Pseudoartrosi settiche e asettiche dell’arto inferiore

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Aggiornamenti Lo Scalpello (2019) 33:42-47 https://doi.org/10.1007/s11639-019-00300-8 Pseudoartrosi settiche e asettiche dell’arto inferiore Carlo Salomone 1,a (B), Giorgio Burastero 2 , Andrea Antonini 3 , Giuliana Carrega 4 , Antonio Biasibetti 5 , Giovanni Riccio 4 1 Ortopedia e Traumatologia, Ospedale Santa Maria di Misericordia, Albenga (SV), Italia 2 Struttura Complessa di Ortopedia e Traumatologia 2, Ospedale Santa Corona, Pietra Ligure (SV), Italia 3 Chirurgia Plastica, Ospedale Santa Maria di Misericordia, Albenga (SV), Italia 4 Struttura Complessa Malattie Infettive, Ospedale Santa Maria di Misericordia, Albenga (SV), Italia 5 U.O.C. Traumatologia Muscolo-Scheletrica e Fissazione Esterna, Ospedale CTO, Torino, Italia a [email protected] ABSTRACT –ASEPTIC AND SEPTIC NONUNIONS IN LOWER LIMB Nonunion is a dangerous orthopaedic complication. The purpose of this work was to provide an indication for the diagnosis, classification and treatment of nonunions. The technique for treating aseptic nonunions depends on viability of the site. Therapeutic intervention create a mechanical and biological situation positive to achieve the treatment. In septic cases, the method consists in oncological debridement of bone and soft tissue and reconstructive surgery. Circular fixation plays an active role. Pubblicato online: 21 febbraio 2019 © Società Italiana Ortopedici Traumatologi Ospedalieri d’Italia 2019 Introduzione Il nostro lavoro ha lo scopo di dare principi e metodo di diagnosi, classificazione e trattamento delle pseudoartrosi in esiti di fratture nell’arto inferiore. Per pseudoartrosi (in in- glese nonunion, NU) si intende una mancata consolidazione a sei mesi dalla frattura. La diagnosi è prettamente radiogra- fica e clinica. Risulta però necessario riconoscere se siamo di fronte a una pseudoartrosi asettica o settica. È quindi fonda- mentale considerare anamnesi patologica remota e prossi- ma, il quadro clinico cutaneo e dei tessuti molli (esposizione del focolaio di frattura, deiscenza della ferita chirurgica, pre- senza di fistole secernenti), esami ematochimici e indici di flogosi; inoltre, può risultare utile avvalersi di ulteriori accer- tamenti come la TC, la RM, la scintigrafia e la PET (indagini di II livello). Per le forme asettiche risulta invece necessario per la classi- ficazione e il trattamento riconoscere la situazione biologica del focolaio. Radiograficamente l’ipertrofia del focolaio de- pone per una forma vascolarizzata, ovvero vitale; viceversa, l’atrofia esprime una mancata vascolarizzazione. Nelle forme asettiche, in considerazione della situazione del focolaio cambierà l’indicazione se prettamente mecca- nica e/o anche biologica, quale supporto per condurre a consolidazione il sito di pseudoartrosi. Nelle forme settiche è prioritario il trattamento dell’infezio- ne mediante bonifiche a carattere oncologico di osso e tessuti molli e conseguente programma ricostruttivo. Materiali e metodi La diagnosi di NU è prettamente clinica. Presenza di instabi- lità meccanica del focolaio ai test clinici o al carico può pre- sentare dolore come essere asintomatica. Si può accompa- gnare a deformità stabilizzata o progressivamente evolutiva. La diagnosi deve mirare già a classificare la NU. Importante valutare accuratamente l’anamnesi e clinicamente la presen- za di sintomi e manifestazioni cliniche sospette per infezione (fistole, rubor, tumor, calor e dolor). Per supportare il so- spetto settico, sono di ausilio gli esami ematochimici con in- dici di flogosi e alcune indagini di II livello sono coadiuvanti, sebbene non dirimenti per la diagnosi. Di classificazioni se ne sono seguite molte. Fondamentale è riconoscere i punti comuni necessari poi per il trattamento. Come già anticipato, la prima classificazione deve dirimere se siamo davanti a una forma settica o asettica. Nelle forme non complicate da infezione, la più utilizzata rimane quel- la di Weber e Cech [1] che suddivide le NU in vitali, ovvero ipertrofiche caratterizzate da abbondante vascolarizzazione, e avitali, ovvero atrofiche caratterizzate da scarsa o assente vascolarizzazione, riconoscendo una causa prevalentemen- te meccanica per le prime e prevalentemente biologica per le seconde. Le forme ipertrofiche sono ulteriormente sud- divise in base alla morfologia del focolaio di pseudoartro- si, con particolare attenzione alla tipologia della rima e alla possibilità di lavorare meccanicamente sulla stessa. Le forme 42

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AggiornamentiLo Scalpello (2019) 33:42-47https://doi.org/10.1007/s11639-019-00300-8

Pseudoartrosi settiche e asettiche dell’arto inferioreCarlo Salomone1,a (B), Giorgio Burastero2, Andrea Antonini3, Giuliana Carrega4, Antonio Biasibetti5,Giovanni Riccio4

1Ortopedia e Traumatologia, Ospedale Santa Maria di Misericordia, Albenga (SV), Italia2Struttura Complessa di Ortopedia e Traumatologia 2, Ospedale Santa Corona, Pietra Ligure (SV), Italia3Chirurgia Plastica, Ospedale Santa Maria di Misericordia, Albenga (SV), Italia4Struttura Complessa Malattie Infettive, Ospedale Santa Maria di Misericordia, Albenga (SV), Italia5U.O.C. Traumatologia Muscolo-Scheletrica e Fissazione Esterna, Ospedale CTO, Torino, [email protected]

ABSTRACT – ASEPTIC AND SEPTIC NONUNIONS IN LOWER LIMB

Nonunion is a dangerous orthopaedic complication. The purpose of this work was to provide an indication for the

diagnosis, classification and treatment of nonunions. The technique for treating aseptic nonunions depends on

viability of the site. Therapeutic intervention create a mechanical and biological situation positive to achieve the

treatment. In septic cases, the method consists in oncological debridement of bone and soft tissue and reconstructive

surgery. Circular fixation plays an active role.

Pubblicato online: 21 febbraio 2019© Società Italiana Ortopedici Traumatologi Ospedalieri d’Italia 2019

Introduzione

Il nostro lavoro ha lo scopo di dare principi e metodo didiagnosi, classificazione e trattamento delle pseudoartrosi inesiti di fratture nell’arto inferiore. Per pseudoartrosi (in in-glese nonunion, NU) si intende una mancata consolidazionea sei mesi dalla frattura. La diagnosi è prettamente radiogra-fica e clinica. Risulta però necessario riconoscere se siamo difronte a una pseudoartrosi asettica o settica. È quindi fonda-mentale considerare anamnesi patologica remota e prossi-ma, il quadro clinico cutaneo e dei tessuti molli (esposizionedel focolaio di frattura, deiscenza della ferita chirurgica, pre-senza di fistole secernenti), esami ematochimici e indici diflogosi; inoltre, può risultare utile avvalersi di ulteriori accer-tamenti come la TC, la RM, la scintigrafia e la PET (indaginidi II livello).Per le forme asettiche risulta invece necessario per la classi-ficazione e il trattamento riconoscere la situazione biologicadel focolaio. Radiograficamente l’ipertrofia del focolaio de-pone per una forma vascolarizzata, ovvero vitale; viceversa,l’atrofia esprime una mancata vascolarizzazione.Nelle forme asettiche, in considerazione della situazionedel focolaio cambierà l’indicazione se prettamente mecca-nica e/o anche biologica, quale supporto per condurre aconsolidazione il sito di pseudoartrosi.Nelle forme settiche è prioritario il trattamento dell’infezio-ne mediante bonifiche a carattere oncologico di osso e tessutimolli e conseguente programma ricostruttivo.

Materiali e metodi

La diagnosi di NU è prettamente clinica. Presenza di instabi-lità meccanica del focolaio ai test clinici o al carico può pre-sentare dolore come essere asintomatica. Si può accompa-gnare a deformità stabilizzata o progressivamente evolutiva.La diagnosi deve mirare già a classificare la NU. Importantevalutare accuratamente l’anamnesi e clinicamente la presen-za di sintomi e manifestazioni cliniche sospette per infezione(fistole, rubor, tumor, calor e dolor). Per supportare il so-spetto settico, sono di ausilio gli esami ematochimici con in-dici di flogosi e alcune indagini di II livello sono coadiuvanti,sebbene non dirimenti per la diagnosi.Di classificazioni se ne sono seguite molte. Fondamentale èriconoscere i punti comuni necessari poi per il trattamento.Come già anticipato, la prima classificazione deve dirimerese siamo davanti a una forma settica o asettica. Nelle formenon complicate da infezione, la più utilizzata rimane quel-la di Weber e Cech [1] che suddivide le NU in vitali, ovveroipertrofiche caratterizzate da abbondante vascolarizzazione,e avitali, ovvero atrofiche caratterizzate da scarsa o assentevascolarizzazione, riconoscendo una causa prevalentemen-te meccanica per le prime e prevalentemente biologica perle seconde. Le forme ipertrofiche sono ulteriormente sud-divise in base alla morfologia del focolaio di pseudoartro-si, con particolare attenzione alla tipologia della rima e allapossibilità di lavorare meccanicamente sulla stessa. Le forme

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atrofiche sono classificate in base alla gravità appunto dell’a-trofia, intesa e quantificabile sulla pluriframmentazione delfocolaio, la presenza di sequestri necrotici, il riassorbimentoa livello del focolaio, la gravità della devascolarizzazione e lasituazione dei tessuti molli limitrofi al focolaio.L’eziologia permette di inquadrare il programma terapeu-tico. Infatti, una NU ipertrofica origina da un ambientemeccanico non favorevole; sarà quindi sufficiente ristabili-re meccanicamente un ambiente favorevole per condurla aguarigione, lavorando meccanicamente in compressione e/odistrazione sul focolaio nel rispetto della tipologia della ri-ma. Una NU atrofica, ovvero avitale, invece, dovrà avere unostimolo o supporto biologico che va dalla revisione dei mon-coni del focolaio sclerotici, fino alla resezione en bloc di tut-ta l’area vitale. Accanto alla necessità di riconcedere il cor-retto potenziale biologico al focolaio per guarire è comun-que irrinunciabile la stabilizzazione meccanica da favorirebiomeccanicamente la guarigione del focolaio.Nel 1990 Paley [2] propose una classificazione basata sullaperdita di sostanza ossea (< 1 o > 1 cm), accorciamento, de-formità e instabilità del focolaio. Ogni tipo di pseudoartrosiprevede un piano terapeutico ben preciso.Nel 2005 Biasibetti [3] propone un sistema di classificazio-ne che facilita il trattamento suddividendola in quattro tipi(Fig. 1):

– Tipo I assimilabile alle pseudoartrosi ipertrofiche, dove èpossibile una compressione assiale.

– Tipo II assimilabile alle pseudoartrosi ipertrofiche, do-ve risulta possibile eseguire una compressione su rimaobliqua.

– Tipo III assimilabile alle pseudoartrosi atrofiche.– Tipo IV le forme settiche.

Calori [4] propone uno score, il cosiddetto Non Union Sco-ring System (NUSS) che, oltre a valutare l’aspetto radiolo-gico delle pseudoartrosi, somma i fattori sistemici, lo statogenerale del paziente, i fattori locali ossei e lo stato dei tessu-ti molli, fornendo un punteggio di gravità crescente (0–100)in grado di guidare il chirurgo nella scelta del trattamentomigliore per quel tipo di pseudoartrosi e per quella tipologiadi paziente.L’approccio terapeutico per tali tipologie di complicanze ri-sulta quindi enormemente differente fra le forme asetti-che e settiche, rendendo necessario considerare il protocolloterapeutico distintamente.Nelle pseudoartrosi asettiche va ulteriormente riconosciutose ci troviamo nelle situazioni originate prevalentemente daun difetto meccanico, quindi vitali (ipertrofiche) o nelle for-me in cui la devascolarizzazione, la pluriframmentazione,la necrosi (ipotrofiche) sono la causa eziologica principaledella pseudoartrosi.Se ci troviamo di fronte a una pseudoartrosi vitale, ovve-ro ipertrofica effettueremo un trattamento di stabilizzazione

meccanica, facendo attenzione alla instabilità del focolaio, altipo di rima (linea iperdiafana orizzontale, tipo I sec. Biasi-betti o obliqua, tipo II sec. Biasibetti) e alla presenza o me-no di deformità. Focolai fortemente serrati senza deformitàpossono giungere a guarigione con la stabilizzazione mec-canica che, in assenza di complicanze settiche e soprattuttonell’arto superiore, può essere trattata con sintesi interna.Nell’arto inferiore è da preferire l’ausilio di un fissatore ester-no che permette di dare al focolaio un ambiente meccanicofavorevole nelle varie fasi di trattamento, interagendo sul fo-colaio mediante azioni sul fissatore. Bisogna inoltre distin-guere il tipo di rima presente. Se orizzontale, anche un fis-satore esterno assiale può soddisfare le richieste meccanichee terapeutiche. Se presente rima obliqua, il trattamento confissazione esterna circolare risulta il gold standard in quantopermette di gestire l’ambiente meccanico, evitando scompo-sizioni o deformità. Va inoltre considerato che il trattamentoattivo sul focolaio del fissatore esterno è dipendente da ciòche noi andiamo a eseguire sullo stesso. Nelle NU ipertrofi-che la “ginnastica del callo” risulta essere uno stimolo favo-rente la consolidazione e in distrazione porta a formazioneossea (rigenerato in distrazione) [5].Infine, indipendentemente dal decorso della rima di NU(orizzontale o obliqua), nelle vitali ipertrofiche con defor-mità associata risulta indicato un trattamento correttivo gra-duale con fissatore esterno [2]. In caso di focolai estrema-mente serrati può risultare indicata un’osteotomia percuta-nea (calloclasia). Anche in tale situazione l’apertura gradualein distrazione di un focolaio ipertrofico porta a rigenerazio-ne ossea [2, 5]. In tali situazioni, un fissatore circolare consistema esapodalico permette il trattamento della deformitàsu tutti i piani contemporaneamente.Per le situazioni sopracitate vanno segnalati alcuni accor-gimenti: nel segmento gamba è indicato a consolidazioneavvenuta e, in particolare, con deformità associata esegui-re osteotomia di perone obliqua e di sottrazione. Bisognaporre attenzione alle situazioni di grave lassità, anche conmonconi ipertrofici in cui vi sia sospetto di interposizionedi tessuti molli (ampia linea radiotrasparente, grave lassità).In tali condizioni è indicata l’apertura del focolaio per sbri-gliamento aderenziale, cruentazione dei monconi e messa incompressione, evitando l’interposizione di tessuti molli (ri-conducibile in parte a forme di NU con perdita di sostanza earea apicale dei monconi riassorbita necrotizzata) [6].Analizziamo ora il trattamento delle forme asettiche, avitali,ipotrofiche, tipo III secondo Biasibetti [3]. L’eziologia di ta-li forme è prettamente biologica, quindi il trattamento devemirare, oltre a creare un ambiente meccanico favorevole, aridare uno stimolo biologico, ove necessario un’impalcaturaosteoconduttiva e, eventualmente, uno stimolo osteoindut-tivo (Diamond Concept di Giannoudis) [7]. Queste formedevono venir trattate necessariamente con apertura del fo-colaio: bonifica mediante rimozione dei tessuti molli inter-posti, rimozione dei sequestri, cruentazione delle superfici

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Fig. 1 - Classificazione dellepseudoartrosi secondoBiasibetti

fino al raggiungimento di tessuto osseo vitale e vascolariz-zato (decorticazione secondo Judet [8], macroscopicamentePaprika Sign) e apertura del canale. Nella gestione biologicadel focolaio in fronte alla situazione macroscopica che tro-veremo e che si verrà a formare dopo la nostra “bonifica”,bisogna associare l’ausilio di stimoli osteogenetici. Nel casodi assenza di importanti gap ossei e buona vitalità residuadel focolaio può risultare indicato l’utilizzo di trapianti osseiautologhi. Se si presenta una vitalità scadente è indicato al-largare la resezione comportando, così, un più ampio difetto,e ci si può avvalere di stimoli osteoinduttivi farmacologici enon (fattori di crescita, BMP, ecc.).Il trattamento di forme asettiche, avitali, in cui nessuna com-pressione è effettuabile, che presentino ab initio o dopo bo-nifica un difetto osseo, richiede la gestione del gap. Le op-zioni terapeutiche risultano varie e differenti e dipendonoda numerosi fattori come le condizioni del paziente, l’esten-sione del difetto, la conoscenza del metodo da parte del chi-rurgo. Le terapie chirurgiche più indicate possono riassu-mersi in trapianti ossei autologhi vascolarizzati, tecniche diMasquelet [9], utilizzo dell’osteogenesi distrazionale.L’indicazione principe, in mani chirurgiche esperte, risultaessere l’impianto di fissazione esterna. Tale mezzo risulta es-sere nelle forme avitali la soluzione migliore per poter ge-stire in corso di trattamento l’induzione del focolaio grazie,in particolare, alla sua biomeccanica modulabile e al passag-gio ciclico del carico sul focolaio. Inoltre consente, adattan-do il montaggio dell’impianto, di associare un’osteotomia diallungamento, oltre che stimolare la vascolarizzazione dellaregione; è il sistema più affidabile, agevole e rapido, soprat-tutto in perdite ossee < 5 cm, per procedere al recupero ealla ricostruzione ossea del difetto.

Seppur risulta più frequente in forme settiche, come vedre-mo successivamente, vi sono alcune forme asettiche avitaliche possono presentare difetti ossei importanti. Di fronte aun gap < 5 cm possiamo comportarci con mantenimentodella lunghezza dell’arto e singola osteotomia per osteogene-si distrazionale con trasporto del segmento osseo a colmare ilgap fino al raggiungimento del docking point. Eseguibile ac-corciamento “in acuto” o accordion sul focolaio di bonifica eresezione (ponendo attenzione ai tessuti molli alle strutturevascolari e nella tibia alla situazione peroneale) con allun-gamento sul focolaio dell’osteogenesi. L’accordion può veni-re raggiunto più rapidamente con una compressione mag-giore nella regione del difetto osseo rispetto alla distrazioneeffettuata sull’osteotomia. Per difetti > 5 cm vanno consi-derate diverse possibilità, come eseguire doppia osteotomiadi allungamento e avvalersi di trapianti autologhi [10]. Taliopzioni terapeutiche, che verranno approfondite nel tratta-mento delle pseudoartrosi settiche, possono ridurre i tempidi guarigione.I casi in cui la diagnosi ci conduca alle pseudoartrosi set-tiche l’atteggiamento terapeutico è mirato “in primis” altrattamento dell’infezione.Per definizione è da intendersi una pseudoartrosi settica, unamancata consolidazione di frattura con focolaio osteomieli-tico. Il trattamento mira alla risoluzione dell’infezione. Con-temporaneamente, richiede una stabilizzazione meccanica.La fissazione esterna circolare risulta essere il sistema più si-curo, biomeccanicamente affidabile che, oltre alla stabiliz-zazione, consente la gestione del gap osseo. Il trattamentodeve quindi prevedere ampia e accurata bonifica con rese-zione oncologica del focolaio. La bonifica, come nelle osteo-mieliti, deve giungere su tessuto sano, vascolarizzato (Papri-

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Fig. 2 - Pseudoartrosi setticatibia distale con deformità inequino tibio-tarsica, bonificaoncologica, posizionamento difissatore esterno predisposto alivello prossimale con doppiaosteotomia a inseguimento

ka sign), macroscopicamente pulito. È utile inoltre eseguirepreoperatoriamente prelievi dal focolaio per esami colturalibatteriologici. È quindi fondamentale affrontare la patologiasettica con i colleghi infettivologi. Una volta effettuata la bo-nifica si crea un bone defect (Figg. 2, 3). Il gap osseo richiedestabilizzazione, indicata con fissazione esterna.Le opzioni terapeutiche possono quindi essere varie per il re-cupero osseo e dipendono da numerosi fattori, ovvero carat-teristiche del paziente (abitudini voluttuarie, patologie pre-gresse e in atto), quadro clinico (presenza di fistole, lesio-ni cutanee e arteriose), esperienza e manualità del chirurgo,disponibilità di un team multidisciplinare (microchirurgo,chirurgo vascolare, infettivologo, anatomopatologo e micro-biologo). Valutati tutti questi fattori, sarà possibile giunge-re a un’indicazione: montaggio specifico di fissatore esternopredisposto al recupero osseo, effettuando una o due osteo-tomie a seconda che il gap osseo da colmare sia rispettiva-mente minore o maggiore di 5 cm (Figg. 2, 3); riempimentodel gap osseo con trapianto autologo vascolarizzato (es. pe-rone pro-tibia, pro-femore), richiedendo una stabilizzazio-ne, preferibilmente con fissatore esterno; applicazione dellatecnica di Masquelet, prevedendo quindi, a bonifica esegui-ta, di colmare il difetto con spaziatore in cemento antibiota-to. Dopo circa 2 mesi, rimozione dello spaziatore, zaffaggiodel difetto all’interno della membrana neoformatasi (mem-brana di Masquelet) con trapianti, sostituti osteoinduttivi,fattori di crescita con stabilizzazione da preferirsi in base allasituazione clinica in atto [9].

Risultati

Per giungere a una diagnosi corretta e procedere a un trat-tamento idoneo, non è solo necessario classificare le pseu-doartrosi ma bisogna capire la biologia e la biomeccanicadel segmento osseo da trattare. Una diagnosi corretta e, inparticolare, un corretto inquadramento classificativo sonogli elementi determinanti per scegliere le strategie terapeu-tiche. Le pseudoartrosi asettiche richiedono stabilizzazioneesclusiva meccanica (se vitali e ipertrofiche), eventualmenteassociata a correzione di deformità e sbrigliamento del foco-laio. Quelle in cui in asepsi si presenti una necrosi e un deficitbiologico e vascolare nel processo di guarigione richiedonoil ripristino di una corretta camera biologica (e, ove necessa-rio, un recupero osseo). In tutte e due le situazioni dal lavo-ro si evince come la fissazione possa giocare un ruolo deter-minante. Ruolo insostituibile ha la fissazione esterna per iltrattamento delle settiche (almeno sui primi step di bonificae stabilizzazione) sapendo approfittare, ove necessario, del-le potenzialità osteogenetiche distrattive. Ciò che non va di-menticato è che nelle forme settiche l’approccio diagnosticoe terapeutico deve essere multidisciplinare.

Discussione e conclusioni

Da quanto descritto nel lavoro si evince come sia fondamen-tale per ottenere una guarigione del focolaio di pseudoartro-si ab initio eseguire una diagnosi corretta, permettendo così

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Fig. 3 - A termine allungamentocon rigenerati in fase diconsolidazione e progressivafusione del focolaio di artrodesidi caviglia in posizione corretta,e a rimozione del fissatoreavvenuta

al chirurgo di classificare in maniera idonea la tipologia delfocolaio. Prima di tutto, riconoscendone la asepsi o la sepsie consentendo quindi di individuare le indicazioni terapeu-tiche conseguenti a un corretto inquadramento del sito dipseudoartrosi (Figg. 2, 3).Viene inoltre sottolineato come la conoscenza dei compor-tamenti e delle risposte biomeccaniche sia alla base della ge-stione delle forme asettiche dell’arto inferiore, con particola-re indicazione a ristabilire l’ambiente meccanico favorevolenelle forme ipertrofiche e a gestire anche con particolare at-tenzione e importanza il ruolo biologico del focolaio nelleforme atrofiche.In tutte e due le patologie si denota l’importanza dell’utiliz-zo della fissazione esterna che, ovviamente, trova più largospazio ove siano presenti ampie perdite di sostanza e nellatibia rispetto al femore.Proprio la perdita di sostanza nelle forme settiche, ove èprioritario eseguire delle ampie bonifiche di tutto il tessutoosteomuscolare interessato, consente alla fissazione esternae, in particolare, circolare di svolgere un ruolo insostituibilein alcune tipologie con situazioni e pazienti candidati a taletrattamento, prediligendo nell’arto inferiore la tibia rispettoal femore e consentendo, però, oltre che la stabilità meccani-ca di un arto con difetto osseo, anche di predisporre il recu-pero del gap, grazie alla potenzialità della metodologia dellafissazione esterna di rigenerare osso mediante l’osteogenesidistrazionale.

CONFLITTO DI INTERESSE Gli autori Carlo Salomone, Giorgio Bura-stero, Andrea Antonini, Giuliana Carrega e Giovanni Riccio dichiaranodi non aver alcun conflitto d’interesse.

CONSENSO INFORMATO E CONFORMITÀ AGLI STANDARD ETICI Tuttele procedure descritte nello studio e che hanno coinvolto esseri umanisono state attuate in conformità alle norme etiche stabilite dalla di-chiarazione di Helsinki del 1975 e successive modifiche. Il consensoinformato è stato ottenuto da tutti i pazienti inclusi nello studio.

HUMAN AND ANIMAL RIGHTS L’articolo non contiene alcuno studioeseguito su esseri umani e su animali da parte degli autori.

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