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Programma Di Fisica classe V Modulo 1: La carica elettrica e la legge di Coulomb UD 1: La carica elettrica UD 2: Tipi di elettrizzazione UD 3: La legge di Coulomb Modulo 2: Campo elettrico UD 1: Campo elettrico UD 2: Flusso del campo elettrico UD 3: Teorema di Gauss Modulo 3: Il potenziale elettrico UD 1: Energia potenziale elettrica UD 2: Potenziale elettrico UD 3: Superfici equipotenziali UD 4: Circuitazione Modulo 4: Fenomeni di elettrostatica UD 1: Distribuzione delle cariche UD 2: Capacità di un conduttore UD 3: Condensatore Modulo 5: La corrente elettrica continua UD 1: La corrente elettrica UD 2: Leggi di Ohm UD 3: Leggi di Kirchhoff UD 4: Generatore di tensione

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Programma Di Fisica classe V

Modulo 1: La carica elettrica e la legge di Coulomb

UD 1: La carica elettrica

UD 2: Tipi di elettrizzazione

UD 3: La legge di Coulomb

Modulo 2: Campo elettrico

UD 1: Campo elettrico

UD 2: Flusso del campo elettrico

UD 3: Teorema di Gauss

Modulo 3: Il potenziale elettrico

UD 1: Energia potenziale elettrica

UD 2: Potenziale elettrico

UD 3: Superfici equipotenziali

UD 4: Circuitazione

Modulo 4: Fenomeni di elettrostatica

UD 1: Distribuzione delle cariche

UD 2: Capacità di un conduttore

UD 3: Condensatore

Modulo 5: La corrente elettrica continua

UD 1: La corrente elettrica

UD 2: Leggi di Ohm

UD 3: Leggi di Kirchhoff

UD 4: Generatore di tensione

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Modulo 6: La corrente elettrica nei liquidi e nei gas

UD 1: Elettrolisi

UD 2: La pila

UD 3: La conducibilità nei gas

Modulo 7: Fenomeni magnetici fondamentali

UD 1: Magneti naturali e artificiali

UD 2: Confronto fra fenomeni elettrici e magnetici

UD 3: Motore elettrico

Modulo 8: Il campo magnetico

UD 1: Forza di Lorentz

UD 2: Flusso del campo magnetico

UD 3: Circuitazione del campo magnetico

UD 4: Proprietà magnetiche dei materiali

UD 5: Ciclo d’isteresi magnetica

Modulo 9: Induzione elettromagnetica

UD 1: Correnti indotte

UD 2: Legge di Faraday-Neumann

UD 3: Legge di Lenz Campo elettrico indotto

UD 4: Equazioni di Maxwell

UD 5: Le onde elettromagnetiche

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Modulo 1: La carica elettrica e la legge di Coulomb

Contenuti

Unità didattica 1: La carica elettrica

Unità didattica 2: Tipi di elettrizzazione

Unità didattica 3: La legge di Coulomb

Obiettivi del modulo

• Conoscere la carica elettrica • Conoscere i diversi tipi di elettrizzazione • Sapere la legge di Coulomb

Ogni giorno assistiamo a fenomeni elettrici, anche se noi in realtà percepiamo solo i loro effetti, in

quanto tali fenomeni non sono visibili. In natura fenomeni elettrici visibili sono difficili da

verificarsi, un fenomeno certamente ben visibile è senza dubbio il fulmine. Ma , in natura, esistono

fenomeni di elettrizzazione conosciuti anche nell’antichità. Per esempio, l’ambra, una resina fossile

prodotta da certe piante, ha la proprietà, una volta strofinata, di attrarre piccoli pezzettini di paglia o

di semi. Infatti la parola elettricità deriva proprio dal greco elektron che vuol dire appunto ambra.

L’esperienza mostra che bacchette di plastica o di vetro se strofinate, con un panno di lana sono in

grado di attrarre piccoli oggetti. Ma cosa succede ai corpi elettrizzati , quando interagiscono tra di

loro? Si può verificare che se le bacchette sono entrambe di plastica o entrambe di vetro esse si

respingono, se invece sono una di plastica e una di vetro esse si attraggono, e inoltre tutti gli oggetti

elettrizzati, respinti dalla plastica saranno attratti dal vetro e viceversa. Quindi si può concludere

che in natura sono presenti solamente due tipi di elettricità: positiva e negativa. Per convenzione si

da il nome di carica elettrica positiva quella posseduta dal vetro e negativa quella posseduta dalla

plastica. Ma a cosa è dovuto la presenza della carica in un corpo dopo essere stato strofinato? Prima

della scoperta dell’elettrone, compiuta da Thomson alla fine dell’ottocento, si pensava che questa

proprietà (cioè quella della carica) era dovuta allo strofinio e proveniva dal nulla. Con la scoperta

dell’elettrone, particella carica negativamente e presente nella materia, ha indotto a pensare che i

corpi inizialmente sono neutri perché le cariche positive e negative all’interno sono equilibrate.

Quando invece i corpi vengono soggetti allo strofinio, gli elettroni, più liberi di muoversi sfuggono

dall’atomo che diventa carico positivamente, oppure vengono attirati e in questo caso l’atomo si

carica negativamente.

Compiendo alcuni semplici esperimenti si può notare che alcuni corpi nonostante vengono strofinati

non si elettrizzano. Ciò è dovuto al fatto che alcuni materiali le cariche, ossia gli elettroni di

conduzione sono liberi di muoversi mentre in altri corpi ciò non avviene. Per esempio i metalli sono

ottimi conduttori e quindi la carica ottenuta con lo strofinio si disperde subito attraverso il nostro

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corpo, mentre materiali come la plastica e il vetro, buoni isolanti, non disperdono la carica

attraverso il nostro corpo .

Abbiamo visto che un corpo si può elettrizzare per strofinio, ma nel caso di materiali conduttori,

l’elettrizzazione può avvenire anche per contatto. Infatti abbiamo detto che i conduttori sono

materiali in cui la carica è libera di muoversi, quindi se mettiamo a contatto due conduttori, uno

neutro ed uno carico si può vedere che quello neutro acquisterà la carica dello stesso segno di quello

carico. Si può costruire un dispositivo che è in grado di stabilire se un corpo è carico o meno e se un

corpo ha una carica maggiore di un altro. In tal modo possiamo definire operativamente la

grandezza fisica carica elettrica.

Il dispositivo in questione è l’elettroscopio a foglioline. Questo dispositivo è formato da un’asta

metallica nella cui estremità inferiore vi sono disposte due lamine molto sottili, e termina

nell’estremità superiore con una sfera metallica. Il tutto è racchiuso da un involucro di vetro che

oltre ad isolare il dispositivo funge da sostegno. A questo punto viene posto a contatto della sfera

metallica un conduttore, se esso è carico per effetto dell’elettrizzazione per contatto, l’elettroscopio

si carica e le foglioline divergono in quanto cariche dello stesso segno. Inoltre se vengono messi a

contatto con l’elettroscopio due conduttori carichi, in base al comportamento delle foglioline si può

stabilire chi dei due ha una carica maggiore. In questo modo attraverso una scala graduata è

possibile dare una misura alla carica. Ma qual è l’unità di misura della carica elettrica? Sarebbe

naturale assegnare come unità di misura l’elettrone ma esso ha una carica troppo piccola e pertanto,

nonostante l’elettrone sia la carica elementare, nel S.I. l’unità di misura è il Coulomb(C).

L’elettrone ha una carica pari a Ce 19106022,1 −⋅=−

Quindi abbiamo visto cosa è la carica elettrica e come si misura. Ma cosa succede quando due

cariche puntiformi sono poste in prossimità? Se sono cariche opposte esse si attraggono e se sono

cariche uguali esse si respingono. Ma qual è la forza di attrazione o di repulsione?

Questa forza è diretta lungo la congiungente le due cariche e la sua intensità è data dalla seguente

legge di Coloumb

221

00 r

QQkF

⋅=

Tale legge afferma che due cariche puntiformi si attraggono o si respingono con una forza

direttamente proporzionale al prodotto delle due cariche e inversamente proporzionale al quadrato

della loro distanza.

0k rappresenta la costante nel vuoto ed è 2

29

0 10.99,8C

mNk

⋅=

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Modulo 2: Campo elettrico

Contenuti

Unità didattica 1: Campo elettrico

Unità didattica 2: Flusso del campo elettrico

Unità didattica 3: Teorema di Gauss

Obiettivi del modulo

• Conoscere il concetto di campo elettrico

• Saper rappresentare le linee di campo di un campo elettrico

• Conoscere il significato di flusso e il teorema di Gauss

Per superare il concetto di forza a distanza messa in discussione dalle teoria della relatività i fisici

della seconda metà dell’Ottocento hanno introdotto il concetto di campo elettrico.

Il campo elettrico è quella regione dello spazio in cui si fa sentire l’azione di una forza elettrica su

una carica di prova. Viceversa, una regione di spazio si dice sede di campo elettrico se, prendendo

una carica di prova e ponendola in un qualsiasi punto di questa regione, si può osservare che essa è

soggetta a forze di origine elettrica. Questo nuovo modello si può rappresentare visivamente come

una sfera che deforma un telo elastico ben teso. Una seconda pallina più leggera, appoggiata sullo

stesso telo, si muove seguendone la curvatura. Quindi non è la sfera che attrae la pallina, ma

piuttosto la deformazione del telo che l’attira verso la sfera.

Le proprietà di un campo elettrico possono essere descritte quantitativamente definendo un vettore:

il vettore campo elettrico

q

FE =

il rapporto tra la forza elettrica che subisce una carica di prova posta in un punto P sulla carica di

prova stessa. Nel S.I. il campo elettrico si misura in Newton/Coulomb (N/C).

Nel caso in cui il campo elettrico sia generato da una carica sorgente Q, allora in un punto P il

campo elettrico avrà come direzione e verso quello della forza F esercitata sulla carica di prova e

come modulo

24

1

r

QE ⋅=

πε

Nel caso di campi generati da più cariche, il campo elettrico sarà dato dalla somma vettoriale dei

campi elettrici che sono generati dalle singole cariche.

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Per visualizzare il campo elettrico generato da un insieme di cariche, si possono tracciare una serie

di vettori in diversi punti dello spazio. Tuttavia, questa rappresentazione è poco conveniente, perché

se E è disegnato soltanto in pochi punti, essa risulta molto grossolana. Se invece E è disegnato in un

grandissimo numero di punti, la rappresentazione diventa molto confusa. Per questa ragione si

preferisce un altro sistema di visualizzazione basato sulle linee di campo.

La linea di campo è una linea che ha la caratteristica di individuare direzione e verso del vettore

campo elettrico. Infatti la tangente a una linea di campo in ogni suo punto indica la direzione e il

verso di E in quel punto.

Una grandezza fisica che caratterizza in maniera univoca i campi vettoriali in genere è il flusso del

campo attraverso una superficie.

Se consideriamo un liquido, la portata del liquido attraverso una superficie rappresenta il flusso.

Tale definizione si può estendere anche ad altri campi vettoriali, come ad esempio il campo

elettrico.

Il flusso del campo elettrico attraverso una superficie piana è:

( ) SEES

⋅=Φ

Il teorema di Gauss per il campo elettrico afferma che il flusso del campo elettrico attraverso una

superficie chiusa è dato da:

( )ε∑=Φ i i

S

QE

dove ∑i iQ è la somma algebrica delle cariche contenute all’interno della superficie chiusa ed ε è

la costante dielettrica del mezzo che riempie lo spazio.

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Modulo 3: Il potenziale elettrico

Contenuti

Unità didattica 1: Energia potenziale elettrica

Unità didattica 2: Potenziale elettrico

Unità didattica 3: Superfici equipotenziali

Unità didattica 4: Circuitazione

Obiettivi del modulo

• Conoscere i concetti di energia potenziale elettrica e di potenziale elettrico

• Saper rappresentare le superfici equipotenziali di un campo elettrico

• Conoscere il significato di circuitazione di un campo vettoriale

Date due cariche puntiformi q e Q poste a distanza r l’energia potenziale elettrica nel punto P in cui

è posta la carica di prova q è data da

kr

QqU P +⋅⋅=

πε4

1

tutto ciò in analogia al potenziale gravitazionale

kr

mMGU +−=

In pratica l’energia potenziale elettrica in un punto P posto a distanza r dalla carica Q è uguale al

lavoro compiuto dalla forza elettrica per spostare la carica q da una posizione di riferimento R fino

al punto P.

Per convenzione si considera uguale a zero l’energia potenziale di un punto P posto distanza infinita

dalla carica Q. Con tale condizione, risulta k=0, quindi

r

QqU P

⋅⋅=πε4

1

Se sono presenti più cariche puntiformi, l’energia potenziale del sistema è data dalla somma delle

energie potenziali che si avrebbero scegliendo le cariche a coppie in tutti i modi possibili.

Abbiamo visto che per caratterizzare il campo elettrico si è introdotto il vettore Eρ

. Cioè siamo in

grado attraverso il vettoreEρ

di descrivere le proprietà elettriche che si avvertono in un punto dello

spazio. Sarebbe però comodo caratterizzare una distribuzione di cariche mediante una quantità che,

come Eρ

, sia definita in ogni punto P dello spazio e che dipenda dalle cariche stesse e dal punto, ma

che sia anche uno scalare, cioè una grandezza semplice da trattare.

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Se spostiamo una carica q da A a B si può determinare la differenza di energia potenziale

AB UUU −=∆ . L’energia potenziale è uno scalare, ma non è la grandezza cercata perché essa non

dipende soltanto dalla distribuzione di cariche ma anche dalla carica esploratrice. Pertanto si

definisce una nuova grandezza fisica che è la differenza di potenziale elettrico

q

UV

∆=∆

Le cariche positive passano da punti a potenziale maggiore a punti a potenziale minore. Le cariche

negative, invece, passano da punti a potenziale minore a punti a potenziale maggiore.

Infatti:

q

WVV BA

BA =−

Così come è stata definita l’energia potenziale in un punto, si può definire il potenziale elettrico in

un punto P.

PRP VVV =−

dove R è la condizione di riferimento.

L’unità di misura del potenziale elettrico è il volt (V).

Nel caso di campo generato da una carica puntiforme Q, avremo che:

r

qQU P

⋅⋅=πε4

1

e

r

QVP ⋅=

πε4

1

Se il campo elettrico è generato da più cariche, il potenziale elettrico in un punto P è la somma

algebrica dei potenziali.

Come il campo elettrico può essere rappresentato graficamente dalle linee di campo, il potenziale

elettrico è rappresentato dalle superfici equipotenziali.

Si chiama superficie equipotenziale il luogo dei punti dello spazio in cui il potenziale elettrico

assume un dato valore costante. Per esempio, nel caso di un campo elettrico generato da una carica

Q, essendo r

QVP ⋅=

πε4

1, le superfici equipotenziali saranno tutte le superfici sferiche aventi centro

il Q e raggio r. Quindi tali superfici hanno la caratteristica che in ogni punto sono perpendicolari

alle linee di campo. Pertanto, se abbiamo il caso di un campo uniforme (in cui in tutti i punti il

campo assume lo stesso valore), le linee del campo sono parallele tra loro.

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Dopo aver considerato il flusso del campo elettrico si può considerare un’altra grandezza fisica che

caratterizza i campi vettoriali: la circuitazione. Se consideriamo un liquido, abbiamo visto che la

portato di un liquido attraverso una superficie rappresenta il flusso del campo; la circuitazione ci da

informazione sul fatto che il liquido in movimento segue una traiettoria aperta o chiusa.

Nel caso di circuitazione del campo elettrostatico, si dimostra che lungo una linea chiusa essa è

uguale a zero. Ciò esprime in modo matematico che il campo è un campo conservativo.

( ) 0=Γ Eλ

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Modulo 4: Fenomeni di elettrostatica

Contenuti

• Distribuzione delle cariche • Capacità di un conduttore • Condensatore

Obiettivi

• Conoscere il campo elettrico e il potenziale elettrico di un conduttore elettrostatico • Conoscere la definizione di capacità di un conduttore • Conoscere il condensatore e la sua funzione

Per equilibrio elettrostatico s’intende la condizione nella quale tutte le cariche presenti nei

conduttori sono ferme. Quando un conduttore viene caricato per contatto o per strofinio, la carica

viene conferita in alcune zone per poi ridistribuirsi in tutto il conduttore. Gli esperimenti mostrano

che quando un conduttore è in equilibrio elettrostatico, allora la carica si distribuisce in superficie.

Un’esperienza è quella della sfera metallica carica, sorretta da un’asse isolante e racchiusa tra due

semisfere metalliche cave. Per contatto le semisfere cariche si elettrizzano e la sfera rimane neutra.

Un altro esperimento che da un risultato analogo è il pozzo di Faraday.

Se il conduttore è sferico si può notare che la carica si distribuisce in superficie in modo uniforme.

Ma ciò non è vero se il conduttore carico ha forma irregolare. Infatti in tal caso gli esperimenti

mostrano che la carica si concentra nella parte del conduttore che ha una curvatura più accentuata.

Ossia S

Q

∆∆=σ (densità superficiale di carica) è maggiore dove la curvatura del conduttore è

maggiore.

Dati n conduttori di cui conosciamo la forma, la posizione nello spazio e la carica che si trova su

ciascuno di essi, si vuole determinare il valore del campo elettrico oppure del potenziale elettrico in

tutti i punti dello spazio.

All’interno di un conduttore in equilibrio elettrostatico il campo elettrico è nullo. Infatti se il campo

elettrico all’interno del conduttore non fosse nullo, le cariche all’interno si muoverebbero per effetto

di E, e tale movimento sarebbe in contraddizione con l’ipotesi di equilibrio elettrostatico del

conduttore.

Sulla superficie, invece, il campo elettrico ha direzione perpendicolare alla superficie. Infatti se per

assurdo non fosse perpendicolare alla superficie, allora il suo componente 1E parallelo alla

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superficie, darebbe origine ad una forza elettrica capace di muovere le cariche presenti lungo la

superficie. Ma ciò è in contraddizione con l’ipotesi.

Per quanto riguarda il potenziale elettrico, esso è uguale in tutti i punti all’interno e sulla superficie

di un conduttore elettrostatico.

Prendiamo due punti A e B del conduttore. Possiamo trasportare una carica di prova da A a B

attraverso un percorso interno al conduttore, dove E è nullo. Di conseguenza, il lavoro delle forze

elettriche sulla carica di prova è nullo e quindi il potenziale BA VV = .

Una giustificazione teorica al fatto che le cariche in un conduttore elettrostatico si distribuiscono in

superficie ci viene data dall’applicazione del teorema di Gauss. Infatti sappiamo che:

( )ε∑=Φ i i

S

QE

dal momento che 0=E allora ( ) 0=Φ ES

e quindi la carica all’interno di un conduttore è nulla.

Finora abbiamo posto uguale a zero il potenziale elettrico dei punti che si trovano all’infinito. Negli

ambiti applicativi, spesso si sceglie come condizione di riferimento il potenziale della Terra, oppure

l’involucro metallico che racchiude gli strumenti. Per esempio, dire che il polo positivo della

batteria di un’automobile si trova a 12 V, significa che il potenziale di tale elettrodo supera di 12 V

quello della carrozzeria dell’auto, a cui è collegato il polo negativo della batteria.

Consideriamo un conduttore isolato. Se all’inizio il conduttore è scarico, possiamo attribuire ad esso

un potenziale pari a zero. Se ora elettrizziamo il conduttore isolato con una carica Q, il potenziale

del conduttore passa dallo zero a un certo valore V. Sperimentalmente si osserva che se

raddoppiamo Q anche il valore di V raddoppia, se lo triplichiamo anche V triplica. Quindi se il

conduttore è isolato ed è in equilibrio, V e Q sono direttamente proporzionali. Ossia si può definire

come capacità di un conduttore il rapporto

V

QC = .

C è una grandezza che dipende esclusivamente dalla forma del conduttore e dalle sue dimensioni.

Nel S.I. essa si misura in Farad (F). In effetti nelle applicazioni tecnologiche si utilizzano i

sottomultipli del Farad.

Il condensatore piano è costituito da due lamine metalliche parallele chiamate armature, poste a

piccola distanza l’una dall’altra. Se carichiamo una di esse con una carica Q e colleghiamo l’altra a

terra, su quest’ultima si induce una carica pari a –Q. Quando la prima piastra viene caricata, passa

dal potenziale zero a potenziale V. La seconda, invece, collegata a terra, mantiene il potenziale nullo

della Terra. Quindi la d.d.p. tra le due piastre coincide con V. In generale si chiama condensatore un

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sistema fisico costituito da due conduttori situati in modo tale che quando su uno di essi è posta la

carica Q, l’altro acquista per induzione la carica –Q.

Si definisce capacità di un condensatore il rapporto

V

QC

∆= .

Si può calcolare che la capacità di un condensatore piano è uguale a

d

SC ε= .

La funzione dei condensatori è quella di essere dei serbatoi di carica e quindi di energia elettrica.

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Modulo 5: La corrente elettrica continua

Contenuti

• Unità didattica 1: La corrente elettrica • Unità didattica 2: Leggi di Ohm • Unità didattica 3: Leggi di Kirchhoff • Unità didattica 4: Generatore di tensione

In un conduttore percorso da corrente elettrica deve essere presente un campo elettrico, poiché

devono esistere all’interno del conduttore forze elettriche in grado di mettere in moto le cariche. Se

all’interno del conduttore tutti i punti avessero lo stesso potenziale, allora il conduttore sarebbe in

equilibrio elettrostatico. Possiamo quindi affermare che la corrente elettrica nasce da una differenza

di potenziale (d.d.p.).

Consideriamo un conduttore a forma di cilindro (per esempio un filo metallico) e supponiamo che il

punto A si trovi a un potenziale BA VV > del punto B.

In ogni punto interno al conduttore esiste un campo elettrico Eρ

diretto nel verso che va da A verso

B. Questo campo esercita una forza qEF ⋅= su ogni particella con carica q interna al conduttore.

Se q è positiva, allora F è diretta nella stessa direzione di Eρ

.

Se q è negativa, allora F è diretta nel verso opposto ad Eρ

.

Si definisce intensità di corrente elettrica i il rapporto tra la quantità di carica Q∆ che attraversa la

sezione trasversale di un conduttore in un intervallo t∆ e questo stesso intervallo: t

Qi

∆∆= .

L’intensità di corrente è una grandezza scalare che si misura in Ampére (A): s

CA

1

11 = .

Secondo la tradizione il verso della corrente è quello in cui si muovono le cariche positive. Si tratta

di una convenzione spesso in contrasto con ciò che accade nella realtà. Per esempio in un

conduttore metallico i portatori di carica sono le particelle negative, quindi il verso reale va da un

potenziale minore a un potenziale maggiore e non viceversa.

In generale, la corrente elettrica può cambiare da istante a istante. Quando la sua intensità si

mantiene costante nel tempo, si dice che la corrente è continua.

Se ai capi del conduttore la d.d.p. è diversa da zero, allora nel conduttore fluisce corrente elettrica.

Non appena la d.d.p. è pari a zero, le cariche cessano di muoversi e il conduttore si trova in una

condizione di equilibrio. Abbiamo quindi bisogno di un generatore di tensione, ossia di un

dispositivo che sia in grado di mantenere ai capi del conduttore una d.d.p. diversa da zero.

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Si chiama generatore ideale di tensione un dispositivo (non realizzabile in pratica) capace di

mantenere ai sui capi una d.d.p. costante, per un tempo indeterminato e, qualsiasi sia l’intensità di

corrente che lo attraversi. Supponiamo che nel conduttore collegato al generatore si muovano

soltanto cariche positive. Man mano che esse si spostano dal punto a potenziale maggiore al punto a

potenziale minore, la d.d.p. tende ad annullarsi, come abbiamo visto. Per ricreare il dislivello

elettrico, il generatore di tensione deve prelevare cariche positive dal polo a potenziale minore e

trasportarle al polo a potenziale maggiore. Per fare ciò, all’interno del generatore agiranno delle

forze che si oppongono al campo elettrico.

Affinché in un conduttore circoli corrente elettrica, dunque, occorre inserirlo in un circuito del quala

fa parte un generatore di tensione.

Un circuito elettrico è costituito da un insieme di conduttori connessi l’uno all’altro in modo

continuo e collegati ai poli del generatore.

Il circuito più semplice è costituito da un filo metallico le cui estremità sono collegate a un

generatore.

Per quanto complicati possano essere i collegamenti tra i componenti di un circuito, essi si riducono

a due tipi fondamentali: connessioni in serie e connessioni in parallelo.

I componenti sono collegati in serie se sono disposti in successione, e ognuno di essi sarà

attraversati dalla stessa corrente. Due o più conduttori sono collegati in parallelo, quando hanno le

prime estremità in comune tra loro, così pure come le seconde.

Variando la d.d.p. agli estremi del conduttore, varia anche l’intensità della corrente elettrica. Come

avviene questa variazione? In generale non esiste una relazione tra la i e la d.d.p., poiché dipende

dal particolare tipo di conduttore. Ohm scoprì che per tutti i conduttori metallici, per le soluzioni di

acidi, basi e sali la curva caratteristica (d.d.p.-i) assume la forma di una retta passante per l’origine,

quindi i

VR

∆= . Poiché all’aumentare di R diminuisce la i, essa rappresenta l’ostacolo che il

conduttore pone al passaggio di corrente e pertanto essa viene chiamata resistenza.

Nel S.I. la resistenza si misura in Ohm (Ω).

Le proprietà fondamentali di un qualsiasi circuito ohmico (generatore di tensione più resistore) sono

i principi di Kirchhoff.

Il primo principio di Kirchhoff afferma che la somma delle intensità di corrente entrante in un nodo

è uguale alla somma di quelle uscenti. Questa legge è conseguenza del principio di conservazione

della carica.

Il secondo principio di Kirchhoff afferma che la somma algebrica delle differenze di potenziale che

si incontrano percorrendo una maglia è uguale a zero.

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Come conseguenza di questi principi si può ricavare che la resistenza totale di due o più conduttori

ohmici posti in serie è dato dalla somma delle singole resistenze; la resistenza totale di due o più

conduttori posti in parallelo è tale che il suo inverso è uguale alla somma degli inversi delle singole

resistenze.

Il passaggio della corrente elettrica è accompagnato da scambi di energia che si verificano

all’interno dei conduttori e tra essi e anche l’ambiente esterno. Tutti i conduttori (eccetto i

superconduttori) si riscaldano quando sono percorsi dalla corrente elettrica. A causa della

temperatura elevata, essi emettono energia nell’ambiente esterno. Nei conduttori liquidi il passaggio

di corrente può dar luogo anche a reazioni chimiche con assorbimento di energia e tal volta i

conduttori gassosi percorsi da corrente emettono luce. Tutte queste trasformazioni di energia hanno

origine dall’energia elettrica fornita alle cariche dal generatore. Quando il generatore spinge al suo

interno le cariche positive verso il polo a potenziale più alto, l’energia potenziale elettrica di queste

cariche aumenta a spese dell’energia chimica delle batterie. Poi, man mano che esse fluiscono verso

il circuito esterno, perdono la loro energia potenziale che si trasforma in altre forme di energia. Si

può calcolare che la potenza elettrica sviluppata è: 2iRViP ⋅=∆⋅= .

All’interno del generatore di tensione agiscono delle forze che trasportano le cariche positive verso

il polo positivo e le cariche negative verso il polo negativo. Si definisce forza elettromotrice (f.e.m.)

del generatore il rapporto tra il lavoro fatto dal generatore e la carica q. Nel caso ideale tale f.e.m. è

uguale alla d.d.p. che di mantiene ai capi del generatore. Nei casi reali, invece, essa è uguale a tale

d.d.p. soltanto a circuito aperto. Infatti quando il generatore si collega a un circuito chiuso, la d.d.p.

diminuisce. Ciò è dovuto al fatto che una parte dell’energia elettrica viene utilizzata per far muovere

la cariche all’interno del generatore stesso. Come si può simulare il comportamento di un

generatore reale? Il modello più semplice è costituito da un generatore ideale posto in serie con una

resistenza (resistenza interna del generatore).

I metalli sono i migliori conduttori di elettricità perché all’interno vi sono moltissimi elettroni liberi.

Quando sono sottoposti all’azione di un campo elettrico, essendo elettricamente negativi, essi

migrano verso i punti a potenziale maggiore. Per questo motivo questi elettroni si chiamano

elettroni di conduzione. La struttura microscopica di un metallo è costituita da una sequenza

ordinata di ioni positivi. Tra di essi, negli intertizi del reticolo, vagano i numerosi elettroni di

conduzione che si comportano come molecole di gas (si parla di mare di Fermi, in memoria del

fisico italiano che per primo descrisse il fenomeno) e il loro moto è disordinato e a zigzag. Quando

si applica una d.d.p., il campo elettrico fa variare la velocità di questi elettroni e complessivamente

migrano in verso opposto al campo elettrico, ma la loro velocità di migrazione è molto piccola.

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Come mai allora quando di preme un interruttore la lampadina si illumina subito? Ciò è dovuto al

fatto che lungo il filo vi è un grandissimo numero di elettroni e, quando si preme l’interruttore,

istantaneamente tutti gli elettroni si mettono in movimento.

Ohm stabilì sperimentalmente anche la seconda legge che porta il suo nome. Essa afferma che la

resistenza elettrica di un filo conduttore è direttamente proporzionale alla sua lunghezza e

inversamente proporzionale alla sua sezione e inoltre essa dipende dalla sostanza del filo e dalla sua

temperatura.

Abbiamo detto che un conduttore metallico attraversato dalla corrente elettrica si riscalda. Questo

fenomeno è noto come effetto Joule. Come possiamo spiegare tale fenomeno da un punto di vista

microscopico? Gli elettroni di conduzione sono continuamente accelerati dal campo elettrico

all’interno del conduttore. In seguito alle collisioni con gli elettroni di conduzione, gli ioni del

reticolo aumentano la loro energia cinetica il che significa un aumento dell’energia interno e quindi

un aumento della temperatura.

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Modulo 6: La corrente elettrica nei liquidi e nei gas

Contenuti

• Elettrolisi • La pila • La conducibilità nei gas

Studiando il passaggio della corrente elettrica nei liquidi, Faraday osservò che l’acqua pura è

praticamente isolante, mentre diventa conduttrice se si scioglie in essa una piccola quantità di sale,

o di un acido, o di una base. Invece le soluzioni in acqua dei composti organici come lo zucchero

non sono conduttrici.

Per studiare le proprietà della corrente elettrica nei liquidi, si può prendere un recipiente di vetro,

dentro il quale si pongono due elettrodi (lamine metalliche) connesse ai poli di un generatore di

tensione. Su un amperometro connesso in serie al nostro circuito, si potrà leggere il valore della

corrente che circola. Versando nel recipiente uno dopo l’altro diversi liquidi, si potrà verificare

quello che aveva scoperto Faraday.

Qualsiasi sostanza che, disciolta nell’acqua, la rende conduttrice si chiama elettrolita. Le soluzioni

di elettroliti sono dette soluzioni elettrolitiche. L’esperienza mostra che per tali soluzioni vale la

prima legge di Ohm (ciò finché la temperatura del liquido non diventa troppo alta).

Come si spiega il diverso comportamento delle soluzioni elettrolitiche e di quelle non elettrolitiche?

Esso si può spiegare a partire dalla struttura microscopica di sali, acidi, basi da una parte e dei

composti organici dall’altra. Se consideriamo il cloruro di sodio, possiamo notare che ogni suo

cristallo è ottenuto dall’aggregazione regolare di ioni positivi sodio e di ioni negativi cloro, legati

tra loro per effetto della forza elettrica, ossia il loro legame è un legame ionico. Se si immerge uno

di questi cristalli in acqua, quest’ultima nel demolisce la struttura liberando gli ioni che si

disperdono nel solvente. L’azione delle molecole d’acqua dipende dalla loro natura polare, che

consente loro di agire sia con ioni positivi sia con ioni negativi.

Invece per la maggior parte dei composti organici, come lo zucchero, le cose sono diverse.

All’interno di ogni molecola gli atomi sono uniti da forti legami covalenti, mentre le molecole sono

attratte le une alle altre da forze molto deboli. Quando si pone nell’acqua un cristallo di zucchero,

esso si dissolve disperdendo nel solvente le molecole di zucchero che non sono capaci di condurre

elettricità.

Si da il nome di elettrolisi l’insieme di fenomeni che hanno luogo nelle soluzioni elettrolitiche per

effetto del passaggio di corrente.

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Quando si applica ad una soluzione elettrolitica una differenza di potenziale, all’interno del liquido

si crea un campo elettrico diretto dall’anodo al catodo. Gli ioni, che prima vagavano in modo

caotico, adesso migrano ordinatamente verso gli elettrodi di segno opposto. Bisogna notare che a

differenza di ciò che accade nei metalli, in una soluzione elettrolitica, il passaggio di corrente non è

dovuto al passaggio di elettroni, ma alla migrazione di ioni positivi e di ioni negativi. Inoltre, poiché

gli ioni hanno massa migliaia di volte più grande di quella di un elettrone, essi possono dar luogo a

depositi di materia in prossimità degli elettrodi. Ciò è sfruttato nella galvanoplastica per la ramatura

e la cromatura di oggetti. E’ possibile prevedere di volta in volta la quantità di carica elettrica

sufficiente per produrre, per via elettrolitica, una certa massa di sostanza. Infatti la legge di Faraday,

ricavata sperimentalmente nel 1833 dal fisico inglese, afferma che le masse delle sostanze che si

liberano negli elettrodi sono direttamente proporzionali alla quantità di carica che ha attraversato la

soluzione.

Si definisce pila un generatore di tensione in grado di compiere lavoro a spese dell’energia

potenziale delle sostanze chimiche contenute al suo interno. La forza elettromotrice f.e.m. di una

pila è il frutto di una trasformazione chimica spontanea in cui le sostanze reagenti si scambiano

elettroni. La pila è stata inventata nel 1799 da Alessandro Volta. Egli realizzò questo dispositivo

impilando diverse coppie di dischi di zinco e di rame, separate l’una dall’altra, da un panno

imbevuto di acido solforico. Oggi le pile più diffuse sono le pile a secco. L’energia necessaria per

far circolare la corrente nel circuito esterno è fornita dal fenomeno chimico che provoca lo

scioglimento di zinco dal metallo alla soluzione. Le batterie della automobile sono invece delle pile

ricaricabili, nel senso che quando l’automobile è in movimento, produce energia elettrica tramite

l’alternatore, e questa energia viene accumulata nelle batterie sotto forma di energia chimica e viene

restituita o per mettere in moto l’automobile o per tenere accesi i fari.

Contrariamente a quanto avviene in un conduttore metallico e in una soluzione elettrolitica, in un

gas non vi sono portatori di carica. Un gas quindi è per sua natura un isolante perfetto. Se, però,

qualche causa esterna produce in esso coppie di ioni, esso diventa conduttore.

Si può ionizzare una frazione delle molecole di un gas, investendola con radiazioni

elettromagnetiche di alta frequenza, oppure con elettroni o protoni emessi da sostanze radioattive o

accelerati da acceleratori di particelle. Questi agenti ionizzanti forniscono agli elettroni di alcune

molecole del gas un energia sufficiente a staccarli da esse. Nella pratica non è mai possibile

sottrarre completamente un gas a tutti questi agenti. Infatti tutti i materiali di cui è costituita la

crosta terrestre contengono sostanze radioattive. A tale ionizzazione inoltre contribuiscono fiamme,

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radiazioni solari e raggi cosmici. Proprio perché al loro interno è sempre presente un certo numero

di ioni, i gas possono essere attraversati dalla corrente elettrica. Quando ciò accade, si verificano

spesso dei fenomeni luminosi, per esempio i fulmini. Essi sono causati da una differenza di

potenziale dell’ordine di milioni di volt tra la nube e il suolo e si genera una corrente che può

arrivare a punte di 10.000 ampere. Il calore sviluppata da questa intensa corrente elettrica riscalda

l’aria e ne provoca un’improvvisa espansione che produce un’onda sonora: il tuono.

Per osservare il fenomeno della scarica elettrica in un gas, lo si può racchiudere in un tubo

trasparente alla cui estremità sono fissati due elettrodi metallici. Questi sono collegati con un

circuito esterno costituito da un generatore G e da una resistenza variabile R. A qualsiasi pressione

del gas si può osservare che l’intensità di corrente non è direttamente proporzionale alla d.d.p. ai

capi del tubo. Ciò significa che per i gas non vale la legge di Ohm.

Variando la pressione del gas e l’intensità di corrente, la scarica assume aspetti molto diversi.

Mantenendo il gas a pressione atmosferica, se si applica una d.d.p. elevata, all’interno del tubo

scocca una scintilla. Essa è più o meno ramificata ed è accompagnata da un rumore secco. Quando

la d.d.p. tra gli elettrodi è piuttosto elevata, il campo elettrico esercita sui pochi ioni una forza tale

che essi acquistano una grande energia cinetica. Urtando contro altre molecole del gas, esse le

spezzano, formando nuovi ioni, i quali a loro volta ne creano altri ancora. Si ha così una produzione

di ioni a valanga che provoca un rapidissimo aumento della corrente. Durante tali collisioni può

succedere che l’elettrone di un atomo venga sbalzato su un’orbita più esterna, ossia acquista energia

che poi restituisce emettendo una radiazione luminosa.

Cosa succede se facciamo variare la pressione all’interno del tubo?

Ad un centesimo di atmosfera la scintilla diventa silenziosa e invade tutto il tubo. Ciò viene

sfruttato nei tubi fluorescenti. A pressioni inferiori la luminosità diminuisce fino a scomparire del

tutto. Quando la pressione diventa dell’ordine di milioni di volte più piccole della pressione

atmosferica, sulla parete di fronte al catodo si osserva una piccola macchia fluorescente. A causa

della loro origine questi raggi furono chiamati raggi catodici. Ma cosa sono?

I raggi catodici sono costituiti da elettroni, i quali sono emessi dal catodo a seguito del

bombardamento che esso subisce da parte degli ioni positivi. Appena liberati, gli elettroni sono

respinti dal catodo e accelerati dal campo elettrico all’interno del tubo allorché urtano contro la

parete interna del tubo e la loro energia cinetica si trasforma in energia luminosa, provocando quel

bagliore che si osserva di fronte al catodo.

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Modulo 7: Fenomeni magnetici fondamentali

Contenuti

• Magneti naturali e artificiali • Confronto fra fenomeni elettrici e magnetici • Motore elettrico

Già ai tempi del greco Talete, era noto che un minerale di ferro, la magnetite, ha la proprietà di

attrarre la limatura di ferro, specialmente in certi punti della superficie.

Questa proprietà naturale della magnetite, può anche essere prodotta artificialmente. Infatti una

sbarretta di acciaio non attrae la limatura di ferro, ma se la avviciniamo a un magnete essa acquista

la proprietà di attrarre la limatura di ferro. Ciò si esprime dicendo che la sbarretta di acciaio si è

magnetizzata ed è diventata una calamita. I suoi estremi vengono detti poli.

Non tutte le sostanze hanno la proprietà di magnetizzarsi. Le sostanze che appartengono a questa

categoria vengono chiamate sostanze ferromagnetiche.

I magneti che si usano correntemente possono avere forme diverse: calamite rettilinee, a forma di

ferro di cavallo e aghi magnetici (sottili lamine di acciaio che possono ruotare intorno a un perno

verticale). Se si avvicina una calamita ad un ago magnetico, si può osservare che la prima esercita

delle forze sull’ago, spostando la calamita l’ago ruoterà intorno al suo perno. In questo caso si dice

che la calamita rettilinea genera nello spazio circostanze un campo di forze: il campo magnetico.

Inoltre si può osservare che se si avvicinano i poli di due calamite, in un caso si avrà l’attrazione,

mentre nell’altro si avrà repulsione. In questo caso i poli si comportano come centri di forze

magnetiche.

Per riconosce se in una certa regione di spazio vi è un campo magnetico, basta vedere se su un

magnete posto in quella regione agisce una forza. In particolare può essere conveniente utilizzare un

ago magnetico. Esso infatti si orienta sempre in una ben determinata direzione, ed è naturale quindi

definire tale direzione come la direzione del campo magnetico nel punto in cui è posto l’ago. Per

poter precisare oltre alla direzione anche il verso del campo magnetico è necessario ricordare che

nelle vicinanze della Terra esiste un campo magnetico (campo magnetico terrestre). In un qualsiasi

punto di tale campo, un piccolo ago magnetico si orienta dirigendo sempre lo stesso estremo verso

una località posta nei pressi del polo nord geografico. Per convenzione si chiama polo nord di un

magnete l’estremo che si orienta verso il polo nord magnetico, e polo sud l’altro estremo.

Una volta definiti la direzione e il verso di un campo magnetico, è possibile costruire le sue linee di

campo le quali costituiscono una rappresentazione del campo stesso. Per far ciò si prende un piccolo

ago magnetico e lo si pone in un punto dello spazio. Esso si orienterà secondo una direzione, se si

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sposta l’ago in questa direzione di uno spostamento s∆ , si verrà a determinare una nuova direzione

e un nuovo verso del campo. Iterando questo procedimento si arriverà a costruire una spezzata

poligonale se s∆ tende a zero allora si otterrà una linea continua che rappresenta la linea di campo.

Tali linee possono essere visualizzate attraverso un’esperienza molto semplice: si prende un

cartoncino sopra cui è cosparsa della limatura di ferro e lo si appoggia sopra una calamita rettilinea.

Dando dei leggeri colpi al cartoncino, le schegge di limatura si disporranno lungo le linee del

campo, poiché esse si comportano come piccoli aghi magnetici.

Il campo magnetico assomiglia per certi aspetti a quello elettrico. Entrambi sono campi vettoriali

rappresentabile mediante linee di campo. Per tracciare le linee del campo elettrico si usa una carica

positiva di prova, mentre per disegnare quelle del campo magnetico si esplora lo spazio mediante un

aghetto di prova. Un’altra analogia tra i due campi è nel fatto che esistono due poli magnetici che si

respingono se hanno lo stesso nome e si attraggono se hanno nomi diversi. Comunque tra i due

campi esistono sostanziali differenze. Infatti è impossibile ottenere un polo magnetico isolato. Non

esiste inoltre un corpo magnetizzato con eccesso di magnetismo nord o sud.

Adesso saranno elencate alcune delle esperienze fondamentali per lo studio del campo magnetico.

Esperienza di Oersted

Nel 1820 il fisico danese Oersted scoprì un legame inaspettato tra fenomeni elettrici e fenomeni

magnetici. Egli realizzò un circuito con un generatore, un interruttore e un filo conduttore, teso nella

direzione nord-sud del campo magnetico terrestre. Sotto il filo pose un ago magnetico libero di

ruotare che spontaneamente si orientava nella stessa direzione del filo. Chiudendo il circuito,

osservò che l’ago magnetico subiva una deviazione e, se la corrente era molto intensa, si disponeva

perpendicolarmente al filo. Aprendo il circuito, l’ago tornava alla posizione iniziale. Da questo

esperimento Oersted concluse che la corrente elettrica genera nel campo circostante un campo

magnetico. Si può vedere che le linee di campo generate da una corrente rettilinea sono

circonferenze concentriche che hanno come centro il filo conduttore.

Esperienza di Faraday

Nel 1821 Faraday, con un’esperienza in laboratorio, mise in evidenza che un conduttore percorso da

corrente subisce una forza se esso viene posto in un campo magnetico. Il fisico ne dedusse che il

campo magnetico non solo esercita forze sui magneti, ma anche sulle correnti.

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Esperienza di Ampère

Dall’esperienza di Oersted e di Faraday si deduce che anche tra due correnti deve esistere una forza.

Infatti, il campo magnetico generato da ognuna di esse esercita una forza sull’altra. La verifica

sperimentale fu realizzata dal fisico francese Ampère dopo essere venuto a conoscenza

dell’esperienza di Oersted. Egli osservò che due fili paralleli, se sono attraversati da correnti aventi

lo stesso verso, si attraggono, se hanno versi opposti si respingono, secondo una forza pari a

d

liiF 210

2⋅=

πµ

Queste tre esperienze mettono in evidenza l’intima correlazione che esiste tra fenomeni elettrici e

fenomeni magnetici. Se le cariche elettriche interagiscono mediante il campo elettrico, le correnti

elettriche interagiscono mediante il campo magnetico.

Può sembrare strano che oggetti esteriormente così diversi come i circuiti elettrici e i magneti

generino nello spazio che li circonda un campo magnetico e che subiscano gli stessi effetti dallo

stesso campo magnetico. Un indizio utile per comprendere questa somiglianza è dato

sperimentalmente dal fatto che un campo magnetico è generato da cariche elettriche in moto e che

le cariche elettriche in moto sono soggette a forze magnetiche. Questo è vero sia quando le cariche

elettriche si muovono liberamente nel vuoto (nel tubo a raggi catodici, per esempio) sia quando

fluiscono all’interno di un conduttore. Ma che cosa ha a che fare un magnete con le cariche

elettriche in moto?

Lo stesso Ampère suggerì che il campo magnetico generato da un magnete ha origine da una

moltitudine di piccolissime correnti elettrice esistenti al suo interno. Oggi sappiamo che la materia è

costituita da cariche in moto (gli elettroni sono in continua rotazione intorno ai nuclei atomici)

quindi l’idea suggerita da Ampère si è rivelata corretta. Infatti un atomo può essere pensato come

un microscopico circuito percorso da corrente, il quale può generare nello spazio circostante un

debolissimo campo magnetico. Poiché gli atomi di un pezzo di ferro non magnetizzato sono

orientati in tutti i modi possibili, i piccoli campi magnetici da essi generati, componendosi

settorialmente, danno una risultante nulla. Quando invece si magnetizza un pezzo di ferro, la

maggior parte dei suoi atomi si orienta in una ben determinata direzione (questo fenomeno si

chiama polarizzazione magnetica). Questo modello spiega perché il campo magnetico generato

all’esterno di una calamita cilindrica è identico a quello di una lungo bobina percorsa da corrente.

Infatti, mentre in ogni punto interno della calamita le correnti atomiche hanno versi contrari e i loro

effetti si annullano, sulla superficie esterna le correnti girano tutte nello stesso verso.

Quindi un campo magnetico è sempre generato da cariche elettriche in movimento ed esercita forze

su qualsiasi carica in moto. Dunque le forze magnetiche sono forze che si esercitano tra cariche e

cariche entrambe in moto rispetto all’osservatore.

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Attraverso un piccolo ago magnetico siamo in grado di stabilire se in un ben determinato punto

dello spazio esiste un campo magnetico. Quello che ora dobbiamo conoscere è quanto vale tale

campo.

Poiché abbiamo visto che le cariche in moto generano un campo magnetico, per studiare le

proprietà di un campo magnetico possiamo usare un filo percorso da corrente. Poiché (esperienza di

Faraday) il filo conduttore percorso da corrente subisce una forza quando è immerso in un campo

magnetico, allora siamo in grado di avere informazioni quantitative che ci permettono di definire

l’intensità del campo. Possiamo osservare che la forza subita dal filo di prova dipende

dall’orientazione del filo stesso, essa è massima se il filo è perpendicolare alle linee di campo, è

zero se essa è parallela alle linee di campo. Per evitare ambiguità consideriamo il filo

perpendicolare alle linee di campo. In tal caso la forza sarà liBF ⋅⋅= .

Poiché B varia punto per punto, esso dipenderà dalle caratteristiche del campo, pertanto definiamo

intensità del campo magnetico li

FB

⋅= . L’unità di misura è il tesla (T).

Supponiamo di conoscere l’intensità, la direzione e il verso del campo magnetico. Finora abbiamo

parlato di forza nel caso in cui la direzione del filo conduttore percorso da corrente è perpendicolare

alle linee di campo. Cosa succede se esso è obliquo? Se il conduttore viene ruotato, la forza che

esso subisce diventa via via più piccola fino ad annullarsi quando il conduttore è tangente alle linee

di campo. Da ciò si deduce che non è B a determinare la forza, ma la sua proiezione nella direzione

della corrente, ossia αsin⋅⋅⋅= liBF .

Il motore elettrico

La forza che il campo magnetico B esercita su un filo conduttore percorso da corrente può essere

utilizzato per compiere lavoro, come nel caso dei motori elettrici che trasformano l’energia elettrica

in energia meccanica.

Possiamo pensare, almeno in linea di principio, che un motore elettrico sia costituito da una spira

rigida di forma rettangolare immersa in un campo magnetico e vincolata a ruotare intorno ad un

asse perpendicolare alle linee di campo. Immettendo una corrente continua nella spira, essa subisce

dal campo magnetico delle forze che la fanno ruotare su se stessa. Supponiamo che inizialmente il

piano della spira sia parallelo alle linee di campo. Il campo B eserciterà sui fili di lunghezza l una

forza pari a liBF ⋅⋅= . Le forze che si esercitano costituiscono una coppia di forze e quindi fanno

sì che la spira ruoti. Il movimento continua fino a quando il piano della spira è perpendicolare al

campo, infatti in tale situazione le due forze sono sullo stesso piano di azione e pertanto tendono

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solo a deformare la spira. Tuttavia la spira, per inerzia, tende a ruotare fino a oltrepassare la

posizione orizzontale. A questo punto si riforma una coppia di forze che tende a riportare indietro la

spira. A causa degli attriti, dopo alcune oscillazioni la spira si ferma. Affinché essa non arresti il suo

moto occorre ogni mezzo giro invertire il senso della corrente. In questo modo la rotazione

proseguirà in senso orario. Per realizzare ciò basta usare un commutatore che ruoti con la spira e

due spazzole fisse striscianti sul commutatore collegate con il generatore.

La stessa forza che fa muovere i motori elettrici consente anche di misurare le correnti e le d.d.p.

attraverso l’amperometro e il voltmetro.

L’amperometro è uno strumento che misura l’intensità della corrente elettrica. Essa è costituita da

una bobina rigida di filo metallico disposta tra le espansioni polari di un magnete e vincolata a

ruotare intorno ad un asse perpendicolare alle linee del campo. L’angolo di rotazione è direttamente

proporzionale alla corrente da misurare e quindi, dopo aver opportunamente tarato lo strumento, si

potrà leggere il valore dell’intensità. L’amperometro deve essere sempre inserito in serie nel

circuito, ed è tanto migliore quanto più piccola è la sua resistenza interna. Infatti in tal caso

riusciremo a ridurre il più possibile la perturbazione provocata dalla misura (si ricorda che

collegando in serie due o più resistenze, la resistenza totale è data dalla somma delle resistenze

stesse).

Il voltmetro è uno strumento che serve a misurare la d.d.p. ai capi di un conduttore. Si tratta di un

amperometro con una grossa resistenza. Questo strumento viene collegato in parallelo con il

circuito.

Ritornando all’esperienza di Ampère tra due correnti, vediamo cosa succede ai fili conduttori

percorsi da corrente. Il filo 1 è immerso nel campo magnetico generato dal filo 2 (2B ) e quindi

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subisce una forza diretta verso il filo 2 liBF ⋅⋅= 121 , ma anche il filo 2, per simmetria, subisce una

forza liBF ⋅⋅= 212 . Poiché sappiamo che d

liiF 210

1 2⋅=

πµ

, otterremo che d

iB 20

2 2⋅=

πµ

, quindi il

campo magnetico generato da un filo conduttore rettilineo percorso da corrente è

d

iB ⋅=

πµ2

0 .

Nel caso di una spira percorsa da corrente il campo magnetico si può calcolare suddividendo la

spira stessa in un numero molto grande di piccole parti, tali da poter essere considerate rettilinee, e

poi si sommano vettorialmente i campi magnetici generati da ognuno di questi piccoli tratti.

Nel caso di un solenoide (bobina il cui filo è avvolto a elica) si può calcolare il campo magnetico

considerando il solenoide come un sistema formato da un numero grande di spire circolari.

All’interno del solenoide il campo risulta uniforme e parallelo al solenoide stesso. All’esterno è

praticamente nullo. All’interno l’intensità del campo sarà

l

iNB

⋅⋅= 0µ

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Modulo 8: Il campo magnetico

Contenuti

• Forza di Lorentz • Flusso del campo magnetico • Circuitazione del campo magnetico • Proprietà magnetiche dei materiali • Ciclo d’isteresi magnetica

Obiettivi

• Conoscere la forza di Lorentz e le sue caratteristiche • Conoscere il teorema di Gauss per il campo magnetico e sapere il suo significato • Conoscere il valore della circuitazione del campo magnetico e conoscerne il significato • Conosce le proprietà magnetiche dei materiali diamagnetici, paramagnetici e ferromagnetici • Conoscere il ciclo di isteresi di una sostanza ferromagnetica

All’interno di un filo percorso da corrente elettrica gli elettroni di conduzione hanno movimento nel

verso in cui il potenziale cresce.

La forza del campo magnetico sul filo conduttore percorso da corrente è la somma vettoriale delle

forze del campo sui singoli elettroni. Sappiamo che

αsinBilF =

quindi si può ricavare la forza agente su in singolo elettrone che si sta spostando dentro il filo.

Infatti è sufficiente dividere la forza risultante F per il numero di elettroni di conduzione presenti

nel tratto di filo. Supponiamo che il filo abbia una sezione di area A e che vi siano n elettroni per

unità di volume che si muovono a velocità v. La forza sul singolo elettrone sarà:

An

iB

lAn

FFe ⋅

⋅⋅=⋅⋅

= αsin

Poiché la carica totale sarà lAneq ⋅⋅⋅= l’intensità di corrente sarà t

lAnei

⋅⋅⋅= e poiché t

lv =

allora v

lt = . Quindi in totale vAeni ⋅⋅⋅= , quindi sostituendo si ha αsin⋅⋅⋅= BveFe .

In particolare se si estende a una carica q qualsiasi otteniamo che αsin⋅⋅⋅= BvqFq . Tale forza si

chiama forza di Lorentz.

La direzione e il verso della forza di Lorentz coincidono con quelle della forza magnetica.

La forza di Lorentz ha una caratteristica che la rende diversa da tutte le altre forze studiate. Poiché

tale forza è perpendicolare alla direzione della velocità, essa non la spinge né la rallenta, ma ne

modifica solo la direzione. Supponiamo ora che la carica puntiforme q entri in un campo magnetico

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uniforme con velocità v perpendicolare al campo. In tal caso la carica si muoverà di moto circolare

uniforme.

Così come abbiamo determinato le due proprietà generali del campo elettrostatico (flusso e

circuitazione) adesso andiamo a esaminare tali proprietà del campo magnetico.

Consideriamo un filo rettilineo percorso da corrente i. Le linee di campo hanno forza di anelli che

circondano il filo e sono disposti perpendicolarmente al filo. Determiniamo il flusso di B attraverso

un cilindro il cui asse coincide con il filo.

Per definizione SBBS

⋅=Φ )( . Poiché la superficie del cilindro non è piana, la suddividiamo in

tante piccole porzioni. In ogni punto della superficie laterale iB e iS sono perpendicolari. Quindi il

flusso in tale caso è nullo, ma è anche nullo attraverso le basi del cilindro. Quindi il teorema di

Gauss per il magnetismo afferma che: il flusso di un campo magnetico attraverso una qualsiasi

superficie chiusa è uguale a zero.

Ciò riflette una profonda diversità tra il campo elettrico e il campo magnetico, ossia tra le sorgenti

di un campo elettrico e le sorgenti di un campo magnetico.

Per quanto riguarda la circuitazione del campo magnetico, se prendiamo un filo rettilineo percorso

da corrente e ne calcoliamo la circuitazione lungo una circonferenza di raggio r, centro nel filo e

perpendicolare al filo, otteniamo che, essendo tale circonferenza coincidente con una delle linee di

campo, la tangente alla curva è parallela al campo, quindi:

( ) iBC 0µ=Γ

Quindi la circuitazione del campo lungo un percorso chiuso in cui è concatenata una corrente non è

mai nulla, come nel caso del campo elettrostatico. Questo fatto ci conferma che il campo magnetico

non è un campo conservativo.

Esistono materiali che, come il ferro e il nichel, sono attratti in maniera piuttosto intensa da un

magnete. Le sostanze che si comportano in questo modo sono dette sostanze ferromagnetiche. Se

utilizziamo magneti ordinari, abbiamo l’impressione che le sostanze non ferromagnetiche non

reagiscono in alcun modo alla presenza di un campo magnetico. Però in laboratorio, dove siamo in

grado di creare campi magnetici di grande intensità, possiamo osservare diversi tipi di

comportamento: per esempio l’acqua, l’argento e il rame, sono debolmente respinti dal campo

magnetico. Invece l’aria e l’alluminio sono attirati, anche in questo caso, con una forza molto

piccola. Le sostanze che sono respinte da un campo magnetico si dicono diamagnetiche. Quelle che

sono debolmente attirate sono chiamate paramagnetiche. Come si può spiegare tutto ciò?

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Nel caso di un cilindro composto di una sostanza ferromagnetica, abbiamo visto che l’azione

complessiva di tutte le correnti microscopiche è equivalente a quella di un’unica corrente che scorre

lungo la superficie esterna del cilindro. E’ quindi chiaro che queste correnti generano a loro volta un

campo magnetico mBρ

(campo magnetico della materia) che ha lo stesso verso di 0Bρ

(campo

magnetico esterno). Allora all’interno della sostanza ferromagnetica si ha un campo magnetico

totale 00 BBBB m

ρρρρ>+= . La stessa cosa vale per le sostanze paramagnetiche. La sola differenza è

che, in questo caso, il campo magnetico mBρ

è molto meno intenso e quindi le linee del campo

esterno sembrano non influenzate da mBρ

. Nelle sostanze diamagnetiche i circuiti elementari si

dispongono nel verso opposto a quello di 0Bρ

. Per questa ragione il campo mBρ

è parallelo e opposto

al campo esterno 0Bρ

e quindi 00 BBBB m

ρρρρ<+= .

Dal punto di vista matematico il campo magnetico totale 0BBB m

ρρρ+= all’interno della materia è

sempre uguale al campo esterno 0Bρ

moltiplicato per uno scalare rµ : 0BB r

ρρµ= .

rµ si chiama permeabilità magnetica relativa della sostanza ed è un numero puro.

Nelle sostanze paramagnetiche 1>rµ . Nelle sostanze diamagnetiche 1<rµ .

Per i materiali ferromagnetici la relazione tra Bρ

e 0Bρ

è molto più complessa di quella vista per i

materiali paramagnetici e diamagnetici. Per poter studiare tale relazione dobbiamo considerare un

solenoide avvolto attorno a un lungo cilindro fatto di sostanza ferromagnetica. Il solenoide fornisce

un campo magnetico esterno 0Bρ

che può variare cambiando l’intensità della corrente i che fluisce

nel solenoide.

Questo diagramma fornisce i valori assunti dal campo magnetico totale Bρ

al variare di 0Bρ

. Ci si

può subito rendere conto che la relazione tra i due campi magnetici non è lineare. Infatti

aumentando 0Bρ

dapprima Bρ

cresce rapidamente, ma poi tende a raggiungere un valore costante.

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Se, giunti a questo punto, si diminuisce 0Bρ

fino a farlo annullare, la sostanza ferromagnetica

conserverà una magnetizzazione residua. Per eliminare questa magnetizzazione residua è necessario

invertire il segno del campo 0Bρ

. Facendo in modo che 0Bρ

diminuisca e poi torni a crescere, si

ottiene la curva in figura che prende il nome di curva di isteresi magnetica. Per riportare il materiale

ferromagnetico alla condizione iniziale è necessario riscaldarlo al di sopra di una certa temperatura

caratteristica della sostanza (temperatura di Curie) al di sopra della quale, la sostanza diviene

paramagnetica e perde la magnetizzazione residua.

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Modulo 9: Induzione elettromagnetica

Contenuti

• Correnti indotte • Legge di Faraday-Neumann • Legge di Lenz • Campo elettrico indotto • Equazioni di Maxwell • Le onde elettromagnetiche

Obiettivi

• Conoscere • Conoscere • Conoscere Per generare una corrente elettrica non è necessario avere a disposizione una pila o una batteria: si

può riuscire anche con una semplice calamita.

Infatti se colleghiamo gli estremi di una bobina con un amperometro molto sensibile non noteremo

alcun passaggio di corrente elettrica, ma se avviciniamo alla bobina un polo di una calamita, la

lancetta dell’amperometro registrerà un passaggio di corrente. Quando la calamita si ferma, l’indice

torna di nuovo sullo zero e vi rimane fintanto che essa non si muove. Se allontaniamo la calamita

dalla bobina, la lancetta si sposta di nuovo, ma dall’altra parte dello zero.

Alle correnti così generate, si dà il nome di correnti indotte e il fenomeno si chiama induzione

elettromagnetica.

E’ possibile altresì generare corrente in modi diversi. Per esempio si considerino su due tavoli a

rotelle due circuiti diversi: il primo è costituito da una batteria a cui sono collegati un amperometro,

una bobina e un resistore variabile, il secondo è un circuito con una bobina e un amperometro.

Spostando il cursore sul resistore variabile del primo circuito, si può modificare la resistenza e

quindi la corrente che circola. Mentre nel primo circuito la corrente aumenta (o diminuisce), si può

osservare che nel secondo circuito l’amperometro registra un passaggio di corrente indotta. Essa

dura fintanto che la corrente del primo circuito varia. Quando invece nel primo circuito la corrente

rimane costante, la corrente indotta si annulla.

Si può inoltre generare corrente anche allontanando rapidamente la bobina del primo circuito da

quella del secondo. Lo stesso avviene quando riavviciniamo le due bobine. L’unica differenza tra

l’allontanare e l’avvicinare i due circuiti è che la corrente nel secondo circuito circola in senso

opposto.

Qual è la spiegazione del fenomeno di induzione elettromagnetica?

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Per vedere ciò osserviamo prima ciò che accomuna le esperienze sopradescritte. In ciascuna

esperienza il circuito indotto(quello in cui circola la corrente indotta) è immerso in un campo

magnetico. Inoltre possiamo osservare che si ha corrente indotta quando il campo magnetico esterno

per qualche ragione varia nel tempo. Un fattore che influisce sull’intensità della corrente indotta è la

superficie del circuito indotto che è attraversata dalle linee del campo magnetico: più l’area di tale

superficie è grande, tanto più intensa è la corrente indotta.

Per esprimere in termini quantitativi ciò è utile fare ricorso al flusso del campo magnetico B

( ) SBBS

⋅=Φ

Possiamo affermare che si ha corrente indotta quando il flusso magnetico che attraversa la

superficie del circuito varia nel tempo.

Immaginiamo di spostare una sbarra conduttrice in un campo magnetico(con velocità

perpendicolare alle linee del campo). Gli elettroni di conduzione, che hanno carica e sono liberi di

muoversi con velocità v nel campo magneticoB e quindi subiranno la forza do Lorentz

evBFLorentz =

Mentre essi sono spinti verso un’estremità della sbarra, che diventa negativa, l’altra estremità si

sguarnisce di elettroni e diventa positiva. Questo processo di separazione delle cariche crea

all’interno della sbarra un campo elettrico E che tende a respingere nuovi elettroni.

In questo modo si genera un campo elettrico e quindi una d.d.p. tra i due estremi della sbarra.

Questa tensione crea corrente elettrica. Si può costruire un circuito a forma di U su cui fare scorrere

la sbarra a velocità v. Anche in questo caso è variato il flusso del campo magnetico attraverso la

superficie del circuito.

Quanto varia il flusso in un intervallo t∆ ?

( )if AAB −⋅=∆Φ dove( ) tlvAA if ∆−=− rappresenta la variazione della superficie del circuito.

Quindi in totale avremo che:

Blvt

−=∆∆Φ

.

Poiché la corrente indotta, attraversando il circuito, sviluppa energia, è naturale chiedersi da dove

essa provenga non essendoci una f.e.m.

Sulla sbarra agisce una forza frenante, esercitata dal campo magnetico, sulla corrente indotta. Essa è

diretta in senso contrario alla velocità ed è BilF = . Affinché la sbarra continui a muoversi, occorre

esercitare una forza esterna uguale e contraria alla forza frenante. Il lavoro che compie la forza

esterna BilF = in un intervallo di tempo t∆ è tBilvW ∆= .

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Per il principio di conservazione dell’energia dobbiamo ritrovare questo lavoro sotto forma di

energia elettrica.

L’energia elettrica tVitPEelettrica ∆⋅∆=∆⋅=

Quindi eguagliando l’energia elettrica e il lavoro compiuto dalla forza esterna avremo che

tBlvV

∆∆Φ−==∆ che corrisponde alla f.e.m. indotta che mantiene il flusso della corrente.

Questa esprime la legge fondamentale dell’induzione elettromagnetica nota come legge di

Faraday-Neumann : t

mef∆∆Φ−=... .

La corrente indotta, così come ogni altra corrente, genera nello spazio un proprio campo magnetico.

Tale campo magnetico indotto si sovrappone a quello che fa nascere la corrente. Quale sarà il suo

verso? I campi magnetici esterno e indotto si sommano settorialmente. Supponiamo che il campo

esterno, esso accentuerebbe l’aumento del flusso totale, il quale a sua volta creerebbe una corrente

indotta più intensa innescando un processo senza fine. Evidentemente, il campo magnetico della

corrente indotta invece tenderà ad attenuare la variazione del campo magnetico esterno.

Possiamo così enunciare una legge generale nota come legge di Lenz : il verso della corrente

indotta è tale da opporsi alla variazione del flusso che lo genera.

Nel fenomeno dell’induzione elettromagnetica un campo magnetico variabile genera un campo

elettrico indotto, capace di muovere le cariche in una spira conduttrice.

Il vettore campo elettrico indotto è definito dalla relazione: q

FE

ie)(

=

dove )(ie

F è la forza non elettrostatica dovuta all’induzione elettromagnetica che agisce su una

carica di prova q.

Si dimostra che la f.e.m. indotta non è altro che la circuitazione del campo elettrico indotto E e la

legge di Faraday-Neumann può essere riscritta come ( ) ( )t

BE

∆∆Φ−=Γ

Che rappresenta la proprietà che caratterizza il campo elettrico indotto. Tale campo non è

conservativo visto che la circuitazione risulta, in generale, diversa da zero. Però nel caso

elettrostatico e in quello in cui i campi magnetici sono costanti, la variazione del flusso di campo

magnetico è nulla. Così anche la circuitazione di E risulta uguale a zero e si ritrova, come caso

particolare, il campo elettrostatico conservativo.

James Clerk Maxwell dimostrò che tutta la teoria dei campi elettrici e magnetici può essere

costruita a partire da quattro equazioni fondamentali.

Caso generale Caso statico

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( )0ε

iQE

Σ=Φ ( )0ε

iQE

Σ=Φ

( ) ( )t

BE

∆∆Φ−=Γ

( ) 0=Γ E

( ) 0=Φ B ( ) 0=Φ B

( ) ( ) ∆∆Φ+=Γ

t

EiB 00 εµ

( ) iB 0µ=Γ

Tra il campo elettrico e il campo magnetico esiste una simmetria profonda. La variazione di uno di

essi genera l’altro. In entrambi i casi le linee di campo sono perpendicolari a quelle dell’altro

campo. In realtà, i due campi sono aspetti di un’unica entità: il campo elettromagnetico.

Se in un punto dello spazio il campo elettrico oscilla, nei punti immediatamente vicini si crea un

campo magnetico anch’esso oscillante, il quale genera a sua volta nei punti vicini un altro campo

elettrico oscillante… Questo fenomeno, descritto esattamente dalle equazioni di Maxwell, dà luogo

ad un onda elettromagnetica, che si propaga nello spazio trasportando energia. L’onda

elettromagnetica ha un’esistenza propria, che non dipende più dalle cause che l’hanno prodotta. A

differenza delle onde acustiche o di quelle piane, che si propagano solo attraverso un mezzo

materiale, l’onda elettromagnetica si “autosostiene” e si propaga liberamente nel vuoto. Anzi, la

materia è un impedimento alla propagazione delle onde elettromagnetiche. Molto lontano da

un’antenna, in cui le cariche si muovono di moto armonico, le onde elettromagnetiche sono

composte da un campo elettrico e un campo magnetico perpendicolari tra loro e alla direzione di

propagazione dell’onda. I due campi variano con legge sinusoidale e, istante per istante, le loro

intensità sono proporzionali secondo la legge cBE = .

Maxwell dimostrò che le onde elettromagnetiche si propagano nel vuoto, alla stessa velocità della

luce. Comprese così che la luce visibile non è altro che un’ onda elettromagnetica.