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Sommario Saggi: Antonio Mazzotta Gabriele Veneto e un ritratto dimenticato di Giovanni Bellini 2 Marco Tanzi Il crepuscolo degli eccentrici a Cremona 25 Contributi: Gabriella Cirucci Antichità Greche a Pompei. Tre esempi di reimpiego di antiche opere d’arte greca nelle abitazioni di Pompei 52 Santina Novelli Il ‘Maestro della tomba Fissiraga’: una nuova cronologia e un ‘nuovo’ committente 65 Silvia Colucci Un sepolcro vescovile del Museo Bardini e qualche ipotesi sull’origine di una tipologia funeraria tardo-duecentesca 76 Paola Vitolo Un nuovo contratto di commissione per la scultura funeraria del Trecento napoletano 91 Gianluca Amato Alcuni chiarimenti sull’attività giovanile di Taddeo di Bartolo e il caso del polittico Casassi di Pisa 101 Cecilia Martelli La cappella di Giovanna Tarlati e il ‘San Girolamo penitente’ di Bartolomeo della Gatta nel Duomo di Arezzo 120 Maria Luisa Paganin Una insolita iconografia in un affresco del castello di Voghera: Maria e il Bambino Gesù coperto di piaghe 128 Jana Graul “...fece per suo capriccio, e quasi per sua defensione”: i due bassorilievi in stucco di Daniele da Volterra per la cappella Orsini 141 Felice Mastrangelo Il ritorno di Giuseppe Nicola Nasini a Siena. La ‘Natività della Vergine’ per San Pellegrino alla Sapienza e il suo ritrovato modelletto 157 Federica Rovati Guttuso d’après Morandi. Note al testo 166 Prospettiva Rivista di storia dell’arte antica e moderna Nn. 134-135, Aprile, Luglio 2009 Università degli Studi di Siena Università degli Studi di Napoli ‘Federico II’ Centro Di della Edifimi srl Rivista fondata da Mauro Cristofani e Giovanni Previtali. Redazione scientifica: Fiorella Sricchia Santoro, direttore Francesco Aceto, Benedetta Adembri, Giovanni Agosti, Alessandro Angelini, Alessandro Bagnoli, Roberto Bartalini, Luciano Bellosi, Evelina Borea, Francesco Caglioti, Laura Cavazzini, Lucia Faedo, Aldo Galli, Carlo Gasparri, Adriano Maggiani, Clemente Marconi, Marina Martelli, Anna Maria Mura, Francesco Negri Arnoldi, Vincenzo Saladino, Fausto Zevi. Segretari di redazione: Benedetta Adembri, Alessandro Bagnoli. Consulenti: Paola Barocchi, Sible de Blaauw, Caroline Elam, Michel Gras, Nicolas Penny, Victor M. Schmidt, Carl Brandon Strehlke, Andrew Wallace-Hadrill, Paul Zanker. Redazione: Università degli Studi di Siena, Dipartimento di Archeologia e Storia delle Arti via Roma 56, 53100 Siena, e-mail: [email protected] Direttore responsabile: Ginevra Marchi © Copyright: Centro Di, 1975-1982. Dal 1983, Centro Di della Edifimi srl, Lungarno Serristori 35, 50125 Firenze. ISSN: 0394-0802 Chiuso in redazione: dicembre 2010 Stampa: Alpi Lito, Firenze. Pubblicazione trimestrale. Un numero 26 (Italia e estero). Arretrati 29. Abbonamento annuo, 4 numeri 100 (Italia), 140 (estero). C.c.p. 53003067. Distribuzione, abbonamenti: Centro Di della Edifimi srl via de’ Renai 20r, 50125 Firenze, telefono: 055 2342668, fax: 055 2342667, [email protected] www.centrodi.it Autorizzazione del Tribunale di Firenze n. 2406 del 26.3.75. Iscrizione al Registro Operatori di Comunicazione n. 7257. Associato all’Unione Stampa Periodica Italiana

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Sommario

Saggi:

Antonio Mazzotta Gabriele Veneto e un ritratto dimenticatodi Giovanni Bellini 2

Marco Tanzi Il crepuscolo degli eccentrici a Cremona 25

Contributi:

Gabriella Cirucci Antichità Greche a Pompei. Tre esempidi reimpiego di antiche opere d’arte grecanelle abitazioni di Pompei 52

Santina Novelli Il ‘Maestro della tomba Fissiraga’: una nuovacronologia e un ‘nuovo’ committente 65

Silvia Colucci Un sepolcro vescovile del Museo Bardinie qualche ipotesi sull’origine di una tipologiafuneraria tardo-duecentesca 76

Paola Vitolo Un nuovo contratto di commissioneper la scultura funeraria del Trecento napoletano 91

Gianluca Amato Alcuni chiarimenti sull’attività giovaniledi Taddeo di Bartolo e il caso del polittico Casassidi Pisa 101

Cecilia Martelli La cappella di Giovanna Tarlati e il ‘San Girolamopenitente’ di Bartolomeo della Gatta nel Duomodi Arezzo 120

Maria Luisa Paganin Una insolita iconografia in un affrescodel castello di Voghera: Maria e il Bambino Gesùcoperto di piaghe 128

Jana Graul “...fece per suo capriccio, e quasi per suadefensione”: i due bassorilievi in stucco di Danieleda Volterra per la cappella Orsini 141

Felice Mastrangelo Il ritorno di Giuseppe Nicola Nasini a Siena.La ‘Natività della Vergine’ per San Pellegrinoalla Sapienza e il suo ritrovato modelletto 157

Federica Rovati Guttuso d’après Morandi. Note al testo 166

ProspettivaRivista di storia dell’arte antica e moderna

Nn. 134-135, Aprile, Luglio 2009

Università degli Studi di SienaUniversità degli Studi di Napoli ‘Federico II’Centro Di della Edifimi srl

Rivista fondata daMauro Cristofani e Giovanni Previtali.Redazione scientifica:Fiorella Sricchia Santoro, direttoreFrancesco Aceto, Benedetta Adembri,Giovanni Agosti, Alessandro Angelini,Alessandro Bagnoli, Roberto Bartalini,Luciano Bellosi, Evelina Borea, FrancescoCaglioti, Laura Cavazzini, Lucia Faedo,Aldo Galli, Carlo Gasparri, AdrianoMaggiani, Clemente Marconi, MarinaMartelli, Anna Maria Mura, Francesco NegriArnoldi, Vincenzo Saladino, Fausto Zevi.Segretari di redazione:Benedetta Adembri, Alessandro Bagnoli.Consulenti:Paola Barocchi, Sible de Blaauw,Caroline Elam, Michel Gras, Nicolas Penny,Victor M. Schmidt, Carl Brandon Strehlke,Andrew Wallace-Hadrill, Paul Zanker.Redazione:Università degli Studi di Siena,Dipartimento di Archeologiae Storia delle Artivia Roma 56, 53100 Siena,e-mail: [email protected]

Direttore responsabile:Ginevra Marchi

© Copyright: Centro Di, 1975-1982.Dal 1983, Centro Di della Edifimi srl,Lungarno Serristori 35, 50125 Firenze.ISSN: 0394-0802Chiuso in redazione: dicembre 2010Stampa: Alpi Lito, Firenze.

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Capita a volte che un’opera d’arte escadal giro degli studi. Possono essere mol-teplici le ragioni: dalla perdita delle suetracce al cattivo stato conservativo, alladistrazione di chi ricerca. La stessa sfor-tuna colpisce talvolta alcuni personaggistorici, i quali, nonostante l’oggettiva im-portanza, finiscono per essere citatiesclusivamente a compendio di altri. Al-lora le poche informazioni conosciute –magari inesatte – rimbalzano qua e là, dimano in mano. Il dipinto che esamino qui(fig. 2), individuato grazie al reperimen-to di una sua immagine nell’archivio fo-tografico della National Gallery di Lon-

GabrieleVenetoe un ritratto dimenticatodi Giovanni BelliniAntonio Mazzotta

dra e oggi conservato in una raccolta pri-vata, riassume entrambi questi aspetti.1 Èomesso dalla quasi totalità degli studi suGiovanni Bellini.2 E il ritrattato (identifi-cabile dalla scritta, in alto a sinistra, ver-gata in bei caratteri capitali dorati: “GA-BRIELI VENETO / EREMITICI ORDINIS GENE-RALI”, chiusa dalla firma dell’autore“IOANNES BELLINVS” e da una sorta di he-dera distinguens, fig. 3) è una figura sto-rica di grande levatura. Imbattendominella questione, ho subito pensato chefosse necessario raggruppare e addensarele poche e frammentarie informazioni in-torno alla prima e – per quanto mi risulta– unica effigie certa di questo personag-gio.Ma vorrei incominciare dalle qualità in-trinseche di questa piccola tavola, che sindal primo sguardo alla sua immagine inbianco e nero mi sono apparse altissime.3

Un frate a mezzobusto, di tre quarti, ha latesta allineata con la posizione del corpo,mentre gli occhi sono orientati verso lospazio dello spettatore, di cui però sfug-gono impercettibilmente lo sguardo. L’e-same diretto ha rivelato la presenza didiffuse ridipinture, che non hanno tutta-via intaccato la resa pittorica della super-ficie epidermica del volto, modulata dauna luce fusa e mobile proveniente da si-nistra, lievemente dall’alto. Grande è lacapacità dell’artista di far coesistere uncerto grado di idealizzazione con la psi-cologia del personaggio: un ‘obbiettivo’attento è riuscito a fissare un istante, re-stituendo un’atmosfera di sospensione eincertezza, nonostante il volto esprimagrande decisione. Tutti, questi, tratti vivinella ricerca poetica del vecchio Giovan-ni Bellini. L’alta tenuta qualitativa, unitaalla presenza della firma del pittore, nondovrebbe dunque far dubitare dell’auto-grafia; ma argomenterò più avanti le mieconvinzioni su attribuzione e cronologia.Il dipinto ha una provenienza interessan-te. Fino al 1962 era in Gran Bretagna,nella collezione Houstoun-Boswall.4 Masul retro della tavola si trova applicato uncartellino apparentemente ritagliato daun catalogo di un’imprecisata collezioneitaliana dell’Ottocento. Un’altra impor-tante opera si trovava fino al 1964 nellamedesima collezione britannica: il ‘Ri-tratto di giovane’ di Antonello da Messi-na, oggi al Museo Thyssen-Bornemiszadi Madrid.5 Anche questa tavola presentasul retro un ritaglio a stampa in italiano,evidentemente estratto dal medesimo ca-talogo. Grazie a questa coincidenza è sta-to possibile accertare che entrambi i di-pinti si trovavano a Venezia almeno finoal 1847, nella raccolta di Carlo Isidoro deRoner d’Ehrenwerth.6 Un fatto che rende2 [Saggi]

1. Giovanni Bellini: ‘Ritratto di uomo (‘PietroBembo’)’ (1505-1506 circa). Windsor, RoyalCollection.

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[Saggi] 3

2. Giovanni Bellini: ‘Ritratto di Gabriele Veneto(Gabriele Dalla Volta)’ (1498-1499 circa). Firenze,collezione privata.

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più verosimile l’ipotesi di un’originaledestinazione lagunare per entrambi.7

Ma veniamo all’iscrizione latina cheidentifica il personaggio ritratto da Belli-ni: “GABRIELI VENETO”, che è dativo di‘Gabriel Venetus’. Il senso restituito sa-rebbe quindi dedicatorio (“a Gabriele Ve-neto” o “per Gabriele Veneto”), a testi-monianza del fatto che il dipinto potreb-be essere un dono da parte del pittore.8

Gabriele Veneto non è altri che GabrieleDalla Volta, nato nel 1468, a Venezia, sesi vuole prestar fede al soprannome.9 L’i-dentificazione è confermata dalla secon-da riga dell’epigrafe: “EREMITICI ORDINIS

GENERALI”. Gabriele Veneto fu infatti ge-nerale dell’Ordine degli agostiniani ere-mitani per quasi vent’anni: fu nominatorettore vicario generale dell’Ordine il 23gennaio 1518 da Leone X, decisione rati-ficata dal capitolo generale tenuto a San-to Stefano a Venezia tra il 10 e l’11 giu-gno 1519.10 Il frate si trovò a guidare gliagostiniani nel momento estremamentedelicato della Riforma: è celebre l’incari-co papale del 3 febbraio 1518 a procede-re all’ammonimento di Lutero, che, inquanto agostiniano, doveva essere in teo-ria ancora sotto il controllo di Gabriele.Questi è riconfermato più volte – a Trevi-so nel 1526 e a Padova nel 1533 – nelruolo di generale sino alla morte, avve-nuta a Roma il 23 aprile 1537, dopo laquale fu insignito del titolo di beato.Stando alle parole di Luigi Torelli, papaPaolo III “per le sue rare virtù grande-mente amava” Gabriele.11

Non discuterò l’autenticità della pur bel-la, anche se ritoccata, iscrizione. Se fosseapocrifa, potrebbe essere stata ripresa dauna scritta più antica, o basarsi su unafonte tradizionale: tutte eventualità chenon ne muterebbero la valenza. Inoltre ilfatto che il nome del ritrattato sia in dati-vo pare una raffinatezza non consona auna falsificazione. Tuttavia, le due righesuperiori sono chiaramente in uno statodi conservazione differente da quella in-

feriore, dove si trova la firma del pittore,più consunta e leggermente più grandenelle dimensioni del carattere. La secon-da riga in particolare alimenta seri dubbi,poiché, come si è detto, Gabriele diventògenerale dell’Ordine nel 1518 (e poi uffi-cialmente nel 1519), quindi in ogni casodopo la morte di Giovanni Bellini, avve-nuta il 29 novembre 1516. Dunque, se sivuole sostenere l’attribuzione del dipintoa Bellini, ma anche e soprattutto l’identi-ficazione del ritrattato in Gabriele DallaVolta (che nel 1518 avrebbe avuto circacinquant’anni, assolutamente non dimo-strati dal personaggio effigiato), bisogne-rebbe considerare la seconda riga comeun intervento apocrifo – che ha compor-tato anche un ritoccamento della primariga – magari voluto dallo stesso DallaVolta per testimoniare la sua nomina agenerale. La stessa ipotesi fu formulatada Roberto Longhi, che sul retro di unafotografia del dipinto da lui possedutascrisse: “Il Gabriele da Volta Venetus, fugenerale dal 1519 al 1538 [...] da ciò sipuò indurre che la scritta relativa al gene-ralato fu aggiunta più tardi ad un ritrattodove Gabriele era ritratto già come ago-stiniano”.Sulla carriera ecclesiastica di GabrieleVeneto si è largamente scritto, ma sullasua dimensione di umanista e committen-te di imprese artistiche manca un’analisiorganica e adeguata. Mi vorrei sofferma-re proprio su questi aspetti che, oltre adaprire possibilità di studio sulla naturadel legame tra Gabriele Dalla Volta eGiovanni Bellini, contribuiscono a esten-dere il panorama dei rapporti dell’agosti-niano, e quindi anche dello stesso Bellini,con Venezia.12

Fin dal noviziato, nella Padova sul finiredegli anni ottanta del Quattrocento, Ga-briele fu amico e forse anche maestro delgrande umanista agostiniano Egidio An-tonini da Viterbo, generale dell’Ordinedal 1506 e quindi nominato nel 1517 car-dinale da Leone X, aprendo così la stradaa Gabriele. In un’edizione del 1493 dellaFisica di Aristotele commentata da Egi-dio Romano, Egidio da Viterbo affermache il lavoro è stato incoraggiato da unodei suoi insegnanti: Gabriele Dalla Volta.Il loro rapporto rimarrà intenso e saldo(Egidio faceva spesso affidamento su Ga-briele per procurarsi a Venezia testi grecie di esegesi ebraica) fino alla morte diEgidio, nel 1532.13 Il teologo viterbesedoveva avere trovato in Gabriele, oltreche un amico, un fine e colto interlocuto-re: infatti già nel 1494 è promosso a let-tore, nel 1495 è inviato dall’allora gene-rale degli agostiniani Anselmo da Monte-falco a insegnare a Siena, mentre nel4 [Saggi]

3. Giovanni Bellini: ‘Ritratto di Gabriele Veneto(Gabriele Dalla Volta)’ (particolare). Collezione privata.

4. Luca Pacioli, Euclidis megarensis, philosophiacutissimi..., Paganino Paganini, Venezia 1509,p. 31.

5. Luca Pacioli, Euclidis megarensis, philosophiacutissimi..., Paganino Paganini, Venezia 1509,p. 31v (particolare).

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1497 è menzionato con il titolo di “Magi-ster Theologus”.14

L’11 agosto 1508 a Rialto, nella chiesa diSan Bortolomio, con le ante d’organo diSebastiano Luciani (non ancora delPiombo) in fase di installazione e, a po-chi passi, sulle pareti esterne del Fondacodei Tedeschi le prime tracce della grandeimpresa decorativa di Giorgione e Tizia-no, Luca Pacioli – a Venezia per stampa-re il De divina proportione – legge la ce-lebre prolusione al quinto libro degli Ele-menti di Euclide. Un anno più tardi, allafine del quarto libro di un’edizione diEuclide, elencherà (quasi ostentandoli)gli uomini illustri presenti alla sua lezio-

ne (figg. 4-5), fornendo così una sorta di‘chi è chi’ dell’élite culturale a Venezia inquel momento irripetibile: “Gabriel Ve-netus” è posto per primo tra i “ReverendiSacre Theologie Professores”.15 Impres-sionante ed eterogeneo l’uditorio, da Ma-rin Sanudo ad Aldo Manuzio, a BernardoBembo, a Fra’ Giocondo, a Pietro Lom-bardo ...Gabriele Dalla Volta era proprio nel cuo-re di questo mondo. Non si dimentichiche Erasmo da Rotterdam si trovava a Ve-nezia nell’estate del 1508 per seguire l’e-dizione aldina dei suoi Adagia.16 EssendoErasmo un frate dell’Ordine di Sant’A-gostino, e visti i rapporti che proprio nel

1508 intercorrevano tra Dalla Volta e Al-do Manuzio, non pare impossibile che siaavvenuto un incontro anche tra i due ago-stiniani, tra l’altro pressoché coetanei.17

Va ricordato che pure Gabriele in quelfrangente era impegnato nel campo edito-riale: curò e finanziò infatti un volumesulle Costituzioni di Ratisbona, arricchi-te dall’aggiunta di un Cerimoniale, anda-to alle stampe a Venezia il 10 novembre1508 per i tipi di Gregorio de’ Gregori.18

Ma quali possono essere le vie (o, me-glio, le calli) che condussero GabrieleDalla Volta a Giovanni Bellini, e che fe-cero sì che i due diventassero amici, agiudicare dal tono dedicatorio della scrit-ta sul ritratto? A riguardo, non si può pre-scindere dal considerare il lungo sodali-zio che legò Gabriele a Pietro Bembo,pure veneziano e della sua stessa genera-zione.19 Esiste un fitto carteggio tra i due,che va dal 13 settembre 1520 al 27 gen-naio 1535, in cui Pietro spesso chiamal’amico “mio caro e buono e dolcissi-mo”.20 Ma la loro conoscenza risalivaprobabilmente alla giovinezza, ovvero aquando Pietro risiedeva ancora a Venezia,prima del maggio 1506. È risaputo cheBembo, prima di lasciare la laguna, eraentrato in stretti rapporti con GiovanniBellini. Grazie a Marcantonio Michiel sisa che nella collezione padovana di Bem-bo esistevano varie opere di Jacopo Bel-lini, a dimostrare una consuetudine dilunga data tra le due famiglie.21 Per nonparlare del perduto ritratto di Giovanni

[Saggi] 56. Portale al centro dell’abside (1526). Venezia, SantoStefano.

7. Impresa di Gabriele Dalla Volta sopra il portale dellasacrestia nuova (o maggiore). Venezia, Santo Stefano.

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golare dipintore il più ritrarre si facciadel naturale ciascuno in una tavoletta dipari ampiezza e qualità; da l’uno de’ can-ti con lettere, che semplicemente il loronome rendino a gli leggenti; dall’altro vipongano una loro particolare impresa; equeste tavolette, tutte insieme poste aguisa di libbro, diligentemente si serbinoa lunga memoria de gli aspetti e delle co-noscenze loro”. È interessante al riguardoche il presunto ritratto di Bembo e quellodi Gabriele Veneto siano entrambi di pic-cole dimensioni, tanto da far venire inmente proprio le “tavolette, tutte insiemeposte a guisa di libbro”.27 Si noti poi chenel ritratto del frate agostiniano in “unode’ canti” compaiono proprio quelle “let-tere” che il “nome rendino a gli leggen-ti”. Si possono dunque comprendere lepeculiari caratteristiche – anche epigrafi-che – del ritratto di Gabriele Veneto sola-mente tenendo presente che il ritrattatoera probabilmente influenzato dalle stes-se prerogative e istanze culturali che sta-vano alla base della “Compagnia degliAmici”. È curioso che tutti i membri del-la “Compagnia” ormai sciolta, meno Pie-tro Bembo (già a Urbino), fossero pre-senti – quasi una rimpatriata – alla sopra

Bellini di una “innamorata” di Bembo,probabilmente Maria Savorgnan, celebra-to da due sonetti dello stesso poeta chedefinisce il pittore “il mio Bellin”.22 Tra il1505 e il 1506 Bembo era impegnato afare da intermediario tra la marchesa diMantova, Isabella d’Este, e Bellini.23 E seBembo avesse fatto anche da tramite,qualche anno prima, tra Bellini e DallaVolta? Si è poi spesso parlato in passato,sulla scorta di un malinteso di Ridolfi, diun ritratto di Pietro Bembo di mano diBellini, del quale purtroppo non esisteuna prova oggettiva.24 Nella Royal Col-lection britannica esiste un ritratto firma-to da Giovanni Bellini che si è spesso vo-luto identificare in Pietro Bembo (fig. 1):un’ipotesi affascinante e anche plausibi-le, ma finora non dimostrabile.25

Bembo era membro, insieme a NicolòTiepolo, Vincenzo Quirini e TommasoGiustiniani, di una sorta di confraternitachiamata “Compagnia degli Amici”, laquale si era data delle leggi.26 In una diqueste si afferma che “per mano di sin-

citata prolusione di Pacioli in San Borto-lomio nel 1508.A Venezia Gabriele Dalla Volta era forte-mente legato al convento agostiniano del-la chiesa di Santo Stefano, dove è sepol-to. Qui lasciò segni esteriori profondiesercitando – forse addirittura in primapersona – l’attività di architetto e finan-ziando molte ristrutturazioni.28 Il genera-le dell’Ordine, nel quale erano fermenta-te le idee di Lutero, si sentì forse incapa-ce di arginare il fenomeno storico; ver-rebbe quindi da interpretare la sua inces-sante attività ristrutturatrice a Santo Ste-fano come un tentativo di isolarsi in unanicchia dai tumulti della Riforma.29 CheGabriele fosse appassionato di architettu-ra si evince dalle parole elogiative diBembo, che in una lettera lo definisce“perito e diligente e animoso architetto”,anche se poi in un momento di irritazio-ne giudica (con ironia, visto che qualcheanno prima l’aveva esaltata in un’episto-la) “sproporzionata” la sacrestia nuova, omaggiore, finanziata e progettata proprioda Gabriele e completata nel 1525, cometestimonia l’iscrizione in caratteri capita-li sull’architrave interno della porta mar-morea.30 Del 1526 è invece il bel portale6 [Saggi]

8. Giovanni Bellini: ‘Sacra Conversazione’ Giovanelli(1501 circa). Venezia, Gallerie dell’Accademia.

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che avviluppandosi su sé stesso si mordela coda (fig. 7). Questo mostro comparesotto varie forme, in diversi materiali(scolpito nel marmo, intagliato nel legno,in metallo), fuori e dentro la chiesa (e an-che nel chiostro). Giuseppe Tassini se-gnala che a questa impresa si associava ilmotto “volvitur ut serpens, sic frangiturasper echinus”.36 Naturalmente, in perfet-to stile bembesco, numerosi sono i giochidi parole e le allusioni, dall’assonanza di

“volvitur” con “Dalla Volta”, al doppiosignificato latino di “echinus”, che oltrericcio vuol dire anche echino, ovvero l’e-lemento che insieme all’abaco forma labase del capitello. “Frangitur asper echi-nus” rimanderebbe quindi anche all’atti-vità di architetto di Gabriele.37 Questomotto pare parzialmente tratto da un pro-verbio degli Adagia di Erasmo (noti a Ve-nezia soprattutto grazie alla già citataedizione aldina del 1508), che recita:

[Saggi] 7

al centro dell’abside: anch’esso ha l’ar-chitrave fregiato da un’iscrizione ed è in-corniciato da elementi in stile lombarde-sco, forse provenienti dal recinto marmo-reo del coro demolito nel Seicento (fig.6).31

Ma l’intervento più importante di Ga-briele fu la riedificazione di un vastochiostro (all’epoca chiamato “inchiostrodei morti”) a seguito del grave incendioche nel 1529 aveva distrutto buona partedel convento. Sull’architrave sopra il co-lonnato, in uno dei lati interni del cortiledel chiostro, corre una lunga iscrizionecelebrativa datata 1532, questa volta sug-gerita direttamente da Pietro Bembo.32

Sulle pareti soprastanti questa epigrafestavano fino a non molti anni fa alcuniaffreschi (i pochi e danneggiati frammen-ti superstiti sono stati staccati nel 1963-1964 e sono oggi conservati tra la Ca’d’Oro e Palazzo Ducale) di Giovanni An-tonio da Pordenone con ‘Storie dell’Anti-co e del Nuovo Testamento’, la cui esecu-zione è di solito collocata poco dopo il1532: è quindi altamente probabile che illoro committente sia stato proprio Ga-briele.33 E se così fosse, la scelta di Por-denone per un’impresa artistica di impor-tanza pubblica da parte di Gabriele Vene-to non fu casuale, ma, come mi suggeri-sce Giovanni Agosti, va inserita in unatendenza di gusto viva nel quarto decen-nio del Cinquecento a Venezia, secondola quale una certa committenza autoctonaprediligeva Giovanni Antonio rispetto alrivale Tiziano. Carlo Dionisotti ha infattiinsistito su come “a Venezia, in quel girodi anni, gli uomini più vicini a Tiziano,letterati e artisti, l’Aretino, il Sansovino,il Serlio, fossero tutti immigrati di prove-nienza lontana, e veneto invece, di prove-nienza vicina, fosse il maggiore dei pitto-ri rivali, il Pordenone”, e che “esiste unaabbondante e autorevole documentazioneletteraria della preferenza o dell’ammira-zione accordata in zona veneta al Porde-none, durante la vita di lui e anche dopo,negli anni ’40”.34 Ma d’altro canto è statoanche detto che “la decorazione del chio-stro di Santo Stefano è certamente legataad un’esperienza religiosa particolare, erappresenta un’ulteriore prova dell’impe-gno dell’artista per ordini religiosi comel’agostiniano, che aveva motivi ben com-prensibili per operare ai fini di una con-ciliazione col mondo protestante”.35 Que-ste possibilità non si escludono a vicen-da, ed entrambe si conciliano bene con itratti individuali di Gabriele Dalla Volta.Ogni intervento di Gabriele Veneto aSanto Stefano è marchiato – quasi osses-sivamente – dalla sua personale impresa:un serpente alato, simile a un basilisco,

9. Giovanni Bellini: ‘San Domenico’ (1501). Denver,collezione privata.

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Fletcher mi ha suggerito che il dipintonominato da Ridolfi, la cui descrizioneestremamente dettagliata pare frutto diuna visione dal vero, potrebbe coinciderecon il “chadro de la figura de Christo fat-to per ser Zuhan Beli(n) el qual constòducati 50”, che Giuliano Zancaruol donòa Santo Stefano per testamento (esecuto-ri, tra gli altri, la moglie Maria Morosinie il cognato Alvise Morosini) del 16 feb-braio 1515 (o 1516). Zancaruol vorrebbeche “sia posto i(n) la giexia dove serà me-so el corpo mio et quelo tegnir a memo-ria mia”.42 Se fosse davvero questo il “do-no à Padri di Santo Stefano” visto da Ri-dolfi, si tratterebbe pur sempre di un “do-no”, ma non più da parte del pittore (tral’altro ancora in vita all’epoca del testa-mento, febbraio 1515 se more veneto,1516 se stile comune), bensì di un devo-to. Tuttavia nel 1554 il ‘Cristo’ di Gio-

“Totus echinus asper”.38

Per quanto si sa, Giovanni Bellini non la-vorò mai per il convento agostiniano diSanto Stefano; ma esiste la testimonianzadi un legame, seppur esile, tra il pittore ei frati: secondo Carlo Ridolfi, Bellini “fe-ce dono à Padri di Santo Stefano d’unaeffigie del Salvatore in atto di benedirerarissimo per la divozione e per la dili-genza usatavi annoverandovisi ogni mi-nuto pelo & esprimendovisi ogni partico-lare sentimento del volto”.39 Quest’operaè stata talvolta riconosciuta nel giovanile‘Cristo benedicente’ del Louvre,40 ma an-che nel più tardo dipinto con il medesimosoggetto che oggi è al Kimbell Art Mu-seum di Fort Worth (fig. 14).41 Jennifer

vanni Bellini era ancora in casa Morosi-ni, tanto che i giudici intimarono alla fa-miglia di consegnare al più presto il di-pinto al convento, in ossequio al testa-mento di Zancaruol. Se davvero di lì apoco l’opera giunse a Santo Stefano, c’èda pensare che la dinamica dell’atto do-nativo fosse rimasta viva nell’immagina-rio dei frati per poco meno di un secolo,fino al tempo di Ridolfi; ma non così l’i-dentità del suo artefice, anche perchéprobabilmente la tomba di Zancaruol(che avrebbe voluto “una bela sepulturacon el coverchio de marmoro [...] fattaper maistro Tulio Lo(m)bardo mio com-pare. E se lui no(n) fose, per suo fratellomaystro Anttonio i quali sono mei cariamizi et fradelli”) non fu mai realizzata(già nel Seicento non se ne trova infattitraccia o testimonianza).43 Il ‘Cristo’ diBellini non verrà tuttavia ricordato dafonti successive a Ridolfi, e nemmenodalle Memorie manoscritte di padre Ago-stino Nicolai, che risalgono alla metà delSettecento.44

Nicolai parla invece della tomba di Ga-briele Veneto in questi termini: all’“altardell’Arcangelo Gabriello [...] bell’altaredi pietra di mediocre grandezza nel murodirimpetto alla porta [della sacrestia nuo-va], che dà il passo nella chiesa, dedicatoall’Arcangelo Gabriello, di cui portava ilnome; e il quadro in esso collocato, fu di-pinto da eccellente mano fiamminga, chein oggi non si vede intieramente a cagio-ne, che viene occupata la metà di esso dauna custodia per le sante reliquie, fatta dimarmo [...]. Le due figure laterali di finomarmo cioe S. Antonio, e S. Gio(vanni)Battista furono effigiate dal famoso scul-tor Pietro Lombardo. Or siccome tanto ilPr(ior)e M(aest)ro dalla Volta suddetto,quanto Leonardo suo fratel carnale, am-bidue insigni benefattori di questo con-vento, bramavano di aver quivi ciasche-duno la sua tomba, così di buona voglia iPadri, a riflesso delle loro benemerenze,con proposta capitolare e rogito di notarone diedero il consenso”.45

Oggi in Santo Stefano rimangono nume-rose opere riferibili ai Lombardo e allaloro bottega; e non è detto che Gabrielenon sia stato tra i promotori dell’intensaattività della famiglia di scultori per ilconvento. Vale quindi la pena ricordareche, insieme a Gabriele, alla lezione diPacioli c’era anche “Petrus Lombardus”,considerato tra i “clari” per le sue com-petenze architettoniche. Inutile poi riba-dire le numerose connessioni, artistiche eno, esistenti tra i Lombardo e GiovanniBellini.46

Un ulteriore motivo di avvicinamento traDalla Volta e Bellini potrebbe essere il le-8 [Saggi]

10. Giovanni Bellini: ‘Sacra Conversazione’ Giovanelli(particolare). Venezia, Gallerie dell’Accademia.

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game della famiglia Loredan di SantoStefano con il convento. Palazzo Lore-dan, oggi sede dell’Istituto Veneto diScienze, Lettere ed Arti, è situato proprioin campo Santo Stefano, e sempre Ridol-fi informa che “in casa Loredana di San-to Stefano conservasi il ritratto del DogeLeonardo Loredano posto à sedere ad untavolino e due suoi figliuoli & altri dellafamiglia intorno, che sono figure moltovivaci”. Questo dipinto, datato 1507 epurtroppo tanto rovinato da essere quasiingiudicabile, si trova oggi alla Gemälde-galerie di Berlino.47 Ma Leonardo Lore-dan si era già fatto ritrarre da GiovanniBellini subito dopo la sua elezione a do-ge, avvenuta il 2 ottobre 1501: il risultatoè naturalmente il capolavoro della Natio-nal Gallery di Londra (fig. 20), di cui si èspesso enfatizzata la natura non ufficiale,e quindi una probabile destinazione pri-vata, nel palazzo di famiglia.48 Che dun-que la famiglia Loredan di Santo Stefanoabbia giocato qualche ruolo nel rapportoDalla Volta-Bellini (o viceversa)?In ultimo, non andrebbe trascurato il fat-to che fin dalla giovinezza Giovanni Bel-lini aveva lavorato in diverse occasioniper l’importante chiesa agostiniana diSanta Maria della Carità e che dunque ilrapporto con il frate di Santo Stefano vainserito nel contesto di una duratura (maipropriamente considerata dagli studi) at-tività del pittore al servizio degli agosti-niani eremitani di Venezia.49

Appurato che Gabriele era un intellettua-le di primo livello, un umanista, un com-mittente delle arti e persino in un certosenso lui stesso un artista (in quanto ar-chitetto), appare strano che non esistanoaltre opere (dipinti, ma anche medaglie obusti scultorei) che registrino le sue fat-tezze. Sono conservate infatti varie effigidel suo predecessore al generalato, Egi-dio da Viterbo, e anche del suo – non im-mediato – successore, Girolamo Seripan-do (entrambi però diventarono anche car-dinali).50

Al riguardo vorrei porre l’attenzione sul-le somiglianze singolari tra il GabrieleVeneto raffigurato nella tavola in colle-zione privata e due personaggi che com-paiono in altrettante opere: analogie im-possibili da verificare ma di notevole fa-scino. Il rischio, in questo caso, è di co-struire un discorso su un terreno cedevo-le: tuttavia non si vuole assolutamentedare nulla per certo, ma solamente regi-strare impressioni personali, in modo cheentrino nel dibattito su opere assai note.La prima analogia è emersa osservando –per l’ennesima volta – l’‘Ultima predicadi San Marco nella piazza di Alessandria’alla Pinacoteca di Brera, che può essere

considerata, proprio come la contempo-ranea lista di Pacioli, un ‘chi è chi’ – main questo caso visivo – della Venezia deiprimissimi anni del Cinquecento. Tra gliastanti dietro la cattedra di San Marco,vicino allo scriba che stende il discorsodi commiato dell’evangelista, si scorgeun personaggio, l’unico in veste di frate,peraltro compatibile con l’abito agosti-niano: è stringente la sua somiglianzacon Gabriele Veneto (fig. 12). Oltre al-l’impressione generale, molti i dettagli incomune: la forma del cranio, le arcate so-pracciliari, il rapporto tra naso e bocca, lazona inferiore delle labbra. Poche invecele differenze, soprattutto date dal diversoorientamento della testa (che metterebbein evidenza la curvatura del naso), ma an-che dall’avanzamento di età: l’uomo del

telero di Brera pare essere più vecchio dicinque-dieci anni (sembrerebbe averesuppergiù quarant’anni), e gli effetti deltempo si individuano chiaramente nellacalvizie più avanzata (l’isola di capellinella zona frontale della testa è sparita).51

Si sa che il telero destinato alla ScuolaGrande di San Marco fu commissionato aGentile Bellini nel 1504 e che Gentile,sentendo la morte avvicinarsi, chiese nelsuo testamento del 18 febbraio 1507 alfratello Giovanni di continuare l’opera, incambio dell’album di disegni del padreJacopo che si trova oggi al British Mu-seum. Gentile morì il 23 febbraio e Gio-vanni acconsentì al compito il 7 marzo.Oggi la critica è incline a individuare lamano di Giovanni in molti dei numerosi erealistici ritratti che caratterizzano il pub-

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11. Giovanni Bellini: ‘Ritratto di Gabriele Veneto(Gabriele Dalla Volta)’ (particolare). Collezione privata.

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blico in primo piano.52 Se dunque volessi-mo ammettere che ci si trovi di fronte al-la stessa persona, sarebbe in sostanza an-che lo stesso pittore ad averla ritratta. Aquesto punto sono inevitabili questioni dicronologia. Giovanni Bellini intervienesul telero cominciato dal fratello nel1507 e ci si aspetterebbe che lo completinon troppo in là rispetto a questa data,magari entro il 1510 (è un pittore – a dif-ferenza per esempio del cognato Mante-gna – di solito piuttosto rapido). Si avreb-

be quindi un altro ritratto di Gabriele Ve-neto risalente al periodo intorno al 1507-1510 circa, quando aveva tra i trentanovee i quarantadue anni.Una seconda somiglianza, ugualmenteinteressante, è riscontrabile con l’uomocon la viola nel cosiddetto ‘Concerto dispinetta’ di Palazzo Pitti (fig. 13).53 An-che qui esistono piccole differenze neidettagli, ma l’impressione generale è lamedesima: si guardi ad esempio il carat-teristico angolo del sopracciglio, ma so-prattutto l’impronta dello sguardo, il mo-do di porsi e anche l’espressione dellabocca. Anche qui il soggetto pare un po’più attempato, direi all’incirca di dieci-dodici anni (e anche in questo caso l’iso-la di capelli è sparita). Ridolfi vide il di-pinto di Palazzo Pitti quando ancora era aVenezia, nella collezione del fiorentinoPaolo del Sera, e, discorrendo dei ritratti(da lui creduti) di Giorgione, lo descrissecosì: “Tre ne fece ancora in una medesi-ma tela”, “quel di mezo è d’un Frate Ago-stiniano, che suona con molta gratia ilclavicembalo e mira un altro Frate di Fac-cia carnosa col rochetto e la mantellinanera, che tiene la viuola; dall’altra parte èun giovanetto molto vivace con berrettain capo e fiocco di bianche piume. Qualiper la morbidezza del colorito. Per lamaestria & artificio usatovi vengono ri-putati de i migliori dell’Autore”.54 Oggi ilquadro è unanimemente consideratoun’opera giovanile di Tiziano, ma è statooggetto di numerosissime interpretazionie anche tentativi di identificazione deidue personaggi di destra, dei quali non siè mai messa in discussione la natura ri-trattistica.55 Un restauro del 1976 ha rive-lato che il colore originale della veste an-nerita dal tempo (della quale peraltro siintravede uscire dai polsini l’interno dipelliccia) del “Frate Agostiniano, chesuona con molta gratia il clavicembalo”non è in verità nero, ma blu scuro: non sitratterebbe quindi più di un religioso ago-stiniano. Ma il “Frate di Faccia carnosacol rochetto e la mantellina nera” può be-nissimo rimanere tale. Se poi si pensa almetodo di indagine di Ridolfi, basato so-prattutto su tradizioni orali (spesso dis-torte dal tempo), l’affermazione che sitratti di due agostiniani suona sospetta:gli abiti neri – e nel caso del personaggiodi destra, su veste bianca – potrebberobenissimo essere interpretati, ad esem-pio, come di frati domenicani. Verrebbe aquesto punto da pensare che Ridolfiavesse ripreso un’identificazione tradi-zionale in frate agostiniano del personag-gio di destra, che, a causa di un possibileprecoce annerimento della veste del suo-natore di spinetta, si era estesa anche nei10 [Saggi]

12. Gentile e Giovanni Bellini: ‘Ultima predica diSan Marco nella piazza di Alessandria’ (particolare)(1504-1510 circa). Milano, Pinacoteca di Brera.

13. Tiziano: ‘Concerto di spinetta’ (1511-1512 circa).Firenze, Palazzo Pitti.

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[Saggi] 1114. Giovanni Bellini: ‘Cristo risorto benedicente’(1498-1499 circa). Fort Worth, Kimbell Art Museum.

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15. Giorgione: ‘Le treetà’ (1500-1501 circa).Firenze, Palazzo Pitti.

16. Giorgione?:‘Concerto a quattro’(1498-1499 circa).Windsor, RoyalCollection.

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confronti di quest’ultimo. E sarà ancheutile ricordare che dalla fine del Seicentoil dipinto, quando era già entrato nellecollezioni medicee, era definito – quasiuna beffa per Gabriele – come “Lutero,Calvino e la Monaca”: una forzatura in-terpretativa generata forse da una veritàdi origine agostiniana, e forse anche dal-la nota passione di Lutero per la musica.56

Se si considera poi la cronologia del di-pinto di Palazzo Pitti (di solito collocatointorno al 1511-1512 circa), l’età dimo-strata dal religioso (direi sui quaranta-quarantacinque anni) si accorda bene conla data di nascita di Gabriele Veneto(1468). Se davvero dunque l’uomo con laviola fosse lui, emergerebbe un ulterioreaspetto della sua variegata personalità diumanista, in questo caso dedito alla mu-sica. E allora si aprirebbero ulteriori in-terrogativi sul celebre ‘Concerto’: chi èl’uomo alla spinetta? Mi pare che in me-rito sia utile e ragionevole considerarel’affascinante e celebre figura di LorenzoGusnasco da Pavia, musicista e liutaiospecializzato in strumenti a tastiera, acorda e a fiato. Nato forse tra il 1470 e il1475 (si noti a riguardo che nel dipinto lafigura al centro sembra dimostrare tren-tacinque-quarant’anni), soggiornò a Ve-nezia da poco prima il 1494 al 1515,quando si trasferì a Mantova, per moriredue anni più tardi, forse per un attacco diquella malaria da cui fu perseguitato perquasi tutta la vita. È celebre soprattuttoper l’attività di agente a caccia di opered’arte per Isabella d’Este, descritta dallaloro corrispondenza, in cui si intuisce cheLorenzo aveva occhio e sensibilità per lapittura; a Venezia fu inoltre amico di Gio-vanni Bellini, Aldo Manuzio e PietroBembo (al quale diede nel marzo 1510una viola da portare a Urbino a EleonoraGonzaga). Più tardi, nel 1514, costruì perLeone X un clavicembalo, fregiato daversi composti da Andrea Navagero eGiovanni Augurello.57 Non irrilevante poiè il fatto che anche Lorenzo figurasse tragli illustri presenti alla lezione di Pacioli.Naturalmente l’idea che egli possa esserel’uomo alla spinetta è una pura ipotesi,che per stare in piedi andrà prima o poiprovata ma che, fino a prova contraria, vaalmeno introdotta nel discorso. Che rap-porto avrebbe quindi con l’agostinianocon la viola (dunque con Gabriele Vene-to, se si vuole credere in questa identifi-cazione) e, di conseguenza, che signifi-cato assumerebbe il dipinto? PotrebbeGabriele Veneto esserne il committente,come dono – lo sguardo rivolto all’uomoalla spinetta sembra in effetti esprimeregratitudine – in cambio della viola cheimpugna? E chi sarebbe allora la terza fi-

gura sulla sinistra, un ragazzo di poco piùdi vent’anni, così estraneo alle intime di-namiche che intercorrono tra i due? For-se l’autore del dipinto?Ora preme collocare il ritratto di Gabrie-le Veneto in un momento preciso dellacarriera di Giovanni Bellini e utilizzarlocome un nuovo tassello nel quadro inter-pretativo della sua attività, soprattutto ri-trattistica, a cavallo dei due secoli. Co-minciando infatti da presupposti ‘biolo-gici’, Gabriele sembra avere nel dipintoun’età che si aggira intorno ai trenta-tren-tacinque anni: e, volendo seguire questoinaffidabile criterio di datazione, il ven-taglio cronologico del dipinto andrebbedal 1498 al 1503. Un’approssimazione dicinque anni potrebbe andare bene in altrecircostanze o periodi della carriera di unartista, ma in questo preciso momentodella vita di Giovanni Bellini ogni anno –o addirittura ogni mese – ha un peso no-tevolissimo. È possibile quindi tentare dicollocare il ritratto in maniera più esatta

su basi stilistiche, attraverso una ricogni-zione di ciò che si sa di certo su questogiro di anni. Tuttavia mancano quasi deltutto opere di Giovanni Bellini databilicon sicurezza all’ultimo decennio delQuattrocento. In questo periodo l’artistaera principalmente impegnato, con l’aiu-to di numerosi altri pittori, nella decora-zione della Sala del Maggior Consiglio inPalazzo Ducale a Venezia, distrutta nel-l’incendio del 1577.58

Nella primavera del 1498 fu allestita unasorta di mostra-dossier nel Castello diMantova, con “certi belli retracti de manede Zoanne Bellino” posti accanto, per“comparatione”, al ritratto di Cecilia Gal-lerani di Leonardo: la celebre ‘Dama conl’ermellino’ di Cracovia. Non si sa diquali ritratti di Bellini si trattasse: ma sipuò immaginare fossero di tradizionefiammingo-antonellesca, con la classicaimpostazione di tre quarti, della tipolo-gia, per esempio, del pur bellissimo ‘Ri-tratto di giovane’ di Washington.59 E chis-sà allora i commenti scaturiti dall’impie-

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17. Giorgione: ‘Ritratto di Francesco Maria I DellaRovere’ (1498-1499 circa). Vienna, KunsthistorischesMuseum.

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18. Giorgione: ‘Ritratto di Francesco Maria I Della Rovere’(particolare). Vienna, Kunsthistorisches Museum.

toso paragone tra la loro staticità e il vol-tarsi della Gallerani ...60

Il 1498 è anche l’anno in cui infiltrazionileonardesche giungono a Venezia conl’attività di Marco d’Oggiono al serviziodella Scuola di Sant’Ambrogio, ai Frari(oltre alle ben note presenze in città diAndrea Solario e Giovanni Agostino daLodi).61 Ma è stato anche ipotizzato chelo stesso Leonardo si sia recato in lagunain un’occasione precedente a quella do-

cumentata nel marzo-aprile del 1500.62

La critica ha – dal celebre passo di Vasa-ri in poi – affermato che l’incontro con ilmondo di Leonardo ha avuto ebbe forticonseguenze su Giorgione. Ed è proprioil Giorgione uscito da questa congiunturache Bellini osserva attentamente e che èin grado di assorbire. Secondo Ballarin“nasce ora una ritrattistica [...] fortemen-te idealizzata ed emblematica, che piùnulla ha a che vedere con il ritratto reali-stico di Antonello, Bellini, Vivarini, Car-paccio”.63 Ma tra questi (Antonello eramorto nel 1479) il solo Bellini riesce acapire e interpretare questa rivoluzione.

E il ritratto di Gabriele Veneto non puòrientrare nella categoria del “ritratto rea-listico”, ma è figlio di questa congiuntu-ra degli ultimi anni del Quattrocento. Sa-rebbe altrimenti difficile spiegare la fortecarica psicologica e l’impostazione ritrat-tistica antitradizionale del ‘Gabriele Ve-neto’, con quell’idea stupenda del trequarti scompaginato, con la linea di con-torno dello zigomo e della guancia che sistaglia nell’ombra, invece che nella luce,mantenuta da sinistra nonostante il ribal-tamento formale. Ed è sottile il modo incui il pittore restituisce l’atmosfera di unmomento sospeso nel tempo, tanto dasuggerire quelle che Walter Pater nel suoThe School of Giorgione ha definito “ex-quisite pauses in time”.64 Forse qui Belli-ni, di fronte a un uomo ‘nuovo’ come Ga-briele Veneto, ha sentito la necessità diaprirsi alle “nuove istanze poetiche, inte-riori e private, della cerchia di PietroBembo”,65 ma nonostante l’evidente sfor-zo di aggiornamento è rimasto comunquefedele a sé stesso.All’aprirsi del secolo Giovanni Bellini,forse sgravato dagli impegni di PalazzoDucale, riprende a pieno regime la pittu-ra di grandi pale, una delle sue specialitàfin dalla giovinezza. Poco dopo il 26 no-vembre 1500 avvia il progetto del ‘Batte-simo di Cristo’ per Santa Corona a Vi-cenza, probabilmente eseguito lungo ilcorso del 1501 e che si sa essere già alsuo posto nel 1502.66 Che qui ci si trovi aun punto di rottura, una fase intrisa dinuovi stimoli e pensieri, è stato segnalatoin moltissime occasioni, ma il commentodi Boschini sulla pala rimane sempre ilpiù acuto: “così fresca di colorito, e tene-rezza di carne impastata, che pare di ma-no di Giorgione suo Scolare: ma perchévi si vede scritto il nome di Gio:Bellino,così bisogna dire”.67 Sul finire del 1500Bellini sembra quindi già in pieno dialo-go con l’allievo Giorgione. Ma quandoha inizio esattamente questo commoven-te dare e avere tra vecchio e nuovo, giàmaturo e sviluppato nel ‘Battesimo’ diSanta Corona? Quali sono i veri tempi direazione di Giovanni Bellini all’arte diGiorgione? Bisognerà probabilmente ri-salire fino agli ultimissimi anni del Quat-trocento, diciamo al 1498-1499. E il ri-tratto di Gabriele Veneto incarna perfetta-mente il problema di dove collocare leprime avvisaglie giorgionesche nell’artedi Bellini, che starebbero a monte diqualche anno rispetto al ‘Battesimo’, do-ve il contatto è già avviato.68

Un’opera che ha un forte legame con lapala di Vicenza, ma che forse la precededi qualche anno, è il già menzionato ‘Cri-sto benedicente’ di Fort Worth (fig. 14).

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Il volto, quasi gemello del Cristo di Vi-cenza, ha però una tenuta disegnativa piùquattrocentesca, che è riscontrabile anchenel ‘Gabriele Veneto’.69 Si noti poi che losguardo del ‘Cristo’ del Kimbell è di na-tura molto simile a quello del frate: occhiche, pur orientati nello spazio dello spet-tatore, lo attraversano senza posarsi su unpunto fisso, contribuendo a creare un’at-mosfera sospesa. Ma provo ad andareavanti attraverso i pochi dati certi che for-tunatamente si hanno a disposizione perquesto giro di anni.Il 3 agosto 1501, stando alle parole di Lo-renzo da Pavia, che solo un anno primaelogiava il cartone con il ‘Ritratto di Isa-bella d’Este’ di Leonardo, Giovanni Bel-lini ha appena “finito una meza figura deSan Domenicho ch’è asai bela su un qua-dreto picolo”, dipinta per “el signore donAlfonso”.70 Se quest’opera è davvero, co-me nulla impedisce di affermare, la pic-cola tavola oggi in una collezione privatadi Denver (fig. 9) – già avvicinata da Ro-bertson, su basi stilistiche, al ‘Battesimo’di Santa Corona –, si può dire che il set-tantenne Bellini stia a questo punto giàsperimentando appieno il nuovo corso,adattandosi mirabilmente alle esigenze‘di grido’ del venticinquenne Alfonsod’Este, per il quale tredici anni più tardidipingerà il ‘Festino degli dèi’ di Was-hington.71 Il confronto pur calzante tra il‘Gabriele Veneto’ e il ‘San Domenico’del 1501 è utile per portare la datazionedel primo indietro di un paio d’anni ri-spetto al secondo, anche se simile è il di-gradare ‘tonale’ della luce in ombra lu-cente che si nota sulle loro teste. Un’ope-ra di Giovanni Bellini che mi sembra vi-cinissima al ‘San Domenico’, quasi dacredere che sia stata dipinta negli stessimesi, è la ‘Sacra Conversazione’ Giova-nelli delle Gallerie dell’Accademia di Ve-nezia (fig. 8). I paesaggi con quell’oriz-zonte alto, le nubi vaporose e le vette az-zurrine che sfiorano il cielo, sembrano lacontinuazione l’uno dell’altro, e il ‘SanDomenico’ quasi un protagonista rubatoalla ‘Sacra Conversazione’; persino ilparapetto è identico. Sarà interessante al-lora osservare come anche nel dipintodell’Accademia si trovino agganci stili-stici con il ‘Gabriele Veneto’: ad esempiola somiglianza fisiognomica e di impo-stazione spaziale della testa di Gabrielecon quella della santa a destra nella ‘Sa-cra Conversazione’, tanto che sembranoquasi fratello e sorella (figg. 10-11), dal-lo stesso sguardo introspettivo. Da temposi considera come ante quem per la ‘Sa-cra Conversazione’ Giovanelli il 1504,data di un dipinto di Andrea Previtali allaNational Gallery di Londra che replica

una parte della composizione di Bellini.72

Ma il confronto con il ‘San Domenico’,eseguito nell’estate del 1501, secondo mepermette di ancorare il dipinto dell’Acca-demia a questa data.E se davvero questo è Bellini nel 1501,allora bisogna sforzarsi di cercare conquale preciso Giorgione il vecchio mae-stro sia in dialogo. Già Giles Robertsonconsiderava il “soft modelling” e la“chromatic brilliance” della ‘Sacra Con-versazione’ “as a direct reaction to thework of Giorgione as we see it in the Ca-

stelfranco Madonna”.73 Ma sembra chequi la partita sia più con il Giorgione del-le ‘Tre età’ di Palazzo Pitti (fig. 15).74

Tante le convergenze tra i due dipinti:dalle fodere interne delle vesti che creanobande aranciate di colore-luce, al con-trappunto di atteggiamenti con sottili dif-ferenze fra le tre figure protagoniste. E ilBattista è come se rivivesse nel giovanein veste orientale verde nel dipinto diGiorgione. A questo punto se si mettonoaccanto il ‘Gabriele Veneto’ e il vecchiodelle ‘Tre età’, in cui Giorgione dimostra

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19. Giovanni Bellini: ‘Ritratto di Gabriele Veneto(Gabriele Dalla Volta)’ (particolare). Collezione privata.

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nesse in considerazione il sistema di valori(anche estetici) di chi aveva di fronte: ov-vero un uomo, Leonardo Loredan, nato co-me Bellini negli anni trenta del Quattro-cento (era del 1436), e quindi comprensi-bilmente legato a un’idea di ritratto ancoratradizionale, quattrocentesca.75

Lo sguardo è fermo, ma reso assorto daun leggerissimo strabismo divergente, ilquale – e si vede anche a occhio nudo – èfrutto di un pentimento, con l’occhio si-nistro che in origine era più centrato (fig.23).76 Ma le ombre sono estremamentemobili e fuse (in realtà mai davvero zoneoscure, bensì tonalità gravi di luce), pro-prio come quelle del ‘San Domenico’.Queste due opere, così vicine nel tempo

di conoscere molto bene il Leonardo del-l’‘Ultima cena’, si comprende che en-trambi sono scaturiti da una matrice co-mune, in cui diventa difficilissimo attri-buire la precedenza ai protagonisti deldialogo.Qualche mese dopo, forse già sul finire del1501 (almeno dopo il 2 ottobre e sicura-mente prima del giugno 1502), GiovanniBellini realizzò quello che da molti è con-siderato il suo ritratto più riuscito: il ‘DogeLeonardo Loredan’ della National Gallerydi Londra (fig. 20). Benché si ritrovino quielementi del nuovo dialogo, l’impianto ge-nerale è il tre quarti classico, di matrice an-tonellesco-fiamminga. La sensibilità pru-dente di Bellini ha fatto sì che il pittore te-

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20. Giovanni Bellini: ‘Ritratto del doge LeonardoLoredan’ (1501-1502). Londra, National Gallery.

(le separano al massimo dieci mesi), mapur lontane per natura, genere e commit-tenza, se messe accanto riescono a comu-nicare. E un confronto tra i due volti – an-che se uno è un ritratto e l’altro no – met-te in evidenza la simile distribuzione acompartimenti tonali della luce sul volto.Analoghi effetti di luce mobile e fusa siritrovano in un disegno a matita nera chesta a Christ Church, a Oxford, di cui an-cora oggi si discute la paternità, ma cheha tutte le carte in regola per essere con-siderato un capolavoro grafico di Gio-vanni Bellini (fig. 22).77 È un uomo amezzo busto che si volge verso destra: iltre quarti classico, come nel ‘GabrieleVeneto’, è scompaginato e l’immediatez-za nella resa del movimento, data da unanon indifferente padronanza tecnica dellamatita nera, lo porta necessariamente aldi là dello spartiacque del 1500. Nell’Ot-tocento il foglio di Oxford portava il rife-rimento a Leonardo, un’attribuzione pro-babilmente influenzata dall’altrettantoscorretta identificazione del ritrattato inLudovico il Moro.78

Ma è comunque da considerare che il pa-lese errore è stato possibile solo graziealla forte carica psicologica del perso-naggio e all’aria nuova che in questo ri-tratto si respira, definitivamente distintadalla ritrattistica quattrocentesca di im-pronta realistica alla quale Bellini era sta-to legato fino agli ultimissimi anni del se-colo. Basti, per esempio, confrontarlocon il sopra citato ritratto di Washington,e si comprenderà la portata della rivolu-zione interna dell’arte di Bellini – e quin-di veneziana in generale – in questo girodi anni. Il disegno di Oxford va dunqueimmaginato non troppo distante dal1501.Da qui in poi la prima data certa che si in-contra nella carriera di Giovanni Bellini èil 1505 delle pale di San Zaccaria e delMuseum and Art Gallery di Birmingham,e del ‘San Gerolamo’ di Washington.79 Inqueste opere la parabola giorgionesca diBellini si rivela in tutta la sua maturità,conscia delle tappe artistiche di Giorgio-ne: i ‘Tre filosofi’ di Vienna sono osser-vati lungamente dal vecchio Bellini e tra-sformati per magia nella larga scala dellepale.80 Proprio su questo crinale va collo-cato l’unico ritratto superstite di Bellinicon lo sfondo paesaggistico: il già citato‘Bembo’ della Royal Collection (fig. 1).L’impostazione del ritratto si potrebbedefinire classica, ma la superficie pittori-ca è organizzata in ‘sacche’ di colore, conil paesaggio a bande cromatiche che ri-trova un’armonica continuazione nel bu-sto: un simile rapporto di fusione tonaledi figura umana e paesaggio avviene pro-

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ticosa dei volumi dei panneggi nelle ‘Ma-donne con il Bambino’ di Detroit (il cuivolto pur ricorda il ‘Gabriele Veneto’),del 1509, e di Brera, del 1510?85 O la pa-la di San Giovanni Crisostomo, del 1513,con le due figure gigantesche dei santi inprimissimo piano? O il ‘Noè deriso daifigli’ di Besançon, che persino un inten-ditore come Giovanni Maria Sasso crede-va opera di Lorenzo Lotto?86

La mia gratitudine va a Giovanni Agosti per l’aiu-to costante e gli incoraggiamenti in ogni fase diquesta ricerca. Uno speciale ringraziamento lo ri-volgo anche a Jennifer Fletcher, sempre generosadi spunti e consigli. Sono riconoscente verso Do-menico Pertocoli che ha avuto, ancora una volta,la pazienza di leggere questo scritto. Un sentitograzie va anche al parroco di Santo Stefano, DonGianni Bernardi.Sono stati inoltre fondamentali i contributi di tan-te persone: la mia famiglia, gli amici, i colleghidella National Gallery, le istituzioni inglesi e ita-

liane che hanno condiviso le informazioni e per-messo di esaminare le loro opere. La lista sarebbedavvero troppo lunga.Questa ricerca è stata presentata in forma ridottanella sezione dedicata a Giovanni Bellini del con-vegno della Renaissance Society of America, te-nutosi a Venezia nell’aprile 2010. Il mio interven-to (dal titolo An overlooked portrait of GabrieleVeneto and some reflections on Giovanni Belliniaround 1500) verrà pubblicato a breve in linguainglese nel volume intitolato: Examining Giovan-ni Bellini: An Art “More Human and More Divi-ne”, a cura di C.C. Wilson.

1) La fototeca della National Gallery di Londra èricca di sorprese. La fotografia rintracciata è rela-tiva a un lotto anonimo di un’asta Christie’s del1962 (in realtà il dipinto era ancora proprietà de-gli eredi Houstoun-Boswall, vedi nota 4), in cuil’opera è stata venduta con l’attribuzione a Gio-vanni Bellini ma con l’erroneo titolo “Portrait of aFranciscan” (Catalogue of Important Drawingsand Pictures by Old Masters, catalogo dell’asta,Christie’s, London, 29 giugno 1962, lotto 47).L’acquirente, Vittorio Frascione (1915-2006), eraun famoso antiquario di origine napoletana attivoa Firenze. Il dipinto si trova oggi in collezione pri-vata.

[Saggi] 17

21. Giovanni Bellini: ‘Ritratto di fra Teodoro da Urbinocome San Domenico’ (1515). Londra, National Gallery.

prio nella pala di Birmingham, del 1505.Il ‘Bembo’ va dunque collocato in prossi-mità della pala, e addirittura un poco piùtardi, considerando la somiglianza delpaesaggio con quello incastellato e mon-tuoso – e sicuramente autografo – della‘Sacra Conversazione’ Dolfin di SanFrancesco della Vigna, un’opera datata1507 (ma già impostata nel 1506), in cuituttavia la bottega ha giocato la sua parte,soprattutto nelle figure.81 Se quindi il‘Bembo’ fu dipinto intorno al 1506, lo sideve immaginare come una creazione al-l’estremità opposta rispetto al ‘GabrieleVeneto’ – nonostante i punti di somi-glianza, soprattutto nelle dimensioni –nella parabola giorgionesca di Bellini: inquesti anni, gradualmente, il colore si im-pasta e si fa più ‘pittorico’. Di conse-guenza l’impianto disegnativo (che, co-me si diceva, nel ‘Gabriele Veneto’ anco-ra resiste) si dissolve, dando via libera alcolore. Un dettaglio del paesaggio del‘Bembo’, ovvero il ponte merlato con learcate in prospettiva sulla destra (fig. 24),riappare quasi identico nella città turritasulla sinistra dell’‘Uccisione di San Pie-tro Martire’ della National Gallery diLondra (fig. 25), un vero e proprio innoal colore (verde), solitamente collocatointorno al 1507.82 Si sa come Bellini ripe-tesse dei motivi in dipinti distanti anchedecenni, ma in questo caso il dettaglio ar-chitettonico e naturalistico è impiegatoquasi inconsciamente, di riflesso, comese le due opere – così diverse per dimen-sioni e tipologia – fossero state accantoper qualche tempo nello studio e il vec-chio pittore avesse voluto unirle per sem-pre per mezzo di quel ponte. Il ‘Martirio’di Londra (fig. 26), bellissimo ed evoca-tivo (ma purtroppo penalizzato dallo sta-to di conservazione), pare essere propriodi questi anni, come conferma anche ilconfronto tra le pose dei boscaioli sullosfondo (completamente indifferenti al-l’aggressione che avviene davanti ai loroocchi) e le figure a grisaille del ‘fregioCorner’ di Washington, cominciato daBellini dopo il settembre 1506 a prose-guimento di un progetto commissionatoda Francesco Cornaro a Mantegna, mortoprima di concluderlo.83

Dal 1507, proprio quando Marin Sanudolo definisce il “più excellente pictor deItalia”, Giovanni Bellini ha la forza di co-minciare una nuova e ulteriore fase, forsel’ultima della sua vita, caratterizzata daldialogo con i suoi migliori e più giovaniallievi: Lotto, Tiziano, Sebastiano, e ilGiorgione del Fondaco (e non andrebbemai sottovalutata la presenza di fra Bar-tolomeo a Venezia nel 1508).84 Altrimen-ti come si spiegherebbe l’espansione vor-

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2) La tavola è stata esposta come “Ascribed toGiovanni Bellini” alla Winter Exhibition del 1934-1935 del Burlington Fine Arts Club: cfr. il catalo-go dattiloscritto Catalogue of a Collection of Pic-tures, Furniture, Italian Maiolica and other Ob-jects of Art, London 1934, n. 8. Il dipinto non pa-re avere suscitato particolare interesse: non è in-fatti nemmeno menzionato nelle recensioni dellamostra: Anonimo, in ‘The Times’, 22 dicembre1934, p. 8; F. Davis, A Page for Collectors. TheWinter Exhibition at the Burlington Fine ArtsClub, in ‘The Illustrated London News’, 12 gen-naio 1935, p. 70. Van Marle sembra essere statol’unico ad accorgersi dell’opera, giudicandola“possibly by Giovanni Bellini”: R. Van Marle, TheDevelopment of the Italian Schools of Painting,XVII, Den Haag 1935, p. 517. Bernard Berenson,

che nel giugno 1934 aveva ricevuto una fotografiadel dipinto speditagli da Robert Witt, include l’o-pera nelle sue liste del 1957, implicitamente giu-dicandola autografa: B. Berenson, Italian Picturesof the Renaissance. A List of the Principal Artistsand their Works with an Index of Places, I, London1957, p. 36; Fritz Heinemann nel 1962 consideral’iscrizione e la firma apocrife, e il dipinto come“opera certa di Lorenzo Lotto, contemporanea alritratto di donna del Musée des Beaux Arts a Di-jon, N. 52”: F. Heinemann, Giovanni Bellini e ibelliniani, I, Venezia 1962, p. 246, n. V. 186. Annidopo conferma la sua opinione, aggiungendo in-giustificatamente: “dipinto fra il 1505 ed il 1508durante la sosta del ritrattato a Venezia”: F. Heine-mann, Giovanni Bellini e i belliniani. Supplemen-to e ampliamenti, III, Hildesheim 1991, p. 85, n. V.186. Anchise Tempestini infine include e, per laprima volta, riproduce il dipinto in uno dei suoicataloghi dell’opera completa di Giovanni Bellini:A. Tempestini, Giovanni Bellini, Milano 2000, p.181, n. 99, figura s.n.È da segnalare inoltre che una fotografia del di-pinto, catalogata come Giovanni Bellini, esiste

nella fototeca di Roberto Longhi nell’omonimaFondazione a Firenze (inv. 0730304).3) La tavola misura cm 40,5 x 33.4) Fino all’asta del 1962 (vedi nota 1) il dipintoera rimasto di proprietà dei discendenti (e in par-ticolare della figlia, Elizabeth Phoebe Houstoun-Boswall – nata nel 1915 – poi nota con il cogno-me Timpson) di Sir George Reginald Houstoun-Boswall (1877-1915), ‘4th Baronet of Blackadder’,Berwickshire (in Scozia). Non si sa quando la col-lezione si sia formata, ma per un’ipotesi vedi lanota 6.5) Inv. 18 (1964.7). Devo a Francis Russell questasegnalazione. Anche questo capolavoro è statoesposto alla Winter Exhibition del 1934-1935 (cat.15: vedi nota 2), e, come il ritratto qui discusso,non ha suscitato particolare interesse (anche se la‘review’ della mostra apparsa su ‘The Times’ – ve-di nota 2 – afferma: “if it be not by Antonello daMessina is a very good shot at his style”). Foto-grafie dei due dipinti risalenti all’epoca della mo-stra, già possedute da Robert Witt, si trovano allaWitt Library di Londra: esse ci mostrano le operecon estese ridipinture, in uno stato differente daquello odierno. Un restauro deve quindi essere perentrambe avvenuto dopo la loro alienazione dallacollezione Houstoun-Boswall, al principio deglianni sessanta del secolo scorso.6) Morto appunto nel 1847. I due ritagli sono sta-ti estratti dal catalogo del 1847 della collezione deRoner, compilato dall’“erudito antiquario” Fran-cesco Della Rovere e sorprendentemente informa-tivo per gli standard dell’epoca: cfr. F. Della Ro-vere, Indice ragionato della collezione d’antichidipinti del fu nobile Carlo de Roner d’Ehrenwerth.I. R. Consigliere effettivo di Governo, decoratodella medaglia d’argento del merito civile e mem-bro di varie accademie. Corredato di brevi notiziebiografico-pittoriche, Venezia 1847, pp. 5, 8-9,nn. 1, 15. Entrambi i dipinti si trovano registratinella “Scuola veneta”: l’Antonello al n. 1 (“Picco-lo ritratto d’un Juris-consulto in costume del suotempo; ha il nome dell’autore come segue: Anto-nellus Messaneus pinxit”), mentre il ritratto diBellini al n. 15 (“Ritratto d’un frate eremitanocontrassegnato originalmente come segue: Ga-brieli Veneto, Eremitici ordinis generali. JoannesBellinus p.”).Linda Borean mi segnala che Francesco Della Ro-vere era stato agente di collezionisti britannici, co-me ad esempio nel 1849 di William Bankes diKingston Lacy: cfr. A. Bradley, Ancient Exemplaat Kingston Lacy, in ‘Apollo’, CLX, 513, novem-bre 2004, pp. 82-86. È possibile quindi che le dueopere fossero state acquistate a Venezia, magariproprio attraverso la mediazione di Della Rovere,da un Houstoun-Boswall – probabilmente SirGeorge Augustus Frederick Houstoun-Boswall(1809-1886) – direttamente alla dispersione deidipinti de Roner, avvenuta nello stesso 1847. Nel-la collezione de Roner c’era infatti un’altra operapoi Houstoun-Boswall, ancora oggi in possessodei discendenti, che rappresenta una scena della‘Saga Argonautica’ (nel catalogo de Roner al n.46, attribuita a Stefano da Ferrara), di cui esisto-no, sparse nel mondo, altre cinque tavolette dellastessa serie di solito riferite alla prima attività diLorenzo Costa, tra cui una nei Musei Civici di Pa-dova (inv. 424: P. Tosetti Grandi, in Da Bellini aTintoretto. Dipinti dei Musei Civici di Padova dal-la metà del Quattrocento ai primi del Seicento, ca-talogo della mostra, a cura di A. Ballarin e D. Ban-zato, Roma 1991, pp. 75-77, n. 11). Sulla disper-sione della collezione de Roner qualche notizia èfornita da C.A. Levi, Le collezioni veneziane d’ar-te e d’antichità dal XIV secolo ai nostri giorni, I,Venezia 1900, p. CXXXIII.De Roner era socio onorario della Regia Accade-mia di Scienze Lettere ed Arti di Padova ed è sta-to collezionista anche di stampe e di libri: ha pos-seduto, tra le altre rarità, una copia della primaedizione aldina (1505) de Gli asolani di Pietro18 [Saggi]

22. Giovanni Bellini: ‘Ritratto di uomo che si volta’(1501 circa). Oxford, Christ Church.

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[Saggi] 1923. Giovanni Bellini: ‘Ritratto del Doge LeonardoLoredan’ (particolare). Londra, National Gallery.

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game con il bolognese Achille Della Volta, il sica-rio che a Roma nel 1525 attentò alla vita di PietroAretino (quasi sicuramente per volere del cardina-le Matteo Giberti, suo nemico), che risultò in una“seria mutilazione alle mani” dell’Aretino: G.Aquilecchia, Nuove schede di italianistica, Roma1994, p. 83.A seguito della morte, Gabriele Dalla Volta è det-to nel Martyrologium Augustinianum essere di“nobilissima nati progenie”: N. Crusenius, Ord. S.Augustini pars tertia Monastici Augustiniani,completens epitomen historicam ff. Augustinen-sium a magna ordinis unione usque ad an. 1620cum additamentis Revmi. P. M. Fr. Josephi Lante-ri ejusdem Ordinis, I, Valladolid 1890, p. 555.Gabriele è chiamato sporadicamente Della Volta,o latinamente Avolta, ma la denominazione corret-ta sembra essere Dalla Volta, poiché così apparenelle fonti e nei documenti più antichi. Gli studimonografici sulla sua figura storica sono semprepiuttosto parziali e incompleti. Si veda intanto M.Sanfilippo, s. v. Della Volta, Gabriele, in Diziona-rio Biografico degli Italiani, 38, Roma 1990, pp.10-12; da integrare con Fr. Ag. M. G., Gabriele Ve-neto Generale Agostiniano (1537-1937), in ‘Bollet-tino Storico Agostiniano’, XIV, 1-2, 1938, pp. 1-5.10) Il capitolo è descritto dettagliatamente da Ma-rin Sanudo, che si sofferma sulla venezianità diGabriele (“Questo Zeneral electo è venetian”): cfr.I diarii di Marino Sanuto, XXVII, Venezia 1890,pp. 371-372.11) Sulla carriera ecclesiastica di Gabriele DallaVolta, trentaquattresimo generale dell’OrdineAgostiniano, si sa molto: i suoi “Diari” (che nonho ancora avuto modo di consultare direttamente)sono conservati nell’Archivio Generale dell’Ordi-ne di Sant’Agostino, a Roma.Per quanto riguarda la letteratura, si parta dalla

Bembo: cfr. G. Dilemmi, Gli Asolani di PietroBembo, Firenze 1991, pp. XXXIV-XXXV. Dellasua collezione di stampe esiste un catalogo, ugual-mente del 1847: Indice delle stampe raccolte daldefunto I. R. Consigliere nobile Carlo de Roner,Venezia 1847.7) Il dipinto di Antonello è stato più volte riferitosu basi stilistiche al suo soggiorno veneziano,1475-1476: cfr. R. Pallucchini, Due nuovi Anto-nello, in ‘Arte Veneta’, XXI, 1967, pp. 263-266;M. Lucco, in Antonello da Messina: l’opera com-pleta, catalogo della mostra, a cura di M. Lucco,Cinisello Balsamo 2006, pp. 174-175, n. 20.8) Sono debitore a Lorne Campbell per avermi fat-to notare questo importante dettaglio. Esistono al-tri esempi di scritte dedicatorie con il nome del ri-trattato in dativo, come ad esempio il “NobiliJoanni Cristophoro / Longono Amico”, che com-pare sul ritratto di Giovanni Cristoforo Longoni,firmato da Andrea Solario e datato 1505, oggi al-la National Gallery di Londra (inv. NG734), su cuiM. Davies, National Gallery Catalogues. The Ear-lier Italian Schools, seconda edizione, London1961, pp. 489-490. L’autore dell’iscrizione in ver-si sul ritratto è il poeta Lancino Curzio (G. Agosti,Bambaia e il classicismo lombardo, Torino 1990,pp. 121, 131, nota 79).9) Il soprannome “Venetus” in alcuni casi appareanche come “de Venetiis”. La famiglia Dalla Vol-ta, a detta di Giuseppe Tassini, era di origine ber-gamasca: G. Tassini, Cittadini veneziani [circa1888], Venezia, Biblioteca del Museo Correr, ms.P.D. c4/5, p. 106 (consultabile online). Andrebbeverificato se esiste un rapporto tra questo ramodella famiglia e quello di Giovanni Dalla Volta, ri-tratto nel 1547 insieme alla moglie e ai figli daLorenzo Lotto, oggi a Londra, National Gallery(inv. NG1047). Non pare esserci inoltre alcun le-

voce “F. Gabriele della Volta Venetiano” nella “Ta-vola delle cose più notabili” in L. Torelli, SecoliAgostiniani overo Historia Generale Del SagroOrdine Eremitano del Gran Dottore di SantaChiesa S. Aurelio Agostino Vescovo d’Hipponia.Divisa in tredici Secoli, VIII, Bologna 1686; F.Elssius, Encomiasticon Augustinianum, in quopersonae Ord. Eremit. s. p. n. Augustini, Sanctita-te, Praelatura, Legationibus, Scriptis &c. Prae-stantes, Bruxelles 1654, pp. 222-223; Crusenius,Ord. S. Augustini cit., pp. 98-102, 555-556; ‘Ana-lecta Augustiniana’, IX, 1921-1922, pp. 29-47. Peruna bibliografia più completa, si vedano i somma-ri più recenti: Fr. Ag. M. G., Gabriele Veneto cit.,pp. 1-5; ma anche Sanfilippo, s. v. Della Volta cit.,pp. 10-12; e B. van Luijk, L’Ordine agostiniano ela riforma monastica, in ‘Augustiniana’, XVIII,1968, pp. 176-181.12) Su questi argomenti rimangono fondamentaligli studi di Jennifer Fletcher, riassunti in J. Flet-cher, Bellini’s Social World, in The CambridgeCompanion to Giovanni Bellini, a cura di P. Hum-frey, Cambridge 2004, pp. 13-47, 274-281.13) Su Egidio da Viterbo (1469-1532) è ancora af-fidabile G. Signorelli, Il Card. Egidio da Viterbo.Agostiniano umanista e riformatore. (In appendi-ce – l’epistolario in gran parte inedito) 1469-1532, Firenze 1929; da integrare con J.W. O’Mal-ley, Giles of Viterbo on Church and Reform. AStudy in Renaissance Thought, Leiden 1968; eEgidio da Viterbo, O. S. A. e il suo tempo. Atti delV Convegno dell’Istituto Storico Agostiniano, Ro-ma – Viterbo, 20-23 ottobre 1982, Roma 1983. Sultributo di Egidio a Gabriele, contenuto nella dedi-cazione dell’edizione del 1493 della Fisica di Ari-stotele, cfr. F.X. Martin, Friar, Reformer, and Re-naissance Scholar. Life and Work of Giles of Viter-bo. 1469-1532, Villanova (PA) 1992, p. 14. Per gli

20 [Saggi]24. Giovanni Bellini: ‘Ritratto di uomo (‘PietroBembo’)’ (particolare). Windsor, Royal Collection.

25. Giovanni Bellini: ‘L’uccisione di San Pietro Martire’(1506-1507 circa, particolare). Londra, National Gallery.

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estremi cronologici del loro rapporto ci si basa suuna lettera di Gabriele a Egidio del 1518 in cui siafferma che si conoscono da trent’anni: cfr. Si-gnorelli, Il Card. Egidio cit., pp. 68, 181, nota 2.La prima lettera datata di Egidio a Gabriele risaleinvece al 25 aprile 1494 (A.M. Voci Roth, Egidioda Viterbo OSA. Lettere Familiari. I. 1494-1506,Roma 1990, pp. 81-82, n. 1). La loro corrispon-denza (pubblicata in Voci Roth, Egidio cit., e A.M.Voci Roth, Egidio da Viterbo OSA. Lettere Fami-liari. II. 1507-1517, Roma 1990) si trova a Roma,Biblioteca Angelica. Sulle richieste da parte diEgidio di libri di esegesi ebraica: O’Malley, Gilesof Viterbo cit., p. 87; F.X. Martin, Giles of Viterboas Scripture Scholar, in Egidio da Viterbo, O. S. A.e il suo tempo cit., p. 205. Gabriele è autore del-l’epigrafe funeraria sulla lapide di Egidio nellachiesa di Sant’Agostino a Roma, che recita: “D. O.M. / AEGIDIO VITERBIENSI / CARDINALI / GABRIEL VE-NETVS / GENERALIS P. / MDXXXVI” (ringrazio XavierSalomon per avermela fotografata): cfr. Signorel-li, Il Card. Egidio cit., pp. 103, 202, nota 43 (an-che se Signorelli riporta erroneamente la data1534; la tomba di Egidio è creduta erroneamentein Santa Maria del Popolo da F. Apollonio, Lachiesa e il convento di S. Stefano in Venezia. Me-moria, Venezia 1911, pp. 36-37).14) Della promozione a lettore si complimenta lostesso Egidio nella lettera già citata del 25 aprile1494 (vedi nota 13); sui successivi salti di carrie-ra: Fr. Ag. M. G., Gabriele Veneto cit., p. 2; P.D.A.Perini, s. v. Della Volta Fr. Gabriel, in ‘Bibliogra-fia Augustiniana’, II, 1931, pp. 22-23.15) Pacioli nomina Dalla Volta “Magister GabrielVenetus Eremitaniae Faemilie (sic) tervisinae (sic)provinciae praesules”, da cui si evince che DallaVolta all’epoca era governatore del suo Ordinenella Marca di Treviso (ossia la provincia di Vene-

zia), dove risiedette nel convento eremitano diSanta Margherita.Nel saggio di Pacioli, stampato nel giugno 1509 epiuttosto raro, l’elenco di uomini illustri comparealla fine del quarto libro di Euclide, alla p. 31 (Eu-clidis megarensis, philosophi acutissimi mathema-ticorumque omnium sine controversia principis,Opera a Campano interprete fídíssimo tralata(sic). Que, cum antea librariorum detestanda cul-pa medis fedissimis adeo deformia eent: ut vir Eu-clidem ipsum agnosceremus. Lucas paciolus theo-logus insignis: altissima Mathematica disciplina-rum scientia rarissimus iudicio castigatissimo de-tersit: emendavit. Figuras centum et undetrigintaque in alijs codicibus inverse et deformate erant:ad rectam symmetriam concinnavit: et multas ne-cessarias addidit. Eundem quoque plurimis locisintellectu difficilem commentariolis sane luculen-tis et eruditiss. aperuit: enarravit: illustravit, Ve-nezia 1509). Sulla celebre prolusione di Pacioli ela sua contestualizzazione: B. Nardi, La scuola diRialto e l’Umanesimo veneziano, in Umanesimoeuropeo e Umanesimo veneziano, a cura di V.Branca, Firenze 1964, pp. 113-117; B. Nardi, Sag-gi sulla cultura veneta del Quattro e Cinquecento,a cura di P. Mazzantini, Padova 1971, pp. 67-73.Sulla prolusione di Pacioli in relazione a Leonar-do: G. Padoan, Leonardo e l’Umanesimo venezia-no, in Leonardo & Venezia, catalogo della mostra,Milano 1992, pp. 105-107, 110.16) Erasmo, non ancora celebre e soprattutto stra-niero, non è menzionato da Pacioli, ma pare diffi-cile che non fosse presente alla lezione, trovando-si a Venezia nello stesso periodo per lavorare conAldo Manuzio (che a San Bortolomio c’era).17) Erasmo era nato nel 1466 (o per alcuni nel1469). Sulla conoscenza di Gabriele Dalla Volta eAldo Manuzio, che si evince da una lettera di Egi-

dio da Viterbo a Manuzio del 24 febbraio 1508:O’Malley, Giles of Viterbo cit., p. 49, nota 3.Gabriele ha dimostrato indirettamente in più occa-sioni simpatie verso le idee di Erasmo, appoggian-do ferventi erasmiani quali Ambrogio Cavalli, ri-confermato nel 1529 priore del convento di SanGiacomo a Bologna, o Ortensio Lando, inviato nel1531 a studiare nell’Università della stessa città(M. Calì, Patroni, committenti, amici del Pordeno-ne fra religione e storia, in Il Pordenone. Atti delconvegno internazionale di studio, a cura di C.Furlan, Pordenone 1985, p. 100). Nel 1540 l’auto-revole teologo agostiniano Niccolò da Fivizzano,che era stato a suo tempo (dal 1528 al 1531) se-gretario di Gabriele, tradusse in volgare leParaphrases erasmiane dei Vangeli: cfr. S. SeidelMenchi, Erasmo in Italia. 1520-1580, Torino1987, p. 273.

18) Regula beati Augustini una cum expositioneHugonis de Sancto Victore. Constitutiones fratrumheremitarum Sancti Augustini. Additiones thomaede argentina generalis. Tabula una per capitulasuper constitutionibus. Tabula altera per alphabe-tum super additionibus. Magistri Ambrosii cori-olani generalis statuta quedam. Ordinarius libel-lus. Mare Magnum cum innovatione Sixti. iiii.pont. max. Fratrum obseruantium congregationislombardiae ordinis geremitharum Sancti Augusti-ni privilegia. Bulla aurea Magistro Egidio Viter-biensi generali p. iuliu. ii. pont. max. concessa.Bullae aurae eiusdem pont. declaratio. Eiusdempont. litterae adversus apostatas. Sigillum privile-giorum omnium nostro ordini concessorum. Epi-stola Magistri Egidii Viter. generalis ad provincia-les & ad fratres omnes, Venezia 1508. Nel volume,a p. 86, viene ricordato: “Opera & impensis Reve-rendi magistri Gabrieli Veneti provinciae Mar-chiae Tarvisinae provincialis ordinis heremitarum

[Saggi] 2126. Giovanni Bellini: ‘L’uccisione di San PietroMartire’ (1506-1507 circa). Londra, National Gallery.

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dentificazione del ritrattato in Pietro Bembo, cfr.D. Pincus, Giovanni Bellini’s Humanist Signature:Pietro Bembo, Aldus Manutius and Humanism inEarly Sixteenth-Century Venice, in ‘Artibus et hi-storiae’, 50, XXIX, 2008, pp. 89-119; la discus-sione sull’epigrafia belliniana è però da integrarecon l’importante articolo di A. Campana, Notiziesulla “Pietà” riminese di Giovanni Bellini, inScritti di storia dell’arte in onore di Mario Salmi,II, Roma 1962, pp. 405-427.26) Il documento è stato scoperto da Carlo Dioni-sotti alla Biblioteca Ambrosiana e pubblicato perla prima volta nel 1966, con una proposta di data-zione intorno al 1500: cfr. P. Bembo, Prose e rimecit., pp. 699-703. Dionisotti ha sciolto le inizialiche siglano le Leggi della compagnia (P.B., N.T.,V.Q., T.G.) in: Pietro Bembo, Nicolò Tiepolo, Vin-cenzo Quirini, Trifone Gabriele. Per l’identifica-zione dell’ultimo membro in Tommaso Giustinia-ni: A. Ballarin, Giorgione e la Compagnia degliAmici: il “Doppio ritratto” Ludovisi, in Storiadell’arte italiana, V, Torino 1983, pp. 479-541.Le caratteristiche dei ritratti descritti dalle “Leggidella Compagnia degli Amici”, ovvero tavolettemolto piccole con da un lato il ritratto e dall’altroun’impresa, richiamano alla mente la ritrattisticaquasi miniaturistica del misterioso ‘Jacometto Ve-neziano’, la cui carriera è documentata – sempregrazie a Michiel – dal 1472 al 1497. Alcuni deipiccoli ritratti oggi comunemente inclusi nel cor-pus di Jacometto presentano sul retro un’impresa,a volte accompagnata da un motto, come il ‘Ri-tratto di uomo’ della National Gallery di Londra(inv. NG3121: Davies, National Gallery cit., pp.259-260) o i due ritratti (descritti da Michiel comeAlvise Contarini e una monaca di San Secondo)della collezione Lehman al Metropolitan Museumdi New York (inv. 1975.1.85/86). Vale la pena di ri-cordare al riguardo che Michiel vide nella colle-zione di Pietro Bembo, a Padova, un suo ritratto daundicenne e un altro del fratello Carlo, entrambiriferiti dal conoscitore veneziano a Jacometto: cfr.Michiel, Notizia d’opere cit., pp. 20, 22.Un dipinto che rappresenta bene questa tipologia èil piccolissimo (cm 23,8 x 18) ‘Ritratto di uomo’– con un ‘Memento mori’ sul verso – di AndreaPrevitali, nel Museo Poldi Pezzoli di Milano (inv.1598: A. Mazzotta, Andrea Previtali, Bergamo2009, pp. 11, 56, tavv. III-IV).27) Il ritratto della Royal Collection misura cm43,8 x 35,2; già Michiel descrisse vari “piccoli ri-tratti” di Bellini nelle numerose collezioni da luivisitate.28) Sull’intraprendenza di Gabriele Veneto e sullesue ristrutturazioni cinquecentesche della chiesa edel convento di Santo Stefano, si parta da G. Ca-niato, L’insediamento eremitano, in Gli agostinia-ni a Venezia e la chiesa di Santo Stefano. Atti del-la giornata di studio nel V centenario della dedi-cazione della chiesa di Santo Stefano. Venezia, 10novembre 1995, Venezia [1997], pp. 193-198.29) Carlo Urbani ha voluto intendere lo svolgi-mento dei capitoli generali sempre in territorio ve-neziano durante il generalato di Gabriele Venetocome segno di ‘provincializzazione’ dell’Ordinedurante la Riforma: C. Urbani, La Provincia ago-stiniana della Marca negli anni tridentini, in ‘Attidell’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti.Classe di scienze morali, lettere ed arti’, CLVI,1997-1998, p. 61, nota 38. Critiche al suo operatovengono da Sanfilippo, s. v. Della Volta cit., p. 12.30) L’idea del progetto in realtà risale al 1508,mentre i lavori hanno inizio nel 1521: Caniato,L’insediamento eremitano cit., p. 194. Critichesulle capacità di Gabriele come architetto, elenca-to tra i “derivati dalla scuola lombardesca”, sonomosse da P. Selvatico, Sulla architettura e sullascultura in Venezia dal Medio Evo sino ai nostrigiorni, Venezia 1847, pp. 213-214.L’iscrizione recita: “GABRIEL VENETVS AVGVSTINIA-NORVM EREMITARVM MAGISTER / A FVNDAMENTIS

S. Augustini”. Sull’edizione veneziana del 1508delle costituzioni di Ratisbona, si vedano i regestidelle corrispondenze e dei commenti in: ‘Analec-ta Augustiniana’, II, 1907-1908, pp. 30-41.Una conoscenza diretta dell’arte della stampa, ol-tre che la sua evidente passione epigrafica (si ve-da la nota 30), giustificherebbe nel ritratto la pre-senza preminente dei caratteri classici capitali nel-la scritta identificativa.19) Pietro era nato nel 1470.20) Si veda la lettera del 21 settembre 1527 in P.Bembo, Lettere (1508-1528), a cura di E. Travi, II,Bologna 1990, pp. 466-467, n. 816. Per il carteg-gio in generale, si vedano i volumi Bembo, Lette-re, ibidem; P. Bembo, Lettere (1529-1536), a curadi E. Travi, III, Bologna 1992.21) M. Michiel, Notizia d’opere del disegno, a cu-ra di T. Frimmel, Wien 1888, p. 20. Sul rapportogenerazionale tra i Bembo e i Bellini, si veda Flet-cher, Bellini’s Social cit., pp. 30-31. Altre famigliepatrizie venete erano rimaste legate ai Bellini digenerazione in generazione: ad esempio i LeonicoTomeo, di Padova, con un ritratto del padre di Ni-colò e di Bartolomeo dipinto da Jacopo e uno diNicolò eseguito da Giovanni: Michiel, Notiziad’opere cit., p. 18.22) Per i sonetti, cfr. P. Bembo, Prose e rime, a cu-ra di C. Dionisotti, Torino 1966, pp. 521-523, nn.XIX-XX. Il ritratto della Savorgnan era dipinto sutavola, un dato che si evince dal fatto che fino al-l’edizione del 1530 i versi del sonetto recitavano:“e pur non sei altro che in legno una leve pittura”:cfr. ibidem, pp. 521-522, nota XIX.23) Il carteggio è reso noto da V. Cian, PietroBembo e Isabella d’Este Gonzaga. Note e docu-menti, in ‘Giornale Storico della Letteratura Ita-liana’, V, 1887, pp. 103-109.24) Ridolfi afferma che esisteva un ritratto di ma-no di Bellini di Pietro Bembo “prima, che fosseCardinale”: C. Ridolfi, Le maraviglie dell’arte.Ovvero Le vite degli illustri pittori veneti e delloStato [1648], a cura di D.F. von Hadeln, I, Berlin1914, p. 73. Ridolfi pare interpretare erroneamen-te, magari a causa di una lettura affrettata a cui èsfuggita una “a”, le parole di Vasari dell’edizionetorrentiniana delle Vite: “Giovanni dunque ritrassea messer Pietro Bembo, prima che andasse a starcon papa Leone Decimo, una sua inamorata”;mentre l’edizione giuntina ha una sintassi piùchiara: “ritrasse Giovanni per messer Pietro Bem-bo, che ancora non stava con Leone X, la sua in-namorata”: si veda G. Vasari, Le vite de’ più ec-cellenti pittori scultori e architettori [1550-1568],a cura di R. Bettarini e P. Barocchi, III, Firenze1971, p. 439. Tra le opere che Michiel vide nellaresidenza padovana di Bembo non è menzionatoalcun ritratto di Giovanni Bellini: cfr. Michiel, No-tizia d’opere cit., pp. 20-24.Va registrato a tale riguardo, come mi segnalaGiorgia Mancini, che nella vendita dei dipinti diRichard Westall (Phillips, London, 11-12 maggio1827), al lotto n. 143, si trova: “Giorgione. Por-trait of Pietro Bembo, Apostolical Secretary toLeo X. afterwards Cardinal Bembo”. Questo di-pinto fu acquistato all’asta da “Brown ST, LordAylesbury” (il nome dell’acquirente è stato trova-to grazie al ‘Getty Provenance Index Database’).Non sono stato in grado rintracciare l’opera; sa-rebbe interessante capire qual è il motivo che haportato all’identificazione del ritrattato in Bembo.25) Inv. RCIN 405761: cfr. J. Shearman, The EarlyItalian Pictures in the Collection of Her Majestythe Queen, Cambridge 1983, pp. 41-43, n. 37; L.Whitaker, in The Art of Italy in the Royal Collec-tion. Renaissance & Baroque, catalogo della mo-stra, a cura di L. Whitaker e M. Clayton, London2007, pp. 180-181, n. 56. Il dipinto porta la firmaumanistica corsiva, sulla quale, a supporto dell’i-

EXTRVXIT M.D.XXV.” L’Epistola di Bembo, che mi èstata fatta notare da Irene Brooke, è composta inlatino (ci si immagina per essere mostrata da Ga-briele come una preziosa opera d’arte), si data al13 giugno 1527, e ha dei passaggi molto belli eelogiativi nei confronti della sacrestia nuova: “Sa-crarium postremo concameratum duplex, magnumquidem ipsum altum, luminosum, a fundamentispositum, ut reliquia omnia, mira incredibilique di-gnitate. Fenestrae atque hostia opere egregio acpereleganti. Pavimentum candido purpureoque la-pide tessellatum. Sacrarum vestium et argenti ar-marium, atque sedilia, pulcherrimo ex ligno, etquidem aducto Germania, arte diligentiaque mi-ra”: Bembo, Lettere cit., II, pp. 428-429, n. 770.Bembo qualche anno dopo, il 20 giugno 1530, ve-nuto a sapere del nuovo grande progetto, ovvero laricostruzione del chiostro dopo il devastante in-cendio del 1529, scrive ironico a Gabriele: “Ché laSacristia volle da me una Epistola, il monisteroche vorrà? Non gli basteranno i libri interi, e io so-no impigrito non solo dagli anni, ma ancora dalloaccorgermi che voi vi prendete giuoco di me, mo-strando che vi piacciono tutte le mie ciance. E cre-do che io penserò che V. S. faccia per sé ella stes-sa. Ché poscia che io ho veduto che sapete far So-netti, potrete voi meglio e più acconciamente, cheveruno altro, lodare in rima la vostra fatica mede-sima” e così via: cfr. Bembo, Lettere cit., III, pp.154-155, n. 1113 (su Bembo come fornitore diiscrizioni per opere d’arte: G. Agosti, Su Mante-gna I. La storia dell’arte libera la testa, Milano2005, pp. 182-183, nota 21). Evidentemente Ga-briele deve avere insistito per ottenere un compo-nimento celebrativo, poiché in una lettera del 6 lu-glio, a Bembo scappano parole poco gentili, masempre in un tono scherzoso: “Ché sì come io lo-dai gli anni passati quella vostra sproporzionataSacristia, per ischifare in quel modo il vostro dirmale di me, e ve ne ritraeste vedendo che io loda-va voi e le vostre cose; così ora mi farà mestiero,se io non vorrò esser da voi mal trattato, lodare an-cora quest’altra fabrica eziandio prima che io lavegga, e sappia se ella merita esser lodata o biasi-mata?” (Bembo, Lettere cit., III, p. 162, n. 1123).Pietro, nella stessa lettera, cede, e fornisce a Ga-briele quella che poi, con minime variazioni, saràl’iscrizione che corre su uno dei lati del chiostro(vedi nota 32). Pietro continuerà a provocare Ga-briele, come rivela una lettera dell’8 agosto dellostesso anno: lo ringrazia per le scatole di dolciu-mi, ma si dice malato, e si lamenta della loro inu-tilità visto che non le può mangiare (Bembo, Let-tere cit., III, pp. 166-167, n. 1127). La corrispon-denza degli anni successivi rivela la consuetudinedi Gabriele di spedire dolciumi a Pietro (“torte dicotogni”, “proferta”, “mele granate”, ma ancheprosciutti).Sulla sacrestia nuova (o maggiore): Apollonio, Lachiesa e il convento cit., pp. 33-35; E. Merkel, LaSagrestia Maggiore, in M.A. Chiari Moretto Wiel,A. Gallo e E. Merkel, Chiesa di Santo Stefano.Arte e devozione, Venezia 1996, pp. 41-46.31) L’iscrizione recita “· F · GABRIEL · GN · APERVIT

· M · D · XXVI”. Leo Schubert mi ha fatto notare ilbel carattere lombardesco della porta, definitapersino dal critico Selvatico come “fregiata digentili intagli” (Selvatico, Sulla architettura cit.,p. 214). In effetti fonti documentarie attestano cheall’inizio del Seicento fu smantellato il recintomarmoreo che chiudeva il coro, cominciato daVittorio Gambello e proseguito dalla bottega deiLombardo, e probabilmente i resti del portale diaccesso furono ricomposti – piuttosto ingegnosa-mente – a incorniciare la porta aperta da Gabriele,che forse era in origine più essenziale (fig. 6): cfr.M.A. Chiari Moretto Wiel, La chiesa di Santo Ste-fano: il patrimonio artistico, in Gli agostiniani aVenezia cit., p. 253.32) L’iscrizione recita “GABRIEL VENETVS AVGUSTI-NIANORVM EREMITARVM MAGISTER DOMVM SO-CIORVM IGNI ABSVMPTAM A FVNDAMENTIS RESTITVIT22 [Saggi]

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· M · D · XXXII”. Essa è leggermente differente dalcomponimento di Bembo, che in una lettera so-pracitata (vedi lettera n. 1123, alla nota 30) sugge-riva: “Gabriel Venetus Augustinianorum Magisterdomum sociorum, incendio absumptam, patriaefamiliaeque sue a fundamentis restituit”.33) Si veda C.E. Cohen, The Art of Giovanni An-tonio da Pordenone. Between Dialect and Lan-guage, II, Cambridge 1996, pp. 675-678, n. 67,figg. 504-516.34) C. Dionisotti, Tiziano e la letteratura [1978],in Appunti su arti e lettere, Milano 1995, p. 124,125-126.35) Calì, Patroni, committenti cit., p. 99.36) Tassini, Cittadini veneziani cit., p. 107. Tassi-ni aggiunge inoltre che l’impresa rappresenta “unriccio marino attorcigliato da una serpe volgentein se stessa”. Questa descrizione non rispecchial’aspetto visivo dell’impresa e pare influenzata dalsignificato del motto.37) Ci si aspetterebbe, anche alla luce di dimo-strate consulenze per altre formulazioni (vedi no-ta 32), che Bembo sia l’artefice di questa frase.38) “Il riccio è tutto spinoso” (Adagia - 2.9.59).Sull’influenza degli Adagia di Erasmo per la crea-zione di emblemi e motti: A. Wesseling, Devices,Proverbs, Emblems. Hadrianus Junius’‘Emblema-ta’ in the Light of Erasmus’ ‘Adagia’, in ‘Con pa-rola brieve e con figura’. Emblemi e imprese fraantico e moderno, a cura di L. Bolzoni e S. Vol-terrani, Pisa 2008, pp. 87-133.39) Ridolfi, Le maraviglie cit., p. 71.40) Inv. R. F. 2039; il primo a ventilare questa ipo-tesi è stato T. Borenius, The Provenance of Belli-ni’s “Christ” in the Louvre, in ‘The BurlingtonMagazine’, XXVII, 1915, p. 205.41) Inv. AP 1967.07. La proposta di identificazio-ne del dipinto descritto da Ridolfi con la tavola delKimbell, quando ancora era in una collezione pri-vata svizzera, si deve ad A. Morassi, Scopertad’un Cristo benedicente del Giambellino, in ‘ArteVeneta’, XII, 1958, pp. 45-52.42) Il documento è riportato da P. Paoletti diOsvaldo, L’architettura e la scultura del rinasci-mento in Venezia. II. Rinascimento, Venezia 1893,p. 112; è ripreso da Fletcher, Bellini’s Social cit.,p. 27. Ma si veda ora M. Barausse, Giovanni Bel-lini. I documenti, in Giovanni Bellini, catalogodella mostra, a cura di M. Lucco e G.C.F. Villa,Cinisello Balsamo 2008, pp. 357-358, n. 122.43) Il testamento di Giuliano Zancaruol si puòleggere in Tullio Lombardo. Documenti e testimo-nianze, a cura di A. Pizzati e M. Ceriana, Verona2008, pp. 78-83, n. 79; la citazione è tratta da p.79.44) Manoscritto presso la Biblioteca del MuseoCorrer: Padre Agostino Nicolai, Memorie pellaChiesa e Monastero di S. Stefano a Venezia [circa1750]. Va menzionato a riguardo che nell’inventa-rio testamentario di Pietro Foscarini, steso il 29aprile 1745 (Biblioteca Nazionale Marciana, Ve-nezia, Cod. Cicogna 2686, consultato grazie il si-to internet del ‘Getty Provenance Index Databa-se’), alla p. 206, n. 35, compare “Un Christo me-za figura in tavola del Zambellini”.45) Nicolai, Memorie cit., lett. F. Il fratello di Ga-briele, Leonardo, fa testamento nel 1546 (Tassini,Cittadini cit., p. 107) e anch’egli è sepolto in sa-crestia nuova. Il quadro di “eccellente mano Fiam-minga” rappresentava probabilmente l’arcangeloGabriele, e Francesco Zanotto ancora nel 1856 lodescrive come “L’Angelo Gabriello – Paletta discuola fiamminga”: F. Zanotto, Nuovissima guidadi Venezia e delle isole della sua laguna nella qua-le si sono corretti da oltre 200 errori che s’incon-trano nelle altre guide, Venezia 1856, p. 182. Za-notto sembra però prendere l’informazione di se-conda mano (forse da G. Moschini, Guida per lacittà di Venezia all’amico delle belle arti, Venezia

1815, I, p. 577), poiché già dal 1824 all’altare cista il ‘Cristo crocefisso’ attribuito a Giuseppe An-geli, proveniente dalla chiesa di Sant’Angelo (A.Niero, Chiesa di Santo Stefano in Venezia, Padova1978, p. 64). Sempre Zanotto (Nuovissima guidacit., p. 182) sull’altare vede anche i due busti men-zionati da Nicolai. Nel museo situato nel piccolochiostro (nel cui cortiletto sta una vera da pozzofregiata dell’emblema di Gabriele) dietro alla sa-crestia nuova esistono oggi due statue rappresen-tanti ‘Sant’Antonio’ e ‘San Giovanni Battista’, checoincidono con quelle descritte come opera di Pie-tro Lombardo da Nicolai e che quindi sono staterimosse dall’altare: sarebbero in realtà (se ne eragià accorto Apollonio, La chiesa cit., p. 34) duesculture trecentesche, in rapporto con lo stile diJacobello e Pierpaolo delle Masegne; AntonioNiero tuttavia pensa di poter comunque riscontra-re nel Sant’Antonio un carattere lombardesco:Niero, Chiesa di Santo Stefano cit., p. 64.46) In ultimo da D. Pincus, Bellini and Sculpture,in The Cambridge Companion cit., pp. 126-139.47) Inv. Kat. Nr. B. 79; Ridolfi, Le maraviglie cit.,p. 72.48) Inv. NG189. Un ante quem per la realizzazio-ne del ritratto, come mi fa notare Giovanni Agosti(ma come anche a suo tempo aveva segnalato Jen-nifer Fletcher, cfr. E. Greer, in Renaissance Faces.Van Eyck to Titian, catalogo della mostra, London2008, p. 108, n. 15), è il giugno del 1502, data distampa di un componimento intitolato “De picturadivi Leonardi Laurodani Serenissimi VenetiarumPrincipis Epigramma”, in cui viene lodata la “doc-ta manus” del Bellini. Esso si trova alla fine del-l’Epigrammaton libellus, in L. Catti, Opuscula,Venezia 1502, f. N iiii.Sull’aspetto non ufficiale del ‘Ritratto del DogeLoredan’ della National Gallery si è più volte insi-stito (si veda J. Meyer zur Capellen, Zum venezia-nischen Dogenbildnis in der zweiten Hälfte desQuattrocento, in ‘Konsthistorisk Tidskrift’, L,1981, pp. 70-86).49) Si pensi ad esempio alla sua attività per il con-vento di Santa Maria della Carità, dai famosi trit-tici dell’Accademia (cfr. S. Moschini Marconi,Gallerie dell’Accademia di Venezia. Opere d’artedei secoli XIV e XV, Roma 1955, pp. 77-86, nn.78-81), alla giovanile pala di San Giovanni Evan-gelista, della quale rimane soltanto la predella, og-gi conservata nei pressi di Monaco di Baviera(Wittelbacher Ausgleichsfonds, Schloss Berchte-sgaden, inv. B I 34: cfr. L. Bellosi, in Mantegna.1431-1506, catalogo della mostra, a cura di G. Ago-sti e D. Thiébaut, Milano 2008, pp. 124-127, n. 33).50) Sotto vesti cardinalizie Egidio da Viterbo eGirolamo Seripando appaiono in altrettanti ritratti– postumi – a figura intera attribuiti all’emilianoAntonio Triva, oggi nella sacrestia nuova di SantoStefano. Tra il generalato di Dalla Volta e quello diSeripando si inserisce quello brevissimo (1538), equasi sempre dimenticato, di Giovanni Antonio daChieti (preceduto da un interim di Giovanni Gia-como Barba): cfr. Crusenius, Ord. S. Augustinicit., pp. 103-104; da integrare però con van Luijk,L’Ordine agostiniano cit., pp. 181-182.51) Reg. Cron. 160.52) Opinioni elencate da M.T. Donati, in Pinaco-teca di Brera. Scuola veneta, Milano 1990, pp. 42-52, n. 20; sono stati numerosi i tentativi di identi-ficazione dei vari personaggi, tra cui: E. Arslan,Studi belliniani, in ‘Bollettino d’arte’, XLVII,1962, pp. 40-50.53) Inv. 1912 n. 185.54) Ridolfi, Le maraviglie cit., I, p. 99.55) Per un riassunto della vicenda critica e identi-ficativa: A. Ballarin, in Le siècle de Titien. L’âged’or de la peinture à Venise, catalogo della mostra,II ed. rivista e corretta, Paris 1993, pp. 403-407, n.45.56) Si veda S. Padovani, in La Galleria Palatina e

gli Appartamenti Reali di Palazzo Pitti. Catalogodei dipinti, a cura di M. Chiarini e S. Padovani, Fi-renze 2003, II, p. 456, n. 749. Come segnalato daC. Hope, Giorgione or Titian? History of a Con-troversy, New York 2003, p. 41, nota 29, già nelSettecento si era pensato di riconoscere MartinBucer al posto di Calvino: J. Richardson, Traité dela peinture, et de la sculpture, Amsterdam 1728,III, p. 133.57) Su Lorenzo da Pavia: C.M. Brown, Isabellad’Este and Lorenzo da Pavia. Documents for theHistory of Art and Culture in Renaissance Man-tua, Genève 1982. Si veda poi W.F. Prizer, Isabel-la d’Este and Lorenzo da Pavia, ‘Master Instru-ment-Maker’, in ‘Early Music History’, II, 1982,pp. 87-127, che colloca la sua data di nascita tra il1470 e il 1475.58) Evocativa è la ricostruzione di Giovanni Ago-sti del ciclo perduto di teleri e del ruolo centraleesercitato da Giovanni Bellini: G. Agosti, Sui tele-ri perduti del Maggior Consiglio nel Palazzo Du-cale di Venezia, in ‘Ricerche di storia dell’arte’,30, 1986, pp. 61-87.59) Inv. 1939.1.182; il ritratto di Washington è da-tabile alla metà degli anni novanta del Quattrocen-to, in un momento di acuto interesse da parte diBellini verso la ritrattistica di Hans Memling, co-me dimostra il confronto di questo con il ‘Ritrattodi giovane’ di Memling dell’Accademia di Vene-zia (inv. 80), un dipinto di probabile antica prove-nienza veneziana (cfr. Moschini Marconi, Galleriedell’Accademia cit., pp. 183-184, n. 206). Questoconfronto è già stato proposto da D.A. Brown, inItalian Paintings of the fifteenth Century. NationalGallery of Art, Washington, a cura di M. Boskovitse D.A. Brown, New York 2003, pp. 64-66.60) Su questo aneddoto raccontato da Isabellad’Este in una sua lettera del 26 aprile 1498 si èsoffermato C. Pedretti, Ancora sul rapporto Gior-gione-Leonardo e l’origine del ritratto di spalla,in Giorgione. Atti del convegno internazionale distudio per il 5° centenario della nascita. 29-31maggio 1978, Venezia 1979, p. 181-182.61) J. Shell, Marco d’Oggiono e Venezia, in Leo-nardo & Venezia cit., pp. 360-361, da intendereperò alla luce delle precisazioni di S. Momesso,Sezioni sottili per l’inizio di Marco Basaiti, in‘Prospettiva’, 87-88, 1997, pp. 28-29, p. 41, nota74. Non si dimentichi poi che nell’agosto del 1501moriva a Venezia Francesco Galli, detto Napoleta-no: J. Shell e G. Sironi, Some documents for Fran-cesco Galli «Dictus neapolus», in ‘Raccolta Vin-ciana’, XXIII, 1989, pp. 155-166.62) Su questo punto delicato: A. Ballarin, Unanuova prospettiva su Giorgione: la ritrattistica de-gli anni 1500-1503, in Giorgione. Atti del conve-gno cit., pp. 239-240, nota 8.63) Ballarin, Una nuova prospettiva cit., p. 230.64) W. Pater, The Renaissance. Studies in Art andPoetry, London-New York 1893, p. 157.65) M. Lucco, Venezia fra Quattro e Cinquecento,in Storia dell’arte italiana cit., p. 472.66) D. Bortolan, S. Corona. Chiesa e convento deidomenicani in Vicenza. Memorie storiche, Vicen-za 1889, p. 263, che dice installata entro il 1502.67) M. Boschini, I gioielli pittoreschi. Virtuoso or-namento della Città di Vicenza [1676], a cura di D.Marchioro, Roma 2000, p. 168.68) In questo periodo di transizione – l’ennesimo– della carriera di Giovanni Bellini andrebberocollocate due opere molto affini tra loro, che stan-no forse addirittura a monte di qualche tempo (di-ciamo intorno al 1496-1497) rispetto al ‘GabrieleVeneto’: la ‘Madonna del prato’ della NationalGallery di Londra (inv. NG599) e la ‘Pietà’ Donàdalle Rose dell’Accademia di Venezia (inv. 882).

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l’Accademia, che a sua volta entrerebbe di dirittonel catalogo di Giorgione grazie ad opere quali la‘Giuditta’ dell’Hermitage (inv. 95) o anche la ‘Ma-donna leggente’ dell’Ashmolean Museum of Artdi Oxford (inv. WA1949.222), che con quellasconvolgente veduta di Venezia, da far venire inmente Turner o Monet, non si capisce come nonsia ancora accettata come caposaldo della primaattività di Giorgione (è ancora esposta come ‘Cer-chia di’).In ogni caso, va rilevato che il personaggio fem-minile al centro dell’ancora quattrocentesco e bel-liniano ‘Concerto a quattro’ di Windsor (che Ro-berto Longhi riteneva di Giovanni Bellini, come sievince da un’iscrizione sul retro di una fotografianella sua fototeca) ha la stessa impostazione lumi-nistica e struttura del volto del ‘Gabriele Veneto’,e un simile sguardo perso nello spazio dello spet-tatore.Un altro dipinto di Giorgione che è figlio dellamedesima congiuntura è il ‘Ritratto di FrancescoMaria I della Rovere’ (fig. 17) del Kunsthistori-sches Museum di Vienna (inv. Nr. GG 10: su cuiA. Ballarin, in Le siècle cit., pp. 301-306, n. 18;I.L. Herzner, in Giorgione. Myth and Enigma, ca-talogo della mostra, a cura di S. Ferino-Pagden eG. Nepi Scirè, Vienna 2004, pp. 166-169, n. 1). Sesi affianca il volto del ‘Francesco Maria’ a quellodel ‘Gabriele Veneto’ (figg. 18-19), si noterà chela strutturazione dei volumi e la posizione nellospazio del volto sono i medesimi, così come iden-tiche sono la direzione della luce e la resa della su-perficie epidermica attraverso gli effetti tonali.75) Una simile operazione di adattamento allasensibilità estetica del ritrattato Giovanni Bellinila compie anni dopo (nel 1515) con l’ultraottan-tenne – e suo coetaneo – fra Teodoro da Urbino,un uomo (come Loredan) radicato nei vecchi va-lori. Il ritratto di fra Teodoro sotto le vesti di SanDomenico (fig. 21), oggi alla National Gallery diLondra (inv. NG1440), è un ritorno al passato,nonostante nel frattempo la ritrattistica tradiziona-le a Venezia fosse stata rovesciata da Giorgione,Lotto, Tiziano e Sebastiano. E pensare che il 1515è lo stesso anno della ‘Nuda’ di Vienna (inv. Nr.GG 97), in cui Bellini pare ispirarsi a Tiziano (A.Ballarin, Venezia 1511-1518: Tiziano dagli affre-schi della Scuola del Santo all’Assunta, dispensedelle lezioni dell’anno accademico 1990-1991, acura di E. Arregui, T. Carpené, A. Ferrarini, S.Momesso, G. Pacchioni, A. Pellizzari, Padova1991, p. 31), e appena un anno dopo il modernis-simo ‘Festino degli dèi’ di Washington (NationalGallery of Art, inv. 1942.9.1).Jennifer Fletcher mi ha fatto notare l’incongruen-za tra l’età di fra Teodoro, oltre gli ottant’anni, e ilfatto che indossi le vesti di San Domenico, mortoa cinquantun anni.

76) Un simile strabismo divergente si riscontra inun altro ritratto di Giovanni Bellini, pure alla Na-tional Gallery di Londra: il – spesso – dimentica-to ‘Domenicano con gli attributi di San PietroMartire’ (inv. NG808).

77) Inv. 0263; cfr. J. Byam Shaw, Drawings by OldMasters at Christ Church. Oxford, Oxford 1976, I,pp. 188-190, n. 702; E. Greer, in Renaissance Fa-ces cit., pp. 250-251, n. 80; D. Ekserdjian, AndreaMantegna, catalogo della mostra, a cura di J. Mar-tineau, London-New York 1992, pp. 341-343, n.104 (con l’attribuzione, da non seguire, a Mante-gna).

78) La vicenda attributiva e identificativa del fo-glio è ricostruita da C. Pedretti, The Critical For-tune of Leonardo’s Drawings, in Leonardo da Vin-ci. Master Draftsman, catalogo della mostra, a cu-ra di C.C. Bambach, New Haven-London 2003,pp. 78-84.

79) Anche se, come mi conferma Gianfranco Fiac-cadori, le date 1501 e 1502 (o 1503) effettivamen-te compaiono (come già Pallucchini aveva fattonotare, sulla scorta della lettura di Elio Toaff) in

69) Devo ad Alessandro Ballarin questa osserva-zione sulla tenuta ancora disegnativa, ‘quattrocen-tesca’, del ritratto, che mi ha stimolato ad appro-fondire il problema e quindi a retrocedere di qual-che anno la datazione rispetto alle mie precedenticonvinzioni.70) Si veda la recente trascrizione della nota lette-ra a Isabella d’Este in Barausse, Giovanni Bellinicit., pp. 345-346, n. 66.Il celebre cartone di Leonardo si trova oggi alLouvre (inv. MI 753).71) Il dipinto è un “promised gift” per il DenverArt Museum. L’entusiasmo di Robertson per il‘San Domenico’, allora nella collezione Hickox, èdimostrato in G. Robertson, Giovanni Bellini, Ox-ford 1968, pp. 111-112. L’opera misura cm 41,3 x26,4 circa ed è stata pubblicata per la prima voltada Adolfo Venturi: A. Venturi, Tre ignorati quadridi Giambellino, in ‘L’Arte’, XXIX, 1926, pp. 68-72. Ma spetta a Georg Gronau l’averla persuasiva-mente connessa alla “meza figura de San Dome-nicho ch’è asai bela su un quadreto picolo” dipin-ta per Alfonso d’Este: G. Gronau, Giovanni Belli-ni. Des Meisters Gemälde in 207 Abbildungen,Stuttgart 1930, p. 213, n. 143. Il ‘Festino deglidèi’ è conservato alla National Gallery of Art (inv.1942.9.1).72) Inv. NG1409.73) Robertson, Giovanni Bellini cit., p. 115. Per ladocumentazione sulla data 1500 della pala di Ca-stelfranco, si vedano le convincenti argomentazio-ni di F. Cortesi Bosco, Per la data della pala diCastelfranco di Giorgione, in ‘La rivista di Berga-mo’, n. S., 42, 2005, pp. 54-56; e il più recente: F.Cortesi Bosco, Matteo Costanzo nella Guerra delCasentino. Considerazioni sull’esecuzione dellatavola di Giorgione a Castelfranco, in Giorgione,catalogo della mostra, a cura di E.M Dal Pozzoloe L. Puppi, Milano 2009, pp. 113-122.74) Inv. 1912 n. 110; cfr. S. Padovani, in La Gal-leria cit., p. 203, n. 322.Un dipinto che è spesso stato giustamente connes-so alle ‘Tre età’ di Palazzo Pitti (si veda ad esem-pio A. Ballarin, in Le siècle cit., pp. 309-313, n.21) è il ‘Concerto a quattro’ della Royal Collec-tion (inv. RCIN 400025). Quest’opera (fig. 16),che è ancora in cerca di attribuzione (anche se re-centemente è stata riferita a Vittore Belliniano: L.Whitaker, in The Art of Italy cit., pp. 182-184, n.57), pare essere di qualità altissima (si guardi adesempio allo straordinario dettaglio della bava diluce che si insinua nella mano sinistra della don-na, oppure alla figura maschile sulla sinistra, chesembra un presagio della ritrattistica rembrandtia-na), nonostante il grave stato di consunzione. Par-rebbe essere dello stesso autore della ‘Madonnacon il Bambino, Santa Caterina e il Battista’ del-l’Accademia (inv. 70) – simile in particolare è ilgioco complesso delle mani, e le fisionomie deipersonaggi; e anche quell’aspetto ancora angolo-so, quattrocentesco, dei panneggi. Il dipinto del-l’Accademia è stato più volte creduto di Sebastia-no del Piombo (in ultimo da E.M. Dal Pozzolo, inGiorgione cit., pp. 434-435, n. 48), ma anche,molto più convincentemente, vista anche la suasensata collocazione cronologica assoluta, cheporta a datarlo intorno al 1500, come opera diGiorgione a ridosso della Pala di Castelfranco:questa idea, proposta in primis nelle Nouvelles At-tributions di Wilhelm Suida nel 1935, è discussa eportata avanti da A. Ballarin, in Le siècle cit., pp.301-306, n. 18.E se il ‘Concerto a quattro’ di Windsor fosse dav-vero Giorgione negli ultimi anni del Quattrocen-to? Si situerebbe qualche anno prima delle ‘Treetà’ di Palazzo Pitti (fig. 15), un suo sviluppo indirezione leonardesca. Il lasciapassare per entrarenel catalogo di Giorgione lo darebbe, come detto,la sua strettissima parentela con il dipinto del-

ebraico sulla tomba di destra nello sfondo del‘Crocifisso’ già Niccolini di Camugliano, ora allaCassa di Risparmio di Prato (inv. 112).Per il dipinto del Museum and Art Gallery di Bir-mingham (inv. 1977P227) si veda la recente sche-da, che tuttavia non enfatizza appieno l’altissimaqualità dell’opera, di P. Humfrey, in Giovanni Bel-lini cit., pp. 294-295, n. 51; il ‘San Gerolamo’ diWashington si trova alla National Gallery of Art(inv. 1939.1.217).80) Kunsthistorisches Museum (inv. Nr. GG 111);cfr. A. Ballarin, Giorgione: per un nuovo catalogoe una nuova cronologia, in Giorgione e la culturaveneta tra ’400 e ’500. Mito, Allegoria, Analisiiconologica, Roma 1981, p. 26.81) Il confronto tra il paesaggio del ‘Bembo’ edella ‘Sacra Conversazione’ di San Francesco del-la Vigna è proposto anche da Robertson, Giovan-ni Bellini cit., pp. 110-111.82) Inv. NG812: Davies, National Gallery cit., pp.65-67.83) National Gallery of Art, inv. 1952.2.7.84) Su questo punto è chiarificatore Ballarin, Ve-nezia 1511-1518 cit., pp. 21-31.85) Inv. 28.115 (Detroit, Institute of Arts) e Reg.Cron. 298 (Brera).Una Madonna sorella di quelle di Detroit e Brera,forse di poco precedente, è quella passata all’astaa Londra da Christie’s, 7 luglio 2010, lotto 36.Purtroppo danneggiata da passate puliture, rimaneun momento di commovente poesia nella tarda at-tività di Bellini, che qui pare in dialogo con le for-mule fiorentine da “Maniera moderna” di Fra Bar-tolomeo, che, si diceva, non a caso si trovava a Ve-nezia nella primavera del 1508.86) Musée des Beaux-Arts et d’Archéologie (inv.896.1.13). Il dipinto, come già segnalato da G.Agosti, Un amore di Giovanni Bellini, Milano2009, p. 193-194, nota 107, si trova nel catalogo divendita della collezione Sasso: Catalogo de’ Qua-dri del qu: Giammaria Sasso, che si mettono al-l’Incanto nella sua Casa al Ponte di Canalregio N.381, Venezia [1803], p. 21, n. 307 (dove viene de-scritto come un “Noè ubriaco co’ figlj che lo deri-dono, del Lotto Bergamasco”, con le misure: Al-tezza 3 piedi. Larghezza 4 piedi, 5 oncie. Ringra-zio Linda Borean per avermi segnalato l’esistenzadi una copia del catalogo alla Marciana). Va poitenuto in considerazione a riguardo il ‘Noe scor-zado alquanto’ che compare – purtroppo senza no-me dell’autore o misure – nell’inventario del 1556di Chiara Sanudo: cfr. Agosti, Un amore cit., p.193, nota 107.

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