

zione eccentrica (fuori dal centro), per esempio, sulla diagonale superiore-destra, questo non si tro-

verà più nell’intersezione degli assi ortogonali e delle diagonali; basterà un solo colpo d’occhio per

percepire lo squilibrio del cerchio rispetto alla cornice di riferimento. Qualunque sia la posizione

del cerchio, questo subirà l’influenza delle forze dei fattori strutturali nascosti, lo “scheletro struttu-

rale” del quadrato, come lo definisce Arnheim in “Il potere del centro” (1974).

 Il peso consiste nella forza gravitazionale che attira gli oggetti verso il basso. Gli oggetti posti

nella parte bassa della superficie sembrano più pesanti degli stessi posti nella posizione alta. Per e-

sempio, a quale altezza della libreria di casa vostra mettereste libri di dimensioni e peso diverso?

Probabilmente i più grandi e pesanti in basso, mentre quelli più piccoli e leggeri in alto.

Quando il peso tra due figure poste a destra e a sinistra è lo stesso, l’immagine appare bilanciata.

La dimensione degli oggetti rappresentati è un altro fattore strutturale di equilibrio. Se, per esempio,

la figura di destra è più grande di quella di sinistra, ne risulterà uno sbilanciamento verso destra; se

l’artista volesse attribuire maggiore significato e peso al settore destro potrebbe adottare questa mo-

dalità. E’ importante cogliere i rapporti tra elementi diversi della composizione. Poniamo cheun’immagine sia composta da due quadrati, uno grande e uno piccolo. Sulla base della loro posizio-

ne li possiamo localizzare nelle due direttrici sopra/sotto, alto/basso o superiore/inferiore. Se il qua-

drato grande si troverà in alto e il quadrato piccolo in basso è molto probabile che l’organizzazione

percettiva che ne risulterà sarà costituita da questi due elementi in relazione: il quadrato grande po-

trà sembrare, per la sua dimensione, incombente e minaccioso, pronto a schiacciare (per il peso che

lo trascina verso il basso) il quadrato piccolo posto nella posizione inferiore. Al contrario, un qua-

drato piccolo nella parte alta non apparirà così minaccioso al quadrato grande; potrà apparire sospe-so e leggero e non subire gli effetti gravitazionali che lo trascinano verso il basso. Una figura posta

al centro potrà essere controbilanciata da figure più piccole posizionate in maniera “eccentrica”. Se-

condo il “principio della leva”, il peso di un elemento aumenta in relazione alla sua distanza dal

centro.

 Influenza della dimensione. A parità di alter condizioni, più grande è un ogetto più pesante sarà

percepito.

 Influenza del colore. I colori chiari e brillanti sono in genere più pesanti di quelli scuri, il rosso più

del blu e il giallo più del verde. Per esempio un’area nera deve essere più grande di un’area bianca

per poterla controbilanciare; questo è dovuto al fatto che una superficie bianca ha un potere di ir-

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raggiamento che rende la superficie brillante relativamente più larga. Anche il colore contribuisce

all’equilibrio compositivo. Data la differenza di luminosità, a parità di dimensioni, un rosso sembre-

rà avere un peso maggiore di un blu. Il peso del colore può però anche essere bilanciato da quello

determinato dalla posizione: un nero nella parte superiore potrebbe equilibrare la leggerezza di un

giallo posto nella parte inferiore.

 Influenza dell’orientamento. Una forma con orientamento orizzontale appare più pesante della stes-

sa forma orientata verticalmente. La direzione verticale fornisce uno slancio alla figura che la renda

più leggera.

Nella nostra cultura occidentale la lettura procede da sinistra a destra; è probabile che, a meno

che non ci siano elementi salienti sulla parte destra (come una macchia rossa isolata che si staglia su

uno sfondo omogeneo) è probabile che anche l’osservazione dell’immagine adotti la stessa modalità

sinistra/destra.

Spazio

Come è stato già detto anche prima, un quadro è costituito da una superficie pittorica bi-

dimensionale; ha cioè solo due dimensioni, larghezza e altezza. Gli oggetti disegnati su questa su-

perficie si trovano fisicamente tutti alla stessa distanza dall’osservatore. Un problema importante

per gli artisti che operano in questo ambito (entro la superficie del quadro) è quello della resa della

profondità spaziale nella rappresentazione pittorica avendo a disposizione solo due dimensioni. Nel

corso dei secoli artisti, matematici e scienziati hanno codificato delle regole definite “indici pittori-ci” per rendere la spazialità nel dipinto. Gli indici pittorici più conosciuti e utilizzati sono: il chiaro-

scuro, la sovrapposizione, la grandezza familiare, la prospettiva aerea e la prospettiva lineare.

Chiaroscuro. In genere, le parti più chiare di un’immagine sono anche percepite come più vicine,

mentre, al contrario, le parti più scure risultano più lontane. Un corpo solido che viene illuminato da

una luce, avrà una parte del solido stesso in ombra; la parte illuminata è, solitamente, più vicina

all’osservatore della parte in ombra. I giochi di chiaroscuro, anche cromatico, forniscono un impor-

tante indizio di profondità.Sovrapposizione. Una figura sovrapposta ad un’altra appare in primo piano e dunque più vicina;

la figura parzialmente nascosta da quella sovrapposta apparirà in secondo piano e quindi più lonta-

no. Perché funziona il fenomeno della sovrapposizione? Perché sfrutta la percezione della regolarità

delle figure. Pensate ad una situazione formale descritta come un rettangolo sovrapposto ad un cer-

chio. Quello che abbiamo di fronte può essere costituito in realtà da un rettangolo completo e un

semicerchio adiacente al rettangolo. Di fatto, in maniera automatica, noi correggiamo questa in-

completezza del cerchio (il semicerchio fisicamente presente) in un cerchio completo, ma posto al

di sotto del rettangolo e quindi in secondo piano.

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Grandezza familiare. In genere, oggetti come alberi, persone, animali hanno dimensioni a noi

note, appunto familiari. Se nel quadro sono raffigurate persone di dimensioni differenti, in base alla

grandezza conosciuta si percepiranno le persone di dimensioni maggiori in primo piano e più vicine

mentre quelle più piccole risulteranno in secondo piano e quindi più lontane. Siamo in grado di ope-

rare questa collocazione spaziale in profondità grazie al fatto che conosciamo la reale dimensione

della persona e se vediamo persone molto piccole assumiamo che siano persone di dimensioni nor-

mali ma collocate più in lontananza.

Prospettiva lineare. La prospettiva lineare è un sistema ottico-geometrico di rappresentazione

del mondo tridimensionale su una superficie bidimensionale, codificato nei trattati degli artisti rina-

scimentali italiani come Brunelleschi, Alberti, Piero della Francesca, Leonardo. Nella codificazione

rinascimentale della prospettiva si è ottenuta la massima veridicità della profondità spaziale che si

osserva in natura. La prospettiva lineare tiene conto di come gli oggetti, attraverso i principi della

geometria proiettiva (proiezione delle linee in uno o più punti di fuga), sono rappresentati su un pi-

ano. Il sistema di rappresentazione della prospettiva è ritenuto essere la forma di codificazione bi-

dimensionale del mondo tridimensionale più vicina al reale modo di funzionamento del nostro si-

stema visivo.

Prospettiva aerea. L’intensità cromatica degli oggetti diminuisce con la distanza. Gli oggetti più

lontani nel nostro campo visivo tendono ad una colorazione azzurro-grigiastra. Se osserviamo un

paesaggio, possiamo notare come le colline in lontananza appaiano più velate, sfumate degli altri

elementi più vicini. Uno dei primi artisti ad aver utilizzato la prospettiva aerea per conferire una re-sa tridimensionale al dipinto è Leonardo da Vinci: in alcuni suoi dipinti, l’ambiente naturale che fa

da sfondo ai personaggi in primo piano, assume questa colorazione cromatica azzurrognola che ac-

centua la profondità della rappresentazione. Il fenomeno della prospettiva aerea è dovuto ad una

leggera foschia presente nell’aria; più gli oggetti sono lontani tanto più i raggi luminosi dovranno

attraversare maggiori quantità di particelle di umidità sospese nell’atmosfera; questo determina la

diversa colorazione degli oggetti più lontani in seguito alle diverse rifrazioni che subisce la compo-

sizione spettrale dei raggi luminosi. In una giornata in cui soffia un vento freddo di tramontana cherende pulita l’aria, le montagne lontane ci appaiono più vicine rispetto ad una giornata con tempo

coperto, in cui è presente una maggiore quantità di pulviscolo atmosferico.

Dinamismo

Se il movimento può essere definito come la modificazione fisica e graduale della posizione di

un oggetto nello spazio in relazione al tempo, il dinamismo può essere definito come l’attribuzione

di movimento ad un oggetto o ad un’immagine che di per sé è statica. La percezione del dinamismo

figurale è legata a fenomeni di strutturazione ed organizzazione della figura, dove entrano in gioco i

vari elementi costitutivi dell’immagine (assi, diagonali, relazioni sopra-sotto ecc.).

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Artisti, pittori, grafici, illustratori, fin dall’antichità, hanno sempre cercato di rappresentare il di-

namismo di elementi della scena su una superficie bidimensionale che di per sé è statica. Cutting

(2002) ha svolto un’analisi delle diverse modalità che gli artisti hanno utilizzato per raffigurare per-

sone od oggetti in movimento. Egli riconduce a cinque, le modalità che sono state utilizzate per

rappresentare il movimento: 1) Un equilibrio dinamico ottenuto attraverso la rottura della simmetria

della figura; 2) La rappresentazione di immagini multiple (stroboscopiche), attraverso la sovrappo-

sizione parziale o la traslazione e la conseguente creazione di ritmo; 3) Il piegamento in avanti

dell’immagine in una posizione diagonale; 4) La sfocatura, che simula la persistenza dell’immagine

sulla retina; 5) Le linee d’azione come frecce o semplici linee, come vengono utilizzate frequente-

mente nei fumetti.

Ritmo

Strettamente legato al dinamismo è il concetto di “ritmo”. Il ritmo è stato originariamente utiliz-

zato in musica. Il principio del ritmo in musica consiste nella ripetizione di suoni ad intervalli ugua-

li e regolari nel tempo. Per estensione, in una configurazione, il ritmo può essere definito come la

ripetizione regolare di elementi simili o che variano gradualmente di dimensione e di intensità cro-

matica, purché questi elementi siano sempre distinguibili come unità figurali omogenee.

In un caso semplicissimo la ripetizione di una linea secondo un andamento orizzontale costitui-

sce il ritmo della struttura complessiva. Se le linee sono intervallate da altre figure geometriche, non

si può più parlare di ritmo perché si é persa l’unità della figura che, in quest’ultimo caso, non é piùcostituita da un unico elemento ripetuto.

Espressività 

Wertheimer affermò un giorno che “Il nero è lugubre prima ancora di essere nero”. Ancor prima

di percepire il nero come un colore con caratteristiche cromatiche specifiche, Wertheimer sosteneva

che esprimesse un carattere “lugubre”, funereo, cupo. Allo stesso modo potremmo dire che il rosso

esprime energia e vivacità prima ancora di essere rosso. Nel linguaggio quotidiano usiamo espres-sioni idiomatiche quando diciamo: è una persona quadrata, spigolosa, dura, acuta, ottusa, mollac-

ciona. Quando si dice che una persona è spigolosa utilizziamo una caratteristica formale (gli spigoli

di una linea spezzata, un contorno angolare) per attribuire una connotazione emotiva al carattere di

un individuo. L’esempio forse più noto sulle qualità espressive è quello di Arnheim del salice pian-

gente: quest’albero non viene visto come triste perché assomiglia ad una persona triste, ma perché

la sua forma, la sua flessuosità, il suo pendere passivo impongono una configurazione strutturale

simile a quella della tristezza negli esseri umani.

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Il termine espressività fa riferimento dunque a quell’insieme di significati affettivi e cognitivi

che vengono attribuiti alle immagini e agli oggetti, attraverso le componenti strutturali come linee,

forme, colori, materiali ecc. Si tratta di osservare con attenzione l’organizzazione degli stimoli per-

cettivi e il gioco delle loro interazioni reciproche per cogliere le dinamiche espressive. La gamma

delle possibili qualità espressive degli oggetti è vastissima e, come si può ben immaginare, costitui-sce il risultato forse più importante nel riconoscimento del significato dell’opera.

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Interpretazione

Dopo aver compiuto le prime due fasi di descrizione e di analisi procediamo ora alla fase, proba-

bilmente di maggior interesse anche se di maggior difficoltà, in cui si cercherà di mettere a frutto il

lavoro appena compiuto.

E’ chiaro che già alcuni elementi di interpretazione li abbiamo colti nel momento in cui abbiamo

analizzato la composizione. Quando si è parlato di dinamismo, di relazioni cromatiche, di espressi-

vità, sono stati utilizzati termini e concetti propri di un’analisi interpretativa. Negli esempi proposti

in cui si è detto che la linea spezzata poteva risultare minacciosa, pungente, abbiamo attribuito delle

qualità tipicamente umane, emozionali, intenzionali ad un elemento grafico composito.

Dobbiamo tenere presente che un’artista, attraverso il suo processo creativo, produce un manu-

fatto con lo scopo di esprimere, e possibilmente anche comunicare ad altri, tutta una serie di idee,

pensieri, concetti, punti di vista, emozioni ecc. Avendo di fronte quest’oggetto dobbiamo tentare di

compiere un’analisi descrittiva delle sue componenti costitutive per giungere alla fase finale di at-

tribuzione di significato.

Proviamo a fare un esercizio. Facciamo finta che in quel noioso museo che avevate visitato con-

trovoglia, vi sia stata un’opera, figurativa o astratta, che vi ha colpito. A questo punto, vi propongo,

a conclusione del percorso, una griglia di domande alle quali dovreste cercare di dare una risposta.

-  Esiste un equilibrio compositivo? Se esiste, come è stato raggiunto? Attraverso il bilancia-

mento dei volumi, per omogeneità cromatica, per contrasto forma/colore?-  Suggerisce un’idea di staticità o di dinamismo? Se lo trovate dinamico, verso quale direzione

si sviluppa il movimento? E ancora, dal momento che gli elementi sono fisicamente statici, a

che cosa attribuite il dinamismo (per esempio dall’uso della diagonale)?. Oppure l’immagine

è costruita attraverso un processo di traslazione simmetrica della configurazione?

-  Prevale la forma o il colore, o viene raggiunto un equilibrio?

-  Sono utilizzati colori primari? Sono presenti contrasti tra colori adiacenti? Esiste una preva-

lenza di elementi cromatici volti a favorire l’espressione di stati d’animo ed emozioni?-  Come sono collocati i soggetti nello spazio? Si coglie una profondità della scena rappresenta-

ta e sulla base di quali indizi pittorici è ottenuta (prospettiva, sovrapposizione, grandezza fa-

miliare ecc)? Oppure il dipinto è completamente appiattito sulla base di forme adiacenti collo-

cate sullo stesso piano?

-  Sulla base dell’analisi percettiva compiuta, cosa pensi che l’artista volesse comunicare?

-  Che significato/i pensi possa avere questa opera?

-  A che tipo di pubblico può piacere e interessare?

-  Che sentimenti ed emozioni suscita?

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-  Sono presenti elementi simbolici (rappresentativi di significati che vanno oltre gli aspetti rea-

listici)? Da che cosa sono caratterizzati?

-  E’ possibile attribuire all’opera un significato complessivo o predominante?

-  Sei in grado di collocare l’opera, attraverso l’analisi formale e compositiva, nella corrente ar-

tistica di appartenenza?

VALUTAZIONE PERSONALE

Una volta che siamo stati in grado di dare un’interpretazione al lavoro possiamo anche esprimere

una valutazione personale.

•  Ti è piaciuto questo lavoro?

•  Pensi che sia un buon lavoro?

•  Pensi che sia importante?

•  Lo metteresti a casa tua?

•  Lo compreresti?

•  Andrebbe bene per un museo?

•  Continui a non capirlo?

Siamo così giunti alla conclusione di questo percorso. Vi ricordate, che all’inizio, uno dei consi-

gli era quello di trattenerci dall’esprimere giudizi in termini di mi piace/non mi piace, bello/brutto.

Bene, ora è finalmente arrivato il momento in cui possiamo manifestare liberamente la nostra valu-tazione personale, a patto però che siamo anche in grado di motivarla e giustificarla. Ma attenzione,

si potrebbe anche arrivare ad affermare “è brutto”, “non mi piace”, “però lo trovo interessante o ad-

dirittura affascinante”: bene avremmo raggiunto il nostro obiettivo!

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SCHEDEDall’Impressionismo all’Arte Concettuale

Con le schede seguenti vorrei dare un esempio di come possano essere sintetizzate, in manieramolto essenziale, limitata e schematica, le più importanti correnti artistiche dalla fine dell’800 finoai giorni nostri (arte moderna e contemporanea) attraverso una chiave di lettura che tenga conto deiprincipi percettivi di base che abbiamo imparato a conoscere nelle fasi precedenti.

Come si può notare, in queste schede si parte dall’Impressionismo. Come mai? E tutta l’arte pre-cedente? Non è mia intenzione ripercorrere cronologicamente le tappe più significative delle corren-ti artistiche fin dall’antichità, ma il fatto di iniziare dall’Impressionismo, con cui cominciaquell’affascinante viaggio espressivo del superamento dell’imitazione naturale e della rappresenta-zione realistica per costruire un nuovo linguaggio della figurazione fatto di un lessico composto daelementi strutturali molto diversi, ha una sua giustificazione. In numerose ricerche condotte, che a-vevano come oggetto di studio il confronto tra i due generi artistici figurativo e astratto, o tra arte“antica” contro “moderna e contemporanea”, è emerso un dato stabile e robusto che ha mostratocome le persone, in genere, preferiscono l’arte figurativa rispetto a quella astratta. Le persone chepreferiscono l’arte figurativa, sostengono questa scelta perché trovano questo genere artistico piùcomprensibile, semplice e immediato; la scomparsa del realismo produce incomprensione e perples-

sità. Di fronte alle opere di genere astratto sono utilizzate parole come “ incomprensione”, “ perples-sità”, “difficoltà”, “ignoranza”, “lontananza”, “poco interesse”.

Non tutti sono dunque in grado di interpretare linee, forme e colori come costitutivi di una di-mensione estetica comprensibile e degna di essere apprezzata. La maggior parte delle persone, perloro stessa ammissione, sembra non riuscire a cogliere le potenzialità del linguaggio visivo usatodall’artista, che rimarrebbe inespresso. L’arte figurativa produce piacere e interesse principalmenteperché più comprensibile dell’arte astratta. I visitatori di un museo, per esempio, sono in grado diattribuire un significato all’oggetto rappresentato e ne possono cogliere la fattura di buona riprodu-zione del reale; viene restituito un significato agli oggetti percepiti. E’ chiaro che ci possono esserelivelli di comprensione e di lettura dell’oggetto d’arte più approfonditi e sofisticati che vanno oltrela semplice rappresentazione realistica e naturale e rimandano a significati di tipo storico, simboli-co, metaforico ecc.

Secondo il concetto di “fluidità di elaborazione”, più è fluido il processo di elaborazione di unoggetto da parte del percettore, più positiva risulterà la risposta estetica; in altri termini, immaginitipiche, familiari e semplici di cui si comprendano facilmente l’identità e il significato, sarebberoelaborate in maniera più fluida rispetto ad altre meno familiari e più complesse, producendo una va-lutazione estetica più positiva. Il concetto di “fluidità estetica” fa riferimento a quella conoscenza dibase sull’arte che facilita l’esperienza estetica negli individui; si acquisisce attraverso lo studio, lalettura, le visite ai musei e attraverso la continua esposizione all’arte; consiste anche nella compren-sione e nella capacità di riconoscimento dei diversi stili artistici. Una maggiore fluidità estetica pro-duce maggiore interesse e piacere nella fruizione dell’arte.

La percezione di un dipinto astratto, non porta invece all’attribuzione di senso e di identitàall’opera in quanto le persone affermano di “non capire il significato” di un oggetto composto e-sclusivamente da linee, forme, colori e materiali che non rimandano ad una rappresentazione reali-stica o naturale e ammettono di non possedere “gli strumenti per comprendere”. Si potrebbe defini-re un’esperienza non conclusa, con una componente di frustrazione (proprio perché non viene porta-to a termine questo percorso di attribuzione di senso) che conduce ad una valutazione, se non nega-tiva, di non apprezzamento di questo genere artistico, con una sospensione di giudizio (se non di ri-fiuto) per carenza di strumenti concettuali.

Le correnti sintetizzate nelle schede sono le seguenti: Impressionismo, Post-Impressionismo, E-spressionismo, Cubismo, Futurismo, Astrattismo, Espressionismo Astratto, Arte concreta, Pop art,Arte concettuale. 

La lettura delle schede riportate di seguito può essere un esercizio utile soprattutto per chi o nonconosce affatto o ha solo sentito nominare queste correnti artistiche. Tra parentesi viene riportatol’anno che può essere considerato l’inizio della corrente artistica presa in esame.

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 Impressionismo (1874) 

Con l’Impressionismo si assiste ad un cambiamento radicale, rispetto all’arte precedente di tipofigurativo, realistico, imitativo, dovuto allo sfaldamento formale dei confini precisi della rappresen-tazione naturale. Il disegno sembra grossolano e non concluso. Si assiste ad un superamento dellaprospettiva in favore di una resa della profondità attraverso i contrasti di colore. L’immagine rap-presentata non è definita, nitida; al contrario gli Impressionisti, attraverso una pennellata inquieta e

nervosa, cercavano di arrivare alla raffigurazione della sensazione pura della luce, coltanell’impressione della luminosità del paesaggio en plein air . 

Autori principali Linea Forma Colore Dichiarazioniprogrammatiche

MonetManetRenoirDegasPissarro

Presente siapure comecontorno im-preciso deglioggetti rappre-sentati

Forma ottenutaattraverso pen-nellate cromati-che.Forme naturalinon definite.

Campi di coloripuri.Effetti di con-trasto cromati-co.

Importanza della resadi luminosità e di lucedi un paesaggio en

 plein air . Uso massic-cio del colore.

Post-Impressionismo (1886) Il principale esponente è George Seurat (1859-1891). Il suo lavoro artistico è rivolto alla scissio-

ne della luce secondo criteri scientifici utilizzando una tecnica definita “Pointillisme” (Puntinismo)che consiste nell’accostare piccoli puntini di colori, prevalentemente primari, sulla superficie delquadro con lo scopo di ottenere una resa cromatica ancora più vivida e brillante.

Seurat non fu completamente soddisfatto dei risultati raggiunti. Pensava che con la tecnica delPointillisme avrebbe ottenuto colori molto più vividi e brillanti rispetto alla stesura tradizionale del

colore sulla tela. Sembrava invece che una leggera velatura offuscasse il dipinto. Comunque, nullatoglie alla portata rivoluzionaria di questa procedura pittorica che conduce allo sfaldamento totaledell’immagine.

Il suo allievo Signac propose una tecnica differente. Utilizzando non più punti, ma piccole mac-chie di colore distese sulla superficie della tela (Divisionismo) sfruttò il principio dei contrasti dicolore per dare maggior risalto cromatico agli oggetti raffigurati.

Esiste un’importante corrente del Divisionismo italiano rappresentata da artisti come Segantini,Previati, Pellizza da Volpedo.

Autori principali Linea Forma Colore Dichiarazioni

programmaticheSeurat La forma è

costituita datanti puntini dicolore

Uso princi-pale di coloriprimari

Analisi scientificadella luce e suascomposizione at-traverso la tecnicadel Pointilisme 

SignacVan Gogh

Non presente inquanto tale, ma co-me contorno ottenu-to dai contrasti cro-matici tra superficiadiacenti

La forma ècostituita damacchie di co-lore giustap-poste

Colori bril-lanti, primarie secondari

Analisi scientificacon interessi versol’espressione di e-mozioni. La tecnicausata è quella del

 Divisionismo 

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Espressionismo (primi anni del Novecento)L’Espressionismo, per esemplificare, è il contrario dell’Impressionismo. Mentre l’Impressio-

nismo cercava di rendere l’impressione oggettiva della luce e della realtà, gli artisti espressionistiaffermavano il bisogno di esprimere (da qui il termine), attraverso la pittura, emozioni e statid’animo. Questa corrente si è affermata in diverse parti d’Europa. L’Espressionismo tedesco è pro-babilmente quello più conosciuto, con il movimento Die Brücke (a Berlino e Dresda con Kirchner,Nolde), e il gruppo del Blaue Reiter ( Il cavaliere azzurro, a Monaco, con Marc, Kandinskij e Klee;

la scelta dell’azzurro è prevalente in quanto simbolo di libertà e spiritualità). Ma c’è anche un E-spressionismo francese denominato Fauves con Matisse; un Espressionismo austriaco (Schiele eKokoschka); in Norvegia è rappresentato da Munch.

Autori principali Linea Forma Colore Dichiarazioniprogrammatiche

KirchnerNoldeMarcKandinskijKlee

Presente comecontorno irregola-re ottenuto dallemacchie di colore.

Non definita. In fun-zione del colore. Di-storsione della figura.

Importanza del colore cheassume forza ed energia.Uso predominante del blu,ma anche dei primari gialloe rosso

Espressione diemozioni sogget-tive e statid’animo

Cubismo (1907) Il Cubismo segna probabilmente il taglio più forte e netto con l’arte del passato. Si assiste ad una

rottura e ad una forte deformazione del soggetto rappresentato. Solitamente si fa risalire la nascitadel Cubismo all’opera di Picasso, Les Demoiselles d’Avignon, 1907.

Autoriprincipali

Linea Forma Colore Dichiarazioniprogrammatiche

Picasso 

Braque

LegerPicabia

Forte pre-senza del-

la linea,soprattuttoretta espezzata

Fondamentale importanzadella forma. Geometri-

smo irregolare (cubismoappunto), con deforma-zione del soggetto rappre-sentato

Poca rilevan-za attribuita

al colore, al-meno nellaprima fase

Rappresentazione di ciòche si sa, non ciò di che si

vede. Introduzione deltempo attraverso visionisimultanee dello stesso og-getto.Senso della relatività deipunti di vista

Futurismo (1909) Nato inizialmente come movimento letterario con il Manifesto del Futurismo di Marinetti del

1909, è conosciuto principalmente per la pittura, ma si è occupato anche di scultura, architettura,

scenografia, fotografia, grafica, cinema, e musica. Uno degli aspetti più importanti è la rappresenta-zione del movimento, della velocità e dell’energia attraverso forme dinamiche e contrasti cromatici.

Autoriprincipali

Linea Forma Colore Dichiarazioniprogrammatiche

BallaBoccioniSeveriniCarràPrampoliniDeperoMarinetti

Prevalenzadi diagonalie curve

Forma rappre-sentata sempredinamicamente.

Importanzaespressiva delcolore. Usomassiccio dicontrasti cro-matici

Rappresentazione della ve-locità, del movimento edell’energia.Oltre alla pittura interesseper scultura, fotografia, de-sign, scenografia, musica,letteratura

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Astrattismo (1910)Partendo dalla pittura espressionista, in cui è presente una forte accentuazione del colore, Kan-

dinskij approdò all’astrattismo con la sua opera “Primo acquerello astratto” del 1910. Conquest’opera si può osservare l’esemplificazione di un’arte che non ha più lo scopo dell’imitazionenaturale (i risultati di nuovi mezzi espressivi come la fotografia, il cinema e la stampa assolvevanomolto meglio questo compito), ma di essere esclusivamente puro strumento espressivo, raggiungen-do in questo modo la massima astrazione del pensiero.

Autoriprincipali

Linea Forma Colore Dichiarazioniprogrammatiche

KandinskijKleeMalevic

Mista:orizzontale, verti-cale, diagonale,spezzata, curva

Forme geometri-che.Rettangoli, cerchi,quadrati, trapezi

Importanza del colore peramplificare il significato del-la forma. Relazione tra for-ma e colore. Uso dei coloriprimari e secondari

Superamento di unconcetto di artecome imitazionedella natura. Astra-zione del pensiero.

Espressionismo astratto (anni ’40, negli USA)

Nella definizione di questa corrente americana è sintetizzata la presenza della forza cromaticadell’Espressionismo europeo di inizio Novecento con l’Astrattismo. Le opere sono costituite da unasuperficie interamente dipinta. Di questa corrente esiste una declinazione europea denominata  In-

 formale, i cui esponenti principali sono gli italiani Vedova e Burri; quest’ultimo fa uso anche di ma-teriali come sacchi e plastiche.

Autori principali Linea Forma Colore Dichiarazioniprogrammatiche

PollockRothkoDe Kooning

E’ presenteuna sorta dilinea/formaspessa, lar-

ga e caotica

Rifiuto dellaforma.Pennellate moltoforti e contra-

stanti che produ-cono forme “in-formi”

Forte presenzadi masse croma-tiche pure chericoprono inte-

ramente la su-perficie.

Presenza di unsegno che riman-da al gesto chel’ha prodotto

( Action Painting).Esplosione di e-mozioni.

Arte concreta, programmata, cinetica, optical (anni ’60)Si tratta di un’arte che non imita la natura, ma neanche produce astrazioni. Partendo dalla ricerca

scientifica sulla visione crea opere sulle illusioni ottico-geometriche, sui contrasti simultanei di co-lore, sulle regole matematiche della simmetria applicate alla composizione, sulla produzione di mo-vimento reale mediante macchine e strumenti meccanici. Artisti italiani che si riuniscono in gruppi

(Gruppo T, Gruppo N), partecipano a questa corrente.

Autori

principali

Linea Forma Colore Dichiarazioni

programmatiche

VasarelySotoLe ParcBillMunariGruppo TGruppo N

Presenza dilinee miste:orizzontali,verticali, dia-gonali e curve

Forte presenzadella forma,molto geometri-ca e regolare.Prevalenza diquadrati, trian-goli e cerchi

Colori prima-ri e forti con-trasti croma-tici

Riflessioni sui fenomeni per-cettivi e conseguenti creazioniartistiche. Produzione reale dimovimento attraverso stru-menti meccanici. Coinvolgi-mento attivo dello spettatore.

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Pop Art (anni ‘60)Il termine Pop Art proviene dalla parola inglese popular . Trae infatti origine ed ispirazione dalla

cultura di massa, dalla società dei consumi e dai molteplici linguaggi dei media: cinema, fotografia,design, packaging, fumetti e pubblicità. Le opere sono composte, in alcuni casi, da oggetti reali verie propri ripetuti serialmente (per es. confezioni di detersivi); in altri dalla riproduzione bidimensio-nale di oggetti come bottiglie di bevande o confezioni di cibi in scatola ripetuti attraverso una sim-metria di traslazione che occupa l’intera superficie dell’opera. Sono molto note le opere di Warhol

che rappresentano le icone del mondo politico, dello spettacolo e dell’industria.

Autoriprincipali

Linea Forma Colore Dichiarazioniprogrammatiche

WarholRauschenbergLichtensteinDineOldenburgJohnsWesselmannSchifanoLombardo

Uso della linealimitato solo adalcuni artisti(Lichtenstein).Uso della linea-parola.

Forme schematichee semplificate.Superamento dellaforma: uso di con-fezioni di prodotti,bottiglie di bevan-de, riprodotti se-rialmente.

Forte presenzadi colori acce-si e brillanti

Rappresentazione dioggetti di uso co-mune. Linguaggiomutuato dai media,cinema, fumetti, fo-tografia, pubblicità.

Arte concettuale (metà anni ‘60)Nell’arte concettuale si assiste alla perdita anche dell’oggetto, vero o raffigurato; è presente solo

il concetto, da qui la sua denominazione. Gli artisti appartenenti a questo movimento affermano chenon è neppure necessario che l’opera venga realizzata, ma può essere anche solo rappresentata, peresempio attraverso il linguaggio.

Autori

principali

Linea Forma Colore Dichiarazioni

programmatiche

Kosuth,

NaumanBeuys

Assenza della linea

a meno che non siintenda la scritturacome segno-linea

La forma è indisso-

lubilmente legataalla parola, al con-cetto espresso

Il colore è reso

dalla luce reale(frequente l’usodel neon)

Lo scopo è quello di rendere

manifesti i meccanismi delpensiero e dei processi menta-li attraverso rappresentazionidiverse di uno stesso concetto(per esempio, l’oggetto reale,la raffigurazione pittorica e laparola).

Minimalismo (anni ’60)Per minimalismo si intende quella corrente artistica in cui l’opera è ridotta alle sue caratteristiche

essenziali o minimali appunto. Linee, forme e colori sono concepiti come elementi primari e senzanessun tipo di orpello in eccesso.

Autoriprincipali

Linea Forma Colore Dichiarazioniprogrammatiche

Andre,Flavin,Judd,LeWitt,Morris

Essenziale, retta eortogonale.

Ridottaall’essenziale.Priva di decorazioni

Colori in genereprimari

Uso di materialisemplici e indu-striali

Lo scopo è quello di utilizzareun linguaggio astratto, un les-sico essenziale sottratto datutto ciò che è in eccesso.Esistono correnti minimalisteanche in musica (PhilipGlass) e letteratura (RaymondCarver).

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 Altre possibili correnti artistiche

Art nouveau, Secessione, Jugendstil 1905-10, Klimt, Gaudì, Guimard, BeardsleyDe Stijl 1917, Mondrian, Van DoesburgMetafisica, De Chirico 1915Dadaismo 1916-19, Tristan Tzara, Man Ray, Picabia, Duchamp

Surrealismo1924, Breton, Ernst, Magritte, DalìECC.

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Il ruolo delle emozioni nell’esperienza estetica1 

Introduzione

La maggior parte delle discussioni sull’esperienza estetica, secondo una prospettiva psicologica, so-

stiene che questa sia il prodotto dell’azione coordinata di differenti processi psichici come perce-

zione, attenzione, memoria, immaginazione, pensiero, emozione ecc. Questo è sicuramente vero,

ma un approccio di questo tipo non è di esclusiva pertinenza dell’esperienza estetica, in quanto que-

sto flusso di funzioni psichiche è presente anche quando osserviamo semplici oggetti della nostra

realtà quotidiana. Secondo la psicologia cognitiva, l’atto visivo non è una pura registrazione passiva

dell’ambiente fisico esterno, ma una costruzione attiva che implica processi di elaborazione e di a-

nalisi. Secondo questo approccio, l’input sensoriale che proviene dall’esterno, subisce tutta una se-

rie di modificazioni e di elaborazioni prima di poter essere percepito: viene infatti trasformato, ri-

dotto, elaborato, immagazzinato, recuperato ed infine utilizzato (Neisser, 1967). Quindi, anche un

compito semplicissimo come riconoscere un oggetto, per es. una penna, presuppone che venga ope-

rata una selezione tra gli oggetti presenti disordinatamente sul piano della scrivania, attraverso un

confronto con l’immagine memorizzata più volte in passato che abbiamo imparato a conoscere co-

me penna. Tutti questi processi sono sicuramente presenti anche quando osserviamo un oggetto

d’arte, ma non sono sufficienti a definire tale attività, esperienza estetica.

Un tentativo iniziale di comprendere i diversi aspetti che caratterizzano l’esperienza estetica è quel-lo di scomporre le componenti presenti in tale attività in due categorie: le qualità fisiche

dell’oggetto e le caratteristiche del fruitore. Possiamo definire l’approccio che parte dalle qualità

formali dell’oggetto “estetica dal basso”, mentre quello che tiene conto delle caratteristiche del per-

cettore “estetica dall’alto”. L’estetica dal basso si occupa delle caratteristiche strutturali dell’oggetto

che gli conferiscono qualità estetiche intrinseche come proporzione, simmetria, complessità ecc.

L’estetica dall’alto prevede invece processi di elaborazione di livello superiore come conoscenza,

expertise, vissuto emozionale, tratti di personalità, differenze individuali che influenzano le nostrepreferenze.

Dell’estetica dal basso ne abbiamo già parlato nella prima parte della dispensa a proposito

dell’estetica sperimentale di Fechner e Berlyne. Ricordo che questo approccio è stato definito “dal

basso” perché gli elementi rilevanti e significativi nella valutazione estetica erano considerate le ca-

ratteristiche strutturali dell’oggetto (aspetti formali, proporzioni, armonie).

L’estetica cosiddetta dall’alto, invece, tiene conto dei processi di elaborazione di livello superiore

come conoscenza, expertise, vissuto emozionale, tratti di personalità, differenze individuali. Un a-

 1 Riduzione dell’articolo Pubblicato in Rivista di estetica, 48 (3), pp. 95-111, 2011.

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spetto di fondamentale importanza e che fa la differenza nella valutazione dell’oggetto d’arte è la

componente emotiva che caratterizza l’esperienza estetica. All’inizio si faceva riferimento ai pro-

cessi cognitivi e affettivi messi in atto simultaneamente sia quando si incontra un oggetto ordinario

sia un oggetto d’arte. Nella percezione di un oggetto della nostra realtà quotidiana hanno un ruolo

rilevante i processi di riconoscimento e di memorizzazione e decisamente meno processi affettivi ed

emozionali; al contrario, nella percezione di un’opera d’arte la componente emozionale diventa

predominante. Non è tanto importante, o meglio è importante nella fase iniziale riconoscere

l’oggetto rappresentato e i contenuti descritti, ma ciò che acquista valore e costituisce lo scarto con

l’esperienza quotidiana è la risonanza emozionale prodotta dall’oggetto d’arte percepito in un dato

contesto.

Le emozioni e l’esperienza estetica

Come già riportato all’inizio, l’esperienza estetica è inizialmente prodotta dall’azione di differenti

processi psichici che possono essere classificati schematicamente come cognitivi e affettivi (Argen-

ton, 1993; Tan, 2000). Storicamente, le varie teorie dell’emozione hanno considerato in maniera di-

versa la relazione tra cognizione ed emozione. Un primo gruppo di teorie ha considerato l’emozione

e la cognizione come sostanzialmente differenti e il risultato è stata la concezione di due sistemi se-

parati. Queste teorie possono essere fatte risalire a Darwin (1872) e ad una tradizione biologica ed

evolutiva: le emozioni si sviluppano proprio come le strutture biologiche e la funzione principale è

quella di fornire all’organismo le maggiori possibilità di sopravvivenza. I teorici della separazionetra emozione e cognizione hanno avanzato l’ipotesi che tale divisione sia dovuta all’organizzazione

del sistema motorio e alla differenziazione emisferica con una specializzazione dell’emisfero destro

per l’elaborazione dell’emozione (Gazzaniga e Le Doux 1978).

Un secondo filone di teorie delle emozioni ha focalizzato l’attenzione sul ruolo centrale che i

processi cognitivi svolgono durante l’esperienza emotiva. Le radici possono essere fatte risalire alla

tradizione iniziata da James (1884) e Cannon (1927) con sviluppi successivi in Schachter e Singer

(1962). I teorici cognitivi sottolineano l’aspetto della valutazione cognitiva mentre i primi sono ri-volti principalmente agli aspetti espressivi delle emozioni. Secondo James (1884) la percezione di

un evento provoca modificazioni fisiologiche con il risultato che la sensazione di questi cambia-

menti costituisca l’esperienza emotiva. La teoria di Cannon e Bard non nega gli aspetti cognitivi

della percezione e l’interpretazione dell’evento come emotigeno della teoria di James (1884), bensì

critica le specifiche modificazioni viscerali possibili per ogni emozione. Schachter e Singer (1962)

rifiutano il concetto delle specifiche modificazioni sensoriali, ma ipotizzano l’esistenza di un arou-

sal fisiologico indifferenziato specificato dalla valutazione cognitiva e attribuibile ad un evento

concomitante etichettabile come emozione. L’emozione sarebbe dunque il risultato di

un’interpretazione cognitiva soggettiva di una situazione associata ad attivazione fisiologica.

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Secondo la prospettiva psicologica più attuale, l’emozione può essere meglio studiata e compresa

attraverso un approccio di tipo multicomponenziale (Frijda, 1986; Lazarus, 1991; Scherer, 1984,

2001) in cui l’episodio emozionale consiste in una serie consequenziale e coordinata di modifica-

zioni nelle diverse componenti. Nella “Component Process Theory” di Scherer (1984), l’emozione

viene descritta come l’organizzazione momentanea di tutti i maggiori sistemi di funzionamento

dell’organismo (sistema nervoso centrale, sistema nervoso autonomo, sistema nervoso somatico, si-

stema neuro-endocrino) in risposta alla valutazione di uno stimolo esterno o interno, rilevante per

l’organismo. Secondo Scherer (2005) le fasi che costituiscono questa sequenza componenziale sono

cinque: 1) la componente cognitiva (appraisal) che ha la funzione di valutare la rilevanza personale

degli eventi esterni alla base dell’innesco emozionale; 2) l’attivazione fisiologica (arousal) che ha la

funzione di attivare il nostro organismo attraverso una serie di correlati fisiologici (frequenza car-

diaca, ritmo respiratorio, pressione sanguigna, risposta psicogalvanica ecc.); 3) la componente e-

spressiva che ha la funzione mettere in atto lo stato emotivo dell’individuo attraverso la mimica

facciale, i gesti, la postura, l’espressione vocale; 4) la componente motivazionale o di tendenza

all’azione che ha la funzione di preparare l’individuo all’azione; 5) infine la componente relativa

all’esperienza soggettiva, in cui è prevista una sorta di monitoraggio tra le richieste che ci proven-

gono dall’ambiente esterno e le nostre capacità di far fronte a queste (coping). Lo stato soggettivo

conseguente può essere definito sentimento (feeling) e può anche essere utile ai fini di una regola-

zione del nostro organismo.

Il presente contributo consiste nell’analizzare queste diverse fasi dell’approccio multicomponenzia-le alle emozioni e confrontarle con quelle che costituiscono il processo sotteso all’esperienza esteti-

ca, nel tentativo di osservare un possibile parallelismo. Allo scopo si cercherà di comprendere e il-

lustrare la funzione che ognuna delle diverse componenti svolge nella costruzione dell’emozione

estetica. In tabella 1 sono descritti brevemente i diversi tipi di valutazione affettiva e le varie com-

ponenti del processo emozionale articolate per emozioni utilitarie, preferenze ed emozioni estetiche.

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1) Componente cognitiva (appraisal). Il ciclo emozionale ha inizio con la valutazione cognitiva; la

persona valuta quanto le circostanze a cui è esposto abbiano una rilevanza personale rispetto ai pro-

pri bisogni, valori sociali, piani e obiettivi contingenti. I sostenitori della teoria dell’appraisal (Laza-

rus e Smith, 1988; Ortony Clore e Collins, 1988; Scherer, 1984) affermano che l’appraisal può an-

che essere un processo automatico al di fuori della consapevolezza, dal momento che costituisce il

momento iniziale della risposta emotiva. L’appraisal si può distinguere in primario e secondario.

L’appraisal primario è rapido e automatico (in maniera da consentire una reazione molto rapida) ed

è finalizzato alla valutazione della rilevanza delle caratteristiche più salienti dello stimolo (novità e

valutazione edonica). L’appraisal secondario ha a che fare con emozioni specifiche e aspetti che si

riferiscono all’analisi più approfondita della situazione, alla relazione individuo/situazione, alle pos-

sibili modificazioni e alle strategie di coping. Come afferma Frjida (1986) l’emozione può essere

vista come il risultato di un processo di appraisal automatico ed essenziale, che può essere elaborato

più approfonditamente in un secondo momento. Questo processo di base è sufficiente per provocare

l’attivazione di un’emozione ed è coinvolto in attività cognitive più complesse.

Anche per quanto riguarda l’esperienza estetica, un primo livello di analisi potrebbe essere quello di

distinguere automaticamente uno stimolo esterno in due grandi categorie dicotomiche: buo-

no/cattivo, piacevole/spiacevole, positivo/negativo (valutazione edonica). Stimoli considerati intrin-

secamente positivi o negativi attivano una modalità di risposta automatica (in maniera non intenzio-

nale, inconsapevole e non controllabile). Se ci troviamo di fronte un’immagine connotata molto ne-

gativamente, la sua valutazione associativa immagazzinata nella memoria a lungo termine è attivata

automaticamente ogni volta che l’oggetto viene incontrato. In un esperimento di laboratorio, Lo-

cher, Krupinski, Mello-Thoms e Nodine (2007) hanno dimostrato che sono sufficienti 100 millise-

condi di presentazione tachistoscopica sullo schermo di un computer di un’opera d’arte, per consen-

tire al percettore di rilevare una grande quantità di informazioni; non solo le caratteristiche struttura-

li, come forma e colore, ma anche aspetti più concettuali, come elementi e contenuti della scena

rappresentata. Anche la valutazione affettiva (positivo/negativo) di differenti stili artistici e architet-tonici può essere attivata automaticamente attraverso l’impiego di paradigmi sperimentali in labora-

torio. Abbiamo riscontrato una preferenza, da parte di partecipanti senza specifica formazione arti-

stica, per l’arte figurativa e l’architettura classica rispetto all’arte astratta e all’architettura contem-

poranea (Mastandrea, Bartoli e Carrus, 2011).

Però, in genere, durante questo primo processo di elaborazione degli stimoli, non abbiamo i vincoli

imposti dalle procedure sperimentali di laboratorio; quando osserviamo un’opera d’arte abbiamo a

disposizione un tempo sufficientemente ampio. L’appraisal secondario, ossia la valutazione cogniti-va controllata, consapevole e intenzionale, ci dà la possibilità di compiere un’analisi di natura co-

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gnitiva che ci permette di riconoscere gli oggetti rappresentati, di costituire percettivamente in unità

i diversi elementi della scena rappresentata e di attribuire un significato allo sviluppo narrativo della

rappresentazione.

I propri schemi mentali, frutto dell’esperienza personale, guidano in questa fase di valutazione un

primo livello di preferenza. Valutiamo, per esempio, quanto l’oggetto che percepiamo ci è familiare

o meno. La familiarità è il risultato della reiterata osservazione di un oggetto o di una classe di og-

getti. Numerosi studi hanno dimostrato che la ripetuta esposizione ad uno stimolo fa aumentare la

sua preferenza (Cutting, 2003; Kunst-Wilson e Zajonc, 1980; Zajonc, 1998). Gli stimoli familiari

sono valutati più velocemente e sono preferiti rispetto agli stimoli non familiari. L’associazione tra

familiarità e valutazione positiva può essere ricercata anche in fattori biologici: istintivamente sia-

mo predisposti a preferire ciò che ci è familiare, che conosciamo, ed evitiamo la novità poiché può

rappresentare un potenziale pericolo (Zajonc, 1998). Un secondo elemento è dato dalla tipicità

dell’oggetto: quanto lo stimolo è rappresentativo della classe di oggetti a cui appartiene. Diverse ri-

cerche hanno dimostrato che oggetti maggiormente tipici sono preferiti rispetto a quelli meno rap-

presentativi. La preferenza per gli esemplari più tipici è stata riscontrata in più settori: volti, dipinti,

oggetti di design e facciate architettoniche (Hekkert e VanWieringen, 1990, Martindale e Moore,

1988; Whitfield e Slatter, 1979). Gli stimoli più tipici sono anche elaborati più velocemente e fa-

cilmente (Posner e Keele, 1968). Secondo Winkielman, Halberstadt, Fazendeiro e Catty (2006), gli

oggetti tipici sono valutati più positivamente perché sono più facili da elaborare.

Anche la complessità, sappiamo influisce nella valutazione durante la fase di appraisal secondario.

In generale un moderato livello di complessità sembra essere il più gradito (Berlyne, 1971; Kaplan e

Kaplan, 1989). In generale, le persone che non possiedono una specifica formazione artistica prefe-

riscono elementi visivi semplici e simmetrici mentre le persone con formazione artistica più appro-

fondita preferiscono forme visive complesse e asimmetriche (Locher e Nodine, 1989; McWhinnie,

1968; Silvia, 2005).

Queste tre spiegazioni plausibili (familiarità, tipicità, e complessità) possono essere incorporate inun modello più generale di preferenza estetica chiamato fluidità percettiva (Processing

Fluency; Reber, Schwarz, & Winkielman, 2004). Secondo questo modello esisterebbe una forte as-

sociazione tra le qualità osservate nell’oggetto (tipicità, familiarità e complessità) e le caratteristiche

del percettore: più è fluida l’elaborazione dell’oggetto (percezione dell’identità e del significato),

più sarà positivo l’apprezzamento estetico.

2) L’attivazione fisiologica (arousal). La seconda fase dell’approccio multicomponenziale alle emo-zioni consiste nell’attivazione dell’organismo. Dopo aver valutato la situazione esterna come urgen-

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te e toccante, la nostra risposta sarà quella di un’eccitazione diffusa in diverse parti del nostro cor-

po. Il battito del cuore aumenta, il respiro si fa più affannoso, inizia la sudorazione, la temperatura

corporea si modifica ecc. Questa risposta indifferenziata è presente anche quando proviamo emo-

zioni di diversa natura, positive (gioia o sorpresa) o negative (tristezza o disgusto). Il concetto di a-

rousal, come detto anche prima, è stato centrale nella teoria estetica di Berlyne. Secondo questo au-

tore, il piacere che si sperimenta nella fruizione di immagini sarebbe attribuito proprio a questo au-

mento di attivazione dell’organismo o all’alternarsi di crescita e decrescita della tensione.

Come sostiene Scherer (2004), anche l’arte può produrre attivazione fisiologica, con una sostanziale

differenza rispetto all’attivazione prodotta dalle emozioni di base tradizionali. Secondo Frijda

(1986) le emozioni di base (rabbia, disgusto, gioia ecc.) producono modificazioni corporee al servi-

zio della tendenza all’azione e della preparazione del nostro organismo per mettere in atto delle a-

zioni funzionali all’adattamento (attacco/fuga). Gli stati di arousal prodotti dall’opera d’arte, invece,

non sarebbero proattivi, in funzione cioè di un comportamento adattivo in un futuro immediato, ma

reattivi, di semplice reazione ad uno stimolo che non prevede azioni di risposta sollecite. Secondo

Scherer (2004), in presenza di una intensa esperienza estetica, i sintomi corporei che si sperimenta-

no possono essere pelle d’oca, brivido che corre lungo la spina dorsale, tremore, occhi umidi, tutte

risposte a caratterizzazione generica e diffusa che contrastano fortemente con l’arousal prodotto dal-

le emozioni cosiddette utilitarie (aumento del battito cardiaco e della respirazione, per esempio) che

ha lo scopo di indirizzare l’azione. I correlati neurofisiologici di questo “arousal estetico” portereb-

bero ad un comportamento più vicino a quello della contemplazione; un comportamento che non ha

necessità di svolgersi in tempi rapidi come avviene per le emozioni utilitarie e che non prevede una

risposta motoria del nostro corpo in termini di azione da esplicarsi nell’ambiente esterno, ma al con-

trario, una reazione di tipo statico che favorisce il pensiero e la riflessione.

3) La componente espressiva. Un aspetto fondamentale e probabilmente tra i più noti è la compo-

nente espressiva delle emozioni. I gesti, le posture, e in particolare le espressioni facciali possonoessere considerati dei segnali che hanno lo scopo di comunicare agli altri informazioni salienti sul

nostro stato emotivo e preparano in maniera appropriata all’azione. Questa tradizione può essere

fatta risalire a Darwin (1872) e successivamente possono essere inclusi i contributi di diversi studio-

si delle emozioni che hanno sottolineato la componente espressiva delle emozioni. In seguito a nu-

merose ricerche cross-culturali sono state proposte un numero limitato di emozioni che per la loro

universalità sono considerate innate e fondamentali. Ekman (1994) propone sei emozioni fonda-

mentali che è possibile distinguere mediante diversi pattern di attività fisiologica; Tomkins (1962)afferma che le emozioni di base sono nove; Plutchick (1980) suddivide le emozioni in primarie e

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secondarie e suggerisce che ci siano otto emozioni fondamentali la cui combinazione per diadi dà

luogo a corrispondenti emozioni secondarie. Possiamo considerare tra sette e quattordici le emozio-

ni di base proposte dai diversi studiosi. Ognuna di queste possiede una specifica condizione di elici-

tazione, fisiologica, espressiva e comportamentale. Emozioni come rabbia, paura, disgusto, gioia,

tristezza, vergogna, colpa, orgoglio sono anche dette emozioni utilitarie perché hanno funzione di

adattamento e accomodamento dell’individuo ad eventi che hanno conseguenze importanti per il

proprio benessere mediante la preparazione di tendenze all’azione.

Inoltre, l’espressione delle emozioni ha anche una funzione comunicativa, in quanto, attraverso la

mimica facciale o la postura si informano gli altri sullo stato della propria reazione, del proprio vis-

suto e delle potenziali intenzioni di comportamento.

Il concetto di espressione, o meglio di espressività, è stato esteso anche agli oggetti inanimati. Gli

oggetti sarebbero in grado di comunicare, attraverso le loro caratteristiche strutturali, qualità di tipo

espressivo. La data di inizio di questo filone di studi, secondo una prospettiva psicologica, potrebbe

essere fatta risalire al famoso esperimento di Köhler (1947), in cui le parole tachete e maluma veni-

vano associate rispettivamente a due figure disegnate a tratto: una spezzata e una curvilinea. La spi-

golosità della parola tachete e della figura spezzata si contrapponeva ad una possibile morbidezza

della parola maluma e della figura curvilinea. Arnheim definì l’espressione “come il corrispettivo

psicologico dei processi dinamici che si risolvono nell’organizzazione degli stimoli percettivi” (Ar-

nheim, 1949, trad it., p. 79). Sono dunque gli oggetti che portano in sé l’espressività. E’ famoso

l’esempio del salice piangente che non viene visto come triste perché assomiglia ad una persona tri-

ste, ma perché la sua forma, la sua flessuosità, il suo pendere passivo impongono una configurazio-

ne strutturale simile a quella della tristezza negli esseri umani. Non si deve però fare un’equazione

tra espressività e qualità estetica, perché come afferma lo stesso Arnheim (1949) non tutto ciò che è

espressivo è estetico. Però le qualità espressive di un oggetto possono favorire l’esperienza estetica

(Bartoli, 2003).

Il termine espressività fa riferimento dunque a quell’insieme di significati affettivi e cognitivi chevengono attribuiti alle immagini e agli oggetti, attraverso le componenti strutturali come linee, for-

me, colori, materiali ecc. Si tratta di osservare con attenzione l’organizzazione degli stimoli percet-

tivi e il gioco delle loro interazioni reciproche per cogliere le dinamiche espressive. La gamma delle

possibili qualità espressive degli oggetti è vastissima e, come si può ben immaginare, costituisce il

risultato forse più importante nel riconoscimento del significato dell’opera.

Una delle caratteristiche principali di un oggetto d’arte è attribuita in particolare alla possibilità di

evocare nello spettatore una vasta gamma di emozioni che potremmo collocare lungo un asse posi-tivo-negativo: reagiamo alle opere esposte in un museo con emozioni del versante positivo come

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gioia, allegria, divertimento, piacere, eccitazione, godimento, interesse; ma anche con emozioni del

versante opposto negativo come disgusto, paura, tristezza, malinconia, inquietudine ansia, spaesa-

mento, angoscia. Un dipinto può produrre malinconia e inquietudine attraverso la narrazione del

contenuto, e può indurre fascinazione per la forza evocativa dei soggetti rappresentati.

4) la componente motivazionale o la tendenza all’azione. Secondo la prospettiva evoluzionista lo

scopo fondamentale delle emozioni è quello di mettere in atto un comportamento che abbia uno

scopo adattivo. Se abbiamo paura scappiamo ed evitiamo pericoli che potrebbero minacciare la no-

stra sopravvivenza; se siamo tristi piangiamo ed è probabile che tale azione produca un richiamo da

parte di qualcuno che ci porta conforto e ci fa sentire meno soli.

Come detto anche prima a proposito dell’arousal estetico, non si può affermare che la risposta emo-

zionale agli oggetti d’arte preveda una tendenza all’azione che innesca un comportamento nel senso

tradizionale. Il nostro rapporto con gli oggetti d’arte è disinteressato, secondo la definizione kantia-

na, e quindi non sarebbe funzionale alla messa in atto di scopi pratici. La tendenza all’azione che

prende spunto dall’emozione estetica può dar luogo, come detto anche prima, alla contemplazione,

all’osservazione approfondita e prolungata che ci consente di mettere a fuoco i diversi significati

che costituiscono l’opera. Quando un’opera ci colpisce profondamente (e non quando registriamo

semplicemente un generico apprezzamento) la nostra attenzione è totalmente assorbita, tutto il resto

è relegato sullo sfondo, non avvertiamo più né i rumori nè le persone nella sala del museo dove ci

troviamo, rimaniamo in silenzio, viviamo un momento di isolamento, di distacco e di sospensione

dalla realtà circostante, il tempo ha un fluire diverso, viviamo uno scollamento tra lo scorrere della

vita che si svolge fuori dal museo e la nostra vita contingente costituita dal rapporto esclusivo con

l’opera.

Secondo Frijda (2007), quando viviamo un’emozione estetica la tendenza all’azione consisterebbe

nell’interesse suscitato dall’opera. L’interesse produrrebbe una mobilizzazione di tutto il nostro or-

ganismo in funzione esclusiva dell’oggetto percepito. La contemplazione infatti potrebbe essere de-finita come una forma di estraniamento dalla realtà, la messa in atto di un interesse temporaneo ad

uso esclusivo del rapporto con l’opera dove si schiude una nuova realtà mentale fatta di riflessione e

meditazione in virtù dell’attrazione esercitata. Il comportamento di contemplazione così intenso può

anche portare alla commozione e alle lacrime. In questo caso la commozione non avrebbe lo stesso

significato sociale del pianto (comunicare uno stato si sconforto a qualcuno che ci viene in aiuto),

ma risulterebbe una reazione automatica dovuta al fatto di sentirsi profondamente toccati.

L’emozione estetica può anche generare entusiasmo. A proposito della tendenza all’azione, Frijda(2007) afferma che a18 anni ha applaudito alla fine della rappresentazione “La sagra della primave-

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ra” di Stravinskij fino a farsi male alle dita. L’applauso è un comportamento di risposta stereotipato,

collettivo e normativo che in genere segue la conclusione di una performance; non direi che possa

essere assunto come comportamento che scaturisce da un’emozione estetica, o almeno non necessa-

riamente.

Nella maggior parte dei casi, le emozioni estetiche non conducono ad un’azione nella stessa acce-

zione che si intende per le emozioni utilitarie, ma possono portare alla condivisione sociale del con-

tenuto emozionale. Per condivisione sociale delle emozioni si intende una tendenza a comunicare ad

altri la propria esperienza emozionale (Bellelli, Curci e Gasparre, 2009). In genere ha lo scopo di

allentare il portato del vissuto emotivo (si condividono maggiormente le emozioni negative) ed ha

quindi una funzione di regolazione dell’emozione. In questo senso l’esperienza estetica può essere

vista come una motivazione rivolta alla condivisione con altri del contenuto emozionale generato

dall’opera. Questa modalità di condivisione sociale dell’emozione estetica potrebbe avere il fine di

alleviare la tensione provocata dalla risposta all’arte.

Per altri versi, più che una tendenza all’azione si potrebbe parlare di un comportamento pianificato

in seguito al godimento estetico suscitato dall’arte. Il forte interesse provato per le opere di un arti-

sta potrebbe motivarci ad acquistare il catalogo della mostra dove troviamo le riproduzioni delle o-

pere esposte, in maniera da prolungare il piacere tratto dalla visita; oppure potremmo visitare altre

mostre dello stesso artista o cercare su internet informazioni sulle sue opere e la sua vita.

5) Infine la componente relativa all’esperienza soggettiva. Il risultato di tutti i cambiamenti avvenuti

nelle quattro fasi precedenti può dare luogo all’esperienza soggettiva dell’emozione; ossia a come

l’emozione viene percepita dalla persona; tale componente è definita sentimento (feeling). Per evi-

tare una possibile confusione terminologica, l’emozione è riferita al processo completo che attraver-

sa tutt’e cinque le fasi o componenti, mentre il sentimento è una delle sue componenti, quella finale;

il sentimento è dunque una componente, non un sinonimo dell’emozione.

Il sentimento è spesso descritto anche in termini di uno spazio a due dimensioni formato da attiva-zione (eccitato/calmo) e valenza edonica (piacevole/spiacevole). Nello studio delle emozioni tale

modello è risultato molto utile (Russell, 1980). L’attivazione o arousal, come abbiamo visto, è uno

dei tratti più distintivi dell’ emozione; non può esserci emozione se non avviene una modificazione

nei più importanti sistemi dell’organismo. Il problema è che queste due dimensioni di attivazione e

valenza non tengono conto della differenziazione tra emozioni; emozioni diverse possono assumere

gli stessi valori lungo queste due dimensioni (rabbia e paura del versante negativo o gioia e sorpresa

del versante positivo).

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La valutazione di un oggetto d’arte può essere collocata lungo i due assi di queste dimensioni. Un

oggetto può essere valutato positivamente o negativamente ed essere più o meno attivante. E’ pro-

babile che un oggetto che genera una valutazione molto negativa perché inquietante produca anche

un’attivazione elevata. Possono anche esserci valutazioni intermedie lungo queste due dimensioni

che assumono dei valori di neutralità.

Conclusioni

Tenterò adesso di avanzare una conclusione a questo discorso. Tra le tante cose non chiare spero

che almeno una sia condivisa: gli oggetti d’arte producono emozioni. Quando osserviamo un’opera

d’arte possiamo anche provare emozioni molto simili a quelle sperimentate nella vita quotidiana;

per esempio possiamo reagire in maniera ludica di fronte ad un’opera di arte contemporanea e pos-

siamo quindi provare divertimento; oppure allegria per gli accostamenti cromatici di un dipinto; di-

sgusto e inquietudine di fronte a immagini molto crude; o anche malinconia per il senso di solitudi-

ne della scena rappresentata. Si tratta di emozioni simili a quelle utilitarie, con la differenza che non

sono generate dal flusso degli eventi ordinari, ma nascono dalla nostra risposta ad una particolare

classe di oggetti che chiamiamo arte. In ogni caso queste emozioni non costituiscono di per sé quel-

la che ho cercato di definire emozione estetica, ma concorrono a realizzarla.

Per descrivere il processo emozionale presente nell’esperienza estetica è stato fatto riferimento a

tutti i diversi passaggi che i teorici contemporanei utilizzano per spiegare e comprendere le emozio-

ni fondamentali o utilitarie. In sintesi, come prima cosa l’oggetto d’arte che abbiamo di fronte deve

essere percepito, riconosciuto e analizzato nelle sue caratteristiche strutturali (linee, forme, colori,

materiali ecc.). Successivamente sarà attivata una risposta fisiologica da parte del nostro organismo

a cui seguirà una reazione espressiva sia in termini delle qualità percepite sia nella svariata gamma

di emozioni che empaticamente possiamo sperimentare. Come abbiamo visto la tendenza all’azione

non è agita come nella maniera tradizionale delle emozioni utilitarie, ma dà luogo ad una forma di

comportamento contemplativo che nel caso raggiunga elevati livelli di intensità conduce ad una ve-ra e propria emozione estetica, costituita da ammirazione, fascino, meraviglia, stupore ecc. Infine,

esaurita la fase culminante dell’emozione, si otterrà un beneficio generale, pervasivo e regolativo

del funzionamento dell’esperienza emozionale.

Viviamo in un mondo ricco di immagini; molte di queste ci piacciono, ci interessano e ci servono

per il motivo che ci informano su qualcosa di funzionale; ma non producono emozioni, tutt’al più

possono suggerirci delle emozioni. Quando invece la nostra attenzione è rivolta esclusivamente alle

caratteristiche strutturali dell’oggetto d’arte e al suo potenziale significato, quando ci sentiamo toc-cati, intimoriti, ammirati, affascinati, meravigliati, incantati, stupiti, estasiati (tutti termini che fanno

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riferimento al godimento estetico) possiamo affermare di essere in presenza di un’esperienza chia-

mata emozione estetica; uno stato di rapimento che ci inchioda di fronte all’opera, con il nostro cor-

po proteso verso il raggiungimento di un’esperienza estetica che assorbe completamente la nostra

mente.

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Il museo tra comunicazione, didattica e fruizione2 

Introduzione

Per una definizione del significato di museo nella società contemporanea potrebbe essere utile

partire dalla definizione che ne dà l’ICOM3 (International Council of Museums): “Il museo è

un’istituzione permanente, senza scopo di lucro, al servizio della società e del suo sviluppo. E’ aper-

to al pubblico e compie ricerche che riguardano le testimonianze materiali e immateriali

dell’umanità e del suo ambiente; le acquisisce, le conserva, le comunica e, soprattutto, le espone a

fini di studio, educazione e diletto”. 

L’articolo 101 del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio infatti definisce il museo come

“struttura permanente che acquisisce, cataloga, conserva, ordina ed espone beni culturali per finalità

di educazione e di studio”. Per museo si intende quindi un’istituzione culturale che assolve almeno

a tre funzioni principali che ne costituiscono l’identità: 1) la conservazione delle collezioni; 2)

l’esposizione delle collezioni al fine di renderle accessibili al pubblico; 3) la valorizzazione

dell’identità specifica e della storia delle sue collezioni, anche attraverso una continua opera di ri-

cerca per l’accrescimento della loro completezza e significatività (Nuzzaci, 2002). Tre funzioni che,

per il ruolo culturale rivestito dal museo, sono tra loro interrelate a tal punto da non poterne trascu-

rare nessuna senza compromettere direttamente l’identità stessa dell’istituzione museale.

Il museo è dunque un’istituzione al servizio dei cittadini che si occupa, oltre che del lavoro di

conservazione, tutela e recupero del patrimonio culturale, di diffondere conoscenze specifiche: arti-

stiche, storiche, scientifiche e tecniche. L’istituzione museo può essere inserita all’interno di un si-

stema culturale che ha le sue fondamenta nel sistema scolastico di ogni livello. Il museo è conside-

rato uno spazio formativo-culturale esterno al settore dell’educazione formale; comporta modalità

di apprendimento di tipo informale, alternative e complementari a quelle scolastiche. Il museo non è

né intrattenimento né aula scolastica; è un luogo dove avvengono conoscenze, scoperte, dove viene

attivata l’immaginazione, la curiosità e promuove la riflessione intellettuale. La visita al museo èun’occasione attraverso cui i visitatori instaurano un rapporto interattivo con gli oggetti esposti con

lo scopo di attivare un processo di costruzione e di conoscenza relativa a eventi artistici, storici,

scientifici e tecnologici.

Il museo svolge inoltre una funzione educativo-formativa attraverso la promozione di forme di

apprendimento che si possono realizzare lungo tutto l’arco della vita di un individuo.

2 Pubblicato in Rivista di Psicologia dell’Arte, 19, pp. 57-65, 2011.3 L’ICOM è un’associazione internazionale che coordina i musei di tutto il mondo e che ha lo scopo di far conoscere etutelare il patrimonio culturale mondiale attraverso il miglioramento dell’organizzazione e la valorizzazione dei musei.

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Il museo ha anche lo scopo di concorrere alla costruzione e all’acquisizione dell’identità indivi-

duale e sociale di un popolo. Le opere esposte in un museo sono l’espressione dell’identità di una

comunità a diversi livelli: locali, regionali, nazionali e internazionali.

Comunicazione

Come abbiamo visto, uno degli scopi che si prefigge il museo è quello di mettere a disposizione

del pubblico il proprio patrimonio, costituito dalle collezioni che nel tempo si sono realizzate. Deve

anche essere un soggetto attivo nella creazione e nella diffusione della conoscenza. Il museo ha una

importante funzione comunicativa che deve essere posta in relazione ad una fruizione basata, non

solo sulla contemplazione e il godimento estetico delle opere, ma anche sulla capacità di comunica-

re e trasmettere conoscenze, informazioni e notizie sulle proprie collezioni al pubblico. Il museo

può essere visto anche come “una forma di comunicazione non verbale, che ha nei suoi oggetti le

proprie specifiche parole” (Balboni Brizza, 2007, p. 57).

Il museo, quindi, rappresenta un’istituzione culturale rivolta alla comunicazione dove la tra-

smissione delle conoscenze dovrebbe avvenire non in forma precostituita, ma dove il visitatore par-

tecipa attivamente ad un’esperienza culturale utilizzando il suo personale bagaglio di conoscenze ed

esperienze sia cognitive, sia emotive.

Secondo la definizione che Antinucci (2004) propone del termine comunicazione all’interno del

contesto museale, possiamo cogliere alcuni aspetti interessanti: “La comunicazione è il modo per

trasferire conoscenze, informazioni da qualcuno che le ha a qualcuno che non le ha. Senza la comu-

nicazione le conoscenze sono prigioniere nella mente di chi le ha: se io ho delle conoscenze che tu

non hai, e non abbiamo comunicazione, l’unico modo con il quale anche tu puoi avere queste cono-

scenze è rifartele, e cioè ripercorrere tutta la strada che ho percorso io” (Antinucci, 2004, p. 14). Per

comunicare dunque il museo deve affrontare tre questioni importanti: 1) Cosa comunicare. Si tratta

di un problema significativo, in quanto tutte le informazioni sui vari oggetti o reperti che possono

essere trasmesse è molto ampia; occorre quindi fare attenzione a quali informazioni comunicare perevitare il rischio di una sovraesposizione informativa che potrebbe ridurre o addirittura annullare

l’efficacia della comunicazione attivata. 2) Come comunicare. Si possono prendere in considerazio-

ne quattro tipologie di strumenti per attuare la comunicazione in un contesto museale: naturale, le-

gata alla comunicazione interpersonale che il museo offre mediante il personale di sala e gli opera-

tori didattici; testuale, didascalie, pannelli informativi, schede, guide, cataloghi che vengono propo-

sti al pubblico; simbolica, segnali presenti nel museo, mappe e percorsi per orientarsi al suo interno;

elettronica, audio guide, postazioni multimediali e supporti tecnologici in gradi di coadiuvare le in-formazioni comunicative presenti. 3) A chi comunicare. Il visitatore durante la visita mette in atto,

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in modo consapevole o meno, un processo di apprendimento il cui risultato è collegato a due ele-

menti distinti: gli stimoli che riceve durante la visita e il proprio bagaglio di conoscenze.

Inoltre, si deve tenere conto di due contesti diversi all’interno dei quali si sviluppa la comunica-

zione: una comunicazione “interna” ed una “esterna”. La prima tiene conto dell’allestimento,

dell’esposizione degli oggetti, dei percorsi ecc.; la seconda, invece, prende in considerazione il con-

testo museale complessivo, per esempio l’architettura. La comunicazione “interna” che tiene conto

degli spazi e degli ambienti deve essere integrata con quella verbale, scritta od orale. Le opere

d’arte sono intrinsecamente predisposte alla comunicazione di tipo visivo; ma la comprensione del

significato dipende dal bagaglio culturale di cui è portatore il visitatore. Per quanto riguarda la co-

municazione “esterna”, le qualità architettoniche dell’edificio sono fondamentali. La progettazione

del museo contemporaneo prende in considerazione il tipo di oggetti esposti, ma è la sua stessa ar-

chitettura, come prima cosa, ad essere un oggetto d’arte.

I musei hanno la possibilità e la capacità di attivare processi di comunicazione in grado di solle-

citare l’attenzione del visitatore. “La comunicazione interna la museo dovrebbe essere pensata in

funzione della molteplicità dei suoi visitatori e nel rispetto della molteplicità di significati e di per-

corsi utilizzati-costruiti dai singoli visitatoti; dovrebbe, quindi, essere molto attenta alla qualità co-

municativa e non solo scientifica degli specifici media utilizzati, in particolare; dovrebbe fornire più

livelli di lettura, agevolare la costruzione individuale del significato da parte del visitatore e accom-

pagnarlo senza costringerlo ad un’unica ipotesi di visione e di percorso.” (Bollo, 2008, p. 103). La

fruizione delle opere deve produrre una sensazione di curiosità, un desiderio di porre domande piut-

tosto che ricevere risposte scontate, la visita deve quindi diventare un’occasione per sviluppare for-

me di apprendimento nuove e diversificate. Si giunge così a una nuova forma di comunicazione

museale che presuppone la consapevolezza che la collezione esposta non debba essere considerata il

mezzo tramite cui far pervenire un messaggio al visitatore, ma uno strumento per creare un legame

tra il visitatore e ciò che gli oggetti esposti rappresentano.

“Non basta proteggere e conservare il patrimonio, bisogna comunicarlo; senza questa funzionefondamentale il museo praticamente non esiste, può essere solo una raccolta aperta al pubblico o un

semplice deposito di opere. La comunicazione è trasversale a tutti i processi e a tutte le attività del

museo, che devono concorrere a renderla un settore specifico e specialistico, ancor peggio aggiunti-

vo, che interviene a valle delle decisioni strategiche del museo.” (Antinucci, 2004, p.15). Il museo

deve aprirsi alla società e al territorio in una posizione di ascolto dei vari soggetti che interagiscono

con il museo stesso.

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Didattica

Il museo è, dunque, un’istituzione fondata sulla conoscenza: il ruolo ad esso attribuito dalla co-

munità scientifica internazionale lo qualifica come un operatore culturale, al servizio del pubblico,

attivo nella diffusione del sapere scientifico, storico e artistico (Hooper-Greenhill, 2005).

L’azione culturale del museo, infatti, può essere ricondotta allo svolgimento di tre differenti

funzioni: 1) la conservazione della conoscenza; 2) la creazione della conoscenza; 3) la diffusione

della conoscenza. La prima funzione garantisce la permanenza nel tempo di un patrimonio informa-

tivo di notevole ricchezza. La seconda funzione può essere compresa tenendo conto che il patrimo-

nio informativo può essere arricchito costantemente mediante l’azione interpretativa, frutto di attivi-

tà di studio e ricerca. Con riferimento alla diffusione della conoscenza si fa riferimento al fatto che

il museo svolge una fondamentale funzione di tipo educativo, mettendo a disposizione della collet-

tività l’insieme di conoscenze sviluppate.

Ogni funzione sostiene e produce le altre, riconducendo il museo ad un insieme di attività legate

tra loro; se una delle funzioni viene ridotta c’è il rischio che il ruolo educativo che gli viene ricono-

sciuto venga meno.

Nel lungo percorso che il museo ha attraversato nei secoli, si sono osservate diverse trasforma-

zioni, da semplice luogo preposto alla conservazione degli oggetti a struttura in cui il materiale e-

spositivo viene utilizzato per interventi culturali. Attualmente gli interventi culturali svolti in ambito

museale sono definiti “didattica museale”. La didattica museale deve essere considerata una disci-

plina pedagogica, ma deve anche tener conto della specificità delle altre discipline chiamate in cau-

sa (la storia, l’archeologia, le scienze, la storia dell’arte, ecc.), a seconda del tipo di museo in cui si

vuole affrontare un discorso didattico (De Socio e Piva, 2005).

Attualmente uno dei temi centrali della ricerca in campo educativo è dato dalla possibilità di

modificare funzionalmente il messaggio didattico a seconda delle caratteristiche del destinatario

(individualizzazione della proposta di insegnamento-apprendimento). Se si prende in considerazio-

ne questo punto di partenza e lo si trasferisce nel campo della didattica museale, è importante porrel’accento sul visitatore-fruitore (Nardi, 1999). I visitatori-fruitori possono essere distinti in fruitori

spontanei (chi consapevolmente decide di visitare un museo) e fruitori non spontanei (il pubblico

scolastico che partecipa alla visita su iniziativa dell’insegnante). I fruitori di una didattica museale

sono prevalentemente questi ultimi. Il contatto tra museo e fruitore non avviene direttamente ma è

mediato dall’insegnante che decide di integrare l’offerta didattica in classe con una o più visite e-

sterne.

Se il progetto formativo legato alla didattica museale ha lo scopo di dare un contributo significa-tivo, deve creare le condizioni per attivare coinvolgimento, interessi, emozioni che il fruitore mette

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in atto nei percorsi che svolge all’interno del museo. Se si mettono in atto queste condizioni sarà

possibile far nascere nel fruitore la possibilità di ritornare, ripercorrere, rivedere quanto il museo of-

fre, poiché ogni volta è in grado di approfondire i significati già individuati in precedenza e aggiun-

gerne di nuovi.

Il problema della didattica museale non è solo quello di ottenere l’attenzione del pubblico e la

sua partecipazione, ma anche quello di comprendere che tipo di risultato possa scaturire da tale atti-

vità; bisogna quindi porsi il problema di quanto sia possibile affermare che l’esperienza effettuata

abbia raggiunto gli obiettivi per i quali era stata proposta. Sulla base di questi risultati si possono

organizzare in maniera più personalizzata percorsi, strumenti, materiali, interazioni che possano

consentire alla didattica di proporsi come un’attività che tiene conto delle esperienze ottenute (Ver-

tecchi, 1997).

Il museo possiede elevate potenzialità educative rivolte ai visitatori di tutte le età; ponendo le

basi per una relazione significativa tra fruitori e le opere si può far diventare il museo un vero centro

di formazione permanente, un laboratorio per favorire lo sviluppo del pensiero critico.

Nel passato i musei erano considerati dalla scuola come luoghi in cui svolgere attività didattiche

in maniera occasionale e sporadica mediante le visite degli allievi per osservare le collezioni, le rac-

colte di reperti, quadri, oggetti. Erano quindi luoghi dove la scuola aveva accesso, ma con una mo-

dalità passiva ed episodica. Le cose si sono modificate e da diversi anni la situazione è profonda-

mente mutata: i musei si sono trasformati in luoghi attivi, vivaci, aperti, con proprie proposte didat-

tiche, con percorsi da offrire. Il museo compie un’opera di ripensamento su se stesso e restituisce al

pubblico una rinnovata immagine di sé in quanto ambiente che vuole essere presente come protago-

nista dello sviluppo culturale e sociale del paese.

Baldoni Brizza (1984) si sofferma su un punto fondamentale: “Ciò che bisogna chiedersi è fino

a che punto il museo può allargare le sue competenze senza perdere la propria identità. In altre paro-

le: il museo può (deve) fare didattica ma non è la scuola; può (deve) fare ricerca ma non è solo un

istituto di ricerca; può accogliere i bambini di età prescolare nel suo atelier ma non è un asilo o unparcheggio per l’infanzia”.

Queste integrazioni di compiti e di obiettivi tra museo e scuola richiedono un riconoscimento

reciproco e una collaborazione che vanno ripensati e costruiti costantemente. E’ forse proprio que-

sta una delle sfide più delicate del rapporto scuola-museo poiché è solo attraverso la ricerca di inte-

se e convergenze specifiche che le offerte dell’una e dell’altra istituzione possono sorreggersi e rin-

forzarsi a vicenda e costituire una risorsa educativa strategica per le nuove generazioni Baldoni

Brizza (1984).

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Il rapporto con la scuola ha condotto le strutture didattiche dei musei a costruire percorsi e ipo-

tesi di lavoro differenziati, adatti all’età degli allievi fruitori, che la scuola, per ovvie ragioni non

può far propri, ma che può utilizzare come “strumenti” adeguati alle esigenze specifiche e diversifi-

cate dei percorsi delle singole scuole.

Il rapporto del museo con la scuola ha prodotto tutta una serie di riflessioni e iniziative che pos-

sono avere una interessante ricaduta anche sul pubblico più tradizionale che frequenta i musei. Per

esempio le modalità di comunicazione interattiva rivolte agli allievi di scuola media potrebbero es-

sere adottate e utilizzate, con le opportune modifiche, anche per i visitatori che sono interessati a

svolgere all’interno del museo un’esperienza con il sostegno di un educatore museale.

La fruizione: un contributo di ricerca

Questa parte del presente lavoro è dedicata ad un contributo di ricerca ancora in corso, di cui se

ne anticipano alcuni aspetti.

È opinione comune che i giovani non hanno attrazione per il museo e da questo elemento scatu-

risce la loro scarsa frequentazione. Da questo assunto di base nasce l’esigenza di verificare

l’effettiva partecipazione giovanile a questo tipo di esperienza, cercando di comprendere il perché

di questa distanza ed il perché di questo atteggiamento negativo nei confronti dei musei. E’ un ulte-

riore contributo alla comprensione del fenomeno con lo scopo di incrementare la loro spinta moti-

vazionale verso il museo e di avvicinarli a questo importante strumento di crescita culturale.

Sul tema della fruizione museale, nell’anno accademico 2010/2011, presso la facoltà di Scienze

della Formazione dell’Università Roma Tre, è stata condotta una ricerca che aveva lo scopo di in-

dagare alcuni aspetti delle visite museali condotte dagli studenti universitari. Allo scopo è stato co-

struito un questionario articolato in una serie di domande, strutturato in due parti, la prima riguar-

dante i dati socio-demografici e la seconda relativa alla conoscenza e all’esperienza delle visite mu-

seali condotte negli ultimi 12 mesi. Nella parte inerente le caratteristiche socio-demografiche si

chiedevano, oltre alle informazioni tradizionali anche il titolo di studio del padre e della madre el’educazione artistica ricevuta (su una scala a 5 punti, dove 1 = per niente; 5 = moltissimo). La se-

conda parte, invece, riguardava il numero di musei visitati negli ultimi 12 mesi e la tipologia di mu-

seo (arte antica/classica, arte moderna/contemporanea, scienza e tecnica, musei e siti archeologici,

di storia e civiltà).

Alla ricerca hanno partecipato 339 studenti, la cui età media era di 21,8 anni. Gli studenti pro-

venivano da diverse tipologie di scuole secondarie (liceo classico, liceo scientifico, liceo socio-

psico-pedagogico, liceo linguistico, liceo artistico e istituto tecnico-professionale). Alla domanda suquanta educazione artistica avessero ricevuto durante la scuola secondaria (scala da 1 a 5) si è otte-

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nuta, sul campione totale, una media pari 2,8. Incrociando questa variabile con il diploma di scuola

secondaria, si è osservato che gli studenti in possesso di un diploma di liceo artistico o istituto

d’arte hanno ottenuto un elevato livello di educazione artistica (la media era pari 4,5); invece gli

studenti provenienti dal liceo linguistico e dal liceo classico hanno ottenuto un punteggio medio di

3,3; infine gli universitari provenienti da istituti professionali e da istituti tecnici industriali hanno

ottenuto il livello più basso di formazione artistica, 2,5. Da questi dati emerge come il livello di e-

ducazione artistica scolastica ricevuta vari in funzione del tipo di scuola secondaria frequentata. E

questo è un dato tutto sommato abbastanza scontato. Il dato interessante è osservare come vi sia una

stretta relazione tra diploma di scuola secondaria e numero di musei visitati negli ultimi 12 mesi.

Gli studenti provenienti dal liceo artistico hanno avuto maggiori contatti con le istituzioni museali e

ne hanno visitato mediamente 5 negli ultimi 12 mesi. Gli studenti provenienti dal liceo classico ne

hanno visitato 3 mentre quelli dello scientifico ne hanno visitato in media 2. Gli altri (liceo pedago-

gico e istituti professionali) ne hanno visitato mediamente 1. Risulta inoltre una elevata correlazione

tra la formazione artistica ricevuta e il numero di musei visitati negli ultimi 12 mesi (r = .30; p =

.00). Ciò sta ad indicare che più è elevato il livello di educazione artistica tanto più il numero dei

musei visitati aumenta.

Complessivamente, per quanto riguarda le visite museali è emerso che il 18,2 % degli studenti u-

niversitari, negli ultimi 12 mesi non ha visitato neanche un museo; il 21 % ha compiuto solo una vi-

sita; il 21,6 % due visite; il 13,6 % tre visite; l’8,5% quattro visite ed infine il 2,8 % ha compiuto ol-

tre sei visite. I partecipanti che appartengono al gruppo che non ha condotto nessuna visita hanno

affermato che i motivi alla base sono riconducibili a mancanza di tempo, di opportunità e di infor-

mazioni, ma anche ad uno scarso interesse per i musei, al fatto che questi spesso sono noiosi, non-

ché al prezzo elevato del biglietto di ingresso. Nonostante l’elevato numero di studenti che non ha

visitato neanche un museo in un anno, è incoraggiante il fatto che gli intervistati abbiano comunque

dimostrato di avere un potenziale interesse verso questo tipo di esperienza se solo avessero maggio-

ri opportunità (per esempio amici/colleghi con cui andare) e più informazioni.I musei visitati con maggiore frequenza sono stati quelli di arte antica e classica, 40,9 %, seguiti

dai musei d’arte moderna/contemporanea, 35,4 %, siti archeologici, 11,8 %, musei di scienze e tec-

nica, 6,3 %, ed infine i musei di storia e civiltà con il 3,9%.

Dall’analisi dei dati è interessante osservare una correlazione positiva (prossima alla significati-

vità) tra titolo di studio della madre e visite dei musei negli ultimi 12 mesi (r = .13; p = .07). Tale

dato può essere spiegato con il fatto che, quanto più la madre ha un livello di istruzione e di forma-

zione elevato, tanto più trasmetterà al proprio figlio un interesse verso i prodotti culturali in quanto

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è lei, principalmente, ad occuparsi dell’educazione e dell’istruzione del figlio. Dall’altro lato la cor-

relazione tra titolo di studio del padre e visite museali non risulta essere significativa.

Dalla ricerca svolta emerge una sostanziale conferma dei risultati ottenuti nelle indagini già

condotte sul rapporto giovani-museo, che hanno dimostrato che il museo non è tra gli interessi prin-

cipali dei ragazzi e da ciò è dipeso il loro coinvolgimento e la scarsa frequentazione.

I musei hanno difficoltà nel raggiungere e coinvolgere con continuità i giovani; risulta quindi

importante impegnarsi nella ideazione e programmazione di attività educative rivolte ai ragazzi,

compito che richiede attenzione e competenza, forse più di quanta ne serva per altri tipi di pubblico.

Le motivazioni che spesso spingono questa categoria di persone a frequentare un museo non si

basano su un reale interesse ma su una semplice curiosità o sul “dovere” che obbliga a prender parte

ad un’esperienza senza essere accompagnati da un’effettiva volontà e porta così ad una frequenta-

zione “forzata” che può generare atteggiamenti di indifferenza e noia (Bollo 2008).

Per quanto riguarda il tratto di immagine associato al museo, emerge una connotazione general-

mente negativa del termine; infatti, nei giovani sono ben radicati e persistono tutt’oggi pregiudizi

sul museo, quale luogo frequentato da persone definite “vecchie” non solo per età ma anche nel

modo di essere, tanto da generare una situazione di esclusione dal “gruppo” per coloro i quali scel-

gono di visitare il museo. Lo scarso numero di giovani che frequenta i musei può essere riconduci-

bile al fatto che la loro identità, lo stile di vita, gli interessi e il gusto sono spesso in conflitto con gli

elementi della tradizione culturale-educativa (Bourdieu, 1979) e quindi anche con le istituzioni mu-

seali che di tale tradizione sono i depositari; si creerebbe una sorta di dissonanza tra le caratteristi-

che e gli obiettivi personali e le opportunità offerte dal museo.

Per molti giovani inoltre è difficile fare distinzioni tra l’idea del museo e quella di scuola. Molto

spesso viene implicitamente operata un’associazione tra queste due istituzioni. L’apprendimento

formale, strutturato che si svolge a scuola corre il rischio, agli occhi dei giovani, di essere percepito

anche nella modalità didattica informale che si esplica nel museo. I ragazzi passano parte della loro

vita a studiare e imparare; l’approccio sostanzialmente educativo e didattico dei musei è vissutocome un carico di lavoro aggiuntivo e come tale non attraente.

Gran parte del pubblico giovanile trascura il significato e il valore dei musei e

dell’arricchimento culturale che se ne ricava frequentandoli, anche se una piccola parte ne è consa-

pevole, ma nonostante ciò non prova alcun interesse nel visitarli poiché preferisce altri luoghi come

il cinema o i concerti, considerati più stimolanti, meno noiosi e meno impegnativi rispetto al museo,

visto come un semplice contenitore di oggetti rari ma statici, freddi, posti in teche o appesi a pareti

con didascalie spesso incomprensibili che non permettono uno scambio, un’interazione, cosa cheinvece avviene con un film o con la musica dal vivo.

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Una possibilità di modificazione di questo atteggiamento, al fine di promuovere e incrementare

le visite museali dovrebbe provenire dalla scuola, possibilmente sin dalle elementari, cercando di

inserire nei programmi scolastici dei percorsi rivolti in maniera più incisiva al contatto con l’arte

per far crescere negli allievi interesse e passione e avvicinarli così a questa importante esperienza

dalla quale nasce la cultura museale.

Certo che il museo deve anche fare la sua parte: diventare per esempio, in alcuni momenti, un

luogo d’incontro in cui trascorrere una serata in alternativa al cinema, magari anche attraverso il

prolungamento dell’orario serale, con l’opportunità di ospitare laboratori creativi, o proporre proie-

zione di film su artisti o attraverso riprese cinematografiche dal vivo. Il museo dovrebbe cercare di

intercettare la curiosità, l’interesse, le motivazioni, il piacere estetico che i giovani potenzialmente

dimostrano per la cultura cercando però di avvicinarsi a loro attraverso l’uso e la proposta di lin-

guaggi nuovi e più contemporanei.

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Bibliografia ragionata per approfondimenti

Introduttivi alla psicologia della percezione:Gregory R. (1966). Occhio e cervello, Il Saggiatore.Hochberg J. E. (1975). Psicologia della percezione, Giunti-Martello.

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La percezione applicata ai processi della rappresentazione pittorica e della comunicazione visiva:Kennedy J. M. (1988). La percezione pittorica, Ed. Libreria Cortina, Padova.Massironi M. (1982). Vedere con il disegno, Muzio Edizioni, Padova.Massironi M. (1989). Comunicare per immagini, Il Mulino.

Per un approccio psicodinamico all’arte è utile partire dalla lettura originale di alcuni saggi:Freud S. 1908). Il poeta e la fantasia, BoringhieriFreud S. (1910). Leonardo, Boringhieri.Freud S. (1913). Il Mosé di Michelangelo, Boringhieri.Ulteriori sviluppi e valutazioni critiche si possono trovare in:Gombrich E. H. (1967). Freud e la psicologia dell'arte. Einaudi.Hauser, H. (1969). Le teorie dell’arte. Einaudi Torino (1958).Kris E. (1967). Ricerche psicoanalitiche sull'arte, Einaudi.Il libro “Freud” di Giovanni Jervis e Giorgio Bartolomei, è edito da Carocci, Roma, 2001.

Per quanto riguarda la percezione, i processi cognitivi e la psicologia dell'arte, sono un riferimentoimportante i lavori di:

Arnheim R. (1974), Arte e percezione visiva, Feltrinelli.Arnheim R. (1969), Verso una psicologia dell'arte, Einaudi.Arnheim R. (1974), Il pensiero visivo, Einaudi.Arnheim R. (1974), Il potere del centro, Einaudi.Gombrich E. H. (1965), Arte e illusione, Einaudi.Gombrich E. H. (1985), L'immagine e l'occhio, Einaudi.

Libri di autori italiani di psicologia dell’arte sono:

Argenton A. (1996), Arte e cognizione: introduzione alla psicologia dell’arte, Cortina.Bartoli G. (2003), Scritti di psicologia dell’arte e dell’esperienza estetica, Monolite.Massironi M. (2000), L’osteria dei dadi truccati: arte, psicologia e dintorni, Il Mulino.

Per quanto riguarda l’arte e le neuroscienze:Cappelletto C. (2009). Neuroestetica, L’arte del cervello. Laterza, Roma-Bari.Lumer L e Zeki S (2011). La bella e la bestia: arte e neuroscienze. Laterza, Roma-Bari.Maffei L., Fiorentini A. (1995), Arte e cervello, Zanichelli.Zeki S. (1999). La visione dall’interno. Arte e cervello, Bollati Boringhieri, Torino (2003).Freedberg D. e Gallese V. (2008). Movimento, emozione, empatia. I fenomeni che si producono

a livello corporeo osservando le opere d’arte. Prometeo, Rivista trimestrale di scienza e sto-

ria, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 2008;Freedberg D. (2007). Empatia, movimento ed emozione. In Immagini della Mente, Neuroscienze,

arte e filosofia, a cura di G. Lucignani e A. Pinotti, Raffaello Cortina, Milano.

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7/29/2019 Psicologia Dell'arte

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 Per un inquadramento e un approfondimento delle correnti artistiche può essere utili consultare un

manuale di Storia dell’Arte:Argan G. C. (1970), Storia dell’Arte Italiana, Sansoni.De Vecchi P., Cerchiari E. (1991), Arte nel Tempo, Bompiani.

Dorfles G., Vettese A. (2002). Arti visive, Atlas.

Classici dell’estetica sperimentale:Berlyne, D. (1971). Aesthetic and psychobiology. New York: Appleton-Century-Crofts.Berlyne, D. (1974). Studies in the new experimental aesthetics. Washington DC: Hemisphere.Birkhoff, G. D. (1933). Aesthetic Measure. Cambridge Massachusetts’ University Press.Eysenck, H.(1942). The experimental study of the ”good gestalt” - a new approach. Psycholog-

cal Review, 49, 344-364.Fechner, G. (1876). Vorschule der asthetik . Leipzig, Germany, Breitkopf and Hartel.

Il libro dello psicologo evoluzionista citato è il seguente:

Miller, G. (2002). Uomini, donne e code di pavone: la selezione sessuale e l’evoluzione della na-tura umana. Einaudi, Torino.