Psicoanalisi ed educazione - simonescuola.it · del significato profondo che i sogni trattengono al...

65
MODULO 1 Psicoanalisi ed educazione CONTENUTI • UNITà 1 Psicoanalisi ed educazione • UNITà 2 La psicopedagogia: sviluppo cognitivo e teorie dell’apprendimento

Transcript of Psicoanalisi ed educazione - simonescuola.it · del significato profondo che i sogni trattengono al...

MODULO 1Psicoanalisi ed educazioneContenuti

• Unità 1Psicoanalisi ed educazione

• Unità 2La psicopedagogia:sviluppo cognitivo e teorie dell’apprendimento

2

Unità 1Psicoanalisi ed educazioneContenuti• 1 • 2Freud e la nascita della psicoanalisi

Sviluppi della psicoanalisi infantile

❱❱ 1. Freud e la nascita della psicoanalisiLa psicoanalisi è ormai da tempo riconosciuta come una delle espressioni fonda-mentali del XX secolo. Nonostante sia stata avversata sin dall’inizio, come ogni ri-voluzione di pensiero, e lo sia a tratti anche oggi, essa ha avuto un’enorme influenza sulla nostra cultura quasi a tutti i livelli, sottraendosi così, progressivamente, allo status di pura teoria medico-scientifica o di pratica esclusivamente terapeutica. Ben al di là degli scritti più dichiara tamente teorici, infatti, tutta l’opera di Sigmund Freud, anche quella clinica, possiede un autonomo e imprescindibile valore filosofico, an-tropologico e pedagogico generale. Non è certo un caso che Freud stesso abbia sempre tentato di trarre conseguenze più vaste rispetto al significato iniziale della psicoanalisi come teoria delle nevrosi e dei disturbi psichici. Da questo punto di vista, gli sviluppi della sua opera (e di quella dei suoi allievi) hanno nel tempo generato un allargamento impressionante e multiforme delle tematiche psicoanalitiche verso altri aspetti della cultura contemporanea. Elementi tratti dalla psicoanalisi, oltre a vere e proprie applicazioni di essa, si trovano infatti tuttora in psichiatria, sociologia, an-tropologia culturale, oltre che, naturalmente, all’interno di nuove ipotesi cliniche sui disturbi psichici. Da Freud in poi, in altre parole, si può tranquillamente afferma-re che gli studi sull’origine dello sviluppo della personalità umana, delle sue patolo-gie, dei suoi lati inconsci, gli studi sulla sessualità, il rapporto individuo-società, il senso della dimensione religiosa, non possano quasi più prescindere dalle acquisizio-ni fondamentali della sua teoria, al di là dei giudizi di merito su singole parti di essa o sulla sua generale validità scientifica.

❱ 1/1 Cenni biograficiFreud nasce a Freiberg in Moravia nel 1856, da famiglia ebrea. Studia a Vienna (fa-coltà di Scienze) sotto la guida dello psicologo Brücke. Costretto a lasciare la facol-tà per problemi economici, si iscrive a Medicina, laureandosi nel 1881. Nel 1885 ottiene la libera docenza, oltre ad una borsa di studio grazie alla quale può frequen-tare i corsi del neurologo e psichiatra J.M. Charcot presso la clinica Salpêtrière di Parigi. Tornato a Vienna, conosce e collabora con lo psichiatra Joseph Breuer, assie-me al quale pubblica, nel 1895, gli Studi sull’isteria. Nel ’95 comincia l’autoanalisi, un percorso di lì a poco lo avrebbe condotto ad una prima formulazione della teoria psicoanalitica. Nel 1899 pubblica L’interpretazione dei sogni. Del 1905 sono i Tre saggi sulla teoria della sessualità. Nel frattempo, in un ciclo di anni che va dal 1901 al 1914, comincia la raccolta dei Casi clinici. Dal 1902 aveva intanto ottenuto la

3

Unità 1Psicoanalisi ed educazione

carica di professore straordinario all’Università di Vienna, di cui in seguito (nel 1920) diventa professore ordinario. Nel 1907 stringe rapporti con la clinica psichiatrica di Zurigo e conosce Carl Gustav Jung, che diventa suo assistente. Nel 1909, proprio assieme a Jung, tiene importanti conferenze in America («Clark University of Wor-cester» di Boston). Nel 1910, al Congresso di Norimberga, dà vita alla prima Asso-ciazione Ufficiale di Psicoanalisi (Jung viene eletto presidente). Con i successivi congressi (Weimar 1911; Monaco 1913) la psicoanalisi si diffonde notevolmente anche al di fuori del circuito accademico. Nel 1913 esce Totem e Tabù. Negli anni successivi, Freud si impegna in un complesso tentativo di sistemazione delle sue ipotesi teoriche, esposte nei lavori Al di là del principio del piacere (1920) e L’Io e l’Es (1923). La sua fama si allarga rapidamente, e la sua teoria conosce una stra-ordinaria diffusione, soprattutto negli Stati Uniti e in Inghilterra. Nel 1930 è insi-gnito del premio Goethe a Francoforte; tre anni più tardi, con l’avvento del nazismo, i suoi libri vengono pubblicamente messi al rogo. Freud lascia Vienna solo cinque anni più tardi e, nel ’38, si trasferisce a Londra con la famiglia. La sua ultima ope-ra, incompiuta, è il Compendio di psicoanalisi. Muore a Londra nel 1939.

❱ 1/2 tra neurologia e psicologia: l’ipnosi e lo studio dei sintomi isterici L’avventura intellettuale di Freud comincia nel 1885, anno in cui, dopo la laurea in medicina a Vienna, ottiene una borsa di studio presso la prestigiosa scuola europea di Salpêtriere a Parigi, ove può seguire i corsi del neurologo e psichiatra J.M. Char-cot (1825-1893). È durante questo soggiorno che Freud apprende l’uso dell’ipnosi come strumento curativo, una tecnica che si sarebbe rivelata molto importante per la sue successive ipotesi terapeuti che. Charcot stava conducendo in quel periodo studi sull’origine dell’isteria. Grazie a questa tecnica innovativa egli intuisce l’importanza che nella genesi della malattia mentale riveste il lato emozionale e psichico del pa-ziente. Freud, profondamente colpito dall’intuizione di Charcot, studia intensamente le tecniche ipnotiche e le applica lui stesso su alcuni pazienti. Si accorge, però, quasi subito dei limiti terapeutici di questa tecnica: l’ipnosi gli appare ben presto insuffi-ciente a chiarire il senso profondo dei sintomi nevrotici, rivelandosi sostanzialmen-te una tecnica che produce soltanto effetti di suggestione. Risale a questo periodo il secondo incontro decisivo per il giovane Freud, quello con Joseph Breuer (1842-1925) lo psichiatra che aveva teorizzato una altrettanto innovativa tecnica di cura, il cosiddetto metodo «catartico». Breuer faceva narrare ai suoi pazienti ipnotizzati le emozioni, i ricordi e gli avvenimenti legati all’origine della loro malattia, ottenendo – e questa è la novità – una temporanea scomparsa dei sintomi. Secondo Breuer, che assieme a Freud curerà più tardi un volume di Studi sull’isteria (1895), il sintomo nevrotico, cioè il disturbo psichico, deriva da una quantità di energia utilizzata in modo deviato e innaturale, vale a dire spostata sul piano organico secondo il princi-pio della conversione del sintomo: un impulso psichico malato si «traveste» da sin-tomo organico. Il famoso caso di Anna O. ad esempio, una giovane affetta da un complesso di sintomi affiorati dopo la morte del padre (sintomi non spiegabili sol-tanto organicamente) chiarisce, infatti, come la narrazione sotto ipnosi del suo pas-sato producesse proprio una notevole riduzione dei sintomi. Nel corso di quelle se-dute emerge, però, anche una chiara resistenza da parte della paziente a far riaffiora-re i punti più controversi della sua vita, cioè una sorta di ‘protezione’, superata dall’ipnosi solo in minima parte. Dallo studio di questa resistenza, cioè del fatto che per far riemergere alcuni contenuti psichici si rendesse necessario un notevole dispen-

4

MODULO 1Psicoanalisi ed educazione

dio energetico, Freud ipotizza che sotto quella copertura si celasse qualcosa di più misterioso: precisamente una rimozione, cioè l’esistenza di un contenuto psichico, spesso di origine sessuale, relegato in una zona nascosta della psiche. Tale luogo della psiche viene, per la prima volta in questo senso, denominato inconscio. A par-tire da questi dati, emerge progressivamente la constatazione che l’ipnosi non fosse più utilizzabile efficacemente contro i poteri della rimozione. La via d’uscita ipotiz-zata da Freud è, infatti, di tipo completamente diverso: ciò di cui c’è bisogno per far riaffiorare i materiali rimossi è un diverso livello del rapporto di dialogo tra medico e paziente. In altri termini, lo scopo della terapia diventa, secondo Freud, quello di far parlare di sé il paziente, stimolandolo a produrre «libere associazioni» mentali; di farlo, cioè, regredire all’infanzia, sino al presunto luogo d’origine dei suoi proble-mi, ai suoi traumi (che a quel tempo Freud riteneva esclusivamente di natura sessua-le). Analizzando poi il suo stesso passato, Freud giunge all’intuizione fondamentale che i sintomi nevrotici non dipendessero tanto da traumi reali rimossi quanto da de-sideri inconsci insoddisfatti, che si esprimono in maniera incontrollabile nelle fanta-sie, nei deliri e soprattutto nei sogni. La strada della psicoanalisi è, a questo punto, aperta: L’interpretazione dei sogni (1900) costituirà a partire da ciò, il pilastro teori-co per tutto l’edificio psicoanalitico.

❱ 1/3 La nascita della psicoanalisi: L’interpretazione dei sogniIn quest’opera Freud raccoglie i risultati di quasi un quindicennio di lavoro. Si tratta di un testo fondamentale, che getta le basi di tutto il metodo psicoanalitico. L’analisi del sogno – che Freud definisce «la via regia verso l’inconscio» – fornisce una pratica esemplare per svelare sia il meccanismo dell’inconscio sia la struttura della nostra personalità. Il sogno non è un fenomeno irrilevante della nostra vita psichica, come aveva ritenuto la tradizione scientifica prima di Freud; l’attività onirica sembra anzi condividere, con i sintomi nevrotici, un elemento fondamenta-le: l’essere un tentativo mascherato di soddisfazione di una pulsione rimossa; «Il sogno – scrive Freud – è un appagamento di desiderio». Soprattutto, esso può es-sere interpretato dall’analista. Secondo Freud, infatti, il contenuto onirico general-mente ricordato al risveglio fa semplicemente parte di un contenuto manifesto costituito da simboli e fantasie notoriamente irrazionali. Ciò che invece deve inte-ressare l’analisi è la decodifica e la lettura del cosiddetto contenuto latente, cioè del significato profondo che i sogni trattengono al di là dei travestimenti grazie a cui li ricordiamo. Secondo Freud accade che, durante il sonno, un lavoro onirico trasformi il contenuto latente dei sogni in contenuto manifesto, che traduca cioè un insieme di pulsioni e desideri repressi in simboli e immagini spesso incomprensi-bili. Questo travestimento è, per Freud, opera di una censura attuata sul contenuto latente dei sogni. L’attività onirica rielabora il deposito di desideri inappagati dell’inconscio, in cui confluiscono ansie, ossessioni e fantasie sessuali che, se ma-nifestate, produrrebbero angoscia; ecco perché, nel sogno, tali contenuti vengono deformati progressivamente, sino all’irriconoscibilità. In questo senso, tutta L’in-terpretazione dei sogni di Freud può essere letta come un affascinante viaggio del lavoro notturno della psiche. Attraverso le minuzio sissime analisi dei sogni di al-cuni suoi pazienti, Freud chiarisce come il lavoro onirico riveli delle affinità con alcuni principi linguistici. Il sogno analizzato e scomposto nei suoi elementi-base, mostra come l’attività onirica utilizzi alcuni procedimenti correlati molto affini a quelli naturali con cui funziona il linguaggio. Uno di essi è la condensazione, che

5

Unità 1Psicoanalisi ed educazione

consiste nel saldare in un unica rappresentazione molti nuclei diversi di significato: un insieme di pensieri e di desideri viene, in altre parole, «compresso» in un’unica immagine, come nel caso a tutti noto in cui in un’unica figura del sogno riconoscia-mo tratti di persone diverse. La condensazione è un modo di traduzione del conte-nuto latente in contenuto manifesto. L’altra forma fondamentale con cui opera il lavoro notturno della nostra psiche è lo spostamento. Si tratta di un procedimento che consiste nel trasferire l’interesse o l’intensità emotiva da un’immagine ad un’altra apparentemente secondaria, attraverso un «rovesciamento» che toglie im-portanza proprio agli elementi fondamentali del contenuto latente. Lo spostamento è profondamente legato al terzo aspetto fondamentale della psicologia dei processi onirici, quello appunto della censura e del simbolismo che la costituisce. La cen-sura è quella funzione psichica che, travestendo il contenuto latente di simboli, fi-gure e fantasie, e originando condensazioni e spostamenti di significati, impedisce che il materiale traumatico passi così com’è nella coscienza. In questo senso, Freud afferma che il sogno ha la funzione fondamentale di preservare il riposo psico-fi-sico dell’individuo, garantendo una temporanea soddisfazione di desiderio ed eli-minando elementi di conflitto derivati dalla rimozione di desideri infantili.

brani d’autore ❱Il sogno come appagamento di desiderio

Il brano che segue, tratto da L’Interpretazione dei sogni, è uno dei testi in cui più chiaramente Freud teorizza il nesso tra contenuto onirico e desiderio rimosso.

È facile dimostrare che spesso i sogni si rivelano, senza alcuna maschera, come appagamenti di desideri; cosicché ci si può meravigliare che il linguaggio dei sogni non sia stato già compreso da lungo tempo. Per esempio, c’è un sogno che io posso produrre in me quando voglio, per così dire sperimentalmente. Se la sera mangio sardine, olive o qualsiasi altro cibo molto salato durante la notte mi viene sete e mi sveglio. Ma il mio risveglio è prece-duto da un sogno che ha sempre lo stesso contenuto cioè che sto bevendo. Sogno che sto già bevendo a grandi sorsi dell’acqua, che ha quel sapore delizioso delle be-vande fredde per chi è arso dalla sete. Poi mi sveglio e devo bere veramente. Questo semplice sogno è causato dalla sete ed io me ne rendo conto quando mi sveglio. La sete dà vita al desiderio di bere ed il sogno mi mostra quel desiderio soddisfatto compiendo una funzione, che è facile indovinare: io dormo profondamente e non sono solito farmi svegliare da qualsiasi bisogno fisico. Se posso calmare la mia sete sognando di bere, allora non ho bisogno di svegliarmi per soddisfarla. Questo, dunque, è un sogno di comodità. Il sognare ha preso il posto dell’azione, come succede spesso in altri casi della vita. Sfortunatamente il mio bisogno di acqua per calmare la sete non viene soddisfatto dal sogno allo stesso modo della mia sete di vendetta sull’amico Otto e sul Dr. M.;

ma l’intenzione è analoga in entrambi i casi. Non molto tempo fa, questo stesso mio sogno mostrò qualche cam-biamento. Avevo avuto sete anche prima di addormen-tarmi ed avevo vuotato il bicchiere d’acqua che era sul comodino. Poche ore più tardi, durante la notte, ebbi di nuovo sete, ma ciò comportava delle conseguenze sco-mode: per procurarmi dell’acqua avrei dovuto alzarmi a prendere il bicchiere che si trovava sul comodino di mia moglie. Allora feci un sogno adatto, che cioè mia moglie mi faceva bere da un vaso; questo vaso era un’urna ci-neraria etrusca che avevo portato da un viaggio in Italia e che avevo subito regalato. L’acqua che conteneva era però così salata (evidentemente a causa della cenere che era nell’urna) che mi svegliai. Si può notare quanto ogni cosa fosse disposta convenientemente in questo sogno. Poiché il suo unico scopo è quello di esaudire un desi-derio, esso può essere completamente egoistico. In real-tà l’amore per la comodità non è compatibile con il ri-guardo per le altre persone. L’introduzione nel sogno dell’urna cineraria era probabilmente un’altra soddisfa-zione di desiderio: mi dispiaceva non possedere più quel vaso, proprio come non poter raggiungere il bicchiere d’acqua che era sul comodino di mia moglie. Anche l’urna con le ceneri si accordava bene con il sapore sa-lato della mia bocca, che diventava sempre più intenso, e che sapevo che mi avrebbe svegliato.

S. Freud, L’interpretazione dei sogni,Newton Compton

6

MODULO 1Psicoanalisi ed educazione

❱ 1/4 La teoria dello sviluppo: gli stadi psico-sessualiNel quindicennio che va dal 1900 (data di pubblicazione dell’Interpretazione dei sogni) al 1915, l’anno in cui appare la Metapsicologia, la teoria psicoanalitica si estende e approfondisce in molti sensi. È un altro periodo intenso, che vede pure la nascita istituzionale e il successo crescente della «Società Psicoanalitica di Vienna» (di cui faranno parte alcuni tra i maggiori discepoli di Freud, tra cui Otto Rank, San-dor Ferenczi, Karl Abraham, Alfred Adler, l’inglese Ernest Jones, più tardi suo bio-grafo ufficiale, e soprattutto l’assistente e futuro antagonista, lo svizzero Carl Gustav Jung, oltre allo psichiatra Ludwig Binswanger: un insieme forse unico, per l’epoca, di ricercatori e studiosi). È anche il periodo in cui si consolida la fama personale di Freud e in cui la psicoanalisi cessa di essere relegata nella zona tutto sommato oscu-ra delle terapie psichiatriche e comincia davvero a configurarsi come interpretazione generale della natura umana.Alla luce delle nuove acquisizioni, l’infanzia assume, secondo Freud, un ruolo asso-lutamente fondamentale.

I primi anni di vita sono ricostruiti sulla base della terapia psicoanalitica condotta con pazienti adulti. Secondo Freud, alla nascita il bambino è mosso principalmente dall’istinto libidico, nel quale sono compresi i cosiddetti istinti o pulsioni vitali che riguardano sia i bisogni fisiologici legati alla sopravvivenza sia quelli aggressivi che, successivamente, assumeranno la dizione di istinto di morte. Il bambino, secondo Freud, è per un lungo periodo totalmente narcisista e agisce solamente per ottenere la gratificazione degli istinti vitali: è il principio del nirvana, ovvero la tendenza al mantenimento dello stato omeostatico di piacere. L’istinto libidico tenderà successi-vamente ad investire particolari zone del corpo chiamate zone erogene. A seconda delle diverse zone interessate, si distinguono cinque stadi detti stadi «psicosessuali»:

• stadio orale (dalla nascita ad 1 anno). I primi contatti del bambino con il mondo avvengono tramite la bocca, pertanto, la regione orale diventa il mezzo privilegia-to di rapporto con la madre vissuta come oggetto che gratifica il bambino tramite l’alimentazione. Questo stadio termina con lo svezzamento: il bambino deve ora abituarsi ad un tipo diverso di alimentazione il che vuol dire anche ad un rappor-to diverso con la madre;

• stadio anale (da 1 a 3 anni). Man mano che il bambino cresce comincia a sposta-re l’interesse nella zona anale e uretrale: inizia il controllo degli sfinteri collegato al piacere di trattenere o di emettere. Spesso in questa fase i genitori possono di-ventare ossessivi circa il controllo degli sfinteri, nel senso di pretendere che il figlio acquisti al più presto questa capacità. È in questo stadio che spesso può sorgere un conflitto tra autonomia del bambino e tendenza dei genitori ad imporre propri tempi e bisogni;

• stadio fallico (dai 3 ai 5 anni). Verso i 3-4 anni, il bambino comincia a provare piacere nella manipolazione dei propri genitali: spesso è in questa fase che può iniziare la masturbazione. L’investimento sui genitali dà luogo a quello che, se-condo Freud, è il nodo centrale dello sviluppo umano: il conflitto edipico. Il bambino comincia a presentare un forte attaccamento erotico nei confronti della madre e ovviamente considera il padre come rivale nel possesso della madre. Ma il padre è vissuto anche come minaccioso e forte, tale comunque da poterlo, sim-bolicamente, castrare: insorge così l’ansia di castrazione. Per riuscire a superarla, egli tenderà ad identificarsi con il padre: interiorizzando la figura paterna, egli ne

7

Unità 1Psicoanalisi ed educazione

assumerà il potere. Questo processo di identificazione è dovuto a quello che Freud considera il tabù più importante, perché fonda il genere umano: il tabù dell’ince-sto. Lo stesso processo, ma con i ruoli inversi avviene per la bambina; solo che questa avrà meno angoscia, perché la conformazione dei suoi genitali rappresen-ta, simbolicamente, una castrazione già avvenuta. Pertanto, in questo periodo il bambino avrà costituito, come abbiamo già visto, le tre strutture fondamentali della personalità: l’Es, l’Io e il Super-Io;

• fase di latenza (dai 5 ai 12 anni). A questo punto il bambino è ormai un essere completo. La fine della conflittualità edipica lo porterà ad impegnare le proprie energie nella ricerca, nello studio, nel rapporto con i coetanei;

• stadio genitale. Con la pubertà, si risvegliano le cariche libidiche ed aggressive che dovranno trovare una modalità espressiva sempre più matura per giungere ad un’identità sessuale tanto più valida, quanto più sono stati superati gli stadi pre-cedenti. Se questo non avviene, l’adolescenza da crisi passeggera può trasformar-si in situazione di patologia più o meno grave.

brani d’autore ❱ La sessualità infantile per Freud

Il brano qui presentato è tratto dal secondo dei Tre saggi sulla teoria sessuale, pubblicati da S. Freud nel 1905: in esso viene affrontato il tema della sessualità infantile partendo dalla constatazione della censura (amnesia) che nell’adulto nasconde le esperienze dei primi cinque-sei anni di vita. Dall’analisi condotta sull’adulto, risulta che queste esperienze sono state dimenticate perché connes-se a desideri e impulsi inaccettabili all’Io, e che costitu-iscono la prima manifestazione della vita sessuale.

È opinione popolare, a proposito della pulsione sessuale, che essa manchi nell’infanzia e che si risvegli soltanto nel periodo di vita che va sotto il nome di pubertà. Ma questo non soltanto è un puro e semplice errore, bensì anche un errore gravido di conseguenze, perché è il principale responsabile della nostra attuale ignoranza a proposito delle condizioni fondamentali nella vita ses-suale. Uno studio approfondito delle manifestazioni sessuali nell’infanzia probabilmente ci mostrerebbe i tratti essenziali della pulsione sessuale, ce ne rivelereb-be lo sviluppo e ci farebbe vedere come essa venga composta da varie fonti. È notevole che gli autori i qua-li si occupano di spiegare le proprietà e le reazioni dell’individuo adulto abbiano dedicato assai più atten-zione a quell’epoca antecedente che è costituita dalla vita degli antenati, dunque abbiano attribuito all’ereditarietà un influsso assai più grande che all’altra epoca anteriore, che già ricade nell’esistenza individuale della persona, cioè all’infanzia. Si dovrebbe credere che l’influsso di questo periodo della vita fosse più facilmente compren-sibile e avesse il diritto di essere tenuto in maggior conto dell’ereditarietà [Nota aggiunta nel 1914. Non è

neppure possibile conoscere esattamente la parte che spetta in tutto ciò all’ereditarietà, prima di aver valutato quella che appartiene all’infanzia]. Nella letteratura si trovano, invero, annotazioni occasionali su di una pre-coce attività sessuale dei bambini piccoli, su erezioni, masturbazione e persino condotte analoghe al coito, ma sempre solamente come fatti eccezionali, come curiosi-tà o come esempi terribili di corruzione inconsiderata. Nessun autore, per quel che ne so, ha riconosciuto chia-ramente la regolarità, la normalità di una pulsione ses-suale nell’infanzia, e nei volumi ormai numerosi sullo sviluppo del bambino il capitolo «Sviluppo sessuale» viene perlopiù trascurato. La ragione di questa strana negligenza io la cerco in parte nei riguardi convenziona-li, dei quali gli autori tengono conto in seguito alla loro stessa educazione, e d’altra parte in un fenomeno psichi-co che finora si è sottratto a ogni spiegazione. Intendo alludere alla caratteristica amnesia che alla maggior parte degli uomini (non a tutti!) nasconde gli anni della loro infanzia, fino al sesto od ottavo anno di vita. Finora a nessuno è passato per la testa di meravigliarsi di questa amnesia; eppure ne avremmo tutti i motivi. Infatti ci raccontano che in quegli anni, dei quali più tardi non abbiamo mantenuto nella memoria se non taluni fram-menti di ricordi incomprensibili, avremmo reagito viva-cemente a impressioni; che sapevamo esprimere dolore e gioia in modo umano; che avremmo mostrato amore, gelosia e altre passioni, le quali allora ci commovevano violentemente, anzi che avremmo detto cose che dagli adulti furono notate come buone prove di intelligenza e di incipiente capacità di giudizio. E di tutto ciò noi in quanto adulti non sappiamo, per parte nostra, nulla. Come

8

MODULO 1Psicoanalisi ed educazione

mai la nostra memoria è così indietro rispetto a tutte le altre attività della nostra psiche? Abbiamo ragioni per credere che essa non sia stata in nessun altro periodo della vita più capace di ricevere e di riprodurre che, per l’appunto, negli anni dell’infanzia. D’altro canto siamo costretti a supporre, o ce ne possiamo convincere me-diante l’indagine psicologica su altri individui, che le stesse impressioni che abbiamo dimenticato hanno cio-nondimeno lasciato dietro di sé le tracce più profonde della nostra vita psichica e sono diventate determinanti per tutto il nostro sviluppo ulteriore. Dunque non può trattarsi affatto di una fine effettiva delle impressioni d’infanzia, bensì di un’amnesia, simile a quella determi-nata da esperienze posteriori che osserviamo nei nevro-tici, e l’essenza della quale consiste in un puro e sempli-ce allontanamento dalla coscienza (rimozione). Ma quali forze producono questa rimozione delle impressio-ni d’infanzia? Chi risolvesse questo enigma, avrebbe chiarito anche l’amnesia isterica. Per intanto, non vo-gliamo trascurare di sottolineare che l’esistenza dell’am-nesia infantile stabilisce un nuovo punto di confronto tra lo stato psichico del bambino e quello dello psiconevro-tico. L’altro l’abbiamo incontrato prima, quando siamo giunti a precisare che la sessualità degli psiconevrotici è rimasta allo stadio infantile o ad esso è stata ricondot-

ta. Ma allora può darsi che anche l’amnesia infantile, a sua volta, sia da porre in relazione con gli impulsi ses-suali dell’infanzia! Del resto, collegare l’amnesia infan-tile a quella isterica è più che una mera battuta di spirito. L’amnesia isterica, che serve alla rimozione, si spiega soltanto con la circostanza che l’individuo possiede già un patrimonio di tracce mnestiche, le quali sono sottrat-te a una disponibilità cosciente, e che ora attirano a sé per collegamento associativo il materiale su cui, dalla sfera cosciente, agiscono le forze repulsive della rimo-zione. Senza amnesia infantile, si può dire, non vi sareb-be amnesia isterica. Concludendo, io ritengo che l’am-nesia infantile, la quale fa dell’infanzia di ciascun indi-viduo per così dire una specie di epoca preistorica e vi nasconde i primordi della sua vita sessuale, è responsa-bile del fatto che in generale all’età infantile non si at-tribuisca valore per lo sviluppo della vita sessuale. Un ricercatore da solo non può riempire la lacuna formatasi in tal modo nella nostra scienza. Fin dal 1896, io ho sottolineato il significato degli anni dell’infanzia per l’insorgere di importanti fenomeni dipendenti dalla vita sessuale, e da allora non ho mai smesso di porre in primo piano per la sessualità il momento infantile.

(S. Freud, Opere, Boringhieri, Torino, 1989, vol. IV)

❱ 1/5 L’ultimo Freud: «coazione a ripetere» e «istinto di morte»Negli anni successivi, Freud propone un ulteriore approfondimento della sua teoria. Siamo nell’immediato primo dopoguerra, precisamente tra il 1920 e il 1923, gli anni in cui appaiono rispettivamente Al di là del principio di piacere e L’Io e l’Es. Il fatto nuovo è rappresentato dall’esperienza di cura che Freud ha con alcuni reduci di guerra, nei quali osserva un fenomeno estremamente singolare, tanto da spingerlo ad una profonda revisione delle sue precedenti ipotesi. Egli nota, infatti, che i sogni di alcuni giovani segnati da eventi particolarmente traumatici in guerra (scene di morte, mutilazioni, panico intenso) non solo non sembravano «appagamenti di de siderio» secondo la proposta dell’Interpretazione di sogni ma, al contrario, in essi riaffiorava-no incessantemente quelle stesse angosciose situazioni traumatiche realmente vissu-te dal soggetto. Parallelamente a queste scoperte sul piano clinico, Freud è in quel periodo molto attratto dallo strano gioco di un bambino, suo nipote Ernst: il gioco consisteva nel lanciare lontano da sé, fino a farlo sparire e poi ricomparire, un roc-chetto di legno legato a un filo. La stranezza consisteva non tanto nel gioco in sé, quanto nelle reazioni del bambino alle sue varie fasi. Il comportamento emotivo di Ernst di fronte alla sparizione/riapparizione del rocchetto era infatti analogo a quello provato nei confronti dell’abbandono e successivo ritorno della mamma. Freud ipo-tizza che il gioco del rocchetto simbolizzasse, per il piccolo, l’allontanamento e il riavvicinamento della figura materna, come se, riproducendo quella situazione, egli la potesse in qualche modo controllare o esorcizzare. Il piccolo Ernst, inoltre, ripro-duceva quasi sempre la scena più dolorosa, quella della sparizione del rocchetto e quindi l’allontanamento della mamma. Ebbene, dall’analisi di esperienze molto di-

9

Unità 1Psicoanalisi ed educazione

verse tra loro, come possono essere i sogni dei reduci di guerra e il gioco di un bam-bino, Freud deduce l’esistenza di una tendenza profonda della nostra psiche alla ri-petizione di fatti ed eventi spiacevoli o luttuosi, un impulso che chiama coazione a ripetere e che si mostra in chiaro contrasto con la precedente dottrina del primato di un principio di piacere come centro dinamico della vita psichica. La novità assoluta di questa scoperta porta dunque Freud a rivedere le sue più salde posizioni. Egli in-terpreta, infatti, questa spinta a ripetere gli eventi più angosciosi come espressione di una tendenza arcaica, ancestrale e comune a tutti i soggetti, di ritornare allo stato inorganico originario, alla situazione precedente la nascita o alla morte stessa. Se-condo Freud accanto alla libido – cioè alla forza di vita, all’energia legata all’Eros che mira alla conservazione della nostra esistenza – va accostata anche una «pulsio-ne di morte» o Thanatos, una volontà di dissoluzione che agisce in maniera silenzio-sa e inaspettata e che emerge angosciosamente in certi sogni o nel complesso feno-meno dell’aggressività umana.

❱ 1/6 io, es, Super-io: la scissione della personalità umanaLa lunga esperienza di analisi e la scoperta inquietante di una pulsione di morte nel-la parte più profonda del soggetto spinge poi Freud ad un’ultima revisione delle sue ipotesi. In un altro testo fondamentale, L’Io e l’Es, egli propone una nuova immagi-ne della personalità umana per introdurre una vera e propria scissione della psiche in tre istanze diverse: l’Es, l’Io e il Super-Io. L’Es (in tedesco, pronome neutro di terza persona) designa ora ciò che prima era l’inconscio, ed esprime la nostra parte oscura/primordiale da cui derivano sia gli istinti di vita, l’Eros, sia quelli di morte, Thanatos. Nell’Es non v’è logica, né tempo, né morale, ma solo un gioco costante di pulsioni contrastanti, di forze antagoniste. L’Io non è più concepito come dimensione netta-mente separata dall’Es. Secondo Freud, proprio l’Io deriva dall’Es, anzi è la parte di esso modificatasi nel processo millenario di civilizzazione umana, la zona della psiche maturata lentamente a contatto con il mondo esterno: è la parte che ha dovuto censu-rare, a fini di sopravvivenza, il principio di piacere irrazionale sostituendolo con un principio di realtà, di concretezza e praticità. La caratteristica dell’Io è, infatti, la sintesi e la ricerca di equilibrio. Ma a rendere difficile questa sintesi è la terza istanza ipotizzata da Freud, il cosiddetto Super-Io: il «censore» degli impulsi profondi, il livello della nostra personalità che giudica e inquisisce, la coscienza morale e, in altre parole, la matrice dei sensi di colpa e della punizione. Il Super-Io deriva a sua volta dall’Io: si forma molto presto (attorno ai cinque anni di vita) come riflesso di insegnamenti e precetti o costrizioni morali subiti dal bambino. E con ciò esso è anche veicolo di inconsci sensi di colpa ed è, in fondo, altrettanto irrazionale dell’Es. Qual è a questo punto lo statuto dell’Io, quale la sua tenuta come garante del principio di realtà? Il pensiero dell’ultimo Freud, testimoniato in seguito in opere filosofiche più che psicoanalitiche – tra cui L’avvenire di un’illusione (1927) e Il disagio della civiltà (1929) – assume tratti negativi e pessimisti: la continua tensione tra impulsi irrazionali dell’Es e volontà censoria del Super-Io nevrotizza costantemente l’Io, ingabbiato in un sistema di spinte che lo sovrastano e che lo fanno vacillare perico-losamente.

10

MODULO 1Psicoanalisi ed educazione

❱❱ 2. Sviluppi della psicoanalisi infantile❱ 2/1 Anna Freud e Melanie Klein

Già con l’opera di Anna Freud (Vienna 1895 - Londra 1982), continuatrice ideale del lavoro paterno oltre che instancabile coordinatrice del movimento psicoanalitico (a lei si deve l’organizzazione della Hampstead Child Therapy Clinic di Londra, la prima grande clinica per i disturbi psichici dei bambini) la psicoanalisi aveva comin-ciato ad affrontare direttamente la cura delle nevrosi dell’età infantile. Il suo princi-pale scritto, L’io e i meccanismi di difesa del 1936, base teorica della sua terapia rivolta ai bambini, riprende alcune tesi del testo paterno Inibizione, sintomo, angoscia (1925) e pone l’accento sulle vie di fuga dell’Io, così come si manifestano a partire dai primi anni di vita, di fronte all’angoscia causata dalle repressioni della morale, della realtà e dalle pulsioni stesse. Ma è con il contributo fondamentale di Melanie Klein (Vienna 1882 - Londra 1960) che lo studio delle nevrosi precoci assume un ruolo di primissimo piano dal punto di vista dell’elaborazione teorica generale della struttura della psiche. Già l’indagine condotta da Freud per comprendere il significa-to dei sintomi nevrotici aveva fornito importanti nozioni sullo sviluppo psicologico del bambino, derivanti da ricordi e fantasie di adulti in terapia psicoanalitica. Era ovvio, dunque, che l’interesse da parte della comunità psicoanalitica fosse quello di studiare direttamente i bambini per verificare le ipotesi sul loro sviluppo mentale, psichico, sessuale. Bisognava cercare però un metodo diverso da quello adoperato da Freud con gli adulti: non era possibile, infatti, utilizzare le libere associazioni, poiché i bambini sono più propensi ad agire che a parlare, e pertanto la Klein ritiene che l’unica possibilità fosse l’osservazione delle modalità ludiche.Il gioco diventa, quindi, lo strumento fondamentale di ricerca per comprendere le fantasie o le angosce più profonde del bambino.In questo senso la Klein, mutando profondamente il tradizionale setting (le modalità esteriori) della terapia (faceva giocare i bambini in sua presenza) immette nella psi-coanalisi classica un modello teorico decisamente originale e suggestivo, molto utile per tutti gli studi successivi sulla psicologia dell’infanzia. In opere ormai classiche come La psicoanalisi dei bambini (1923), Contributi alla psicoanalisi (1921-45), Invidia e gratitudine (1957) emerge un’idea dell’inconscio infantile come luogo delle «produzioni fantasmatiche»: il bambino che prima di addormentarsi simula o immagina la suzione del seno materno, svela come ogni pulsione sia accompagnata da una relativa fantasia. Tutto il mondo «interno» del neonato è abitato da fantasmi, simulazioni, fantasie originarie che strutturano l’inconscio. Queste produzioni fan-tasmatiche – ecco la novità dell’ipotesi kleiniana – sono però sempre dirette verso oggetti parziali (bocca, seno, organi genitali), cioè verso frammenti di corpo, e mai alla totalità della persona (la madre, ovviamente). Il bambino, secondo la Klein, si trova in questo senso sin dall’inizio in una condizione di frammentazione e scissione dei suoi desideri e delle sue pulsioni. In preda all’istinto di morte è drammaticamen-te diviso tra ricerca degli «oggetti buoni» (quelli che lo gratificano) e la paura degli «oggetti cattivi» (quelli che lo minacciano). L’unità del soggetto, in altre parole, si forma solo in una fase successiva. A questo livello, la Klein introduce l’importante nozione di posizione per indicare le modalità attraverso cui il bambino si relaziona agli oggetti. La «posizione» iniziale (prima del quarto mese di vita) è definita «schi-zoparanoide», ed è appunto quella in cui si manifesta la frammentazione originaria (legame tra pulsione e oggetto parziale) in cui, cioè, affiora un profondo sentimento

11

Unità 1Psicoanalisi ed educazione

d’angoscia derivante dalla divisione tra oggetti buoni e cattivi. Solo più tardi, dopo il quarto mese di vita, con la posizione cosiddetta «depressiva» il bambino è in con-dizione di percepire la totalità (di intendere ad esempio la mamma come oggetto d’amore unitario, non più scisso in parti buone e cattive). Approfondiamo questi aspetti, che hanno avuto una larga eco nella psicoanalisi contemporanea.

Posizione schizoparanoideSi evidenzia, come già anticipato, nei primi 4-6 mesi di vita del bambino, ma può comunque ripresentarsi nel corso della vita dando luogo ad una specifica patologia: la paranoia e la schizofrenia. In questa fase il bambino, secondo la Klein, è porta-tore di una forte carica aggressiva che supera di gran lunga quella libidica, tanto che si trova costretto, proprio a causa dell’intensa angoscia, a proiettare sull’oggetto primario questa forza distruttiva. L’oggetto primario è il seno materno, che viene scisso in oggetto buono e cattivo: si tratta di vissuto che non dipende tanto dalle qualità reali dell’oggetto, quanto piuttosto dall’intensità delle pulsioni. Comincia così un gioco di introiezioni e proiezioni mediato da alcuni meccanismi difensivi fonda-mentali, tra cui:

• l’idealizzazione, per cui il seno è vissuto come fonte di gratificazione illimitata e immediata;

• la scissione, il diniego ed il controllo che mirano a scindere l’oggetto, a negare o manipolare la realtà, per evitare le gravi angosce persecutorie.

Se il bambino riesce a superare questa fase carica di grande angoscia, si avvia alla seconda fase: la posizione depressiva appunto.

Posizione depressivaIl bambino è ormai capace (dopo i 6 mesi) di recepire la madre come oggetto unico, contemporaneamente buono e cattivo. Si determina così una situazione di ambiva-lenza, intesa come dinamica di amore-odio. Pertanto, permane una parte di sadismo, che suscita in lui una nuova angoscia: quella depressiva. Non essendo però più pos-sibile la scissione totale, distruggere una parte dell’oggetto ritenuto cattivo signifi-cherebbe perderlo nella sua totalità. Pertanto il bambino dovrà innescare ulteriori strategie difensive, talvolta maniacali, o ritrovare meccanismi più primitivi, tipici della fase precedente. Se riesce invece ad inibire l’aggressività, il piccolo giunge al meccanismo della riparazione, accettando l’unità e la validità dell’oggetto, che ha resistito agli attacchi delle sue fantasticherie sadiche. Questo meccanismo di difesa spinge l’Io ad un processo di identificazione stabile con un oggetto divenuto gratifi-cante, perché riparato. La posizione depressi va, se non completamente superata, potrà ripetersi successivamente come sintomatologia depressiva. Come risulta da questi elementi, il quadro che la Klein offre del bambino nel suo normale sviluppo è di gran lunga più negativo di quello offerto da Freud. Ad un bambino «perverso polimor fo», viene sostituito un bambino che è profondamente distruttivo, malato e per giunta completamente in balia dei propri istinti. Il superamento di queste fasi non dipende, infatti, tanto dall’oggetto esterno, quanto dalla potenza delle pulsioni: solo se le pulsioni di vita avranno il sopravvento su quelle di morte, il bambino potrà es-sere salvo da una grave disintegrazione psichica. Su queste base, le ipotesi teoriche ed i progetti terapeutici kleiniani prevedono un’azione di aiuto costante verso il bam-bino, finalizzata alla ricomposizione dell’unità della sua psiche strutturalmente

12

MODULO 1Psicoanalisi ed educazione

frantumata: lo scopo finale della terapia kleiniana, che ha delle interessanti ricadute anche a livello psicoeducativo, è quello di far assorbire le posizioni della scissione schizoparanoide in quelle della successiva conciliazione depressiva, stimolando un’incessante elaborazione simbolica del lutto originario, cioè dell’assenza e della frammentazione della madre. Nonostante la notevole problematicità di queste propo-ste, la teoria kleiniana ebbe, come abbiamo ricordato, un largo seguito nella psicoa-nalisi, forse proprio perché quest’ultima, a differenza di Freud, aveva osservato sul campo i bambini: nel caso delle sue ipotesi teoriche, anche le più sconcertanti, non si trattava più, come in Freud, solo di incerte e talora arbitrarie ricostruzioni di ricor-di, magari deformati, degli adulti circa la propria infanzia, ma di un materiale clini-co direttamente osservato. Questa visione della Klein, di un bambino pieno di odio e gravemente disturbato, susciterà una serie di reazioni negative, sia nel campo psi-coanalitico che in quello più vasto della psicologia. Un modello di visione del mondo psichico del bambino meno «drammatico» di quello offerto dalla Klein viene propo-sto dallo psicoanalista inglese Donald Winnicott.

brani d’autore ❱Melanie Klein e il senso del gioco nella psicoanalisi infantile

[…] Ho spiegato come l’uso dei giocattoli, che io tenevo specificamente per i miei piccoli pazienti nella scatola dove li portai la prima volta, si dimostrasse essenziale per l’analisi. Tale esperienza, come molte altre, mi aiutò a stabilire quali giocattoli sono più adatti per la tecnica psicoanalitica del gioco. Trovai essenziale avere giocat-toli piccoli, perché il loro numero e varietà mette il bambino in grado di esprimere una vasta serie di fantasie ed esperienze. È importante, per tale scopo, che questi giocattoli non siano meccanici e che le figure umane, diverse solo per colore e misura, non indichino alcuna particolare occupazione. La loro grande semplicità met-te il bambino in grado di usarle in molte situazioni dif-ferenti, secondo il materiale che vien fuori dal suo gioco. Il fatto che egli possa, così, presentare simultaneamente una varietà di esperienze e situazioni immaginarie o reali ci rende, inoltre, possibile tracciare un quadro più coerente del lavoro della sua mente. In armonia con la semplicità dei giocattoli, anche l’attrezzatura della ca-mera da gioco è semplice: non comprende se non ciò che è necessario all’analisi. I giocattoli di ciascun bambino son tenuti chiusi in un particolare cassetto, ed egli perciò sa che i suoi giocattoli e i giochi a cui gli servono, che sono l’equivalente delle associazioni degli adulti, sono conosciuti solo dall’analista e da lui. La scatola in cui presentai per la prima volta i giocattoli alla bambina summenzionata risultò il prototipo del cassetto indivi-duale, che è parte della relazione intima e privata tra analista e paziente, caratteristica della situazione del transfert psicoanalitico.Io non affermo che la tecnica del gioco dipenda intera-mente dalla mia particolare selezione del materiale di

gioco. In ogni caso, i bambini spesso portano spontane-amente con sé le loro cose, e il gioco che fanno con queste entra come una cosa naturale nel lavoro analitico. Ma credo che i giocattoli forniti dall’analista dovrebbe-ro essere, nel complesso, del tipo da me descritto, cioè semplici, piccoli e non meccanici.Comunque, i giocattoli non sono i soli mezzi per l’ana-lisi fondata sul gioco. Molte delle attività del bambino sono a volte esercitate intorno al lavabo, che è fornito di una o due bottigliette, bicchieri e cucchiai. Spesso egli disegna, scrive, dipinge, taglia, ripara giocattoli, e così via. Di tanto in tanto, fa alcuni giochi in cui assegna all’analista e a se stesso le parti: il negozio di giocattoli, il dottore e l’ammalato, la scuola, la madre e il bambino. In tali giochi spesso il bambino assume per sé la parte dell’adulto, non solo esprimendo con ciò il suo desiderio di rovesciare i compiti, ma anche dimostrando come egli sente che i suoi genitori o altre persone autorevoli si comportano verso di lui, o dovrebbero comportarsi. Qualche volta egli dà sfogo alla sua aggressività e al risentimento, mostrandosi, nella parte di genitore, sadi-co verso il bambino, rappresentato dall’analista. Il prin-cipio dell’interpretazione rimane lo stesso se le fantasie sono espresse mediante i giocattoli o con una finzione scenica. Poiché, qualunque materiale si usi, l’essenziale è che i principi base della tecnica vengano applicati.Nel gioco infantile l’aggressività è espressa in vari modi, direttamente o indirettamente. Spesso vien rotto un gio-cattolo o, quando il bambino è più aggressivo, capita che assalga con un coltello o con le forbici la tavola o pezzi di legno, spruzzi intorno l’acquaio i colori, e la camera, in genere, diventi un campo di battaglia. È essenziale

13

Unità 1Psicoanalisi ed educazione

mettere il bambino in grado di manifestare la sua aggres-sività, ma quel che più conta è capire perché, in quel particolare momento, nella situazione di transfert affiori-no impulsi distruttivi e osservare le loro conseguenze nella mente del bambino. Sentimenti di colpa possono manifestarsi subito dopo che il bambino ha rotto, per esempio, una figurina. Tale colpa si riferisce non solo al danno fatto, ma anche a ciò che il giocattolo rappresenta nell’inconscio del bambino, per esempio un fratellino, una sorellina o un genitore; perciò l’interpretazione deve spingersi anche a questi strati più profondi. A volte pos-siamo dedurre dal comportamento del bambino verso l’analista che non solo la colpa ma anche l’ansia per timo-re di persecuzione è stata la conseguenza dei suoi impul-si distruttivi e che egli è spaventato dalla rappresaglia.Ho potuto quasi sempre far capire al bambino che non avrei tollerato attacchi fisici contro me stessa. Questo atteggiamento non solo protegge la psicoanalista ma è altresì importante per l’analisi, poiché tali assalti, se non vengono contenuti entro certi limiti, possono ingenerare nel bambino un eccessivo senso di colpa e un’ansia persecutoria, e perciò si aggiungono alle difficoltà del trattamento. Varie volte mi è stato chiesto con quale metodo io prevenissi le aggressioni fisiche, e credo che la risposta sia questa: ero molto attenta a non inibire le fantasie aggressive del bambino; infatti gli veniva data l’opportunità di attuarle in altri modi, non esclusi gli attacchi verbali a me stessa. Quanto più potevo interpre-tare a tempo i motivi dell’aggressione del bambino, tanto più la situazione poteva essere tenuta sotto control-lo. Ma con alcuni bambini psicotici a volte è stato diffi-cile proteggermi dalla loro aggressività.

[…] Ho notato che l’atteggiamento del bambino verso un giocattolo da lui danneggiato è molto rivelatore. Spesso egli accantona tale giocattolo, che rappresenta, per esempio, un fratellino o un genitore, e lo ignora per qualche tempo. Ciò indica l’avversione per l’oggetto, dovuta alla paura d’essere perseguitato, cioè che la per-sona assalita (rappresentata dal giocattolo) sia divenuta vendicativa e pericolosa. Il senso di persecuzione può essere così forte da coprire sentimenti di colpa e di de-pressione, anche essi suscitati dal danno prodotto. Op-pure la colpa e la depressione possono essere così forti da portare a un rafforzamento dei sentimenti persecuto-ri. Comunque, un bel giorno il bambino può cercare nel suo cassetto il giocattolo danneggiato: ciò suggerisce allora che noi abbiamo potuto analizzare alcune impor-tanti difese, diminuendo così i sentimenti persecutori e rendendo il paziente consapevole del suo senso di colpa e del desiderio di riparazione. Quando ciò accade, pos-siamo anche notare che è avvenuto un cambiamento nei

rapporti del bambino con quel particolare fratellino rappresentato dal giocattolo, o nelle sue relazioni in generale. Tale mutamento conferma la nostra impressio-ne che l’ansia dovuta a timori di persecuzione è diminu-ita e che, insieme con il senso di colpa e il desiderio di ripararvi, hanno assunto una parte pre ponderante senti-menti d’amore che erano stati attutiti dall’eccessiva angoscia. Con un altro bambino, o con lo stesso bambi-no in uno stadio analitico più avanzato, il senso di colpa e il desiderio di riparazione possono venire subito dopo l’atto aggressivo, e si manifesta la tenerezza verso il fratello o la sorella eventualmente danneggiati. L’impor-tanza di tali cambiamenti per la formazione del caratte-re e i rapporti oggettuali, come anche per la stabilità mentale, non può essere sopravvalutata.È una parte essenziale del lavoro interpretativo che deve accompagnare e assecondare la fluttuazioni fra l’amore e l’odio, fra la felicità e la soddisfazione da una lato e l’ansia persecutoria e la depressione dall’altro. Ciò im-plica che l’analista non deve mostrare disapprovazione per il bambino che ha rotto un giocattolo: egli non deve, comunque, incoraggiare il bambino ad esprimere la sua aggressività o suggerirgli che il giocattolo può essere riparato. In altri termini, egli dovrebbe mettere il bambi-no in grado di sperimentare le sue emozioni e fantasie come vengono fuori. Fu norma costante della mia tecni-ca non esercitare un influsso educativo o morale, ma at-tenermi unicamente al procedimento psicoanalitico, che, in poche parole, consiste nel comprendere il pensiero del paziente e nel comunicargli ciò che avviene in lui.La varietà delle situazioni emotive che possono essere espresse con le attività del gioco è illimitata: per esempio, senso di frustrazione e di essere ripudiato; gelosia del padre o della madre, dei fratelli o delle sorelle, accom-pagnata o non da aggressività; piacere di avere un com-pagno di giochi alleato contro i genitori; sentimenti d’amore e odio verso un bimbo neonato o atteso, e con-seguente angoscia, colpa e desiderio di riparare. Nel gioco infantile si trova anche la ripetizione di esperienze reali e di particolari della vita quotidiana, spesso intrec-ciati con fantasie. È rivelante l’osservare che, talvolta, fatti reali molto importanti nella vita del bambino non riescono ad entrare né nel suo gioco né nelle sue asso-ciazioni e che il massimo rilievo sia invece dato ad av-venimenti di minor conto. Ma questi sono di grande importanza per lui, perché hanno provocato le sue emo-zioni e fantasie.

(M. Klein, La tecnica psicoanalitica del gioco: sua storia e suo significato, II-III; in R. Fornaca-R. S. Di

Pol, Dalla certezza alla complessità. La pedagogia scientifica del ’900, Principato, Milano, 1997)

14

MODULO 1Psicoanalisi ed educazione

❱ 2/2 Donald WinnicottIdealmente collocabile tra Anna Freud e Melanie Klein, l’opera di Donald Winnicott (Plymouth, Devon, 1896 - Londra 1971), figura di grande rilievo della psicoanalisi europea, mantiene tuttavia una precisa autonomia e una certa indipendenza, grazie ad una stretta connessione tra pratica clinica ed elaborazione concettuale. Nella sua teoria, esposta principalmente in scritti come Il bambino e il mondo esterno (1957), Dal luogo delle origini (1965), Gioco e realtà (1971), centrale è lo studio dell’in-fluenza dell’ambiente nello sviluppo del soggetto che si esprime nella relazione di legame e di separazione tra madre e bambino. Vengono introdotte, per chiarire queste proble matiche, le nozioni molto importanti di continuità dell’essere, di gioco e so-prattutto di oggetto transizionale. Il punto di partenza è la prima immagine materna che il bambino si procura successivamente allo stadio affettivo-simbiotico della ge-stazione. Il neonato percepisce una sorta di mamma-ambiente empaticamente protet-tiva. È il cosiddetto holding, termine intra ducibile che indica il complesso della ge-stualità materna: cullare, sostenere, proteggere affettivamente. La «continuità d’es-sere» è, per Winnicott, la possibilità che l’Io del bambino possa strutturarsi senza soffrire l’urto dell’ambiente. Per garantire che nel delicatissimo passaggio dalla con-dizione di onnipotenza in cui il bambino protetto nell’holding immagina di vivere i primi mesi di vita, alla condizione di separazione – dunque alla prima strutturazione della soggettività – c’è bisogno che si instauri tra mamma e bambino uno spazio simbolico, ludico/creativo. È lo spazio del gioco, in cui si inseriscono i cosiddetti «oggetti transizionali»: animali di peluche, pezzi di stoffa (si pensi alla famosa, dav-vero archetipica, copertina di Linus) che il bimbo tiene con sé nei momenti d’angoscia, nelle situazioni di distacco. Secondo Winnicott nel percorso dell’individuazione, nel passaggio cioè dalla fase fusionale a quella soggettiva, il bambino scopre l’esistenza del mondo esterno. Se dapprima riteneva gli oggetti esterni una sua creazione o il frutto di una allucinazione (oggetti soggettivi li definisce significativamente Winnicott), nell’impatto con l’ambiente il bimbo si disillude, ed è costretto a riconoscere l’esi-stenza dell’alterità a costo di perdere la precedente condizione di onnipotenza. La figura materna avrà allora il compito dapprima di stimolare l’illusione del bambino, e in seguito quella di favorire il disincanto. Proprio in questa seconda fase, l’area transizionale attiva le potenzialità simboliche del bambino, originando quella dimen-sione di «prassi ludica» che negli adulti diventerà arte, lavoro, cultura.

❱ 2/3 Heinz KohutCome già per la Klein e per Winnicott, anche per lo psicoanalista statunitense di origine austriaca Heinz Kohut (Vienna 1913 - Chicago, 1981), principale esponente della psicologia del sé, il neonato possiede un’unità frammentaria. Tutta la teoria di Kohut che, partito da posizioni psicoanaliti che classiche, è approdato successivamen-te a risultati di forte originalità (Narcisismo e analisi del Sé, del 1971 e La ricerca del Sé, del 1978), si propone come indagine sui processi di strutturazione della sog-gettività. Kohut chiama «Sé» l’apparato psichico originario. Il Sé primitivo del bam-bino è disunito. Per giungere alla «coesione» ha bisogno del rapporto con l’Altro. Ciò avviene attraverso due particolari funzioni: una definita come «funzione specu-lare», l’altra come «funzione idealizzante». Nella prima, il passaggio dalla frammen-tazione alla coesione è reso possibile da un investimento libidico proveniente dalla madre. Ciò vuol dire che la prima sensazione di unità del proprio essere è un risulta-

15

Unità 1Psicoanalisi ed educazione

to dell’affetto materno. L’esito produce un primo livello del Sé, che Kohut definisce «grandioso-esibizionista», in cui dominano nel bambino idee di onnipotenza e nar-cisismo. Il bambino gode, in altri termini, di esistere esclusivamente come oggetto di desiderio della madre, come suo rispecchiamento: la relazione madre/figlio è dunque di tipo «fusionale, speculare e di approvazione». La seconda funzione deriva dal Sé paterno, che per Kohut (in linea con Freud) rappresenta l’ideale di comportamen-to, l’insieme delle norme di condotta. Il bambino introietta, assorbe e sublima l’ima-go del padre, ne fa il paradigma delle sue azioni. Da questo punto di vista, nella prospettiva di Kohut (che può intendersi come una teoria dell’identificazione pro-gressiva del bambino con i suoi genitori) l’origine del sintomo nevrotico è interpre-tabile come fallimento e blocco del percorso di coesione. Uno scacco che ripiomba il Sé adulto nella condizione della frattura originaria. La terapia significherà, allora, ricomposizione del Sé e redistribuzione armonica delle pulsioni: immedesimandosi nel paziente, il terapeuta potrà liberare il «sano narcisi smo» impedito dalla nevrosi.

per approfondire❱ Il problema della soggettività in Kohut

Gli studi sulla struttura psichica del bambino mettono capo in Kohut anche ad una profonda ricostruzione di tutta la nostra personalità, che ci sembra interessante sintetizzare. Come abbiamo visto, il postulato innovativo centrale della teo ria di Kohut sulla cura del Sé è riferito all’analisi dei disturbi narcisistici della personalità: egli ritiene che, in tale condizione, tutti i difetti esistenti nel Sé si mobilitino spontaneamente come traslazioni d’oggetto Sé narcisistiche. Vi sono forze che si oppongono al dispiegarsi della traslazione, ma il Sé difettoso del paziente con un disturbo narcisistico della personalità si mobiliterà a completarne lo sviluppo cercando di stabilire un arco di tensioni dalle ambizioni di base verso gli ideali di base. Un tale arco di tensione costituisce l’essenza dinamica del Sé completo, ed è l’immagine di quella struttura il cui formarsi rende possibile una vita appagante, creativa, produttiva. In altri termini il Sé, apparato psichico primitivo, deve raggiungere un grado elevato di coesione e integrazione, essenziale per lo sviluppo succes-sivo dell’Io. Il modo in cui la psicologica analitica di Kohut affronta i disturbi edipici è a prima vista simile a quello dell’analisi tradizionale: si cerca di facilitare il dispiegarsi della traslazione edipica tramite l’anali-si sistematica delle difese, evitando interpretazioni premature della traslazione, e dedicando una seconda fase, più lunga, all’interpretazione e all’elaborazione. Kohut ritiene che il complesso edipico patogeno sia incastonato in un disturbo Sé/oggetto Sé e che, sottostante alla bramosia sessuale e all’ostilità, esista uno strato di depressione e di diffusa rabbia narcisistica. Il processo analitico si dovrà dunque soffermare sulla depressione profonda e sull’individuazione dei fallimenti degli oggetti-Sé edipici dell’infanzia. Il Sé sano che può alla fine instaurarsi può non risolversi nella riattivazione e risoluzione dei conflitti edipici, secondo la teoria freudiana classica, o nel definitivo superamento degli stati più arcaici di depressione, sospetto, rabbia, secondo la teoria kleiniana. La salute psichica è vista da Kohut come completezza strutturale e funzionale di un settore del Sé: è necessaria una nuova definizione dell’essenza del Sé e una nuova definizione teorica del suo sviluppo strutturale. Per produrre una guarigione non solo sintomatica, il processo terapeutico deve penetrare oltre gli strati organizzati, ossia le strutture difensive, del Sé del paziente, e permettere una nuo-va prolungata sperimentazione delle oscillazioni tra quello che Kohut chiama «il caos prepsicologico» e la sicurezza fornita dalla fusione primitiva con un oggetto Sé arcaico. La terapia analitica non può creare un Sé nucleare, ma il paziente può usare il terapeuta come oggetto-Sé per costruire nuove strutture difensive e per consolidare quelle già esistenti. Si deve instaurare una traslazione d’oggetto Sé in cui le strutture difensive minacciate sono offerte all’approvazione speculare del terapeuta oggetto-Sé, o in cui la persona-lità del terapeuta oggetto-Sé viene utilizzata, attraverso idealizzazioni finalizzate a uno scopo, per raffor-zare le strutture difensive del paziente.

16

MODULO 1Psicoanalisi ed educazione

❱ 2/4 René Spitz e la teoria degli «organizzatori»Di origine austriaca come Kohut, René Spitz (Vienna 1887 - Denver 1974) inizia la sua speculazione psicanalitica con Freud, da cui si allontana in ragione del suo tra-sferimento in America, nel 1938. I suoi studi si concentrano sullo sviluppo psico-affettivo dei bambini, tema a cui dedica le sue opere principali: Lo studio psicoana-litico del bambino (1945), Il no e il sì. Genesi della comunicazione umana (1957), Nascita della parola. I primi anni di vita del bambino (1965).L’analisi di Spitz si svolge secondo un metodo trasversale, basato sull’osservazione di bambini appartenenti a diverse fasce di età, allo scopo di individuare le strutture psichiche proprie di ciascuno stadio evolutivo della primissima infanzia. L’indagine porta all’individuazione di tre tappe principali, caratterizzate da indicatori che Spitz definisce «organizzatori». Il primo organizzatore si manifesta intorno ai 3 mesi ed è costituito dal sorriso sociale, strumento attraverso cui il bambino stabilisce una pri-ma forma di comunicazione con l’esterno. Il secondo organizzatore consiste nell’an-goscia dell’ottavo mese, vale a dire nel disagio espresso dal bambino di fronte all’allontanamento della madre. Questa reazione è indice della capacità del piccolo di saper riconoscere e distinguere il volto della mamma e quello dei familiari rispet-to agli estranei. L’ultimo organizzatore è l’utilizzo del no, che appare prima come gesto e poi come espressione semantica. Tale capacità indica l’acquisizione della facoltà di giudizio e di opposizione. Fondamentale per il corretto raggiungimento delle tre fasi di sviluppo è, per Spitz, il rapporto con la madre. Nel corso della sua attività professionale, lo psicanalista austriaco si dedica anche all’analisi delle diver-se patologie derivanti da rapporti madre-figlio carenti, inadeguati o del tutto assenti; questi ultimi, in particolare, determinano gravi ritardi nello sviluppo psico-motorio del bambino e possono condurre alla morte del piccolo se non si provvede a supplire la figura materna con un valido sostituto.

❱ 2/5 La teoria dello sviluppo «psico-sociale» di eriksonErik Erikson, psicoanalista statunitense di origine tedesca (Francoforte, 1902 - Har-wick, Massachussetts, 1994), estende il campo d’indagine della concezione freudia-na, elaborando una sequenza di stadi di sviluppo che vanno dalla prima infanzia all’età matura. Erikson sostiene che alla dimensione psicosessuale di Freud vada aggiunta la dimensione psico-sociale. Ad esempio, nella fase orale, non dobbiamo considera-re soltanto il piacere orale del bambino, ma anche quello di emettere suoni e di co-municare. Erikson divide il ciclo di vita dell’uomo in otto età, disposte in sequenza ordinata che si ripete (sia pur con delle variazioni) in tutti gli individui, seppure ap-partenenti a culture diverse. Tra un ciclo e l’altro, l’individuo si trova a dover costan-temente affrontare delle specifiche «crisi» psico-sociali che hanno sullo sfondo il problema dell’identità, di chi realmente «siamo» noi. Ciascuna delle otto svolte ri-sulta centrale nel periodo specifico in cui avviene, ma si ripresenta, in altre forme, lungo tutto l’arco della vita. La grande novità di Erikson rispetto a Freud consiste nel ritenere che lo sviluppo psico-sociale continui ben oltre l’adolescenza e prosegua per tutta la vita dell’individuo.

17

Unità 1Psicoanalisi ed educazione

STADI DELLO SVILUPPO «PSICO-SOCIALE»Stadio Crisi psicosociali Relazioni sociali Modalità psicosociali

Da 0 a 1 annoStadio orale-respiratorio

Dare/avere Fiducia/sfiducia Figura materna

Da 2 a 3 anniStadio anale-uretrale

Autonomia/vergognae dubbio

Trattenere/lasciar andare Genitori

Da 4 a 5 anniStadio infantile-genitale

Iniziativa/senso di colpa Famiglia Fare, tentare e giocare/non agire

Da 6 a 12 anniStadio di latenza

Industriosità/inferiorità Parenti, amici, scuola Agire, fare insieme agli altri/isolarsi

Da 13 a 20 anniAdolescenza

Identità/confusione dei ruoli

«Gruppo dei pari»,associazioni, comitiva

Essere se stesso/nonessere se stesso

Da 20 a 35 anniGenitalità

Intimità/isolamento Amici, partners Trovarsi in un altro/per-dersi in un altro. Coope-razione, competizione

Da 35 a 60 anni Generatività/stagnazione Divisione del lavoro Prendersi cura di qualcu-no/trascurare gli altri

Oltre i 60 anni Integrità dell’Io/dispera-zione

Totalità del genere umano Essere attraverso l’esse-re stato

L’infanziaLa prima fase inizia con la nascita ed è centrata sull’acquisizione di una fiducia di base e dal suo opposto, la sfiducia di base: entrambe sono necessarie ai fini dello sviluppo, poiché andranno successivamente ad integrarsi l’una con l’altra. La fiducia di base si acquisisce, secondo Erikson, grazie alle continue esperienze positive (so-pratutto di tipo sensoriale: accudimento, carezze, suono della voce) garantite dalla figura materna. Gli elementi negativi, derivanti ad esempio dalle provvisorie assenze della madre, possono essere sopportati proprio grazie all’acquisita fiducia di base. La seconda fase corrisponde più o meno a quella anale dello sviluppo psico-sessuale di Freud. Si tratta di un periodo caratterizzato dal controllo e dalla disciplina che il bambino comincia a sperimentare su se stesso: egli apprende progressivamente a sottoporre i propri bisogni e desideri al principio di realtà, limitando il proprio ego-centrismo di base e iniziando a percepire psicologicamente la presenza degli altri. È in questa fase che nascono la coscienza etica, il senso di autocontrollo, di volontà e di autonomia. La terza fase è quella propriamente psicosociale. L’autocontrollo e la volontà si rafforzano: l’attività principale del bambino, a questa età, è il gioco. Attra-verso di esso il bambino sperimenta le proprie «abilità» cognitive e manuali, impara a conoscere la realtà, sperimenta processi imitativi e di identificazione nei conforti dei compagni: tutto ciò che Erikson definisce «iniziativa». Nasce però anche il senso di colpa: il bambino sente che per raggiungere i propri fini può potenzialmente uti-lizzare qualsiasi mezzo, anche l’aggressività. La quarta fase corrisponde al periodo di «latenza» dello sviluppo psico-sessuale freudiano. Emerge qui una prima forma di senso di competenza e di efficacia. Si tratta di uno stadio in cui il bambino inizia ad impegnare le proprie energie in compiti più maturi, rispetto a quelli sostanzialmente ludici della terza fase: attività scolastiche, sportive, artistiche, impegni che richiedo-no responsabilità diventano dominanti (per questo Erikson compendia questo perio-

18

MODULO 1Psicoanalisi ed educazione

do con il termine «industriosità»). Si tratta di in un momento piuttosto delicato dello sviluppo: la sicurezza e la padronanza delle proprie capacità operative sarà, infatti, la premessa necessaria per il futuro sviluppo della competenza lavorativa. Disagi e conflitti in questa fase potrebbero quindi generare un sentimento di «inferiorità» nei confronti degli altri: è uno stadio in cui il bambino comincia a confrontarsi con tipo-logie di educazione formale, scolastica, istituzionale, trovandosi dunque costante-mente esposto alle proprie reazioni emotive.

L’adolescenzaLa quinta fase è assolutamente fondamentale nell’economia dello sviluppo psichico, sociale e cognitivo dell’individuo. Oltre ai profondi mutamenti biologici (pensiamo allo sviluppo fisico e sessuale) l’adolescente si trova di fronte al problema psicologi-co di dover sviluppare un senso di identità stabile, molto diverso da quelli vissuti nelle fasi precedenti, più mutevoli e differenziati. Inizia, cioè, a prendere consapevo-lezza dei tratti fondamentali della propria personalità, delle proprie attitudini, dei desideri, delle aspirazioni, delle potenzialità ma anche dei propri limiti. La transizio-ne dall’infanzia all’età adulta è dunque un momento complesso che vede la compre-senza di due tendenze in lotta: una spinge verso un mondo adulto ancora sconosciu-to, un’altra appare dominata dal rifiuto di abbandonare l’universo cognitivo e affet-tivo sicuro tipico dell’infanzia. L’adolescente rischia dunque costantemente, secondo Erikson, di disperdersi non trovando il senso, il percorso, la «tenuta» della sua inte-grità psichica. La crisi di identità nasce proprio dai suoi tentativi di superare questa confusione e questa ambivalenza per lasciare libero spazio alla propria personalità, con le caratteristiche di stabilità, di coerenza e di unicità rispetto agli altri. È in que-sta fase, infatti, che si genera, tra mille difficoltà e cambiamenti, il senso di aderenza ai propri schemi fondamentali di riferimento che si concretizza lungo fasi conflittua-li come l’ossessione delle mode, l’adesione a forme ideologiche contrastanti, l’ap-partenenza a gruppi di coetanei fortemente coesi che confermino l’adeguatezza dei propri valori, ma anche l’idealizza zione dei sentimenti affettivi e amorosi, spesso vissuti in modo drammaticamente conflittuale.

L’età adultaLa sesta fase coincide con l’età adulta propriamente detta. Il cardine è ancora una volta l’amore. Ma mentre nell’infanzia e nell’adolescenza esso viene vissuto come una sorta di bisogno indifferenziato, in questa fase acquisisce una dimensione più matura: le relazioni sociali, sessuali e di amicizia appaiono come bisogno di legare la propria individualità a quella di altre persone. L’amore viene dunque inteso come impegno nella relazione, come compartecipazione a tutte le attività fondamentali della vita. Il rischio è nel fallimento di questo forte investimento emotivo nella ricer-ca dell’altro, cioè nell’isolamento affettivo e sentimentale. La settima fase segna il periodo della generatività. Siamo nel momento della vita adulta in cui si manifesta appieno la capacità produttiva (persino creativa) nel campo lavorativo, nell’impegno sociale, nella cura della famiglia, compresa la nascita dei figli. Nel caso in cui la possibilità di «generare» venisse impedita, c’è il rischio che la personalità regredisca e si abbandoni ad un senso di vuoto, di impoverimento: un blocco che Erikson defi-nisce efficacemente come «stagnazione».

19

Unità 1Psicoanalisi ed educazione

La senescenzaL’ottava fase, l’ultima, presuppone l’idea della personalità umana come un lungo processo evolutivo che si estende fino alla vecchiaia. In questa fase, il polo conflit-tuale è rappresentato dalle dimensioni dell’integrità e della disperazione. Nella vecchiaia giunge, infatti, il momento della riflessione sulla propria esistenza, del bi-lancio su ciò che si è realizzato. È un periodo che può prevedere (anche se raramen-te) un’affermazione finale della propria individualità, caratterizzata dal senso di «avercela fatta» (integrità), oppure, al contrario, come capita sempre più spesso nel-la società contemporanea, può generare un profondo sentimento di «fallimento» e rimpianto (disperazione).

❱ 2/6 La teoria dell’attaccamento di BowlbyLo psicoanalista britannico John Bowlby (1907-1990) è noto per aver studiato, per primo, il concetto di attaccamento del bambino. Le sue analisi partono dalle osserva-zioni condotte sul mondo animale, da cui emerge l’importanza del contatto fisico ed emotivo con l’individuo adulto. Come per i cuccioli, anche il neonato manifesta il bisogno primario di attaccarsi alla figura che lo accudisce e che ne assicura la so-pravvivenza, e che solitamente è quella materna.

Nel bambino, l’attaccamento si esplica attraverso cinque modelli comporta mentali istintuali:

• piangere;• succhiare;• aggrapparsi;• sorridere;• seguire.

Il bambino e sua madre, per Bowlby, costituiscono una «diade», all’interno della quale entrambi rispondono ad un istinto che li porta ad interagire in maniera del tut-to spontanea. È proprio mediante questa interazione che il bambino è in grado di costruire modelli del sé e degli altri che lo renderanno capace, nell’età adulta, di re-lazionarsi e di discriminare tra individui affidabili e inaffidabili. Gli studi dello psi-canalista inglese sono volti anche ad approfondire la tipologia e l’entità dei disturbi psicologici che si manifestano in quei bambini abbandonati o carenti di attenzioni materne; tali ricerche sono riportate nella sua opera principale, Attaccamento e per-dita, pubblicata in tre volumi tra il 1969 e il 1980.

20

Unità 1Psicoanalisi ed educazione

Fissiamo i concetti• Leinfluenzedellapsicoanalisi LapsicoanalisièunadelleespressionifondamentalidelXXsecolo.Tuttal’operadiFreudpossiedeun

autonomoeimprescindibilevalorefilosofico,antropologico,pedagogicogenerale.Elementitrattidal-lapsicoanalisi,oltrechenellaricercafilosoficaepsicologica,sitrovanoinpsichiatria,insociologia,nellescienzedell’educazioneenell’antropologiaculturale.

• Glistudisull’ipnosi L’iniziodell’avventura intellettualediFreudèdatato1885, l’anno incui,dopo la laurea inmedicinaa

Vienna,segueaParigiicorsidelneurologoepsichiatraJ.M.Charcot.Èalloracheapprendel’usodell’ip-nosicomestrumentoterapeutico.Charcotconducevastudisulleoriginidell’isteriae,grazieall’ipnosi,intuiscel’importanzachenellagenesidellamalattiamentalerivesteillatoemozionaledelpaziente.Freud,colpitodallavorodiCharcot,studiaafondoletecnicheipnoticheeleapplicaluistessosuialcunipazien-ti.Siaccorge,però,quasisubitodeilimititerapeuticidiquestatecnica:l’ipnosisirivelautilesostanzial-mentesolograzieadeffettidisuggestione.Avvieneinquestafasel’incontroconlopsichiatraJosephBreuer,concuiscriveunvolumediStudisull’isteria(1895).

• Leareenascostedellapsiche Inquestaprimafasedellapsicoanalisi, ilsintomonevroticoviene interpretatocomeunaquantitàdi

energiapsichicautilizzatainmododeviato,valeadirespostatasulpianoorganicosecondoilprin-cipiodellaconversionedelsintomo:Celebreè ilcasodiAnnaO.,apartiredalqualeFreudelaboral’ipotesiche,allabasedeisintomiisterici,sicelasseunarimozione,cioèundispositivodidifesaattra-versocuiunavvenimentonegativoedoloroso,spessodioriginesessuale,vienerelegatoinunazonanascostadellapsiche:taleluogodellapsicheviene,perlaprimavoltainquestosenso,denominatoinconscio.

• L’analisidelsogno Freudconsideral’interpretazionedeisogni«laviaregiaversol’inconscio».Isognicostituisconolafor-

machel’attivitàpsichicaassumedurantelostatodisonno.Piùprecisamente,essisonoallucinazionichesihannoduranteilsonno,ma–adifferenzadelleallucinazioniosservabilinellemalattiementali–sitrattadifenomenipsichicinormali.Ilsognochevieneraccontatodopoilrisvegliorappresentasoltantoilrisul-tatofinaledell’attivitàpsichicainconsciachehaluogoduranteilsonno:ciòchesiricordavienechiamatocontenutomanifesto;ilsuoversosignificatoinconsciovieneinvecedefinitocontenutolatente,edècostituitodadesideri,tendenzeepensieririmossi.Inquestosenso,ilvalorerealedelsognononcorri-sponde quasi mai al significato effettivamente individuabile nel sogno manifesto. Il processo che haprodottolatrasformazionedelcontenutolatentenelcontenutomanifestodelsognoèillavoroonirico.Ilfattoreresponsabilediquestatrasformazioneèinvecelacensura,ovveroquellafunzionepsichicachetendeadimpedireaidesideriinconscil’accessodirettoallacoscienza(essarappresentainqualchemodol’aspetto‘notturno’dellarimozione).Seperònelsognoglielementirimossiaffioranoconminoredifficol-tà,ciòèdovutoalfattochelacensuraoniricaèmenoseveradellarimozionediurna.Inaltreparole,du-ranteilsonnolarimozionesiattenua.Dunqueilsognononriveladirettamentel’inconscio,maoffreuncampodiinterpretazioneall’analistachedovràripercorrerearitrosol’attivitàonirica.Nonquindiilconte-nutomanifesto,bensìl’intensolavorochelohaprodotto,costituiràl’oggettodellapsicoanalisi.

21

Unità 1Fissiamo i concetti Psicoanalisi ed educazione

• Condensazioneespostamento Alivellodellastrutturadeiprocessionirici,Freudindividuadueoperazioniinconscefondamentali:lacon-

densazione,ovveroquelprocessopercuipiùpensierilatentivengonorappresentatidaununicoele-mentodelcontenutomanifesto(fusioneinun’unicarappresentazionediimmaginiesoggettidiversi);lospostamento,ovveroquelprocessocheconsistenellatendenzaatrasferirel’intensitàemotivadideter-minatielementidelsognoadaltrielementi,inmododaeluderelacensuraesuperarnegliostacoli.

• Lateoriadellepulsioni Freudelaboraunateoriageneraledell’inconscio,fondatasull’ipotesidell’esistenzadipulsionifondamen-

tali,dinaturasessuale,cuieglidàilnomelatinodi libidoecherappresentano l’espressionepsichicadell’energiasessuale.PerFreudnonesiste,infatti,un’unicapulsione:lasessualitàstessaèuninsiemedipulsioniparzialigeneratodadiversezonecorporeeedirettoversometediverse:ognipulsionehaunafonte (unapartedelcorpo,unazonaerogenaconnessaauna funzionevitale),unameta (lascaricadellatensionesessuale)eunoggetto(unelementoappropriatoaprocurareilsoddisfacimento).Leana-lisidellalibidosonocontenutenelloscrittoTresaggisullateoriadellasessualità.Duesonoipuntifonda-mentali:l’originaleinterpretazionedellaperversionecomeattivitàsessualechesiavoltanonallaprocre-azione,bensìallaricercadelpiacerefineasestessoelacriticaalpreconcettochelasessualitàappar-tengasoloall’etàadulta.Secondoleipotesifeudiane,lalibidoèsoggettaavariefasievolutive,localizza-teindiversezoneerogene.Lefasisonocinque:a)faseorale(0-18mesi):ècaratterizzatadall’attivitàdellasuzione,fontedipiacereenutrimento,edall’introiezione,cioèdall’impossessamentodell’oggettoattraversol’introduzioneorale;b)faseanale(18mesi-3anni):inquestafase,ilcontrollocheilbambinocominciaamostrarenellaritenzioneenell’espulsionedellefeci,vieneacostituireilluogopiùimportantedeidesideriedellegratificazionisessuali;c)fasefallica(3-5anni):inquestafase,l’unicoorganocono-sciutosiadalmaschiochedallafemminaèilfallo,checreatraiduesessiun’opposizione.ÈinquestafasecheFreudcollocalanascitadiquelfondamentaleeventopsichicocheèilcomplessoepidico,cioèquell’insiemedisentimentiamorosieostilicheilbambinosperimentaneiconfrontideigenitori:piùspe-cificamente,sitrattadellacompetizioneinconsciacheilbambinosperimentaneiconfrontidelgenitoredellostessosesso,associataaldesideriosessualeperilgenitoredisessoopposto(sipensialmitodiEdipo,chedeltuttoinconsapevolmenteuccideilpadreLaioesposalamadreGiocasta).

• Letreistanzedellapsiche Nelfasepiùmaturadellasuateoria,Freudteorizzaunascomposizionedellapsicheintreparti:l’Es,comple-

tamente inconscio, è il depositariodi tutte lepulsioni (sessuali, aggressive, autoconservative) nella loroespressionepsichica;talicontenutisonoinparteereditarioinnati,inparterimossieacquisiti;ilSuper-io,inbuonaparteinconscio,svolgeunruoloassimilabileaquellodiungiudiceodiuncensoreneiconfrontidell’in-dividuo,elefunzioniattribuiteglisonolacoscienzamorale,l’autocontrollo,lafermezzaetica.Essosicostitu-isceinparteperl’interiorizzazionedeidivietiedellerichiestedeigenitori,einparteperproiezionedellepul-sionidelsoggetto;edinfinel’Io,anch’essoparzialmenteinconscio,possiedeunafunzionedimediazionetralepressionipulsionalidell’Es,gliimperativieticidelSuper-ioeleesigenzedellarealtàesterna:deveme-diareiconflittinonsoltantotraEserealtà,maanchequellitraEseSuper-io.L’Iosvolgefunzionicoscientiattinentialpensierovigile(attenzione,percezione,giudizio,memoria)purnoncoincidendodeltuttoconilsistemaconscio:esso,infatti,svolgeanchefunzionidifensivedicuiingranpartenonsiamoconsapevoli.

• Pulsionidivitaedimorte Nellatardasistemazionedellasuateoria,Freudritienechelavitapsichicasiadominatadadueprincipicon-

trapposti:pulsionedivita (Eros),checomprendelibidoepulsionediautoconservazione,epulsionedimorte(Thanatos),chesimanifestanelletendenzedistruttivedirettesiaversosestessi(masochismo)siaversol’esterno(aggressività).Caratteristicadellapulsionedimorteèlacoazionearipetere,cioèilmecca-nismopsichicochespingeilsoggettoaruotaresemprecostantementeattornoadunamedesimacondizio-nedolorosa.L’eternalottatraEroseThanatoscostituiscelaformapiùprofondadell’ambivalenza,dell’ango-sciaedelsensodicolpanell’uomo.QuestiprincipiconsentonoaFreuddiestenderelateoriapsicoanaliticaancheall’analisidifenomenisocialieculturali(l’originedellacultura,ildestinodellanostraciviltà).

22

MODULO 1Psicoanalisi ed educazione Fissiamo i concetti

• Lapsicoanalisiinfantile AnnaFreudcontinua idealmente l’operapaternaecominciaadaffrontaredirettamente lacuradelle

nevrosidell’etàinfantile.MaèsoprattuttoMelanieKleinadoccuparsidellostudiodellenevrosipreco-ci.Nellasuacomplessateoria,ilgiocodiventalostrumentofondamentalediricercapercomprenderelefantasieoleangoscepiùprofondedelbambino.Nellesueoperefondamentaliemergeun’ideadell’in-conscio infantilecomeluogodelle«produzionifantasmatiche»:tutto ilmondo«interno»delneonatoèabitatodafantasmi,simulazioni,fantasieoriginariechestrutturanol’inconscio.Questeproduzionifanta-smatichesonosemprediretteversooggettiparziali(bocca,seno,organigenitali),cioèversoframmentidicorpo,emaiallatotalitàdellapersona(lamadre,ovviamente).Ilbambino,secondolaKlein,sitrovainunacondizionediframmentazioneescissionedeisuoidesideriedellesuepulsioni.Inpredaall’istintodimorte,eglièdrammaticamentediviso tra ricercadegli «oggettibuoni» (quelliche logratificano)e lapauradegli«oggetticattivi»(quellichelominacciano).AquestolivellolaKleinintroducelanozionediposizioneperindicarelemodalitàattraversocuiilbambinosirelazionaaglioggetti.La«posizione»inizia-leèdefinita«schizoparanoide»,edèappuntoquellaincuisimanifestalaframmentazioneoriginaria(le-gametrapulsioneeoggettoparziale);lasecondaposizioneèdefinita«depressiva»edindicalafaseincuiilbambinoèincondizionedipercepirelatotalità(diintendere,adesempio,lamammacomeoggettod’amoreunitario,nonpiùscissoinpartibuoneecattive).

• DonaldWinnicott Nell’operadiDonaldWinnicottcentraleèlostudiodell’influenzadell’ambientenellosviluppodelsogget-

tochesiesprimenellarelazionedilegameediseparazionetramadreebambino.Egliintroduceleno-zionidicontinuitàdell’essere,digiocoe,soprattutto,dioggettotransizionale.Ilpuntodipartenzaèlaprimaimmaginematernacheilbambinosiprocurasuccessivamenteallostadioaffettivo-simbioticodel-lagestazione. Ilneonatopercepisceunamamma-ambienteempaticamenteprotettiva.È ilcosiddettoholding,termineintraducibilecheindicailcomplessodellagestualitàmaterna:cullare,sostenere,pro-teggereaffettivamente.La«continuitàd’essere»è,perWinnicott,lapossibilitàchel’Iodelbambinopos-sastrutturarsi senzasoffrire l’urtodell’ambiente.Pergarantirechenelpassaggiodalla condizionedionnipotenzaincuiilbambinoprotettonell’holdingimmaginadivivereiprimimesidivita,allacondizionediseparazionec’èbisognochesiinstauritramammaebambinounospaziosimbolico,ludico/creativo.Èlospaziodelgioco,incuisiinserisconoicosiddetti«oggettitransizionali»:animalidipeluche,pezzidistoffacheilbimbotieneconséneimomentid’angosciaenellesituazionididistacco.

• HeinzKohut HeinzKohutèilmassimoesponentedellapsicologiadelsé.Nellasuateoria,ilSédelbambinoèdisu-

nito.Pergiungerealla«coesione»habisognodelrapportoconl’Altro.Ciòavvieneattraversodueparti-colarifunzioni.Unadefinitacome«funzionespeculare»,l’altracome«funzioneidealizzante».Nellaprima,ilpassaggiodallaframmentazioneallacoesioneèresopossibiledauninvestimentolibidicoprovenientedallamadre.L’esitoproduceunprimolivellodelSé,cheKohutdefinisce«grandioso-esibizionista»,incuidominanonelbambinoideedionnipotenzaenarcisismo.LasecondafunzionederivadalSépaterno,cheperKohutattualizzal’idealedicomportamento,l’insiemedellenormedicondotta.Ilbambinointro-ietta,assorbeesublimal’imagodelpadre,nefailparadigmadellesueazioni.NellaprospettivadiKohut,l’originedelsintomonevroticoèinterpretabilecomefallimentoebloccodelpercorsodicoesione.UnoscaccocheripiombailSéadultonellacondizionedellafratturaoriginaria.

• Gli«organizzatori»diSpitz RenéSpitzdedicalasuaattivitàallosviluppopsico-affettivodelbambinonellaprimainfanzia.Egliso-

stienechel’evoluzionepassipertrefasiprincipali,caratterizzatedaorganizzatori.Ilprimoorganizzato-reèilsorrisosociale,chesimanifestaintornoai3mesieindicalacapacitàdelbambinodicomunicareconl’esterno.Ilsecondoorganizzatoreèl’angosciacheilbambinomanifestaintornoall’ottavomeseinoccasionedell’allontanamentodallamadre;talereazioneindicalacapacitàdidistinguereilvoltomaternodaquellodegliestranei.Infine,compareilterzoorganizzatore,quellodelno.Esprimendodiniego,ilpic-colodimostradiaversviluppatolacapacitàdiopposizionee,dunque,digiudizio.

23

Unità 1Prove di verifica Psicoanalisi ed educazione

• ErikErikson ErikEriksonestendeilcampod’indaginedell’analisifreudiana,elaborandounasequenzadistadidisvi-

luppochevannodallaprimainfanziaall’etàmatura.Eriksonsostienechealladimensionepsicoses-sualediFreudvadaaggiunta ladimensionepsico-sociale.Aquestoscopo,eglidivide il ciclodi vitadell’uomoinottoetà,disposteinsequenzaordinatachesiripeteintuttigliindividuiancheseapparte-nentiaculturediverse.Trauncicloel’altro,l’individuositrovaadovercostantementeaffrontaredellespecifiche«crisi»psico-sociali.Ciascunadelleottosvolterisultacentralenelperiodospecificoincuiav-viene,maricompare,inaltreforme,lungotuttol’arcodellavita.LagrandenovitàdiEriksonrispettoaFreudconsistenelritenerechelosviluppopsico-socialecontinuibenoltrel’adolescenzaeproseguapertuttalavitadell’individuo.Laprimafaseiniziaconlanascitaedècentratasull’acquisizionediunafiduciadibaseedellasuacontroparte,lasfiduciadibase:entrambesononecessarieaifinidellosviluppo.Lasecondafasecorrispondepiùomenoaquellaanaledellosviluppopsico-sessualediFreud.Sitrattadiunperiodocaratterizzatodalcontrolloedalladisciplinacheilbambinocominciaasperimentaresusestesso.Laterzafaseèquellapropriamentepsicosociale.L’autocontrolloelavolontàsirafforzano:l’at-tivitàprincipaledelbambino,aquestaetà,èilgioco.Laquartafasecorrispondealperiododi«latenza»dello sviluppo psico-sessuale freudiano. La quinta fase riguarda l’adolescenza ed è fondamentalenell’economia dello sviluppo psichico, sociale e cognitivo dell’individuo. Oltre ai mutamenti biologicil’adolescentesitrovadifrontealproblemadell’identità.Latransizionedall’infanziaall’etàadultaèunmomentocomplesso:l’adolescenterischiadidisperdersi,nontrovandoilsensodellasuaintegritàpsi-chica.Lacrisidiidentitànascepropriodaisuoitentatividisuperarequestaconfusioneequestaambiva-lenza,perlasciareliberospazioallapropriapersonalità,conlecaratteristichedistabilità,dicoerenzaediunicitàrispettoaglialtri.Conlasestafasehainiziol’etàadultapropriamentedetta.Ilcardineèl’amore,lerelazionisociali,sessualiediamiciziaintesecomesceltedi legarelapropriaindividualitàaquelladialtrepersone.Lasettima fasesegna ilperiododellageneratività.Siamoalmomentodellavitadellepersoneadulteincuisimanifestaappienolapropriacapacitàproduttivanelcampolavorativo,nell’impe-gnosociale,nellacuradellafamiglia,compresalanascitadeifigli.L’ottavafasepresupponel’ideadellapersonalitàumanacomeunlungoprocessoevolutivochesiestendefinoallavecchiaia.Inquestafase,ilpoloconflittualeèrappresentatodalledimensionidell’integritàedelladisperazione.

• L’attaccamentoperBowlby JohnBowlbystudia,perprimo,lapulsionedell’attaccamentodelbambinoallafiguracheloaccudisce,

valeadireallamadre.Taleattaccamentosimanifestaattraversocomportamenti istintuali,quali:piangere;succhiare;aggrapparsi;sorridere;seguire.Lopsicanalistaingleseapprofondisceancheidanniderivantidaunattaccamentocarenteodeltuttoassente,riportatineltestointrevolumiAttaccamentoeperdita(1969-1980).

Prove di verifica1.Rispondialleseguentidomandeutilizzandolospazioadisposizione:

a) Lanascitadellapsicoanalisi:esponilagenesidellenuoveipotesifreudiane.......................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................

24

MODULO 1Psicoanalisi ed educazione Prove di verifica

b) SpiegainchemodoglistudisullasessualitàdiFreudhannomutatoilconcettotradizionalediinfanzia.......................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................

c) PosizioneparanoideeposizionedepressivainMelanieKlein.Spiegailsensoelafunzionediquestadistinzione.......................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................

d) Spiegaiconcettidi«holding»edi«oggettotransizionale»inWinnicott.......................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................

e) Spiegailsignificatodelconcettodi«identificazione»inKohut.......................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................

f) ElencalecaratteristichedeitreorganizzatoridiSpitz.......................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................

25

Unità 1Prove di verifica Psicoanalisi ed educazione

g) GlistadipsicosocialidiErikson:analogieedifferenzeconl’approcciofreudiano.......................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................

2.Leggiilbranoseguenteerispondialledomande:

Il trattamento psicoanalitico dei bambiniLe prime difficoltà le incontriamo già nel costruire la storia della malattia in base ai ricordi consci del paziente. Nel caso di un paziente adulto ci asteniamo, di norma, dal raccogliere informazioni dalla famiglia e facciamo affidamento esclusivamente sulle notizie che egli stesso ci può fornire. Questa limitazione, che ci imponiamo di pro-posito, di solito è motivata con il fatto che le informazioni date dai familiari sono perlopiù inattendibili e lacunose perché falsate da una concezione troppo personale e soggettiva della personalità del malato. Ma il bambino non ci sa dire granché sulla storia della sua malattia. Finché non gli si viene in aiuto con l’analisi, egli non è in grado di risalire con la memoria molto addietro nel tempo. Egli è così assorbito dal presente che per lui il passato quasi svanisce. Non saprebbe dire da quanto tempo ha incominciato a essere fuori della norma e diverso dagli altri bambini. Non ha bastan-te maturità per paragonarsi con gli altri e ancora meno è in grado di porsi spontane-amente dei compiti con cui le sue insufficienze possano misurarsi. Quindi l’analista infantile ricava in effetti la storia della malattia del piccolo paziente da ciò che gli dicono i genitori e non può fare altro che tener conto delle eventuali imprecisioni e deformazioni, dovute a motivi di ordine personale.L’interpretazione dei sogni, invece, ci offre un campo che è di competenza tanto dell’ana-lisi infantile quanto dell’analisi dell’adulto. Nel periodo dell’analisi il bambino sogna né più né meno dell’adulto e la trasparenza o l’oscurità dei contenuti onirici sono rego-late nell’uno come nell’altro dall’intensità della resistenza. I sogni del bambino sono certamente più facili da interpretare, anche se non sono sempre così semplici come gli esempi forniti nell’Interpretazione dei sogni. Vi troviamo tutte le deformazioni dei desideri insoddisfatti corrispondenti alla complicata struttura nevrotica del piccolo paziente. Ma è facilissimo farne capire l’interpretazione al bambino. Quando un bam-bino mi racconta il primo sogno gli faccio notare che il sogno non può nascere dal nulla, che esso ricava evidentemente i suoi elementi da qualche parte; e mi metto con lui alla ricerca di dove provengano. Egli si diverte a rintracciare i vari elementi come in un gioco di incastri e ritrova con molta soddisfazione le immagini o le parole del sogno nei fatti della sua vita reale. Forse questo avviene perché il bambino è più vicino dell’adulto al mondo dei sogni o forse non si stupisce di trovare un significato nel sogno perché non ha mai sentito sostenere scientificamente la teoria che i sogni non hanno significato. In ogni caso, se l’interpretazione riesce, ne è molto fiero.[…]Nell’analisi infantile, accanto all’interpretazione dei sogni veri e propri, ha una gran-de importanza anche quella delle fantasticherie. Molti dei bambini su cui ho raccolto le mie esperienze erano dei grandi sognatori a occhi aperti, e il racconto delle loro fantasticherie mi è stato di grande aiuto nell’analisi; è inoltre molto facile indurre i

26

MODULO 1Psicoanalisi ed educazione Prove di verifica

bambini di cui si è conquistata la fiducia in altri campi a raccontare le loro fantasie. Le raccontano con disinvoltura, perché evidentemente se ne vergognano meno dell’adulto, che le considera «infantili». Mentre l’adulto di solito tarda a riferire nell’analisi le sue fantasticherie e lo fa con molte esitazioni, proprio perché se ne vergogna e disapprova la cosa, la loro rivelazione, fatta dal. bambino nei delicati stadi iniziali dell’analisi, è spesso di grande aiuto.[…]Un altro ausilio tecnico che, accanto all’interpretazione dei sogni e alle fantasticherie, ha spesso una parte di primo piano in parecchie mie analisi infantili, è il disegno: in tre dei casi riferiti esso sostituí addirittura, per un certo periodo, quasi tutti gli altri modi di comunicare.[…]Temo però di aver tracciato finora un quadro troppo ideale delle condizioni in cui si svolge l’analisi infantile. La famiglia è pronta a fornire tutte le informazioni necessarie; il bambi-no dimostra una gran passione per l’interpretazione dei sogni e sforna a getto continuo fantasticherie e una gran quantità di interessantissimi disegni da cui trarre tutte le conclu-sioni che si vogliono sui suoi impulsi inconsci. Se così fosse non si capirebbe perché fino ad oggi si è considerata l’analisi infantile un campo particolarmente difficile della tecnica analitica e perché tanti analisti dichiarino di non riuscire nel trattamento dei bambini.Non è difficile dare la risposta. Il bambino neutralizza tutti i predetti vantaggi perché si ri-fiuta di fare associazioni. L’analista è messo quindi in imbarazzo perché con lui non può mettere in pratica lo strumento su cui si fonda la tecnica analitica. Evidentemente è contra-rio alla natura infantile assumere la comoda posizione sdraiata prescritta all’adulto, elimi-nare con consapevole volontà tutte le critiche alle idee che affiorano, comunicare tutto senza nessuna esclusione, e in tal modo esplorare l’intera estensione della propria coscienza.È vero che quando si è riusciti, nei modi che ho descritto, a creare con un bambino dei solidi legami di affetto e a rendersi indispensabili, gli si può far fare qualunque cosa. Quindi qualche volta, esortandolo, si riuscirà a fargli fare delle associazioni, benché solo per breve tempo e per compiacere l’analista. Questo sporadico inseri-mento di associazioni potrà senz’altro essere di grande aiuto e chiarire a scolte una situazione difficile. Ma avrà sempre il carattere di un aiuto eccezionale, né potrà mai essere una base sicura su cui fondare l’intero lavoro di analisi.

(A. Freud, Il trattamento psicoanalitico dei bambini)

Perché,nellaterapiacongliadulti,sipreferisceevitarediraccogliereinformazionidallafamigliadelpaziente?.................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................

Oltrechesull’interpretazionedeisogni,suqualialtrielementisibasal’analisiinfantile?.................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................

Qualèlaprincipaledifficoltàcheilterapistaincontradurantel’analisiinfantile?.................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................

27

Unità 2La psicopedagogia: sviluppocognitivo e teorie dell’apprendimentoContenuti• 1Due concezioni dellamente infantile: l’approccio di Piaget

• 2Le ipotesi di Vygostkij e lo scontro con Piaget

• 3Le teoriedell’apprendimento

• 4Teoria dell’istruzione e cultura dell’educazione: Jerome Bruner

• 5Le «intelligenze» di Gardner

• 6 • 7 • 8Nuovi modelli diapprendimento:il «cooperative learning»

La programmazionedidattica oggi: una sintesi

Neuroscienze eapprendimento

❱❱ 1. Due concezioni della mente infantile: l'approccio di Piaget(Neuchâtel 1896-Ginevra 1980), biologo, psicologo ed episte mologo svizzero è, as-sieme a Freud, unanimemente considerato lo studioso che ha maggiormente contri-buito a modificare un certo tipo di immagine del fanciullo nel ’900. Studia scien-ze naturali all’Università di Neuchâtel, laureandosi nel 1918. Sotto la guida di E. Claparède (1873-1940), si dedica agli studi di psicologia dell’infanzia, perfezionan-dosi a Ginevra e a Parigi. Nel 1922 diventa professore di psicologia dell’età evoluti-va dell’Istituto Jean Jacques Rousseau fondato a Ginevra dallo stesso Claparède e, nel 1940, ne diviene direttore. Nel 1955 crea, sempre a Ginevra, il Centro Internazio-nale d’Epistemologia Genetica. Tra le sue opere principali: Il linguaggio e il pensie­ro del fanciullo (1923); Giudizio e ragionamento nel bambino (1924); La rappresen-tazione del mondo nel Fanciullo (1926); La nascita dell’intelligenza (1936); La psicologia dell’intelligenza (1947); Trattato di logica (1949); Introduzione all’epi­stemologia genetica (1951); Biologia e conoscenza (1967); Lo strutturalismo (1968). I suoi studi sull’età evolutiva si concentrano soprattutto sul problema dello sviluppo delle facoltà cognitive.

❱ 1/1 i capisaldi della teoriaOgni attività mentale, secondo Piaget, presuppone una maturazione neuro-biologi-ca che ne orienta lo sviluppo: questo non è dunque esclusivamente riducibile all’in-fluenza di fattori esterni sociali e culturali sul bambino (come invece sostenevano, più o meno contemporaneamente a Piaget, i rappresentanti del Comportamentismo). Esso deve, in altri termini, tener conto anche e soprattutto dell’esistenza di un livello genetico alla base delle formazioni cognitive. L’ipotesi fondamentale di Piaget è, infatti, che ci sia un «parallelismo tra i progressi compiuti, l’organizzazione razio-nale e logica della conoscenza, e i corrispettivi processi psicologici formativi». Il bambino, ad esempio, cresce e potenzia le proprie capacità mentali rispettando una

28

MODULO 1Psicoanalisi ed educazione

sequenza determinata di variazioni e di mutamenti connessi a certi stadi della sua vita. Ogni stadio, che nello sviluppo cognitivo si differenzia da un altro, presuppone ne-cessariamente lo stadio precedente. In senso stretto, nulla è innato, poiché ogni fase riflette e ha bisogno delle acquisizioni pregresse. Lo sviluppo avviene, così, median-te un’interazione molto complessa e stratificata tra individuo e ambiente (non esclusivamente socio-culturale): la mente stessa è come un organismo vivente che, in rapporto con l’esterno, si accresce e si sviluppa. In questo senso, secondo Piaget i fattori generali dello sviluppo sono:

• la maturazione del sistema nervoso;• l’interazione con l’ambiente biologico e, più limitatamente, con quello sociale,

storico, culturale;• l’integrazione adattiva attraverso cui il bambino «autoregola» progressivamente

il proprio sviluppo.

Il pensiero del bambino, dunque, si accresce da sé grazie ad alcuni meccanismi fon-damentali, che Piaget definisce «invarianti funzionali», cioè dei principi costante-mente attivi e operanti a qualsiasi età; questi sono l’organizzazione, l’adattamento, l’equilibrazione. All’interno della mente vige il principio di organizzazione, che è «l’accordo del pensiero con se stesso»: il pensiero, infatti, tende a strutturarsi come un insieme coerente di concetti, schemi di comportamento e strategie di risoluzione dei problemi. All’esterno, la mente segue il principio di adattamento, che è «l’accor-do del pensiero con le cose». Il processo di adattamento del pensiero alla realtà av-viene attraverso l’assimilazione, che consiste nell’integrare i dati nuovi alle cono-scenze già possedute, e l’accomodamento, in cui invece vengono modificati gli schemi preesistenti in funzione delle nuove esperienze. L’ultima invariante funzio-nale è il principio di equilibrazione, secondo cui l’adattamento continuo tra assimi-lazione e accomodamento genera sempre nuovi equilibri. Le fasi di questo equilibrio sono identificabili in stadi, ognuno dei quali ha una struttura che permette un’intera-zione diversa fra individuo e ambiente. Ogni stadio deriva dal precedente che incor-pora e trasforma; quando si acquisisce un nuovo stadio, il pensiero del precedente scompare.

❱ 1/2 La struttura stadialeLa teoria piagetiana distingue quattro stadi principali, che vanno dalla nascita all’adolescenza.

1. Stadio sensomotorio (da 0 a 2 anni). In questa fase, il bambino non riesce a distinguere tra se stesso e l’ambiente, né tra gli oggetti e le azioni che esercita su di essi. Egli conosce il mondo attraverso l’intelligenza senso-motoria, che gli permette di intervenire sulle cose, percepire gli effetti dell’azione e tornare ad agire. Non appena il bambino verifica il successo di un’azione, tende a ripeterla. Il risultato ottenuto per caso la prima volta diventa uno schema d’azione, che viene riprodotto attivamente in seguito. Piaget chiama questo genere di compor-tamenti «reazioni circolari». Dalla nascita ai due anni la conoscenza sensomo-toria progredisce, attraverso un graduale affinamento e controllo delle reazioni circolari: il bambino comincia a differenziare sé dall’ambiente e impara a rispon-dere ai feedback esterni (ad esempio, emette suoni e li ascolta), migliora le sue capacità di coordinare le azioni che, a un certo punto, da casuali diventano inten-zionali. Soltanto verso la fine di questo periodo, ad esempio, il bambino acquisi-

29

Unità 2La psicopedagogia: sviluppo cognitivo e teorie dell’apprendimento

sce completamente il concetto di «permanenza» dell’oggetto: un oggetto con-tinua ad esistere anche quando non è percettivamente presente. Si tratta di una conquista che Piaget considera il fondamento della capacità di rappresentazio-ne mentale: il bambino non apprende più per tentativi ed errori, ma è finalmen-te in grado di rappresentarsi, di «immaginare» mentalmente le operazioni da compiere.

2. Stadio preoperatorio (da 2 a 7 anni, a sua volta distinto in «stadio pre-logico», da 2 a 4 anni e «stadio intuitivo», da 4 a 7 anni). Mentre nel primo periodo l’in-telligenza ha carattere sensoriale e motorio, ossia si manifesta con azioni ed è legata al dato percettivo del momento, in questa fase lo sviluppo intellettivo trae impulso dalla capacità del soggetto di svincolarsi dall’apparenza dei fenomeni. Fino ad ora, l’azione era puramente concreta e momentanea; in questo periodo essa viene interio­rizzata: il bambino ne conserva, cioè, una traccia nella mente. Egli acquisisce la capacità di rappresentazione, vale a dire di riprodurre mental-mente un oggetto o un avvenimento con le medesime caratteristiche spazio-tem-porali con cui è stato percepito la prima volta. Tuttavia, eccetto che per la conqui-sta delle rappresentazioni, la descrizione che Piaget fa di questo stadio verte più sugli aspetti negativi del pensiero del bambino che su quelli positivi. Il pensiero preoperatorio è infatti:• uniforme, riesce a elaborare solo una rappresentazione mentale per volta;• rigido, non permette di immaginare trasformazioni e vedere le cose da punti

di vista diversi;• prelogico, è un pensiero ingenuo e poco astratto nei ragionamenti.

Il pensiero del bambino in questo stadio non ha perciò raggiunto ancora il livello delle operazioni mentali, che implicano la reversibilità, ossia la capacità di torna-re al punto di partenza: ad esempio, se su uno dei piatti di una bilancia si pone un peso, l’equilibrio tra i due piatti si può ricom porre o togliendo il peso (inversione), o mettendo un peso uguale sull’altro piatto (reciprocità). La reversibilità implica una «flessibilità», che manca nello stadio preoperativo, quando il bambino mostra un’intelligenza rigida, incapace di tenere conto del punto di vista altrui (ego­centrismo), di separare le cause dagli effetti (finalismo), di distinguere l’animato dall’inanimato (animismo).

3. Stadio delle operazioni concrete (da 7 a 12 anni). Questo periodo è segnato dalla comparsa delle operazioni, cioè dalla capacità di immaginare trasforma-zioni della realtà e, perciò, di compiere manipolazioni mentali delle cose in base a determinate regole. Il bambino comprende i meccanismi dell’addizione, della sottrazione, della moltiplicazione, della divisione, dell’ordinamento in serie, del-la reversibilità. In questo stadio, egli acquisisce il concetto di conservazione del numero (disponendo diversamente un insieme di oggetti la loro quantità non cambia), della quantità di liquido (che resta uguale anche travasandolo in un reci-piente stretto), della massa (la quantità di una pallina di plastilina schiacciata resta uguale), del volume. Matura anche la logica delle classificazione e, in particolare, l’acquisizione del principio d’inclusione, secondo cui esistono categorie più pic-cole comprese in altre più ampie. Il pensiero in questo stadio non è coerentemen-te strutturato: un bambino può avere acquisito la conoscenza in certi ambiti e non in altri (ad esempio, può essere in grado di pensare alla conservazione della mas-sa, ma non ha ancora applicato lo stesso principio al volume). Piaget definisce

30

MODULO 1Psicoanalisi ed educazione

questo sfasamento cronologico nell’acquisizione delle capacità décalage orizzon­tale («spostamento orizzontale»).

4. Stadio delle operazioni formali (da 12 a 15 anni). In questa fase il pensiero del preadolescente è in grado finalmente di staccarsi dal dato concreto per operare su ricordi, immagini mentali, idee e costrutti astratti. Egli effettua dei confronti fra con-cetti, ragiona per ipotesi e immagina nuove situazioni per comprendere meglio gli eventi reali. Il ragionamento si fa progressivamente complesso e il pensiero diventa formale. Il ragazzo avverte ora il gusto della discussione animata su problemi teorici ed esercita le proprie capacità logiche e critiche, dimostrando un notevole grado di concentrazione su problemi astratti. Il ragionamento si avvale del procedimento deduttivo, che consiste nel partire da una relazione già nota fra due proposizioni per individuare la verità o falsità della prima di esse, e affermare con certezza la verità o falsità della seconda. Il pensiero del preadolescente acquista sempre maggior rigore, per cui egli è in grado di ripetere alcune dimostrazioni scientifiche ed esperimenti, partendo dalle medesime premesse. In tal modo, egli potrà confermarne o smentirne la validità. Il pensiero operatorio formale non considera più la realtà come fonte di conoscenza, ma come una delle manifestazioni del possibile.

❱ 1/3 Gli effetti pedagogiciLa ricaduta delle teorie di Piaget sulle scienze dell’educazione è stata di notevole rilievo, sebbene egli abbia sempre dichiarato di non essere un «esperto» in questioni pedagogiche. Tutta la sua complessa ricostruzione dello sviluppo cognitivo del bam-bino spinge, infatti, in direzione di un progressivo passaggio della pedagogia ad una fase scientifica con precisi punti di riferimento nella psicologia sperimentale. Nella prospettiva piagetiana, l’educatore dovrebbe utilizzare, in altri termini, l’enorme bagaglio conoscitivo offerto dalle ricerche sperimentali ideando le tecniche da speri-mentare e adattare personalmente. Il punto più problematico della concezione di Piaget rispetto alle applicazioni educative – come vedremo più avanti mettendola in relazione con quella di Vygotskij – è la tesi (secondo Piaget abbondantemente dimo-strata a livello sperimentale, ma su cui ancora oggi non c’è accordo tra gli studiosi) secondo cui i tempi e la successione delle fasi di sviluppo psicologico siano sostan-zialmente immodificabili, togliendo in tal modo rilevanza ed efficacia all’interven-to dell’adulto che non può né cambiare né accelerare questi aspetti. La dimensione educativa po trebbe dunque, da questo punto di vista, soltanto creare le condizioni più adatte per lo sviluppo cognitivo, ma mai orientarlo in maniera determinante. Se il «motore» dell’intelligenza, come sostiene Piaget, è la sua azione, l’educatore dovrà definire le condizioni ambientali più idonee all’esercizio di questa azione, adeguando le sue richieste al livello di sviluppo cognitivo dell’allievo e creando situazioni affin-ché tale adeguamento possa prodursi liberamente ed efficacemente. Questa centrali-tà dell’azione costituisce il punto di massima vicinanza tra le posizioni di Piaget e quelle, che esamineremo in seguito, dell’attivismo. In questo senso, egli ha sempre ribadito la necessità di un costante adeguamento degli apparati didattici alle scoperte della psicologia sperimentale, stimolando la professionalizzazione in senso psicope-dagogico del corpo docente delle scuole: alla competenza culturale e curricolare andrebbero associate una profonda preparazione psicologica e un’adeguata capacità di gestione interdisciplinare dei contenuti. Secondo Piaget, l’insegnante tende a con-figurarsi come un ricercatore in grado di reperire le condizioni migliori per l’appren-dimento e di comprenderne le dinamiche cognitive sottese.

31

Unità 2La psicopedagogia: sviluppo cognitivo e teorie dell’apprendimento

brani d’autore ❱Piaget: il diritto all’educazione

Queste tesi di Jean Piaget sul diritto all’educazione nel mondo attuale fanno parte del suo commento all’art. 26 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo che gli fu richiesto dall’UNESCO e fu pubblicato in lingua francese nel 1972 nel Rapporto sulle strategie dell’edu-cazione. Piaget affronta qui il problema di come debba essere inteso nella società attuale il diritto all’educazio-ne. Egli parte dalla constatazione che nell’essere umano l’interazione sociale ed educativa è una condizione in-dispensabile dello sviluppo. Il significato da dare all’edu-cazione viene individuato in rapporto alla formazione intellettuale e morale del giovane. Dai dati sperimentali che emergono dalle ricerche di psicologia evolutiva, il pensiero e la logica – così come le regole e i sentimenti morali – non sono da considerare caratteristiche innate, ma si formano gradualmente nell’individuo e hanno bisogno di un determinato ambiente sociale che favorisca la loro elaborazione attiva da parte del soggetto e non si limiti a una semplice trasmissione e imposizione di re-gole e di conoscenze precostituite. Il diritto all’educa-zione significa, quindi, garantire a ciascun bambino il diritto alla costruzione delle proprie strutture mentali e dei propri principi morali, nell’interazione con un am-biente sociale di formazione (la scuola) in cui siano or-ganizzati metodi e tecniche adeguati alle leggi del suo sviluppo mentale.

J. Piaget, Dove va l’educazione?Lo sviluppo dell’essere umano è in funzione di due gruppi di fattori: i fattori ereditari e di adattamento bio-logico, da cui dipende l’evoluzione del sistema nervoso e dei meccanismi psichici elementari, e i fattori di tra-smissione o d’interazione sociale, che intervengono fin dalla nascita ed hanno una funzione sempre più impor-tante, nel corso della crescita, nel costituirsi delle con-dotte e della vita mentale. Parlare di un diritto all’edu-cazione significa dunque anzitutto constatare la funzione indispensabile dei fattori sociali nella formazione stessa dell’individuo.Solo alcune società animali di tipo inferiore sono inte-ramente regolate dal gioco degli istinti, vale a dire da dispositivi ereditari che restano interni agli individui stessi. Già negli animali superiori, il completamento di certe condotte, solo in apparenza esclusivamente istinti-ve o innate, richiede l’intervento di trasmissioni sociali esterne, sotto forma di imitazioni, di addestramento, in breve, di un’educazione dei piccoli da parte della madre o del padre. Uno psicologo cinese ha dimostrato, ad esempio, che l’istinto di caccia dei gattini si sviluppa meno bene quando questi vengono separati dalla madre

che non quando la medesima condotta viene rinforzata dalle stimolazioni e dall’esempio materno. Ma, nell’ani-male, la vita di famiglia è breve e gli inizi di educazione che essa comporta restano assai limitati; nelle più dota-te fra le scimmie antropoidi, gli scimpanzé, i rapporti fra genitori e figli cessano dopo qualche settimana e, dopo il primo anno, il piccolo è riconosciuto dalla madre soltanto in un caso su cinque.La differenza essenziale fra le società umane e le società animali consiste invece nel fatto che le più importanti fra le condizioni sociali dell’uomo – i mezzi tecnici di pro-duzione il linguaggio con l’insieme delle nozioni di cui permette la costruzione, le usanze e regole di vario tipo – non sono più determinate dall’interno attraverso mec-canismi ereditari già pronti per essere attivati al contatto delle cose e degli altri esseri; queste condotte vengono acquisite per trasmissione dall’esterno, di generazione in generazione, vale a dire attraverso l’educazione, e si sviluppano soltanto in funzione d’interazioni sociali molteplici e differenziate. Da quando gli uomini parlano, ad esempio, nessun idioma si è fissato ereditariamente, ed è sempre attraverso una azione educativa esterna dell’ambiente familiare sul bambino piccolo che questo impara la propria lingua, chiamata, infatti «materna». Indubbiamente, le potenzialità del sistema nervoso uma-no permettono un’acquisi zione di questo genere, negata agli antropoidi, ed il possesso di una certa «funzione simbolica» fa parte di queste disposizioni interne che la società non crea, ma utilizza; tuttavia, senza una trasmis-sione sociale esterna (va e a dire, innan zitutto, educativa), la continuità del linguaggio collettivo rimarrebbe prati-camente impossibile, Un fatto di questo genere indica, fin dall’inizio, la funzione di questa condizione formatri-ce, non sufficiente da sola, ma rigorosamente necessaria a quello sviluppo mentale che è l’educazione.Ora, quel che è vero per il linguaggio – mezzo d’espres-sione dei valori collettivi – lo è altrettanto per questi valori stessi, come pure per le norme che li ordinano, a cominciare dai due sistemi di valori e di norme più im-portanti per l’adattamento ulteriore dell’individuo al suo ambiente: la logica e la morale.Si è creduto per molto tempo che la logica fosse innata nell’individuo e che appartenesse, di fatto e di diritto, a quella «natura umana» che il senso comune considera come anteriore alla vita sociale: di cui l’idea corrente, ancora nel XVII e XVIII secolo, (e di cui l’opinione pubblica è rimasta tributaria), che le «facoltà logiche» ecc., siano naturali, e perfino le sole caratteristiche «na-turali» in contrapposi zione ai prodotti artificiali della vita collettiva […].

32

MODULO 1Psicoanalisi ed educazione

Ora, la logica non è innata nel bambino. Il risultato più evidente di un insieme di ricerche, che riguardano non soltanto il pensiero verbale dei piccoli, ma anche la loro intelligenza pratica e le operazioni concrete per mezzo delle quali essi costruiscono le loro classificazioni, le loro nozioni di numero e di spazio, di ordine e di quan-tità, di movimento, di tempo e di velocità ecc., ha per-messo di mettere in evidenza il fatto che certi ragiona-menti, considerati logicamente necessari a partire da un certo livello mentale, sono estranei alle strutture intel-lettuali anteriori.Per fissare le idee con un esempio concreto, qualsiasi bambino normale di 7-8 anni ammetterà che, se due bicchieri di forma diversa, A e B, contengono la stessa quantità d’acqua, e se i due bicchieri B e C contengono anch’essi la stessa quantità d’acqua, allora le quantità contenute in A e in C sono uguali, anche quando i due bicchieri A e C sono di forma dissimile. Invece, per i piccoli di 4-5 anni, non vi è alcun motivo di ammettere che le quantità A e C siano uguali, quando sono state constatate le uguaglianze A = B e B = C, e non vi è nep-pure un motivo valido perché l’acqua si conservi cam-biando di recipiente. Quanto ai bambini da 7 a 10 o 11 anni, se trovano evidente il ragionamento A = B, B = C, dunque A = C quando si tratta di una piccola quantità d’acqua, lo mettono in dubbio quando si tratta di nozio-ni più complesse (per esempio, di pesi), ed a maggior ragione nel caso di ragionamenti semplicemente verba-li (vale a dire senza manipolazione di oggetti). La logica formale, nel significato corrente e adulto del termine, si costruisce realmente soltanto a partire da 11-12 anni, e occorre l’età di 14-15 anni perché si completi.Questi dati di fatto ci sembrano tali da modificare pro-fondamente i termini classici del problema pedagogico e, di conseguenza, il significato di diritto all’educazione: se la logica stessa si costruisce invece di essere innata, ne consegue che il primo compito dell’educazione è di formare la ragione. La proposizione «Ogni persona ha diritto all’educazione», come viene solennemente affer-mato all’inizio del nostro articolo 26, significa dunque in primo luogo: «Ogni essere umano ha diritto di stare, durante la propria formazione, in un ambiente scolastico tale da permettergli di elaborare fino al loro completa-mento, quegli strumenti indispensabili di adattamento che sono le operazioni della logica» […].Indubbiamente, prima dei 3-4 anni o 6-7 anni, secondo i paesi, non è la scuola ma la famiglia che ha la funzione di educare. Forse mi si risponderà che, anche ad ammet-tere questa funzione costruttiva delle interazioni sociali iniziali, il diritto all’educazione riguarda innanzitutto il bambino già formato dall’ambiente familiare e pronto a ricevere un insegnamento scolastico; non si tratterebbe

più allora di formazione vera e propria, ma soltanto di istruzione. Tuttavia, dissociando così il processo educa-tivo in due periodi, o secondo due sfere di influenza, di cui la prima soltanto sarebbe formatrice e la seconda si limiterebbe alla trasmissione di conoscenze particolari, si impoverisce di nuovo il significato di diritto all’edu-cazione. Non soltanto si limita la portata costruttiva di quest’ultima, ma si separa inoltre la scuola dalla vita; ora, il problema essenziale è di fare della scuola l’am-biente formatore che la famiglia tende a realizzare senza riuscirvi sempre sufficientemente e che costituisce la condizione sine qua non di uno sviluppo intellettuale e affettivo completo.Affermare il diritto della persona umana alla educazione significa dunque assumersi una responsabilità molto più gravosa che non assicurare a ciascuno l’acquisizione della lettura, della scrittura o del calcolo; significa vera-mente garantire a ciascun bambino l’intero sviluppo delle sue funzioni mentali e l’acquisizione delle cono-scenze, come pure dei valori morali che corrispondono all’esercizio di queste funzioni, fino all’adattamento alla vita sociale attuale. Di conseguenza, significa soprattut-to assumersi l’impegno – tenendo conto della costituzio-ne e delle attitudini che distinguono ciascun individuo – di non distruggere o sciupare nessuna delle possibilità che egli parta in sé e di cui la società è chiamata ad av-vantaggiarsi per prima, invece di lasciarne perdere im-portanti aliquote, e di soffocarne altre.Per questo la proclamazione di un diritto alla educazio-ne implica, se si ha la volontà di attribuirgli un signifi-cato che superi il livello delle dichiarazioni verbali, l’utilizzazione delle conoscenze psicologiche e sociolo-giche che possediamo circa le leggi dello sviluppo mentale, e l’elaborazione di metodi e di tecniche ade-guate agli innumerevoli dati che questi studi forniscono all’educatore. Si tratterà allora di determinare secondo quali modalità quell’ambiente sociale che è la scuola arriverà ai migliori procedimenti di formazione, e se questa formazione consiste in una semplice trasmissione di conoscenze e di regole, o se invece presuppone, come abbiamo già intravisto, delle relazioni più complesse fra l’insegnante e l’alunno e fra gli alunni stessi. Vi ritorne-remo a proposito del «pieno sviluppo della personalità umana», postulato dal nostro testo.Limitiamoci, per il momento, a formulare il principio ed a cercare quel che ne consegue dal punto di vista degli obblighi della società verso il bambino. Questo principio è dunque che l’educazione non è un semplice apporto che si aggiunge ai risultati di uno sviluppo individuale rego-lato in maniera innata o che si effettua con l’aiuto della sola famiglia: dalla nascita alla fine dell’adolescenza l’educazione è unica e costituisce uno dei fattori fonda-

33

Unità 2La psicopedagogia: sviluppo cognitivo e teorie dell’apprendimento

mentali necessari alla formazione intellettuale e morale; di conseguenza, la scuola ha una parte non trascurabile di responsabilità quanto al successo finale o all’insucces-so dell’individuo nella realizzazione delle proprie possi-bilità e nel suo adattamento alla vita sociale.In una parola, l’evoluzione interna dell’individuo forni-sce soltanto un numero più o meno grande, a seconda delle attitudini ai ciascuno, di abbozzi suscettibili di essere sviluppati, distrutti o lasciati ad uno stadio incom-pleto. Ma non sono che degli abbozzi, e soltanto le inte-

razioni sociali e educative li trasformeranno in condotte efficaci oppure li distruggeranno per sempre. Il diritto all’educazione è dunque, né più né meno, il diritto dell’individuo a svilupparsi normalmente, in funzione delle possibilità di cui dispone, e l’obbligo, per la socie-tà, di trasformare queste possibilità in realizzazioni ef-fettive e utili.

(F. Ravaglioli, Educazione occidentale,Armando, Roma, 1988, vol. III)

❱❱ 2. Le ipotesi di Vygotskij e lo scontro con Piaget(Gomel 1896 - Mosca 1934) è uno dei più importanti psicologi sovietici della prima metà del Novecento. Si forma all’Università di Mosca, occupandosi di psicologia dello sviluppo e di psico patologia. Il lavoro sistematico di Vygotskij in psicologia comincia nel 1924, quando lo psicologo russo Alexander Lurija, colpito dalla porta-ta di una sua conferenza, lo inserisce presso l’Istituto dì psicologia di Mosca. La sua opera principale Pensiero e linguaggio (postuma 1934), viene messa al bando nel 1935 dallo stalinismo, probabilmente perché divergeva dall’impo stazione pavloviana, e comincia a circolare liberamente solo a partire dal 1962, influenzando enormemen-te sia la psicologia sovietica che quella occidentale.Il contributo principale di Vygotskij riguarda lo studio dei processi cognitivi e l’ori-gine del linguaggio. Il rapporto tra pensiero e linguaggio è descritto in maniera quasi opposta rispetto a Piaget. Per quest’ultimo, nelle prime fasi dello sviluppo in-fantile il pensiero è «autistico», ossia non comunicabile e non rispondente alla real-tà. Nelle fasi successive il pensiero diventa «ego centrico», per cui il bambino non concepisce punti di vista diversi dal proprio, e anche il linguaggio è autoreferenziato, dunque non aperto alla comunicazione interpersonale. Il linguaggio egocentrico scompare progressivamente man mano che il pensiero diventa più completo e si ra-zionalizza.Secondo Vygotskij, il rapporto tra pensiero e linguaggio è esattamente inverso a quello teorizzato da Piaget: il bambino è fin dalle prime fasi di sviluppo immerso in relazioni interpersonali.

Il linguaggio è, dunque, soprattutto sociale, e riesce ad esprimere emozioni ed affet-ti. La funzione interpsichica del linguaggio precede dunque quella intrapsichica. Solo in seguito, con il processo di interiorizzazione, il linguaggio diventa uno strumento del pensiero, contribuendo alla strutturazione dei processi mentali. Quando il proces-so di interiorizzazione è completo, il linguaggio diventa interiore: è una forma di pensiero che si struttura utilizzando le regole della lingua, le parole e i loro significa-ti. Nell’analisi dello sviluppo linguistico e cognitivo del bambino Vygotskij individua la cosiddetta «zona di sviluppo prossimale», che consiste nella differenza tra il livel-lo di sviluppo effettivo del bambino e il livello di sviluppo potenziale. Secondo Vy-gotskij, come abbiamo appena visto, i sistemi mentali di rappresentazione non deri-vano, come per Piaget, nel rapporto dell’individuo con il mondo, ma vengono gene-rati dal contesto socio-culturale. Lo sviluppo mentale non è un fatto individuale, ma è un processo di interiorizzazione di forme culturali. Vygotskij sostiene, infatti,

34

MODULO 1Psicoanalisi ed educazione

che la prima attività intellettiva è sostanzialmente pratica e concreta, non isolata dal contesto esterno, ma sempre interna all’interazione bambino/ambiente. Le prime forme di intelligenza sono di tipo pre-verbale e si manifestano mediante l’attività pratica, in cui il bambino inventa e usa strumenti per adattarsi all’ambiente. Il lin-guaggio egocentrico ed interiore non è la prima fase dello sviluppo linguistico, ma è uno strumento del pensiero a cui possiamo ricorrere in ogni età della vita, non sol-tanto nell’infanzia, bensì ogni qualvolta dobbiamo fronteggiare situazioni proble-matiche. A due anni il linguaggio acquista significato. La parola rappresenta una mediazione fra linguaggio e pensiero; essa serve sia a comunicare socialmente (fun-zione sociale), sia a pensare e ragionare (funzione individuale). L’apprendimento efficace richiede il passaggio dalla soluzione singola di un problema alla collabora-zione con gli altri (coetanei più capaci oppure adulti), per affrontare e risolvere i problemi. Di seguito vengono sintetizzati i punti di divergenza tra le posizioni di Piaget e quelle di Vygotskij:

• nella prospettiva piagetiana, la differenza tra l’uomo e gli altri esseri viventi con-siste in una maggiore capacità adattiva del primo rispetto all’ambiente, garan-tita dall’abilità di elaborare un ragionamento concettuale e astratto (un livello che viene raggiunto compiutamente solo nel passaggio dal terzo al quarto stadio dello sviluppo cognitivo). L’adattamento all’ambiente costituisce un processo di cono-scenza controllato da organizzazioni mentali (schemi) che gli individui utilizzano per comprendere il mondo circostante e per organizzare le loro azioni. Le ipotesi di Piaget hanno determinato alcune conseguenze molto importanti per le scienze educative, che possiamo così riassumere:– i bambini non sono semplici soggetti passivi da «riempire» di informazioni,

ma attivi elaboratori di conoscenze;– la conoscenza è in costante costruzione e riformulazione: si tratta di un cam-

mino creativo che dura tutta la vita;– lo sviluppo cognitivo è soltanto facilitato, non prodotto, dalle attività svolte o

dalle situazioni che impegnano chi apprende e che richiedono il suo adatta-mento all’ambiente;

– i materiali di apprendimento e le attività proposte agli studenti dovrebbero sollecitare operazioni mentali ad un livello appropriato al loro grado di svi-luppo cognitivo, evitando di «forzare» le tappe e di proporre compiti che ol-trepassano le capacità cognitive disponibili;

– a livello pedagogico, il ruolo dell’insegnante, dal punto di vista di Piaget, con-siste nel garantire un sostegno alla costruzione del pensiero astratto, senza forzature, dal momento che la costruzione di conoscenze procede per sequenze mentali che hanno una profonda base biologica (più precisamente, neurologica).

Secondo Vygotskij invece:

• le interazioni sociali sono in grado di generare un cambiamento continuo del pensiero degli individui e dei loro comportamenti e che, pertanto, possono non solo variare enormemente in relazione al contesto culturale entro cui l’individuo vive, ma possono anche essere stimolate, ac cresciute, potenziate ben al di là di quanto uno sviluppo puramente naturale possa consentire;

• lo sviluppo cognitivo dipende dalle interazioni tra le persone e dagli strumenti che la cultura produce per dare forma alla concezione del mondo delle persone stesse;

35

Unità 2La psicopedagogia: sviluppo cognitivo e teorie dell’apprendimento

• più in generale, gli individui costruiscono socialmente e interattivamente le loro conoscenze: lo sviluppo cognitivo non può essere mai scisso dal contesto sociale;

• l’apprendimento può portare allo sviluppo cognitivo indipendentemente dal li-vello di partenza;

• il linguaggio socializzato costituisce un elemento centrale nello sviluppo cognitivo.

Vygotskij ritiene, dunque, che l’intervento pedagogico generi un processo di appren-dimento che porta allo sviluppo di ciò che egli definisce area di sviluppo prossima-le, cioè la differenza tra ciò che l’individuo può fare con le sue forze e le competenze che può raggiungere con l’aiuto di una persona esperta; secondo Vygotskij, l’impatto dell’ambiente sociale, della cultura, dell’educazione, del linguaggio sul potenziale di sviluppo della mente del bambino è assolutamente fondamentale.

per approfondire❱ Le tappe della psicologia dello sviluppo

La psicologia dell’età evolutiva, come abbiamo visto, è certamente un settore-chiave della psicologia: essa, definita anche come psicologia genetica, si occupa del progressivo sviluppo delle strutture psichiche dell’in-dividuo e della loro organizzazione, dalla nascita sino alla soglia dell’età adulta, stabilita convenzionalmen-te a 25 anni. Dal suo esordio nella seconda metà dell’Ottocento, in seguito a un articolo di Darwin (1877) relativo all’osservazione diretta di un bambino, sino a oggi, in cui è divenuta la scienza dello sviluppo psi-chico, il campo di azione della psicologia dell’età evolutiva si estende a diversi ambiti, dallo studio delle caratteristiche che assimilano e di quelle che distinguono il bambino dall’adulto, all’individuazione dei fat-tori ereditari rispetto a quelli ambientali responsabili dello sviluppo psichico, oltre all’analisi dell’evoluzio-ne delle strutture psichiche più semplici in strutture psichiche più complesse.

1) La teoria dello sviluppo cognitivo. Occorre attendere sino agli anni Venti per assistere all’esplosione della psicologia genetica, il cui massimo contributo a livello europeo viene dato da Piaget, attraverso la pubblicazione de Il linguaggio e il pensiero del bambino (1923) e tramite la creazione, insieme ad alcuni collaboratori, del più attivo centro mondiale di ricerca sullo sviluppo psichico, divenuto in seguito il Centro Internazionale di epistemologia genetica. Dopo aver elaborato una metodologia alquanto origi-nale, Piaget mostra, oltre alla differenza qualitativa tra pensiero infantile e pensiero adulto, l’esistenza di diversi stadi dello sviluppo cognitivo, soltanto intuiti da ricerche precedenti alla sua, ma non eviden-ziati dall’uso di reattivi mentali, quali le scale di Binet. Quella di Piaget, definita teoria dello sviluppo cognitivo, è la teoria stadiale più autorevole della psicologia dello sviluppo. Attraverso stadi invarianti, egli definisce i cambiamenti che si verificano nel corso dell’acquisizione della conoscenza del mondo da parte dei bambini (epistemologia genetica). Tali cambiamenti comportano modificazioni nella struttura del pensiero, che diviene sempre più organizzato costituendosi sulle strutture dello stadio precedente. La causa del passaggio attraverso gli stadi è individuata in differenti fattori, tra cui l’esperienza che attraverso due fondamentali processi, l’assimilazione e l’accomodamento, favorisce il progresso cogniti-vo. I bambini sono perciò visti da Piaget come organismi attivi, in grado di autoregolarsi, i cui cambia-menti qualitativi e quantitativi sono indotti da fattori innati e ambientali: l’essenza dello sviluppo co-gnitivo è, quindi, rappresentata dal cambiamento di tipo strutturale.

2) La teoria psicoanalitica. I maggiori contributi alla psicologia dell’età evolutiva sono offerti dalla psi-coanalisi nelle sue molteplici varianti. Nello specifico, occorre ricordare la psicoanalisi infantile, che nasce dall’opera di M. Klein e di A. Freud, della quale va citato il fondamentale testo L’Io e i meccanismi di difesa (1936), ed essenzialmente, per quanto riguarda l’interpretazione dello sviluppo affettivo e psi-cosessuale, l’enorme apporto fornito da Sigmund Freud, probabilmente il primo psicologo teorico a sot-tolineare l’importanza decisiva degli anni dell’infanzia per formare la struttura fondamentale del carat-

36

MODULO 1Psicoanalisi ed educazione

tere. La personalità di base, secondo Freud (1914), si costituisce nei primi 5 anni di vita attraverso i tentativi del bambino di far fronte a una sequenza invariante di conflitti, ciascuno dei quali coinvolge un diverso dominio: orale, anale, fallico e genitale (1905; 1923). La modalità con cui il bambino appaga le pulsioni di ogni stadio costituisce la base della personalità, ma, essendo lo sviluppo diretto da forti pulsioni sessuali, l’espressione di tali forze inconsce stimola lo sviluppo dell’Io e del Super-Io, che ope-rano anch’essi per gran parte in modo inconscio. Freud propone, inoltre, al pari di Piaget, una teoria dello sviluppo basata sulle difficoltà, nel senso che ritiene che i disturbi o le fonti di conflitto del siste-ma inducano l’evoluzione del soggetto, la cui finalità è riportare lo stato di equilibrio nel sistema. Egli ha quindi fornito differenti e duraturi contributi, empirici e teorici, alla psicologia dell’età evolutiva, stimolando ricerche attive tutt’oggi nelle aree della tipizzazione sessuale, dell’attaccamento, della rela-zione genitore-figlio, dell’aggressività e dell’identificazione.

3) La teoria vygotskijana. Le radici del contestualismo sono molteplici, ma la forza storica di tale ap-proccio, nell’ambito della psicologia dell’età evolutiva, è rappresentata soprattutto da Vygotskij. Le sue teorie hanno avuto notevole incidenza sulla psicologia dello sviluppo, essenzialmente nel ramo cognitivo. La sua attenzione è fondamentalmente incentrata sull’integrazione delle ac quisizioni quo-tidiane nello sviluppo del bambino, e quindi, sul contesto socio-culturale che fa da sfondo all’evolu-zione. In merito a quest’ultimo punto, a differenza degli approcci precedenti, il contestualismo è fo-calizzato sul «bambino attivo in un contesto», anziché sul singolo soggetto. Vygotskij propone anche, a differenza di Piaget, un tentativo coerente di esplicare le origini sociali del linguaggio e del pensie-ro (1934) ed evidenzia nel processo di transizione dal piano interindividuale a quello intraindividuale la legge cardine dell’evoluzione della conoscenza. Rientra in tale area di studio la «zona di sviluppo prossimale», ovvero la distanza tra quanto il bambino può fare con o senza aiuto, in cui l’osservazio-ne diretta del cambiamento verificatosi in ciascun attimo di un dato periodo consente di comprende-re l’evoluzione del soggetto e la sua intelligenza, non definibile con quanto egli sa, bensì con ciò che acquisisce con l’ausilio altrui. Peculiari sono le ricerche vygotskijane-costruttiviste sulla partecipazio-ne guidata nelle zone di sviluppo prossimale, sul linguaggio egocentrico, sullo sviluppo dei concetti, nonché sugli studi cross-culturali.

4) La teoria etologica. Un’importante sintesi tra i concetti psicoanalitici e gli assunti etologici viene com-piuta da M. Ainsworth (1985) e da J. Bowlby (1969-1980). Quest’ultimo sviluppa l’importantissima teo-ria dell’attaccamento, che amplia e modifica la teoria freudiana; a differenza del noto psicanalista, in-fatti, Bowlby non considera del tutto irreversibili le esperienze precoci, relativizza l’incidenza della libi-do nelle motivazioni che spingono l’uomo all’azione e riesa mina la questione relativa all’attaccamento che unisce madre e bambino. Dagli studi etologici di Lorenz (1949) emergono, inoltre, dati in favore dell’ipotesi che vi sia una predisposizione per cui il neonato e l’adulto interagiscono reciprocamente, tanto da estendere le ricerche sugli effetti della separazione dalla madre, sulla madre stessa, e sul ruolo del padre. Oltre all’attaccamento, le aree di ricerca individuate come rilevanti dalla psicologia etologica dell’età evolutiva sono quelle relative alla comunicazione non verbale, alle gerarchie di dominanza e alla risoluzione di problemi.

5) La teoria dello sviluppo percettivo. E.J. Gibson, il massimo esponente della teoria dello sviluppo per-cettivo, con Principles of perceptual learning and development (1968) elabora uno dei testi più influenti nella storia della psicologia dell’età evolutiva, occupandosi dello sviluppo e dell’apprendimento percet-tivo che nasce attraverso l’esperienza. Un’importanza cruciale riveste, in tale ambito, il contesto ecolo-gico, in quanto il bambino impara a percepire le informazioni di cui si serve per adattarsi all’ambiente, per cui, in talune situazioni, occorre guidarne la raccolta. Un recente saggio della Gibson (1988) eviden-zia che si giunge alla conoscenza del mondo attraverso la percezione diretta dall’esplorazione attiva e che è tale conoscenza a guidare ciascuna nostra attività.

6) La teoria cognitiva. Spiega lo sviluppo cognitivo in termini di crescita delle abilità di base, quali l’at-tenzione, la velocità di elaborazione delle informazioni e la memoria, prendendo come modello il sistema informatico. Gli psicologi cognitivisti dello sviluppo dagli anni Ottanta si sono occupati della soluzione razionale di problemi, con l’obiettivo di studiare le modalità con cui il pensiero diviene sempre più or-

37

Unità 2La psicopedagogia: sviluppo cognitivo e teorie dell’apprendimento

ganizzato e oggettivo, e hanno contribuito all’estendersi di un nuovo approccio, quello interattivo-co-gnitivista, secondo cui le precoci interazioni sociali influenzano in maniera determinante gran parte dello sviluppo cognitivo e linguistico successivo del bambino. In base a tale approccio, si tende, da una parte, a spiegare la condotta sociale in termini cognitivi, social cognition, dall’altra a cogliere le possi-bili determinanti sociali dello sviluppo cognitivo.

❱❱ 3. Le teorie dell’apprendimento❱ 3/1 Apprendimento e processo educativo: il comportamentismo in pedagogia

Nella seconda metà del ’900, si consolida un vasto intreccio tra le teorie generali del-lo sviluppo cognitivo del bambino, che abbiamo visto in Piaget e Vygotskij, e nuovi studi specifici sui meccanismi di apprendimento dei bambini: si rafforza dunque, a vari livelli, un approccio nuovo: la psicopeda gogia, cioè la sistematica applicazione delle scoperte psicologiche all’universo dei problemi educativi. Questa applicazione deve molto al clima di ricerca sviluppatosi nei primi anni del Novecento soprattutto grazie agli esponenti del comportamentismo. Numerose pratiche didattiche sono ancora attualmente influenzate da questo complesso di ipotesi, di pratiche, di suggerimenti. Come noto, l’approccio comportamentista si concentra attorno allo studio di quelle azioni umane e animali direttamente osservabili e su cui applicare metodologie speri-mentali. L’idea centrale dei comportamentisti è che il soggetto, agendo a seguito di stimoli provenienti dall’ambiente e nell’interazione con esso, produca una modifica del suo comportamento o delle sue conoscenze di base grazie ad una sequenza di as-sociazioni tra stimolo e risposta. L’ipotesi di fondo, come sappiamo, è che gli organi-smi viventi sono in grado di trasferire la propria capacità di risposta da uno stimolo dell’ambiente ad un altro, mostrandosi capaci di generalizzazio ne (risposta a stimoli simili o uguali), discriminazione (risposta a un certo tipo stimolazioni diverse da quel-le già conosciute) e inibizione (interruzione delle risposte quando ciò si dimostri ne-cessario). Il ruolo del soggetto che apprende, in questo contesto, è sostanzialmente passivo, cioè guidato da meccanismi non controllabili dalla volontà o dalla motiva-zione. Successivamente, Skinner mette in evidenza il ruolo dei rinforzi positivi, cioè dei premi che il soggetto può ricevere dall’ambiente, come elementi importanti per migliorare la selezione delle risposte e la successiva ripetizione dei comportamenti più efficaci. Sintetizzando, l’apprendimento secondo la prospettiva comportamentista:

• è generato da associazioni stimolo/risposta;• è un processo di conoscenza, derivante dall’impatto con l’ambiente, in grado di

modificare in modo durevole i comportamenti;• è condizionato dall’insegnamento inteso come attività organizzata di con tenuti e

di stimoli da trasmettere e di obiettivi misurabili da raggiungere.

I riflessi di questa concezione sulle idee che le persone hanno del processo di inse-gnamento e apprendimento sono molto profondi: si impara quello che ci viene comu-nicato e si dimostra di avere imparato rispondendo agli stimoli in maniera ampiamen-te prevedibile. Anche la pedagogia e la didattica sono dunque molto influenzate dal comportamentismo, e tanti insegnanti impostano spontaneamente la loro relazione educativa cercando di stimolare associazioni tra idee e nozioni.

38

MODULO 1Psicoanalisi ed educazione

per approfondire❱ Storia e sviluppi del comportamentismo

Il comportamentismo è riconosciuto come una delle grandi tendenze di pensiero della psicologia moderna, particolarmente vivace tra il 1915 ed il 1950 negli Stati Uniti, dove prende origine, favorito dalla tradizione pragmatica, dal funzionalismo e dallo sviluppo delle idee evoluzioniste che contribuivano a porre l’accento sul concetto di adattamento. Esso trova peraltro le sue basi più specifiche nell’estensione al mondo psichi-co del meccanicismo riduzionistico, secondo la proposta di J. Loeb da cui John B. Watson, il fondatore del comportamentismo, prende spunto: la riduzione cioè delle leggi della vita (fisiologica e psicologica) alle leggi della fisica e della chimica attraverso il passaggio dal superiore all’inferiore, dal generale all’elemen-tare. Watson, professore di psicologia animale alla John Hopkins University, fissa in un articolo celebre del 1913, Psicology as a Behaviorist Views it (La psicologia come la vede un comportamentista), variamente ri-preso poi nelle sue opere fino al 1921, i punti essenziali della sua teoria, centrata sulla volontà di costruire una psicologia rigorosamente obiettiva, fondata sul tangibile e sull’osservabile, in parallelo con le scienze fisiche e matematiche. Per questo motivo, l’oggetto della psicologia secondo il modello comportamentista diventa non più la coscienza o l’attività mentale largamente intesa come era nella tradizione europea, ma il comportamento. Quest’ultimo, interpretato generalmente come «quello che l’uomo (o l’animale) fa» di visibile ed osservabile, è per Watson, più precisamente, la risposta o la reazione (R) di ordine fisico o fisio-logico (motorio o viscerale) che un organismo produce in presenza di uno stimolo (S) della stessa natura. Alla coscienza viene negata ogni realtà psicologica; i concetti di sensazione, di percezione, di immagine mentale e simili vengono rigettati come puramente intellettualistici, ed anche fondamentali processi psico-logici di ordine cognitivo come il linguaggio ed il pensiero sono ricondotti a fatti di ordine meramen te fisi-co e fisiologico. Viene rifiutata l’introspezione come metodo per indagare ciò che avviene nella mente dell’uomo, sia perché considerata da Watson priva di ogni scientificità, sia perché, alla base, vi è il rifiuto del concetto di mente. Con il comportamentismo, la mente viene considerata un black box, «scatola nera», di cui non si può sapere nulla, come affermerà in seguito B.F. Skinner, il comportamentista più noto dei nostri tempi. Questo rifiuto di ogni forma di mentalismo costituisce l’elemento essenziale rivoluzionario del comportamentismo e segna la sua rottura con la psicologia precedente; ne costituisce, però, anche il limite più evidente, nella misura in cui tale ottica riduce l’attività umana unicamente all’osservabile, escludendo quei processi interni mentali (pensare, prevedere, valutare, decidere, etc.) che sono distintivi proprio della peculiarità dell’organismo umano. Il comportamentismo ha dunque un’impostazione periferalistica: ogni condotta, ogni aspetto della personalità, ogni processo psicologico, sono spiegati in base ad abitudini che si formano a livelli di organi periferici dell’organismo (ad esempio linguaggio e pensiero si formerebbero in base ad abitudini laringee) senza tener conto di specifici interventi di trasformazione, di elaborazione e di costruzione della mente o, in termini psicofisiologici, del sistema nervoso centrale. Il comportamentismo segue alcune impostazioni ambientalistiche nella misura in cui viene esaltato il ruolo dell’ambiente, e dell’adattamento ad esso. Nel comportamentismo classico di Watson non si attribuisce quasi nessuna impor-tanza ai dati di ordine genetico e ai meccanismi innati, mentre il peso dei dati esterni (ambiente, educa-zione) è decisamente enfatizzato. Anche l’istinto è utilizzato come concetto unicamente atto ad indicare in modo alquanto elementare il terreno di base dello sviluppo psichico. Il comportamento, il formarsi delle abitudini e dei processi psichici, sono quindi spiegati essenzialmente con l’apprendimento, che diventa l’area esclusiva di ricerca. Il comportamentismo prevede forme molto elementari di apprendimento, basate essen-zialmente sul condizionamen to, che può essere la risultante di meccanismi associativi, come sosteneva Pavlov, o della legge dell’effetto di Thorndike, il quale sostiene che le risposte accompagnate da soddisfa-zione tendano a subire un rinforzo che le fissa e le induce a guida del comportamento (condizionamento operante). Negli anni ’30-40, i comportamentisti (tra gli altri soprattutto S.S. Stevens, C. Hull, E. Tolman, J. Dollard, N. Miller, H. Mowrer) si pongono con forza il problema di offrire un quadro più consistente sul piano epistemologico e concettuale alla loro teoria ed un più elevato livello di formalizzazione. In questo trovano specifico sostegno nell’operazio nismo ed in alcuni aspetti del neopositivismo, che pervadono la cultura americana dell’epoca e forniscono al comportamentismo uno strumento logico di notevole portata.

39

Unità 2La psicopedagogia: sviluppo cognitivo e teorie dell’apprendimento

I comportamentisti ricavano inoltre, da una più attenta considerazione per le acquisizioni della neurologia (soprattutto in tema di sistema nervoso centrale, di attività e funzioni della corteccia cerebrale e della formazione reticolare, anche in relazione ai nuovi dati derivanti dall’elettroencefalografia), un interesse più spiccato e preciso verso i processi di mediazione mentale che avvengono tra stimolo e reazione, e verso i processi di attivazione dell’organismo. La ricerca tende quindi ad accentrarsi, in modo spesso raffinato, sulle variabili che intervengono tra stimolo e risposta: esse vengono intese nel senso di costrutti ipotetici di ordine logico-formale (Hull), nel senso di veri e propri elementi di ordine neurofisiolo gico (Hebb), ed ancora nel senso di sistemi di organizzazione finalizzati immanenti al comportamento (Tolman). In questo periodo si diffonde anche un attento studio della motivazione come spinta (drive) emergente non solo da bisogni primari di ordine fisiologico, ma anche da bisogni secondari di ordine psicosociale e cognitivo. Questo comportamentismo anticipa un altro movimento profondamente innovativo del pensiero psicologico odierno: il cognitivismo che, senza perdere il senso empirico della psicologia moderna, riporterà l’attenzio-ne sulla mente e sul suo funzionamento.

❱ 3/2 La ripresa del comportamentismo: il Mastery LearningNonostante gli studi successivi abbiano notevolmente ampliato il complesso delle cono-scenze psicologiche utili alle pratiche educative, una parte della psicopedagogia attuale, soprattutto di tipo cognitivista, ha nuovamente proposto una descrizione dei processi di apprendimento simile a quella diffusa della tradizione comportamentista. Una delle te-orie più recenti, ad esempio, è il Mastery Learning (che possiamo tradurre con «appren-dimento per padronanza»). Si tratta di una metodologia didattica, teorizzata da Benjamin S. Bloom (1979), fondata sul presupposto che tutti gli studenti possano raggiungere un’adeguata comprensione di una materia qualora venga garantito loro un tempo ne-cessario. L’insegnante deve procedere all’analisi e alla scomposizione del compito o del contenuto da comunicare alla classe, o al gruppo degli studenti «più lenti». La comuni-cazione migliore è costituita da un flusso di informazioni ordinato in piccoli «frammen-ti» di conoscenza. Di fronte a questo tipo di azione formativa, lo studente acquisisce, elabora e, infine, restituisce a modo suo gli elementi appresi. La pratica ripetuta dei comportamenti richiesti per la restituzione di quanto appreso (cioè l’esercizio), lo met-terà in grado di trasferire gli appren dimenti da un contesto ad un altro. L’esercizio indi-viduale può prevedere la ripetizione di prestazioni scritte o orali e costituisce una pratica indispensabile per il successo scolastico ma anche, per estensione, per quello extrasco-lastico. In maniera simile, gli studi e le proposte di Robert M. Gagné (1965) hanno influenzato la pratica didattica attraverso un modello di lezione formalmente innovativo, ma ancora basato sulla trasmissione di conoscenze (adeguatamente organizzate e sem-plificate) da un soggetto esperto (l’insegnante) ad uno passivo (l’allievo).Una novità propria di questi approcci, rispetto al comportamentismo, è che le dimen-sioni affettive ed emozionali dell’apprendimento hanno pari valore della dimensione cognitiva: l’insegnante, prima di introdurre nuove conoscenze, deve orientare e mo-tivare psicologicamente l’allievo, suscitando la sua «naturale» curiosità, nonché controllare i prerequisiti (le conoscenze di base) necessari per affrontare il successivo stadio di apprendimento.

L’insegnamento diventa, così, una specie di «modellaggio» (modeling) continuo. Da questa prospettiva, le condizioni che favoriscono l’apprendimento sono:

• il controllo continuo da parte dell’insegnante sugli studenti;• l’aumento della autonomia dello studente nella gestione dei comportamenti fina-

lizzati al successo, attraverso l’imitazione del modello proposto dall’insegnante;

40

MODULO 1Psicoanalisi ed educazione

• i cambiamenti prodotti dai risultati negativi delle verifiche;• la gratificazione dei premi ricevuti per le prestazioni positive.

Molto più recentemente questi suggerimenti sono divenuti la base per la cosiddetta formazione a distanza, soprattutto quella veicolata da Internet, cioè il cosiddetto e­learning.In questo tipo di approccio, assai innovativo rispetto alla tradizione e ancora non molto sviluppato proprio perché legato inscindibilmen te alle nuove tecnologie (che in non tutti i paesi sono diffuse in maniera uniforme), i materiali

didattici sono quasi sempre costruiti in sequenze ordinate e prefigurano percorsi specifici di lavoro individuale.

❱ 3/3 Lo sviluppo della scienza cognitivaA partire dagli anni Quaranta, negli Stati Uniti, nuove scoperte sui meccanismi di funzionamento del cervello e soprattutto la formulazione della teoria matematica dell’informazione favoriscono una ripresa degli studi sui processi cognitivi supe-riori (l’attenzione, la percezione, l’elaborazione, la soluzione di problemi, la memo-ria, i meccanismi del linguaggio e così via). In questo contesto si fa largo la convin-zione che saper programmare un calcolatore (cioè essere in grado di fornirgli delle «istruzioni») potesse aiutare a capire anche come insegnare in modo più efficace alle persone. Si ipotizza dunque, ad esempio, che tutti i sistemi che elaborano informa-zioni, compresa la mente umana, siano retti da «regole» o da procedure precise in grado di stabilire come trattare gli input, cioè gli impulsi provenienti dall’esterno. Un insieme molto articolato di studi e ricerche, che ha coinvolto studiosi provenien-ti da differenti campi e discipline, ha così influenzato in modo significativo la peda-gogia e la didattica. Questi studi sono indicati come appartenenti ad un unico gran-de ambito, il cognitivismo, al cui interno possiamo individuare molte posizioni eterogenee.

Tentiamo di sintetizzare i riflessi che questi studi hanno avuto nella definizione delle pratiche educative:• l’apprendimento è visto anzitutto come un processo di elaborazione delle infor-

mazioni, in analogia al computer;• l’insegnante fa speso uso di sequenze di istruzioni, per far progredire lo studen-

te a piccoli passi verso l’acquisizione di strategie di apprendimento e di soluzione dei problemi (problem solving) sempre più complicati;

• lo studente può diventare «esperto» attraverso un’attività di riflessione su di sé: essere consapevoli delle proprie competenze e del proprio modo di acquisirle è molto importante in prospettiva cognitivista. L’insegnante può facilitare questo percorso di conoscenza di sé attraverso un continuo «dialogo educativo»;

• la mente umana viene ritenuta capace di elaborare un numero quasi infinito di informazioni per stadi sequenziali, dopo che le informazioni in ingresso (input) sono state semplificate e organizzate;

• le informazioni, per essere elaborate, devono essere codificate, cioè rese più sem-plici e gestibili da ciascun studente. A tale scopo, l’insegnante ha il compito di scomporre le informazioni e di facilitarne la codifica. L’esperto deve fornire, quindi, gli strumenti di semplificazione dei contenuti. Le rappresentazioni men-tali dei dati e delle informazioni possono essere agevolate attraverso la presenta-

L’e-learning (dall’inglese to learn, imparare) è una metodologia di formazione e apprendi-mento a distanza, fondata sull’uso di strumen-ti didattici multimediali, quali corsi on-line, DVD e cd-rom interattivi.

41

Unità 2La psicopedagogia: sviluppo cognitivo e teorie dell’apprendimento

zione e la costruzione di schemi, copioni (cosiddetti script), cornici (frames), immagini, mappe concettuali, presentazioni multimediali, e così via;

• l’insegnamento non è puramente nozionistico, cioè non somma una serie di dati e di informazioni slegate tra loro; piuttosto, esso mira ad organizzare strategie, cioè operazioni mentali utili a convogliare le informazioni generali in unità più piccole e più facilmente utilizzabili.

Tenuto conto di tutti questi elementi, il compito dell’insegnante non è tanto verifica-re cosa ha capito lo studente, ma «se» ha capito, cioè se le conoscenze sono diventa-te significative, elaborate e memorizzate. Si insegnano infatti principi e regole di azione che devono essere appresi, ricordati e successivamente applicati: essere abili (cioè «bravi» a scuola) non significa saper fare qualcosa, ma essere in grado di ac-quisire nuove conoscenze.

per approfondire❱ Il cognitivismo

Si tratta di uno dei più importanti movimenti della psicologia contemporanea, secondo il quale la mente umana funziona elaborando attivamente informazioni che le giungono tramite gli organi sensoriali, in ana-logia con i meccanismi di tipo cibernetico. A differenza di altri modelli precedenti (ad esempio, il compor-tamentismo o la Gestalt), il cognitivismo non costituisce un sistema teoretico organizzato e coerente: la sua prima formulazione teorica si deve a U. Neisser (Psicologia cognitivista 1967) almeno dieci anni dopo la comparsa delle prime tecniche sperimentali definibili come cognitiviste. Dagli anni Settanta in poi, il co-gnitivismo, nato in Inghilterra, è subentrato al comportamentismo, diventando il modello di riferimento nel Nord Europa. Le influenze che hanno inciso sulla nascita delle teorie cognitiviste sono molte ed eterogenee: le più recenti possono essere individuate nella teoria dell’informazione e nella cibernetica, che forniscono un modello dell’organismo umano come sistema complesso, in grado di ricevere informazioni (input), di elaborarle compiendo scelte fra gli elementi in entrata, di porre in atto sui dati selezionati una serie di trasformazioni e un immagazzinamento rapido ed efficace, di raggiungere decisioni dipendenti dai risultati dell’elaborazione compiuta e non predeterminate in partenza (output), come era nel modello comportamen-tista, dagli stimoli ambientali in entrata. I primi esperimenti cognitivisti vengono condotti in Inghilterra: a Cambridge, K. Craik, fra gli anni Quaranta e Cinquanta arriva alla conclusione che la mente umana si com-porta come un servomeccanismo capace di autocorrezione a intervalli di 500 ms; successivamente, sempre a Cambridge, D.E. Broadbent enuncia la più nota delle teorie cognitiviste relative all’attenzione, la teoria del filtro, che sottolinea la capacità della mente di selezionare in modo molto preciso le informazioni in arrivo. Nel 1960, lo psicolinguista G.A. Miller, lo psicologo matematico E. Galanter e il neuro psicologo K. Pribram pubblicano il volume Piani e struttura del comportamento, in cui per la prima volta l’analogia di funzionamento fra mente umana e computer viene presentata in modo approfondito; secondo questa teoria, la classica unità di misura psicologica rappresentata dal riflesso, ossia dalla coordinazione elementare tra stimolo e risposta, viene sostituita una nuova unità globale denominata TOTE (test-operate–test-exit) o piano di comportamento, che parte dalla premessa secondo cui il soggetto conoscente interagisce con l’am-biente circostante, non limitandosi a recepirne passivamente le sollecitazioni (come nella prospettiva com-portamentistica), ma verificando continuamente la congruenza fra il proprio progetto comportamentale e le condizioni oggettive esistenti. Negli anni successivi si differenziano diversi filoni di ricerca cognitivista che si focalizzano su percezione, memoria, attenzione, vigilanza, ragionamento (il cosiddetto problem solving) e, soprattutto, il linguaggio (N. Chomsky). Le attuali terapie cognitive derivano dalla concettualizzazione, che sottolinea l’importanza delle cognizioni e dei pensieri dell’individuo come fonte principale dei disturbi psicologici, e si propongono di modificare sentimenti e comportamenti del paziente variandone i pensieri. La terapia cognitiva si diversifica dai più tradizionali orientamenti tera peutici, anch’essi in un certo senso

42

MODULO 1Psicoanalisi ed educazione

«cognitivi», perché più strutturata, centrata principalmente su sintomi evidenti, con minore attenzione alla storia infantile del paziente e al suo vissuto. Gli orientamenti attualmente più rappresentativi della terapia cognitiva possono considerarsi la terapia razionale emotiva di Ellis e la terapia cognitiva per la depressione di Beck. La terapia razionale emotiva (Ellis 1962) è fondata sul proposito di aiutare il paziente a divenire consapevole delle convinzioni autolesive, e a sostituirle con asserzioni personali meglio rivolte all’au-toaccrescimento. Ellis ipotizza che gli individui imparino a parlare a se stessi per riuscire ad affrontare lo stress e che queste affermazioni, se sono «irrazionali», spontanee, spesso producono più problemi di quan-ti non ne risolvano. Tra le affermazioni irrazionali si possono citare, ad esempio, l’idea che sia una necessi-tà imprescindibile, per un essere umano adulto, essere amato o approvato da ogni altra persona significati-va che appartenga alla propria comunità, o l’idea che la stima di sé dipenda dal successo o dal consenso sociale riscosso. Nel modello di Ellis, a sconvolgere l’equilibrio psichico del paziente non è un evento preci-so, ma sono piuttosto le sue convinzioni, espresse sotto forma di monologo interiore irrazionale. Compito del terapeuta è discutere e modificare tali convinzioni. La terapia cognitiva di Beck per la depressione ipo-tizza che le disfunzioni psichiche, in particolar modo la depressione, siano il risultato del modo in cui gli individui sono giunti a formarsi un’idea di se stessi, in base all’influenza di pensieri autolesivi e di distor-sioni cognitive che possono indurre a considerarsi incapaci e inutili, fino a leggere tutta la realtà esterna secondo tali parametri interni. La tecnica cognitiva di Beck affronta la depressione indagando inizialmente quali pensieri negativi influenzano il paziente: idee negative riguardo al mondo, a se stesso e al futuro. Il terapeuta guida in seguito il paziente a una posizione più oggettiva, addestrandolo a correggere i propri pensieri, sostituendo quelli più negativi: questa strategia generale viene detta empirismo collaborativo e si basa sull’alleanza tra paziente e terapeuta nello sforzo di cogliere i dati per verificare la logica e la raziona-lità dei pensieri e delle convinzioni del soggetto in terapia. Nella pratica clinica, le metodiche cognitive comprendono anche tecniche comportamentali, quali l’assegnazione di compiti a casa, la ripetizione, l’au-tomonitoraggio e gli esercizi con rinforzo, che trasformano i trattamenti orientati cognitivamente in trat-tamenti co gnitivo-comportamentali.

❱❱ 4. teoria dell’istruzione e cultura dell’educazione: Jerome BrunerQuesti ultimi due indirizzi trovano un punto di sintesi nel lavoro di Jerome Saymour Bruner (New York, 1915).Docente di psicologia all’Università di Harvard e professore emerito alla New York University, dopo le prime ricerche sulle conseguenze del dopoguerra nella psicologia sociale, si è occu pato costantemente di processi percettivi e dell’influenza dei fattori sociali nello sviluppo cognitivo. Nel 1959 è stato animatore della Conferenza di Woods Hole, tesa a migliorare e rendere più efficienti i programmi scolastici e i me-todi di insegnamento. A partire da questa esperienza si sviluppa il suo nuovo indiriz-zo di ricerche, che si pone in forte contrasto con il comportamentismo pragmatista. Decisiva è stata, in questo senso, la polemica a distanza con J. Dewey, confluita in un testo-chiave: Dopo Dewey. Il processo di apprendimento nelle due culture (1964). Tra le sue altre opere: Lo sviluppo cognitivo (1966) Il conoscere. Saggi per la mano sinistra (1968); Il significato dell’educazione (1971); La mente a più dimensioni (1984); Verso una teoria dell’istruzione (1991) La ricerca del significato. Per una psicologia culturale (1992) La cultura dell’educazione (1996).

❱ 4/1 Bruner e PiagetContrariamente all’approccio di Piaget (da cui comunque l’opera di Bruner è larga-mente influenzata), Bruner sostiene che lo sviluppo cognitivo non si realizzi attra-verso una sequenza fissa di stadi; l’intelligenza è, infatti, piuttosto definibile come

43

Unità 2La psicopedagogia: sviluppo cognitivo e teorie dell’apprendimento

capacità di mettere in atto una serie di strategie e procedure per risolvere problemi, per analizzare le informazioni e codificarle. Egli attribuisce da questo punto di vista grande importanza alla situazione e al contesto in cui si affrontano i problemi (ossia ai fattori sociali), ma anche ai fattori motivazionali (fattori individuali). Lo sviluppo cognitivo è il passaggio da sistemi poveri a strategie sempre più ricche ed efficaci nell’elaborazione delle informazioni. Tale passaggio avviene attraverso tre forme di rappresentazione: l’azione, l’immagine e il linguaggio cui corrispondono tre diversi tipi di rappresentazione cognitiva: esecutiva, iconica, simbolica:

• nella rappresentazione esecutiva, tipica dei primi mesi di vita, il bambino utiliz-za la manipolazione, la percezione, l’attenzione e l’interazione sociale; ha una conoscenza motoria della realtà (che permane a volte nell’età adulta), ossia ap-prende e comprende agendo. L’azione è intenzionale, ma per Bruner, a differenza di Piaget, l’intenzione precede l’azione. Lo sviluppo motorio e manipolatorio è un processo costruttivo controllato dagli scopi del soggetto e dalle esigenze am-bientali;

• la rappresentazione iconica codifica, invece, la realtà mediante rappresentazioni mentali e immagini interne, che rappresentano una riorga nizzazione mentale del-la realtà. La fase della rappresentazione iconica, che si serve delle immagini, permane fino ai sei-sette anni, ma non esclude che il bambino possa ricorrere alla rappresentazione successiva, che è quella simbolica, già dai due anni;

• la rappresentazione simbolica è un’espressione della realtà attraverso segni e simboli convenzionali, ossia stabiliti socialmente. La parola rappresenta il signi-ficato dell’oggetto ed esprime un concetto. Quando il bambino impara a parlare, ha a disposizione un sistema di codifica più efficace e flessibile di quelli prece-denti.

A differenza della sequenza stadiale di Piaget, le tre forme di rappresentazione di Bruner non costituiscono una sequenza fissa in cui l’una scompare e l’altra appare, ma tutte coesistono, conservando la propria autonomia. Tutti i processi mentali hanno un fondamento sociale (è evidente, in questo senso, la volontà da parte di Bruner di «correggere» la visione biologista di Piaget con quella antropologico-sociale di Vygotskij): la struttura della conoscenza umana è influenzata dalla cul­tura attraverso i suoi simboli e le sue convenzioni. In ogni fase di sviluppo, l’atti-vità è guidata sia da scopi individuali che dal bisogno di relazioni sociali. L’influen-za sociale determina e diffonde i concetti tipici di ogni cultura, che vengono facil-mente appresi e rappresentati nella mente di ogni individuo. La cultura si riflette così nella vita mentale di ciascuno: l’intelligenza costituisce l’interiorizzazione degli strumenti di una società.

❱ 4/2 il fenomeno dell’apprendimentoSu questo sfondo generale, Bruner considera l’apprendimento un processo attivo in cui il soggetto costruisce nuove idee o concetti a partire dalla sua conoscenza passa-ta e presente. Le sue considerazioni e le indicazioni pedagogiche attingono sia agli studi di Vygotskij che al filone di studi che prende il nome di contestualismo. Il punto di partenza pedagogico di Bruner è lo studio dei modi con cui la mente umana codifica e decodifica le informazioni che provengono dall’ambiente socio-culturale in cui si sviluppa. Infatti, come abbiamo visto, secondo Bruner elementi fondamen-tali di sviluppo della mente umana sono sia i contesti socio-culturali (e qui egli

44

MODULO 1Psicoanalisi ed educazione

entra in netto contrasto con Piaget) sia i sistemi simbolici, cioè tutto l’insieme di significati, di segni, di immagini che una cultura produce. La crescita individuale si determina grazie alla graduale condivisione di linguaggi ed elementi propri di una determinata cultura. Gli strumenti che ci permettono di crescere vengono forniti dal sistema stesso a cui l’individuo appartiene: la cultura, in questo senso, rappresenta da un lato l’articolata rete di influenze e di «input» che consentono lo sviluppo men-tale del bambino, dall’altro gli fornisce l’insieme dei contenuti, indirizzando così i suoi apprendimenti e la costruzione della sua personale concezione del mondo. L’ap-prendimento e il pensiero sono sempre collocati in un certo contesto culturale e si sviluppano a partire dall’uso delle risorse disponibili.Nella prospettiva del culturalismo, il ruolo del singolo è certamente importante, tuttavia, ciò che deve essere maggiormente approfondito è il rapporto tra gli indi-vidui, e soprattutto tra gli studenti, proprio per arrivare a comprendere come gli esseri umani maturino i loro processi co gnitivi grazie all’interazione con le men-ti altrui. Secondo Bruner, solo all’in terno della dimensione culturale, sociale e collettiva si definiscono chiaramente i significati delle cose, degli eventi della nostra vita, della massa delle informazioni e delle conoscenze cui possiamo acce-dere oggi. I processi cognitivi si mostrano dunque, ad uno sguardo più articolato, come dei veri e propri processi narrativi: è come se la nostra mente inscrivesse dentro di sé le esperienze e le azioni seguendo delle trame, degli intrecci come in un romanzo o in un racconto. È questo elemento narrativo che ci consente di con-dividere le esperienze, anche quelle più complesse che riguardano la cultura o il pensiero astratto.Il ruolo educativo degli adulti nei confronti dei più giovani risulta decisivo e deter-mina la capacità di stimolare nuove competenze narrative. La vita mentale va dunque considerata come un processo intimamente dinamico e comunicativo: essa si svilup-pa con l’aiuto di «codici culturali», di «tradizioni», di «relazioni sociali». Le stesse strutture della conoscenza individuale si delineano, nel tempo, all’interno di partico-lari contesti: l’apprendimento si produce nell’ambito di una varietà di pratiche so-cialmente e culturalmente determinate (leggere, scrivere, eseguire operazioni aritme-tiche, insegnare, lavorare etc.) e si configura come un fenomeno sociale in cui inter-vengono molti elementi diversi, tutti egualmente attivi: il linguaggio, le strumenta-zioni, le immagini, i ruoli sociali, i sistemi di giudizio, le regole e gli stili di vita e così via. In sintesi, l’educazione non ha luogo solo nelle aule scolastiche, ma anche, e in pari grado, nelle famiglie, per la strada, nei luoghi di lavoro, cioè ovunque ci sia un incontro e un confronto tra soggetti diversi.

Possiamo così riassumere le principali linee di orientamento educativo proposte da Bruner:

• i significati culturali non sono stabili, ma mutano in relazione al contesto e alla prospettiva entro cui sono formulati;

• i processi di apprendimento e di insegnamento costituiscono delle intera­zioni tra diverse visioni del mondo che si incontrano in un preciso spazio e in quel preciso tempo;

• la mente umana ha dei limiti: compito dell’educazione è quello di oltrepassare le predisposizioni innate, mettendo a disposizione tutti gli «arnesi» che la cultura ha elaborato a questo scopo;

• la realtà si costruisce attraverso i processi cognitivi dei singoli individui ma anche dei gruppi;

45

Unità 2La psicopedagogia: sviluppo cognitivo e teorie dell’apprendimento

• l’apprendimento è sempre un processo interattivo in cui le persone apprendono le une dalle altre, attraverso la narrazione delle proprie esperienze e lo scambio reciproco di informazioni;

• l’educazione deve generare delle abilità, delle capacità nuove, dei modi di pensa-re e di sentire che possono essere rielaborati, accettati, sviluppati anche da altri membri della società;

• l’educazione è un processo fondamentale non solo per il progresso della cultura, ma anche per lo sviluppo psicologico dell’individuo: la scuola dovrebbe garan-tire un ambiente entro cui le prestazioni negative non abbiano conseguenze svan-taggiose per l’autostima;

• la narrazione è una modalità di pensiero essenziale, che consente di costruire ordini di significati condivisibili. Non si tratta di un dono «naturale»: può essere insegnata e sviluppata.

brani d’autore ❱L’apprendimento per Bruner

I contenutiChe cosa dire allora della concezione convenzionale delle materie d’insegnamento? La risposta alla domanda «che cosa dobbiamo insegnare?» non sarà diversa da quella che potrà essere data alla domanda «Che cosa non è senza valore?». Se si potrà rispondere alla domanda «Che cosa è degno di conoscenza?», non sarà difficile distinguere tra ciò che vale e ciò che non vale la pena di insegnare e di imparare. La conoscenza del mondo na-turale, della condizione umana, della natura e del dina-mismo, della società, la conoscenza del passato come fonte di esperienza per il presente e per il futuro, sono conoscenze, per certo, che sembrano essenziali per un uomo istruito. A queste conoscenze essenziali, si dovrà aggiungere la conoscenza delle opere d’arte più signifi-cative per la storia dell’estetica, motivi di meraviglia o di continuo spirituale godimento.A questo punto sorge però il problema riguardante il linguaggio simbolico nei cui termini si conosce e si esprime ciò che si sa.Esiste un linguaggio naturale ed un linguaggio matema-tico. E non è possibile ammettere che fra un centinaio d’anni una persona colta non debba riuscire ad usare correttamente l’uno e l’altro linguaggio, in quanto si tratta di strumenti essenziali per dischiudere nuove espe-rienze e acquisire nuove capacità. Si tratta quindi di in-segnamenti a cui deve essere assegnato un posto premi-nente in ogni corso di studi.Infine, è vero per noi come lo era per il Dewey, che è impossibile prefigurarci il mondo in cui vivranno i fanciulli che noi educhiamo, e che, quindi, solo una mente ben formata ed il senso di poter dominare il sapere, sono i veri strumenti che noi possiamo dare loro e che resteranno validi qualsiasi trasformazione

operino il tempo e le circostanze. Il corso di studi di una scuola ideale occorre perciò sia determinato ad un solo fine: a qualsiasi cosa lo studente sia indiriz-zato, si deve far in modo che egli la approfondisca abbastanza per ricavarne il senso che il potere menta-le si accresce con l’approfondimento della conoscen-za. È questa, più di ogni altra, la maggiore garanzia di sicurezza per il futuro.Il processo educativo ed il fine a cui mira sono la stessa cosa: il fine dell’istruzione è il sapere organizzato, e tale è anche il processo educativo.Possiamo intanto stabilire che l’opposto della capacità di comprendere non è l’ignoranza o semplicemente la «non conoscenza». Per comprendere qualcosa, anzitutto, occorre rinunciare a seguire vie disparate.Rimanendo incerti tra una concezione ed un’altra che sembra migliore, si cade sovente nella confusione. Ed è un fatto legato alla nostra costituzione biologica che dalla confusione nasce l’angoscia, e che questa angoscia ci costringe ad assumere posizioni di difesa – all’evasio-ne o alla ribellione o all’indifferenza – che sono in netta antitesi con il libero e vivo impiego della mente. L’atti-vità mentale, del fanciullo come dell’adulto, può soppor-tare solo una limitata quantità di informazioni, poiché la nostra «apertura», come si suol dire, non può abbraccia-re contemporaneamente più di sei o sette cognizioni ir-relate; diversamente, si crea sovraccarico, confusione, amnesia. […]

Il rapporto scuola e società oltre l’esperienza immediataIo credo che l’educazione sia il mezzo fondamentale della trasformazione della società. Persino le rivoluzioni non sono migliori delle idee che impersonificano e dei mezzi che sanno usare per realizzare tali idee.

46

MODULO 1Psicoanalisi ed educazione

Viviamo in un’epoca in cui i cambiamenti sono più ra-pidi che mai prima nella storia e la diffusione delle no-tizie ad essi relative pressoché istantanea. Se vogliamo quindi credere seriamente in una scuola che possa esse-re apprezzata per se stessa, e non quale mera preparazio-ne alla vita, tale scuola deve allora riflettere le trasfor-mazioni che veniamo vivendo.La prima conseguenza di questa fede è che si debbono trovare i mezzi per alimentare le nostre scuole con le conoscenze sempre più profonde che si vanno maturan-do alle frontiere della conoscenza. È verità elementare, questa, per gli studi scientifici e matematici, e di fatto si stanno attualmente intraprendendo continui tentativi per introdurre nelle scuole, elementari e medie, nuovi metodi di conoscenza più validi, e spesso meno com-plessi di quelli già in uso. Questo aggiornamento co-stante deve però estendersi anche a campi del sapere diversi dalle scienze, nei quali le frontiere della cono-scenza non sono sempre nelle università o nelle ricerche di laboratorio, ma nella vita politica e sociale, nelle arti, nella creazione letteraria e nelle rapide trasformazioni delle organizzazioni commerciali e industriali. Ovunque il mondo si trasforma e nell’apprendere noi dobbiamo tener conto di ciò.Io intravedo l’esigenza di una riforma delle strutture scolastiche e di una nuova concezione dei programmi. A tal fine, comincia anzi a rivelarsi opportuna la cre-azione non di una ma di molte nuove facoltà da deno-minare «Istituti per lo studio dei programmi scolasti-ci», dove gli uomini di cultura, gli scienziati, gli uo-mini di affari, gli artisti si incontrino regolarmente con insegnanti di valore per rivedere e aggiornare i nostri programmi. È un’attività, questa, che trascende i limiti delle singole facoltà universitarie del nostro paese, siano esse facoltà di pedagogia, di lettere, di scienze, di medicina o di ingegneria. Siamo già rima-sti troppo a lungo insensibili alla rapidità delle tra-sformazioni nella vita contemporanea e alle conse-guenze che ne derivano per la istruzione. Noi non abbiamo condiviso con gli insegnanti i benefici delle nuove scoperte, delle nuove prospettive aperte alla ricerca, delle nuove conquiste raggiunte sul piano dell’arte. Non soltanto noi abbiamo operato sinora con

la concezione della classe isolata e autosufficiente, ma altresТ con quella del singolo istituto scolastico iso-lato ed autosufficiente. Ed anzi, l’intero sistema sco-lastico è stato sino ad oggi considerato come una or-ganizzazione autonoma. […]

ConclusioneCome concluderemo dunque? Forse sarà bene richiamar-ci ancora al Credo di Dewey per stabilire un raffronto tra le sue e le nostre convinzioni: l’educazione non è semplicemente trasmissione di cultura, ma è anzitutto formazione di un potere e di una sensibilità mentale che consentano a ciascuno di procedere da solo alla ricerca e di costruirsi una personale cultura interiore. La scuola è la via che apre alla vita della ragione, con tutte le con-seguenze che ciò implica circa la fiducia nella possibili-tà di servirsi dei propri poteri mentali al massimo e di verificare ciò che è implicito in quanto si è già appreso.Fine dell’educazione è la conoscenza del mondo e delle sue leggi, conoscenza che ha una struttura ed una storia che ci consentono di ordinare e definire l’esperienza, e di godere della sorpresa.Il metodo di insegnamento è quello implicito in ogni attività conoscitiva: esso è uno sforzo ordinato e re-sponsabile verso l’autoapprendimento, uno sforzo per disporre ogni particolare conoscenza in un’ordinata rappresentazione del mondo che rispetti il particolare, ma riconosca altresТ che l’astrazione è essenziale per l’intelletto.Occorre che la scuola, per continuare ad essere alla base del progresso sociale in un’era di così rapide trasforma-zioni, trovi mezzo di ringiovanire e trasformare l’istru-zione che offre, introducendo nei suoi programmi le nuove scoperte del nostro tempo. Tutto ciò dipende, alla fin fine, dalla capacità di coltivare e dare espressione ai modelli di perfezione che emergono dalla nostra polie-drica civiltà.Fini meno ambiziosi di questi non sono all’altezza della sfida che fronteggiamo.

(Bruner, Dopo Dewey, 1961, in R. Fornaca - R.S. Di Pol, Dalla certezza alla complessità. La pedagogia

scientifica del Novecento, Principato, Milano, 1993)

❱❱ 5. Le «intelligenze» di GardnerLo sviluppo delle ultime ricerche di Bruner, soprattutto grazie all’opera La mente a più dimensioni del 1986, apre la strada, negli anni ’80, ad un nuovo filone di studi: l’analisi della pluralità delle «intelligenze», degli «stili» cognitivi, dei sistemi di apprendimento. L’autore che ha maggiormente contribuito allo sviluppo di questi temi è sicuramente Howard Gardner (1943): docente nelle università americane, attivis-

47

Unità 2La psicopedagogia: sviluppo cognitivo e teorie dell’apprendimento

simo in molti progetti di ricerca psicopedagogica, ha pubblicato numerosi testi fon-damentali, tra cui Formae mentis. Saggio sulla pluralità delle intelligenze (1985), La nuova scienza della mente (1985), Aprire le menti. La creatività e i dilemmi dell’edu-cazione (1989), Educare al comprendere (1991). Gardner intende reagire a quell’in-sieme di tendenze – fortemente incentivate nella società contemporanea ad alto svi-luppo tecnologico – tese a veicolare modelli di cultura e di insegnamento (a partire dalla scuola) a carattere sempre più marcatamente logico-matematico. Secondo Gardner invece, poiché la società contemporanea si muove verso una multiculturali-tà crescente, occorre intensificare la possibilità di sviluppare dimensioni molto più ampie di intelligenza. Differenziandosi in parte da Piaget e osservando che la maggior parte delle culture si orienta a privilegiare e a formare un determinato tipo di intelli-genza a scapito di una formazione più ampia, Gardner è pervenuto ad una definizio-ne molto aperta e critica di intelligenza, vista come «la capacità di risolvere proble-mi, o di creare prodotti, che sono apprezzati all’interno di uno o più contesti cultu-rali». Grazie poi ad una serie di ricerche empiriche e di analisi su soggetti affetti da lesioni di tipo neuropsicologico, Gardner teorizza l’esistenza di diverse forme di in-telligenza. Più nello specifico:

• intelligenza logico-matematica: si tratta di una forma di pensiero che può essere ricondotta al rapporto col mondo degli oggetti. Si esprime nel confrontare ogget-ti, nell’ordinarli e riordinarli, nello stimarne analogie, differenze e quantità;

• intelligenza linguistica: si manifesta in una particolare sensibilità all’ordine fra le parole, vale a dire nella capacità di seguire regole grammaticali e, in occasioni scelte con cura, di violarle. A livello sensoriale, si presenta come una sensibilità ai suoni, ai ritmi, alle inflessioni e ai metri delle parole. Si tratta di una sensibilità nei confronti delle diverse funzioni del linguaggio: il suo potenziale di eccitare, convincere, stimolare, trasmettere informazione o semplicemente di piacere;

• intelligenza spaziale: si tratta della capacità di percepire il mondo visivo con precisione, di eseguire trasformazioni e modifiche delle proprie percezioni inizia-li e di riuscire a ricreare aspetti della propria esperienza visiva, persino in assenza di stimoli fisici rilevanti. Essa è strettamente connessa all’osservazione del mondo, da cui si sviluppa in modo diretto;

• intelligenza musicale: ha a che fare con i principali elementi costitutivi della musica, vale a dire il tono (o melodia) e il ritmo. Prevede una raffinata competen-za nel distinguere il timbro, cioè la qualità caratteristica di un suono. Il senso dell’udito è cruciale a ogni partecipazione musicale, ma almeno un aspetto cen-trale della musica – l’organizzazione ritmica – può esistere a prescindere da ogni percezione uditiva;

• intelligenza cinestetica o procedurale: consiste nella capacità di usare il proprio corpo in modi molto differenziati e abili, per fini espressivi oltre che concreti: lavorare abilmente con oggetti, tanto quelli che implicano movimenti fini delle dita, quanto quelli che richiedono il controllo dell’intero corpo. Perciò l’intelli-genza corporeo-cinestetica si serve del corpo nella sua duplice natura di soggetto e di strumento. La sua valenza è, inoltre, allargata agli usi espressivi del corpo, come quelli adottati da un ballerino o da un attore. Ne consegue una ulteriore doppia polarità che può abbracciare sia il piano pragmatico sia quello maggior-mente legato a competenze di carattere comunicativo;

• intelligenza interpersonale: si tratta dell’abilità di interpretare le emozioni, le motivazioni e gli stati d’animo degli altri. Implica capacità di accesso sia alla

48

MODULO 1Psicoanalisi ed educazione

propria vita affettiva, dunque di un’abilità intrapsichica che consiste nel discrimi-nare istantaneamente i propri sentimenti, di classificarli, di prenderli nelle maglie di codici simbolici, di attingere a essi come mezzo per capire e guidare il proprio comportamento, sia la capacità di rilevare e fare distinzioni fra altri individui e, in particolare, fra i loro stati d’animo, temperamenti, motivazioni e intenzioni.

Il concetto di intelligenza non coincide dunque esclusivamente solo con la raziona­lità logico­matematico­formale: la crescita armonica della persona, e in primo luogo dello studente, esige una varietà di comportamenti intelligenti su cui incidono fattori molteplici (da quelli di tipo biologico a quelli sociali e culturali: motivazioni, stati emotivi, contesto culturale di provenienza). Tutto ciò impone una serie di conseguen-ze: in primis l’inserimento della psicologia cognitiva nell’orizzonte delle scienze dell’educazione. Gardner si mostra molto critico nei confronti di tutti i tentativi di razionalizzare e pianificare l’intervento educativo in termini di pura indicazione di obiettivi, metodi e contenuti.L’ideale formativo ed educativo che emerge dalle sue ipotesi sulle pluralità delle intelligenze sembra piuttosto finalizzato alla formazione di individui in grado di ri-spondere adattivamente alle situazioni più problematiche sulla base di una moltepli-cità di risorse cognitive e di competenze.

L’educazione deve, in altri termini, tenere conto sia dinamiche culturali e sociali, sia delle capacità individuali. Sintetizzando, la nuova scuola dovrebbe:

• essere laica, aperta e tollerante;• riconoscere ed educare una pluralità di intelligenze;• aprirsi alla cultura scientifica, in tutte le sue sfaccettature;• mostrarsi attenta alle personali inclinazioni degli allievi rispettando la specifici-

tà dei contesti di provenienza della loro vita.

Su queste premesse, Gardner giunge infine a teorizzare la necessità di una «scienza della cognizione», che indaghi la pluralità dei processi cognitivi e focalizzi le corrispon-denti strategie formative in vista del potenziamento dei profili cognitivi individuali.

brani d’autore ❱Gardner: pluralità delle intelligenze e dimensioni educative

[…] Dopo queste brevi osservazioni di orientamento rivolte al lettore che dovesse avere dei dubbi, passerò a considerare innanzitutto una componente di speciale importanza per questo libro: le particolari intelligenze usate in una situazione educativa. Persino questa com-ponente risulta essere plurisfaccettata. Per esempio, le abilità implicate da un’intelligenza possono essere usate come mezzo per acquisire informazione. Gli individui possono quindi imparare utilizzando codici linguistici, presentazioni cinestetiche o spaziali o legami interper-sonali. Nello stesso modo in cui varie intelligenze pos-sono essere sfruttate come mezzi di trasmissione, così il materiale da padroneggiare può ricadere in pieno nell’ambito di un’intelligenza specifica. Se si impara a suonare uno strumento, la conoscenza che si deve acqui-sire è musicale. Se si impara a calcolare, la conoscenza

che si deve conseguire è logico-matematica (anche se il mezzo per conseguirla è di natura linguistica). Risulta così che le nostre varie competenze intellettuali possono fungete tanto da mezzo quanto da messaggio, tanto da forma quanto da contenuto. Alle intelligenze in gioco sono affini, rimanendone però al contempo separati, anche i modi reali di apprendimen-to utilizzati nell’uno o nell’altro contesto. Quello forse più basilare di tutti è l’apprendimento diretto o «non mediato»: quello in cui l’allievo osserva l’attività di un adulto in vivo, come quando un bambino di Puluwat osserva un anziano mentre costruisce una canoa o si prepara a prendere il mare. Strettamente affini all’osser-vazione diretta, ma implicanti una partecipazione più aperta da parte dell’allievo, sono varie forme di imita-zione, nelle quali il bambino prima osserva e poi (subito

49

Unità 2La psicopedagogia: sviluppo cognitivo e teorie dell’apprendimento

dopo o in un tempo successivo) imita le azioni eseguite dal modello […].L’istruzione in un’abilità specifica può verificarsi anche al di fuori del contesto in cui tale abilità è praticata abi-tualmente […] E man mano che le società diventano più complesse, e i compiti più intricati e plurisfaccettati, l’apprendimento ha luogo sempre più in situazioni lon-tane dal sito in cui esso sarà poi applicato nella pratica: per esempio in speciali edifici chiamati «scuole».Quando passiamo in rassegna questi modi o contesti di-versi di apprendimento, ci imbattiamo in tre variabili aggiuntive che devono trovar posto all’interno di ogni equazione del sapere. Innanzitutto, per trasmettere la co-noscenza si usano vari mezzi o media. Mentre le forme dirette di apprendimento sono in gran parte immediate, implicando al massimo una semplice descrizione verbale o un diagramma lineare disegnato «sulla sabbia», forme di apprendimento più formali si fondano massicciamente su mezzi distinti di trasmissione. Questi mezzi possono comprendere sistemi di simboli ben articolati, come il linguaggio o la matematica, oltre a famiglie di mezzi in continua espansione, compresi libri, opuscoli, diagrammi, carte geografiche e topografiche, televisione, computer e varie combinazioni di questi e altri modi di trasmissione. Naturalmente questi mezzi differiscono nei tipi di intelli-genza che si richiedono per un loro uso appropriato oltre che per i tipi di informazione che offrono più facilmente.Vengono poi i particolari siti o luoghi in cui avviene l’apprendimento. Gran parte dell’istruzione, in partico-lare in società tradizionali, viene impartita sul posto: l’allievo si pone semplicemente accanto al modello, che sta facendo «il suo lavoro». L’apprendimento sul posto può avvenire a casa, quando questa è il luogo abituale in cui si svolge l’attività, si tratti di imparare a preparare un pasto o di «identificarsi» con un genitore che ha sempre da studiare. Come ho già notato, quando le so-cietà diventano più complesse è probabile che fondino istituzioni specializzate per l’insegnamento. Le scuole sono gli esempi più cospicui in proposito; ma sono esempi pertinenti anche ateliers, officine o laboratori, dove si può imparare un’attività attraverso un periodo di apprendistato. E a volte ambienti specializzati, come quelli usati per riti o cerimonie di iniziazione, facilitano una rapida ed efficace trasmissione di una conoscenza importante (influenzando spesso, efficacemente su di essa). È presumibile che non ci siano limiti assoluti ai tipi di informazione che potrebbero essere trasmessi in qualsiasi sito; ma, come ho suggerito, le forme di cono-scenza linguistiche e logico-matematiche saranno tra-smesse con la massima probabilità in ambienti escogi-tati espressamente (e usati primariamente) per la trasmis-sione di conoscenza.

Una terza variabile nell’equazione del sapere concerne gli agenti particolari a cui questo compito è affidato. Nella situazione classica gli insegnanti sono genitori o nonni, in generale dello stesso sesso del discepolo; anche gli altri parenti o membri della propria casta o del proprio clan possono fungere come depositari di uno speciale sapere. Anche fratelli e sorelle e coetanei partecipano talvolta alla trasmissione di conoscenza: per alcuni com-piti, in effetti, i bambini imparano più facilmente dai fratelli più grandi che non da insegnanti che non hanno alcun rapporto di parentela con loro. Non di rado accade che il rapporto di insegnamento determini uno stretto legame fra un maestro e un discepolo all’interno di una cultura. I giovani finiscono con l’essere addestrati da quegli adulti che posseggono le abilità che per i giovani è più importante conseguire: questo tipo di legame a due maestro-discepolo può avvenire in conseguenza di rap-porti di parentela o di conoscenza o, meno comunemen-te, di un’affinità, percepita dai membri della comunità, fra le abilità del modello e le attitudini del giovane. (Questo tipo di legame a due è più probabile in società che hanno un tipo di apprendimento informale). Infine, in certe società, emerge una classe del tutto distinta di insegnanti e capi – in principio di orientamento religio-so e poi laico –, il cui compito è quello di insegnare un dato corpus di conoscenze ad alcuni fra i giovani della comunità, o a volte anche a tutti. A volte ci si attende che il docente abbia una specchiata figura morale, anche se, in contesti laici, la competenza tecnica è diventata la qualità essenziale richiesta. Forse per la prima volta, un rapporto anteriore fra il bambino e l’adulto non è più una premessa necessaria per entrare in un rapporto educativo: ci si imbatte invece in una situazione contrattuale in cui la residenza in un’area geografica o l’appartenenza a un ente religioso è titolo sufficiente per entrare in un rap-porto di istruzione.Una parola, infine, sul contesto generale in cui ha luogo l’apprendimento. Ognuno dei nostri prototipi di appren-dimento tende a verificarsi in un particolare contesto culturale. In una società tradizionale che non conosce la scrittura, la maggior parte delle cose che si devono ap-prendere è indispensabile per la sopravvivenza. Le stesse forme di conoscenza si trovano quindi in tutti, o quasi tutti, i membri di tale società. Una parte relativa-mente modesta della conoscenza è stata ordinata in co-dici espliciti, e le forme di conoscenza più richieste possono essere accumulate semplicemente osservando gli individui al lavoro nei loro ambienti abituali […].All’estremo opposto si trovano le società tecnologiche moderne, che presentano una vasta gamma di ruoli e di abilità. Poiché nessun individuo può concepibilmente padroneggiarli tutti, c’è una divisione del lavoro consi-

50

MODULO 1Psicoanalisi ed educazione

derevole, con forme istituzionalizzate per la trasmissio-ne di conoscenza e con criteri espliciti per valutare il successo. L’acquisizione di abilità ha luogo quasi inva-riabilmente in contesti specializzati, che vanno da scuo-le tecniche a officine, da fabbriche a società commercia-li. Mentre, nella società tradizionale, quasi tutti hanno una certa comprensione della conoscenza posseduta da altri, la società tecnologica presenta esperti il cui parti-colare corredo di conoscenza è altrettanto misterioso per il cittadino medio quanto lo è la capacità di leggere e scrivere per l’individuo analfabeta.I tipi di intelligenza più apprezzati differiscono marca-tamente in questi diversi contesti di apprendimento. Nelle società tradizionali prive di scrittura c’è un’alta valutazione della conoscenza interpersonale. Si tende a sfruttare molto le forme di conoscenza spaziale e corpo-rea, mentre anche le forme di conoscenza linguistica e musicale possono essere molto apprezzate in certe par-ticolari circostanze. In società con scuole religiose tra-dizionali, la conoscenza linguistica è oggetto di grande considerazione. In esse si continua a coltivare la cono-

scenza interpersona le, accompagnata, ai massimi livelli, dalla promozione di certe forme di conoscen za logico-matematica. Infine, nella moderna scuola laica sono molto apprezzate la conoscenza logico-matematica e anche certe forme di competenza linguistica, di contro è in generale ridotto il ruolo della conoscenza interperso-nale, mentre possono acquistare importanza le forme di comprensione intrapersonale.Ho passato brevemente in rassegna un sistema di riferi-mento analitico e un insieme di categorie che possono essere applicati a una varietà di contesti ed esperienze pedagogici. Naturalmente, ogni applicazione di questo sistema di riferimento deve essere preliminare e provvi-soria, dipendendo tanto dall’attenta osservazione della particolare società in oggetto quanto dallo sviluppo di mezzi per applicare le categorie in un modo attendibile e privo di ambiguità.

(H. Gardner, Formae mentis, in R. Fornaca-R. S. Di Pol, Dalla certezza alla complessità. La pedagogia

scientifica del Novecento, Principato, Milano, 1993)

❱❱ 6. nuovi modelli di apprendimento: il «cooperative learning»Orientamenti come quelli di Bruner e Gardner aiutano anche a capire meglio in che modo si sviluppa l’apprendimento in comune. Oggi abbiamo a disposizione numero-si strumenti per comprendere, valutare, organizzare il lavoro nel piccolo gruppo. Il dato principale che emerge, è che la riuscita del lavoro in gruppo esige che ciascuno possa incrementare la sua «zona prossimale di sviluppo», giovandosi della guida costante e consapevole dell’insegnante. Le principali caratteristiche positive del la-voro cooperativo (o «di gruppo») sono così riassumibili:

• sviluppo di un legame positivo tra studenti: la percezione di lavorare insieme per un progetto comune agevola il successo dell’impresa;

• interazione faccia a faccia: si tratta di una modalità che garantisce processi di reciproco apprendimento e di incoraggiamento;

• stimolo alla responsabilizzazione sia verso se stessi che verso gli altri. L’inse-gnante in questo caso deve valutare e comunicare il suo giudizio sulla qualità e la quantità dei contributi di ciascuno, per facilitare la creazione del senso di respon-sabilità e di autostima;

• importanza dello sviluppo delle cosiddette «abilità sociali»: il gruppo non lavora efficacemente se i suoi membri non possiedono certe capacità come saper ascol-tare, sapere esercitare la leadership (il comando), essere disponibili a condividere le decisioni, riuscire a creare fiducia tra i membri, comunicare le proprie opinioni, gestire adeguatamente i conflitti.

51

Unità 2La psicopedagogia: sviluppo cognitivo e teorie dell’apprendimento

❱❱ 7. La programmazione didattica oggi: una sintesiNella società attuale, come abbiamo visto sin qui, non esiste alcun modello formati-vo precostituito, gli obiettivi di insegnamento-apprendimento non possono, pertanto, essere prescrittivi. Si potrebbe, tuttavia, sicuramente individuare qualche linea di tendenza per quanto concerne le finalità educative. I risultati, ad esempio, potrebbero essere abbastanza attendibili se il rapporto tra insegnanti e alunni s’instaurasse sul piano del dialogo educativo. Due fatti sono di fondamentale importanza, nella vita della scuola: da un lato, è indispensabile che l’insegnante possieda sia competenze disciplinari sia abilità didattiche e metodologiche adeguate e, dall’altro, che l’alunno sia fortemente motivato ad apprendere. In tal caso, quest’ultimo potrà acquisire gli strumenti necessari affinché diventi criticamente attore e protagonista della propria storia e, attraverso la ricerca, scopritore e costruttore di nuovi saperi. L’insegnante deve, dunque, essere in grado di:

• organizzare e programmare, coinvolgendo gli alunni, le attività educati ve e didattiche;

• gestire e coordinare i progetti educativi e le attività di programmazione; • progettare, attraverso il coinvolgimento degli alunni, le attività di ricerca;• coordinare le attività di gruppo;• creare le condizioni per facilitare la socializzazione;• intervenire con metodi e tecniche adeguate, sia per realizzare l’attività educativa

come ricerca sia per agevolare l’apprendimento;• affrontare e proporre in modo creativo l’attività didattica;• affrontare i problemi educativi in modo interdisciplinare, per l’intercon nessione

tra le varie discipline;• possedere, infine, l’attitudine a far sviluppare negli alunni le capacità e le tecniche

sia di valutazione sia di autovalutazione.

La scuola, oltre che ambiente di attività educativa e di convivenza democratica, deve proporsi anche come luogo di acquisizione consapevole delle competenze e delle abilità professionali. Compito dell’educazione deve, dunque, essere quello di forma-re giovani non solo responsabili e maturi, ma anche capaci di costruirsi una gamma di valori ai quali ispirarsi, e di acquisire un bagaglio di conoscenze che permetta loro di orientarsi nelle scelte e di affermarsi nei ruoli sociali e professionali. La scuola pertanto, per raggiungere pienamente tali obiettivi, non può prescindere né dalle metodologie di programmazione e di valutazione né dalle strategie comunicative.

❱ 7/1 Strategie comunicative e competenze nel processo educativoInstaurare un rapporto di comunicazione efficace tra gli insegnanti e gli alunni è, oggi, un’impresa alquanto difficile. La prima difficoltà è rappresentata dalla complessità della società attuale, soggetta a continue e veloci trasformazioni. Tale condizione comporta che ogni individuo debba mettere continuamente in discussione le proprie conoscenze e aggiornarsi adeguatamente, per potersi orientare nella società in cui vive e poterne, così, governare gli sviluppi. In Italia le istituzioni scolastiche e le Università non preparano lo studente a realizzare i risultati che la società si attende. Gli insegnanti, poi, non ricevono, per svolgere un’efficace funzione educativa, un’ade-guata preparazione dalle istituzioni preposte. Lo scarto generazionale tra gli inse-gnanti, che invecchiano, e gli alunni, che attraversano un periodo particolare della

52

MODULO 1Psicoanalisi ed educazione

vita, ricco di contraddizioni e di stati di conflitto, inoltre, rende difficile la comunica-zione nel rapporto educativo. È fondamentale, quindi, che gli insegnanti acquisisca-no, come valori fondanti, da un lato, la cultura del continuo cambiamento e, dall’altro, non solo le competenze disciplinari e le abilità didattiche e metodologiche, ma anche la capacità di relazionarsi, attraverso una comunicazione efficace, con gli alunni. Educare è, dunque, mettersi sempre in discussione. Se questo principio venisse consapevolmente interiorizzato e accettato dagli insegnanti, allora la comunicazione si affermerebbe pienamente nel processo educativo. Le competenze disciplinari, es-sendo il risultato delle conoscenze e delle abilità relative a una disciplina, devono far acquisire all’insegnante la capacità di padroneggiare concretamente i contenuti che insegna per poterli, in modo dinamico, adeguare alle esigenze della realtà in cui ope-ra. Le abilità didattiche e metodologiche devono, poi, aiutare i docenti non solo ad assumere un atteggiamento aperto verso la sperimentazione, ma anche a far svilup-pare in loro la sensibilità per i metodi della ricerca e la capacità di operare osserva-zioni in modo corretto e sistematico. Si potrebbe arrivare, in tal modo, ad analizzare rigorosamente la realtà e a progettarne i necessari cambiamenti. Le conoscenze delle tematiche psicologiche e sociali, infine, dovrebbero favorire l’acquisizione della capacità da parte dell’insegnante a relazionarsi efficacemente con gli alunni; queste conoscenze dovrebbero consistere in competenze psico-sociali riguardo tutti gli aspetti (fisici, cognitivi, emotivi, affettivi e sociali) che contribuiscono alla formazio-ne dinamica della personalità.

❱ 7/2 Strategie di comunicazione interpersonaleGli insegnanti, per instaurare con gli alunni un rapporto empatico e dialogico, do-vrebbero possedere anche efficaci strategie di comunicazione interperso nale. Nel corso della comunicazione, colui che emette un messaggio deve saperne codificare correttamente il contenuto; chi lo riceve deve riuscire a decodificarlo con immedia-tezza e con facilità. L’emittente e il ricevente, perciò, dovrebbero essere in possesso dello stesso codice linguistico. Solo in questo modo, sviluppandosi sia l’interazione sia la relazione, ci sarà comunicazione corretta ed efficace.

La regola fondamentale per comunicare correttamente è quella di esprimersi in modo chiaro, ossia utilizzando frasi brevi e significative. Ogni azione comunicativa si con-cretizza pienamente in un processo dinamico di feedback, che, nel rapporto educati-vo, dovrebbe essere facilitata attraverso alcuni comportamenti corretti, vale a dire:

• far corrispondere ad un contenuto razionale del linguaggio un adeguato compor-tamento emotivo (ad esempio, lodare con indifferenza e freddezza un alunno rappresenta la non corrispondenza tra contenuto razionale e comportamento emo-tivo);

• favorire contemporaneamente la ricerca sia dell’identità individuale o personale sia della conquista della socialità;

• fare in modo che possa sempre realizzarsi il feedback, cioè l’informazione di ri-torno;

• individuare i disturbi della comunicazione e analizzarli con rigore scientifico, per eliminarli;

• evitare di valutare gli alunni con atteggiamenti moralistici e oppositivi;• tentare d’instaurare un rapporto empatico, cioè immergersi nel mondo soggetti-

vo degli alunni, partecipando alle loro esperienze.

53

Unità 2La psicopedagogia: sviluppo cognitivo e teorie dell’apprendimento

L’empatia è, infatti, un processo importante, attraverso cui ci si mette nei panni dell’al­tro, pur mantenendo, in modo consapevole, i confini tra l’identità personale e quella dell’interlocutore. Il rapporto empatico è, perciò, necessario non solo per comprende-re l’esperienza altrui, ma anche e soprattutto per liberarsi del proprio punto di vista e per sviluppare pienamente le strategie di comunicazione interpersonale.Le competenze disciplinari, le abilità didattiche e metodologiche, la conoscenza sia della psicologia sia delle scienze sociali e la capacità di utilizzare le strategie di una comunicazione efficace nel processo educativo, sono, dunque, gli elementi indispen-sabili per instaurare un rapporto non solo dialogico, ma anche empatico. È necessario, dunque, che l’insegnante comunichi agli alunni, in ogni momento del rapporto edu-cativo, un messaggio di chiarezza espositiva e di disponibilità relazionale. L’efficacia dei progetti formativi ed educativi si fonda anche su due requisiti importanti: l’ac-quisizione di un ruolo da parte dell’insegnante, che corrisponda a un adeguato status economico e sociale, e l’aggiornamento continuo della figura del docente, stimolo per la maturazione e la riflessione critica sull’insegnamento stesso.

❱ 7/3 Programmazione educativa e didatticaLa programmazione è uno strumento indispensabile nelle istituzioni scolastiche. Fino a poco tempo fa nella scuola superiore è mancata totalmente una cultura della pro-gettazione e della programmazione. Alla fine degli anni Ottanta del Novecento l’in-segnamento, in Italia, ha cominciato a subire un forte cambiamento, passando dalla logica dei programmi ministeriali a quella della programmazione organizzativa, edu-cativa e didattica. La programmazione rende protagonisti del processo educativo e formativo non solo gli insegnanti, ma anche gli alunni e le agenzie educative presen-ti sul territorio. Affinché possa fungere da filtro di condizionamenti negativi, preve-nire l’insorgere di patologie sociali, compensare situazioni di svantaggio, la scuola deve contestualizzare e adeguare la sua azione educativa (tirar fuori dal bambino i «potenziali educativi» posseduti) e formativa (dar forma e orientare tali potenziali) alle situazioni reali di vita del bambino. Pertanto, alla base dell’azione educativa e didattica si pone la conoscenza del territorio, in cui è inserito e opera l’alunno, per comprenderne la situazione socio-culturale ed economica e stabilire, così, le finalità e gli obiettivi educativi e formativi, le necessarie metodologie e strategie didattiche da attuare, i sussidi, le risorse e le disponibilità umane (psicologiche ed intellettive) da utilizzare. Di qui la necessità di adottare un modello di curricolo articolato, fles-sibile, con momenti di verifica, valutazione e retro-azione (feedback). La program­mazione educativa, redatta dal Collegio dei docenti, traduce, dunque, gli obiettivi e le finalità generali dei Programmi in finalità e obiettivi contestualizzati nell’ambien-te di vita del bambino. La programmazione è lo strumento attraverso cui si stabilisce ciò che dev’essere realizzato con gli allievi, si decidono modalità e tempi di lavoro e si verifica in quale misura gli obiettivi previsti sono stati raggiunti. Una caratteristica fondamentale di ogni programmazione è la flessibilità, che permette la ridefinizione costante in corso d’opera, a seconda delle problematiche emergenti dalla situazione didattica. Ciascuna programmazione educativa deve, poi, declinarsi in programma­zioni didattiche; attraverso curricoli disciplinari e non, i bambini realizzano obiettivi didattici (nei termini del «saper fare»). Il raggiungimento degli obiettivi didattici può essere verificato in itinere, traducendosi in «curve di andamento», che registrano i processi di crescita cognitiva dei bambini; esso deve essere accertato, misurato e quantificato anche nel grado di avvicinamento alla meta per consentire processi di

54

MODULO 1Psicoanalisi ed educazione

feedback (retroazione o revisione), affinché la programmazione didattica program-mata sia sempre più flessibile e adeguata ai bisogni di volta in volta manifestati dai bambini.

I momenti essenziali della programmazione sono:

• analisi della situazione di partenza;• definizione degli obiettivi;• scelta e organizzazione di contenuti e metodi;• verifica dell’efficacia del curricolo.

L’analisi della situazione di partenza consiste in un rigoroso accertamento dei prere­quisiti (già in possesso e potenziali) degli alunni. Tale valutazione, perciò, è la fase che esige un sistematico impegno di organizzazione, di ricerca e di analisi dei dati riguardanti sia le condizioni sia le variabili che concorrono, nella scuola, a individua-re e a definire, in modo globale, la situazione educativa. Le condizioni e le variabili che intervengono nella situazione di partenza devono essere analizzate e classificate preliminarmente. Il Consiglio di classe e i singoli insegnanti devono valutare, per realizzare una programmazione adeguata, i seguenti elementi:

• il territorio e l’ambiente extrascolastico in cui vive l’alunno;• l’ambiente familiare dell’alunno: livelli di scolarità, caratterizzazione sociale e

culturale, stili educativi dominanti (autoritarismo, permissivi smo, rapporto dialo-gico), atteggiamento d’interazione scuola-famiglia oppure di non partecipazione e di disinteresse;

• l’ambiente educativo e l’organizzazione scolastica: la scuola dovrebbe diventare un ambiente educativo accogliente e rispondente alle esigenze formative della società attuale (aule adeguate, laboratori, biblioteche, cineteche, videoteche, lu-doteche e così via).

È necessario conoscere anche i prerequisiti cognitivi e socio-affettivi di ogni singolo alunno, affinché si possa impostare una programmazione che rispecchi pienamente le esigenze di tutti. I prerequisiti cognitivi sono rappresentati non solo dalle cono-scenze già in possesso degli alunni (prerequisiti di apprendimento), e dalle abilità comunicative (codici linguistici), ma anche dalle modalità personali di acquisire conoscenze (stili cognitivi).I prerequisiti socio-affettivi sono, invece, rappresentati sia dai livelli di aspirazione e d’interesse degli alunni nell’apprendimento, sia dalla loro capacità di instaurare rap-porti di relazione empatica con gli insegnanti e con i compagni di classe. Solo dopo aver analizzato, con test di ingresso, la situazione di partenza dei singoli alunni e dell’intera classe attraverso la valutazione diagnostica, si può passare alla seconda fase: la scelta degli obiettivi. Si tratta di un passaggio di fondamentale importanza per la programmazione. Il Consiglio deve individuare obiettivi concreti e per gli alunni, tali che questi siano in grado di perseguirli. L’obiettivo è una performance, che permetta all’alunno di mostrarsi competente. Gli obiettivi non devono essere generali, ma concreti e misurabili.Gli obiettivi educativi s’intersecano anche con le finalità formative di un’intera comunità scolastica: rappresentano l’orizzonte e la prospettiva entro cui l’istituzione scolastica intende muoversi e compiere le sue scelte.Gli obiettivi didattici rappresentano, invece, la concreta acquisizione di conoscenze, di abilità e di comportamenti che l’alunno, durante il percorso educativo, deve rea-

55

Unità 2La psicopedagogia: sviluppo cognitivo e teorie dell’apprendimento

lizzare e raggiungere nell’ambito dell’area disciplinare. Essi devono essere perma-nentemente osservabili e misurabili e, in base alla sequenza di apprendimenti, si di-stinguono in: immediati, intermedi e terminali. Attraverso questa gradualità, gli obiettivi didattici possono assolvere la funzione sia di orientamento delle scelte programmatiche, sia di predisposizione di eventuali piani di intervento integrativi e di recupero. Essi permettono, inoltre, di programma-re i percorsi didattici in modo tale da adeguarvi non solo contenuti e metodi, ma anche tecniche di verifica e di valutazione. I contenuti, per realizzare gli obiettivi, devono essere scelti e organizzati tenendo conto dell’analisi della situazione di par-tenza della scolaresca. Cercare di far acquisire i contenuti di una disciplina comples-sivamente più elevati rispetto al livello delle capacità di apprendimento della classe, è antieconomico: i risultati, alla fine dell’anno scolastico, non verrebbero raggiunti e il tempo sarebbe stato vanamente impiegato. Cercare di far apprendere, poi, i con-tenuti del curriculum, programmandoli al di sotto del livello delle capacità e delle potenzialità della classe, è antieducativo: negli alunni si abbasserebbe il livello di motivazione allo studio.Il miglior modo per ottenere risultati positivi e raggiungere gli obiettivi didattici ed educativi programmati è una scelta oculata e intelligente dei contenuti previsti dal curriculum della disciplina. Per renderne più efficace la memorizzazione, i contenu-ti devono essere organizzati in una struttura connettiva (una serie sconnessa di fatti e di informazioni ha una breve durata), in principi e idee, da cui, in un secondo mo-mento, possono essere ripresi attraverso il processo di deduzione. Tutti gli argomen-ti del curriculum devono avere, dunque, una loro coerenza e struttura. È in tal modo che si avrebbe un feedback capace di conferire a tutti i contenuti trasparenza e sem-plicità. I metodi devono risultare adeguati alle capacità degli alunni e significativi, nel senso che devono rendere possibile l’apprendimento attraverso una metodologia individuale e di gruppo, che metta l’alunno nella situazione di agio, cioè di gusto nell’apprendere.

Affinché il procedimento sia fruttuoso, dunque, i contenuti devono essere attuati in tre fasi:

• espositiva, che prevede di inquadrare anche storicamente i contenuti programmati;• esemplificativa, durante la quale si agevola l’apprendimento, stimolando gli

alunni con i vari sussidi didattici;• coinvolgimento attivo, in base al quale gli alunni vengono coinvolti in esperien-

ze e ricerche per renderli abili, anche minimamente, nell’utilizzazione dei primi rudimenti metodologici.

Con un metodo adeguato, un insegnante può interpretare correttamente i bisogni di un alunno o di una classe e commisurare all’uno o all’altra i contenuti della discipli-na che insegna.La verifica è necessaria a diagnosticare in itinere le difficoltà soggettive e oggettive dell’alunno per colmare eventuali lacune, ma anche per modificare, correggere e integrare (quando i risultati non sono adeguati alla programmazione) alcuni interven-ti didattici. La verifica deve permettere di controllare in quale misura l’insegnamen-to è stato capace di produrre modifiche nell’apprendimento; deve fornire, inoltre, indicazioni attendibili al fine di programmare con buone probabilità di successo le tappe seguenti della programmazione. Le verifiche possono essere effettuate sia at-traverso le tradizionali interrogazioni, sia mediante prove oggettive.

56

MODULO 1Psicoanalisi ed educazione

La valutazione, quindi, è una prova pedagogica non solo per orientare, ma anche per costruire in itinere la programmazione. Essa, poiché ha tanto una valenza diagnostica quanto una funzione formativa, è uno degli strumenti fondamentali, che consente di mettere a disposizione dell’alunno le risorse necessarie per il pieno raggiungimento degli obiettivi programmati. La valutazione, perciò, non deve essere considerata sol-tanto come un momento della programmazione, ma piuttosto come un processo, scandito in tappe, che si concluderà, senza alcuna sorpresa per l’alunno, alla fine dell’anno scolastico, con un atto valutativo finale. L’insegnante, attraverso le quotidia-ne verifiche, può controllare il conseguimento degli obiettivi didattici e intervenire, se necessario, in ogni momento, per recuperare eventuali carenze; anche l’alunno poi, attraverso l’autovalutazione, può verificare continuamente il proprio andamento didat-tico. Gli alunni non sono, quindi, costretti a vivere la valutazione come un’operazione puramente fiscale, ma come un loro processo formativo. L’instaurarsi di un clima di fiducia nel rapporto interpersonale tra gli insegnanti e gli alunni, nel processo valuta-tivo, è indispensabile per rendere l’attività educativa qualitativamente migliore.

❱ 7/4 Modelli di programmazioneDalla società attuale, «ipercomplessa», emergono linguaggi tecnologici e informati-ci e la vita del bambino è caratterizzata da nuovi processi di globalizzazione, per cui egli percepisce il mondo come un «villaggio globale». Il bambino è, oggi, cittadino del mondo, consapevole delle diverse realtà culturali che lo circondano; è fruitore della televisione e del computer e, poiché vive in un contesto ricco di linguaggi e di messaggi da decodificare, sviluppa uno stile di apprendimento che gli consente di effettuare comparazioni, di comprendere la complessità e la simultaneità degli stimo-li che riceve, di cogliere le relazioni tra i fenomeni (apprendimento reticolare). A questo nuovo stile di apprendimento sviluppato dai bambini, la scuola deve adeguar-si assumendo nuovi modelli di programmazione. Vediamo i principali:

• programmazione per mappe concettuali: i bambini partecipano attivamente alla costruzione di una rete concettuale, che va a costituire l’unità didattica, confron-tando idee ed esperienze (mediante il metodo del brain storming o tempesta di cervelli) intorno a una mappa concettuale, precedentemente individuata su un dato argomento, avvalendosi della guida dell’insegnante;

• programmazione per sfondo integratore: contestualizzata nell’ambiente di vita del bambino (ad esempio, nelle attività di compravendita, si utilizza come sfondo integratore il mercato);

• post-programmazione: modello di didattica privo di aspetti predeter minati e di previsioni interpretative da parte del docente, che valorizza la dimensione comunicativa tra docenti e allievi e la relazione tra i soggetti del rapporto edu-cativo.

❱❱ 8. neuroscienze e apprendimentoCon il termine neuroscienze si intende un insieme di ambiti di ricerca concernenti lo studio del cervello in prospettive diverse ed articolate: in connessione al comporta-mento, al problema, squisitamente filosofico, del rapporto mente-corpo, alle pato-logie neuropsicologiche, alla neurobiologia, agli ambiti genetici ed embriologici e via dicendo.

57

Unità 2La psicopedagogia: sviluppo cognitivo e teorie dell’apprendimento

Le neuroscienze costituiscono, dunque, uno spazio interdisciplinare di studio ine-rente anche i processi cognitivi nella loro localizzazione e nel compimento delle loro funzioni.

Per quanto riguarda gli effetti pedagogici e di teoria dell’educazione e dell’apprendi-mento, le neuroscienze – proprio in virtù dell’ampia convergenza tra filoni di pensie-ro e di studi che esse sono riuscite a realizzare – hanno finalmente confermato una serie di ipotesi precedentemente enunciate soltanto a livello teorico. Più precisamente:

• lo sviluppo mentale e l’apprendimento di ciascun individuo sono influen zati in misura pari da elementi biologici, sociali, culturali e ambientali;

• lo sviluppo cognitivo individuale, in particolare, è fortemente influenzato dal contesto culturale e dalle interazioni sociali (ripresa e convalida della teoria di Vygotskij);

• i processi di apprendimento e di costruzione della conoscenza sono sempre situa-ti in luoghi e contesti specifici di apprendimento (famiglia, scuola, luoghi di la-voro).

Le acquisizioni degli studi cognitivisti sono state dunque rivisitate e arricchite, fa-cendo tesoro, da un lato, delle conclusioni e delle metodologie di indagine di Piaget per quanto riguarda gli aspetti relativi alla «costruzione» della conoscenza; dall’altro, recuperando le posizioni di Vygotskij sull’area di sviluppo prossimale per quanto attiene all’importanza del contesto sociale nei meccanismi di apprendimento. Inoltre, è divenuto sempre più in chiaro come i fenomeni educativi e formativi risultino par-ticolarmente legati ai processi di motivazione e attenzione. Le motivazioni, gli incen-tivi, il senso di autoeffica cia (cioè la percezione di «farcela da soli» nell’eseguire un compito), le proiezioni del proprio successo o del proprio fallimento sono ormai considerati tutti concetti-chiave nell’elaborazione cognitiva, non scindibili dal con-testo socio-culturale entro cui si sviluppa l’azione formativa stessa.

58

Unità 2La psicopedagogia: sviluppo cognitivo e teorie dell’apprendimento

Fissiamo i concetti• JeanPiaget L’operadi JeanPiaget haprofondamentemodificato l’immaginedelbambino nel ’900.Nella sua

complessateoria,ogniattivitàmentalepresupponeunamaturazioneneuro-biologicacheneorientalosviluppo.L’ipotesifondamentalediPiagetè,infatti,checisiaun«parallelismotraiprogressicompiuti,l’organizzazione razionalee logicadellaconoscenza,e icorrispettiviprocessipsicologici formativi». Ilbambino,adesempio,cresceepotenzialepropriecapacitàmentalirispettandounasequenzadetermi-natadivariazioniedimutamenticonnessiacertistadidellasuavita.Ognistadio,chenellosviluppocognitivosidifferenziadaunaltro,presupponenecessariamente lostadioprecedente. Ilpensierodelbambinosiaccrescedaségrazieadalcunimeccanismifondamentali,chePiagetdefinisce«invariantifunzionali»:l’organizzazione,l’adattamento,l’equilibrazione.L’assimilazioneconsistenell’integrareidatinuovialleconoscenzegiàpossedute;l’accomodamentonelmodificareglischemipreesistentiinfunzio-nedellenuoveesperienze.

• Lateoriadeiquattrostadi Lateoriapiagetianadistinguequattrostadiprincipalidellosviluppo:1)Stadiosensomotorio(da0a2

anni).Inquestafase,ilbambinonondistinguetrasestessoel’ambiente,nétraglioggettieleazionicheesercitasudiessi.Conosceilmondoattraversol’intelligenzasenso-motoria,cheglipermettediinterve-niresullecose,percepireglieffettidell’azioneetornareadagire.2)Stadiopreoperatorio(da2a7anni).Inquestoperiodo,losviluppointellettivotraeimpulsodallaca­pacitàdelsoggettodisvincolarsidall’ap-parenzadeifenomeni.Finoadoral’azioneerapuramenteconcretaemomentanea;inquestafase,essavieneinteriorizzata:ilbambinoneconservaunatraccianellamente.Ilpiccoloacquisiscelacapacitàdirappresentazione,cioèdiriprodurrementalmenteunoggettoounavvenimentoconlemedesimecarat-teristichespazio-temporaliconcuièstatopercepitolaprimavolta.Ilpensieropreoperatorioè:uniforme,riesceaelaboraresolounarappresentazionementalepervolta;rigido,nonpermettediimmaginaretra-sformazionievederelecosedapuntidivistadiversi;pre-logico,èunpensieroingenuoepocoastrattoneiragionamenti.3)Stadiodelleoperazioniconcrete(da7a12anni).Questoperiodoèsegnatodal-lacomparsadelleoperazioni,cioèdallacapacitàdiimmaginaretrasformazionidellarealtàe,perciò,dicompiere manipolazioni mentali delle cose in base a determinate regole. Comprende i meccanismidell’addizione,dellasottrazione,dellamoltiplicazione,delladivisione,dell’ordinamentoinserie,dellare-versibilità.Inquestostadio,ilbambinoacquisisceilconcettodiconservazionedelnumero,dellaquanti-tà,dellamassaedelvolume.4)Stadiodelleoperazioniformali(da12a15anni).Inquestafase,ilpensierodelpreadolescenteèingradofinalmentedistaccarsidaldatoconcretoperoperaresuricordi,immaginimentali,ideeeconcettiastratti.Ilragionamentosifaprogressivamentecomplessoeilpensierodiventaformale.

• Losviluppoperfasi LaricostruzionedellosviluppocognitivodelbambinooperatadaPiagetdeterminaunprogressivopas-

saggiodellapedagogiaadunafasescientificaconprecisipuntidiriferimentonellapsicologiasperimen-tale.Inquestaprospettiva,l’educatoredovrebbeutilizzareilbagaglioconoscitivooffertodallericerchesperimentaliideandoletecnichedasperimentareeadattarepersonalmente.IlpuntopiùproblematicodellaconcezionediPiagetrispettoalleapplicazionieducativeèlatesisecondocuiitempielasucces-sionedellefasidisviluppopsicologicosonosostanzialmenteimmodificabili.Ciòtoglierilevanzaall’interventodell’adulto,chenonpuònécambiarenéaccelerarequestiaspetti.Ladimensioneeducati-

59

Unità 2Fissiamo i concetti La psicopedagogia: sviluppo cognitivo e teorie dell’apprendimento

vapotrebbedunque,daquestopuntodivista,soltantocrearelecondizionipiùadatteperlosviluppocognitivomamaiorientarloinmanieradeterminante.

• LevVygotskij LevVygotskijèunodeipiùimportantipsicologisovieticidellaprimametàdelNovecento.Isuoicontri-

butiprincipaliriguardanolostudiodeiprocessicognitiviel’originedellinguaggio.Ilrapportotrapen-sieroelinguaggioèdescrittoinmanieradiversarispettoaPiaget.Secondoquest’ultimo,nelleprimefasidellosviluppo infantile ilpensieroè«autistico»,ossianoncomunicabileenonrispondentealla realtà.Nellefasisuccessive,ilpensierodiventa«egocentrico»,percuiilbambinononconcepiscepuntidivistadiversidalproprio.PerVygotskij, invece, il rapporto trapensieroe linguaggioè inverso: ilbambinoèimmersoinrelazioniinterpersonalifindalleprimefasidisviluppo.Ilprimolinguaggioè,dunque,soprat-tuttosocialeeriesceadesprimereemozioniedaffetti.Vygotskij,nell’analisidellosviluppolinguisticoecognitivodelbambinoindividualacosiddetta«zonadisviluppoprossimale»checonsistenelladifferenzatraillivellodisviluppoeffettivodelbambinoeillivellodisviluppopotenziale.SecondoVygotskij,isistemimentalidirappresentazionevengonogeneratidalcontestosocio-culturale.Losviluppomentalenonèuneventoindividuale,maèunprocessodiinteriorizzazionediformeculturali.Vygotskijsostiene,in-fatti,che laprimaattività intellettivasiasostanzialmentepraticaeconcreta,non isolatadalcontestosociale,masempreinternaall’interazionebambino/ambiente.

• Sviluppocognitivoeambiente SecondoVygotskij,leinterazionisocialisonoingradodigenerareuncambiamentocontinuodelpen-

sierodegliindividuiedeilorocomportamenti;esse,pertanto,possonononsolovariareenormementeinrelazionealcontestoculturaleentrocuil’individuovive,mapossonoancheesserestimolate,accresciu-te,potenziatebenaldilàdiquantounosviluppopuramentenaturalepossaconsentire;losviluppoco-gnitivodipendedalleinterazionitralepersoneedaglistrumentichelaculturaproduceperdareformaallarappresentazionedelmondodapartedellepersonestesse.

• Lapsicopedagogia Nellasecondametàdel’900,soprattuttograzieairappresentantidelcomportamentismo,siconsolidala

psicopedagogia,cioèlasistematicaapplicazionedellescopertepsicologicheall’universodeiproblemieducativi.Unodeicampiprivilegiatidistudioèl’apprendimento,chesecondolaprospettivacomporta-mentista:a)ègeneratodaassociazionistimolo/risposta;b)èunprocessodiconoscenza,derivantedall’impattoconl’ambiente,ingradodimodificareinmododurevoleicomportamenti;c)ècondizionatodall’insegnamentointesocomeattivitàorganizzatadicontenutiedistimolidatrasmettereediobiettivimisurabilidaraggiungere.

• Il«MasteryLearning» Unimportanteteoriadell’apprendimentoèilMa­steryLearning(«apprendimentoperpadronanza»),chesideve

aBenjaminS.Bloom;taleteoriaèfondatasulpresuppostochetuttiglistudentipossanoraggiungereunaadeguatacomprensionediunamateriaqualoravengagarantitolorountemponecessario.L’insegnantedeveprocedereall’analisieallascomposizionedelcompitoodelcontenutodacomunicareallaclasse,oalgruppodeglistudenti«piùlenti».Lacomunicazionemiglioreècostituitadaunflussodiinformazioniordinatoinpicco-li«frammenti»diconoscenza.Lapraticaripetutadeicomportamentirichiestiperlarestituzionediquantoap-preso,creeràlecondizionipertrasferiregliapprendimentidauncontestoadunaltro.

• Ilruolodeldocente Inmanierasimile,glistudielepropostediR.M.Gagnéhannoinfluenzatolapraticadidatticaattraverso

unmodellodilezionebasatosullatrasmissionediconoscenzedaunsoggettoesperto(l’insegnante)adunopassivo(l’allievo).Unanovitàdiquestiapprocci,rispettoalcomportamentismo,ècheledimensioniaffettiveedemozionalidell’apprendimentohannoparivaloredelladimensionecognitiva: l’insegnante,primadiintrodurrenuoveconoscenze,deveorientareemotivarepsicologicamentel’allievo.Piùrecente-mente,questisuggerimentisonodivenutilabaseperlacosiddettaformazioneadistanza,soprattuttoquellaveicolatadaInternet,cioèilcosiddettoe-learning.

60

MODULO 1Psicoanalisi ed educazione Fissiamo i concetti

• Glistudisulsistemacognitivo NegliStatiUniti, apartiredagli anniQuaranta,nuovescopertesuimeccanismidi funzionamentodel

cervelloeformulazionedellateoriamatematicadell’informazionefavorisconounaripresadeglistudisuiprocessi cognitivi superiori (attenzione, percezione, elaborazione, soluzione di problemi, memoria,meccanismidel linguaggio).Uninsiememoltoarticolatodistudiericercheha,dunque, influenzato inmodosignificativo lapedagogiae ladidattica. I riflessichequestistudihannoavutonelladefinizionedellepraticheeducativesonocosìsintetizzabili:a)l’apprendimentoèunprocessodielaborazionedelleinformazioni,inanalogiaalcomputer;b)l’insegnantedevefarusodisequenzediistruzioni,perfarpro-gredirelostudenteapiccolipassiversol’acquisizionedistrategiediapprendimentoedisoluzionedeiproblemi(problemsolving)semprepiùcomplicati;c)lostudentepuòdiventare«esperto»attraversounaattivitàdiriflessionesudisé;d)lamenteumanaècapacedielaborareunnumeroquasiinfinitodiinfor-mazioniperstadisequenziali,dopocheleinformazioniiningresso(input)sonostatesemplificateeorga-nizzate;e)leinformazioni,peressereelaborate,devonoesserecodificate,cioèresepiùsempliciegesti-bilidaciascunstudente;f)l’insegnamentononèpuramentenozionistico;piuttostomiraadorganizzarestrategie,cioèoperazionimentaliutiliaconvogliareleinformazionigeneraliinunitàpiùpiccoleepiùfacil-menteutilizzabili.

• JeromeBruner ContrariamenteaPiaget,secondoJeromeSaymourBrunerlosviluppocognitivononsirealizzaattra-

versounasequenzafissadistadi;l’intelligenzaè,infatti,definibilecomecapacitàdimettereinattounaseriedistrategieeprocedureperrisolvereproblemi,peranalizzareleinformazioniecodificarle.Egliattri-buiscegrandeimportanzaallasituazioneealcontestoincuisiaffrontanolediverseproblematiche(ossiaaifattorisociali),maancheaifattorimotivazionali(fattoriindividuali).Losviluppocognitivoèilpassag-giodasistemipoveri a sistemi semprepiù ricchi edefficaci nell’elaborazionedelle informazioni. Talepassaggioavvieneattraverso tre formedi rappresentazione: l’azione, l’immaginee il linguaggiocuicorrispondonotrediversitipidirappresentazionecognitiva:esecutiva,ico­nica,simbolica.Nellarapre-sentazioneesecutivailbambinoutilizzalamanipolazione,lapercezione,l’attenzioneel’interazioneso-ciale;nella rappresentazione iconica ilbambinocodifica larealtàmedianterappresentazionimentalieimmaginiinterne;larappresentazionesimbolicaèinveceun’espressionedellarealtàattraversosegniesimboliconvenzionali,ossiastabilitisocialmente.

• L’influenzadell’ambiente AdifferenzadellasequenzastadialediPiaget,letreformedirappresentazionediBrunernoncostituisco-

nounasequenza fissa in cui l’unascomparee l’altra appare,ma tuttecoesistono, conservando lapropriaautonomia.Tuttiiprocessimentalihannounfondamentosociale(evidenteè,inquestosenso,lavolontàdapartediBrunerdi«correggere»lavisionebiologistadiPiagetconquellaantropologico-socia-lediVygotskij):lastrutturadellaconoscenzaumanaèinfluenzatadallaculturaattraversoisuoisim-bolielesueconvenzioni.Inognifasedisviluppo,l’attivitàèguidatasiadascopiindividualichedalbisognodirelazionisociali.L’influenzasocialedeterminaediffondeiconcettie lecategoriechesonocondivisidaunaculturaevengonoapprovatidaimembri,chevengonofacilmenteappresierappresen-tatinellamentediogniindividuo.Laculturasiriflette,così,nellavitamentaledell’individuo:l’intelligenzacostituiscel’interiorizzazionedeglistrumentidiunasocietà.

• L’apprendimentocomeprocessoattivo Brunerconsideral’apprendimentounprocessoattivo,incuiilsoggettocostruiscenuoveideeoconcet-

ti apartiredalla suaconoscenzapassataepresente.Elementi fondamentali di sviluppodellamenteumanasonosiaicontestisocio-culturalisiaisistemisimbolici,cioètuttol’insiemedisignificati,disegni,di immagini cheunaculturaproduce.Lacrescita individualesideterminagrazieallagradualecondivisionedilinguaggiedistrumentipropridiunadeterminatacultura.L’apprendimentoeilpensierosonosemprecollocatiinuncertocontestoculturale,esisviluppanoapartiredall’usodellerisorsedi-sponibili.SecondoBruner,dunque,soloall’internodelladimensioneculturale,socialeecollettivasidefinisconochiaramenteisignificatidellecose,deglieventidellanostravita,dellamassadelleinforma-

61

Unità 2Fissiamo i concetti La psicopedagogia: sviluppo cognitivo e teorie dell’apprendimento

zioniedelleconoscenzecuipossiamoaccedereoggi.Iprocessicognitivivannodunqueinterpretaticomeprocessinarrativi:lanostramenteinscrivedentrodiséesperienzeedazioni.

• Iluoghidell’educazione Lavitamentalevadunqueconsideratacomeunprocessodinamicoecomunicativo:essasisviluppa

conl’aiutodi«codiciculturali»,di«tradizioni»,di«relazionisociali».L’educazionenonhadunqueluogosolonelleaulescolastiche,maovunquecisiaunincontrotrasoggettidiversi.

• IpunticentralidellateoriadiBruner Insintesi:a)isignificaticulturalinonsonostabili,mamutanoinrelazionealcontestoedallaprospettiva

entrocuisonoformulati;b)iprocessidiapprendimentoediinsegnamentocostituisconodelleinterazio-ni tradiversevisionidelmondochesi incontrano inunprecisospazioe inquelprecisotempo;c) lamenteumanahadei limiti:compitodell’educazioneèquellodioltrepassarelepredisposizioni innate,mettendoadisposizionetuttigli«arnesi»chelaculturahaelaboratoaquestoscopo;d)larealtàsico-struisceattraversoiprocessicognitivideisingoliindividuimaanchedeigruppi;e)l’apprendimentoèunprocessointerattivo;f)l’educazionedevegeneraredelleabilità,dellecapacitànuove,deimodidipensareedisentirechepossonoessererielaborati,accettati,sviluppatianchedaaltrimembridellaso-cietà;g)lanarrazioneèunamodalitàdipensieroessenziale,checonsentedicostruireordinidisignifi-caticondivisibili.

• HowardGardner L’operadiHowardGardnersiorienta,invece,alladefinizioneeallostudiodellediversetipologiadiintel-

ligenza.Questaèvistacome«capacitàdirisolvereproblemi,odicreareprodottiapprezzatiall’internodiunoopiùcontesticulturali».Gardnerteorizzal’esistenzadidiversetipologiediintelligenza:logico-mate-matica,linguistica,spaziale,musicale,cinesteticaoprocedurale,interpersonale.

• L’idealeformativodiGardner Ilconcettodiintelligenzanoncoincideesclusivamenteconlarazionalitàlogico-matematico-formale:la

crescitaarmonicadellapersonaesigeunavarietàdicomportamenti intelligentisucui incidono fattorimolteplici (biologici, socialieculturali).L’ideale formativoededucativocheemergedaqueste ipotesisullepluralitàdelleintelligenzeèfinalizzatoallaformazionediindividuiingradodirispondereadattivamen-teallesituazionipiùproblematichesullabasediunamolteplicitàdirisorsecognitiveedicompetenze.Inquestosenso:a)lascuoladovrebbeesserelaica,apertaetollerante;b)dovrebbericonoscereededu-careunapluralitàdiintelligenze;c)dovrebbeaprirsiallaculturascientifica,intuttelesuediramazioni;d)dovrebbeessereattentaallepersonaliinclinazionidegliallievi.

• Illavorodigruppo Leprincipalicaratteristichepositivedellavorocooperativo(o«digruppo»)sonocosìriassumibili:a)svi-

luppodiunlegamepositivotrastudenti;b)interazionefacciaafaccia;c)stimoloallaresponsabilizzazionesiaversosestessicheversoglialtri;d)importanzadellosviluppodelle«abilitàsociali».

• Ipunti-chiavedellaprogrammazione Laprogrammazionedidatticasiconcentrasulleseguentistrategie:a)organizzareeprogrammarele

lezionicoinvolgendoglialunni;b)gestireecoordinareiprogettieducativi;c)progettareincomuneleat-tivitàdiricerca;d)coordinareleattivitàdigruppo;e)crearelecondizioniperfacilitarelasocializzazione;f)affrontareiproblemieducativiinmodointerdisciplinare.

• Strategiedicomunicazione Riguardoallestrategiedicomunicazioneinterpersonale,emergel’importanzadiunacomunicazione

correttaedefficace,basatasuiseguentipunti:a)farcorrispondereaduncontenutorazionaledellinguag-giounadeguatocomportamentoemotivo;b) favorire la ricercadell’identità individualee laconquistadellasocialità;c)favorireilfeedback;d)individuareidisturbidellacomunicazione;e)instaurareunrap-portoempatico.

62

MODULO 1Psicoanalisi ed educazione Prove di verifica

• Imodellidiprogrammazione Rispettoaimodellidiprogrammazione,assumeconsistenza lanecessitàdielaborarediversi tipidi

programmazione:a)permappeconcettuali;b)persfondointegratore;c)perpost-programmazione.

• Leneuroscienze Leneuroscienzecostituisconounospaziointerdisciplinaredistudioinerenteiprocessicognitivinella

lorolocalizzazione,nellelorofunzioni,neimodellioperativi.Gliesitidiquestistudialivellopedagogicoimplicanoche:a)losviluppomentaleel’apprendimentodiciascunindividuosonoinfluenzatiinmisuraparidaelementibiologici,sociali,culturalieambientali;b)losviluppocognitivoindividuale,inparticolare,èfortementeinfluenzatodalcontestoculturaleedalleinterazionisociali;c)iprocessidiapprendimentoedicostruzionedellaconoscenzasonosempresituatiinluoghiecontestispecificidiapprendimento(famiglia,scuola,luoghidilavoro).

Prove di verifica1.Rispondialleseguentidomandeutilizzandolospazioadisposizione:

a) ChiarisciifondamentidellateoriadellosviluppocognitivoinPiaget.......................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................

b) Chiarisci il significato dei concetti di «assimilazione», «accomodamento», «equilibrazione» inPiaget.......................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................

c) EsponilasequenzadeglistadidellosviluppocognitivoinPiaget.......................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................

63

Unità 2Prove di verifica La psicopedagogia: sviluppo cognitivo e teorie dell’apprendimento

d) PiageteVygotskij:esponiledifferenzetraidueprincipaliapprocciallosviluppocognitivoinfantile.......................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................

e) Delineailconcettodi«interazionesociale»inVygotskij.......................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................

f) Definisciilconcettodi«areadisviluppoprossimale».......................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................

g) Comportamentismoeteoriedell’apprendimento:proponiunasintesidellediversetendenze.......................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................

h) Spiegalelinee-guidadel«Mastery­Learning».......................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................

i) SpiegailnessotraistruzioneededucazioneinBruner.......................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................

64

MODULO 1Psicoanalisi ed educazione Prove di verifica

l) Sintetizzailproblemadell’apprendimentoinBruner.......................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................

m)Enuclealevarietipologiedi«intelligenza»secondoGardner.......................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................

n) Cosasiintendeper«cooperative­learning»?......................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................

2.Leggiilbranoseguenteerispondialledomande:

Immagine e creatività nell’età infantileIl giuoco è la forma dominante o semplicemente una forma prevalente dell’attività del bambino in questa età? Mi sembra che dal punto di vista dello sviluppo il giuoco non sia una forma prevalente di attività, ma sia in un certo senso la linea dominante dello sviluppo nell’età prescolare. […]Mi sembra che come criterio per distinguere l’attività ludica del bambino dal gruppo complessivo delle altre forme della sua attività, bisogna prendere il fatto che nel giuoco il bambino crea una situazione fittizia.Che cosa significa il comportamento del bambino in una situazione fittizia? Parecchi studiosi […] hanno incominciato ad esaminare il giuoco della prima infanzia e la loro ricerca ha portato alla conclusione che il giuoco con una situazione fittizia, in sostan-za, è un giuoco con determinate regole; mi sembra che si possa addirittura avanzare la tesi che non c’è giuoco dove non c’è comportamento del bambino nei confronti delle regole […]. Permettetemi di chiarire questo pensiero. Prendiamo un qualsiasi giuoco con una situazione fittìzia. La situazione fittizìa comprende già certe regole di comportamento, anche se non si tratta di un giuoco con regole esplicite formulate in anticipo. La bambina immagina di essere la madre, mentre la bambola è il bambi-no, essa deve quindi comportarsi secondo le regole del comportamento materno. Ciò è stato mostrato molto bene da uno studioso con uno spiritoso esperimento basato sulle famose osservazioni di Sully. Quest’ultimo, come è noto, ha descritto un giuo-co degno di nota perché la situazione ludica e la situazione reale dei bambini coinci-

65

Unità 2Prove di verifica La psicopedagogia: sviluppo cognitivo e teorie dell’apprendimento

devano. Due sorelline, una di cinque e l’altra di sette anni, una volta si misero d’ac-cordo: «Giochiamo alle sorelle». […] Nel giuoco delle sorelle alle «sorelle», ciascu-na di loro manifesta incessantemente il suo essere sorella; il fatto che due sorelle si siano messe a giocare alle sorelle porta al risultato che ciascuna di loro riceve delle regole di comportamento. (In tutta la situazione del giuoco io debbo essere sorella nei confronti dell’altra sorella). […]Ciò che nella vita esiste senza che il bambino se ne accorga, nel giuoco diventa una regola di comportamento. […]Ogni giuoco con una situazione fittizia è nello stesso tempo un giuoco con regole, ed ogni giuoco con regole è un giuoco con una situazione fittizia. Mi sembra che questa tesi sia chiara.

(L. Vygotskij, Immagine e creatività nell’età infantile)

Cheruolohailgioconell’etàprescolare?.................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................

Qualeelementodistingueilgiocodallealtreattivitàdelbambino?.................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................

Qualèlacaratteristicaprincipaledelgioco?.................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................