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P P R R O O G G E E T T T T O O C C O O M M U U N N I I S S T T A A continua a pagina 2

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PPRROOGGEETTTTOO CCOOMMUUNNIISSTTAAPeriodico del Partito di Alternativa Comunista sezione della Lega Internazionale dei Lavoratori (Quarta Internazionale)ALTERNATIVACOMUNISTA.org FFeebbbbrraaiioo ,, MMaarrzzoo 220011 44 ,, NN°°4444 ,, 22€€ ,, AAnnnnoo VVII II II ,, NNuuoovvaa sseerriiee

La vergognosa fine della democrazia sindacaleAAccccoorrddoo ssuullllaa rraapppprreesseennttaannzzaaVendola flirta con Renzi, Ferrero segretario di minoranzaIIll ffaasscciinnoo mmeeddiiooccrree ddeellllaa ssoocciiaallddeemmooccrraazziiaa

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Quattro pagine a cura dei giovani del PdacEEuurrooppaa:: aa ssiinniissttrraa rreeggnnaa llaa ccoonnffuussiioonnee15 Le lotte dei facchini non si fermanoSSee ttooccccaannoo uunnoo ttooccccaannoo ttuuttttii!!6 ll''iinnsseerrttoo ddeeii GGIIOOVVAANNII ddii AALLTTEERRNNAATTIIVVAA CCOOMMUUNNIISSTTAAnellepagineinterne

SPED.A

BB.POST.A

RT.1COMMA2D.L.353/03DEL24/12/2003(CONV.INL.46/04DEL27/02/2004)DCBBARI

La rottura dell’Ue e l’uscita dall’euro: la posizione del Pdac

Alberto Madoglio

Il 2013 si è chiuso come gli anniprecedenti: con una crisi senzaprecedenti di cui non si vede as­solutamente la fine. Alcuni dati

supportano questa considerazione.Nello scorso anno si sono persi oltre400.000 posti di lavoro, facendo balzareil tasso di disoccupazione al 12,7%

Un bilancio del 2013Le contraddizioni della borghesiae dei suoi partiti di riferimento

LLAA CCRRIISSII DDEELL CCAAPPIITTAALLIISSMMOO EE LLAARRIISSPPOOSSTTAA DDEEII RRIIVVOOLLUUZZIIOONNAARRII

AAllllaa vviiggiilliiaa ddeellll''XXII CCoonnggrreessssoo ddeellllaa LLiitt­­QQuuaarrttaa IInntteerrnnaazziioonnaallee15

continua a pagina 2

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2 Febbraio ­ Marzo 2014 PROGETTO COMUNISTAPOLITICA

(oltre il 40% tra i giovani). Il nu­mero delle ore di cassa integra­zione ha superato ladrammatica soglia di un mi­liardo. Se consideriamo inoltreche il tasso di occupazione inItalia è circa del 56% (molto piùbasso che negli altri Paesi indu­strialmente sviluppati), possia­mo arrivare alla ragionevoleconclusione che il tasso didisoccupazione reale supera il20%. Il Pil è stato in calo per ilterzo anno consecutivo, la pro­duzione industriale è calata del3,1% (dati di novembre), dopo ilmeno 6,4% del 2012, e per alcunisettori possiamo parlare di unprocesso di deindustrializza­zione ormai irreversibile (adesempio per quello dell'auto:sono state prodotte quattro­centomila autovetture, quandopoco più di dieci anni fa si eraabbondantemente sopra i 2 mi­lioni). Dulcis in fundo, il poteredi acquisto delle famiglie è ca­lato in media del 9% in quattroanni (per quelle che hanno sti­pendi più bassi il calo è sicura­mente superiore). In questo chesembra un vero e propriobollettino di guerra, comequalche mese fa lo stesso presi­dente di Confindustria Squinziha ammesso, non stupisce checirca un terzo della popolazionesia, o rischi di cadere, in unostato di povertà. I mezzi diinformazione in mano allegrandi famiglie della borghesiaitaliana, cercano periodica­mente di diffondere notizie po­sitive, con il chiaro obiettivo difar credere che il peggio siaormai alle spalle e che i pe­santissimi sacrifici chiesti ai la­

voratori e alle classi piùdisagiate della società alla finestiano dando risultati. Ovvia­mente non neghiamo che dopoanni di crisi non ci possano es­sere dati congiunturali mode­ratamente positivi, ma allostesso tempo risulta essere unpatetico esercizio di propa­ganda a basso costo tentare diilludere la popolazione che fi­nalmente si sta vedendo una lu­ce in fondo al tunnel. Chi puòveramente esaltarsi per un datosulla produzione industrialeche a novembre segna un più1,3% dopo che in 5 anni il calo èstato di oltre il 20%? E perchénon si è data la stessa enfasi sulsorprendente e per certi versiinatteso calo dell'export,smentendo così le ottimisticheprevisioni di chi sosteneva chegrazie al commercio con l'esterol'Italia si sarebbe potuta fi­nalmente rialzare? No, la realtà, ifatti, come diceva Lenin, hannola testa dura, e tutte le difficoltà ei limiti dell'economia italiana,che come e più di altri Paesisubisce i colpi della Grande Re­cessione, continuano a rimane­re.

Il servilismo impotentedella politica borghese

Le difficoltà economiche a lorovolta si ripercuotono sulle classidirigenti del Paese e sul Governoin particolare. L'esecutivo Lettasembrava essere nato sotto unabuona stella. Sorretto da unaamplissima, per quanto nonmolto coesa, maggioranzaparlamentare, con il sostegnonemmeno mascherato dellemaggiori organizzazioni sinda­cali, Cgil in testa, con il supporto

di tutti i poteri forti nazionali eesteri, dal Vaticano allaConfindustria, dalle Cancelle­rie europee alla casa Bianca,pareva destinato, se non a unanavigazione tranquilla,quantomeno a non esserepercepito come un Governomeramente emergenziale. Neldiscorso di presentazione alleCamere, il giovane premier siera lasciato andare a promesse eimpegni che, alla fine, si sonodimostrati troppo azzardati. Fi­ne delle politiche di austerità,no a sacrifici non compensati dapolitiche di sviluppo, calo dellapressione fiscale sugli stipendi ele pensioni, implementazionedi politiche volte a creare occu­pazione stabile. Se non un pro­gramma da paese di Bengodi, cisi era molto vicini. Anche inquesto caso i fatti, come noiavevamo pronosticato, si sonoincaricati di riportare tutti con ipiedi per terra. ParafrasandoMarx, siamo passati dalla farsadi promesse e progetti mirabo­lanti, alla tragedia della situa­zione in cui ci troviamo. UnGoverno sostenuto da partitiche sono i diretti rappresentantidegli interessi della borghesiaimperialista tricolore, che ha trai suoi membri esponenti diquella tecnocrazia che è stata ladiretta responsabile delle poli­tiche criminali contro i lavo­ratori degli ultimi venti anni (lostesso Letta e il ministro delleFinanze Saccomanni) non po­teva fare nulla di diverso. Quindinuovi sacrifici imposti a operai eimpiegati, taglio a quel poco cherimane dello stato sociale,continuità con scelte che favo­riscono la precarizzazione dellavoro e facilitano il ricorso ai li­

cenziamenti. Il tutto seguendole indicazioni della Troika dellequali le classi dominanti italia­ne non sono mere esecutrici,ma soci di primo piano checontribuiscono a determinarneil corso. Esempio è la politica diconsolidamento del bilanciodello Stato. Per molto tempo si èdetto, anche da partiti e orga­nizzazioni della cosiddetta sini­stra radicale, che il debitopubblico impoveriva l'econo­mia e la finanze nazionali a fa­vore di quelle straniere, Franciae Germania su tutte. La realtà cipresenta un altro quadro:attualmente oltre il 50% del de­bito sovrano è in mano a banchee assicurazioni italiane chehanno tra i loro soci “italianissi­mi” rappresentanti del capitali­smo. Quindi sono i padroni“nostrani” che, primi fra tutti,affamano e impoveriscono mi­lioni di operai, impiegati, giova­ni, donne, immigrati,ottenendo dal Governo quellescelte che ne favoriscono i gua­dagni a scapito della stragrandemaggioranza della popolazio­ne. E ancora, per tentare di siste­mare alla meglio la situazionedebitoria dello Stato, il governoha rilanciato una vasta opera­zione di privatizzazioni, a parti­re dalle Poste. Come peroperazioni simili avvenute inpassato, avremo pezzi di patri­monio pubblico che sarannoceduti a privati per un tozzo dipane, e in cambio otterremo li­cenziamenti, aumento delle ta­riffe, peggioramento dei servizimeno redditizi (consegna lette­re) mentre saranno privilegiatiquelli in grado di assicurare utiliai nuovi azionisti (come il servi­zio di Bancoposta).

Nè Letta,nè Renzi:costruiamo un'alternativa

di classe

Lo zelo messo in campo da Lettaper accontentare i desiderata deigrandi gruppi capitalistici italianie europei non sembra tuttavia ingrado di garantirgli un futuro se­reno. L'uscita dalla maggioranzadi Governo di Berlusconi e dellarediviva Forza Italia, la vittoria alleprimarie del Pd di Renzi sono tuttisegnali che indicano come iltempo per l'esecutivo delle, ora,piccole intese sia quasi scaduto.Proprio Letta e Renzi, pur membridello stesso partito, sono i due piùacerrimi rivali nello schiera­mento di forze della borghesiaitaliana. Se il sindaco di Firenze si­gla un patto con Berlusconi per lariforma della legge elettorale, chemette fuorigioco i partiti che so­stengono il premier, quest'ultimorisponde rilanciando l'ipotesi diuna legge sul conflitto di interessiche, andando a colpire l'imperofinanziario del Cavaliere, ha comeobiettivo primario quello di farsaltare l'idillio tra Berlusconi eRenzi, che infatti grida al sabo­taggio. Pur se questo scontroappare senza esclusione di colpi,sbaglierebbe chi tentasse dischierarsi per uno dei duecontendenti. Né Renzi né Lettapossono rappresentareun'opzione che possa garantire ailavoratori un futuro fatto di mino­ri sacrifici, né si può scegliere unipotetico male minore. Entrambidifendono e rappresentano glistessi interessi di classe, solocombattono ferocemente tra loroper decidere chi deve avere il ruo­lo di protagonista principale. Il2014 non sarà, insomma, l'annodella svolta, ma un anno simile ai

precedenti, se non addiritturapeggiore. Il rallentamentodell'economia dei Paesiemergenti legato al cambio dellapolitica monetaria della FederalReserve Usa, sta creando in questiPaesi una pesante crisi valutariache rischia di propagarsi al restodell'economia mondiale. Il peri­colo di deflazione in Europa (conconseguente aumento dei debitiper imprese e lavoratori, ascesanei fallimenti e chiusura diimprese con relativo aumentodella disoccupazione), ilrallentamento economico cine­se, sono tutte fascine che si accu­mulano sotto il fuoco dellaGrande Recessione: in alcunimomenti pare perdere vigore, mabasta un debole colpo di vento(come la già citata crisi valutaria),che rapidamente può riprendereforza e bruciare tutto quantoincontra. Il più importante quo­tidiano della comunità finanzia­ria internazionale, il Wall StreetJournal , ha dato una definizione,macabra ma efficace, dello statoin cui si trova l'Italia: stabilità si­mile a quella di un cimitero. Do­veva aggiungere che fino a oggi icaduti si trovano quasi esclusiva­mente fra i lavoratori, le donne, igiovani, gli immigrati che in que­sti tempi sono le prime vittimedella crisi, mentre la borghesia,pur con qualche eccezione, inquesta crisi ha continuato a fareutili e mantenere il proprio domi­nio, politico, economico e ideo­logico. Tuttavia questo apparemeno saldo di prima. Tocca ai la­voratori far sì che questo dominiocessi una volta per sempre. IlPartito di alternativa comunistafarà tutti gli sforzi necessariperché ciò avvenga il più prestopossibile. (29/01/2014)

SelePd:unintrecciocostanteLe ambiguità diVendola:da Riva a Renzi

PROGETTO COMUNISTAPeriodico del PARTITO DI ALTERNATIVA COMUNISTAsezione della Lega Internazionale dei Lavoratori , Quarta Internazionale

Febbraio - Marzo 2014 – n.44 – Anno VIII – Nuova serieTestata: Progetto Comunista – Rifondare l'Opposizione dei Lavoratori.Registrazione:n. 10 del 23/3/2006 presso ilTribunale di Salerno.Direttore Responsabile:Riccardo Bocchese.

Condirettori Politici:Adriano Lotito, Mauro Buccheri.

Redazione e Comitato Editoriale: Giovanni“Ivan” Alberotanza, MatteoBavassano, Mauro Buccheri, Patrizia Cammarata, Adriano Lotito,Claudio Mastrogiulio, Mauro Pomo,ValerioTorre.

Vignette:alessiospataro.blogspot.comGrafica e Impaginazione: Giovanni“Ivan” Alberotanza[Scribus+LibreOffice su Debian GNU/Linux]

Stampa:Litografica '92 – San Ferdinando di PugliaEditore:ValerioTorre, C.soV.Emanuele, 14 – 84123 Salerno.

Scriviunae-mailallaredazione: [email protected] telefonico: 328 17 87 809

Claudio Mastrogiulio

Nelle ultime settima­ne ha tenuto banco ilcongresso tenuto dalpartito di Vendola,

Sel e, in particolar modo, ilrapporto che sarebbe scaturitocon la nuova direzione del Pd,guidato da Renzi. Inizialmente,infatti, quando ancora Vendolapuntava sull'establishmentconsolidato del Pd, Renziappariva, a detta dello stessogovernatore pugliese, unasorta di parvenu della politica,figlio illegittimo di una politicaberlusconizzata. Ovviamentele critiche di cui si facevaportatore Vendola rappre­sentavano puramente esemplicemente un velo dietroal quale tentare goffamente dimascherare la necessità, ri­spetto ai propri militanti di ba­se, di palesarsi comeun'organizzazione alternativae distante dalle logiche di pote­re e asservimento ai poteri fortiche permeano il Pd. Ecco, subi­to dopo l'incontrastataaffermazione di Renzi alle pri­marie tenutesi l'8 dicembredello scorso anno, l'indirizzoimpartito da Vendola ai suoi èapparentemente mutato. Sibadi bene, solo apparente­mente, poiché se il governatorepugliese aveva necessità dismarcarsi dalla figura in ascesadi Renzi, ciò era dovutosoltanto alle continuepunzecchiature con cui ilsindaco fiorentino bersagliavaVendola e Sel. I continui riferi­menti di Renzi all'autosuffi­cienza del Pd, e alla marginalitàdi un progetto politico chemettesse all'ordine del giornoun flirt politico con Sel, hannocreato certamente allarme inVendola.

La “svolta” del congresso

Poco prima, ma anche durante,il congresso, la posizione diVendola nei riguardi del neo­segretario Pd è mutata. Infatti,se il progetto politico deivendoliani non ha mai subitoalcuna variazione,orientandosi costantementeverso la prospettiva di governo,sia locale che nazionale, col Pd,le valutazioni ed i toni nei ri­guardi di Renzi hanno avutouna modulazione certamentediversa. Immaginiamo comequesto apparente cambio dirotta sia dovuto all'estremotentativo di strappare al segre­tario Pd uno strapuntino in unprossimo governo a guidacentrosinistra, fermo restandoche il governo Letta non parepossa durare ancora a lungo.Quindi, come solitamenteaccade coi dirigenti carrieristied opportunisti, chi fino aqualche tempo prima venivaconsiderato come un nemicoda affrontare con fermezza,una volta ricevuta la legittima­zione del potere, diventa, comed'incanto, un interlocutore se­rio ed attendibile.

La possibilità di unaprospettiva che vada

oltre l'accordo

Una delle voci che più insi­stentemente circolava nelcorso delle ultime settimaneera quella secondo cui Sel, vistodefinitivamente svanire ognitipo di approccio tattico chepotesse garantirgli di proporsicome punto di riferimentodella sinistra di movimento, inun'ottica di compromesso colPd, si determinasse a sceglieredi federarsi con il Pd stesso.Non appare essere, quest'ulti­ma, un'ipotesi del tutto pere­grina, tenuto conto del fatto

che da diversi mesi a questaparte la credibilità di Vendola,indubbiamente l'uomo dipunta di Sel, è venuta definiti­vamente a volatilizzarsi. Daultima, appare doveroso ri­cordare la vicenda delleintercettazioni telefoniche delgovernatore pugliese col re­sponsabile Relazioni Istituzio­nali dell'Ilva (di Taranto),Girolamo Archinà; nelle quali,oltre alle invereconde risate diVendola, sedicente ambienta­lista, nei riguardi della sce­neggiata architettata dallostesso Archinà contro ungiornalista che voleva porglidelle domande scomode, sievidenziavano un tono ed unapproccio dettate da un servi­lismo degno del peggior servosciocco di giullaresca portata.

La necessità di romperecon il riformismo

Da tutto quanto appena preci­sato, si evince l'assoluta neces­sità, tanto più in un momentostorico dettato da una crisieconomica generalizzata e de­stinata a peggiorare, di creare ipresupposti per strappare iburocrati, come Renzi eVendola, dai loro comodiscranni. Con l'obiettivo dicapovolgere le fondamentastesse di una società fondatasull'iniquità e l'ingiustizia so­ciale, al fine, non solo dicacciare queste grigie figureservili dei potentati economi­ci, ma con l'obiettivo di riorga­nizzare la società secondo gliinteressi generalmente rico­nosciuti della maggioranza;quella stessa maggioranza cheproduce la ricchezza,usurpatale poi dagli specu­latori e dai loro lacché.(27/01/2014)

segue dalla prima

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PROGETTO COMUNISTA Febbraio ­ Marzo 2014 3POLITICA

IlCongressodelPrcel'agoniadelriformismoRompiamo,da sinistra,con la socialdemocrazia e costruiamo un'alternativa rivoluzionaria

Michele Rizzi

Era stato definito lo“straordinario” congres­so ma nei fatti si è tra­sformato nel congresso

della continuità, sia nella direzio­ne che nella linea politica. Questopuò essere definito il succo del no­no congresso nazionale di Ri­fondazione comunista, un partitoai minimi storici sia in termini mi­litanti che elettorali. L'assise na­zionale del partito di Ferrero haavuto luogo dopo l'ennesima de­bacle elettorale avutasi con lasconfitta della coalizione di Rivo­luzione civile del giudice Ingroia.La fase preparatoria si è svolta neicongressi dei pochi circoli ormairimasti sul territorio nazionale. Idocumenti congressuali eranotre. Il primo di Ferrero­Grassi, ilsecondo della tendenza internaFalcemartello, il terzo di non “alli­neati” (almeno inizialmente). Ilvero e proprio scontro neicongressi di base e poi in quellonazionale si è avuto tra i due stori­ci contendenti, il segretario in ca­rica Ferrero ed il suo antagonistaGrassi che ha presentato degliemendamenti al documento dimaggioranza per contarsi e tenta­re di prendere in mano la direzio­ne del partito. Il congresso è statovinto comunque dai ferrerianiseppur con una maggioranza mi­nima che non ha permesso nellasessione congressuale la rielezio­ne di Ferrero (77 su 150 membridel Comitato Politico nazionale),poiché la corrente grassiana ne haeletti38(quasi lametàrispettoallamaggioranza ferreriana), mentreil resto alle restanti minoranze(terzo documento e secondo dellacorrente Falcemartello uscitafortemente ridimensionataanche rispetto al congresso pre­cedente). L'ex ministro del Go­verno Prodi è riuscitonell'impresa della rielezione nel

primo Comitato politico naziona­le convocato dopo il congresso,con una minoranza di votanti econ l'appoggio di una parte deci­siva del terzo documento. Ladiscussione politica è stata moltorisicata, racchiusa per lo più nelloscontro tra le correnti interne chehanno tentato di mantenere oaggiudicarsi il cadavere del Prc. Lacorrente di Claudio Grassi spinge­vaperunapprodoipoteticoversoilidi di Sel e di Vendola (d'altrondepoco interessato ad un accordocon il Prc), portandosi dietro il Pd­ci, per costruire una “sinistra dialternativa” che magari potessestabilire un ponte verso il Pd.Ferrero, invece, intendeva mante­nere il Prc fuori dallo schiera­mento di centrosinistra perpuntare a costruire uno schiera­mento socialdemocratico, in stileSyriza greca. La realtà dei fatti è

che questo congresso che venivapresentato come “straordinario” èstato straordinariamente ugualeai precedenti, confermando lastessa leadership e la stessa lineapolitica, ma differente dagli altriperché nel frattempo il Prc hasubito una forte scissione si­lenziosa che ha portato alla chiu­sura di centinaia di circoli locali eall'abbandono di migliaia di mili­tanti.

La continuità con unapolitica opportunista e

suicida

La sintesi del congresso dunque èstata la conferma di segretario, li­nea politica e paralisi, ossia unacrisi di prospettiva legata piutto­sto alla vera natura del Prc sindalla sua nascita. Dalla partecipa­zione al Governo Prodi nel 2006 fi­

no all'inizio della crisi capitalista,il Prc sta attraversando una crisisenza precedenti che proba­bilmente lo porterà versol'estinzione definitiva nei prossi­mi anni. D'altronde, quello chealcuni militanti del Prc noncomprendono è che la linea poli­tica del Prc ha una matrice so­cialdemocratica che, in una fasedi crisi acuta del capitalismo dovepadronato e governi tolgono di­ritti acquisiti e sferrano attacchidurissimi contro i lavoratori, nonrende possibile alcuna logica “re­distributiva” come accadequando il capitalismo è in fase diespansione tale da poter garantirebriciole ai lavoratori pur di tenerlisottomessi al sistema. Adessoquelle briciole vengono ripresedai capitalisti e i loro governi(tanto di centrodestra che dicentrosinistra) agli ordini della

Troika europea con programmi diausterity e di lacrime e sangue. IlPrc, ancorato allo schema so­cialdemocratico classico, va incrisi e tenta ancoraggi improbabi­li in soggetti altrettanto in crisi(Sel, Pdci, Ross@), mentre lo­calmente, dove possibile, stringepatti con il Pd di Renzi (elezioni re­gionali in Sardegna) o governa di­rettamente col Pd stesso ed il restodel centrosinistra. D'altronde, laperseveranza della direzione delPrc in questa linea fallimentare sievince chiaramente nelle “speri­mentazioni” elettorali nazionali.Infatti, dopo il disastro chiamato“Rivoluzione civile”, Ferrero ne hapronto un altro con la costituzio­ne di una lista che supporterà ilsocialdemocratico di sinistra Tsi­pras, leader di Syriza, conl'appoggio di “intellettuali”borghesi alla Camilleri che non

vogliono assolutamente un ruolocentrale nella campagna eletto­rale per i rifondaroli e Sel (anchequest'ultimahaoptatoper la lineaTsipras al suo Congresso nazio­naledigennaio,comediciamopiùavanti). Si intravede anche inquesto caso una nuova debacleche probabilmente assesterà uncolpo definitivo ad un partito cheavevamigliaiaemigliaiadiiscritti.

L'unica vera alternativaalla barbarie capitalista

Una strada per i militanti del Prcc'è, ed è quella della rottura con ladirezione riformista e fallimenta­re di Rifondazione, e di unconfronto con chi, come il Pdac, larottura con quella linea politica equella direzione l'ha sancita giàanni fa, su un programma rivolu­zionario, nelle lotte sociali, percostruire assieme una veraalternativa di sistema. Per dareuna risposta di classe e rivoluzio­naria alla crisi del sistema capita­lista, per un'uscita dalla crisi dasinistra, piuttosto che per tentarea tutti costi di trovare una soluzio­ne elettorale che consenta a unaburocrazia fallimentare diconservare qualche poltrona neipalazzi. Non crediamo che glionesti militanti rimasti ancora nelPrc si meritino questo, chedebbano essere condannatiall'ennesima delusione o acquie­scenza nei confronti dei capi lo­cali e nazionali. Una diversacollocazione politica, al di fuoridel Prc, con un programma ne­cessario per dare una risposta allacrisi economica capitalista edunire le lotte sociali, è possibile.Noi del Pdac facemmo la sceltadella rottura nel 2006 proprio perquesto e per dare una casa ancheai tanti militanti del Prc traditipoliticamente dalla direzione delloro partito. (27/01/2014)

La crisi capitalista morde i salari. La crisi capitalista crea disoccupazione di massa.La crisi capitalista distrugge la vita di milioni di persone con nuova precarietà eoppressione, miseria, razzismo, sfruttamento!Ma contro la crisi e il tentativo della borghesia e dei suoi governi, di centrodestra e dicentrosinistra, di scaricarne i costi sui proletari, crescono le manifestazioni in tuttaEuropa, dalla Spagna alla Grecia, proteste studentesche in Italia, lotte (per ora ancoraisolate) in diverse fabbriche del nostro Paese.Lotte contro la Troika europea che detta la linea del più pesante attacco ai diritti dellemasse popolari degli ultimi decenni.La situazione è straordinaria e vede un impegno straordinario del Pdac per far crescerele lotte in direzione di una coerente prospettiva di classe, di potere dei lavoratori.Sostieni le lotte dei lavoratori e degli studenti...

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Un giornale che vede continuamente ampliarsi il numero dei suoi lettori, a cui dedica unnumero crescente di pagine (ora sono venti, con un foglio centrale scritto dai Giovani diAlternativa Comunista), notizie di lotta, interviste, articoli di approfondimento sulla politicaitaliana e internazionale, traduzioni di articoli dalla stampa della Lit­Quarta Internazionale,testi di teoria e storia del movimento operaio.Progetto comunista è un prodotto collettivo: ad ogni numero lavorano decine di compagni.E' scritto da militanti e si rivolge a militanti e attivisti delle lotte.Viene diffuso in forma militante dalle sezioni del Pdac e da tutti i simpatizzanti e da coloroche sono disponibili a diffonderlo nei loro luoghi di lavoro o di studio.Abbonarsi a Progetto comunista non è soltanto importante per leggere il giornale esostenere una coerente battaglia rivoluzionaria:è anche un'azione utile per contribuire a far crescere le lotte, il loro coordinamentointernazionale, la loro radicalità. Se vuoi conoscere PROGETTO COMUNISTA, puoi leggere i pdfdei numeri precedenti su alternativacomunista.org______________________________________________________________________________Puoi sostenere PROGETTO COMUNISTA, il giornale dei rivoluzionari, unica voce fuoridal coro del capitalismo e dei suoi governi di politiche di "lacrime esangue",unica voce estranea alla sinistra riformista subalterna alla borghesia:- con l'ABBONAMENTO ANNUALE di 12 euro da versare sul C/C postale1006504052 intestato al Partito di Alternativa Comunista, specificandol'indirizzo a cui va spedito i giornale- aiutandoci a diffonderlo nel tuo luogo di lavoro o di studio

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Il nuovo sistema elettorale italiano sichiamerà Italicus, tanto per far capire dache parte viene e quali sono i mandanti.(a.)http://it.wikipedia.org/wiki/Strage_dell'Italicus

Sabato scorso Silvio Berlusconi si èrecato, per la prima volta nella sua vita enella storia del paese, nella sede del PDper discutere di riforme istituzionali. Da lìnon è poi più uscito. Finito il proficuoincontro, infatti, Matteo Renza è tornatoa Palazzo Grazioli.L'unica condizione posta dal Berlusconiè stata di non dover sedere sotto la fotodi Fidel Castro e Che Guevara. Tuttipensavano che fosse una battuta, einvece è vero: nella sede del PD c'è unafoto di Castro e Guevara che giocano agolf. Il portavoce del PD ha spiegato:"Avevamo cercato una foto di Lenin a untavolo di burraco, una di Mao che giocaa polo, una di Ho Chi Minh che partecipaa una caccia alla volpe, ma non leabbiamo trovate".La modifica della legge elettorale si eraresa urgente in virtù del pronunciamentodella corte costituzionale, che avevagiudicato incostituzionale il porcellumper due motivi: l'eccessivo premio dimaggioranza e l'assenza del voto dipreferenza. Quindi Matteo Renza haspiazzato tutti concordando con gli altripartiti (tutti tranne il suo) un sistema cheprevede un premio di maggioranza del18% e listino bloccato al posto del votodi preferenza.Le modifiche della Costituzione,concordate tra il nuovo padre e il nuovofiglio costituzionalista, prevedono anchela fine del bicameralismo perfetto e unsenato non elettivo. I mass mediahanno, a tal proposito, a lungo dibattutosulla natura del pellicciotto della Boschi.Rispetto alla legge Acerbo (votata nel1923 dal parlamento a maggioranzafascista), qui il premio scatta al 35%, enon al 25% (anche allora le forze diminoranza cercarono di alzare la soglia,vedendosi opporre la fiducia), l'entità delpremio era maggiore (venivano garantitii 2/3 dei seggi), ma rimaneva il voto di

preferenza e non vi era sbarramento.Rispetto alla "legge truffa" del 1953,invece, il premio scatta prima: allora, perottenerlo, il partito o la coalizionevincente avrebbero dovuto comunquearrivare al 50%.Matteo Renza ha spiegato alla suadirezione che 3 milioni di italiani gliavevano dato il mandato per cambiarela legge elettorale e la costituzioneproprio così, che aveva avuto il plausodegli altri partiti, e che quindi non restavache prendere ed entrare nella storia, olasciare e contraddire i 3 milioni dielettori delle primarie. Davanti a questoragionamento la minoranza è insorta,contribuendo alla difesa della dignità delpartito, dei suoi organi dirigenti e dellademocrazia nel paese con ben 34astensioni. Berlusconi si ècomplimentato.Preso possesso della sede del PD,Berlusconi, dopo esser stato presentatoalla segreteria, ha dichiarato:"Finalmente un po' di gnocca: per anninon sono entrato nel PD perché c'eranosolo la Bindi e la Turco". Matteo Renza,arrivato a Palazzo Grazioli, si è trovatoad accoglierlo solo il cane Dudù, e hainiziato a capire che forse Berlusconi liaveva fregati anche questa volta. (a.)

Quello di fare accordi con un Berlusconiormai spacciato per cambiare la leggeelettorale è un vecchio vizio dei segretaridel PDS­DS­PD. E' stato ricordato il"Patto della crostata" con D'Alema, mastranamente non l'iniziativa di Veltroni,che portò alla caduta del secondogoverno Prodi (altro che il votodell'incolpevole Turigliatto, che nonfarebbe cadere una mosca): è curiosooggi leggere di quei tempi remoti... (a.)http://www.corriere.it/politica/07_novembre_30/veltroni_berlusconi_faccia_a_faccia_5bd6d0e2­9f47­11dc­8807­0003ba99c53b.shtml

Patrizio D. non è nato oggi, e neppureieri. Era un militante del PCI quandoAchille Ochetto, senza anticipar niente anessuno, decise che il partito doveva

cambiare nome e simbolo del partito.Patrizio divenne democratico e disinistra. Nel 1998 D'Alema decise ditogliere la P, e Patrizio si ritrovò senzaP., nel 2007 Veltroni gli restituì la Ptogliendogli la S. Poi nel 2013 andò aPalazzo Chigi un presidente delconsiglio ex DC, e nello stesso annovenne incoronato dalle primarie unsegretario ex DC. Dopo un ventenniotrascorso a denunciare che Berlusconiera un pericolo per la democrazia, ilnuovo segretario di partito concorda leriforme costituzionali e della leggeelettorale con tutti gli avversari, e poi lapresenta alla direzione del partito comecosa fatta: prendere o lasciare. (a.)

ha determinato nelle file del PD lanotizia che Obama ha aumentato perdecreto il salario minimo nella pubblicaamministrazione e ha proposto unsistema di indicizzazione salariale.Inizialmente si era pensato a unoscherzo di cattivo gusto. "Sarà una burladi quelli del 5 Stelle!". "Ma non è che sontornati a pubblicare Il Male?". L'espertorenziano di USA ha subito decretato:"Lo escludo categoricamente. A Matteoglielo avrebbe sicuramente anticipato".L'imbarazzo era accresciuto anche dalfatto che il codazzo festante deisostenitori di Renzi Matteo e RenziLeopolda aveva appena finito diapplaudire, nella persona di DavideSerra, alla "decisione razionale" dellaElectrolux, che per mantenere gliimpianti in Italia chiede di ridurredrasticamente il salario e aumentare iritmi. Nulla di nuovo: ci aveva giàpensato Marchionne per la Fiat, e Renziaveva aderito entusiasticamente. Inserata la doccia fredda: è confermatoche Obama, per vincere le elezioni diMidterm, intende fare qualcosa disinistra, mentre Renzi pensava di faresolo cose di destra per riperdere leelezioni. (a.)

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4 Febbraio ­ Marzo 2014 PROGETTO COMUNISTALAVORO E SINDACATO

Col Testo unico sulla rappresentanza padroni e burocrazie sindacali sanciscono la fine della democrazia sindacale

Dirittodiscioperoediorganizzazionesindacale:adieu?

Fabiana Stefanoni

Il 10 gennaio è stato sotto­scritto, senza che ci sia stataun'adeguata risposta dalversante di classe, il famige­

rato “Testo unico sulla rappre­sentanza”, sottoscritto da Cgil,Cisl, Uil e Confindustria. Si trattadi un accordo tra i rappresentantidel padronato e le burocraziesindacali che sancisce l'estensio­ne del “modello Pomigliano” (giàvigente in Fiat) a tutto il mondodel lavoro. Una tagliola sul dirittodi sciopero e di associazionesindacale, che si viene adaggiungere alla legge 146 del1990, che limita fortemente i di­ritti sindacali nel pubblico impie­go e nei cosiddetti “serviziessenziali”.

Il sindacalismoconflittuale perde il diritto

di rappresentanza

Il testo del 10 gennaio riprende,sostanzialmente, quello che pa­droni e burocrazie sindacali ave­vano già sottoscritto il 31 maggio2013 (con il “Protocollo d'intesa”)e poi il 28 giugno 2011 (con il co­siddetto “Accordo sulla rappre­sentanza”). Si tratta di accordi chehanno visto concordi Confindu­stria, Cgil, Cisl e Uil. La direzionedella Fiom, che fino a pochi mesifa aveva giudicato l'accordo posi­tivamente (!), recentemente si èsmarcata dalla Camusso: Landinisi è detto contrario al Testo unicosulla rappresentanza e ha mi­nacciato barricate in occasionedell'ultimo congresso (senzatuttavia togliere il proprio soste­gno al documento di maggio­ranza della Camusso). Si tratta diun attacco pesantissimo alla clas­se lavoratrice in Italia: i padroni siriprendono tutte le concessioniche furono costretti a fare in pas­sato, sull'onda delle lotte operaie.

È la dimostrazione, secondo noi,del fatto che qualsiasi conquistastrappata ai padroni, nel sistemacapitalistico, prima o poi vieneannullata: i padroni si riprendonocon la mano destra tutto ciò cheavevano concesso con la mano si­nistra. È la dimostrazione dellanecessità che le lotte operaieportino all'abbattimento del si­stema capitalistico. Nessunaconquista della classe operaia sa­rà mantenuta se non si mette indiscussione il dominio dellaborghesia. Ma procediamo conordine e vediamo quali sono ipunti salienti di questo testo infa­me. Prima di tutto, si stabilisceche solo i sindacati che condivi­dono l'accordo stesso avranno di­ritto di rappresentanza sindacalenelle fabbriche. Il testo è chiaro: lacondizione posta ai sindacati perpartecipare alle elezioni delle Rsu(Rappresentanze Sindacali Uni­tarie) è che “accettino espressa­mente, formalmente eintegralmente ( sic! ) i contenutidel presente accordo,dell'Accordo Interconfederale del28 giugno 2011 e del Protocollo 31maggio 2013”. In altre parole, tuttii sindacati conflittuali che sioppongono a questo accordo li­berticida perdono qualsiasi di­ritto di rappresentanza sindacalenelle fabbriche. Ma non finiscequi. Per poter partecipare allacontrattazione collettiva (cioèalla definizione dei Contratticollettivi nazionali di lavoro) isindacati devono possedere alcu­ni requisiti minimi. Quali? anzi­tutto, “una rappresentatività noninferiore al 5%, considerando atale fine la media tra il dato asso­ciativo (percentuale delle iscri­zioni certificate) e il datoelettorale (percentuale dei votiespressi)” nelle Rsu. Ecco confe­zionata la trappola! Solo i sinda­cati che condividono l'accordoliberticida possono concorrere

alle Rsu...ciò significa che tutti glialtri sono esclusi dalla contratta­zione. Non solo: il compito dicertificare le iscrizioni al sinda­cato è affidato in prima istanzaalle aziende, il che significa chenessun lavoratore potrà iscriversia un sindacato senza chel'azienda lo sappia (dopo losmantellamento dell'articolo 18l'iscrizione a un sindacato può di­ventare un buon motivo per li­cenziare). Ecco allora che solo isindacati concertativi Cgil, Cisl eUil potranno partecipare allacontrattazione collettiva nazio­nale. E qui si apre un altro capito­lo.

La contrattazionecollettiva diventa unaffare tra padroni e

burocratiIl Nidil Cgil ha pubblicato sul suosito uno squallido fumetto che halo scopo di dimostrare la bontà diquesto accordo: cercano di pre­sentarlo come un accordovantaggioso per i lavoratori, in cuil'ultima parola spetta proprio aloro. “Da oggi a te l'ultima parola”,spiega il burocrate Cgil, nel fu­metto, alla lavoratrice fes­sacchiotta (donna e operaia? perquesto si fa passare come sce­ma?). Ma come stanno vera­mente le cose? La verità è che soloi sindacati che accettano i diktatdi Confindustria potranno acce­dere alla contrattazione; che seun accordo è sottoscritto dal 50%più uno dei sindacati “rappre­sentativi” potrà diventare legge;che sarà necessaria la “consulta­zione certificata delle lavoratrici edei lavoratori”. Esattamentequello che è successo in Fiat conl'applicazione del modello Pomi­gliano: si fa passare un accordotra i sindacati complici con unaconsultazione referendariatruccata, senza opposizione,

senza che ai lavoratori venga pre­sentata alcuna alternativa credi­bile e possibile. Non solo: leorganizzazioni sindacali, unavolta approvato il Contratto, sidevono astenere da “azioni dicontrasto di ogni natura, fina­lizzate a compromettere il regola­re svolgimento dei processinegoziali come disciplinati dagliaccordi interconfederali vigentinonché l'esigibilità e l'efficaciadei contratti collettivi stipulati”.In altre parole, divieto del dirittodi sciopero durante e dopo letrattative, pena la “sospensionedei diritti sindacali” e “pene pe­cuniarie”. Ecco dunque chel'accordo di Pomigliano vieneesteso a tutte le fabbriche di tutti isettori. La differenza, questavolta, è che la Cgil sottoscrive eapprova, e persino la Fiom diLandini, in prima istanza, ha

cantato vittoria (nella speranza diessere riammessa al tavolo delletrattative con Finmeccanica...).

Costruiamo una grandemobilitazione per la

democrazia sindacale e ildiritto di sciopero!

Di fronte a questo attacco – che siaggiunge alle pesanti limitazionial diritto di sciopero presente nelpubblico impiego e nei “serviziessenziali” – è necessario avviareda subito una grande campagnaunitaria per la difesa della demo­crazia sindacale. È necessario eurgente che i sindacati “di base”accantonino le propensionisettarie e autoreferenziali e si uni­scano nella lotta per respingerequesto accordo che sancirebbe lafine di qualsiasi sindacalismoconflittuale. È necessario

coinvolgere in questa mobilita­zione i settori critici della Cgil, apartire dai sostenitori del docu­mento di minoranza al congressoeallastessaFiom,percostruireunfronte unitario di lotta. È neces­sario unificare e rafforzare, in unfronte unico, tutte le avanguardiedi lotta: dai lavoratori della logi­stica ai lavoratori del pubblicoimpiego e dei trasporti, dai pre­cari della scuola agli operai delgruppo Fiat a tutti i settori lavo­rativi che subiscono attacchi, ri­duzione dei salari, licenziamenti.Oggi uno strumento per unificarele lotte esiste già, e crediamo chevada rafforzato: è il coordina­mento No Austerity. Rafforziamol'unità delle lotte! Uniti possiamovincere, isolati possiamo soloperdere! (30/01/2014)

RRoommaaL'inizio dell'anno nuovo ha co­nosciuto una forte raffica discioperi a sorpresa dal 21gennaio e fino al 31 dello stes­so mese, proclamati dallaFlmu­Cub per i lavoratori di Te­lecom Italia. Questi scioperisono stati indetti control'intenzione della direzione Te­lecom di chiudere molte sedi inItalia, di avviare nuovi licenzia­menti ed altri nuovi spezzatiniper la società di telecomunica­zioni che produrranno ri­percussioni negativesull'occupazione dei di­pendenti già quasi dimezzatanegli anni scorsi. Per i repartiOpen access –Aoa lo scioperoè stato proclamato per no­vanta minuti alla fine di ogniturno di lavoro, mentre per laDivisione Caring Services eOpen Access Asa lo sciopero èstato dello straordinario.Ovviamente per quanto ri­guardo la modalità di svolgi­mento dello sciopero, tenendoconto che non è stato possibileche un lavoratore per un mesepotesse partecipare ognigiorno all'agitazione, si è fattosì che la forma di lotta fossestrutturata in maniera tale chesu giorni diversi, e per i diversireparti, si generasse unimpatto a sorpresa per l'auto­gestione stessa dello scioperoper ogni modulo, reparto ecentro di lavoro di tutta la Tele­com Italia. Nelle scorse setti­mane, inoltre, Cub Telecomcon il sostegno di un pool di le­gali ha portato avanti la batta­glia relativa al riconoscimentodella retribuzione per lefranchigie di 15­30 minuti, nonretribuite per i tecnici, all'inizioed alla fine della giornata. Aquanto pare questa lotta potràportare dei risultati sindacali

importanti. Per il Pdac certa­mente lo sciopero deve andareoltre gennaio, essere generalee portare alla rivendicazionedella nazionalizzazione sotto ilcontrollo operaio.MMoonnzzaaProsegue la vertenza dei 300dipendenti della Cifa, colossoindustriale nel settore dellemacchine e degli impianti perla lavorazione del calce­struzzo di Senago acquisitanegli anni scorsi dai cinesidella Zoomlion Heavy Indu­stry. I lavoratori contestano lavolontà della proprietà di ta­gliare 75 posti di lavoro. Gliesuberi, comunicati come unfulmine a ciel sereno nei giorniscorsi, coinvolgerebbero tutti isettori e anche gli stabilimentidi Zanica nel bergamasco e diCastiglione delle Stiviere nelmantovano. Le ragioni dei li­cenziamenti sarebbero dovutealla perdita economica regi­strata dalla componente italia­na del gruppo, causata da unacontrazione notevole deimargini di profitto sulle pompeautocarrate, prodotto di puntadi Cifa. Da qui l'intenzione ditrasferire in Cina la produzionedi alcuni modelli in modo da ri­durne il costo del lavoro, ope­razione che metterebbe sullastrico 75 lavoratori di Sena­go. Dopo le ore di sciopero delmese scorso, la lotta operaiaprosegue per impedire que­st'ultima mattanza di posti dilavoro.FFiigglliinneeVVaallddaarrnnoo ((FFII))Le otto ore di sciopero del 14gennaio allo stabilimento Pi­relli di Figline Valdarno sonosolo l'inizio della vertenza deilavoratori, che credono poco, e

giustamente, agli incontri cheavvengono a Roma, al mini­stero dello Sviluppo economi­co, tra proprietà, sindacaticoncertativi e Regione Tosca­na. Lo sciopero ha portato oltre300 lavoratori a Roma da Figli­ne Valdarno per tentare di evi­tare il rischio di una nuovadeindustrializzazione e quindinuovi licenziamenti attraversola cessione ai belgi di Bekaertdello stabilimento (che è spe­cializzato in produzione, ri­cerca e sviluppo della “steelcord”, cordicella metallica de­gli pneumatici), soluzione chenon garantisce certamente lapiena occupazione, ma nuovitagli di personale. Uno sciope­ro c'è stato anche in Turchia, insolidarietà con i lavoratori diFigline. Infatti hanno sciope­rato gli operai dello stabili­mento Pirelli di Izmit dove sonoimpiegati in 400 e dove si lavo­ra alla stessa produzione indu­striale che la multinazionaleitaliana vuole vendere non ri­tenendola più strategica e piùproduttiva, scaricando i costidella sua crisi industriale natu­ralmente sui lavoratori.FFiirreennzzeeBuon successo dello scioperodi lunedì 13 gennaio scorso,per l'intera giornata, dei lavo­ratori e delle lavoratrici deiservizi Bibliotecari e degliArchivi in appalto del Comunedi Firenze. Si tratta di oltre 70lavoratori che da anni svolgo­no la loro attività all'internodelle biblioteche e degli archividel Comune di Firenze. Ormaisono anni che il Comune a se­guito di esternalizzazione delservizio utilizza lavoratori pre­cari attraverso gare di appalto.Il 30 Giugno 2014 scadrà laproroga dell'appalto e nelfrattempo l'Amministrazione

Comunale guidata dal segre­tario del Pd Renzi ha pubbli­cizzato un nuovo bando digara, peggiorativo anche ri­spetto al passato, in quantonon contiene nemmeno clau­sola sociale e contratto di rife­rimento. Il tutto si tradurràprobabilmente nel licenzia­mento di oltre 70 lavoratori,nell'ottica della piena flessibi­lità e della precarietà sul lavo­ro, logica padronale che ritieneche i lavoratori siano merceche può essere scaricata inqualunque momento. Per ilPdac, vanno cancellati tutti icontratti precari, tutti gli appaltie subappalti, arrivandoall'internalizzazione del servi­zio e dei lavoratori stessi.RRoovveerreettoo ((TTNN))Alla Marangoni Pneumatici diRovereto la proposta della di­rezione aziendale di subordi­nare gli investimenti allariduzione del costo del lavoronon è andata proprio giù ai la­voratori, che si preparano lalotta. Infatti in un'assembleamolto partecipata è stato deci­so lo stato d'agitazione e losciopero, per cui vaconcordata la data. L'aziendasi appresterebbe ad avviare unpiano di investimenti di 8 milio­ni di euro per rinnovare gliimpianti, subordinandolo allariduzione del 10 per cento delcosto del lavoro e quindi deisalari. Questa sarebbe unamazzata per i lavoratori perchél'azienda non vorrebbe appli­care più il contratto nazionale eperché vorrebbe tagliare i sa­lari di circa 3.600 euro a testaall'anno. Da qui la decisionedei lavoratori di andare alloscontro, partendo dal bloccodegli straordinari fino allosciopero da proclamare.(27/01/2014)

LLoottttee ee MMoobbiilliittaazziioonniiRubrica a cura di MMiicchheellee RRiizzzzii

Disse Srg Mrc al Cda: "La chiamiamofca, familiare come un codice fiscale,e come qualcos'altro che non vi dirò...Qualche obiezione?""A me piace il czz""Lapo, ma chi ti ha invitato? In ognicaso sono czz tuoi, qui non siamo nelteatrino politico dove bisognaoccuparsi delle minoranze. Noidobbiamo vendere allemaggioranze.""Sì, ma non mi pare molto originale.Ci manca solo che lo sloganpubblicitario sia: e che dio labenedica""Ma a te pare di vivere in un paeseoriginale? Berlusconi ci ha creatosopra un impero, sulla fca intendo. Epoi in altri paesi non vorrà dire nulla.Bene, possiamo andare avanti. La fcaavrà sede legale in Olanda e fiscale inGran Bretagna. Ergo continueremo amungere i soldi della cassaintegrazione al governo italiano epagheremo le tasse ­ poche ­ in altripaesi. Qualcosa in contrario?""Così glielo mettiamo in qlo""Linguaggio sessista e irrispettosodelle minoranze. Non violiamonessuna legge. E poi la cassaintegrazione la mungiamo solo fino aquando manteniamo gli stabilimentiin Italia. Ricordatevi che non siamoun'inefficiente azienda di stato, maun'efficiente azienda multinazionale"(a.)

Noam Chomsky ha provato asintetizzare in 10 regole le tecniche dicomunicazione utilizzate daigovernanti per mistificare la realtà(http://www.linkiesta.it/blogs/cavoletti­di­bruxelles/noam­chomsky­e­il­decalogo­sulla­mistificazione­della­realta). Per sua fortuna il grandelinguista non vive in Italia e puòtranquillamente ignorare la regolaprevalente negli ultimi anni: il giocodelle 3 carte. E' molto semplice.Vediamo un esempio: un giorno siannuncia che si introdurrà una tassa,il giorno dopo si nega decisamente diaver mai pensato di farlo, poi si

introduce la tassa, ma qualche giornodopo la si modifica, poi le si cambianome, poi la si abrogacompletamente, ma nel primodecreto omnibus la si reintroduce conun nome completamente nuovo.Enunciata come regola potrebbeessere: Strategia dello sfinimento.Moltiplicare gli atti governativi einformativi a tal punto da far perdereal cittadino la cognizione del tempo edello spazio. Alla fine del processoestenuante il tanto aborrito o temutoprovvedimento sarà accettato consollievo. Inoltre dopo pochi giorninessuno ricorderà più se ilprovvedimento è stato, alla fine,effettivamente approvato. (a.)

Il 21 dicembre è stranamente passatainavvertita l'occupazione di un tunneldelle FF.SS. in via di ristrutturazione aMilano. Il collettivo Ri­make ha ri­lasciato la seguente dichiarazione: "Anoi non piacciono questi Expo,preferiamo l'Exproprio ­ scrivono gliEx­ponenti di Ri­Make ­ lariappropriazione, il recupero a usisociali degli spazi abbandonati odestinati alla speculazione. Perquesto siamo qui in via Sammartini,per aprire uno dei tanti tunnel, ora sulnulla, ma che possono diventarespazi di socialità ­ proseguono ­Porteremo in questo spazio i percorsiche quotidianamente costruiamo inquesta città per difendere l'universitàe la scuola pubblica, il lavoro e il dirittoal reddito, l'ambiente e i territori, lasanità e la cultura, i diritti delle donnee dei soggetti lgbt". L'occupazione èdurata una giornata, poi gli occupantisono Ri­tornati alla loro casa, che sichiama Communia e rappresenta unadelle due metà in cui si è scissaSinistra Criptica. Le prossime azioniin cantiere: ri­make della expro­priazione di un prosciutto in unautogrill rimediando una denuncia perrapina, ri­make dell'okkup­azionefatta da Macao in via Eginardo, duratapoco più di un'ora perché il posto eragià occupato da mesi da famiglie diimmigrati. (a.)

Tutti insieme appassionatamente: i tre capi delle burocrazie sindacali e il capo di Confindustria

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PROGETTO COMUNISTA Febbraio ­ Marzo 2014 5

Elisa Pepe

Tutti i cittadini e le citta­dine hanno gli stessi di­ritti e gli stessi doveri.Sono uguali davanti

alla legge senza discriminazionealcuna: così sancisce l'art. 20 dellabozza della Costituzione tunisinaapprovata dall'Assemblea Costi­tuente con 159 voti su 169. Imme­diatamente è partita la grancassamediatica nell'omologatainformazione italiana, con quasitutti igiornali (aldilàdipocheecce­zioni) a scatenarsi, con enfasitutt'altro che innocente e un'alle­gria troppo smaccata per essereautentica, lanciando la notizia chela nuova Costituzione tunisina ga­rantirebbe la completa parità tra

uomo e donna. Quotidiani della“borghesia progressista”, come laRepubblica, in un articolo a firmadi Tahar Ben Jelloun, hanno usatoaddirittura l'aggettivo “rivoluzio­naria” per definire il testo costitu­zionale; mentre di “svolta” parlanoLa Stampa e l'Unità . Questa rico­struzione, interessata a presentarequella tunisina, uscita dalla rivolu­zione democratica del 2010, comeun'armonica società in cui è rico­nosciuta la vera parità per ledonne, ha lo scopo evidente di ne­gare che essa è, invece, una societàtutt'altro che pacificata e che ilprocesso rivoluzionario, sia pursottotraccia, prosegue con la ripre­sa delle lotte in cui, proprio ledonne, hanno un ruolo di primopiano. E dunque via con l'immagi­

ne di una “Tunisia in rosa”, con as­semblee elettive in cui vigono le“quote rosa” e altre amenità del ge­nere! In realtà si tace sul fatto chemolti diritti delle donne erano ri­conosciuti e garantiti persino dalleleggi del deposto dittatore Zine ElAbidine Ben Ali. Anzi, fu addirittu­ra il suo predecessore Bourghiba agettare il seme affinché uomini edonne godessero dello stessotrattamento lavorativo e sociale: laTunisia, pur senza averlo maiscritto nella Carta costituzionale,dal 1956 è stato il primo Paese ara­bo a tutelare i diritti delle donnecon l'adozione del Codice di Statu­to Personale che garantisce alledonne il diritto al voto e all'eleggi­bilità, richiede il loro consenso peril matrimonio, abolisce il ripudio ela poligamia, fissa a 17 anni l'etàminima delle donne per il matri­monio, legalizza aborto,contraccezione e divorzio. Unpacchetto di diritti messo in peri­colo con l'avvento del partito isla­mista Ennahda , nel 2012, subitodopo la cosiddetta “primavera tu­nisina”, tra l'altro su proposta diuna donna, che aveva tentato diintrodurre il concetto di “comple­mentarietà tra uomo e donna”:concetto subito abbandonato acausa della portata delle protestein tutto il Paese.

Le donne tunisine stannoancora lottando

Durante la stesura del testo costi­tuzionale si è, infatti, innestato undibattito sul tema che hainfiammato la Tunisia suscitandoproteste in seno alle associazionifemminili. Il tentativo era quello diintrodurre nella Costituzione unarticolo che stabilisse la colloca­zione della donna in una posizione

di complementarietà rispettoall'uomo all'interno della famiglia. Principio che avrebbe costretto ledonne a rinegoziare il loro statutodi donna, di figlia e di madre, ri­mettendo in discussione unostatus, quello dell'uguaglianza uo­mo­donna, che, di fatto, risultavaformalmente già acquisito in senoalla società. Da quel momento,dall'avvento del finto moderati­smo di Ennahda, le donne tunisinesono sul piede di guerra. Al mo­mento sembrerebbero tuttaviaconfermati i diritti delle donne tu­nisine, mentre esponenti delle as­

sociazioni femministe e dellasocietà civile hanno già intrapresouna battaglia per ottenere “paritàdi accesso ai ruoli amministrativi ealle responsabilità politiche”. Alcu­ne organizzazioni dei diritti umanicome Amnesty International e Hu­man Right Watch hanno criticatola formula adottata poiché troppogenerica. “La Costituzione – so­stengono – dovrebbe precisare cheuominiedonnesonougualiecheilprincipio di uguaglianza e di nondiscriminazione deve essereapplicato ai cittadini come aglistranieri” e in particolare “per mo­tivi di razza, colore, sesso, lingua,religione, opinioni politiche”.

Per una vera paritàabbattiamo il capitalismo

Noi comunisti rivoluzionaripensiamo che rivendicazioni de­mocratiche devono procedere dipari passo con l'abbattimento del

capitalismo, quindi auspichiamouna prospettiva socialista, basatasull'abbattimento della proprietàprivata, sulla liberazione dallosfruttamento, sulla reale ugua­glianza tra uomini e donne e traindividui, su un'organizzazionesociale che, a partire dalla distru­zione della famiglia così come co­stituita nella società borghese,edifichi forme di aggregazione so­ciali diverse, dove le unioni sianosceltelibereeconsapevoli, il lavorodi cura sia socializzato (consultorifamiliari, nidi e scuole per i bambi­ni, servizi alla persona, mense, la­vanderie) e il tempo di ciascuno,liberato, sarà impiegato per laformazione e lo sviluppo artistico,scientifico, degli individui. Una ve­ra liberazione della donna, e unasuaeffettivaparitàconl'altrosesso,potranno aversi solo in questaprospettiva. (25/01/2014)

LAVORO E SINDACATO

UnavitaperlalottaIntervista ai compagni Lorenzo e Franco,della Cub Caltanissetta

a cura di Mauro Buccheri

Diversi compagni negliultimi mesi hanno aderitoal Pdac in Sicilia.Intervistiamo due di loro,

che hanno contribuito alla nascitadella sezione di Caltanissetta diAlternativa comunista. Si tratta deicompagni Lorenzo Petix e FrancoMusarra, da tanti anni in prima lineanella lotta politico­sindacale nelproprio territorio di riferimento, eoggi dirigenti provinciali delsindacato di base Cub(Confederazione Unitaria di Base).Franco, Lorenzo, quando avete ini­ziato l'attività sindacale? Quali sonole lotte principali che aveteaffrontato in questi anni e che vi sonorimaste maggiormente impresse?LP: Io e Franco lottiamo insieme dal2008, siamo stati fra i fondatori del fo­rum provinciale movimenti perl'acqua. Ma la mia attività a livellosindacale comincia nel 1989, alloraero in Cgil. Di lotte ne ho combattutetante, ricordo in particolare quellaall'agroalimentare Zappalà di Butera,quella a Gela a fianco dei lavoratori di

Ambiente Italia (ditta privatainfiltrata dalla mafia), le battaglie perl'acqua pubblica. Qualche vittorial'abbiamo ottenuta, ma anche tanteamarezze: ad esempio rispetto allalotta per i dipendenti della Caltanis­setta service (manutenzione infra­strutture).FM: Ricordo in particolare le battagliesvolte dalla fine degli anni '70 presso illuogo in cui lavoravo, l'istituto agrariodi Caltanissetta, un istituto stataleospitato presso locali di proprietàdella Provincia, in cui i problemi nonmancavano: impianti non a norma,disorganizzazione, abusi da partedelle direzioni succedutesi nel tempo.La battaglia è stata lunga e logorante, emi sono trovato spesso da solo controtutti. Su diverse questioni Provincia eComune si rimpallavano le responsa­bilità, ma con tenacia e perseveranzasi è riusciti ad ottenere dei risultati.

Come mai a un certo punto sieteusciti dalla Cgil?FM: Sono rimasto amareggiatoperché credevo di avere un sindacatoche mi tutelava, invece mi resi conto aun certo punto che i funzionari della

Cgil facevano il doppio gioco. Mi dice­vano di stare tranquillo, ma poi nonfacevano nulla per aiutarmi, e anzi,provavano a dissuadermi dal portareavanti le vertenze, chiamando in cau­sa spese economiche e tempi lunghi...Uno di questi signori ebbe poi la facciatosta di chiedermi il voto quando sicandidò al parlamento regionale! De­cisi di mollare la Cgil, era il 1998, e peralcuni anni restai senza alcuna tesse­ra, prima di ripartire dal sindacalismodi base.LP: La Cgil era divenuta un sindacatodi burocrati, non si vedeva più nei luo­ghi di lavoro, salvo rare eccezioni.Molti dirigenti della Cgil eranovenduti al sistema, doppiogiochisti.Ho rotto con la Cgil nel 2006, e dopouna breve parentesi coi Cobas, hoaderito al progetto della Cub, di cuioggi sono coordinatore provinciale.

Quali sono le principali vertenze dicui vi state occupando oggi a Calta­nissetta e provincia?FM e LP: Stiamo lavorando congrande impegno per rafforzare ilsindacato sul piano organizzativo. Lavertenza che ci ha visti maggiormenteimpegnati negli ultimi tempi è stataquella dei lavoratori della Provincia:abbiamo fatto presidi e banchetti,anche in estate, per sensibilizzare lagente sulla questione dei lavoratoriprovinciali a rischio licenziamento, ela battaglia va avanti. Poi abbiamopromosso diverse altre lotte, fra cuiquella a supporto dei fratelli migranti.La Cub è un sindacato organizzato,che sta crescendo, e crediamo ci sianoancora buoni margini di sviluppo.

Quali sono le maggiori difficoltà cheavete riscontrato sino ad oggi nellavostra attività?FM e LP: Il problema principale è statala paura dei lavoratori e la tendenzaalla delega, soprattutto quando loscontro si fa duro. Infatti oggi c'è unacerta resistenza ad avvicinarsi a unsindacato di base conflittuale come laCub, poiché non c'è abitudine al

conflitto, non c'è cultura della lotta edell'autodeterminazione.

Come giudicate la situazione a li­vello sindacale in Italia?FM: La triplice ha il monopolio, ecerca di impedire agli altri sindacati difare lotta. Il recente accordo vergognasulla rappresentanza è altamenteindicativo. Basta pensare che in alcu­ni settori (tipo la nettezza urbana a Pa­lermo) la Cub ha consensi moltosuperiori persino alla Cgil, però nonha rappresentatività perché non èfirmataria del contratto nazionale.LP: Soffriamo delle varie spaccaturedi sigle nel sindacalismo di base. Ioauspico un'inversione di rotta, e cre­do che tali spaccature siano dovutealla tendenza corporativa e settaria dialcuni sindacati. La Cub si adoperaper unificare il fronte del sindacali­smo combattivo, e in tal senso ci sonodei risultati, anche a livello regionale,come ad esempio l'ingresso nella Cubun paio di anni fa del sindacato Alba.

Cosa è cambiato rispetto a prima?Che prospettive vedete per la lotta diclasse?

FM: Ai tempi in cui ero giovane c'erapiù partecipazione alle lotte. Oggi chel'attacco padronale aumenta diintensità sembra che la capacità dimobilitazione sia diminuita. Pensoche alla base di questo ci sia losconcerto davanti ai tradimenti poli­tici e sindacali, la sfiducia dei lavo­ratori che si sono sentiti abbandonatianche da chi diceva di tutelarli. A ciò siaggiunge il ruolo negativo svolto daimass media, complici dei padroni,che hanno taciuto le lotte e contribui­to ad addormentare le coscienze.Tuttavia sono ottimista, credo siapossibile contrastare l'attaccoselvaggio al mondo del lavoro.LP: Prima o poi la situazione esplode­rà, si creeranno le condizionisoggettive. Oggi le lotte ci sono ma so­no scollegate, disorganizzate, per cuitendono a spegnersi ciclicamente.Ecco perché è importante costruire ilpartito rivoluzionario: trasmettere lacoscienza di classe, unificare, orga­nizzare e guidare le lotte contro i po­teri forti. Per creare anche lecondizioni soggettive necessarie perrovesciare il sistema! (27/01/2014)

NuovaCostituzioneinTunisia:paritàfrauomoedonna?

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6 Febbraio ­ Marzo 2014 PROGETTO COMUNISTANO AUSTERITY

Stefano Bonomi *

Si estende a macchiad'olio la mobilitazioneesemplare delle“fabbriche” della

logistica e ancora una volta gliattivisti di No Austerity sono alproprio posto: al fianco deilavoratori in lotta. Si chiude il2013 con nuove vertenze aBrescia (Tnt) e alla cooperativaortofrutticola Sincro diManerbio che lavora per contodi Linea Verde , leader nelmercato nazionale della IVgamma e dei piatti prontifreschi. Anche qui i facchinichiedono migliori condizionicontrattuali e di lavoro ed anche

qui la partecipazione allemobilitazioni è alta e radicale,infatti bastano pochi minuti disciopero e la fila di tir fermi instrada è notevole. Anche quicome nelle altre “situazioni” ilavoratori decidono di lasciare isindacati confederali, semprepiù controparte, per aderire al SiCobas, che prontamentemobilita attivisti e solidali daPiacenza, Bergamo e Bologna.Se a Manerbio “basta” un'ora emezza per “portare a casa” lavertenza, alla Tnt la questione siaggancia alla vertenzanazionale (e non solo) visto chepraticamente tutti i magazzinidella multinazionale dellalogistica sono caratterizzati da

agitazioni.

Mafia e /o forzedell'ordine: la voce del

padrone

Arrivano da Bologna, Parma,Piacenza, Torino, Brescia,Bergamo, Genova eovviamente, in massa, dallefabbriche della logistica delleprovince di Milano, Varese, Lodie Pavia. L'assemblea operaiaprogrammata al c.s. Vittoria perdare un'immediata rispostaproletaria al pestaggio (in purostile mafioso) di Fabio Zerbinidirigente del Si Cobas tra i piùesposti nelle mobilitazioni dellelogistiche, si è così trasformata

in un'opportunità per rilanciarela lotta e in una occasione perguardare avanti con fiducia edeterminazione, perconsolidare gli strumenti peraprire ulteriori brecce nelsistema di sfruttamentointensivo e caporalescoimperniato sulle cooperativedel settore. L'imposizionegeneralizzata del Ccnl dicategoria in tutte le fabbriche ein tutti i magazzini, e losmantellamento del sistemadelle cooperative sono i duepunti cardine su cui, astragrande maggioranza,l'assemblea approva laprospettiva immediata dicostruzione di uno scioperonazionale che riesca atravalicare i confini dellacategoria (i facchini). Gliinterventi dei delegati hannoevidenziato che le reazioniscomposte e/o repressive deipadroni, della mafia ad essiorganica e delle istituzioniborghesi, sono destinate acondizionare anche conmaggior “insistenza” il percorsodelle mobilitazioni, per cui urge

allargare costantementel'azione di lotta e di solidarietà.

Granarolo: la lotta non siarresta!

Continua da più di 9 mesi la lottadei lavoratori della Granarolo.Mentre scriviamo Garib eReduan sono ancora in carcere“colpevoli” di lottare insiemeagli altri al picchetto permigliorare le condizioni dilavoro e di vita. Da inizio anno èritornato il presidiopermanente ai cancelli;nonostante le manganellate, ipugni in faccia e l'uso di sprayurticanti negli occhi, non c'èassolutamente intenzione dimollare: tutti i lavoratoridevono essere riassunti! Gliattivisti di No Austerity gridanoinsieme ai lavoratori ai blocchi:Granarolo ladri, Lega Coopmafia. E contro la repressionedello Stato, nel giorno 1 febbraiosi è svolta a Bologna una grandemanifestazione con un migliaiodi lavoratori, studenti, attivistisolidali di varie organizzazionipolitiche e sindacali, in risposta

alla controffensiva repressiva diGranarolo, affiancata dalleistituzioni borghesi e dai partitiche ne rappresentano l'essenzadi classe. Come a Origgiopassando per Pioltello ePiacenza fino ad arrivare aBologna, una sola grandededica ai padroni e ai loro amici:potete malmenarci, potetearrestarci, ma la nostra lotta nonsi ferma! Invitiamo tutti coloroche a vario titolo hanno a cuorele sorti degli oppressi asolidarizzare con lemobilitazioni, sia con lapresenza fisica che con uncontributo economico persostenere la cassa di resistenza. Ifondi raccolti a favore deilavoratori delle cooperativedell'Esselunga e di Basianopossono essere versati suquesto conto: IBANIT18N0760111400001013728736 intestato a No Austerityindicando come causale: cassadi resistenza Esselunga Basiano.(26/01/2014)* Si Cobas Bergamo

Colleghiamo le lotte,boicottiamo lo sfruttamento!

Lottedellalogistica:setoccanounotoccanotutti

a cura del Pdac Milano

Scambiamo quattrochiacchiere con TeresaDe Caprio, giovanedonna, militante del

SiCobas e delegata presso la Dhldi Settala, alle porte di Milano. Ilmagazzino è situato in una zonadove ci sono diversi magazzini eaziende della logistica (traLiscate, Settala e Carpiano sisono multinazionali come Dhl,Tnt, Sda...) e che è strategica perla vicinanza all'aeroporto diLinate. I militanti del nostropartito hanno partecipato allosciopero della logistica di lugliosupportando i lavoratori della

Dhl di Settala e poi andandoinsieme a loro a bloccare imagazzini della Number onesituati lì a poche centinaia dimetri, facendo partire così unalotta a difesa dei lavoratori.Crediamo che sia uno degliesempi migliori di unità dellelotte da cui prendere esempio!Teresa, sei un'attivista edelegata del SiCobas del settoredella logistica. Quali erano lecondizioni di lavoro nel tuomagazzino e cosa siete riuscitiad ottenere con la lotta?Le nostre condizioni lavorative,erano da sfruttamento totale.Lavoravamo 12 ore al giorno,sette giorni su sette. Il nostro

salario, basandosi sulle 168 ore,era sui 900 euro, facendo glistraordinari arrivavi a malapenaai 1400. Eravamo obbligati a faregli straordinari, se non li facevi tiricattavano, ci dicevano “se tirifiuti, ti spostiamo dimagazzino, oppure verrailicenziata ecc...” Non ti pagavanostraordinari, ferie, scattid'anzianità. Oltretutto, non tirispettavano, venivi trattatocome se fossi una nullità, vifaccio alcuni esempi: al mattinoquando iniziavi a lavorare, non tiguardavano nemmeno in faccia,e quando non gli servivi più, tidavano un calcio in culo (scusateper l'espressione) non potevi

parlare, se andavi in bagno tiguardavano male, oppure tidicevano di aspettare la pausa,quella di un quarto d'ora almattino ecc... Ma grazie alsostegno dei SiCobas e allecontinue lotte, siamo riusciti adessere rispettati, adesso cichiedono, per favore puoi?Anche il nostro salario èmigliorato tantissimo. Facendole 168 ore, prendiamo sui 1.280.Adesso, pagano straordinari,ferie e scatti d'anzianità. Unmiglioramento notevole.

Come definiresti la tuaesperienza in questa lotta? Ti hainsegnato qualcosa?

La mia esperienza nella lotta, ladefinirei, indimenticabile. Hovissuto momenti di grandesoddisfazione, perché vedere il “padrone” quasi inginocchiarsi,per non subire disagi, danni damilioni di euro, nelle loroaziende, è una sensazioneindescrivibile, ho visto con i mieiocchi che l'unione ci rendeimbattibili. Infatti questaesperienza di lotta, mi hainsegnato che noi tutti siamosulla stessa barca, se affonda,affonderemo tutti ed per questoche bisogna lottare per vivere,mai arrendersi... perchéarrendersi significa morire.

Per quanto importanti eradicali, noi crediamo che lelotte dei lavoratori dellalogistica non possono vincere serestano isolate. Tu cosa nepensi?Hai perfettamente ragione, lelotte non vanno isolate,dobbiamo unirci aiutarci avicenda, ed proprio in questomodo che possiamo sconfiggereil capitalismo che ci rende ognigiorno più schiavi. Per colpa delcapitalismo noi giovani nonriusciamo a progettare il nostrofuturo. L'unione fa la forza! ed ègrazie, ad essa che riusciremo aformare quel famoso pugnoimbattibile. (01/02/2014)

Intervista a Teresa,una giovane delegata del SiCobas

Logistica:lalottael'unitàdeilavoratoriportaallavittoria!

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PROGETTO COMUNISTA Febbraio ­ Marzo 2014 7CASA E REDDITO

AlternativaComunistainpiazzaaBariconUnioneInquilinieNoAusterity

a cura del Pdac Bari

Sabato 25 gennaio 2014. ABari si è scesi in piazza perla “manifestazione per ildirittoallacasa,al lavoroed

alla scuola pubblica” organizzatada Alternativa comunista, UnioneInquilini e No Austerity Puglia. No­nostante il freddo e la pioggia, hapreso luogo un'assemblea pubbli­ca con una nutrita partecipazionedi diverse realtà, legate al mondodell'emergenza abitativa, delladisoccupazione, del precariato e avarie vertenze presenti sul territo­rio.

L'emergenza abitativa aBari

Primo punto messo in discussioneè stato quello legato all'emergenzaabitativa. A parlare è stata lacompagna Annalinda Lupis, presi­dente provinciale del sindacatoUnione Inquilini, nonché una delletante persone che si vedrà privaredella casa. Difatti continua l'ondatadi sfratti esecutivi nella città di Bari:1500 le famiglie che devono lasciare

lalorocasa,nel90%deicasipermo­rosità incolpevole. La crisi ha modi­ficato i redditi delle famiglie, inmolti casi li ha annullati, mentre laspeculazione edilizia avanzaincontrastata attraverso l'accumu­lazione di abitazioni sfitte. Ladisattenzione istituzionale è statatotale: il Prefetto ha ignorato leistanze presentate dall'UnioneInquilini che chiedeva di applicarela legge 124/2013 in materia di gra­duazione degli sfratti, che avrebbepotuto portare una boccata d'ossi­geno alle famiglie con un tempora­neo blocco degli sfratti inesecuzione. In numerose altre cittàitaliane questo è avvenuto, invece ilprefetto di Bari convocherà per lasettimana prossima l'ennesimo ta­volo tecnico, ma gli sfratti sarannogià partiti. Questa gravissimadisattenzione da parte anche delsindaco di Bari, ha provocato incittà una profonda crisi sociale,dellaqualeirappresentatipoliticisene lavano le mani addossandol'uno all'altro le varie responsabili­tà, così come accaduto qualchegiorno prima della manifestazionedavanti al Teatro Piccini, durante

un incontro tra i rappresentantipolitici della città che avrebberodovuto parlare di temi come sfrattie sgomberi. In realtà l'incontro è fi­nito con l'azzuffarsi dei presenti trabattutine sarcastiche e ilrimpallarsi di responsabilità, iltutto ripreso dai media nazionali. Ilsindaco di Bari ad esempio, sembraessersi svegliato solamente ora sultema del diritto alla casa. La politicacittadina ha dormito a lungo, adesempio nel febbraio e nelsettembre 2011 quando, rispettiva­mente, 10 e 5 famiglie (tra cui unacon entrambi i coniugi in sedia a ro­telle e minore a carico), appoggiateda Unione Inquilini, MovimentoLotta per la Casa ed altre realtà co­me il collettivo Socrate Occupato,hanno trascorso in entrambe leoccasioni una ventina di giorniaccampati sotto il Comune di Bari,nella totale indifferenza dei politicidi tutti i colori. Il sindaco durantel'ultima campagna elettorale pro­mise addirittura in diretta tv di ri­solvere la situazione abitativa madopo 5 anni di lotte sul territorio lasituazione è addirittura precipitatae Bari è in cima alla lista di città conemergenza abitativa. Significativa èstata l'abolizione dell'assessoratoalla casa del comune di Bari, sosti­tuito da una semplice delega.

Unire le lotte contro ilsistema

Nel corso dell'assemblea del 25gennaio è intervenuto poi ilcompagno Francesco Carbonara,lavoratore dell'Om Carrelli di Bari,la fabbrica che per motivi logistici –cioè risparmiare sulla manodope­ra! – ha licenziato in tronco 300 la­voratori mettendo sul lastrico leloro famiglie. I lavoratori si sonoorganizzati in un presidio perma­nente davanti i cancelli, bloccandoall'interno dello stabilimentomacchinari e materiale lavorato.Quella dell'Om è il primo esempio

di lotta organizzata sul territoriobarese, che ha portato a presidi emanifestazioni con cortei per lacittàdiBari,unalottaappoggiatadaAlternativa Comunista. Per ilCoordinamento No Austerity haparlato il compagno Nicola Porfido,il quale ha citato le varie vertenzeche sul territorio italiano vedonomolti lavoratori, soprattutto immi­grati, lottare per i loro diritti;vertenze che non vengononemmeno citate dai media nazio­nali. L'intento di No Austerity èappunto coordinare le lotte e svi­lupparle, indipendentemente daisindacati collaborativi e dai partitimischiati agli affari della politicaborghese. A tal proposito si è fattoriferimento al primo incontro dellaRete Sindacale Internazionalesvoltosi a Parigi nei mesi scorsi, untentativo importante di svilupparea livello internazionale le lotte, chenecessitano sempre più di unione eorganizzazione contro il nemicopadronale ben organizzato earmato. La solidarietà dei presenti èandata ai lavoratori della Granaroloche nei giorni scorsi sono statipicchiati dalle forze repressive delloStato, in un clima di totale negazio­ne del diritto di lavoro e di parola.Altri compagni si sono poi succe­duti negli interventi, rsu Telecom ePoste Italiane, due esempiimportanti di come lo Stato italianosvenda le proprie attività a societàche non attendono altro perspacchettare e dividere i compartidi lavoro, potendo così più fa­cilmente vendere, delocalizzare olicenziare. Sono intervenuti anche inumerosi Giovani di AlternativaComunista, che hanno spiegato leproblematiche di una scuolapubblica ridotta allo sbando a cau­sa di riforme che hanno mirato soloal risparmio ed al taglio di persona­le, nell'ottica della privatizzazione.Numerosa la presenza di immigratiche hanno portato alla luce delle si­tuazioni gravissime e sconosciute

in città, come quella dei settanta ri­fugiati politici della Somalia che ilcomune ha piazzato nella strutturadel Ferrhotel Bari, salvo poi lasciarlida sette mesi senza acqua e luce acausa del taglio dei fondi destinati aquesto scopo.

Tutti uniti per chiedere il bloccodegli sfratti!Contro la relegazione delle fami­glie in istituti con conseguente se­parazione dei minori dai genitori!

Requisizione del patrimonioimmobiliare sfitto a causa dellaspeculazione abitativa!Contro la delocalizzazione delleaziende!Per una gestione operaia dellefabbriche che licenziano!Per una scuola pubblica di quali­tà!Controifinanziamentiallescuoleprivate!Per una parità di diritti per tutti,senza distinzione di sesso o colo­re!(01/02/2014)

Manifestazioneperildirittoallavoro,allacasaeallascuola

La testimonianza di una militante in prima fila nella battaglia

a cura diRiccardo Stefano D'Ercole*

Intervistiamo AnnalindaLupis, segretaria di Bari diUnione Inquilini, nonchémilitante di Alternativa

Comunista. In prima linea nellalotta per la casa e per il lavoro, lasua testimonianza è utile percomprendere alcune dinamicheche regolano l'emergenzaabitativa, ora più che mai gravosaper molte famiglie italiane.L'emergenza abitativa è unadelle tante conseguenze dellacrisi del capitale, che scarica sullespalle delle fasce più deboli la suaincapacità di essere un sistemaequo e garante dei dirittifondamentali. Che ne pensi?L'emergenza abitativa, su scalanazionale ed internazionale, èfrutto della crisi prodotta dalsistema capitalista. Il fenomenoa cui stiamo assistendo inerenteall'aumento degli sfratti (il 90percento per morositàincolpevole) è in realtà laconseguenza della chiusuradelle fabbriche, deilicenziamenti. È la perdita dellavoro la causa primaria diquesta emergenza. Si può capiredunque che è il sistema tutto che,scaricando la crisi sulle spalle dei

lavoratori, colpiscedoppiamente le fasce più deboli.

Nazionalmente come simuovono le istituzioni perarginare il problema?Partendo dal presupposto chequesta situazione è provocatadalla crisi economica cheattraverso disoccupazione emancanza di prospettive per ilavoratori genera tali disastri, èfacile intendere come senazionalmente non si risolve ilproblema primario del lavoronon si riuscirà a garantire unacasa per tutti. I prezzi degli affittitendono ad aumentare e non adiminuire in tempo di crisi. Leistituzioni a livello nazionale e alivello locale hanno ignorato ilproblema per molto tempo fino aquando questo non è diventatoun'“emergenza”. Il dato cheabbiamo anche a livellosindacale è che, nonostante iripetuti appelli e istanzepresentate (si pensi ai presidipermanenti al Senato di UnioneInquilini), il governo concededelle proroghe ma solo per affittiin fine locazione. Non vienequindi tutelata tutta quella fasciadi popolazione che non riesce apagare l'affitto a causa dellamancanza di lavoro, diventando

automaticamente morosiincolpevoli. La risposta è quindinulla da parte delle istituzioniborghesi. I dati statistici svelanoun aumento degli sfratti eun'incapacità degli enti dicompetenza di rispondere aqueste emergenze. L'ediliziasociale è mal gestita e si tutelanoinvece gli interessi delle lobbydell'edilizia. Mi riferisco alProject Financing , che è unvincolo del privato che costringespesso i comuni a concederesuoli ai fini di costruireappartamenti ad uso privato. Sicontinua a cementificare, siampliano le periferie evitando leriqualificazione dei centricittadini, si costruiscono istitutie tendopoli dove ospitare lefamiglie sotto sfratto. Inoltremolti prefetti italiani non hannoapplicato la legge 124, approvatadal Senato nel 2013, checonsente loro di prorogare glisfratti per consentire alleistituzioni locali di affrontare ilproblema, cosa che invece nonavviene mai.

A Bari cosa si muove?Nel capoluogo pugliese noioperiamo sia a livello sindacale,con Unione Inquilini, cheattraverso movimenti di lotta per

la casa, ormai da più di quattroanni. Abbiamo lanciato l'allarmesull'emergenza abitativa pursapendo che non sarebbero maistati affrontati quei casi di sfrattoche avevamo segnalato. Bari è alivello statistico una delle primecittà per numero di sfratti permorosità incolpevole. Il prefettonon ha applicato la legge 124 dicui sopra (n.d.a.). Gli sfratti nonsono stati sospesi. Dal punto divista istituzionale si continua adutilizzare il metro del ProjectFinancing non solo a livellolocale, ma su tutto il territorioregionale. Il problema restal'approccio all'emergenza daparte della regione, che rilancia ilsocial housing , un'altrasoluzione confusionaria che nonrisolvendo il problema coinvolgeil privato interessato nellacementificazione a scopispeculativi senza fornire ausilio achi vive l'emergenza. A Bari nonesiste un assessorato alla casa, esebbene non riconosciamopossibile la vittoria attraverso laconcertazione, rimanendonell'ottica sindacale questa èuna grave carenza poiché non siha nessun interlocutore con cuidialogare per risolvere laquestione.

I picchetti antisfratto sono unesempio di lotta per tutti coloroche si trovano a vivere situazionidel genere.I picchetti antisfratto sono unapratica di lotta fisica e diresistenza. Quando parliamo dilotta e di resistenza intendiamoovviamente pratiche di lotta e diresistenza immediate ma che siinseriscono in una visione piùampia nel quadro della lotta alcapitalismo e alle sue misurerepressive. Porsi davanti alla casadi una famiglia sotto sfratto nonsignifica solo rivendicarne idiritti ma anche respingere lefigure istituzionali direpressione. In molti contesti dicittà italiane questa pratica ècondotta da movimenti che sidiffondono a macchia d'olio.

L'unica sigla sindacale che portaavantiquestapraticadilottaquiaBari è Unione Inquilini, unsindacato non concertativo chevive di autofinanziamento. Ilpicchetto è un atto che inibiscefisicamente l'ingresso all'internodell'appartamento da parte delleforze di polizia, dell'avvocatodella controparte e dell'ufficialegiudiziario. La fase successivaconsiste nel prendere tempo.Sosteniamo le occupazioni ascopo abitativo per situazioni diestrema necessità. Laddove c'èun'occupazione UnioniInquilini e AlternativaComunista ci sono. Ogni sfrattosarà una barricata! (01/02/2014)*resp. le Giovani di Alternativacomunista Puglia

Lalottaperlacasa

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8 Febbraio ­ Marzo 2014 PROGETTO COMUNISTAMOVIMENTI

Matteo Bavassano

Nel mese di dicembreil cosiddetto “Movi­mento dei forconi” ètornato alla ribalta

della cronaca nazionale per lasettimana di manifestazioni eblocchi organizzati a partiredal 9 dicembre in alcune partid'Italia. Vedremo come inrealtà questo sia stato più unfenomeno mediatico che unareale mobilitazione di massa,benché in alcuni casi singoli siastato un catalizzatore per ilmalcontento di settori di mas­sa, sia operai che piccolo­borghesi che a volte studente­schi.

Le origini dei ForconiIl movimento nasce nell'estatedel 2011 e comincia ad essereconosciuto per le proteste delgennaio 2012, manifestazioni eblocchi particolarmenteintensi in Sicilia ma estesisianche all'Italia continentale. Ilgrosso del movimento era co­stituito da autotrasportatori eda ambienti di autonomisti si­ciliani, a cui si sono uniti anchesettori di agricoltori e anchealcuni personaggi che avevanorapporti con ambienti mafiosi.Leader del movimento era Ma­riano Ferro, già esponente delMpa dell'ex governatore sici­liano Lombardo. A sostegnodelle proteste scese in campoanche Forza nuova, sia diretta­mente, sia mascherandosi die­tro il nome di “Forza d'urto”. Difatto l'ideologia che ispirava leproteste era un misto di dema­gogia para­fascista e ricette so­vraniste, un programmaeconomico da piccola­borghe­sia pauperizzata che crede dipoter rilanciare la crescita eco­nomica capitalista italiana li­berandosi dalle grinfie delcapitale tedesco e dalla morsadi Equitalia. Dopo le proteste ilmovimento di fatto scomparvedalla scena dovunque tranneche in Sicilia, dove l'esperienzadei forconi servì da trampolinodi lancio (non molto efficace,per usare un eufemismo) a due

liste “civiche” per le elezioni re­gionali siciliane del 2012, “Ilpopolo dei forconi” con candi­dato Mariano Ferro e “Rivolu­zione siciliana” che ebbel'appoggio di Forza nuova.

Il “Coordinamento 9dicembre” e le proteste

del 2013

Dopo un tam tam mediaticosui social network durato alcu­ni mesi, il 9 dicembre i Forconisono tornati in piazza per“fermare l'Italia”. A organizzarequesti nuovi blocchi è stato ilCoordinamento 9 dicembre,formato dai vecchi forconiinsieme con altre sigle a cuicapo si è posto Danilo Calvani,imprenditore agricolo dellaprovincia di Latina. A diffe­renza del 2012, i blocchi hannointeressato in particolare alcu­ne zone del nord Italia ed èmolto più difficile tracciare unquadro d'insieme delle prote­ste, perché queste sono stateancora più contraddittorie evariegate. Bisogna rilevaresubito però che l'attenzionemediatica che è stata data alleproteste è stata molto superio­re ai numeri delle proteste stes­se: questo è spiegabile con uninteresse diretto di Berlusconia far percepire una situazionedi forte protesta (grazie alcontrollo su buona partedell'informazione televisiva)in un momento in cui Forza Ita­lia lasciava il governo per pas­sare all'opposizione.Berlusconi stesso, nei giornidella protesta, aveva dichiaratodi condividere i motivi deiblocchi ed anzi volevaincontrare i leader della prote­sta. In realtà le manifestazioninelle città erano portate avantida poche decine di persone(con l'unica eccezione, su cuitorneremo, di Torino) ed iblocchi, benché reali e forieri didisagi soprattutto nel nord est,erano facilitati dalla presenzadi autotrasportatori, in gradodi bloccare le strade abba­stanza agevolmente. So­prattutto al nord e a Roma vi era

presenza attiva di gruppi ri­conducibili a Casapound eForza nuova tra i manifestantied anche dove non erano pre­senti con le loro bandiere, lemanifestazioni coi tricolori egli slogan “l'Italia agli italiani”erano abbastanza eloquentidel tentativo di egemonia mes­so in atto da questi gruppi neo­fascisti. Nel sud abbiamoassistito a diversi tipi di feno­meni legati ai Forconi: daigruppi che gridavano slogancontro gay e immigrati, alleintimidazioni mafiose ai nego­zianti perché chiudessero i lo­ro esercizi commerciali, finoalle località dove, in assenza digruppi organizzati, a protesta­re erano “semplici” cittadiniesasperati dalla mancanza dilavoro o giovani studenti che siaccorgono che questo sistemanon può dare loro nemmenouna speranza di benessere. Ilmovimento si è spaccato indue, tra la componente diCalvani e quella di Ferro, sullamanifestazione del 18 di­cembre a Roma, a cui il movi­mento dei Forconipropriamente detto, la partesiciliana di Ferro, non ha parte­cipato, a causa delle “possibiliinfiltrazioni fasciste”. Dopoquesta spaccatura, che forse haevidenziato agli occhi di queipochi settori delle masse che liseguivano, tutte le contraddi­zioni dei Forconi, il movimentoè praticamente defunto ed ilfallimento dei blocchi pro­grammati per la settimana del10 gennaio ha sancito la suatemporanea scomparsa.

La “sinistra” e i ForconiGli attivisti onesti che si impe­gnano nel movimento operaio,soprattutto nei partiti politici,ma anche nei sindacati, do­vrebbero cominciare a fare (suquesto tema specifico, maanche in generale) un piccoloesercizio di autocritica: se lemasse non li seguono e su te­matiche importanti vengonoorganizzate da settori borghesie financo fascisti, la colpa non èdelle masse, ma dei partiti ope­

rai che non sono riusciti (o nonsono abbastanza forti) damettere in campo delle propo­ste alternative credibili chepossano attirare i favori dellemasse. Nel caso dei Forconi lamaggior parte della “sinistra” èrimasta di fatto subalterna aifascisti, agendo in due modiapparentemente opposti, mache denotano la stessaincomprensione dei compitirichiesti al movimento opera­io. Da una parte, la socialde­mocrazia si è limitata a bollarele manifestazioni, chi vi hapartecipato e gli stessi proble­mi denunciati dai manifestanticome fascisti, rinunciando co­sì a lottare per l'egemonia dellerivendicazioni della piccola­borghesia, lasciandoli cosìdavvero in balia dei fascisti.Dall'altra parte, alcuni settoridell'autonomia (pensiamoall'Askatasuna a Torino, manon solo) hanno partecipatoalle manifestazioni, dicendo divoler provare a “invertirne larotta” ma “standoci dentro”,non aderendo alla piattaformama di fatto nemmeno pubbli­cizzando una piattaformaalternativa: vorremmo capirecome possono “invertire larotta” senza spiegare ai mani­festanti dove vogliono andare.Di fatto la loro partecipazioneai blocchi e agli scontri a Torinoha fatto il gioco dei fascisti,dando risalto mediatico allamobilitazione e conferendoglialmeno lì una consistenza nu­merica che non ha avuto innessun altro luogo in Italia.

Forconi: problemi veri,ma leadership e

programma reazionari

In generale, alla protesta si so­no unite spesso persone comu­ni, spinte a scendere in piazzadall'impoverimento generale edai tagli operati dal governo nelnome dell'austerity. Questamobilitazione di piccoli settoridi massa, cosa di per sé positi­va, è purtroppo resa negativadal fatto che alla testa di questemobilitazioni c'erano forze

populiste destrorse e che il pro­gramma era totalmente reazio­nario e demagogico,sull'esempio del primo pro­gramma del fascismo italiano.Non a caso partiti politici qualila Lega nord e il Movimento 5stelle hanno espresso il loro so­stegno alle proteste e alle lororagioni. Come abbiamo dettole ragioni della protesta sonoreali, ma il programma propo­sto dai Forconi è reazionario,nonché irrealizzabile nella suaparte economica: dalle dimis­sioni del governo Letta, alloscioglimento delle camere, allamoratoria delle cartelle esatto­riali di Equitalia fino all'uscitadall'euro per ritornare alla lira.È circolato sul web anche unprogramma che parlava di unafase di transizione con un go­verno presieduto dalle forzedell'ordine. Ovviamente, inquanto irrealizzabile, il pro­gramma economico piccolo­borghese demagogico sarebbeprontamente sostituito dalprogramma della grandeborghesia. L'unica soluzionereale, l'unico programma ade­

guato è quello del proletariato,che parte dall'esproprio deicapitalisti per realizzare unasocietà socialista. L'unica di­rezione che può dunque dareuna risposta ai problemi dei la­voratori e delle masse è quelladi un partito rivoluzionarioche, con un programma riso­luto, sia capace di coalizzare lemasse e i lavoratori in lottanella prospettiva dell'abbatti­mento del sistema capitalista.Un partito che sappia crearel'unità delle lotte, a partire daquelle dei lavoratori, che crei ilblocco sociale di massa traproletari e piccola­borghesiapauperizzata (ad esempio me­diante la rivendicazione dellanazionalizzazione dellebanche in un unico istitutocreditizio che possa fare credi­to a buon mercato ai lavoratoricome ai piccoli commercianti),che possa riprendersi le piazzeed organizzare così una veraopposizione ai piani del grandecapitale italiano e internazio­nale (29/01/2014)

Ilmovimentodeiforconi:unbilanciocriticoGli errori della“sinistra”e la prospettiva rivoluzionaria

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GGII OOVVAANN II ddii AALLTTEERRNN AATTII VVAA CCOOMM UUNN II SSTTAAFoglio dei giovani del Partito di Alternativa Comunista sezione italiana della Lit-Quarta Internazionale

Perchè i centri sociali non sono un'alternativa ai partiti riformistiAdriano Lotito

La crisi storica dell'uma­nità si riduce alla crisidella direzione proleta­ria.

Lev Trotsky, Programma ditransizioneAbbiamo scritto e ripetiamospesso che uno degli elementi piùevidenti del panorama politico inItalia è la crisi dei partiti riformi­sti, governisti. In particolare Ri­fondazione Comunista che fino aqualche anno fa riusciva a chia­mare piazze di decine di migliaiadi manifestanti e contava su unpeso elettorale non da poco, negliultimi anni ha conosciuto unprogressivo calo che si è accele­rato considerevolmente negliultimi mesi (dopo la sconfittadell'ennesima coalizione­pasti­che a guida Ingroia) e che haportato anche ad uno scontrointerno molto aspro esplicitatosinel recente congresso (sul temarimandiamo per un'analisi piùpuntuale a questo articolo sul no­stro sitowww.alternativacomunista.it/content/view/1931/1/ ). Alcontempo, nessuna altra forzapolitica della sinistra sembraavere una forte presa attrattivasulle masse e in particolare sullegiovani generazioni capace diriempire il vuoto che si è creato asinistra. Beninteso, questo qua­dro è un prodotto in primo luogodel disastro provocato dalla poli­tica di collaborazione di classecoscientemente praticata peranni dai dirigenti di Rifondazio­ne comunista. Le stesse divisionie scissioni continue che disgre­gano la sinistra cosiddetta radi­cale non sono la causa della crisiche questo partito vive, ma ne so­no il prodotto. La causa è da ri­

cercare nelle politicheantioperaie avallate e praticateper anni duranti i governi dicentrosinistra: precarizzazionedel lavoro, spedizioni militari,leggi razziste; mentre Rifonda­zionedisponevadiministrie(conl'ultimo governo Prodi) anche diun presidente della Camera.L'opportunismo governistaesercitato negli anni scorsi el'incapacità durante una crisieconomica gravissima, comel'attuale, di ottenere riforme opersino minime concessioni perla classe lavoratrice hanno pro­dotto la crisi devastante delleforze riformiste. Tutti quei movi­menti che negli anni passati ave­vano Rifondazione come puntodi riferimento si sono ritrovati co­sì privi di una direzione politica inun momento in cui non c'è nes­sun partito rivoluzionario in gra­do di riempire questo vuoto.Questa situazione favoriscel'emergere in seno ai movimentidi tendenze spontaneistiche eanti­partitiche (riflessocomprensibile, per quanto sba­gliato, del tradimento operato daipartiti riformisti). È quello cheabbiamo visto in occasione del 19ottobre 2013, giornata di mobili­tazione dei movimenti per la casae il reddito e a difesadell'ambiente: certo, una piazzapartecipata, con migliaia di ma­nifestanti (anche se non i 40milache alcuni declamano) ma cheesprime chiaramente le dinami­che innescate dalla crisi del ri­formismo all'interno delleavanguardie di lotta spe­cialmente giovanili. In occasionedi quella giornata un settoreimportante del movimento erariconducibile a quell'insieme dicomitati e collettivi che si identi­fica, inparteointutto,nellavarie­

gata ed eterogenea areadell'Autonomia, che a sua voltaesprime istanze e riprende,almeno in parte, modi e pratichedi lotta dalla tradizione storicadell'Autonomia Operaia, forzapolitica nata nel 1973 cheraggiunse il suo punto di massi­mo sviluppo con la mobilitazio­ne del 1977 (il “Settantasette”). Ilsuccessivo sviluppo e disgregarsidi questa esperienza ha portato adiverse riformulazioni delconcetto e delle forme dell'Auto­nomia. Vogliamo qui enucleare iprincipali elementi politici che ciportano a definire l'Autonomia,nelle sue diverse e successive ri­modulazioni, come forza picco­lo­borghese, non rivoluzionaria,incapace di offrire prospettivealternative alle masse popolari eimpotente di fronte allacontroffensiva del capitale e allepolitiche di smantellamento deidiritti dei lavoratori. Lo facciamocon l'intenzione di aprire unconfronto coi tanti giovani chevedono nei centri sociali unpunto di riferimento: giovani concui siamo spesso fianco a fianconelle lotte. Da marxisti, crediamoche la polemica politica, quandocondotta senza insulti e nel ri­spetto dell'interlocutore, sia unostrumento per far crescere lelotte, per offrire loro una pro­spettiva rivoluzionaria di rove­sciamento del sistemacapitalistico. Quella prospettivarivoluzionaria che l'Autonomia anostro giudizio non è in grado didare. Prima di tutto cerchiamo diricostruire le origini storiche delfenomeno, il contesto nel qualel'Autonomia nacque e si svi­luppò, e che possiede interes­santi analogie con la situazionepresente.

Alcuni cenni storici: ilriflusso,la crisi del

riformismo,ilSettantasette

L'area dell'Autonomia nasce nel1973 e si sviluppa in uno specificoquadro della lotta di classe in Ita­lia: si assisteva ad una fase di ri­flusso congiunturale dellemobilitazioni operaie, a unainversione di tendenza rispetto alciclo di lotta apertosi a fine anniSessanta; in questo quadro laclasse borghese si apprestava auna controffensiva (e a una pro­gressiva erosione delle conquistedelle lotte degli anni passati) e inquesta guerra sociale un ruolo diprimo piano nel fronte padronalelo assunse il Pci, che era riuscito acatalizzare la rabbia operaia delSessantanove e a trasformarla inun incremento del proprioconsenso elettorale (dato che simanifesterà nelle elezioni del1976, in cui il partito di originestalinista, progressivamente so­cialdemocratizzato, ottenne ilsuo miglior risultato di sempre,distanziandosi di poco dalla Dc).A sinistra del Pci, enorme bubbo­ne riformista e tappo del conflittosociale, c'erano le forze centristedell'estrema sinistra: i gruppiextraparlamentari (AvanguardiaOperaia, Lotta Continua, Pdup­Manifesto) che confluiranno nelcartello di Democrazia Proletariae che proprio a metà degli anniSettanta videro un calo diconsensi e di radicamento e unrapido esaurirsi; ciò a causa dellaloro incapacità di proporre unprogramma realmente rivolu­zionario alternativo a quello delPci, alla mancanza di paroled'ordine transitorie (in gradocioè di far crescere la coscienzasocialista dei lavoratori) e alla

profonda degenerazione eletto­ralista che infine attraversarono.Per questo motivo sussumiamoquesti gruppi sotto la categoriadel “centrismo”: per indicareappunto la caratteristica fonda­mentale della loro politica, cioèl'oscillazione tra posizioni rivo­luzionarie e posizioni riformiste,in genere rivoluzionarie a parolee riformiste nella pratica. La delu­sione di molti militanti rispetto adei partiti verso i quali avevanodato tutto e nei quali avevano ri­posto eccessiva fiducia produssenelle avanguardie una notevoledisillusione verso le prospettivedi una rivoluzione e verso la co­siddetta “forma­partito” e, in ge­nerale, verso quella tradizione“leninista” in cui identificavanoquelle organizzazioni centristeche, in realtà, di leninista nonavevano né il programma nél'organizzazione (essendo tral'altro spesso fortemente antide­mocratiche nella loro vitainterna). Ma soprattutto nella re­troguardia della classe, fatta di fi­gure sociali marginali e dicategorie operaie poco rappre­sentate, ci fu la diffusione di unforte sentimento anti­partitico espesso anti­politico, accompa­gnato però da un'altrettanto forterabbia sociale che aspettava solol'occasione per poter esplodere.Il nemico maggiore per questefrange era proprio il Pci, a giustoavviso reo del “compromessostorico” e della totale subalternitàalla classe borghese per la qualesvolgeva anche la funzione ausi­liaria di braccio repressivo controlotte e movimenti. Ma con il Pci, econ i gruppi centristi della sini­stra radicale percepitiugualmente come burocratici estaccati dalla massa, venivaconfusa anche la tradizione au­

tentica del marxismo e la neces­sità di costruire il partitorivoluzionario. Il risultato diquesto generico antipartitismofu l'Autonomia, ovvero la nuovariproposizione di una cosavecchia: la (non) prospettivadello “spontaneismo”. L'occa­sione perché quella rabbialatente venisse a galla non tardòad arrivare: alla fine del 1976 ilgoverno monocolore Andreotti,che si reggeva sulla “non­sfidu­cia” del Pci, varò la riforma Mal­fattidellascuolachecancellavainquell'ambito parte delle conqui­ste delle lotte del Sessantotto.Nelle università prese avvio unmovimento di contestazione ra­dicale che aveva come scopo il ri­tiro della riforma ma anche larichiesta di maggiori spazi di au­togestione: all'interno della mo­bilitazione non solo studenti estudentesse, ma anche altrecategorie sociali, precari, lavo­ratori non­garantiti; occupazionie manifestazioni si succedetteroin tutto il Paese all'inizio del 1977einparticolareafebbraioemarzoil clima divenne rovente conl'inasprirsi della repressionepoliziesca e dello scontro fronta­le. Il movimento evidenziò nonsoloilpuntodimassimosviluppoe radicamento dell'Autonomiama anche la dimostrazione piùpalese della sua inefficienza nelcoordinare e unificare le lotte, laconferma di un minimalismopoliticoincapacediconferireunavisione unitaria e coerente delconflitto e di proporre alternativeconcrete all'esistente. Gli auto­nomi favorirono infatti, para­dossalmente, processi dispoliticizzazione delle masse e diloro estraneazione rispetto agliorganismi propri della classe(sindacati e partiti) i quali effetti

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II GIOVANI di ALTERNATIVA COMUNISTA

emergeranno in tutto il loro disa­stroso portato negli anni Ottanta.Non solo: a dispetto della loroparola d'ordine sulla “ricomposi­zione della classe”, gli autonomiinnescarono dinamiche di pro­fonda e logorante frammenta­zione e disgregazione del frontedi classe e la sostituzione di unaprospettiva collettiva di tra­sformazione generale con prati­che minimali e individualistiche.Tutto questo, collegato anche alripudio di ogni criterio orga­nizzativo atto a garantire demo­crazia ed elaborazione collettivaall'interno del movimento. Il si­gillo dell'incapacità dell'Autono­mia di dirigere il movimento delSettantasette si ebbe con ilConvegno sulla repressione (24,25 e 26 settembre) tenutosi a Bo­logna e che vide la partecipazionedi migliaia di giovani provenientida tutta Italia: da quelle giornatesi uscì senza una sola parolad'ordine in grado di far avanzarela lotta, con nessuna sintesi poli­tica e programmatica rivoluzio­naria, con nessuna metodologiaunitaria che potesse consolidareil movimento ed evitare il riflusso;la modalità di “dialogo” impostadagli autonomi portò all'esclu­sione di diversi gruppi e tendenzein disaccordo con questi e alloscontro a volte fisico tra diversefazioni; l'assenza di logiche de­mocratiche impedì il rientro diqueste fratture interne el'affermazione di un'idea discontro fine a sé stesso portò unsettore di quel movimento di­rettamente nell'arena del terrori­smo individuale; l'insieme diquesti fattori produsse a sua voltal'isolamento progressivo del mo­vimento e l'efficacia della mano­vra repressiva dello Stato cheportò allo scioglimento dell'Au­tonomia nel 1979 con l'accusa di“terrorismo”. Negli anni Ottantagli eredi dell'Autonomia si ritro­varono nel Coordinamento na­zionale antinucleare eantimperialista e in numerosicollettivi autonomi sparsi nelPaese. Sempre in quegli anni aMilano collettivi autonomi na­scono intorno alla casa occupatadi via dei Transiti 28, al centro so­ciale Leonkavallo e al periodicoAutonomen, mentre a Padova ilcentro di documentazione anti­nucleare antimperialista fa riferi­mento a Radio Sherwood (chediventerà in seguito punto di rife­rimento delleTute bianche primae dei Disobbedienti poi) e a Romacontinua l'esperienza della sedestorica di Via dei Volsci e di RadioOnda Rossa.

L'Autonomia oggiSe negli anni Novanta la maggio­ranza dei gruppi di derivazioneautonoma ruotava attorno allacosiddetta “Autonomia padova­na”, cioè l'area dei Disobbedientidi Casarini, il crollo di Rifonda­

zione (che era la sponda istituzio­nale di questa area) ha avuto negliultimi anni come conseguenzal'emergere di nuovi gruppi, piùvicini all'Autonomia vecchiostampo. L'Autonomia deiDisobbedienti, forte del richiamoagli ultimi scritti di Toni Negri(Impero e Moltitudini), negli anniNovanta portava avanti una poli­tica di collaborazione con leamministrazioni di centrosini­stra, fornendo sostegno ai partitisocialdemocratici (Verdi e Ri­fondazione in primis). Nelle listedi Rifondazione e dei Verdi nonpochi esponenti disobbedientifurono candidati ed eletti, sianelle amministrazioni locali chein parlamento (pensiamo a Fari­na del centro sociale Leonkavallo,consigliere a Milano; o a Caruso,eletto parlamentare nelle liste diRifondazione). La politica di so­stegno alle amministrazioni co­munali ha permesso ai centrisociali del Nord Est di godere di fi­nanziamenti e favori, con la pos­sibilità di gestire spazi colconsenso delle amministrazioni.L'accordo, implicito o esplicito,era chiaro: i centri sociali non da­vano disturbo alle amministra­zioni comunali e in cambiopotevano gestire gli spazi senzainterferenze da parte delleamministrazioni. Non è un casoche, ancora oggi, i Disobbedientisono forti proprio in quelle regio­ni (Nord Est) dove maggiore èstato l'inserimento nelle politi­che locali del centrosinistra. Ingenerale i centri sociali e i colletti­vi che fanno riferimento all'areadei Disobbedienti si identificanooggi nella rete di Global project,nella quale convergono oltre aglistorici avamposti veneti (come ilPedro di Padova), anche altrisoggetti come il Tpo di Bologna.Col crollo della socialdemocra­zia, anche i Disobbedienti hannoconosciuto un ridimensiona­mento, almeno sul terreno nazio­nale. È così che èprogressivamente emersaun'altra area, anch'essa deri­vante dalla vecchia Autonomiadegli anni Settanta, coagulatasi,principalmente, attorno alla retenota come “Autonomia Contro­potere”. Questa area si esprimeprincipalmente (sebbene in mo­do eterogeneo, senza realistrutture di coordinamento na­zionale) in alcuni collettivi egruppi ruotanti attorno ad altricentri sociali. Tra quellimaggiormente attivi ricordiamol'Askatasuna di Torino, il Labo­ratorio occupato Crash! di Bolo­gna,PalermoconilCentrosocialeEx Karcere e il Centro socialeAnomalia, Il S.a.o. Guernica aModena, lo Spazio antagonistaNewroz a Pisa, il Csa Dordoni diCremona, infine, i vari collettiviuniversitari, di studenti medi e dilotta per la casa che gravitanointorno a queste strutture e chestanno prendendo piede in altre

città a partire dal 2008, come CascLambrate e Rete Studenti Milano,Coordinamento Collettivi e Stu­dent* a Bergamo, Kollettivo stu­denti in lotta a Brescia, Collettivoautonomo studentesco eCollettivo universitario autono­mo a Bologna, Kollettivo studentiautorganizzati a Torino, Colletti­vo universitario autonomo e Stu­denti medi Palermo, il KomitatoGiovani No Tav in Val Susa e CasApache a Santa Maria Capua Ve­tere e altri. Sono gruppi cheattuano, sul terreno locale, politi­che diverse da città a città (inalcune città cercano il dialogocon i governi locali, in altre si pre­sentano come più antagonisti),ma che sono accomunati daalcune caratteristiche di fondo,che qui tentiamo di enucleare ecriticare politicamente.

Principi ideologici eorganizzativi:

minimalismo politico espontaneismoorganizzativo

Rifiuto di ogni prospettiva alungo termine, ripudio del pro­gramma socialista e della rivolu­zione proletaria, rifiuto delpartito e del conseguente centra­lismo: questi pochi elementi, chepossono identificare il pensierodell'Autonomia per come si è svi­luppato a partire dagli anniSettanta, confluiscono oggi inuna riproposizione aggiornata divecchie ideologie spontaneiste,travestite da “nuovi” abiti teorici.Dal momento che si tratta diun'elaborazione “orizzontale”,priva molto spesso di continuitàe di coerenza interna, non è pos­sibile una trattazione sistematicadi tutti i concetti espressi dai suoiteorici o incarnati nelle sue prati­che: per questo ci limitiamo a fo­calizzare l'attenzione su alcunielementi indicativi del fenome­no nella sua totalità. Tra le nuoveimpostazioni teoriche (perquanto spesso sconosciute allamaggioranza degli attivisti) chegiustificano questa vecchiaforma di spontaneismo troviamoinnanzitutto la teoria dei bisogniradicali e della rivoluzione dellavita quotidiana di Agnes Heller,allieva di Lukacs che ripudiò ilmarxismo ed elaborò una filoso­fia tutta concentrata sulla rea­lizzazione dei bisogni individualinel presente. Non più dunque unlavoro paziente di costruzionedella prospettiva, la cui realizza­zione richiede un percorso dilotte e di crescita della coscienzasocialista in esse; ma un utopico(questo sì) “comunismo del pre­sente” (per utilizzare un'espres­sione molto sentita nel '77) chevuole la soddisfazione imme­diata di tutti i bisogni dellasoggettività nel presente,nell'immediato, impaziente aguardare al futuro. In termini

politici, questa impostazione fi­losofica comporta il rifiutodell'obiettivo del potere dei lavo­ratori: l'importante per chi so­stiene queste posizioni non è lapresa del potere da parte del pro­letariato che impone la suadittatura per favorire la transizio­ne ad una economia socialista, ingrado effettivamente di soddisfa­re i bisogni di tutti; al centro diquesto minimalismo politico c'èinvece la lotta per “spazi autono­mi” di gestione delle risorse (spa­zi all'interno della societàcapitalistica che non possonoavere che una scala ultra­locale eche in ogni caso non possonorendersi totalmente indi­pendenti dal controllo sociale delcapitale per quanto vengano de­finiti “zone liberate”); a questo siaggiungono altre teorizzazioniindividualistiche e irrazionali co­me quella dell'appropriazioneper cui il soggetto non deve piùlottare per un interesse generale eperché tutti possano godere efruire di determinati beni, ma de­ve “appropriarsene” nell'imme­diato attraverso la praticadell'“esproprio”. Sostituire il fati­coso lavoro della costruzione delpartito rivoluzionario con prati­che frammentarie di “auto­rea­lizzazione” immediata deisoggetti; sostituire la prospettivauniversale e tesa al futuro della ri­voluzione socialista con dellepratiche molecolari di presunto“contropotere” che non possoche avere un respiro territoriale enon andare oltre delle (a voltecondivisibili) dichiarazioni diintenti: come se fosse possibileesercitare un autentico contro­potere e affermare gli interessidelle soggettività sociali senza to­gliere il potere alla borghesia,senza distruggere il suo Stato persostituirlo con uno Stato operaio,senza assumere il controllo deimezzi di produzione e discambio. Tutto finisce per ri­solversi nello scontro immediatoe senza prospettive con gli appa­rati repressivi, nella scaramucciadi piazza con la polizia, nellacancellazione del futuro come la­boratorio di altri mondi possibili:l'unica dimensione che agli auto­nomi interessa è la dimensionedel presente, astratta da ognipercorso politico di lungo respiroe dalle solide fondamenta. Il ri­fiuto di ogni criterio organizzati­vo atto a garantire lafondamentale democraziainterna ai movimenti, rifiuto so­stenuto dagli autonomi, portaparadossalmente a pratiche discontro interno e di frammenta­zione che rendono impossibileuna visione unitaria delle cose edella strategia: l'antipartitismo el'anticentralismo generici sonoin realtà anarcoidi nella forma eopportunisti nella sostanza dalmomento che un movimentosenza criteri unitari di organizza­zione e di democrazia è facile

preda di altri gruppi organizzati.Questo è dimostrato dalle prati­che antidemocratiche di “ege­monia” messe in atto dagliautonomi stessi ieri come oggi,attraverso l'assalto alle presi­denze di assemblee unitarie,l'espulsione fisica dalle lotte e dalmovimento di altri gruppi politiciin disaccordo con le posizioni au­tonome (ad es. militanti diAlternativa Comunista sono statiaggrediti per aver portato le no­stre bandiere e le nostre paroled'ordine in una piazza operaiache gli autonomi del Crash di Bo­logna pretendevano di “egemo­nizzare”, cioè di controllare informa esclusiva), l'imposizioneviolenta delle proprie pratiche discontro gratuito nella gestionedelle piazze durante le manife­stazioni, aggirando le decisioniprese democraticamente dalmovimento (l'esempio del 15ottobre 2011 è un caso, disastro­so, conosciuto). Tutto questoproduce come effetto una divi­sione distruttrice in seno ai movi­menti, porta all'isolamento dellelotte e alla loro sconfitta. Così funel '77, così può essere oggi per isettori operai e le vertenze di lotta“egemonizzate” (non politica­mente – cosa che sarebbe legitti­ma­ ma con le modalità sopradescritte) dall'Autonomia:pensiamo alle lotte della logisticaa Bologna che sono state isolatedalle altre forze politiche, sinda­cali e di movimento oltre che perl'opportunismo dei sindacaticoncertativi e della sinistra ri­formista, oltre che per il settari­smo di ampi settori delsindacalismo di base (che nonpartecipano a questa lotta perchédiretta dal Si.Cobas) anche a cau­sa del recinto che cercano di eri­gere attorno a questa lotta gliautonomi del Crash. Questa poli­tica di divisione produce due gra­vissime conseguenze che pesanosia sulle singole vertenze di lotta,sia sulla lotta di classe più in ge­nerale: la prima è quella già dettadell'isolamento delle lotte e deisettori operai più combattivi; laseconda conseguenza è quelladella rinuncia a guadagnarequella stragrande maggioranzadella classe lavoratrice cheguarda ancora ai burocrati di CgileFiomcomepuntidiriferimento,lasciando la maggioranza dei la­voratori in balia di queste direzio­ni burocratiche e di programmiconcertativi, anziché intervenirecercando di guadagnare questilavoratori su parole d'ordine piùradicali e di lotta. La mancanza diuna struttura centralizzata e ba­sata su un programma rivoluzio­nario, poi, rende l'Autonomiaparticolarmente esposta a spinteopposte: accodarsi nei fatti apolitiche riformiste o cercare loscontro di piazza con gli apparatirepressivi, come un fine in sé.Anzi, spesso questi due atteggia­menti apparentemente di­vergenti si conciliano in un'unicarealtà per cui una politica so­stanzialmente minimalista è ri­vestita da una apparenteradicalità di piazza: in cui per ra­dicalità non si intende quella de­gli obiettivi che si sostengono maquella dello scontro a bastonatecon la polizia, condotto per di piùin forma avventurista, espo­nendo spesso alla violenza degliapparati borghesi manifestazio­ni prive di servizio d'ordine.

L'estetica del conflittocome surrogato di unprogramma radicale

L'affermazione dello scontro finea sé stesso, come gesto mediaticoe spettacolare, come culturaestetica prima che politica, ha insé la convinzione della sconfitta.Come se chi la praticasse sapessegià di aver perso contro il sistemaborghese e sfogasse la sua rabbiae frustrazione alla ricerca di unascorciatoia “vendicativa”. Il “pa­gherete caro pagherete tutto”può essere interpretato così:“avete vinto, noi abbiamo perso;però ve la faremo pagare sfa­sciando qualche vetrina”. Ancheoggi vediamo la sottolineaturadel tema della “vendetta” (il 19ottobre è stato pubblicizzatodall'Autonomia come “lagiornata della vendetta”,appunto) come surrogato di unaprospettiva e di un programmache possano realmente vincere lo

scontro di classe. La violenza cosìinterpretata (e che nulla ha a chefare con la violenza rivoluziona­riaesercitatadallemasseinlotta),nel suo ridursi a rituale estetico ecatarsidellapropriaimpotenza,èl'attestazione di un profondoscoraggiamento rispetto allepossibilità reali di un cambia­mento globale, l'affermarsi di undeleterio disincanto rispetto alleprospettive rivoluzionarie e, indefinitiva, la rassegnazione da­vanti a questo sistema sociale edeconomico, considerato alla finfine come ineliminabile nelle suestrutture costitutive.

L'alternativa delsocialismo e la

costruzione del partitorivoluzionario

Noirivoluzionarialcontrariononci rassegniamo davanti all'irra­zionalità di questa realtà e noncerchiamo scorciatoie che pos­sano glorificarci nell'attimo erenderci perdenti nel futuro.Sappiamo che in questa situa­zione di vuoto a sinistra e crisi delriformismo è più che mai dove­roso intraprendere la faticosa maproduttiva strada della costru­zione di un partito rivoluzionario– su base nazionale e internazio­nale al contempo – corri­spondente al programma dellarivoluzione socialista.Abbattersi, darsi per sconfitti,abbandonare il terreno delleprospettive per accontentarsi diuno scontro facile ma inutile nonserve oggi ai lavoratori e allemasse popolari, e men che menoalle giovani generazioni chehanno un futuro e una societànuova da costruire. Dobbiamoapprofittare della crisi della so­cialdemocrazia non perabbandonare la tradizione delcomunismo, ma per sostanziarlain senso rivoluzionario laddove iriformisti ne conservavano solala forma svuotandola di conte­nuti.Ancheselecosechediciamopossono risultare inizialmenteimpopolari, per via della propa­ganda reazionaria contro la“forma­partito” e contro l'orga­nizzazione democraticamente ecentralisticamente strutturata,dobbiamo sforzarci di spiegare achi manifesta e in particolare aigiovani in lotta che ci sono partitie partiti, che ci sono i partiti ri­formisti giustamente ritenuticolpevoli di aver tradito gli inte­ressi di classe e di essersi mi­schiati con le politiche padronalidella borghesia, e che ci sonoembrioni di partiti rivoluzionariche si sviluppano e crescono sulterreno del conflitto di classecontro il padronato, i suoi go­verni, le sue istituzioni corrotte.Bisogna far comprendere, nelcorso delle lotte, la necessità diuna direzione rivoluzionariadelle masse: perché senza unadirezione rivoluzionaria a preva­lere saranno i padroni e i loroagenti, riformisti, governisti, bu­rocrati sindacali e politici, chepreservano il dominio capitali­stico e riescono per ora a impedi­re in Italia quello sviluppo dellelottechegiàvediamoinaltriPaesid'Europaechealtrove(pensiamoall'Egitto, alla Siria, al Brasile,ecc.) ha assunto o sta assumendocaratteri rivoluzionari. In questosenso, pur collaborando (quandoè possibile) in fronti di lotta co­mune con gruppi e centri socialiche si rifanno alle posizioni sopradescritte, pensiamo siaimportante fare una criticafranca e non diplomatica diconcezioni che riteniamo pro­fondamente dannose per la lottadi classe. Costruire una direzionerivoluzionaria delle lotte, cioècostruire un partito rivoluziona­rio e internazionalista, è uncompito difficile ma che tutti co­loro che vogliono cambiarerealmentequestomondodevonoaffrontare per poter contendere ariformisti e burocrati l'egemoniasulla classe e per poter avanzarenel progetto di una rivoluzionesocialista che rovesci il capitali­smoeisuoigoverni,cheimpongaun altro potere: un governo deilavoratori e per i lavoratori!

segue dalla pagina I

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GIOVANI di ALTERNATIVA COMUNISTA III

Lafinestrasull'UniversitàIlnumerochiuso:laspadadiDamoclesullatestadeglistudentidellaSapienza

Andria:lalottastudentescaGli studenti in piazza,ma non a rimorchio dei“forconi”

Nebraska:laforzadiunanarrazioneessenzialePayne nelle lande desolate della provincia americana

Giovanni Bitetto

Alexander Payne ciaveva già abituatoa prove in cui iltono da commedia

si innestava in una tramadrammatica: in A propositodi Schmidt un JackNicholson crepuscolareaffrontava i fantasmi dellapensione incassando laperdita della moglie,compagna di una vita. ConNebraska il tema dellavecchiaia é declinatoportando gli stilemi delregista a un nuovo livello diconsapevolezza. Saltasubito all'occhio dellospettatore la perfettafusione fra una narrazionedai risvolti fortementeemotivi e la sequenza disituazioni comiche sorretteda dialoghi surreali. L'idea dibase é semplice quantoefficace: un figlio deveaccompagnare il suovecchio padre (un BruceDern che non ha paura difarsi corpo e mostrare isolchi del tempo passato)dal Montana al Nebraska,per ritirare un premiopalesemente fasullo (diquelli che si millantano nelleoperazioni di marketing piùbecere) ma che per l'anzianooffuscato dalla senilitàdiventa il simbolo del suoriscatto da una vita trascorsaall'insegna dell'alcolismo,dell'incomunicabilità edell'anonimato. Nescaturisce un'opera che conacuta leggerezza punta losguardo sulla fama effimera,l'inesorabile scorrere deltempo, la delicata economiache regola i legami interni auna famiglia e in particolare

il rapporto padre­figliocostellato di silenzi ediscorsi abortiti, la vita daeveryman di provincia. Ed éproprio lo squallore diquesta provincia, uno deitanti stati interni americani,lì dove l'onda lunga dellostile di vita delle megalopolié un lontano riverberoibridato con la crudezza delpaese reale ai margini delsogno americano maisfiorato; essa diventa ilcorrelativo oggettivo perl'alienazione delle classisubalterne come fosse unacategoria dell'anima, unnon­luogo esistenziale oltreche geografico. Il bianco enero, lungi dall'essere unmero vezzo autoriale,esternalizza nella freddezzacromatica il bozzolo diincomunicabilità in cui sonochiusi i personaggi; e da gestisemplici quanto essenziali sisquadernano universiinteriori in cui lo spettatorevede rispecchiati i propriabissi personali.L'ineluttabililita' del tempoche fugge é trattata conrigore espressionista nelvolto avvizzito, gli occhiacquosi e i radi ciuffi dicapelli incanutiti di Dern,ma sempre rifacendosi a unpudore incapace diprendere la facile via delmelodramma. Fra imicragnosi brianzoli diVirzì, gli ambiziosi truffatoridi Russell e gli ingordi lupi diScorsese, gli uomini comunidi Payne ci suggeriscono conun sorriso amaro che sotto lacoltre di banalità quotidianacondita dalle nostreparanoie, autoillusioni epiccole grandi sconfitte,batte ancora un cuore.

Cinema e rivoluzione

Antonio Fiore*

Il corpo studentesco interodella città di Andria il 10 Di­cembre 2013, a fronte dellaprotesta portata avanti dai fa­

migerati “forconi”, ha scelto diastenersi dalle ordinarie lezioni escioperare per rivendicare i propridiritti, da tempo calpestati dallepolitiche di austerità. Lo scopo diquesta decisione da parte degli stu­denti è stato di sfruttare il clima ditumulto generale col fine di esporrea chiari toni le proprie linee didisapprovazione riguardo ilmancato operato dell'amministra­zione comunale per quanto ri­guarda le politiche del welfarestudentesco. Ovviamente, l'azionedei giovani manifestanti si è sepa­rata apertamente dai moti parafa­scisti proposti dal movimento dei“forconi”, opponendo ai loro tonipopulisti, nazionalisti e reazionari,parole d'ordine anti­razziste e anti­nazionaliste, unendosi all'unisonoin una lotta per posizioni piùconcrete e ad autentico sfondo so­ciale. Per mezzo dell'attività delgruppo sindacale studentescodell'Uds (Unione degli Studenti) edei rappresentanti d'istitutoappartenenti agli indirizzi profes­sionali e liceali, affiancati da altrerealtà di lotta, tra i quali erano pre­senti anche i Giovani di AlternativaComunista e il coordinamento NoAusterity, si è potuta dare un'orga­nizzazione concreta a quella cheera la rabbia generale di tutti questiragazzi indignati ormai da tempo.L'espressione tangibile di questapianificazione comune è stata, ini­zialmente, la programmazione diuna manifestazione che ha attra­versato l'intero centro urbano, pergiungere infine alla sede comunalecittadina. In loco è nato successiva­mente un presidio sotto le mura delMunicipio avente due obiettivifondamentali: il primo, ovvia­mente, era quello di far sentire la

propria voce agli organi istituzio­nali, verso i quali gli studenti ormainutrono piena sfiducia; il secondointento era quello di separarsi dallescorrerie dei “forconi”, che –supportati da squadristi e ultras didestra – stavano mettendo asoqquadro la città, riducendo la lo­ro mobilitazione a un mero eserci­zio di violenza fine a se stesso(parallelamente a rivendicazionicorporative e organiche alle logi­che di sistema).

Le rivendicazionistudentesche

Nel corso di un'assemblea generalegli studenti hanno stilato dei puntidi rivendicazioni da presentareall'assessorato alla cultura comu­nale. In più interventi si è rimarcatoil mancato investimento da partedell'amministrazione comunale afavore del welfare studentescopubblico. Difatti, gli studentihanno riportato numerose la­mentele riguardo le strutture fati­scenti, la mancanza di libri di testoe laboratori adatti per adempiere inmaniera approfonditaall'apprendimento dei vari indi­rizzi di studio, la mancanza di corsiextrascolastici formativi come Pone Pof e anche l'azzeramento quasitotale delle borse di studio, le qualiper anni hanno costituito la “spe­ranza” di tutti i giovani per il mante­nimento degli studi futuri. Nelladiscussione, oltre a esporre le pro­blematiche, si è discusso anchedelle cause di questi mancati fi­nanziamenti al servizio pubblicodell'istruzione, e del parallelo fi­nanziamento alle scuole private,promosso da tutti i ministri dellapubblica istruzione in questi anni,fino all'attuale ministro Carrozza,per rendere la cultura sempre piùelitaria. Ma la discussione non è ri­masta a livelli superficiali e qua­lunquisti: da tempo, a livello locale,i comitati studenteschi, assieme

all'associazione “Liberamente”,hanno portato avanti in sordinauna lotta contro i finanziamentiall'università privata Lum (Liberauniversità mediterranea, con sedesulla strada provinciale Andria­Trani). Dunque il presidio ha sceltodi creare una sorta di direttivo co­stituito da un rappresentante perogni organo partecipante e formu­lare dei quesiti specifici e una ri­chiesta concreta di riconvertirequei capitali, investiti per un istitu­to privato, in welfare studentescopubblico. Le attività del direttivonon si sono concluse nella giornatadel 10 Dicembre, ma sono conti­nuate nei giorni seguenti con as­semblee pomeridiane in piazza oaltri luoghi pubblici e soprattuttocon l'informazione nelle scuoletramite assemblee straordinarie,affinché tutti gli studenti potesseroessere informati riguardo i loro di­ritti negati da un sistema politico­amministrativo garante di se stessoe non dei diritti dei cittadini.(29/01/2014)*Giovani diAlternativa comunista Andria

Mauro Pomo*

La Sapienza ancora unavolta scenario di lotta: glistudenti di chimica hannooccupato il proprio di­

partimento per scongiurare il nu­mero chiuso. Il 13 gennaio cisarebbe stato il voto da parte delConsiglio di dipartimento perintrodurre l'ingresso a numeroprogrammato per i corsi di laureain Chimica, Chimica Industriale,Chimica del restauro e tecnologieper la conservazione dei beniculturali; è stato impedito grazie airagazzi che hanno bloccatol'accesso e fermato ogni attivitàall'interno della struttura. Dal co­municato degli studenti silegge:«Verrà stroncato il liberoaccesso all'istruzione e ciò che rite­niamo assurdo è l'indifferenza el'inerzia con le quali è stataaffrontata la questione da parte deidocenti»:(1). Per venerdì 10, infatti,era stato programmato unincontro studenti­docenti perdiscutere della questione, cercaresoluzioni alternative e arrivare amarzo a un voto più ragionevole,

ma i professori hanno ritenutoopportuno non presentarsi e chiu­dere velocemente la questione illunedì dopo. L'azione degli stu­denti ha evitato l'ennesima bruta­lità ai danni dell'istruzionepubblica: non è mancata, infatti, laresistenza. Anche questa volta èarrivata la polizia che, sebbene nonabbia dato lo scabroso spettacoloche le mura di quell'università so­no abituate a vedere, ha tentato diintimorire gli studenti, soprattutto ipiù giovani. Poi è stata la voltadell'arringa del direttore di diparti­mento che da un lato si dimostravasolidale con gli studenti, dall'altrochiedeva loro un briciolo di sensodi responsabilità. Questa manife­stazione, seppur di breve durata (ilblocco delle attività non è prose­guito oltre la mattinata), seppurnon abbia ottenuto niente di piùche il rinvio del voto a marzo, dimo­stra che gli studenti non sonodisposti ad abbassare la guardia e arassegnarsi. L'iniziativa ha fatto re­gistrare un discreto numero dipartecipanti, di giovani che sonopronti a portare avanti la lotta. Èammirabile la forza degli studenti

che hanno deciso spontanea­mente di alzare un muro percontrastare le decisioni del Consi­glio di dipartimento. Decisioni inlinea con l'andazzo generale e conle politiche che negli ultimi diecianni hanno contribuito allosmantellamento del sistemaformativo. I giovani di AlternativaComunista lavorano per fornireuna direzione e un'impronta orga­nizzativa alle lotte studentesche,promuovendo le uniche paroled'ordine che portino a soluzioniconcrete e di classe. Non è accetta­bile che gli studenti non possanopartecipare attivamente alle deci­sioni riguardanti l'offerta formati­va, le regole e i servizidell'università come dei licei.(27/01/2014)

Nota

(1) http://www.ilcorsaro.info/in­formazione­3/sapienza­contro­il­numero­chiuso­a­chimica­gli­studenti­bloccano­la­facolta.html*resp.Giovani di Alternativacomunista Roma

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IV GIOVANI di ALTERNATIVA COMUNISTA

Mauro Pomo

Il capitalismo, per dirla crudamente,è in sostanza un sistema parassita­rio. Come tutti i parassiti, può pro­sperare per un certo periodo

quando trova un organismo nonsfruttato del quale nutrirsi. Ma non puòfarlo senza danneggiare l'ospite,distruggendo quindi, prima o poi, lecondizioni della sua prosperità o addi­rittura della sua sopravvivenza.(1)

All'esplodere del recente tsunami fi­nanziario, Zygmunt Bauman, uno tra ipiù importanti filosofi e sociologicontemporanei, analizza gli strumentiutilizzati dal capitalismo per sopravvive­re. Capitalismo parassitario prende lemosse da uno studio di Rosa Luxemburg(le cui basi sono già presenti in Marx) se­condo cui il capitalismo per sostenersi habisogno di sfruttare economie non capi­taliste, ha bisogno di colonizzare “terrevergini”. Rosa Luxemburg però, non po­teva immaginare che i territori premo­derni di continenti esotici non erano gliunici potenziali “ospiti” di cui il capitali­smo poteva nutrirsi per prolungare lapropria esistenza e avviare una serie diperiodi di prosperità. E se infatti potessi­mo essere noi le terre vergini sfruttabilidal sistema? Ecco una grande intuizione:la carta di credito.“Take the waiting out ofwanting” [Togliete l'attesa dal desiderio]è lo slogan con cui una trentina di anni faè stato imposto questo diabolicomarchingegno al servizio del consu­matore. Non ci deve più preoccuparel'assenza di denaro nei nostri portafogli onei nostri libretti di risparmio, grazie allacarta di credito è possibile soddisfaresubito i nostri bisogni (bisogni, ovvia­mente, anch'essi imposti, ma su questotorneremo dopo) senza tenere sul collo ilfiato dei malvagi creditori di una volta. Icreditori moderni e benevoli, non rivo­gliono indietro i propri soldi, anzi, offro­no alle persone di prenderne in prestitoaltri per ripagare il vecchio debito e resta­re con qualche soldo (cioè qualche debi­to) in più. Ovviamente l'abilità dellebanche (le banche che sorridono) sta nelnon mettere il debitore in condizione di

ripagare il proprio debito, consentendo­gli, così, di uscire dal circolo vizioso inne­scato che fruttava denaro. Una dellemaggiori società di carte di credito hafatto scalpore quando ha svelato il giocorifiutando di rilasciare nuove carte di cre­dito a quei clienti che ogni mese saldava­no per intero i propri debiti, senzaincorrere quindi in pagamenti di penali.«Ma proprio come la scomparsa dipersone a piedi nudi rappresenta un gua­io per l'industria calzaturiera, così lascomparsa di persone non indebitaterappresenta un disastro per l'industriadel credito. La famosa previsione di RosaLuxemburg si è avverata ancora unavolta»(2). Il parassita si è diffuso e hainfettato tutti con una tale rapidità dasfuggire anche a quegli scienziati che contanta cura l'avevano prodotto in labo­ratorio. E quindi, con la distruzionedell'ennesimo “continente esotico”,l'ennesima crisi del capitalismo semprepiù pesante e sempre più gravante sullespalle delle classi subalterne. Tanto, eanche Bauman ne è sicuro, il welfare per iricchi non è mai stato messo in discussio­ne, né si è mai proceduti a smantellarlo:in quest'ottica si collocano i tagli alpubblico per risanare, oltre che le perditedei grandi gruppi industriali (è riportatol'esempio dei 92 miliardi di dollari che ilgoverno statunitense ha destinato ai ma­gnati di Boeing, Ibm, General Motorsecc...), anche quelle dei grandi gruppibancari. L'importante, stando alle paroledell'allora Ministro all'Economia del Re­gno Unito, il laburista Alistair Darling, èche i consumatori ignorino le nubi che siaddensano all'orizzonte e spendano,spendano, spendano. Come si può nota­re, questo libro è una forte critica all'orgiaconsumistica ispirata e ingigantita dallebanche. Bauman (è questo è decisa­mente uno dei punti salienti del suopensiero) mette l'accento sul passaggioche il capitalismo ha compiuto da una“società solida” dei produttori a una “so­cietà liquida” dei consumatori. Il filosofopolacco ha un'idea nostalgica dellarealtà, ritiene che si stava meglio quandosi stava peggio, quando l'individuo nonera costretto sotto il giogo opprimente

del consumo, della ricerca sfrenata disoddisfare i bisogni creati su misura perlui, correndo ciecamente verso la “t­shirtall'ultimo grido” e dimenticando ogniforma di rapporto umano. Ma, quando lacatena di montaggio si faceva sentire so­prattutto sulle ossa del lavoratore piutto­sto che sui desideri del consumatore, eracosì, non per una maggiore sensibilitàdella classe dominante, ma perché non siera arrivati ad uno sviluppo tecnologicotale da consentire repentini cambi ditendenza e innovazioni in apparecchielettronici, auto ecc., non c'eranointernet e le tv commerciali a veicolare imessaggi che tanto ipnotizzano giovani eadulti di questa generazione: non c'era­no, prima, le condizioni per “dominare”senza prescindere dalla società solida, lasocietà che faceva perno sui pilastri mo­rali (anch'essi imposti) della famiglia, delsacrifico ecc... Oggi che la borghesia si èimpadronita di un nuovo strumento, diunnuovoopium,pertenerealguinzaglioil proletariato, lo fa con la stessa spregiu­dicatezza che l'ha sempre contraddi­stinta, ottenendo risultati ancora piùvantaggiosi per la propria sopravvivenza,plasmando (o sciogliendo?) ancora unavolta, la società a propria immagine e so­miglianza. Perché la povera Ann­Sophiedeve essere presa come esempio negati­vo quando mette in discussione gliimperituri capisaldi etici della vecchiasocietà dicendo: «Non voglio sacrificaretutto alla mia carriera...Nessuno vuolerimanere bloccato troppo tempo nellostesso lavoro»(3)? Lungi da noi difendere ilconsumismo e la sua violenza, ma comesempre, è necessario chiarire chi ieri co­me oggi è il nemico da abbattere: quelloche serve per la nostra salvezza non è unamedicina ma un coraggioso interventochirurgico.(4)

Note

(1) Zygmunt Bauman, Capitalismoparassitario , 2009, Gius. Laterza e Figli, p.4(2) Ibidem, p. 15(3) Ibidem, pp. 61 e 62(4) Ibidem, cfr. p. 22

Capitalismoparassitario:unariflessioneConfronto col filosofo Zygmunt Bauman

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PROGETTO COMUNISTA Febbraio ­ Marzo 2014 9

NoTav:lelottenonsiprocessano!SolidarietàallecompagneeaicompagniarrestatiperlaresistenzainValSusa

Giuliano Dall'Oglio

Negli scorsi numeri delnostro giornale ci sia­mo concentrati neldescrivere gli avveni­

menti che si sono susseguiti negliultimi anni in Val Susa, ma oravorremmo sottolineare gli aspetti“giudiziari” a cui sono stati sotto­posti diversi compagni che neglianni sono stati arrestati, proces­sati e condannati facendo untemporale passo indietro ri­spetto a quando la giustiziaborghese cominciò a muovere lapropria macchina nei confrontidei No Tav.

6 anni di arresti e processiCon l'accrescersi e l'acuirsi dellalotta del popolo valsusino lo statoborghese non si “è fatto trovareimpreparato”, anzi: oltre a mette­re in campo il proprio apparatorepressivo tramite la polizia, si èmosso anche sul versante giudi­ziario e processuale. Era il 10 no­vembre 2008 il giorno in cui ci fula prima udienza nei confronti diLuca e Giorgio, accusati dal PmAusiello di aver, in data 6 di­cembre 2005 “sottratto una

macchina fotografica da un'au­tovettura della polizia stradale, diaver danneggiato l'auto stessa edi aver ostacolato l'operato degliagenti.” Questo fatto era avvenu­to dopo lo sgombero violentocompiuto dalle forze dell'ordinedel leggendario presidio di Ve­naus, dove gli attivisti avevanooccupato i terreni per impedire ilavori. Il 3 luglio 2009 comincia ilprocesso a Lele Rizzo per il bloccodella stazione di Bussoleno il 18gennaio 2007, blocco sgombe­rato con violenza inaudita dallaforze dell'ordine. Nell'inverno2010/2011 i valsusini si orga­nizzano e costruiscono una baitain Clarea, luogo vittima di deva­stazione ambientale da partedelle aziende predisposte alla co­struzione della Tav. Dopo diversimesi parte il processo neiconfronti dei No Tav per abusoedilizio e la baita, simbolo dellaresistenza nella zona, vieneabbattuta. La difesa della baitaviene portata avanti confermezza e determinazione daiNo Tav e il 9 settembre 2011 in se­guito ad atti di resistenza vengo­no arrestate Nina e Marianna. Nelmaggio 2012 il processo a carico

delle 2 attiviste si conclude conuna condanna ad 8 mesi per Ma­rianna con l'accusa di resistenzaa pubblico ufficiale e l'assoluzio­ne per Nina. La lotta NoTav non siarresta e si moltiplicano le mani­festazioni a sostegno della Vallema al contempo aumenta la re­pressione da parte della polizia acui si affiancano le perquisizionie gli arresti. Il 26 gennaio 2012, altermine di una manifestazione aChiomonte, luogo dove eranocominciate le prime trivellazionie i primi sondaggi, 45 personevengono arrestate per resistenzaallo sgombero della “Repubblicadella Maddalena” e per resi­stenza ai lavori del cantiere diChiomonte dove la polizia avevadisperso la folla di valsusini cheavevano tentato di tranciare le re­cinzioni che dividevano la cittàdal cantiere dove erano co­minciati i lavori per la cotruzionedella Torino – Lyon. A partire dal2013 lo Stato decide però dicambiare strategia: tutti coloroche fanno resitenza nei confrontidella grande opera volutadall'Unione europea e “simbolodi progresso” incorrono nel reatodi terrorismo. Un reato del genereaccomuna così i resistenti valsu­sini a coloro che negli anni dipiombo agivano sotto le insegnedi formazioni come Brigate Ros­se, Prima Linea e Nar. Inoltre percominciare un processo ai terro­risti i magistrati torinesi pensanoche ci voglia un posto più “ade­guato” a questi nuovi sovversivi eper questo si decide che il Pala­giustizia, dove attivisti esimpatizzanti No Tav avevanopartecipato a diversi presidi inoccasione delle tantissimeudienze avutesi lì, non sia più lasede adatta. Per un processo a deiterroristi ci vuole qualcosa di più:proprio per questo si decide di“riesumare” l'aula bunker pre­sente accanto al carcere “Lo Rus­

so e Cutugno”. L'aula bunker hauna storia molto particolare:adatta a tribunale alla fine deglianni Sessanta, fu utilizzata cometribunale dai giudici torinesi pergiudicare i reati di terrorismo e dimafia che infestarono il capoluo­go piemontese fino agli anni No­vanta. L'aula bunker è stata“rinaugurata” il 21 gennaio delloscorso anno ed è ora il luogo dovecontinuano le udienze per i pro­cessi ai No Tav.

I grandi accusatori eprocessi in corso

Rispetto ai grandi accusatori delmovimento, cominceremo dacoloro che hanno guidato i pro­cessi nei confronti dei No Tav co­me pubblici ministeri: GiancarloCaselli e Andrea Padalino.Giancarlo Caselli è molto cono­sciuto all'opinione pubblica ed èmolto apprezzato dalla borghe­sia progressista torinese: si èoccupato di terrorismo negli anniOttanta, è stato componente delCsm e ha partecipato come Pm aPalermo in diversi processicontro la mafia. Negli ultimi annidella sua carriera da magistratoha disposto diversi arresti di NoTav impegnati in manifestazioni.Sembrerebbe strano che un ma­gistrato che ha lottato contro lamafia, ora faccia arrestare perso­

ne che lottano contro le mafie chesono dietro gli appalti per i lavoridella Tav. L'ormai ex magistratoha affermato che“il cantiereTav èun laboratorio di violenza” maprobabilmente non ricorda e nonha perseguito le violenze delleforze dell'ordine nei confronti deimanifestanti come ad esempionella “Repubblica della Madda­lena” già citata precedentementeche era suolo pubblico concessoin uso dal sindaco di Chiomonte equindi installazione “legale”. Si­curamente Caselli, ora in pensio­ne, avrà la possibilità di diventaresenatore (Pd) ma gli attivisti NoTav ricorderanno sempre la suaacredine nei loro confronti. Unaltro magistrato è Andrea Padali­no. Meno conosciuto a livello na­zionale ma “famoso” a livellolocale, Padalino ha preso da pocoaoccuparsidellevicendeNoTaveassieme al Pm Rinaudo stasvolgendo ancora oggi i diversiprocessi contro militanti valsusi­ni. Padalino è diventato triste­mente per la presa di posizionerazzista in base a cui “si devonoprendere tutte le impronte digi­tali degli immigrati, a prescindereche fossero delinquenti o meno”.Intanto anche in questo mese so­no continuate le udienze nella fa­migerata aula bunker, in questocaso per i fatti relativi agli scontridel 27 giugno e 3 luglio. Il 20

gennaio è stato il turno della te­stimonianza degli agenti di poli­zia che hanno dato tutti unaversione uguale ma non del tuttoconvincente riguardo i fatti inquestione.Ilgiornodopoinveceèstatoil turnodei4NoTavarrestatidurante gli scontri. Nel frattempoproseguono le accuse di terrori­smo nei confronti dei No Tav le­gati a diversi episodi tra cui ilritrovamento di tre molotov da­vanti alla casa del deputato PdEsposito e dell'incendio neiconfronti di alcune macchine diaziende attive nella costruzionedella Torino­Lyon da parte di se­dicenti No Tav. Sfortunatamenteper la magistratura borghese nonci sono prove che siano stati i NoTav (anche per l'assenza diqualsiasi rivendicazione) ma èmolto probabile che questeaziende abbiano altri “nemici”considerando la loro situazionefinanziaria che farebbe arrossirequella della regione Piemonte.Come Alternativa Comunistacontinuiamo a chiedere l'imme­diata scarcerazione dei militantiNo Tav ancora presenti nelle pri­gioni imperialiste e auspichiamouna vittoria della lotta del movi­mento No Tav nell'ambito di unsuperamento in senso rivoluzio­nario e socialista del sistemacapitalista (01/02/2014)

MOVIMENTI

LarepressionenonfermalalottaalMuos(tro)Verso la manifestazione del primo marzo

a cura del Pdac Sicilia

Il 2014 dei No Muos è co­minciato con le notifiche didenuncia per quindici attivi­sti, in relazione ai fatti acca­

duti nel corso della manifestazionesvoltasi a Niscemi il 9 agosto scorso.In quella occasione, furono centi­naia i manifestanti che, attraversovarchi ricavati tagliando le reti direcinzione, entrarono nella basemilitare americana occupandolaper alcune ore. È singolare tuttaviache, sebbene l'occupazione siastata effettuata da centinaia dipersone, i provvedimenti repressi­vi abbiano colpito soltanto quindi­ci di esse. Si tratta guarda caso diattivisti inprimalineanella lottaNoMuos, e infatti questi ultimiinterpretano le denunce ricevutecome un chiaro tentativo, da partedelle istituzioni, di intimidire lalotta No Muos e le persone che, inprima persona, la dirigono datempo. Misura intimidatoria che sipone in continuità con le altre subi­te in questi mesi dai No Muos, mache di certo non ha piegato la resi­stenza degli attivisti, nonostante le

grosse difficoltà attraversate negliultimi tempi dal movimento, fra re­pressione, polemiche e dissidiinterni (oltre ai tentativi di gruppineofascisti di strumentalizzare labattaglia al Muos­tro).

Le antenne sì,l'ospedale no?

La risposta del coordinamento deicomitati No Muos non si è fattaattendere. Nei giorni successivi allanotifica delle denunce gli attivistiniscemesi si sono riuniti per piani­ficare le mosse successive. E giorno12 gennaio migliaia di niscemesisono scesi in piazza per manifesta­re contro la paventata chiusuradell'ospedale cittadino, un rischioconcreto dopo il progressivosmantellamento del nosocomio –riduzione dei posti letto, chiusuradi interi reparti –, frutto delle politi­che scellerate promosse dai go­verni nazionali e regionalicoerentemente al principiodell'“austerità”, che sta devastandoi servizi e i diritti sociali a qualsiasilatitudine e longitudine sull'altaredegli interessi del capitale. “Le

antenne sì, l'ospedale no” hannoscritto significativamente sul lorostriscione le mamme No Muos, arimarcare le scelte folli di chi vuolesotterrare la sanità a Niscemi,noncurante peraltro della prossi­mità di quella cittadina al polo pe­trolchimico di Gela e della suaesposizione alle onde elettroma­gnetiche provenienti dalle 46antenne radio presenti da anniall'interno della base della marinamilitare statunitense, con tutte leconseguenze nefaste sulla salutedei cittadini che queste situazionideterminano. Ma quella chesembra una scelta casuale proba­bilmente risponde invece a un pre­ciso disegno, ossia quello di creareil deserto attorno a Niscemi e allalotta dei niscemesi, per completarel'opera di militarizzazione delterritorio e garantire la “sicurezza”attorno a una base militare che inprospettiva futura dovrebbe rive­stire un ruolo importante infunzione di ulteriori guerre dascatenare in nord Africa e in MedioOriente.

La lotta No muosnon si arresta

I lavori di costruzione del Muoshanno avuto in questi ultimi tempiun'accelerazione e, proprio pochigiorni prima della stesura di questoarticolo, sono state issate le tre gi­gantesche parabole che costitui­scono la parte più appariscente delsistema radar statunitense. Un du­ro colpo per gli attivisti No Muos,che hanno manifestato imme­diatamente il proprio dissenso siadavanti la base americana – dovedue attivisti si sono incatenati aicancelli – sia a Niscemi. Un dis­senso che non implica la rassegna­zione ma la volontà di continuare lalotta contro il Muos – sistema chenon è ancora in funzione dato chemancano ancora le connessioni e

due antenne più piccole – anchequalora la sua costruzione dovesseessere completata. La battagliaportata avanti coraggiosamentedai No Muos contro la militarizza­zione del territorio e le guerreimperialistiche, e a tutela della sa­lute e dell'ambiente, conoscerànelle prossime settimane ulteriorisviluppi. Tra le diverse iniziative,giorno 22 febbraio è previsto unpresidio presso la prefettura diCaltanissetta, per protestarecontro i provvedimenti repressivida essa disposti nei confronti degliattivisti No Muos. I militanti dellasezione nissena del Pdacsupporteranno l'iniziativa, per de­nunciare la politica intimidatoriadelle istituzioni e per sensibilizzarela popolazione rispetto a una lottadi straordinaria importanza. Pro­seguirà dunque l'opera di divulga­zione contro il Muos che i militantidel Pdac Sicilia hanno sempre pro­mosso in tutte le piazze siciliane daloro toccate nel corso di questi me­si, e che sarà sviluppata anche nei

comizi di quartiere che il PdacCaltanissetta svolgerà con conti­nuità, a partire da venerdì 24gennaio, per presentare alla popo­lazione il programma rivoluziona­rioelanostraricettaperusciredalla“crisi” del sistema capitalista. Nellaconvinzione che anche la battagliaal Muos, tanto più in considerazio­ne della sua dimensione gigante­sca, non possa essere combattutase non da una prospettiva anticapi­talista, e che non si possa fare alcunaffidamento sulle istituzioni e suipoliticanti. Non sarà la politica enon saranno i tribunali borghesi afermare i lavori in contrada Ulmo,cosìcomenonsarannolorodicertoa fermare i progetti imperialisticiche si celano dietro il famigeratoMuos.

Verso il primo marzoPer il primo marzo il coordina­mento dei comitati No Muos haindetto una nuova grande giornatadi mobilitazione. Come Pdacabbiamo supportato in questi mesi

le iniziative No Muos, dalle attivitàal presidio alle manifestazioni dipiazza, inclusa la manifestazioneantifascista dello scorso 30 no­vembre a Palermo, quando la poli­zia difese la sfilata dellafantomatica “Rete No Muos” fasci­stoide caricando noi antifascisti.Anche stavolta pertanto ci asso­ciamo all'appello del coordina­mento No Muos e invitiamo tutte leforze politiche, sindacali, di movi­mento che condividono questaimportantissima battaglia asupportare l'iniziativa.L'appuntamento è per ContradaUlmo, l'obiettivo la base della ma­rina militare statunitense. Tuttiinsiemeribadiremoilnostronoallepolitiche di guerra e di saccheggioambientale promosse dai poteriforti internazionali sulla pelle dellepopolazioni. Ribadiremo il dirittoall'autodeterminazione e il rifiutodella logica del profitto come unicoorizzonte possibile. No Muos, ora esempre! (01/02/2014)

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10 Febbraio ­ Marzo 2014 PROGETTO COMUNISTALOTTE DEI LAVORATORI IMMIGRATI

Conny Fasciana

Duecentomila euro algiorno, 73 milionil'anno: il sistema delleespulsioni in Italia è

una macchina per far soldi chenon conosce crisi . Sono circa500mila i clandestini in Italia. Diquesti, circa il 15%, finisceannualmente rinchiuso nei Cie. Irimpatri riguardano circa la metàdi questi ultimi. Facendo uncalcolo molto approssimativo(somma della retta giornaliera ecosto del rimpatrio) si può stima­re in circa 10.000 euro ad immi­grato il costo della suapermanenza nei CIE, dal fermoall'uscita dal centro (fino a 18 me­si). Moltiplicando tale cifra per7.000/8.000, cioè per il numeromedio dei rimpatri annui, si ottie­ne la spaventosa cifra di 70/80 mi­lioni di euro. Dal 1999 al 2013 èstato speso quasi un miliardo dieuro per tutte le procedureconnesse all'espulsione dei mi­granti. I voli di espulsione forzata,sostenuti con i Fondi Rimpatriodell'Unione Europea, sono un ti­pico esempio di questa enormemacchina da soldi e dei suoi re­lativi sprechi. Nel rapporto dellaCommissione diritti umani delSenato su carceri e centri di tratte­nimento per migranti senzapermesso di soggiorno pre­sentato a marzo 2012 si legge cheper ogni cittadino stranierorimpatriato lo Stato italiano pagacinque biglietti aerei : uno per lapersona da espellere e quelli diandata e ritorno per i due agentiche la scortano. Si usano voli di li­nea oppure charter apposita­mente organizzati dall'agenziaper il pattugliamento dellefrontiere esterne dell'Unione Eu­ropea, Frontex. È sufficiente dareun'occhiata al bilancio di Frontexper capire meglio di che numeristiamo parlando: più di 8 milionispesi per rimpatriare 2038 perso­ne, più o meno 4mila euro a testa .E la cifra include solamente lespese di viaggio. Ma c'è di peggio.Mistral Air, la compagnia aereadel gruppo Poste Italiane, dal2011 affitta i suoi aerei bianchi egialli per i trasporti da un Cieall'altro o per il rimpatrio nel Pae­se d'origine. Alla modica cifra di6.000 euro l'ora di affitto la MistralAir, oltre a pacchi e corri­spondenza, spedisce a casa uo­mini e donne senza documenti(1).Non osiamo pensare a quantoammonteranno i costi di affittoora che le poste italiane hannointrapreso la “retta via” della pri­vatizzazione! A queste risorsevanno aggiunte quelle relativealla sorveglianza : nel 2004 laCorte dei Conti ha calcolato cheper mantenere 800 addetti alla vi­gilanza sono stati spesi 26,3 mi­lioni di euro . E negli annisuccessivi il numero di addetti èaumentato. E quindi anche il co­sto complessivo.

Il giro di affariintorno ai Cie

Quello dell'identificazione è ungiro di affari che fa gola a tutti. IlViminale ha tagliato i fondi, masolonel2011hastanziatopiùdi18

milioni di euro. Gli enti gestorifanno a gara per un posto traguerre giudiziarie e interrogazio­ni parlamentari. Ce ne sono 13 inItalia, per un totale di 4mila posti ,ai quali vanno aggiunti quellitemporanei e“galleggianti”, comele tre navi civili ormeggiate alporto di Palermo e che hannoospitato 700 tunisini durantel'emergenza Lampedusa (90milaeuro al giorno per il noleggio dellenavi). Da una relazione tecnicadel servizio studi della Camera del2008 risulta che costruire un po­sto letto nel Cie diTorino è costatoin media 78mila euro . Contandoche la struttura ha 180 posti, il co­sto complessivo è stato di circa 14milioni. In quell'anno sono statistanziati in totale 78 milioni di eu­ro da spendere in tre anni, fino al2010, per la costruzione di nuovilager. Le procedure per gli appaltidei servizi all'interno dei Cie sonoun vigoroso esempio di comequeste prigioni rappresentinouna potente fonte di inesauribileprofitto da parte del capitale, conla benevolenza, ovviamente, digoverni ed istituzioni. Infatti iCentri di Identificazione edEspulsione sono di competenzaesclusiva dello Stato ma la loro ge­stione viene affidata a cooperati­ve sociali attraverso appaltipubblici indetti dalla prefettura.Le gare d'appalto per la gestionedei Cie vengono effettuate dalleprefetture in parziale deroga alladisciplina sugli appalti, grazieall'emergenza immigrazione cheè stata dichiarata nel 2002, e daallora prorogata di anno in annoda tutti i governi. Spesso si trattaaddirittura di licitazioni private.Con casi di servizi gonfiati: adesempio a Modena e Bologna sisuperavano i 70 euro giornalieri atrattenuto contro i 45 medi. Soldiche ovviamente non vanno ai mi­granti reclusi, ma agli enti che ge­stiscono i servizi nei centri.L'arrivo dei migranti in Italiainvece è gestito dalla ProtezioneCivile, come se questi rappre­sentassero una calamità naturale.

Cooperative d'affariLa gestione dei Cie italiani è stataspartita principalmente fra tregrandi gruppi : in primo luogo laCroce Rossa , che è anche stata ilprimo ente designato a gestirequesti centri costruiti dallo Statoper far fronte alle prime ondate“emergenziali”. Poi ci sono unagrande cooperativa, L'Oasi di Si­racusa , un consorzio di coope­rative, il Connecting People diTrapani, e La Cooperativa Auxi­lium . Il modello di gestione deiCie messo in campo da L'Oasipiace tanto allo Stato che preferi­sce tagliare sui costi pro capitepiuttosto che investire in percorsidi integrazione. Infatti, permancanza di fondi, lo Stato haabbassato la retta quotidiana de­stinata ai reclusi di questi centriportandola da una cifra media di45a30euroalgiorno.Attraversolamodalità dell' asta al ribasso , lacooperativa L'Oasi si è aggiudi­cata la gestione dei Cie di Bolognae di Modena per soli 28 euro algiorno. Come si farà a mandareavanti una situazione già di per sé

delicata con così poche risorseeconomiche ancora nessuno loha spiegato. Fra i soci delconsorzio L'Oasi, c'è ancheMarco Bianca , già vicepresidentedella cooperativa Alma Mater chegestiva il Cara (Centro di Acco­glienza per Richiedenti Asilo) diCassibile, chiuso dopo varieinterrogazioni parlamentari.Alma Mater nel 2008 era finitasotto inchiesta per truffa ai dannidello Stato, per una serie di fatturegonfiate per l'acquisto di arreda­menti, lavori di ristrutturazione eservizi di lavanderia all'internodel Cara. La vicenda si conclusepoi con un nulla di fatto : le proveraccolte erano inutilizzabili per lamancata richiesta di prorogadelle indagini. Il pm Antonino Ni­castro aveva comunque chiesto ilrinvio a giudizio per donArcangelo Rigazzi e MarcoBianca, rispettivamente presi­dente e vicepresidente di AlmaMater. La richiesta non fu accoltadal giudice dell'udienza prelimi­nare. L'Oasi gestisce anche il Ciedi Trapani , in località Milo , dopoaver vinto con un appalto da seimilioni e seicentomila euro “ivaesclusa” per tre anni. Alla gara habattuto la cooperativa Insieme,del consorzio Connecting People,nato proprio a Trapani e da annigestore di Cie e Cara per richie­denti asilo in tutta Italia. Dopo lagara, persa, ha fatto ricorso ma haperso nuovamente. “Abbiamocontestato il prezzo troppo bas­so” racconta Giuseppe Scozzari,presidente del consorzioConnecting People. “La coope­rativa Oasi ha vinto sul ribassod'asta a 28 euro, noi avevamopartecipato al rialzo con 38”.Questo onesto imprenditoreconsiderava perciò impossibilegestire il Cie con 28 euro al giorno.E aveva ragione! Con tale irrisoriacifra come si possono gonfiare lefatture? Ma probabilmente si è ri­fatto altrove. Il prossimo 11febbraio, i vertici dellaConnecting people, che da quasisei anni gestisce il Cie e il Cara diGradisca, dovranno risponderedell'accusa di associazione a de­linquere finalizzata alla truffadello Stato e a inadempienze dipubbliche forniture. Secondo ilcapo di accusa, infatti, nellefatture inviate alla Prefettura sa­rebbe stato indicato un numeromaggiore di ospiti di quellieffettivamente presenti nelle duestrutture gradiscane, per unatruffa complessiva di quasi 1,5milioni di euro. Nella vicenda so­no implicati anche il viceprefettovicario Gloria Sandra Allegretto eil ragioniere capo della PrefetturaTelesio Colafati, imputati di falsi­tà materiale e ideologica in attipubblici per non aver verificato lacongruità delle fatture presentatee di averle vistate autorizzandoneil pagamento. Alla Connectingpeople si imputano anche pre­sunte irregolarità nelle dichiara­zioni relative alle forniture dimateriali per l'assistenza allapersona: indumenti, serviziomensa, schede telefoniche e me­dicinali. (27/01/2014)

Nota

(1) http://youtu.be/GmrS2tSVA38

Clandestini:unaffaremilionarioIl business dell'immigrazione non conosce crisi

Nella pagina le foto dell'iniziativa pubblica del Pdac “Nè nativi nè migranti” del 2 febbraio ad Agrigento

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PROGETTO COMUNISTA Febbraio ­ Marzo 2014 11LOTTE DEI LAVORATORI IMMIGRATI

Nelson Mandela: la verità dietro la menzogna5 Dicembre 2013,i potenti del mondo rendono omaggio al protettore del sistema capitalistico in Sudafrica

Patrizia Cammarata eMoustapha Wagne

Nelson RolihlahlaMandela, nato a Mve­zo il 18 luglio 1918, èmorto all'età di no­

vantacinque anni a Johanne­sburg il 5 dicembre 2013.Mandela è stato il grande leaderdel movimento antiapartheid inSudafrica ed ha avuto un ruoloimportante nella caduta di taleregime. Protagonista, insieme alpresidente Frederik Willem deKlerk, dell'abolizionedell'apartheid all'inizio degli anniNovanta, fu eletto presidente nel1994, nelle prime elezioni multi­razziali del Sudafrica, rimanendoin carica fino al 1999, mentre nel1993 ottenne il premio Nobel perla pace. Il suo partito, l'AfricanNational Congress, è rimasto daallora ininterrottamente al go­verno del Paese.

I due Mandela: quello deipoveri e quello dei ricchi

Milioni di neri sudafricani hannopianto la morte di Nelson Mande­la, chiamato Madiba (nomeall'interno del clan d'apparte­nenza, dell'etnia Xhosa). In tuttoil mondo proletari neri, militantidi comitati o associazioni controil razzismo, hanno reso omaggio aNelson Mandela. Ma a porgere lecondoglianze per la sua morte, arendergli omaggio e ricordarlocon parole di riconoscenza e distima, sono stati anche i rappre­sentanti di governi e banche, que­gli stessi che ogni giornopromulgano leggi e provvedi­menti che colpiscono duramentele condizioni di vita dei proletaridi tutto il mondo. Com'è possibi­le, dunque, che mentre la crisiinternazionale del capitalismosta riducendo alla fame e alladisperazione un sempre maggiornumero di persone servendosispesso proprio di leggi razziste ecolpendo con guerre e disastriambientali soprattutto l'Africa ele popolazioni nere, com'è possi­bile che lo stesso leader rappre­senti un'icona per le massesfruttate e contemporaneamenteper i potenti del mondo? La rispo­sta, noi crediamo, sta nel fatto chesi è trattato di due commiati ri­volti a due Mandela diversi,quello delle rivolte e della spe­ranza e quello della riconciliazio­ne e della vittoria del capitalismosulle masse oppresse. Il proleta­riato nero e la borghesia hannoreso omaggio a due Mandeladistinti. Il popolo sudafricano, isinceri antirazzisti di tutto ilmondo, hanno pianto il simbolo

della lotta contro l'apartheid (ilcriminale regime usato dallaborghesia bianca sudafricana persfruttare e reprimere le masse po­polari nere), hanno pianto il mili­tante che ha trascorso 27 anni dicarcere per la lotta contro il razzi­smo, hanno pianto il Mandela cheaveva scelto di “combattere il si­stema che imprigionava il suo po­polo”. I rappresentanti del potereeconomico e politico del mondo, irappresentanti e i curatori d'inte­ressi d'industriali e banchieri delcapitalismo mondiale hanno,invece, reso omaggio al Mandeladella “riconciliazione”, il Mandelache ricondusse la lotta deglisfruttati neri verso la pacificazio­ne con la borghesia bianca, ilMandela che chiese al suo popolodi accettare che gli stessi dirigentirazzisti afrikáners rimanesseroimpuniti per i crimini commessi eche, davanti allo scenario di unalotta che continuava a crescere ead estendersi con la solidarietà dinumerose organizzazioni in tuttoil mondo, anziché porre al centrola questione del potere reale,quello economico, espropriandola borghesia e consegnando laricchezza del Paese ai lavoratorisfruttati, collaborò proprio con laborghesia bianca sudafricana el'imperialismo che lo avevanoimprigionato per 27 anni, contri­buendo al piano di transizioneche ha formalmente annullatol'apartheid in modo ordinato ga­rantendo, al contempo, che il do­minio economico, attraverso ilmantenimento della proprietàdelle imprese e delle banche, ri­manesse nelle mani degli stessi.Le potenze imperialisteappoggiarono a fondo questopiano,dicuiunodegliesecutori fuil vescovo nero Desmond Tutúche per questo lavoro ottenne,prima di Mandela, il Premio No­bel della Pace.

Le condoglianze deigoverni razzisti

Fra le numerose dichiarazioni dicordoglio di capi di Stato di tutto ilmondo, c'è stata anche quella diGiorgio Napolitano, Presidentedella Repubblica italiana. È utilericordare che in Italia i Centrid'Identificazione ed Espulsione,ossia i lager per gli immigrati,hanno avuto origine da una leggeda lui proposta (legge n.40 del 6marzo 1998, cosiddetta leggeTurco­Napolitano, varata dal go­verno di centrosinistra), che èstata la base della successiva legge“Bossi­Fini” (legge n. 189 del 30luglio 2002, varata dal governo dicentrodestra) e che ha inauguratola serie delle “leggi­ricatto”, leggi

che hanno reso sempre più diffi­cile il soggiorno degli immigrati inItalia, molti di loro provenientiproprio dai Paesi dell'Africa.Eppure Napolitano, Presidenteproprio di quel Paese, l'Italia, do­ve si è verificata la (ennesima) tra­gedia di Lampedusa, nella quale,a causa delle leggi vigenti, sonomorti annegate oltre 360 personeche tentavano dall'Africa diraggiungere le coste italiane, haespresso “commozione e tri­stezza” per la morte del leaderantiapartheid Nelson Mandelaaffermando: “Il suo insopprimi­bile anelito alla libertà, alla digni­tà umana e all'uguaglianza haavuto ragione della barbariedell'apartheid. Con la sua vita hadimostrato che un mondo piùequo e solidale, dove diversità èsinonimo di ricchezza, è possibi­le”. La stima per Mandela da partedel Presidente Napolitano, pala­dino del capitalismo italiano, siaggiunge alla stima d'altrirappresentanti dell'imperiali­smo, attivi rappresentanti e di­fensori dello sfruttamento edell'oppressione, come Obama,Merkel, Cameron, Rajoy. Mande­la è stimato ed indicato comeesempio dai potenti del mondoperché, dopo essere diventato il

leader della lotta control'apartheid, consegnò il patrimo­nio di lotte dei neri alla borghesiabianca e all'imperialismo, attra­verso una transizione negoziatache non mise in discussione lastruttura dell'economia capitali­sta e di classe del Paese. Questotradimento, la negoziazione conil presidente De Klerk, avvenneattraverso il Congresso NazionaleAfricano, con l'apporto della dire­zione della centrale sindacale ne­ra (Cosatu) e del PartitoComunista sudafricano (stalini­sta).

La verità dei fatti: la fineformale dell'apartheid

non basta

La fine dell'apartheid fu unavittoria del popolo nero sudafri­cano che, eliminando questo re­gime, ottenne libertà, dirittipolitici ed un sistema elettoralebasato su“una persona – un voto”.Ma lo sfruttamento capitalistacontinua, la struttura economicadel Paese non è stata messa indiscussione e allo sfruttamentoda parte della borghesia bianca siè affiancato lo sfruttamento daparte di una nuova borghesia ne­ra. La disoccupazione nazionale è

del 25 per cento, ma tra i lavorato­ri neri si arriva al 40 per cento. Un25 per cento della popolazione vi­ve con meno di 1,25 dollarigiornalieri, livello della miseria edella fame. È evidente e massicciala differenza di condizioni econo­miche e sociali: accanto ad unaborghesia ricchissima e potentecontinua ad esserci la stragrandepopolazione, soprattutto nera,che vive nella miseria. È per que­sto che in Sudafrica sta esplo­dendo la violenza sociale. Eccoperché Nelson Mandela, assiemeagli altri dirigenti, deve essereindicato come il traditore dellereali istanze del suo popolo. Unpopolo che non ha lottato soloaffinché non ci fossero più lefontanelle d'acqua per i bianchi ele fontanelle d'acqua per i neri,ma che rivendicava, accanto allaparità formale, condizioni di vitadignitose, accesso alla salute,all'istruzione, alla casa, al lavoro.Mandela e la retorica progressi­sta, come si vede, non solo nonhanno liberato il proletariato ne­ro sudafricano dallo sfrutta­mento capitalistico, manemmeno dalla discriminazionerazzista che si diceva conclusacon la“fine dell'apartheid”. Razzi­smo, sfruttamento e repressione

continuano, solo con forme di­verse e con veste “democratica”.La filosofia di Mandela e dell'Afri­can National Congress, (nonchédella gran parte della sinistra su­dafricana, dagli stalinisti ai ri­formisti) è che il Sudafricaprogredirà con un lungo processodi riforme, non con una rivolu­zione. Questa politica si è rivelatafallimentare: nei settore chiavedell'economiasudafricanavigelostrapotere dell'economia privata,continua un'enorme disugua­glianza di reddito, un alto tasso didisoccupazione fra i giovani. Acausa di questa situazione negliultimi anni le lotte della classe la­voratrice sfruttata del Sudafrica sisono moltiplicate. Nell'agosto2012 un gruppo di minatori èstato massacrato dalle bandearmate a servizio del “governodemocratico” e “progressista”dell'African National Congress,sostenuto dagli stalinisti del co­siddetto Partito Comunista Su­dafricano. Per questi motiviNelson Mandela non può essereindicato come l'esempio da se­guire per gli sfruttati e le vittimedel razzismo in Africa e nelmondo intero.

Nessuna riconciliazionefra sfruttati e sfruttatori

L'esempio da seguire è quellodella lotta dei milioni di neri chehanno lottato e non sono scesi apatti con i loro aguzzini. Solo unalotta ad oltranza, senza cedi­menti, una lotta organizzata cheaffermi chiaramente che la solu­zione allo sfruttamento e al razzi­smo potrà essere solo la sconfittadelcapitalismo(enonlasemplicescrittura di leggi uguali per tutti inuna società in cui esistono classicontrapposte e in cui una classesfrutta un'altra) potrà far nascereuna vera società in cui il razzismosarà sconfitto definitivamente. Ilsangue versato durante la lottacontro l'apartheid, il sangueversato dai minatori sudafricaninon sarà stato versato invano. Èperò necessario che questo mas­sacro ricordi al proletariato afri­cano,europeo,edituttoilmondo,qual è il suo compito, quale è lavera posta in gioco nello scontromortaletrasfruttatiesfruttatori.Ènecessario indicare come tradi­trici tutte quelle direzioni ri­formiste in Africa, in Europa e inogni continente che svendono leragioni degli oppressi e la lotta ri­voluzionariacontroilcapitalismomascherando i loro appetiti bu­rocratici dietro illusioni d'impos­sibili riforme di questo sistemacriminale. (28/01/2014)

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12 Febbraio ­ Marzo 2014 PROGETTO COMUNISTADAL TERRITORIO

Giacomo Petrelli

Oggetto della nostra storia è ilcentro di quella gloriosa regioneribattezzata sui libri di storiaMagna Grecia, e oggi snodoambientale d'Italia, se nondell'Europa intera: Taranto. Si­tuata strategicamente al centrodel mare nostrum (vorremo chefosse anche di tutti i migrantiche ci lasciano la vita in quelleacque) Taranto è stata scelta ne­gli anni sessanta come culla diquella che, a distanza di oltremezzo secolo, rappresenta unodei processi produttivi piùvecchi del mondo, cioè quellodella siderurgia a ciclo integrato,cioè di tutti quei passaggi pro­duttivi che portano i minerali adiventare acciaio e /o ghisa. Si­tuata in uno dei massimi centridella disoccupazione meridio­nale, quella che all'epoca è statapresentata come salvezza per leclassi lavoratrici di quelle zone siè tramutata ben presto in unmostro ecologico senza prece­denti, che a tutt'oggi miete vitti­me direttamente imputabili ai

fumi e veleni che ammorbano ilterritorio e uccidono in manieraindiscriminata giovani, vecchi ebambini, rendendo facile para­gonare questa fabbrica a un se­rial killer che senza alcundisturbo opera direttamente almassacro di tutto ciò che gli è vi­cino. A nulla è servita la de­cennale presidenza delcentrosinistra (lugubre corre­sponsabile di questa tragediaimmonda) e a dimostrarlo c'è ilfatto che le uniche notizie venu­te alla ribalta su questi perso­naggi così ambigui (di cui ilcapofila è il presidente Vendola)trattano telefonate dove le risatesui morti dovuti al benzo(a)pire­ne rilasciato dall'Ilva lascianopoco spazio a eventuali altreillusioni sui “nostri” governanti”e su quei partiti che vantanol'ecologia nel loro simbolo.Senza contare i procedimentigiudiziari borghesi che gravanointorno al complesso siderurgi­co del padron Riva, come adesempio l'ultimo decreto leggedi dicembre, che so­stanzialmente vede requisire i

soldi di padron Riva per attuareuna serie di misure per salva­guardare l'ambiente a Tarantocontinuando di fatto a produrrein questo modo osceno e quindinon eliminando il problema allaradice.

Il ricatto padronaleIl ruolo fondamentale dell'Ilva(ex Italsider) dalla sua nascita adoggi (quindi anche dopo lasvendita al padron Riva nel 1995a quattro soldi da parte di Prodi)è stato quello di “civilizzare” leclassi lavoratrici pugliesi alcapitalismo, di Stato prima, e“privato” con i Riva. Correvanogli anni Sessanta, anni in cui siera concluso il ciclo espansivodel boom economico italiano ecominciava la sua partediscendente. Di lì a poco avremoavuto l'ultima vera rivolta dellefabbriche occupate, che vennemessa a tacere con la legge 300,cioè con lo Statuto dei lavorato­ri. I lavoratori pugliesi seguironoquesto andamento, convinti delfatto che vivere per un padrone,vivere insomma di capitalismo,si può e lo possono fare anche ilavoratori. Il mito costruito daipadroni vuole che il lavoro da lo­ro “concesso” ridistribuiscaricchezza e permetta in unadelle zone di massima disoccu­pazione meridionale (cioè Ta­ranto) di “vivere”dignitosamente non solo ai la­voratori (resi più mansueti daquesti miraggi) ma anche a tuttequelle persone che gravitanoattorno all'indotto della fabbri­ca. E che sia cosa buona e giustache padron Riva guadagni sullemorti provocate da questi pro­cessi produttivi, che sia lui il pa­drone che lascia gli spiccioli esemina tumori per i suoi profitti.Questo noi invece lo chiamiamostragismo. Perché ammazzarecon i gas e i veleni della fabbrica

rende un padrone assassino.

Per una gestione operaiadella fabbrica

Per questo, e per ridere anchenoi di gusto come fanno i nostrigovernanti, vorremmo ri­convertire l'intero stabilimentoda ciclo integrato ad acciaieria arottami, eliminando queglienormi parchi minerali degnidell'anteguerra che sprigionanoossidi e molecole distruttive peril territorio e per chi ci abita. Eper farlo non attingeremmo allecasse statali già gravate dal debi­to, unica cosa rimasta pubblica,ma esproprieremmo tutto ai Ri­va e ai loro complici viste le cifreesorbitanti che hanno incassatoin questi due decenni. Ovvia­mente senza dimenticare chequalsiasi procedimento in que­sto senso non può essere legatoa nessun amministratore dele­gato o commissario nominatodai partiti o dalle istituzioni pa­gato con centinaia di migliaia dieuro all'anno (come accadeora). La gestione della fabbrica

deve essere guidata dalle lavo­ratrici e dai lavoratori, che deci­deranno nelle loro assembleecome guidare le produzioni e icambiamenti di quello che è ilfrutto dei loro sforzi. Senza trala­sciare che ciò deve essereaccompagnato dalla bonifica ditutto il territorio guidata dalle

lavoratrici e dai lavoratori di Ta­ranto con i soldi di Riva. Voglia­mo l'emancipazione della classelavoratrice. È questo che voglia­mo per Taranto e per tutto ilmondo. Non una continua stra­ge in nome del profitto. Dopo icoloni vogliamo i colori.(01/02/2014)

DopoicolonivogliamoicoloriIl caso emblematico dell'Ilva di Taranto

Nicola Porfido

Il Gasdotto Trans­Adriati­co (conosciuto come Tap,Trans­Adriatic Pipeline ) èun progetto nato per la

costruzione di un nuovo ga­sdotto che connetterà l'Italia ela Grecia attraverso l'Albania,permettendo l'afflusso di gasnaturale dalle zone del Cauca­so, del Mar Caspio e del MedioOriente. Il progetto è nato pervolere della Axpo Italia Spa, so­cietà attiva soprattutto nelcommercio di elettricità e gas,che nel 2006 diede parere posi­tivo circa la realizzabilità tecni­ca, economica e ambientaledel gasdotto e, dall'avvio delprogetto, Tap ha già ottenutodue finanziamenti dall'UE, neidicembre 2005 e 2006. Nel 2011vengono avviati i progetti dimonitoraggio del fondo mari­no che il 24 gennaio 2012hanno iniziato ad interessare ifondali di fronte la costa dellalocalità di San Foca (Melendu­gno, provincia di Lecce). Il pro­getto prevede la costruzione diun tubo lungo 520 km chegiungerà nel canale d'Otrantoper poi espandersi per altri 100km nel Mediterraneo fino agiungere a 450 metri dalla loca­lità di San Foca.

Il comitato No Tap e ladenuncia

Nasce così il comitato No Tap,espressione del dissenso dellapopolazione salentina che va­luta negativamente l'impattodi tale opera su un territorio adalta vocazione turistica e di pe­sca. Il progetto prevede la co­struzione di una centrale didepressurizzazione grande 12ettari (area Prt) dalla potenza diuna piccola centrale turbogas,

attorno alla quale sarà inevita­bile assistere alla nascita di ungrosso centro industriale inuna zona dove il 90% della po­polazione è composta di pe­scatori. Il cambiamentoforzato della vocazione econo­mica di una località non puòche portare danni alla popola­zione ed alla fragile economialocale, ma gli amministratoridel progetto Tap assicurano lacreazione di 300 nuovi posti dilavoro. Risulta ovviamentescontato constatare lamancanza di tanti tecnici spe­cializzati nella zona del Sa­lento. Non è solo l'economiache è a rischio: i danniambientali previsti sonoenormi. La falesia sulla quale lelocalità interessate dal pro­getto sorgono, è molto friabile egià gravemente erosa dagliagenti atmosferici. La strutturadel Prt inoltre sarà illuminata24 ore su 24 ed emanerà senzasosta un forte rumore, come di­chiarano gli stessi ammini­stratori del progetto. Inoltre leipotesi presentate prevedono

la costruzione di tale area neipressi di zone archeologichecome masserie risalenti al IVsecolo a.c. e zone interessateanche alla deposizione di uovada parte di specie di tartaru­ghe. Ulteriore danno perl'ambiente sarebbe dato dalfuturo divieto di impiantareulivi, vigneti ed alberi da fruttaa meno di 40 metri dal tubo cheverrà costruito sulla costa, conla conseguente espiantazionedi centinaia di ulivi secolari giàpresenti sul tracciato.

Gli interessi dei padronipoggiano sull'inganno

L'opera è di grosso interesseper l'Italia e per l'Europa stes­sa. I 20 miliardi di metri cubi digas che potranno passare dallaTap rappresentano il 39% delfabbisogno energetico nazio­nale italiano ma tale apporto digas non riguarda solo l'Italiama andrà in tutta Europa. Ilprezzo del gas però è legato so­lamente al prezzo del petrolioed all'andamento della borsa;

così le bollette della popolazio­ne non vedranno certo delle di­minuzioni. Anzi, il comitato NoTap denuncia anche la cattivapolitica della gestione delleinfrastrutture energetiche. Nel2012 c'è stato un aumento delprezzo del gas ma una diminu­zione di quello dell'energiaelettrica, un apparente contro­senso. Ma andando nel detta­glio si osserva che l'aumentodel prezzo del gas è stato dovu­to al pagamento di infra­strutture, costruite ed alcunemai utilizzate, per le quali loStato ebbe incentivi e fondi.Questi fondi ora sono fina­lizzati a ripagare le società chehanno costruito tali strutture

abbandonate e che ora ricevo­no fino all'80% di rimborso peril mancato guadagno, causal'inutilizzo. Questo costoovviamente è stato riversatosulle bollette dei cittadini.

La difesa del territoriopassa attraverso la lotta

ai padroni

Alternativa Comunista ed i suoimilitanti nel Salento appoggia­no e difendono la lotta che ilComitato No Tap sta condu­cendo sul territorio. È del tuttonecessario difendere l'econo­mia dei pescatori e del piccoloturismo locale poiché centina­ia di famiglie rischiano la

perdita del loro lavoro e delterritorio in cui vivono a causadel forzato cambiamento divocazione di esso, in nome distrategie economiche e politi­che finalizzate a dare allo Statoitaliano un maggior peso a li­vello internazionale.No al progetto Tap!No agli accordi internazionaliche portano allo sfruttamentoeconomico del territorio!Per uno sviluppo delle fontirinnovabili slegato dai poteriforti!Per una gestione operaia dellefonti di energia!(01/02/2014)

NoTap:ilSalentolottaperilproprioterritorioIl Pdac supporta la battaglia del Comitato No Tap

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PROGETTO COMUNISTA Febbraio ­ Marzo 2014 13DAL TERRITORIO

UnosguardosulNordEstLavoro,crisi,disoccupazione e lotte

Davide Primucci*

Il Ministro del Lavoro e dellePolitiche sociali, Enrico Gio­vannini, e il Ministro dell'Eco­nomia e delle Finanze, FabrizioSaccomanni, hanno firmato, loscorso 22 gennaio, il decretoattuativo della cassa integrazio­ne in deroga. Il provvedimentoha ripartito le risorse tra lesingole regioni. La cifra, cheammonta a 400 milioni d'euro, èstanziata per la concessione oper la proroga dei trattamenti dicassa integrazione guadagni,ordinaria e straordinaria. La re­gione che riceverà la somma piùalta sarà la Lombardia, con70.736.442 euro, a seguire il Ve­neto (35.637.246 euro). Assistia­mo ogni giorno al fatto che,dopo l'erogazione della cassaordinaria e di quella straordina­ria, nella stragrande maggio­ranza dei casi, arriva illicenziamento. Quest'espe­rienza l'hanno vissuta sulla pro­pria pelle anche i lavoratori del“ricco” Nordest, dove la crisi si fasempre più stringente. A titolo

esemplificativo osserviamo lasituazione di Padova. I numeri ciaiutano a capire in che statoversa l'economia di questa“grande realtà produttiva” delVeneto: i dati economici relativiall'intero 2013, divulgati ai pri­mi di gennaio dalla segreteriagenerale della Cgil locale, testi­moniano che anche a Padova latanto ventilata crescita è inesi­stente. Solo un dato, relativo alterzo trimestre dell'anno, lanciaun timido segnale di ripresa. Laproduzione industrialenell'ultimo trimestre ha regi­strato +2% rispetto allo stessoperiodo del 2012, dopo il ­5.6%del primo trimestre e il ­3.2% delsecondo. Per il resto i dati illu­strati fotografano una valle di la­crime in tutti i settoridell'economia. Dal 2007 ad oggil'industria padovana ha persoper strada 16mila lavoratori. Laproduzione è calata, complessi­vamente, del 24%. La cassa inte­grazione, nel solo 2013, ècresciuta del 22.6%. I licenzia­menti collettivi, semprenell'ultimo anno, sono au­

mentati del 24.6%. La disoccu­pazione giovanile è salita, in seianni, dall'8 al 24%. Un dato pe­santissimo che sta accomu­nando il Veneto e nello specificoPadova, alla drammatica realtàdi quasi tutte le città del sud, do­ve la disoccupazione superaovunque il 30%. Pesantissimo ildato relativo ai lavoratoricoinvolti nelle diverse procedu­re concorsuali (fallimenti,concordati preventivi): +74.1%rispetto al 2012. Insomma, unavera e propria Caporetto per laproduzione e per l'occupazionepadovana, mai arrivata tanto inbasso dal dopoguerra. Questinumeri possono essere realisti­camente applicati ai maggioricentri industriali del Nordestdove, negli ultimi anni, la crisinon ha subito alcuna battutad'arresto.

Tanti licenziamenti elotte perdenti

Tuttavia, non sempre di frontealla perdita di lavoro genera­lizzata si assiste all'avvio divertenze che respingono conforza il licenziamento. Le causeprincipali per cui le lotte stenta­no a partire sono molteplici,una di queste è la frammenta­zione del lavoro: oggi, salvoalcune imponenti realtà indu­striali, il tessuto produttivo èsuddiviso in una moltitudine diaziende, le cosiddette piccole emedie imprese. In queste realtài lavoratori, spesso, non sonosindacalizzati. In questo modoè facile che quando aziende conuna ventina di dipendentiannunciano la chiusura, i lavo­ratori non sono pronti e orga­nizzati per rifiutare illicenziamento con la lotta. Perquanto riguarda le aziende digrandi dimensioni un esempioimportante di lotta è quello

avvenuto alla Ferriera di Trieste,che lo scorso 24 gennaio è stataoccupata dalle maestranze.L'impianto è in amministrazio­ne straordinaria e trecento lavo­ratori sono a rischiolicenziamento. Quella mattina ilavoratori hanno bloccato lafabbrica, occupandone la dire­zione e negando l'accesso aimezzi pesanti all'internodell'impianto,. L'azione è avve­nuta in seguito alla notifica dicassa integrazione straordina­ria per 300 operai a partire dal 4febbraio. La Ferriera è anchechiamata L'Ilva del Nord­Est, acausa dell'inquinamentoambientale ad essa connesso, airischi per la salute dovutiall'emissione di polveri sottili,nonché a morti sospette tra i di­pendenti e parecchi casi di tu­mori tra gli abitanti della zonacircostante al sito produttivo. Ilcaso triestino è emblematico,qui i lavoratori hanno occupatola fabbrica perché rifiutano laprocedura di cassa integrazio­ne, consapevoli che potrebbefacilmente tramutarsi in li­cenziamento, peraltrospacciata dalla direzioneaziendale come indispensabileper dare avvio a lavori di ri­strutturazione dell'altoforno.

Le responsabilità deisindacati concertativi ela necessità di una lotta

generalizzataL'occupazione dei luoghi di la­voro come forma di lotta è sicu­ramente una delle più efficacima sicuramente non la più fre­quente. Purtroppo a dirigere levertenze dei lavoratori spesso cisono i “pompieri delle lotte”: isindacalisti dei sindacaticoncertativi Cgil­Cisl­Uil. I bu­rocrati sindacali di queste orga­nizzazioni, anziché porre

parole d'ordine avanzate checolleghino la singola vertenza aquelle più generali per una ri­sposta alla crisi economica delcapitalismo che possa essere fa­vorevole ai lavoratori, lancianomini scioperi di qualche ora,oppure presidi puramentesimbolici che non scalfisconominimamente i piani di li­cenziamento voluti dai padroni.Perciò le vertenze si concludonocon mobilità e licenziamentioppure cedendo a “ristruttura­zioni” interne con qualche pre­pensionamento e qualchecassintegrato, risultati, que­st'ultimi, che sono vantati daiburocrati sindacali come unavittoriosa riuscita della trattati­va. Ristrutturazioni chepuntualmente, dopo qualcheanno, non bastano al padrone, ilquale decide di ritornare suipropri passi chiudendo defini­tivamente la fabbrica. È propriociò che sta succedendo alla filia­le vicentina della multinaziona­le Akzo Nobel: nel 2011, a frontedi tre milioni di investimenti, isindacati hanno accettato il li­

cenziamento di 120 operai; solotre anni dopo la cosiddetta“riorganizzazione” avviene chela multinazionale si diceintenzionata a chiudere, la­sciando a casa un altro centina­io d'operai. Anche in questocaso la lotta stenta a partire e,per ora, sembra essersi arenatanei tavoli istituzionali in Regio­ne e al Ministero. In definitivaanche nel nord est, la cosiddetta“locomotiva d'Italia”, nons'intravede lo spazio per la finedella crisi del capitalismo.All'orizzonte solo ulteriori li­cenziamenti e diminuzione didiritti. La speranza di uncambiamento potrà avvenirequando i lavoratori riprende­ranno in mano il proprio futuroe, cacciando i burocrati sinda­cali, si organizzeranno perlottare contro i licenziamenti, losfruttamento, lo smantella­mento dei servizi pubblici e, piùin generale, contro il capitali­smo. (28/01/2014)*resp.le giovani diAlternativa comunista Veneto

Riccardo Vallesella*

Che il sindaco di Vi­cenza, Achille Variati,del Partito demo­cratico, sia uno dei

rappresentanti della classeborghese odierna non è unacosa che sorprende, così comedovrebbe essere chiaro il fattoche il Partito democratico, chealcuni si ostinano a considera­re un partito di sinistra, nonsia, invece, altro che un partitoliberale. Il sindaco di Vicenza,antifascista a parole, non di­mostra, guardando i fatti, diesser contrario al fascismo.Possiamo costatare come a Vi­cenza Forza Nuova abbia spa­zio e agibilità. Il fascismo èstato il responsabile, nel no­stro Paese, della carneficinarappresentata dalla secondaguerra mondiale e l'Italia èstata ridotta a una servitù mili­tare della potenza imperialistadegli Usa.

Vicenza: agibilitàall'estrema destra

Nel nome della libertà di opi­nione la Giunta di Vicenza, chefa riferimento al sindaco Va­riati, permette manifestazionixenofobe di varia natura econvegni come quello che do­veva tenersi il 7 settembrescorso con l'avvocato del ge­rarca nazista Priebke e dueesponenti del Npd, il partitod'estrema destra tedesco.L'utilizzo della sala per ilconvegno, autorizzatodall'amministrazione comu­nale, è stato poi revocato supressione della Questura ePrefettura, per problemid'ordine pubblico, negli stessigiorni in cui alcuni esponentidi organizzazioni sindacali e

politiche di sinistra avevanolanciato un appello control'iniziativa. Il fatto è che i fasci­sti fanno comodo alla borghe­sia odierna, e forse anche aVariati, che non s'impegna difatto a evitare la loro visibilitànonostante, quando gli fa co­modo, si richiami alla Costitu­zione (che bolla chiaramente,e senza possibilità di malinte­si, l'apologia di fascismo comereato). Ma nel caso di ForzaNuova egli se ne dimentica. Ifascisti, non solo di Forza Nuo­va, ma di qualsiasi organizza­zione di destra, fanno comodoalle dirigenze borghesi perché,per quanto preferirebberofarne a meno, possono sempreessere utili contro lavoratori inlotta e organizzazioni di sini­stra. Che nei partiti di estremadestra, funzionali al capitali­smo, militino individui delproletariato senza coscienzadi classe, è un motivo per cuidiventa ancora più facile, per ilpotere, dividere la classe e mu­tilare gli oramai pochi diritti ri­masti alla classe operaia diquesto Paese. Fomentandoquesto scontro le classi diri­genti riescono a mantenere di­visi i lavoratori e cosi facendoottengono un'opposizione di­visa e con un potere d'azionenotevolmente ridotto, cosautilissima per i padroni, datoche le masse, in virtù dei nu­meri, possono essere lasalvezza o la distruzione deiregimi borghesi. Fomentandoindirettamente questoconflitto interno alla classeoperaia i padroni fanno sì chele energie dei lavoratori sianorivolte a scopi di fattodistruttivi invece che alla ri­cerca di effettive soluzioni alladeprecabile situazione in cuisi trovano. Il “dividi e co­

manda” non sembra poi cosìobsoleto come potrebbeapparire, anzi. C'è da conside­rare un altro fattore: a causadella loro ideologia, le orga­nizzazioni neofasciste sa­ranno sempre disposte adappoggiare le autoritàfintantoché queste aspirano adanneggiare le organizzazionicomuniste e sindacali di lotta.

L'antifascismoistituzionale

è carta straccia

Di fatto, con buona pace dellaloro Costituzione, contro i fa­scisti non si schierano né mi­nistri né sindaci, come ilsindaco di Vicenza, così comein generale tutta la borghesiaitaliana, proprio perché i fa­scisti possono essere da loroconsiderati delle valide“truppe” contro la sinistra ri­voluzionaria italiana nel mo­mento in cui questa diventeràun problema per la loro pacesociale. La borghesia di oggi sista preparando a seguireeventualmente le orme dellastessa borghesia che appoggiòl'ascesa del fascismo all'iniziodel ventesimo secolo. A Vi­cenza si stanno moltiplicandole scritte dei neofascisti in va­rie zone della città, nono­stante Vicenza sia una dellecittà più video­sorvegliate diquesto Paese. Da parte nostra,come giovani di AlternativaComunista, continueremo aripetere che, per combattere ilfascismo, non bisogna farenessun tipo di concertazionecon la borghesia e bisogna co­struire un partito rivoluziona­rio che sappia rappresentareun'alternativa. (27/01/2014)*Giovani di Alternativacomunista Vicenza

Vicenza:amministrazioneVariatieForzaNuovaL'ambiguità dell'antifascismo parolaio della borghesia

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14 Febbraio ­ Marzo 2014 PROGETTO COMUNISTAINTERNAZIONALE

Europa:laconfusioneregnaasinistraLa rottura dell'Ue e l'uscita dall'euro: la posizione del Pdac

Valerio Torre

Con lo scoppio della cri­si economica l'ade­guamento strutturaleimposto dall'imperia­

lismo ha colpito tutto il proleta­riato del continente europeo,sia pure con diversi effetti a se­conda del Paese in cui venivaapplicato. È in particolare neiPaesi della periferia che queglieffetti sono stati partico­larmente virulenti. Basti pensa­re alla situazione che vivonoGrecia e Portogallo, ridotti alrango di semicolonie e in cui lemisure di austerità sono statetanto selvagge da aver cambiatola struttura sociale e quella delloStato, che ora risponde diretta­mente all'imperialismo. Pursenza aver raggiunto questi li­velli (1) anche l'Italia è stataoggetto di provvedimenti eco­nomici feroci che hanno de­terminato un rilevanteabbassamento del livello di vitadelle classi popolari: la deca­dente borghesia di un imperia­lismo di terza fila come quellonostrano, incapace di svolgereun ruolo indipendente nelmercato mondiale, si èattaccata come un parassita aigrandi squali (Germania,Francia, Inghilterra) e pur di as­sicurarsi gli affari monopolisticinel proprio Paese continuandoad essere socio di minoranza delclub imperialista, ha impostoinauditi sacrifici al proletariatoitaliano. Solo ora, settori semprepiù ampi delle classi sfruttatecominciano a prendere co­scienza di essere stati imbro­gliati quando l'Ue e l'eurovenivano spacciati come stru­menti di progresso economico alivello continentale. Sia pure inmaniera confusa, cresce il c.d.“euroscetticismo” fra gli italia­ni: recenti sondaggi mostranocome appena più della metà de­gli intervistati abbia fiducianell'Ue, mentre è altissima(74%) la percentuale di chi èinsoddisfatto dell'euro. E tutta­via, a fronte dei poco fruttuositentativi da parte di piccoleorganizzazioni della destra fa­scista di uscire dalla marginalitàutilizzando questomalcontento popolare neiconfronti delle istituzioni so­vranazionali, non c'è a sinistrala chiara comprensionedell'importanza di padro­neggiare un tema così delicato eimportante, in grado di per sé dicoagulare la protesta delle mas­se impoverite intorno a unapiattaforma unificantedall'intrinseco carattere antica­pitalista. Un osservatore checercasse di comprendere le po­sizioni dei partiti della sinistraitaliana sull'argomento Ue/eu­ro si troverebbe di fronte alle piùdiverse e contraddittorie opi­

nioni.

Cosa pensa il Prc dell'Ue edell'euro

Rifondazione comunista, adesempio, fedele alla propriaappartenenza al Partito della si­nistra europea (Pse) (2) , proponela rifondazione dell'Europa nelsenso di un riequilibrio dei po­teri (in favore del parlamentoeuropeo e in danno dellaCommissione) e dello sviluppodella “democrazia partecipativanelle istituzioni e nelle imprese”(3) . Il Prc sostiene esplicita­mente la necessità della costru­zione di un'altra Europa al postodi questa attraverso la “modificaradicale degli attuali assettidell'Unione Europea”. Coe­rentemente, ritiene che debbaessere abbandonato questo mo­dello di integrazione in favoredella costruzione di un diverso“sistema di alleanze e relazioniinternazionali” (4) . In questoquadro, ovviamente, l'euro deveperciò essere salvaguardato:non a caso il congresso del Prcappena concluso ha respinto unemendamento, che, sia pure inmaniera timida e confusa, pro­poneva l'adozione della parolad'ordine dell'uscita dall'euro. Sitratta, in definitiva, di una posi­zione di ultima trincea di difesadell'Ue che presupponel'accettazione delle basi delprogetto imperialista della“unità dell'Europa”. È questo ilsignificato del concetto di “inte­grazione europea” squadernatonel documento del congressodel Pse: rendere solo piùaccettabile l'ingranaggio impe­rialista che impedisce la veraunità che andrebbe perseguita,quella del proletariato europeo.

La posizione di Sinistraanticapitalista...

Non va meglio in casa di Sinistraanticapitalista, cioè il tronconeche fa capo a Turigliatto nato inseguito alla frattura di Sinistracritica (5) . Conformemente alleposizioni espresse da ciò che re­sta dell'organizzazione interna­zionale cui sembra richiamarsi– e cioè quella che usurpa il no­me di Quarta Internazionale –Sinistra anticapitalista rifiutaesplicitamente la parola d'ordi­ne dell'uscita dall'euro. E così,se il suo raggruppamentointernazionale sostiene che vacompreso “il crescente senti­mento popolare di rifiuto versol'euro e l'Europa. Tuttavia, ciòsignifica porre il problema alcontrario, soprattutto se l'uscitadall'euro avviene in un'econo­mia che continua ad esserecapitalista e, pertanto, equi­varrebbe a una svalutazionemassiccia che sarebbe un'altraforma di austerità contro i po­

poli” (6) , Sinistra anticapitalistaconsidera quella dell'uscitadall'euro una “propostasemplicistica” di “ripiegamentosugli Stati nazionali”, da uti­lizzare tutt'al più da parte di unfantomatico “governo di sini­stra dei lavoratori” come “armadissuasiva e elemento di condi­zionamento e di prova di forzacon il padronato e l'Unione eu­ropea”; e propone che “la rottu­ra con l'attuale Unione europeacapitalista debba essereaccompagnata da un progettodi rifondazione democratica,cooperativistica e socialistadell'Europa” (7) . In realtà, il ri­fiuto popolare verso l'Ue e l'eu­ro che quest'organizzazione fasolo finta di “comprendere”rappresenta un passo verso laparola d'ordine della rottura,che nei Paesi dominati è unponte per disputare la co­scienza dei lavoratori e farlaavanzare verso le misure anti­capitalistiche di transizione ne­cessarie alla difesa del Paese:non pagamento del debito,esproprio delle banche e delleimprese strategiche sottocontrollo operaio. Se invece didifendere la rottura con l'Ue el'euro si dice ai lavoratori, comefanno Sinistra anticapitalista e ilsuo raggruppamento interna­zionale, che essi “pongono ilproblema al contrario” e chequindi bisogna “lottare contro ilcapitalismo”, allora consegnia­mo la lotta contro l'Ue all'estre­ma destra al populismo e alnazionalismo. Come si vede, sitratta in buona sostanza dellastessa posizione del Prc,agghindata con qualchepennellata di rosso.

...e degli stalinisti diRoss@

L'approccio al problemadell'Europa e dell'euro da partedi Ross@ – la non ancora natacreatura di Giorgio Cremaschi –è, se possibile, ancor più confu­sionario. La “relazione interna­zionale”, che nelle pococonvinte opinioni del gruppofondatore avrebbe dovutosancire la nascita della nuovaorganizzazione (ma il “lietoevento” è poi stato rinviato –forse – al prossimo giugno)esordisce con la rivendicazioneesplicita della rottura con l'Ue.Ma subito dopo chiarisce che sitratta di una “rottura demo­cratica”. Come? Ma è chiaro:attraverso un bel referendumpopolare che, ben consapevoliche giammai potrebbe essereconvocato per esplicito divietocostituzionale, i promotori diRoss@ hanno pensato bene dielemosinare attraverso un'inu­tile petizione alla presidentedella Camera Boldrini. E, a di­mostrazione del “calderone”

che è Ross@, in cui c'è tutto e ilcontrario di tutto, giova segna­lare che, mentre Andrea Ricci,“esperto” economico dei cre­maschiani, prospetta una pos­sibile uscita dall'euro “in unaprospettiva di rilancio del pro­cesso d'integrazione europea” ein chiave monetarista (mante­nimento dell'euro come mone­ta dei Paesi forti e come unità diconto e mezzo di pagamentoper le transazioni ufficiali; crea­zione di una “eurolira” degliStati deboli del sud dell'Europa;concorrenza fra quest'ultimadivisa, svalutata, e quella uffi­ciale) (8) , la Rete dei comunisti(l'organizzazione stalinista chedirige clandestinamente ilsindacato Usb e che fa parte delnucleo fondatore di Ross@) pro­pone di poggiare la propria pro­posta di uscita dall'euro e dirottura con l'Ue sull'analogodesiderio di settori dellaborghesia nazionale in crisi (fa­cendo quindi blocco con essa,nell'eterna riproposizione diuno dei cavalli di battaglia dellostalinismo!) e di costruireun'area “euro­afro­mediterra­nea” sul modello dell'Alba lati­noamericana, cioè un'areacapitalistica dei Paesi debolisud europei (9) .

Per la rottura dell'Ue el'uscita dall'euro! Per gli

Stati Uniti socialistid'Europa!

L'Ue è la piattaforma degliimperialismi centrali europei,egemonizzata dal capitalismotedesco e associata all'imperia­lismo nordamericano, in cui icapitalismi periferici sonocondannati a un ruolo misera­bile come soci di minoranza esubalterni. Le condizioni dellaconcorrenza internazionale edella divisione sociale del lavo­ro nell'Ue fanno sì che la so­pravvivenza del decadentecapitale finanziario italiano e lasua collocazione nel mercatomondiale dipendano dalla suapermanenza nell'Ue e nell'eu­ro. Ma il prezzo per questapermanenza è enorme: lasoggezione tendenzialmentecompleta del Paese agli ordinidella Troika, la disoccupazionemassiccia e l'imposizione di unnuovo standard di sfruttamentoche non ha nulla da invidiare aquello di un Paese semicolonia­le. Proprio per questo, la rotturacon l'euro e l'Ue è assoluta­mente necessaria ed è labandiera che il Pdac e le altre se­zioni europee della Lit – QuartaInternazionale stanno agi­tando. Senza di essa non c'è so­luzione alla crisi. Ma da sola nonpotrà risolvere nulla se non saràaccompagnata dalle misureanticapitaliste di base, necessa­rie per difendere il Paese dal

boicottaggio estero: espropriodelle banche, nazionalizzazio­ne di imprese e settori indu­striali strategici sotto controllodei lavoratori, controllo deimovimenti di capitale e mono­polio del commercio estero,riorganizzazione dell'econo­mia riaprendo le imprese chiusee le terre abbandonate, ri­partendo il lavoro esistente tratutti i lavoratori. E, quel che èpiù importante, organizzare lasolidarietà e la lotta unita con ilavoratori e le masse popolaridel Sud e di tutta Europa. Perchésenza distruggere tutti insiemel'Ue e costruire al suo postoun'Europa socialista dei lavo­ratori e dei popoli nessun Paeseda solo potrà salvarsi. Il pro­fondo ripudio dei rivoluzionarialla caricatura di unità europeasotto l'imperialismo non siesprime nella difesa della“patria” nazionale. Seguendo gliinsegnamenti di Rosa Lu­xemburg, Lenin e Trotsky, ri­vendichiamo la nascita degliStati Uniti socialisti d'Europa.La nostra intransigente difesadella rottura con l'Ue e l'uscitadall'euro non si confonde mini­mamente con la difesa delloStato nazionale: solo il proleta­riato può davvero unificarel'Europa nell'unione libera evolontaria degli Stati socialistid'Europa. (01/02/2014)

Note

(1) Soprattutto in Grecia, ci sonoi sintomi di un arretramentoepocale: non si contano le mortifra i malati in coda per accederealle cure ospedaliere, sonoriapparse malattie tipiche dellapovertà che non si vedevano dapiù di mezzo secolo, è diffusis­sima la malnutrizione.(2) Aggregazione che raggruppaIzquierda Unida di Spagna, DieLinke della Germania, Syrizadella Grecia, il Front de gauchefrancese, il Bloco de esquerdaportoghese, tra gli altri.(3) Così, testualmente, recita ildocumento recentementeapprovato nel IV congresso delPse.(4) Si tratta della propostacentrale, rispetto al tema euro­peo, contenuta nel documentoapprovato a larghissimamaggioranza nel congresso diRifondazione celebrato loscorso mese di dicembre.(5) Sulla vicenda della rottura diSc si può utilmente leggerel'analisi che ne abbiamo fattoall'indirizzohttp://www.alternativacomu­ni­sta.it/content/view/1872/47/.(6) “Relazione sulla situazioneinternazionale”, Bureau esecu­tivo della Quarta Internaziona­le, giugno 2013.(7) Sul sito di Sinistra anticapi­talista, Olmo Dalcò, partendodal presupposto che “la que­stione di una unione economicae monetaria non è irrilevanteper la classe lavoratrice”, ritieneche la parola d'ordine dell'usci­ta dall'euro sia nazionalista eche “solo attraverso lacontrattazione collettiva su ba­se europea si può definitiva­mente rompere la concorrenzatra lavoratori e lavoratrici che ilcapitale impone”.(8) Andrea Ricci, “Un'alternati­va europeista al crollo dell'euro”(http://www.contropia­no.org/interventi/item/18065­unalternativa­europeista­al­crollo­delleuro): va sottolineatol'utilizzo dell'aggettivo “euro­peista” già a partire dal titolo,tanto per mettere in chiaro iconfini della proposta.(9) Http://www.retedeicomu­nisti.org/index.php/docu­mentirdc/255­fuori­dall­unione­europea­una­proposta­poli­tica­per­il­cambiamento­fo­rum­euromediterraneo­roma­30­novembre­1­dicembre­2013.

Vladimiro B. non è nato oggi,e neppure ieri. Era unmilitante di Rifondazionecomunista nel 1996, quandogli venne comunicata ladecisione di sostenere lacoalizione dell'Ulivo, l'orridoalberello anticomunista chenasceva con le radiciimpiantate nel simbolo delPCI. Il suo commento: "Orabisogna battere le destre,mica vorremo avere fascisti erazzisti al governo? E poi èun'occasione storica, per laprima volta i comunistipotrebbero andare al governodel paese, magariindispensabili".Nel 2005, quando gli disseroche avrebbe dovutosostenere l'Unione, il suocommento fu: "Non ci sonoscelte, e poi questa volta èun'alleanza organica.Giustamente non abbiamopreteso impegni precisi nelprogramma: come ha dettoBertinotti pervaderemo ilgoverno con le nostreproposte, che sono poi quelleche si stanno facendo stradanei movimenti di tuttaEuropa".Nel 2008, quando glicomunicarono la nascita dellaSinistra Arcobaleno,commentò entusiasta: "Eraora! Un cartello di tutte le forzeantagoniste o alternative, unospazio elettorale di oltre il10%. Veltroni, che non si èvoluto accordare prima, dovràcoinvolgerci poi".Quando nel 2013 gli parlaronodi Rivoluzione civile, forseebbe un attimo di esitazione:"Beh... certo che di alternativenon ce n'erano... una lista cheusa la parola rivoluzionemostra comunque quantopeso abbiamo noinell'alleanza, siamo in unafase nuova e così ci mettiamonelle migliori condizioni perinterpretarla".Nel 2014 gli hanno propostola Sinistra per Tsipras: "Unaprospettiva interessante:finalmente un'alleanzainternazionale, l'unica via peril rilancio". (a.)

Vista l'età media deiproponenti della Lista perTsipras, il dubbio Syriza o nonSi riza è più che legittimo. (a.)

"Con Tsi Pras per dire tsì atutto": ecco lo slogan con cuiSEL ha deciso il sostegno allalista per Tsipras. ComunqueTsipras potrà esserepronunciato solo daFratoianni, gli altri, a partire daVendola, non sono in grado.(a.)

Come si restaura una tela del'700 bucata da un tappo dispumante? Gli esperti dellaprovincia di Milanoconsigliano lo scotch:economico, rapido, noncompromettente. Il 19dicembre i consiglieriprovinciali stavanofesteggiando l'ennesimo annodi sopravvivenza del loro enteinutile, quando all'assessoreRoberto Cazzago (PDL) èpartito il tappo di una bottigliache, sciagura vuole, si èandato a infilare proprio sullatela che narra le imprese delmarchese Isimbardi (a cui ètitolato il palazzo). Il misterosul chi fosse il responsabile èdurato qualche giorno. Ma poiCassago ha confessato: "Nonsono sicuro al cento percento, ma mi sa proprio che labottiglia era mia. Abbiamoun'assicurazione, se noncoprirà il danno vorrà dire chepagherò personalmente ilrestauro". Per vedere la facciadi Cazzago:http://www.provincia.milano.it/chi_governa/giunta_provinciale/scheda_cassago.html(a.)

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PROGETTO COMUNISTA Febbraio ­ Marzo 2014 15INTERNAZIONALE

Allavigiliadell'XICongressodella Lit–QuartaInternazionale(Lit­Ci)Valerio Torre

La battaglia di León Trotskyper costruire la QuartaInternazionale ha rappre­sentato il tentativo di darecontinuità alla battaglia diLenin e dei bolscevichi allatesta della Terza Internazio­nale. Ma la Quarta Interna­zionale, dal punto di vistaprogrammatico, è stata piùdi questo. È stata il tentativodi attualizzare il pro­gramma bolscevico di frontea un avvenimento inedito:la degenerazione del primoStato operaio. La restaura­zione del capitalismo negliex Stati operai e le rivoluzio­ni dell'Est hanno fatto sì chemolti settori del trotskismogiungessero alla conclusio­ne che la realtà aveva dimo­strato il fallimento delprogramma trotskista. Noisiamo arrivati alla conclu­sione opposta: la restaura­zione del capitalismo, lerivoluzioni dell'Est el'attuale situazione dimo­strano che il programmatrotskista ha superato laprova dei fatti. Ma un pro­gramma è ben più diqualche foglio di carta. Unprogramma è lacomprensione comune degliavvenimenti e dei compitiche da essi derivano. Perquesto, un programma puòconcretarsi solo in un parti­to. Questo partito è mondia­le e si chiama QuartaInternazionale. La battagliaper ricostruire la QuartaInternazionale è la princi­pale conclusione pro­grammatica dell'attualità.La lotta per ricostruire la Le­ga Internazionale dei Lavo­ratori – QuartaInternazionale (Lit­Ci), cheè al centro delle nostre pre­occupazioni, non è unobiettivo in sé: è al serviziodella ricostruzione dellaQuarta Internazionale. Conqueste parole si conclude­vano le Tesi sulla situazionemondiale approvatedall'VIII Congresso dellaLit, svoltosi nel luglio del2005. E quando si celebreràl'XI Congresso – dal 6 al 12aprile 2014 – saranno pas­sati quasi nove anni, maquest'analisi è ancora diun'impressionante attuali­tà.

Una nuova situazionein America Latina

Il prossimo Congresso dellaLit verrà realizzato nel qua­dro di un panoramamondiale estremamenteinstabile per l'imperiali­smo, con la crisi economica

più profonda dal 1929 edalla quale il capitalismonon riesce a trovare una viad'uscita se non conti­nuandone a scaricare glieffetti sulla classe operaia eperciò continuando adaccumulare le fascine peruna possibile esplosionesociale; sullo sfondo di unarivoluzione che ha attra­versato l'intero Nord Africae il Medio Oriente e che ètutt'altro che esaurita (co­me dimostrano tra l'altrol'acutissima guerra civile inSiria e la situazione inEgitto); e della ripresa dellalotta di classe in tanti Paesi.Ma soprattutto alla luce delnuovo processo rivoluzio­nario che si sta aprendo inAmerica Latina, a partiredal Brasile. Le splendidegiornate di giugno, chehanno visto l'intero Paeselatinoamericano percorsoda una marea giovanile cheprotestava solo apparente­mente per i 20 centesimi direal di aumento dei prezzidei biglietti dei trasporti –ma che in realtà invadeva lepiazze e le strade per conte­stare il modello socialecapitalistico sostenuto daigoverni Lula prima e DilmaRousseff che ha proleta­rizzato la gioventù salariatapiù scolarizzata della storiadel Brasile – hanno aperto laporta all'ingresso sulla sce­na della lotta di classe delpiù grande proletariatodell'intero continente,inaugurando una nuova fa­se con l'inizio di una situa­zione prerivoluzionaria.Ciò che sta accadendo inBrasile è tanto piùimportante in quanto, alcontrario di altri Paesi lati­noamericani, la storia bra­siliana non ha mai vistoperiodi di crisi rivoluziona­rie in cui il potere politicofosse disputato dalla classeoperaia. Ma oggi le grandicittà brasiliane sonoenormi barili di polvere. Ilprocesso accelerato diurbanizzazione nellastrategia del capitale haportato alla concentrazionedi masse di lavoratori impo­veriti in quartieri popolari,con pessimi servizi pubblicidi trasporti, sanità e istru­zione. E la crisi urbana èancor più ampia, dato cheinveste tutta la periferiadelle grandi città in cui,anche grazie alla realizza­zione delle grandi opere peri Mondiali del 2014 e leOlimpiadi del 2016, vivonomilioni di operai industria­li, lavoratori regolari e irre­golari, disoccupati eambulanti. Un'esplosione

rivoluzionaria nel Paesemetterebbe in movimentoqueste masse popolari, cosìcome il proletariato.Insomma, la fase che si èaperta in Brasile a partiredalle giornate di giugno loavvicina alla situazione ri­voluzionaria mondiale tra­sformando il Paese in unfattore di destabilizzazionea livello continentale. Ciòche rende particolarmenteimportante l'XI Congressodella Lit è che la sua sezionebrasiliana, il Pstu, un parti­to rivoluzionario profonda­mente inserito nella lotta diclasse, anche con ruoli didirezione, può svolgere unaparte rilevante in questoprocesso per la costruzionedi una direzione rivoluzio­naria delle lotte, una dire­zione cosciente econseguente del processoin atto.

I processirivoluzionari in NordAfrica, Medio Oriente

ed Europa: l'analisidella Lit

Ma non sarà solo la situa­zione nel continente lati­noamericano a formareoggetto di discussione delprossimo Congresso. Il pro­cesso rivoluzionario vi­gente in Nord Africa e inMedio Oriente sarà ampia­mente dibattuto, so­prattutto considerandol'esplosiva situazione inEgitto e la guerra civile in Si­ria, rispetto alla quale la Litha già lanciato – e intendesviluppare – una campagnadi aiuto internazionalistaalle truppe ribelli le quali,oltre a fronteggiare learmate di Assad, debbonoora difendersi anche dallemilizie quaediste. E natu­ralmente la situazione dellalotta di classe in Europa sa­rà uno dei centri delconfronto congressuale, te­nuto conto dello sviluppodal passato Congresso adoggi delle sezioni della Litnel nostro continente e delfatto che fra qualche mese sivoterà per le elezioni euro­pee, con tutto ciò che nediscende in termini diapertura di uno spazioenorme per la propagandadei rivoluzionari. Insomma– e riservandoci di tornarepiù approfonditamente inargomento una volta che idocumenti saranno pubbli­cati – l'XI Congresso che laLit si accinge a celebrarenon ha nulla a che vederecon la fase di crisi cheall'inizio degli anni '90 essa

ha vissuto, con il lungo pe­riodo di “traversata nel de­serto”, con gli annidell'alluvione opportunistache ha portato tante orga­nizzazioni della sinistra(anche provenienti daltrotskismo) ad abbandona­re gli ideali rivoluzionariper approdare sui lidi del ri­formismo, dell'opportuni­smo e dell'elettoralismo. LaLit ha tenuto alta la bandie­ra di quegli ideali mante­nendo il filo dellacontinuità storica delmarxismo in seno alla clas­se operaia e strutturandosi– fino a diventare lacorrente internazionale piùimportante e più dinamicanel panorama mondialedella lotta di classe – comemotore per la ricostruzionedi un'Internazionale rivo­luzionaria, democratica­mente centralizzata – laQuarta – che si ponga lo sco­po di superare quella cheLeón Trotsky felicementedefinì una “crisi di direzio­ne rivoluzionaria”.

Un'occasione dibilancio e il progetto

di costruzione diun'Internazionale

rivoluzionaria

Ogni congresso costituiscesempre un'occasione di bi­

lancio dell'attività svolta,ma anche la necessariamessa a punto di un pro­getto. Il periodo di tempoche ci separa dal X Congres­so ci consegna una Lit piùforte e ancor meglio inseritanei processi della lotta diclasse. Del resto, proprio lariuscitissima iniziativainternazionale con cui, sulfinire del 2012, si sono cele­brati in Argentina i 30 Annidalla fondazione della Lit(1)

ci dà diritto all'ottimismo.Ma, com'è ovvio, tutto ciònon basta. Di fronte a unapolitica mondiale dei capi­talisti che è unificata nel suosviluppo e nel suo obiettivo– scaricare gli effetti dellacrisi sui lavoratori di tutti iPaesi – le lotte, anchequando sorgono, sono divi­se, frazionate e, soprattutto,spesso controllate da buro­crazie sindacali e politicheche non hanno nessunaintenzione di rovesciare unsistema da cui, in un modo oin un altro, hanno ricevutoprivilegi e briciole da distri­buire. Di fronte a un attaccounificato c'è bisogno di unarisposta unificata e, so­prattutto, di una direzionerivoluzionaria unica ecentralizzata che possaorganizzare una sola massad'urto contro i piani delleborghesie mondiali, stabi­lendo l'unità della classe la­

voratrice al di là dellefrontiere nazionalipartendo dalle rivendica­zioni e dalle lotte degli stes­si lavoratori elevandole alotta comune contro i go­verni, i padroni e le direzio­ni traditrici che voglionofarci pagare una crisi chenon è nostra. Lungi da ogniautoproclamazione, la Litmette la propria organizza­zione, i quadri e la militanzaal servizio della ricostru­zione della Quarta Interna­zionale, un progetto chenon rappresenta un feticcioprodotto di dogmi, ma unanecessità che partedall'analisi della realtà edalla constatazionedell'attualità del Pro­gramma di Transizione. Èquesto il compito che l'XICongresso della Lit­Ci sipone, facendo appello atutti i rivoluzionari adunirsi a questa battaglia:l'unica che potrà far uscirel'umanità dalla barbarie perproiettarla verso un mondodiverso, quello Socialista.(01/02/2014)

Nota

(1) Se ne può trovare unasintetica cronaca all'indi­rizzohttp://www.alternativaco­muni­sta.it/content/view/1742/45/.

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16 Febbraio ­ Marzo 2014 PROGETTO COMUNISTACAMPAGNA TESSERAMENTO 2014

1Perché il capitalismo non hanulla da offrire all'umanità: solouna crisi sempre più profonda,guerre, miseria, politiche razziste,

distruzione dell'ambiente,discriminazione sessuale. Cassaintegrazione, licenziamenti,disoccupazione, precarietà: sono parteessenziale di questo sistema economico.Eppure già oggi un diverso sistema sociale,basato su un'economia pianificata in basealle esigenze della stragrandemaggioranza dell'umanità, consentirebbedi eliminare su scala internazionale lafame e la disoccupazione e di liberaremilionidiuominidallaschiavitùdel lavorosalariato. Ma questo significherebbe, percapitalisti e banchieri, per un pugno difamiglie, perdere i profitti miliardari: perquesto vogliono scaricare sulle spalle deilavoratori e dei giovani i costi della lorocrisi, per questo continuano a essereterrorizzati dal comunismo.

2Perché i governi borghesi, di

centrosinistra,centrodestra o“dilarghe intese”, nonrappresentano gli interessi dei

lavoratori. Oggi il governo Letta stasferrando uno dei più pesanti attacchi aidiritti dei lavoratori che la storia deldopoguerra ricordi: prosegue nellosmantellamento e nella privatizzazionedei servizi pubblici, Scuola e Sanità,Trasporti iniziato dai precedenti governiMonti, Berlusconi e Prodi. Aumento delletasse dirette e indirette su salari e pensioni,aumento dell'Iva, tasse sui carburanti,blocco degli aumenti salariali per milionidi dipendenti pubblici. Mentre cresconoin maniera esponenziale licenziamenti,chiusure di fabbriche, ricorso alla cassaintegrazione e si negano i diritti piùelementari dei lavoratori anche sui luoghidi lavoro (vedi il “patto di rappresentanza”siglato dalle burocrazie sindacali conConfindustria, per garantire la “pacesociale” di fronte all'attacco padronale).

3Perché solo un governo dei

lavoratori può costruireun'economia diversa, in grado digarantire a tutti una vita degna.

Oggi restano solo due strade: o lasciare cheil capitalismo trascini l'umanità in unacrisi ancora più brutale, o l'assunzione daparte dei lavoratori della direzione dellasocietà, espropriando gli espropriatori. Aicapitalisti ­ qualche centinaio di famigliein tutto il mondo ­ conviene intraprenderela prima strada; per la maggioranzadell'umanità significherebbe il disastro. Èper questo che è necessario e urgente che ilavoratori si organizzino sulla base di unprogramma di indipendenza di classedalla borghesia e dai suoi governi, perattuare un piano operaio contro la crisi:rifiutando di pagare il debito di banchieri ecapitalisti; imponendo la scala mobile deisalari e delle ore lavorative e l'assunzione atempo indeterminato di tutti i lavoratoriprecari; abolendo tutte le leggi razziste epraticando l'unità nelle lotte tra lavoratorinativie immigrati;occupandolefabbricheche chiudono e licenziano; espropriandosotto controllo dei lavoratori le grandiindustrie e le banche; creando un'unicabanca di Stato al servizio dei lavoratori. Ilprimo passo in questa direzione dovrebbeesserelacostruzionediungrandescioperogenerale prolungato che fermi l'attaccodel governo. L'esatto contrario degliscioperi di poche ore, frammentati, volutidalle burocrazie sindacali, Cgil in testa. Unsimile programma può essere impostosolo da un governo dei lavoratori, che dia

agli sfruttati di oggi il controllo dellasocietà, che costruisca un'economia piùrazionale, volta alla sodisfazione deibisognisocialienonpiùbasatasulprofittodi pochi. Un'economia socialista.

4Perché una prospettiva di

autonomia di classe del mondodel lavoro dalla borghesia e daisuoi governi richiede la

costruzione di un'altra sinistra,rivoluzionaria, di un partito comunista.Questoèilprogettoincuisonoimpegnati imilitanti di Alternativa Comunista.Disponibili all'unità d'azione nelle lotteconlealtreforzedisinistramaconsapevolidella subalternità della Sel diVendola e deidirigenti di quanto rimane diRifondazione Comunista (distruttaappunto da anni di collaborazione digoverno con la borghesia) allagovernabilità borghese. Una subalternitàche si manifesta, oggi, nell'assenza di unarealeopposizione,dapartediquesteforze,al governo Letta, funzionale a ricucire,domani,un'alleanzadigovernoconquellostesso Pd e con quella borghesia che oggisostengono, insieme al centrodestra, ilgoverno“delle larghe intese”.

5Perché è necessario costruire unpartito comunistainternazionalista einternazionale: che non si limiti

cioè ad avere qualche relazionediplomatica con altri partiti o asimpatizzare per le lotte che si stannosviluppando in tutto il mondo (dall'Egittoalla Siria, dalla Grecia al Brasile) ma checerchi di unificare queste lotte, diorganizzarle su scala internazionale,costruendo una Internazionale basata suun programma rivoluzionario, la QuartaInternazionale. Cosa è il Pdac Il Pdac nonhalapretesadiessere,giàoggi,quelpartitorivoluzionario che serve urgentemente ailavoratori.Ènecessariounlavoropazientedi costruzione, di radicamento, che peròva iniziato oggi, cogliendo le potenzialitàdellanuovafasediascesadellelottechesièaperta nel mondo. Serve un partito che siradichi tra le masse, che elevi la coscienzadei lavoratori politicamente attivi fino allacomprensionedellanecessitàdiabbatterequesto sistema economico e sociale, chestiainognilottaeinognimobilitazionepersvilupparla in una prospettivarivoluzionaria. Il Pdac è un partito in cui sidiscute democraticamente; in cui sono imilitanti a definire la linea, a elaborarecollettivamentelepubblicazioni(sitoweb,giornale, rivista teorica). È un partito in cuii militanti si formano al marxismo neiseminari, sempre coniugando lo studiocon la concreta attività nelle lotte e nellepiazze.Èunpartitoincui igiovani(lapartepiù numerosa) dispongono di un loroambito di elaborazione e di intervento (iGiovani del Pdac). Il Pdac è soprattuttol'unico tra i partiti e le organizzazioni dellasinistra a fare parte di una Internazionaleviva e realmente presente in decine diPaesi nei diversi continenti: la LegaInternazionale dei Lavoratori­QuartaInternazionale,lapiùestesaedinamicatrale organizzazioni che si richiamano altrotskismo, cioè al marxismo odierno.L'Internazionale che sta svolgendo unruolo di primo piano in tutti i processi dilottapiùavanzatinelmondo:dallaSpagnaalla Turchia, dal Portogallo all'interventoattivo nelle rivoluzioni di Egitto e Siria, alruolo dirigente della nostra sezionebrasiliana (il Pstu) nell'ascesa delle lotte inBrasile.