Psicologia Del Lavoro

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PSICOLOGIA DEL LAVORO LEZIONE 1 -TEORIA DELL’ORGANIZZAZIONE AZIENDALE SESSIONE 1-Scientific management e relazioni umane Le problematiche connesse all’organizzazione aziendale hanno permesso lo svilupparsi di numerosi studi che vanno a definire la cosiddetta “SCIENZA DELL’ORGANIZZAZIONE”. La “ SCIENZA DELL’ORGANIZZAZIONE “ risulta caratterizzata da alcuni principali filoni teorici tra i quali ricordiamo: TEORIA DELL’ORGANIZZAZONE TEORIA DEL COMPORTAMENTO TEORIA DELLA CONSULENZA LEZIONE 1 -TEORIA DELL’ORGANIZZAZIONE AZIENDALE SESSIONE 1-Scientific management e relazioni umane Quando parliamo di teoria dell’organizzazione ci riferiamo a : strutture, concetti, definizioni e teorici del pensiero organizzativo. La teoria del comportamento fa riferimento alle modalità di comportamento individuale e di gruppo con particolare attenzione ai processi di interazione fra gli individui. La teoria della consulenza concerne la messa in atto di strategie mirate a definire le varie funzioni del consulente aziendale. Nello studio dell'ORGANIZZAZIONE si individuano diversi periodi: 1900‐1960 periodo della gestione scientifica (Scientific Management). Taylor per primo studiò scientificamente l'organizzazione. Il suo approccio all'ORGANIZZAZIONE e alle RISORSE UMANE che ne fanno parte è di tipo meccanicistico. Fredrick Winsliow Taylor (1856‐1915), mise a punto il sistema "tempi e metodi", esaminando il lavoro svolto dagli operai e cronometrando i tempi unitari impiegati in ciascun lavoro. Elaborò quelli che sono i principi teorici della catena di montaggio, che mirava ad eliminare i cosiddetti tempi morti , favorendo una produttività alta e una diminuzione conseguente di costi. Tra le opere di Taylor citiamo: "Shop Management" del 1903 "Principles of scientific management" del 1911 Taylor parte dal presupposto che l'uomo sia pigro per natura 1

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PSICOLOGIA DEL LAVORO

LEZIONE 1 -TEORIA DELL’ORGANIZZAZIONE AZIENDALESESSIONE 1-Scientific management e relazioni umaneLe problematiche connesse all’organizzazione aziendale hanno permesso lo svilupparsi di numerosi studi che vanno a definire la cosiddetta “SCIENZA DELL’ORGANIZZAZIONE”.La “ SCIENZA DELL’ORGANIZZAZIONE “ risulta caratterizzata da alcuni principali filoni teorici tra i quali ricordiamo:TEORIA DELL’ORGANIZZAZONETEORIA DEL COMPORTAMENTOTEORIA DELLA CONSULENZA

LEZIONE 1 -TEORIA DELL’ORGANIZZAZIONE AZIENDALESESSIONE 1-Scientific management e relazioni umaneQuando parliamo di teoria dell’organizzazione ci riferiamo a : strutture, concetti, definizioni e teorici del pensiero organizzativo.La teoria del comportamento fa riferimento alle modalità di comportamento individuale e di gruppo con particolare attenzione ai processi di interazione fra gli individui.La teoria della consulenza concerne la messa in atto di strategie mirate a definire le varie funzioni del consulente aziendale.Nello studio dell'ORGANIZZAZIONE si individuano diversi periodi:1900‐1960 periodo della gestione scientifica (Scientific Management). Taylor per primo studiò scientificamente l'organizzazione. Il suo approccio all'ORGANIZZAZIONE e alle RISORSE UMANE che ne fanno parte è di tipo meccanicistico.Fredrick Winsliow Taylor (1856 1915), mise a punto il sistema "tempi e metodi",‐ esaminando il lavoro svolto dagli operai e cronometrando i tempi unitari impiegati in ciascun lavoro. Elaborò quelli che sono i principi teorici della catena di montaggio, che mirava ad eliminare i cosiddetti tempi morti , favorendo una produttività alta e una diminuzione conseguente di costi.Tra le opere di Taylor citiamo:"Shop Management" del 1903"Principles of scientific management" del 1911Taylor parte dal presupposto che l'uomo sia pigro per natura dunque, per vincere l'innata pigrizia, deve lavorare sotto minaccia di punizione. La retribuzione diviene di conseguenza direttamente proporzionale al rendimento produttivo.Ci troviamo di fronte ad uno stile di gestione autoritario.In quest'ottica, l'ORGANIZZAZIONE viene vista come una macchina complessa, chiusa in se stessa e gerarchizzata.Altro esponente dello Scientific Management è Henri Fayol (1841 1925),ingegnere‐ minerario e manager francese, il quale evidenziò la necessità di addestrare la direzione. Fu il primo teorico a domandarsi che cosa fosse il Management.Tra le opere di Fayol citiamo:"Administration industrielle et génerale" del 1911, tradotta poi in inglese nel 1949.1930‐1970 periodo delle relazioni umane . Ci si accorge che l'uomo non è una macchina ma ha delle emozioni che influiscono sul suo rendimento lavorativo.Principale esponente della scuola delle relazioni umane è Elton Mayo, australiano, docente di ricerche industriali, aveva studiato medicina e filosofia. Mise in evidenza

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l'importanza delle motivazioni individuali e della comunicazione fra management e lavoratori.Lo studiio di Hawthorne è esplicativo di questo cambiamento.L'effetto Hawthorne rappresenta uno dei contributi fondamentali agli studi sull'ORGANIZZAZIONE.Gli esperimenti iniziati nel 1924 e ultimati nel 1936, furono condotti da Elton Mayo in collaborazione W. J. Dickson titolare a Chicago della fabbrica di Hawthorne.Questo studio sperimentale era mirato alla comprensione dell'insoddisfazione dei dipendenti sul lavoro.Gli esperimenti condotti volevano verificare l'esistenza di una possibile relazione tra illuminazione e produzione.La ricerca , effettuata in tre reparti, mise in evidenza che la produzione aumentava con l'aumento dell'intensità luminosa. Però l'aumento di produzione non era uguale in tutti i reparti e gli esperimenti proseguirono con gruppi di controllo. Si osservò che la produzione aumentava non solo nel reparto dove era aumentata l'illuminazione ma anche nel gruppo di controllo che non aveva avuto variazioni luminose. Anche quando in uno dei gruppi l'illuminazione venne ridotta gradualmente a " luce lunare", si osservò che la produzione aumentava.Le conclusioni tratte da questi esperimenti misero in luce che:Le condizioni di lavoro fisiche hanno meno effetto sulla produzione di quanto avessero‐

evidenziato le osservazioni dello Scientific Management.La soddisfazione sul lavoro è collegata ai rapporti sociali che si instaurano nel gruppo di‐

lavoro.Il comportamento nell'ambito dell'organizzazione può essere influenzato da fattori‐

esterni quali ambiente, situazioni familiari, educazione ecc.Per il clima del gruppo è importante considerare il rapporto operaio capo‐ ‐

Una valida conferma alla rilevanza di questi esperimenti si è avuta nel simposio commemorativo, nel novembre del 1974, organizzato dalla Western Electric Society, mirato alla celebrazione di quella storica ricerca.Frasi celebri:Peter Drucker: " Taylor fu il primo uomo nella storia che non ha dato il lavoro per scontato ma lo ha osservato e studiato...“Elton Mayo : "I lavoratori respingono il taylorismo perchè, malgrado i suoi contributi all'efficienza, fondamentalmente è un sistema imposto e non tiene conto del parere dei lavoratori".PRINCIPALI DIFFERENZE FRA SCIENTIFIC MANAGEMENT E RELAZIONI UMANE1PRINCIPI 2 RELAZIONI 3 MODELLI 4 INCENTIVI 5 SELEZIONE 6 FORMAZIONE‐ ‐ ‐ ‐ ‐SCIENTIFIC MANAGEMENT1 PRESCRIZIONE E CONTROLLO STILE DI DIREZIONE AUTORITARIO‐ ‐2 RELAZIONI COMPETITIVE‐3 DIVISIONE DEL LAVORO TEMPI E METODI JOB EVALUTATION‐ ‐ ‐4 ECONOMICI‐5 ATTITUDINI PSICO FISICHE‐ ‐6 ADDESTRAMENTO SPECIFICO PER LA MANSIONE‐

RELAZIONI UMANE1 SOSTEGNO INTERPERSONALE STILE DI DIREZIONE DEMOCRATICO‐ ‐

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2 RELAZIONI AFFILIATIVE‐3 QUESTIONARI INDIVIDUALI E SCALE DI ATTEGGIAMENTI‐4 RICONOSCIMENTO PERSONALE‐5 MOTIVAZIONI RELAZIONALI‐6 ADDESTRAMENTO DELLE ABILITA’ RELAZIONALI‐

Nell'ambito delle relazioni umane si sviluppa la cosiddetta Scuola delle Risorse Umane i cui principali esponenti sono:DOUGLAS MC GREGOR‐ABRAHAM MASLOW‐FREDRICK HERZBERG‐CHRIS ARGYRISDouglas Mc Gregor (906 1964), Psicologo sociale . si specializza nello studio del‐ comportamento delle risorse umane aziendali.Viene ricordato per la teoria X (management autoritario) e la teoria Y(management partecipativo).Citiamo fra le opere:"The human side of entreprise" del 1960"The professional manager" del 1967

Abraham Maslow (1908 1970). Psicologo e scienziato del comportamento, è considerato‐ uno dei padri della psicologia umanistica.Citiamo fra le opere:"Motivation and personality" del 1970Frederick Herzberg (1923 2000),Psicologo clinico statunitense, ritiene che i fattori della‐ soddisfazione siano generati dalla MOTIVAZIONE ed è fondamentale prevedere il loro mantenimento. Principi fondamentali della motivazione risultano essere : la soddisfazione professionale, la responsabilità, la crescita professionale,l'autorealizzazione.Citiamo fra le opere:"The motivation to Work" del 1959"The management Managerial Choice:To be Efficient and to be human" del 1976.

Chris Argyris (1923),Psicologo e teorico organizzativo statunitense,specializzato nello studio delle risorse umane aziendali mise in evidenza che:l'atteggiamento del capo può creare un clima di sfiducia che tende a penalizzare i‐

collaboratoriLe componenti significative per influire sui gruppi di lavoro sono: i rapporti umani e la‐

razionalità contrapposte all'emotivitàCitiamo fra le opere:"Personality and organitation" del 1957

SESSIONE 2-Complessità dell’organizzazioneLa crescente complessità dell'organizzazione inizia a richiedere un diverso mondo di pensare e quindi una diversa prospettiva. Uno strumento per affrontare la situazione complessa dell'organizzazione è dato dalla Teoria dei sistemi.ORIENTAMENTO AI SISTEMII principi della teroria generale dei sistemi fanno riferimento a Von Bertalanffy(1937.Tale teoria ottiene riconoscimenti intorno agli anni 50 e ha un vasto campo di applicazioni. La teoria dei sistemi può essere intesa come una matrice di pensiero che permette la proiezione di determinati problemi su uno schema più generale. Diviene anche mezzo per studiare le analogie fra concetti, leggi, modelli e situazioni di discipline diverse. Viene in

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questo modo favorita l'unità della scienza. Il pensiero sistemico è particolarmente utile se applicato a problemi dei quali viene richiesta la conoscenza di interrelazioni e interazioni. Deve esserci dunque una ragione, uno scopo per cui un sistema che è parte dell'ambiente , deve essere distinto da esso. Si devono quindi definire dei confini che distinguono il sistema dall'ambiente. Il sistema diviene così parte soggettiva dell'ambiente.In quest'ottica, anche l'organizzazione aziendale può essere considerata come un sistema , nel quale possiamo distinguere aspetti sociali e tecnico/economici,in quanto, subsistemi facentene parte .Ogni subsistema può essere studiato separatamente; ogni subsistema ha in sè elementi che sono in relazione con elementi di altri subsistemi. Nel periodo dello Scientific management, l'organizzazione aziendale si comportava come un sistema chiuso.Nell'ambito della teoria dei sistemi possiamo definire l'ORGANIZZAZIONE come "un sistema complesso aperto, costituito da numerosi subsistemi aperti e/o chiusi". Ogni subsistema può essere studiato sia come singolo sistema, sia come parte di un sistema più ampio.E' importante distinguere fra struttura e processo.

Per struttura di un sistema intendiamola modalità in cui le relazioni reciproche tra i vari elementi vengono tracciate in due o tre dimensioni, non considerando il fattore tempo (es. schemi organizzativi, organigramma, lay out...). Se invece si studia il ‐ processo come sistema, si deve considerare il fattore tempo (studio del flusso di: materiali, denaro,dati, energia). Si studiano cioè tutti i casi in cui si ha una variazione degli elementi nel tempo.Ogni processo è reso possibile solamente se inserito nella struttura di un sistema. Una struttura senza un processo non ha nessun senso.TEORIE DI DERIVAZIONE SISTEMICAParsons , vede la realtà sociale composta da sistemi interconnessi che a partire dalla singola personalità vanno a confluire nella società.L'elemento che differenzia le organizzazioni formali dagli altri sistemi sociali èl'orientamento verso la realizzazione di fini specifici.Il modello di Parsons prende in considerazione i concetti di fondamentale rilievo quali : adattamento,raggiungimento di uno scopo e integrazione.A Londra tra gli anni 40 e 60, il Tavistock Institute, diviene punto di riferimentoeuropeo per quanto concerne i metodi di analisi e sperimentazione per laristrutturazione e il miglioramento qualitaitvo del lavoro. Tra principi chiaveespressi, viene messo in rilievo il fatto che " il capo debba coinvolgere il gruppo di lavoro in quelli che sono gli obiettivi comuni da raggiungere", inoltre si ribadisce che "Ogni membro del gruppo, messo a conoscenza degli obiettivi del gruppo,si sente responsabilizzato e di conseguenza motivato".L'evoluzione sociale si accompagna in questo periodo a rapidi sviluppi culturali. Assistiamo ad una fase di cambiamento dove si rende necessario l'adeguamento dell'organizzazione all'individuo. I compiti e le responsabilità devono essere adeguati e, di conseguenza si richiede una nuova forma di gestione. Tale gestione deve coordinare piuttosto che dirigere.Anche la presa di decisioni non sarà più un'esclusiva dei capi e i collaboratori parteciperanno agli ambiti decisionali. Assistiamo ad uno sviluppo dell'organizzazione, caratterizzato dall'individuazione e sviluppo delle capacità creative dei suoi membri, viene valorizzata in modo particolare la capacità di problem solving. L'intera organizzazione dal

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livello più alto a quello più basso, è direttamente coinvolta nel processo di cambiamento. L'obiettivo principale è che l'organizzazione impari ad adeguarsi con costanza alle nuove condizioni.Successivamente si inizia ad attribuire importanza allo sviluppo di gestione. Si parte dall'idea che lo stile di gestione determini le condizioni ambientali nell'organizzazione e debba essere orientato alla creazione di condizioni tali da poter soddisfare il raggiungimento degli scopi dell’ organizzazione. Questo metodo usa la pianificazione delle carriere, attribuisce importanza alla formazione,alle riunioni, alla rotazione dei compiti.E' necessario distinguere tra gestione operativa e strategica . Se la gestione operativa risulta essere responsabile della realizzazione degli scopi dell'organizzazione,la gestione strategica ha l'obiettivo di "adeguare costantemente l'azienda in modo da assicurarne la continuità".

SESSIONE 3-" Organizzazioni malate"Il modello di Kets de Vries e Miller è applicabile alle cosiddette "Organizzazionimalate". Gli autori hanno descritto cinque stili di comportamento nevrotico,al finedi elaborare un tassonomia di possibili disfunzioni organizzative con lo scopo diprevenire. Secondo gli autori, un cambiamento reale può avvenire solo dopo unadiagnosi attenta mirata a fornire ai dirigenti interessati chiarificazioni sulla lorocondotta di tipo disfunzionale .Sembra interessante comprendere che cosa accade a diverse personalità, con differenti tendenze nevrotiche di base,nel momento in cui entrano a far parte di un'organizzazione aziendale.Le tipologie di personalità fanno riferimento alle tendenze:‐ossessive‐paranoidi‐depressive‐schizoidi‐isteriche

Si è osservato come all'ORGANIZZAZIONE BUROCRATICA appaia funzionale ilcomportamento ritualista, il quale ci richiama le tendenze ossessive.Nello Stile di Management ossessivo, secondo Kets de Vries e Miller, non è possibile fare a meno del rituale...tutto è prestabilito, tutto è sistematizzato...anche i più insignificanti dettagli operativi vengono pianificati ed eseguiti in manieraripetitiva...accuratezza conformità agli standars...sono le tendenze centrali...La personalità paranoide è orientata al controllo esterno, attribuisce importanza ai controlli formali (Stile di Management paranoide).La personalità depressiva ( Stile di management depressivo) appare caratterizzata da:demotivazione, isolamento, conservatorismo,passività.La personalità schizoide (Stile di Management Schizoide)è portata a sognare ad occhi aperti, non ha fiducia nell'altro,non riesce ad impegnarsi a fondo.La personalità isterica (Stile di Management isterico) è caratterizzata da :iperattività, impulsività. Risulta inoltre priva di inibizioni e prende in considerazione più cose senza ben canalizzarle.Kets de Vries e Miller ritengono che la personalità del Manager influiscono non solo sulla strategie e sulla struttura di un'organizzazione ma anche sulla sua cultura.Il modello psicosociale di sintesi delle organizzazioni formali deriva da un'integrazione

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delle ricerche di Robert Merton, Kurt Lewin, Chris Argyris,Eliot Jaques ,Kets de Vries e Miller.Tale modello si pone i seguenti obiettivi:descrivere gli aspetti più significativi della realtà psicoorganizzativa e individuare le linee che sembrano più probabili rispetto all'evoluzione delle interazioni tra personalità e organizzazione.

SESSIONE 4- Organizzazione e culto dell’eccellenzaRobert Waterman Jr. (1936 ) lavorò per vent'anni alla Mc Kinsey occupandosi di ristrutturazione di aziende di grandi dimensioni. Nel 1976, a S. Francisco, iniziò la collaborazione con Tom Peters.Tra le opere fondamentali citiamo:"The renewal factor" del 1987"Adhocacy: the power to change" del 1990Tom Peters (1936), Conseguì il Master in Ingegneria civile prima di prestare servizio in Vietnam, quindi il Master in Businnes Administration a Stanford.Prima di approdare alla Mc Kinsey nel 1974, lavorò a Washington presso l'Office of Management and Budget ed al Pentagono dove si interessò di "organizzazioni complesse"‐Tra le opere fondamentali citiamo:"Thriving on chaos"del 1987(Austin) "A passion of excellence" del 1985Robert Waterman Jr. e Tom Peters pubblicarono nel 1982 "In Search of excellence" (tr. it." Alla ricerca dell'ecccellenza"‐Sperling & Kupfer, 1984) che divenne un bet‐seller.Gli autori elaborarono la cosiddetta "TEORIA delle SETTE S":STRUTTURA‐STRATEGIA‐STILE DI MANAGEMENT‐SKILL (fattori chiave di successo aziendale)‐STAFF‐VALORI CONDIVISI‐

Tale teoria, applicata a 43 aziende analizzate ha evidenziato otto caratteristiche di successo comuni:PREFERENZA PER L'AZIONE‐ORIENTAMENTO AL CLIENTE‐AUTONOMIA ED IMPRENDITORIALITA'‐PRODUTTIVITA'‐ENFATIZZAZIONE DEI VALORI CHIAVE DELL'AZIENDA‐COSCIENZA DI CHE COSA SI SA FARE‐SEMPLIFICAZIONE DELLA STRUTTURA‐ATTUAZIONE AL TEMPO STESSO DI RIGIDITA' E DI FLESSIBILI‐

Nel 1987,solo 14 sulle 43 aziende prese in esame potevano essere ancora considerate eccellenti, le rimanenti avevano attraversato crisi di diverso genere.Gli autori arrivarono alla conclusione che nel business moderno, in cui i cambiamenti sono repentini, manca il tempo per poter far sì che si sviluppi la vera eccellenza.Dunque si possono definire aziende eccellenti quelle che attuano un costante miglioramento e credono nella indispensabilità di un continuo cambiamento.Per Waterman Jr.

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Le aziende eccellenti sono quelle che ravvisano la necessità del passaggio da una piramide gerarchica manageriale ad una orizzontale, dinamica, multifunzionale e improntata alla collaborazione.Ecco le otto regole individuate per migliorare le performance aziendali :‐CANALIZZAZIONE INFORMATIVA E FLESSIBILITA': le aziende che si rinnovano considerano le informazioni e la flessibilità come principali vantaggi strategici.DIREZIONE ED OPERATIVITA': le aziende che si rinnovano considerano tutto l'organico come fonte di input creativo.ANALISI DEGLI ACCADIMENTI AZIENDALI E LORO VERIFICARIVISITAZIONE ASETTICA DEL CONTESTO AZIENDALE: le aziende che si rinnovano considerano importante staccarsi dalla realtà del contesto aziendale, rivisitandolo da un'angolazione diversa.LAVORO DI GRUPPO E FIDUCIAGESTIONE DELLE RISORSE UMANEMOTIVAZIONE DELLE RISORSE UMANEINDIVIDUAZIONE DELLE ABITUDINI E CONSUETUDINI al fine di interromperle

LEZIONE 2-EVOLUZIONE DEGLI STILI MANAGERIALISESSIONE1- STILI DI DIREZIONE: Tannembaum e Schmidt, Kurt Lewin-Margaret Ferguson, Chris ArgyrisTANNEMBAUM e SCHMIDT-Il capo prende la decisione e la rende nota-Il capo “vende”la propria decisione-Il capo presenta le sue decisioni in forma esplorativa e suscettibile di modifica-Il capo presenta il problema, raccoglie i suggerimenti e quindi formula la propria decisione-Il capo definisce limiti e discrezionalità e chiede al gruppo di formulare una decisione-Il capo dà facoltà al gruppo di formulare la decisione entro limiti prestabiliti.

Kurt LewinIndividua tre stili di leadership:STILE AUTORITARIO reazione del gruppo: aggressiva o apaticaSTILE DEMOCRATICO reazione del gruppo: rapporti di tipo amichevoleSTILE LAISSEZ FAIRE reazione del gruppo: aggressiva o apaticaMargaret Ferguson :“Il Manager è un essere che esplora il proprio ambiente”Il manager sistematico, segue uno schema o un metodo di decisione e ha coscienza del processo e del metodo decisionale, giustifica le soluzioni in termini metodologici, scarta rapidamente le alternative, procede alla definizione sempre più precisa della situazione, ricerca sistematicamente nuove informazioni, porta a termine le singole fasi decisionali già avviate.Il manager intuitivo, considera mentalmente la situazione nel suo complesso e ridefinisce continuamente il problema, giustifica le decisioni nei termini di risultato, valuta simultaneamente più alternative.

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Chris ArgyrisSi muove verso l’obiettivo di un individuo autosufficiente, il quale tenderà a: discernere tra valori intellettuali e fattori emotivi, assumere un atteggiamento meno difensivo, potenziare le proprie capacità creative, valorizzare le capacità creative e le potenzialità dell’altro.

La griglia manageriale di Blake e Mouton, si basa sul concetto che in ogni comportamento legato alla funzione di comando si possono distinguere due componenti fondamentali: quello indirizzato alla realizzazione del risultato e quello indirizzato al soddisfacimento delle motivazioni umane.Gli autori hanno potuto osservare che alcuni capi sono più orientati alla realizzazione dei compiti mentre altri pongono più attenzione alle persone.Blake ha evidenziato cinque stili di comportamento uomo sociale condottieroattenzione per l'uomo figura di compromesso apatico schiavista attenzione per il compitoESSIONE 2-La griglia manageriale di Blake e MoutonMediante la GRIGLIA MANAGERIALE, le risorse umane possono verificare il proprio stile di comportamento. La Griglia o Scacchiera del comando, risulta composta da 81 caselle, per mcui teoricamente potrebbero essere identificati 81 diversi stili di comando.L'analisi viene però ricondotta a cinque stili significativi che sono indicati con le posizioni :9.1 - 1.9 - 1.1 - 5.5 -9.99.1 L'efficienza è conseguenza di condizioni di lavoro in cui l'elemento umano viene coinvolto automaticamente.L'idea su cui si fonda questo stile è che esista contrasto fra interessi dell'organizzazione e interessi delle persone che ne fanno parte. Il rapporto fra capo e collaboratore si basa sull'autorità gerarchica . Non ci si preoccupa dello sviluppo dei collaboratori. Nel lungo termine i risultati tendono a peggiorare.1.9 L'attenzione per gli uomini crea ambiente cordiale e piacevole ritmo dilavoro.Questo stile combina un limitato interesse per la produzione con una grande attenzione per la motivazione delle persone.Con questo stile si realizza un ambiente che può avere effetti negativi sulla produzione

1.1 Minimo sforzo per evitare l'interruzione del rapporto di lavoro.Questo stile è caratterizzato da un minimo interesse per la produzione ed un altrettanto minimo interesse per le esigenze delle persone. Un tale comportamento, mediante il quale il capo si sottrae sistematicamente ad ogni responsabilità, porta non solo ad un risultato produttivo peggiore ma anche all'alienazione degli individui.5.5 Ragionevole produttività ed equilibrio fra esigenze di lavoro e morale degli uomini.Un interesse medio per la produzione si combina con un interesse medio per leaspirazioni delle persone. Chi adotta questo stile è consapevole che è necessario un certo impegno per ottenere una ragionevole produzione. Con questo approccio si può realizzare un buon ambiente e ottenere nello stesso tempo buoni risultati.9.9 Grande coinvolgimento delle persone: impegno collettivo basato surispetto e fiducia.Questo stile si distingue nettamente dagli altri poichè non riconosce nessunaincompatibilità fra le esigenze dell'organizzazione e quelle delle persone. Ammette la

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possibilità di integrare gli scopi degli individui e quelli dell'organizzazione poichè, le persone sono interessate al loro lavoro e verso di esso esprimono la loro partecipazione attiva ela loro creatività. il compito delle gerarchie consiste essenzialmente nella realizzazione di condizioni nelle quali gli uomini abbiano possibilità di sviluppare le proprie conoscenze e la propria professionalità. Si verifica così un'evoluzione che ha per effetto un'alta produttività.

Utilizzo della griglia managerialeLa griglia è uno strumento di autoanalisi, poichè in essa è compreso anche uno stile considerato ideale (9.9), i capi possono verificare la propria divergenza da esso, e di conseguenza di quanti punti possono modificare lo stile. Blake e Mouton utilizzano questa griglia oltre che per una diagnosi individuale , anche come strumento per lo sviluppo della gestione di un'intera organizzazione.L'approccio proposto da Blake e Mouton prevede le seguenti fasi:-Fase educativa individuale, consistente nella presa di coscienza del proprio stile e sviluppo delle capacità di lavorare in gruppo.-Fase di sviluppo del lavoro di gruppo con lo scopo di eliminare le barriere che tendono ad ostacolare la collaborazione all'interno dl gruppo.-Sviluppo della collaborazione fra i gruppi con lo scopo di migliorare la comunicazione fra i gruppi appartenenti alla medesima organizzazione.-Fase di sviluppo delle strategie dell'organizzazione con la finalità di identificare i possibili problemi, evidenziare la relazione fra norme e procedure,determinare e definire gli scopi delle singole parti in funzione degli obiettivi dell'organizzazione.-Applicazione delle modifiche pianificate, attraverso l'introduzione di una riorganizzazione derivante dalla fase precedente.-Valutazione delle modifiche . Si verifica se le modifiche corrispondono alle aspettative e si prevedono eventuali nuove tappe di sviluppo.Tale approccio suscitò un enorme interesse e tra il 1961 e il 1971 , numerosissimi dirigenti parteciparono ai cosiddetti "Seminari griglia".

Critiche alla metodologiaLe critiche a Blake e Mouton furono rivolte prevalentemente a due aspetti:-Lo stile ideale 9.9, si fonda sull'idea che ogni soggetto debba essere interessato al lavoro svolto. Non ci sono basi scientifiche per poterlo dimostrare. Ci sono persone, ad esempio, che preferiscono per scelta un lavoro di routine e rifiutano lavori di responsabilizzazione.Tali persone non sono presenti solo a livello operativo ma possono essere presenti anche a livelli superiori.-Molti studi e ricerche hanno dimostrato che non esiste uno stile ideale applicabile ad ogni contesto. Un manager dovrebbe essere in grado di adeguare il proprio stile alle situazioni che cambiano e all'ambiente che è in evoluzione.

SESSIONE 3- L‘efficacia manageriale

La teoria 3-D relativa all' "efficacia manageriale" è stata elaborata da W.J. Reddin . Egli si basa su un'idea "razionale dell'uomo" e alcuni tra i suoi punti cardine sono i seguenti:

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- l'uomo ha una volontà- l'uomo è ugualmente disponibile al bene e al male-l'uomo è spinto dalla situazione-la motivazione dell'uomo sta nella sua ragionevolezzaReddin parte dagli "effetti di un certo stile di management", per cui gli interessa "ciò che realmente si ottiene"con l'attività manageriale.Reddin arriva alla conclusione che "non è possibile identificare uno stile ideale di management". Egli ritiene che le capacità importanti per un capo siano la flessibilità di stile e la sensibilità situazionale.Analisi del concetto di efficaciaLo stile di un capo dovrebbe essere valutato relativamente al fatto che sia in grado di raggiungere gli obiettivi posti. Alcune qualità, spesso ritenute utili nell'attività manageriale, divengono irrilevanti dal punto di vista dell'efficacia (puntualità, immediatezza di reazione,aspetto gradevole dell'ambiente,rapidità di decisione...).Queste qualità, seppur rilevanti in alcune circostanze, danno semplicemente l'impressione di un' apparente efficienza ma non sempre sono indice di efficacia manageriale.Secondo Reddin:"L'efficacia manageriale è la misura in cui il capo soddisfa le esigenze di produzione della sua posizione". Un capo valido è in grado di distinguere fra efficienza ed efficacia. Anche quando l'efficienza appare elevata, si può avere scarsa efficacia.L' efficienza implica: fare bene le cose,risolvere i problemi,utilizzare strategicamente le risorse, assolvere ai compiti,ridurre i costi.L'efficienza implica: fare le cose "giuste",produrre alternative creative realizzabili, ottimizzare l'utilizzo delle risorse, ottenere risultati, aumentare il profitto.

SESSIONE 4- Stili di base di Reddin

Le ricerche effettuate negli anni sul comportamento dei manager, hanno evidenziato che esistono due aspetti principali in ogni stile :-aspetto relativo al compito-aspetto relativo alla relazioneSulla base di queste considerazioni Reddin ha voluto identificare quattro stili di base, rappresentativi di quattro tipi di comportamento, utilizzabili come schema di riferimento.stile connesso stile integratostile separato stile dedito

STILE INTEGRATO : il capo integrato tende ad identificarsi con i diversi aspetti della realtà ambientale, nei limiti del possibile utilizza il lavoro di gruppo per prendere decisioni in un'atmosfera di di integrazione e comunicazione aperta. E' in grado di stimolare i collaboratori, di motivarli e di conseguenza coordinarli.Trasferisce ai collaboratori gli obiettivi comuni e integra gli scopi individuali con quelli dell'organizzazione.Sa affrontare i possibili conflitti ricercandone le cause e studiando strategie per rimuoverli.-STILE SEPARATO : il capo separato tende a non identificarsi con i soggetti che fanno parte dell'organizzazione, tende a vedere i collaboratori come elementi facenti parte di un sistema di lavoro.Tale stile può ben adattarsi ad un lavoro di tipo amministrativo o a lavori in genere che attribuiscono importanza alle norme e alle procedure.

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In caso di problema può provvedere alle correzioni del caso. Tende a proporre controlli al fine di evitare il riproporsi di errori.Se deve affrontare situazioni di conflitto, preferisce far riferimento alle procedure piuttosto che manifestare emozioni. predilige una comunicazione scritta piuttosto che verbale.-STILE DEDITO : il capo dedito tende ad identificarsi con chi riveste un livello superiore .Predilige dominare e lavora bene nelle situazioni in cui può impartire direttive. I suoi strumenti di motivazione sono la punizione e il premio. il conflitto viene "soffocato" con il suo predominio.Attribuisce scarso valore alle aspettative individuali delle persone, fornisce poche informazioni e soffoca le potenzialità dei collaboratori.-STILE CONNESSO: il capo connesso interpreta l'organizzazione come un sistema sociale, tende a conoscere le persone che vi lavorano e ad armonizzare le divergenze. E' particolarmente adatto a ricoprire posizioni di coordinamento e di sviluppo .DERIVAZIONI DALLO STILE INTEGRATO:- "tendente al compromesso" (meno efficace), viene percepito come avente scarso potere decisionale, troppo influenzabile dai fattori esterni.-"il condottiero" (più efficace), viene percepito come motivante e tendente a definire obiettivi.DERIVAZIONI DALLO STILE SEPARATO:-"il disertore" (meno efficace), è scarsamente orientato sia al compito che ai rapporti interpersonali,viene percepito come passivo.-"il burocrate"(più efficace), viene percepito come principalmente interessato a norme e a procedure, alla gestione della situazione mediante la loro applicazione coscienziosaDERIVAZIONI DALLO STILE DEDITO:-"l'autocrate"(meno efficace), fortemente orientato al compito e scarsamente alle relazioni in situazioni che prevedono un comportamento opposto. E' spesso percepito come sospettoso e privo di fiducia negli altri.-"l'autocrate benevolo"(più efficace), è fortemente orientato al compito ma vienepercepito come persona che sa quello che vuole e come ottenerlo senza creare contrasti.DERIVAZIONI DALLO STILE CONNESSO:-"il missionario" (meno efficace), fortemente orientato ai rapporti interpersonali e scarsamente al compito. Viene percepito come prevalentemente interessato a mantenere l'armonia tra le persone.-"lo sviluppatore" (più efficace), fortemente orientato ai rapporti interpersonali, viene percepito come uno che ha fiducia negli altri e che è interessato al loro sviluppo come individui.

VARIABILITA' DI STILE:Si intende l' abilità di modificare il comportamento che potrebbe essere manifestazione del proprio stile fondamentale.Si avrà variabilità bassa quando, in qualsiasi situazione, il comportamento è coerente allo stile fondamentale mentre, si avrà variabilità elevata quando il comportamento prescinde dallo stile fondamentale per adeguarsi alla situazione.Si potranno così osservare stili più o meno efficaci :Alta variabilità: flessibilità (più efficace) incostanza (meno efficace)Bassa variabilità: coerenza (più efficace) rigidità (meno efficace)

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Flessibilità è la capacità di modificare il proprio stile adeguatamente alla situazione che cambiaIncostanza è il cambiamento del proprio stile in modo inadeguato alla situazioneRigidità è il mantenimento di uno stile quando la situazione richiederebbe unCambiamento

CONCETTO DI SITUAZIONE PER REDDIN:Per reddin la situazione risulta costituita da cinque fattori : tecnologia, subordinati, pari livello,superiori, organizzazione.Sulla base degli stili fondamentali e di questi fattori, Reddin crea un metodo pervalutare la situazione.Secondo Reddin, il manager dovrebbe possedere tre capacità di base:-sensibilità situazionale (permette di distinguere ciò che non si può cambiare da ciò che si può cambiare)-variabilità di stile (permette di adeguare il proprio comportamento accettando anche ciò che non è possibile cambiare)-capacità manageriale situazionale (è la capacità di modificare la situazione e comporta il coraggio per cambiare ciò che deve essere cambiato)Sono queste le qualità che un manager dovrebbe acquisire mediante l'esperienza e che conducono all'efficacia manageriale.

LEZIONE 3 LA MOTIVAZIONE SESSIONE 1-Motivazione e valori La motivazione rappresenta un fattore complesso poiché è necessario considerare: -La società nella quali il motivando è inserito -Il gruppo con cui il motivando è prevalentemente in contatto -Gli obiettivi dei vari gruppi di cui fa parte il motivando -Il grado di coerenza degli obiettivi tra loro La motivazionedeve tener conto degli orientamenti, espressi in valori, che nella società attuale sono in rapida trasformazione. Consideriamo valori integrativi,quelli che facilitano i rapporti interpersonali Consideriamo valori competitivi,quelli che inaspriscono i rapporti interpersonali

Le principali motivazioni ad effetto individuale sono: - Motivazione all’ autoespressione( concretezza creativa) - Motivazione a mantenere uno status nell’organizzazione - Motivazione a lavorare in un’organizzazione che sia in grado di trasmettere sicurezza. Le principali motivazioni ad effetto collettivo sono: - Motivazione all’assunzione di responsabilità - Motivazione ad influenzare il comportamento degli altri - Motivazione a mantenersi integrato socialmente , in un rapporto di collaborazione con gli altri membri - Motivazione a mantenersi in una situazione organizzativa definita e stabile

Le quattro fasi della motivazione: PRIMA FASE : conoscenza , analisi, rimozione o riduzione delle cause di demotivazione

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connesse al sistema organizzativo. E’ presente uno stato di tensione , insicurezza, incertezza organizzativa SECONDA FASE: conoscenza, consapevolezza, compatibilità tra i valori oggettivamente ritenuti necessari per essere soggetti operativi. Si deve tener conto : dei propri valori, dei valori dei propri collaboratori, dei valori dei propri superiori. TERZA FASE: conoscenza e messa in crisi dei valori antagonisitici ed incompatibili con l’essere soggetti operativi. QUARTA FASE: conoscenza e messa in crisi degli stili comportamentali antagonistici e incompatibili con l’essere soggetti operativi. I valori integrativi facilitano i rapporti interpersonali , favoriscono il consenso, che presuppone adesione agli obiettivi dell’azienda e rispetto delle norme. Il consenso favorisce lo sviluppo di motivazioni ad effetto collettivo comela collaborazione . I valori competitivi favoriscono stili di comportamento antagonistici,che portano allo sviluppo di conflitti e non rispetto delle norme nell’azienda. E’ opportuno conoscere , analizzare, ridurre, rimuovere le cause di demotivazione presenti nel sistema organizzativo.

I concetti di pulsione, bisogno e motivazione son in stretta connessione tra loro. L a pulsione è data da esigenze di tipo biologico e rappresenta una spinta interna all’organismo. Il bisogno può essere interpretato come ciò che rende concreta la pulsione. La sete per esempio è una pulsione che rappresenta un bisogno da soddisfare dell’ organismo. Analogamente la motivazione è legata ad aspetti di tipo pulsionale mentre lo scopo è più vicino al bisogno. Il bisogno non trova riscontro solo nella pulsione ma riguardare anche aspetti complessi della vita e valori . AbrahmMaslow(1954) , espose il suo modello a piramide, che prevede differenti livelli di sviluppo nei sistemi motivazionali, cognitivi ed emotivi .

SESSIONE 2-Pulsione, bisogno, motivazione Maslow(1908-1970), psicologo e scienziato del comportamento, evidenziò che i bisogni umani si possono organizzare in cinque gruppi. Al primo gruppo appartengono i bisogni FISIOLOGICI, dipendenti dalle pulsioni di tipo fisiologico ( bisogno di cibo ad esempio). Al secondo gruppo appartengono i bisogni di SICUREZZA ( ricerca di figure parentali protettive). Al terzo gruppo appartengono i bisogni di APPARTENENZA ( ricerca di cooperazione con gli altri e di amore). Al quarto gruppo appartengono i bisogni di RICONOSCIMENTO ( esigenza di veder riconosciuti i propri meriti in relazione al ruolo ricoperto). Al quinto gruppo appartengono i bisogni di AUTOREALIZZAZIONE ( riconoscimento applicazione delle proprie potenzialità).

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Secondo Nuttin(1980), “Lo stato motivazionale avvia non soltanto lo stato percettivo e motorio, ma anche il funzionamento cognitivo dell’individuo. In altri termini lo stato di motivazione, -un bisogno di esplorazione o la fame –non rende vigile solo la percezione e il sistema motorio, ma spinge anche il soggetto a pensare , a ricordare, a esplorare…“. Motivazioni e bisogni sono concetti dinamici. L’elaborazione delle informazioni in entrata inducono una continua sistemazione dei piani messi in atto per il raggiungimento degli obiettivi prestabiliti, il cambiamento concerne sia i bisogni, sia le azioni messe in atto per soddisfarli. Secondo Bartoli e Bonaiuto(2000) , gli aspetti motivazionali, proprio perché in relazione con le emozioni, risultano legati a processi psichici di conoscenza , relativi alla percezione, alla memoria e all’attività decisionale. Le “interviste in profondità” e le tecniche proiettive in genere, hanno spezzato il legame che esisteva tra motivazione e razionalità e hanno valorizzato il ruolo dei fattori emotivi nel comportamento motivato e nelle scelte. Possiamo osservare come fenomeni, quali il bisogno di prestigio, di conformismo o al contrario di differenziazione o di resistenza alle pressioni del gruppo, sono influenzati da scelte di tipo emotivo. Forti connessioni tra aspetti motivazionali ed emotivi li ritroviamo ad esempio nel marketing, nella pubblicità e concernono non solo gli aspetti privati del sé ma anche quelli relativi alla dimensione del sociale. Un aspetto applicativo importante dei livelli motivazionali riguarda la MOTIVAZIONE AL LAVORO. Prendendo in considerazione il modello di Shein(1976), osserviamo tre diversi approcci alla motivazione, in linea con il modello di Maslow. 1) APPROCCIO RAZIONALE/ECONOMICO (motivazione negli incentivi economici) 2) APPROCCIO SOCIALE (motivazione di sentirsi accettato dal gruppo) 3) APPROCCIO DIAUTOREALIZZAZIONE (motivazione in un arricchimento qualitativo del lavoro che prevede una maggiore partecipazione dei lavoratori nel definire gli obiettivi aziendali da raggiungere).)

SESSIONE 3-Motivazione e leadership La motivazione al lavoro risulta essere in stretta correlazione con la leadership. Nel passaggio dal management di tipo autoritario a quello di tipo partecipativo, è emersa una leadership orientata a comprendere e a soddisfare i bisogni del personale integrandoli con quelli dell’azienda. La leadership partecipativa e sociale crea motivazione nei collaboratori poiché sviluppa un senso di autorealizzazione , in quanto vengono a meno tutti quegli aspetti che impediscono crescita ed iniziativa . Il leader deve possedere competenze emotive al fine di modulare e regolare le proprie emozioni in relazione ai suoi collaboratori.

Un leader motivato e in grado di modulare le proprie emozioni ed è predisposto a favorire lo sviluppo della motivazione nei collaboratori. Allcorn, vede nella leadership una macrocategoria che, include le competenze specifiche dell’efficienza e della creatività, -soprattutto nella direzione di realizzare gli obiettivi e di risolvere i problemi-e della socialità, per quanto riguarda le qualità relazionali.

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Secondo Allcorn, i leader “speciali” , detti anche “superstar”, sono in grado di prendere in esame tutti i punti di vista nell’analisi di un problema, sono attenti a valorizzare i contributi di ciascuno, e a tener conto degli obiettivi individuali e dei vantaggi che possono derivare, anche sul piano personale, dalle soluzioni messe in atto

SESSIONE 4 –Motivazione : leadership costruttiva e leadership intenzionale Motivati e determinati i leader superstar, si propongono di riuscire “al meglio”, non tanto con riferimento ad un livello di prestazione fissato per sé o per gli altri, ma piuttosto ad un valore ideale, a un “assoluto”, a cui essi costantemente tendono in una prospettiva di effettivo e continuo miglioramento. Ketsde Vries, individua lo stile costruttivo del leader. Lo stile costruttivo prevede l’orientamento propositivo verso il futuro, che diviene un fondamento della motivazione. Ma lo stile oltre che costruttivo, deve essere secondo Allcorne Diamond(1997) anche intenzionale. I leader , caratterizzati da questo stile, sono motivati e sanno motivare ; evitano di mettere in atto i meccanismi difensivi e sanno , anche in situazioni di stress, assumersi i rischi.Poiché gli individui, sentono il bisogno di congruenza tra la realtà soggettiva e la realtà oggettiva, il significato diviene la cornice di senso che contiene e sostiene la continuità dell’esperienza. Una leadership costruttiva/intenzionale , quindi motivata e motivante dovrà porre attenzione a : - Creare il senso dello scopo nelle persone - Alimentare l’autodeterminazione - Alimentare il senso di impatto, cioè ognuno deve essere convinto dell’influenza delle proprie azioni. - Alimentare il senso di competenza, cioè ognuno deve sentirsi “una risorsa” - Costruire un forte senso di valori condivisi

LEZIONE 4 LA DELEGA SESSIONE 1 –Aspetti caratterizzanti la delega Il termine delega, all’interno di qualunque struttura organizzativa, significa : conferimento di un potere specifico da parte di un’autorità superiore ( definizione giuridica). La definizione funzionale di delega è: processo, attraverso il quale una persona (ruolo), attribuisce ad un’altra persona (ruolo), l’autorità necessaria per conseguire obiettivi e realizzare compiti. La delega è un processo reso necessario, dalla struttura stessa delle organizzazioni complesse .FATTORI SITUAZIONALI: - Ruoli e compiti assegnati poco chiari - Ambiente manageriale con scarsa cultura aziendale - Resistenza al cambiamento e scarso orientamento ad affrontare nuove situazioni FATTORI DIPENDENTI DAL DELEGATO: - Bacgroundculturale debole - Scarso orientamento al problemsolving - Personalità insicura

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- Difficoltà a comunicare in modo efficace - Scarsa motivazione ad assumere ruoli di responsabilità

Le fasi operative del processo di delega :PREPARAZIONE, SPERIMENTAZIONE, ATTUAZIONE. La PREPARAZIONE implica : -definizione dei compiti da delegare -scelta del delegato -individuazione delle finalità generali e degli obiettivi specifici -individuazione dei mezzi/risorse utilizzabili -definizione dei tempi -identificazione dei criteri di controllo/valutazione e dei momenti previsti per la verifica La SPERIMENTAZIONE implica: -Ufficializzazione dei compiti delegati e le prime verifiche, al fine di apportare eventuali rettifiche a livello di: autorità/potere del delegato, mezzi, tempi e criteri di controllo L’ ATTUAZIONE implica: -Gestione della delega a regime

Nell’attivazione del processo di delega,si possono verificare difficoltà di tipo psicologico, attribuibili a dinamiche, prevalentemente inconsce, di resistenza al cambiamento. Si possono verificare difficoltà dovute a : - FATTORI DIPENDENTI DAL DELEGANTE - FATTORI SITUAZIONALI - FATTORI DIPENDENTI DAL DELEGATO

FATTORI DIPENDENTI DAL DELEGANTE : - Manifesta difficoltà ad interpretare il concetto di delega - Manifesta resistenza a delegare - Tende ad imporre al delegato il suo modo di lavorare - Non ammette errori - Tende a vivere il delegato come antagonista - Non comunica con efficacia - Tende ad esprimere giudizi nei confronti del delegato - Teme di perdere il controllo della situazione - Non collabora con il delegato

Le capacità direttive di un capo sono messe alla prova nel momento della delega. Delegare , è necessario ma non tutti i capi sanno delegare correttamente ai propri subordinati. La delega può essere: -ECCESSIVA (tendenza a delegare con facilità e in modo superficiale , il soggetto non vuole assumersi responsabilità) -INSUFFICIENTE ( soggetti incapaci di utilizzare costruttivamente le capacità altrui) -CORRETTA ( delega finalizzata al raggiungimento di obiettivi. Il soggetto sa assumersi le responsabilità ed è in grado di formare altri capi).Il capo è colui che ha la responsabilità, di guidare gli uomini in funzione dei risultati (obiettivi) da raggiungere. Egli decide tenendo in conto :

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-Rischio -Economia degli sforzi -Tempestività -numero delle risorse a disposizione Deve inoltre essere in grado di gestire il consenso e il cambiamento. La delega, in quest’ottica, diviene un importante strumento per il capo che, nell’ambito di obiettivi noti, richiesti o condivisi, è in grado di “utilizzare”uomini, rispondendo dei risultati raggiunti.

Il capo deve motivare i collaboratori anche attraverso la delega. Deve dare loro l’opportunità di “realizzazione”. Il concetto di delega è strettamente connesso a quello di Responsabilità organizzative. In quest’ottica , il capo, per mettere in atto una delega costruttiva non può prescindere da: -Definire in modo preciso e chiaro compiti e responsabilità -Rimuovere le cause di demotivazione -Trasmettere procedure organizzative funzionali e chiare -Instaurare il processo di delega -Valutare con criticità gli effetti del processo di delega

SESSIONE 3-Responsabilità del manager Tra le funzioni manageriali di responsabilità, seguendo il modello proposto da John Adair (1934), citiamo: -PIANIFICARE, cioè formulare gli obiettivi aziendali e studiare strategie per raggiungerli insieme ai propri collaboratori, che potranno essere delegati . -AVVIARE , cioè assegnare incarichi, definendo prima le sfere di competenza di ciascun collaboratore. -CONTROLLARE, cioè avviare un insieme di metodologie atte a verificare che l’operatività sia allineata ai piani formulati. -SUPPORTARE, favorire cioè lo sviluppo di uno spirito di condivisione e collaborazione per raggiungere gli obiettivi -INFORMARE, trasmettere e ricevere informazioni tempestive -VALUTARE i risultati raggiunti e studiare nuove alternative .

Secondo John Adair, il manager deve realizzare la migliore fusione tra scopo, unità del gruppo e bisogni personali. Deve dunque essere in grado di gestire : il processo decisionale, la comunicazione, la gestione del tempo. Il manager dovrà inoltre promuovere il processo formativo dei propri delegati, tenendo in considerazione i fattori: decisionali, comunicativi e temporali. Un delegato, devesaper decidere, comunicare e gestire il tempo, sempre facendo riferimento alla supervisione del manager.

SESSIONE 4-Delega e controllo Il bisogno di controlloè rivolto alla verifica del legame , più specificatamente alla sua affidabilità. Il controllo può spesso sfociare in atteggiamenti di : -Paura di essere controllati - Paura di essere manipolati

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- Paura di essere strumentalizzati Allcorn, parla di profilo di codipendenza

Lo stile di chi teme di essere controllato sarà caratterizzato da remissività, arrendevolezza, vittimizzazione. Lo stile di chi teme di essere manipolato sarà : coercizione, ricatto, invasività. Lo stiledi chi teme di essere strumentalizzato sarà: colpevolizzazione, sopportazione, indifferenza.L’opposizione al controllo, può divenire espressione di emozioni intense, di conflitti e ambivalenze all’interno del sistema aziendale Secondo Allcorn, sentimenti come la paura, l’invidia, la vergogna, l’odio e la rabbia possono essere adattivi per la vita dell’organizzazione e possono essere anche stimolanti ma , nel momento in cui queste risposte adattive , da intime, diventano rivolte verso gli altri membri dell’organizzazione e tra i membri dell’organizzazione , i risultati –secondo l’autore –sono distruttivi e limitanti.Il sapere di essere valutati e controllati nell’esercizio della delega, può fare insorgere un senso di paura. L’ideadi poter essere messi in“cattiva luce”, può generare un seno d’inferiorità. Come afferma Allcorn(1991), “ la paura può rivelarsi immobilizzante, e nuove idee possono essere perdute in un processo intrapsichico invisibile all’esterno”, dall’altro “ il non-agire è ritenuto rassicurante rispetto al timore di essere messo in difficoltà dalle richieste e dalle critiche altrui”.Il bisogno di controlloè rivolto alla verifica del legame , più specificatamente alla sua affidabilità. Il controllo può spesso sfociare in atteggiamenti di : -Paura di essere controllati - Paura di essere manipolati - Paura di essere strumentalizzati Allcorn, parla di profilo di codipendenza

Lo stile di chi teme di essere controllato sarà caratterizzato da remissività, arrendevolezza, vittimizzazione. Lo stile di chi teme di essere manipolato sarà : coercizione, ricatto, invasività. Lo stiledi chi teme di essere strumentalizzato sarà: colpevolizzazione, sopportazione, indifferenza.

L’opposizione al controllo, può divenire espressione di emozioni intense, di conflitti e ambivalenze all’interno del sistema aziendale Secondo Allcorn, sentimenti come la paura, l’invidia, la vergogna, l’odio e la rabbia possono essere adattivi per la vita dell’organizzazione e possono essere anche stimolanti ma , nel momento in cui queste risposte adattive , da intime, diventano rivolte verso gli altri membri dell’organizzazione e tra i membri dell’organizzazione , i risultati –secondo l’autore –sono distruttivi e limitanti.

Il sapere di essere valutati e controllati nell’esercizio della delega, può fare insorgere un senso di paura. L’ideadi poter essere messi in“cattiva luce”, può generare un seno d’inferiorità.

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Come afferma Allcorn(1991), “ la paura può rivelarsi immobilizzante, e nuove idee possono essere perdute in un processo intrapsichico invisibile all’esterno”, dall’altro “ il non-agire è ritenuto rassicurante rispetto al timore di essere messo in difficoltà dalle richieste e dalle critiche altrui”. Validità di un test La psicologia del lavoro, sin dalle sue origini, si è interessata in modo rilevante alla componente psicologica della selezione, cercando di risolvere un problema fondamentale, ovvero quello della misurazione della variabile psicologica determinante il comportamento sul lavoro. Assume, a questo proposito, particolare rilevanza il tema dei test, che possono essere utilizzati dallo psicologo (come ausilio al colloquio), nell’orientamento al lavoro , nella valutazione del potenziale , nella selezione del personale.

LEZIONE 5 UTILIZZO DEI TEST NELLA SELEZIONE DEL PERSONALE SESSIONE-1 Validità di un test Un test si dice valido quando misura veramente ciò che si vuole misurare (De Vito Piscicelli, 1991). A tal proposito, ricorda Anastasi (1981), bisogna guardarsi bene dall' accettare la denominazione del test come indice di ciò che esso effettivamente misura. È vero, infatti, che i nomi dei test ci danno brevi e opportune denominazioni per meglio distinguerli, spesso, però, la vaghezza delle definizioni non può fornire indicazioni circa l'area del comportamento rilevata. Il tratto misurato da un dato test può essere compreso solo attraverso l'esame di fonti oggettive di informazione e delle operazioni concretamente compiute per determinare la validità del test. In sostanza, se lo scopo di ogni test è quello di prevedere un criterio, quanto più un test è dotato di tale proprietà, tanto più si dice che esso è dotato di validità (Gough, 1962).

Il più noto tipo di validità, tra i tipi contemplati dalla dottrina, prende il nome di validità del contenuto, o content validity. Essa è relativa alla natura degli iter che compongono il test come parti capaci di rappresentare i vari aspetti del comportamento che si vuole misurare (Anastasi, 1981). Gough(1962) chiarisce con un esempio. Nell'ambito di un corso di matematica, il professore presenta agli studenti un esame finale vertente sulla materia in questione. Quest'esame ha validità di contenuto in quanto le domande che lo compongono si riferiscono all'oggetto del corso; l'esame non intende misurare il talento generale o l'attitudine agli studi matematici, e la sua validità è limitata al suo contenuto. Questo tipo di validità è tipico degli esami di profitto nella scuola, nelle gare atletiche, nei corsi musicali; non ha tuttavia importanza per la selezione del personale.

La complessità dei criteri di validazione fa sì che, validare un test, in rapporto a un criterio composito di efficienza sul lavoro o di rendimento scolastico, possa essere di dubbio valore e offrire limitate possibilità di generalizzazione (Anastasi, 1981). Per questi motivi, sostiene Anastasi (1981), gli psicologi che si occupano di selezione del personale si sono serviti di una tecnica definita di "validità sintetica". Essenzialmente, il procedimento, di estrema utilità per i confronti con i criteri complessi, consta di tre fasi:

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1) l'analisi dettagliata della mansione per individuarne le componenti e stabilire il "peso" di ciascuna di esse; 2) l' analisi e lo studio empirico di ciascun test per stabilire fino a che punto esso è in grado di misurare le varie componenti della mansione; 3) il calcolo della validità di ciascun test per la mansione data, sulla base del diverso peso di queste componenti presenti nella mansione in esame e nel test come indice della validità sintetica. In un programma di ricerca a lungo termine, condotto su candidati a posti presso l'amministrazione statale degli Stati Uniti, è stato introdotto il coefficiente lavoro. Si è proceduto in tal modo: si sono elencati gli elementi del lavoro in termini di comportamento del lavoratore e classificati questi elementi per importanza, tramite la valutazione degli addetti al lavoro e dei loro superiori (Anastasi 1981). La stima finale della correlazione tra risultati dei test e prestazioni sul lavoro viene ricavata dalla correlazione tra ciascun elemento della prestazione nell'ambito del test somministrato.

Per la validità strutturale di un test, la tecnica più feconda è quella dell'analisi fattoriale, un procedimento statistico per l'identificazione dei tratti psicologici. Trattasi di una procedura matematica per identificare il numero minimo dei fattori che compongono il tipo (Dunette, 1992). Poiché il coefficiente di correlazione indica il limite entro il quale due test misurano lo stesso oggetto, esso costituisce la base statistica per ogni studio di analisi fattoriale. Se, quindi, sottoponiamo ad alcuni test,m un certo numero di persone ,e calcoliamo il coefficiente di correlazione tra ogni coppia possibile di test, dalla matrice di correlazione risultante si potranno rilevare i raggruppamenti di test che sono altamente correlati tra loro. Un esempio di test fattoriale è quello di Thurstone, per le capacità mentali primarie (PrimaryMentalAbilitiesTest). Esso si compone di cinque suddivisioni, ciascuna delle quali misura una singola dimensione. Si tratta di cinque test di significato: verbale, spaziale, ragionamento, aritmetica, fluidità oratoria. Il metodo fattoriale è estremamente utile al fine di semplificare la descrizione del comportamento, mediante la riduzione del numero delle categorie. Da una molteplicità iniziale di variabili, a pochi fattori o tratti comuni.

In molte delle situazioni in cui i test devono essere usati, nel nostro caso per la selezione del personale, si dovrà mettere insieme un numero di test che si suole chiamare "batteria". Una volta che si siano individuate le variabili da misurare e si sia a conoscenza del catalogo dei test disponibili, occorre scegliere un numero adeguato di test che garantisca una misurazione efficiente. La combinazione dei test in una batteria non può assolutamente essere effettuata "a caso“. (Spaltro1962). Essa va compiuta con precisione e regolarità, attraverso il riferimento alle correlazioni, alla validità, all’attendibilità. Il numero di test non è un indice sicuro di efficacia; per questo non è detto che una batteria di dieci test sia più valida di una batteria di cinque . Aumentare o diminuire il numero dei test non è una operazione astratta, ma un qualcosa che si aggiunge o si toglie al fine di una precisa valutazione dei soggetti'.. (De Vito Piscicelli, 1991).

SESSIONE 2-La batteria di test I test più usati nelle organizzazioni aziendali sono quelli volti a valutare l'efficienza

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mentale del futuro lavoratore. Infatti, insieme con le abilità specifiche pretese, a tutti i lavoratori viene richiesta adattabilità mentale e capacità di apprendimento sufficiente per padroneggiare la propria mansione lavorativa (De Vito Piscicelli, 1991.). Alcuni reattivi misurano la capacità di ragionamento induttivo e/o deduttivo. Sono perciò denominati reattivi di "fattore G" o di "attitudine generale", dove con il termine fattore G si intende l'abilità (il fattore) presente in qualunque processo intellettuale (Rubini, 1984, Dunette, 1992). Si tratta di sequenze di simboli o di figure astratte, ordinate secondo un implicito criterio logico, che il soggetto deve completare identificando la regola (su base induttivo- deduttiva) secondo cui la sequenza è costruita (Rubini, 1984). Ad esempio, si chiede al soggetto di determinare quali tra gli elementi SOLE-STELLA-FIUME-LUNA è disomogeneo agli altri. I più usati tra i reattivi di attitudine generale sono il CattelCulture Free, le Matrici Progressive di Raven del 1938 e quelle di Penrosedel 1947 Test attitudinali sono anche i test "fattoriali", composti da prove omogenee tra loro, che impegnano aspetti specifici dell'intelligenza (i fattori). Un esempio classico come abbiamo già detto è il test di Thurstone.

I reattivi attitudinali e di personalità I reattivi attitudinali misurano specifiche qualità del soggetto e sono quelli più utilizzati nella selezione del personale. Con il termine "attitudine" si suole indicare "quelle qualità potenziali e quelle capacità innate di un individuo in relazione a determinati compiti" (Tronconi e Morganti, 1991) o anche la "capacità potenziale di acquisire una determi-nata abilità, generica o specifica, mediante un certo addestramento o esercizio" (De Vito Piscicelli, 1991 ). Appare chiaro che con i test attitudinali non è possibile misurare direttamente un'attitudine, perché essa è solo potenziale e può essere indagata solo attraverso i suoi prodotti o le manifestazioni di abilità. Tali test forniscono un indice sulle pos-sibilità di sviluppo futuro delle abilità, su ciò che le abilità potranno divenire in seguito. Questo aspetto differenzia sostanzialmente i test attitudinali dai test profitto che, invece, valutano il grado di conoscenza posseduto da un individuo, ciò che il soggetto ha acquisito dopo un periodo di esercizio o di approfon-dimento (De Vito Piscicelli,1991).

SESSIONE 3 -I reattivi attitudinali e di personalitàLa prassi, ormai consolidata, riunisce entro questa categoria quei reattivi che sono finalizzati alla misurazione di variabili psicologiche affettive, emozionali, sociali, di interesse e di atteggiamento, vale a dire di tutti quei tratti non esplicitamente cognitivi (Rubini, 1984). E'convinzione di molti che le caratteristiche della personalità si trovino in stretto rapporto con il successo nel lavoro. La concezione dell’uomo al lavoro, infatti, si è sviluppata nel senso che, oggi, il lavoro è considerato come uno dei più importanti momenti di realizzazione di sèda parte dell'individuo. Il Minnesota MultiphasicPersonalityInventory(o M.M.P.I.) è uno dei questionari in uso, assieme al California PsychologicalInventory. Il primo ha dato origine a un numero ingente di ricerche e di studi. Sono stati pubblicati più di 3500 lavori su questo test (Anastasi, 1981). Esso consiste in

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500 affermazioni che il soggetto viene invitato a classificare secondo le risposte "vero", "falso" o "non so". Il California PsychologicalInventory, è costituito da 480 domande del tipo "vero-falso. Il test 16PF di R.B. Cattell, si è rilevato un valido strumento nella selezione del personale. I reattivi attitudinali e di personalità

Col metodo proiettivo, il soggetto viene sottoposto ad uno stimolo "non strutturato", cioè uno stimolo cui l'esaminatore non ha attribuito un significato specifico; a tale stimolo il soggetto attribuirà un significato secondo la sua personale organizzazione mentale (Cadwell, 1962). Secondo Anastasi (1981), i sostenitori delle tecniche proiettive ne indicano la particolare efficacia nella capacità di rivelare gli aspetti non manifesti, latenti e inconsci della personalità; tanto meno è strutturato il test, tanto più esso è sensibile a tale materiale non manifesto. Tra le tecniche proiettive la più nota è quella del Reattivo di Rorschach. Tale test nacque prima della Seconda Guerra Mondiale, precisamente nel 1921, e ha quindi più di 60 anni di validazione alle spalle. Si utilizza in ambito clinico ed è sconsigliato nell’ambito della selezione del personale, anche se molte aziende tendevano , in passato, a richiederlo per la valutazione delle caratteristiche di personalità dei Manager.

Simile al Rorschach è il ThematicApperceptiorlTest o T. A .T. Consiste nel mostrare al soggetto una serie di disegni, invitandolo a raccontare una storia che abbia per tema il disegno. Quindi, a differenza delle tecniche che usano macchie d'inchiostro, il T. A.T. presenta stimoli molto più strutturati ed esige risposte verbali più complesse e più coerentemente organizzate (Tronconi e Morganti, 1991). L'esaminatore, a seconda dell'intensità del racconto, determina in primo luogo il personaggio dell'uno o dell'altro sesso con cui il soggetto si identifica, e analizza così i bisogni dell'esaminato. Sono stati elaborati numerosi adattamenti del T.A.T., che presentano varie gradazioni di similarità con l'originale (Anastasi, 1981) e che si sono rivelati utili per l'impiego nell'orientamento professionale, per la valutazione del personale a livello dirigenziale e per molti altri progetti di ricerche. Esistono poi alcune tecniche proiettive esclusivamente verbali, che utilizzano pertanto, come stimolo, delle parole. Alcune di queste tecniche vengono somministrate in forma orale, altre per iscritto.

Con la tecnica delle "associazioni" di parole, si presenta al candidato una serie di parole, prive di particolari connessioni, e gli si chiede di rispondere a ciascuna di esse con la prima parola che gli viene in mente. Lo scopo è quello di aiutare il soggetto a scoprire le aree di conflitto presenti nel processo mentale (Tronconi e Morganti, 1991). Un’ altra categoria di reattivi di personalità è quella dei questionari di interesse. L'intensità e la direzione degli interessi rappresentano un aspetto importante della personalità dell'individuo. Queste caratteristiche influiscono, in modo sostanziale, sul suo adattamento scolastico e professionale, sulle sue relazioni interpersonali, sul piacere che egli ricava dall'attività lavorativa e sulla stessa efficienza (De Vito Piscicelli, 1991).

Oltre alla validità, ci sono altre caratteristiche che un buon test deve possedere. La 22

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sensibilità o capacità discriminativa, vuole che un test, in quanto strumento d'esame, debba essere in grado di mettere in risalto, quanto più possibile, le differenze individuali nella funzione psichica studiata (De Vito Piscicelli, 1991). Per ottenere ciò, ha una particolare importanza il numero degli item se il loro assetto complessivo, nonché l'andamento della loro difficoltà. Con l'aumento degli items, aumenterà la capacità discriminativa del test; essa potrà essere ulteriormente accresciuta disponendo gli itemsin ordine di difficoltà progressiva o, anche, giocando sul lasso di tempo consentito agli esaminati per l'esecuzione della prova (De Vito Psicicelli, 1991). Per sensibilità si intende anche la minima differenza della variabile misurata che un test riesce a misurare. Si dice che un test è sensibile, o che possiede una scala con maggiore numero di intervalli, se riesce a misurare differenze minime di una variabile. La praticità e l'economicità sono caratteristiche minori che, però, spesso determinano il successo o l'insuccesso di un test (Anastasi, 1981).

SESSIONE 4 -Altre caratteristiche dei testIl tasso di base, è un parametro, che si riferisce all'incidenza relativa ,di un certo comportamento, sulla generalità della popolazione (Dunette, 1992). Purtroppo è normalmente difficile procedere ad una stima di base relativa ai diversi comportamenti di tutta la popolazione, poiché è arduo disporre sia del dato globale che dei dati riferiti ad un campione sufficientemente ampio e attendibile. Una soluzione, allora, può essere quella di usare qualsiasi dato disponibile. Il motivo dell'importanza di conoscere il tasso di base per valutare l'utilità di un test è semplice. Se infatti la percentuale dei candidati con un comune comportamento risulta ampia o ristretta, è improbabile che anche il migliore dei reattivi possa migliorare la predizione di tale comportamento (Dunette, 1992).

Ogni test che si rispetti deve avere la caratteristica dell’attendibilità. Tra i metodi per accertare il grado di attendibilitàdi un test e prevenire gli errori citiamo il test retest. Il test retestconsiste nella somministrazione dello stesso test alla stessa persona in un momento successivo. Il metodo è adottabile solo se la memoria dei soggetti non modifica fortemente i risultati della seconda somministrazione. Generalmente si applica il medesimo reattivo ad un intervallo variabile da due a quattro settimane.

Una componente essenziale della comunicazione è il feedback, il rapporto reciproco, di controllo e di stimolo, che si instaura tra il mittente ed il destinatario di messaggi. Se questo elemento viene a mancare, come succede ad esempio nel caso dei mezzi di comunicazione di massa, dove si assiste ad un bombardamento unilaterale dell'informazione, ci si deve attendere una serie di conseguenze sociali e di reazioni da parte degli utenti che non si verificherebbe in presenza di quell'elemento. Un sovraccarico di informazioni, ad esempio, può portare alla paralisi ed al crollo di un sistema di comunicazione e di integrazione; la capacità insufficiente di collegare una massa rilevante di dati può indurre alla costruzione di modelli troppo semplificati che provocano interventi inefficaci o controproducenti sulla realtà.

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LEZIONE 6 COMUNICAZIONE E APPRENDIMENTO SESSIONE 1-Aspetti teoriciIl Feedback Ovviamente, per poter apprendere efficacemente, il discente ha bisogno di sapere se ha avuto successo; ciò può essere confermato dal docente, dalle reazioni dei suoi colleghi, o dalla stessa situazione di apprendimento. Quanto maggiore è la conoscenza che il discente acquisisce su ciò che sta facendo, tanto più rapidamente riesce a migliorare le proprie prestazioni e i propri risultati. È questo l'importante principio del "feedback" informativo o conoscenza dei risultati, che è anche la più comune e probabilmente la più importante fonte singola di rinforzo per l'essere umano in una situazione di apprendimento. Affinché il feedback sia efficace, deve essere fornito il più immediatamente possibile. La situazione di apprendimento può essere organizzata in modo da dare al discente una serie di mete intermedie, e fornirgli così un feedbackpuntuale e preciso sul suo progredire. Il metodo migliore per il feedback è costituito dall'istruzione programmata (programmedlearning), in cui unrinforzo immediato fa seguito alla risposta data dal partecipante a ciascun segmento nuovo di informazione.

SESSIONE 1-Aspetti teoriciL'apprendimento è stato descritto come una modificazione del comportamento, di natura relativamente permanente, che avviene come risultato dell'intuizione, della pratica e dell'esperienza. L'apprendimento può avvenire semplicemente per addizione (acquisizione di nuove informazioni); per sottrazione (perdita di una cattiva abitudine); o per modificazione (adeguamento delle conoscenze a delle situazioni nuove). L'apprendimento come cambiamento può costituire un miglioramento o un peggioramento rispetto ad una situazione precedente. Noi apprendiamo sia abitudini buone che abitudini cattive. L'apprendimento può essere a livello conscio o inconscio ad esempio seguiamo corsi per apprendere una lingua straniera, ma assimiliamo inconsciamente stili di linguaggio o da parenti e amici. L'apprendimento è un processo così complicato che nessuno può dire di sapere davvero come esso si verifica. Sappiamo che l'apprendimento avviene più rapidamente in alcune circostanze che in altre e che può essere influenzato in larga misura.

Dalle ricerche sull'apprendimento, emerge un dato abbastanza singolare: i risultati migliori vengono ottenuti affrontando un compito globalmente, come un insieme compiuto, piuttosto che come una serie di piccole sezioni scarsamente correlate fra loro dal punto di vista logico. Se le varie fasi sono concatenate logicamente fra loro e ciascuna di esse è concepibile come un'unità significativa, l'apprendimento è facilitato. Il materiale didattico può anche essere organizzato: -procedendo da ciò che si sa a ciò che non si sa -procedendo dal semplice al complesso -ponendo in relazione il materiale presentato ai compiti attuali. Per influenzare le percezioni di altre persone, il formatore deve tentare di comprendere le loro percezioni e stabilire una relazione fra il materiale didattico e la loro comprensione.

La ricerca sperimentale ha dimostrato che quanto più un soggetto partecipa alla situazione di apprendimento, tanto più efficace sarà l'apprendimento stesso,

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particolarmente nei casi incui l'apprendimento è rivolto all' acquisizione di una capacità. La partecipazione significa anche pratica, o ripetizione del comportamento da apprendere, ed è necessaria per ricordare e trasferire l'apprendimento avvenuto in classe alla situazione concreta della vita reale. La maggior parte dei soggetti sottoposti ad addestramento hanno bisogno di ripetere il comportamento parecchie volte prima di ricordarlo. L’esercizio della ripetizione deve essere continuato più e più volte, oltre la prima esecuzione perfetta, in base al principio dell'"overlearning" o soprapprendimento", per consolidare l'apprendimento ed ovviare all'effetto dell'oblio. Tutto ciò non significa necessariamente un esercizio di ripetizione concentrato in un dato periodo, ma può comportare un esercizio diluito nel tempo e ripetuto ad intervalli. Esercizi di follow-up, corsi di aggiornamento e di ricapitolazione costituiscono sussidi alla memorizzazione e al trasferimento delle conoscenze.

Applicazione delle Conoscenze In base all'esperienza, sappiamo che l'apprendimento è facilitato quando noi possiamo vedere la sua rilevanza o applicabilità alla nostra situazione. Ogni volta che ciò sia possibile, dovrebbe esservi uno stretto rapporto fra il programma di formazione e il lavoro che deve essere effettivamente eseguito. Ovviamente, se vengono insegnate le procedure per la manutenzione di una macchina, dovranno essere quelle effettivamente in uso nell'azienda. Per le capacità direttive, le tecniche ottimali per ottenere un transfertpositivo sembrano essere la simulazione di gestione, lo studio dei casi ed il role-playing, purché siano realistici ed idonee al livello dei partecipanti. L'effetto opposto viene dimostrato quando i partecipanti ritornano da un corso pieni di idee ma si trovano preclusa dalla direzione la possibilità di sperimentare nella loro azienda le procedure nuove che hanno imparato. Analogamente, se i principi democratici delle relazioni umane vengono insegnati a studenti che devono ritornare ad una situazione autocratica, il loro apprendimento sarà stato inutile. Se non possiamo applicare ciò che impariamo, tendiamo a dimenticarlo.

L'apprendimento non risulterà utile se il docente non userà un approccio realistico nel discutere la sua materia in rapporto al background ed esperienza degli studenti. Solo se l'apprendimento costituirà una esperienza significativa in termini di bisogni ed aspirazioni, degli studenti, essi impareranno realmente e si sforzeranno di applicare le conoscenze e capacità acquisite ai propri rispettivi lavori. Le materie insegnate dovranno avere relazione con: -il backgrounddegli studenti (obiettivi, timori, problemi, soddisfazioni, bisogni socio-economici, salute, età, esperienza) -la loro formazione (livello di istruzione, conoscenza della materia e di materie affini) -le loro capacità (di apprendere, in termini di velocità dell'apprendimento e di quantità di nozioni apprese; di fare, ad es. capacità meccanica).

Poiché vi sono differenze individuali fra motivazioni, esperienze precedenti, capacità intellettuali, atteggiamenti e abitudini di lavoro dei singoli individui, non vi saranno mai

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persone che percepiranno la stessa informazione nel medesimo modo. I metodi di auto-formazione, in cui il discente stabilisce da sé la velocità dell'apprendimento e il metodo dei progetti assegnati individualmente, sono strumenti preziosi per rendere più veloce l'apprendimento individuale. Peraltro, a volte, è necessaria una formazione di gruppo e in tal caso è chiaro che l'apprendimento risulterà più efficace se i livelli di capacità non saranno troppo diversi. Man mano che l'individuo cresce, i suoi processi percettivi diventano sempre più complessi, perché riceve una quantità sempre maggiore di informazioni. Che cosa succede di questa informazione una volta che essa sia stata ricevuta dall'individuo? Essa viene o memorizzata o dimenticata, a seconda che sia interessante o necessaria, utile o superflua, compresa o incompresa, ecc. Un elevato grado di motivazione o di interesse ad apprendere, sono tutti fattori che agiscono per impedire che le informazioni vengano dimenticate (oblio) e quindi diventano doppiamente significativi nel processo di apprendimento.

Nelle procedure didattiche formali, le esperienze vengono organizzate in modo da realizzare un apprendimento specifico (cambiamento) entro un dato periodo di tempo. In questa situazione è essenziale che il docente chiarisca con precisione quale apprendimento o de-apprendimento (unlearning) egli vuole facilitare e concentrare chiaramente su questi obiettivi la realizzazione di tutto il suo programma didattico. In base agli obiettivi specificatamente prescelti (in termini di conoscenze, capacità e atteggiamenti), egli dovrà selezionare il materiale didattico e i metodi didattici. Gli stessi partecipanti potranno apprendere più efficacemente quando avranno chiariti a se stessi gli obiettivi che dovranno perseguire. Il programma didattico dovrà stabilire gli obiettivi, o mete, in termini di: -lavoro da portare avanti -condizioni nelle quali si dovrà lavorare -livello di efficienza richiesto.

SESSIONE 2 -Apprendimento e formazioneLa formazione aziendale pone in atto un intervento di innovazione e cambiamento del suo modo di essere e di agire. Come l'azienda, se non vuole scomparire dal mercato, deve dare una immediata risposta ai mutamenti tecnologici e di “qualità" del prodotto, così l'uomo (risorsa umana) operante in questo contesto (azienda) deve mutare i propri comportamenti, deve acquisire nuove conoscenze, deve gestire la "precarietà". Il ruolo della formazione aziendale e degli uomini della formazione si trasforma. Questi ultimi devono gestire un processo dinamico di cambiamento e innovazione che coinvolge simultaneamente i sistemi organizzativi, di processo, di tecnologia, sociali. La Formazione si collega anche ai modelli di sviluppo culturale del sociale.

SESSIONE 2 -Apprendimento, cambiamento e formazioneIl formatore : -deve saper conoscere le variabili mutanti, non solo del processo aziendale, ma del processo culturale; -deve avere capacità di pianificare i contenuti degli interventi formativi nei prossimi 2-3 anni (in funzione degli scenari di mercato aziendali: produttivi; sociali; tecnologici); -deve saper sviluppare nuovi modelli di apprendimento

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-deve saper integrare in un piano formativo almeno triennale, tutte le variabili su esposte, con i contenuti del saper fare, richiesti dalle funzioni aziendali; -deve prevedere la "precarietà": del mercato; del prodotto; del sociale.

SESSIONE 2 -Apprendimento formatore e formazioneUn corso si costruisce, rispetto ad alcune scelte effettuate in base ad obiettivi e contenuti di metodi didattici e durata dei tempi. Questi elementi, per molti motivi, esprimono il significato di ciò che "concerne l'oggetto-formazione". L'efficacia dei risultati, che lo stesso ottiene, dipende, oltre che dalla coerenza tra scelte, anche dalla congruenza rispetto alla teoria dell'apprendimento che il formatore "fa vivere". Spesso si da più importanza a ciò che si insegna, rispetto al metodo con cui si insegna. È importante, pertanto, cercare un collegamentotra i principi che guidano l'opera del formatoree le teorie dell'apprendimento da parte dell'individuo. Il risultato ottenuto favorisce un legame tra conoscenza e cambiamento individuale. Se il primo passo, nella direzione di una formazione concreta, consiste nel "recupero" dell'utente di formazione, il secondo passo consiste, da parte del formatore, in un recupero di sé a favore di se stesso.

Un mezzo, che riteniamo di particolare interesse, per risolvere il problema della concretezza della formazione, in modo sufficientemente integrato è quello di ancorare alcune realtà a ciò che definiamo "eventi di apprendimento" nell'ambito della formazione. Con tale metodo si mette a fuoco il ruolo centrale dell'esperienza dell'individuo, nella sua vita quotidiana in azienda (posto di lavoro) ovvero della funzione di accumulo dell'esperienza in rapporto all'articolazione del sociale. La realtà della formazione e la sua concretezza devono essere interpretate in base a ciò che esse consentono di esprimere, in relazione ad un confronto tra le esperienze di lavoro ed eventi di apprendimento. La trasmissione del sapere (corsi) sembra essere più autentica quando risulta, al tempo stesso, elaborazione dell'esperienza.

SESSIONE 2 -Apprendimento e concretezza della formazioneL'essere umano è libero di migliorarsi, di ampliare le sue possibilità di scelta, mediante l' apprendimento di nuove conoscenze e di nuove capacità. Si può dire che il capitale di un individuo è costituito non solo dalle sue capacità del momento, ma anche e soprattutto dalla sua volontà di apprendere, di arricchirsi di nuove nozioni ed abilità.

SESSIONE 2 -Apprendimento , volontà di apprendere e formazioneOggi la formazione è un fattore che, all'interno del contesto organizzativo, rafforzala capacità partecipativa e l'identificazione del personale. A livello strategico la formazione assume il compito di garantire lo sviluppo delle competenze e della motivazione Necessarie al cambiamento individuale ,che è indispensabile per il cambiamento dei modelli organizzativi, formando persone in grado di affrontare gli aspetti concreti dei problemi organizzativi e di fornire risposte flessibili. La formazione diventa parte integrante della strategia organizzativa ricevendo il massimo

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Sostegno dei vertici ed essendo investita di specifiche responsabilità all'interno dell'organizzazione; queste si esplicano, nel bisogno di orientamento dell'organizzazione. La relazione che si può instaurare tra la formazione e la strategia organizzativa è Individuata da tre tipologie: di integrazione e cooperazione, di dipendenza, di indifferenza.

SESSIONE 3-Comunicazione, formazione, cambiamento, CAMBIAMENTO La flessibilità organizzativa diventa poi il fattore determinante nel mutamento del fine formativo; con la sempre crescente domanda di flessibilità quale caratteristica indispensabile richiesta al soggetto che lavora, la formazione si trasforma ulteriormente divenendo sempre meno trasmissione di contenuti e pratiche lavorative determinate a priori. Questo fatto richiede all'uomo la presa di coscienza dell'intensità e della limitatezza delle conoscenze che ha appreso facendo sorgere in lui la necessità e l'esigenza di continuare ad apprendere per essere maggiormente in grado di padroneggiare il cambiamento in atto e gestire l'incertezza.

Per attività di comunicazione nella formazione si intende la messa a disposizione di informazioni, materiali didattici, test ecc. Si tratta, di eventuali attività progettate come prima attivazione della motivazione ad apprendere , ed eseguite ,con varie modalità e livelli di interazione, come preliminari all'attività formativa. Accoglimento e informazioni sul servizio nella formazione. Se è previsto che si svolgano attività formative presso una sede a ciò specificatamente destinata, dovrebbero essere individuate modalità di accoglienza dei partecipanti, al fine di fornire un'adeguata presentazione dell'organismo di formazione, inteso come un ambiente integrato di apprendimento.

SESSIONE 3-Comunicazione , accoglimento e formazioneProgettazione dei contenuti I contenuti sono le informazioni sulle quali si modulano gli stili di apprendimento. Il contenuto è la componente nozionale della comunicazione e spesso si preferisce parlare di elementi di contenuto, cioè idee, regole, istruzioni e procedure, ecc.... Si possono selezionare unità di contenuto di tipo diverso, ma in formazione non si possono solo elencare le nozioni da trasmettere; si tratta di fare una formazione pedagogicamente impostata , ossia stabilire a che cosa serve quella particolare unità formativa agli effetti delle operazioni (mentali, pratiche, riflessive e relazionali) che si vogliono provocare e che costituiscono il vero fine del “fare formazione”.

SESSIONE 3-Contenuti, comunicazione e formazioneL'azione di formazione, oltre che a produrre delle reazioni nei soggetti formati, tende ad un processo di cambiamento nelle conoscenze, capacità ed atteggiamenti, attraverso l'apprendimento. I risultati possono essere valutati raccogliendo dei dati sull'apprendimento dei formandi, tuttavia c'è da considerare che la formazione trasmette anche delle informazioni di altro tipo, non strutturate ,che influiscono comunque sui contenuti dell'apprendimento. Si tratta quindi di definire con precisione quali sono gli obiettivi da apprendere, che costituiscono il termine di paragone per lavalutazione. Questo procedimento implica che,

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partendo da obiettivi di apprendimento, si attui una certa attività formativa che produca risultati; i risultati della formazione, a livello di apprendimento, concorreranno a riformulare e a correggere gli obiettivi corrispondenti. Il successo dell'apprendimento, per sua natura, dipende molto dall'attiva partecipazione del soggetto; questa dimensione puramente soggettiva deve orientare la valutazione stessa dei risultati.

SESSIONE 3-Obiettivi da apprendere , valutazione e formazioneQuesta ipotesi postula che mentre il bambino mostra un tipo di apprendimento orientato per materie, l'adulto tende ad orientarsi verso un apprendimento centrato sui problemi. Questa diversità deriva principalmente dalla differente prospettiva temporale. Mentre il bambino infatti è disposto ad imparare qualcosa che non gli serve nell'immediato ma gli servirà dopo, l'adulto ricorre ad un'attività formativa solo quando si rende conto di qualche inadeguatezza nel far fronte ai problemi della sua vita attuale: vuole usare domani ciò che impara oggi dato che la sua prospettiva temporale è quella dell'immediata applicazione. La formazione per l'adulto deve essere orientata alla risoluzione dei problemi.`' Ad un livello pratico-operativo si tratta invece di scegliere le metodologie formative più idonee a supporto dei contenuti.

SESSIONE 4-Orientamento all’apprendimentoSemplificandosi può dire che esistono due processi basilari mediante i quali un individuo Impara in aula: 1. La ricezione dei messaggi che sono percepiti ,compresi, memorizzati ed integrati con altre conoscenze già possedute. 2.La scoperta di relazioni, concetti, fatti, ecc. mediante l'analisi e l'interpretazione di di esperienze, di fenomeni osservati e di eventi. Entrambi i processi affondano i loro presupposti in teorie psicologiche Diverse e dalle due strategie derivano tecniche didattiche altrettanto differenti.

I due metodi (espositivo ed esperienziale)presentano sostanziali differenze sia nella successione didattica, sia nelle tecniche impiegate, sia nei tempi impiegati (che sono evidentemente più lunghi nel metodo esperienziale). Il problema fondamentale è stabilire quando usare l'uno o l'altro; come al solito levariabili di cui tener conto sono molte ma la principale è certamente l'obiettivo didattico e cioè la natura dell'apprendimento che ci si pone di realizzare mediante quel corso.

DIALOGO E APPRENDIMENTO ORGANIZZATIVO Gregory Bateson, studioso dell’apprendimento, utilizza il termine "apprendimento di terzo livello" per identificare il vero apprendimento. Quello che ci consente di capire: da dove e perché sono emerse certe interpretazioni della realtà; e come, per pervenire a miglioramenti duraturi, sia indispensabile modificare non solo le nostre azioni e il modo con cui interpretiamo la realtà ma soprattutto i modelli mentali che ci hanno condotti a quelle interpretazioni. Ciò implica far emergere e mettere in discussione le convinzioni più radicate. Il ripensare alle assunzioni e ai presupposti sui quali si basa il nostro

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ragionamento ci aiuta a identificare soluzioni che ci consentono di agire sulle reali cause che hanno originato il problema e non solo sugli effetti visibili del problema stesso.

SESSIONE 4-Orientamento all’apprendimento: il dialogoNon può esistere apprendimento organizzativo se non attraverso lo sviluppo di una cultura dell'esplicitazione e della continua messa in discussione dei modelli mentali condivisi dell'azienda, del mercato e dei competitori. Questo rende il dialogo una disciplina indispensabile per l'apprendimento, ed in particolar modo per l'apprendimento organizzativo. Non sarebbe possibile sviluppare apprendimento diffuso in azienda senza sviluppare la disciplina del dialogo a tutti i livelli aziendali (Vittorio D‘ Amato ,1996) L’apprendimento organizzativo non potrà produrre i risultati desiderati senza una disciplina che aiuti a comunicare meglio, ad esplicitare ciò che realmente pensiamo, a sviluppare empatia nei confronti dei nostri colleghi diminuendo le barriere della frammentazione del pensiero e della resistenza al cambiamento. Attraverso la disciplina del dialogo è possibile migliorare le nostre capacità di percepire, riflettere e vedere il mondo con occhi diversi. Attraverso la disciplina del dialogo è possibile sviluppare le competenze di riflessione, propugnazione, analisi che ci consentono di migliorare la nostra capacità come gruppo collettivo di persone, di interpretare il mondo sotto diversi punti di vista giungendo alla scelta che ci sembra più adatta alla situazione.

Le aziende si devono dotare di una politica del personale che favorisca percorsi formativi, che a loro volta facilitino un avvicinamento coerente fra le aspettative e le competenze degli individui. Ciò appare indispensabile, in un'epoca, nella quale la risorsa umana rappresenta spesso per le imprese un elemento, importante, di vantaggio competitivo. La formazione può costituire un insostituibile strumento non solo per trasmettere conoscenze e abilità ma soprattutto per analizzare modalità di lavoro, costruire una griglia di azioni preventive, attuare innovazioni organizzative non dall'alto, ma dietro stimolo degli stessi operatori.

LEZIONE 7 LA COMUNICAZIONE SESSIONE1-Il comportamento nella comunicazione Il comportamento nella comunicazione richiede adattamento. L’adattamento può essere definito come: -un tipo generale di rapporto tra individui e gruppi, in cui, piuttosto che la lotta sono presenti la tolleranza e il compromesso -un imperativo funzionale, presente nel sistema sociale, che mira al raggiungimento di fini collettivi di integrazione -un processo mediante il quale il soggetto reagisce positivamente agli stimoli derivanti dal lavoro, dal rapporto con i colleghi, con l’autorità, con gli amici, con i familiari.

SESSIONE 1-Il comportamento nella comunicazione Piaget, nell’affrontare la tematica dell’adattamento distingue due processi: -Accomodamento passivo dell’organismo alle pressioni dell’ambiente ed assimilazione, cioè trasformazione degli aspetti ostili, non favorevoli dell’ambiente. L’adattamento assimilativo dell’uomo nei confronti dell’ambiente ha una valenza creativa.

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Nell’ ADATTAMENTO ASSIMILATIVO il rapporto con gli altri serve a compensare le insufficienze qualitative e quantitative che ,come individui isolati, ci caratterizzerebbero nella lotta contro l’ambiente. Nella delineazione delle modalità dello sviluppo adattivo, giocano un ruolo fondamentale le strutture motivazionali di base dell’essere umano. TRA LE STRUTTURE MOTIVAZIONALI DIBASE CITIAMO : SICUREZZA AFFETTIVA- ESERCIZIO DEL POTERE-MOTIVAZIONE AL SUCCESSO

LA SICUREZZA AFFETTIVA : tale aspetto è decisivo nell’interazione sociale poiché pone le basi per i processi di comunicazione e presa di decisione dell’età matura. L’ESERCIZIO DEL POTERE: tale aspetto permette di verificare le proprie capacità di influenzamento dell’altro e di autonomia. LA MOTIVAZIONE AL SUCCESSO: tale aspetto permette di verificare i risultati raggiunti in rapporto agli altri e la finalizzazione della competitività a scopo produttivo. LE STRUTTURE MOTIVAZIONALI DIBASE SONO INFLUENZATE NELL’INFANZIA DALLE FIGURE GENITORIALI, DALLE FIGURE SIGNIFICATIVE DIRIFERIMENTO, DALL’AMBIENTE SOCIO/CULTURALE

SESSIONE 2 –Adattamento e personalità dell’individuo Nell’affrontare il problema dell’adattamento è fondamentale fare riferimento alla personalità dell’individuo. La personalità può essere definita come la struttura che predispone un dato individuo ad agire e reagire con determinate modalità, a seconda delle situazioni in cui si viene a trovare. La personalità dell’individuo è strettamente collegata al comportamento. Il comportamento implica l’adattamento. Il problema dell’adattamento nel rapporto con gli altri non è separabile da quello dell’adattamento nei confronti delle norme sociali. Le norme sociali esercitano un’azione regolatrice nei confronti dei rapporti interpersonali e più in generale sul comportamento. Se il comportamento è tutto ciò che un individuo fa, qualunque rapporto dell’uomo con l’ambiente passa attraverso il fare. Il fare diviene dunque strumento di comunicazione con l’altro.

SESSIONE 2 –Adattamento e personalità dell’individuo: il conflitto La personalità gioca dunque un ruolo rilevante nei processi d’interazione sociale. Per quanto riguarda le dinamiche relazionali all’interno di un’organizzazione, un soddisfacente livello quantitativo e qualitativo di relazioni sociali deve essere percepito come valore da perseguire pur se si presentano dei conflitti. I conflitti rappresentano “fenomeni di crisi” dei meccanismi di formazione della decisione, per cui l’individuo o il gruppo incontrano difficoltà a scegliere un’alternativa d’azione. Tra le tipologie di conflitto, che rappresentano un ostacolo al comportamento nella comunicazione, possiamo citare: -conflitto individuale –conflitto organizzativo –conflitto tra i gruppi

Il conflitto individuale nasce da un processo di formazione della decisione individuale. 31

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Tra le condizioni che lo generano : inaccettabilità, incompatibilità e incertezza, nei confronti di una decisione da prendere Il conflitto organizzativo è quello che si genera all’interno di una data organizzazione. Tra le condizioni che lo generano : divergenza di obiettivi e di percezione della realtà tra i componenti del gruppo, rispetto ad una decisione da prendere. Il conflitto tra gruppi è quello che si genera allorchè due gruppi sono posti di fronte ad un problema, che in qualche modo coinvolge i loro interessi, in modo tale che la situazione si va delineando secondo le linee dello sconfiggere o essere sconfitti. Tra le condizioni che lo generano: fenomeni presenti a livello di relazione fra gruppi, fenomeni concernenti le dinamiche di chi assume posizioni di comando all’interno dei gruppi.

SESSIONE 3-Comportamento nella comunicazione e prevenzione del conflitto Promuovere una comunicazione mirata alla prevenzione del conflitto, implica tenere in considerazione alcuni dei seguenti aspetti: - a livello di conflitto individuale : essere razionali, saper gestire le frustrazioni, essere orientati al problem solving. - a livello di conflitto organizzativo : migliorare la comunicazione tra i componenti del gruppo, potenziare l’uniformità delle decisioni del gruppo, potenziare gli aspetti motivazionali di appartenenza al gruppo, ottimizzare le condizioni facilitanti il raggiungimento di un equilibrio tra bisogni individuali ed obiettivi aziendali. - a livello di conflitto tra gruppi : potenziare la qualità delle relazioni tra i gruppi, sottolineare l’importanza della condivisione di alcune risorse, scoraggiare l’insorgere di un eccesso di spirito competitivo tra i gruppi, promuovere la rotazione dei soggetti tra i gruppi, promuovere una solidarietà reciproca tra i componenti dei gruppi.

SESSIONE 3-Riflessioni teorico/pratiche sulla comunicazione applicabili all’organizzazione Secondo il modello sistemico, la PRAGMATICA è lo studio del rapporto tra i segni e coloro che li usano, quindi è lo studio degli effetti comportamentali dell’interazione umana. Tutti gli scambi di comunicazione possono essere SIMMETRICI o COMPLEMENTARI, a seconda che siano basati sull’uguaglianza o differenza fra gli interlocutori. Non è possibile non comunicare. La comunicazione è un processo di scambio di informazione e di influenzamento reciproco , che avviene in un determinato contesto, Ogni comunicazione, comprende aspetti di contenuto (cosa dico ) e di relazione ( come lo dico) . Nella comunicazione umana si utilizzano due tipologie di linguaggio : NUMERICO : lingua, simboli, ideogrammi (verbale) ANALOGICO: gesti, tono, espressioni, postura (non verbale) Si usa prevalentemente il linguaggio numerico per esprimere : concetti, astrazioni, sequenze logiche. Si usa prevalentemente il linguaggio analogicoper esprimere sensazioni, emozioni, sentimenti

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La comunicazione è disturbata quando : -si instaura una lotta per imporre una posizione di superiorità -le posizioni si mantengono rigidamente differenziate La comunicazione è efficace quando: -le posizioni sono reciprocamente accettate -i modelli di relazione sono coerenti con il contesto In un processo di comunicazione si possono verificare diversi tipi di interazione, ad esempio: -conferma –disconferma-rifiuto

Elenchiamo alcune delle principali funzioni della comunicazione : - STRUMENTALE - CONTROLLO - ESPRESSIVA - SOCIALE - EMOTIVA - MOTIVANTE - FORMALE - INFORMALE

SESSIONE 4 –L a comunicazione in azienda La comunicazione in azienda deve mirare a : - Aumentare l’efficacia-efficienza - Diminuire le difese - Diminuire la conflittualità - Valorizzare la partecipazione Alcune delle variabili psicologiche che influenzano la comunicazione in azienda sono: - Motivazione - Aspettative - Atteggiamenti - Attitudini - Bisogni I canali di comunicazione in azienda devono : -essere conosciuti –il percorso deve essere breve ma seguito fino in fondo e senza possibili interruzioni, la trasmissione del contenuto deve evitare omissioni e distorsioni.

Nelle aziende in cui sussistono climi di tipo difensivo, la tipologia di comunicazione sarà di : - Valutazione - Controllo - Superiorità - Neutralità - Certezze Nelle aziende in cui sussistono climi tolleranti, la tipologia di comunicazione sarà di : - Descrizione

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- Orientamento al problema - Spontaneità - Empatia - Eguaglianza - Provvisorietà

Nelle aziende in cui sussistono climi di tipo costruttivo, la tipologia di comunicazione dovrà comprendere un mix di aspetti quali: Descrizione, orientamento al problema, empatia, valutazione, controllo, strategia, certezze All’interno di ogni realtà aziendale, si rende necessario costruire una rete di comunicazione , caratterizzata da un insieme di canali diversificati , tali da collegare tra loro i membri del gruppo. Le reti di comunicazione possono presentare barriere di lingua (parole con significati diversi) e di percezione ( diversità di idee dovute a diversità di esperienze). Barriere emotive (atteggiamento difensivo) e fisiche (rumori, distanza, tempo). Alcuni autori preferiscono utilizzare il termine interferenze : meccaniche (rumori), semantiche ( terminologia), psicologiche (pregiudizi). Un clima costruttivo di comunicazione in azienda deve prevedere la capacità di gestione, da parte dei soggetti che la compongono, delle barriere o interferenze.

LEZIONE 8 IL GRUPPO SESSIONE1-Caratterisitiche del gruppo di lavoro eterogeneo I gruppi di lavoro , sono spesso composti da persone con opinioni divergenti, questo aspetto sembra costituire un fattore favorevole, in quanto, i componenti sono stimolati a scegliere soluzioni più creative ed originali. Un gruppo eterogeneo, caratterizzato da persone con idee divergenti ,rappresenta una potenziale ricchezza, poiché permette il confronto e l’utilizzo di competenze diverse. L’eterogeneità del gruppo favorisce dunque lo sviluppo di idee creative. La gestione diretta , dei possibili conflitti creatisi in gruppo eterogeneo, conduce ad una migliore gestione globale dei problemi e alla scoperta di idee nuove per la risoluzione dei problemi.

Il gruppo eterogeneo, può essere il supporto o l’elemento che facilita il cambiamento. In un gruppo, alcuni soggetti possono sviluppare meccanismi di sottomissione e devianza. Grazie ad alcune ricerche nel campo della psicologia sociale, è stato dimostrato che la minoranza ( cioè chi manifesta idee contrarie alla maggioranza dei componenti il gruppo),è molto importante poiché rappresenta un elemento favorevole all’innovazione. La minoranza può talvolta rappresentare la spinta propulsiva che permette di andare oltre le abitudini. Se la maggioranza porta al cambiamento nel senso che fa adottare il suo punto di vista, la minoranza scatena un processo d’influenza , meno visibile, ma portatore di idee nuove, che favoriscono quindi il processo creativo. Una ricerca di Nemethe Wahcter(1983), evidenzia che “ I membri di un gruppo saranno tanto più creativi quanto più, all’interno del gruppo, si confronteranno con una minoranza consistente. La consistenza di una minoranza, porta i soggetti ad interrogarsi sulle loro posizioni e permette loro di affrontare altri aspetti della realtà, di trovare altre soluzioni, nuove e

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differenti, sia da quelle proposte dalla maggioranza che da quelle proposte dalla minoranza. La maggioranza è molto efficace per spingere i soggetti verso soluzioni che aderiscono ad uno stretto conformismo. La minoranza permette invece ai soggetti un decentramento, un’analisi che tiene conto di tutti gli elementi proposti, che favorisce la produzione di soluzioni nuove.

SESSIONE 2 -Metodi e tecniche di creatività nei gruppi :il brainstorming IL BRAINSTORMING: questo metodo venne messo a punto da Osborn, direttore di un’agenzia di pubblicità, intorno agli anni 50. Il brainstormingsi fonda su due postulati: 1) E’ necessario dissociare la funzione di produzione e di ricerca delle idee dalla funzione di valutazione e di giudizio sia positivo che negativo. 2) La liberazione della creatività si realizza di preferenza in gruppo, a patto che le riunioni siano organizzate e animate correttamente. La tecnica necessita di tre fasi: Prima fase-si tratta oltre che di formare il gruppo, di delimitare il tema da affrontare : un problema che deve essere suddiviso in una serie di sottoproblemi che saranno esaminati uno dopo l’altro. Seconda fase è costituita da una seduta di brainstorming propriamente detto, la cui durata è di circa un’ora.

L’obiettivo fissato al gruppo è quello di produrre delle idee osservando tre regole : 1) Durante la seduta è interdetto qualsiasi giudizio critico positivo o negativo 2) Incoraggiamento delle libere associazioni: tutte le idee devono essere formulate, anche se appaiono “strane”. 3) E’ favorita la capacità di “saccheggiare” le idee degli altri, cioè di associare , combinare, continuare le idee espresse dal gruppo. Terza fase-costituzione di un microgruppo delegato ad operare la scelta, la selezione ed esprimere un giudizio critico su quanto prodotto. Sembra , dalle statistiche, che il 10% delle idee prodotte in una seduta di Brainstorming sia utilizzabile. IDEA CENTRALE DIOSBORN E’ CHE L’ASSOCIAZIONE DELLE IDEE GIOCHI UN RUOLO FONDAMENTALE NELLA CREATIVITA’.

SESSIONE 3-Metodi e tecniche di creatività nei gruppi: la sinettica Il metodo si fonda sull’utilizzazione cosciente della metafora. Obiettivo è la formazione del pensiero creativo in situazioni di gruppo e quindi la sua utilizzazione nella soluzione di problemi concreti. Il metodo elaborato da Gordon (1965), richiede un’atmosfera distesa, in modo da permettere ai partecipanti di mettere in atto “lo sguardo e l’atteggiamento del bambino davanti alla realtà”. Secondo Gordon “ Il gioco in quanto atteggiamento dello spirito e facoltà d’invenzione è nell’adulto la replica esatta degli atteggiamenti e delle facoltà del bambino : non si tratta per l’adulto, che di saper ritrovare il proprio stato d’infanzia”. Mentre di solito si ritiene infantile l’adulto che si diverte a giocare, la sinettica ritiene che una tale disposizione d’animo si debba coltivare allo scopo di favorire l’attività creatrice.

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La tecnica della sinettica utilizza tre tipi di analogie: -analogia personale: consiste nel chiedere ai partecipanti di identificarsi con un elemento del problema affrontato, di immaginare le reazioni e i comportamenti che si svilupperebbero. -analogia diretta : consiste nell’applicare in un settore o in una disciplina le conoscenze di un’altra disciplina : si attua la trasposizione delle conoscenze da un campo conoscitivo per trovare le soluzioni di un problema appartenete ad un altro settore. -analogia simbolica : consiste nel sostituire ad un oggetto problematico un’immagine simbolica. IL METODO SINETTICO PRIVILEGIA GRUPPI ETEROGENEI AL FINE DIALIMENTARE DIVERSI PUNTI DIVISTA PER AFFRONTARE LE SITUAZIONI PROBLEMATICHE.

SESSIONE 3-Metodi e tecniche di creatività nei gruppi: l’analisi morfologica E’ un metodo che si adatta bene ai casi complessi ed è esaustivo per analizzare le combinazioni di idee che potrebbero aiutare a risolvere un problema, che si vuole rappresentare nei suoi aspetti principali. L’analisi morfologica comprende le seguenti fasi: -suddividere il problema nei suoi elementi, ciascuno descritto su una scheda separata -tralasciare il problema per un po’, in modo da assimilarlo a livello inconscio -riprendere il problema aggiungendo eventuali nuove idee su schede aggiuntive -esaminare le schede e ordinarle in gruppi -sintetizzare e combinare i gruppi di schede al fine di evidenziare gli aspetti salienti del problema da risolvere -descrivere su schede separate gli aspetti fondamentali emersi -esaminare le combinazioni degli aspetti individuati, alla ricerca di nuove soluzioni

SESSIONE 4-Gruppi e integrazione tra bisogni individuali e obiettivi aziendali Per affrontare la tematica dell’integrazione tra bisogni individuali e obiettivi aziendali, non si può prescindere dal ricercare una definizione di gruppo ad hoc. Il gruppo, in quest’ottica, è inteso come “Insieme di individui, non tanto numerosi da precludere la possibilità che la maggior parte di essi si incontrino, seppure in modo saltuario, in uno spazio abbastanza limitato da consentire eventualmente a ciascuno di conoscere gli altri ed essere da loro conosciuto, tra i quali si sono stabiliti, di persona o a distanza, spontaneamente o per costrizione esterna, processi d’interazione sociale (necessariamente fondati su forme di comunicazione) relativamente intensi e durevoli, sulla base di interessi strumentali, affettivi o morali, derivanti da una o più qualità comuni ( ad esempio la professione, il genere di lavoro, il settore e il luogo di occupazione, ecc.), qualità possedute anche da altri individui della stessa società, tra i quali tuttavia, mancando certi fattori che determinano la formazione dei gruppi, non si sono stabiliti o non si sono consolidati i suddetti processi interattivi”.

Definizione di coesione : è la forza che mantiene insieme le molecole di un corpo e da ciò , per metafora, il legame fra gli individui appartenenti ad un gruppo. I principali fattori coesivi possono essere di tipo socio-affettivo ( attrattiva per uno scopo comune, affinità interpersonali, soddisfazione dei bisogni individuali) e di tipo

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socio-operativo ( distribuzione e articolazione dei ruoli, conduzione del gruppo, stili di leadership). La formazione di un team motivato è sempre sostenuta da un team leader che è in grado di fronteggiare i conflitti che si creano all’interno del gruppo. Le facoltà che giovano al team leader sono: creatività, capacità di assumere decisioni, capacità di risolvere problemi e creare alternative. Queste caratteristiche sono riconducibili al nostro modo di pensare che si sviluppa attraverso le capacità di analisi, di sintesi e di valutazione.

SESSIONE 4-Gruppi ed integrazione tra bisogni individuali ed obiettivi aziendali : processo decisionale Per Silverman, la miglior forma di organizzazione è quella che tende ad ottimizzare la soddisfazione dei bisogni individuali e organizzativi, incoraggiando la formazione di stabili gruppi di lavoro e la partecipazione degli operatori alle fasi di decisione. Ogni processo decisionale, che si sviluppa all’interno di un gruppo, non può prescindere dal considerare l’influenza del processo interazionale prodotto dai seguenti fattori: - Valori (filosofia) - Utilità/probabilità (economia e statistica) - Ambiente (antropologia ) - Modelli (matematica) - Comportamento individuale (psicologia e sociologia) - Comportamento nel gruppo (psicologia e sociologia)

SESSIONE 4-Gruppi e integrazione tra bisogni individuali ed obiettivi aziendali: punti di forza e di criticità del gruppo Tra i punti di forza di tipo psicologico che caratterizzano un gruppo, citiamo: -creazione di sbocchi per i bisogni di affiliazione, amicizia, affetto e sostegno -sviluppo e conferma del senso di identità e dell’autostima -aumento della sicurezza e del senso di forza nell’affrontare un pericolo comune -mezzo per raccogliere informazioni, assistere un membro in difficoltà, combattere stati di noia attraverso reciproche stimolazioni, controllare le dinamiche di colpa, favorire /migliorare i processi di apprendimento, aumentare la funzionalità e l’efficienza delle difese , influenzare la dinamica individuo/gruppo relativamente alla maturazione affettiva dell’individuo. Tra i punti di forza di tipo materiale che caratterizzano un gruppo citiamo: -miglioramento della “produttività” ,in senso lato, dell’individuo e del gruppo di appartenenza , attraverso meccanismi di coesione. Tra i punti di criticità di tipo psicologico che caratterizzano un gruppo citiamo: Possibile riattivazione di angosce, rigidità di comportamento; insorgenza di conflitti individuali, all’interno del gruppo, tra gruppi .

SESSIONE 4-Integrazione tra bisogni individuali e obiettivi aziendali: il processo di omogenizzazione INDIVIDUO BISOGNI INDIVIDUALI Omogenizzazione

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tra GRUPPO BISOGNI DEL GRUPPO Maslow ci ricorda che le principali condizioni per la soddisfazione dei bisogni individuali e la loro integrazione con i bisogni del gruppo non possono prescindere dalla: libertà di esprimersi, di indagare e ricercare sempre nuove informazioni, di difendersi

LEZIONE 9 OBIETTIVI DELLA FORMAZIONE SESSIONE 1-Obiettivi generali La formazione nel mondo del lavoro si prefigge tra gli obiettivi generali quello di : MIGLIORARE LE CAPACITA’ RELAZIONALI INDIVIDUALI E DEL GRUPPO DILAVORO, FAVORENDO COMPORTAMENTI ADEGUATI AD UNA REALTA’LAVORATIVA IN MOVIMENTO. In genere l’attività di formazione risulta sempre collegata allo SVILUPPO DELLE RISORSE UMANE e dell’ORGANIZZAZIONE. L’attività formativa permette al soggetto di acquisire una visione “critica” del proprio ruolo lavorativo , all’interno del contesto organizzativo di appartenenza. L’attività formativa tende anche a favorire l’acquisizione di una maggiore “consapevolezza degli atteggiamenti e dei comportamenti” messi in atto nei confronti dei vari soggetti appartenenti all’organizzazione. L’attività formativa è strettamente connessa all’obbligo /dovere di aggiornarsi professionalmente. In alcuni contesti professionali l’attività formativa è strettamente connessa all’acquisizione dei cosiddetti crediti formativi.

In base agli obiettivi da perseguire proponiamo una classificazione dei piani formativi : - Formazione di base - Formazione specialistica - Formazione gestionale - Formazione di sviluppo - Formazione per il cambiamento - Formazione motivazionale - Formazione per lo sviluppo organizzativo - Formazione per la sicurezza sul lavoro

Tra gli obiettivi generali della formazione non bisogna tralasciare la concretezza. Un corso si struttura , rispetto a scelte effettuate in base ad obiettivi, contenuti, metodi didattici, tempi. Questi elementi, sono espressione del significato di ciò che riguarda “l’oggetto formazione”. Nella formazione, risultati efficaci, sono in stretta connessione con la coerenza delle scelte e la congruenza tra aspetti teorici e pratici. Bisogna attribuire maggior rilievo al metodo di insegnamento, riscoprendo i collegamenti tra principi che guidano l’operato del formatore e le varie teorie dell’apprendimento. Si deve favorire lo sviluppo di un legame tra conoscenza e cambiamento. Durante il processo formativo è opportuno mettere a fuoco il ruolo centrale dell’esperienza

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del soggetto, nella sua vita quotidiana in azienda. La realtà della formazione e la sua concretezza devono essere interpretate in base a ciò che esse consentono di esprimere, in relazione ad un confronto tra le esperienze di lavoro ed eventi di apprendimento.

Possiamo definire , citando Morris, gli operatori della formazione con il termine : agenti della consapevolezza e del cambiamento. Bisogna riconoscere lo stretto legame che intercorre tra processi di conoscenza e processi di cambiamento. In relazione a ciò, la conoscenza, risulta essere tanto più efficace , quanto è al tempo stesso conoscenza di sé. La trasmissione della conoscenza, attraverso la formazione, risulterà essere più autentica se, diverrà al tempo stesso, “elaborazione dell’esperienza”. Un mezzo, che riteniamo di particolare interesse, per risolvere il problema della concretezza della formazione , in modo integrato, è quello di ancorare alcune realtà a ciò che definiamo : “ eventi di apprendimento” nell’ambito formativo.

SESSIONE 2-Organizzazione dell’attività formativa Ogni formatore, deve porsi l’obiettivo di sviluppare un progetto d’intervento formativo che scaturisca da un’analisi preliminare dei bisogni. Ogni progettazione formativa deve porsi l’obiettivo di prevedere: - Individuazione dell’interlocutore aziendale - Analisi del fabbisogno aziendale - Individuazione degli utenti aziendali - Formulazione degli obiettivi - Scelta dei docenti - Scelta delle metodologie per l’apprendimento - Predisposizione degli strumenti - Tempi di svolgimento e realizzazione dell’attività formativa - Costi - Attività di verifica dei risultati raggiunti - Riprogettazione di nuove attività formative

Tra le fasi di attività di realizzazione dell’attività formativa possiamo citare: A) Individuazione dei partecipanti, comunicazione delle date delle giornate formative. B) Predisposizione delle aule che devono rispettare le seguenti caratteristiche: -luminosità adeguata -climatizzazione -assenza di rumorosità -predisposizione di audiovisivi ( se occorrono) e verifica del loro funzionamento -predisposizione del materiale didattico Nell’intervento di formazione aziendale è di assoluta rilevanza, ai fini dell’apprendimento, che l’ambiente fisico o setting formativo sia predisposto con estrema attenzione. Potrebbe essere opportuno predisporre i posti per i partecipanti “a ferro di cavallo”. Tale disposizione, sembra favorire i rapporti tra i partecipanti e il docente.

L’organizzazione dell’attività formativa deve prevedere inoltre la messa a punto di alcune 39

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schede . -SCHEDA DOCENTE, raccoglie i dati anagrafici e professionali del docente . -SCHEDA UNITA’DIDATTICA, nello sviluppo di un corso di formazione , risulta importante concordare con i docenti una metodologia didattica che tenga conto delle esigenze di apprendimento dei partecipanti. Il tipo di unità didattica da realizzare verrà concordata, in apposite riunioni con tutti i docenti partecipanti al progetto formativo

. Verranno elaborate Schede per le varie unità didattiche previste. -SCHEDA VALUTAZIONE NEI CONFRONTI DEL DOCENTE da parte dei partecipanti, tale scheda deve essere compilata dai partecipanti alla fine di ogni unità didattica . Deve essere mirata a verificare le competenze didattiche del docente, in relazione alla metodologia didattica predisposta per il percorso formativo. Importante risulta essere la verifica della congruenza con le unità didattiche proposte. ‐SCHEDA DIVALUTAZIONE DA PARTE DELLA DOCENZA nei confronti dei partecipanti al corso . Deve essere compilata a inizio corso ( impatto iniziale con i partecipanti), a metà del corso (livello di partecipazione ed interesse manifestato dai partercipanti), a fine corso (valutazione finale del livello globale di partecipazione). La valutazione dei fattori si può effettuare con: -Osservazione dei partecipanti in aula - Incontri ad hoc con i partecipanti - Incontri ad hoc con i docenti

-SCHEDA DI FOLLOW-UP, tale scheda è di competenza del tutor ed è mirata a verificare durante lo svolgimento del corso i seguenti elementi : - Processo formativo, cioè la verifica dell’andamento del corso in relazione agli obiettivi prefissati - Docenza, cioè la verifica delle competenze didattiche del docente , in relazione alla metodologia concordata e predisposta per quel determinato corso (congruenza con le unità didattiche proposte) - Allievi, cioè la verifica della motivazione a partecipare al corso. - Azioni didattiche, cioè la proposta di eventuali azioni ritenute necessarie per il miglioramento dell’apprendimento (azioni di supporto e sostegno). - Questionario di fine corso (feedback), si utilizza per raccogliere informazioni più generalizzate, il cui utilizzo può essere finalizzato al miglioramento di futuri programmi di tipo analogo.

SESSIONE 3-Analisi dei bisogni La formazione ha come obiettivo : -per l’utente, il miglioramento delle sue capacità professionali richieste dal contesto lavorativo e, nel contempo, soddisfare le sue esigenze di realizzazione (aspetti motivazionali). -per l’organizzazione, migliorare le capacità di imprenditorialità richieste dal mercato e/o dalle situazioni tecnico/organizzative interne. Si rende necessario individuare i problemi che fanno nascere la necessità dell’intervento. -Per quanto concerne l’organizzazione , gli elementi di interrogazione che si dovranno rilevare sono: obiettivi dell’organizzazione nel breve, medio e lungo termine, sistema della

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formazione, dati sul personale, modalità di organizzazione del lavoro, sistema di sviluppo delle carriere, sistema informativo, processi innovativi e/o di cambiamento in atto e/o prevedibili -Per quanto concerne l’analisi dei bisogni di formazione del soggetto, gli elementi di interrogazione che si dovranno rilevare sono : la partecipazione e il livello di appartenenza all’organizzazione, lo sviluppo professionale, i bisogni sociali, i bisogni di autorealizzazione, la motivazione, la conflittualità,le potenzialità. Appare evidente l’importanza della capacità del formatore , non solo nel costruire e saper scegliere gli strumenti di applicazione , quanto nell’ attenzione prestata al rilevare e comprendere ciò che realmente occorre al sistema in esame e all’uomo che in esso opera. La progettazione formativa deve riuscire a rispecchiare le scelte compiute nel momento dell’analisi

Possiamo fare rientrare tra i bisogni formativi anche l’APPRENDIMENTO. La ricerca sperimentale ha dimostrato che quanto più un soggetto partecipa ad una situazione di apprendimento, tanto più efficace sarà l’apprendimento stesso, particolarmente nei casi in cui esso è rivolto all’acquisizione di una capacità o skill. La partecipazione significa pratica, ripetizione del comportamento da apprendere. E’ necessario trasferire l’apprendimento avvenuto in classe alla situazione concreta della vita reale aziendale. In base all’esperienza , sappiamo che l’apprendimento è facilitato, quando possiamo notare la sua rilevanza o applicabilità a una nostra situazione reale. Dovrebbe sempre essere presente un forte rapporto tra il programma di formazione e il lavoro che deve essere effettivamente eseguito. Le tecniche per ottenere un transfert positivo sono quelle di simulazione , lo studio dei casi e il role playing. L’effetto negativo viene dimostrato quando i partecipanti ad un’attività formativa hanno acquisito idee ma si trovano impossibilitati a sperimentarle nel loro contesto aziendale. Se non si applica ciò che si impara si tende a dimenticarlo.

SESSIONE-4 Determinazione degli obiettivi della formazione Nelle procedure didattiche formali, le esperienze vengono organizzate in modo da realizzare un apprendimento specifico che deve mirare al cambiamento entro un cero arco di tempo. Il docente deve chiarire ai suoi interlocutori quale apprendimento egli vuole facilitare, concentrando così su specifici obiettivi il suo programma didattico. In base agli obiettivi prescelti ,egli dovrà selezionare il materiale didattico e il metodo di trasmissione dei contenuti. I partecipanti potranno apprendere più efficacemente quando avranno ben chiaro a se stessi gli obiettivi da perseguire. Una tecnica didattica sarà giudicata adeguata nella misura in cui consentirà di: -assicurare la partecipazione attiva del discente, fornire al discente un feedback informativo sui propri progressi, promuovere una significativa integrazione delle esperienze di apprendimento al fine di poterle trasferire nella situazione lavorativa, fornire ai partecipanti mezzi idonei a rafforzare un comportamento appropriato,

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assicurare pratica e ripetizione, indirizzare i partecipanti a migliorare i propri risultati, assistere i partecipanti nella disponibilità al cambiamento.

SESSIONE 4-Sintesi degli obiettivi dell’intervento formativo I PROCESSO FORMATIVO E’ VOLTO A REALIZZARE: -APPRENDIMENTO DICONOSCENZE: conoscenze tecnico/professionali conoscenze di organizzazione aziendale -SVILUPPO DICAPACITA’: capacità concettuali capacità di gestione dell’innovazione e del cambiamento -SVILUPPO DICOMPORTAMENTI : comportamenti organizzativi orientati al ruolo professionale ipotizzato in azienda

SESSIONE 4-Sintesi delle metodologie didattiche OBIETTIVI METODOLOGIE DIDATTICHE Apprendimento di conoscenze Lezioni Sviluppo di capacità concettuali Esercitazioni tese allo sviluppo di capacità concettuali e alla soluzione di problemi

OBIETTIVI METODOLOGIE Apprendimento di comportamenti Lavori di gruppo Esercitazioni di gruppo IL LAVORO DI GRUPPO HA COME OBIETTIVO LA SOLUZIONE DI PROBLEMI ATTRAVERSO IL CONFRONTO , DEVE DUNQUE STIMOLARE LE CAPACITA’ DI PROBLEM SOLVING . IL LAVORO DIGRUPPO DEVE MIRARE INOLTRE AD ACCRESCERE LE CAPACITA’ RELAZIONALI, LE CAPACITA’ DIACCOGLIERE LE PROPOSTE ALTRUI STIMOLANDO COMPORTAMENTI INTERATTIVI. LE ESERCITAZIONI DIGRUPPO PREVEDONO DISCUSSIONI FINALIZZATE A STIMOLARE L’APPRENDIMENTO E LA CAPACITA’ DILAVORO IN TEAM.

PSICOLOGIA DEL LAVORO 10 CENNI STORICI La valutazione del personale, nelle sue svariate accezioni (prestazioni, potenziale, competenze ecc.), è un’espressione entrata nel linguaggio aziendale corrente , anche se i concetti risalgono al sorgere delle prime organizzazioni. Andrea Zerilli nel suo testo: “La valutazione del personale”, ci ricorda come gli imperatori della dinastia cinese Wei (221-265 d.C.) avessero istituito la figura del “Valutatore Imperiale”, con l’incarico preciso di valutare il rendimento dei membri della corte. Affidando ad una sola persona il compito della valutazione, si auspicava ad eliminare il pericolo della difformità di giudizio che la presenza di più valutatori può comportare. LEZIONE 10 VALUTAZIONE DEL PERSONALE Ma il primo vero sistema di valutazione è rappresentato dalla procedura formulata da S. Ignazio di Loyola ed è mirato a valutare i componenti della Compagnia di Gesù.

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Questo sistema di valutazione comportava: l’autovalutazione, la valutazione da parte del superiore, il giudizio di coloro i quali avevano maggiori contatti con il gesuita. Già da allora si introduceva una metodologia complessa che nel linguaggio aziendale attuale si potrebbe definire “multipla”. Le prime schede di valutazione appaiono anche nella burocrazia statale ma è solo alla fine della seconda guerra mondiale, che la valutazione del personale si diffonde nel mondo aziendale a partire dagli Stati Uniti d’America e poi in Europa. Queste considerazioni di carattere storico mettono in luce come la valutazione sia sempre esistita.

Scrive Zerilli (1963): “Gli uomini sono sempre stati giudicati dai loro superiori, sia che tale giudizio fosse esplicito, in veste di note di qualifica o di rapporto, sia che fosse espresso implicitamente, sotto forma di parere favorevole o contrario ad un determinato provvedimento. Di valutazione del personale o dei meriti si comincia tuttavia a parlare solo per designare una procedura organica e sistematica di espressione dei giudizi nei confronti del personale subalterno. L’esigenza di una tale procedura affiora con lo sviluppo delle grandi organizzazioni :l’esercito e la burocrazia statale prima, le Aziende private poi”. Si ricorrerà dunque alla valutazione del personale per sostituire a giudici disorganici e formulati secondo i più svariati criteri, una procedura razionale, un linguaggio uniforme ed unificato, basato su precisi parametri.

Nell’ampio processo di gestione e pianificazione delle risorse, in cui le aziende si sono impegnate , la valutazione rappresenta sicuramente un momento fondamentale. Secondo un’analisi condotta da Nicola Longo e Cecilia Cavajano in “La valutazione dei dirigenti della pubblica amministrazione”, l’azienda si può paragonare ad un grande contenitore in cui convivono ed interagiscono impianti tecnologici e produttivi, risorse finanziarie ed umane. Al suo interno l’elemento fondamentale è proprio il fattore umano : l’individuo con la sua personalità e le sue aspettative , gioca una parte importante nel mantenere vivo il sistema aziendale. La presenza dell’individuo all’interno dell’organizzazione fa si che essa non possa essere intesa solo nei suoi aspetti meccanici, ma rende necessario estendere la comprensione ad aspetti psicologici non sempre visibili. E’ come se ogni organizzazione si componesse di aspetti formali ed informali tra loro interagenti.

Ogni organizzazione si compone di aspetti formali ed informali tra loro interagenti. Il momento formale è quello definito da norme e procedure consolidate e riconosciute , nel quale le persone stabiliscono una cooperazione dotata di scopo consapevole. I rapporti informali, invece, si limitano a favorire atteggiamenti, opinioni, usanze, che di per sé sono privi di fini consapevoli. In una simile prospettiva, l’individuo occupa un ruolo ben più ampio, legato a reti di relazioni e a influenze formalmente non codificate. Reprimere lo sviluppo delle componenti informali significherebbe devitalizzare il sistema organizzativo, stimolarle oltremisura comporterebbe uno stravolgimento dello stesso. L’organizzazione vive così un instabile e nello stesso tempo dinamico equilibrio tra progetto unitario e fini individuali, tra razionalità ed emotività. Diventa importante gestire un equilibrio di rapporti che dia vitalità al sistema

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organizzativo , consentendogli un’evoluzione equilibrata e conforme al disegno strategico dell’azienda.

SESSIONE 2-Valutazione risorse umane e organizzazioniUn’azienda non può essere gestita solo in termini tecnico-organizzativi, ma deve porre particolare attenzione alla gestione della risorsa umana, intesa nella sua totalità, come individuo dotato di una propria personalità, di un proprio vissuto, di un proprio sistema di aspettative, oltre che di una specifica professionalità. L’agire dell’individuo nell’ambito dell’organizzazione trova infatti spiegazione non soltanto nelle sue conoscenze , nella sua professionalità, nei compiti a lui attribuiti, ma anche e soprattutto nelle sue motivazioni e nei suoi bisogni profondi. Un’organizzazione efficiente si fonda su un sistema di regole eque e condivise, pone attenzione e provvede ai bisogni e alle aspettative degli individui, ne stimola la creatività e ne gestisce lo sviluppo professionale in funzione degli obiettivi e strategie aziendali.

Un’organizzazione deve saper amministrare il patrimonio di risorse di cui dispone provvedendo, nello stesso tempo, al suo sviluppo attraverso l’individuazione del fabbisogno qualitativo e quantitativo di organico, in funzione di future modifiche strutturali, di introduzione di nuove tecnologie, di prodotti e servizi. In tal senso, si rende necessario mettere in atto interventi volti a favorire tale sviluppo in termini di politiche di assunzione, di formazione del personale, di sviluppi di carriera, di mobilità, di politica retributiva. L’individuazione delle funzioni, delle attività, delle mansioni e dei ruoli, è il mezzo che consente di tracciare una mappa del contesto socio-organizzativo entro cui l’individuo deve agire .

SESSIONE 3 -Le 3 PFertorani in “La valutazione delle prestazioni e del potenziale manageriale”, ricorre all’esempio delle 3 P. Con questa espressione l’autore afferma che nel campo delle risorse umane , la politica del personale poggia su una tripode rappresentata da : -POSIZIONE-PRESTAZIONE-POTENZIALE- POSIZIONE: rappresenta il ruolo che la persona occupa nella struttura organizzativa ed è data dall’insieme delle mansioni ed attività che essa svolge. L’insieme di tutte le attività dà origine a mansioni che a loro volta , aggregandosi, vengono riferite a una POSIZIONE. L a sua descrizione permette di individuare in modo sistematico, universalmente applicato e credibilmente equo, il tenore delle responsabilità e delle capacità assegnate e richieste ad una data posizione.

L’analisi della posizione ci permette di ricavare il profilo ideale della risorsa che la dovrebbe occupare, definendo le caratteristiche che quest’ultima dovrebbe avere per ricoprire al meglio quella specifica posizione. La seconda P e la PRESTAZIONE: rappresenta la modalità con la quale la persona che occupa una data posizione aziendale assolve ai compiti propri della posizione stessa. Il problema che si pone , ai responsabili delle risorse umane, consiste nel trovare un meccanismo sufficientemente oggettivo per graduare razionalmente , in un giudizio

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sistematico, le modalità con cui le persone svolgono i loro compiti, cioè per valutare come e in che misura le prestazioni dei singoli individui rispondano alle aspettative dell’ organizzazione. Se la valutazione della POSIZIONE consente di individuare i minimi e i massimi entro cui è possibile far oscillare la retribuzione, la valutazione della PRESTAZIONE tende a dimensionare correttamente l’incremento retributivo all’interno del range. Il suo scopo primario è quello di premiare il merito individuale, cioè l’apporto del singolo all’organizzazione.

Infine la terza P è il POTENZIALE. Mentre le prestazioni valutano le performances del dipendente in relazione alla posizione ricoperta e si pongono come fine la gestione delle dinamiche retributive, la valutazione del POTENZIALE tende ad individuare potenzialità presenti ma non espresse dal dipendente. Con la valutazione del POTENZIALE, secondo Fertonami, si esprime un giudizio orientato al futuro che analizza e valuta le caratteristiche personali di chi occupa una determinata posizione, rispetto alla prevedibile evoluzione dell’organizzazione e si concretizza in una previsione di possibili cambiamenti o ampliamenti della posizione. Con la valutazione del potenziale il discorso si esprime in termini di previsioni , la previsione implica anche una certa misura di incertezza. Nonostante ciò, nessuna organizzazione rinuncia a formulare , implicitamente o esplicitamente, una previsione sulle potenzialità delle persone , poiché tale operazione favorisce il percorso che l’azienda dovrà svolgere in funzione della sua crescita.

SESSIONE 4-Un sistema integratoLa valutazione delle POSIZIONI, delle PRESTAZIONI,del POTENZIALE possono essere intese come politiche contraddistinte di un unico processo di analisi e di valutazione. L’uso integrato delle tre dimensioni della valutazione dovrebbe perseguire i seguenti obiettivi: -creare una base per la gestione delle politiche retributive -migliorare le prestazioni -individuare le potenzialità individuali per far fronte ai bisogni di crescita dell’organizzazione e ai bisogni di sviluppo individuale. Per meglio comprendere l’uso integrato delle tre dimensioni della valutazione, sarà necessario per ciascuna di esse approfondire i seguenti aspetti: -Oggetto della valutazione e cioè CHE COSA SI VALUTA? -Le diverse metodologie correlate all’oggetto da valutare e cioè CON QUALI STRUMENTI SI VALUTA -Le modalità di comunicazione del giudizio al valutato e cioè COME SI COMUNICA LA VALUTAZIONE

SESSIONE 4-Il metodo HayUno tra i più citati metodi per la JOB EVALUATION è quello creato da Edward Hay, un ingegnere meccanico vissuto tra la fine del XIX e la metà del XX secolo. Il metodo si fonda sul principio che a ogni posizione , inserita in una struttura , è attribuita una finalità da raggiungere per contribuire al risultato finale dell’organizzazione. Per raggiungere gli obiettivi di una posizione è necessario possedere determinate conoscenze , esperienze e capacità ed essere in grado di risolvere eventuali

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difficoltà tecniche , organizzative e di relazione con gli altri. Sulla base di questo principio il metodo Hay, individua tre fattori di valutazione , cioè tre criteri rispetto ai quali si confrontano le posizioni all’interno di una struttura organizzativa. Essi sono: -COMPETENZA (Knowhow) -INIZIATIVA CREATRICE (problem solving) -FINALITA’ ( accountability).

La COMPETENZA comprende l’insieme delle capacità acquisite, richieste dalla posizione. L’INIZIATIVA CREATRICE identifica il pensiero originale richiesto dalla posizione per individuare, analizzare e risolvere i problemi cui occorre far fronte. La FINALITA’ precisa la responsabilità nell’ambito dell’organizzazione delle decisioni o azioni e le loro conseguenze rispetto agli obiettivi e risultati finali.

La realizzazione di un progetto di analisi e la descrizione delle POSIZIONI comporta alcuni passaggi . -Definizione del campione da analizzare -Scelta e preparazione degli strumenti -Scelta ed addestramento degli analisiti -Comunicazione agli interessati degli obiettivi del programma -Definizione del calendario -Preparazione e realizzazione delle interviste -Stesura delle descrizioni -Approvazione delle descrizioni Concluso il processo di analisi e descrizione delle posizioni, i documenti finali vanno a costituire il manuale organizzativo dell’azienda.

SESSIONE 4-Metodologie di analisi e descrizione delle posizioniDescriviamo ora i principali strumenti utilizzati in un programma di analisi e descrizione delle POSIZIONI. 1-INTERVISTA, costituisce un metodo attendibile e concreto di analisi. Il metodo dell’intervista prevede tre fasi: -intervista a chi ricopre la posizione ( da 2 a 4 ore in funzione della complessità della posizione) -descrizione della posizione da parte dell’analista, che in un momento separato razionalizza e sintetizza gli elementi emersi. -Colloquio dell’analista con il titolare della posizione per rivedere insieme quanto emerso dalla descrizione della posizione ed apportare eventuali correzioni , in seguito a possibili errori di interpretazione da parte dell’analista. L’analista esperto dovrà far emergere una serie di considerazioni sullo stato dell’organizzazione, che possano risultare utili, in un’ottica di efficienza aziendale globale.

2-QUESTIONARIO, aperto o strutturato, a seconda dei casi, risulta particolarmente utile per allargare la fase di analisi a popolazioni aziendali vaste, in combinazione con un programma preliminare di interviste. La somministrazione del questionario può essere realizzata con vari metodi.

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-somministrazione individuale : viene elaborato un manuale di illustrazione degli scopi del progetto accompagnato da esempi per la compilazione dei questionari. Nel corso di una riunione viene presentato e consegnato il questionario . Si nomina un tutor interno per fornire eventuale assistenza alla compilazione individuale che potrà essere effettuata nell’arco di una settimana. -somministrazione collettiva : in una riunione viene presentato a gruppi di quindici-venti persone lo scopo del progetto e si invita a compilare il questionario in sede. E’ prevista l’assistenza di alcuni analisti. I tempi per la compilazione possono essere compresi tra le due e le quattro ore. 3-OSSERVAZIONE DIRETTA, può rappresentare un’integrazione agli altri strumenti sopracitati.

SESSIONE 4-Metodologie di valutazione delle prestazioni

Una modalità usata per valutare le PRESTAZIONI, consiste nel confrontare: -Obiettivi prefissati e risultati raggiunti -comportamenti richiesti e comportamenti attivati -compiti assegnati e compiti eseguiti A tale scopo una metodologia di valutazione delle prestazioni è in genere articolata in quattro fasi: -colloquio per l’assegnazione degli obiettivi. Il valutatore e il valutato definiscono gli obiettivi e i risultati attesi, la cui formalizzazione avviene in un documento chiamato scheda di valutazione. E’ importante che ogni obiettivo venga definito come risultato di un lavoro concreto, quindi misurabile e da raggiungere in un periodo di tempo determinato; in tal modo sarà possibile, per il valutato, conoscere le priorità al fine di pianificare la sua attività di lavoro.

-Valutazione dei risultati conseguiti. Il valutatore esprime un giudizio sui risultati rispetto agli obiettivi prefissati e formula una valutazione di sintesi. -Comunicazione della valutazione. E’fondamentale che la valutazione sia comunicata al candidato, generalmente durante un apposito colloquio. -Il processo di valutazione deve avere una scadenza periodica. -La valutazione deve fondarsi su una serie di fattori, che prima di essere utilizzati per la valutazione del dipendente, devono essere pensati in funzione delle caratteristiche della posizione. E’ possibile valutare l’aspetto quantitativo della prestazione o l’aspetto qualitativo. -Il metodo M.B.O. (Management byobjectives) punta sul “cosa”, cioè sul risultato dell’azione manageriale (metodo quantitativo). -L’azienda non è solo la somma di azioni individuali, è anche un insieme di comportamenti che richiedono collaborazione,coordinamento, relazioni, rispetto delle regole. Il “come” assume un ruolo preminente (metodo qualitativo).

Modelli di competenza, si suddividono in modelli di tipo deduttivo e modelli di tipo induttivo . I primi sono costruiti sulla base di indicazioni desunte da un lavoro di ricerca che porta ad analizzare le caratteristiche dei manager che operano in aziende di successo.

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I secondi sono quelli derivati da ricerche sperimentali, sottoposte ad un processo statistico di validazione per verificare che il modello non sia soltanto descrittivo ma anche normativo. I modelli induttivi permettono di spiegare come si comportano i manager che hanno avuto successo in una data organizzazione , ma consentono anche di prescrivere quali caratteristiche bisogna possedere per avere successo in analoghe situazioni.

SESSIONE 4-Metodologie di valutazione delle prestazioniIn questo contesto desideriamo puntualizzare la relazione tra valutazione del potenziale e career planning. Al programma di valutazione del potenziale può essere associato il processo di pianificazione delle carriere,il quale a sua volta, dovrebbe essere collegato alla pianificazione strategica aziendale. Solo tenendo contemporaneamente in equilibrio le esigenze aziendali e quelle dei singoli, si può realizzare una buona pianificazione delle carriere. Può essere opportuno individuare nelle aziende “una rosa di talenti”( cioè un gruppo di persone motivate, con potenzialità di sviluppo, in linea con la cultura aziendale, in grado di adattarsi alle mutevoli necessità organizzative dell’azienda). Pertanto questa “rosa di talenti” dovrà: essere composta da manager e potenziali manager con diversi livelli di competenza e preparazione.

LEZIONE 11 TIPOLOGIE DIFORMAZIONE, MONITORAGGIO E GESTIONE ECONOMICA SESSIONE1-Aree formative AREA DELLA FORMAZIONE MANAGERIALE: Le attività formative organizzate per la fascia manageriale sono finalizzate ad acquisire lo sviluppo e il consolidamento delle skills necessarie per realizzarel’implementazione delle strategie aziendali. Obiettivi più specifici si traducono nel favorire l’integrazione dei comportamenti organizzativi e gestionali attraverso l’acquisizione di competenze e abilità connesse al ruolo svolto. Sono raggruppate nell’area della formazione manageriale tutte quelle attività tese al miglioramento di skillse comportamenti manageriali al fine di: -ANALIZZARE SCENARI E CONTESTI -ELABORARE STRATEGIE E PIANI -IDENTIFICARE MIGLIORAMNETI DISISTEMI E PROCESSI GESTIONALI -INTEGRARE SISTEMI E PROCESSI -INDIVIDUARE SOLUZIONI INNOVATIVE -STIMOLARE PROCESSI DIAUTOSVILUPPO PROFESSIONALE DELLE RISORSE.

AREA DELLA FORMAZIONE ISTITUZIONALE: Comprende le attività formative svolte in fasi critiche della vita aziendale degli individui. Si pone l’obiettivo di favorire l’aggregazione e il senso di appartenenza all’azienda, tramite la diffusione di obiettivi condivisi; di fornire le conoscenze utili ad implementare le skills funzionali a ricoprire nuovi ruoli;

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AREA DELLA FORMAZIONE SPECIALISTICA FUNZIONALE: Comprende attività di formazione volte ad assicurare l’acquisizione, l’aggiornamento, l’accrescimento delle conoscenze e delle tecnologie necessarie per ricoprire efficacemente le posizioni e per acquisire capacità comportamentali funzionali al ruolo organizzativo. Tali interventi formativi si pongono l’obiettivo di: -Aggiornare le skills specialistiche -Migliorare le capacità di elaborare modelli concettuali per analizzare situazioni complesse ed individuare situazioni innovative. -Gestire situazioni complesse attraverso l’elaborazione di attività plurime -Apprendere, in relazione agli stimoli del contesto interno ed esterno.2

AREA DELLA FORMAZIONE TECNICO-PROFESSIONALE: Comprende le attività formative mirate a fornire conoscenze e capacità tecniche di base e specialistiche al personale, finalizzate all’aggiornamento di competenze già acquisite o all’inserimento di nuovi ruoli operativi. In tutte le organizzazioni aziendali, i processi formativi devono tener conto della nascita di nuove professionalità, in un contesto operativo dove i ruoli rapidamente si modificano e le conoscenze acquisite devono essere spesso rinnovate. Una particolare cura va posta anche alla formazione di base delle risorse da inserire nei nuovi ruoli. La formazione tecnico/professionale deve essere inserita in una visione metodologica globale e di tipo interdisciplinare; l’impostazione modulare consente di raggiungere diversi livello di approfondimento delle conoscenze, in coerenza con le esigenze espresse dalle realtà operative.

SESSIONE 2-Formazione permanente La FORMAZIONE PERMANENTE può essere intesa come un processo d’acquisizione continuo per tutto il ciclo di vita. In questo processo formativo sono coinvolte Istituzioni pubbliche e soggetti privati. La formazione permanente in azienda, parte da una cultura di base già acquisita per sviluppare successivamente interventi aziendali di Formazione Professionale, che dovrebbe accompagnare il lavoratore per tutto l’arco di vita in azienda. La formazione è chiamata a “formare”l’uomo in tutte le sue variabili. La formazione permanente non è più legata al “posto di lavoro aziendale” ma si collega a modelli di sviluppo culturale e sociale. Il formatore di azioni di Formazione permanente deve essere in grado di : -saper conoscere le variabili mutanti, non solo del processo aziendale ma anche di quello culturale - pianificare ( nell’arco del triennio) i contenuti degli interventi formativi in funzione degli scenari di mercato aziendali di tipo produttivo, sociale e tecnologico. - integrare in un piano formativo almeno triennale, tutte le variabili sovraesposte, con i contenuti del “saper fare” richieste dalle funzioni aziendali.

SESSIONE 2-Formazione a distanza La prima modalità di Formazione a distanza , si ritrova già verso i primi del 900 nella variante dell’ istruzione per corrispondenza. Solo negli ultimi tempi ha però avuto una nuova accoglienza, superando la diffidenza che l’ha caratterizzata per un lungo periodo di tempo. La F A D rappresenta un metodo

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d’erogazione della formazione . La F A D, si rende necessaria quando : -si è impossibilitati a riunire i partecipanti in un’aula per distanza geografica , per impossibilità di lasciare il posto di lavoro per molte ore. Tra i vantaggi della F A D rileviamo: - La possibilità di trasferimento dei moduli formativi ad un elevato numero di soggetti. L’ applicazione della F A D richiede la disponibilità di risorse quali : esperti del sistema informativo, rete telematica, supporti tecnologici, docenti, tutor, coordinatore, segreteria didattica, biblioteca telematica, risorse economiche.

La funzione del tutor telematico è quella di fornire chiarimenti e approfondimenti relativamente ai programmi delle unità didattiche I docenti predispongono i contenuti formativi delle varie unità didattiche e possono essere collegati in tempo reale con gli allievi e/o trasmettere i contenuti didattici ( generalmente suddivisi in modo sistematico e coerente) in base ad un predefinito cronoprogramma, che tenga conto delle esigenze e degli obiettivi di ciascun partecipante. Il coordinatore, può interviene sia via rete telematica, sia telefonicamente per le eventuali azioni di coordinamento che si rendono necessarie tra partecipanti-docenti-tutor. La biblioteca telematica sarà a disposizione dei partecipanti i quali , potranno accedere ad un archivio contenete informazioni generali, specifiche, risorse per la ricerca in rete di parole chiave e documenti. Trattandosi di un progetto formativo innovativo, da parte dei progettisti, all’atto della preparazione del materiale didattico del corso, verranno considerate le metodologie più idonee per agevolare i processi di apprendimento.

In itinere del corso, , sarà verificato il livello di motivazione dei partecipanti, mettendo in atto, ove lo si renda necessario, eventuali azioni correttive. Ogni unità didattica può essere così strutturata: -Presentazione dell’unità didattica -obiettivi -contenuti -materiale di approfondimento -bibliografia -prove di verifica dell’apprendimento

SESSIONE 3-Monitoraggio dell’apprendimento MONITORAGGIO DELL’ APPRENDIMENTO : nel percorso formativo, è utile prevedere un’analisi e diagnosi di eventuali scostamenti dagli obiettivi formativi prefissati. Nel caso si verificassero, sarà opportuno elaborare proposte didattiche sia a livello di singolo che di gruppo , atte ad eliminare eventuali scostamenti dagli obiettivi prefissati all’inizio del percorso formativo. La collaborazione tra coordinatore didattico, tutor e docenti sono basilari nel monitoraggio dell’apprendimento. Il monitoraggio dell’apprendimento avviene attraverso la somministrazione di questionari, l’osservazione in aula, colloqui individuali e di gruppo, sia in itinere che al termine del

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percorso formativo.

SESSIONE 3- Monitoraggio motivazionale MONITORAGGIO MOTIVAZIONALE: nel percorso formativo è utile tenere sotto controllo il processo motivazionale connesso all’apprendimento. Si rende necessario, ove si rilevasse una scarsa motivazione, fornire ai partecipanti stimoli adeguati a sviluppare motivazioni funzionali all’apprendimento. Gli stimoli devono essere mirati a riproporre tra i partecipanti : desiderio di partecipazione , spirito di progettualità da condividere con il gruppo, competitività positiva . Ruolo fondamentale rivestono i docenti e i tutor, attraverso l’osservazione in aula, per quanto concerne la rilevazione del livello motivazionale di partecipazione all’iniziativa formativa .

SESSIONE 4-Monitoraggio del microclima MONITORAGGIO DEL MICROCLIMA : durante il percorso formativo, si rende necessario tenere sotto controllo le dinamiche psicologiche che si creano nel gruppo di partecipanti ,al fine di comprendere se sussista un “clima” funzionale all’apprendimento. Un clima disfunzionale all’interno del gruppo di partecipanti, può essere indicatore di un disagio all’interno dell’organizzazione. Secondo Chris Argyris, chi guida un’organizzazione può reagire attraverso il miglioramento delle relazioni interpersonali, vale a dire dando al dipendente fiducia in se stesso e senso di appartenenza, fornendogli informazioni sugli obiettivi, sui programmi, stimolando il suo interesse. Analogamente, il formatore che guida il gruppo, deve monitorare il microclima e ove sussistano situazioni problematiche, puntare al miglioramento, secondo il modello di Argyris. Come sostiene l’autore, l’obiettivo verso il quale ci si deve muore per migliorare il clima aziendale è la formazione di un individuo autosufficiente.

SESSIONE4-Il budget della formazione Le previsioni di impegno economico vengono predisposte alcuni mesi prima della fine dell’anno. La quantizzazione dei costi da sostenere dovrebbe essere fatta valorizzando le azioni di formazione emerse dall’indagine dei “fabbisogni formativi”. I costi della formazione sono generalmente sostenuti dall’azienda , la quale stabilisce ogni anno il budget. Altre fonti possibili di finanziamento sono rappresentate da fondi pubblici, tramite Unione Europea , Ministero del lavoro, Regioni. L’erogazione di tali fondi prevede particolari procedure d’accesso a bando.

SESSIONE 4-Analisi dei costi benefici dell’attività formativa Stabilire se le azioni formative realizzate siano state un costo e quanto questo abbia portato “utili” in termini d’investimento all’azienda, è possibile verificarlo, accertando che i bisogni di formazione rilevati, siano stati soddisfatti. E’ altrettanto importante che le aspettative dei singoli individui, appartenenti all’azienda, siano state realizzate. Si deve inoltre verificare, in seguito all’intervento formativo, se la motivazione nello svolgimento del lavoro da parte di ciascun soggetto sia

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migliorata, al fine di contribuire ad una ottimizzazione del clima aziendale. Individuare con esattezza i risultati costi/benefici non sempre è possibile, la formazione rappresenta un “costo” i cui risultati non sempre sono visibili nel breve termine. Sicuramente si è potuto osservare, nel lungo termine, che le aziende che hanno investito in formazione , hanno perseguito obiettivi positivi.

SESSIONE 4-Tabella finanziaria per la valutazione dei costi di un’attività formativa 1) COSTO GLOBALE, ALL’ AZIENDA ,DEI PARTECIPANTI IN FORMAZIONE: ORE CORSO …XN. PARTECIPANTI…X€ORA…=€… 2) COSTO PREPARAZIONE DEL CORSO SPESE DIPROGETTAZIONE N. ORE…X€ORA…=€ 3) COSTI DIGESTIONE DEL CORSO RETRIBUZIONE DOCENTE N. ORE…X€ORA…= €… RETRIBUZIONE TUTOR      N. ORE…X€ORA…=€… RETRIBUZIONE COORDINATORE N. ORE…X€ORA…= €… RETRIBUZIONE DIRETTORE N.ORE…X €ORA…=€… RETRIBUZIONE PERSONALE AMMINISTRATIVO N. ORE…X€ORA…=€…

4) COSTI DIGESTIONE DEL CORSO, ALTRE VOCI  : AFFITTO LOCALI = €…(mesi…) MAN. ORDINARIA E PULIZIE = €…(mesi…) LUCE=€.. RISCALDAMENTO E CONDIZIONAMENTO = €…(mesi…) ATTREZZATURE = €… MAN. ORDINARIA ATTR. = €… MATERIALE DIDATTICO DA DISTRIBUIRE = €…(n. partecipanti…) CANCELLERIA = €… ASSICURAZIONI  = €…(n. partecipanti) SPESE POSTALI , TELEFONICHE, INTERNET = €…(mesi…) 5) AMMORTAMENTI (locali, attrezzature ecc.) = €…

LEZIONE 12SESSIONE 1-Introduzione al concetto di cambiamento Il cambiamento, si è posto da sempre come problema inquietante che ha accompagnato l’uomo e la sua storia. In particolari momenti storici o in specifiche istituzioni, il cambiamento è percepito come evento negativo/disturbante, fonte di ansietà e disordine, in relazione ad una realtà personale e di rapporti che si intende difendere, nella sua stabilità rassicurante. Tutti gli indizi di pericolo , ai quali si tende a reagire con la paura, implicano sempre una situazione di cambiamento. Il problema non si deve porre nei termini di “scelta” tra “cambiamento” e “non cambiamento”, è invece importante considerare l’atteggiamento assunto nei confronti del cambiamento stesso e la tendenza conseguente a controllare il fenomeno, a renderlo meno ansiogeno.

Controllare il cambiamento, significa formulare dei criteri, in base ai quali direzionare il processo ed agire ai fini di piegare la realtà entro binari prefissati.

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Lo sviluppo, il lavoro, la produzione, l’evoluzione tecnologica, il controllo della natura e delle cose, sono aspetti diversi che si possono ridurre ad una dimensione unitaria : l’azione dell’uomo volta alla trasformazione dell’ambiente e degli elementi che lo compongono. LA TRASFORMAZIONE PONE L’ACCENTO SULL’ OGGETTO CHE PUO’ E DEVE ESSERE MUTATO. IL CAMBIAMENTO INVECE E’ UN PROCESSO.

Come afferma Jaques , ogni cambiamento organizzativo è fonte di ansietà. I processi di cambiamento si scontrano con tutta una serie di resistenze che richiedono di essere di volta in volta individuate, analizzate ed elaborate. L’organizzazione per Jaques , oltre ad avere una dimensione razionale, ha anche lo scopo di regolamentare le diverse relazioni interpersonali, di diminuire le ansie e le tensioni intersoggettive, incanalando energie fisiche e psichiche per il raggiungimento di uno scopo. L’organizzazione, soprattutto quella burocratica, funziona come un vero e proprio meccanismo di difesa, contro il cambiamento e contro l’ansia da esso generato, anche se gli individui appartenenti all’organizzazione ne sono inconsapevoli. Ogni preparazione efficace ed organica del cambiamento comporta sempre una diagnosi della situazione precedente al cambiamento. Sembra dunque probabile che il cambiamento sociale efficace, richieda un’analisi preliminare delle comuni ansie inconsce, che costituiscono le basi delle difese sociali.

SESSIONE 2-Cambiamento e modelli organizzativi Afferma JonhWatson (1878-1895) : “Che cosa potrebbe accadere se si effettuassero questi o quei cambiamenti nelle situazioni sociali? Non possiamo essere sicuri di venire a trovarci in una situazione migliore , ma qualunque essa sia, sarà sempre preferibile all’attuale. Pertanto proviamo a produrre dei cambiamenti”.

Henry Minzberg, si impose all’attenzione con la pubblicazione di “ The nature of managerial work” (1973), individuò quattro tipologie di manager : -IMPRENDITORE, colui il quale dispone di elevata capacità di adattamento ai cambiamenti -GESTORE DEI FATTORI DIDISTURBO, colui il quale dispone di un’elevata capacità di affrontare le difficoltà impreviste -ALLOCATORE DIRISORSE, colui il quale dispone di un’elevata capacità di gestire il proprio tempo e le risorse aziendali -NEGOZIATORE, colui il quale dispone di un’ elevata capacità di prendere decisioni a fronte di problematiche “non codificate”. Rosabeth Moss Kanter(1943), sociologa statunitense, spietatamente critica nei confronti del management tradizionale. Parte dall’idea che le organizzazioni tradizionali e burocratiche vanificano i talenti dei propri collaboratori e bloccano le persone in posizioni prestabilite. Per la sociologa, le aziende diventano leader di mercato quando sono innovative e stimolano al loro interno l’iniziativa. Inoltre, a suo parere, un manager non diminuisce il proprio potere dando maggior potere agli altri, al contrario lo accresce.

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R. M. Kanter, ritiene inoltre che, un cambiamento positivo, non possa prescindere dal fatto che il manager sia portatore di queste caratteristiche : -capacità di operare autonomamente -capacità di accrescere la collaborazione -capacità di operare in modo etico -capacità di operare in simbiosi con le diverse funzioni aziendali onde ottenere un effetto sinergico -capacità di misurarsi con i risultati ottenuti Tra i suoi libri citiamo: Menand Women of the Corporation (1977) e The ChangeMasters (1983)

SESSIONE 3-Cambiamento e rischio Il rischio, può essere considerato un fattore centrale nei processi di cambiamento. Le scelte strategiche, risultano ancora oggi difficili da compiere. Secondo Hirschhorn, il cambiamento è sempre rischioso, perché rimane l’incertezza in merito al successo del corso dell’azione intrapreso, eppure non cambiare può risultare ancora più azzardato. Il rischio, diviene condizione centrale anche per la decisione che non si prende, perché a volte ci si lascia trascinare dagli eventi pur di evitare di decidere. Il rischio suscita così nuove ansie che mettono in atto processi di difesa. Spesso il bisogno di intraprendere una strada nuova, può far scaturire un processo di trasformazione, di cui la scelta è la precondizione necessaria che mette in atto un processo il più delle volte irrazionale. Afferma Gian Piero Quaglino in La vita organizzativa : “ …sono sempre molteplici (sempre di più e ormai quasi troppe) le storie ( di singoli e di gruppi, di interessi e di attese, di principi e di tattiche) che si intrecciano nella tensione del cambiamento, rendendo l’episodio della scelta non più occasionale ma diffuso, ricorrente e centrale, e scontano un esito in larga misura predeterminato che vede conflitti in aumento e processi progressivamente paralizzati “. Quaglino nel riportare il pensiero di Hirschhorn, così si esprime: “In quello spazio frammentario tra azioni che conducono in direzioni diverse , talvolta opposte, a volte incompatibili, le ansietà si moltiplicano , si diffondono, bloccano ogni capacità decisionale”. Prosegue l’autore: “L’emergenza del cambiamento , cui rispondere con la scelta sfidante , si trasforma nell’emergenza dell’ansia”.

SESSIONE 4-Individuo e cambiamento lavorativo Baumin “The invisiblebureaucracy(1987) cerca di riflettere su che cosa renda le persone indifese nel contesto lavorativo, si domanda inoltre perché le persone decidano lo stesso di rimanere in luoghi in cui finiscono per provare vergogna…In parte le spiegazioni si possono rintracciare nel fatto che il sentimento di inadeguatezza fa si che la propria autostima e il senso di autoefficacia diminuiscano. Fa notare l’autore: “sebbene le persone abbiamo la possibilità di andarsene, continuano a restare”. Per Baum: “Ci deve essere proprio qualcosa di connesso con il sentimento che dà l’essere parte di una nuova unità sociale”.

Per Baum, non sempre le persone fuggono le loro organizzazioni…occorre comprendere le ragioni di questo permanere. Secondo Baumesse vanno ricercate nel senso che il lavoro

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in organizzazione riveste per gli individui, tralasciando quindi ,da subito, la ragione economica, perché si resta in organizzazione anche se al di fuori vi sono migliori opportunità finanziarie. Si rende necessario pensare al lavoro e al lavorare -secondo Quaglino-come all’insegna di una duplice fatica : da un lato quella dei contenuti del compito, dall’altro quella del processo di adattamento continuo al compito stesso e alle sue trasformazioni attraverso l’opera , altrettanto continua ed incessante, di riduzione del disturbo, che porta con sé.

Ketsde Vries, citato da Quaglino, riconduce la capacità di adattamento al mondo lavorativo alla polarità industriosità/inferiorità, che caratterizza l’entrata del soggetto nel mondo del sociale. La mancanza di integrazione con il mondo esterno e la difficoltà a relazionarsi con gli altri sono lette, in questa prospettiva, come conseguenza di un’inadeguata preparazione ad affrontare tale fase . LEZIONE 13-IL COLLOQUIO COME STRUMENTO DISELEZIONE SESSIONE 1-Caratteristiche del colloquio Trentini (1975), riporta a titolo esemplificativo alcune definizioni di colloquio date da vari autori : 1)Il colloquio è uno scambio verbale in cui una persona, l’esaminatore, cerca di avere informazioni o l’espressione di opinioni e credenze di un’altra persona. 2) Il colloquio è un processo di interazione nel quale non è tanto importante il meccanismo dello stimolo –risposta , quanto sono importanti i fini, gli atteggiamenti, le credenze ed i motivi dei protagonisti dell’interazione . 3)Il colloquio psicologico è uno dei metodi che offrono dati soggettivi, cioè descrizioni dirette del mondo dell’esperienza del soggetto intervistato. La prima definizione si riferisce alla raccolta di informazioni : scopo informativo La seconda definizione e la terza pongono invece l’accento sul carattere interattivo ed emozionale del colloquio

Per Trentini (1975) , la definizione più esatta è: “Il colloquio è un’interrogazione ed un rapporto, più precisamente un’interrogazione diretta a conoscere gli eventi passati della vita del soggetto e a trarre un’interpretazione del suo comportamento, nonché un rapporto diretto con il soggetto allo scopo di aver con lui un contatto interpersonale”. Kaneklin(1980), pone l’attenzione sull’aspetto relazionale del colloquio. Spesso si tratta il colloquio come se fosse una situazione relazionale a due. Ciò è vero secondo l’autore solo a livello di definizione. La rappresentazione mentale del colloquio come “diadica”è riduttiva in quanto trascura il fatto che esso si svolge in un contesto, cioè all’interno di un quadro socio-istitutzionaleche tende spesso ad essere negato, pur essendo un “terzo” molto presente ai soggetti. Il colloquio dunque , non si caratterizza mai come situazione a due , ma come relazione almeno a tre , perché il contesto di continuo interviene a definire la relazione. Secondo Kaneklin, “ignorare la presenza del quadro socio- istituzionale significa rinunciare a leggere molte delle cose che succedono in un colloquio”.

Il colloquio aziendale o di selezione serve a valutare un individuo nella prospettiva di una 55

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possibile assunzione o di un avanzamento di carriera. Tancredi e Trentini (1991), sviluppano una disanima delle tipologie di colloquio –intervista lungo tre dimensioni, utili ad inquadrare le caratteristiche peculiari dei diversi tipi di colloquio. Le tre dimensioni sono : - Bisogni conoscitivi, ovvero del tipo di conoscenze-informazioni che si desiderano acquisire. - Settori di applicazione, ovvero del tipo di contesto entro cui viene condotto il colloquio. - Tecnologie, ovvero delle metodiche, delle tecniche,dei mezzi che supportano losvolgimento del colloquio.

Per quanto riguarda le possibili ottiche del colloquio, parlando dei bisogni conoscitivi, esse sono riconducibili essenzialmente a tre: -quella di tipo psicologico, quando gli scopi con cui il colloquio viene effettuato sono inerenti a dinamismi soggettivi, personali degli individui ( Tancredi, e Trentini, 1991) come ad esempio le valutazioni delle prestazioni e/o del potenziale. . Quella di tipo psico-sociale, quando gli scopi sono inerenti le dinamiche intersoggettive delle credenze e degli atteggiamenti, sia individuali che di gruppo, ad esempio ricerche di marketing. Quella di tipo psico- sociale, quando gli scopi sono inerenti ad eventi oggettivati (censimenti, distribuzioni del reddito, votazioni…).

Si possono individuare nel colloquio di selezione tre differenti fasi: -fase di apertura -fase centrale -fase di congedo Nella fase di apertura è necessario creare un ambiente favorevole ed evitare di formulare giudizi preventivi, essendo comunque il candidato in una situazione di inferiorità. Talvolta è consigliabile iniziare a parlare al candidato dell’organizzazione dell’Azienda, senza però dilungarsi troppo. Nella fase centrale ,il conduttore del colloquio attua la conoscenza del candidato raccogliendo significative ed esaurienti informazioni. Si rende necessario ricostruire l’anamnesi storica del soggetto ponendo domande intorno alla vita scolastica e lavorativa passata per poi concentrarsi sulla situazione attuale Nella fase di congedo, il conduttore del colloquio informerà il candidato sulla tempistica dei tempi di selezione e nel caso in cui la candidatura risultasse idonea per un secondo colloquio di approfondimento ne chiederà la disponibilità.

SESSIONE 2-Errori nella valutazione IL colloquio, come ogni altro strumento di misura , dovrebbe possedere tutte le qualità che si richiedono normalmente e cioè: -validità : cioè la capacità di misurare un dato fenomeno in modo adeguato, senza interferenze o distorsioni. -attendibilità efedeltà: ovvero la capacità di fornire risultati identici in tempi diversi o con esaminatori diversi. -sensibilità di discriminazione: avere la capacità di apprezzare differenziazioni più o meno marcate nella misurazione dei tratti. Tra i più comuni errori dei conduttori di colloquio, secondo Tancredi e Trentini, ci sono quelli derivanti dal semplificare e deformare col tempo la formulazione delle domande, accentuare le parti che appaiono più importanti, aggiungere commenti personali, suggerire

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parzialmente le risposte attese, fare interpretazioni indebite. Sono errori molto frequenti, derivanti dal fatto che il nostro rapporto con gli altri non sarà mai di conoscenza oggettiva e neutrale ma d’interpretazione.

Ricordiamo quelli che sono considerati gli errori classici dalla letteratura: -effetto alone ( o di Thorndike), consiste in un alone che si determina intorno a una certa caratteristica ,se ad esempio nel corso di un colloquio si riscontra che il candidato possiede una caratteristica positiva, ciò determinerà un’estensione della valutazione positiva a tutte le altre caratteristiche e viceversa nel caso di una caratteristica negativa. -effetto logico (o di Newcomb),consiste nella tendenza a correlare sempre tra loro determinate caratteristiche della personalità, fino a farle quasi sovrapporre ( ad esempio l’aggressività può far supporre la dominanza). -pregiudizio contagioso ( o di Rice), consiste nel convincimento preconcetto (ad esempio verso gli extracomunitari). -effetto indulgenza ( o di Sears), è rappresentato dalla tendenza ad essere “buoni” nei confronti dell’interlocutore.

Tancredi e Trentini (1991) evidenziano le dinamiche sempre presenti nella relazione che si crea durante il colloquio e fanno notare la produzione di diversi errori. - l’aspetto voyeuristico, induce l’interlocutore ad esplorare nell’intimità della vita dell’esaminando procurandogli ansia. - l’ effetto sandwich, consiste nel privilegiare i fatti primi e ultimi. Il conduttore del colloquio è influenzato maggiormente dalle prime e ultime informazioni raccolte ed è portato a sottovalutare quelle centrali.

Indirettamente in un colloquio si possono sondare gli atteggiamenti emotivi che il soggetto tende a nascondere, perché sentiti meno favorevoli, nonché i suoi processi emotivi più inconsci (Tancredi e Trentini, 1991) L’ambiente influenza la conoscenza , determinando nel soggetto comportamenti, atteggiamenti e credenze diversi. Nei primi due livelli della conoscenza si può dunque riscontrare ciò che il soggetto acquisisce dall’ambiente in cui vive e che dipende dalle esperienze, dalle caratteristiche personali, dalle aspettative. Durante il collloquio, il soggetto tende a mostrare attitudini ed atteggiamenti che ritiene per sé vantaggiosi ai fini dell’esito della valutazione. Gli atteggiamenti vissuti e manifestati sono comunque sempre sostenuti da sottostanti livelli inconsci. Possono rappresentare errori di valutazione : -il non cogliere gli atteggiamenti emotivi del soggetto -il valorizzare il soggetto che tende a mostrare attitudini ed atteggiamenti che ritiene vantaggiosi ai fini della valutazione

SESSIONE3-Misure di sicurezza e meccanismi di difesa Possiamo definire le misure di sicurezza come mezzi di adattamento, che si esplicitano attraverso manifestazioni del comportamento, messe in atto dal soggetto al fine di proteggersi. Poiché il colloquio può rappresentare una realtà di frustrazione, le misure di sicurezza divengono una modalità messa in atto dal candidato per “influenzare” il conduttore .

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Tra le misure di sicurezza messe in atto citiamo: -evasione : il candidato tende a impostare il colloquio sul piano della semplice conversazione ed elude i contenuti più importanti. -strumentalizzazione :il candidato tende a strumentalizzare il rapporto interpersonale. Si evidenzia il bisogno di influenzare l’altro attraverso atteggiamenti di “seduzione” tendenti ad ottenere apprezzamento da parte del conduttore del colloquio. -ribellione :il candidato manifesta “inquietudine emotiva” che può sfociare in atteggiamenti aggressivi o di rifiuto della comunicazione. Viene messa in atto una ribellione nei confronti del conduttore che viene percepito come autorità. I meccanismi di difesa sono modalità di reazione messe in atto dal soggetto per proteggersi. Tutti i meccanismi di difesa possono essere considerati come fattori che tendono a “distorcere il rapporto”, dunque è fondamentale la loro conoscenza per il conduttore del colloquio . Fra i più conosciuti ricordiamo: -introiezione/proiezione: consiste nel portare dentro di sé qualche aspetto della realtà, nell’assorbire dentro di sé il mondo esterno oppure nel trasferire un proprio stato d’animo su un’altra persona . -razionalizzazione: consiste nella tendenza a giustificare azioni connesse ad insuccessi, attraverso spiegazioni artefatte sul piano razionale di ciò che non si riesce ad accettare a livello emotivo. -rimozione : consiste nell’ esclusione , a livello di coscienza ,di ciò che è associabile ad un’immagine spiacevole. Permette al soggetto di superare lo stato d’ansia e contenere l’eventuale senso di colpa. - tendenza reattiva : consiste nella messa in atto di comportamenti che sono il contrario degli impulsi rimossi (l’eccesso di pulizia può essere interpretato come tendenza reattiva allo sporco). E’ necessario conoscere questi comportamenti al fine di rendere il colloquio il più obiettivo possibile

SESSIONE 4-Utilizzo dei reattivi come ausilio al colloquio Con il termine attitudine si indicano di solito “ quelle qualità potenziali e quelle capacità innate di un individuo in relazione a determinati compiti” ( Tronconi e Morganti, 1991). I reattivi attitudinali misurano specifiche qualità del soggetto e sono quelli più utilizzati in abbinamento al colloquio di selezione. Appare chiaro che con i test attitudinali non è possibile misurare direttamente un’attitudine , in quanto essa è solo potenziale e può essere indagata solo attraverso i suoi prodotti o le manifestazioni di abilità. I reattivi attitudinali possono fornire un indice sulle possibilità di sviluppo futuro delle abilità,su ciò che le abilità potranno divenire in seguito.

Si comprendono nella categoria reattivi di personalità , tutti i reattivi finalizzati alla misurazione di variabili psicologiche affettive, emozionali, sociali, di interesse e di atteggiamento, vale a dire tutti quei tratti non esplicitamente cognitivi (Rubini, 1984). E’ convinzione di molti autori che le caratteristiche della personalità si trovino in stretto rapporto con il successo nel lavoro.

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Rientrano nei reattivi strumentali, tutti quegli strumenti il cui scopo è accertare l’idoneità del soggetto allo svolgimento di alcune mansioni che implicano capacità funzionali in grado più o meno elevato. Reattivi di tipo strumentale sono quelli ad esempio che rilevano le abilità percettivo-motorie. Una prima distinzione è tra colloquio clinico e colloquio aziendale e/o di selezione. Il colloquio clinico rappresenta uno strumento d’intervento all’interno di un servizio appartenente all’area psicologica, sociale e sanitaria. Nel colloquio clinico, come afferma Kaneklin(1981), “l’operatore si pone in una dimensione di ascolto con l’utente . Egli ascolta con attenzione ciò che l’utente verbalizza e il materiale ottenuto viene associato al modo con cui l’utente parla dei propri problemi, alle espressioni che usa, al suo gesticolare, …”

LEZIONE 14 COLLOQUIO NELLA SELEZIONE DEL PERSONALE SESSIONE 1-Tipologie di colloquio e applicazioni Nel colloquio clinico il tutto avviene in funzione di supporto ed aiuto al soggetto, di guida per orientarlo a affrontare i suoi problemi. In questo contesto tratteremo solo del colloquio aziendale e /o di selezione. Secondo Tancredi e Trentini (1991), si possono distinguere sostanzialmente tre tipi di colloquio: - Diagnostico, quando mira a rilevare l’evoluzione dei tratti caratteristici del soggetto, in termini di comportamenti, credenze, atteggiamenti, attitudini ecc.. - Di ricerca, quando mira a raccogliere, presso persone qualificate, alcune informazioni utili, per un più chiaro inquadramento di alcuni aspetti e caratteristiche riguardanti l’azienda. - Gestionale, quando mira a risolvere problemi di coesistenza e di congruenza tra l’individuo e l’organizzazione aziendale.

Tancredi e Trentini (1991), sviluppano una disanima delle tipologie di colloquio/intervista lungo tre dimensioni, utili ad inquadrare le caratteristiche peculiari dei diversi tipi di colloquio. Le tre dimensioni sono: - BISOGNI CONOSCITIVI, ovvero tipo di conoscenze ed informazioni che si vogliono acquisire. - SETTORI D ’APPLICAZIONE, ovvero tipo di contesto entro cui viene condotto il colloquio - TECNOLOGIE, ovvero metodiche, tecniche e mezzi che fanno da supporto allo svolgimento del colloquio

Per quanto riguarda le possibili ottiche del colloquio, parlando di BISOGNI CONOSCITIVI, possiamo ricondurli essenzialmente a tre : 1) di tipo psicologico, quando gli scopi sono inerenti ai dinamismi soggettivi degli individui (ad esempio la valutazione del potenziale del soggetto) 2) di tipo psico-sociale, quando gli scopi sono inerenti alle dinamiche intersoggettive delle credenze e degli atteggiamenti sia individuali che di gruppo ( ad esempio le ricerche di marketing). 3) di tipo sociale, quando gli scopi sono inerenti ad eventi oggettivati o considerati

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comunque come “dati” ( ad esempio censimenti, votazioni…). Tra i settori d’applicazione citiamo: -azienda -ospedale -tribunali -scuola -famiglia

Nell’ambito di ogni settore d’applicazione si distinguono le caratteristiche strutturali degli ATTORI quali : livello di esperienza acquisito dall’operatore e caratteristiche dell’interlocutore come ad esempio l’età, il livello culturale, il contesto di vita e lavoro. Le scelte tecnologiche che sostengono lo svolgimento di un colloquio dipendono dai campi disciplinari che lo utilizzano per lo svolgimento delle proprie attività. Ad esempio in Azienda, i riferimenti di tipo teorico e di applicazione, sono prevalentemente quelli derivanti dalle discipline di tipo socio-psicologico. Nell’ambito di ogni disciplina , si possono individuare le tecniche e le metodologie utilizzate che fanno riferimento all’interazione che si sviluppa nel rapporto operatore/utente e utente/operatore. Nell’ambito dell’interazione possiamo distinguere : -uno stile di conduzione -un canale di comunicazione

SESSIONE 2-Stili di conduzione I DIVERSI STILI DICONDUZIONE POSSONO RICONDURSI, SECONDO LA LETTERATURA, AI SEGUENTI: -STILE DURO, con questa espressione si allude all’uso, durante il corso dell’intervista , di metodi tali che, chi conduce il colloquio/intervista, impone la sua posizione di prevalenza sull’interessato (Mandell, 1957). Tale metodo detto anche stress-interviewè da ritenersi ormai superato. -STILE AMICHEVOLE PERMISSIVO,si tratta di un colloquio condotto in modo “paternalistico”. L’operatore, secondo Tancredi e Trentini, cerca di accattivarsi una benevola adesione dell’interlocutore, cui viene concesso un certo margine di libertà nella dinamica del colloquio. Tale metodo è da ritenersi ormai superato.

STILE CONSULTATIVO , si tratta del colloquio/intervista in cui si tende a realizzare un’effettiva dinamica di collaborazione tra entrambi gli attori del rapporto, secondo Mandell , ciò induce l’operatore a modificare il proprio comportamento anche in funzione dell’iniziativa dell’interlocutore. STILE PARTECIPATIVO, si tratta di un colloquio intervista in cui si tende a realizzare un’effettiva dinamica di coinvolgimento , tale da consentire la massima interdipendenza fra le parti. La relazione che si instaura può anche assumere caratteristiche conflittuali.

Tra i possibili canali di comunicazione quello più usato in azienda è il “verbale diretto” anche se ultimamente sempre più fa diffondendosi la cultura della comunicazione attraverso e-mail. Affrontando il tema del colloquio /intervista, faremo riferimento alla comunicazione

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“VERBALE DIRETTA”, nella consapevolezza dei molteplici ed importanti aspetti “NON VERBALI” che si sviluppano nell’ interazione. IL colloquio /intervista può essere “strutturato”, quindi standardizzato. In questo caso il conduttore segue rigorosamente durante il colloquio uno schema predeterminato, rivolgendo al candidato domande programmate e particolareggiate. In questo caso, secondo Trentini, il conduttore deve lavorare con un quadro preciso, di cui conosce i dettagli e ha avuto un addestramento sul come ottenere le risposte. In un tale contesto viene a meno la spontaneità del candidato e si riduce anche la flessibilità del conduttore. Il punto di debolezza derivante dalla standardizzazione dell’intervista è costituito dalla difficoltà ad ottenere informazioni in campi ed argomenti non previsti dallo schema .

Nel colloquio/intervista semistrutturato, il dialogo è condotto secondo un modello  prestabilito ma meno rigido di quello del colloquio/intervista strutturato ed è  messo a punto per indagare le aree ritenute rilevanti nel vissuto lavorativo ed  extralavorativo del candidato e gli aspetti motivazionali. Rispetto all’intervista strutturata, si richiede un approfondimento maggiore. Il  conduttore oltre a supportare il candidato nella compilazione di una scheda  informativa che garantisca la possibilità di comparazione con  i dati degli altri  soggetti intervistati, deve stimolare un dialogo, ponendo diverse domande aperte  e chiuse e chiedendo esempi concreti sugli argomenti affrontati. 

Il colloquio/intervista libero o destrutturato, è indiretto ed informale. Si pone l’obiettivo di mettere il soggetto a proprio agio, invitandolo a “raccontarsi” e raccogliendo così il maggior numero possibile di informazioni sul suo vissuto lavorativo ed extralavorativo . Le domande dirette sono sconsigliate. Il candidato deve sentirsi immerso in una situazione di fiducia ed accettazione, deve essere messo nelle condizioni di parlare liberamente di se stesso. Ciò contribuisce a creare un’atmosfera distesa, che induce il candidato ad esporre le sue esperienze , i suoi interessi, rivelando molto più facilmente se stesso di quanto non farebbe se fosse costretto a rispondere a domande precise entro un ambito specifico e limitato. Il conduttore di questo tipo di colloquio deve esser necessariamente uno psicologo in quanto si richiedono competenze specialistiche.

Rogers, citato da Trentini, ha approfondito molto questo tipo di colloquio anche in campo clinico ed ha evidenziato l’importanza di non condizionare il soggetto, di lasciarlo libero di parlare, riprendendo quando si interrompe le sue ultime parole. L’intervista “centrata sul cliente” è denominata anche “non direttiva” o “secondo il modello di Rogers”. In essa il conduttore del colloquio deve lasciare al soggetto ogni autonomia ed iniziativa nell’ambito del rapporto dinamico. L’atteggiamento non direttivo deve evidenziare l’autentica realtà del soggetto. Sembra essere questa una modalità ,nel contesto di selezione, che può permettere al candidato di manifestare realmente le proprie capacità e potenzialità.

SESSIONE 3-Tecniche di colloquio/intervista Il colloquio/intervista può essere classificato anche a seconda del numero dei soggetti attori dell’interazione.

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Il colloquio /intervista a due è il più diffuso. La panel interviewè la tecnica per cui più esaminatori osservano il comportamento e gli altri tratti del soggetto, durante la conversazione . In questo tipo di colloquio si tiene conto in modo particolare del comportamento dell’intervistato e del suo modo di rispondere a situazioni stimolo create ad hoc. La presenza di più soggetti osservatori (3-5), garantirà una maggiore obiettività. La tandem interviewè la tecnica per cui un esaminatore conduce il colloquio e l’altro procede all’annotazione delle osservazioni, avviene poi uno scambio di ruoli tra i due esaminatori. Lo scambio può avvenire più di una volta, alternativamente nel corso dello stesso colloquio. La procedura a tandem, serve ad evitare l’inconveniente di annotare gli elementi osservati, subito dopo il colloquio. Secondo Trentini, pare infatti, che si possano dimenticare un’elevata percentuale delle osservazioni fatte e dei contenuti esposti dal soggetto esaminato, se si procede alla loro stesura dopo il colloquio. Nell’intervista di gruppo sono molti i soggetti da osservare e meno gli osservatori. Da uno sguardo generale alla letteratura specializzata, emergono due tipi principali di prove di gruppo: -la prova collettiva di esecuzione -la prova collettiva di discussione La differenza tra i due metodi consiste nella natura del compito assegnato. Nel primo si affida ai candidati un lavoro da eseguire, che implica la messa in atto da parte dei candidati osservati di abilità, competenze e creatività. Nel secondo si presenta al gruppo stesso un soggetto di discussione da sviluppare al momento, che implica la messa in atto da parte dei candidati osservati di abilità, competenze e creatività. In entrambi i casi i candidati sono osservati da alcuni esaminatori, che hanno il compito di compilare delle griglie di osservazione, al fine di poter poi valutare comparativamente i partecipanti. E’ importante la chiarezzanella presentazione del lavoro da eseguire o del soggetto di discussione, si rende necessario anche indicare la tempistica. Può essere di ausilio (previo consenso dei partecipanti), la videoregistrazione delle prove collettive.

Il sistema dell’intervista di gruppo, presenta vantaggi, in quanto, soprattutto nelle selezionidei giovani neo-diplomati o neo-laureati consente una buona economia di tempi. Essa deve comunque essere considerata come mezzo integrativo ad altre tecniche di selezione e dovrebbe prevalentemente servire ad una “prima scrematura” delle candidature. L’intervista di gruppo, può comunque essere impiegata utilmente, anche per verificare le potenzialità di candidati che devono andare a ricoprire posizioni di responsabilità. Inoltre, è uno dei metodi per verificare la presenza di una dimensione sociale nell’individuo. Si possono trarre vari elementi di giudizio, osservando come si regolano i diversi esaminati quando devono prospettare o difendere i propri punti di vista in un gruppo. Come afferma Mandell, “questa è un’ottima occasione, per avere un indice intorno alla forza di persuasione del candidato, al suo modo di presentare i diversi problemi, alla sua abilità nell’adattarsi alle diverse esigenze, alla sua fermezza di carattere…”.

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SESSIONE 4-L’assessment center Quando la valutazione non riguarda prestazioni passate ma le possibili prestazioni future si parla di valutazione del potenziale. L’assessmentcenter,è un processo finalizzato alla rilevazione di capacità che sono fondamentali per una determinata posizione organizzativa. Si compone di una successione di prove diverse che vengono osservate, analizzate e valutate da più osservatori per poi stendere profili di comportamenti organizzativi. Come scrive Fertorani : “ l’ AssessmentCenter prevede l’applicazione di più strumenti di diverso tipo”. Comprende tre fasi , corrispondenti ciascuna a una tipologia di strumenti : -fase dei test psicologici somministrati al gruppo di partecipanti -fase delle esercitazioni di gruppo -fase del colloquio individuale Per permettere un’agevole effettuazione di tutte le fasi è necessario prevedere una durata di almeno due giorni. Il numero ideale di partecipanti è compreso tra gli 8-10. Ciò che contraddistingue l’assessment center dalle altre metodologie è l’esercitazione di gruppo.

Leaderless Group Discussion, discussione di gruppo, caratterizzata dall’assenza del leader,‐ su un problema da risolvere entro un determinato periodo di tempo. Le discussioni di gruppo possono essere senza assegnazioni di ruoli o con l’assegnazione precisa di ruoli e possono assumere carattere cooperativo o competitivo. - In basket : ciascun candidato, individualmente, deve assumere un ruolo e in uno spazio limitato di tempo deve prendere decisioni in merito a problemi che gli vengono presentati. Al termine dell’esercizio, segue un colloquio individuale. mirato a mettere a fuoco la strategia utilizzata per organizzarsi e prendere le decisioni in merito ai problemi presentati. - InterviewSimulation: consiste nel ricreare situazioni di lavoro critiche. La sua finalità è di testare il comportamento e le abilità del valutato in una situazione e in un ruolo specifico. Si prevede la lettura di una relazione introduttiva che descrive situazioni e ruoli.

Presentation: consiste nell’invitare il valutato ad un’esposizione orale su un argomento‐ assegnato, di fronte al gruppo di valutatori. In genere, alla presentazione, segue una discussione che consente di valutare la capacità dialettica del candidato. Una variante della tecnica esposta è la presentazione di un argomento assegnato, senza la possibilità di preparazione dello stesso. -FactFinding: consiste nel porre i valutati di fronte ad un accadimento o a un problema di cui vengono fornite solo parziali informazioni. Il compito che viene assegnato è di ricercare le informazioni mancanti interrogando un “informatore”, al fine di prendere una decisione sulle azioni da mettere in atto. Al termine i candidati vengono chiamati a fare una breve presentazione delle decisioni prese, esplicitandone i motivi. Al termine delle esercitazioni di assessmentcenter, si elabora una relazione finale in cui vengono espresse le valutazioni a fronte delle singole dimensioni che sono state oggetto di indagine e una valutazione sulle potenzialità in generale del partecipante.

Nell’assessmentcenter, sarebbe opportuno restituire un feed-back ai partecipanti. Si tratta di trasferire al candidato una serie di informazioni riguardanti il suo potenziale di sviluppo. E’ opportuno inoltre , dopo ogni colloquio di selezione individuale o di

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gruppo, dare una restituzione al candidato evidenziano le motivazioni che lo rendono idoneo o non idoneo a ricoprire la posizione lavorativa in oggetto. Non esistono candidati negativi, ma semplicemente non idonei a ricoprire una certa posizione lavorativa. Conseguentemente, bisognerà trasferire loro l’idea che potranno essere tenuti in evidenza per altre possibili posizioni lavorative che si presenteranno in futuro.

LEZIONE 15 STRATEGIE DIPROGRAMMAZIONE DELLA SELEZIONE NELLA SOCIETA’ DICONSULENZA SESSIONE 1-Fasi della selezione -prima fase- All’origine di qualsiasi procedura di reclutamento e selezione del personale deve esserci una precisa politica della gestione delle risorse umane. Quando si inizia un processo di selezione è importante avere ben chiare le caratteristiche del candidato che si deve inserire nell’azienda. Il documento che raccoglie le caratteristiche del candidato ideale si chiama specifica.

La SPECIFICA contiene i seguenti dati: CARATTERISTICHE DELLA POSIZIONE DA RICOPRIRE CARATTERISTICHE DELL’AZIENDA CARATTERISTICHE DEL CANDIDATO -età -titolo di studio -esperienza lavorativa acquisita -conoscenza delle lingue -conoscenze nel campo dell’informatica -Aspetti della personalità che dovrebbe possedere il candidato ideale -tipo di contratto e livello retributivo previsto

seconda fase- Nella seconda fase si procede alla selezione dei curricula arrivati spontaneamente o e/o archiviati oppure si pubblica un’inserzione su un quotidiano. -terza fase- La terza fase della selezione prevede l’analisi dei curricula pervenuti che dovranno essere suddivisi in: curricula in linea, curricula potenzialmente in linea, curricula non in linea. -quarta fase- La quarta fase prevede la convocazione dei candidati in linea attraverso contatto telefonico. Il primo colloquio di solito dura un’ora ed è possibile anche somministrare un test di personalità che, prima, va presentato al candidato. -quinta fase- Dopo aver intervistato i candidati, si sceglie una “rosa” di persone , le quali verranno invitate ad un secondo colloquio di approfondimento, mirato anche a valutare le effettive MOTIVAZIONI AL CAMBIAMENTO

‐sesta fase- 64

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L a fase finale del processo di selezione prevede l’individuazione di una “rosa ristretta” di candidati ( da due a tre) che verranno presentati all’azienda cliente. Non si deve stilare una classifica ma devono essere presentati “allo stesso livello” ercando di valorizzare le caratteristiche di ognuno. La presentazione finale dei candidati deve essere sempre supportata da una scheda informativa e da un giudizio sintetico contenente le caratteristiche di personalità, professionali e la motivazione al cambiamento. Una volta individuato il candidato si procede con la fase di competenza dell’ufficio personale che prevede: l’assunzione, l’accoglimento, l’inserimento. Il processo di selezione non si conclude con l’assunzione. L’ambientamento può spesso costituire un problema per il neo-assunto, se lasciato senza informazioni precise sull’azienda. In quest’ottica è importante l’informazione iniziale e il monitoraggio, per alcuni mesi, dell’inserimento.

Si intende per accoglimento il complesso di iniziative e azioni programmate per fornire al nuovo assunto le in formazioni utili per conoscere meglio l’ambiente in cui è entrato a far parte, le mansioni a cui è destinato, le persone con cui dovrà collaborare, i regolamenti e le procedure, i suoi diritti e doveri. Si intende per inserimento il complesso di iniziative ed azioni di informazione e di assistenza formativa programmate per seguire il nuovo assunto nel primo periodo di attività aziendale. L’inserimento si può configurare come il primo intervento di formazione sul nuovo assunto e si estende a tutto il periodo di prova. SESSIONE 2-Requisiti per stendere un’inserzione Tre sono gli elementi principali che concorrono a costituire il testo di un’inserzione: 1) IL CONTENUTO 2) LO STILE 3) IL LINGUAGGIO L’INSERZIONE DEVE MIRARE A: -suscitare l’interesse per il contenuto -stimolare il desiderio a rispondere -essere informativa -essere selettiva Essere informativa significa: trasmettere a tutte le persone potenzialmente interessate tutte le informazioni connesse alla posizione da ricoprire. Essere selettiva significa: operare attraverso il messaggio una selezione preventiva tra i possibili candidati, inducendo a rispondere solo quelli in possesso dei requisiti desiderati.

Il linguaggio da impiegare deve essere chiaro, semplice, preciso . Lo stile Bisogna prestare attenzione all’ordine e disposizione delle parole, delle frasi, dei periodi ecc. L’impostazione grafica Connessa allo stile di un’inserzione c’è l’impostazione grafica. Un’inserzione deve “farsi notare”. Dato il sensibile costo, è necessario ottenere il massimo rendimento. Si rende necessario studiare un’impostazione grafica tale che l’annuncio risalti non solo

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rispetto al normale testo redazionale del giornale e della pubblicità commerciale, ma anche rispetto agli altri annunci di ricerca del personale. Il layout dell’annuncio deve essere tale da attirare l’occhio di chi sfoglia il giornale. Se si desidera che l’inserzione abbia una particolare fisionomia, tale da richiamare immediatamente l’attenzione dei lettori e creare nel pubblico un’immagine ben precisa e di prestigio dell’azienda , è necessario fare ricorso all’opera di uno specialista, cioè di un grafico.

SESSIONE 3-Il contenuto dell’inserzione Il contenuto Si è fino ad ora parlato del linguaggio e dello stile , cioè del comesi deve comunicare. Il rendimento di un’inserzione è però direttamente influenzato anche dal suo contenuto, ossia di “che cosa” si dice. Per rendersi conto dell’importanza del contenuto di un annuncio, si deve riflettere sul fatto che esso è la sola base, il solo elemento di giudizio in possesso del candidato, per valutare se gli conviene o meno rispondere. Per le persone, a meno che non siano disoccupate o assolutamente a disagio nell’ambito lavorativo, rispondere ad un’inserzione comporta sempre un elevato livello di esitazione e di forte coinvolgimento emotivo. Al desiderio di un miglioramento professionale si associa l’incognita dei futuri colloqui e la preoccupazione, in caso di esito positivo, di dovere opera una scelta decisionale. L’inserzione deve quindi contenere “fatti”, tali da vincere le possibili resistenze psicologiche dei potenziali candidati. SESSIONE 4-Strumenti e modalità di raccolta delle informazioni Quando si attua un programma di selezione del personale , è opportuno predisporre gli strumenti idonei a raccogliere, in modo organico e sistematico, determinate informazioni di carattere generale sui candidati. Bisogna dunque decidere: 1) Quali informazioni raccogliere 2) Attraverso quali strumenti raccoglierle Il criterio fondamentale per stabilire quali informazioni raccogliere è valutare che esse siano significative ed utili al fine di decidere l’idoneità o meno dei candidati. Si dovrà prestare particolare attenzione al percorso scolastico , alle esperienze di lavoro precedenti e alle aziende nelle quali sono state effettuate. Da tenere inoltre in considerazione saranno: la conoscenza delle lingue straniere ,le preferenze e le attitudini particolari dei candidati verso determinati lavori, gli interessi nel tempo libero, le caratteristiche di personalità, la reale motivazione al cambiamento. Le informazioni possono essere raccolte con modalità diverse: 1) Lo spoglio delle domande inviate dai candidati è la prima fonte da cui attingere i dati. 2) La scheda informativa fatta compilare ai candidati ,in presenza del conduttore del colloquio, in fase di selezione, rappresenta la forma più diffusa di raccolta dei dati. Tale scheda consente di raccogliere i dati che realmente interessano, ordinati in modo tale da permettere rapidi confronti tra i diversi candidati. Si rammenta l’importanza di far firmare ai candidati i documenti relativi all’informativa sulla privacy. 3) Il colloquio consente di approfondire e chiarire i dati raccolti dalla compilazione della

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scheda informativa.

Quale motivazione l’ha spinta a rispondere all’inserzione? -Mi parli del suo lavoro attuale? -Mi parli della sua esperienza lavorativa passata? Quali studi ha intrapreso? -Se le fosse data la possibilità di ritornare a svolgere un’attività del passato quale sceglierebbe? -Tenendo conto delle sue esperienze lavorative precedenti, potrebbe specificare quali sono le sue aspirazioni professionali per un nuovo incarico lavorativo? -Descriva il miglior risultato professionale da lei raggiunto. -Come vanno i rapporti con i colleghi di lavoro? -Descriva i tratti principali della sua personalità -Come organizza il suo tempo libero -Mi parli della sua famiglia d’origine -Qual è la prima cosa che le viene in mente pensando alla sua infanzia? -Mi parli della sua famiglia attuale -Ritiene che le sue scelte sia state condizionate da altri?

Un esempio di reattivo psicologico utilizzato nel colloquio di selezione e mirato a valutare le caratteristiche di personalità del candidato è il 16 PF di Cattell che individua 16 fattori di personalità attraverso il metodo dell’analisi fattoriale. Lo psicologo che oggi si occupa di selezione del personale, deve considerare l’uomo in tutti i suoi aspetti e la selezione avrà il duplice compito di essere funzionale alle aspettative produttive dell’organizzazione e a quelle soggettive e motivazionali del soggetto da inserire. Le informazioni raccolte sui candidati idonei e non vanno ovviamente conservate per un certo periodo di tempo. Un candidato non idoneo per quella posizione, potrebbe risultare interessante per un’altra. Bisogna ricordare che non esistono candidati negativi ma semplicemente soggetti non in linea a ricoprire una certa posizione lavorativa. Ci chiediamo: - Quali informazioni raccolte su un candidato è opportuno conservare in archivio? - Per quanto tempo vanno conservate in archivio? Una volta conservate per un anno le informazioni sui candidati idonei e non, conviene informatizzarle mantenendo solo i dati essenziali che vanno comunque aggiornati periodicamente. Dati essenziali: nome, indirizzo e-mail, telefono, età, grado di istruzione, posizione ricoperta alla data del contatto con la società di consulenza, tipologia di lavoro a cui aspira,conoscenze linguistiche ed informatiche. Data del primo contatto e successivi contatti per aggiornamenti. Gli archivi sia cartacei che informatici vanno “puliti” almeno due volte all’anno. AREA SITUAZIONE ATTUALE : motivazione a chiedere il colloquio, situazione lavorativa attuale, aspetti positivi e aspetti problematici dell’attuale situazione lavorativa.

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AREA SITUAZIONE LAVORATIVA PASSATA: tipologia di lavoro svolto in precedenza e motivazione degli eventuali cambiamenti AREA DEL VISSUTO LAVORATIVO PRESENTE E PASSATO AREA FORMATIVA: studi effettuati, formazione AREA CONOSCENZA DELLE LINGUE AREA CONOSCENZE INFORMATICHE AREA TEMPO LIBERO AREA DELLE RELAZIONI SOCIALI AREA FAMILIARE AREA DEGLI EVENTI FONDAMENTALI DELLA PROPRIA VITA Alcuni tra i fattori da osservare ed evidenziare durante il colloquio: - Impatto fisico - Livello di comunicazione - Coerenza di ragionamento - Capacità di sintesi - Capacità di analisi - Aggressività positiva/negativa - Dinamismo - Autocontrollo - Creatività - Socievolezza - Fiducia in se stesso - Equilibrio emotivo - Orientamento alla gestione del tempo - Orientamento a lavorare in gruppo - Orientamento al problem solving

LEZIONE17DISAGIO PSICOLOGICO E LAVORO SESSIONE 1La problematica del  lavoro nella psicologia Individuale di  Alfred AdlerÈ a tutti noto come Adler abbia collocato il lavoro tra i grandi problemi della vita, ritenendo che la modalità con cui un individuo si poneva di fronte a questo problema potesse già rappresentare un indicatore per scoprire il suo stile di vita: aiutare a risolvere il problema lavoro significa portare il soggetto a riconoscere un errore nella strutturazione dello stile di vita.

La figlia di Adler, Alexandra, evidenzia come certi incidenti occorsi nel lavoro non sono dovuti al caso, ma all'atteggiamento assunto nei confronti dei propri compiti e, in questo senso, sono espressione del proprio stile di vita. Adler sottolinea un concetto attualissimo quando evidenzia come sia importante per ogni essere umano scegliere la professione che gli permetta di utilizzare nel migliore dei modi tutte le proprie capacità e attitudini: alcuni rivelano difficoltà nella scelta di una professione mentre altri mutano continuamente il proprio lavoro. In ogni caso, la fiducia in sé costituisce il presupposto per lo svolgimento della propria attività .

In linea con la teoria adleriana, notiamo come nel contesto lavorativo l'individuo non possa essere considerato come una persona isolata in quanto ogni lavoro deve essere visto in interazione con il gruppo di coloro che condividono la medesima attività. Un

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attento orientamento alla scelta del lavoro diviene lo strumento chiave per prevenirne il disagio . E’ importante analizzare il disagio, che si identifica inizialmente nello scoraggiamento della persona. Un adeguato processo psicoterapeutico dovrà favorire il passaggio dallo scoraggiamento all'incoraggiamento ,attraverso strategie , che utilizzino il pensiero creativo.

SESSIONE 2Atteggiamenti verso il  lavoro ed effetti del disagio lavorativo  sulla personaGli "atteggiamenti" verso il lavoro maggiormente studiati sono la gratificazione data dalla mansione, l'alienazione, la dedizione all'organizzazione, il coinvolgimento e la motivazione. Possiamo osservare come le gratificazioni specifiche possano essere distinte in intrinseche, connesse al contenuto del lavoro stesso, come il successo, la competizione, il riconoscimento, la crescita, la responsabilità, ed estrinseche quali la retribuzione, la sicurezza e le condizioni in generale connesse all'attività lavorativa. L'alienazione viene spesso vissuta come isolamento e suscita nella persona uno scoraggiamento unito ad una mancanza di valore personale e di significato del proprio impegno. La dedizione all'organizzazione implica l'adesione ai valori e agli scopi dell'organizzazione stessa e crea quello che possiamo definire il "senso di appartenenza", elemento fondamentale per un buon inserimento lavorativo. Per quanto concerne il coinvolgimento nella mansione e nel lavoro possiamo notare come un atteggiamento positivo verso la professione accresca l'autostima e sviluppi un senso di sicurezza.

È stato statisticamente rilevato come l'assenteismo, l'indolenza, gli incidenti e l'avvicendamento aumentino in relazione all'insoddisfazione sul lavoro e alla scarsa motivazione alla mansione svolta HerthaOrglernell'opera Alfred Adler e la sua opera così si esprime: «Come Adler ha mostrato, una buona soluzione del problema della professione si può trovare soltanto attraverso la collaborazione psicologica e sociale. L'intero nostro sistema sociale è basato sulla collaborazione. È perciò della massima importanza che ogni essere umano scelga la professione che gli permetta di utilizzare nel migliore dei modi tutte le sue capacità»( p. 89). Di conseguenza, anche nella selezione professionale una più grande attenzione sarà rivolta all'aspetto caratteriale e volitivo della personalità . La selezione deve rivolgere il suo interesse non solo alle attitudini e alle capacità, ma anche ad aspetti relativi al comportamento e agli atteggiamenti dell'individuo, come ad esempio il livello di socializzazione e la disponibilità al cambiamento .

Possiamo notare come il disagio lavorativo provochi nella persona un senso d'impotenza e d'isolamento tale da produrre una sensazione di perdita del proprio valore personale e del significato del proprio lavoro. È interessante, a questo proposito, per meglio comprendere gli effetti prodotti sulla persona dal disagio lavorativo, prendere in esame la classificazione del DSM-IV [1]. Nella classificazione multiassiale del DSM-IV, sull'asse IV si riportano i problemi psicosociali ed ambientali che possono influenzare la diagnosi, il trattamento e la prognosi dei disturbi mentali. Proprio secondo il DSM-IV, un problema psicosociale o ambientale può corrispondere ad un evento vitale negativo, a una difficoltà o a una carenza ambientale, a uno stress familiare o interpersonale di altro tipo, all'inadeguatezza del supporto sociale o delle risorse personali o ad altri problemi legati al

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contesto nel quale si sono sviluppate le difficoltà dell'individuo.

Oltre che giocare un ruolo scatenante in grado di esacerbare un disturbo mentale, i problemi psicosociali possono anche svilupparsi come conseguenza della psicopatologia. Prendiamo ora in considerazione la classificazione dei problemi psicosociali ed ambientali secondo il DSM-IV , essi possono essere così raggruppati: problemi con il gruppo di supporto principale (morte di un membro della famiglia, disintegrazione della famiglia); problemi legati all'ambiente sociale (morte di un amico, discriminazione ecc.); problemi d'istruzione (analfabetismo, problemi scolastici ecc.); problemi lavorativi (disoccupazione, minaccia di perdere il lavoro, orario di lavoro stressante, condizioni di lavoro difficili, disaccordo con il principale o con i colleghi di lavoro); problemi abitativi; problemi economici; problemi di accesso ai servizi sanitari; problemi legati all'interazione con il sistema legale/criminalità; altri problemi psicosociali ed ambientali (esposizione catastrofi, guerre ecc.).

Notiamo come nella voce problemi lavorativi siano contemplate alcune delle principali cause del disagio della persona connesse all'adattamento lavorativo alle quali possiamo aggiungere l'insoddisfazione connessa al ruolo ricoperto, il mobbing e le molestie sessuali. Tra gli effetti del disagio lavorativo sulla persona troviamo lo scoraggiamento che porta anche ad un blocco delle capacità creative. Secondo Pier Luigi Pagani possiamo vedere nello scoraggiamento un sintomo del complesso d'inferiorità, conseguente al rafforzamento del naturale sentimento d'inferiorità. Se il disagio lavorativo si esprime attraverso forme di nevrosi e nei casi più gravi di psicosi, entrambi tali aspetti rappresentano per Adler le principali forme dello scoraggiamento.

Sessione 2-Atteggiamenti verso il lavoro ed effetti del disagio lavorativo sulla personaSecondo il modello adleriano, l'analisi del disagio lavorativo dovrebbe sempre far riferimento allo stile di vita, inteso da Adler come «rappresentazione indelebile dell'impronta psichica, unica ed inimitabile di ogni individuo, che risulta contrassegna-ta dai suoi tratti comportamentali, dalle idee, dalle opinioni, dai sentimenti, dalle emozioni, unitamente indirizzati al raggiungimento delle mete primarie» .

Sesione3-Disagio lavorativo e stile di vitaUn mirabile esempio degli effetti prodotti dal disagio lavorativo sullo stile di vita lo ritroviamo nel protagonista del racconto di Kafka "La metamorfosi". Gregorio Samsa, trasformato in un insetto immondo, si chiede «Che avverrebbe se io dormissi ancora un poco e dimenticassi ogni pazzia? [...] O Dio, pensava, che professione faticosa ho scelto! Ogni giorno su e giù in treno. L'affanno per gli affari è molto più intenso che in un vero e proprio ufficio, e v'è per giunta questa piaga del viaggiare, le preoccupazioni per le coincidenze dei treni, la nutrizione irregolare e cattiva, le relazioni con gli uomini poi cambiano ad ogni momento e non possono mai diventare durature né cordiali. [...] Se non mi trattenessi per i miei genitori, mi sarei già licenziato da un pezzo me ne sarei anda-to dal principale e gli avrei detto il mio parere dal profondo del cuore. Sarebbe sceso allora dalla sua cattedra! Anche quella è una bella invenzione, mettersi in cattedra e parlare dall'alto in basso con l'impiegato, il quale poi gli si deve avvicinare sempre più a causa della sua sordità. [...] E se si fosse dato malato? Ma ciò sarebbe stato molto penoso e sospetto,

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perché Gregorio non era stato malato neppure una volta nel suo quinquennio di impiegato. Certamente sarebbe venuto il principale con il medico della cassa malattia, avrebbe fatto delle rimostranze ai genitori per il figlio pigro, e avrebbe trovato tutte le obiezioni richiamandosi al dottore, per cui del resto non esistono che uomini completamente sani ma poltroni» ( pp. 158 -159). Il personaggio kafkiano appare estremamente attuale nella sua tragicità, in quanto esprime lo stile di vita sofferente di chi incontra difficoltà d'adattamento all'ambiente lavorativo. Gregorio attraverso la sua metamorfosi ha scelto l'isolamento e ciò gli impedisce di esprimere un adeguato sentimento sociale.

Gregorio potrebbe essere uno dei tanti pazienti scoraggiati che si rivolgono allo psicoterapeuta. Il percorso psicoterapeutico con il paziente scoraggiato dovrebbe essere visto nell'ottica di una cooperazione che tenda a favorire un approccio ottimistico verso la vita. Attraverso un percorso psicoterapico creativo si favorisce lo sviluppo dei punti di forza della personalità del paziente scoraggiato, aiutandolo a riscoprire una nuova progettualità basata sulla condivisione empatica della sofferenza.

SESSIONE 4‐ manifestazione del disagio  lavorativoRiteniamo l'incoraggiamento un processo che sfocia nella percezione, da parte del paziente, di una nuova spinta vitale che si sviluppa attraverso la creatività. L'incoraggiamento permette di vincere il pessimismo orientandolo verso un approccio fiducioso nei confronti della vita. R. 30 anni, si è laureata brillantemente nonostante abbia vissuto un iter scolastico difficoltoso durante la frequenza delle scuole superiori. È occupata in qualità di contabile nell'azienda di famiglia ma non è contenta e vive un rapporto conflittuale con il padre. Manifesta inoltre un sentimento di odio nei confronti di una collega più anziana che vive come principale ostacolo alla propria crescita in azienda. Vorrebbe cercare un altro lavoro ma non ne ha il coraggio in quanto teme di ferire il padre. La sorella e il fratello anch'essi impegnati in azienda si sono invece ben adattati. II rapporto con il fidanzato è in crisi, vorrebbe lasciarlo ma non riesce. Non sente più la gioia e il piacere di frequentare le amiche e gli amici dell'università.

Sessione 4-L’incoraggiamento e la sceltaR. vorrebbe fuggire dal lavoro, dal fidanzato, dalla casa ma si sente bloccata, non ne ha il coraggio. Non frequenta più gli amici simbolo di libertà ed evasione. Come possiamo osservare il lavoro, l'amore e le amicizie sono alla base del disagio psicologico manifestato da R.

Proprio rispetto al sentimento di colpa Adler ritiene: “Quando il soggetto prova un sentimento di colpa il suo sguardo va indietro, mentre gli scrupoli di coscienza lo rendono eccessivamente prudente; ma tanto il sentimento di colpa quando gli scrupoli di coscienza sono, nella nevrosi, cause di sterilità in quanto paralizzano ogni azione “. R. esprime unconflitto tra la mancata realizzazione del desiderio e la sua realizzazione. Il rimanere in azienda o il lasciare l'azienda è in ogni caso doloroso.

R., attraverso il lavoro creativo della psicoterapia ,che ha contemplato come ausilio anche la somministrazione del questionario 16 PF di Cattell, ha compreso le caratteristiche del

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suo stile di vita orientato al pessimismo e ha messo in atto un cambiamento lavorativo attraverso la scelta coraggiosa di lasciare l'azienda paterna.

LEZIONE18-ALFRED ADLER E LA TEMATICA DEL LAVORO SESSIONE 1 Riflessioni‐  di Adler sul  tema del lavoro (tratte da ALFRED  ADLER E LA SUA OPERA  di HerthaOrgler–Astrolabio, Roma.)Adler, per quanto riguarda la Professione così si esprime: “Dei tre grandi problemi della vita, quello della professione è il più facilmente risolto, perché la necessità di guadagnare del denaro costringe gli uomini ad affrontarlo e a risolverlo. Il modo in cui un individuo affronta questo problema ci permette già di scoprire il suo stile di vita. Coloro che eseguono bene il loro lavoro hanno in generale fiducia in se stessi, ma ci interessano meno di coloro che non riescono a risolvere questo problema o che lo risolvono male. Certi individui non riescono a decidersi a scegliere una professione e continuamente rimandano la loro decisione; altri mutano continuamente professione senza mai realizzare qualcosa di buono”.

“In opposizione agli individui che falliscono nella professione, ne troviamo altri che non vivono che per essa e non hanno altri interessi nella vita. Anche questi fanatici del lavoro sono orientati in modo erroneo verso la vita. Se li osserviamo da vicino, constatiamo che accentuano l'importanza del lavoro perché ciò permette loro di sfuggire ad altri problemi: La mia professione mi prende tutto il mio tempo, e perciò non ho tempo da dedicare ad altre cose . Questa è la scusa che permette loro di evitare i doveri imposti dallo spirito sociale e dall'amore. Il successo professionale conferisce loro la superiorità personale a cui ambiscono “.

Adler ha fatto notare che già gli antichi saggi cinesi avevano le idee chiare su questo punto, e ha raccontato a tal proposito la storia cinese di uno scultore del legno che aveva creato una magnifica opera che la gente si recava ad ammirare da tutte le parti del paese. Un giorno, vi andò anche il principe Li, e avendo constatato con stupore la bellezza dell'opera chiese all'autore: « Qual è il segreto che ti ha fatto compiere un lavoro così meraviglioso? ». Lo scultore si inchinò profondamente e disse: « Oh, nobile principe, come potrei io, un povero scultore qualsiasi, possedere un meraviglioso segreto? Ho cercato anzitutto di scolpire, ma quando ciò mi è sembrato difficile ho digiunato per due giorni; e ho scoperto che l'ambizione che avevo di compiere un'opera superiore impediva il mio lavoro. Ho tentato di nuovo e ho digiunato ancora due giorni e mi sono accorto che il mio desiderio di avere successo mi sbarrava la strada. Ho dovuto digiunare una terza volta per scoprire che la mia speranza di una ricompensa costituiva ancora un ostacolo da superare.

Dopo questa terza volta, notai che tutte le difficoltà erano scomparse e che avevo completamente me stesso e il mio misero corpo. Allora andai nella foresta, vidi un pino, lo presi e ne ricavai questa opera ». Adler fornisce una spiegazione psicologica della ragione per cui l'eccessiva ambizione può talvolta impedisce di fare cose grandi. Essa produce, in effetti, nell'individuo una tale tensione psichica che impedisce il pieno sviluppo delle sue capacità.

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È solo quando l'uomo mantiene un atteggiamento oggettivo di fronte al suo lavoro che gli è possibile sviluppare a pieno tutte le sue capacità. Si spiega così perché il sistema dei premi nelle fabbriche non è sempre efficace. Il lavoratore che ha sempre compiuto coscienziosamente il suo lavoro è stimolato dal premio a fare di più. Lavora più rapido, ma meno accuratamente, non solo ne soffre la qualità del lavoro, ma il lavoratore stesso, i cui nervi sono continuamente tesi, ne subisce le conseguenze. La tensione e l'irritabilità prendono così il posto dello spirito di cameratismo che prima regnava tra gli operai. Esistono anche individui che fanno un buon lavoro se agiscono da soli, ma non riescono a concludere nulla se sono costretti a lavorare con altri; la ragione è che il loro spirito sociale non è molto sviluppato.

Una volta compreso ciò che rappresenta per ogni uomo la giusta soluzione del problema della professione, è facile comprendere anche quanto è necessario agire presso i giovani per evitare loro fallimenti in questo campo. Bisogna innanzi tutto preparare il bambino ad una professione. È questo il compito che devono assumersi la famiglia e la scuola. Evidentemente è preferibile scegliere un mestiere che corrisponda ad un interesse personale del ragazzo. Si possono talvolta trovare, già nella prima infanzia, le ragioni che hanno determinato la scelta di una professione; Adler aveva cinque anni quando si decise a diventare medico. I genitori devono osservare i loro figli e vedere se manifestano un particolare interesse in una certa direzione; in tal caso devono stimolare e incoraggiare questo interesse.

I giochi dei bambini sono spesso rivelatori e i bimbi conoscono molto bene la Differenza tra gioco e lavoro ; come di mostra l'incantevole storia del bambino che stava Giocando a fare il negoziante e incollava dei sacchi di carta. “Come lavori assiduamente!”, gli disse affettuosamente la nonna. “Ma nonna“, rispose il ragazzo, “io non lavoro, non devo farlo ,gioco soltanto“. L'osservazione dei giochi infantili è dunque molto importante. Quando il bambino gioca Non si sente ,in effetti, come quando lavora, obbligato a fare qualcosa, ma può dare Libero corso alle sue profonde tendenze. Certi ragazzi riuniscono sempre intorno a sé dei bambini einsegnanoloroqualcosa;hannoun'inclinazioneadiventareinsegnanti.Ragazzi che montano e smontano degli oggetti sono dei futuri ingegneri. Chi gioca spesso al dottore tende a diventare medico. E la fanciulla che si prende cura della sua bambola si esercita a divenir una buona madre di famiglia.

L'importanza della scuola nella preparazione del fanciullo per un lavoro futuro non ha bisogno di essere discussa qui, perché è generalmente riconosciuta. Adler raccomandava agli insegnanti di far svolgere agli alunni il seguente tema: « Che cosa mi piacerebbe fare da grande e perché », in modo da stimolare gli allievi a pensare alla loro futura professione. Aveva in effetti notato che quando i ragazzi hanno fissato la loro scelta su una professione, cominciano ad esercitarsi in tal senso. E l'esercizio è utile, anche se il ragazzo poi cambia parere e sceglie un'altra professione. Uno dei più grandi errori che possono fare i genitori è quello di costringere un ragazzo a svolgere un'attività per la quale non presenta alcuna inclinazione. Ciò generalmente porta

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ad un completo fallimento. È molto interessante vedere quanto può influire sull'individuo l'avversione per una professione. La dottoressa Alexandra Adler, figlia di Alfred Adler, ha mostrato che certi incidenti occorsi a degli operai o a dei lavoratori dell'intelletto non sono dovuti al caso, ma dipendono dall'atteggiamento preso dall'individuo di fronte al suo lavoro, e sono molto significativi del suo stile di vita.

Se si vogliono aiutare professionalmente persone che non sono riuscite a risolvere il problema del lavoro, dobbiamo innanzi tutto portarle a riconoscere l'errore del loro stile di vita. La psicologia adleriana può ottenere eccellenti risultati in questo campo. La signora Wronsky, presidente del Centro di Beneficenza Privata di Berlino, spiegò in una conferenza che un gran numero di persone incapaci di lavorare in seguito a disturbi psichici e che vivevano con il sussidio dell'indennità di disoccupazione, dopo essere state sottoposte a trattamento psicologico-individuale poterono subito ricominciare a lavorare e alleggerire così lo Stato del loro mantenimento. Come Adler ha mostrato, una buona soluzione del problema della professione si può trovare soltanto attraverso la collaborazione psicologica e sociale. L'intero nostro sistema sociale è basato sulla collaborazione. È perciò della massima importanza che ogni essere umano scelga la professione che gli permetta di utilizzare nel migliore dei modi tutte le sue capacità.

Sessione 2‐I sistemi tipologici:una lettura   adleriana del 16PF‐5   di  D. Bosetto

ADLER E I SISTEMI TIPOLOGICI :una lettura adleriana del 16PF-5 Adler propone vari sistemi tipologici che non si escludono tra di loro. Iniziò con il distinguere 4 tipi di individui: * Coloro che si conformano alla logica del senso di comunità(individui sani) * Coloro che sono direttamente aggressivi * Coloro che sono indirettamente aggressivi * Coloro che cercano rifugio nella tossicomania e nella psicosi Successivamente si soffermò sui tipi motori e sensoriali: tipo motorio caratterizzato dal bisogno di attività tipo visivo tipo uditivo tipo gustativo

In DerSinndesLebens, Adler distingue poi fra coloro che hanno compensato negativamente, aumentando la “distanza”fra sé e gli altri: * coloro i quali sono dominati dall’emotività(nevrotici e alcolisti) * coloro i quali sono dominati dall’attivismo(criminali e suicidi) * coloro i quali sono dominati dall’intelletto(ossessivi-coatti e psicotici) In “Conoscenza dell’Uomo”,nel capitolo che tratta“la dottrina del carattere”e nel quale si inseriscono anche gli stati emotivi, Adler distingue due categorie generali: * indole aggressiva *indole non aggressiva

Tra gli individui aggressivi pone non solo coloro che manifestano l’aggressività ma anche coloro che la mascherano.

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Per quanto riguarda l’estrinsecarsi delle caratteristiche della personalità nella patologia, Adler vede: il depresso come individuo afflitto da un senso di inferiorità profondamente radicato. Fin dalla fanciullezza il depresso mostra carenza di pulsionalità e di attivismo e tende ad evitare le difficoltà, le decisioni e le responsabilità. Nei confronti degli altri egli ha un atteggiamento di sfiducia e di critica , ritiene il mondo fortemente ostile, considera la vita un’impresa tremendamente difficile e giudica i suoi simili freddi e scostanti. Il paranoico fin da bambino ha già mostrato carenza di senso di comunità ed è sempre stato insoddisfatto della vita, critico ed ostile nei confronti degli altri, si propone una meta segreta altamente ambiziosa e si sforza di raggiungerla con attività di tipo competitivo. Per un certo tempo procede in questa direzione , ma poi deve fermarsi ad una certa distanza dalla meta agognata.

Lo schizofrenico è un individuo che ha precocemente paura della vita e ciò è riconducibile ai doppi legami cui è stato sottoposto fin dai primi anni della sua infanzia. La persona non riesce ad affrontare i compiti dell’esistenza e la malattia stessa diviene dimostrazione di un estremo scoraggiamento. Il nevrotico fa un uso privato delle proprie capacità intellettuali, invece di accettare la logica della vita comunitaria, dedica la sua attività ad aspetti inutili dell’esistenza. Nel “Senso della vita”Adler afferma che il servilismo, la dipendenza , la negligenza , chiari indizi della presenza di un senso d’inferiorità, possono suscitare la sensazione di essere un privilegiato in chi manca di senso sociale. Secondo Adler, si tratta di individui convinti che sono sempre gli altri a doversi occupare dei loro problemi. Il complesso di superiorità invece per Adler può essere riconosciuto anche dalle pretese esagerate (superbia, eccessiva espansività, tendenza alla critica malevola e alla svalutazione degli altri). L’eccessiva affettività, la sete di vendetta, i cali di umore o gli entusiasmi repentini, l’ignorare gli altri per richiamare unicamente l’attenzione su se stessi, segnalano l’esistenza di un complesso d’inferiorità che si sta trasformando in superiorità.

Adler ritiene che le varie componenti del carattere esprimano soprattutto rapporti perfettamente allineati con lo stile di vita . Sono il prodotto della creatività del bambino. Ad esempio il bambino viziato, indotto solo ad amare se stesso svilupperà numerosi tratti egoistici:invidia,gelosia,ostilità,ipersensibilità,intolleranza,incostanza , irritabilità. Il bambino psichicamente sano sviluppa invece :coraggio e buona capacità di adattamento alla realtà. Adler considera la capacità creativa come fattore essenziale per la costruzione del progetto e dello stile di vita individuale.

Se è più volte citata l’influenza di Jungs u Cattell non possiamo escludere che anche Adler possa essere stato oggetto di approfondimento da parte dell’autore del test 16PF. Sarà nostro compito soffermarci su alcuni fattori primari rivelati dal 16PF e metterli in correlazione con i sistemi tipologici adleriani. I fattori :A espansività, F vivacità, H audacia sociale richiamano alla mente lo stereotipo del soggetto disponibile, aperto, collaborativo, socievole ed orientato a nuove esperienze.

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Concetti questi sicuramente adleriani se si pensa alla psicologia individuale come una dinamica di relazioni interpersonali in cui l’individuo non è mai considerato in una situazione isolata e statica, ma è visto alla luce delle sue azioni e reazioni del suo ambiente. L’individuo non può essere così concepito isolato dal cosmo. Il senso di comunità è riflesso della generale interdipendenza dal cosmo, che vive all’interno di noi e che ci fornisce la capacità di “ sentire dentro” e cioè di collegarci empaticamente con gli altri esseri. Nello stesso tempo, l’opposto dei fattori sopraccitati, come: riservatezza, misuratezza, timidezza ci richiamo soggetti cauti, con difficoltà a volte di comunicazione ,pessimisti, evitanti i contatti sociali e dominati dal senso d’inferiorità, concetto quest’ultimo esclusivamente adleriano

I fattori C stabilità emotiva ,O apprensività, Q tensione, ci richiamano alla mente persone insicure. All’opposto : maturità, adattabiltà, sicurezza di sé, caratterizzano persone emotivamente mature, con i nervi saldi, calme ed equilibrate. Queste persone si conformano, come dice Adler, alla logica del senso di comunità. “L’uomo non è né buono, né malvagio ma la sua natura dipende dall’evoluzione del senso di comunità; il male è un errore nello stile di vita;la grazia consiste nel rendersi conto del proprio erroneo stile di vita e nel correggerlo” Il fattore :Q2 fiducia in sé può talvolta indicare un atteggiamento individualista e solitario che conduce il soggetto ad evitare rapporti con il sociale, al contrario una scarsa fiducia in sé può condurre l’individuo a ricercare l’approvazione nell’ambito di un gruppo con conseguente eccessiva dipendenza dallo stesso. Nel primo caso l’aspirazione alla superiorità conduce l’individuo lontano dal sociale, nel secondo caso l’inferiorità genera insicurezza e ricerca di conferme da parte di un gruppo. La superiorità personale come afferma Adler nel “Senso della vita” “contrasta sempre con la cooperazione”. Prosegue Adler: “Il servilismo, l’asservimento volontario, la dipendenza, la negligenza ono chiari indizi della presenza di un senso d’inferiorità”.

Il fattore: L vigilanza si riferisce a persone diffidenti,sospettose,gelose, pronte a dubitare di ogni cosa e a questo proposito Adler nel “Temperamento nervoso” ribadisce che “il geloso è incapace di vivere calmo e tranquillo, poiché è convinto che i suoi difetti sono tali che ogni felicità gli è preclusa per sempre. E’ a questo punto che si sviluppa la nevrosi, che con i suoi attacchi ha lo scopo di subbissareil compagno di preoccupazioni, di provocare la sua compassione oppure di punirlo sotto il peso di dubbi di ogni sorta…”. Il fattore: E Dominanza richiama la persona sicura di sé, autoritaria, aggressiva, competitiva, ostinata mentre, il suo opposto , e cioè la remissività e l’evitare i conflitti ci fanno pensare ad individui arrendevoli e docili che vivono conflitti interiori. Adler nel “Temperamento nervoso” afferma che “per nevrosi da conflitto si intendono quegli stati morbosi piuttosto frequenti,i quali, analogamente alla nevrosi d’angoscia, sono caratterizzati dal fatto che il soggetto vive costantemente su un piede di guerra con il suo ambiente…Spesso, il soggetto, a forza di cercar conflitti e di voler avere ragione a qualsiasi costo, disprezza le leggi della logica…Quando si ricerca la vera causa del loro stato, si constata sempre che si tratta di una specie di vigliaccheria che li fa retrocedere di fronte ai problemi della vita reale. Se essi si compiacciono nei conflitti, è perché questi assorbono tutta la loro attenzione, distraendoli in questo modo dai loro compiti reali.

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Il fattore: Q3 Perfezionismo può caratterizzare la persona organizzata ma anche ostinata, perfezionista, spesso compulsiva e il suo contrario ci ricollega invece ad un soggetto un po’ approssimativo e spesso indolente. Afferma Adler nel “Senso della vita”che “il complesso di superiorità, è chiaramente caratterizzato dagli atteggiamenti, dai tratti di carattere e dalle opinioni di chi si crede un superuomo, un essere capace di prestazioni sovraumane. Può essere riconosciuto anche dalle pretese esagerate : questo tipo di complessato pretende troppo da se stesso e dagli altri. Fanno sospettare la presenza di questo complesso la vanità legata all’apparenza esterna…la superbia…Inoltre nel valutare il prossimo non bisogna dimenticare che nessuno è perfetto … L’aspirazione alla superiorità fa arretrare l’individuo, che più o meno palesemente è privo di coraggio, dalla posizione pericolosa non appena si annuncia una possibile sconfitta. La superiorità personale contrasta sempre con la cooperazione. I soggetti votati all’insuccesso sono persone che non avendo sviluppato il sentimento sociale non sono capaci di vedere, udire, parlare e valutare in modo corretto. Invece di un senso comune sono dotate di un ‘”intelligenza privata”, della quale si servono per assicurarsi la propria immeritata posizione.

In base alle considerazioni effettuate, riteniamo che nel commento al profilo di personalità del 16PF, sia possibile dare un’interpretazione di tipo dinamico ,utilizzando una modalità anche di comprensione adleriana.. I tratti di personalità emersi dovranno andare ad integrare il concetto adleriano di Stile di vita inteso come rappresentazione indelebile dell’impronta psichica, unica ed inimitabile di ogni individuo, che risulta contrassegnata dai suoi tratti comportamentali, dalle idee, dalle opinioni, dai sentimenti, dalle emozioni, unitamente indirizzati al raggiungimento delle mete primarie.

LEZIONE19-L’UTILIZZO DEL TEST 16PF DI CATTELL NELLA SELEZIONE Cattell,Raymond Bernard : psicologo inglese (1905-1998), sviluppò nell’ambiente americano il suo pensiero e la sua attività di ricercatore e di docente. Si indirizzò allo studio della personalità, intesa come insieme di tratti dominanti che permettono di fare previsioni sul comportamento degli individui. Contribuì alla diffusione di test e questionari tra gli anni ’40 e ’70 e al parallelo sviluppò dei metodi statistici di analisi fattoriale. Sulla base di analisi condotte su larghe popolazioni, Cattell ha rilevato una struttura di 16 fondamentali fattori primari ( più altri in seguito rinvenuti). Tra le opere più note si ricordano: A Guide to Mental Testing(1936);The ScientificAnalysisof Personality(1965) ; Personalityand LearningTheory(1976)

L’Analisi fattoriale : Cattell attraverso l’approccio fattoriale identifica la struttura base della personalità. I fattori di personalità misurati non sono esclusivi del 16PF. Queste 16 dimensioni della personalità o scale sono indipendenti tra loro. In tale modo ciascuna delle 16 dimensioni ci dà del soggetto una nuova informazione. Vedremo il significato delle 16 scale con la loro interpretazione dinamica. Le scale di base del 16PF sono state denominate con lettere ( fattore A, fattore B …fattoreQ4 ). Le scale del 16PF hanno una natura bipolare (Sia i punteggi bassi che quelli elevati hanno un significato).Non si devono mai considerare positivi i punteggi alti e negativi quelli bassi.

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Solitamente la correlazione tra le scale del 16PF è inquadrata in termini di associazionepositiva In aggiunta alle scale primarie, il 16PF comprende una serie di cinque scale , che aggregano le scale primarie tra loro connesse in fattori globali di personalità

Scale sten Il 16PF utilizza punteggi di scala sten. I punti sten variano da 1 a 10 con media 5,5 e deviazione standard 2,2. I punteggi che cadono più lontani dalla media sono considerati estremi. I punteggi stentra 4 e 7 sono considerati medi ; gli sten tra 1 e 3 bassi, gli sten tra 8 e 10 alti. I punteggi 4 e 7 sono indicati rispettivamente come medio-basso e medio- alto. Strategia interpretativa Sono previste le seguenti fasi: * indici dello stile di risposta * scale dei fattori globali * scale dei fattori primari

Indici dello stile di risposta –fase 1 - Tre indici dello stile di risposta : -IM (management dell’immagine) -INF (infrequenza) -ACQ (acquiescenza) IM ( scala bipolare composta da 12 item, è una scala di desiderabilità sociale. I punteggi alti riflettono risposte socialmente desiderabili; i punteggi bassi comportamenti socialmente non desiderabili. Punteggi alti possono indicare che un soggetto vuol fornire una buona impressione di sé oppure che possiede un’immagine di sé di persona che si comporta in maniera socialmente desiderabile. Le risposte talvolta sono più positive dell’effettivo comportamento dell’esaminato. Ci può essere una distorsione consapevole o inconsapevole delle risposte. Le risposte scelte possono comunque anche riflettere in modo fedele il comportamento dell’esaminato.

La scala IM è correlata con molte scale primarie di personalità che contribuiscono ai fattori globali Ansietà ed Estroversione. Coloro che ottengono alti punteggi nella scala IM ottengono punteggi di bassa ansietà, fiducia e sicurezza di sé. Al contrario bassi punteggi di IM indicano alta ansietà,introversione e basso autocontrollo. INF (scala composta da 32 item). Alti punteggi indicano che l’esaminato ha risposto ad un numero ampio di item in modo diverso alla maggior parte delle persone. (incapacità di decidere, risposte casuali,difficoltà di lettura o comprensione, tentativi per evitare di trasmettere “impressioni sbagliate”). I punteggi superiori o pari a 10 cadono nel 95° percentile o al di sopra e sono considerati alti. Lo psicologo dovrebbe capire perché la risposta intermedia (?) è stata scelta con tanta frequenza. ACQ ( misura la tendenza a rispondere “ Vero” senza tener conto del contenuto dell’item. Consiste di 103 item “Vero” o “Falso”. Punteggio alto indica tendenza a rispondere “Vero”. Punteggi superiori al 95°percentile indicano risposta acquiescente.

Scale fattori globali (valutazione) –fase 2- I cinque fattori globali nei quali si raggruppano le scale primarie sono: ESTROVERSIONE (EX), ANSIETA’ (AX), INDIPENDENZA (IND), AUTOCONTROLLO(SC).

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La comprensione dei fattori primari è fondamentale per comprendere quelli globali. L’estroversioneè una dimensione considerata fin dalle prime teorie descrittive della personalità. Il suo costrutto è in gran parte attribuibile a Jung. Gli estroversi tendono ad essere orientati verso gli altri e a ricercare in modo attivo relazioni interpersonali. L’estroversione include : espansività, vivacità, audacia sociale, sincerità e dipendenza dal gruppo intesa come bisogno di stare insieme con gli altri. L’ansietà è descritta fin dai primi studi sulla personalità. Essa include : reattività, diffidenza, preoccupazione, apprensività e tensione. L’ansietà può essere una risposta ad eventi esterni o interni.

L’indipendenza indica la tendenza ad essere determinati nei propri pensieri e nelle proprie azioni. Vi contribuiscono molteplici aspetti quali: dominanza, audacia, apertura al cambiamento, curiosità intellettiva, intraprendenza. In condizioni che richiedono accondiscendenza con gli altri , le persone indipendenti possono sentirsi a disagio o inadeguate. L’autocontrollo riguarda il dominare i propri impulsi. Le persone autocontrollate possono essere serie, coscienziose, pratiche. Ci può essere anche un legame tra autocontrollo e rigidità.

Fattore A (espansività) : A+Espansivo/ A-Riservato A+persone interessate agli altri, preferiscono occupazioni che implichino contatti interpersonali. Punteggi estremamente alti possono rivelare un eccessivo bisogno degli altri. A-persone caute nel coinvolgimento e nell’attaccamento, preferiscono lavorare da sole. Fattore B (ragionamento): Astratto/Concreto I 15 item di cui è composta la scala B riguardano l’abilità nel risolvere problemi usando il ragionamento (verbale, numerico, logico). (Non si tratta di una modalità di misura dell’intelligenza). Chi ottiene punteggi alti in B tende a risolvere correttamente la maggior parte dei problemi di ragionamento. Fattore C (stabilità emozionale): C+emozionalmentestabile / C-reattivo Questo fattore riguarda la modalità di affrontare la vita nel quotidiano. Chi ottienepunteggi alti tende a trattare eventi ed emozioni in modo adattivo. Difficilmente incontra difficoltà alle quali non sa far fronte. Chi ottiene punteggi bassi è portato ad avere sbalzi d’umore e poiché il suo bisogno emozionale non è del tutto soddisfatto spesso non si sente in grado di fronteggiare situazioni difficili (anche se le difficoltà sono di poco conto). LEZIONE 19-L’UTILIZZO DEL TEST 16 PF DICATTELL NELLA SELEZIONE DEL

Fattore E (dominanza): E +Dominante/ E-Remissivo E+include la tendenza ad esercitare la propria volontà sugli altri. Si tratta di persone energiche che premono per ottenere ciò che vogliono. Spesso si sentono libere di criticare gli altri. La dominanza può condurre all’ autorevolezza sociale, se in eccesso però diviene negativa. E-(remissività) indica la tendenza a sottostare ai desideri degli altri. Coloro che ottengono punteggi bassi tendono ad evitare i conflitti, spesso non tengono in conto dei loro desideri…L’estrema deferenza può allontanare coloro che esigono una risposta più energica. Fattore F (vivacità) F+vivace/F-Serio. Coloro che ottengono punteggi alti sono pieni di entusiasmo, spontanei e alla ricerca di attenzione. I punteggi estremi possono riflettere anche una certa immaturità. Coloro che ottengono punteggi bassi tendono a prendere la

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vita seriamente , sono più cauti e meno scherzosi. Mentre possono essere considerate persone mature , possono non venire percepite divertenti. Il fattore F contribuisce positivamente al fattore globale Estroversione .

Fattore G (Coscienziosità) : G+Coscienzioso/G-Opportunista. Coloro che ottengono punteggi alti tendono a percepirsi come persone che seguono in modo rigoroso le regole e i principi. Coloro che ottengono punteggi bassi potrebbero avere difficoltà a conformarsi alle regole. Il fattore G contribuisce positivamente al fattore globale Autocontrollo Fattore H (Audacia sociale): H+Socialmenteaudace/ H-Timido. Coloro che ottengono punteggi alti nel fattore H si ritengono audaci e spavaldi nei gruppi sociali. Non sono timidi nell’affrontare situazioni nuove . Coloro che ottengono punteggi bassi tendono ad essere socialmente timidi, cauti e timorosi.. Alla timidezza H-possono associarsi esperienze soggettive di disagio e una certa mancanza di autostima. Fattore I (Sensibilità): I+Sensibile/ I-Utilitarista. Le persone I+basano le proprie considerazioni soprattutto sull’empatia e sulle sensazioni mentre gli I-si mostrano meno sentimentali e si interessano agli aspetti oggettivi e strumentali . Fattore L (Vigilanza): L+Vigile/ L-Fiducioso. Questo fattore si riferisce alla tendenza a fidarsi o ad essere sospettoso. La fiducia (L-) può associarsi ad un senso di benessere e di relazioni soddisfacenti. L+contribuisce al fattore globale Ansietà.

Fattore M (Astrattezza): M+Astratto/M-Pratico: il fattore M riguarda ciò per cui le persone mostrano interesse e attenzione. Le persone M+sono più orientate alle idee mentre le M-si focalizzano maggiormente sull’ambiente e sulle richieste. Le persone estremamente astratte sembrano però avere scarso controllo della propria attenzione. Fattore N (Prudenza): N+Prudente/N-Sincero. Questo fattore misura la tendenza ad essere sinceri in contrapposizione all’essere prudenti e riservati. Chi ottiene un punteggio basso tende ad essere schietto e sincero. Coloro che ottengono punteggi alti tendono ad affermare di preferire che siano gli altri “ a fare la prima mossa”.Il fattore N è correlato alla Riservatezza, Fiducia in sé e concorre al fattore globale Estroversione. Fattore O (Apprensività): O+Apprensivo/O-Sicuro di sé. Coloro che ottengono punteggi alti in questo fattore tendono a preoccuparsi e a sentirsi apprensivi. Coloro che ottengono punteggi bassi tendono ad essere più sicuri di sé, si presentano fiduciosi e soddisfatti di se stessi. Apprensivitàconcorre al fattore globale ansietà. Fattore Q1 (Apertura al cambiamento) :Q1+Aperto al cambiamento/Q1- tradizionalista. Coloro che ottengono punteggi alti in questo fattore tendono a pensare ai modi di migliorare le cose e assumono un atteggiamento sperimentale. Coloro che ottengono punteggi bassi preferiscono metodi tradizionali e collaudati, preferiscono una vita in cui tutto è prevedibile e consueto. Apertura al cambiamento contribuisce al fattore globale indipendenza. Fattore Q2 (Fiducia in sé):Q2+ Fiducioso di sé /Q2-Dipendente dal gruppo. Coloro che ottengono punteggi alti preferiscono prendere decisioni da soli e fare progetti autonomamente. Le persone con bassi punteggi sono dipendenti dal gruppo e preferiscono svolgere attività insieme agli altri. La Dipendenza dal gruppo fa parte dell’Estroversione come orientamento generale verso gli altri. Fattore Q3 (Perfezionismo):Q3+Perfezionista/Q3-Tollerante il disordine .Coloro che ottengono punteggi alti tendono a fare le cose nel modo giusto, ad essere organizzati, a

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fare i piani anticipatamente. Il Perfezionista può però trovare difficile affrontare l’imprevisto. Coloro che ottengono punteggi bassi tendono più ad affidarsi al caso. Talvolta possono essere percepiti come impreparati. Il perfezionismo contribuisce al fattore globale Autocontrollo Fattore Q4 (Tensione): Q4+Teso/Q4-Rilassato. Questo fattore si associa alla tensione nervosa. Coloro che ottengono punteggi alti tendono ad essere agitati ed inquieti. Un certo grado di tensione può però essere motivante ed incanalare l’azione. Coloro che ottengono punteggi bassi tendono a sentirsi rilassati e tranquilli.

SOMMINISTRAZIONE E SCORING Il 16PF-5 è destinato a persone con età pari o superiore a 16 anni e può essere somministrato sia individualmente che in gruppo. Il test è disponibile anche in versione computerizzata. La decisione di somministrare il test ha una persona con meno di 16 anni deve basarsi sulla valutazione della maturità del cliente. Per gli adolescenti è comunque prevista la versione del test HSPQ (HigSchool Personality Questionnaire.). E’ importante chiarire agli esaminandi le finalità del test al fine di creare in loro un atteggiamento positivo e collaborativo. Ciascuna domanda del test presenta tre possibilità di risposta, fatta eccezione per gli item del fattore B. Le 15 domande del fattore B misurano la capacità di ragionamento e sono raggruppate alla fine del test. Tempo di somministrazione: non ci sono limiti di tempo , anche se bisogna incoraggiare il soggetto a lavorare rapidamente e senza pensare troppo alle risposte che devono essere istintive.

SESSIONE 3-Modalità di somministrazione

Somministrazione carta e matita:il materiale include foglio di risposta e questionario. Nella prima pagina del questionario sono stampate le istruzioni in modo semplice e chiaro. E’ utile comunque leggere le istruzioni a voce alta. E’ opportuno poi verificare che le risposte vengano segnate correttamente durante lo svolgimento del test. Alla consegna bisogna verificare che siano stati scritti i dati anagrafici e che non siano state omesse delle risposte. Convertire il punteggio IM in percentili ( vedi tabelle consegnate) Calcolare i punti sten per i 5 fattori globali Tracciare il profilo dei fattori primari Tracciare il profilo dei fattori globali Attendibilità e validità : l’attendibilità riguarda la coerenza dei risultati del test ( per ulteriori approfondimenti vedere “Manuale 16PF-5” O.S. p.71 e successive) Attendibilità test-retest(i coefficienti test-retest dimostrano la stabilità nel tempo dei diversi tratti misurati dal 16PF-5) Coerenza interna : misurata con il coefficiente alfa di Cronbach

LEZIONE 20-LAVALUTAZIONEE GESTIONE DELLO STRESS LAVORO- CORRELATO INQUADRAMENTO DEL PROBLEMA Il D. lgs. 81/2008 (Titolo I, Capo III, Sezione II, Articolo 28 : “Oggetto della valutazione dei rischi”), sancisce che “La valutazione dei rischi deve riguardare tutti i rischi per la

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sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, tra cui quelli collegati allo stress lavoro-correlato, secondo i contenuti dell’accordo europeo dell’8 Ottobre 2004 e quelli riguardanti le lavoratrici in stato di gravidanza , nonché quelli connessi con le differenze di genere all’età, alla provenienza da altri paesi”. La legislazione riconosce dunque la rilevanza dei cosiddetti “Fattori Psicosociali” nel determinare possibili condizioni di rischio per la salute dei lavoratori e invita le parti sociali, in primis i Datori di lavoro, a valutarli appropriatamente e a intervenire per ridurli, contenerli o eliminarli. Lo stress da lavoro sembra rappresentare , secondo i modelli interpretativi più accreditati, il prodotto dell’interazione dinamica fra la persona e il contesto organizzativo e sociale in cui lavora , costituendo la risultante di un rapporto (distorto) tra le sollecitazioni imposte dal compito/ruolo, nella loro accezione più larga (fisiche, cognitive, emozionali,relazionali), e le capacità dell’operatore (in termini di risposta psico-fisiologica, comportamentale, operativa ) di farvi fronte (Cooper & Payne1998, Coxetal. 2000,Karasek& Theorell 1990, Siegristetal. 1997). Possiamo definire lo “stress lavorativo” come “un insieme di reazioni fisiche e d emotive dannose che si manifestano quando le richieste poste dal lavoro non sono ommisurate alle capacità, risorse o esigenze del lavoratore” (NIOSH 1999).

FATTORI CHE INFLUENZANO RICHIESTE DEL LAVORO RIGUARDANO: -natura dei compiti e organizzazione del lavoro -carichi e ritmi di lavoro -grado di responsabilità e gravità delle conseguenze connesse all’errore -orari di lavoro -livello di decisione /partecipazione e possibilità di sviluppo di carriera -mobilità attiva o passiva -ruolo dell’Organizzazione -formazione -cultura organizzativa -relazioni interpersonali e possibili interferenze casa/lavoro

FATTORI CHE INFLUENZANO LE RISORSE E MODALITA’ DELLA PERSONA A FARVI FRONTE RIGUARDANO: -Aspetti del carattere personale quali : Età Personalità Situazione familiare Stili di vita Formazione professionale Atteggiamenti e comportamenti Stato di salute ENTRAMBI I FATTORI SONO INFLUENZATI DA FATTORI DITIPO SOCIALE (FAMIGLIA, GRUPPO DILAVORO, SOCIETA’…) Lo stress lavorativo diviene condizione di rischio , qualora si verifichi una situazione di sbilanciamento fra i fattori presi in considerazione, tale da far si che la persona non sia in grado di fronteggiare ,in modo adeguato, le sollecitazioni cui è sottoposto.

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L’analisi delle fonti relative allo STRESS DA LAVORO-CORRELATO, è basata su riscontri di tipo OGGETTIVO e SOGGETTIVO Per i riscontri di tipo oggettivo si utilizzano tecniche di job analysis, indicatori di performance, valutazioni di esperti. Per i riscontri di tipo soggettivo si utilizzano :intervistestrutturate , questionari standardizzati, scale di valutazione. Risulta importante avvalersi anche di indicatori relativi alle risposte di carattere fisio-pato- logico ( a livello neurologico, immunologico, muscolare, cardiovascolare, ormonale ). Si sono osservate, nel medio-lungo termine, associazioni tra stress e disturbi del sonno, disfunzioni metaboliche ed ormonali, malattie cutanee, cardiovascolari, neoplasie ed altro). Sono state notate conseguenze negative anche in termini di relazioni familiari, amicali e sociali.

RICORDIAMO: L’accordo europeo sullo stress da lavoro sottoscritto dalle parti sociali lo 08/10/2004 , rimanda al D. Lgs. 81/2008 e invita a mettere in atto : “varie misure per prevenire, eliminare o ridurre i problemi di stress da lavoro”. Tali misure possono essere:” collettive, individuali o tutte due insieme”. Tali misure possono comprendere: “misure di gestione e comunicazione, in grado di chiarire gli obiettivi aziendali e il ruolo di ciascun lavoratore, di assicurare un sostegno adeguato da parte della direzione ai singoli individui e al team di lavoro, di portare coerenza, responsabilità e controllo sul lavoro, di migliorare l’organizzazione, i processi, le condizioni e l’ambiente di lavoro; la formazione dei dirigenti e dei lavoratori, per migliorare la loro consapevolezza e la loro comprensione nei confronti dello stress, delle sue possibili cause e del modo in cui affrontarlo e/o adattarsi al cambiamento; l’informazione e la consultazione dei lavoratori e/o dei loro rappresentanti, in conformità alla legislazione europea e nazionale, ai contratti collettivi e alle prassi”.

RICORDIAMO: L’obbligo di valutazione stress da lavoro correlato vige dal 31/12/2010 e la sua disciplina è contenuta nell’art.28 del decreto legge n.81/08 che stabilisce a carico del datore di lavoro di considerare nell’ambito della valutazione dei rischi anche quelli collegati allo stress da lavoro correlato, che appare rilevante nell’attività lavorativa. Possiamo definire il rischio da lavoro correlato “una condizione che può essere accompagnata da disturbi o disfunzioni di natura fisica, psicologica o sociale derivanti dal fatto che alcune persone non sono in grado di corrispondere sul lavoro alle richieste o aspettative riposte in loro”. Il DGR 13559 del 10/12/2009 della Regione Lombardia indica gli indirizzi generali per la valutazione e gestione del rischio stress lavorativo alla luce dell'accordo europeo 8.10.2004 (art.28 COMMA 1 DLgs 81/08).

Il DGR 13559 del 10/12/2009 della Regione Lombardia indica gli indirizzi generali per la valutazione e gestione del rischio stress lavorativo alla luce dell'accordo europeo 8.10.2004 (art.28 COMMA 1 DLgs 81/08. In base a tale decreto si prevedono: -AZIONI COMUNICATIVE ED INFORMATIVE (conoscenza e sensibilizzazione al problema, motivazione alla valutazione) -ANALISI DOCUMENTALE DELL'AZIENDA(approfondimento dell’organizzazione del

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lavoro, analisi degli indicatori potenziali quali assenteismo, turnover, infortuni) -AZIONI FORMATIVE SPECIFICHE (differenziata per dirigenti, figure responsabili della sicurezza, lavoratori) -VALUTAZIONE DEL RISCHIO (valutazione attraverso metodi oggettivi e soggettivi, report con analisi dei dati e individuazione dei livelli di rischio) -GESTIONE DEL RISCHIO(attività di prevenzione collettiva e individuale ecc.)

SESSIONE 2-Valutazione preliminareLA VALUTAZIONE PRELIMINARE implica la rilevazione di quegli indicatori di tipo oggettivo quali : eventi sentinella, fattori di contenuto e di contesto. Se non sono presenti elementi di rischio da stress lavoro-correlato si procede alla stesura del documento di valutazione dei rischi e al piano di monitoraggio che dovrà svolgersi ogni due anni. Nel caso in cui si evidenzino elementi di stress lavoro-correlato, si procede alla valutazione approfondita e alla individuazione di misure correttive per poi stendere il documento di valutazione dei rischi e il piano di monitoraggio (ogni due anni)

NELLA VALUTAZIONE PRELIMINARE SI DEVONO VALUTARE: EVENTI SENTINELLA (indici infortunistici, turnover, procedimenti e sanzioni, lamentele frequenti formalizzate, assenze frequenti per malattia, segnalazioni da parte del medico) FATTORI DICONTENUTO ( ambiente di lavoro e strumenti/attrezzature, orario di lavoro, carichi e ritmi lavorativi, corrispondenza tra le competenze dei lavoratori e i requisiti professionali richiesti) FATTORI DICONTESTO ( ruolo nell’ambito dell’Organizzazione, autonomia decisionale e controllo, conflitti interpersonali nell’ambito lavorativo, sviluppo di carriera ecc.)

PER LA VALUTAZIONE PRELIMINARE È POSSIBILE UTILIZZARE LISTE DI CONTROLLO APPLICABILI DAI SOGGETTI AZIENDALI DELLA PREVENZIONE, CHE CONSENTANO UNA VALUTAZIONE DITIPO OGGETTIVO COMPLESSIVA E, IL PIÙ POSSIBILE, PARAMETRICA DEI FATTORI SENTINELLA DICONTENUTO E DICONTESTO.

SESSIONE 3 Valutazione‐  soggettiva  del rischio stress lavoro correlato‐Come afferma Paul Maurice Conway: “ Gli strumenti per la valutazione soggettiva del rischio stress lavoro-correlato esaminano la percezione dell’individuo relativamente ad aspetti cruciali del processo causale che lega l’esposizione ai fattori di rischio psico-sociale sul lavoro e possibili effetti sulla salute psico-fisica. Sul fronte opposto, gli strumenti definiti “oggettivi”hanno invece l’obiettivo di valutare il processo indipendentemente dalla percezione cognitivo/emozionale dei soggetti indagati. I questionari autosomministrati , o autocompilati, rappresentano gli strumenti di valutazione soggettiva più comunemente impiegati sia nella ricerca epidemiologica su popolazioni lavorative ampie che nelle indagini per la valutazione del rischio stress lavoro- correlato effettuate in contesti lavorativi specifici”. Riportando il pensiero di Camerino (2004),Conwayci ricorda che “i questionari presenti nella letteratura possono essere suddivisi in “generalisti”(“umbrellaquestionnaires”), in quanto valutano potenziali fattori di stress attraverso domande applicabili a qualsiasi contesto lavorativo, e “occupazione-specifici”, in quanto dedicati alla valutazione del problema in categorie lavorative particolari (es. NEXT per lo studio dello stress negli

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infermieri)”. Purtroppo questi questionari non sono presenti nella lingua italiana.

Tra i questionari utilizzati in Italia ricordiamo l’Occupational Stress Indicator(OST), che fa

riferimento al modello di stress di Cooper e al.1988). L ‘adattamento in lingua italiana è di Sirigatti e Stefanile(2002). E’ caratterizzato da valori normativi nazionali che sono stati calcolati su un campione di 853 soggetti appartenenti a categorie lavorative diversificate. E’ costituito da 167 item ed è particolarmente adatto a manager e quadri. Nel 2005 Avallonee Paplomatashanno creato il Questionario Multidimensionale della salute Organizzativa (MOHQ) che valuta gli aspetti del contesto psicosociale del lavoro . Vengono analizzate quattordici dimensioni di salute organizzativa ( es. cultura della sicurezza e della prevenzione) e individuati tre indicatori di esito (positivi, negativi e sintomi psicosomatici). E’ stato validato su un campione di 18.000 soggetti inseriti nella Pubblica Amministrazione.

Poiché i questionari generalisti valutano lo stress di categorie occupazionali eterogenee, si rende necessario affiancarli con misure che permettano una valutazione “individualizzata” dei fattori di rischio psicosociale presenti in un determinato contesto. Tale approccio viene definito di tipo “ecologico”. La valutazione dovrebbe essere basata sul principio della cosiddetta “triangolazione metodologica” ossia, è opportuno combinare i dati auto-riportati con dati “oggettivi”, i quali possono permettere l’identificazione di aspetti pratici dell’ organizzazione del lavoro in associazione ai punti di criticità evidenziati dalla valutazione soggettiva. Solo così, si possono attivare interventi concreti per la gestione del rischio stress lavoro- correlato.

La valutazione soggettiva implica : -PREPARAZIONE DEGLI STRUMENTI (è nacessario evidenziare: le aree di rischio , la scelta degli strumenti e la loro preparazione ) -SOMMINISTRAZIONE DEGLI STRUMENTI PREDISPOSTI -PRESENTAZIONE DEI RISULTATI al Management, agli RLS, ai lavoratori attraverso un report finale

QUALI SONO I FATTORI DIRISCHIO DA VALUTARE? -l’ambiente e gli strumenti/attrezzature di lavoro (condizioni fisiche dell’ambiente di lavoro, manutenzione delle attrezzature ecc.) -la pianificazione dei compiti (cicli di lavoro, frammentarietà ,monotonia ecc.) -Il carico/ritmi di lavoro (sovraccarico o sottocarico) -L’orario di lavoro (orari rigidi, turni ) -La cultura dell’organizzazione (mancanza di definizione degli obiettivi organizzativi, difficoltà di comunicazione, inadeguatezza nella risoluzione dei problemi ecc.) -Il ruolo dell’Organizzazione ( conflitti di ruolo , scarsa chiarezza sulle responsabilità ) -Lo sviluppo di carriera (incertezza, basso livello retributivo ecc.) -L’autonomia e il controllo (scarsa partecipazione ai processi decisionali, evitamento del controllo) -le relazioni interpersonali sul lavoro e in famiglia (isolamento sociale, conflitto e contrasti tra casa e lavoro.

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QUALI STRUMENTI UTILIZZARE? COLLOQUIO/INTERVISTA QUESTIONARI E SCALE DIVALUTAZIONE GENERALISTI, QUESTIONARI AD HOC PER PARTICOLARI CONTESTI DILAVORO FOCUS GROUP

QUESTIONARI GENERALISTI UTILIZZABILI : OSI (Cooper, Sloan, Williams, 1988; adattamento italiano di Sirigatti e Stefanile, 2002), questionario per l’analisi complessiva dello stress occupazionale. MOHQ (AvallonePaplomatas, 2005), questionario multifattoriale per l’analisi della salute organizzativa. M-DOQ10 (Majere D’Amato, 2005), questionario multifattoriale per la valutazione dello stress lavoro-correlato. Q-BO (De Carlo e al., 2008), questionario multifattoriale per la valutazione dello stress lavoro-correlato in un’ottica di benessere organizzativo. OCS (Leitere Maslach,2005), questionario per l’analisi di antecedenti di burnout.

QUESTIONARIO AD HOC: Si tratta di un tipo di questionario sviluppato ad hoc per il contesto lavorativo da analizzare. Si costruisce attraverso FASI che comprendono: -analisi della letteratura -osservazione del lavoro in affiancamento -colloqui/intervista e focus group a figure chiave dell’azienda -studio pilota per verificarne l’attendibilità e la validità -elaborazione del questionario finale

Cos’è il FOCUS GROUP? Il FOCOUS GROUP detto anche “gruppo di discussione” è una modalità di ricerca qualitativa, in cui, un gruppo di persone viene interpellato a riguardo delle proprie opinioni e dei propri vissuti su un tema circoscritto. Nel nostro caso specifico le fonti potenziali di stress in ambito lavorativo. Nel FOCUS GROUP i partecipanti sono liberi di interagire tra loro. Nei FOCUS GROUP si rende necessario includere tutte le funzioni presenti nell’azienda. ESEMPIO: Gruppi di lavoratori che condividono un punto di vista comune su una determinata tematica (evitare persone con rapporti gerarchici) Gruppi di lavoratori che condividono obiettivi comuni di lavoro (es. reparto, funzione, processo ecc.) Il numero di partecipanti al focus group è da 6 a 13 con una durata di almeno 2 ore. Si richiede la presenza di un facilitatore e di un assistente.

VARIABILI DA TENERE SEMPRE IN CONSIDERAZIONE: Di tipo socio/anagrafico (sesso, età, titolo di studio ecc.) Di tipo lavorativo (anzianità nell’ambito dell’azienda e nel ruolo ricoperto, contratto di lavoro, orario di lavoro ecc.) DATI CONCERNENTI LA SALUTE PSICO-FISICA:

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Soddisfazione sul lavoro, stress psicologico, burn out, disturbi del sonno, disturbi Cutanei ,digestivi, cardiovascolari ecc.)

IL COLLOQUIO/INTERVISTA: Le domande vanno costruite ad hoc in relazione al contesto aziendale specifico. Prima , si rende necessaria un’analisi preliminare dello scenario, attraverso incontri propedeutici, con figure rappresentative della realtà in oggetto. L’ INFORMAZIONE AI LAVORATORI: E’ da effettuarsi prima della valutazione soggettiva, tramite comunicazione aziendale. I contenuti da trasmettere sono i seguenti: Cosa si intende per stress da lavoro-correlato. Quali sono le conseguenze di tipo individuale ed organizzativo. Quali sono gli obblighi normativi. Da chi è composto il gruppo di coordinamento (responsabili e riferimenti per contattarli). Chi e perché partecipa alla valutazione, anonimato della valutazione soggettiva, comunicazione trasparente dei dati emersi. Importanza della partecipazione e anticipazione dei focus group successivi

PRESENTAZIONE DEI RISULTATI COME PREDISPORRE IL REPORT FINALE E COME PRESENTARE I RISULTATI AL MANAGEMENT, AGLI RLS E AI LAVORATORI ? Nel Report dell’indagine soggettiva devono essere presenti i seguenti elementi: -NORMATIVA E FONTI DIRIFERIMENTO -METODO DIVALUTAZIONE UTILIZZATO -RISULTATI -CONCLUSIONI CON INDICAZIONE DELLE AREE DICRITICITA’ EMERSE E DELLE PROCEDURE DA METTERE IN ATTO PER GESTIRE IL RISCHIO

OSSERVAZIONI SUL CAMPIONAMENTO Si predilige la scelta di un campione stratificato, in modo tale che il numero dei soggetti nello strato del campione sia proporzionale al numero dei soggetti nel corrispondente strato della popolazione (per esempio 60% donne e 40% uomini sia nella popolazione che nel campione estratto. L’ampiezza del campione dipende da diversi fattori (tra i quali il numero di gruppi per i quali intendiamo disaggregare il dato (es. sesso età, funzione, etnia, reparto ecc.) Maggiori sono i gruppi e i sottogruppi per i quali vogliamo fare analisi separate, più elevato deve essere il campione per avere stime veritiere (esreparto, sesso, età) La conoscenza della popolazione da cui viene estratto il campione permette (grazie al campionamento stratificato) di avere stime più precise dei fattori che desidero valutare senza necessariamente aumentar e l’ampiezza del campione.

Il metodo di valutazione seguito comprende : azioni informative e formative, individuazione dei fattori di rischio, identificazione dei gruppi omogenei, criteri utilizzati per preparazione degli strumenti, criteri utilizzati per la valutazione, campionamento ecc.) I risultati comprendono : descrizione del campione versus popolazione, fattori di rischio, indicatori dello stato di salute/benessere, sintesi dei risultati per gruppi omogenei Le conclusioni comprendono: indicazioni sulle aree di criticità rilevanti evidenziate;

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procedure da mettere in atto per gestire il rischio

P. M. Conway suggerisce di impostare il report secondo il seguente schema : -1Introduzione Inquadramento del rischio stress lavoro-correlato Valutazione dello stress lavoro-correlato -2 Obiettivo generale del documento -3 Dati organizzativi considerati Analisi dei dati ed elaborazione del report -4 Caratteristiche e suddivisione del personale Caratteristiche socio-demografiche della popolazione Identificazione dei gruppi omogenei -5 Potenziali fattori di stress lavoro correlato -6 Potenziali risorse 7-Effetti potenzialmente correlabili allo stress lavorativo 8-Sintesi e Conclusioni

LEZIONE21-LA RISPOSTA ALLO STRESS DA LAVORO-CORRELATO

L’Accordo Europeo Quadro dell’8 ottobre 2004 così definisce lo stress : “ è uno stato di malessere che si manifesta con sintomi fisici, psichici o sociali legati all’incapacità delle persone di colmare uno scarto tra i loro bisogni e le loro aspettative e la loro attività lavorativa, ma non è una malattia, anche se un’esposizione prolungata allo stress può diminuire l’efficienza lavorativa e causare problemi di salute”. Nell’ambito di un’azienda quanti più soggetti definiranno una data situazione causa di disagio, tanto più ci si avvicinerà al vero “definendola realtà oggettivamente determinante lo stato soggettivamente risentito di disagio/disturbo/malattia”(M.G.Cassito, 2009) Cassito cita quattro livelli di osservazione: -dati riportati dalla letteratura -sintomatologia soggettiva -disfunzionalità comportamentali da lui denunciate e/o rilevate nell’osservazione -alterazioni della performance occupazionale e/o sociale

La letteratura ci propone numerosi dati relativi allo stress, utili al fine di orientare le indagini ma nello stesso tempo generica in quanto viene effettuata poca distinzione tra sintomi e sindromi. In riferimento alla sintomatologia soggettiva dello stato di malessere stress-correlato, si configura come un complesso sintomatologico che determina l’insorgenza di reazioni emozionali, cognitive, comportamentali, fisiologiche. Tra le reazioni emozionali osservate citiamo: -stato di tensione -reazione ansiosa situazionale o anticipatoria -caduta del tono dell’umore -irritabilità, vissuto d’impotenza, l’insicurezza Tra le disfunzioni cognitive citiamo: -scarsa concentrazione -difficoltà di memorizzazione

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-difficoltà di apprendimento e senso di confusione

Chi è vittima di stress da lavoro può inoltre abusare di alcool, tabacco, tranquillanti, stimolanti, stupefacenti, manifestando così disfunzionalità di tipo comportamentale. Si denota inoltre tendenza ad evitare i rapporti sociali, disfunzioni nella sfera della sessualità, disfunzioni nel comportamento alimentare. I disturbi somatici sono rappresentati da: Ipertensione, cefalea , sudorazione ,parestesie, dispnea, tic nervosi, tremori, disturbi digestivi, gastriti, coliti, tensione muscolare. Tra le disfunzioni comportamentali osservate citiamo: -fuga dal lavoro (assenteismo, ritardo, sonnolenza , infortuni ripetuti) -difficoltà nelle relazioni interpersonali (difficoltà a motivare i collaboratori, difficoltà a collaborare con i colleghi, rifiuto delle regole, eccesso di competitività) -Manifestazioni morbose dello stress (comparsa di atteggiamenti trascurati, atteggiamenti autodistruttivi e compulsivi, reazioni ossessive).

Tra i disturbi delle performance osserviamo: -maggiore insicurezza nel prendere delle decisioni e nell’essere operativi -maggiore tendenza a commettere errori -difficoltà a portare a termine un lavoro -difficoltà a rispettare i termini per portare a compimento un determinato lavoro I disturbi del comportamento e della performance possono essere approfonditi con l’utilizzo di test psicodiagnostici . Si ritiene utile, per i portatori di disturbo stress lavoro-correlato, migliorare la qualità dei rapporti interpersonali nell’ambiente di lavoro al fine di aumentare il livello di autostima del soggetto. La salute mentale di un soggetto, non consiste tanto nell’assenza di frustrazioni ma in un rapporto equilibrato con il mondo che consente ad un individuo di mantenere una fiducia realistica in se stesso e nel suo agire finalizzato (Kornhauser, 1965).

PREPARAZIONE STRUMENTI PER LA VALUTAZIONE SOGGETIVA. FASE 1- E’ NECESSARIO CHIEDERSI: -quali sono le aree da ricoprire? -quali sono gli strumenti da utilizzare? -quali sono le fasi per la preparazione degli strumenti da utilizzare ?

sessione 4-Come predisporre la valutazione soggettiva

FASE 2- INDAGINE SUL CAMPO E SOMMINISTRAZIONE DEGLI STRUMENTI E’ NECESSARIO CHIEDERSI: -Come organizzarsi per la valutazione sul campo? -Quali sono le modalità di comunicazione ai dipendenti?

FASE 3- PRESENTAZIONE DEI RISULTATI DELL’INDAGINE E’ NECESSARIO CHIEDERSI:

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-Con quali modalità si predispone il report finale? -Come si presentano i risultati ?

RISULTA FONDAMENTALE L’ ANALISI DEI LIVELLI DICRITICITA’ DEI FATTORI INDAGATI: BASSO : l’obiettivo è sostenere questa situazione(condizione che non presenta criticità) MEDIO-BASSO : l’obiettivo è sostenere e migliorare questa situazione (condizione che presenta alcune criticità) MEDIO-ALTO: l’obiettivo è ridurre la criticità a livelli inferiori, fino al raggiungimento di una condizione di benessere organizzativo (criticità degna di attenta considerazione) ALTO : l’obiettivo è ridurre la criticità ai livelli inferiori, fino a raggiungere una condizione di benessere organizzativo (criticità rilevante)

IN-FORMAZIONE AI LAVORATORI: E’ importante comunicare chiaramente ai lavoratori ogni finalità della valutazione soggettiva. Cosa si deve trasmettere? Cosa si intende per stress da lavoro correlato? Quali possono essere le conseguenze sia individuali che organizzative? Quali sono le responsabilità e gli obblighi normativi? Come viene valutato lo stress: valutazione soggettiva ed oggettiva Chi soni gli attori della valutazione? L’aspetto di anonimato della valutazione soggettiva La trasparenza della comunicazione dei dati

IL METODO OSFA Sono stati elaborati modelli teorici di studio mirati a concettualizzare la dinamica eziologica dello stress. Tra questi citiamo il PERSON ENVIRONMENT FIT MODEL DI FRENCH, CAPLAN E VAN HARRISON, tale modello si basa sulla discrepanza tra ambiente e persona. Il P/E è in grado di equilibrare la valutazione personale e soggettiva degli eventi stressanti con le dimensioni organizzative e le caratteristiche oggettive (competenze, attitudini, abilità professionali) delle risorse umane . Viene studiata la relazione esistente tra bisogni, aspettative della persona e possibilità che l’organizzazione ha di soddisfarle. Tale modello opera una distinzione tra la valutazione soggettiva dell’individuo nei riguardi dell’ambiente in cui è inserito e della propria immagine lavorativa, rispetto alla valutazione oggettiva delle caratteristiche intrinseche al lavoro e alla persona stessa. Il modello ipotizza lo sviluppo di strain (sollecitazione)inteso come manifestazione a breve termine di stress fisiologico/psicologico/comportamentale, quando sussiste discrepanza tra richieste dell’ambiente lavorativo e abilità della persona a rispondervi.

Person fa riferimento alla relazione sussistente tra bisogni, aspettative e possibilità di soddisfarli. Le dimensioni del modello da tenere in considerazione sono: -caratteristiche dell’ambiente di lavoro -caratteristiche della risorsa (competenza, professionalità, attitudini) -valutazione soggettiva delle richieste oggettive dell’ambiente (influenzata da stati emozionali)

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-valutazione soggettiva delle doti personali (Valutazione di abilità e competenze, auto percezione delle potenzialità)

Nel 1979 R.A. Karasek, pubblicò uno studio sullo stress lavorativo percepito. Il modello evidenzia che la relazione tra elevata domanda lavorativa (JD) e bassa libertà decisionale (DL) definiscono una condizione di job strain , in grado di spiegare i livelli di stress cronico con conseguente incremento del rischio cardiovascolare. La job demand fa riferimento all’impegno lavorativo richiesto. La decision latitude è caratterizzata da : 1) skill discretione 2)decisionauthority: la prima identifica situazioni caratterizzate dalla possibilità di apprendere cose nuove, la seconda identifica il livello di controllo del soggetto sulla programmazione ed organizzazione del lavoro. Tale modello viene ulteriormente sviluppato da J.V. Johnsone collaboratori .

Sono state messe a punto tre edizioni italiane del questionario di Karasek. La prima di 15 domande , la seconda di 35 domande, la terza di 49 items. Quest’ultima versione è consigliata e si articola in 8 macrovariabili : 3 sulla dimensione controllo (gli item s’indagano su “giudizio circa le proprie capacità, “potere decisionale in rapporto al compito specifico”, “ potere decisionale a livello di politica aziendale”) ; 3 sulla dimensione domanda ( gli item s’indagano su “ carico di lavoro psicologico”, “carico di lavoro fisico”, “insicurezza lavorativa”), 2 permettono valutazioni sugli aspetti relazionali (supporto sociale da parte dei superiori e dei colleghi). In fase di valutazione del rischio nei contesti organizzativi, il ricorso alla soggettività lavorativa , faforisce in particolar modo: -La valutazione del grado di stress occupazionale derivante dall’incongruenza fra impegno richiesto e possibilità di gestire questa tensione fra efficienza e salute, nel senso di ridurre il rischio di disturbi funzionali a carico di organi e apparati. -La percezione delle condizioni ambientali nell’ambito dei diversi sistemi specialistico- funzionali( reparti, gruppi di lavoro), da ottimizzare a seconda delle priorità emergenti dalla elaborazione dei dati raccolti con gli strumenti di ricerca.

Le traduzioni italiane hanno gran parte degli items in comune. Si è effettuata un’analisi fattoriale per verificare che il costrutto delle versioni fosse equivalente a quello originale presentato dagli autori del questionario ed è stato determinato l’alphadi Chronbachper verificare che ciascun item fosse omogeneo agli item del raggruppamento a cui appartiene per la codifica del punteggio. Principalmente il punteggio è suddiviso in: -percezione del carico di lavoro fisico e psichico -percezione del lavoro stimolante/creativo o monotono/ripetitivo -percezione della padronanza e controllo sul proprio compito specifico -percezione del potere decisionale nell’ambito delle istituzioni aziendali e sindacali -percezione sull’insicurezza del futuro e dell’ instabilità del proprio impiego -percezione del sostegno da parte di colleghi e superiori

Il metodo OSFA (ObjectiveStress FactorsAnalysis), è basato sula valutazione obiettiva delle condizioni di lavoro riconosciute dannose per la salute psicofisica dei lavoratori (P.Argentero, S.M. Candura).

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Questo metodo concentra l’analisi su elementi oggettivi rilevati e valutati secondo una procedura standardizzata. E’ emersa l’esigenza di far ricorso a misure obiettive delle fonti di stress presenti nell’ambito lavorativo. Il metodo OSFA si colloca tra gli approcci obiettivi dell’analisi dei fattori di stress lavorativo. Comprende una prima fase e una seconda fase. La prima fase, che consiste nella valutazione delle potenziali fonti di stress, si articola in 2 specifiche sottofasi. Fase A : consistente nella raccolta dei dati aziendali, forniti dall’azienda, degli ultimi 3 anni, che possono rappresentare un segnale della presenza di fattori di rischio stress lavoro-correlato. Ci sono 10 potenziali indicatori che segnalano la presenza di stress organizzativo. Si tengono in considerazione i dati relativi agli infortuni, alle malattie professionali, all’assenteismo, al turnover , alle vertenze sindacali.

Non si trascurano inoltre le condizioni fisiche di lavoro quali: illuminazione, rumore, vibrazioni. La fase B, fa riferimento a quattro principali aree d’indagine quali: -aspetti organizzativi del lavoro-aspetti sociali -aspetti correlati alla sicurezza -aspetti gestionali. Questa fase viene attivata solo se, la prima fase, ha presentato elementi di criticità. Per mettere in atto la fase prima è stata sviluppata una procedura standardizzata che si articola nei seguenti punti: -identificazione delle aree lavorative omogenee -scelta di un panel di lavoratori esperti( lavoratori anziani, manager, responsabili delle risorse umane ecc.) -conduzione di interviste strutturate. L’intervista include 72 item. Si richiede di indicare se l’elemento preso in considerazione è presente, è presente in parte,non è presente, non è applicabile all’azienda in oggetto. Per ogni area dell’intervista viene richiesto inoltre di esprimere liberamente ulteriori osservazioni in merito a condizioni lavorative specifiche ,non previste dall’intervista, comunque rilevanti per la valutazione dello stress.

-Verifica del livello di accordo tra i valutatori. Si calcola l’indice di concordanza delle risposte ottenute da ogni singolo valutatore. Nel caso di riscontro di divergenze rilevanti, le persone vengono sollecitate al confronto, al fine di approfondire e discutere le diverse posizioni. Si deve giungere ad una valutazione finale condivisa. -fase di scoring. Si assegna un punteggio ad ogni risposta data. Se è presente un fattore critico :2 punti ; se la presenza di un fattore critico è parziale: 1 punto; se è indicata l’assenza di fattori critici 0 punti. Per ciascun valutatore viene calcolato un punteggio complessivo per le quattro aree dell’intervista sommando i punteggi dei relativi item. Vengono poi calcolati, per ciascuna area i punteggi percentuali. Calcolando poi, il valore medio dei dati riferiti alle quattro aree esaminate, si ottiene l’indice totale del rischio stress lavoro correlato. Dopo aver ricavato i punteggi riferiti a ciascun valutatore, si può calcolare il punteggio medio ottenuto complessivamente dal gruppo di valutatori, si ottiene così il risultato finale della valutazione.

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-Raccolta dei dati statistici aziendali: gli elementi raccolti con l’intervista vengono integrati con dati statistici in possesso dell’azienda, relativi a : assenteismo, trasferimenti, cambio di mansioni…, si considerano inoltre le indicazioni del medico competente e i contenuti dell’ultimo aggiornamento del documento di valutazione del rischio. -stesura del documento di valutazione del rischio stress lavoro-correlato così articolato: descrizione della metodologia OSFA, risultati fase A (dati aziendali), risultati fase B (analisi condizioni di rischio, priorità emerse, misure da adottare per eliminare o ridurre i fattori di rischio stress lavoro-correlato, tempistica per mettere in atto interventi migliorativi). Il metodo OSFA ha messo in evidenza la sua applicabilità in aziende appartenenti a settori produttivi diversi. E’ stata condotta una sperimentazione in 13 aziende della Lombardia tra il novembre 2008 e il febbraio 2009. Si è trattato di aziende medio- piccole. Dalle prime applicazioni del metodo OSFA è emerso un favorevole grado di accettazione da parte delle diverse funzioni aziendali coinvolte. E’ stato valorizzato l’approccio graduale alla valutazione del rischio, la modalità di coinvolgimento dei lavoratori, l’attenzione all’analisi del lavoro più che alle percezioni di tipo individuale.

LEZIONE 22-IL MOBBING sessione 1-Origini storiche e definizioneCon il termine mobbing ci si riferisce alle diverse forme di violenza psicologica esercitate nei confronti di chi lavora sui luoghi di lavoro. Da un punto di vista etimologico il termine inglese mobbing ha origine da una locuzione latina mobile vulgusche significa “movimento della plebe” e il verbo tomobindica “attaccare, assalire”. Nella sua trasposizione in ambito lavorativo, la parola mobbing assume il significato di pratica vessatoria esercitata dai colleghi e/o datori di lavoro (mobber) nei confronti di un lavoratore (mobbizzato). Fu K. Lorenz a creare il termine mobbing per indicare un tipo di comportamento animale(uccelli che si coalizzano contro un altro uccello). Heinnemann(1972), introdusse il termine per indicare comportamenti riscontrabili all’interno dell’aggressione umana. Leymann(1980) applicò il termine mobbing a un disturbo diagnosticato in impiegati e operai sottoposti a traumi psicologi sul luogo di lavoro.

Con il termine mobbing intendiamo dunque “l’insieme di quei comportamenti violenti che si verificano sul luogo di lavoro attraverso atti, gesti, parole, scritti persecutori e comunque lesivi della dignità della persona fino a mettere in pericolo il lavoro stesso. Tali comportamenti possono essere messi in atto deliberatamente e ripetutamente da superiori , datori di lavoro e /o da colleghi nei confronti di dipendenti da “eliminare” perché ritenuti “scomodi” dall’azienda. Può accadere che le due tipologie si intreccino in una strategia persecutoria comune. Frequentemente le condotte vessatorie vengono amplificate dai side mobbers, cioè quei soggetti che, pur non essendo responsabili diretti, scelgono, conoscendo della situazione, di rimanere spettatori delle persecuzioni a danno della vittima designata. Tali comportamenti mirano ad ottenere l’estromissione del lavoratore dall’azienda mediante licenziamento o

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dimissioni. Gli attacchi ripetuti portano la vittima all’isolamento, al disagio , alla malattia.

SESSIONE 1-Origini storiche e definizionePer comprendere il fenomeno, può essere utile richiamarsi alla letteratura medico-legale a proposito. Il mobbing prima di avere rilevanza giuridica era di stretta competenza del campo della psicologia del lavoro e della medicina. Una definizione di mobbing è stata elaborata dalla ASSOCIAZIONE TEDESCA CONTRO LO STRESS PSICO-SOCIALE ED IL MOBBING NEL 1993. “Il mobbing consiste in una comunicazione conflittuale sul posto di lavoro tra colleghi o superiori o dipendenti nella quale la persona attaccata è posta in una posizione di debolezza o aggredita direttamente o/e per lungo tempo con lo scopo e/o la conseguenza della sua estromissione dal mondo del lavoro”. Anche secondo EgeHarald(I numeri del mobbing.Laprima ricerca italiana,1998, Pitagora editrice), il mobbing consiste essenzialmente in un problema di comunicazione, in un conflitto routinario, vale a dire in un atteggiamento ostile.

Gli attori del mobbing sono diversi. Tra le classificazioni del mobbing , la presente prevede la diversificazione in tre tipologie. 1) MOBBING VERTICALE: si tratta di una strategia distruttiva perpetuata dai superiori nei confronti di chi è subordinato. 2) MOBBING ORIZZONTALE: si verifica quando un certo numero di colleghi emarginano qualcuno che il gruppo non accetta. Spesso questa tipologia va ad alimentare il mobbing verticale. 3) MOBBING ASCENDENTE: avviene da parte di un gruppo di subalterni nei confronti del capo. Può verificarsi quando subentra un nuovo capo che non viene accettato. 4) MOBBING BULLYING IN THE WORKPLACE : -unwittingbullying:è un mobbing involontario , causato da stress . -organizzational bullying: è un mobbing organizzativo, deriva da una combinazione tra quello inconscio e collettivo , si verifica quando un’organizzazione combatte rispetto a pressioni che derivano dall’esterno ( adattamento ai cambiamenti di mercato, tagli di budget…) -serial bullying: in serie, si verifica quando l’origine di ogni disfunzione viene rintracciata in un soggetto che prende di mira un collaboratore dopo l’altro distruggendolo. -gang bullying: si tratta di una prepotenza effettuata in serie con i colleghi.E’ presente nei “climi” di prepotenze collettive. Oggi si tende ad usare due termini : mobbing ebossing. Sul primo termine ci siamo già soffermati, sul secondo, bossing,si identifica nell’azienda il mobber che, deve mettere in atto il terrorismo psicologico nei riguardi del lavoratore preso di mira, per eliminarlo, per indurlo alla dimissioni. Il bossing, può divenire talvolta una strategia aziendale negativa, mirata a ridurre il personale. Il bossingpuò attuarsi con modalità diverse ad esempio: -Creare situazioni di isolamento fisico -Tutto ciò che il lavoratore produce viene fatto ripetere perché non soddisfa -Si riducono le responsabilità lavorative

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Il mobbing può coinvolgere anche chi è in stretto contato con il lavoratore mobbizzato, ad esempio i familiari. Egedefinisce questo fenomeno “doppio mobbing”. Così si esprime: “Quando siamo in crisi abbiamo tutti la tendenza a sfogarci presso le persone che ci sono più care. I familiari sono di solito i confidenti verso cui indirizzarci per un consiglio o uno sfogo. Conseguentemente possiamo ipotizzare che in linea generale , la vittima di una situazione di mobbing tenda a cercare aiuto e consiglio in casa. Qui sfogherà la rabbia e la depressione accumulata; e la famiglia assorbirà tutta questa negatività, cercando di dispensare al suo componente in crisi quanto più ha bisogno in termini di aiuto, protezione…il mobbing però non è un normale conflitto, è uno stilicidiodi persecuzioni, attachi, umiliazioni che perdura inesorabilmente nel tempo , e proprio nella lunga durata ha la sua forza devastante. La vittima soffre e trasmette la sua sofferenza al coniuge, ai figli, ai genitori per molto tempo…”

SESSIONE 2-Modello di LeymannIl mobbing è un processo articolato e in continua evoluzione che agisce subdolamente e diviene evidente dopo lunghi periodi. E’ stato elaborato da Leymannun modello caratterizzato da quattro fasi. Prima fase : è denominata conflitto quotidiano.Nell’ambito dell’ambiente di lavoro si manifesta un conflitto attraverso una serie di attacchi e scherzi diretti verso la vittima. Se il conflitto non viene risolto si avvia il processo del mobbing. Seconda fase: denominata maturazione del conflittoè caratterizzata dall’inizio del mobbing, accompagnato da terrore psicologico. La vittima è sempre più isolata e viene creato a suo carico il “mito negativo”. Qualsiasi modalità di difesa appare inutile. La vittima sperimenta la propria incapacità e si ritrova in uno stato di ansietà cronico. Terza fase: per Ege“in questa fase il mobbing esce allo scoperto attraverso erroei ed abusi anche illegali compiuti dall’amministrazione del personale. Il mobizzatoinizia ad accusare problemi di salute derivanti dal suo stress ,e, in particolare sintomi di malattie psicosomatiche”. Quarta fase: è rappresentata dall’esclusione del mondo del lavoro.Le conseguenze dell’aggressione psicologica subita possono protrarsi e lasciare alla vittima residui spiacevoli.

Il lavoratore può incorrere in sindromi post-traumatiche da stress . Molti lavoratori, molestati sul luogo di lavoro. hanno manifestato gravi conseguenze dal punto di vista psico-fisico (patologie respiratorie, dell’apparato digerente, vertigini, cefalee…). Il modello di Leymannè stato applicato alla realtà svedese. Egecrea il modello italiano ampliandolo a sei fasi.

SESSIONE 2-Il modello di H.EgeIl modello di Ege comprende sei fasi del mobbing. Egepensa che molti lavoratori abbiano acquisito la cultura del litigio che può manifestarsi in diversi modi. Pre-fase: conflitto zero: non è ancora mobbing, ma ne costituisce il presupposto Prima fase: è denominata conflitto mirato, prevede l’individuazione della vittima verso cui

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si dirige l’ostilità. Il conflitto fisiologico di base, individuato nella condizione zero , perde il suo carattere di staticità per divenire dinamico e orientarsi verso una precisa direzione. Il lavoratore diviene capro espiatorio dei problemi aziendali o dei singoli dipendenti, successivamente diviene oggetto di attacchi personali. Seconda fase: l’inizio del mobbing vero e proprio si ha in questa fase caratterizzata dall’inasprirsi dei rapporti con i colleghi e dall’ affermarsi della volontà all’interno del gruppo di colpire il singolo. La vittima non è ancora colpita da sintomi psicosomatici ma manifesta disagio influente. Terza fase: il lavoratore inizia a manifestare insonnia, attacchi di panico, insicurezza. Iniziano le assenze per malattia. Quarta fase : il fenomeno diviene ufficiale e pubblico. Anche i familiari del mobbizzato vengono coinvolti. Egeparla di doppio mobbing. Dopo un primo periodo di sostegno i familiari possono manifestare dubbi ed incredulità. La famiglia va in crisi e i mobbizzati vengono vissuti come paranoici. La famiglia cerca di difendersi, passa all’autoprotezionee non sarà più in grado di difendere la vittima, divenuta minaccia per l’integrità e salute del nucleo familiare. Quinta fase: il mobbizzatovive una situazione di vera e propria depressione, necessita spesso di psicofarmaci e sedute psicoterapeutiche. Sesta fase: La depressione , costringe il lavoratore a ritirarsi dall’ambiente di lavoro. In casi estremi il lavoratore può arrivare anche al suicidio.

SESSIONE 3-Attori del mobbing ed effetti sul teamGli attori del mobbing possono così essere sintetizzati: -Il mobber, colui che mette in atto le azioni mobbizzanti verso la vittima. -Il mobbizzato, colui che subisce il terrorismo psicologico sul luogo di lavoro -Gli spettatori, coloro che assistono al fenomeno. Il mobberha una personalità animata da sentimenti negativi che lo portano ad infliggere condizioni negative agli altri, al fine di emergere. Egli reagisce alle frustrazioni rivolgendo la sua aggressività sugli altri e prova a volte piacere nel mettere in atto un gioco sadico che cessa quando la vittima ha ceduto. Il mobbizzatoè il soggetto delle angherie poste in essere da una o più persone in modo sistematico, frequente e per lungo periodo, allo scopo di privarlo delle funzioni esercitate nell’ambito organizzativo. La vittima, designata dal perverso, diviene il capro espiatorio. Gli spettatori non possono ritenersi svincolati dalla dinamicità del fenomeno del mobbing. Alcune volte gli spettatori rimangono neutrali, altre volte prendono le parti del mobber. Rientra nella più diffusa strategia del mobbercercare alleati tra i colleghi, al fine di ottenere maggiore potere e credibilità e contestualmente isolare la vittima.

Gli effetti del terrore psicologico si ripercuotono anche sul team. Assistiamo a : -Deterioramento del clima aziendale : le relazioni interpersonali perdono la loro spontaneità perché delimitate dai confini prestabiliti dal mobber. -Abbassamento degli standard di efficacia ed efficienza : in un ambiente lavorativo caratterizzato da mobbing, dove le interazioni sociali verso un membro del gruppo sono inibite, si crea una situazione dove le interazioni professionali divengono problematiche. L’organizzazione , subisce le conseguenze negative del mobbing relativamente a : -costi diretti : calo degli standard produttivi, costi sostenuti per malattia, coinvolgimento

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in contenziosi giuridici -costi indiretti: deterioramento del clima organizzativo (mancanza di rispetto, sfiducia, insoddisfazione, comunicazione disfunzionale, ripercussioni sull’immagine aziendale ).

Ege ha paragonato il mobbing a una guerra sul posto di lavoro. Il mobbing miete le sue vittime . Per lo più si tratta di suicidi. Egeha riscontrato , dall’analisi dei diari dei sucidi a causa di mobbing, una caratteristica comune: tutti ritenevano che il problema fosse dentro di loro e non nell’ambiente che li circondava. Il soggetto si autoelimina perché pensa di risolvere il problema che è dentro lui stesso, sia perché confrontarsi in modo diretto con il mobbercomporterebbe un’ umiliazione per lui difficoltosa da gestire. Il pensiero del suicidio, deriva da una saturazione di tutte le difese che un soggetto ha a disposizione. L’aggressività, la rabbia, la disperazione si accumulano ma non hanno effetti dirompenti finchèc’è “uno sfogo” (famiglia, amici…). Quando la vittima non intravede via di fuga alternative, perde la capacità di vagliare altre soluzioni di tipo razionale e si lascia sopraffare dall’emotività. I casi in cui il mobbersi trasforma in omicida sono meno frequenti ma possibili al verificarsi di situazioni concomitanti sfavorevoli. In questo caso , diversamente dal suicidio, l’energia distruttiva accumulata, viene rivolta non più verso se stessi ma verso l’esterno, ovvero verso il mobber. Colpisce il senso di liberazione provato da attori di situazioni estreme, in seguito all’eliminazione fisica di chi, a detta loro, li ha trattati per lungo tempo in modo ingiusto.

Nel caso in cui si accerti in un datore di lavoro la responsabilità per comportamenti di mobbing, la giurisprudenza ritiene risarcibili diverse tipologie di danno: -danno patrimoniale : si tratta di quel danno che incide sulla capacità di lavoro e di guadagno del dipendente. Questo consiste nel danno emergente e nel lucro cessante che siano conseguenza diretta e immediata della condotta lesiva (art.1223 c.c.) -danno alla professionalità: quando il lavoratore è impedito nel normale e completo svolgimento delle mansioni di sua competenza , o in cui questo sia comunque mortificato nelle sue capacità o aspettative professionali. Il danno professionale comprende anche il pregiudizio alle future prospettive occupazionali. -danno morale: consiste nei patemi d’animo provati dalla vittima, e nel danno alla vita di relazione (ex.art. 2059 c.c. e 185 c.p.) -danno biologico: consiste nella menomazione dell’integrità psicofisica della persona in quanto tale. L’ambito applicativo comprende il danno psichico. -danno esistenziale: comprende qualsiasi evento che, per la sua negativa incidenza sul complesso dei rapporti facenti capo alla persona , è suscettibile di ripercuotersi in maniera consistente e talvolta persistente sull’esistenza di questa.

SESSIONE 4- Aspetti giuridici Aggressioni verbali e comportamenti ingiuriosi: L’ aggressività verbale è uno dei comportamenti tipici del mobbing. La giurisprudenza ha riconosciuto nel caso di condotte ingiuriose , la responsabilità del datore di lavoro e ha ritenuto risarcibili il danno morale , configurabile ex. Art. 2059c.c., nel caso in cui sia integrato il reato d’ingiuria (art. 594c.p.), il danno patrimoniale e anche quello biologico.

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Il danno causato da mobbing è più propriamente esistenziale poiché coinvolge la sfera personale del soggetto. Il danno esistenziale consente di superare i limiti imposti dalle diverse categorie di danni e definisce in concreto l’ambito di esercizio dell’ attività imprenditoriale, libera ex art. 41 Cost., ma attuabile nel rispetto della sicurezza, libertà e dignità umana. La magistratura è chiamata sempre più frequentemente ad occuparsi del mobbing. I casi segnalati dall’autorità giudiziaria possono essere raccolti in due gruppi: Quelli in cui la vittima si limita a denunciare soprusi o molestie e quelli in cui, si lamenta la sofferenza di disturbi, conseguenza di determinate vessazioni. Per quanto concerne i casi di mobbing con disturbi (ad es. sindrome ansiosa depressivia), si profila una possibile malattia professionale e, dunque, una lesione da cui deriva una malattia nel corpo o nella mente. Da ciò la configurabilità del delitto di lesione persnale colposa (art.590 c.p.), dolosa (art. 582 c.p.) o punibile a norma dell’art .586 c.p. ovvero del delitto di maltrattamenti, aggravato ai sensi dell’art.572, 2 comma c.p.

Lezione23-PROGETTARE PROGETTAZIONE La gestione delle prime fasi dell'intervento Un'analisi dei problemi relativa alle prime fasi di avvio di un intervento -svolto da un privato o da un servizio pubblico su richiesta di una istituzione pubblica o privata -è estremamente importante, perché spesso accade che la buona o cattiva riuscita dell'intervento venga a dipendere da come si è impostato il lavoro nelle primissime fasi. Queste ultime sono così identificabili: -l'incontro con il committente e l'accoglimento della domanda; -la relazione con il committente; -il primo approccio alla situazione locale; -la definizione del contratto.

Per rispettare i termini di concretezza, la proposta di progetto avanzata dovrà dunque stabilire e specificare: -l'obiettivo che si prefìggedi conseguire; -il tempo ritenuto necessario alla sua realizzazione; -gli strumenti necessari al conseguimento del risultato; -gli strumenti di verifica dei risultati ottenuti.

L'incontro con il committente e l'accoglimento della domanda. Generalmente la richiesta di un intervento di prevenzione nasce dalla constatazione del committente di una situazione di malessere presente nella propria comunità. Essa è dunque motivata dal bisogno di indurre dei cambiamenti sul sistema-cliente, al fine di superare lo stato di disagio.

La relazione con il committente Nella maggior parte dei casi, si viene a instaurare una relazione triangolare, committente- operatore-utente, piuttosto che committente-consulente-cliente(a seconda che lo specialista in progetti venga interpellato come membro di un servizio pubblico, piuttosto che come esperto libero professionista). Riveste una notevole importanza la comprensione dei rapporti intercorrenti tra gli utenti e

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il committente: solo un'autorevolezza di fatto (coincidente o meno con l'autorevolezza di diritto) può portare alla positiva accettazione, da parte dell'utente, dell'intervento richiesto, mentre invece il vissuto di dipendenza e sottomissione generato da un'autorità imposta porta quasi sempre al fallimento del progetto. Le complesse dinamiche interne alla coppia committente-utente vanno anche conosciute, per prevedere i rischi insiti nella 'consegna dello stato di disagio' nella mani di un terzo soggetto. Può avvenire infatti che l'operatore, chiamato dal committente, venga percepito dall'utente come un 'prolungamento' dell'autorità, incaricato di controllarlo e di influire su di lui a livello manipolatorio. Come può avvenire, invece, che il committente, una volta avviato l'intervento, viva con sospetto la relazione che si è venuta a creare tra utente e consulente .

II primo approccio alla situazione locale Prima che venga stilato il contratto che definisce i termini del progetto, è necessario per l'operatore appurare che le espressioni di disagio e i bisogni lamentati dal committente siano reali e non il frutto di suoi pregiudizi ideologici ;è necessario effettuare una prima indagine del territorio e della realtà da cui è emersa la richiesta. A questo proposito si può ipotizzare un primo livello d'indagine teso, da una parte, alla conoscenza della situazione territoriale e del suo stato di bisogno, dall'altra, alla chiarificazione delle relazioni tra gli attori in gioco, della storia e della cultura locale. Rispetto al primo livello di ricerca, lo scopo è di confrontare la lettura della situazione locale presentata dal committente, con le informazioni e le idee di altri soggetti rappresentativi del contesto locale. La procedura da seguire consisterà allora nel raccogliere il maggior numero possibile di dati da 'testimoni privilegiati', in modo da verificare l'attendibilità della diagnosi del committente.

La definizione del contratto Una volta chiarita la trama di rapporti che lega il committente con l'utente, la presenza nel territorio di uno stato di bisogno reale e la precisa volontà del committente di apportare un cambiamento cercando le possibili risposte, si può passare alla definizione del contratto. In esso devono essere evidenti le finalità e gli obiettivi dell'intervento, in secondo luogo i contenuti delle prestazioni, e infine le necessarie verifiche.

2 –STESURA DEL PROGETTO E RUOLO DELLA PROGETTAZIONE /PREVENZIONE Stesura del progetto definitivo Si passa quindi alla stesura del progetto definitivo, alla sua approvazione ufficiale e alla sua messa in opera. Attività di verifica L'attività di verifica presuppone un diretto riferimento agli obiettivi, per accertare l'effettivo conseguimento dei cambiamenti previsti nella fase di programmazione. Quanto più gli obiettivi sono stati definiti con chiarezza e precisione, tanto più agevole risulterà l'individuazione dei criteri e degli strumenti di verifica. Possono essere previsti almeno tre livelli di verifica: sui risultati a breve termine (verifica di percorso); sui risultati a medio termine (verifica sul progetto); sull'efficacia preventiva (verifica sulla strategia complessiva).

SESSIONE 2-Stesura del progetto e ruolo della progettazione/prevenzione99

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È opinione condivisa che solo laddove vi sia una previa attività di progettazione sia possibile svolgere un'attività di prevenzione efficace. D'altro canto, sia gli esponenti degli organismi istituzionali, che gli operatori dei servizi, denunciano la diffusa mancanza di chiarezza e di consapevolezza in chi si occupa di progettazione e prevenzione sociale, circa il significato dei due termini. In particolare, progettare la prevenzione è un compito particolarmente difficile perché, sotto il nome di prevenzione può essere compresa ogni forma di iniziativa, anche indirettamente utile.

Il modo di concepire la prevenzione si trova dunque ribaltato: non si tratta più, come in passato, di studiare iniziative riparativeo correttive, che si ergano contro qualcosa o qualcuno, ma di promuovere dei cambiamenti proprio a partire dalle risorse ancora presenti nell'individuo. Il presupposto implicito sotteso a questa nuova strategia d'intervento è che prevenire è sempre possibile, perché ogni persona è sempre educabile, capace di crescere, di migliorare il proprio potenziale umano, di sviluppare le proprie capacità, di scoprire nuovi significati e valori. Fare prevenzione, in quest'ottica, acquista dunque il senso di perseguire il massimo potenziale residuo nell'individuo A monte di questa accezione, vi è inoltre l'acquisizione della consapevolezza che ogni soggetto deve essere compreso come pienamente responsabile delle proprie azioni, anziché come entità determinata da meccanismi manipolatori esterni. Il concetto di prevenzione viene così ad allargarsi e ad includere il significato dell'educare, del sostenere la crescita di individui autonomi e responsabili, ^ in grado di autodeterminarsi e scegliere liberamente.

SESSIONE 3-Prevenzione del disagio attraverso progetti Cosa prevenire? Il primo problema constatato è la diffusa difficoltà degli Enti a identificare negli interventi di prevenzione degli obiettivi realistici e concreti. Spesso dal progetto risulta che l'ente promotore mostra di confondere il problema da combattere con l'obiettivo da raggiungere per risolvere il problema. Molti interventi di prevenzione, infatti, presentano una mancata chiarezza. Un aspetto interessante da precisare, nei progetti di prevenzione, riguarda la funzione dell'informazione. Infatti l'informazione in quanto tale ha mostrato di non avere un effetto educativo automatico. In alcuni casi i dati sperimentali hanno evidenziato che essa può addirittura comportare degli effetti contrari a quelli desiderati.

Prevenzione e trattamento del disagio Alcuni progetti propongono forme di prevenzione molto vicine all” 'assistenzialismo“, cosa che non dovrebbe accadere se si mette in atto un progetto di rete. In questo senso, si segnalano tra le attività preventive più 'a rischio' quelle riguardanti gli interventi per l'inserimento lavorativo, ad esempio,degli ex tossicodipendenti, dei carcerati, dei portatori di disagio psichico ecc. D'altra parte, molti dei progetti consistono nella pianificazione di attività ricreative e di animazione -quali l'organizzazione di corsi, feste, viaggi, escursioni, tornei sportivi, ecc. – progettualità queste al di fuori di un'intenzionalità educativo/formativa veramente

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efficace.

Per questo, gli strumenti di prevenzione privilegiati sono gli interventi che si sono fatti carico dell'intero mondo esperienzaledell'individuo, della quotidianità e delle sue situazioni di vita. Le indicazioni attuali manifestano la necessità che l'articolazione degli interventi di prevenzione -al fine di acquistare una portata e una probabilità di efficacia maggiore - procedano lungo uno spettro di direzioni sempre più vasto, aprendosi alla pluralità dei mondi vitali dell'individuo e all'intera gamma degli aspetti che costituiscono la sua quotidianità -quali l'istruzione, la formazione professionale, l'occupazione, i momenti di aggregazione, la famiglia, ecc.

La valenza preventiva è massimizzata quando riesce ad innescare processi duraturi e soprattutto autonomi di ampliamento dell'azione preventiva, quando ciò si rende capace di produrre un effetto moltiplicatore. Un progetto di prevenzione, quindi, può essere ritenuto tanto meno efficace quanto più la sua azione tende ad esaurirsi nello spazio e nel tempo dell'intervento stesso. Si può affermare che “Un progetto di prevenzione è come un seme, all'inizio sembra una cosa piccola e inconsistente, ma se ben piantato, curato e coltivato, nel tempo germoglia, da’ la pianta e i frutti che generano nuove piante e nuovi frutti”. Fare prevenzione vuol dire mettere in moto un dinamismo, gettare un sasso che fa nascere, attorno a sé, un movimento a cerchi concentrici.

L'importanza di un lavoro di rete La complessità progettuale e realizzativadi una strategia d'intervento preventivo porta con se necessariamente l'esigenza di allacciare una rete di rapporti collaborativi. L'iniziativa deve coordinarsi non solo con altri servizi ed operatori ma anche con Enti locali, istituzioni , associazioni, gruppi spontanei e di volontariato. Una simile integrazione spesso risulta ostacolata dalla diversità delle culture in gioco, nonché dalle differenze individuali. Tuttavia, l'esigenza di aggregare modalità e mentalità lavorative così diverse non deve essere intesa come un tentativo di omogeneizzare e appiattire le rispettive identità, bensì deve coincidere con la volontà di 'utilizzare' e valorizzare le diverse competenze. In questo senso anche il tempo impiegato per tessere una simile rete, non è tempo 'perso', ma è già da considerarsi come vera e propria prevenzione: innanzitutto, perché contribuisce a comporre le fratture che minano il tessuto sociale e, in secondo luogo, perché la costruzione della rete è il primo momento dell'organizzazione del lavoro preventivo, è dunque essa stessa uno strumento di intervento.

Importanza della definizione del contratto Una volta chiarita la trama di rapporti che lega il committente con l'utente, la presenza nel territorio di uno stato di bisogno reale e la precisa volontà del committente di apportare un cambiamento cercando le possibili risposte, si può passare alla definizione del contratto Si devono stabilite innanzitutto le finalità e gli obiettivi dell'intervento, in secondo luogo i contenuti delle prestazioni, e infine le necessarie verifiche. Rispetto a questo, alcuni principi utili alla definizione di un contratto di prevenzione sono: -rifiutare o mettere in discussione proposte di intervento-lampo, al di fuori

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di una programmazione complessiva, prive cioè di prospettive di continuità --- -privilegiareinvece quegli interventi che si inseriscono in un progetto più ampio di continuità -definirsi come promotore che studia i problemi e mette in atto strategie per affrontarli.

SESSIONE 4-Concetti chiaveIl ruolo dell'operatore, più che consistere nell’esperto tecnico' dispensatore di soluzioni preconfezionate, coincide con quello di 'facilitatore di processi', dove con questa espressione ci si intende riferire alla specifica capacità di pianificare i problemi insiti nelle relazioni tra i vari attori sociali, trovando soluzioni e linguaggi comuni. La finalitàe la declinazione in obiettivi del progetto devono essere congruenti con i bisogni espressi e realistici in rapporto alle risorse disponibili. Le finalità devono essere declinate in obiettivi prioritari, e gli obiettivi prioritari in obiettivi intermedi, riferiti ai singoli fattori su cui si vuole incidere.

Gli obiettivi individuati dovrebbero essere: -congruenti con le finalità, cioè riferiti agli indicatori collegati con le finalità generali; -realistici, commisurati ai bisogni e alle risorse riscontrati nell'analisi del contesto; -centrati sul singolo obiettivo che si vuole raggiungere -verificabili, cioè tali da definire un comportamento mento o un evento specifico, passibile di essere osservato e misurato.

L'attività di verifica presuppone un diretto riferimento agli obiettivi, per accertare l'effettivo conseguimento dei cambiamenti previsti nella fase di programmazione. Quanto più gli obiettivi sono stati definiti con chiarezza e precisione, tanto più agevole risulterà l'individuazione dei criteri e degli strumenti di verifica. Principali difficoltà riscontrate nell'implementazione del progetto La mancanza di una adeguata cultura progettuale e programmatoriaè attestata dalle numerose lacune e incongruenze riscontrate nei progetti , lacune che nel corso dell'esame delle domande di finanziamento, si sono spesso trasformate in veri e propri ostacoli.

LEZIONE24 L’ORIENTAMENTO SESSIONE 1 Concetti‐  chiaveIl tema dell’orientamento ha acquisito un significato sempre più ampio soprattutto in relazione all’ evoluzione del mondo dl lavoro. Parlando di orientamento non possiamo prescindere dai seguenti concetti chiave: -l’orientamento poiché è un processo continuo , riguarda un percorso formativo che si sviluppa nell’arco di tuta la vita. -l’orientamento rappresenta un processo trasversale che accompagna la persona nei momenti di scelta e conseguente presa di decisione. -l’orientamento sta assumendo sempre più il ruolo di mediatore tra i diversi sistemi e di collegamento tra i bisogni dell’individuo e le opportunità lavorative proposte dal mercato del lavoro. -particolare attenzione va attribuita alle azioni di orientamento finalizzate alla scelta dei percorsi scolastici , all’inserimento o al reinserimento lavorativo.

“L’attuale società caratterizzata dalla complessità , dall’accelerazione del cambiamento e 102

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dall’incertezza , ha reso indispensabili nuove strategie educative e posto in primo piano il problema dell’orientamento. All’elaborazione di teorie e metodologie sempre più specifiche e sperimentalmente fondate hanno fatto riscontro alcuni testi legislativi e documenti ministeriali come la legge 487 del 08/08/1997 sull’orientamento…emergeun concetto di orientamento che, muovendo da un’impostazione statica (conosci te stesso e la tua realtà di vita per definire il tuo progetto di vita), giunge ad una visione dinamica (costruisci te stesso e partecipa al cambiamento per elaborare gradualmente il tuo progetto di vita)… Secondo Fabbroni (1998), tutto questo richiede innanzi tutto la costruzione di un sistema di conoscenze, di abilità, e di comportamenti in grado di modificarsi, di aggiornarsi ,di riadattarsi, flessibilmente e dinamicamente , alle trasformazioni imposte e richieste dalle transizioni in atto . Addirittura di pre-vederle per poterle direzionare e gestire in forma autonoma e competente .(M.R.Mancinelli, 2004). Afferma Amatucci (1999): “In questa prospettiva si riconosce all’orientamento il ruolo di promotore della creatività, dell’imprenditorialità e dell’imparare ad apprendere. Più in generale si tende ad attribuire all’orientamento la promozione delle “competenze strategiche idonee a generare altre conoscenze e competenze”.

Orientare significa: fornire alla persona gli strumenti necessari a comprendere la realtà personale e sociale , al fine di poter mettere in atto scelte autonome e responsabili, per potersi inserire in modo produttivo nel mondo sociale e professionale. In genere l’azione orientativa può supportare la persona sui seguenti aspetti: -acquisizione di consapevolezza e sviluppo delle risorse personali -acquisizione di strumenti per leggere la realtà circostante -sviluppo di capacità al fine di meglio rapportarsi all’ambiente -sviluppo di capacità per affrontare la complessità e i cambiamenti -predisposizione a formulare progetti personali e a raggiungere gli obiettivi prefissati

L’orientatore e il suo ruolo Tra gli atteggiamenti dell’orientatore che possono facilitare il processo di orientamento ricordiamo : -Fiducia ed accoglienza -Capacità di saper contenere dubbi, timori e angosce dei fruitori dell’orientamento -Capacità di modulare lo stile relazionale in base all’atteggiamento dell’altro -Predisposizione ad adottare modalità relazionali finalizzate a sostenere l’autonomia della persona.

PRENDERE LA DECISIONE Un aspetto fondamentale del processo orientativo è rappresentato dalla presa di decisione. Ogni persona ha maturato un suo stile di presa di decisione. ALCUNI STILI DIDECISIONE RISULTANO ESSERE INADEGUATI : -scelte impulsive -scelte procrastinate -scelte caratterizzate dal dubbio e dall’indecisione Per il raggiungimento degli obiettivi, è bene adottare stili di decisione adeguati come le scelte pianificate

I metodi che supportano nella presa di decisione prevedono diversi fasi: 103

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-definizione della situazione sulla quale bisogna decidere -individuazione di più alternative -confronto delle alternative -valutazione delle alternative -scelta di una delle alternative -elaborazione di un piano d’azione L’ULTIMA FASE E’ DIGRANDE IMPORTANZA perché concerne la messa in pratica della decisione . Si devono definire le strade da seguire , reperire tutte le possibili risorse disponibili, verificare l’attendibilità e fattibilità del progetto attraverso un confronto con la realtà. SESSIONE 1-La presa di decisioneNon solo le capacità di progettaree decidere risultano essere utili nel processo di orientamento ma è fondamentale anche il saper realizzarela propria scelta. Nel dover decidere ci si trova spesso di fronte a situazioni problematiche, che permettono una certa gamma di soluzioni alternative. Le diverse alternative non si esprimono in termini di giusto o sbagliato ma di probabilità di riuscita. Spesso accade di dover prendere decisioni in condizioni di incertezza, l’orientamento ha lo scopo di evitare questo stato emotivo a chi si accinge a fare una scelta nel campo scolastico o professionale.

SESSIONE 2 Strumenti  dell’orientamento  INCONTRI INFORMATIVI COLLOQUIO INDIVIDUALE SOMMINISTRAZIONE DIMATERIALE TESTISTICO SOMMINISTRAZIONE DIQUESTIONARI INCONTRI FORMATIVI DIGRUPPO SU TEMATICHE QUALI: la motivazione, il processo decisionale, la comunicazione, la stesura del curriculum, la gestione del colloquio di selezione COLLOQUIO DIRESTITUZIONE DEI RISULTATI EMERSI

SESSIONE2-STRUMENTI DELL’ORIENTAMENTO al lavoroINCONTRI INFORMATIVI SUI DIVERSI PERCORSI SCOLASTICI ED UNIVERSITARI COLLOQUIO INDIVIDUALE SOMMINISTRAZIONE DIMATERIALE TESTISTICO SOMMINISTRAZIONE DIQUESTIONARI COLLOQUIO DIRESTITUZIONE DEI RISULTATI EMERSI

SESSIONE 2-Strumenti dell’orientamento scolastico3 –TECNICHE DICOUNSELLING

SESSIONE 3 Tecniche‐  di counselling e  orientamento Nell’orientamento al lavoro e scolastico può essere utile, da parte dello psicologo, utilizzare le tecniche del colloquio di counselling. Le strategie dell’intervento di counselling di orientamento al lavoro prevedono: -fornire informazioni -supportare la persona nel fare il punto della situazione rispetto al momento di crisi (scelta della scuola superiore, dell’Università, cambio di scuola o di Università, scelta di un nuovo

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lavoro, cambio di lavoro). Il cambiamento, le situazioni nuove generano nella persona uno stato di disagio; il counsellor, attraverso l’accoglienza , la capacità di ascolto e di accettazione porterà la persona ad identificare strategie di problem solvingper affrontare la situazione ed operare una scelta consapevole. Le fasi del counselling di orientamento scolastico e professionale devono prevedere: -instaurarsi di una relazione empatica counsellor/cliente -comprensione del problema da parte del counsellor -Insight del cliente -ri-orientamento attraverso la ricerca di soluzioni realistiche

INSIGHT DEL CLIENTE Il counsellordopo aver esaminato con il cliente le diverse soluzioni sperimentate in precedenza senza successo e condiviso il sentimento di scoraggiamento che ne consegue, lo aiuta a riesaminare il problema in una chiave di ottimismo realisitico, favorendo l’utilizzo delle risorse personali interne disponibili. RI-ORIENTAMENTO Si tratta di definire tutti i punti che riguardano il cambiamento, che necessariamente deve passare attraverso il processo decisionale. IL COUNSELLING DIORIENTMENTO deve mirare a promuovere comportamenti adattivi nel cliente .Scegliere consapevolmente una scuola, un lavoro crea uno stato positivo di soddisfazione personale . Soddisfare il compito vitale del lavoro porta il soggetto ad uno stato di benessere che va ad influenzare positivamente il suo stile di vita . Afferma ALFRED ADLER: “Certi individui non riescono a decidersi a scegliere una professione e continuamente rimandano la loro decisione; altri mutano continuamente professione senza mai realizzare qualcosa di buono. Certi uomini hanno una depressione nervosa prima dell'esame; altri si danno malati ed evitano così di prendere una decisione”.

IL COLLOQUIO DICOUNSELLING DIORIENTAMENTO: PRIMA FASE -Il colloquio di counselling di orientamento permette di ottenere informazioni relative allo stile di vita della persona e ai compiti vitali. Le tematiche da sondare sono le seguenti: -la motivazione al colloquio di orientamento -l’analisi del vissuto scolastico o lavorativo con riferimenti al presente e al passato -l’analisi della rete sociale ed amicale -l’analisi di eventi significativi pregressi -gli interessi culturali e professionali -gli interessi nel tempo libero

SECONDA FASE-Dopo aver fatto chiarezza sulla situazione presente , non trascurando riferimenti anche al passato, bisogna indagare su quelle che potrebbero essere le possibili soluzioni di scelta, in considerazione delle proprie potenzialità, caratteristiche di personalità ed interessi. Questa seconda fase, si sviluppa dopo il primo colloquio e in seguito alla somministrazione al cliente di test attitudinali, di test personalità e di questionari sugli interessi professionali. Lo psicologo dell’orientamento prima di affrontare questo secondo colloquio deve avere ben chiaro lo stile di vita del candidato e le sue potenzialità di sviluppo . In questa fase,

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assume un ruolo rilevante la tecnica dell’incoraggiamento che consiste nel rendere consapevole il soggetto dei suoi punti di forza e di debolezza. Si tratta di restituire coraggio al cliente aiutandolo a trovare gli strumenti per ottimizzare i punti di forza e migliorare quelli di debolezza. Il processo di incoraggiamento si basa anche sulla restituzione di autonomia di scelta al cliente . Questa fase pone le basi per l’orientamento al cambiamento

TERZA FASE –Si tratta del colloquio di restituzione , momento fondamentale in cui il counsellor psicologo dell’orientamento aiuta il cliente ad acquisire consapevolezza delle sue caratteristiche e in base alle stesse lo supporta nella scelta scolastica o professionale a seconda dei casi. Possiamo affermare che :”lo scopo finale del counselling di orientamento è abilitare il cliente a prendere una decisione in merito a questioni professionali o scolastiche , sottolineando l’interazione tra lindividuo e il suo ambiente e mantendo l’attenzione nel “qui ed ora.”

LEZIONE 25-La sicurezza lavorativa SESSIONE1-prevenzioneLa prevenzione degli infortuni è un problema rilevante. Molte discipline come la medicina del lavoro, la psicologia del lavoro, la legislazione del lavoro, la sociologia si occupano della tematica della prevenzione degli infortuni. Nei tempi passati gli infortuni sul lavoro erano da attribuirsi alle macchine prive di protezioni di sicurezza, ci si accorse in seguito che negli infortuni sul lavoro potevano avere influenza i fattori cosiddetti umani. Si iniziò a parlare di predisposizione agli incidenti sul lavoro come aspetto caratterizzante certi soggetti. Gli autori ad orientamento psicodinamico attribuirono agli incidenti il significato si “fuga dalle responsabilità”. Si parte dall’idea che l’incidente sul lavoro sia attribuibile al processo di interazione che si sviluppa tra lavoratore ed altri aspetti concernenti la situazione lavorativa.

POSIZIONI SVILUPPATESI : 1-Modello lineare (Henrich,1950), detto anche “modello della concatenazione delle cause”. L’infortunio si verificherebbe secondo le seguenti modalità : eredità ed ambiente sociale, inattitudine di tipo personale, atto rischioso materiale, evento di tipo accidentale, lesione o ferita. 2-Modello del “fenomeno di convergenza “ (Raymond ,1952), si sviluppa l’idea della convergenza fra fattori di tipo tecnico e fattori umani. In ogni tipo di incidente sono sempre presenti due cause: una meccanica ed una umana anche se è la persona che subisce l’infortunio. 3-Modello “multicausale” degli infortuni (Scuola psicoanalitica della TavistochClinic e sociometrica di Moreno. In quest’ottica l’infortunio diviene il sintomo delle difficoltà verificatesi nell’ambito del gruppo di lavoro. L’incedente assume il significato di un segnale di tensione tra dipendente ed azienda ed è quindi un mezzo per prendere le distanze dalla situazione lavorativa. La scuola sociometrica (1943) evidenzierà che gli operai che hanno più incidenti sono scelti meno frequentemente dai membri del gruppo. Gruppi di lavoratori accomunati dalle stesse finalità sembrano essere meno predisposti agli incidenti sul lavoro.

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sESSIONE1-PrevenzioneIl modello sistemico Lo studio degli incidenti sul lavoro rimanda all’analisi di tutto il sistema e soprattutto a quei settori in cui gli infortuni si verificano più frequentemente. E’ importante valutare l’affidabilità di un sistema . Quando un elemento del sistema si indebolisce , aumenta il rischio di guasto. La “corrente dell’affidabilità “ (Cuny,1985), privilegia l’ipotesi dell’errore umano e delle relazioni tra errori all’interno di un sistema “uomo-macchina-ambiente”. Secondo Swain(1974), “il comportamento dell’uomo, considerato uno delle componenti del sistema , può essere inteso come articolato in una serie di compiti, di cui si valuta la probabiltàdi errore allo scopo di determinare l’affidabilità globale del sistema “. La “corrente gestionale”. La diagnosi della sicurezza , all’interno delle organizzazioni, è contenuta nell’affermazione “la sicurezza è l’espressione di un modo di funzionamento globale”(Leplate Cuny, 1974). Questa concezione di genesi degli incidenti ci conduce alla nozione di sicurezza integrata.

SESSIONE 2-Incidenti sul lavoro e abuso di sostanze

E’ importante valutare quanto l’abuso di sostanze possa influenzare il verificarsi di incidenti sul lavoro. Il termine disturbo da sostanze venne sostituito nel DSM-IV da “disturbi correlati a ostanze”, che amplia il concetto di abuso di sostanze fino a comprendere il consumo non intenzionale di una sostanza e gli effetti collaterali dei farmaci. Possono influire sul verificarsi di incidenti sul lavoro: -il consumo di alcool -l’interazione fra alcool e farmaci -il consumo di sedativi, ipnotici, ansiolitiici -il consumo di oppioidi, cocaina, cannabis

Incidenza del consumo di alcool sugli incidenti sul lavoro. Uno studio su 2095 vittime di traumi ha evidenziato che il 41% aveva bevuto prima dell’incidente (Meyers ed altri, 1990). Depressione, ansia e disturbi di personalità sono spesso associati all’abuso e dipendenza da alcool. Test di screening per diagnosticare l’alcolismo. Citiamo: -Il MAST (Michigan AlcoholismScreening Test). -Il questionario CAGE -Il test IDG (Indice di gravità della dipendenza) -L’ AUI (Alcohol UseInventory) -La SCID (StructuredClinical InterviewfforDSM-IV)

Interazione fra alcool e farmaci . Tale interazione può avere un ampio spettro di effetti.

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Alcuni farmaci possono influenzare il metabolismo dell’alcool (clorpromazina,cimetidina). L’alcool aumenta la potenza di depressivi del SNC, come anestetici ed antistaminici ed ha effetti imprevedibili quando è usato insieme agli stimolanti del SNC. Dipendenza da sedativi,ipnotici, ansiolitiici Gli individui inclini all’abuso multiplo di sostanze , tendono a consumare sedativi per i loro effetti calmanti ( cioè per recuperare dopo stimolanti come la cocaina) e per la loro capacità di ridurre l’ansia, o per potenziare gli effetti euforizzanti di altre tipologie di droga. Dipendenza da oppioidi, cocaina, cannabis Chi dipende dagli oppiodi manifesta un’ intensa presenza di disturbi di tipo psichiatrico. Sono soprattutto presenti disturbi dell’umore. I segni fisici dell’intossicazione comprendono: -costrizione pupillare, compromissione della memoria e dell’attenzione. Disturbi d’ansia, dell’umore, disfunzioni sessuali,disturbi del sonno sono indotti dall’uso di cocaina

Kang(1991) confrontando l’efficacia della psicoterapia individuale, della terapia familiare e della terapia di gruppo in una popolazione di operai che abusavano di cocaina, osservò che la terapia di gruppo risultava essere più efficace rispetto alle altre. Nel 19%, che non aveva consumato cocaina dopo un periodo di 12 mesi, si osservò che la terapia di gruppo era associata ad un miglioramento del funzionamento psicologico, familiare/sociale e lavorativo. Disturbi correlati alla cannabis. Il picco d’intossicazione dopo il fumo di cannabis si manifesta entro 10-30 minuti. L’intossicazione dura tra le due e le quattro ore a seconda della dose. La compromissione comportamentale e psicomotoria può continuare per qualche ora in più. Alcuni studiosi come Millman e Sbriglio (1986) ritengono che si possano verificare difficoltà comportametali e cognitive in chi abusa di cannabis. Possiamo parlare di “sindrome comportamentale associata al consumo cronico di cannabis “. Tale sindrome è caratterizzata da passività, diminuzione degli istinti, riduzione dell’attività finalizzata, diminuzione della memoria, affaticabilità, ridotta capacità di risolvere i problemi, apatia. E ’IMPORTANTE FAVORIRE ALL’INTERNO DEI CONTESTI AZIENDALI UNA CULTURA DELLA PREVENZIONE SU TALI TEMATICHE, ATTRAVERSO MOMENTI INFORMATIVIE FORMATIVI

SESSIONE 3-Fattori di rischioLa sicurezza nei luoghi di lavoro deve mirare a garantire ai lavoratori un luogo di lavoro sicuro e sano, con lo scopo finale di evitare infortuni e/o malattie professionali mentre si lavora. Tra i fattori di rischiosi ricordano: -DISATTENZIONE -PERDITA DICONCENTRAZIONE -AFFATICAMENTO -INSONNIA -STRESS -RITMI DILAVORO ECCESSIVI O MONOTONI -MICROCLIMA (umidità, ventilazione, rumore, illuminazione, temperatura)

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-FATTORI SPECIFICI :(elettricità, gas, fumi, vibrazioni, elettricità, incendi, infezioni, mancanza di igiene ) -EVITAMENTO DISISTEMI DIPROTEZIONE SPECIFICI

Tra le patologie legate ai rischi emergenti citiamo: -patologie da sensibilizzazione o da contatto con agenti fisici, biologici, chimici -cancerosi . (Introduzione della legge 626/1994) -malattie del sistema muscolo-scheletrico -malattie polmonari -malattie tiroidee -patologie cardiache Tali patologie presentando sintomi quali il dolore, la febbre, la tosse, il prurito possono indurre disturbi del sonno. Un problema da tenere in considerazione è anche quello legato all’eccessiva sonnolenza diurna. Tale sintomatologia può divenire causa di possibili errori di distrazione ecausare incidenti.L’ EDS è caratterizzata da un inappropriato addormentamento durante il giorno. La sonnolenza si accompagna ad un’alterazione dell’attenzione, dell’energia e della motivazione.

L’affaticamento, rappresenta un fenomeno presente con una certa intensità negli ambiti lavorativi. Tendenza a stancarsi facilmente , scarsa resistenza e mancanza di reazione a lievi disagi fisici sono state viste come aspetti caratteriologici di somatizzazione ansiosa ( Roth etal. 1972). Possiamo parlare di sindrome da affaticamento cronico quando vengono soddisfatti i criteri di gravità dell’affaticamento e quando quattro o più dei seguenti sintomi sono presenti in concomitanza per più o almeno 6 mesi:difficoltà mnemoniche e di concentrazione, mal di gola, linfonodi apprezzabili cervicali o ascellari, dolori muscolari, cefalee, sonno non ristoratore , malessere dopo uno sforzo. PARTICOLARI SOSTANZE CAUSANO SEDAZIONE, PROPENSIONE ALLA LETARGIA O DIFFICOLTA’ DICONCENTRAZIONE : antistaminici,sedativi,narcotici, alcool

sessione 4-Riferimenti legislativiTesto coordinato del Decreto legislativo 09 aprile 2008 n.81. con le modifiche introdotte da D.lgs. 03 agosto 2009 n.106, legge del 27 febbraio 2009 n.14, legge del 7 luglio 2009 n.88, legge del 2 agosto 2008 n.129 Intendiamo per testo unico in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro (TUSL), l’insieme delle norme coordinate appunto nel Decreto legislativo del 9 aprile 2008 che-in ottemperanza all’articolo 1 della legge 3 agosto 2007 n.123-, ha riformato e armonizzato le disposizioni precedenti succedutesi nell’arco di 60 anni. Il Decreto legislativo 81/2008 è costituito da 306 articoli suddivisi in titoli Per quanto riguarda i lavoratori esposti a rischio di amianto, il Decreto 257/06 introduce l’obbligo del datore di lavoro di adottare ogni misura per individuare la presenza di materiali a rischio e di effettuare le verifiche dell’ASL , con la data di inizio lavori, sottoponendo i dipendenti a controllo sanitario e a inserzione nel registro degli esposti .

TITOLI del Decreto legislativo 81/2008 -PRINCIPALI LUOGHI DILAVORO, USO DELLE ATTREZZATTURE DILAVORO E DEI

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DISPOSITIVI DISICUREZZA AZIENDALE -CANTIERI TEMPORANEI O MOBILI -SEGNALETICA DISALUTE E SICUREZZA SULA LAVORO -MOVIMENTAZIONE MANUALE DEI CARICHI -ATTREZZATURE MUNITE DIVIDEOTERMINALI -AGENTI FISICI -SOSTANZE PERICOLOSE -ESPOSIZIONE AD AGENTI BIOLOGICI -PROTEZIONE DA ATMOSFERE ESPLOSIVE -DISPOSIZIONI DIVERSE IN MATERIA PENALE E DIPROCEDURA PENALE DISPOSIZIONI FINALI

Una legge italiana per la tutela delle lavoratrici madri è stata notificata con il decreto legislativo n.151 del 26 marzo 2011, denominato” testo delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità”.L’obiettivo del decreto è ampio e si occupa non solo della tutela della sicurezza sul lavoro per le lavoratrici gestanti e puerpere ma anche del loro sostegno e della regolazione dei congedi. Un decreto del 12 luglio 2007 ha esteso la tutela alle lavoratrici madri a progetto e categorie assimilate.

LEZIONE26–E-LEARNING SESSIONE1-Definizione di e-learning e metodologiePossiamo definire e-learningogni forma di insegnamento che viene effettuata per via elettronica , sia attraverso internet, sia attraverso un software. Come affermano G. Presti e F. Pozzi, (2006) “Una simile definizione non rende edotti di come l’e-learning sia un campo sfaccettato e con profonde radici, rappresentando il frutto della cross-fertilizzazione di due grandi aree del sapere umano , la tecnologia della comunicazione e la metodologia didattica , che nel campo si sono evolute per soddisfare esigenze diverse e sempre più complesse.” Possiamo osservare come lo sviluppo tecnologico abbia favorito la comparsa di nuove potenzialità d’azione, ciò anche per l’e-learning, nell’ambito del quale , lo sviluppo delle nuove tecnologie ,ha permesso di erogare formazione on-line. Altrettanto importante è stato lo sviluppo del lifelonglearnig, cioè la formazione che si prolunga per tutta la vita, sotto forma di un processo di aggiornamento continuo nei campi di propria competenza e di acquisizione di sempre nuove conoscenze in altri ambiti.

L’e-learning costituisce oggi un apprezzato mezzo per migliorare l’apprendimento. Ciò che è importante oggi, è riuscire a creare un valida unione tra tecnologia e metodo in grado di garantire efficacia ed efficienza all’on-line learning. I sistemi di Computer AssistedLearningapportarono all’istruzione programmata numerose modifiche vantaggiose, dall’agevolezza a maggiori contenuti insegnati. Si offrì così la possibilità di articolare apprendimenti seguendo una vasta gamma di metodologie didattiche. L’addestramento o esercitazione (drill and practice) rappresenta il livello più semplice d’interazione studente-programma. Si presentano una sequenza fissa e lineare di esercizi di diversa difficoltà, in base al grado iniziale di preparazione dello studente . L’obiettivo diviene la costruzione di determinate abilità.

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Le sequenze tutoriali mirano invece a trasferire nuovi concetti. Lo studente ha la possibilità di seguire percorsi diversificati . Vi sono poi applicazioni che propongono agli studenti l’apprendimento attraverso la tecnica del problem solving. Attraverso una strategia detta inquiryo information retrieval, lo studente può invece esprimere le richieste all’elaboatorein modo da isolare una serie di informazioni necessarie al ragggiungimentodi certi obiettivi.

Un’altra metodologia multimediale è la simulazione. Si tratta della “riproduzione in scala variabile di un fenomeno reale con cui lo studente può interagire fornendo i dati di imputo alterando parametri del processo e ottenedo, così, informazioni altrimenti ricavabili con esperienze troppo costose da realizzare…Nel game, la simulazione della realtà prevede che l’elaboratore sia avversario o prtnerdi gioco. Un gioco educativo dà la possibilità ad un soggetto di provare una serie di comportamenti e di decisioni che potrebbero essere utili in determinati contesti. La differenza tra simulazione e gioco è piuttosto sottile :generalmente nel secondo manca (ma non sempre) una precisa rispondenza a una situazione reale”.(G. Presti e F. Pozzi, 2006).

SESSIONE 2-Classificazione delle metodologie didatticheCi sono stati molti approcci didattici all’e-learning : Modello centrato sull’insegnante : lezioni on-line, preparate dal docente in modo da vivere un’esperienza simile a quella della spiegazione in aula. Modello centrato sul mentoringo tutor: l’interazione on-line avviene in modalità uno a uno. Il mentore ha il compito di accompagnare lo studente nel percorso di studio, svolgendo il compito di supporto. Modello centrato sullo studente :il fulcro dell’attività didattica è l’interazione tra gli studenti . Il ruolo del docente è quello di facilitatore e favorisce il raggiungimento degli obiettivi. Tra gli strumenti che fanno riferimento a questo tipo di didattica citiamo il forum Modello blendedlearning: consiste nell’uso combinato di diverse tecniche e strategie d’insegnamento. Un esempio è quello di affiancare tecnologie e-learning ad incontri in aula.

Riteniamo di fondamentale importanza la collaborazione tra metodologo della formazione ed esperto del software . Parliamo di didattica costruttivista quando si rende possibile una costruzione di tipo cooperativo della conoscenza , grazie ai vari strumenti di comunicazione on-line a disposizione. Se parliamo della componente sociale della rete , bisogna far riferimento alla learningcommunity. Il modello di apprendimento della learningcommunity fa riferimento al lavoro di gruppo. Si opera per obiettivi condivisi, assume grande rilievo lo scambio tra tutti gli attori del sistema didattico e non solo tra gli studenti. Le caratteristiche proprie di una comunitàsi possono riproporre all’interno dell’ambiente di tipo virtuale di internet.

SESSIONE 2-Classificazioni dei modelli didatticiElementi comuni tra comunità e ambienti virtuali di internet: - Esiste uno spazio d’incontro comune

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- Tutti i partecipanti possono scambiarsi le idee - Sussiste possibilità di interscambio delle conoscenze trattate nei diversi corsi - E’ possibile creare connessioni tra le conoscenze. L’ambiente virtuale è fertile in quanto favorisce la diffusione delle informazioni e favorisce l’accesso alle discussioni e alle attività da parte di tutti i corsisti. Un ruolo rilevante riveste il progettista e gestore della comunità. Di rilevanza saranno soprattutto le competenze dello psicologo il quale, dovrà favorire lo svilupparsi di una comunicazione efficace e dovrà occuparsi della gestione delle dinamiche dei gruppi.

Per tutti gli strumenti di e-learning s’impone la cosiddetta piattaforma. Si parla di piattaforme di LMS (LearningManagentSystem), cioè di tutte quelle architetture software che hanno al proprio interno, come organizzazione modulare, tutti gli strumenti utilizzati dall’e-learning. La piattaforma si presenta come sito web, può essere raggiunta con browser, da qualsiasi computer connesso ad internet. All’interno della piattaforma , vengono organizzati dal docente i corsi e gli eventuali strumenti di cui si avvarranno gli studenti. L’evoluzione tecnologica ha portato a realizzare i sistemi LearningContentManagement System(LCMS). Essi si occupano della gestione dei contenuti sia nella fase di creazione che di erogazione. Tali sistemi associati a quelli LMS, completano la piattaforma di e- learning.

SESSIONE 3-Strumenti dell’e-learningLa piattaforma rappresenta il contenitore su cui poggiano i vari strumenti di comunicazione e il sistema di pubblicazione delle lezioni mentre gli oggetti didattici rappresentano i contenuti. L’ oggetto didattico è un elemento interessante per la didattica on-line , rappresenta una fase di percorso formativo, talvolta un’intera lezione o parte di una lezione. Ogni piattaforma include diversi strumenti, le cui funzioni dipendono dal costante sviluppo delle tecnologie. Bisogna sempre chiedersi il significato funzionale di questi strumenti e il loro impatto sull’apprendimento. Strumenti e tecniche finalizzate al miglioramento dell’apprendimento sono stati ricercati ed usati con profitto. E’ necessario focalizzarsi sulla funzione che l’oggetto può assumere, cioè sul suo valore in termini di possibilità e modalità di utilizzo.

Più di recente è in uso il termine web-learningche pone l’accento sull’aspetto “reticolare dell’apprendimento”. Tutte le informazioni sui corsi e sugli utenti restano indicizzate sul data base della piattaforma

SESSIONE4-CONTENUTII contenuti dei corsi didattici possono essere progettati in diversi formati e sono realizzati in modalità multimediale. Il materiale didattico dovrebbe preferibilmente essere costruito ad hoc al fine di garantire le caratteristiche essenziali della formazione on-line. Tali caratteristiche sono: -modularità -interattività -esaustività

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-interoperabilità

MODULARITA’: Il materiale didattico deve essere costituito da moduli didattici o learningobject, in modo tale che l’utente possa dedicare alla formazione personalizzando i tempi e le modalità di approccio ai contenuti. INTERATTIVITA’: L’utente deve interagire con il materiale didattico

ESAUSTIVITA’: ogni modulo deve rispondere ad un obiettivo formativo e condurre l’utente al conseguimento dello stesso. INTEROPERABILITA’: i materiali didattici devono essere predisposti per essere distribuiti su ogni tipo di piattaforma tecnologica.

LEZIONE 27-PSICOLOGIA DELLA SALUTE E LAVORO SESSIONE 1 –Riflessioni sulla Psicologia della salute Secondo Matarazzo,(1980) “ La Psicologia della Salute è l’insieme dei contributi specifici (scientifici, professionali, formativi) della disciplina psicologica , alla promozione e al mantenimento della salute; alla prevenzione e al trattamento della malattia , all’identificazione dei correlati eziologici, diagnostici della salute , della malattia e delle disfunzioni associate; all’analisi e al miglioramento del sistema di cura della salute e di elaborazione delle politiche della salute”. Come afferma Mario Bertini “Se fino a qualche decennio fa le più importanti cause di morte riguardavano malattie infettive per lo più acute, oggi, parallelamente alla loro drastica caduta , sono straordinariamente cresciute le malattie ad andamento cronico, come le malattie cardiovascolari, il cancro, il diabete, l’infortunistica”. L’autore evidenzia come nell’insorgere di queste patologie sia importante considerare i fattori psicologico-comportamentali e ne evidenzia tre categorie : -stili di vita -reazioni alla malattia -ruolo del malato Effetti psicofisiologici diretti

STILI DIVITA: Il comportamento risulta essere un punto focale nell’analisi della dinamica dei vari tipi di infortuni sul lavoro . Non bisogna trascurare il significato degli aspetti psicologici per la sicurezza sul lavoro. REAZIONI ALLA MALATTIA: In questi ultimi tempi, sempre più rilevante sembra essere il controllo dei fattori psicologici nel decorso della malattia e nelle situazioni di crisi in genere. Per quanto concerne il ruolo del malato è stata messa in evidenza la necessità di un riconoscimento adeguato della dinamica relazionalenelle transazioni fra il paziente e il suo sistema di cura

EFFETTI PSICOFISIOLOGICI DIRETTI: 113

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rientrano in questo gruppo tutte le ripercussioni sulla salute attribuibili a fattori psicologici. Un esempio è dato dal problema dello stress che sta assumendo un ruolo di grande rilievo nella psicologia della salute. Considerando che la salute non può essere valutata semplicemente in base a criteri di tipo fisico. È di fondamentale importanza identificare degli indicatori biopsicosociali e comportamentali , al fine di una valutazione diagnostica e di un intervento di tipo psicoeducativo.

Tra gli indicatori positivi dello stato di salute citiamo: -La competenza sociale, intesa come la capacità di ascoltare, conversare, esprimere in modo adeguato le emozioni e muoversi con appropriatezza nel contesto sociale . -l’ autostima, intesa come consapevolezza del valore della propria persona -l’orientamento al problemsolving, inteso come capacità di identificare, definire ed analizzare i problemi, scegliendo poi soluzioni adeguate e valutandone anche i risultati. -la capacità di autocontrollo e di valutazione di certi stati fisiologici ed emozionali dannosi La persona che manifesta a livello comportamentale queste caratteristiche sviluppa anche una buona capacità adattiva al contesto lavorativo.

SESSIONE 3-Indicatori positivi dello stato di saluteUn senso di controllo, un senso di impegno (scopo), un senso di sfida (tendenza a vedere nei cambiamenti opportunità di crescita) sono secondo Kobasa(1986) tratti costitutivi e caratteristici di una persona che manifesta un positivo stato di salute. Antonowsky(1987), descrive invece il senso di coerenza e lo vede come mezzo che permette all’ uomo di vedere il proprio “mondo”come comprensibile, trattabile e provvisto di significato. La moderna psicologia della salute ha attuato il passaggio dai concetti di terapiae prevenzionea quello di promozione. In quest’ottica della “promozione della salute”si intrecciano alcuni filoni della psicologia quali la teoria generale dei sistemi e le concezioni organismico-costruttiviste

Secondo Mario Bertini (2006), “nella promozionedella salute,l’obiettivo diventa lo sviluppo della persona, dei gruppi, della comunità in una visione attenta alla dinamica intra-eintersistemica in cui le vicende di questo sviluppo prendono forma”. Anche in ambito aziendale l’obiettivo oltre la prevenzione deve essere la promozione della salute.

SESSIONE 3-Malattia e rapporto con il lavoroL’applicazione della Psicologia della Salute al contesto lavorativo risulta essere oggi un punto di fondamentale importanza. I risultati raggiunti in campo medico , hanno evidenziato l’emergere di un fenomeno sempre più frequente che è quello dell’allontanamento del lavoro per malattia e del conseguente reinserimento dopo la stessa. Se prendiamo ad esempio la malattia oncologica, è possibile osservare come molti malati di tumore vengano oggi curati in modo radicale e altri vivono assai più a lungo di quanto fosse possibile prima. In passato , soddisfare le necessità psicosociali dei pazienti colpiti da tumore, implicava

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prevalentemente l’assistenza ai malati terminali. Oggi gli obiettivi di tipo psicosociale devono invece mirare a : -aumentare la qualità della vita anche dopo la diagnosi di cancro favorendone anche la ripresa dell’attività lavorativa. -combattere la crescente assuefazione al trattamento --controllare le complicanze di tipo psicologico e talvolta psichiatriche nei pazienti e nelle famiglie degli stessi.

Affermano FawzyI. Fawzy, M.D. Donna B, Greenberg, M.D.(1982), “Una malattia perniciosa come il cancro interrompe prematuramente una traiettoria di vita volta al futuro, sconvolgendo il mondo progettuale dell’individuo. I pazienti sottoposti a grave stress possono rivolgersi a uno psichiatra , mentre modificano le proprie progettualità, trovano strategie d’azione adattanti e disadattanti e procedono nella loro vita…L’esperienza del cancro comprende fasi cronologiche distinte :prediagnosi, diagnosi, trattamento iniziale, post-trattamento, ricaduta, malattia progressiva, fase terminale/mitigazione del dolore”. Il malato di cancro sente molto il tema della perdita. I pazienti possono pianger la perdita di un seno, dell’utero…possonoperdere le loro attività attinenti al mondo del lavoro, ai contatti sociali e ala capacità di muoversi agevolmente. L a chemioterapia porta alla perditadei capelli, funzionalità sessuale e fertilità possono essere minacciate. Quando il trattamento iniziale è completato vi è la minaccia di ricaduta.

Quando il trattamento iniziale è completato, si tratta di affrontare la minaccia della ricaduta. In questa fase il soggetto dovrebbe essere contento per aver completato la terapia, invece viene di solito sopraffatto dall’ansia. Possiamo osservare come il ciclo di adattamento si ripresenti più volte con le sue dinamiche di:negazione, rabbia ed ansia . In questa fase , in cui il trattamento iniziale è completato, può essere utile il supporto psicoterapeutico al paziente, al fine di permettergli di gestire l’ansia e orientarlo alla possibilità di riprendere l’attività lavorativa. L’ ansia del paziente è spesso la risposta a un problema esistenziale , il rischio di menomazione e di abbandono. Il rientro al lavoro comporta spesso un vissuto di vergogna e perdita della dignità.

Secondo Greenberg(1991), “l’ansia può estendere le sue manifestazioni, presentandosi come insonnia, sentimenti transitori di terrore, pervasività, disforia, crescenti aree di evitamentoe conseguente depressione. Secondo Greenberg(1989),il pessimismo, la scarsa autostima, la tendenza ad autoincolparsi, fanno parte del cosiddetto pensiero negativo che sicuramente non giova al malato di cancro. Secondo la tradizione americana, il pensiero positivo offre una speranza e implica la possibilità di verificare il percorso della malattia. Un intervento di psicoterapia, deve essere mirato anche a dare il coraggio al paziente di riprendere il lavoro.

Possiamo prendere come modello positivo, di persona che fino in fondo ha difeso la sua attività lavorativa, Steve Jobs(1955-2011).

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L’uomo , geniale per la sua creatività, ha sempre rifiutato l’etichetta di Manager ed inventore. Genio della comunicazione e del design, in grado di carpire ed anticipare i bisogni della gente e di sedurla con una tecnologia semplice e nello stesso tempo accattivante, ha combattuto dal 2004 una battaglia contro il cancro al pancreas. Steve Jobs della sua malattia diceva: “La morte ? E’ la migliore invenzione della vita”. Steve diventerà un modello positivo non solo per i suoi prodotti ma anche per il suo carisma e il suo coraggio di fronte alla malattia. Una sola volta, nel 2005, togliendosi la corazza, raccontò agli studenti di Stanford la sua storia di malattia. Di fronte a loro così si esprime: “Il confronto continuo con la morte, “migliore invenzione della vita”, aiuta ad essere lucidi e a mettere in prospettiva i fatti. “ Egli invita poi gli studenti “ a non smettere mai di avere fame e a seguire il loro istinto anche a costo di fare scelte di rottura”.

La malattia diceva Steve Jobs “Mi ha fatto capire che amo la vita , che ho la famiglia più bella del mondo, e che ho il mio lavoro. E’ tutto qui. Non faccio grande vita sociale, non vado ai convegni. Amo la mia famiglia e amo dirigere la Apple, amo laPixar. Sono molto fortunato” (Steve Jobs, 2005). Matteo Pervisale(2011) così esprime : “ Gli ultimi sette anni di Steve Jobs , gli anni della malattia e degli interventi chirurgici e del trapianto al fegato e della magrezza sempre più tragica trasmessa in alta definizione, live, sui computer di tutto il mondo, sono stati anche quelli dei suoi successi popolari più clamorosi. L’iPhone, l’ iHpad, i computer portatili sempre più sottili fino quasi a scomparire-come stava accadendo al loro creatore-che hanno portato la Apple da culto di pochi a gigante che soltanto due mesi fa aveva superato, brevemente, persino la Exxondel petrolio, sola sula vetta dell’economia mondiale”.

SESSIONE4-Staff oncologico e problematiche di stress sul lavoro Lo psicologo del lavoro dovrebbe essere in grado di aiutare lo staff medico e paramedico a controllare lo stress derivante dall’assistere i pazienti con il cancro. Spesso lo staff diviene bersaglio dell’ ira del paziente. Le riunioni di gruppo multidisciplinari rappresentano uno dei mezzi per aiutare i membri dello staff ad affrontare un lavoro di squadra. Risulta fondamentale il confronto sulle problematiche di tipo psicologico e comportamentali della gestione dei pazienti. Lo psicologo del lavoro deve inoltre gestire i conflitti che spesso si verificano tra i membri dello stafff.

SCOPI DELLE RIUNIONI DISTAFF: -aiutare lo staff medico ed infermieristico a relazionarsi con i pazienti attraverso una modalità di comunicazione costruttiva per entrambi. -permettere ai membri dello staff di esprimere le loro reazioni emotive dovute alle situazioni di stress che devono affrontare. -supportare i membri dello staff nella ricerca di strategie per affrontare lo stress dovuto al lavoro svolto

Secondo Fawzyetal. (1977 ), “Le riunioni più riuscite si incentrano inizialmente sulle preoccupazioni dei pazienti più che dello staff. In un programma oncologico ospedaliero , Il gruppo di consulenza psichiatrica ha identificato alcuni problemi e organizzato riunioni di gruppo. Dopo qualche iniziale resistenza da parte dei medici, la riunione è

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diventata un luogo in cui esplorare sentimenti, comunicare ed esprimere il proprio lutto per i pazienti deceduti. Come risultato, l’assenteismo e le richieste di trasferimento da parte del personale paramedico sono diminuiti drasticamente, il personale fisso ha cominciato a trascorrere più tempo nell’unità oncologica e il morale dei pazienti è migliorato…Alcuni ospedali impiegano uno psicologo o uno psichiatra, il cui compito primario è aiutare medici ed infermieri ad affrontare l’angoscia provocata quotidianamente dai pazienti oncologici…Unmodo per aiutare lo staff oncologico a controllare lo stress è avere obiettivi determinati per ciascun paziente e concentrarsi per cercare di realizzarli.

Lo staff si può trovare di fronte a diversi tipi di pazienti ma per nessuno di essi deve venire a meno quello che Alfred Adler aveva definito il compito vitale lavoro. Nelle riunioni di gruppo va sempre affrontato il tema del progetto lavorativo . Tra i pazienti troviamo:-coloro per i quali il trattamento porterà alla guarigione o alla sopravvivenza nel lungo termine , costoro vanno supportati nel riprendere l’attività lavorativa. -coloro per i quali l’obiettivo è il controllo a lungo termine e una buona qualità della vita ,riteniamo sia fondamentale una progettualità lavorativa anche per costoro, magari in termine di rivisitazione/riduzione dei tempi dedicati al lavoro prima della malattia. -Coloro per i quali ci sono previsioni di possibile morte, costoro non devono però sentirsi abbandonati e necessitano di supporto e di possibilità lavorativa/ progettuale fino in fondo . Grandi uomini colpiti dal cancro , seppur prossimi alla morte , hanno sentito un desiderio di attaccamento al lavoro e un senso di utilità fino alla fine.

Sintomi di burn-out nello staff medico SINTOMI FISICI: cefalee, disturbi intestinali, affaticamento cronico, disturbi del sonno SINTOMI EMOTIVI: depressione, distacco, senso di colpa, sfiducia, impotenza MECCANISMI DICONTROLLO DISADATTANTI : ritmi di lavoro alterati (assenteismo, arrivare tardi/andare via presto, controllare sempre l’ora, eccessiva attesa della morte, negatività, chiusura nei confronti dei colleghi e pazienti,crisi di pianto, conflitti familiari, abuso di sostanze (caffeina, nicotina, alcool, droghe).

LEZIONE 28-COMUNICAZIONE EMPATICA NEL CONTESTO LAVORATIVO Cosa s’intende per empatia? Per empatia non s’intende una generica simpatia o una risonanza immediata per situazioni che hanno affinità con la nostra storia, ma una vera abilità di mettersi nei panni dell’altro. L’empatia corrisponde ad un grado di elasticità molto alto delle funzioni intellettuali ed emotive: dalla propria posizione, si deve essere in grado di osservare altri punti di vista e percepire altre sensibilità. L’empatia è il risultato di un ascolto di tipo attivo, che favorisce la comunicazione dell’altro, prestando attenzione anche ai messaggi di tipo non verbale, spesso rivelatori di sentimenti nascosti.

Per lo psicologo umanista Carl Rogers empatia significa: “Capacità di mettersi al posto dell’altro, di vedere il mondo come lo vede costui”.

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E’ attraverso il “clima d’accoglienza”dell’altro che si creano le basi comunicative di una Relazione d’aiuto. Il modello comunicativo della relazione d’aiuto può essere utile anche nell’ambito Della psicologia del lavoro, soprattutto nel caso in cui si verifichi un vissuto Lavorativo di disagio. La relazione d’aiuto nell’ambito lavorativo si attua attraverso il colloquio di Counselling rivolto ai dipendenti che vivono una situazione di crisi.

Comunicazione empatica La comunicazione empatica è “efficace” poiché facilita l’espressione dell’altro e “non è direttiva” in quanto implica : -Accettazione dei sentimenti dell’altro -Comprensione empatica -Congruenza intesa come consapevolezza di ciò che si sta sperimentando nell’interazione comunicativa Il modello di comunicazione empatica, applicata al contesto aziendale, può aiutare a superare i conflitti.

Eisemberge Strayer(1987)considerano la comunicazione empatica come“un’esperienza Affettiva di condivisione”. L’empatia in quest’ottica può essere definita come“una risposta emotiva che è provocata Dallo stato emotivo o dalla condizione di un’altra persona, ec he è congruente con lo Stato emotivo o la situazione dell’altro. La capacità di condivisione empatica può essere educata. Barnett(1987),ritiene che”lo sviluppo dell’empatia e delle risposte comportamentali ad Essa correlate possano essere potenziate da un ambiente che soddisfi i bisogni emotivi propri del bambino, lo incoraggi ad esprimere una vasta gamma di emozioni, gli offra numerose opportunità di osservare e di interagire con altri”.

SESSIONE 3-Modello di CarkhuffCarkhuff ha ripreso i punti salienti del modello rogersiano e cioè: -l’analisi delle disposizioni personali dell’operatore di aiuto -l’articolazione dell’apparato tecnico/metodologico, fondamentale per un’efficace relazione d’aiuto. Ci chiediamo: Quali atteggiamenti personali e dimensioni del Sé rendono positivo colui che aiuta? Quali sono le abilità che si traducono in comportamenti verbali e non verbali di aiuto? Tra le disposizioni personali di chi mette in atto la relazione di aiuto ricordiamo: Genuinità e spontaneità dell’operatore di aiuto “L’operatore genuino non nega la propria personalità ma la esprime”. -Accettazioneincondizionata,cioèmantenereunapositivadisposizione verso la persona cui è rivolto il nostro aiuto

Secondo Rogers, si rende necessario comunicare al cliente il profondo e sincero interesse per lui come persona con potenzialità umane. Comprensione empatica , intesa come comprensione accurata dell’altro “nei suoi significati più intimi e personali come se fossero i propri, senza d’altronde dimenticare che

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in realtà non lo sono”. Carkhuff ritiene che si debba sviluppare anche “un’ecologia relazionale” cioè , come abbiamo accenato in precedenza, l’accoglienza. Carkhufindividua altre due disposizioni attive di chi offre una relazione d’aiuto : -il confronto, inteso come competenza tesa ad abbattere le barriere interne che si frappongono alla maturazione della persona. “Gli obiettivi del confronto sono quelli di aiutare chi richiede aiuto ad esplorare aree di sentimento, esperienza e di comportamento che si è ben guardato dall’esplorare…” -l’immediatezza o relazione mutuale, intesa come capacità di comunicare all’altro in modo diretto, impressioni sul modo in cui si sta svolgendo la relazione nel qui ed ora, all’interno del processo d’aiuto.

Il modello di Carkhuff è bipolare in quanto descrive contemporaneamente la dinamica dei processi intrapersonali ( ciò che succede all’interno della persona man mano che si attua l’aiuto) e la dinamica intepersonale (cioè le abilità relazionali di chi promuove l’aiuto). Il modello di Carkhuffè sequenziale, nel senso della complessità in quanto si sviluppano una serie di abilità via via più complesse ( osservazione, ascolto, preparazione del contesto fino a personalizzazione ,confronto, problemsolving, progettazione ecc.). Il modello è anche bifasico, in quanto evidenzia una fase discendente (interiorizzante) e una ascendente (esteriorizzante). Il modello è sincretico, cioè composto mediante integrazione e non giustapposizione , di diversi orientamenti di aiuto.

SESSIONE 4-Espressione delle emozioni ESPRESSIONE DELLE EMOZIONE L'emozione è un 'espressione della comunicazione. Possiamo definire l'emozione uno stato mentale per mezzo del quale un individuo reagisce alla consapevolezza di una situazione piacevole o spiacevole o a qualsiasi altro aspetto di una situazione che produce benessere o malessere. Non è difficile rendersi conto dell'importanza che le emozioni hanno nella vita lavorativa. Si può asserire che alla base di ogni disagio psicologico, anche di tipo lavorativo, vi sia un'alterazione più o meno grave nella vita emotiva del soggetto.

Le emozioni sono in rapporto diretto con l'azione. Possono mobilitare l'azione o bloccarla. Conosciamolecosenonsoloconlaragionemaancheconlaspintaemozionale. A seconda della condizione emozionale che viviamo, cambia il modo di relazionarci con gli altri. Nel contesto lavorativo è spesso facile sperimentare emozioni di tipo negativo. L’intevento di counselling si pone l’obiettivo di supportare il lavoratore in crisi, nella Gestione delle proprie emozioni distruttive.

Si definisce FRUSTRAZIONE la condizione in cui viene a trovarsi l’organismo quando è ostacolato, in modo permanente o temporaneo , nella soddisfazione dei propri bisogni. Le cause delle frustrazioni, cioè degli ostacoli al soddisfacimento dei bisogni, possono essere diverse.

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Tali causepossono derivare: -dall’ambiente fisico -dall’ambiente affettivo (famiglia, rete amicale) -dall’ ambiente lavorativo esociale in genere -da fattori di tipo personale La frustrazione è un aspetto dalla vita che non può essere eliminato del tutto. Gran parte delle frustrazioni più gravi sorgono nel rapporto con i famigliari e con il lavoro. LEZIONE 29 -FRUSTRAZIONE-AGGRESSIVITA’-CONFLITTO : ASPETTI CARATTERIZZANTI IL CLIMA AZIENDALE SESSIONE 1-Analisi della frustrazioneCAUSE : AMBIENTE FISICO( scarsa illuminazione, freddo, caldo, rumori,spazio inadeguato) AMBIENTE AFFETTIVO ( difficoltà nei rapporti con i familiari e con la rete amicale) AMBIENTE LAVORATIVO (difficoltà relazionali in ambito lavorativo, isolamento nell’ambiente lavorativo, interruzione dell’attività lavorativa per malattia, eccesso di carico di lavoro, monotonia del lavoro, pensionamento ecc.) FATTORI DITIPO PERSONALE (difetti fisici, conflitto tra tendenze incnciliabili…).

E’ possibile osservare, che nell’animale in libertà, il comportamento aggressivo è diretto verso: -La cattura della preda --La difesa --La soddisfazione del bisogno sessuale --L’espansione sul territorio Se si prende in considerazione l’ aggressività dell’uomo è importante valutare i presupposti inconsci ad essa connessi. Freud inquadrò l’aggressività come una manifestazione dell’istinto di morte in lotta con l’istinto vitale. In questa prospettiva , non da tutti condivisa, nell’uomo si osserva una spinta istintuale autodistruttiva. Considerando invece la visione adleriana, non possiamo accettare l’idea che l’uomo sia dominato dall’istinto autodistruttivo, in quanto , secondo la concezione scientifica degli istinti, questi ultimi devono essere invece visiti come fattori di conservazione della specie.

SESSIONE 2-Analisi dell’aggressivitàSecondo il pensiero di Jung, l’individuo tenderebbe invece a vivere inconsciamente due forme di aggressività da lui definite ancestrali. -La prima viene esemplificata dagli eroi epici -La seconda è rappresentata in negativo dall’archetipo dell’ombra. Erich Frommha suddiviso l’aggressività in : -benigno-difensiva ,caratteristica della specie animalel -maligno-distruttiva, acquisita attraverso le esperienze sociali John Dollard sviluppò invece il concetto secondo cui le frustrazioni possono portare all’aggressività. Questa aggressività reattivache origina dalla frustrazione , può continuare a svilupparsi verso la linea del bisogno frustrato o indirizzarsi verso una meta sostitutiva. Per Dollardl’intensità della risposta aggressiva è proporzionata all’intensità della frustrazione. Secondo la concezione di Dollard, l’inferiorità che l’individuo porta con sé sin dalla

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nascita , rappresenta lo stimolo che lo spinge a cercare una via d’uscita per garantirsi un adattamento alla vita.

Lo stimolo, è dunque la pulsione aggressiva che si manifesta già nel bambino piccolo come energia elementare non ancora ben indirizzata. Lungo questo cammino si ergono i primi ostacoli che tendono a definire i confini entro i quali l’aggressività potrà esprimersi. Il bambino in seguito incontrerà le regole , molte di queste riguardano proprio il controllo dell’ aggressività. Possiamo ritenere che l’aggressività violenta del singolo nasce come compensazione negativa di un sentimento o di un complesso d’inferiorità, provocata da situazioni frustranti derivate dall’ambiente; l’ aggressività di più soggetti insieme , è inquadrabile invece come compenso abnorme , suscitato dall’idea fittizia di potenza del gruppo. L’aggressività può essere definita come reazione alla frustrazione che tende alla distruzione, all’allontanamento o a mettere in cattiva luce l’oggetto che è avvertito come causa della frustrazione .

FRUSTRAZIONE– AGGRESSIVITA’-CONFLITTO SESSIONE 3-Modalità di esprimersi dell’aggressivitàAGGRESSIVITA’DISLOCATA: Il bersaglio tipico d un’ aggressione è un agente frustrante. La persona che si ritira dalla lotta probabilmente rimane frustrata e tende a dare libero sfogo alla rabbia indirizzandola su un altro bersaglio. Questo processo è definito aggressività dislocata. E’ stato dimostrato che l’aggressione è generalmente dislocata su una persona che somiglia, per qualche aspetto ,all’agente frustrante originario. Il fenomeno del capro espiatorio, rappresenta una forma di aggressività dislocata che implica un meccanismo chiamato proiezione. Un individuo può proiettare sulla vittima quelle caratteristiche presenti in se stesso e delle quali spesso si vergogna. Nell’aggressività fisica verso gli altri , il soggetto compie gesti minacciosi, colpisce e prende a calci, attacca gli altri causando danni fisici talvolta anche gravi Nell’aggressività fisica contro gli oggetti, il soggetto sbatte le porte, butta giù gli oggetti, prende a calci i mobili, segna il muro, rompe gli oggetti.

AUTOAGGRESSIONE: Se l’aggressività non può essere dislocata, può essere rivolta al’interno in forma di autoaggressione. L’intenzione di danneggiare se stesso, può assumere diverse forme. Si può maltrattare il proprio corpo mangiando, bevendo, fumando, drogandosi. Il soggetto autoagressivosi può graffiare e ferire ,inoltre si pizzica, si strappa i capelli, sbatte la testa. Nei casi più gravi si provoca tagli profondi. Il culmine dell’autoaggressione è il suicidio.

AGGRESSIVITA’ CAUSATA DELL’AGGRESSIVITA’: Un principio fondamentale del comportamento stabilisce che noi, spesso, tendiamo a reagire nello stesso modo in cui veniamo trattati dagli altri. Allaforza, spesso, fa riscontro altra forza. Un esempio è dato dall’aggressione verbale. Il soggetto rumoreggia fortemente, grida

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arrabbiato, urla insulti, impreca e minaccia . In ambito lavorativo , spesso si possono osservare comportamenti aggressivi. Il trattamento dei disturbi e dei sintomi aggressivi non deve essere sottovalutato. Uno stato aggressivo può essere causato ed influenzato da fattori di tipo ambientale e biologici. Il trattamento fa riferimento alle quattro D.

QUATTRO D -DETERMINARE le eziologie delle disfunzioni psicologiche e del sistema nervoso centrale che contribuiscono ai comportamenti aggressivi -DElLINEAREil contesto biopsicosociale nel quale si sviluppano i comportamenti aggressivi -DOCUMENTARE e misurare i comportamenti aggressivi -DELINEARE un piano di trattamento a più livelli.

SESSIONE 4-Analisi del conflittoIl conflitto può essere definito come una situazione in cui forze di valore , approssimativamente uguali, ma dirette in senso opposto, agiscono simultaneamente sull’individuo. TIPOLOGIE DICONFLITTO: Conflitto tra due tendenze appetitive, il soggetto si trova nello stesso tempo di fronte a due obiettivi positivi, ma la natura della situazione è tale per cui egli non può raggiungere che uno dei due. E’ questa la tipica situazione dell’ ”asino di Buridano”che, per non sapere decidere tra due quantità di biada esattamente uguali ed equidistanti, si lascia morire di fame. Conflitto attrazione-avversione,i n questo caso una situazione ha in sé caratteristiche sia positive che negative. Conflitto avversione-avversione, ci si trova tra due oggetti entrambi negativi e spiacevoli. Conflitto tra due tendenze che sono sia appetitiveche avversative. Ad esempio un individuo che svolge una certa attività professionale e al quale viene proposta un’altra attività. Entrambe le professioni hanno caratteristiche sia attraenti che negative.

Se le caratteristiche attraenti o repellenti di ciascun lavoro sono uguali, una volta “sommate”, si verificherà una situazione di conflitto. Conflitto tra ruoli, spesso a suscitare un conflitto non è un oggetto quanto il modello di un comportamento che può essere sintetizzato nel concetto di ruolo. La tematica della gestione del conflitto e in particolare il conflitto tra ruoli è molto presente in azienda. Per l gestire il conflitto, è importante favorire il momento formativo sul tema in oggetto.

LEZIONE 30-LA CARRIERA E IL SUO SVILUPPO SESSIONE 1-Scelta ed evoluzione della carrieraE’ stato evidenziato che il senso di efficacia personale riveste un ruolo importante nella scelta e nello sviluppo delle carriere. Il senso di efficacia può contribuire alle attività di carriera influendo sullo sviluppo degli interessi.

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Secondo la teoria sociocognitiva, fra senso di efficacia ed interessi occupazionali c’è una relazione reciproca ma asimmetrica e le convinzioni di efficacia hanno il ruolo di determinante più forte. Come afferma Albert Bandura(1997), “Le persone che nutrono dei dubbi sulla propria efficacia in alcuni ambiti di attività evitano le occupazioni corrispondenti o non vi si dedicano con l’impegno assiduo necessario per riuscire . Evidentemente , né l’evitamento, né l’insuccesso, favoriscono l’interesse occupazionale. Il senso di efficacia crea l’interesse attraverso il coinvolgimento in alcune attività e le soddisfazioni derivanti dalla conquista di mete personali ,che portano al padroneggiamento progressivo delle attività occupazionali. L’interesse, a sua volta, promuove l’impegno nelle attività, che favorisce ulteriormente l’efficacia personale”.

Secondo Lente al. (1986), “Le convinzioni di efficacia agiscono sulla scelta della carriera attraverso i loro effetti sugli interessi professionali”. Secondo Bandura “Spesso le persone evitano di affrontare la scelta di una carriera a causa delle conseguenze incerte e durature che ciò comporta. Molte si trovano in una situazione di indecisione cronica e continuano a posporre la questione finchèle circostanze non le costringono a scegliere una linea lavorativa. Alcune si lasciano trasportare dagli eventi finchè non finiscono per svolgere un lavoro senza aver esplorato le possibili alternative e senza impegnarsi in qualche settore occupazionale. Il processo decisionale relativo alla carriera non è semplicemente una questione limitata alla scelta di una particolare occupazione ma consiste piuttosto nel diventare abili a risolvere problemi quando le cose non sono facilmente predicibili…Il senso di efficacia per le varie sottoabilità coinvolte nel pensiero decisionale influisce sulla risolutezza con cui vengono compiute le scelte occupazionali e sui ripensamenti fastidiosi in merito alla giustezza della decisione presa “.

Le sottoabilità decisionali sono: -la raccolta di informazioni sulle diverse occupazioni -l’ autovalutazione di capacità ed interessi -la scelta di obiettivi di stile di vita che specifichino le occupazioni appropriate -la pianificazione di corsi d’azione coerenti per raggiungere gli obiettivi selezionati -l’ ideazione di strategie per gestire la moltitudine di problemi che insorgono inevitabilmente in ogni carriera lavorativa. Quanto minore è il senso di efficacia per lo svolgimento di questi tipi di attività esplorative e gestionali necessarie per compiere decisioni di carriera , tanto maggiore è il livello d’indecisione occupazionale (Betz, Klein e Taylor, 1996)

SESSIONE 2-L’autoefficacia nell’ organizzazione lavorativaNella sua analisi del funzionamento occupazionale Ilgen(1994), distingue fra l’esecuzione di mansioni lavorative specifiche e l’adozione di ruoli lavorativi. Nell’adozione di un ruolo , gli individui possono in una certa misura riorganizzare il loro lavoro aggiungendo elementi innovativi o nuove funzioni alle mansioni consuete. Così , un individuo può svolgere un certo ruolo rigidamente mentre un altro può svolgerlo in modo più creativo. Ogni lavoro varia per dimensioni della componente del compito e della componente di ruolo e per lo spazio concesso ad arricchimenti innovativi del ruolo. Coloro i quali, sono sicuri della propria capacità di generare idee e sono orientati positivamente, producono e propongono idee che aiutano a migliorare i processi

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lavorativi. Il funzionamento occupazionale efficace, risulta essere un processo dinamico e chi possiede un senso di efficacia elevato tenderà a svolgere i ruoli occupazionali in modo innovativo, mentre chi ha un senso di efficacia ridotto è incline ad adempiere ai ruoli occupazionali con scarsi elementi personali di arricchimento.

Chi per la prima volta entra in una organizzazione deve adattarsi all’ambiente e sviluppare il proprio ruolo occupazionale. Le rotazioni, i passaggi di proprietà, le promozioni e gli spostamenti geografici, fanno si che i dipendenti debbano sviluppare le abilità necessarie a corrispondere a nuove esigenze lavorative (Dewhirst, 1991). Secondo Bandura, i lavoratori che hanno coltivato varie capacità possono gestire i cambiamenti lavorativi meglio di quelli che possiedono solo poche competenze. Inoltre, al di là delle forme comuni di cambiamento occupazionale , con l’allungamento della vita sono sempre più le persone che cercano varietà e stimoli nella propria esistenza, iniziando una seconda carriera dopo il ritiro dalla carriera originaria. Il ritmo del cambiamento tecnologico afferma Bandura“ è così rapido che oggigiorno le conoscenze e le abilità tecniche divengono rapidamente obsolete , a meno che non vengano aggiornate e adeguate alle nuove tecnologie...per continuare ad avere successo, oggi le organizzazioni devono apprendere a cambiare rapidamente. L’adattamento richiede una buona capacità di proiettarsi nel futuro ma le basi del cambiamento si devono porre nei momenti di successo dell’azienda.

SESSIONE 2-L’autoefficacia nell’organizzazione lavorativaCosì si crea il paradosso di dover cambiare mentre si sta avendo successo. La prosperità aumenta l’autocompiacimento, scoraggia l’interesse per un rinnovamento innovativo e alimenta vicende sociali interne che impediscono il cambiamento”. Si possono individuare tre tipi di cambiamento che sembrano determinare la crescita di un’organizzazione: -La capacità di riconoscere e rispondere rapidamente ai cambiamenti del mercato che si ripercuotono sui prodotti e sui servizi. -Il cambiamento di tipo proattivo, che si basa invece sulla capacità di creare miglioramenti incrementabili nei prodotti o nei servizi esistenti. -Il cambiamento che si basa su innovazioni creative che danno origine a nuovi prodotti, servizi o sistemi di produzione. NELL’OTTICA DELLA TEORIA SOCIOCOGNITIVA, LE ORGANIZZAZIONI NON SI LIMITANO A COLMARE NICCHIE MA NE CREANO DINUOVE. NELL’EFFICACIA INNOVATIVA , LE CONOSCENZE VENGONO SINTETIZZATEIN NUOVI MODI DIPENSARE E DIAGIRE .UN SENSO DIEFFICACIA ELEVATO FAVORISCE LE AZIONI INNOVATIVE.

Secondo Bandura“da un punto di vista interazionista, le soluzioni per la limitazione delle aspirazioni e delle attività occupazionali richiedono rimedi sia sul piano individuale , sia sul piano sociale. Il contributo relativo ai fattori sociali e personali può variare da un individuo all’altro, ma i percorsi occupazionali sono il prodotto di entrambe le fonti di influenza”. Le barriere istituzionali che ostacolano le aspirazioni e lo sviluppo delle carriere

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richiedono rimedi sociali. Il modellamentoè il primo passo nello sviluppo delle competenze. Le abilità complesse vengono scomposte in sottoabilità. Concentrandosi sui singoli elementi che compongono le abilità è molto più facile focalizzare l’attenzione o apprendere. Dopo che le sottoabilità sono state apprese, esse possono essere combinate in strategie complesse ed utilizzate per vari scopi. Il modellamento insegna regole e strategie generali per affrontare diverse situazioni

SESSIONE 3- Valore dell’autoefficacia professionale e modellamentoBandura ci fa riflettere sul fatto che “Le persone imparano varie regole ma spesso le utilizzano poco perché non riconoscono la possibilità di applicarle nelle varie situazioni che incontrano. Le persone non applicano ciò che hanno appreso, o agiscono senza troppo convinzione, anche quando non hanno fiducia nelle loro capacità di riuscirci. Gran parte del lavoro professionale chiede di formulare giudizi e risolvere problemi attingendo dalle proprie conoscenze ed applicando regole decisionali. Per risolvere problemi con competenza è necessario sviluppare la capacità cognitiva di cercare e usare le informazioni pertinenti in modo adeguato. Le persone apprendono le abilità di pensiero e il modo di applicarle osservando le regole decisionali e le strategie di ragionamento utilizzate dai modelli”. Il modellamento e l’esercizio in condizioni simulate sono adatti per creare le competenze.

Il senso di efficacia collettiva ha attinenza anche con ciò che concerne la cultura organizzativa. Questa linea di ricerca concerne i valori, e le convinzioni che sono condivise all’interno di una organizzazione e che modellano le pratiche formali ed informali (Martin, 1992). Il cambiamento socioculturale può essere ostacolato da gruppi che traggono vantaggio dall’organizzazione sociale esistente . Per avere successo un modello di cambiamento dovrebbe comprendere quattro fasi iniziali: -La scelta del contesto ambientale ottimale per l’introduzione delle innovazioni -La creazione di precondizioni necessarie per il cambiamento -La realizzazione di un programma di efficacia dimostrabile per l’adozione delle innovazioni -L’utilizzo della forza degli esempi di successo per diffondere l’innovazione in altri contesti.

SESSIONE 4-Ostacoli al cambiamento socioculturaleL’insuccesso indebolisce le forze favorevoli al cambiamento. Le precondizioni per il cambiamento si affermano, aumentando la consapevolezza in merito alla natura delle innovazioni e ai benefici che possono provenire da esse. Spesso i programmi di cambiamento falliscono perché non vanno oltre la fase preliminare diretta a informare e a modificare gli atteggiamenti verso le innovazioni. La teoria sociocognitivaaffronta il tema della motivazione al cambiamento non come problema di atteggiamenti ma come punto di vista di fattori cognitivi già conosciuti per la loro capacità di regolare la motivazione e l’azione (Bandura, 1991). E’ stato osservato che le persone che hanno più legami sociali risultano avere una

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maggiore inclinazione ad adottare le innovazioni (Rogers e kincaid, 1981). La connessione sociale può favorire l’adozione di nuovi comportamenti attraverso vari processi. Secondo Bandura, “la ricchezza di legami interpersonali può favorire la trasmissione di una maggiore quantità di informazioni attraverso la moltiplicazioni delle occasioni di modellamento”.

Nella comunità, non c’è una rete sociale unica, funzionale ad ogni scopo. Innovazioni diverse coinvolgono reti differenti. Inoltre le reti sociali che contribuiscono all’avvio di un’innovazione possono essere diverse da quelle che ne favoriscono la diffusione.( Coleman Katze Menzel, 1966). Un’azione di cambiamento sociale efficace richiede la fusione di diversi interessi personali in vista di valori ed obiettivi comuni. Un saldo senso di comunità, rappresenta un’importante fonte di sostegno. Per proteggersi dallo scoraggiamento serve , secondo Bandura, un forte senso di efficacia collettiva per il cambiamento ma anche la capacità di proiettarsi in una prospettiva temporale estesa.

SESSIONE 1-Influenza delle transizioni sull’attività lavorativaIl passaggio dall’adolescenza all’età adulta implica diverse transizioni di ruolo. Il giovane adulto si trova a dovere gestire diverse richieste sociali nuove derivanti da vecchie relazioni, dai rapporti coniugali, dalla genitorialità, dall’ingresso in carriere professionali e dalla gestione delle risorse finanziarie. L’inizio di una carriera lavorativa rappresenta una delle principali fasi di transizione dell’età adulta. Raggiunta la mezza età , le persone si adattano a uno stile di vita definito che stabilizza il loro senso di efficacia nelle principali aree di attività. E’ altrettanto vero che i rapidi cambiamenti sociali e tecnologici rendono necessario un adattamento continuo che richiede loro di rivalutare la propria efficacia personale. Nell’ambito del lavoro è facile che le persone di mezza età avvertano la pressione competitiva dei colleghi più giovani. Le situazioni in cui si deve competere per ottenere promozioni , status o anche per conservare il lavoro stesso, costringono a una costante autovalutazione delle capacità attraverso il confronto sociale con persone più giovani (Sula e Mullen, 1982).

Secondo Bandura “L’organizzazione del lavoro sta attraversando grandi trasformazioni e richiede senso di autoefficacia e capacità di autoregolazione…L’arricchimento lavorativo attraverso la rotazione degli incarichi e il lavoro in team con strutture flessibili permettono di avere varietà e nuovi stimoli…La sempre maggiore diffusione degli impieghi a tempo determinato e part-time, della distribuzione del Lavoro, dei subappalti, del telelavoro domestico premia sempre più l’autoefficacia, le capacità di autoregolazione e continuo autosviluppopersonale. Mentre il nuovo mondo del lavoro dà più opportunità per gestire liberamente la propria carriera professionale , crea anche incertezze e instabilità lavorativa. Per le persone con scarso senso di autoefficacia poco sviluppato questa situazione può costituire fonte di stress.

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Vi sono per esempio attività che richiedono un elevato investimento di energie e di tempo anche in funzione di una carriera spesso di durata ridotta. Negli atleti professionisti ad esempio vi è sovente un precoce ritiro dall’attività fisica a causa di infortuni o di riduzione delle prestazioni. Ciò richiederà dunque un riorientamentoprofessionale . Essere disoccupati crea tensioni personali. La transizione da una brillante carriera nello sport ad un nuovo percorso lavorativo risulta spesso difficile per chi ha investito il senso di efficacia quasi esclusivamente nell’attività agonistica. Chi coltiva altri interessi e competenze durante gli anni di agonismo incontra minori difficoltà nell’attuare il passaggio a una nuova occupazione e ritrova un senso di efficacia nella nuova vita. E’ stato osservato che il senso di autoefficacia cala notevolmente durante il periodo di transizione.

LEZIONE 31-LAVORO E TRANSIZIONI SESSIONE 2-Revisione degli obiettiviLa necessità di rivisitare obiettivi eccessivamente ambiziosi e incertezze circa il significato e le mete della propria vita, non contraddistinguono certo in modo esclusivo la mezza età. Si è però constatato che quando tali reazioni si verificano in questa fase evolutiva , vengono subito interpretate come sintomi collegati alla crisi. Secondo Bandura, nella mezza età, le reazioni al bilancio della propria vita possono assumere forme svariate. Vi sono persone che continuano a espandere le loro competenze negli stessi ambiti intorno ai quali hanno strutturato la loro vita. Molte riducono le loro ambizioni e riordinano i loro obiettivi ma continuano ad aggiornare e perfezionare le loro conoscenze e le loro abilità per svolgere la loro attività il meglio possibile. Le opportunità di sviluppo personale esistono sempre. Come altre fasi evolutive la mezza età rappresenta un punto della traiettoria di vita personale . Le convinzioni delle persone riguardo alla loro capacità di gestire la propria vita durante il periodo di pensionamento, misurate quando esso si avvicina, determinano se la transizione viene vissuta con sentimenti di apprensione e avvilimento, come un cambiamento ben accetto che permette di avere il tempo per coltivare altri interessi o come in’ opportunità di rinnovamento personale. (Fretzetal. , 1989)

REVISIONE DEGLI OBIETTIVI L’aumento dell’aspettativa di vita porta in primo piano la necessità di modificare gli atteggiamenti sociali e le pratiche istituzionali affinchè favoriscano la salute e la produttività dell’anziano. Le problematiche legate all’autoefficacia nell’anziano ruotano intorno alla rivalutazione e valutazione erronea della capacità personali. Le concezioni biologiche dell’invecchiamento si concentrano molto sul declino delle capacità. La concezione biopsicosociale dell’invecchiamento, richiama però l’attenzione sulle capacità adattive degli anziani e sulle loro potenzialità di miglioramento del livello personale. La crescita e il declino intellettivo coesistono. Il ragionamento , la risoluzione di problemi e la saggezza, che si basano molto sulle conoscenze specialistiche accumulate, restano

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stabili o possono veramente aumentare con l’anzianità (Baltese Smit, 1990).

I cambiamenti di funzionamento intellettivo connessi all’età variano da una persona all’altra., oltre che a seconda delle abilità cognitive e dei periodi culturali. Secondo Schaie, (1995), “glia anziani che conservano alti livelli di funzionamento intellettivo in età molto avanzata sono individui che si sono istruiti, hanno intrapreso attività intellettualmente stimolanti, si sono mostrati flessibili e soddisfatti dei loro risultati nella mezza età e hanno conservato uno stile di vita salutare”. Secondo Seemane al. (1996), “le convinzioni di efficacia che mantengono uno stile di vita attivo , mantengono l’efficienza delle capacità cognitive”. Internet offre agli anziani notevoli opportunità di apprendimento, che possono essere utilizzate a casa propria e nel momento in cui lo si desidera.

SESSIONE 3-Il ruolo della saggezzaLa saggezza è tradizionalmente descritta come il possesso di conoscenze superiori e di capacità di discernimento acute . Secondo Bandura, “ ogni occupazione umana comporta dilemmi e problemi su come dare uno scopo alla propria vita e sentirsi realizzati. La saggezza ha a che vedere con le occupazioni, che strutturano gran parte della vita, e non solo con la grande questione del significato dell’ esistenza….Questa dote richiede , oltre a una capacità di giudizio superiore , un’ampia prospettiva sociale e temporale sulle cose e l’interesse per il benessere umano “. Le analisi della saggezza tengono in considerazione i consigli sulla gestione dei problemi della vita . La saggezza viene trasmessa attraverso il modellamento piuttosto che con lunghi discorsi. Benchè la saggezza sia fondata su conoscenze specialistiche è qualcosa di più vasto. Gli esperti che hanno una visione ristretta del loro settore di attività, o che utilizzano le loro conoscenze specialistiche per scopi egoistici o distruttivi, non possono essere considerati modelli di saggezza . Baltesdefinisce la saggezza come” una conoscenza della vita basata su una grande esperienza e un acuto discernimento nella gestione della complessità e delle incertezze della vita”. Molte complessità e incertezze della vita riguardano anche l’attività lavorativa.

SESSIONE 4-Il ruolo della memoria

Le persone anziane tendono a valutare le modificazioni delle loro capacità basandosi sulle prestazioni mnemoniche.

Diverse concezioni della memoria possono avere effetti diversi.

Gli anziani manifestano idee diverse a proposito della memoria. Alcuni considerano la memoria come capacità biologica che non è personalmente controllabile e si riduce con l’età. Altri la considerano come un insieme di abilità cognitive che possono essere sviluppate e controllate con l’impegno. La riduzione dell’impegno cognitivo contribuisce alla tendenza a dimenticare, a prescindere dalle condizioni fisiche della persona.

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Le diverse concezioni della memoria sono correlate alle prestazioni mnemoniche. L’ idea che la memoria sia una facoltà cognitiva, facilita le prestazioni mnemoniche, mentre l’idea che la memoria sia una capacità biologica in declino le ostacola.

Quanto meno gli anziani credono nelle loro facoltà mnemoniche, tanto peggiore è l’uso che fanno delle loro capacità cognitive. Le convinzioni di efficacia esercitano i loro effetti attraverso processi cognitivi, affettivi e motivazionali. L’autoefficacia può migliorare le prestazioni mnemoniche motivandola persona a elaborare cognitivamente le esperienze a un livello più profondo. Le scoperte di West, Berry e Powlishta(1983), suggeriscono che le convinzioni di efficacia possono influire sul funzionamento della memoria anche attraverso la modalità affettiva. E’ risaputo che molti cambiamenti psicosociali e fisici associati all’invecchiamento provocano crisi di depressione.

LEZIONE 32-I lavori usuranti Si definiscono lavori usuranti tutti quei mestieri che minano in modo serio e grave il fisico. Essi provocano un’elevata incidenza di tumori e malattie professionali . L’incidenza è molto più alta rispetto alla media della popolazione. NORMATIVA: D. lgs. 374 dell’11 agosto 1993, D.M. 19 maggio 1999, Legge 247 del 24 dicembre 2007

Il decreto ministeriale del 19 maggio 1999, Legge 247 del 24 dicembre 2007 , evidenzia i mestieri caratterizzati dalla maggiore gravosità dell’usura. Essi sono: -Lavori in galleria, cava o miniere -Lavori nelle cave -Lavori nelle gallerie -Lavori in cassoni ad aria compressa -Lavori svolti dai palombari -Lavori ad alte temperature -Lavoratori del vetro cavo -Lavori svolti in spazi ristretti -Lavori di asportazione dell’amianto -Lavori notturni -Lavori notturni -Turnisti -Autisti - SESSIONE 2 Descrizione‐  minatori‐ lavoratori della pietra palombari‐In Italia i minatori sono concentrati maggiormente nelle Regioni Sardegna e Piemonte. I rischi per la salute sono molto elevati. La malattia più conosciuta è la silicosi. E’ causata dall’esposizione prolungata al biossido di silicio. Si tratta di una malattia polmonare che crea difficoltà respiratorie, tosse, scompensi di tipo cardiaco, tubercolosi Si può verificare anche l’avvelenamento da mercurio, che causa disturbi intestinali, gastrici, disagi motori e psichici.

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Lavoratori delle cave : sviluppano malattie all’udito. I danni connessi alle polveri causano la silicosi. La malattia dei palombari : colpisce chi lavora nei cassoni subacquei. I sintomi sono dolori muscolari, paralisi agli arti, perdita della coscienza. Lavoratori del vetro ( concentrati a Murano, in Toscana e Campania) sono esposti a rischi legati all’ambiente di lavoro come ad esempio la temperatura molto alta Lavoratori del vetro soprattutto presenti a Murano nel Veneto ma anche in Toscana e Campania. Il rischio è rappresentato dall’elevata temperatura . Inoltre le polveri possono risultare cancerogene. Sussiste il rischio di contrarre silicosi. Lavoratori in fonderia.I maggiori rischi riguardano l’apparato respiratorio (flogosi respiratorie croniche, bronchiti croniche, dispnea da sforzo) Lavoratori dell’amianto . E’ stato stimato che solo in Italia circolino tuttora circa 33 milioni di tonnellate di materiali contenenti amianto. A tutt’oggi i lavoratori deceduti per malattie causate da amianto sono numerosi. Tra le più pericolose malattie causate dall’amianto citiamo: il mesotelioma . Secondo tale decreto si devono considerare lavori usuranti: Sezione A - -i lavori in galleria, cava o miniera, cioè le mansioni svolte con carattere di prevalenza e continuità in sotterraneo -i lavori nelle cave,cioè quelle mansioni svolte dagli addetti alle cave che hanno a che fare con materiale di pietra e ornamentale -i lavori nelle gallerie, svolti con prevalenza e continuità -i lavori in cassoni ad aria compressa , i lavori dei palombari -i lavori ad alte temperature -i lavori del vetro cavo, cioè le mansioni dei soffiatori di vetro -lavori svolti in spazi ristretti (intercapedini, pozzetti, doppi fondi, di bordo) Sezione B -lavori notturni -lavoratori impegnati in lavori a turni -lavori impegnati per l’intero anno lavorativo

SESSIONE 3-Decreto Salvi del 1999DECRETO SALVI DEL 1999 Sezione C -lavoratori addetti alle linee a catena Sezione D -conducenti di veicoli, di capienza complessiva non inferiore a nove posti, adibiti a servizio pubblico e trasporto collettivo SESSIONE 4 Problema‐  del  riconoscimento  Il problema del riconoscimento dei lavori usuranti risulta assumere un ruolo rilevante. Risulta importante la differenziazione tra i vari tipi di attività lavorativa. In un’ottica di tutela della salute, si rende sempre più necessario porre attenzione a questa tematica. Lo stile di vita lavorativo può migliorare o peggiorare la salute sia fisica che psicologica. Sempre più si rende necessaria una politica di controllo sulla qualità della salute in relazione alla tipologia di attività lavorativa svolta.

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Le persone devono avere una conoscenza dei potenziali pericoli connessi allo svolgimento di alcune mansioni lavorative. Non si tratta di creare timori per la salute ma di promuovere una cultura della prevenzione da rischi da lavoro.

Le persone devono possedere una conoscenza dei potenziali pericoli connessi all’attività lavorativa svolta. Ciò che serve è sapere come regolare il proprio comportamento ed essere convinti della propria capacità di trasformare le preoccupazioni in azioni preventive efficaci. E’ importante che vengano promosse efficaci informazione sui potenziali pericoli per la salute rispetto ai lavori usuranti. Si rende necessario distinguere fra modelli sociali e modelli personali della salute. Le abitudini rilevanti per la salute non sono completamente sotto il controllo della persona , ma sono il prodotto dell’interazione di fattori sociali ed individuali. Come sostiene Bandura, “la qualità della salute di una nazione è anche una questione sociale “. Riteniamo che l’approccio al problema dei lavori usuranti sia una questione sociale. Dunque un approccio alla promozione della salute , che possa dirsi completo , dovrebbe occuparsi della modificazione delle pratiche sociali nocive, tra cui possono trovare posto anche i lavori usuranti, invece di interessarsi soltanto al cambiamento delle abitudini individuali. Certi cambiamenti richiedono l’eliminazione di condizioni pericolose nell’ambiente di lavoro .

LEZIONE 34- L’UTILIZZO DELLO PSICODRAMMA NELLA FORMAZIONE SESSIONE 1-Caratterisitche generaliJacob Moreno è considerato l’ideatore della tecnica dello psicodramma. Si deve a tale autore l’idea rivoluzionaria di aiutare l’individuo intervenendo sul suo sistema di relazioni interpersonali. Con Moreno vengono introdotti i cosiddetti “metodi attivi”. In essi si fa ricorso al linguaggio del corpo e ad una regia terapeutica basata sul fare più che sul dire. E’ interessante osservare come lo psicodramma morenianotenda ad utilizzare gli stessi strumenti dell’esperienza teatrale, e più precisamente: il palcoscenico, il regista, il soggetto, gli assistenti, il pubblico. Il palcoscenico diviene lo spazio che consente al soggetto di esprimere se stesso e il suo disagio. Il regista svolge il compito di mantenere il legame tra soggetto e pubblico. Gli assistenti rappresentano prolungamenti del regista e stanno a rappresentare le persone immaginate o reali presenti nel dramma, nel nostro caso, della vita lavorativa del soggetto. Uno dei punti fondamentali dello psicodramma è il gioco di ruolo (roleplayng). Per Moreno, il ruolo,ha un aspetto personale, drammatico e sociale ed è messo in evidenza dai vari modi di agire dell’uomo. Il “gioco di ruolo”, consiste dunque nella rimessa in discussione di problemi legati ai propri ruoli esistenziali, tra cui il lavoro, che vengono “giocati”, scambiati e reinterpretati. Come sostiene Moreno, l’utilizzo del gioco di ruolo, ha lo scopo di insegnare a dirigere la propria attenzione verso i ruoli che si giocano nelle varie situazioni esistenziali, senza

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perdere di vista i ruoli giocati dagli altri membri con cui si entra in relazione. In quest’ottica il gioco di ruolo diventa importante perché permette al soggetto di vivere i propri ruoli sociali come atti spontanei che egli stesso crea continuamente , abbandonando i modelli dei ruoli rigidi e forzati, appresi nel proprio ambiente di vita. I problemi vissuti nellopsicodramma sono problemi della vita affettiva e lavorativa. Diventano così oggetto del cosiddetto gioco drammatico: l’odio, l’invidia, la gelosia, la solitudine, le relazioni con i colleghi di lavoro, con i capi…

SESSIONE 2 –Analisi del vissuto aziendale attraverso la tecnica dello psicodrammaLo psicodramma, applicato durante i momenti formativi in azienda, ha un effetto liberatorio per i partecipanti alla formazione. Attraverso lo psicodramma è possibile giocare il reale o l’immaginario, il possibile, il probabile o l’impossibile. Lopsicodramma può aiutare a gestirele cosiddette “emergenze emotive” che si sviluppano con elevata frequenza nei contesti lavorativi . Analizzando le ” emergenze emotive “ che si generano nei contesti organizzativi, Gian Piero Quaglino evidenzia la dinamica dell’invidia. L’invidia , secondo Allcorn, è un sentimento che riconduce al vissuto di chi lo prova, di nonessere riconosciuto e di sentirsi vittima di un’ingiustizia. Quaglino (2004) ritiene che , “nello specifico della vita organizzativa, sono fonti d’ansia tutte quelle vicende in cui veniamo (o ci sentiamo) minacciati , trattati ingiustamente, aggrediti emotivamente o psicologicamente, umiliati o frustrati. Il vissuto emotivo della rabbia (ad esempio) può originare da azioni reali o solo immaginate, da gesti compiuti in prima persona da qualcuno o da eventi assolutamente impersonali:un collega che diviene improvvisamente minaccioso, un supervisore che critica un nostro piccolo errore durante una riunione, ma anche un danno al PC …oancora l’arrivo dell’ennesima circolare che cambia le carte in tavola…Mala rabbia può anche essere considerata come un agente correttivo o una motivazione a ristabilire l’ordine, a restaurare il senso di sicurezza e autostima. In questo caso non si tratterebbe tanto di un’emozione secondaria, quanto di un’emozione appresa, capace di dare vita al cambiamento”.

Sempre secondo Gian Piero Quaglino: “Il luogo del lavoro è peraltro anche un ricettacolo delle ansie portate da casa , delle angosce familiari, dei dissidi parentali, dei conflitti coniugali o delle insoddisfazioni genitoriali. Lo spostamento della rabbia generata da tutte queste possibili fonti,sui propri colleghi, piuttosto che, più in generale,sulla situazione, influisce pesantemente sulla qualità della vita lavorativa…Quando, peraltro, la situazione di vita familiare è difficile, oppure si configura come un’area critica, è possibile che gli individui investano moltissimo sul contesto lavoro, anche per quello che riguarda la costruzione della loro identità, la definizione del loro senso di competenza e di efficacia, l’orgoglio e la capacità di realizzazione”. Prosegue Quaglino:”può valere , naturalmente, anche il discorso inverso, quando è l’organizzazione la fonte d’insoddisfazione e di disagio, quando il contesto di lavoro è percepito come ostile e non supportivo, allora la famiglia e la casa possono essere il serbatoio di raccolta della rabbia organizzativa, riversata altrove, semplicemente spostata”. Il vissuto di rabbia può essere espresso attraverso la tecnica dello psicodramma.

Il tema della “narrazione”, arricchito da studi significativi quali quelli di Duccio Demetrio 132

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(1996),può assumere significato anche nell’ambito delle organizzazioni. Come afferma Quaglino (2004), “le organizzazioni esistono veramente non tanto in quanto esistono gli attori organizzativi, ma piuttosto in quanto la loro rappresentazione di sé è messa in scena: si potrebbe dire, cioè, che è il loro raccontarsi che fonda la vita organizzativa e non viceversa. Con questo, forzando, si potrebbe giungere al’estremo di considerare che ciò che veramente esiste sia solo il racconto, sarebbe l’ironia del paradosso: l’ unico dato autentico è la finction…Nonè la vita organizzativa a contenere i racconti ma sono piuttosto i racconti a contenere la vita organizzativa “. La tecnica dello psicodramma genera dunque racconti che contengono le dinamiche della vita organizzativa.

SESSIONE 3-La narrazione attraverso lo psicodrammaIl narrare e il narrarsi attraverso lo psicodramma, in quest’ottica, diviene elemento insostituibile prioritario di un percorso evolutivo. Il tema della cura, nell’ambito della vita organizzativa, attraverso il narrare e il narrarsi (in un’ottica di lettura psicodinamica),divengono espressione della possibilità di migliorare i rapporti tra organizzazione ed individuo. Si tratta di favorire lo sviluppo di una situazionedi armoniatra organizzazione e componenti della stessa. Attraverso l’utilizzo della tecnica dellopsicodramma, viene messo in atto un processo rieducativo, che ha lo scopo di ridare un senso al sistema della vita organizzativa aziendale. Possiamo parlare di terapiadell’organizzazione aziendalerivolta ai gruppi ma anche mirata a dare un senso alla propria vita lavorativa personale.

SESSIONE 4- Il significato formativo della narrazione attraverso la tecnica dello psicodrammaGian Piero Quaglino evidenzia il concetto di “tensione narrativa” e lo interpreta come “una corda” tesa verso una possibile verità. In quest’ottica: “Ogni storia ha la sua; ogni racconto ha il suo narratore , ogni narratore ha la sua sceneggiatura e ogni raccontare ha la sua intenzione…Ogni giorno ci si trova , del resto, impegnati soprattutto a raccontare la nostra vita organizzativa: anche nel silenzio, nell’ostinazione a non parlarne, nonostante le sollecitazioni degli altri, in quel rinchiudersi in sé che a volte ci può catturare quando appunto non abbiamo voglia di raccontare. Episodi e casi, avvenimenti ed eventi, vicende e vicissitudini: tutti “ incidenti”, tessere infinite della nostra vita organizzativa , pezzi di vita vissuta, frammenti idi vita vera la cui verità appunto, è inscritta ( e così, qualche volta anche “scritta”) in ciò che è o sarà raccontato: per il nostro bisogno , anzitutto, di ” trama”…Il narrare allora si fa territorio e mappa al tempo stesso: ancor più, in sintesi totale, si fa cammino”.

Raccontare il disagio vissuto all’interno di contesto organizzativo, attraverso lo psicodramma, significa raccontare una brutta storia e una brutta storia deve essere interpretata come un incidente di percorso. Il raccontare assume il significato di azione trasformativache aprirà la strada al cambiamento. Come affermava William Whyte, ancora nel lontano 1956 : “L’organizzazione è stata creata dagli uomini: gli uomini la possono mutare”.

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LEZIONE 35-APPLICAZIONE DELLE TECNICHE DIPSICODRAMMA ADLERIANO AL CONTESTO AZIENDALE SESSIONE 1-Caratteristiche generaliAfferma Pier Luigi Pagani (medico e psicoterapeuta, tra i maggiori esperti del pensiero adleriano in Italia) : “Alfred Adler, come avvenne in altri campi, ebbe un ruolo di precursore anche in quello delle dinamiche di gruppo. All’inizio, egli affrontò il settore, prendendo lo spunto dal campo pedagogico, con l’organizzare gruppi di insegnanti e di genitori nel periodo del suo impegno sociale a Vienna . Anche la sua impostazione didattica fu largamente articolata sulla discussione ampia e informale dei contenuti della sua dottrina, che stava via via prendendo corpo”.

“I concetti ispiratori dello Psicodramma, risultano assai congeniali alla linea psicologica adleriana, la cui peculiarità consiste, infatti, nell’analizzare ciascun uomo visto mettendo a fuoco la sua individualità irripetibile, sempre dinamicamente inserita nei rapporti con i suoi simili e con la collettività. In tale ottica, lo studio di un'azione scenica gestita da due o più persone costituisce una preziosa verifica dei diversi stili di vita. Anche le prospettive di recupero, basate secondo la linea individualpsicologicasulla revisione delle compensazioni negative e sulla loro sostituzione in senso produttivo, possono trarre facilitazione e incremento dai dinamismi presentati nel gioco scenico”.(Pier Luigi Pagani,1985)

La psicodramma adleriano di gruppo Secondo Pier Luigi Pagani (1985), : “Le linee guida dello psicodramma adleriano di gruppo sono così riassumibili: I vantaggi dello psicodramma su base psicodinamica, secondo l’indirizzo individual psicologico, scaturiscono dal confronto con le problematiche altrui e dal collaudo relazionale multiplo, sia nella fase di sondaggio che in quella di recupero. I membri del gruppo hanno piena libertà di scelta delle tematiche da presentare. I partecipanti assumono, però, l'impegno a una compartecipazione emotiva con gli altri membri, secondo quanto è previsto dal modello adleriano. Tale compartecipazione non deve, in ogni modo, censurare la diversità delle opinioni, che deve essere finalizzata verso un rapporto mirato alla comprensione e all’aiuto, pur nel possibile contrasto dì tesi. Scopo del conduttore o dei conduttori, coadiuvati spontaneamente da qualche membro fra i più collaborativi del gruppo, è quello di far risalire il soggetto dalle problematiche attuali ( nel nostro caso lavorative) alle loro matrici lontane, anche attraverso l’utilizzo delle tecniche psicodiagnostiche tipiche della Psicologia Individuale: l’analisi dei compiti vitali, l’indagine sui componenti della costellazione familiare del soggetto e sull’esplorazione dei suoi primi ricordi d’infanzia”.

SESSIONE 2- Riferimenti allo psicodramma di Moreno Lo psicodramma Lo psicodramma, è una tecnica psicoterapeutica di gruppo, messa a punto da Jakob Levy Moreno nel 1946, con l’intento di trattare le malattie mentali, sostituendo la relazione medico-paziente con un rapporto d’interazione reciproca all'interno di un gruppo terapeutico. Jakob Levy Moreno, psicologo e sociologo di origine romena, è nato a Bucarest nel 1892 ed è morto a New York nel 1974. Ha studiato all’Università di Vienna, dove fu anche

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allievo di Sigmund Freud. Nel 1925 si trasferì negli Stati Uniti per dedicarsi alla pratica psichiatrica e all'insegnamento. È considerato il caposcuola della sociometria, un metodo di misurazione quantitativa delle relazioni interpersonali dei gruppi, attuato mediante dei reattivi, detti test sociometrici o psicometrici. Tali test tendono a cogliere le strutture interne dei gruppi spontanei in base all'analisi delle scelte positive o negative fatte dai membri dello stesso gruppo e a valutarle in un secondo tempo con l'ausilio di un procedimento grafico detto sociogramma. È proprio alle teorie sociometriche che si ricollega la tecnica di terapia di gruppo, da Moreno denominata "psicodramma".(Pier Luigi Pagani, 1985)

Lopsicodramma consiste sostanzialmente in un'improvvisazione scenica su di un tema, scelto da un soggetto, in base ai suoi cattivi funzionamenti, alle sue distorte finalità, alle sue esigenze motivazionali, o alle sue fantasie. Il soggetto, in veste di attore, il terapeuta, in qualità di conduttore, l’eventuale co-conduttore, e gli altri protagonisti del-la recita, detti “io ausiliari”, sono i membri dell'equipe terapeutica. Alla rappresentazione possono assistere degli spettatori (nelle forme di psicodramma che lo consentano o che richiedano la loro presenza), i quali dispongono della facoltà di intervenire con partecipazioni libere di vario tipo, identificandosi a vari livelli con il ruolo svolto dall'attore principale, se da loro ritenuto conveniente. Tale procedimento mira a ottenere l'attualizzazione dei conflitti inconsci attraverso la “catarsi”. Il conduttore e il co- conduttore, oltre alla loro funzione primaria di raccogliere e di esaminare i dati che emergono dalla rappresentazione scenica, hanno il dovere di badare che lo svolgimentocomplessivo sia contenuto nei giusti limiti (Pier Luigi Pagani,1985).

Il soggetto rivestendo ruoli che corrispondono ai suoi bisogni, ai suoi problemi e alle sue fantasie, ma anche, talora, assumendo la parte di persone con cui è in conflitto (alle quali si rivolge sulla scena come a dei propri alter ego), può meglio comprendere quanto e che cosa la società gli richieda e trarre il giovamento che deriva dalla sua migliorata percezione sociale. Il dialogo che si realizza fra gli attori, come pure i soliloqui, spesso particolarmente significativi, possono assumere una funzione catartica, riuscendo a fornire, talora, elementi opportuni all'assestamento del soggetto (Pier Luigi Pagani, 1985).

SESSIONE 3-La catarsiL'efficacia terapeutica dell’espressività di elementi conflittuali nel senso di “catarsi di condotta”era già conosciuta molto tempo prima dell’ideazione dello psicodramma, in quanto essa corrisponde a un bisogno dell’uomo di assumere un ruolo di con-dotta che gli permetta di scaricare, abreagendo, una tensione emo-tiva ancorata nel profondo del suo essere (si pensi, per esempio, alla condotta infantile nel gioco, al carnevale, alla commedia dell'arte, ecc.). La catarsi deve essere distinta dall’insight, ossia da quella percezione netta e immediata di fatti esterni o interni, dalla semplice individuazione di conflitti o dal riconoscimento delle motivazioni d'ansia, avendo questi ultimi un significato terapeutico molto più limitato dal punto di vista emotivo. Il processo di scarico dell'emozione, bloccata da una difesa, a volte, avviene in forma di reviviscenza, con sfogo di grida, di collera e di pianti, che conduce, alla fine, a un rilassamento. .

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In Psicoanalisi, s’intende per “abreazione” la scarica emozionale attraverso la quale un soggetto si svincola da esperienze traumatizzanti o da situazioni conflittuali (Pier Luigi Pagani,1985).

SESSIONE 4-Psicodramma analitico adlerianoLo psicodramma analitico adleriano Prendiamo, innanzi tutto, in considerazione i più frequenti danni iatrogeni che le forme di psicodramma catartico in precedenza praticate hanno dimostrato di indurre nei soggetti, con incidenze statistiche significative: -reazioni emotive all'obbligo di recitare per chiamata; -reazioni ai ruoli attribuiti per imposizione; -reazioni, particolarmente preoccupanti, al ruolo di vittima e di capro espiatorio; -frustrazioni degli esclusi quando esiste una monopolizzazione dei ruoli da parte di uno o più partecipanti; -risposte frustrate o traumatizzate alle interpretazioni dei trainer, troppo sporadiche, sintetiche e non vagliate dalla discussione. Come altri indirizzi di psicoterapia dinamica, anche la Scuola di Psicologia Individuale ha avanzato alcune proposte di modifica dello psicodramma, orientandolo in senso analitico. (Pier Luigi Pagani,1985).

Come altri indirizzi di psicoterapia dinamica, anche la Scuola di Psicologia Individuale ha avanzato alcune proposte di modifica dello psicodramma, orientandolo in senso analitico. Le prime innovazioni in merito sono emerse dalla sperimentazione effettuata in Italia nel 1979 dal Gruppo Lombardo di Studio sullo Psicodramma Adleriano, condotto da Francesco Parenti e da Pier Luigi Pagani, sotto il patrocinio della Società Italiana di Psicologia Individuale. Esse sono: -accesso al gioco scenico per libera scelta e non per chiamata; -selezione dei temi di recitazione tramite un’approfondita discussione preliminare dei partecipanti; -aggiunta, alla seduta di recitazione (da condursi in piena libertà), di una successiva seduta analitica di gruppo, da svolgersi con l'impegno preliminarmente assunto di osservanza del sentimento sociale adleriano; -disponibilità costante dei trainer per colloqui individuali separati, di sicura utilità, per i soggetti iperreattivi all'azione o alla discussione e per coloro che tendono ad autoescludersi ( Pier Luigi Pagani, 1985).

L’ APPLICAZIONE DELLO PSICODRAMMA ANALITICO A LIVELLO AZIENDALE RICHIEDE LA MESSA A PUNTO DIPRECISE TECNICHE PER LA FORMAZIONE DIPSICOLOGI CONDUTTORI DIGRUPPO E DIPSICODRAMMA.

LEZIONE 36-IL COUNSELLING INDIVIDUALE E IL COUNSELLING DI GRUPPO SESSIONE 1-DefinizioneIl counselling sia individuale che di gruppo è uno strumento utile per la gestione del disagio lavorativo. E’ solo liberandosi da schemi mentali preconcetti che si possono affrontare i problemi,

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osservandoli da una nuova ottica, per orientarsi in senso finalistico verso nuove possibilità. Attraverso il counselling, si attivano le capacità decisionali del soggetto, per aiutarlo a trovare una personale modalità di cambiamento. Il counselling individuale è una particolare modalità di scambio comunicativo colloquiale , fra uno psicologo formato alle tecniche di counselling e un soggetto che vive una situazione di disagio (ad esempio lavorativo), che ha lo scopo di favorire il passaggio ad una situazione di cambiamento, in un tempo relativamente breve.

Lo schema esemplificativo dell’intervento di counsellingindividuale prevede: -Definire insieme al soggetto la situazione di disagio -Individuare strategie per rendere possibile un piano di cambiamento -Stabilire con chiarezza i punti che possono mettere in atto un cambiamento -Esaminare tutte le situazioni sperimentate in precedenza senza successo -Includere nella strategia di cambiamento anche la possibilità di insuccesso -Messo in atto il cambiamento, stabilire un piano di verifica dello stesso

Il counsellingdi gruppo, applicato al contesto lavorativo, è una particolare modalità di scambio comunicativo, fra uno psicologo preparato al compito e un ristretto gruppo di persone bisognose di supporto, che ha lo scopo di favorire il riassetto di una situazione, al momento difficoltosa, in un tempo relativamente breve. L’istanza del riassetto può riguardare le difficoltà di una sola o più persone nell’ambito del gruppo e può interessare tutta l’area del rapporto interpersonale. I concetti alla base del counsellingdi gruppo risultano essere congeniali alla linea psicologica adleriana, che ha per assunto lo studio dell’individualità irripetibile per ciascuna persona, inserita dinamicamente fra gli altri. La prospettiva del cambiamento,nell’ottica della psicologia individuale, è basata prevalentemente sulla modifica delle compensazioni negative e può essere facilitata dal confronto del singolo con le altre persone , sotto la guida dello psicologo esperto.

SESSIONE 2-Counselling e modelli teorici di comunicazioneDa un punto di vista teorico, la strategia di comunicazione del counselling, può attingere ai principi che si basano sullo studio della pragmatica della comunicazione umana, ispirata alla scuola di Palo Alto ( Paul Watzlawick, P., Beavin, J. H., Jakson). “…una comprensione migliore della comunicazione ci insegna una nuova visione dei problemi umani, ci costringe anche a riesaminare i nostri vecchi modi di trattare tali problemi.” (WATZLAWICK,P. (1976), La realtà della realtà, Asrolabio, Roma).

ANALISI DEI CONCETTI DI: -CONTESTO -REGOLE -RELAZIONE -ASPETTI VERBALI E NON VERBALI -RICHIESTE CONTESTO: Il contesto è rappresentato non solo dal luogo materiale dell’azione ma anche dall’insieme dei contesti privati (familiari, sociali, culturali…), che ciascuno dei partecipanti all’azione

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porta con sé. Il contesto percepito da un dato soggetto può essere diverso da quello concepito da un altro soggetto, pur nell’ambito della stessa comunicazione. Inoltre un contesto che appare incoraggiante per un elemento può apparire scoraggiante per un altro. REGOLE: Ogni tipo di comunicazione è caratterizzata da regole. Il contesto determina le regole di ogni nostra comunicazione. E’ importante comprendere a quali regole risponde il nostro tipo di comunicazione e quali sono le regole che le altre persone coinvolte nella relazione comunicativa stanno impiegando mentre comunicano con noi.

RELAZIONE: Relazione complementare up, si verifica quando a una delle persone impegnate nella comunicazione viene riconosciuta una posizione di superiorità. Relazione complementare down, si ha quando una o più persone impegnate nella comunicazione si trovano in una situazione di subordinazione nell’ambito della comunicazione stessa. Relazione simmetrica, si manifestano quando le persone impegnate nella comunicazione non accettano posizioni di subordinazione. Si verifica la cosiddetta escalation simmetrica.

ASPETTI VERBALI E NON VERBALI: Nell’ambito della psicolinguisiticaassume rilevanza anche lo studio degli aspetti paralinguistici. Si definiscono come paralinguisitici i significati trasmessi dal tono della voce, dal ritmo, dalle pause, dall’esitazione, dal’enfasi. Possiamo includere in questo settore anche la gestualità, gli sguardi, la mimica facciale, i manierismi che si verificano quando i gesti di una persona perdono di naturalezza. RICHIESTE: E’ fondamentale saper leggerele richieste, spesso costituite da significati nascosti, che un soggetto può avanzare attraverso il suo modo di comunicare.

SESSIONE 3-Vissuto di scoraggiamento e difficoltà lavorativeLa tecnica dell’incoraggiamentorappresenta un aspetto rilevante in ogni tipo di sforzo correttivo e può essere applicata anche al contesto aziendale. La comprensione del termine incoraggiamento non può prescindere dall’analisi del suo opposto che è lo scoraggiamento. Chi a livello aziendale necessita di un intervento di counselling individuale o di gruppo è spesso portatore di un vissuto lavorativo di scoraggiamento. Loscoraggiamento, come afferma Pier Luigi Pagani,“è la mancanza o la perdita di coraggio, che, oltre essere il contrario della paura , è anche una modalità di sentire e di operare in contrapposizione ai pericoli e alle loro conseguenze…allapari del disagio anche loscoraggiamento porta a paralizzare ogni progettualità “. Riprendere coraggio, rispetto ai problemi lavorativi, significa riattivare la fiducia in se stessi, riappropriarsi della capacità di affrontare le situazioni contingenti e anche quelle difficili da prevedere.

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Come afferma Pier Luigi Pagani : “Chi non si considera all’altezza del proprio lavoro, assume d’abitudine un atteggiamento sfiduciato e rinunciatario non appena gli si prospetta un impegno che ritiene troppo difficile o troppo gravoso; ma se, invece, gli si crea un’atmosfera stimolante , improntata al rispetto reciproco e alla fiducia , si solleciterà in lui la capacità di pensare in modo creativo…Seappare il disagio, lo Stile di Vitarimane alterato: il livello di autostima si abbassa a tal punto da annullarsi, si diviene timidi, paurosi, vulnerabili. E’ indispensabile individuare lo scoraggiamentoal suo primo manifestarsi e promuovere tecniche, da parte dello psicologo, adatte a reinfondereal lavoratore il coraggio per affrontare la vita.

Coloro i quali, in ambito lavorativo non si considerano “all’altezza” tendono spesso ad assumere un atteggiamento rinunciatario e di sfiducia di fronte ad un impegno ritenuto difficile o troppo gravoso. Si rende necessario ,nei confronti di questi soggetti, creare un ambiente stimolante in cui si sollecitino le capacità di pensare in modo creativo. E’ necessario individuare lo scoraggiamento al suo primo manifestarsi. Dreikurse Cassel hanno individuato alcuni punti utili ad alimentare la spinta vitale per il cambiamento di un soggetto. Ne sono stati selezionati e rielaborati alcuni ritenuti da noi validi anche in ambito lavorativo: -aspirare a un miglioramento, anche minimo, senza ricercare la perfezione. -apprezzarela situazione di impegnoche i soggetti mettono in atto per raggiungere i risultati -non considerare mai gli errori come se fossero degli insuccessi -stimolare il soggetto, senza però porgli degli obiettivi che vadano oltre le sue reali capacità.

SESSIONE 4-La tecnica dell’incoraggiamento nel contesto lavorativo-Aiutare il soggetto ad accettare i propri punti di debolezza -Stimolare la persona a ricercare in se stessa i punti di forza . -Aiutare la persona a vincere l’atteggiamento di pessimismo che accompagna lo scoraggiamento. Si può osservare come gli aspetti di competitività, caratterizzanti gli ambienti lavorativi, rinforzino la tendenza a vissuti di frustrazione. La frustrazione genera atteggiamenti difensivi che portano la persona a deviare verso “il lato non utile della vita”, generando mancanza di fiducia in se stessi e scoraggiamento. Il counselling lavorativo deve fornire al soggetto le capacità strategiche per aiutarlo a trovare la sua personale modalità di cambiamento. Ribadiamo l’importanza di liberarsi dagli schemi mentali preconcetti per affrontare i problemi in una nuova ottica finalistica.

LEZIONE 37-Burnout e comportamento organizzativo

Sessione 1-Analisi del fenomenoDel burnout sono state date numerose definizioni e molteplici interpretazioni, a partire dal lavoro di Freudenberger(1926-1999), il quale per primo utilizzò il termine per indicare “ uno stato di affaticamento o frustrazione nato dalla devozione a una causa, un modo di vita o una relazione che hanno mancato di produrre la ricompensa attesa”. In questa prima accezione , l’espressione burnout(scoppiato), sta ad indicare uno stato di

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insoddisfazione lavorativa, in termini fisici e psicologici, secondaria al mancato raggiungimento di un obiettivo prefissato dal soggetto. Freundenbergeraveva rilevato l’esistenza di questa sindrome osservando l’attività di un gruppo di volontari presso un servizio sanitario di base. Per questo motivo, le successive ricerche sull’argomento si sono centrate sulle professioni d’aiuto, ritenendo che il burnout fosse un fenomeno tipico non tanto delle attività stressanti in sé e per sé, quanto delle attività che implicano un coinvolgimento soggettivo nella soddisfazione dei bisogni dell’utenza ; quello che accade appunto negli operatori delle “Helpingprofessions“.

I modelli teorici più esplicativi per indicare le caratteristiche del fenomeno sono quelli di (Cherniss,Maslache Jackson). Chernissdefinisce burnout“una strategia di adattamento che ha conseguenze negative sia per la persona che per l’organizzazione”. Il modella della Maslach, scompone il concetto di burnoutin tre dimensioni: -ESAURIMENTO EMOTIVO : svuotamento delle risposte emozionali. Si presenta quando una persona si sente di aver oltrepassato il limite e si sente incapace di affrontare un progetto. -DEPERSONALIZZAZIONE : atteggiamenti di distacco e di cinismo. Si ha quando una persona assume un atteggiamento freddo o distaccato nei confronti del lavoro e delle persone che incontra sul lavoro, riducendo al minimo il proprio coinvolgimento. -REALIZZAZIONE PERSONALE: crollo dell’autostima, senso di inefficienza percepita come inadeguatezza. Se l’ambiente lavorativo non riconosce l’aspetto umano del lavoro, il rischi di burnout aumenta.

Analizzare il burnout, implica prendere in considerazione le seguenti variabili: -Variabili lavorative , relative all’organizzazione del lavoro, all’ambiente fisico e sociale con cui il lavoratore deve misurarsi, e a tutte quelle condizioni che oggettivamente possono provocare alti livelli di tensione e di logorio psicofisico quali : scarsa autonomia, ambiguità di ruolo, bassa remunerazione e scarse prospettive di carriera, insufficienti strutture ed attrezzature, scarso riconoscimento sociale, carico di lavoro eccessivo, feedback inesistenti o insufficienti, monotonia del lavoro, mancanza di supervisione, carente circolazione delle informazioni, interferenze di vario tipo. -Variabili personali, relative all’esperienza , al vissuto emotivo e alla struttura della personalità del singolo lavoratore. -Variabili di gruppo, relative alle relazioni tra colleghi, con gli utenti, alla coesione di gruppo nel contesto lavorativo in genere.

L a scala Maslachdel burnout(MBI) è utilizzata dalle organizzazioni e dai ricercatori per valutare come i dipendenti vivono il lavoro. Consiste in un questionario che fornisce una prospettiva sull’energia, il coinvolgimento e l’efficienza dei dipendenti sul lavoro. Ci sono tre versioni del questionario. -HumanService Survey(Questionario sui servizi alla persona) adatto a chi lavora nell’ambito dei servizi. L’EducationSurvey, indicato per gli educatori. Il General Survey(questionario generale) applicato a persone impegnate in una vasta

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gamma di professioni.

La supervisione è uno strumento volto a migliorare l’efficacia e l’efficienza del gruppo di lavoro poiché sostiene i processi individuali di motivazione, di gratificazione, di vissuto emotivo e di crescita personale. Attraverso la supervisione si possono arginare le azioni di fattori disgreganti quali lo stress lavorativo, la frustrazione , le difese messe in atto nei confronti dell’utenza. La supervisione è occasione di elaborazione collettiva degli eventi che costruiscono la storia dei singoli e del gruppo, nella ricerca di significati condivisi in grado di divenire cultura di gruppo e di trasformare gli eventi in esperienze. (SbattellaF., in Atti Congresso,1995) Se pensiamo ad esempio a chi lavora nel settore socio-sanitario o educativo, siamo consapevoli della necessità di una supervisione costante effettuata da psicologi /psicoterapeuti qualificati.

La supervisione assume significato di tempo e luogo in cui i lavoratori possono condividere, rielaborare i propri vissuti di disagio e le impotenze che possono derivare dal contatto con situazioni difficili (ad esempio, nel contesto sanitario, la morte dei pazienti). Rilevante risulta essere la possibilità di condivisione della responsabilità. La supervisione costituisce un momento fondamentale di verifica, di confronto e diviene spazio educativo permanente.

SESSIONE 3-Il ruolo del supervisoreCompito del supervisore è quello di facilitare la rielaborazione di aspetti dell’esperienza individuale e collettiva, favorendo il processo introspettivo sui processi emotivi. Nella supervisione si affronteranno le modalità di manifestarsi dell’ansia, del senso di colpa, della precarietà ed dell’ impotenza. Dare un sostegno ai lavoratori attraverso la supervisione , influisce positivamente anche sul contesto organizzativo.

Il supervisore deve permettere ai lavoratori di mettersi in gioco affinchè i sistemi valoriali di riferimento di ciascuno, diventino oggetto di costruttive discussioni di gruppo. L a storia del gruppo, attraverso la supervisione, diviene mezzo di cambiamento ed innovazione. Il supervisore deve aiutare il gruppo “a non smarrirsi” e supportarlo nel rispetto di quelle regole etiche fondamentali per lo svolgimento della propria professione. Il supervisore ha il ruolo di favorire nel gruppo lo sviluppo di dialogo creativo e costruttivo, finalizzato alla gestione delle problematiche di vissuto lavorativo.

Si rende necessario mettere in atto una strategia organizzativa mirata a prevenire le ituazioni di burnout. Ciò è possibile solo se si conoscono in modo chiaro le aree di funzionamento della vita organizzativa. E’ importante verificare la capacità dei dirigenti di creare “senso di comunità” tra i collaboratori. I dirigenti devono collaborare nella prevenzione del burnouted essere disponibili ad

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investire in progetti di supervisione, counsellinge formazione.

SESSIONE 4-Prevenire il burnoutSono state svolte diverse ricerche a livello internazionale, mirate a classificare i fattori di stress lavorativo che possono causare burnout. La BritishMedical Associationha classificato i seguenti fattori, sui quali si dovrebbe, a nostro avviso, intervenire per prevenire il fenomeno in oggetto. CITIAMO: -FATTORI INTRINSECI AL LAVORO LEGATI ALLA RIPETITTIVITA’ DEL COMPITO E ALLA DIFFICOLTA’ DIADATTAMENTO A NUOVE TECNOLOGIE -FATTORI ORGANIZZATIVI LEGATI ALLA MANCANZA DIAUTONOMIA E POTERE DECISIONALE, NONCHE’ MANCANZA DICOMUNICZIONE AI VARI LIVELLLI. -FATTORI LEGATI ALLA PROSPETTIVA DICRESCITA PROFESSIONALE -FATTORI LEGATI AL RUOLO ISTITUZIONALE E DIRESPONSABILITA’ PER LE PERSONE AFFIDATE, AMBIGUITA’E FORTE COINVOLGIMENTO EMOTIVO

Se prendiamo come esempio la categoria dei docenti, possiamo notare che i fattori legati al compito, siano spesso causa di grave disagio. Come affermano G. Favrettoe C. M. Rappagliosi in “Lo stress lavorativo dell’insegnamento nelle ricerche straniere, (2009) : “Gli scarsi risultati degli alunni, la mancanza di progresso nel rendimento e i veloci cambiamenti dei metodi didattici, costituiscono motivo di frustrazione ed ansia per i docenti. Inoltre tra le cause di stress figura il doversi bilanciare tra i compiti di tipo peagogico/didattico e il dover provvedere ad altri compiti come intrattenere rapporti con il dirigente scolastico e con le famiglie, consigli di classe…”. Da quanto possiamo osservare, il ruolo, può costituire un fattore di disagio per il docente. Non si deve poi trascurare lo scontro tra aspettative ideali e condizioni reali di lavoro che possono minare la motivazione personale .

La definizione dello strumento d’indagine, riveste nell’ambito della ricerca un ruolo rilevante. Lo strumento d’indagine deve rispettare i seguenti criteri: -OGGETTIVITA’ di applicazione e interpretazione -PRECISIONE nella misurazione Nell’utilizzo dello strumento d’indaginesi deve tenere in considerazione : -lo scopo -il livello culturale dei soggetti -il numero di soggetti da raggiungere -la variabilità e possibilità di previsione delle risposte.

LEZIONE 38-IL QUESTIONARIO SESSIONE 1-Strumento d’indagineIl questionario si basa sulla tecnica di autosomministrazione. Il questionario propone per iscritto domande o affermazioni cui il soggetto risponde , scegliendo tra la gamma , di risposte previste. Il questionario deve essere corredato da istruzioni precise, tali da consentire ai soggetti autonomia di risposta. L a somministrazione può essere individuale o di gruppo.

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Gli item, sotto forma di domande o affermazioni, possono essere indirizzati alla raccolta di informazioni di varia natura : dati demografici e socioanagrafici, comportamenti, abitudini, atteggiamenti, opinioni, aspirazioni, interessi, motivazioni… Si possono prevedere modalità di risposta diverse, a seconda che le domande siano aperte o chiuse. Nelle domande aperte, il soggetto, è libero di formulare idee e fornire precisazioni, relativamente a determinate tematiche oggetto d’indagine del questionario.

Attraverso le domande chiuse, utilizzate in gran misura nei questionari, è possibile ridurre il numero delle risposte ambigue e si possono semplificare le modalità di elaborazione dei dati raccolti. Le domande chiuse si distinguono in : -Domande con alternativa (si/no) -Domande a scelta multipla (domande per le quali è possibile scegliere una tra più risposte indicate) --Domande a risposta multipla ( domande alle quali si può dare più di una risposta , poiché le categorie definite non si escludono a vicenda ) -Domande filtro (rinviano a seconda della risposta data a diverse sottoparti del questionario stesso)

SESSIONE 2-Scale di rispostaLe scale utilizzate per classificare le risposte per la misurazione delle caratteristiche di tipo soggettivo sono denominate SCALE DIACCORDO. Gli item che richiedono livello di accordo sono caratterizzati da affermazioni con le quali si essere o non essere in accordo. Tra le suddette scale citiamo la scala di Likert. Si prevedono 5 risposte alternative: Molto favorevole, favorevole, indifferente, sfavorevole, molto sfavorefoleoppure d’accordo, abbastanza d’accordo, non so, piuttosto in disaccordo, in disaccordo. SCALE DIVALUTAZIONE: si richiede una classificazione dell’item lungo una particolare dimensione bipolare (esempio buono-cattivo) Sia le scale di accordo che di valutazione rientrano nelle cosiddette scale di rating Completamente . __. __ . __ .__. __. __. Completamente in disaccordo 1 2 3 4 5 6 in accordo

SCALE DIFREQUENZA: Sono simili alla Likert, invece del livello di accordo si richiede la frequenza di una certa azione: sempre , spesso, a volte, raramente, mai. Le scale di risposta di questo tipo permettono di misurare e valutare livelli di personalità, in quanto si può richiedere quanto spesso un certo comportamento si verifica. ILDIFFERENZIALE SEMANTICO: Gli estremi della scala di valutazione possono essere composti da coppie di aggettivi bipolari . Il tipo di scala è conosciuta come : il differenziale semantico. 1. ALTRUISTA 1 2 3 4 5 EGOISTA 2. FIDUCIOSO 1 2 3 4 5 DIFFIDENTE

Nella stesura del questionario occorre tenere presente i criteri di precisione e chiarezza. 143

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Il questionario è uno strumento di comunicazione , la cui funzione è quella di trasmettere al soggetto l’esatto significato dell’informazione richiesta. Bisogna prestare particolare attenzione : -Al vocabolario e alla scelta delle parole -Alla disposizione razionale delle domande -Alla sequenza delle domande -Al numero delle domande Inoltre nella costruzione di un questionario si deve cercare di definire le categorie di risposta in modo esaustivo. Si può aggiungere alle categorie di risposta “altro”, invitando magari a chiarire cosa si intende per altro.

E’ importante utilizzare regole coerenti per la decodifica e conseguente registrazione dei dati. Altrettanto utile sarà fornire istruzioni su come compilare il questionario . Prima di cominciare la rilevazione vera e propria , si effettua di solito una prova di somministrazione ad un gruppo ristretto di soggetti. Questo procedimento viene definito PRETEST. Il PRETEST permette di verificare : -l’applicabilità dello strumento -la sua adeguatezza di misurazione -l’ affidabilità delle risposte

SESSIONE 4-Verifica attraverso il pretestLe valutazioni effettuate attraverso il PRETEST, sono mirate a verificare: efficacia, efficienza e funzionalità delle strumento e delle singole domande di cui si compone lo strumento stesso. In modo particolare si presterà attenzione a : -Ricerca della lunghezza ottimale delle domande e del questionario -Funzionalità della sequenza delle domande -Correttezza dell’impostazione grafica -Comprensibilità del linguaggio utilizzato per la formulazione delle domande e nelle risposte -Presenza di item troppo difficili per comprensione llessicale -Presenza di domande ridondanti

IL PRETEST PERMETTE DIVERIFICARE LO STRUMENTO ED IDENTIFICARE POTENZIALI PUNTI DICRITICITA’ DELLO STESSO. PARTICOLARMENTE UTILI RISULTANO LE OSSERVAZIONI DELLO PSICOLOGO DELEGATO ALLA SOMMINISTRAZIONE DEL PRETEST. LO PSICOLOGO AVRA’ IL COMPITO DIPROPORRE SUGGERIMENTI PER ELIMINARE I PUNTI DICRITICITA’ EVIDENZIATI NELLA SOMMINISTRAZIONE DEL PRETEST.

LEZIONE 39- TECNICHE DI OSSERVAZIONE IN PSICOLOGIA DEL LAVORO SESSIONE 1- Modalità di raccolta dei dati: osservazione direttaPossiamo ritenere che nessuna tecnica di raccolta dei dati risponda a requisiti di perfezione.

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Webb, Campbell, Schwartz, Sechreste Grove, (1981) evidenziano alcune fonti invalidanti la misurazione. Tali fonti fanno riferimento sia ai soggetti oggetto della ricerca, sia a coloro i quali effettuano la ricerca. Rappresentano fattori invalidanti: -la consapevolezza di essere esaminati. I soggetti possono cioè tendere a valorrizzare l’immagine di sè, ad aderire a standard culturali per compiacere l’interlocutore. -Anche il tipo di esperienza personale di colui che effettua la ricerca può influenzare il soggetto. Oltre al colloquio e al questionario, di cui abbiamo già parlato, può risultare interessante soffermarsi sulla tecnica dell’osservazione diretta

L’osservazione diretta ha il vantaggio di permettere di ricavare campioni rappresentativi del comportamento. E’ di fondamentale importanza, nell’ambito della psicologia del lavoro, definire chi e che cosa si deve osservare. Si dovranno inoltre stabilire i tempi di osservazione direttae le categorie di osservazione in grado di rappresentare indicatori attendibili del comportamento oggetto di studio. Gli indicatori possono essere di tipo : -Situazionale -Psicologico -Fisico -Gestualità -Postura -Sguardo -Distanza interpersonale -Ricchezza di vocabolario -Postura -Espressioni facciali Le procedure di osservazione si avvalgono in genere di GRIGLIE. L e griglie supportano l’osservatore nella sistematizzazione delle osservazioni mentre vengono raccolte. L’osservazione diretta consente la messa in evidenza di una vasta gamma di comportamenti sia verbali che non verbali, nel momento stesso in cui si manifestano, consentendo così di conoscere globalmente il soggetto. L’osservatore psicologo, deve avere una elevata preparazione professionale. SESSIONE 2-Modalità di raccolta dei dati:diariLa tecnica del diario, rappresenta una modalità di raccolta dei dati di tipo soggettivo e trova applicazione oltre che nell’ambito clinico anche in quello del lavoro. Viene richiesto al soggetto di registrare situazioni, emozioni, atteggiamenti, comportamenti, che si verificano in un determinato periodo di tempo (turno di lavoro, ingresso al lavoro, pausa di lavoro, giornata lavorativa…). Si tratta di un’autosservazione, in cui il soggetto riceve precise istruzioni e spesso deve compilare anche una griglia appositamente messa a punto per l’autosservazione. Spesso si richiede al soggetto di osservare altre persone che fanno parte del contesto. Il diario permette di evidenziare desideri, interessi, conflitti, aspirazioni, caratterizzanti il soggetto che interagisce con il contesto lavorativo di appartenenza.

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SESSIONE 2-Modalità di raccolta dei dati:tecniche proiettiveI materiali proiettivi, per l’osservazione in psicologia del lavoro,consistono prevalentemente in frasi , storie da completare, raffigurazioni non ben definite. La peculiarità di tale materiale è rappresentata dall’ambiguità dello stimoloe dalle numerosissime risposte che possono suscitare nel soggetto. Tali strumenti non sono rigidi e stimolano il soggetto a manifestarsi apertamente nel proprie caratteristiche di personalità. I materiali proiettivi possono essere usati anche come situazione stimolo per raccogliere dati di tipo verbale che saranno comparati con quelli del colloquio e dell’osservazione diretta.

SESSIONE 3-Modalità di raccolta dei dati : focus groupIl focus group è una tecnica che si caratterizza per il setting e la modalità di attuazione. Millward, (1995), definisce il focus group:”un’intervista basata sulla discussione di un gruppo di persone , che produce un particolare tipo di dati qualitativi”. Il focus group, nacque come modalità di studio della comunicazione di massa , durante la seconda guerra mondiale. Gli attori del focus group sono il gruppo dei partecipanti e il conduttore. E’ importante la “focalizzazione della discussione” che si deve attivare a partire da uno stimolo che può essere concreto oppure astratto. Gli stimoli impiegati possono essere svariati (immagini, associazioni di parole…). Il focus group può essere impiegato sia per acquisire informazioni , sia per porre interrogativi. Lo psicologo, conduttore del focus group, deve favorire l’esprimersi delle valenze razionali ed emotive che caratterizzano i componenti del gruppo.

Il numero di partecipanti al focus group dovrebbe essere compreso fra i 5 e i13. La durata di una sessione di focus group è di circa due ore. L a discussione, spesso, viene videoregistrata. Il materiale raccolto deve essere trascritto con attenzione. Le modalità di attuazione del focus group necessitano di una progettazione con particolare attenzione alla selezione degli stimoli che saranno utilizzati. Risulta importante la standardizzazione delle procedure da seguire.

Utile può risultare l’impiego delle tecniche che permettono di misurare le reazioni psicofisiologiche di un soggetto nei confronti di un determinato evento. Il loro impiego, risulta complesso perché richiede l’utilizzo di specifiche apparecchiature e tempi di applicazione abbastanza lunghi. L’obiettivo dell’utilizzo di queste tecniche consiste nell’evidenziare l’inizio, l’esecuzione, il mantenimento, il completamento di quegli eventi comportamentali, caratterizzanti le relazioni, che si possono verificare tra fattori di tipo psicologico, percezione e riconoscimento dello stimolo, indicatori di situazione e risposta di tipo fisiologico. E’ stato possibile osservare le modificazioni a livello fisiologico che si accompagnano a stati psichici quali: ansia, collera, stress… Possiamo notare che stati di collera, ansia, stress sono caratteristici di soggetti che sono impegnati nel mondo del lavoro.

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SESSIONE 4-Modalità di raccolta dei dati : tecniche psicofisiologicheAd esempio la misurazione dell’ampiezza della pupilla può indicare, nel caso di allargamento accettazione e nel caso di restringimento rifiuto. Per quanto riguarda lo stress si deve prestare attenzione alle catecolamine, indicatori dell’attività del sistema nervoso simpatico, quando il soggetto sta vivendo una situazione stressante. Per l’applicazioni di queste tecniche complesse , si richiedono attrezzature speciali e competenze approfondite .

LEZIONE40-L’USCITA DAL MONDO DEL LAVORO SESSIONE 1-Importanza del mantenimento di legami sociali durante il Il mantenimento dei legami sociali, rappresenta un aspetto fondamentale per la qualità dell’invecchiamento. Il pensionamento,i trasferimenti, le perdite, provocano grandi cambiamenti nella vita delle persone. I cambiamenti chiamano spesso in causa la messa in atto di abilità interpersonali, in quanto diviene indispensabile, per la sopravvivenza, coltivare relazioni sociali che possano favorire l’adattamento e il raggiungimento di un benessere personale. Possiamo ritenere che ,negli anziani, se viene a meno il senso di efficacia sociale, si assiste ad un aumento di vulnerabilità allo stress e alla depressione. Mayor e al., (1990) , citati da Bandura, affrontano la tematica dei benefici del sostegno sociale .” Il sostegno sociale non è semplicemente un paracolpi…i conoscenti modellano atteggiamenti ed abilità di fronteggiamento, incentivano a partecipare ad attività positive e motivano gli altri dimostrando che se ci si impegna con perseveranza si possono superare le difficoltà. Il sostegno sociale, con la sua funzione abilitante, aumenta il senso di efficacia di fronteggiamento”.

Baltes, (1988), ha osservato che vi sono alcuni fattori di tipo sociale che contribuiscono ad un comportamento dipendente messo in atto dagli anziani. E’ stato osservato che l’ambiente sociale favorisce la dipendenza dei residenti in case di riposo, lasciando poco spazio alle manifestazioni d’indipendenza. L’inevitabiltàdella dipendenza risulta essere uno stereotipo dell’invecchiamento. Riteniamo che, se l’anziano non si trova di fronte a gravi problemi salute fisica, può evitare la dipendenza sociale. Attraverso la relazione di sostegno, è possibile migliorare lo stile di vita . Un anziano può essere in grado di gestire le sue attività quotidiane indipendentemente , chi è portatore di qualche disabilità può vivere indipendentemente con l’ausilio di qualche servizio di assistenza. Paradossalmente è stato osservato che nei contesti istituzionali, la dipendenza diviene un fattore di relazione sociale. Gli studi di Baltes(1996), hanno evidenziato che è importante distinguere tra la dipendenza dagli altri e la ricerca di aiuto in aree di limitazione funzionale finalizzata alla preservazione della propria autonomia. Troppo spesso la vita all’interno di istituzioni viene resa routinariae la limitazione della possibilità di controllare personalmente gli eventi può avere un costo sul piano del benessere psicobiologico

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Il processo di invecchiamento avviene all’interno del contesto sociale ed è influenzato dalla struttura del contesto. Possiamo ritenere che, chi ha rinunciato all’occupazione lavorativa per il sopraggiunto pensionamento e ha sviluppato competenze specialistiche trasferibili, ha più facilità , rispetto ad altri, di costruirsi nuove attività che diano loro soddisfazione e senso alla vita. Oggi, un valido contributo alla possibilità di mantenere attivo il proprio senso di efficacia, è costituito dalla possibilità di esprimersi, dopo il pensionamento, nel volontariato sociale. Ad esempio nell’ambito delle “Università della terza età”, meglio chiamate con il termine delle “ Tre età “ ( per evidenziare la possibilità di scambio relazionale tra fasce d’età diverse), ritroviamo molti docenti pensionati che trasferiscono le loro competenze e il loro sapere , ciò permette loro di mantenere elevato il loro senso di autoefficacia. Il contesto delle “ Università della Terza età e delle tre età”, conosciute in Italia e nel mondo come UNITRE, rappresentano un valido contributo al mantenimentodei legami sociali.

SESSIONE 2-Il ruolo della cultura Bandura, riproponendo il pensiero di Schooler, (1987) così si esprime: “I ruoli assegnati agli adulti più anziani impongono alcuni limiti socioculturali alla conservazione e alla coltivazione di competenze cognitive. E’ più facile invecchiare bene per chi con l’età avanzata non sperimenta ingenti discontinuità nella sua occupazione principale. Gli scrittori continuano a scrivere,i pittori a dipingere,i direttori d’orchestra a dirigere, i professori a insegnare, gli agricoltori a coltivare la terra; altre attività professionali per le quali si possiedono le risorse necessarie possono essere perseguite fino alla tarda età…Con il passaggio alla vecchiaia, tuttavia la maggior parte delle persone subisce una perdita di risorse , di ruoli produttivi e di accesso a opportunità e attività stimolanti. Gli ambienti monotoni, che richiedono poco sotto il profilo del ragionamento e delle capacità di giudizio, peggiorano il funzionamento cognitivo; quelli intellettivamentestimolanti lo migliorano”. Dunque, possiamo ritenere , che quanto più l’ambiente in cui vive l’anziano è privo di stimoli culturali, tanto più il suo funzionamento sociocognitivosi deteriorerà.

Featherman, Smith e Peterson(1990), ritengono che “il corso della vita individuale in età avanzata sia il prodotto delle transazioni fra le caratteristiche personali e le opportunità che le società forniscono agli anziani”. Dunque si può asserire con Bandurache “ parte del deterioramento cognitivo associato all’età dipende dall’espropriazione socioculturale delle basi necessarie per l’esercizio o delle attività cognitive, e non è qualcosa di intrinseco allo stesso processo di invecchiamento. Nelle cultureche assegnano agli anziani ruoli influenti e privi di senso e che non si aspettano molto da loro, ci vuole un forte senso di efficacia per ricostruire e conservare una vita produttiva…Influenzandoil livello di coinvolgimento in attività, il senso di efficacia personale contribuisce a mantenere l’efficienza cognitiva per tutta la vita adulta…Frai fattori strutturali che ostacolano la continuazione della vita produttiva figurano le aspettative di ruolo e le norme sociali che riducono le opportunità e gli incentivi per l’esercizio delle competenze che gli anziani possiedono”. E’ importante rimuovere le barriere culturali che impediscono all’anziano la continuazione di una vita significativa.

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SESSIONE 3-Prevenire il disagioL’uscita dal mondo del lavoro crea , soprattutto nelle prime fasi, un certo disagio. Abbiamo osservato come la cultura, giochi un ruolo fondamentale nel supportare chi si trova , in seguito al pensionamento, a dover rimodellare le proprie abitudini di vita. Duccio Demetrio (1997), ci riporta la “metafora degli orologi” : “ Se il ciclo vitale, nel passato , era contrassegnato, socialmente e tradizionalmente , da eventi con un significato sociale ben preciso (per esempio scuola, matrimonio, figli, mondo del lavoro, pensionamento), eventi simili non hanno lo stesso significato nel mondo odierno…Le constatazioni dei ricercatori ci dicono che “l’orologio sociale” che marca le tappe della vita è diventato più fluido. Le lancette vanno avanti e in dietro sulla base delle scelte, del caso, delle opportunità che una vita sociale più complessa induce. Non è però questo l’unico orologio che possediamo. I passaggi e le transizioni in età non soltanto adulte sono regolati da trasformazioni della temporalità di tipo prettamente personale…l’orologio personale sposta le lancette in base alla propria organizzazione temporale, e quando la persona non si sente più in tempo di rimodellare il senso della propria esistenza , subentra la disperazioone”.

Prosegue Demetrio: “Crisi dovuta al fatto di non avere più alcun rapporto con gli orologi della vita; né con quello sociale (fattore di identificazione storica) , né con quello psichico (fattore di identificazione intrapsichica). L’educazione, in quanto opportunità data agli individui di rigenerare le proprie energie,di ritualizzarsi in quanto strategia che intende incidere sulla dimensione temporale , dovrà allora assecondare tanto la “metaforica” ricarica degli orologi sociali ( conferendo, fino al limite della vita,il senso di poter spostare le lancette..), quanto quella degli orologi interiori, riempendole vite attuali di occasioni che rendano vitali i vissuti psicologici…semolteplici sono gli “orologi” adulti, occorre che le istituzioni pubbliche e del privato sociale oproduttivo nell’occuparsi di educazione in questa età aiutino e facilitino la messa a punto dei vari tempi sulla base di molti “orari” diversissimi, che scandiscono i tempi sia della domanda formativa sia di quella educativa”. Le Università della terza età e delle tre età, rappresentano oggi una valida risposta del privato sociale , all’esigenza di prevenire il disagio attraverso la promozione di un processo formativo ed educativo continuo.

Riteniamo fondamentale offrire alle generazioni in transizione verso la senilità, proposte culturali di tipo educativo /formativo. Come afferma Demetrio : “La psicologia adulta deve avere la possibilità di scegliere liberamente la propria carriera educativa , lunga o breve che possa essere…allepossibili tipologie di offerte dovremmo aggiungere criteri di ordine topologico : mediante i quali identificare attrezzature e spazi permanenti di aggregazione adulta…Si tratta di possibili ambienti di vita educativa tanto molteplici, quanto concentrabili e collegabili da connessioni funzionali…Luoghi polivalenti, dunque , in cui possano trovare posto i bisogni di una cosiddetta area funzionale ( finalizzata o meno a titoli di studio), quanto i bisogni di un’area creativa: dal turismo culturale, ai corsi di lettura-comunicazione, arte, spettacolo, musica, corporeità, ecc. L’ interazione e l’ integrazione devono essere tali da rendere visibile alla prima , alla seconda e alla terza età adulta che la continuità e il mutamento ( ciò che si sa già fare viene arricchito;ciò che non si sa si impara per la prima volta) possono convivere, e l’una trasformarsi nell’altro a seconda delle esigenze e degli “orologi” tanto sociali che individuali…Il rapporto dell’adulto con l’educazione è la capacità di trasformare

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in esperienze significative gli avvenimenti quotidiani grazie anche alle risorse vitali; in quanto ricerca di un vissuto di cambiamento e di un rinnovamento”.

Assume un ruolo importante la figura dello psicologo progettatoredelle attività del tempo libero per l’anziano. Lo psicologo/progettatore, deve essere in grado di predisporre le condizioni per promuovere il processo educativo/formativo rivolto all’anziano. Fondamentale sarà, da parte dello psicologo/progettatore, far sperimentare all’anziano la dimensione del lavoro, la dimensione emotivo-relazionale, la dimensione ludica . Come sostiene anche Demetrio (1998), “ Si tratta di mettere il soggetto nella condizione di vivere momenti di negotium (lavoro, discussione…),auditorium (ascolto dell’altro, racconto di vissuti…),otium (produzione di immaginario, progettazione…).Alla fine di un’esperienza educativa, tale tridimensionalità, può costituire uno strumento di verifica capace di dirci se indizi di cambiamento sono rintracciabili e, a quel punto, se la transizione a un vissuto di formazione c’è stata. La giusta dosatura tra negotium, auditorium, otium può infatti costituire il fattore di successo di un’iniziativa educativa in età adulta”.

SESSIONE 4- Ruolo dello psicologo/progettatoreDa un punto di vista metodologico lo psicologo/progettatoredovrà favorire nell’anziano : -la capacità di confrontarsi con esperienze concrete capaci di riattivare vissuti significativi -la motivazione a educarsi -la capacità di analisi e riprogettazione Lo psicologo/progettatore, deve tenere in considerazione, nell’ aiutare l’anziano a proggettarele sue attività , come afferma C. Saraceno (1986), che “gli adulti si trovano in una situazione in cui non hanno essi stessi modelli di adulto chiari e univoci cui riferirsi, ma devono costruirsi un mondo mutuato rispetto a quello in cui sono cresciuti e si sono progettati come adulti”. Afferma Demetrio:”Il problema si pone a livello di compiti peculiari della fase di mezzo della vita e della tarda età adulta,detti di transizione, ovvero finalizzati alla ricerca di nuovi adattamenti e stabilizzazioni, per molti mai definitive”. Lo psicologo progettatore deve promuovere l’attività contrapposta al ritiro e alla solitudine emotiva aiutando l’anziano a mantenere in esercizio le abilità individuali.

LEZIONE41- STRUMENTI IN PSICOLOGIA DEL LAVORO SPECIFICA AZIENDA Denominazione Azienda..........................Settore.............................Ragionesociale: Fatturato:.......... N. dipendenti :.............Storia dell’azienda…............... Posizione da ricoprire :.................Livello d'inserimento ………… A chi dovrà riferire il candidato: ................Eventuali collaboratori ………….. Compiti da svolgere richiesti nella posizione da ricoprire :…………………………… Esperienze professionali richieste per ricoprire la posizione…………………………. Età:.. .............. titolo di studio :................ Conoscenza lingue………. Conoscenze informatiche:......................... Caratteristiche di personalità richieste…. Sede di lavoro……………… INFORMAZIONI PER IL CANDIDATO

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Presentazione dell ’Azienda Descrizione del lavoro da svolgere Contratto di lavoro previsto Livello di retribuzione annuo Possibilità di crescita professionale Sede di lavoro Data prevista di inserimento del candidato ________________________________________________________________________ Referente azienda............................................ Data:............ Compilazione della specifica da parte di :..........

SPECIFICA Il valore della specifica L'impostazione di un programma di reclutamento dovrebbe essere sempre preceduto da una attenta determinazione delle caratteristiche e del contenuto delle posizioni per cui la ricerca viene effettuata, e dei requisiti psicofisici, personali e professionali dei candidati. Conoscere le caratteristiche delle posizioni ed i requisiti delle persone che si intendono assumere è necessario anche per facilitare e semplificare la selezione.

LEZIONE42-DIRITTO AL LAVORO DEI DISABILI La legge 68/1999 ha la finalità di promuovere l’inserimento e l’integrazione lavorativa di persone disabili nel mondo del lavoro attraverso servizi di sostegno e di collocamento mirato. Essa si applica: -Alle persone invalide -Alle persone non vedenti o sordomute -Alle persone invalide di guerra , invalidi civili di guerra e invalide per servizio.

SESSIONE 1-La legge 68/1999Gli enti cui è affidata l’attuazione della legge 68/99 sono le Regioni e le Province. Gli uffici competenti all’applicazione e alla gestione della legge sono quelli che le Province individuano all’interno della loro organizzazione. L a Provincia di Milano, per esempio, ha affidato tale funzione al Servizio Politiche del Lavoro-Servizio occupazione disabili che provvede, in accordo con i servizi sociali, sanitari ed educativi del territorio, alla programmazione, all’attuazione, alla verifica degli interventi volti a favorire l’inserimento dei soggetti disabili, nonché all’avviamento lavorativo, alla tenuta delle liste, al rilascio delle autorizzazioni, degli esoneri e delle compensazioni territoriali, alla stipula delle convenzioni e all’attuazione del collocamento mirato. Nell’ambito di tale servizio è previsto il Comitato Tecnico composto da funzionari ed esperti del settore formativo, sociale, medico-legale e delle politiche attive provinciali con particolare riferimento alle politiche della inabilità, con compiti relativi alla valutazione delle residue capacità lavorative, alla definizione degli strumenti e delle prestazioni atte all’inserimento e alla predisposizione dei controlli periodici sulla permanenza delle condizioni di inabilità.

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COMMISSIONE ASL . Accerta le condizioni di disabilità .Formula la diagnosi funzionale .Redige la relazione conclusiva .Effettua controlli tramite visite DIAGNOSI FUNZIONALE (come la persona “funziona” tenendo conto dei dati anamnestico-clinici, il profilo socio-lavorativo, il profilo dinamico-funzionale redatto nel periodo scolastico e altra documentazione preesistente). RELAZIONE CONCLUSIVA (suggerimenti in ordine ad eventuali forme di sostegno e strumenti tecnici necessari per l’inserimento o il mantenimento al lavoro della persona disabile).

COMITATO TECNICO .Valuta le residue capacità lavorative .Definisce gli strumenti utili all’inserimento lavorativo .Predispone i controlli periodici per la permanenza delle condizioni di inabilità .Informa la commissione medica circa il percorso di inserimento al lavoro del disabile.

SESSIONE2-Collocamento miratoPer collocamento mirato intendiamo quella serie di strumenti tecnici e di supporto che permettono di valutare adeguatamente le persone con disabilità e di inserirle nel posto adatto, attraverso analisi dei posti di lavoro, forme di sostegno, azioni positive e soluzioni dei problemi connessi con gli ambienti, gli strumenti e le relazioni interpersonali sui luoghi quotidiani di lavoro. I datori di lavoro pubblici e privati sono tenuti ad avere alle loro dipendenze lavoratori disabili nella seguente misura. -7% dei lavoratori occupati, se occupano più di 50 lavoratori -2 lavoratori se occupano da 36 a 50 dipendenti -1 lavoratore se occupano da 15 a 35 dipendenti -Nell’applicazione del collocamento mirato è indispensabile che la persona diversamente abile , individuata e valutata per una particolare mansione, venga coinvolta in un percorso per la costruzione di un piano individuale personalizzato (P.I.P.) e continuo fin da primo periodo dell’integrazione, con frequenti verifiche per valutare la sussistenza delle condizioni che hanno determinato la scelta iniziale attraverso: orientamento, formazione, sensibilizzazione, formazione continua, mantenimento del posto di lavoro.

L’elaborazione del P.I.P. richiede una definizione logica delle azioni da svolgere per accertare e valutare le persone beneficiarie e definire con certezza gli obiettivi da conseguire. Per ogni persona con disabilità bisogna individuare le capacità ed abilità presenti e quelle che potrebbero essere sviluppate, definire i bisogni e le necessità prioritarie, assegnare i sostegni e i servizi necessari, impegnare le risorse da mettere in campo, acquisire le responsabilità di enti e servizi accreditati nell’erogazione degli interventi.

Storie di vita: valutare i percorsi istituzionali o speciali che ha vissuto la persona, la relazione con gli affetti e le amicizie, il rapporto con la famiglia, i trauni e gli eventi positivi che hanno scandito la sua esistenza aiutano a mettere a fuoco un’immagine precisa della

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persona che chiede il P.I.P. La storia di vitaconsente di acquisire un consenso partecipe dei beneficiari del P.I.P. , nello stesso tempo di conoscere i problemi principali vissuti ed individuarne le priorità di intervento che risultano essenziali per definire un progetto in azione.

Risultano fondamentali le seguenti azioni: -Documentazioni delle prese in carico: acquisire la documentazione dei servizi pubblici e privati che hanno preso in carico la persona. Gli enti sono molteplici e vanno tutti coinvolti (scuola. servizi sociali dei comuni, servizi sanitari delle ASL, ufficio del collocamento mirato, etc. Questa documentazione permette di completare la storia di vita e la arricchisce di valutazioni tecniche e professionali che servono per valutare il livello di godimento dei diritti ed il possibile percorso di empowermentdella persona con disabilità. -Valutazione delle capacità di abilità:sia dal punto di vista professionale e delle competenze (titoli di studio, percorsi formativi, lavori già svolti, incarichi a vari livelli), sia dal punto di vista delle abilità funzionali(limitazioni funzionali etc.,), sia dal punto di vista potenziale (attitudini e capacità espresse ma non valorizzate, orientamento all’autonomia, etc.). In tal senso vi sono vari strumenti di lavoro che andrebbero raccordati tra loro sia culturalmente che tecnicamente. Da qui nasce la necessità d’introdurre un parametro-guida omogeneo di accertamento e valutazione come la ICF(Classificazione Internazionale del funzionamento della Disabilità e della Salute) e di un coordinamento normativo sulla materia.

-Valutazione delle autonomie e del godimento dei diritti umani: partendo dagli accertamenti delle commissioni preposte all’accertamento delle condizioni psico-fisiche delle persone disabili (commissioni di accertamento delle invalidità, commissione Legge 104/92, commissione Legge 68/99, èquipe medico-psico-pedagocica),altro elemento essenziale risulta essere quello di valutare le autonomie conseguite dalle persone , che fanno emergere di riflesso le esigenze di interventi e servizi nella sfera dell’autonomia e dell’autodeterminazione personale (assistenza personale, sostegno alla vita sociale,e di relazione). In questo campo particolare importanza rivestono la valutazione e l’accertamento delle discriminazioni e delle mancanze di pari opportunità nella libertà di movimento e nel godimento dei diritti, beni e servizi. -Azioni positive e soluzioni dei problemi connessi con l’autonomia e l’autodeterminazione, l’acquisizione di competenze ed abilità, lo sviluppo di relazioni sociali ed interpersonali: si tratta di interventi che riguardano particolari esigenze formative iniziali (specificatamente per persone con difficoltà di apprendimento o privazioni relazionali), la cura delle relazioni interpersonali, l’attivazione dei servizi territoriali (trasporto, aiuto personale, etc.), la realizzazione di interventi per l’autonomia (rimozione di barriere architettoniche, etc.), l’empowerment delle capacità delle persone disabili ( peersupporte peercounselling).

Rientrano: -Persone in età lavorativa affette da menomazioni psichiche e portatori di handicap intellettivo con qualunque percentuale e riduzione delle capacità lavorative --persone in età lavorativa affette da menomazioni fisiche e sensoriali che comportino una riduzione delle capacità lavorative pari o superiore al 74%, compresi i non vedenti, colpiti

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da cecità assoluta o con residuo visivo non > a 1/20 a entrambi gli occhi anche con eventuale correzione. -Nell’ambito di entrambe le categorie sono stati individuati altri “criteri aggiuntivi”: -età superiore a 50 anni -Necessità di inserimento con il supporto di un Servizio di mediazione -Soggetti con alle spalle almeno due tentativi di inserimento falliti oppure da sempre senza lavoro, con bassa scolarità e/o la legge 104/91. Le caratteristiche prevedibili del percorso di inserimento lavorativo per questa tipologia di persone è un andamento graduale, non lineare con tempi piuttosto lunghi.

SESSIONE 4-Disabili “deboli”L’inclusione socio-lavorativa del disabile “debole”implica un lavoro di rete. LAVORO DI RETE -individuazione dell’effettiva idoneità lavorativa dei candidati tra i servizi in rete e gli uffici competenti -garanzia di un monitoraggio continuo -valutazione in itinere dell’inclusione -mantenimento della presa in carico nel corso della vita lavorativa da apre del servizio che lo ha inserito e dell’eventuale CPS a cui è in carico -interventi mirati e immediati in caso di scompenso utilizzando passaggi con distacco temporaneoc7o strutture di recupero Indispensabile per il percorso di inclusione socio-lavorativa la presenza del TUTOR dei servizi. Il Tutor rappresenta : il mediatore, il dosatore delle spinte emancipative, il punto di riferimento costante per utente ed azienda, il costruttore del senso del lavoro, il primo rilevatore dei momenti critici, il mentore.

Da sempre le cooperative sociali di tipo B (si occupano di integrazione lavorativa) sono state il luogo deputato all’inserimento dei soggetti svantaggiati, alternando il rischio di essere in alcuni momenti il ricettacolo del disagio sociale, in altri un vero e proprio trampolino di lancio per un effettivo e reale ingresso nel mondo del lavoro e in altri casi per un inserimento di quei soggetti che per mille ragioni si sono trovati di colpo ai margine del mondo produttivo. Non è semplice orientare al lavoro il disabile affinchè capisca la giustezza dei suoi diritti e non si arrivi a vanificare il lavoro svolto per il collocamento mirato. Incentivi economico-amministrativi per le aziende -garanzia del riconoscimento della piena ottemperanza a fronte di orari di lavoro ridotti -aiuto dello stato fino al 60% del primo stipendio lordo a tempo indeterminato -dote/incentivo del Fondo regionale per l’occupazione

ALCUNE CRITICITA’ E PROBLEMI APERTI -Assenza di un modello di governance che coinvolga soggetti che operano nel sociale e attori che operano nel mercato del lavoro -Parcellizzazione delle competenze a livello nazionale e soprattutto a livello territoriale -Disomogeneità dell’assetto legislativo tra i bacini -Diverso significato di accertamento: in alcuni territori l’accertamento della disabilità è assai poco significativo rispetto alle informazioni necessarie all’inserimento lavorativo

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-Basso livello di integrazione delle politiche realizzate da più attori che non cooperano fra di loro con relative difficoltà nel sostenere le reti di servizio -Aumento degli inserimenti interrotti :difficoltà nei processi di mantenimento del posto di lavoro con relative difficoltà nel sostenere le reti di servizio -Limitate risorse economiche a sostegno dell’inclusione socio-lavorativa delle fasce svantaggiate.

Lezione 43-LA PERSONALITÀ IN RELAZIONE ALL’ORGANIZZAZIONE SESSIONE 1-DescrizioneArgyris distingue tra personalità equilibrata, personalità integrata e personalità coerente. Se una personalità coerente è anche integrata ci troviamo di fronte ad una personalità matura. Le personalità immature possono essere di tre specie: -personalità coerente e non integrata -personalità non coerente ma integrata -personalità non coerente e non integrata

Quanto più sono i cambiamenti ai quali una personalità può adattarsi, tanto maggiori sono le sue possibilità di essere integrata. Secondo Argyris gli esseri umani si sviluppano sin dall’infanzia , stabilendo consapevolmente degli obiettivi e ponendosi attraverso un processo di sviluppo denominato autorealizzazione, il quale può assumere secondo l’autore le seguenti forme: -sviluppo da uno stadio infantile passivo ad uno di crescente attività da adulti -sviluppo da uno stato di dipendenza infantile ad uno di crescente indipendenza da adulti -sviluppo da un limitato numero di comportamenti infantili a molti diversi comportamenti infantili da adulti -sviluppo da interessi mutevoli, superficiali e di breve durata ad interessi più profondi e persistenti, propri degli adulti -sviluppo da prospettive a breve termine da bambino a prospettive a lungo termine da adulto -sviluppo da uno stato di subordinazione nella famiglia e nella società, ad uno stato in cui Si aspira ad una posizione uguale e/o superiore, con riferimento ai propri pari, da adulti.

L’esigenza di autorealizzazione , deve confrontarsi, secondo Argyris con i vincoli dati dalla concreta situazione organizzativa, in cui i singoli vengono a trovarsi. Secondo l’autore, ai fini di mantenere equilibrata la personalità, si cerca un adattamento, che può essere perseguito sia lasciando l’organizzazione, sia cercando di risalire la scala gerarchica per “sfuggire” al conflitto, sia, cercando di farsi trasferire ad un altro compito che possa dare temporanee soddisfazioni. Tuttavia, secondo l’autore, è più facile che il processo favorisca lo svilupparsi di apatia e mancanza di interesse. In alternativa se si rinuncia all’adattamento, le conseguenze sono regressione, maggiore immaturità e minore efficienza, aggressività ed ostilità diffuse. I lavoratori si adattano : andandosene, diventando più dipendenti, esprimendo le loro sensazioni quando il capo non c’è, creando capri espiatori.

SESSIONE 2-Equilibrio della personalità secondo Argyris155

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GLI OGGETTI-sé gli oggetti-sé sono oggetti da noi esperiti come parte del nostro sé. Sono le figure che sostengono il sé e che kohut denomina oggetti-sé. Il sé ha bisogno degli oggetti come l’organismo dell’ossigeno. Conosciamo due tipi di oggetti-sé. oggetti-sé speculari: esprimono e confermano il senso innato di vigore, grandezza e perfezione del bambino; imago parentale idealizzata (oggetti-séidealizzati): quelli che il bambino può ammirare, confondendovisi, come immagini di calma, d’infallibilità e d’onnipotenza. Un sé solido ed equilibrato è il risultato d’interazioni ottimali fra il bambino e i suoi oggetti-sé. La condizione della formazione di una categoria del “mio Sé” è il riconoscimento dell’esistenza del “Sé in un altro”. Due aspetti del Sé: aspetto epistemico, ciò che ognuno sa di se stesso, la nostra fenomenologia, aspetto deontologico, ciò cui noi diamo valore e ci preoccupiamo. Questi aspetti sono interconnessi e fanno da stabilizzatori della personalità. Il Sé serve a tenere assieme le persone attraverso la creazione dell’intersoggettività e a separarle attraverso l’individuazione. Il Sé è un prodotto delle nostre azioni intrapsichiche ed interpersonali. Nei contesti organizzativi le persone che manifestano una certa vulnerabilità sono caratterizzate da : autostima labile; sensibilità a fallimenti, delusioni, offese.

SESSIONE 3-I disturbi del SéTipi di traslazioni: traslazione speculare: il bisogno infantile di una fonte di “rispecchiamento” e di “accettazione-conferma “ traslazione idealizzante: Il bisogno di fusione con una sorgente di forza e di calma “idealizzata”. A seconda della qualità delle interazioni fra il Sé e i suoi Oggetti-Sé nell’infanzia, il Sé nucleare emergerà come una struttura solida e sana oppure più o meno gravemente danneggiata. Emergono così i disturbi del Sé. La presenza di rapporti empatici nell’infanzia è la condizione di uno sviluppo sano. Tali rapporti forniscono alcune funzioni indispensabili: come la possibilità di rispecchiarsi nell’altro e di sentirsi confermati nella propria esistenza e nel proprio valore (rispecchiamento); l’offerta di un oggetto idealizzabile, sentendosi unito al quale il Sé possa attingere calma e forza (esperienza di oggetto-Sé idealizzato); esperienza di sentirsi simile ad altri esseri umani (esperienza di gemellarità).

Tipologie di personalità: personalità affamate di rispecchiamento, avide e fameliche di oggetti-Sé speculari da cui ricavare attenzione, conferma, ammirazione; personalità affamate di ideali nella perenne ricerca di altri d’ammirare per il loro prestigio, potere, bellezza, intelligenza e

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statura morale: possono viversi degne finché sono in relazione con oggetti-Sé, con cui fondersi, che si possono guardare con ammirazione senza il rischio di rimanerne delusi. personalità affamate di alter ego gemellari con cui costruire rapporti duraturi da cui ricavare esperienze di similarità, gemellarità.

SESSIONE 3-Tipologie di personalità secondo KohutLa teoria adleriana, raggiunge la sua compiutezza nel definire la struttura della personalità. Viene a delinearsi l’importanza dell’interezza e unicità dell’individuo, in modo particolare lo sforzo di trovare soluzioni che compensino le condizioni d’inferiorità e di insicurezza. Il concetto stile di vita, riflette lo sviluppo del pensiero adleriano in una psicologia dinamica le cui radici si fondano sulla legge del movimento, scritta nella natura dell’uomo. Lo stile di vita è inteso come “personalità dell’uomo, come unità della personalità, come individualità e come forma individuale dell’attività creativa, come modo di affrontare i problemi, come opinione di sé e come atteggiamento verso il mondo e verso gli altri. In ambito lavorativo è fondamentale , da parte dell’individuo, trovare soluzioni che possano compensare eventuali stati d’inferiorità ed insicurezza.

SESSIONE 4-Definizione di personalità secondo il modello adlerianoCome afferma Giuseppe Ferrigno in Riv. Psicol. Indiv.,n. 58: 59-97 (2005) “L’aspirazione reattiva alla sicurezza è legata in ogni individuo al “destino costituzionale” del suo polo opposto, il peso dell’insicurezza, della mancanza di base, della limitazione strutturalmente ontologica, da cui riceve impulso e con cui forma una coppia antitetica indissolubile, la cui sintesi costituisce il principio organizzatore del materiale psichico. La dialettica inconscia e paradossale insicurezza/aspirazione alla sicurezza, peso gravitazionale/slancio reattivo vitale genera una struttura olistica, finalisticamente orientata, la cui totalità si autoalimenta proprio attraverso un gioco dinamico, ricorsivo, compensatorio e speculare in cui interpretazione, esperienza e natura costruiscono instancabilmente una fitta trama di costellazioni finzionali strettamente intrecciate. Adler, uscendo dalla visione deterministica e causalisticafreudiana, s’inserisce in un determinismo morbido definibile come finalismo causale: lo sviluppo psichico è influenzato dalla natura, dalla cultura, ma soprattutto dall’interpretazione che l’individuo dà al Sé, all’altro da Sé e ai rapporti fra Sé e altro da Sé. Sia il corpo sia la psiche con le loro reciproche funzioni seguono in un costante rapporto dialettico la medesima direzione ascensionale del flusso di corrente vitale”. In ambito lavorativo è molto importante l’aspirazione alla sicurezza.

SESSIONE 4-Personalità ed aspirazione alla sicurezza secondo il modello Adleriano

LEZIONE 44-STILE DIVITA E LAVORO Lo Stile di Vita si struttura durante la prima infanzia; consta dell’opinione che il bambino ha di sé e del mondo, ma le sue principali componenti sono inconsce. Comprende le mete fittizie e la meta finale, si sviluppa lungo una linea direttrice secondo la legge del movimento e compensa il sentimento di inferiorità.

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(Adler “Il Senso della Vita”, 1933)

L’unico modo in cui uno Stile di Vita può cambiare è col rendersi conto di errori infantili commessi nella sua costruzione, e quando questi errori possono essere attivamente corretti con l’adottare un approccio più sociale alla vita. (Kurt Adler “La Psicologia Individuale di Adler” in Wolman, B.L. Manuale delle tecniche psicoanalitiche e psicoterapeutiche, Astrolabio,Roma) Lo stile di vita influenza l’attività lavorativa. Lo Stile di vita “E’ l’impronta soggettiva di ogni individuo risultante di tratti comportamentali, orientamento del pensiero, affetti ed emozioni articolati al servizio di finalità prevalenti“. (Parenti “La Psicologia Individuale dopo Adler”, 1983)

SESSIONE 1-ApprofondimentiSE’ CREATIVO Attua e forgia in combinazione con il sentimento sociale, selezionando adeguate esperienze, lo Stile di Vita tramite un adattamento creativo alle richieste della società. (Fassino S. “Sé creativo e coesione del Sé nella terapia delle psicosi”, Riv. Psicol. Indiv. N° 28/29)

Importanza della cooperazioneAdler riconduce tutti i temi della vita umana ai rapporti interpersonali, sottolineando l’importanza della cooperazione: “La collaborazione è il vero significato della vita”. Afferma Adler :“Qui la Psicologia Individuale si avvicina alla sociologia (…). Da tempo mi sono impegnato a subordinare le questioni della vita ai seguenti 3 grandi problemi: l’inserimento sociale, il lavoro e l’amore”. Anche in ambito lavorativo assume grande rilievo il tema della collaborazione.

Ogni processo psicologico di un individuo deve essere esaminato entro il quadro di riferimento della sua individualità, e ogni individuo deve essere considerato in relazione ai suoi gruppi di appartenenza, tenendo conto delle variazioni individuali a seconda delle diverse strutture sociali. A tale proposito è opportuno ricordare che la denominazione corretta e completa della Dottrina Adleriana è “ Psicologia Individuale Comparata”, in cui l’aggettivazione “Individuale” sottolinea il concetto di “individualità unica ed irripetibile” con cui Adler definisce ogni essere umano. L’attributo “comparata” evidenzia come l’individuo non possa mai essere studiato in condizioni di isolamento come entità a se stante, ma solo all’interno del sito contesto sociale.

SESSIONE 2-Individuo e contesto socialeL’importanza riconosciuta da Adler alla vita sociale lo ha indotto a descrivere i compiti vitali amore, lavoro, vita sociale come compendio di tutte le esigenze umane. “Ogni essere umano è condizionato da tre vincoli principali di cui deve tener conto giacché sono essi a dar forma, per lui, alla realtà e a determinare tutti i problemi che si trova ad affrontare (…) La Psicologia Individuale non ha trovato nella vita alcun problema che non

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possa essere raggruppato sotto questi tre problemi principali: il problema dell’occupazione, il problema sociale, il problema sessuale. E’ nel modo di rispondere a questi tre problemi che ogni singolo essere rivela infallibilmente quale sia il suo senso profondo del significato della vita”. Per Adler i compiti vitali derivano dai legami “indissolubili” che uniscono gli uomini, i quali devono la propria sopravvivenza al fatto di essersi aggregati nella vita comunitaria.

SESSIONE3-Compiti vitaliNel 3°Capitolo del “Senso della Vita”; Adler, indicando l’utilità diagnostica dell’esame dei compiti vitali, elenca sinteticamente alcune modalità del fallimento nello svolgimento di questi: “Non è possibile valutare esattamente un individuo, se non si conosce la struttura dei problemi e dei compiti che la vita gli propone. La sua vera natura si lascia scorgere attraverso le modalità con cui egli li affronta, partendo da ciò che avviene in lui a livello inconscio. Sarà indispensabile appurare se egli è in grado di reggere il suo ruolo sociale o se al contrario esita nell’occuparlo, se si ferma nel corso del proprio cammino, se cerca di eludere i suoi compiti; e ancora se cerca dei pretesti per sottrarsi agli impegni; se si accontenta di un a soluzione parziale o peggio se lascia irrisolti ciò che affronta; infine se, inseguendo con vanità una superiorità personale, percorre una via dannosa per la collettività.” compiti vitali

Pertanto, tutta la vita, le attività, i bisogni, i desideri dell’uomo, ma anche le sofferenze e le difficoltà si riferiscono ai compiti vitali. “… Si ergono costantemente davanti a noi, pressanti ed esigenti. Non è possibile sottrarsi a questi temi, nei confronti dei quali reagiamo secondo il nostro stile di vita. I tre problemi sono legati reciprocamente in profondità e comportano soluzioni che richiedono un certo livello del sentimento sociale.”

Ricordiamo che l’equilibrio e la salute psichica dell’uomo si riconducono sempre alle interazioni tra volontà di potenza e sentimento sociale la cui armonizzazione si configura come sola garanzia di serenità, stabilità appagamento in ogni ambito esistenziale. Infatti, l’esame del quadro delle nevrosi e di tutte le forme psicopatologiche, rivela sempre difficoltà sul piano relazionale e sociale, con variazioni individuali di grado e con modalità espressive diverse. “L’individuo che abbia ricevuto un’educazione viziante che gli ha impedito di diventare autosufficiente, appena si allontanerà dal rapporto simbiotico con la madre, entrerà in conflitto con l’ambiente, sottovaluterà sempre più la propria capacità e si scoraggerà per gli insuccessi. A questo punto la naturale lotta per il prestigio si inasprisce e il ragazzo rafforza la propria debolezza servendosene per dominare l’ambiente

Una madre iperprotettiva o viziante, così come un nucleo famigliare troppo chiuso, non sapranno stimolare nei figli la necessaria disponibilità all’apertura sociale, al contrario, trasmetteranno nei confronti ansia e ostilità nei confronti del modo esterno. Adler ripetutamente indicato l’educazione viziante come una causa di insuccesso in tutti i settori esistenziali: l’individuo “viziato”, mosso dal proprio egoismo, sostenuto dalla

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sua logica privata e spinto da una meta di supremazia personale, non è in grado di inserirsi produttivamente nel contesto sociale e, tantomeno, di provare un autentico interesse per i suoi simili. Con la crescita, l’inserimento scolastico, collaudante e competitivo, mette alla prova la capacità di collaborazione; può confermare e rafforzare i modelli familiari, o proporre modalità relazionali più congeniali al soggetto.

LEZIONE 45-L’INFLUENZA DELLE EMOZIONI NELLO SVOLGIMENTO DELL’ATTIVITÀ LAVORATIVA SESSIONE 1-Analisi del ruolo delle emozioni in ambito lavorativoLe emozioni influenzano lo svolgimento dell’attività lavorativa in quanto si costituiscono come dimensioni essenziali della condizione umana. Come afferma Eugenio Borgnanel suo libro Le emozioni ferite (2011),: “il dilagare della componente razionale come strumento di conoscenza della realtà, quando non sia arginata dalla ragione del cuore, rende la vita arida e svuotata di senso; ma certo le emozioni staccate dalla riflessione si possono dilatare ed incendiare”. Keith Oatley(1992), così si esprime: “ Esiste, quindi, un legame delle emozioni con l’irrazionalità: le emozioni sono degli adattamenti biologici per problemi che non hanno una soluzione pienamente razionale. Quindi ci saranno delle differenze tra il pensare sotto l’influenza di un’emozione e il pensare mentre si mette in atto un piano tecnico o si risolve un problema intellettuale. Nel primo caso una modalità emotiva ha delle propietà cognitive adeguate ad una conoscenza imperfetta, alla possibilità di conflitti tra diversi scopi e all’azione coordinata con altre persone. Nel secondo caso, possiamo qualche volta sperare in soluzioni pienamente razionali”.

In ambito aziendale può succedere che le emozioni abbiano il sopravvento sul razionale e ciò è quasi sempre stato letto in chiave di negatività. E’ importante invece rileggere il significato delle emozioni che si manifestano in ambito lavorativo , attribuendo loro un valore costruttivo e non solo distruttivo. Keith Oatleynel suo libro Psicologia delle emozioni (1992), parlando di emozioni negative così si esprime : “Quando nel corso dell’agire nasce un problema che pensiamo di non sapere affrontare, quando un nuovo scopo deve essere inserito in una sequenza di azioni in corso, ma la persona interessata non sa come fare, quando viene alla luce un conflitto …oppure una minaccia ci fronteggia, si tende a manifestarsi un’emozione negativa…un’emozione negativa non è sempre sgradevole, né viene necessariamente evitata. Essa insorge quando ci accorgiamo di non sapere risolvere facilmente un problema, quando vediamo un rallentamento nell’avvicinarsi dello scopo…Leemozioni che insorgono in questi casi possono indicare che un’ampia struttura di abitudini,capacità e conoscenze è obsoleta :potrebbe essere necessario ricostruirla interamente perché sia idonea a nuove circostanze…

Secondo Keith Oatley:”Noi possiamo, e certamente dovremmo, sforzarci di raggiungere la razionalità. Ma noi, esseri umani, saremo pienamente razionali solo in circostanze che si avvicinano molto a quel tipo tecnico. La razionalità può a volte essere raggiunta in settori limitati …Larazionalità implica la possiblitàdi esplorare le implicazioni di tutti i possibili errori…parlaredi irrazionalità significa accettare che, da una prospettiva diversa da quella di chi agisce, un pensiero o un’azione siano criticabili e quindi che si può migliorare la base

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conoscitiva o l’uso di essa, cambiare gli scopi o ripianificare una sequenza d’azione “. Una caratteristica dunque delle emozioni è la loro utilità. Oatley rileva una duplice funzione dell’emozione : immediatamente serve a segnalare l’insorgere di un ostacolo o di una crisi nell’ordinario perseguimento dei propri scopi ; ma nello stesso tempo, il suo intervento aiuta a gestire al meglio le proprie azioni, quando non è possibile prevederne con certezza le conseguenze o conciliarne gli scopi conflittuali.

Quando si manifesta un vissuto di insoddisfazione lavorativa, prevalgono emozioni quali : la noia, la nausea, l’attesa, l’insofferenza, l’indifferenza ma talvolta anche la speranza che possa cambiare qualcosa. Come afferma Eugenio Borgna(2011), “Ogni emozione si confronta con un orizzonte di senso, con un alterego, con un tu, con un oggetto che può essere interno, o esterno, e ogni emozione ha un suo proprio tempo interiore che si fa evidente in alcune emozioni come la noia, l’attesa, la speranza”. Per Oattleye Johnson–Lairdvi sono cinque emozioni primarie che trasmettono valori semantici fondamentali…lecinque emozioni sono: felicità, tristezza, paura, rabbia e disgusto…Nell’ambito delle relazioni con l’ambiente o con altri individui vissuti come rivali si può trovare paura e/o rabbia se sentiamo il nostro territorio minacciato o invaso (emozioni a cui si reagisce ancora con la fuga, l’immobilizzazione o l’aggressione); proviamo gioia invece se ci siamo liberati da una minaccia incombente … “ In ambito lavorativo si possono vivere situazioni di minaccia e/o rivalità. I vissuti emotivi del soggetto possono prevedere : fuga, immobilizzazione , aggressione.

SESSIONE 2-L’orizzonte di “senso” delle emozioniLe emozioni vengono presentate da Oatleycome una sorta di collante tra le persone e concettualizzate come ruoli di transizione. Le emozioni interpersonali entrano in gioco quando la cooperazione si fa incerta…sopravvengonoemozioni interpersonali negative quando un individuo percepisce il comportamento dell’altro come discordante da quanto esplicitamente o implicitamente concordato. Nell’ambito delle prime relazioni emotive sono state messe a fuoco cinque strutture il cui sviluppo è particolarmente responsabile dello sviluppo emotivo generale. Esse possono così essere sintetizzate : 1) attaccamento 2) tenere conto degli altri 3) assunzione di ruoli 4)empatia 5) temperamento Queste cinque principali basi emotive dell’interazione sociale formano durante l’infanzia alcune delle abitudini che saranno alla base delle relazioni interpersonali in età adulta. Una delle più rilevanti caratteristiche dello sviluppo emotivo è la comparsa del sé

Quando c’è disagio lavorativo il vissuto interiore può divenire : -Tempo interiore della speranza è-Futuro -Tempo interiore dell’attesa è che può trasformarsi anche in tempo dell’ansia è Futuro -Tempo interiore della nostalgia e della tristezza (prima le cose andavano meglio)è Passato Quando c’è gratificazione lavorativa: tempo interiore della gioia (ma il tempo interiore della gioia , spesso inafferrabile , per un non nulla può trasformarsi in tempo dell’ira , è il presente dilatato e deformato che si può esprimere in slanci di aggressività) Secondo Eugenio Borgna(2011), “Quando si parla di tempo non ci si riferisce, ovviamente,

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al tempo dell’orologio ma al tempo soggettivo, al tempo vissuto: il tempo interiore della speranza è il futuro come quello dell’attesa, il tempo interiore della nostalgia e della tristezza è il passato, benchè con incrinature diverse , il tempo della gioia è il presente così friabile e inafferrabile , il tempo dell’ira è il presente dilatato, e deformato, in slanci di aggressività, il tempo dell’ansia è il futuro. Le emozioni costituiscono il fondamento su cui si svolge la nostra vita”.

SESSIONE 3-Emozioni ed orizzonti temporaliIl tempo dell’ansia, caratterizza il soggetto che vuole sfuggire le difficoltà lavorative . Heinz L.Ansbachere RowenaR. Ansbachernel libro “La psicologia individuale di Alfred Adler” (1997), così si esprimono a proposito dell’ansia:”Quando un individuo acquisisce la disposizione a rifuggire le difficoltà della vita può ricorrere all’ansia per rafforzare questo comportamento. Alcune persone vengono abitualmente assalite da una sintomatologia ansiosa ogni qual volta devono affrontare compiti quali uscire di casa, congedarsi da un amico, cercare un lavoro …i soggetti che hanno ostilità verso il proprio ambiente mostrano spesso sintomi ansiosi che conferiscono un particolare aspetto al loro carattere. L’ansia è una manifestazione estremamente diffusa…la paura può estendersi a tutte le relazioni umane e indurre timore sia del mondo esterno che di quello interiore. Si ha così l’unione di due problemi, da un lato sit tende ad allontanarsi dalla società perché se ne ha paura e dall’altro la preoccupazione è relativa alla possibilità di rimanere soli…questi soggetti sono spesso inclini a riflettere sul passato…rievocare il passato è un modo discreto di evitamento…La paura della sconfitta è la sola ragione che giustifichi la volontà di fuggire “.

La persona che manifesta un vissuto di disagio lavorativo tende spesso ad assumere atteggiamenti svalutativi o di autoaccusa. Orizzonte temporale caratterizzato da tendenza alla svalutazione. Nella tendenza alla svalutazione possonotrovare origine certi tratti del carattere quali: l’odio, l’intolleranza, la gelosia,il sadismo, l’invidia. Orizzonte temporale caratterizzato da tendenza all’ autoaccusa. Nella tendenza all’autoaccusail soggetto assume forme di comportamento quali: muoversi continui rimproveri. La colpa può essere utilizzata per aumentare la distanza .

Il disagio lavorativo si può esprimere anche attraverso il linguaggio del corpo. Si può parlare di metamorfosi del corpo. Come afferma Eugenio Borgna(2011), “I modi di vivere le proprie emozioni si riscontrano nei modi di trasformarsi; e molte emozioni inespresse , si rispecchiano nei modi di essere , nei modi di trasformarsi del corpo.” Quando si manifesta il disagio lavorativo anche il nostro corpo si trasforma e comunica: -PAURA :si legge nello sguardo degli occhi -ANGOSCIA : si legge sul volto -INSICUREZZA: si legge nei movimenti impacciati

SESSIONE 4-Emozioni e trasformazioni del corpoEugenio Borgna nel parlare di Fenomenologia degli occhi e degli sguardi così si esprime: “Sono gli occhi che rivelano l’essenza , altrimenti insondabile, di una persona, e in essi come dice Edith Stein, si vede tutta la scala dei sentimenti. L’ ira, la gioia e la tristezza

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ma anche l’orgoglio, la bontà e la nobiltà d’animo, e negli occhi si vede anche il mondo radicalmente personale con cui una persona appare buona, affettuosa, o invece gelida ed indifferente…Ogni nostra emozione, la paura e l’ angoscia , l’insicurezza e l’inquietudine, la rassegnazione e l’indifferenza, la gioia e la speranza, cambia in noi il modo di essere -nel –mondo : il modo di incontrarci con gli altri e con noi stessi”. La rabbia, caratteristica di chi vive una difficoltà lavorativa, fa sentire la sua pressione sugli organi, li influenza e li mobilita per l’azione. Alcuni soggetti quando si arrabbiano hanno mal di stomaco, mal di testa o altro.

LEZIONE 46-LA GESTIONE DEL TEMPO SESSIONE 1-DefinizioneSant’Agostino, interrogandosi sul tempo, affermava di sapere che cosa sia, ma di non essere in grado di darne una definizione. Oggi disponiamo di conoscenze più approfondite sulla natura del tempo e siamo in grado di misurare con maggiore precisione lo scorrere degli eventi temporali. Non si può parlare del tempo come di un’entità a cui sia applicabile una sola definizione. Iniziamo col dire che la cultura contemporanea ha il problema del tempo. La tecnologia ha infatti modificato i ritmi della vita umana ; dalla società preindustriale si è passati a società avanzate , alterando i ritmi naturali, cioè quelli fisici e fisiologici, e producendo ritmi artificiosi indotti. Constatiamo così la difficoltà dell’uomo a sottrarsi ai condizionamenti temporali della vita sociale ed assistiamo ad un utilizzo errato del tempo da parte dell’uomo.

Ma che cos’è la temporalità? La temporalità è una dimensione inerente gli esseri viventi e, in modo particolare l’uomo. L’uomo è ,da una parte, portatore di ritmi interni (biologici, fisiologici, fisici) e dall’altra è condizionato da ritmi fisici esterni, quali il giorno, la notte, le stagioni. Durante il suo sviluppo l’uomo impara a mediare i ritmi interni con quelli esterni. L’uomo infatti , organizza la propria esperienza all’insegna di un orizzonte temporale comprensivo di: passato-presente-futuro

SESSIONE 2-Teorie sul tempoSecondo Gurvitch, la vita sociale scorre in tempi multipli sempre divergenti, spesso contraddittori. Gurvitchelenca diversi tempi sociali: -Tempo a lunga durata e al rallentatore --Tempo ciclico -Tempo dell’alternanza fra ritardo ed anticipo -Tempo in anticipo su se stesso -Tempo in ritardo su se stesso -Tempo esplosivo o delle comunicazioni creatrici

Il tempo ciclico obbedisce alla logica di ripetizione e dunque ritorna (le stagioni ritornano). Il tempo lineare si sviluppa secondo uno schema ed una logica di irreversibilità La concezione ciclica del tempo è tipica delle culture arcaiche, primitive. La ciclicità si addice al tempo della natura, al tempo biologico individuale, ai tempi sociali religiosi.

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La concezione lineare è presente nei tempi collettivi di carattere civile e politico. Le società contemporanee adottano obiettivi generali improntati al progresso e allo sviluppo in campo economico, civile, politico, culturale, dando così risalto ad una visione lineare e orientata nel tempo. Lineare è il tempo psicologico individuale che ciascuna persona percepisce attraverso l’esperienza che caratterizza l’intervallo fra la nascita e la morte. Lineare è anche il tempo che le scienze della natura concepiscono e impiegano per seguire le tappe dell’evoluzione progressiva della vita dell’universo e il tempo fisico- matematico newtoniano.

Interessante è anche la concezione del tempo in Bergson. Le sue osservazioni rappresentano un suggerimento per affrontare la distinzione fra tempo qualitativo e tempo quantitativo. L’uomo, in quanto attore sociale, può nell’ambito della vita quotidiana: -vivere la temporalità attraverso atteggiamenti di regolarità e programmazione. -vivere la temporalità attraverso gli atteggiamenti di irregolarità e scarsa programmazione. Il governo sociale del temporappresenta un problema di fondo. La temporalità rappresenta un elemento fondamentale e costituivo sia della personalità individuale che della vita collettiva.

SESSIONE 3-Tempo e uomo come attore socialeConsiderando il concetto di uomo come attore sociale (l’uomo è attore sociale perché ricerca continue strategie di adattamento alle situazioni in cui si trova), possiamo dire che gli attori sociali esprimono certe rappresentazioni del tempo, si collocano all’interno di orizzonti e prospettive temporali che spaziano dalla memoria del passato più o meno lontano, alla proiezione nell’avvenire a breve e a lungo termine , sviluppano così condotte temporali, che costituiscono, insieme o volta per volta , adattamenti a condizionamenti temporali ed elementi di governo del tempo. Il tempo quantitativo è il tempo in quanto oggetto di misurazione , è il tempo scandito dagli orologi. Il tempo qualitativo è quello legato ad eventi significativi per l’individuo e per la collettività. Il tempo qualitativo resta marcato essenzialmente dal carattere dell’azione o della prestazione a cui è rivolto. Il tempo viene concepito in questa ottica come succedersi di esperienze.

Le rappresentazioni temporali individuali e sociali si esprimono normalmente attraverso i due grandi assi o dimensioni del passato e del futurorapportati al presente dell’attore. L’uomo può avere tendenzialmente tre tipi di orientamento: -al passato (persona che vive nei ricordo) -al presente (persona che vive alla giornata) -al futuro (persona che è orientata alla programmazione) L’atteggiamento più comune è comunque il seguente : l’uomo, anche se in alcuni momenti trova piacevole riallacciarsi ai ricordi del passato ed in altri ama fantasticare pensando al futuro, vive prevalentemente nel presente e più specificamente nella quotidianità, i più svariati tipi di problemi. Il compito dell’uomo nel presente non deve però essere quello di tamponare le situazioni

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che via via si presentano, bensì quello di attuare una programmazione strategica per il futuro, inteso come potenziale presente. Un orientamento prevalente verso il passato o verso il futuro può discriminare tra società passatiste e futuriste.

SESSIONE 4-L’organizzazione del tempoImportante è considerare gli orientamenti degli individui riguardo alla temporalità e ai loro comportamenti espressi nell’ambito della vita quotidiana. Gli studi di “bilancio-tempo” si propongono di esaminare la quantità di tempo assegnata ad ogni attività di ciascun individuo nell’arco della giornata. In termini sintetici, il governo sociale del tempo si esprime nello sforzo di unificare e sincronizzare i diversi tempi individuali e collettivi. In ogni sistema sociale esistono tempi diversi, multipli, divergenti e la società non può vivere senza cercare di unificare la pluralità dei tempi sociali in essa coesistenti. Possiamo dire che il tempo sociale è, per eccellenza, un tempo qualitativo, a differenza del tempo della fisica che è quantitativo.

Nell’ambito lavorativo è necessario mettere in atto strategie per l’organizzazione del tempo lavoro. E’ importante nell’affrontare nuovi compiti : -sviluppare le proprie capacità di concentrazione -avere ben chiari gli obiettivi -dimostrare apertura a modificare alcuni modi di procedere se ci si accorge che i risultati raggiungibili potrebbero essere migliori -essere aperti all’aggiornamento -favorire lo scambio di idee e opinioni -programmare le proprie giornate -utilizzare l’agenda in modo costruttivo Gestire in modo efficace il tempo, implica sviluppare uno stile costruttivo, determinato da un orientamento alla realtà positivo e da una modalità attiva. La capacità di riflettere su quanto accade anche all’interno di se stessi favorisce una riattivazione costruttiva del presente in funzione del passato.

LEZIONE 47-Considerazioni sulla vita organizzativa SESSIONE 1-Aspetti caratterizzanti l’organizzazioneOgni Organizzazione si esprime al proprio interno e nei confronti del mondo esterno -Ogni Organizzazione ha come obiettivo primario il mantenimento della propria identità culturale. -L’organizzazione consuma, gestisce e fornisce informazione e cultura. -Per mantenere la propria identità culturale, l’Organizzazione deve affrontare un certo numero di problemi esterni di adattamento ed interni di integrazione. -Il significato assegnato alle strategie espressive è influenzato dalla posizione dell’ Organizzazione in un contesto costituito dalla sua storia precedente, dalle altre organizzazioni che la circondano, dal settore economico in cui opera. -L’Organizzazione non si colloca solo nello spazio , cioè in rapporto ai mercati, ai settori economici, ma anche nel tempo, in relazione cioè alla sua storia passata , al suo presente e al suo futuro.

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-Le informazioni prodotte ed elaborate nelle organizzazioni subiscono deformazioni. -Gli individui costruiscono all’interno delle organizzazioni delle regole che, sono in grado di gestire le informazioni in situazioni di conflitto . -L’immagine è l’impressione olistica e vivida di un’organizzazione, condivisa da un gruppo determinato, che esprime ed orienta i sentimenti di base e gli atteggiamenti del gruppo verso l’organizzazione. -L’immagine è qualcosa di composito che si esplica in tutte le attività ed i momenti significativi della vita aziendale. Quando insorgono difficoltà, quando il futuro appare come incerto, non sempre le Organizzazioni sanno farvi fronte. Spesso l’Organizzazione può rivelare il suo volto più ostile. A questo proposito Schwartz(1990), intende muovere una critica all’idea di organizzazione-orologio, in base alla quale ciascun componente conosce chiaramente il suo obiettivo di lavoro, si identifica in esso, finalizza in modo pragmatico tutti i suoi sforzi alla prestazione, è soddisfatto e non ha motivi di ansia in quanto l’ambiente non presenta conflitti e vige il principio della sinergia, della partecipazione e del consenso. Schwartz ritiene quest’idea illusoria, essa dovrebbe essere considerata un ideale. Egli propone l’immagine alternativa di organizzazione -fossa di serpenti. Attraverso tale immagine l’autore vuole evidenziare la confusione spesso presente nei contesti organizzativi e la difficoltà nel conseguire risultati lavorativi rispondenti alle attese. In tali contesti organizzativi si incontreranno soggetti sulla soglia pericolosa di stress. Afferma Quaglino(2004) :” Con l’ausilio della prospettiva psicoanalitica, dalla quale, come si vede, vengono mutuati i concetti di narcisismo ed ideale dell’Io, è allora possibile considerare simbolicamente l’immagine dell’organizzazione-orologiocome l’equivalente dell’Ideale dell’Io…lacorrispondenza che è possibile stabilire tra le istanze narcisistiche dei singoli e quelle generate dall’immagine dell’organizzazione –orologio potrà meglio riconoscere nell’ Ideale dell’Io organizzativo un autentico (per quanto illusorio)Ideale dell’Organizzazione.

SESSIONE 2-Sessione 2-L’Ideale dell’OrganizzazioneL’ideale dell’Organizzazione, corrisponde alla fantasia di un “organizzazione in cui ognuno sa con chiarezza cosa sta facendo, in cui non c’è conflitto o coercizione, in cui la comunicazione è aperta e diretta, in cui le persone vogliono sapere che cosa deve essere fatto, in cui ogni individuo si sente personalmente responsabile e si impegna diligentemente per la promozione del bene comune”. (Schwartz, 1990). Quaglino (2004), nel riproporre il pensiero di Schwartz, osserva come “ l’adesione all’ Ideale dell’Organizzazione venga sostenuto, da parte dell’organizzazione stessa, nel nome di un orientamento o di un coinvolgimento anche etico. Il sostegno etico all’ Ideale dell’ Organizzazione si viene così a configurare, per gli individui, come vera e propria funzione ontologica : in altre parole, al di là dell’adesione alla funzione produttiva e operativa, occorre considerare che l’appartenenza organizzativa possa esprimersi anche come identificazione con una dimensione di ideale, tanto più quanto più essa possa affondare e coinvolgere ragioni autenticamente esistenziali “.

Schwartz ricorre al concetto di commitment organizzativo, definendolo appunto come “la 166

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situazione in cui l’identità di un individuo è specificata dalla funzione ontologica dell’organizzazione”. Secondo l’autore “Il giudizio etico sulle proprie azioni non deriverà all’individuo da se stesso, ma piuttosto dall’organizzazione, e in particolare , proprio dall’Ideale dell’Organizzazione. Se tutto ciò che mette in pericolo l’organizzazione viene vissuto come un pericolo per l’individuo, se ciò che minaccia l’una minaccia inevitabilmente anche l’altro, ne consegue che verrà considerato eticamente giusto tutto ciò ( e solo ciò) che può “servire” per mantenere intatto, per preservare l’Ideale dell’organizzazione…tutto ciò che sarà sostenuto e proposto da chi detiene la leadership entrerà facilmente a far parte dell’Ideale dell’Organizzazione: l’esercizio del potere sarà, d’altro canto, costantemente finalizzato ad imporre a tutti l’adesione a questo ideale , e non di rado potrà accadere che, proprio nel tentativo di conformarsi pienamente ad esso, gli individui non solo giungano a negare ogni loro naturale inclinazione, ma si ritrovino anche a prenderne le distanze da un punto di vista etico…il decadimento organizzativo rappresenta un processo progressivo di diffusione di inefficienza , dovuto alla subordinazione della percezione della realtà alle fantasie che trovano sostegno nell’Ideale dell’Organizzazione…” SESSIONE 3-Definizione di cultura secondo ScheinPer Schein(1985), “La cultura organizzativa è il modello costituito da ipotesi di base che un dato gruppo ha inventato, scoperto o sviluppato imparando a risolvere i suoi problemi di adattamento esterno e di integrazione interna , e che si sono rilevate abbastanza operative da essere considerate valide e, quindi, da essere insegnate ai nuovi membri come il giusto modo di percepire , di pensare e di sentire in rapporto a questi problemi”. Per Schein,la cultura organizzativa , rappresenta l’ambito nel quale si sedimentano i processi di apprendimento organizzativo. Arrigo Pedon(2006), riproponendo il pensiero di Schein evidenzia che “In tali processi, infatti, si verifica che i singoli membri, durante l’arco della socializzazione lavorativa , interiorizzano profondamente la cultura dell’organizzazione, mentre le loro esperienze divengono patrimonio dell’organizzazione nel suo complesso. In quest’ottica il cambiamento della cultura organizzativa , sostenuto dai processi di apprendimento e di interrogazione, si lega inevitabilmente al cambiamento organizzativo. Quindi poiché cultura e apprendimento organizzativo sono in stretta connessione, l’organizzazione è per i suoi membri un luogo di apprendimento culturale “. Sainsaulieu(1978), evidenzia quattro modelli di cultura . -FUSIONE: modello caratterizzato da valori di unità ed amicizia -NEGOZIAZIONE e DIFFERENZA , modello caratterizzato da valori di autonomia -ESCLUSIONE e AFFINITA’ SELETTIVE: cultura caratterizzata dalle relazioni rare ma intense, rigetto del gruppo dei pari. -RITIRO: modello che trascura le relazioni con i pari. Vengono valorizzati gli aspetti economici dell’appartenenza all’organizzazione.

SESSIONE 4-Contratto psicologico –Ruolo e Ansia connessa Rielaborando il concetto espresso da Levinsoncit. in Ketsde Vries(1999) possiamo definire “ il contratto psicologico un accordo in base al quale l’organizzazione promette un lavoro in cambio di impegno e lealtà; offre sostegno alle difese e ai bisogni psicologici dei dipendenti e chiede loro, in cambio, di soddisfare i bisogni spesso non dichiarati dell’azienda”.

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Se l’ansia legata al lavoro diviene difficile da gestire , i soggetti la fuggiranno, cercando di abbandonare il loro ruolo nell’organizzazione. Secondo Quaglino “Il ruolo, infatti, è l’elemento che dà forma alla visione oggettiva della realtà del lavoro, per cui se gli individui non possono tollerare la situazione di lavoro avranno bisogno di fuggire dal ruolo per sfuggire a questa realtà. E’ da notare che fuggire dal ruolo significa violare i legami e i confini interpersonali e sociali, cioè proprio quelle condizioni di costruttivitàe di rischio che spesso sono percepite come all’origine dell’ansia

Hirschhorn, citato da Quaglino (2004), afferma “ Ci sono due modi di agire un ruolo : si può prendere possesso impegnandosi a gestire le relazioni e i compiti che esso implica, oppure lo si può violare fuggendo dai rischia cui espone. Quando si sceglie la seconda alternativa , si entra a far parte di una catena ansiosa …rinunciandoal ruolo, in altri termini, si rinuncia alla fedeltà nei confronti del proprio lavoro reale, dei propri compiti reali…All’ingternodi un’organizzazione si possono produrre relazioni che danno origine a una sistematica violazione dei ruoli”. Secondo Quaglino :”tutte le difese messe in atto di fronte alle differenti fonti d’ansia…si radicano più o meno profondamente nella storia dei soggetti , ripropongono costantemente l’eterno dilemma tra “perdere sé “ nell’adesione totale al proprio ruolo e “rinunciare a sé” nell’abbandonarlo “. Hirschhorncita alcuni meccanismi di difesa che si possono mettere in atto : -assunti di base-coalizioni nascoste-rituali

“La funzione degli assunti di base è quella di esprimere speranze e desideri inibendo al tempo stesso il pensiero e il lavoro necessario a rendere reali questi sentimenti e desideri. La coalizione nascosta è una modalità di difesa più persistente e tenace degli assunti di base, permette di controllare l’ansietà mediante la creazione di modalità di relazione che ampliano i confini di quelle fondamentalmente previste dal contesto organizzativo, dando spazio a quei caratteri di informalità, intimità ed “esclusività” che possono essere ritrovati solo all’interno di rapporti familistici. I rituali organizzativi sono modalità di difesa assai più stabile e visibile degli assunti di base e delle coalizioni nascoste. Essi indicano pratiche e procedure che vengono agite benchè non siano razionalmente connesse con l’obiettivo primario dell’organizzazione: si tratta di comportamenti che assumono caratteri di abitudine piuttosto che di routine e che, non essendo in alcun modo prescritti, risultano piuttosto in origine auto-imposti…i rituali non possono che essere interpretati come equivalenti di quei comportamenti coatti che singoli individui sembrano auto-imporsi con una chiara valenza sintomale…” (QUAGLINO , G. P. (2004), La vita organizzativa, Raffaello Cortina editore, Milano).

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