"Progetto Arte e Territorio - l'Arte della Mia Terra" a cura del prof. Corvaglia Roberto - I.T.E...

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Istituto Tecnico Economico «De Viti De Marco» Casarano Progetto: ARTE e TERRITORIO Prof. Corvaglia Roberto

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Istituto Tecnico Economico «De Viti De Marco»

CasaranoProgetto:

ARTE e TERRITORIOProf. Corvaglia Roberto

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Alla scopertadelle bellezze artistiche del territorio

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CASARANOIl nostro itinerario inizia dalla città di Casarano, luogo che ospita la sede della nostra scuola.

Il nucleo più antico di Casarano risale al I secolo d.C. e si configura come praedium rusticum (possesso rurale) di Caesar, centurione romano, assegnato per meriti militari conseguiti durante le guerre civili. Delle origini romane fanno fede tre testimonianze storico-archeologiche: due epigrafi funerarie ravennati ritrovate non molti anni fa.

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La prima fu rinvenuta nel 1972 durante i lavori di restauro della Chiesa di S.Maria della Croce in cui si legge il nome di Vibulius; si deduce che l’antica Casarano sia stata un casale romano appartenuto poi, in età imperiale a ricchi possidenti Gallipolini. L’altra, ritrovata a pochi metri da Casaranello, dove sorgeva l’antico nucleo originario di Casarano, menziona un bambino di nome Musico i cui genitori erano uno ebreo e l’altro greco, sta a significare l’esistenza del villaggio già in età romana. Un ulteriore conferma della presenza romana ci viene poi dal tracciato della via Appia-Traiana, voluta dall’ imperatore Traiano, e che da Brindisi giungeva fino all’attuale Patù.

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La dominazione bizantina (553-1070) lasciò impronte sul territorio: affreschi in S.M.della Croce, icone (chiesa della Campana)), tradizioni, culti, linguaggi.

In età normanno-sveva Casarano fu infeudata ai Fuggetta, quindi a Goffredo di Cosenza.

Altri feudatari: Pietro di Bertinaccio e i Tomacelli in età angioino-aragonese. Più tardi, sotto gli spagnoli, i Filomarino e i D’Aquino che la tennero fino al 1809.

Nel 1484 fu occupata dai veneziani e fra 500 e 800, Casarano si arricchì di chiese e conventi, palazzi barocchi (D’Elia, De Judicibus, Astore, ecc.)

Altra importante testimonianza romana, l’impianto basilicale a croce latina (450 d.C.) della chiesa di Casaranello che esibisce cospicue tracce di opus tasselatum, nonché resti di un mosaico pavimentale con motivi curvilinei tipici della domus romana in età imperiale.Nel Medioevo il borgo si scisse in due fazioni: Caesaranum magnum (grande) e parvum (piccolo o Casaranello) oggi fuse in un’unica realtà urbana.

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Chiesa di Santa Maria della CroceL’edificio è il risultato di almeno tre fasi storiche. Alla prima fase (450 d.c. circa) risale l’impianto originario a tre navate a croce latina nonchè la zona del presbiterio e dell’abside alla quale appartengono i mosaici paleocristiani della volta.

Ulteriore conferma della genesi tardoantica è il ritrovamento, nel sottosuolo, della funeraria epigrafe marmorea intitolata a Vibulius (I o II secolo d.C.).

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Alla seconda appartengono gli interventi di artisti italo-bizantini che adeguarono la chiesa alla nuova sensibilità iconografica e all’austera spiritualità che pervade dalle figure ad affresco della Madonna con Bambino (a sinistra) e di Santa Barbara (a destra). Si fronteggiano nei due pilastri prossimi al presbiterio e risalgono alla prima metà del XI secolo.

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Questa piccola chiesa (300 mtq circa), eretta intorno al 450 d.C. , esibisce un mosaico paleocristiano che è la perla del Salento per le sue valenza cromatiche e figurali nonchè cicli di affreschi bizantini (secoli XI-XIV) e gotici (XIII secolo) di complessa e pregevole fattura

Alla terza (secoli XIV-XVI) appartengono altri affreschi tra i quali quello raffigurante papa Urbano. Altri affreschi sono di minore rilevanza.Vi appartengono, inoltre, gli arconi che collegano la navata centrale alle navatelle laterali e, probabilmente, il piccolo rosone tardoromanico della facciata a capanna.

Il tempio fu pressocchè dimenticato per tutto il XIX secolo fino a lavori di restauro (1898 – 1913) voluti da due archeologi tedeschi e un russo ai quali ne seguirono degli altri. Decisi i restauri della 1970-72 e quello recente del 1999 del mosaico paleocristiano, di alcuni affreschi e dell’interno a cura della Sopraintendenza regionale.

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I MOSAICI

Questo piccolo tempio è fra le prime testimonianze, in Occidente, del culto della Thetokos (madre di Dio). Oggi, dell’immagine mariana sopravvive solo una traccia sulla parete orientale dell’abside: un nimbo costituito da tessere rosse su fondo azzurro chiaro; è proprio il rosso-porpora delle tessere a rappresentare allegoricamente il divino amore di Maria.Inoltre, il fatto che esso rappresenti l’estremità inferiore del mosaico, simmetrica a quella superiore (la croce giallo-oro), giustifica il titolo della chiesa: Santa Maria della Croce.

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L’intero vano absidale e la cupoletta del presbiterio, presentano un unico, grande mosaico. Esso, parzialmente sopravvissuto, è costituito da splendide cromie che danno vita, nella zona absidale, a motivi figurali connotati da elementi zoomorfi e fitomorfi (animali e piante), simmetricamente disposti in due riquadri geometrici separati da festoni policromi intrecciati e da un’ampia campitura costituita dall’insieme di tessere cromatiche sovrapposte a coda di pavone, uccello simbolo della divina regalità. Siamo di fronte al Paradiso terrestre, ossia il giardino di Dio

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Nella cupola si osservano, dall’alto verso il basso, tre fasce cromatiche: la prima, celeste, presenta una croce giallo-oro; la seconda un azzurro cielo stellato; la terza, un festone circolare con i sette colori dell’iride: E’ questa, la struttura dell’Empireo (il Paradiso celeste) con i suoi nove cieli della Luna, di Mercurio, di Venere, del Sole, di Marte, di Giove, di Saturno, simbolizzati dal cerchio iridato, sovrastati dall’ottavo (Stelle fisse) e dal nono (Primo Mobile) con al vertice la Croce, il cui colore giallo allegorizza lo splendore di Cristo, Luce del mondo.

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Segue uno stacco murario dalla cupola all’arcone. Ma, a segnare la continuità del discorso simbolico, è una vite con grappoli d’uva e altri segni eucaristici (melagrana, pigna), e vitali (la colomba e le meduse) tipici del simbolismo paleocristiano.La vite rampante è simbolo della Croce che unisce terra (l’eden terrestre) e cielo (Eden celeste). Il rettangolo, come il quadrato, simbolizza l’infinita ciclicità del mondo naturale in uno spazio e in un tempo finiti, mentre il cerchio e l’ovale simbolizzano l’infinito e l’assoluta perfezione di Dio.

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Le cinque fasce (simmetriche la prima e la quinta) rinviano al mondo terreno di cui sono simbolo. Il parallelepipedo fra le stelle, tre disposte a triangolo (fascia terza e centrale) e i rettangoli simbolizzano la Terra; gli ovali il Cielo; nel loro interno vi è una freccia che allegorizza il movimento dei cieli. La treccia (quarta) e il meandro ondulato (seconda) simbolizzano la riproduzione degli esseri e l’alternarsi di vita-morte nell’ordine terrestre; il cinque del dado ricorrente sulla faccia della Terra (il parallelepipedo) rappresenta l’uomo destinatario della creazione e dell’amore divino, ossia l’essere più perfetto creato a immagine di Dio.

Ricorre, pertanto, una costante, allegorica numerologia: il 3, con il suo multiplo 9 (I cieli), rimanda alla Divina Trinità; il 5, invece, al risultato più perfetto della genesi, l’uomo. Infatti i cinque puntini ne rappresentano i quattro arti (braccia e gambe) e l’organo della riproduzione al centro del corpo umano.

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GLI AFFRESCHIFra il IX e il X secolo un grande numero di sacerdoti e di monaci greci giunge nel Salento al seguito delle armi di Bisanzio. Ancora una volta il Salento si fa crocevia fra Oriente e Occidente.Intorno al Mille, il linguaggio iconografico bizantino si innesta, in Santa Maria della Croce, sul tronco dell’arte romana e paleocristiana. La chiesa subisce, infatti, l’influenza di una spiritualità che disdegna l’umanizzazione del divino, propone la divinizzazione dell’umano, conferisce ieraticità alle figure dei Santi, della Madonna e del Cristo, ha come canoni figurativi la centralità, la verticalità, la fissità della figura liberata da ogni traccia di naturalismo, sicchè i motivi ornamentali di tipo naturalistico zoomorfo, geometrico dei mosaici tardo romani, vengono sostituiti da Santi e Madonne dall’incarnato bruno, dall’abito orientale ricco di perle, dallo sguardo profondo e misterioso.Le pareti della chiesa si rivestono così di affreschi bizantini.

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Sui primi due pilastri troviamo effigiati i volti degli arcangeli guardiani del tempio: Michele e Gabriele, veramente poco leggibili.Sui due pilastri mediani osserviamo, a sinistra una Madonna con Bambino e, a destra, Santa Barbara.

La vergine e il Bambino sono allineati sullo stesso asse verticale, e la Madre, in posizione eretta, ostenta il figlio come se non avesse peso corporeo e appoggia le mani su di lui per trattenerlo e non per sostenerlo. Il canone è quello orientale della frontalità, centralità e fissità dell’immagine; può essere collocata nella prima metà del XI secolo.L’altro affresco è quello che raffigura santa Barbara, una santa greca del IV secolo. Il suo culto, in Occidente, si diffonde soprattutto nel VIII secolo, sicchè questo affresco è una delle prime immagini della Santa. Anche qui la figura è in posizione è in posizione eretta e presenta, lungo l’arco sopracciliare, una traccia di verde smeraldo sfumato che ne impreziosisce lo sguardo.

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Posti sulla parete nord dell’abside, si incontrano gli affreschi di Giorgio e Demetrio. Vi si coglie l’impronta di tempi nuovi rispetto ai primi affreschi bizantini: non più una assoluta staticità delle figure, ma un movimento lieve, insieme con un accenno di prospettiva sullo sfondo.

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Percorrendo la navata centrale si osserva, sulla parete di sinistra, un ciclo di affreschi che hanno come tema scene del Nuovo Testamento inerenti alla passione e alla morte di Cristo.Quasi intatti quelli che raffigurano L’Ultima Cena e il Bacio di Giuda.Nell’Ultima Cena il Cristo è seduto alla sinistra del tavolo e, con un aspetto contorto, intinge il pane nel piatto. Sereno il Cristo, turbati i discepoli che accennano a un colloquio fra loro. Tutti gli apostoli hanno il ninbo, eccetto Giuda, il cui nome è scritto in greco (Joudas). Il riquadro successivo ripropone giuda che bacia il Cristo nei Getsemani.

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All’impronta bizantina si affianca quella gotica negli affreschi che adornano la volta a botte della navata centrale: scene della vita e del martirio delle Sante Caterina d’Alessandria (a sinistra) e Margherita di Antiochia (a destra).Questi affreschi non sono più bizantini ma gotici.I nomi delle Sante sono scritti in latino e non in greco: è una ulteriore traccia della coesistenza di due lingue, di due riti, di due etnie. Le vesti dei personaggi, lunghe fino ai piedi, erano in uso in Francia sul finire del secolo XI secolo; mentre i personaggi maschili non portano più pantaloni lunghi, usati nel XII secolo, ma hanno le gambe coperte dalle calze che furono adottate nel secolo successivo.

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Fra gli altri affreschi è degna di nota una Madonna con Bambino: è un’icona tardo-bizantina della fine del XIV secolo.Maria ha il capo reclinato affettuosamente sul Bambino da lei sorretto sul braccio sinistro.Questa tipologia della Madonna umanizzata fa presagire l’influenza giottesca. Inoltre, si segnalano altri affreschi di assai scarso valore.La facciata di Santa Maria della Croce fu certamente modificata tra Quattrocento e Cinquecento, quando anche l’interno sarebbe stato ristrutturato. Essa presenta una struttura a capanna, un piccolo rosone e un portale rettangolare sovrastato da una lunetta.