PROGETTO PER LA REALIZZAZIONE DELLA RIEVOCAZIONE...
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Associazione Centro Studi di Apricena
PROGETTO PER LA REALIZZAZIONE DELLA
RIEVOCAZIONE STORICA MEDIEVALE
“Apud Precinam”
1. DESTINATARI
Il progetto è rivolto a tutta la comunità della città di Apricena con particolare
sensibilizzazione delle scuole.
2. STATO DI REALIZZAZIONE
Il progetto sarà articolato principalmente in 3 fasi .
Fase 1: Attività preliminare.
Fase 2: Attività di sensibilizzazione.
Fase 3: Attività di realizzazione.
3. DESCRIZIONE DEL PROGETTO
Il progetto riguarda la costituzione di un gruppo stabile di figuranti in abiti medievali,
coordinato e gestito dal Centro Studi Apricena.
4. OBIETTIVI
Principali :
Rievocazione della consegna da parte di Federico II agli abitanti di
Apricena dei privilegi, avvenuta a marzo del 1230.
Secondari:
Rievocazione della fuga di Celestino V, con soggiorno in San Giovanni
In Piano.
Partecipazione ad eventi presso Altavilla Vicentina e L’Aquila.
Partecipazione ad eventi su invito di altre comunità.
5. RISULTATI ATTESI
La costituzione entro giugno 2014:
- GRUPPO A: Gruppo stabile di figuranti composto da n.20 (adulti) per
l’evento rievocativo di ricostruzione storica “Re-enachment;
- GRUPPO B: gruppo indefinito di figuranti proveniente dalla comunità e dalle
scuole (adulti e bambini) per la partecipazione come “Gruppo Living Story”;
6. COSTI
La previsione di spesa riguarda principalmente la fornitura di abiti e accessori
medievali, poi occorre far fronte ad eventuali spese per aspetti tecnici emergenti.
DESTINATARI
Il progetto è rivolto a tutta la comunità della città di Apricena con particolare
sensibilizzazione delle scuole. In particolare, il fine è quello di restituire alla
coscienza popolare un contesto storico che, ad oggi, appartiene ad un ristretto ambito
di amatori e appassionati.
E' consolidato ormai nel sapere comune che il nome di Apricena è legato a
quello di Federico II, ma ciò che ancora manca è la consapevolezza della natura di
questo legame: connotato ampiamente da rispetto e lealtà reciproca; tanto da
culminare nell’atto, straordinario quanto raro, della concessione degli usi civici,
privilegi rilevanti per quel tempo, rivolti a tutti gli abitanti della comunità.
Una simile posizione di privilegio ha posto sicuramente l'allora Precina alla
ribalta di un contesto politico importante di assoluto pregio. Le frequentazioni di
Federico II con la sua itinerante corte presso la Domus Precina, non erano frutto di
passaggi occasionali, ma di programmate soste volute e soprattutto, forse, desiderate.
Soste nelle quali venivano prese importanti decisioni amministrative e politiche così
da scrivere in modo permanente il nome di Precina negli annali della storia
diplomatica federiciana, lasciandone una traccia indelebile.
Oggi occorre ripercorrere quelle tracce per giungere a riaffermare quel legame
che ha reso nobili gli allora abitanti di "Precina", fatto di rispetto, lealtà e ospitalità.
Valori antichi e ormai perduti la cui riscoperta e la consapevolezza della loro
presenza nel proprio “DNA storico” darebbero indubbi giovamenti alla personalità e
alla identità sociale degli Apricenesi di oggi, soprattutto quelli più giovani, inclini
maggiormente ad apprezzare e affermare valori effimeri e consumistici globalizzanti.
1. STATO DI REALIZZAZIONE
Il progetto sarà articolato principalmente in 3 fasi:
Fase 1: Attività preliminare.
Incontro e costituzione del gruppo base di studio, valutazione di una eventuale ricerca
e individuazione dei necessari profili e/o di eventuali competenze nel campo
medievale. Definizione, quindi, dei criteri per individuare la finalità principale della
rievocazione della consegna dei privilegi da Federico II agli apricenesi nonché
all’individuazione degli elementi caratterizzanti il gruppo come abiti e accessori con
relativo preventivo di spesa e individuazione delle risorse.
Fase 2: Attività di sensibilizzazione.
Attività di pubblicità e sondaggio; articolato, inizialmente, tra gli studenti e
successivamente volta all'attenzione pubblica locale, coinvolgendo le associazioni
presenti sul territorio.
Fase 3: Attività di realizzazione.
1. Raccolta delle adesioni e attribuzione di incarichi e ruoli.
La raccolta delle adesioni deve partire già all’interno dell’assemblea dei soci e
proseguire attraverso il passaparola, diffondendo l’idea del progetto. Sarebbe
opportuno realizzare un manifesto per la promozione del progetto sul quale
devono essere indicati i contatti a cui rivolgersi per informazioni e adesioni. La
raccolta delle adesioni necessità di acquisire oltre ai nominativi, anche contatti
ai quali fare riferimento per eventuali inviti. Una volta raggiunto un numero
sufficiente di adesioni occorre indire una riunione, nella quale saranno illustrati
nel dettaglio gli obiettivi del progetto nonché le modalità di realizzazione. Alla
fine si procederà di concerto con gli aderenti alla attribuzione dei ruoli.
2. Realizzazione e/o acquisto di abiti e accessori ovvero del materiale necessario
e preparazione a tavolino della rappresentazione stabilendo modalità, ma anche
luoghi e tempi, nonché approntare una possibile sceneggiatura e
caratterizzazione dei personaggi.
Per quanto riguarda gli abiti è parso utile ed illuminante il Piccolo Manuale per la
realizzazione di “boni et honesti panni" di Remo Buosi e Andrea Guerzoni - 3a
edizione Anno 2003 –
Esso si riferisce alla realizzazione pratica di abiti per uomo e donna di ceto medio
dell'XI, XII e XIII secolo. Quanto si riporta di seguito è stato quindi tratto dal
sopracitato manuale, si riserva pertanto alla proprietà dei rispettivi autori ogni diritto
e si ringrazia per l'opportunità che hanno dato nel far conoscere gratuitamente a
studenti , docenti e agli utenti del web i loro testi per le sole finalità illustrative
didattiche e scientifiche.
Per fare una serie di capi d'abbigliamento dell'XI, XII e XIII secolo è cosa semplice,
pratica e soprattutto poco dispendiosa. Ovviamente stiamo parlando di abiti di un
semplice artigiano o cittadino/a: se si hanno aspirazioni più elevate occorre impiegare
più tempo, accuratezza e denaro. Resta comunque fatto salvo il fatto che gli
indumenti base sono equivalenti sia nelle classi basse che in quelle alte: ciò che muta
è il tipo e quantità dei tessuti e la qualità degli accessori. Iniziamo quindi dalla base,
dalle cose semplici. Per ciò che concerne i Materiali, è possibile utilizzare: Lino,
cotone grossolano, cotone misto a lino, lana o lana mista sono le materie più consone:
evitate assolutamente tessuti sintetici (anche perché vi fanno sudare di più!),
elasticizzati e juta grezza, che è patetica. Il cuoiame che userete per cinture, borselli,
scarpe etc. sia di colore marrone, chiaro o scuro, oppure marrone-rossiccio; il nero
poco si presta. Per i colori: sono necessari tessuti dai colori pastello o naturali, sono
da evitare colori troppo vivi e sgargianti. L’importante è che alla tonalità di colore
che avete scelto (sempre colori moderati!) aggiungiate un pochino di tintura grigia:
questa serve a “mortificare” la brillantezza dei colori! Attenzione che il colore nero
non è indicato per abiti di ceti medio-bassi! Per la realizzazione del corredo tipo di un
uomo o una donna medievale questi sono gli indumenti essenziali:
1)Brache;
2)Tunica per Camicia o Gonnella;
3)Calze-brache e mezze-calze;
4)Mantello;
5)Guarnacca;
6)Cappuccio;
7)Infula;
8)Copricapo femminili e maschili;
9)Cinture e borse;
10)Calzature.
I singoli capi sono così suddivisi:
Uomo Donna
1 Brache x
2 Tunica x x
2 Gonnella x x
3 Calze-brache x
3 Mezze-calze
x
4 Mantello x x
5 Guarnacca x
6 Cappuccio x
7 Infula x
8 Copricapo x x
9 Cintura e borsa x x
10 Calzature x x
Brache.
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Per confezionare le brache maschili è necessario realizzare lo stesso modello
indicato nel disegno, utilizzando una pezza di cotone o lino: grezzi o bianchi, ma
mai colorati. Vi conviene partire dal modello di un paio di pantaloni della vostra
taglia (non ‘Jeans’ perché troppo attillati alla persona) lasciando oltre i bordi 6-7
cm. in più per parte, così da ottenere una sagoma piuttosto ampia (se non
sovrabbondante!). In questo modo una volta indossate e serrati i lacci, le brache vi
si adatteranno addosso. Ricordate: le brache non devono essere attillate né
aderenti.
Una volta predisposto il modello ritagliate le pezze di tessuto, quindi cucitele ai
lati e al cavallo senza tuttavia chiuderle sulle gambe (3). Cucite il bordo superiore
delle brache in modo che al suo interno possa trovare alloggiamento una fettuccia
di cotone molto lunga fatta passare attraverso due occhielli posti al centro: in
questo otterrete una sorta di cintura. Applicate alla vita, in posizione frontale, due
passanti di cotone (2) o due fettucce lunghe 20 cm. (una a destra e una a sinistra)
che serviranno a trattenere i lacci delle calze-brache e delle brache stesse in estate.
Ricordate i bordi dei lembi sulle gambe ed applicate due fettucce di cotone di
circa 50 cm. (3) che serviranno a legare le brache al polpaccio quando si
indossano anche le calze, oltre a tenerle rialzate d’estate legando le fettucce ai due
passanti in vita.
1. Tunica per Camicia o Gonnella.
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La tunica (1) deve presentare queste caratteristiche fondamentali:
- manica piuttosto aderente all’avambraccio, con o senza un breve spacco di circa
8 cm. (2) praticato sotto il polso per permettere di rivoltare le maniche; non erano
in uso maniconi larghi e cadenti; il bordo inferiore della tunica deve arrivare,
senza cintura, almeno sotto al ginocchio se non a metà polpaccio per gli uomini e
fino a coprire le caviglie per le donne. Ricordatevi che è la lunghezza della tunica
che fa la grande differenza tra il nostro periodo e quelli successivi. Alla vostra
tunica potete apportare delle piccole varianti se ne avete voglia! Varianti tipo
“spacco frontale” (3) per gli uomini, praticato nel bordo inferiore per agevolare il
movimento delle gambe, in aggiunta anche uno posteriore per chi pensa di andare
a cavallo, ma non spacchi laterali; “bordature” dei margini-orlature (collo, polsi,
bordo inf.) con fettucce (4) di cotone monocrome di varia altezza, che trovate
tranquillamente in merceria. Per la chiusura del collo laccetti di pelle, tessuto (5)
oppure niente. Volete una camicia sotto la gonnella? Rifate un’altra tunica solo
che dovrete usare tessuti (cotone o lino) di colore naturale e non gli applicate
alcuna bordura, tutto qui! Per le “madonne” tunica e camicia, come già detto,
scendono appena sopra il collo del piede senza spacchi frontali o posteriori e
devono essere più aderenti in vita di quelle maschili.
2.
3. Calze-Brache.
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Nel medioevo le calze-brache potevano avere il piede come no: noi proprio quelle
senza piede vi illustreremo, se poi qualcuno le vuole intere può dilettarsi e
completarle senza problema. Si prende del tessuto e lo si piega in modo che
l’unica cucitura risulti sul retro; si prende un paio di Jeans (ovviamente i propri),
che generalmente sono pantaloni di taglio abbastanza attillato e si pongono,
piegati come se li doveste appendere alla gruccia, sulla pezza di panno (1), con un
gessetto disegnate il contorno della gamba fino all’inguine, togliete i ‘Jeans’ ed
avrete la sagoma da tagliare (2); su come fare il giro-coscia ve lo disegniamo. Una
volta tagliate cucitele sul retro (3), bordate a mano l’orlo inferiore e superiore,
applicate le due fettucce di cotone di circa 50 cm. sul davanti del giro-coscia (5) e,
se volete, applicate un sotto piede dello stesso panno per evitare che le calze
escano dalle scarpe.
Se desiderate che tali indumenti risultino più attillati al polpaccio non fate altro
che restringere un pochino alla volta (4), provandole ogni volta, con delle passate
di macchina da cucire lungo la cucitura iniziale; attenzione, però, di restringere
solo dal ginocchio al polpaccio, perché se lo fate fino in fondo rischiate che il
piede non passi più. E’ possibile anche praticare un taglio circolare al piede per
calzare meglio l’indumento (5bis). Le calze-brache possono essere poi completate
da lacci di pelle o tessuto legati sotto al ginocchio (6), con lunghi lacci in pelle
dalla caviglia al ginocchio (7) oppure con fasce di panno (8) alla maniera di quelle
della Prima Guerra Mondiale.
Gli equivalenti femminili delle calze-brache sono le mezze-calze. La mezza-
calza si ottiene semplicemente tagliando un rettangolo di tessuto alto dalla
caviglia fino a 5-6 cm. sopra il ginocchio. Tagliato il pezzo di stoffa questo
deve essere adattato alla propria gamba, fermandolo dietro al polpaccio con
spilli che saranno rimossi dopo aver realizzato la cucitura. Una volta bordati i
lembi superiore ed inferiore si potrà inserire un passante che vi permetterà di
tenere la mezza-calza in posizione giusta (9). Dopo averla indossata si deve
rivoltare un paio di volte il bordo superiore fino a sotto il ginocchio (10) e
fermare la mezza-calza alla gamba con un laccio di cuoio, stoffa o tessuto (11).
4. Mantello .
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Per fare un mantello invernale il panno deve essere piuttosto pesante e sempre e
comunque di lana grossa, per quello estivo sono più adatti tessuti come il cotone o
il lino; il mantello può rimanere di foggia rettangolare (1) per i ceti che noi
vogliamo rappresentare, perché essi lo usavano anche come coperta.
Una volta bordato e applicati i due lacci di pelle per la chiusura del collo (2), che
eventualmente provvederete a marcare tagliando una sezione circolare (2), il
mantello è finito; eventualmente se avete ancora panno potete ricavare un
cappuccio (3) ed applicarlo in corrispondenza del collo.
Anche i bordi del cappuccio e dell’apertura del mantello possono essere decorati
con una Qualora vogliate fare un mantello un po’ più ricercato allora dovrete
cambiare modello!
Invece di sfruttare la forma rettangolare delle pezze di tessuto dovrete dare a
questo capo la classica forma semi-circolare: prendete dunque una pezza (4), di
norma alta circa 150 cm., (meglio anche se più alta) e lunga il doppio, cioè 300
cm. .
Piegatela a libro nel senso della lunghezza (5): avrete allora un quadrato di
150x150; fissate l’estremo di una cordicella nell’angolo dove il tessuto è stato
piegato in due e prendendo la lunghezza del punto opposto, sempre sulla
piegatura, disegnate con un gessetto da sarti quello che risulterà un quarto di
cerchio. Disegnate anche un altro settore di cerchio a circa 15 cm. per lo spazio
del collo.
Una volta tagliato lungo i segni otterrete un bel semicerchio: ecco la forma finale
del vostro mantello (6)!
Bordate lungo la stoffa, applicate due lacci in pelle o tessuto ed avrete un bel
mantello che potrete arricchire con passamaneria o ricami adeguati.
5. Guarnacca
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Per fare una guarnacca, sorta di cappotto maschile, occorre realizzare un
indumento il cui taglio è simile in tutto e per tutto a quello della gonnella o della
camicia. Chiaramente le dimensioni devono essere leggermente più grandi, ma
come si può vedere dal disegno a fianco non ci sono grandi variazioni.
Vi sono tuttavia delle piccole modifiche da apportare:
- le maniche dovranno essere più corte di 7-8 cm. di quelle della gonnella e più
larghe di almeno altri 7-8 cm. al polso;
- la lunghezza della guarnacca non deve superare mai quella della gonnella, ma
semmai deve essere inferiore di almeno 10 cm., così che una volta indossata si
noti sotto la gonnella stessa; - la guarnacca può essere senza cappuccio o con il
cappuccio incorporato (5);
- seguendo una moda diffusissima almeno alla fine del XII secolo e durante tutto il
Duecento si possono praticare degli spacchi sul petto (1) o all’altezza dei gomiti
(2) in modo da far uscire le braccia con la gonnella fuori dalla guarnacca nei due
punti indicati (4). Le maniche della guarnacca stanno così penzoloni!;
- è possibile fare la guarnaccca tutta chiusa (1) o aperta frontalmente come un
cappotto moderno (2): per chiuderla potranno essere utilizzati dei piccoli bottoni
in metallo o tessuto (3), oppure laccetti di pelle morbida.
6. Cappuccio.
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Anche qui è più esauriente il disegno che le parole, comunque un paio le
spendiamo per maggior chiarezza; i cappucci potevano essere di due tipi: con
mantellina o senza. Il primo (1) si differenzia per il fatto di essere parte integrante
di un’ampia mantella che copre sterno e schiena, mentre il secondo è solo un
cappuccio che copre appena il collo e la sua base. Ambedue si infilano dalla testa,
anche se vi sono esempi di cappucci con mantella aperti sul davanti e chiusi con
dei lacci sotto al collo. Sarebbe buona cosa realizzare i cappucci in lana, perché
erano capi che dovevano proteggere dal freddo e dalla pioggia e quindi farli di
lino o cotone sarebbe una incongruenza….quindi se avete caldo non li mettete, se
avete freddo si. C’è poco da fare: non esistevano capi di mezza stagione per il
popolo… e anche per i nobili! E’ buona cosa irrigidire in qualche modo il bordo
del cappuccio intorno al volto, lasciando del tessuto in eccesso (3) che verrà
rivoltato e trapuntato (4).
6. Cappuccio Infula o Cuffia.
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Molti penseranno: ”Caspita, mi sento proprio ridicolo con questa cuffia in testa!”
Spiacenti, però era un capo molto usato dagli uomini del XIII secolo e caratterizza
interamente proprio questo periodo. I tessuti da utilizzare sono il lino ed il cotone di
colore chiaro. Il modo più semplice per realizzarla è il seguente: tagliate due pezzi di
tessuto (1) nella forma di ¼ di cerchio (per le dimensioni fate un pochino ad occhio,
al limite la rifarete; si deve provare, provare e riprovare) quindi cucite a macchina la
parte curva seguendo il profilo della nuca (2), rivoltate l’infula in modo che i punti
risultino all’interno, bordate a mano i due bordi ad angolo retto (3), applicate due
fettucce di cotone dello stesso colore dell’infula in corrispondenza del vertice dei due
bordi dritti (3) ed ecco fatta una semplicissima infula. Ovviamente sta a voi adattarla
meglio alla vostra testa con piccole ‘penche’ (4) come è spiegato con i disegni: è più
facile che a parole.
7. Copricapo femminili e maschili
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Le donne generalmente usavano due modi di acconciarsi i capelli: giovani e nubili
in trecce, le più anziane e maritate usavano coprirsi il capo con un velo che poteva
essere raccolto a mò di turbante, per non essere d’impaccio durante il lavoro.
Quindi si usi un velo di lino o cotone fino di forma rettangolare piuttosto grande,
per permettere di raccoglierlo e legarlo bene in testa (1) senza che esso stringa
troppo; se non lo si vuole raccolto si lascia ricadente su spalle e schiena (2),
trattenuto in testa da una semplicissima e sottile “treccia” di stracci monocromi o
multicolori; in questo caso un lembo del velo può essere tratto sotto il mento e
fissato alla “treccia“ in corrispondenza di una tempia, incorniciando così il volto
delle “gentili Madonne”! Le donne medievali portavano altri copricapo che, per
semplicità, descriveremo nelle pagine seguenti attraverso degli schemi realizzati
da un nostro amico olandese.
8. Cintura e Borsa.
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Elemento molto importante per evitare di farvi assomigliare a dei sacchi di patate
ambulanti è la cintura: come abbiamo già detto è consigliabile il cuoio naturale o
marrone nelle sue diverse tonalità piuttosto che il nero; la cintura può essere sottile
(2/3 cm.), alta (3/4 cm.) e generalmente lunga tanto da permettere il classico
“nodo“ medievale. Per le Madonne è consigliata quella sottile, per i messeri a
piacere. Le fibbie (1) devono essere semplici (in ottone, ferro, rame) e non quelle
pacchianate che di solito si vedono in giro; si va da un fornitore per calzolai, si
chiede di vedere fibbie a forma quadrata, a “D” oppure tonde, si scelgono quelle
più sobrie e si va a casa. Una volta a casa si noterà che le fibbie sono troppo
perfette e molte sono cromate; noi solitamente procediamo così:
- fibbia a “D” in ottone pieno: si mette in una morsa e con una lima si comincia a
limarla su tutta la superficie ed i bordi per dargli una parvenza meno “industriale”,
poi si appiattisce, quindi si raddrizza l’ardiglione e con la lima gli si fa la punta:
una passatina leggera con la carta vetrata fina e l’effetto “artigianal-medievale” è
ottenuto!
- fibbia a “D” in ferro cromato: stesso procedimento di quella d’ottone;
eventualmente se è bombata-cava la si appiattisce con due colpetti di martello. In
più dopo queste operazioni si prende la fibbia, la si scalda fino a che diventa rossa
e si tuffa in olio, avrete così una bella fibbia in ferro brunito. La passata sul fuoco
e olio per togliere la cromatura è consigliata sempre. Altra cintura semplice (2) è
quella tutta in cuoio in cui una estremità presenta 2 fori verticali e l’altra estremità
due lacci ottenuti dalla cintura stessa: i due lacci andranno infilati nei fori ed
annodati…il gioco è fatto! La borsa è generalmente in pelle, ma anche in tessuti
grossolani e solidi come la canapa, ed è sempre molto capiente: la sua forma può
essere quadrata, a semi-cerchio allungato od a trapezio (3); la patta si chiude con
semplici lacci in pelle o con fibbiette metalliche. La borsa più semplice è quella a
sacchetto(4) con il laccio passante a chiuderne l’imboccatura e
contemporaneamente funge da passante per la cintura. Borse piccoline servono a
contenere i soldi e gli uomini medievali erano usi a portarle legate alla cinta delle
brache (4 bis). E’ importante seguire le nostre indicazioni, frutto di una ricerca
approfondita condotta su miniature e sculture medievali: gli uomini non devono
portare assolutamente borse alla cintura in vita! Nel Duecento si portavano
soltanto borse a tracolla (5). Le donne invece possono portare borse (6) alla
cintura!
9. Calzature.
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Questo il procedimento per realizzare le calzature:
- si prende del cuoio fino ma resistente, vi si poggia sopra un paio di scarpe
(meglio se tipo ‘espadrillas’) della vostra misura e si disegna la sagoma sul cuoio
(1). Fatto ciò si procede con il disegnare a mano una leggera punta sul davanti
della sagoma (2): leggera, non punta esagerata! Tagliate mantenendovi a 5 mm.
circa dalla sagoma;
- da un pezzo di pelle solida ma flessibile ricavate la tomaia “A” ed il tallone “B”,
prendete ago robusto, spago fino o filo incerato da calzolaio ed un punteruolo
(lesina), articoli che trovate nelle forniture per calzolai, e cominciate a cucire la
tomaia alla suola seguendo il bordo (3): iniziando dalla punta della suola, una
volta cucita la tomaia procedete con il tallone alla stessa maniera;
- una volta unite le tre parti vedrete che i punti saranno tutti all’esterno, quindi in
ragione del fatto che la suola è in cuoio morbido e flessibile, cominciate
lentamente a rivoltare la scarpa in modo che i punti risulteranno all'interno (4): a
questo punto il più è fatto!
- ora calzate le scarpe e fatevi una prima idea se sono larghe o strette; consigliamo
più larghe perché se volete indossarle con una calza-braca è meglio, oppure con
un calzettone di lana se in inverno, eventualmente potete aggiustare con suolette
interne;
- procediamo con le rifiniture (5): nel punto in cui la tomaia è scavalcata dal
tallone si dovranno cucire assieme come da disegno, poi si dovranno praticare dei
fori sul bordo superiore del tallone ove far passare il laccio di pelle che servirà ad
assicurare la scarpa al piede e, infine, ci si rivolge ad un calzolaio chiedendogli
gentilmente, e pagando, di applicare alla suola in pelle morbida una bella suola in
crosta di vacca o meglio di gomma alta circa 3 o 4 mm., o meglio ancora tutte e
due. Lo sappiamo bene che la suola in gomma non è filologica, ma serve a
preservare più a lungo il vostro lavoro ed è una concessione che vi potete
permettere.
Di queste calzature vi illustriamo una variante al tallone (6) per realizzare una
scarpa alta almeno 18/20 cm. - con piattella frontale da applicarsi sul lato interno
del calcagno (7) - e come restringere o allargare il collo della scarpa (8) per
meglio adattarle al vostro piede, senza dilungarci in eccessivi scritti.
Ovviamente se siete in rapporti con qualche calzolaio che capisce il vostro
problema basta che gli portiate le parti tagliate e gli spieghiate cosa fare: le
cuciture più corpose ve le può fare lui a macchina tanto poi vanno rivoltate
all’interno.
Altro suggerimento pratico: poiché noi uomini e donne moderni non siamo
abituati a camminare per molto tempo senza un minimo di tacco (dopo tre ore
iniziano a dolere le gambe e si avverte la sgradevole sensazione di camminare in
modo strano) è consigliabile inserire nella scarpa un “alza-tacco” di circa 1,5/2
cm.: il risultato è che pur non vedendo niente da fuori la scarpa è molto più
comoda!
Ultima cosa, ricordatevi di ingrassare o dare il lucido alle scarpe, questo servirà a
dare una maggiore impermeabilità, visto che molte volte ci si trova sotto l’acqua.
Per quanto riguarda invece gli abiti militari ho ritenuto
interessante quanto rinvenuto su sito web: Vivere il Medioevo.
Su questo sito vi sono informazioni per la realizzazione di abiti
relativi agli ordini militari medievali. In particolare sono state
utilizzate come base sia le fonti storiche sia quelle grafiche, tra
queste ultime è stata scelto anche il modello preso dal film Le
Crociate di Ridley Scott. La realizzazione del costume è stata
fatta usando 3 m di lana marrone, grossolana, alta 150 cm e 2
m di lino grosso per la tunica e 0,5 m di lino (o cotone) per le
croci. Il costume si può realizzare sia in colore marrone
(meglio marroni molto molto scuri) o in nero. Il marrone che
ho utilizzato io è di quei colori che sotto opportune condizioni
di luce sembra nero. La tunica che andrebbe indossata sotto al
mantello poteva essere realizzata con o senza maniche e io ho scelto (anche per
mancanza di tessuto) la tunica senza maniche. La realizzazione del costume, cucito
interamente a mano, ha richiesto diverse ore, per la precisione una decina di ore per
essere realizzato.
Prima di mettersi all’opera è bene bagnare i tessuti, lavando a 30°C qualunque tessuto
si usi e usare sempre questa temperatura, sia per vedere se il tessuto si restringe sia
per vedere se si scolorisce e in tal caso andrà lavato con altri indumenti scuri. Altra
cosa, non tagliate la carta velina del cartamodello compero, ma ricalcatelo, se vi
sbagliate potreste aver tagliato quasi 8 euro e non credo convenga, dopo vi tagliereste
le dita!
Non esiste un cartamodello specifico per la realizzazione del costume, io ho usato il
cartamodello di Burda del centurione romano, della tunica per la precisione (Burda n.
2516). Dovendo fare una tunica senza maniche la stoffa necessaria è 2 m per 150 cm
di altezza. E’ stata usata la tg. 48. Il cartamodello, attenzione, comprende già i
margini di cucitura e bisogna leggere bene sulle righe del figurino i numeri delle
taglie, guardando quali sono quelle europee perchè si devono considerare quelle e
non le taglie americane. Per uomini di altezza compresa tra i 160 e 170 cm,
indipendentemente dal peso e dalle misure di circonferenza spalle, vita e fianchi si
usano le taglie 46-48-50 (80-85 kg di peso), massimo la 52 per uomini robusti (più di
85 kg di peso). Bisogna ricalcare sono davanti e dietro della tunica senza la parte di
colletto da attaccare. Il tessuto va tagliato nel senso della larghezza, come mostrato in
figura.
Figura 1 – Cavaliere dell’ordine, tunica
senza maniche
Figura 2 – Disegno della disposizione del
tessuto e del cartamodello su tessuto.
Il mantello
Per la realizzazione del mantello
invece si procede piegando il tessuto
a metà come in figura, magari
posando il tessuto su pavimento
pulito, per avere maggior superficie
d’appoggio.
Figura 3 – Struttura del mantello
Per fare una mantello
“scalato” (* facoltativo *),
cioè che scende verso il
basso dal davanti si deve
semplicemente accorciare il
raggio, dopo aver disegnato
la prima circonferenza,
come mostrato in figura.
Figura 4 – Disegno del
mantello con apertura a
scalo. Si procede alla fine
arrotondando l’angolo tra
le due circonferenze
(arancione e nera) e si
procede al taglio.
Dall’angolino rimasto si devono ricavare
cappuccio e striscia di attacco, anche se il
cappuccio è più importante e al mantello,
per chiuderlo possono essere applicati
lacci di pelle o cordoni grossi per la
chiusura. Il disegno del cappuccio lo si
ricava disegnano la sagoma di una testa,
come in figura, oppure, ricalcando la
sagoma del cappuccio di una felpa.
Figura 5 – Schema del disegno di
cappuccio e striscia di attacco.
Le due croci
Il disegno della croce non è facile
ma nemmeno così difficile. Si
prende del cotone bianco (alternativo
al lino che costa molto di più) e si
ritagliano due quadrati di 50 x 50
cm. Ora si piega ognuno di questi
due “fazzoletti” in quattro, precisi, in
modo che non ci siano parti che non
combaciano e magari aiutiamoci con
un ferro da stiro, facendo attenzione
a non bruciarci.
Per realizzare la croce che andrà
sulla tunica, aiutandoci con un
compasso di corda si realizza una
circonferenza con raggio 15 cm.
Figure 6 e 7 – Schema
del disegno della croce,
per la circonferenza.
Su un lato, come mostrato in figura, si disegna un segmento che unica il lato alla
circonferenza, di 3,5 cm. Al centro, invece, si disegna un piccolo quadrato di 2,5 x
2,5 cm. Usando un curvilineo (quello di maggiori dimensioni) si creano i bracci della
croce.
Figura 8 – Schema della costruzione della
prima croce.
Figure 9,10 e 11 – La croce piccola (identica procedura è stata seguita per quella
grande)
Per la realizzazione della croce più grande che invece andrà applicata al mantello, il
raggio dovrà essere di 20 cm (diametro di 40) e il segmento dovrà essere di 7 cm
mentre il quadrato al centro dovrà essere di 5 x 5 cm, in modo tale si avrà un braccio
largo al centro della croce 10 cm. Il disegno delle due croci si può realizzare,
consigliato, su carta velina e poi lo si tiene per altre riproduzioni dello stesso tipo di
costume. Una volta fatto il disegno delle croci si taglia la stoffa e si inizia a cucire
con sorfilo un orlino minuscolo di 3 mm.
Figure 11, 12 e 13 – La cucitura della croce.
Taglio e confezionamento
Si procede dopo aver disegnato il cartamodello (che comprende 1,5 cm di margine
cucitura, già nel disegno del cartamodello) e dovete però fare gli orli e considerate
dunque 1,5 cm per fare l’orlo (che deve essere doppio. Tagliati i pezzi si procede
prima cucendo gli orli del collo e poi gli altri, ma non vanno assemblati se non dopo
l’attacco della croce piccola sul petto. Al fine di posizionare correttamente la croce
sul petto si piega il davanti in due, aiutandoci col ferro da stiro e stirando la piega. Si
apre il davanti e partendo dal collo si contano 7 cm e poi si posiziona la croce in
modo che la piega del tessuto marrone continui con quella della croce bianca, come
nella foto.
Figura 14 – posizionamento della croce piccola sulla tunica.
A questo punto si stira la croce, facendo attenzione a non spostarla (possiamo
fermarla con degli spilli) in modo che il tessuto torni pari e poi, appoggiandoci
magari ad un tavolo, iniziamo a cucire, con sorfilo la croce al petto, usando filo
bianco.
Figura 15 – Cucitura della croce al petto, aiutandoci anche, se volete, con un uovo di
legno da rammendo.
Figura 16 – Risultato finale della tunica.
Una volta cucita la croce sul petto si uniscono davanti e dietro. Per comodità sul
dietro si può praticare un taglio di circa 20 cm dove si possono applicare gancetti con
laccio per la chiusura, per rendere più confortevole anche indossare e togliere la
tunica.
La croce sul mantello
La posizione della croce sul mantello è la cosa più difficile perché dobbiamo
posizionarla e cucirla in modo che risulti dritta (anche se i bracci saranno flosci a
causa della pesantezza e della forma del mantello) a lavoro ultimato. Poniamo quindi
indosso al nostro modello/manichino/attaccapanni il mantello e posizioniamo la croce
grande a sinistra in modo che sia a circa 2 cm dall’orlo. fermiamo in alto con gli spilli
e poi possiamo posare nuovamente il mantello sul tavolo da lavoro per posizionare
meglio la croce, senza togliere lo spillo. Stiriamo anche questa croce perché il
risultato sia il migliore possibile e poi procediamo cucendo a sorfilo, come per l’altra
croce.
La fascia di attacco
E’ facoltativa e al suo postò può essere usato un cordone da inserire in due asole di
opportuna grandezza. Il cordone meglio farlo nero o color grezzo come le corde di
canapa.
Oltre alla divisa dell’Ordine
Sotto può essere indossata la comune cotta di maglia e sotto a questa una blusa di lino
per proteggere la pelle, a maniche lunghe. Al posto del cordone in vita può essere
indossata una cintura di quelle di cuoio con parte per portare le armi.
Figura 2 – Costume del confratello dell’Ordine a partire dal 1206. (Osprey, 2001).
Figura 3 – Alcune immagini dell’abbigliamento dei confratelli dell’ordine (Osprey,
2001).
Figura 4 – Equipaggiamento del soldato, armi e armature. (1) elmo in ferro con lacci
laterali (2) e protezione nasale (3). Maglia con camaglio incorporato (4, 8, 9 e 10, 11)
e cotta imbottita (5, 12 e 13). Scarpe (6) e speroni (7). Lancia in legno di abete rosso
con punta metallica (14). Parti dal 16 al 21 sono tutte della spada con impugnatura in
legno ad una mano, fodero in cuoio con protezione punta in rame. Le parti dalla 22
alla 27 sono dello scudo in legno, rivestito in pelle con una borchia di ferro a metà
sulla parte anteriore. Internamente era fatta in modo da proteggere, quando indossato,
tutta la spalla ed il petto. Le cinghie e l’impugnatura sono di pelle.
Figura 5 – Armature ed abbigliamento del Cavaliere Ospitaliero a partire dal 1230.
Le parti sono le stesse, circa dell’immagine precedente eccezion fatta per il
cambiamento dell’abbigliamento sotto la cotta e l’aggiunta di cosciali di pelle oltre
alle protezioni imbottite da mettere sotto l’armatura. Cambia anche l’elmo che
protegge ora tutta la faccia. Il camaglio inoltre è dotato di una parte che circonda il
capo e ha una maggior funzione protettiva.
Federico II:
Per quanto riguarda la figura di Federico II, occupando in
questo contesto una posizione di assoluta centralità, si
ritiene necessario procedere ad uno studio più approfondito, sia
dal punto di vista dell’aspetto fisico che per ciò che concerne
l’abbigliamento, al fine di restituirne una rievocazione fedele in
ogni particolare. A tale scopo, è risultato esaustivo lo studio
condotto da Mirko Vangoni nell’ambito della propria tesi di
laurea di cui se ne riporta testualmente una parte.
“” …Da quanto ricavato dalle fonti scritte
possiamo ipotizzare che Federico II fosse di statura
media e che, nonostante non avesse una corporatura imponente,
nell’insieme risultasse ben proporzionato e robusto a dispetto di
quanto aveva affermato Ibn Al-Giawzi. Sicuramente fu di bell’aspetto
e il suo portamento, dignitoso e onorevole, si confaceva pienamente a
quello di un sovrano. Per quanto riguarda il volto si ricorda soprattutto
la graziosità degli occhi, la vitalità dello sguardo e il rossore delle
guance, che presumibilmente erano leggermente paffute. La
capigliatura, di un colore tra il biondo e il rosso, con gli anni si deve
essere diradata rendendolo presumibilmente, non come ebbe a dire Ibn
Al-Giawzi calvo, ma più semplicemente stempiato. Inoltre, se
seguendo il Kantorowicz, consideriamo quanto sostiene Brunetto
Latini – secondo il quale l’imperatore aveva la faccia colorita - un
indizio della consuetudine di Federico II di non portare la barba, dobbiamo
immaginarci il volto del sovrano ben rasato. Infine è doveroso ricordare la spesso
citata allegra, lieta e deliziosa espressione del volto, ma
notando che questa non gli era naturale, ma compariva, anzi
possiamo dire meglio che egli stesso la mostrava, solo in
determinate occasioni. Per esempio, come ci informa
Salimbene, quando Federico voleva apparire uomo adatto alla
vita di corte, oppure quando, come nella cronaca di Rolandino
da Padova, appariva in pubblico nella veste ufficiale, magari
seduto in trono o cinto dalla corona. Era quindi un’espressione
voluta ed ostentata per determinate finalità. “”1
1 UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI SIENA FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA - Corso di Laurea in Storia - FEDERICO II ALLO
SPECCHIO. Analisi iconografica e politico-funzionale delle sue raffigurazioni Relatore: Chiar.mo Prof. Sergio Raveggi - Controrelatore: Chiar.mo
Prof. Michele Bacci - Tesi di Laurea: Mirko Vagnoni (Anno Accademico 2003-2004
Per avere un idea degli abiti usati da Federico occorre innanzitutto fare riferimento
alle testimonianze che sono giunte sino a noi, relative a quel periodo come ad
esempio il mantello di Ruggero II. Il mantello di Ruggero II d'Altavilla, Re di Sicilia,
attualmente esposto allo Schatzkammer di Vienna, realizzato in seta rossa, fu tessuto
nell'opificio di corte. Le figure ricamate rappresentano cammelli sormontati da leoni,
affrontati specularmente e separati dall’albero della vita, tutti motivi provenienti dalla
tradizione medio-orientale importati in linea diretta dagli artigiani arabi che lo hanno
prodotto. Le iscrizioni contenute nel mantello indicano l’anno di realizzazione e la
manifattura palermitana (anno 528 Hegira islamica, corrispondente al 1133/34 del
calendario cristiano). Il leone che sormonta il cammello rappresenta il casato
d’Altavilla ed è il simbolo del predominio dei Normanni sugli Arabi in Sicilia. I
motivi delle palmette e delle stelle traggono ispirazione dai tessuti serici della Siria,
Persia ed Iraq. Questo manto da cerimonia fu indossato anche dai successivi Re
normanni e svevi, compreso Federico II.
Le decorazioni sono realizzate in un tessuto
chiamato diaspro. Nel diaspro il fondo è un tessuto semplice,
mentre il motivo decorativo è lavorato con una trama pesante
costruita su due orditi, in modo che le immagini risultino in
rilievo. Le fodere del mantello erano tre, probabilmente cucite
l’una sull’altra nel tempo, per l’usura delle precedenti.
Assieme al manto di Ruggero II, l’alba costituiva uno degli elementi di abbigliamento
da cerimonia dell’Imperatore. In particolare l’Alba di re Guglielmo era bianca e
aveva dei ricami su seta e pietre preziose che guarnivano il petto. Il lembo della veste
e i bordi delle maniche furono forse fatti aggiungere da Federico II.
Del corredo facevano parte anche i guanti e le babbucce, anch’essi decorati con
ricami di argento dorato e di perline.
Un altro abito di lusso dell’Imperatore era sicuramente una tunica blu con bordo
inferiore della veste e polsi riccamente decorati.
C’era poi la spada da cerimonia di Federico II. L’impugnatura ed l’elsa erano
di legno rivestito di pergamena d’oro; il fodero era di lino (era una spada da
cerimonia, non da combattimento, quindi si è scelto forse un materiale leggero
per non impacciare i movimenti del sovrano durante la cerimonia), con applicazioni
di placche smaltate, perle e pietre preziose.
Per completezza si riportano anche alcune immagini riguardanti l’iconografia di
Federico II
Il Logoteta Pier delle Vigne, Gran Cerimoniere, Gran Camerario
Riccardo di Sicilia, lo scudiero Taddeo de Procina, Manfredo Lancia,
il dominus de Procina Roberto de Majorano, il baiulo Johannes
Maynardus, Roberto de Manfredo, il conte di Lesina e il notaio
Alberto da Catania.
Gli abiti maschili nei primi secoli del basso medioevo non si
differenziano molto da quelli femminili:
La tunica, a tinta unita, poteva essere di varie
lunghezze, per i poveri non doveva superare il
ginocchio. Priva di bottoni, la tunica
prevedeva una scollatura a punta sul davanti.
Sulla tunica gli uomini infilavano
la guarnacca, sopravveste senza maniche con cinture di vario tipo
in metallo o corda, un
capo della cintura pendeva fino all'orlo. In
inverno si adoperavano lunghi mantelli
trattenuti sul petto da lacci, novità di origine
franca.Tuttavia rimase l'uso di indossare
sopra la tunica, in inverno, un giubbotto di
pelle con il pelo verso l'esterno. Accanto a
tessuti pregiati come il velluto e la seta, il
basso medioevo eredita la passione per le
pelli e le pellicce, largamente usate in epoca
altomedievale. Il commercio e la produzione
del cuoio rimasero, dunque, uno dei settori principali anche dell'economia tardo
medievale.
Le calzature erano confezionate in cuoio e in genere con pelle d'agnello. I poveri
adoperavano zoccoli in legno o generalmente pianelle; le raffinate scarpe a punta in
tessuto colorato e suolate all'interno erano
esclusiva delle classi sociali elevate. Accessori
importanti nella moda maschile erano le borse
realizzate in cuoio, in forma rettangolare
(scarselle), trapezoidale (elemosiniera), a forma
di bisaccia, tipologia particolarmente usata dai
pellegrini in viaggio, o sotto forma di eleganti
valigie per la clientela raffinata. Le scarselle
venivano legate alle cinture, confezionate in
cuoio con applicazioni metalliche.
L'abbigliamento tipico degli uomini, XI-XIII sec. era costituito da una specie di
casacca, che, partendo dal collo, arrivava fino alle caviglie. Questa casacca,
dotata di maniche lunghe ed aderenti, veniva portata liberamente o fermata
in vita da una cintura. Sopra, si portava un mantello con le maniche
larghe e dei risvolti sul davanti, che era chiamato guarnacca o
gamurra. La gamurra era di seta per l'estate e di lana per l'inverno, e
spesso, per i più ricchi, era anche foderata di pelliccia. Nei momenti più
rigidi dell'anno, inoltre, gli uomini benestanti portavano un mantello, il
lucco, semplice o foderato di pelliccia, con un cappuccio a punta,
oppure con un corto mantello fissato con una fibbia, come al tempo
dei romani.
Gli uomini in arme ed in particolare i cavalieri, nel XII, indossavano una maglia di
ferro “usbergo” che ricoprivano l’uomo fino a mezza gamba
ed erano aperte davanti per permettergli di cavalcare; sotto
l’usbergo il cavaliere indossava la gonnella di stoffa, la cui
lunghezza variava a seconda della moda, Un po’ alla volta
anche il camaglio, le calze, i guanti e le scarpe divennero di
ferro. Nel Duecento la fabbricazione delle maglie di ferro
raggiunse la perfezione e si produssero maglie di vari tipi,
anche colorate; solo il cavaliere poteva indossarla, come
anche gli speroni. L’elmo subì delle modifiche,
fino ad arrivare ad un elmo cilindrico, tutto chiuso,
con dei fori per respirare e sentire e due fessure
orizzontali per vedere, da indossare sempre
sopra il camaglio. L’elmo veniva dipinto, decorato con pietre,
nastri e diventò il simbolo della cavalleria. Sopra l’usbergo si
indossava una cotta di lino o seta per proteggere l’armatura dalla
pioggia e dal sole; all’inizio era una semplice tunica in tinta unita senza
maniche e aperta sui fianchi, ma col tempo variarono forma lunghezza,
venne colorata con lo stemma araldico e motti. Sulla cotta si cingeva la
cintura, dalla quale pendeva la spada, che per il periodo doveva
essere quella a “T”. Anche il
Bianca Lancia, Angiola Bronte, ancielle e le altre nobildonne.
Dagli atti e dalle cronache di epoca federiciana sappiamo che l'abito femminile era
composto da tre capi: la camicia (testimoniata a Bari a partire dal 1021 con il nome
di càmiso), la tunica (o gonnella) e la guarnacca(sopraveste).
La camicia, detta anche interula o sotano era una specie di sottoveste lunga
fino ai piedi, confezionata solitamente, per i vestiti più semplici, in lino e
cotone leggero. Il tessuto variava a seconda delle possibilità economiche della
cliente, le donne di alto rango sociale tendevano a impreziosire gli abiti con
guarnizioni ricamate o liste di tessuto frappato (in frange) lungo i bordi e la
scollatura, solitamente quadrata. La camicia era priva di bottoni, ed erano
sconosciute le tasche. La moda dei bottoniin oro, argento e pietre preziose
nasce in Francia nel XIII secolo per poi diffondersi lentamente in tutta Europa.
Sulla camicia le donne infilavano la tunica, un abito lungo, di tradizione
bizantina dalle maniche molto larghe, che spesso aveva dei profondi spacchi
sui fianchi per lasciare intravedere la camicia sottostante di diverso colore. Le
tuniche delle donne nobili erano confezionate in zendàli (seta simile al taffetà),
broccati (velluti impreziositi da fili d'argento e d'oro), e applicazioni di perle e
pietre preziose. Tessuti che di certo le donne del popolo e delle campagne non
potevano assolutamente permettersi. Queste ultime adoperavano tessuti
semplici come lino e cotone, d'inverno si coprivano con abiti in lana, il cui
modello di base rimane lo stesso.
La guarnacca era una sopraveste, aperta sul davanti, con maniche ampie
pendenti fino all'orlo foderate di pelliccia, il pelo infatti era rivolto verso il
corpo, mentre il lato esterno veniva ricoperto di tessuto.
Gli abiti femminili erano fermati in
vita da cordoncini annodati o cinture
di stoffe ricamate e ornate di
laminette d'oro o dipinte con smalti.
Accessori fondamentali erano i
copricapi, il modello più diffuso era
la corona turrita, una fascia circolare
su cui si appoggiavano merli con
applicazioni di pietre e perle.
Un'acconciatura comune era
realizzata con bende o nastri, detti
anche intrezatorium, che venivano
intrecciati nei capelli. A Venezia nel
XIII secolo nasce un copricapo che
avrà molta fortuna in tutto il
Medioevo l'hennin, a forma di cono rigido, in velluto o in seta, al cui vertice
veniva applicato un velo o un pizzo. Le fate delle fiabe di origine medievale,
infatti, vengono tutt' oggi rappresentate con questo copricapo.
La vera novità della prima metà del Duecento è la tunica che si allunga sul dietro a
formare lo strascico:
(…) di canno ti vististi lo 'ntaiuto (strascico)/ Bella di quel jorno son feruto (…)
così cantava Cielo d'Alcamo nel noto Contrasto, sottolineando la particolarità
dell'abito della donna amata.
Ermanno de Salza Gran Maestro e altri cavalieri dell’Ordine dei
Teutonici.
L’Ordine dei fratelli della casa
ospedaliera di S. Maria dei Tedeschi in
Gerusalemme (Ordo fratrum domus
hospitalis S. Mariae Teutonicorum in
Jerusalem), detto comunemente
Ordine Teutonico, nacque nell’ultimo
decennio del XII sec. come terzo
Ordine di cavalieri-monaci. Ermanno
de Salza era originario della Turingia e
che proveniva da una famiglia
di ministeriales, cioè da un ceto di
cavalieri di origine servile che nella
seconda metà del secolo XII avrebbe
fatto una rapida ascesa sociale, fondendosi infine con la nobiltà
cavalleresca. Per più di due
decenni questi frequentò la corte di Federico come
primo consigliere e uomo di fiducia, non solo in
qualità di gran maestro dell’Ordine, ma in grazia dei
suoi pregi personali, che in
numerose circostanze lo resero
indispensabile allo Staufen.
Hermann von Salza, era
praticamente gran maestro
dell'Ordine, consigliere
influente del papa e favorito
dell'imperatore condizione
che, proprio nel 1230, gli
permise di convincere Gregorio IX a togliere
all’imperatore la scomunica e a stipulare la pace di
San Germano.
Guardia Saracena e il loro capo Mohan Ibn Saud.
Negli anni che vanno da 1224 al 1300, in Puglia, a pochi chilometri da Foggia, la
città di Lucera, posta su un colle alto circa 240m., fu abitata esclusivamente da
saraceni, colà deportati dalla Sicilia dall'Imperatore Federico II di Svevia (1194-
1250).
Federico II e poi suo figlio
Manfredi erano in grado di
arruolare a Lucera migliaia
di saraceni, la maggior
parte dei quali erano
arcieri, naturalmente
armati con corti archi
compositi di tipo arabo.
Questi costituivano il
nerbo e il nucleo
permanente dell'esercito
imperiale. Inoltre Federico
utilizzava i migliori di
questi, che lo
chiamavano sultano, come
guardia del corpo, e se li
portava con sé in tutti i
suoi spostamenti.
1. DESCRIZIONE DEL PROGETTO
Il progetto riguarda un’attività di ricerca e studio, svolta nell’ambito
dell’Associazione “Centro Studi di Apricena”, per la costituzione, il coordinamento e
la gestione di un gruppo di figuranti in abiti medievali, costituito da un’aliquota
minima stabile ed una occasionale, che rappresenterà in Apricena la rievocazione
“Re- enachment” della consegna da parte di Federico II agli abitanti di Apricena dei
privilegi, avvenuta nel marzo del 1230, attraverso un cerimoniale simile all’ingresso
nel legame di vassallaggio e, comunque, coerente da un punto di vista storico. Tale
rievocazione potrebbe contenere, in aggiunta, rievocazioni di tipo “Living Story” e
“Gruppi storici” al fine di rappresentare ad esempio un cerimoniale, legato agli usi e
in abiti dell’epoca ma di assoluta fantasia, in cui l’imperatore conferisce diplomi su
pergamena a studenti che si sono particolarmente distinti durante l’anno scolastico
per capacità intellettuali ma anche per particolari valori morali espressi come
solidarietà e impegno per la collettività. Al termine, il tutto si concluderà con una
festa e con l’allestimento di un banchetto su tavoli disposti sul perimetro della piazza
ove tutti potranno gustare la somministrazione (a fronte di un contributo
eventualmente da stabilirsi) di cinghiale e vino, serviti rigorosamente da personale in
abiti medievali in piatti e bicchieri di terracotta e cucchiaio in legno, i quali
resteranno al consumatore in ricordo e, motivo per cui, recheranno la scritta “Apud
Precinam”. Il presente progetto ha l’intento di coinvolgere non solo i soliti
appassionati ma tutta la comunità, tanto che l’evento con il tempo diventi un
appuntamento sentito e partecipato in grado di unire tutta la popolazione.
Per quanto riguarda la rievocazione
della consegna degli usi civici da parte
di Federico II agli abitanti di Apricena,
avvenuta nel marzo del 1230, sarebbe
opportuno tener presente quanto ha
evidenziato F. Shupfer nel suo “Degli
Usi Civici e altri diritti del Comune di
Apricena” e cioè che essi, oltre ad avere
una natura eccezionale, avevano soprattutto una natura premiale in esito alla fede e
alla devozione sincera che gli abitanti di Apricena
avevano mostrato a Federico II e la sua famiglia
ogni volta era stato in quel luogo. Per tale motivo,
la rappresentazione dovrebbe riguardare una
cerimonia nella quale si possa evincere proprio
questa volontà dell’imperatore di riconoscere agli
abitanti di Apricena la loro lealtà, concedendo dei
privilegi nell’uso per se stessi di alcuni beni. Ciò
appare, verosimilmente, assai analogo al rito di
“ingresso nel legame vassallatico”; rito in cui si
evidenziava proprio la riconoscenza del regnante
nei confronti del vassallo che gli aveva concesso la sua devozione. In tal caso la
cerimonia si potrebbe riassumere in tre tappe: l’omaggio, la fede e l’investitura del
feudo.
L’omaggio era articolato a sua volta in due atti, uno verbale (consistente in una
dichiarazione di impegno da parte del vassallo ed esprimente la sua volontà,
rispondendo alla domanda posta con un “lo voglio”, di diventare homo del signore:
“un suo uomo) ed uno gestuale: quello, derivante dal significato romano come
espressione della potestas, dell’inmixio manuum o antrusione. Di origine orientale, e
specificatamente musulmana, pare fosse il gesto che in Spagna la sostituiva:
l’osculatio manuum, il baciamano. Il secondo momento del rituale, la fede era
imperniato sulla osculatio: sul bacio che il signore riceve, sulla bocca, dal vassallo,
ma che egli stavolta rende, ore ad os. Questo gesto, profondamente
diverso dal baciamano ispanico, aveva il valore simbolico di
bilanciare il senso dell’immixtio manuum – che esprimeva
superiorità del signore sul vassallo - seguiva quindi il giuramento
sulla bibbia o su reliquie. Nell’ultima fase, quella dell’investitura
del feudo, nel ventaglio dei simboli entravano in scena anche gli oggetti. Infatti, era
proprio attraverso la consegna di un oggetto simbolico del Signore al vassallo –
quindi di un pegno- che si esprimeva il passaggio del possesso di qualcosa e di
qualcosa di ben concreto: il feudo. Tale segno a tutti visibile si poneva come vero e
proprio atto con valore giuridico. Sostanziale era infatti – nel luogo altro della chiesa,
santificato dalla presenza di reliquie – la presenza del pubblico: oltre a fungere da
testimone esso creava nello spazio materiale simbolico uno spazio sociale simbolico
per l’accadere del rito. Tornando al pegno, l’oggetto consegnato a sua volta segno
tangibile della transazione non si limitava più alla più nota festuca (verga, ramoscello
o bastone) ma poteva appartenere a una vasta gamma di cose raggruppabili alle tre
categorie – da Le Goff individuate sulla base di categorie etno-storiche dei simboli
socio-economici, di quelli socio-culturali e di quelli socio-professionali. Fra i primi il
denarius ossia l’uso di una moneta, fra i secondi la
mappula, il fazzoletto (eventualmente nella variante
ricca, il sericum pannum) e il linteum, la camicia. In
pratica, al dono di fedeltà del vassallo si contrappone
il contro-dono del signore, sancendo così un rapporto
simile alla parentela, non naturale ma acquisita e
quindi di amicizia. Un ulteriore elemento simbolico,
infine, che connota la cerimonia dell’investitura, è
sicuramente il gesto del viaggio del signore nel suo territorio 2.
2 Le icone che danzano: TRANSE, MUSICA E FIREWALKING NEGLI ANASTENARIA GRECI ALL'EPOCA DEL
POSTMODERNO. - Jania Sarno - LIM LibreriaMusicaleItaliana, 2008 - 672 pagine.
DEFINIZIONE DI RIEVOCAZIONE STORICA
Per ciò che concerne la Rievocazione Storica de qua, questo progetto si riferisce alla
definizione di Rievocazione Storica contenuta nel R.I.R.S.3, che individua in tre le
categorie principali che la compongono:
Evento Rievocativo
Evento Ricostruttivo
Gruppo Storico
Il presente progetto intende rappresentare una Rievocazione Storica che il suddetto
regolamento definisce testualmente:
“La Rievocazione Storica (nota anche con il termine “Living History”:
storia vivente) è quella disciplina, applicata alla ricostruzione di
situazioni ed ambienti - chiusi, all’aperto, in accampamento o in borghi
- con personaggi in abiti storici di qualsiasi periodo, dalla preistoria al
secondo conflitto mondiale, che consente, attraverso un corretto modo
di proporre la storia, di esercitare un’importante azione didattica e
divulgativa in modo qualificato e documentato.” (R.I.R.S. art. 2.1)
“…darsi un nome, costruire attorno a quel nome un personaggio con
una ben definita storia vivendola come fosse effettivamente la propria:
anche questo è Rievocazione Storica.” (R.I.R.S. art. 2.4)
“Se nel concetto di Rievocazione Storica la Living History è la
riscoperta del passato in ogni sua espressione (civile, tecnologica,
scientifica, artistica o militare) e nella sua accezione più grande, il Re-
enactment è la rievocazione di un ben preciso evento storico del quale si
mettono in scena i fatti e lo svolgimento …” (R.I.R.S. art. 2.6)
“ È quindi chiaro che, di norma, tutti i gruppi, le associazioni o i singoli
individui impegnati nella Rievocazione Storica fanno comunemente
Living History, mentre quelli che, facendola, sono chiamati a rievocare
un preciso evento storico del tipo di quelli elencati in precedenza, allora
in quel momento stanno facendo Re-enachment.” (R.I.R.S. art. 2.7)
Pertanto, il presente progetto intende rappresentare una Rievocazione Storica del tipo
“Evento Ricostruttivo”, osservando le norme del suddetto regolamento (allegato al
presente progetto) che richiede particolare rigore nella ricostruzione degli abiti e degli
ambienti e coerenza dei fatti storici.
3 Regolamento Italiano per la Rievocazione Storica
IL CONTESTO STORICO
Federico II dopo la sua crociata, seppur terminata con esito positivo, fu comunque
criticato da Gregorio IX , adducendo questi il fatto che non si trattò di un successo
duraturo, ma soltanto di una tregua a tempo determinato. Gregorio IX, tra l’altro, nel
marzo 1228, gli aveva anche rinnovato la scomunica, perché l'imperatore aveva osato
intraprendere la crociata come scomunicato e senza essersi consultato con lui. Per tale
motivo i sudditi di Federico furono sciolti dal giuramento di fedeltà e i principi
tedeschi sollecitati all'elezione di un nuovo sovrano. Inoltre, quando l'imperatore era
ancora in Terra Santa, truppe papali invasero il Regno incoraggiando delle rivolte.
Dopo il suo ritorno a Brindisi, nel giugno 1229, Federico II riuscì presto a ristabilire
l'ordine. Nell'autunno 1229, riconquistato il suo Regno, fa confiscare nel
Mezzogiorno tutti i beni e le terre dei Templari, per i quali è arrivato il "tempus
retribucionis". Ma, ora, è necessario riconciliarsi col papa sconfitto, che, pur
trovandosi in difficoltà, si rifiuta di dare ascolto ai tentativi di mediazione del
paziente e abile Ermanno di Salza. L’imperatore si mostra prudente, ferma le sue
truppe ai confini delle terre pontificie e chiede aiuto ai principi tedeschi, che
intervengono a garantire la sua buona fede.
Ermanno De Salza, dopo estenuanti trattative, riesce ad ottenere una tregua, seppur a
condizioni dure per Federico II, che deve garantire l'impunità ai partigiani del papa
nel Regno di Sicilia, restituire i beni ecclesiastici confiscati, rinunziare alla
giurisdizione laica sul clero siciliano ed esentarlo dalle imposte, e rinunziare ai
tradizionali diritti regi nell'elezione dei vescovi.
Nel maggio 1230 si mettono per iscritto le condizioni della pace, che il 23 luglio è
conclusa a Ceprano; il 28 agosto la scomunica è cancellata.
In relazione ai fatti sopra sintetizzati, è da ritenere che Federico II, durante il periodo
di tregua con il papa Gregorio IX, nel marzo del 1230, mentre era presso Apricena
aveva al seguito oltre la sua corte, anche la Magna Curia, compresi Pier delle Vigne e
forse Michele Scoto, nonché riceveva spesso le visite di Ermanno de Salza nonché
del fidato arcivescovo di Palermo Berardo de Castanea o Castacca, che stavano
curando i rapporti con il Papa per raggiungere la pace.
In questo periodo, presso i luoghi ove soggiornava Federico II, vi era, con molta
probabilità, un via vai di personaggi nobili e di messi tra il papa e Federico II, in
relazione proprio alle trattative di pace per le quali, finalmente nel mese di aprile,
ricevette dal papa il documento con la proposta di pace.
Per quanto riguarda la Magna Curia, si può dire che, dal luglio 1225 fino al luglio
1233, non risultano pervenuti documenti che attestino decisioni autonome dei giudici
di corte che accompagnavano l'imperatore, ma soltanto “istrument” del gran tribunale
di corte, scritti in nome del maestro giustiziere. In particolare, si evidenzia che,
dall'analisi delle liste dei testimoni dei privilegi imperiali, risulta che il maestro
giustiziere e gran parte dei giudici della Magna Curia (Simone ed Enrico di Tocco,
Roffredo di San Germano, Pier della Vigna) si sono trattenuti a corte unitamente ai
maestri d’armi, falconieri, orefici, arcieri, scudieri etc.
Sul conto dell’arcivescovo di Palermo Berardo, risulta che, nel maggio 1230, era a
Foggia presso la residenza imperiale e tra il luglio e l'agosto di quell'anno presenziò
all'armistizio di San Germano ed alla pace di Ceprano. Berardo era stato il tramite fra
Federico ed il Papato; tuttavia gli avvenimenti del 1228-1230 segnavano una notevole
differenza. Precedentemente l'arcivescovo aveva esercitato la sua opera di
mediazione tra interlocutori sostanzialmente solidali; dopo la rottura del 1228
Berardo, pur impegnandosi a smussare gli angoli della contesa e a convincere
l'imperatore a comportamenti meno radicali, fu costretto ad assumere un
atteggiamento univoco, che lo allontanò inevitabilmente dalle posizioni pontificie.
Probabilmente nella seconda metà del 1230, Berardo fu colpito da una recrudescenza
della malattia reumatica e ritornò alla sua diocesi da cui mancava da lungo tempo. Fu,
quindi, assente durante l'elaborazione, la promulgazione e l'applicazione delle
Costituzioni diMelfi
LA CERIMONIA
Si premette che, per ciò che concerne il requisito della coerenza storica, si ritiene che
la documentazione e gli atti di riferimento presi in considerazione attestano in modo
inconfutabile l’avvenimento, oggetto della rievocazione, sia per quel che concerne il
luogo e il tempo, Apricena marzo 1230, sia per l’oggetto, la consegna degli usi civici,
nonché chi li ha concessi, Federico II, e in quale modo: con un diploma redatto dal
notaio Alberto da Catania.
Per quanto riguarda le modalità con cui si sia svolta realmente la consegna e i
personaggi che vi abbiano potuto partecipare, non risultano esserci ulteriori
testimonianze dirette (ciò che non è dimostrabile forse non è nemmeno confutabile).
Sussistono, invece riferimenti e citazioni indirette che fanno presumere la presenza al
seguito di Federico II della sua corte e della Magna Curia, motivo per cui, non
potevano non essere presenti nella Precina di allora anche tutte le personalità più
importanti del luogo.
In merito al luogo della rievocazione, non essendoci in Apricena contesti medievali
riconducibili a quel tempo ed essendoci la necessità di dover accogliere possibilmente
tutta la comunità locale, esso non può che essere identificato in una piazza, nel caso
di specie si ritiene idonea allo scopo, Piazza Federico II; non perché essa conserva
vestigia risalenti all’epoca dei fatti, ma perché presenta una dimensione adeguata e
elementi meno moderni di altre piazze del paese. Per ciò che concerne il cerimoniale
di consegna, non essendovi un documento che ne rilevi le modalità si è ritenuto di
adeguarsi alla codificazione della cerimonia di ingresso nel legame di vassallaggio,
conservando così e comunque una coerenza storica. Nel caso di specie, non
trattandosi di un vero e proprio ingresso in legame di vassallaggio, non può essere
presente la figura del vassallo, ma vi deve essere invece presente un rappresentante
della comunità sottomesso all’imperatore. Tale figura a quel tempo poteva essere
ricoperta dal dominus castrum de Precina al quale gli homines della universitas
facevano riferimento. Si precisa che vi era presente anche un’altra figura: il Baiulo4,
il quale, affiancato da altri due Giurati, venivano eletti dall’universitas, ma tale
elezione veniva comunque approvata dall’imperatore. Il baiulo però aveva una
funzione giuridica amministrativa più in rappresentanza dell’imperatore che della
comunità. Oltre al dominus e al baiulo vi dovrà essere presente necessariamente
anche un notaio5, come risulta dalla I pergamena, fatta redigere per ordine di
Giovanna I, in cui risulta che i privilegi sono stati trascritti per mano del notaio
Alberto da Catania. Nella piazza, si ritiene essenziale la presenza ovviamente di tutta
la itinerante corte ai quali vanno aggiunte le ancelle di Bianca lancia le eventuali
consorti dei nobili presenti, donna Angiola Bronte, l’arcivescovo di Palermo, il Gran
Maestro dell’Ordine dei Teutonici e la Guardia Saracena.
A questo punto, la cerimonia potrebbe avere inizio con la benedizione da parte
dell’arcivescovo, anche se vista la condizione di scomunicato di Federico II tale
eventualità deve essere valutata attentamente. Dopo questa fase, vi sarà l’atto di
sottomissione da parte del dominus de Precina in rappresentanza di tutta la comunità.
4Il sistema stabilito dall’imperatore Federico II affidava la giurisdizione e l’amministrazione di ogni comunità ad un
Baiulo, delegato dal sovrano, affiancato da due Giurati eletti da un consiglio locale, presente in tutte le città e le terre del demanio regio sin dall’epoca normanna e che stava in carica per un solo anno indizionale. Il Baiulo era il rappresentante regio, che assumeva per ogni città del Regno denominazioni differenti: compalazio a Napoli, Catapano a Bari, Stratigoto a Messina e Salerno, Patrizio a Noto, Baiulo, e dal 1320, Pretore a Palermo. Egli stava a capo dell’intera amministrazione cittadina, a lui veniva confermata la competenza in materia di cause civili e la suprema responsabilità amministrativa a livello locale, inclusa la sovrintendenza della ripartizione dei carichi fiscali, veniva eletto dalle singole Universitates e la sua elezione veniva in seguito approvata dal sovrano. A turno tutti i quartieri presentavano una rosa di tre nomi di milites, tra cui veniva scelto il Baiulo, che, come detto, era preposto all'esercizio delle più importanti funzioni giurisdizionali civili. 5 Il notaio è un personaggio conosciuto all’interno dell’ambiente in cui si muove, ha condotta irreprensibile, il notaio
ha delle qualità intrinseche non imposte dall’alto, ha l’autorevolezza in se tale da essere un punto di riferimento per la società in cui opera. Lo scopo del ricorso al notaio è fermare l’incontro delle volontà, l’atto notarile è soltanto testimonianza dell’avvenuto incontro delle volontà, affinché quel incontro sia il più inattaccabile possibile lo sottopone a tutta una serie di formalità, prima di tutta la sottoscrizione (firma) . Si vuole difendere l’atto dagli attacchi esterni e per il futuro, finché i contraenti saranno in vita potranno cambiare o ribadire i termini dell’accordo, ma quando i contraenti non ci saranno più questo compito sarà compiuto dall’atto notarile. (A cura di Luigi Restivo e Michele Amico ENNA 2007 ®)
Tale atto, detto dell’omaggio, consiste nell’inginocchiarsi davanti all’imperatore per
porgli le mani nelle sue. Con questo gesto simbolico egli esprime l’atto di
sottomissione di tutta la comunità, mettendo al suo servizio la forza del suo braccio.
Contemporaneamente a tale atto, può essere pronunciata anche una formula di
omaggio e il giuramento di fedeltà, tenendo la mano destra su un oggetto sacro,
affinché tale giuramento acquisti un carattere sacro che lo ponga al di sopra di tutti gli
altri legami, compresi quelli familiari. Dopo tale atto, l’imperatore aiuta a sollevarsi il
signore locale, cingendolo in un abbraccio e dandogli un bacio. Una volta compiuti
questi riti, l’imperatore procede alla concessione dei privilegi consegnando un
bastone (festuca) per il diritto del pascendi e un’ascia per il legnadi. Infine,
l’imperatore consegna a Roberto de Maiorana, su una pelle di cinghiale (simbolo del
libero pascolo e della caccia), un denaro (prezioso) e una freccia (amore) in segno di
prezioso amore corrisposto e libero uso civico dei terreni oltre i confini feudali,
nonché la pergamena della concessione dei predetti privilegi, redatta dal notaio.
Dopo il rito di concessione dei privilegi alla universitas Precina, potrebbe svolgersi
un’altra cerimonia, senza fondamento storico ma non improbabile per quel tempo, in
cui l’imperatore premia con una pergamena i giovani talentuosi del luogo (censiti in
ambito scolastico) che si sono particolarmente distinti nel corso dell’anno per
particolari doti morali e intellettuali.
SCENEGGIATURA RIEVOCAZIONE STORICA “APUD PRECINAM”
Il corteo sarà composto da tamburi e ocarine, fanciulle e fanciulli, popolo festante, (se
possibile anche da artisti di strada, falconieri e giullari) Federico II, il Gran Cerimoniere e lo
scudiero Taddeo de Procina, poi Manfredi e Bianca Lancia, il Gran Camerario Riccardo,
l’arcivescovo di Palermo Berardus de Castanea, il Baiulo Johannes Maynardus, il dominus de
Procina Roberto de Majorano, Roberto de Manfredo, Capitano e Maestro Giustiziere d’Apulia e
Terrae Laboris Matteo Gentile conte di Alexinae, e il Logoteta Petrus de Vinea (Pier delle Vigne),
il Notaio Alberto da Catania, il Gran Maestro dei Teutonici Ermanno de Salza, il capo della
guarnigione saracena Mohan Ibn Saud e donna Angiola Bronte con il resto della corte e altri
cavalieri e soldati:
In particolare si predisporranno nel seguente ordine:
in testa Il Gran Cerimoniere con il gonfaloniere con il gonfalone di Federico
II scortato da due armati.
Subito dopo Gli Araldi e i porta-bandiera o porta-insegne (di Apricena, Lucera e
Lesina).
Seguono Tutti gli uomini armati
Musici (tamburi e ocarine)
Falconieri
Le ancelle di Bianca Lancia
Federico II e Bianca Lancia
Lo scudiero e il giullare
L’arcivescovo e nobili della corte con le dame
Gli artisti di strada
Il resto dei figuranti
Alle ore 19:00, circa, tutti i figuranti si raduneranno nei pressi della villa comunale dalla
quale partirà il corteo che si svilupperà per Via Guglielmo Marconi, lungo Viale Aldo Moro,
svolterà per Corso Generale Torelli fino alla Piazza Federico II, oppure lungo Via Roma, Corso
Generale Torelli e, superato il Municipio, si avvierà verso Piazza Federico II, dove dovrà essere
approntato un sistema di amplificazione per lo speaker/commentatore.
Lungo tutto il percorso è auspicabile che:
Federico II, in primis, e gli altri nobili facciano cenni di saluti agli spettatori
lungo il cammino;
le ancelle lancino petali e fiori lungo il cammino;
i musici e il giullare o cantastorie qualora se ne riesca a trovare uno
abbozzino canzoni e musiche anche moderne ma comunque riconducibili al
periodo storico. Il giullare o cantastorie dovrebbe cercare di invitare le
persone che si incontrano lungo il percorso all’evento verso il quale il corteo
si sta dirigendo;
gli artisti di strada facciano qualche esibizione ma senza abbandonare il
corteo.
Il corteo giungerà sulla piazza e, mentre Federico II con gli altri personaggi sopracitati si
fermeranno al margine della Piazza più o meno sulla direttrice tra Corso Garibaldi e Via
L.Galasso, il resto dei figuranti si predisporrà gradualmente nella piazza su due lati, formando una
sorta di corridoio e lasciando al centro una specie di percorso fino all’ingresso del Palazzo della
Cultura. Ovviamente, inizieranno l’afflusso i soldati che si disporranno su una sola fila da un lato e
dall’altro facendo fronte al centro e poi via via tutto il resto.
Al termine di questo afflusso nella piazza, dal balcone o da una finestra del Museo Civico
lo speaker, che nel frattempo ha fornito un contributo storico/culturale dell’evento, termina il suo
intervento. Dopo qualche istante i tamburi fanno in modo da attrarre l’attenzione. I figuranti
cercheranno di fare quanto più silenzio possibile, confidando anche che gli spettatori facciano lo
stesso. A questo punto il Gran Cerimoniere che, subito dopo l’afflusso degli altri figuranti,
unitamente ai tamburi avrà avuto premura di andarsi a posizionare nei pressi di Federico II e degli
altri nobili della corte, srotolerà solennemente una pergamena e inizierà la presentazione dei
convenuti.
Narratore:
Siamo nella Piazza Federico II per assistere, per la prima volta, alla rievocazione storica
della consegna dei privilegi sugli usi civici da parte di Federico II agli abitanti di Apricena. Questa
iniziativa prende spunto da un evento realmente accaduto nel marzo 1230, qui a d Apricena. Essa è
il frutto da un idea nata nell’ambito dell’associazione Centro Studi Apricena ed è rivolta a tutta la
comunità della città di Apricena con particolare interesse rivolto all’ambito scolastico. In
particolare, il fine è quello di restituire alla coscienza popolare un contesto storico che, ad oggi,
appartiene ad un ristretto ambito di amatori e appassionati. E' consolidato ormai nel sapere
comune che il nome di Apricena è legato a quello di Federico II, ma ciò che ancora manca è la
consapevolezza della natura di questo legame: connotato ampiamente da rispetto e lealtà
reciproca; tanto da culminare nell’atto, straordinario quanto raro, della concessione degli usi
civici, privilegi rilevanti per quel tempo, rivolti a tutti gli abitanti della comunità. Una simile
posizione di privilegio ha posto sicuramente l'allora Precina alla ribalta di un contesto politico
importante di assoluto pregio. Le frequentazioni di Federico II con la sua itinerante corte presso la
Domus Precina, non erano frutto di passaggi occasionali, ma di programmate soste volute e
soprattutto, forse, desiderate. Soste nelle quali venivano prese importanti decisioni amministrative
e politiche così da scrivere in modo permanente il nome di Precina negli annali della storia
diplomatica federiciana, lasciandone una traccia indelebile. Oggi occorre ripercorrere quelle
tracce per giungere a riaffermare quel legame che ha reso nobili gli allora abitanti di "Precina",
fatto di rispetto, lealtà e ospitalità. Valori antichi e ormai perduti la cui riscoperta e la
consapevolezza della loro presenza nel proprio “DNA storico” darebbero indubbi giovamenti alla
personalità e alla identità sociale degli Apricenesi di oggi, soprattutto quelli più giovani, inclini
maggiormente ad apprezzare e affermare valori effimeri e consumistici globalizzanti.
In particolare, il progetto è stato sviluppato in modo da poter offrire, attraverso un
processo di studio svolto nell’ambito dell’associazione, un evento di ricostruzione storica “Re-
enachment” inglobato in un contesto rievocativo “Living History “ del periodo storico preso in
considerazione, mediante l’apporto autorevole dell’Associazione storico-culturale “Imperiales
Friderici II” di Foggia, che si propone di realizzare una fedele e corretta ricostruzione di eventi
aggregativi denominati “Rievocazioni Storiche” attraverso ricerche tecnico-storiche – sia a
carattere locale che nazionale – sull’organizzazione sociale, sugli usi e costumi e quant’altro
necessario e utile, con riferimento alle fonti coeve e disponibili e/o con formulazione di ipotesi
plausibili. Essa ricrea situazioni/ambientazioni di vita sociale, sia di tipo civile che militare,
caratterizzati da didattica e da dimostrazioni/esibizioni rifacendo vivere la vita quotidiana del
periodo dal XII al XIII secolo, con particolare riferimento a quella duecentesca e sveva.
L’Associazione “Imperiales Friderici II” di Foggia è la prima e l’unica a proporre in Italia
personaggi sia occidentali che orientali.
Il contesto storico in cui è ambientata la presente rievocazione fa diretto riferimento al
periodo in cui Federico II, è tornato da due anni dalla Terra Santa, dopo la sua crociata, per la
quale, seppur terminata con esito positivo, fu comunque criticato da Gregorio IX per il fatto che il
suo non trattava di un successo duraturo, ma soltanto di una tregua a tempo determinato. Gregorio
IX, tra l’altro, proprio nel marzo 1228, gli aveva anche rinnovato la scomunica, perché
l'imperatore aveva osato intraprendere la crociata come scomunicato e senza essersi consultato
con lui. Per tale motivo i sudditi di Federico furono sciolti dal giuramento di fedeltà e i principi
tedeschi sollecitati all'elezione di un nuovo sovrano. Inoltre, quando l'imperatore era ancora in
Terra Santa, truppe papali invasero il Regno incoraggiando delle rivolte. Dopo il suo ritorno a
Brindisi, nel giugno 1229, Federico II riuscì presto a ristabilire l'ordine. Nell'autunno 1229, aveva
riconquistato il suo Regno e fatto confiscare nel Mezzogiorno tutti i beni e le terre dei Templari,
per i quali era arrivato il "tempus retribucionis". Ma, ora, era però arrivato il tempo di
riconciliarsi col papa sconfitto, che, pur trovandosi in difficoltà, si rifiutava di dare ascolto ai
tentativi di mediazione del paziente e abile Ermanno di Salza. L’imperatore si mostrò prudente,
fermò le sue truppe ai confini delle terre pontificie e chiese aiuto ai principi tedeschi, che
intervengono a garantire la sua buona fede. Ermanno De Salza, dopo estenuanti trattative, riesce
alla fine ad ottenere una tregua, seppur a condizioni dure per Federico II, che deve garantire
l'impunità ai partigiani del papa nel Regno di Sicilia, restituire i beni ecclesiastici confiscati,
rinunziare alla giurisdizione laica sul clero siciliano ed esentarlo dalle imposte, e rinunziare ai
tradizionali diritti regi nell'elezione dei vescovi. In questo periodo, febbraio/marzo 1230, esistono
alcuni riferimenti documentali che fanno presupporre che Federico II fosse ad Apricena, insieme
alla sua corte, alla Magna Curia, compresi Pier delle Vigne e forse Michele Scoto. In questo stesso
periodo vi sono anche riferimenti che confermano che riceveva spesso le visite di Ermanno de Salza
nonché del fidato arcivescovo di Palermo Berardo de Castanea o Castacca, che stavano curando i
rapporti con il Papa per raggiungere la pace. Nel maggio 1230, poi si metteranno per iscritto le
condizioni della pace, che il 23 luglio viene finalmente sancita a Ceprano e il 28 agosto la
scomunica viene cancellata. In relazione ai fatti sopra sintetizzati,. In questo periodo, presso i
luoghi ove soggiornava Federico II, vi era, con molta probabilità, un via vai di personaggi nobili e
di messi tra il papa e Federico II, in relazione proprio alle trattative di pace per le quali,
finalmente nel mese di aprile, ricevette dal papa il documento con la proposta di pace. Per quanto
riguarda la Magna Curia, si può dire che, dal luglio 1225 fino al luglio 1233, non risultano
pervenuti documenti che attestino decisioni autonome dei giudici di corte che accompagnavano
l'imperatore, ma soltanto “istrument” del gran tribunale di corte, scritti in nome del maestro
giustiziere. In particolare, si evidenzia che, dall'analisi delle liste dei testimoni dei privilegi
imperiali, risulta che il maestro giustiziere e gran parte dei giudici della Magna Curia (Simone ed
Enrico di Tocco, Roffredo di San Germano, Pier della Vigna) si sono trattenuti a corte unitamente
ai maestri d’armi, falconieri, orefici, arcieri, scudieri etc. Sul conto dell’arcivescovo di Palermo
Berardo, risulta che, nel maggio 1230, era a Foggia presso la residenza imperiale e tra il luglio e
l'agosto di quell'anno presenziò all'armistizio di San Germano ed alla pace di Ceprano. Berardo
era stato il tramite fra Federico ed il Papato; tuttavia gli avvenimenti del 1228-1230 segnavano
una notevole differenza. Precedentemente l'arcivescovo aveva esercitato la sua opera di mediazione
tra interlocutori sostanzialmente solidali; dopo la rottura del 1228 Berardo, pur impegnandosi a
smussare gli angoli della contesa e a convincere l'imperatore a comportamenti meno radicali, fu
costretto ad assumere un atteggiamento univoco, che lo allontanò inevitabilmente dalle posizioni
pontificie. Probabilmente nella seconda metà del 1230, Berardo fu colpito da una recrudescenza
della malattia reumatica e ritornò alla sua diocesi da cui mancava da lungo tempo. Fu, quindi,
assente durante l'elaborazione, la promulgazione e l'applicazione delle Costituzioni diMelfi
Narratore: Ecco, ora giungere sulla piazza il corteo storico. In testa c’è il Gran
Cerimoniere con il gonfaloniere che porta il vessillo di Federico II
scortato da due armati. Seguono il vessillo dell’associazione e altri
quattro armati. Subito dopo, ci sono le ancelle di Bianca Lancia che
precedono Federico II e Bianca Lancia, seguiti dal fido scudiero
(Taddeo de Procina). Il gruppo che segue è composto
dall’arcivescovo di Palermo (Berardus de Castanea) e dai nobili della
corte con le dame (il Baiulo Johannes Maynardus, il dominus de
Procina Roberto de Majorano, Roberto de Manfredo, il Logoteta
Petrus de Vinea, il Notaio Alberto da Catania, il Gran Maestro dei
Teutonici Ermanno de Salza, il capo della guarnigione saracena
Mohan Ibn Saud e donna Angiola Bronte con le altre dame). Subito
dopo che si sono posizionati tutti: prenderà ora la parola il gran
cerimoniere. Si prega tutti i convenuti di porgergli attenzione l’evento
ha inizio.
Gran Cerimoniere: Nell'anno di gratia millesimo ducentesimo trigesimo et decimo anno
dello imperio de domini nostri Frederici, mense de marcio in codesta
bella e fiera terra de la Precina habet fatta gratia graditissima de la
sua gentilissima et nobilissima presenza domino nostro Federico per
la gratia di Dio imperator semper augusto, pe’ li suoi natali unico et
legittimo discendente delli grandi Imperatori dello Sacro Romano
Impero. (Al termine rivolgendosi all’imperatore con un inchino) gli
homines della università de la Precina, con grande gaudio, te
salutant!
Federico: Risponde al Gran Cerimoniere con un gesto solenne e gentile della
mano e inizia a percorrere il corridoio della folla festante,
rispondendo al saluto solo con i gesti: in genere muoveva
maestosamente il braccio e levandolo salutava la folla con gesto
benedicente (un fatto scandaloso per la curia papale). Nei suoi
incontri privati invece aveva un gesto particolare (molto siciliano)
che sconcertava gli interlocutori in quanto li fissava a lungo in
silenzio con gli occhi immobili come se volesse scavarne l'anima. Gli
arabi lo chiamavano "occhi di serpente". Il saluto continua fino a
quando raggiunge la sua posizione davanti al trono ma senza sedersi.
Popolo: (festante e con le mani alzate a più voci in acclamazione)
EVVIVA FEDERIGO!
Il clamore si placa e inizia a parlare di nuovo il Gran Cerimoniere
Gran Cerimoniere: Con altrettanta gioia sunt convenuti Manfredo e Bianca della
nobilissima familia Lancia ( i due si avviano verso Federico
attraversando il corridoio della folla festante accennando a saluti
levando il braccio e con cenni della testa), Magister Camerario
appellonsi Riccardus, l’archiepiscopum Berardum de Castaca, il
Baiulo Johannes Maynardus, Capitano & Magister Iustitiarum
Matteo Gentile comite de Alexina, il Logoteta Magnus Cancellarius
Petrus de Vinea, il Notarus Alberto da Catania, il Gran Magister
Teutonici Ermanno de Salza , il capo della guarnigione saracena
Mohan Ibn Saud (tutti, nell’ordine in cui vengono chiamati, come i
primi si avviano verso Federico attraversando il corridoio della folla
festante accennando a saluti levando il braccio e con cenni della
testa)
Si attende fino a quando tutti i personaggi terminano la passerella e si sono posizionati da
un lato e dall’altro di Federico, dopodiché, ci sarà un rullo di tamburi per richiamare l’attenzione
perché prende la parola il logoteta Pier delle Vigne, incaricato di annunciare ai sudditi i proclami
dell'imperatore e, in particolare, il riconoscimento che Federico II vuole tributare agli abitanti di
Apricena (a questo punto Federico si siede).
Pier delle Vigne: (Anch’egli srotola una pergamena e legge) Bonnes homini de la
nobile terra de Precina poiché l'abbondanza tende ad abbagliare
anche le menti più sagge, le tenebre hanno coverto queste terre per la
malvagia e avida anima di chi, troppo presto, ha ceduto alle lusinghe
dello potere. Ora, finalmente, si vede una gran luce e chiaro si fa, tra
quelli che abitano in questa terra oscurata, lo nostro emperatore
Federigo. Egli è colui che tende la sua possente mano per colpire, ma
anco per carezzare. Ecco che allora dopo aver colpito li suoi nemici
ora tende la sua augusta mano per rendere beneficio a questo popolo
perché grato della sua semper fedele condotta, ma ancor di più pe’ lo
amore et lo affetto che gli viene reservato ogni qual’ volta egli e la
sua regale familia poggia lo piede su questo suolo. Co’ cuore grato e
rigonfio d’affetto cum grandissimo gaudio egli vuole concedere lo
privilegio a tutti gli homini de la Precina di pascolare et legnare,
nelle terre del feudo e aldilà di esso, e di tenere mercato ogni
mercoledì. (termina la sua orazione con un gesto solenne rivolto alla
folla poi si gira e si rivolge all’imperatore con un inchino)
Popolo: (acclama festante e con le mani alzate a più voci) EVVIVA
FEDERIGO!
Gran Cerimoniere: (prende la parola dopo Pier delle Vigne e chiama il dominus della
terra di Precina) MESSER ROBERTUS DE MAJORANA!
Narratore: (A questo punto il narratore con tono leggermente sommesso
cerca di spiegare cosa sta per accadere evidenziando al solennità
del momento) Avrà inizio ora il cerimoniale di consegna dei privilegi.
Purtroppo non essendovi un documento che ne abbia rilevato le
modalità, ma solo il fatto in se, si è ritenuto adeguare la codificazione
della cerimonia di ingresso nel legame di vassallaggio, conservando
così e comunque una coerenza storica. Nel caso di specie, non
trattandosi di un vero e proprio ingresso in legame di vassallaggio e
che la consegna è avvenuta nei confronti di un rappresentante della
comunità comunque sottomesso all’imperatore. Tale figura a quel
tempo poteva essere ricoperta dal dominus castrum de Precina al quale
gli homines della universitas facevano riferimento. Il cerimoniale
consiste in un primo atto quello di sottomissione da parte del dominus
de Precina in rappresentanza di tutta la comunità. Questo atto è detto
dell’omaggio e consiste nell’inginocchiarsi davanti all’imperatore per
porgli le mani nelle sue, rito dell’immixtio manuum. Con questo gesto
simbolico egli esprime l’atto di sottomissione di tutta la comunità,
mettendo al suo servizio la forza del suo braccio.
Roberto De Majorana: Esce dall’inquadramento e si porta di fronte all’Imperatore, poggia
un ginocchio a terra e, chinando il capo, protrae entrambe le mani
con il palmo rivolto verso l’alto ad evidenziare che non vi è
nessun’arma in esse.
Federico: tende anch’egli le sue mani con il palmo rivolto verso il basso e
afferra quelle di Roberto. Il suo sguardo è severo e augusto, poi, si
alza e aiuta a sollevarsi anche Roberto, cingendolo quindi in un
abbraccio e gli da un bacio.
Narratore: Insieme a tale atto, viene pronunciata anche una formula di omaggio e il
giuramento di fedeltà, tenendo la mano destra su un oggetto sacro, affinché
tale giuramento acquisti un carattere sacro che lo ponga al di sopra di tutti gli
altri legami, compresi quelli familiari.
Arcivescovo Berardo: si volta e gli viene consegnata la reliquia sacra (riproduzione della
Croce di Cosenza) dopodiché, si va a porre sulla destra di Roberto
tenendo di fronte a se la reliquia ed imponendola a Roberto
Roberto De Majorana: In piedi di fronte a Federico tende la mano sulla reliquia e pronuncia
il suo giuramento: Io, Roberto de Majorana, dominus de Procina per
vostra volontà che ha consentito di affidarmi o commendarmi al
vostro mundio, sulla mia anima e coscienza, con l’aiuto di Dio,
creatore del cielo e della terra, e su questa santa reliquia giuro di
servirti con lealtà e obbedienza.
Terminato tale rito, Federico si risiede mentre Roberto resta in piedi di fronte
all’imperatore.
Popolo: (acclama festante battendo le mani)
Gran Cerimoniere: (chiama a gran voce il notaio) Notar Alberto da Catania!
Alberto da Catania: Si avvicina portando in mano una pergamena arrotolata e la
consegna a Federico.
Narratore: Terminata la prima parte del rito, ora l’imperatore aiuta a sollevarsi il
signore locale, cingendolo in un abbraccio e dandogli un bacio. È
questo il momento detto della “fede” imperniato sulla osculatio: cioè
sul bacio che il signore riceve dal vassallo (anticamente era sulla
bocca), ma che ora rende. Questo gesto, profondamente diverso dal
baciamano ispanico, aveva il valore simbolico di bilanciare il senso
dell’immixtio manuum della prima parte del rito. Una volta compiuti
questi riti, l’imperatore procede alla concessione dei privilegi
consegnando un bastone (festuca) per il diritto del pascendi e un’ascia
per il legnadi. Infine, l’imperatore consegna a Roberto de Maiorana,
su una pelle di cinghiale (simbolo del libero pascolo e della caccia),
un denaro (prezioso) e una freccia (amore) in segno di prezioso amore
corrisposto e libero uso civico dei terreni oltre i confini feudali,
nonché la pergamena della concessione dei predetti privilegi, redatta
dal notaio.
Federico: Si alza e si pone di fronte a Roberto e dice: Noi iniziamo col parlare,
troveremo più tardi degli studiosi che dimostreranno il nostro perfetto
diritto.
Alberto da Catania: A questo punto srotola la pergamena e comincia a leggere: Noi
Federigo, per divina grazia sempre augusto imperador de’ romani e
Re di Sicilia. Se ad devozione de’ nostri fedeli dirizziamo la punta del
nostro pensiero, ed ac loro servigi con degni premi precorriamo,
cresca in essi la sincera fede; e perché siamo d’esempio di liberalità,
noi a più gradi servigi caldamente li incitiamo. A tutti adunque i fedeli
nostri, presenti ed avvenire, vogliamo sia noto che, ammirati dalla
pura fede et divozion sincera la quale nudriron sempre et ancora
nutrono per la Maestà nostra i cittadini tutti de Precina: grati ancora
ai servigi fin qui prestati et da prestare di bene in meglio per
l’avvenire, (e massime a questo, che quante volte ne piacque gire o
dimorare in essa terra d’Apricena, tutti i cittadini con affettuose e
assai splendide dimostranze a me et al mio seguito in molte guise ne
dilettarono) volendo eziando quella terra a noi graditissima et i
cittadini suoi con meritati benefici magnificare; per favore di nostra
liberalità concediamo ad essi, agli eredi e loro successori, il diritto di
pascolare – Mentre il notaio legge in questo momento Federico II
consegna a Roberto un bastone (festuca) – liberamente ne’ territori
di Civitate, Castelpagano e San Nicandro senza pagare fida ad altro
dritto; e sia lor lecito negli anzidetti territori tagliar legna – anche in
questo caso mentre il notaio legge Federico consegna a Roberto
un’ascia – a proprio uso e vantaggio, eccetto nelle nostre difese, ove
non permettiamo ad alcuno di entrare per gli usi sopradetti. Inoltre
per la nostra sovrabbondante grazia concediamo in ipsa terra
Precinae di tener fiera il mercoledì di ciascuna settimana, e che tutti
nell’andare et nel ritorno, nella compra et vendita delle merci vadano
in quel giorno da ogni gravezza liberi ed immuni, salvi in ogni cosa
gli avvisi ed ordini nostri. In memoria poi di questa nostra
concessione ed a sua perpetua validità, ordinammo che per mano del
notaio et fedel nostro Alberto da Catania fosse scritto il presente
privilegio e del sugello della maestà nostra munito. Datum Precine
nell’anno dell’incarnazione milleduecento e trenta mense di marci.
Amen.
Al termine della lettura, il notaio arrotola la pergamena e la pone su una pelle di cinghiale
(simbolo del libero pascolo e della caccia), dove è già posto un denaro (prezioso) e una freccia
(amore) in segno di prezioso amore corrisposto e libero uso civico dei terreni oltre i confini feudali
e il tutto viene posto da Federico nelle mani di Roberto, che fa un passo indietro con un lieve
inchino e poi si gira verso la folla mostrando il dono ricevuto.
Popolo: (acclama festante battendo le mani)
Roberto De Majorana: Torna solennemente al suo posto.
Pier delle Vigne: (srotola una pergamena e legge) Bonnes homini de la nobile Precina
sua maestà l’imperator per suo magnanimo desio intende anco
gratificare con diploma ad honorem i bonnes homini di questa terra
che habet dato prova di grande valore umano et intellettuale (termina
la sua orazione con un gesto solenne rivolto alla folla poi si gira e si
rivolge all’imperatore con un inchino)
L’imperatore, a questo punto, premia con una pergamena i giovani talentuosi del luogo
(censiti in ambito scolastico) che si sono particolarmente distinti nel corso dell’anno per particolari
doti morali e intellettuali al servizio della comunità.
Gran Cerimoniere: (chiama a gran voce il primo premiato) !
Federico: Si alza, si pone di fronte al premiato e gli consegna la pergamena
dicendo: noi, ritenendo che spesso i buoni servigi non vengono pagati
in modo adeguato, vogliamo in coscienza ricompensare con la
preziosa e duratura moneta della gratitudine messer
_________________ per aver dimostrato con la sua condotta che il
successo personale non è lo scopo principale nella vita, ma, al
contrario, esso è testimonianza che il motivo più importante per
lavorare a scuola e nella vita è il piacere nel lavoro stesso, il piacere
nel suo risultato, e il piacere nella consapevolezza che il valore del
lavoro e del suo risultato debba essere utile per tutta la comunità.
Premiato: Riceve la pergamena e saluta con un inchino, poi ritorna
nell’inquadramento
Gran Cerimoniere: da’ inizio al banchetto: semper memore della vincente freccia,
implacabile et fatale con la quale il nostro signore imperatore
inflisse nello fianco dell’enorme cinghiale la ferita sì mortale ma che
la rese anco vessillo et egida insegna imperitura della nostra
Precina, è grande desio dello nostro signore Federigo invitare tutti i
bonnes homini e le gentil dame a prendere parte al convivio che si
appresta a rendere onore a codesta superba fiera: Apri Cena!
Popolo: (acclama festante battendo le mani)
A questo punto sarebbe opportuno, durante il banchetto, avere un sottofondo musicale
ovvero, qualora se ne riuscisse ad avere la disponibilità, un vero e proprio complesso di figuranti
che possano cantare e suonare temi riconducibili al periodo storico, allo stesso modo gli artisti di
strada faranno qualche esibizione.
Fonti:
V. Bohmer: "Die Regesten", riferite da P. Bolan in "La prima lotta di Gregorio I con Federico II",
"L’Arcivescovo di Reggio ed il Gran Maestro dei Teutoni che erano venuti al Papa in Perugia...
tornarono a Federico per proposte e risposte. Lo trovarono a Precina, conferirono con lui e
tornarono, a quanto pare, nel marzo di quest’anno, 1230.
Della la condanna del Comune di Firenze a pagare all’erario imperiale un’ammenda di centomila
marche d’argento (oltre al risarcimento dei danni provocati all’università di Siena, per non aver
rispettato il bando imperiale di non muovere guerra alla stessa a seguito della sentenza della Gran
Corte dell’Imperatore Federico II il 9 dicembre 1232 nella Domus Procina, vi è la prova
documentale nella scheda IX-11, curata da G. Brunetti, con la pergamena di mm.390 per 450,
nell’Archivio di Stato di Siena, Diplomatico di Formaggioni n.257. V. appresso: Cronistoria dei
provvedimenti emessi dall’Imperatore apud Precinam. La sentenza è uno dei 25 documenti e
provvedimenti così come raccolti in Jean Louis HUILLARD BREHOLLES, Historia Diplomatica
Federici Secundi, Parigi, lon fratres, 1852-1861. Essa venne emessa in Apricena alla presenza
dell’Imperatore, del Logoteta Pier Delle Vigne e dei dignitari della cancelleria imperiale e coinvolse le
Università di Siena e Firenze, all’epoca fieramente antagoniste. Cfr. ARCHIVIO DI STATO DI
SIENA, Pergamena, Diplomatico Riformazioni, scheda n. 257 e ARCHIVIO STORICO DI
APRICENA, Pergamena di mm.390 x 450 ora conservata nella scheda n.11 curata da G. Brunetti.
Manfredo Lancia Dell’antica famiglia piemontese dei Lancia, unitamente al fratello Giordanino, fu
uno dei fedelissimi dello Svevo. Alla stessa famiglia apparteneva Bianca, quarta moglie dell’imperatore,
più amante che moglie, e quasi certamente, la più amata; cfr. Joseph MUHLBERGER, Donne sveve,
traduzione di Leopoldo Bibbò, Bari, Adda, 1979. Da non confondersi con lo zio Manfredi Maletta (?
- 1270), gran cerimoniere e poeta. Al suo nome è forse legata la costruzione della torre costiera in agro
di Sannicandro G.co, tutt’ora esistente e nota con il nome di Torre Mileto; cfr. A. PICCA, Syfridina…,
cit.
Fedrico per penetrare nel suo Regno del sud-est dell’Italia meridionale, diretto a Capua l’Imperatore si
appoggiò ad alcune famiglie nobili dell’area cassinese, fra queste le famiglie dei Cicala, degli Eboli, ma
soprattutto degli Aquino. Di questa, Tommaso venne nominato Gran Giustiziere di Terra di Lavoro e
delle Puglie oltre che della Contea di Acerra. Ritroviamo lo stesso quale Vicario Imperiale in Siria,
durante la Crociata; successivamente quale inviato speciale a Capua con il comando di quella
guarnigione a resistere alla truppe fedeli al Papa che assediavano la piazzaforte; e sempre vicino
all’Imperatore in molte altre circostanze, anche quale suo fedele rappresentante unitamente a Taddeo
da Sessa, Enrico Morra e all’Arcivescovo di Palermo nel Governo della Sicilia.
Johannes Maynardus, baiulus, Roberto De Maiorano, dominus, Robertus De Manfredo, ipotizzati
quali Giurati nel processo del dicembre 1232 contro Firenze, anche se non riscontrati nel documento
esaminato ma si riferiscono peraltro a personaggi storicamente certi che si ritrovano nel Quaternus
excadenciarum di Federico II di Svevia (nella traduzione di Giuseppe De Troia, edita nel 1994 dalla
Banca del Monte). I Giurati possono essere considerati dei funzionari pubblici in grado di conoscere
leggi e regole da far rispettare e gli uomini tenuti al rispetto delle stesse e delle “scadenze”. Per gli altri
Giurati e gli altri personaggi tenuti al rispetto delle scadenze, (rectius delle obbligazioni!) e sulle
contrade di Apricena rilevabili dal sopraddetto Quaternus, cfr. CLIMA, Apricena… percorsi…, cit.
Pier Delle Vigne (Capua 1190 - Torre di San Miniato di Pisa 1249), noto anche quale astrologo di
Corte, addottoratosi a Bologna fu notaio presso la Corte di Federico II, giudice della Magna Curia
(1225-1234) e uno dei più fidati collaboratori dell’Imperatore. Peraltro, sospettato di aver partecipato
alla congiura di Sala e Capaccio, fu imprigionato e rinchiuso nella torre di San Miniato, ove, pare, si
suicidò. Altro astrologo alla Corte dell’Imperatore (e di quella di Ezzellino da Romano) era anche
Guido Bonatti ; cfr. PICCA, op. cit..
Gran Camerario Riccardo, siciliano, Camerlengo Imperiale. Lo troviamo sempre assieme
all’Imperatore sin dalla Crociata del 1220 e nelle carte sveve con diversi appellativi è censito dal 1215
al settembre 1234. Huillard Bréholles lo ritiene il capo degli eunuchi del palazzo. Era così noto e
potente in Sicilia per la vicinanza a Federico II che un suo nipote, Benvenuto, fu creato dallo Svevo,
Vescovo di Squillace (ma Innocenzo IV annullò la nomina).
Ermanno de Salza, Gran Maestro dell’Ordine Teutonico (1170-1239), ottenne dal Papa il bando di
una crociata e da Federico II, amico ed alleato suo, il titolo di principe dell’Impero.
Vescovo di Palermo Berardo de Castanea, Su segnalazione del Papa, l’Arcivescovo di Bari Berardo di
Castacca entrò a far parte del Consiglio di Reggenza dell’Imperatore, di cui divenne amico e
confidente (con Ermanno De Salza cui era superiore per cultura ed ingegno). Gli sarà vicino fino alla
morte; cfr. R. RUSSI, Federico II…, cit..
Madonna Angiola, l’ultima dei Bronte, appartenente al variegato e molteplice mondo femminile,
legato all’Imperatore, in relazione alle sue costanti abitudini di circondarsi di belle donne dei vari
luoghi frequentati, dispensando una cospicua progenie di figli, quasi sempre illegittimi, ma pure amati
e cresciuti nella sfera d’influenza della sua Corte, considerate le sue numerose frequentazioni e le
lunghe permanenze nella Domus Precina - pur in mancanza di documenti attendibili da cui rilevarsi la
presenza certa ed ufficiale delle regine delle varie epoche, né di qualsiasi altra donna – possiamo
legittimamente ipotizzare che anche quivi avesse la sua donna; cfr. J. MUHLBERGER, Donne
sveve…, cit.. Madonna Angiola è un personaggio puramente inventato, non rintracciabile nella storia,
così come non è mai esistita una famiglia Bronte, che, infatti, è una voluta deformazione della famiglia
Brancia; cfr. CLIMA, Leggende, microstorie..., cit.. Ovviamente l’aver legato la famiglia Brancia è una
libertà ulteriore, se non proprio un arbitrio, di cui chiedo venia. Ritroviamo infatti questa famiglia solo
incidentalmente, dopo il terremoto dell’epoca quando - nel 1650 - acquistò quello che restava
dell’originario Castello federiciano di Apricena. La ricostruzione che ne fece, e tuttora esistente, ne
alterò sostanzialmente le linee architettoniche, ma conferì loro il titolo di Principi di Apricena
(successivamente anche se per breve tempo, questa chiamata Casalmaggiore). Il Feudo di Apricena fu
acquistato nel 1593 da Ferrante Lombardo, conte di Gambatesa, barone di Roseto e Troia da cui
passò al figlio Ascanio e al nipote Giovanni Berardino. Questi lo vendette ai Brancia nel 1613 (così
come gentilmente trasmessomi con e.mail da Francesco Lombardi di S. Chirico - fonte: Giovanni
MARESCA, Le ultime intestazioni feudali del Cedolario di Capitanata”, in «Rivista araldica» 1954;
Annibale FACCHIANO, Roseto Val Fortore, Sant’Agata di Puglia, Casa S. C. di Gesù, 1971).
Normanno Comitis Alexinae, già deposto e impetrante
Johannes Maynardus, censito come baiulo ad Apricena nel 1232 durante il processo contro Firenze
A questo punto sarebbe opportuno, durante il banchetto, avere un sottofondo
musicale ovvero, qualora se ne riuscisse ad avere la disponibilità, un vero e proprio
complesso di figuranti che possano cantare e suonare temi riconducibili al periodo
storico, allo stesso modo gli artisti di strada faranno qualche esibizione.
CONCLUSIONE EVENTO ED ALTRI ADEMPIMENTI
Dopo queste fasi cerimoniali, le rievocazioni Re- enachment e Living Story
avrebbero termine e si potrebbe entrare in una fase caratterizzata da “Gruppi Storici”
composti da musicisti, cantanti e danzatori a cura di privati, di associazioni o delle
scuole nonché dal banchetto a base di cinghiale.
Per tale aspetto sembra opportuno incaricare la locale associazione/circolo
cacciatori che potrebbe predisporre posti di ristoro intorno alla piazza. Ciò dovrà
avvenire ovviamente in tema, cioè anch’essi dovranno indossare abiti medievali e le
pietanze dovranno essere esclusivamente di cinghiale accompagnate da vino. Per la
somministrazione di tali alimenti dovrà essere richiesta, ovviamente l’autorizzazione
del sindaco, unica formalità necessaria per tale aspetto. Nel caso si voglia invitare ad
aderire anche esercenti tale specifica attività, ubicati nei pressi della piazza anch’essi
dovranno farlo in abiti a tema, ma nel posto di ristoro dovranno avere al seguito
anche la regolare documentazione, fiscale e amministrativa, per lo svolgimento della
loro attività.
Da un punto logistico, una simile rappresentazione
necessiterebbe anche della predisposizione di un palco con
gradini sul quale andrebbe posto un trono e possibilmente un
telo per copertura.
Da un punto di vista di ordine e sicurezza pubblica,
andrebbe investito di tale responsabilità il sindaco, con
apposita richiesta di autorizzazione per l’occupazione di suolo
pubblico per i fini sopraesposti, affinché predisponga idonea recinzione della piazza
per permetterne l’accesso solo a piedi e perché venga lasciato libero un corridoio di
accesso alla stessa, idoneo al transito dei mezzi di soccorso e di pronto intervento.
Ulteriore adempimento, da espletarsi una decina di giorni prima della data
dell’evento è la comunicazione alla Questura di Foggia per il tramite della locale
Stazione dei Carabinieri ai sensi dell’art. 18 del T.U.L.P.S. evidenziando chela
manifestazione prevede anche la presenza di simulacri di armi da punta e da taglio
con finalità esclusivamente rappresentative.
Ad ogni buon conto per coerenza storica non dovranno essere utilizzati:
MATERIALI:
Plastica, resina, plexiglass, alluminio, anticorodal, ferri lavorati industrialmente.
Apparecchi elettrici, lampadine a vista, tessuti lavorati, a fantasia, con decorazioni e
ricami sintetici. Vetro lavorato industrialmente come brocche, barattoli da conserva e
bicchieri. Piastre elettriche, cavi, prese, generatori elettrici. (Nel caso in cui, i
materiali sopracitati dovessero risultare indispensabili, essi dovranno essere
opportunamente celati con materiali attinenti al periodo rievocato come ad esempio
tele, legno, corde, ferro ecc.).
PRODOTTI ALIMENTARI:
Pomodori, patate, mais, peperoncino, peperoni, melanzane, caffè, cioccolato,
arachidi, zucca, ananas, fragole, alimenti moderni contenenti coloranti.
OBIETTIVI
Principali :
1. Rievocazione della consegna da parte di Federico II agli abitanti di Apricena
dei privilegi, avvenuta a marzo del 1230.
Secondari:
1. Rievocazione del soggiorno di Celestino V presso il monastero di San
Giovanni In Piano durante la sua fuga.
2. Partecipazione ad eventi presso Altavilla Vicentina e L’Aquila.
3. Partecipazione ad eventi su invito di altre comunità, ciò può avvenire dietro
compenso o rimborso spese, ma sempre con l’autorizzazione dell’assemblea
del Centro Studi Apricena congruamente informato.
1. RISULTATI ATTESI
Entro gennaio 2015:
Costituzione del gruppo base con definizione dei ruoli e dei compiti.
Entro aprile 2015:
Raccolta e censimento delle adesioni.
Entro maggio 2015:
La costituzione del GRUPPO A: gruppo stabile di figuranti composto da n. 20
(adulti) con presenza necessaria; Un imperatore (Federico II), dieci tra nobili e
titolati, Bianca Lancia e Angiola Bronte, due cavalieri (Ermanno de Salza Gran
Maestro dell’Ordine dei Teutonici, il comandante della Guardia Saracena),
l’arcivescovo Berardo e almeno altre quattro nobildonne.
Entro giugno 2015:
La costituzione del GRUPPO B: gruppo di circa 40 figuranti (adulti e
bambini) con presenza volontaria e non necessaria, fra essi andrebbero
anche censiti eventuali esercenti la somministrazione di alimenti e
bevande che avrebbero pertanto il compito di allestire il banchetto finale,
e altri proveniente.
19 settembre 2015:
Conferenza.
20 settembre 2015:
Realizzazione dell’ evento.
2. COSTI
La previsione di spesa riguarda principalmente la fornitura di abiti e accessori
medievali.
Il Centro Studi Apricena, per la sua natura, non avendo risorse economiche a
disposizione, non può e non deve affrontare alcun tipo di spesa. Pertanto, le risorse
potrebbero essere reperite e suddivise fra i gruppi in base alla loro tipologia di
appartenenza “A” o “B”. In pratica, coloro che daranno la loro disponibilità ad
aderire ai gruppi “A” o “B” saranno informati che tale adesione potrebbe comportare
l’impegno a versare una somma utile all’utilizzo degli abiti (acquisto accessori ); per
tale motivo tali accessori saranno poi di sua esclusiva appartenenza. Nell’ambito del
gruppo sarebbe opportuno che alcuni abiti come quello dell’Imperatore e Bianca
Lancia fossero ad appannaggio del Centro Studi che a tal uopo dovrebbe ricercare le
modalità per la loro realizzazione. Ciò in quanto tali abiti al termine della
rievocazione andrebbero a prendere posto, previo nulla osta degli organi preposti,
presso il locale museo, come materiale storico educativo/didattico. Il Centro Studi
Apricena, al fine di reperire le risorse necessarie per la realizzazione di tali abiti
potrebbe anche richiedere eventuali contributi agli enti pubblici ovvero a sponsor (a
cui sarà garantita la pubblicità in occasione di ogni evento). Tali abiti, che saranno
comunque e sempre nella disponibilità della Compagnia Stabile Medievale costituita,
saranno assegnati ai figuranti scelti di volta in volta.
“…ogni qualvolta piacque a Lui di gire o di dimorare nella [loro] terra e con
affetto ed assai splendide dimostranze [essi] a lui ed al suo seguito in ogni
tempo ne dilettarono.”…
…“”Ammirato della pura fede e divozione sincera la quale nudriron sempre
ed ancor nudrivano per la Maestà sua i cittadini tutti di Apricena; grati
ancora ai servigi fin allora prestati e da prestare di bene in meglio per
l’avvenire …; volendo eziandio questa terra a lui gratissima e
cittadini suoi con meritati benefizi magnificare; per
favore di sua liberalità concesse ad essi, agli eredi e
loro successori, il diritto di pascolare liberamente nei
territori di Civitate, Castelpagano e San
Nicandro senza pagar fida od altro diritto; e
fosse lor lecito negli anzidetti
territori tagliar legna a
proprio uso e vantaggio,
eccetto nelle difese, ove
non si permise
mai ad alcuno di
entrare per gli usi
sopradetti. Inoltre,
per sua
sovrabbondante grazia, concesse
agli Apricenesi di tener fiera nella
loro terra il mercoledì di
ciascuna settimana, e che tutti,
nell’andare e nel ritorno, nella
compra e nella vendita delle merci, fossero andati, in quel giorno, da ogni
gravezza liberi e immuni, salvi, in ogni cosa, gli avvisi ed ordini suoi.””
{Tratto da “Apricena” di Nicola Pitta – Banca Popolare di Apricena –
anno 1984- Vol 1 pag. 48 – Cfr. Pergamena di Giovanna I}