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Il Sole 24 Ore - UNITELNews24 Le Newsletter de Il Sole 24 ORE Percorsi di informazione ed approfondimento per professionisti, aziende e Pubblica Amministrazione Servizio di informazione ed approfondimento in tema di ambiente, appalti, edilizia, urbanistica e sicurezza Chiuso in redazione il 30 ottobre 2010 © 2010 Il Sole 24 ORE S.p.a. I testi e l’elaborazione dei testi, anche se curati con scrupolosa attenzione, non possono comportare specifiche responsabilità per involontari errori e inesattezze Sede legale e Amministrazione: via Monte Rosa, 91 – 20149 Milano a cura della Redazione Elettronica Edilizia, Ambiente e PA de Il Sole 24 ORE Tel. 06 3022.64.83 e-mail: [email protected] www.professionisti24.com 41

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Servizio di informazione ed approfondimento in tema di ambiente, appalti, edilizia, urbanistica e sicurezza

Chiuso in redazione il 30 ottobre 2010

© 2010 Il Sole 24 ORE S.p.a.

I testi e l’elaborazione dei testi, anche se curati con scrupolosa attenzione, non possono comportare specifiche responsabilità per involontari errori e inesattezze

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n. 41 – 30 ottobre 2010

Sommario

Pagina

NEWS Ambiente, antincendio, appalti, economia e finanza, edilizia e urbanistica, energia, fisco, lavoro e previdenza, mercato, Pubblica Amministrazione, rifiuti, sicurezza 5

RASSEGNA DI NORMATIVA Leggi, decreti, circolari: sintesi e classificazione 18

RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA Appalti, beni culturali, edilizia e urbanistica, inquinamento, pubblica amministrazione, Pubblico Impiego, rifiuti, sicurezza ed igiene del lavoro 30

APPROFONDIMENTI

Ambiente

VALUTAZIONE E GESTIONE DELLA QUALITÀ DELL’ARIA: DEFINITO IL TESTO UNICO IN LINEA CON LA

UE Con il nuovo decreto legislativo 13 agosto 2010 n. 155 è stata recepita in Italia la direttiva n. 2008/50/Ce relativa alla qualità dell’aria ambiente e per un’aria più pulita in Europa. Il decreto è entrato in vigore il 30 settembre 2010. Il nuovo decreto si configura come un testo unico e costituisce un quadro normativo unitario in materia di valutazione, gestione e tutela della qualità dell’aria ambiente: «l’aria esterna presente nella troposfera, a esclusione di quella presente nei luoghi di lavoro» (articolo 2, lettera a).

Siro Corezzi, Il Sole 24 Ore - Guida al Diritto n. 43 del 30 ottobre 2010 48

Appalti

REGOLAMENTO APPALTI: FORSE È LA VOLTA BUONA Con il regolamento di attuazione del Codice dei contratti pubblici è stato completato e ordinato il panorama normativo dei contratti pubblici, racchiudendo in un unico testo tutte le disposizioni regolamentari oggi sparse in più contenitori non coordinati con il Dlgs n. 163/2006, apportando diverse e notevoli novità, tra le quali quelle segnalate. Il regolamento entra in vigore dopo centottanta giorni dalla data di pubblicazione, a esclusione delle disposizioni relative alle sanzioni alle imprese e alle SOA, per le quali è prevista l'entrata in vigore quindici giorni dopo la pubblicazione del regolamento.

Roberto Proietti, Il Sole 24 Ore - Diritto e Pratica Amministrativa n. 10, ottobre 2010 51

Appalti

SERVIZI PUBBLICI LOCALI DI RILEVANZA ECONOMICA E’ stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 239 del 12 ottobre 2010 il D.P.R. 7 settembre 2010, n. 168 recante “Regolamento in materia di servizi pubblici locali di rilevanza economica, a norma dell'articolo 23-bis, comma 10, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133”.

Pierpaolo Masciocchi, Il Sole 24 ORE - Codice Ambiente e Sicurezza 55

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Appalti DURC E APPALTI PUBBLICI: ULTIMI CHIARIMENTI DEL MINISTERO Il Ministero del lavoro fornisce importanti indicazioni che trovano fondamento in una determinazione dell'Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici di Lavori, Servizi e Forniture (Avcp) del 12 gennaio 2010.

Danilo Papa, Il Sole 24 ORE - Guida al Lavoro n. 41 del 22 ottobre 2010 60

Edilizia e urbanistica

ESPROPRI, LA CONSULTA BOCCIA LA NORMA CHE PERMETTEVA DI SANARE PROCEDURE ILLEGITTIME

La Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’articolo 43 del Dpr 327/2001 che permetteva di sanare gli espropri effettuati con procedure irregolari garantendo all’amministrazione l’acquisizione delle aree. La Corte costituzionale ha cancellato la sanatoria degli espropri illegittimi, lasciando un vuoto che il legislatore dovrà colmare, senza però riproporre soluzioni normative che si limitino, sempre e in ogni caso, a trasferire la proprietà del terreno (dal privato) all’amministrazione che ha sbagliato.

Roberto Ollari, Il Sole 24 Ore - Edilizia e Territorio, 18 ottobre 2010, n. 40 64

Edilizia e urbanistica SCUOLE BOCCIATE IN SICUREZZA: CRESCONO GLI INCIDENTI TRA CERTIFICAZIONI MANCANTI ED

EDIFICI DA RISTRUTTURARE Aumentano gli episodi di bullismo e vandalismo nelle aule d'Italia. E mentre gli intonaci si screpolano, le finestre restano rotte e le aule soffrono il sovraffollamento, a fare i conti con l'incremento degli incidenti restano gli studenti e, in generale, il personale scolastico.

Elena Pasquini, Il Sole 24 Ore - Guida al Diritto, 9 ottobre 2010, n. 40 68

Edilizia e urbanistica

DALLA DIA ALLA SCIA: MOLTO RUMORE PER NULLA Cambiare i nomi per cambiare le cose spesso non è la strategia migliore. La vicenda della sostituzione della dichiarazione d’inizio di attività (Dia) con la segnalazione certificata d’inizio di attività (Scia), operata da un emendamento al decreto legge n. 78 del 31 maggio 2010, è emblematica di questo errore di metodo.

Marcello Clarich, Il Sole 24 ORE –Diritto e pratica amministrativa, n. 10, ottobre 2010 70

Energia

NUOVE REGOLE PER L’ENERGIA Due le novità di notevole interesse attese da tempo dagli operatori del settore: - il c.d. III Conto Energia, ossia il decreto del ministero dello Sviluppo economico “Incentivazione della produzione di energia elettrica mediante conversione fotovoltaica della fonte solare” - le Linee Guida per l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili.

Carmen Chierchia, Il Sole 24 Ore - Diritto e Pratica Amministrativa, n. 10, ottobre 2010 72

Lavoro

UNA LEGGE TRAVAGLIATA MA RICCA DI NOVITÀ Il cd. collegato lavoro (AC 1441quater) ha avuto un iter legislativo molto travagliato. Per la sua approvazione in via definitiva (da parte della Camera dei deputati il 19 ottobre c.a.) sono occorse ben sette letture: un percorso, questo, che ha ben pochi precedenti persino nella mitica Prima Repubblica. Il progetto di legge, già collegato alla Finanziaria per il 2008, ha iniziato, nell'autunno di quell'anno, il suo cammino a Montecitorio, con soli 9 articoli. Ne è uscito con 24. Poi, al Senato, è rimasto quasi un anno, subendovi una notevole trasformazione: gli articoli sono diventati 51, nonostante che almeno una decina di quelli approvati dalla Camera avessero nel frattempo trovato altri vettori più veloci (in particolare i decreti attuativi della riforma Brunetta e le misure attinenti al finanziamento degli ammortizzatori sociali in deroga).

Giuliano Cazzola, Il Sole 24 ORE - Guida al Lavoro, Supplemento, ottobre 2010 77

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Pubblica amministrazione GUIDA ALLA VALUTAZIONE PER LA QUALITÀ DELL'ENTE La misurazione dell'attività di dirigenti e personale diventa il principio cardine della riforma delle amministrazioni pubbliche. Un obiettivo irrinunciabile anche per tutte le Autonomie locali che dovranno attivare nuovi strumenti.

Federico Fontana e Marco Rossi, Il Sole 24 Ore - Guida agli Enti Locali, 9 ottobre 2010, n. 40 80

Pubblica amministrazione

PER LE AUTONOMIE L’OBBLIGO DEL REGOLAMENTO Le indicazioni contenute nella circolare della Funzione pubblica del 6 agosto scorso sui requisiti per il conferimento di incarichi di direzione del personale nelle pubbliche amministrazioni sembrano essere molto utili sul terreno operativo, perché consentono di risolvere quasi tutti i dubbi sulla corretta applicazione delle norme dedicate.

Arturo Bianco, Il Sole 24 Ore - Guida agli Enti Locali, 30 ottobre 2010, n. 43 87

Pubblico impiego

PUBBLICO IMPIEGO: LE PENSIONI DOPO LA MANOVRA D’ESTATE

La legge n. 122 del 30 luglio 2010, entrata in vigore il 31 luglio 2010, di conversione del decreto legge n. 78 del 31 maggio 2010 (entrato in vigore il 31 maggio 2010) ha introdotto una serie di innovazioni sul versante previdenziale. L'Inps prima con la circolare n. 126 del 24 settembre 2010 ed ora l'Inpdap con la circolare n. 18 dell'8 ottobre 2010 hanno fornito i relativi criteri applicativi.

Giuseppe Rodà, Il Sole 24 ORE - Guida al Lavoro n. 41 del 22 ottobre 2010 89

Rifiuti GESTIONE DEI RIFIUTI, STOP DALL'UE ALLE CITTÀ-DISCARICA Smaltimento, riciclo, utilizzo sostenibile delle risorse, tutela della salute: da Bruxelles arrivano gli indirizzi e le regole non più rinviabili. A partire dalla gerarchia degli scarti

Maria Adele Cerizza, Il Sole 24 Ore - Guida agli Enti Locali, 9 ottobre 2010, n. 40 92

L’ESPERTO RISPONDE

Acque, agevolazioni, appalti, fisco, rifiuti, sicurezza ed igiene del lavoro 95

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Ambiente

Informare, prevenire e mitigare il rischio idrogeologico Sono queste le parole d’ordine dell’operazione fiumi, la campagna itinerante di Legambiente e della Protezione civile. Tra ottobre e novembre il progetto realizzerà 18 tappe in 11 Regioni toccando grandi fiumi come la Dora Baltea, il Lambro, l’Adige, il Serchio, l’Aniene, il Tronto, il Calore irpino e il Fortore, ma anche i corsi d’acqua minori come il rio Posada, il torrente Farfa e le fiumare di Reggio Calabria e Messina». L’educazione dei cittadini, soprattutto dei più giovani, sarà al centro del progetto, infatti «le scolaresche saranno coinvolte in attività di informazione e sensibilizzazione e seguiranno percorsi didattici oltre che partecipare a giochi di ruolo, prendendo parte a una vera e propria caccia al tesoro, per scoprire la via di fuga in caso di emergenza». (Il Sole 24 Ore - Guida agli Enti Locali, 23 ottobre 2010, n. 42)

Ecosistema urbano e ambiente, male le grandi città e il Mezzogiorno Di nuovo allarme ambientale nelle grandi città italiane. Con l’unica eccezione di Torino tutti i centri urbani con più di mezzo milione di abitanti vedono peggiorare il loro stato di salute. È quanto rivela la 17ma edizione di “Ecosistema Urbano”, l’annuale report di Legambiente e Ambiente Italia sullo stato di salute ambientale dei Comuni capoluogo italiani realizzata con la collaborazione editoriale del Sole 24 Ore. Il dossier e le classifiche proposte sono state redatte tenendo in considerazione una serie di parametri che contribuiscono a rendere migliore o peggiore la qualità di vita di una città dal punto di vista ambientale: dalla quantità di Pm10 nell’aria all’acqua potabile, dalla produzione di rifiuti alla raccolta differenziata, ma anche il trasporto pubblico, le piste ciclabili, il verde urbano e le politiche energetiche. Bene, invece, alcuni centri più piccoli che hanno saputo organizzarsi a misura di ambiente: sul podio della classifica delle migliori ci sono Belluno, Verbania e Parma, poi Trento, Bolzano e Siena, La Spezia, Pordenone, Bologna e Livorno chiude la “top ten”. In fondo alla graduatoria, invece, molte città del Sud. Tra gli ultimi venti Comuni solo Imperia (93ma) rimane a rappresentare il Nord. le altre regioni nella coda della graduatoria sono la Calabria (con 4 città), la Campania, la Sardegna e la Puglia. Viterbo (84ma), Frosinone (94ma) e Latina (100ma) in coda alla classifica. Ultimissime Palermo (101ma), Crotone (102ma) e Catania (103ma). (Il Sole 24 Ore - Guida agli Enti Locali, 30 ottobre 2010, n. 43)

Appalti

Pugno duro Ue (ma tra due anni) Italia maglia nera con tempi medi di 86 giorni e perdite di 28 miliardi. Con 612 voti a favore, 12 contrari e 21 astensioni il Parlamento europeo ha acceso disco verde sulla direttiva contro i pagamenti lumaca della pubblica amministrazione, debitrice privilegiata nei confronti delle imprese che in Italia, più che in ogni altro Paese europeo, aspettano anche 85 giorni prima di vedersi evadere il corrispettivo della fornitura di beni e servizi. Un voto dato per blindato da molti, ma solo negli ultimi passaggi, perché il dibattito è stato durissimo e si è protratto per oltre un anno. Alla fine con l’intervento delle rappresentanze diplomatiche dei Ventisette si è arrivati a un accordo il 21 ottobre confermato dal voto compatto dell’assemblea di Strasburgo. I contenuti sono noti e si dividono in due regimi distinti: per i rapporti con la Pa la regola generale prevede pagamenti a 30 giorni, derogabile fino a un massimo di 60 solo se le parti sono d’accordo e sia «oggettivamente giustificata». Per il B2B sarà possibile estendere il limite previsto di 30 giorni a 60 solo in via concordata e se previsto espressamente dal contratto. Chi sforerà questi termini pagherà un tasso di interesse della Bce maggiorato dell’8 per cento. Inoltre è previsto un rimborso per i costi di recupero che è stato fissato nella somma minima di 40 euro. La direttiva farà adesso un ultimo passaggio in Consiglio Ue per poi entrare in vigore 20 giorni dopo la pubblicazione in Guce. Gli tati membri avranno poi due anni per recepirla nei propri ordinamenti. E proprio sui larghi tempi di attuazione la relatrice tedesca Barbara Weiler (S&D) ha detto che «da gennaio gli Stati membri dovrebbero iniziare il recepimento». Anche Francesco De Angelis, relatore in commissione

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Industria spinge per una rapida trasposizione della disciplina. «Ora la palla passa agli Stati nazionali – ha dichiarato – e noi faremo la nostra parte per assicurarci una rapida ed effettiva trasposizione da parte dell'Italia ». Ma nella soddisfazione generale qualche nota dolente arriva dall’Ance che salutando la disciplina Ue come «un provvedimento moderno », rileva anche – per bocca del suo presidente Paolo Buzzetti – l’impossibilità di «aspettare due anni per ottenere risposte su un problema che mette a rischio la stessa sopravvivenza di molte imprese di costruzioni, soprattutto quelle piccole e medie». Critico invece il residente dell’Upi, Giuseppe Castiglione: «Non sono le pubbliche amministrazioni che non rispettano le regole – ha detto – è il patto di stabilità che ci impone vincoli proibitivi e ci impedisce di dare seguito ai pagamenti nei tempi stabiliti». (Il Sole 24 ORE Edilizia e territorio tabloid, 25 - 30 ottobre 2010 n. 41)

Pubblicato il "Libro Verde" sugli appalti elettronici La Commissione Europea ha pubblicato, il 18 maggio 2010, il Libro Verde sugli appalti elettronici (COM/2010 – 571). Questa importante comunicazione si inserisce all’interno del programma denominato "agenda digitale europea" ed ha un duplice obiettivo: - sfruttare il potenziale delle telecomunicazioni per migliorare gli appalti pubblici in tutto il mercato unico; - riesaminare in modo coordinato, ambizioso e completo il quadro UE in materia di appalti pubblici. Nella dichiarazione ministeriale di Manchester del 2005, i ministri dell’UE avevano espresso l’auspicio che "nel 2010 almeno il 50% degli appalti pubblici di importo superiore alla soglia UE (sarebbero stati) conclusi per via elettronica." Le difficoltà attualmente esistenti per raggiungere l’ambito traguardo ha spinto la Commissione ad intraprendere questa iniziativa al fine di sollecitare gli Stati membri nell’utilizzo degli strumenti elettronici in tutte le fasi della procedura: pubblicazione del bando e degli avvisi, trasmissione dei documenti di gara, presentazione delle offerte, valutazione, aggiudicazione dell’appalto, ordine, fatturazione e pagamento. Impossibile il paragone con altre realtà, si veda ad esempio l’esperienza della Corea, dove più del 90% degli appalti pubblici "sono negoziati sulla piattaforma a gestione centralizzata KONEPS". E’, tuttavia, indispensabile superare l’attuale scarso utilizzo degli appalti elettronici all’interno del mercato UE, infatti, "secondo la valutazione effettuata dalla Commissione, negli Stati membri pionieri in materia meno del 5% dei bilanci complessivi destinati agli appalti pubblici è attribuito tramite sistemi elettronici." I vantaggi che l’uso degli appalti elettronici presenterebbero sono: - maggiore accessibilità e trasparenza; - benefici a livello delle singole procedure; - benefici in termini di gestione più efficiente degli appalti; - possibilità di integrazione dei mercati UE degli appalti. Le difficoltà nell’introduzione di questa procedura sono legate agli ingenti investimenti infrastrutturali iniziali e al necessario adeguamento delle p.a. e degli operatori economici al loro utilizzo. Al fine di pervenire ad una "digitalizzazione degli appalti" sempre più diffusa la Commissione ha formulato "una serie di domande collegate alla sua valutazione delle situazioni in materia di appalti elettronici in Europa e ai possibili percorsi per affrontare i problemi chiave inerenti alla diffusione e all’uso degli appalti elettronici nel mercato unico." Le parti interessate potranno rispondere entro il 31 gennaio 2011 contribuendo così a segnare un altro importante step verso la creazione di un mercato europeo sempre più libero e fluido. (Marco Porcu Il Sole 24 ORE - Codice degli appalti, 27 ottobre 2010)

Tracciabilità . Metro C di Roma, qui è già realtà Per la tratta T5 Roma Metropolitane sperimenta gli stessi vincoli L’Ad: Disagi solo in avvio per la novità da far capire C’è chi la tracciabilità la sta già sperimentando da oltre un anno senza particolari difficoltà. A parte quelle che normalmente si incontrano al momento dell’applicazione di un sistema nuovo, relativamente al quale l’ambiente produttivo non ha una conoscenza approfondita.

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Abbiamo avuto occasione di parlare con Roma Metropolitane, azienda pilota nella sperimentazione della tracciabilità, che applica il meccanismo del monitoraggio finanziario sulla tratta T5 della linea C della metropolitana di Roma. La sperimentazione è cominciata a giugno 2009 in base a un protocollo sottoscritto tra Dipe, Comitato di coordinamento per l’alta sorveglianza delle grandi opere, ministero delle Infrastrutture, Ministero dell’Economia, Consorzio Cbi, Roma Metropolitane e Metro C Spa. Il protocollo anticipa praticamente tutte le norme sulla tracciabilità dei pagamenti contenute nella legge 136/2010. Come per la legge, infatti, il protocollo fissa a 500 euro la soglia di esclusione dall’obbligo di effettuare il bonifico on line, e stabilisce una penale corrispondente al 10% della transazione oltre al 5% dello specifico pagamento per i versamenti non effettuati su conti dedicati ovvero non effettuati tramite bonifici on line. LE PROCEDURE Entrando nel dettaglio della sperimentazione, Roma Metropolitane, come ci ha spiegato il suo amministratore delegato Federico Bortoli, ha applicato la tracciabilità dei pagamenti alla filiera dei subappaltatori, subaffidatari e fornitori della tratta T5 della linea metro C attualmente in costruzione nella Capitale. La sperimentazione, che si concluderà a fine anno, prevede che contratti e subcontratti stipulati con l’appaltatore, i subappaltatori, sub affidatari e fornitori debbano essere muniti di una clausola risolutiva espressa da attivare nelle ipotesi di pagamenti eseguiti senza passare per le banche. È la stessa Roma Metropolitane, in qualità di soggetto aggiudicatore della linea C a effettuare l’attività di vigilanza, inviando al Comitato un proprio rendiconto con cadenza trimestrale. «Roma Metropolitane – spiega Bortoli – utilizza un conto corrente dedicato al pagamento dei soli Sal spettanti al contraente generale della linea C della metropolitana di Roma. Sul conto corrente, quindi, transitano in uscita solo i fondi relativi ai Sal per il contraente che vengono accreditati a quest’ultimo tramite il Bonifico Sepa (bonifico europeo che prevede l’inserimento obbligatorio del codice Cup – Codice unico di progetto – assegnato all’opera)». L’appaltatore e la filiera dei subappaltatori, subaffidatari e fornitori, devono usare un conto corrente bancario e postale dedicato al progetto sottoposto a sperimentazione. Su questo possono transitare esclusivamente i fondi relativi al progetto sottoposto a sperimentazione. Tutti i movimenti dei conti dedicati devono avvenire esclusivamente tramite bonifico – bancario o postale – on line. Stipendi compresi. L’unica eccezione, sono i pagamenti a favore di enti previdenziali, assicurativi e istituzionali che possono avvenire tramite sistemi diversi dal bonifico, come stabilisce anche la legge 136. Su questo punto, Bortoli si sente di dare un suggerimento: «Nel corso della sperimentazione è emersa la necessità che anche le somme corrisposte per espropri occupazioni e asservimenti siano escluse, essendo supportate da atto pubblico ». In questo anno di sperimentazione sono stati coinvolti 45 soggetti e – riferisce Roma Metropolitane – «non sono stati individuati casi anomali». «L’unica difficoltà durante la sperimentazione – conclude Bortoli – ha riguardato la fase di sensibilizzazione e informazione delle imprese della filiera, banche e relative filiali sulle procedure da adottare, per garantire la corretta e completa applicazione del protocollo». (Giulia Del Re, Il Sole 24 ORE - Edilizia e territorio tabloid, n. 37 del 2 ottobre 2010, pag 15)

Appalti di lavoro in chiaro Quali sono i limiti di genuinità del lavoro in appalto? La risposta costituisce da sempre oggetto di interpretazioni e di interventi, anche perché si presenta molto complesso il reticolo di responsabilità tra le parti attrici. Nuovi chiarimenti sono in arrivo con la circolare che il ministero del Lavoro sta predisponendo e che dovrebbe interessare anche gli aspetti sulla sicurezza. D'altra parte le attenzioni ministeriali riguardano un fenomeno al quale le imprese - in un'ottica di flessibilità - ricorrono di frequente, anche per attività tipiche del proprio processo produttivo: è però necessario che l'azienda, che intenda affidare a terzi fasi lavorative, lo realizzi con le metodologie corrette. Con la circolare n. 34/2010, il ministero è di recente intervenuto sul tema per fornire alcune indicazioni operative, soffermandosi sull'utilizzo dell'istituto nel settore del turismo e approfondendo i caratteri distintivi tra l'appalto e la mera somministrazione di manodopera. Appare opportuno ripercorre alcune definizioni: il contratto d'appalto è disciplinato dall'articolo 29 del Dlgs n. 276/2003 e dall'articolo 1655 del codice civile; è il contratto con il quale l'appaltatore assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, l'esecuzione di un'opera o di un servizio verso un corrispettivo in denaro, a favore del committente. I tratti che lo

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differenziano dalla somministrazione di lavoro vanno ricercati nei requisiti che l'appaltatore deve possedere: in primo luogo l'organizzazione dei mezzi, che si manifesta in un'attività direttiva e di coordinamento dei diversi elementi necessari per la realizzazione dell'opera o del servizio. Deve quindi sussistere una concreta entità imprenditoriale, con conseguente rischio economico in capo all'appaltatore, anche con riferimento all'esercizio del potere direttivo e organizzativo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell'appalto. Inoltre l'appaltatore deve essere dotato di un ampio margine di autonomia rispetto al committente, nel senso che la gestione materiale dei fattori produttivi deve sottrarsi all'ingerenza di quest'ultimo. La mancanza di queste connotazioni rende illecito il contratto di appalto comportando, tra le varie conseguenze, la costituzione di un rapporto di lavoro tra l'effettivo utilizzatore della manodopera e il lavoratore. La circolare 34 (ripercorrendo principi già illustrati con gli interpelli n. 16/2009 e n. 77/2009) traccia alcuni indirizzi, estendibili per analogia a tutti i settori. Il primo, analizzando le attività di catering e ristorazione rese in forma consortile, delinea la possibilità che - nel rispetto dei principi di legge e in modo genuino - un consorzio, quale imprenditore autonomo, possa fornire servizi in appalto alle imprese consorziate. Con il secondo intervento era stato invece rilevato come la disponibilità del complesso delle attrezzature necessarie per lo svolgimento dell'attività affidata in appalto non costituisca, di per sé, una presunzione di illiceità del contratto. Occorre infatti valutare, oltre al dato formale della proprietà delle attrezzature, l'assetto organizzativo complessivo, ovvero la sussistenza della cosiddetta "soglia minima" di imprenditorialità. Un altro indice di genuinità del contratto si evince laddove siano escluse commistioni e sovrapposizioni fra le distinte realtà organizzative: non vi deve essere, in sostanza, "mescolanza" e interferenza tra le imprese coinvolte nell'appalto. Infine, si ricorda che anche per i contratti di appalto, al fine di scongiurare, almeno sul piano della coerenza formale, l'ipotesi di somministrazione illecita, si può fare ricorso all'istituto della certificazione (comma 1 dell'articolo 84 del Dlgs 276/2003), peraltro rafforzato dal collegato lavoro. Una possibilità volta a conferire presunzione legale alla volontà delle parti. (Alessandro Rota Porta, Il Sole 24 ORE Norme e Tributi, 25 ottobre 2010)

Edilizia e urbanistica

Edilizia sanitaria, nulli gli impegni di spesa per quattro Regioni Revocati a quattro Regioni gli impegni di spesa per un totale di 155.571.283,86 euro per gli interventi rientranti nel programma nazionale straordinario di investimenti in sanità. Con il Dm 8 luglio 2010, ora pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, sono state cancellate 56 opere di ristrutturazione edilizia e ammodernamento tecnologico del patrimonio sanitario pubblico: due in Piemonte, una in Lombardia, una in Sicilia e ben 52 in Campania. In base alla legge 266/2005, infatti, gli interventi inseriti negli accordi di programma si intendono risolti se decorsi 18 mesi dalla sottoscrizione non risulta presentata la richiesta di finanziamento al ministero della Salute. Gli altri motivi che determinano l'esclusione sono: se viene valutata inammissibile la domanda dopo 24 mesi dalla stipula oppure se gli enti attuatori non procedono all'aggiudicazione dei lavori entro 9 mesi dalla relativa comunicazione alla Regione, salvo proroga autorizzata dal ministero della Salute. (Il Sole 24 Ore - Guida agli Enti Locali 9 ottobre 2010, n. 40)

Energia

Ronchi: il nucleare ci costerà più caro di gas e carbone Questa la conclusione della Fondazione per lo sviluppo sostenibile, dopo aver confrontato varie stime internazionali sui prezzi futuri dell'elettricità Arriva nuovo sostegno per una delle principali critiche sul ritorno italianoRonchi al nucleare: peserà troppo sulle bollette in rapporto ai benefici per il nostro mix energetico. Secondo una nota della Fondazione per lo sviluppo sostenibile, presieduta dall'ex ministro dell'Ambiente Edo Ronchi, l'elettricità prodotta dall'atomo costerà mediamente il 16% in più di quella generata con impianti a gas, e il 21% in più di quella proveniente dal carbone. La Fondazione ha confrontato otto ricerche

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pubblicate dal 2008 al 2010 da vari organismi internazionali, tra cui il Dipartimento Usa dell'energia, il Mit e la Commissione europea. I risultati sono concordi: 72,8 euro in media per un MWh di elettricità nucleare, contro 61 per la stessa produzione da impianti a gas e 57,5 per quella dal carbone. Ronchi: non chiedere all'oste se il suo vino è buono La tesi di Ronchi prende le mosse dai costi stimati per l'atomo dal rapporto Enel-Edf-Ambrosetti presentato lo scorso settembre: 60 euro per MWh. È la stessa cifra indicata dall'Agenzia per l'energia nucleare dell'Ocse (Nea, Nuclear energy agency), ipotizzando un costo inferiore al 10% del capitale investito nei nuovi reattori. La bozza del governo sul Nuovo programma nucleare italiano, segnala l'ex ministro dell'Ambiente, cita come unica fonte proprio i valori della Nea. Tuttavia, sostiene Ronchi, «quel costo basso del capitale investito in nuove centrali nucleari, non trova riscontri in altri studi indipendenti e dovrebbe, quindi, essere considerato in maniera critica e non utilizzato come base di un programma di governo». Si scopre, invece, che il costo medio del nucleare secondo le altre sette ricerche esaminate dalla Fondazione, Nea esclusa, sfiora i 73 euro per MWh, circa il 20% in più del rapporto Ambrosetti e della bozza governativa. In definitiva, suggerisce Ronchi, è meglio non affidarsi all'oste (la Nea) per sapere se il suo vino è buono, perché il giudizio sarà ovviamente di parte. Dai sette studi indipendenti, si capisce che il prezzo del nucleare sarà molto più elevato del previsto, assumendo un costo del capitale di almeno il 10%, che dovrebbe riflettere i rischi associati a questo genere d'investimenti. La rivincita del gas Il nucleare ha bisogno di sussidi pubblici per rimanere a galla, come gli otto miliardi di dollari destinati lo scorso febbraio da Obama alla costruzione di due reattori AP 1000 della Westinghouse in Georgia. Proprio dagli Stati Uniti emerge la crescente concorrenza del gas all'atomo, grazie soprattutto ai nuovi giacimenti del cosiddetto gas non convenzionale, situato in depositi molto profondi di rocce poco permeabili (shale gas). I prezzi dell'oro azzurro sono destinati a scendere continuamente, mentre i progetti del nucleare Usa rischiano uno stand-by per parecchi anni, salvo ottenere qualche generoso finanziamento federale. Le riserve mondiali di gas dovrebbero aumentare fino al 35% con il progressivo sfruttamento dei giacimenti non convenzionali, tra cui anche le sabbie bituminose. Problemi in più per l'Italia I vari confronti di costo si basano sulla costruzione di nuove centrali delle varie tecnologie; quindi, avverte la Fondazione, i conti potrebbero peggiorare per l'Italia, che sul nucleare deve ripartire da zero, diversamente da Paesi come la Francia che punta da decenni su questa fonte. Inoltre, l'Italia ha in cantiere diversi progetti per nuovi impianti a gas e a fonti rinnovabili entro il 2020: considerando una crescita modesta dei consumi elettrici (grazie anche all'efficienza energetica), l'atomo rischia di aggiungere una potenza installata che l'Italia non sarà in grado di sfruttare. Si va quindi verso un numero eccessivo di centrali elettriche, mentre sarebbe più saggio puntare sull'energia alternativa e i sistemi per catturare la CO2 prodotta dagli impianti a carbone. Senza contare che, in Italia, il costo del capitale investito nel nucleare potrebbe superare quel 10% indicato dai rapporti internazionali, proprio perché il nostro Paese dovrà affrontare molti più ostacoli (opposizione delle comunità locali, scelta dei siti per le centrali e i depositi di stoccaggio delle scorie, per citarne alcuni). (http://energia24club.it , 28 ottobre 2010)

Per camini e stufe a legna stop fino al 15 aprile I camini lombardi resteranno spenti anche quest'anno se non garantiscono un alto rendimento e basse emissioni. Si applicano, infatti, anche alla stagione invernale 2010-2011 (dal 15 ottobre al 15 aprile) i limiti posti dalla delibera 7635 del luglio 2008 e confermati con la delibera 9958 del 2009. Il divieto di accensione riguarda stufe e camini che funzionano a biomassa (quindi legno vergine o scarti di legno che non hanno subito alcun tipo si trattamento) e che hanno un rendimento inferiore al 63%, ma solo se sono presenti altri sistemi di riscaldamento. Al momento non è possibile sapere quanti sono gli impianti che resteranno spenti, ma in un prossimo futuro le cose dovrebbero cambiare. La Regione Lombardia intende avviare in questa stagione termica un censimento e una ricognizione di stufe e camini, un primo passo per arrivare, in futuro, a una certificazione degli impianti di riscaldamento come avviene oggi per le caldaie a metano e a gas. L'intenzione è convogliare questi dati presso il catasto regionale degli impianti

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termici. Il divieto di accensione interessa la zona A1 del territorio regionale, e cioè gli agglomerati urbani (aree a maggior densità abitativa e con maggiore disponibilità di trasporto pubblico locale organizzato) e tutti i comuni del territorio lombardo che si trovano entro i 300 metri di altitudine. Il limite dei 300 metri è giustificato da un fenomeno termo-climatico che crea una sorta di tappo che non consente il ricambio d'aria, con la conseguenza che tutto ciò che viene immesso nell'atmosfera sotto i 300 metri non si disperde. Lo schiacciamento al suolo degli inquinanti è un fenomeno che interessa tutta la pianuta padana, per questo l'assessore all'ambiente sta portando avanti una politica volta a sostituire gli impianti obsoleti con altri più tecnologici, che garantiscono un minor uso di legna, un maggior calore e una minor produzione di polveri sia all'esterno che all'interno delle abitazione (il cosiddetto inquinamento indoor). La Lombardia sta però anche lavorando a un progetto ad ampio raggio sulle biomasse (e il censimento di stufe e camini ne rappresenta solo una parte): si va dalla comunicazione per insegnare il corretto uso di questi combustibili, a interventi invece volti a favorire la produzione di impianti ad alta efficienza, alla loro corretta installazione e manutenzione, fino a un capillare sistema di controllo e di certificazione. (Federica Micardi, Il Sole 24 ORE Norme e tributi, 13 ottobre 2010)

L'eolico mondiale ha raggiunto a giugno i 175.000 Mw Entro la fine del 2010, rivela la Wwea, il comparto dovrebbe toccare i 200.000 Mw Nel primo semestre del 2010 sono stati installati nel mondo 16.000 nuovi Mw eolici. Il dato è stato fornito da una ricerca della Wwea (World Wind Energy Association, l'associazione mondiale dei produttori che conta 280 membri in 75 Paesi), segnalata dall'Apcom. Secondo lo studio la capacità eolica cumulata, che ha raggiunto i 175.000 Mw a fine giugno, si porterà a circa 200.000 Mw a fine 2010, in netta crescita rispetto ai 160.000 di fine 2009. La Cina rappresenta attualmente il più grande mercato del settore: in soli sei mesi ha aumentato di 7.800 Mw la propria potenza eolica installata, raggiungendo i 34.000 Mw di capacità cumulata. Il primato della produzione eolica, tuttavia, è ancora nelle mani degli Stati Uniti, dove a fine giugno risultavano in esercizio 36.000 Mw. La crescita degli impianti negli Usa procede però a ritmi assai più contenuti rispetto al gigante asiatico: alla fine del primo semestre l'eolico Usa aveva infatti aggiunto solo 1.200 nuovi Mw alla propria potenza installata. Questa differenza nel ritmo di crescita lascia facilmente prevedere che presto la Cina diventerà il primo produttore di energia dal vento. Secondo le previsioni Wwea a fine 2010 in Cina risulteranno infatti installati oltre 15.000 nuovi Mw rispetto al 2009. Alle spalle di questi paesi fanno registrare ritmi di crescita sostenuti anche i cinque principali mercati europei: con 660 Mw installati nel primo semestre dell'anno in Germania, 500 Mw rispettivamente in Francia e Regno Unito, 450 Mw in Italia (che con 5.300 Mw complessivi a giugno risulta il sesto mercato mondiale per capacità installata) e 400 Mw in Spagna. Consistente è stato anche il balzo in avanti dell'India che, con 1.200 nuovi Mw, a fine giugno ha consolidato la propria posizione di quinto produttore mondiale alle spalle di Usa, Cina, Germania e Spagna. (http://energia24club.it , 27 ottobre 2010)

Serre fotovoltaiche, il nuovo conto energia le penalizza Dal 2011 tariffe più basse contro la speculazione: un aiuto potrà arrivare dai piani regionali di sviluppo agricolo Quanto possono rendere le serre italiane in termini di energia solare? Secondo l’ultimo rapporto del Politecnico di Milano (Solar Energy Report 2009), potremmo avere una potenza installata pari a 5,8 Gw entro il 2020, se coprissimo con pannelli fotovoltaici almeno il 20% della superficie di tutte le serre esistenti nel 2008. Il problema, come riferisce il sito SolarPlaza, è l’incertezza sul rendimento di questi impianti, alla luce del nuovo conto energia 2011-2013. Le serre agricole potrebbero diventare un mercato molto promettente per l’industria solare, considerando la loro estensione nel nostro Paese: tuttavia, il recente ribasso delle tariffe per l’elettricità generata dai pannelli, ha penalizzato le coperture fotovoltaiche sulle serre. Il precedente conto energia, considerava gli impianti sulle serre come “totalmente integrati”, ricevendo così gli incentivi più generosi. Dal 2011, le nuove installazioni avranno tariffe molto più basse, riporta SolarPlaza. Perché? Il sito chiama in conto la speculazione, che ha fatto costruire sistemi fotovoltaici su delle serre che, in realtà, non avevano alcuna destinazione agricola. Per

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compensare la riduzione degli incentivi, gli investitori dovranno cercare strade diverse per far crescere questo settore ancora chiuso in una nicchia. La risposta delle regioni Il successo delle serre fotovoltaiche dipenderà anche dai piani di sviluppo rurale di ciascuna regione. SolarPlaza riporta l’esempio delle Marche, dove l’agricoltore può ottenere dei finanziamenti regionali per costruire le serre su cui installare i pannelli. La Sardegna si è data un piano per realizzare 500 Mw di serre solari nei prossimi tre anni, imponendo però varie misure per assicurare che siano davvero destinate all’agricoltura e non ad attività speculative. Una di queste regole, per esempio, stabilisce che la serra debba avere un tasso di luminosità pari ad almeno il 75% (diversamente, è chiaro che la struttura è inadatta alla crescita delle piante perché troppo scura al suo interno). Le nuove tecnologie dei pannelli, infine, giocheranno un ruolo importante, perché riceveranno tariffe più elevate nel conto energia 2011-2013 e potranno così aumentare il valore delle coperture solari delle serre. (http://energia24club.it , 20 ottobre 2010)

Enti pubblici e altre istituzioni

Debuttano le giornate del tecnico dell’Ente locale A Roma il primo Congresso nazionale Unitel dedicato al tecnico dell’ente locale. Sotto la lente degli esperti ruolo, responsabilità e futuro di questa importante figura professionale

Il 12 e il 13 novembre, si terrà a Roma il primo Congresso nazionale Unitel. L’appuntamento è dedicato al “Tecnico dell’Ente locale”: nel corso delle tre sessioni di lavoro, saranno esaminate ed approfondite le tematiche relative rispettivamente al ruolo, alla responsabilità ed al futuro di questa importante figura professionale, in continua evoluzione. Durante gli incontri i tecnici si confronteranno tra loro e con esperti e protagonisti della vita pubblica del nostro Paese, in un momento di aggiornamento, di scambio di esperienze, di idee e di proposte per migliorare lo svolgimento della propria attività professionale.Unitel si auspica che questo evento diventi un appuntamento annuale di confronto e discussione tra i tecnici. Si segnala altresì che la partecipazione è gratuita ed aperta a tutti i tecnici degli Enti locali, anche non iscritti all’Associazione, previa iscrizione al Congresso sul sito www.unitel.it. Aprirà i lavori Bernardino Primiani, Presidente nazionale Unitel, con l’intervento delle autorità inviate.

Pa: sono 86mila le auto blu, in arrivo la stretta Circa 86mila: tante sono le vetture del parco auto della pubblica amministrazione, per un costo totale - compreso il personale alla guida - di 2 miliardi e mezzo. Senza contare le vetture escluse dalla rilevazione, per cui si spendono altri 1,2 miliardi. Il risultato arriva dal monitoraggio - appena concluso - realizzato da Formezpa su incarico del ministro Brunetta. L'indagine ha rilevato per gli anni dal 2008 al 2010 (fino ad aprile) il numero di auto di rappresentanza assegnate in uso esclusivo e non esclusivo, numero e qualifica degli assegnatari delle auto, il numero di auto utilizzate per servizio o per specifiche esigenze degli uffici, il numero di autisti e il personale addetto al parco auto, il costo comprensivo di carburante e il chilometraggio percorso per singola autovettura. Hanno risposto 5.070 amministrazioni.

IL PARCO AUTO LOCALE

RAPPRESENTANZA 2.000

DIRIGENZA 4.500

OPERATIVE 69.500

(Il Sole 24 Ore - Guida agli Enti Locali, 9 ottobre 2010, n. 40)

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Operazione trasparenza: consulenze in aumento spesi quasi 1,5 miliardi Arrivano i dati 2009 sugli incarichi affidati dalle pubbliche amministrazioni a consulenti e collaboratori esterni. Dalle informazioni che i quasi 13mila enti hanno comunicato entro il 23 settembre scorso all’Anagrafe delle prestazioni, emerge che le consulenze sono cresciute rispetto allo scorso anno del 9,83% e che anche i compensi sono aumentati. I dati sono stati pubblicati sul sito dal ministero della Pa e innovazione nell’ambito dell’operazione trasparenza avviata nel giugno 2008 con il via libera del garante della privacy. In crescita sono anche le amministrazioni che non hanno comunicato all’Anagrafe gli incarichi affidati non ottemperando così all’adempimento previsto. Per questo nella nota del ministero si ricorda che gli enti che omettono gli adempimenti non possono conferire nuovi incarichi. (Il Sole 24 Ore - Guida agli Enti Locali, 16 ottobre 2010, n. 41)

Fisco

Dpef addio, la prima volta della decisione di finanza pubblica Esordisce in Consiglio dei Ministri la Decisione di finanza pubblica. Lo schema di Dpf per gli anni 2011-2013 è presentato quest’anno per la prima volta in sostituzione del Documento di programmazione economica e finanziaria secondo la nuova normativa in tema di contabilità pubblica. La Decisione, accompagnata da documenti informativi indica obiettivi, previsioni, eventuali scostamenti e modifiche correttive. Essa prevede - rispetto alle stime contenute nella RUEF pubblicata lo scorso maggio - una revisione al rialzo della crescita attesa per il 2010 di 0,2 punti percentuali, all’1,2 per cento, e una revisione al ribasso di pari entità per il 2011, all’1,3 per cento. Nel biennio 2012-2013 la crescita del PIL si attesterebbe al 2,0 per cento in ciascun anno, riducendo in parte il gap di capacità produttiva inutilizzata. Le nuove previsioni presentano un aumento dell’avanzo primario rispettivamente di 0,1, 0,6 e 1,3 punti percentuali di PIL nel periodo 2010-2012, dovuto principalmente all’impatto della manovra correttiva. Il confronto operato rispetto ai valori programmatici indicati nella RUEF fa rilevare un lieve deterioramento di 0,2 punti percentuali di PIL per l’anno 2011 e l’anno 2012. Tale divergenza è dovuta sia al diverso quadro macroeconomico sia alla revisione della composizione delle entrate fiscali 2010, connessa all’attività di monitoraggio che determina una riduzione del gettito. La pressione fiscale registra una costante riduzione, attestandosi a fine periodo 2013 al 42,4 per cento del PIL Le spese totali al netto degli interessi, in rapporto al PIL, evidenziano una significativa riduzione, passando dal 47,8 per cento del 2009 al 43,8 per cento del 2013; la spesa per interessi si mantiene, invece, sostanzialmente stabile nello stesso periodo, attestandosi intorno al 4,7/4,8 per cento del PIL. (www.governo.it)

Giudici contabili: le mani della criminalità sui Fondi Ue Le organizzazioni criminali sono «pronte all’assalto dei fondi europei 2007-2013 che costituiscono l’ultima propizia occasione di riscatto del Mezzogiorno ». L’allarme è stato lanciato dal presidente della Commissione Antimafia, Giuseppe Pisanu. Le risorse sono quelle dell’Obiettivo 1 destinate a quattro regioni italiane, Calabria, Campania, Puglia e Sicilia, e ammonterebbero a 101 miliardi di euro. Fare della lotta alle frodi comunitarie una priorità è l’appello arrivato anche dal presidente della Corte dei Conti Luigi Giampaolino: «Il fenomeno delle irregolarità e delle frodi alle risorse pubbliche nazionali e comunitarie deve essere perseguito perché ha conseguenze sulla comunità. Di tipo economico e sociale. Le risorse deviate - ha sottolineato Giampaolino - finanziano i circuiti criminali e le imprese scorrette e alterano le condizioni concorrenziali costringendo le imprese oneste ad uscire dal mercato». (Il Sole 24 Ore - Guida agli Enti Locali, 30 ottobre 2010, n. 43)

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Lavoro e previdenza

Nel Collegato lavoro approvato (per l’ultima volta) c’è il ripristino del bonus ai dipendenti pubblici Progetti, sul 2% vincono i tecnici Per i lavori già approvati importo ridotto ma non se manca la ripartizione del premio tra dipendenti o se la gara non è stata bandita Stavolta è fatta. Veramente. I tecnici degli enti locali possono cantare vittoria: dopo uno stop che ha allontanato di altri sette mesi il traguardo, la Camera ha nuovamente e definitivamente approvato il disegno di legge Collegato lavoro il 19 ottobre. Dentro, nascosta tra le pieghe delle altre norme sul pubblico impiego (articolo 35, comma 3), c’è la garanzia del ritorno al bonus pieno (ovvero al 2%) per i tecnici pubblici coinvolti a vario titolo nella realizzazione delle opere pubbliche e in particolare nella progettazione. Stavolta l’incentivo è al sicuro: la legge approvata infatti è stata modificata in ossequio ai rilievi espressi dal Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano (su altre materie), che l’aveva rinviata alle Camere dopo la prima approvazione. Appare decisamente improbabile un secondo stop da parte del Quirinale e quindi, trascorsi i tempi tecnici di firma del Presidente e di pubblicazione in «Gazzetta», l’incentivo tornerà alla sua formula piena. Finirà in quel momento un balletto che è partito ormai trenta mesi fa: nel giugno 2008, infatti, la prima Manovra del governo Berlusconi ridusse del 75% il bonus e indirizzò i risparmi verso un capitolo dello Stato (mai individuato). Da allora è stato un alternarsi di decisioni, con l’incentivo che prima era stato ripristinato, poi di uovo tagliato e così via fino a ieri, quando il bonus è tornato in formula piena. A questo risultato ha contribuito molto la battaglia per il ripristino portata avanti dall’unione dei tecnici degli enti locali, Unitel. «Abbiamo fatto sapere al Parlamento che da questo taglio non poteva derivare alcun risparmio – spiega il presidente Bernardino Primiani – perché in parallelo avrebbe fatto aumentare la quota di progetti affidati all’esterno, cosa che, a quanto ci risulta, si è verificata ». Secondo Primiani, più in generale, il taglio ha portato a un rallentamento dell’attività di programmazione degli enti locali «per via dell’affidamento all’esterno dei progetti preliminari, con tutte le difficoltà legate al fatto di trovare una copertura finanziaria (Valeria Uva, Il Sole 24 ORE Edilizia e territorio tabloid, 25 - 30 ottobre 2010)

Aumenti retroattivi: ecco i casi ammessi Per i lavori già approvati importo ridotto ma non se manca la ripartizione del premio tra dipendenti o se la gara non è stata bandita Il ripristino del valore pieno dell’incentivo alla progettazione per i dipendenti pubblici pone, così come era avvenuto per il taglio, ancora una volta, il problema della retroattività della norma. Se infatti appare innanzitutto chiara l’insussistenza del regime di retroattività delle disposizioni contenute nell’articolo 61, come affermato anche dalla Corte dei conti, sezione Lombardia, nel suo parere n. 40 del 2009, resta da verificare come comportarsi per i compensi relativi alle opere approvate tra il 1° gennaio 2009 e l’entrata in vigore della normativa ripristinatoria e non ancora liquidati. Per far questo, allora, occorre verificare quando sorge il diritto alla liquidazione dell’incentivo del 2 per cento. Una prima opzione ermeneutica sarebbe quella di far coincidere il momento genetico del diritto soggettivo alla corresponsione con l’atto di approvazione del lavoro, sì che per i lavori (o le varianti) approvate tra il 1° gennaio 2009 e il momento di entrata in vigore della norma, sarebbe sempre necessario l’accantonamento dell’1,5% per la destinazione vincolata richiesta dalla normativa del 2008. SENZA GARA Per converso, vi potrebbero essere delle opere pubbliche, delle quali è stata prevista l’effettuazione tra il 1° gennaio 2009 e la data di entrata in vigore del ripristino, per le quali ancora non è stata bandita alcuna gara, né sia stato ancora pubblicato il relativo bando, e per le quali, quindi, la decurtazione dell’1,5% rispetto al 2% da riservare come incentivo per la progettazione ancora non può ritenersi applicabile dato che non sono stati posti in essere gli atti propedeutici e prodromici alla gara. Non a caso la norma parla di importo posto a base di gara e, di conseguenza, in mancanza di un bando ancora non è giuridicamente esistente una base di gara.

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SENZA RIPARTIZIONE Vi potrebbero essere, inoltre, delle opere o dei lavori banditi dopo il 1° gennaio 2009, ma non ancora portati a compimento, per i quali ancora non è stata effettuata la ripartizione, da adottarsi in sede di contrattazione decentrata con regolamento, necessaria ex articolo 92, comma 5, Dlgs 163 del 2006; in mancanza di ripartizione non può essere adottata alcuna suddivisione e sottrazione della percentuale dell’1,5 per cento. LE VARIANTI Può darsi ancora il caso di opere per le quali si rende necessaria una variante dopo l’entrata in vigore della recente modifica; anche in questo caso il diritto sorge e matura a incentivo pieno. IL TRANSITORIO Infine, poiché l’articolo 7-bis affermava che la percentuale dell’1,5% doveva essere versata in apposito capitolo del bilancio dello Stato, e il capitolo non era stato individuato, non era chiaro chi fosse il destinatario del pagamento e soprattutto come il debitore potesse liberarsi dall’obbligo su di lui incombente. Ai sensi dell’articolo 1188 del codice civile il pagamento deve essere effettuato al creditore o al suo rappresentante, ovvero alla persona indicata dal creditore o autorizzata dal giudice. In questo caso, seppur sembrerebbe individuato il creditore, non appare sufficientemente delimitato il modo di esecuzione del pagamento. Sarebbe stata opportuna una disposizione (anche regolamentare) che stabilisse come liberarsi dell’obbligo di pagare l’1,5 per cento. La mancanza relativa comporta, quanto meno, la sospensione dell’obbligo di versamento della somma accantonata dal monte complessivo del 2 per cento. Sorgono, quindi, questioni giuridiche di non poco rilievo in relazione agli incentivi maturati nel periodo di abbattimento. Una soluzione potrebbe essere o prevedere la corresponsione agli aventi diritto dell’1,5% provvisoriamente con la clausola di espressa ripetizione nel caso la somma venga richiesta dal titolare; oppure stipulare un Ccdi (da recepire in un regolamento dell’ente) relativo alla sorte del 1,5% maturato in questo lasso temporale. Sarebbe, però auspicabile una norma che sani gli effetti prodottisi medio tempore dal 2009 al ripristino dell’incentivo al 2%, anche al fine di evitare uno sterile quanto dannoso contrasto tra pubbliche amministrazioni anche alla luce dell’articolo 119 della Costituzione e dell’imminente riforma fiscale in senso federalista, o un contenzioso seriale tra dipendenti e amministrazione. (Valeria Uva, Il Sole 24 ORE Edilizia e territorio tabloid, 25 - 30 ottobre 2010)

Siglato il contratto dei segretari degli Enti locali Dopo cinque anni di attesa, è stato siglato all’Aran il contratto degli oltre 4mila segretari degli Enti locali relativo al quadriennio normativo 2006-2009 e al primo biennio economico 2006-2007. L’accordo prevede l’aumento mensile di 243,24 euro per le fasce A e B e di 197,27 per la fascia C che corrisponde a un incremento economico del 4,85% per il biennio tutto riversato sullo stipendio tabellare. L’aumento permette non solo l’avvio del percorso per l’equiparazione con i dirigenti, da completare con il successivo biennio 2008-2009, ma anche il pagamento degli arretrati. Con il nuovo contratto debutta il nuovo codice disciplinare della categoria e le parti hanno firmato una dichiarazione congiunta per arrivare in breve al rinnovo anche del biennio economico 2008/2009. (Il Sole 24 Ore - Guida agli Enti Locali, 23 ottobre 2010, n. 42)

Rifiuti

Rifiuti: differenziata di qualità vale 10 milioni l'anno Fino a circa 10 milioni di euro l'anno: tanto può valere per una città di un milione di abitanti una raccolta differenziata classificata per fasce di qualità che misurano omogeneità, presenza di materiali estranei non riciclabili e che si aggira intorno al 45 per cento. Questo il dato diffuso in occasione della Prima giornata nazionale del riciclo e della raccolta differenziata di qualità che si è svolta il 2 ottobre scorso in 20 città italiane. (Il Sole 24 Ore - Guida agli Enti Locali, 9 ottobre 2010, n. 40)

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Rifiuti elettrici: i contributi Anci ai centri raccolta Le procedure per assegnare a 61 amministrazioni locali contributi per 2.760.000 euro sarà avviata nei prossimi giorni dall’Anci. I fondi finanzieranno la realizzazione di nuovi Centri di raccolta Raee e per l’adeguamento di quelli esistenti ai Comuni, alle Unioni e ai Consorzi vincitori del bando pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 13 gennaio 2010 n. 4. L’Anci invierà agli Enti beneficiari una convenzione contenente obblighi e condizioni da osservare per l’effettiva erogazione del contributo, come previsto dalle Linee guida dell’avviso pubblico. (Il Sole 24 Ore - Guida agli Enti Locali, 30 ottobre 2010, n. 43)

Sicurezza

Coordinatore della sicurezza nei cantieri: illegittima l'esenzione dall'obbligo di nomina La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con sentenza del 7 ottobre scorso, nel procedimento C-224/09 ha dichiarato illegittima l'esenzione dall'obbligo di nomina dei coordinatori in materia di sicurezza nel caso di un cantiere di lavori privati non soggetti a permesso di costruire e nel quale siano presenti più imprese. Con tale sentenza la Corte di Lussemburgo ha censurato l’art. 90, comma 1, del D.lgs. 81/09 in quanto tale disposizione, nel recepire la norma europea, aveva fatto un'eccezione proprio sul coordinatore della sicurezza, escludendo dall'obbligo di nomina i cantieri privati in cui è possibile avviare i lavori con una semplice dichiarazione di inizio attività (Dia). Secondo i giudici europei l'esonero introdotto dal legislatore interno è in netto contrasto con la direttiva, che non opera alcuna distinzione tra cantieri pubblici e privati e stabilisce in modo inequivocabile l’esigenza di individuare la figura del coordinatore nei cantieri in cui ci sono più imprese. Tale obbligo deve essere rispettato a prescindere anche dal grado di rischio che comportano i lavori effettuati e la designazione deve avvenire all'atto della progettazione dell’opera o comunque prima dell’ esecuzione dei lavori. Infine la Corte Ue ricorda che la direttiva non crea obblighi nei confronti del singolo cittadino o imprenditore a cui non può essere contestato il mancato rispetto di adempimenti non previsti dalla legge interna. (Pierpaolo Masciocchi, Il Sole 24 ORE - Codice Ambiente e Sicurezza )

Contrasto al lavoro nero: una Convenzione raddoppia i controlli Non ci saranno più solo i nuclei specializzati dei carabinieri in prima linea contro il lavoro nero, ma tutti i reparti dell'Arma territoriale, per rendere più capillare l'azione di contrasto ai fenomeni di criminalità connessi al mondo del lavoro. È quanto prevede la convenzione firmata lo scorso 29 settembre a Palazzo Chigi dal Ministro del lavoro, Sacconi e dal Ministro della difesa, La Russa. Per il ministro La Russa "tale coinvolgimento dei comandi provinciali dell'Arma vuol dire presenza ancora più capillare dei carabinieri, da sempre impegnati su questo fronte". Il Comando per la Tutela del lavoro, nei primi otto mesi del 2010, ha svolto un'attività significativa. Dall’1 gennaio al 31 agosto 2010 sono state arrestate 154 persone e denunciate 5.106, nell'ambito di controlli che hanno interessato 15.116 aziende. Sono stati controllati 57.380 lavoratori, di cui 9.255 sono risultati in nero, 316 minorenni e 194 quelli occupati illecitamente. Gli extracomunitari controllati sono stati 13.522, di cui 3.966 irregolari, 1.042 clandestini e 234 espulsi. Sul fronte del caporalato sono stati effettuati 104 servizi, con la contestazione di 677 violazioni. Le truffe accertate sono state 517, per un importo di oltre 5 milioni di euro. Sul versante della sicurezza sui luoghi di lavoro, i carabinieri hanno compiuto 2.239 ispezioni, sequestrando 51 cantieri; in 602 casi sono stati sospesi i lavori; 1.758 sono i lavoratori in nero scoperti; le sanzioni inflitte ammontano a 8 milioni e mezzo di euro. Nel settore edile, si è stabilito che i carabinieri provvedano a segnalare alle Direzioni Provinciali del Lavoro le situazioni di pericolosità, legate alla mancata osservanza delle disposizioni di sicurezza nei cantieri, per consentire tempestivi interventi del personale ispettivo competente in materia, che, in casi di particolare potranno avvenire con il supporto dei Carabinieri. (www.governo.it)

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In arrivo le linee guida per valutare lo stress lavoro-correlato Il 31 dicembre 2010 è il termine a partire dal quale tutti i datori di lavoro, pubblici e privati, dovranno svolgere la valutazione dei rischi da stress lavoro correlato, nel rispetto delle indicazioni che verranno adottate dalla Commissione consultiva sulla sicurezza sul lavoro. In proposito, la Commissione ha istituito al proprio interno uno specifico gruppo di lavoro che, proprio in questi giorni, ha terminato l’elaborazione di un documento contenente le prime indicazioni operative e di ordine metodologico per guidare il datore di lavoro nei primi approcci alla valutazione del rischio da stress lavorativo. Il documento dovrà poi essere sottoposto alla Commissione per la formale e definitiva approvazione. Il testo presenta elementi di forte positività sia per la sua articolazione strutturale, semplice e lineare, sia per i contenuti che, pur se ancora migliorabili ed integrabili, appaiono in linea con quanto previsto dalla normativa vigente e, in particolare, dall’accordo interconfederale 9 giugno 2008. Quest’ultimo, oltre a ribadire che la valutazione del rischio da stress lavoro-correlato, al pari di quanto avviene per tutti gli altri rischi, deve essere effettuata dal datore di lavoro nell’ambito della propria organizzazione e secondo i criteri già delineati dal quadro normativo vigente, afferma i seguenti ulteriori passaggi: 1. Non tutti i luoghi di lavoro sono necessariamente interessati dallo stress (art. 1, comma 2) 2. Non tutte le manifestazioni di stress sono necessariamente negative (art. 3, comma 2) 3. Lo stress non è una malattia (art. 3, comma 3) 4. Non tutte le manifestazioni di stress sul lavoro possono essere considerate come stress lavoro-correlato (art. 3, comma 4) 5. L’individuazione dello stress può implicare analisi di fattori oggettivi e soggettivi (art. 4, comma, 2) 6. Il compito di stabilire le misure per prevenire, eliminare o ridurre lo stress spetta al datore di lavoro e le misure sono adottate con la partecipazione e la collaborazione dei lavoratori e/o dei loro rappresentanti (art. 4,comma 5) 7. La gestione dei problemi di stress può essere condotta sulla scorta del generale processo di valutazione dei rischi (art. 5, comma 2) 8. Laddove nel luogo di lavoro non siano presenti professionalità adeguate, possono essere chiamati esperti esterni (art. 6, comma 2) Sulla scorta di questi passaggi fondamentali dell’accordo, e, quindi, della legge che impone la valutazione dei rischi, gli elementi essenziali delle indicazioni ministeriali, nella versione ad oggi elaborata, prevedono: 1. un’analisi preliminare da parte del datore di lavoro della presenza dei fattori oggettivi di rischio (art. 4, comma 2) dando la priorità a quelli che possono essere i “segnali” denotativi di problema di stress lavoro-correlato (art. 2, comma 1) e degli indicatori (art. 4, comma 1) da condursi secondo le modalità indicate negli articoli 28 e 29 del D.Lgs n. 81/2008 e tenendo conto dei gruppi di lavoratori interessati (previa consultazione del RLS); 2. l’individuazione delle misure necessarie da parte del datore di lavoro (art. 4, comma 3); 3. l’adozione delle stesse con il coinvolgimento del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (art. 4, comma 5); 4. nell’ipotesi eventuale di perduranti evidenze di stress, la necessità di svolgere l’analisi percettiva (ad es., con l’utilizzo di test mirati ai singoli) e di adottare misure individuali (art. 6, comma 1). Quest’analisi dovrà essere attivata unicamente nel caso in cui la fase preliminare riveli elementi di rischio stress e le misure di correzione adottate a seguito della stessa, dal datore di lavoro, si rivelino inefficaci. 5. vista la logica di semplificazione presente nel D.lgs n. 81/2008, la possibilità per il datore di lavoro, una volta effettuata la valutazione del rischio, di adottare direttamente le eventuali misure individuali (art. 6, comma 1), soprattutto (ma non esclusivamente) nelle aziende che occupano pochi lavoratori. 6. indicazione del termine del 1° agosto 2010 come data di decorrenza del processo di valutazione dei rischi, di cui tracciare il progetto nel documento di valutazione dei rischi ed il termine finale, e non quale data finale entro la quale dev’essere interamente svolta la valutazione e adottate le relative misure.

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7. possibilità, per i datori di lavoro che, alla data della pubblicazione delle linee guida ministeriali, abbiano già effettuato la valutazione del rischio da stress lavoro-correlato coerentemente ai contenuti dell’accordo europeo dell’8 ottobre 2004, di non ripetere l’indagine ma di svolgere unicamente l’aggiornamento della medesima nelle ipotesi previste dall’art. 29, comma 3, del D.Lgs n. 81/2008. Questi i passaggi essenziali in parte già contenuti nel documento del Ministero del lavoro. Occorre invece, a giudizio di chi scrive, evitare che l’indagine stravolga la logica della valutazione dei rischi, rimettendo ad una percezione individuale e a valutazioni soggettive la funzione o la conseguenza di determinare l’esistenza di fattori di stress e le misure, spettando tali compiti al datore di lavoro. In questa logica, non è condivisibile la posizione delle Regioni/Ispesl nella parte in cui, ad esempio: 1. rende obbligatoria la fase di approfondimento sulla percezione; 2. afferma che dev’essere chiara la volontà dell’azienda di modificare l’organizzazione del lavoro, e prevede che la valutazione venga in ogni caso condotta nelle ipotesi in cui sono presenti indicatori di contenuto e contesto del lavoro ma a prescindere dalla effettiva presenza di stress (in contrasto con la previsione dell’accordo secondo cui lo stress non è necessariamente presente ovunque, art. 1, comma 2); 3. impone una presenza dei rappresentanti dei lavoratori “per tutto il processo di valutazione del rischio, dalle fasi iniziali fino alla realizzazione delle misure correttive” (in violazione sia degli articoli 28 e 29 del D.Lgs n. 81/2008 sia dell’accordo interconfederale); 4. introduce fasi (es. preparazione dell’organizzazione), temi di valutazione (es. lavoro inutile) e procedure di formalizzazione diverse ed ulteriori rispetto a quelle previste sia dalla legge che dall’accordo, introducendo, ad esempio, una fattispecie obbligatoria per la fase di approfondimento per le aziende con più di 50 dipendenti. (Pierpaolo Masciocchi, Il Sole 24 ORE - Codice Ambiente e Sicurezza )

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Legge e prassi

(G.U. 30 ottobre 2010, n. 255)

Agricoltura, allevamento, alimenti e bevande MINISTERO DELLA SALUTE: DECRETO 8 luglio 2010 Disposizioni per la gestione dell'anagrafe delle imprese di acquacoltura. (10A11544) (GU n. 230 del 1-10-2010) CONFERENZA PERMANENTE PER I RAPPORTI TRA LO STATO LE REGIONI E LE PROVINCE AUTONOME DI TRENTO E BOLZANO: INTESA 23 settembre 2010 Intesa, ai sensi dell'articolo 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, tra il Governo, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano concernente linee guida per la definizione di una procedura uniforme sul territorio nazionale per l'attribuzione di un numero di identificazione agli operatori del settore mangimi. (Rep. atti n. 155/CSR). (10A12581) (GU n. 250 del 25-10-2010) CONFERENZA PERMANENTE PER I RAPPORTI TRA LO STATO LE REGIONI E LE PROVINCE AUTONOME DI TRENTO E BOLZANO: INTESA 23 settembre 2010 Intesa, ai sensi dell'articolo 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, tra il Governo, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano in materia di impiego transitorio di latte crudo bovino non rispondente ai criteri di cui all'Allegato III, Sezione IX, del Regolamento CE n. 853/2004, per quanto riguarda il tenore di germi e cellule somatiche, per la produzione di formaggi con periodo di maturazione di almeno sessanta giorni. (Rep. atti n. 159/CSR). (10A12582) (GU n. 250 del 25-10-2010)

Ambiente MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE: DECRETO 26 luglio 2010 Cofinanziamento nazionale del progetto LIFE + Environment 2008 «Multifunctional Soil Conservation and Land management through the Development of a Web Based Spatial Decision Supporting System», di cui al Regolamento CE n. 614/2007, ai sensi della legge n. 183/1987. (Decreto n. 22/2010). (10A12027) (GU n. 240 del 13-10-2010) MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI: DECRETO 4 agosto 2010 Modalita' di attuazione dell'articolo 5, comma 7-octies del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 194, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2010, n. 25, in materia di trasporto di merci. (10A12704) (GU n. 248 del 22-10-2010) COMMISSIONE COMUNITÀ EUROPEA: DECISIONE DELL'UNIONE EUROPEA 22.10.2010, n. 634/2010 Decisione della Commissione del 22 ottobre 2010 che fissa per l'Unione europea il quantitativo di quote da rilasciare nell'ambito del sistema di scambio di emissioni per il 2013 e che abroga la decisione 2010/384/UE (GUCE L279 del 23-10-2010)

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MINISTERO DELL'AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE: DECRETO 21 settembre 2010 Adozione del Piano antincendio boschivo (piano AIB) con validita' 2010-2014, predisposto dalle riserve naturali statali di Poggio Adorno, Orrido di Botri e Montefalcone, ricadenti nel territorio della Regione Toscana. (10A12918) (GU n. 251 del 26-10-2010) MINISTERO DELL'AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE: DECRETO 21 settembre 2010 Adozione del Piano antincendio boschivo (piano AIB) con validita' 2008-2012 (revisione 2010), predisposto dal Parco nazionale dell'Arcipelago di La Maddalena ricadente nel territorio della regione Sardegna. (10A12919) (GU n. 251 del 26-10-2010) MINISTERO DELL'AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE: DECRETO 21 settembre 2010 Adozione del Piano antincendio boschivo (piano AIB) con validita' 2010-2014, predisposto dal Parco nazionale delle Dolomiti Bellunesi, ricadente nel territorio della regione Veneto. (10A12920) (GU n. 251 del 26-10-2010) MINISTERO DELL'AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE: DECRETO 21 settembre 2010 Adozione del Piano antincendio boschivo (piano AIB) con validita' 2008-2012 predisposto dal Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga ricadente nei territori delle Regioni Abruzzo, Lazio e Marche. (10A12921) (GU n. 251 del 26-10-2010) MINISTERO DELL'AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE: DECRETO 21 settembre 2010 Adozione del Piano antincendio boschivo (piano AIB) con validita' 2007-2011, predisposto dalle Riserve Naturali Statali Monte Velino, Lago Pantaniello e Santa Filomena ricadenti nel territorio della Regione Abruzzo. (10A12922) (GU n. 251 del 26-10-2010) MINISTERO DELL'AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE: DECRETO 21 settembre 2010 Adozione del Piano antincendio boschivo (piano AIB) con validita' 2008-2012, predisposto dal Parco Nazionale della Majella ricadente nel territorio della Regione Abruzzo. (10A12923 (GU n. 251 del 26-10-2010) COMITATO NAZIONALE PER LA GESTIONE DELLA DIRETTIVA 2003/87/CE E PER IL SUPPORTO NELLA GESTIONE DELLE ATTIVITA' DI PROGETTO DEL PROTOCOLLO DI KYOTO: DELIBERAZIONE 12 ottobre 2010 Disposizioni per lo svolgimento dell'attivita' di verifica di cui alla direttiva 2003/87/CE e ricognizione dei riconoscimenti dell'attivita' di verifica. (Deliberazione n. 24/2010). (10A13005) (GU n. 254 del 29-10-2010)

Appalti BANCA D'ITALIA: PROVVEDIMENTO 24 agosto 2010 Provvedimento recante gli indicatori di anomalia per gli intermediari. (10A11569) (GU n. 230 del 1-10-2010)

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AUTORITA' PER LA VIGILANZA SUI CONTRATTI PUBBLICI DI LAVORI, SERVIZI E FORNITURE: COMUNICATO del 4-10-2010 Trasmissione dei dati relativi all'istituzione di elenchi ufficiali di prestatori di servizi o di fornitori, ai sensi del decreto legislativo n. 163/2006. (10A11546) (GU n. 232 del 4-10-2010) AUTORITA' PER LA VIGILANZA SUI CONTRATTI PUBBLICI DI LAVORI, SERVIZI E FORNITURE: COMUNICATO del 6-10-2010 Comunicato relativo alla pubblicazione di bandi e avvisi nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana (10A1202 0) (GU n. 234 del 6-10-2010) COMITATO INTERMINISTERIALE PER LA PROGRAMMAZIONE ECONOMICA: DELIBERAZIONE 13 maggio 2010 Art.128 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n.163: Programma triennale 2010-2012 dell'Istituto postelegrafonici - verifica di compatibilita' con i documenti programmatori vigenti. (Deliberazione n. 47/2010). (10A12047) (GU n. 237 del 9-10-2010) COMITATO INTERMINISTERIALE PER LA PROGRAMMAZIONE ECONOMICA: DELIBERAZIONE 13 maggio 2010 Art.128 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 136 :Programmi triennali di edilizia statale 2008-2010 e 2009-2011 del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti - dipartimento per le infrastrutture, gli affari generali ed il personale - verifica di compatibilita' con i documenti programmatori vigenti. (Deliberazione n. 44/2010). (10A12048) (GU n. 237 del 9-10-2010) DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 7 settembre 2010, n. 168 Regolamento in materia di servizi pubblici locali di rilevanza economica, a norma dell'articolo 23-bis, comma 10, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n.133. (10G0189) (GU n. 239 del 12-10-2010)

In «Gazzetta» i servizi locali liberalizzati Via libera alle nuove prove di apertura al mercato nel settore dei servizi pubblici locali, e game over per una parte del «riciclaggio» degli ex politici nelle società comunali e provinciali. Dopo due anni di discussioni e di tira e molla normativi, è stato pubblicato sulla «Gazzetta Ufficiale» n.239 di ieri il regolamento attuativo della riforma che prova ad avviare le liberalizzazioni. Con la pubblicazione del regolamento diventa effettivo il principio della gara, che relega gli affidamenti diretti alle «situazioni eccezionali» in cui una gestione concorrenziale non si rivela possibile. Per deciderlo, il comune o la provincia dovranno effettuare un'analisi di mercato, darne pubblicità e inviare il tutto all'Antitrust, il cui parere diventa vincolante per gli affidamenti che valgono più di 200mila euro l'anno. Parte, poi, il conto alla rovescia per gli attuali affidamenti. Nei prossimi 12 mesi gli enti locali dovranno effettuare le verifiche sulla realizzabilità di una gestione concorrenziale, illustrandone i risultati e motivando il permanere dell'affidamento diretto con fallimenti "certificati" di altri tipi di gestione in quel settore. Entro fine 2011 scadono invece gli affidamenti in house che seguono i parametri Ue (la proroga è possibile se l'ente vende almeno il 40% delle quote a privati operativi) e quelli a società miste che, pur se scelte con gara, non hanno visto la contestuale attribuzione di precisi compiti operativi al socio privato. Gli altri affidamenti diretti, con esclusione delle quotate che hanno regole a sé, decadono invece a fine anno. Un altro effetto immediato della pubblicazione del regolamento è l'entrata in vigore della nuova griglia delle incompatibilità, che esclude una serie di ex politici dai consigli di amministrazione delle società partecipate dall'ente in cui hanno svolto la propria attività da sindaci, assessori o consiglieri: parte ufficialmente, poi, il conto alla rovescia verso le varie scadenze entro cui le nuove regole impongono alle società di aprirsi ai privati e alla concorrenza.

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Dei confini tra «funzioni di regolazione e funzioni di gestione», cioè alla chiusura delle porte girevoli tra politica e società partecipate, il regolamento si occupa con un puntiglio che cancella le aspirazioni di molta politica locale, ma probabilmente non riuscirà a chiudere tutti gli incroci. Sindaci, presidenti di provincia, assessori, consiglieri comunali o circoscrizionali, di maggioranza e di opposizione, dovranno fermarsi un giro e non potranno far parte dei consigli di amministrazione delle società partecipate dall'ente né durante il loro mandato, né nei tre anni successivi. La griglia delle incompatibilità non si ferma sulle poltrone della politica ma si applica anche ai livelli tecnici. Gli incarichi per la gestione dei servizi, oltre agli amministratori locali, dovranno escludere anche i dirigenti dell'ente affidante e i loro parenti fino al quarto grado, mentre le commissioni di gara saranno off limits per tutti i dipendenti dell'ente locale. Queste regole sono in gran parte innovative ma incontrano due limiti principali: l'ambito di applicazione, perché il regolamento non mette bocca in settori chiave come l'energia, il gas e le farmacie, e gli accordi fra enti, perché nulla vieterà a un ex presidente di provincia di entrare in una società comunale, e viceversa. (Gianni Trovati, Il Sole 24 ORE Norme e tributi, 13 ottobre 2010) AUTORITÀ PER LA VIGILANZA SUI CONTRATTI PUBBLICI DI LAVORI, SERVIZI E FORNITURE: COMUNICATO del 16 ottobre 2010 Rilascio dei certificati di esecuzione lavori. (GU n. 16 ottobre 2010, n. 243) MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI: DECRETO 2 agosto 2010 Riduzione dei tassi medi di tariffa per l'autotrasporto in conto terzi, voci di tariffa 9121 e 9123, gestioni industria, artigianato e terziario. (10A12968) (GU n. 250 del 25-10-2010) MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI: CIRCOLARE del 8 ottobre 2010, n. 35 - Prot. 25/SEGR/0016857 DURC - Determinazione AVCP n. 1/2010. AUTORITÀ PER LA VIGILANZA SUI CONTRATTI PUBBLICI DI LAVORI, SERVIZI E FORNITURE: COMUNICATO del 26 ottobre 2010 Condizioni per la partecipazione alle procedure di affidamento dei contratti pubblici delle imprese con sede nei Paesi con regime fiscale privilegiato (Disposizioni antiriciclaggio ai sensi dell'art. 37 del Decreto-Legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito con Legge 30 luglio 2010, n. 122). (10A12991) (GU n. 26 ottobre 2010, n. 251) AUTORITA' PER LA VIGILANZA SUI CONTRATTI PUBBLICI DI LAVORI, SERVIZI E FORNITURE: DELIBERAZIONE 7 ottobre 2010 Modifica all'articolo 7 del Regolamento in materia di esercizio del potere sanzionatorio. (10A13009) (GU n. 252 del 27-10-2010) AUTORITA' PER LA VIGILANZA SUI CONTRATTI PUBBLICI DI LAVORI, SERVIZI E FORNITURE: DETERMINAZIONE 20 ottobre 2010 Questioni interpretative concernenti la disciplina dell'articolo 34 del decreto legislativo n. 163/2006 relativa ai soggetti a cui possono essere affidati i contratti pubblici. (Determinazione n. 7). (10A13025) (GU n. 255 del 30-10-2010)

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Economia, Finanze, Fisco e Agevolazioni

LEGGE 1 ottobre 2010, n. 163 Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 5 agosto 2010, n. 125, recante misure urgenti per il settore dei trasporti e disposizioni in materia finanziaria. Proroga del termine di esercizio della delega legislativa in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio di amministrazioni pubbliche. (10G0188) (GU n. 233 del 5-10-2010) MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE: CIRCOLARE 12 ottobre 2010, n. 34 Chiusura delle contabilita' dell'esercizio finanziario 2010, in attuazione delle vigenti disposizioni in materia contabile. (10A12535) (GU n. 246 del 20-10-2010) DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 6 agosto 2010 Individuazione delle regioni maggiormente oberate dai vincoli e dalle attivita' militari per il quinquennio 2005/2009, ai fini della corresponsione di un contributo annuo dello Stato (art. 4 della legge 2 maggio 1990, n. 104). (10A12703) (GU n. 247 del 21-10-2010) DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 26 agosto 2010 Modifica ai decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri del 6 giugno 2005 e del 5 marzo 2007, relativi all'assegnazione finanziaria alla Regione Lazio, ai sensi dell'articolo 32-bis del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326. (10A12594) (GU n. 247 del 21-10-2010) MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI: DECRETO 6 agosto 2010 Ripartizione delle risorse finanziarie del Fondo nazionale per il diritto al lavoro dei disabili. (10A12542) (GU n. 247 del 21-10-2010) MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE: DECRETO 26 luglio 2010 Cofinanziamento nazionale a carico del Fondo di rotazione per il programma annuale 2009 del Fondo europeo per i rifugiati - periodo 2008-2013. (10A12256) (GU n. 248 del 22-10-2010) MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE: DECRETO 26 settembre 2010 Cofinanziamento statale a carico del Fondo di rotazione per il programma Operativo Enpi Bacino del Mediterraneo dell'obiettivo Cooperazione territoriale europea 2007-2013, annualita' 2008 e 2009. (Decreto n. 25/2010). (10A12257) (GU n. 248 del 22-10-2010) MINISTERO DELL'ISTRUZIONE, DELL'UNIVERSITA' E DELLA RICERCA: DECRETO 3 agosto 2010 Fondo per gli investimenti della ricerca di base - Approvazione di proposte della Commissione FIRB relative ai progetti di ricerca di base inerenti al programma «Futuro di ricerca» (seduta del 3 marzo 2010). (Decreto n. 490/Ric). (10A12577) (GU n. 248 del 22-10-2010) MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI: DECRETO 23 luglio 2010 Ripartizione ed assegnazione delle risorse destinate alle attivita' di formazione nell'esercizio dell'apprendistato alle Regioni e Province Autonome di Trento e Bolzano, per l'annualita' 2009. (10A12565) (GU n. 248 del 22-10-2010)

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DECRETO 2 agosto 2010 Ripartizione ed assegnazione delle risorse destinate al finanziamento delle iniziative per l'esercizio del diritto-dovere all'istruzione e alla formazione, alle Regione e province autonome di Trento e Bolzano, per l'annualità' 2010. (10A12568) (GU n. 248 del 22-10-2010) MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE: DECRETO 7 ottobre 2010 Ripartizione tra le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano del finanziamento autorizzato per l'anno 2009 dalla legge finanziaria 2009 per lo svolgimento delle funzioni conferite ai fini della conservazione e della difesa dagli incendi del patrimonio boschivo nazionale. (10A12708) (GU n. 250 del 25-10-2010) MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO: DECRETO 15 ottobre 2010 Modificazioni alle condizioni di ammissibilita' e alle disposizioni di carattere generale per l'amministrazione del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese, di cui all'articolo 2, comma 100, lettera a), della legge 23 dicembre 1996, n. 662, approvate con decreto 23 settembre 2005. (10A12967) (GU n. 250 del 25-10-2010) DECRETO 14 settembre 2010, n. 177 Regolamento concernente i criteri e le modalita' per la concessione e l'erogazione dei contributi di cui all'articolo 96 della legge 21 novembre 2000, n. 342, in materia di attivita' di utilita' sociale, in favore di associazioni di volontariato e organizzazioni non lucrative di utilita' sociale. (10G0199) (GU n. 255 del 30-10-2010) MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO: DECRETO 15 ottobre 2010 Termini e modalita' di presentazione delle proposte progettuali per l'accesso alle agevolazioni per la realizzazione di progetti transnazionali di sviluppo sperimentale e ricerca industriale nel settore delle biotecnologie, nell'ambito del Programma comunitario EUROTRANS-BIO. (10A13089) (GU n. 255 del 30-10-2010 - Suppl. Ordinario n.239) MINISTERO DELL'INTERNO, COMUNICATO DEL 26 OTTOBRE 2010 Comunicato del 26 ottobre 2010 - concernente alcune esclusioni dal patto di stabilità interno 2010.

Energia MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO: DECRETO 6 agosto 2010 Esenzione dalla disciplina che prevede il diritto di accesso dei terzi, a favore delle imprese che investono nella realizzazione di nuovi stoccaggi in sotterraneo di gas naturali o in significativi potenziamenti delle capacita' di stoccaggio esistenti. (10A11826) (GU n. 239 del 12-10-2010)

Borsa gas e stoccaggi In riferimento al mercato del gas naturale si riporta, di seguito, una breve analisi di due decreti ministeriali aventi identica data recentemente pubblicati in Gazzetta Ufficiale. Esenzione sugli stoccaggi (D.M. 6 agosto 2010 - GU n. 239 del 12-10-2010) Il decreto ministeriale aggiorna le modalità per il rilascio dell’esenzione dalla disciplina che prevede il diritto di accesso dei terzi alle infrastrutture (third party access) a favore dei soggetti investitori precedentemente stabiliti dal D.M. 11 aprile 2006 (di seguito: decreto 11 aprile 2006), pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 12 maggio 2006, n. 109. L'esenzione è riconosciuta al soggetto che ha ottenuto la concessione e può riguardare una singola nuova infrastruttura o il potenziamento di una esistente; in ogni caso la quota esente viene determinata in relazione alla previsione di nuova capacità di stoccaggio.

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Il provvedimento definisce inoltre i criteri per disciplinare l’assegnazione delle quote di capacità residuali da destinare a beneficio del mercato. Borsa Gas (D.M. 6 agosto 2010 - GU n. 200 del 27-8-2010) Il provvedimento, recante “Vendita delle aliquote di prodotto della produzione di gas nel territorio nazionale, royalties, destinate allo Stato” definisce le nuove modalità per assolvere l’obbligo in capo ai produttori di gas di corrispondere annualmente aliquote di gas in favore dello Stato per il tramite della piattaforma di negoziazione di gas (cd. Borsa Gas) gestita dalla società GME S.p.A. (Gestore dei mercati energetici). Viene previsto che i titolari delle concessioni per la produzione di idrocarburi gassosi siano obbligati ad offrire al mercato all’ingrosso le aliquote di gas destinate allo Stato su base mensile e con le modalità sancite dalla Deliberazione dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas ARG/gas n. 132 del 2010. Il decreto stabilisce inoltre un prezzo minimo d’acquisto pari al valore dell’indice QE espresso in euro per MegaJaule, determinato dall'Autorità per l'energia elettrica e il gas ai sensi della deliberazione n. 52/99. (Pierpaolo Masciocchi, Il Sole 24 ORE - Codice Ambiente e Sicurezza ) MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO: DECRETO 2 agosto 2010 Criteri e parametri per il calcolo del corrispettivo da riconoscere agli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da combustibili fossili per la risoluzione anticipata della convenzione CIP 6 in essere. (10A12576) (GU n. 248 del 22-10-2010) MINISTERO DELL'AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE: COMUNICATO del 29-10-2010 Proroga dei termini del Programma Operativo Interregionale «Energie Rinnovabili e Risparmio Energetico» 2007-2013. - Avviso Pubblico ai Comuni fino a 15000 abitanti, compresi i borghi antichi e di pregio, e le loro forme associative, per la presentazione di manifestazioni di interesse nell'ambito delle linee di attivita' 2.2 «Interventi di efficientamento energetico degli edifici e utenze energetiche pubbliche o ad uso pubblico» e 2.5 «Interventi sulle reti di distribuzione del calore, in particolare da cogenerazione e per teleriscaldamento e teleraffrescamento». (Comunicato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana - serie generale - del 22 settembre 2010). (10A13107) (GU n. 254 del 29-10-2010)

Enti ed istituzioni DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 5 agosto 2010 Modifiche al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 23 luglio 2002, recante: «Ordinamento delle strutture generali della Presidenza del Consiglio dei Ministri», e rideterminazione delle dotazioni organiche dirigenziali. (10A11570) (GU n. 230 del 1-10-2010) PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI DIPARTIMENTO PER LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E L'INNOVAZIONE: DECRETO 15 settembre 2010 Ripartizione dei contingenti complessivi dei distacchi sindacali retribuiti autorizzabili per il triennio 2010-2012 nell'ambito della carriera diplomatica, relativamente al servizio prestato in Italia. (10A12165) (GU n. 239 del 12-10-2010) CORTE DEI CONTI: DELIBERAZIONE 22 luglio 2010 Linee guida, questionario e criteri cui devono attenersi, ai sensi dell'articolo 1, comma 170, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (legge finanziaria 2006), i collegi sindacali degli enti del Servizio sanitario nazionale relativamente al bilancio di esercizio al 31 dicembre 2009. (Deliberazione n. 18/SEZAUT/2010/INPR). (10A12013) (GU n. 240 del 13-10-2010)

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MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE: DECRETO 7 ottobre 2010 Monitoraggio e certificazione del Patto di stabilità interno per le Regioni che ridefiniscono i propri obiettivi. (10A12825) (GU n. 249 del 23-10-2010) MINISTERO DELLA SALUTE: DECRETO 22 luglio 2010, n. 172 Modifica al decreto ministeriale 6 agosto 2003, n. 342, concernente la composizione e l'ordinamento del Consiglio Superiore di Sanita'. (10G0193) (GU n. 250 del 25-10-2010) MINISTERO DELLA GIUSTIZIA: DECRETO 22 luglio 2010 Modificazione dell'allegato 1 al decreto 10 luglio 2009, recante caratteristiche specifiche della strutturazione dei modelli informatici previste dall'art. 62, comma 2, del decreto 17 luglio 2008. (10A12917) (GU n. 250 del 25-10-2010) DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 17 settembre 2010 Modifica alla disciplina riguardante gli organismi collegiali operanti presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Segretariato generale. (10A12990) (GU n. 251 del 26-10-2010) LEGGE 13 ottobre 2010, n. 175 Disposizioni concernenti il divieto di svolgimento di propaganda elettorale per le persone sottoposte a misure di prevenzione. (10G0196) (GU n. 252 del 27-10-2010) MINISTERO DELLA SALUTE: DECRETO 15 ottobre 2010 Istituzione del sistema informativo per la salute mentale. (10A13028) (GU n. 254 del 29-10-2010)

Lavoro PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI DIPARTIMENTO DELLA FUNZIONE PUBBLICA: DIRETTIVA 30 luglio 2010 Programmazione della formazione delle amministrazioni pubbliche. (Direttiva n. 10/2010). (10A11699) (GU n. 234 del 6-10-2010) PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI: NOTA DEL 15 OTTOBRE 2010 - PROT. DFP 0046078 Programmazione del fabbisogno di personale triennio 2010-2012. Autorizzazioni ad assumere per l'anno 2010 e a bandire per il triennio 2010-2012. ISTITUTO NAZIONALE DI PREVIDENZA PER I DIPENDENTI DELL'AMMINISTRAZIONE PUBBLICA: CIRCOLARE DEL 8 OTTOBRE 2010, n. 18 Art. 12 del Decreto Legge n. 78 del 31 maggio 2010 convertito con modifiche nella Legge 30 luglio 2010 n. 122 - Interventi in materia pensionistica. ISTITUTO NAZIONALE DI PREVIDENZA PER I DIPENDENTI DELL'AMMINISTRAZIONE PUBBLICA: CIRCOLARE DEL 8 OTTOBRE 2010, n. 17 Art. 12 del decreto legge n. 78 del 31 maggio 2010, convertito, con modificazioni, in legge n. 122/2010 - Interventi in materia di trattamento di fine servizio e di fine rapporto.

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MINISTERO PER LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E L'INNOVAZIONE: DECRETO 4 ottobre 2010 Ripartizione dei contingenti complessivi dei distacchi sindacali retribuiti autorizzabili, nel triennio 2010-2012, nell'ambito delle Forze di polizia ad ordinamento civile (Polizia di Stato, Corpo della polizia penitenziaria e Corpo forestale dello Stato). (10A12940) (GU n. 254 del 29-10-2010)

Professioni MINISTERO DELLA GIUSTIZIA: DECRETO 2 settembre 2010, n. 169 Regolamento recante la disciplina degli onorari, delle indennita' e dei criteri di rimborso delle spese per le prestazioni professionali dei dottori commercialisti e degli esperti contabili. (GU n. 242 del 15-10-2010)

Rifiuti MINISTERO DELL'AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE: DECRETO 28 settembre 2010 Modifiche ed integrazioni al decreto 17 dicembre 2009, recante l'istituzione del sistema di controllo della tracciabilita' dei rifiuti. (10A11755) (GU n. 230 del 1-10-2010)

Proroga Sistri Pubblicata in Gazzetta Ufficiale la proroga della fase sperimentale e di quella concernente la fase distributiva dei dispositivi Sulla Gazzetta Ufficiale n. 230 del 1 ottobre 2010 è stato pubblicato il decreto 28 settembre 2010 del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, in vigore dal giorno stesso della pubblicazione, che introduce due distinte proroghe alle disposizioni del D.M. 17 dicembre 2009, in tema di controllo e tracciabilità dei rifiuti. Ferma restando la data di operatività del sistema per tutti i soggetti (1 ottobre 2010), come individuata agli articoli 1, commi 1 e 4, e 2 del DM 17 dicembre 2009 e successive modifiche e integrazioni, vengono differiti due termini specifici: - quello relativo alla distribuzione dei dispositivi USB ed installazione delle black box, di cui all’allegato IA, punto 5, del Dm 17 dicembre 2009, prorogato al 30 novembre p.v.; - e quello per la fase sperimentale “cd. fase test”, prevista dall’articolo 12, comma 2, del Dm 17 dicembre 2009, che sposta al 31 dicembre p.v. il termine fino al quale le imprese regolarmente iscritte al Sistri rimarranno tenute anche agli adempimenti di cui agli articoli 190 (registro di carico e scarico) e 193 (formulario di identificazione) del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152. Particolare importanza riveste quest’ultimo aspetto. In sostanza durante la “fase test” il Sistri verrà utilizzato insieme a registri e formulari, cioè ai tradizionali adempimenti ambientali che dal “cd. Decreto Ronchi” regolano la produzione e gestione dei rifiuti. Tale fase si allunga così da uno a tre mesi per tutti i soggetti, cioè sia per chi al 1 ottobre 2010 sarà in possesso dei dispositivi sia per chi, invece, a quella data non li avrà ricevuti o sarà impossibilitato ad usarli per malfunzionamenti. La tenuta congiunta delle “tradizionali” scritture ambientali e del sistema telematico Sistri, nasce dalla necessità di non interrompere il sistema di tracciabilità dei rifiuti. Questo, infatti, in una filiera “chiusa” come quella dei rifiuti, può essere garantito solo se tutti e tre i soggetti coinvolti (produttore, trasportatore e destinatario) sono messi nelle condizioni di operare con i dispositivi elettronici. I molti problemi connessi alle difficoltà di distribuzione di tali dispositivi (secondo analisi campione effettuate sul territorio, ad oggi appena il 54% delle imprese sono in possesso dei dispositivi previsti dalla normativa, nonostante sia stato superato ampiamente il termine del 12 settembre entro il quale si sarebbe dovuta completare la fase distributiva, e solo un ristretto numero di imprese coinvolte nel trasporto dei rifiuti ha istallato i previsti dispositivi Black Box) e la imprescindibile necessità degli addetti delle singole imprese di familiarizzare con il sistema, hanno

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reso necessario ampliare da uno a tre mesi il periodo sperimentale, teso ad assicurare la piena funzionalità del Sistri. Per maggiore chiarezza abbiamo evidenziato, nella tabella di seguito riportata, una sintesi della nuova tempistica per l’avvio operativo del sistema, come delineata dalle nuove disposizioni ministeriali.

SCHEDA: LA NUOVA TEMPISTICA DOPO LO SLITTAMENTO DEI TERMINI

1° ottobre 2010

Da questa data il Sistri è operativo; pertanto chi è in possesso dei dispositivi elettronici, deve iniziare ad usarli

30 novembre 2010

Il termine entro il quale completare le procedure di ritiro dei dispositivi elettronici viene prorogato dal 12 settembre al 30 novembre 2010 (alleato IA, punto 5, Dm 17 dicembre 2009)

31 dicembre 2010

Il termine fino al quale continuare a tenere i registri di carico e scarico ed i formulari, unitamente al Sistri, viene prorogato dal 1 novembre al 31 dicembre 2010, per verificare la piena funzionalità del sistema.

La soluzione prospettata risolve, a nostro avviso, solo parzialmente le gravi carenze riscontrate, sia per la ristretta finestra temporale concessa, sia, soprattutto, per non aver contemplato la possibilità di rendere discrezionale la scelta del regime (cartaceo o telematico), da parte delle imprese. Relativamente al quadro sanzionatorio, nel nuovo decreto, tra i consideranda, si afferma un concetto importante ma, a nostro avviso, giuridicamente privo di efficacia sostanziale, e che testualmente si riporta: “Considerata l’esigenza di assicurare, durante la verifica della piena funzionalità del SISTRI, gli obblighi di legge finalizzati alla tracciabilità dei rifiuti attraverso gli adempimenti di cui agli articoli 190 (registri di carico e scarico) e 193 (formulario di identificazione) del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e che, pertanto, le fattispecie sanzionabili restano esclusivamente quelle relative alla violazione dei medesimi articoli 190 e 193”. Parrebbe quindi di intendere che, sino al 31 dicembre 2010, le disposizioni sanzionatorie siano esclusivamente quelle previste per il mancato rispetto dei “vecchi” adempimenti cartacei (registri e formulari) e che non vi siano sanzioni per la violazione delle norme in tema di controllo e tracciabilità dei rifiuti. In realtà si omette di evidenziare, nel provvedimento ministeriale, come queste ultime siano contenute nello schema di decreto di recepimento della direttiva quadro sui rifiuti, attualmente al parere delle Commissioni parlamentari che debbono esprimersi entro il 24 ottobre p.v.. E’ pertanto evidente che il consideranda del decreto non avrà alcun valore giuridico qualora il decreto di recepimento dovesse entrare in vigore prima della fine del corrente anno. Si ritiene, inoltre, utile informare che sono stati pubblicati sul portale Sistri (www.sistri.it) la nuova versione del manuale operativo, le guide per produttori, trasportatori e recuperatori/smaltitori nonché la guida all’utilizzo del dispositivo Usb. La nuova versione del manuale operativo (versione test 1.2 del 30 settembre 2010) rappresenta una revisione completa della precedente (versione test 1.1 del 12 agosto 2010), con eliminazione del vecchio capitolo 7 ora sostituito dalle singole guide utente. Nella stessa giornata del 30 settembre, infine, il Ministero dell’Ambiente ha reso noto di aver chiesto alla Presidenza del Consiglio la rimozione del segreto di stato sul Sistri, poiché la compiuta realizzazione della struttura tecnica del progetto Sistri, farebbe venire meno i rischi di infiltrazione criminale e di attentati al sistema. (Pierpaolo Masciocchi, Codice Ambiente e Sicurezza, 4 ottobre 2010)

Proroga Sistri NOTA ESPLICATIVA IV DECRETO SISTRI Sulla Gazzetta Ufficiale n. 230 del 1 ottobre 2010 è stato pubblicato il decreto 28 settembre 2010 del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, in vigore dal giorno stesso della pubblicazione, che introduce due distinte proroghe alle disposizioni del D.M. 17 dicembre 2009, in tema di controllo e tracciabilità dei rifiuti.

A corredo del decreto, il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare ha pubblicato, sul sito internet www.sistri.it, una nota esplicativa che prende in esame gli aspetti

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principali delle nuove disposizioni. È importante sottolineare come, allo stato attuale, la nota, anche se non formalizzata con un atto protocollare (come, ad esempio, una circolare ministeriale) rappresenti l’unico orientamento interpretativo fornito dal Ministero su tali disposizioni. Si ritiene, pertanto, utile dettagliarne il contenuto.

Nella nota, in particolare, viene evidenziato che il provvedimento: conferma la data di operatività del SISTRI, stabilita per il 1° ottobre 2010; proroga al 30 novembre 2010 il termine per la consegna dei dispositivi USB e black box agli

aventi titolo; proroga al 31 dicembre 2010 il termine previsto dall’art. 12, comma 2, del DM 17 dicembre

2009, ossia il periodo nel quale, oltre agli adempimenti SISTRI, dovranno essere osservati gli obblighi di tenuta dei registri di carico e scarico e del formulario.

Il quadro derivante dalle predette disposizioni è quindi il seguente: a) utilizzo dei dispositivi elettronici Gli iscritti al SISTRI che, alla data di avvio dell’operatività dello stesso, fissata per il 1° ottobre 2010, sono in possesso dei dispositivi elettronici, utilizzano i medesimi dispositivi a decorrere da tale data. Per quanto riguarda la compilazione del Registro cronologico, gli utenti inseriranno “in carico” le informazioni relative ai rifiuti prodotti/trasportati/gestiti a decorrere dal primo ottobre. Lo “scarico” di rifiuti caricati nel Registro di cui all’articolo 190 del d.lgs. n. 152/2006 nel periodo antecedente all’operatività del SISTRI potrà, sino al 31 dicembre 2010, essere riportato solo in tale Registro. Tuttavia, entro tale data, i soggetti tenuti dovranno “caricare” nel Registro cronologico i dati relativi a tutti i rifiuti “in giacenza” nel Registro di cui all’articolo 190. Dal momento che non tutti gli iscritti sono, alla data del 1° ottobre, dotati dei dispositivi, fino al 30 novembre 2010 potrebbe verificarsi che non tutti i soggetti interessati dalla movimentazione di un rifiuto siano in condizione di compilare il Registro cronologico e la scheda SISTRI- AREA MOVIMENTAZIONE. In tale ipotesi, al fine di garantire il necessario flusso di informazioni al sistema, si applicherà quanto previsto all’articolo 6, comma 4, del DM 17 dicembre 2009 per i casi di indisponibilità temporanea dei dispositivi. Si sottolinea l’estrema rilevanza che l’utilizzo immediato e costante dei dispositivi riveste al fine di acquisire la dovuta padronanza nell’impiego del nuovo sistema e, al tempo stesso, testarne la funzionalità, anche al fine di consentire di apportare le migliorie o modifiche la cui necessità dovesse evidenziarsi a seguito dell’effettivo e capillare utilizzo del sistema stesso. b) soggetti iscritti al SISTRI che alla data del 1° ottobre 2010 non sono in possesso dei dispositivi elettronici I soggetti iscritti al SISTRI ai quali, alla data del 1° ottobre 2010, non sono stati ancora consegnati i dispositivi, continuano a compilare unicamente il registro di carico e scarico e il formulario di identificazione dei rifiuti di cui agli articoli 190 e 193 del d.lgs. n. 152/2006. Dal momento della consegna dei dispositivi, tali soggetti utilizzeranno altresì i dispositivi medesimi secondo quanto sopra riportato. Si evidenzia l’estrema utilità dell’utilizzo immediato dei dispositivi, una volta che gli stessi siano disponibili, al fine di poter usufruire della possibilità di prendere dimestichezza con il nuovo sistema in questa prima fase di avvio dell’operatività. c) regime sanzionatorio applicabile sino al 31 dicembre 2010 L’articolo 12, comma 2, del DM 17 dicembre 2009 consente ai soggetti tenuti ad aderire al SISTRI di usufruire di una fase di applicazione dello stesso, ora prorogata sino al 31 dicembre 2010, finalizzata alla verifica della piena funzionalità del SISTRI e anche ad acquisire la necessaria padronanza nell’utilizzo dei dispositivi medesimi. Il medesimo articolo specifica infatti che, al fine di garantire che non vi sia soluzione di continuità per quanto riguarda l’adempimento degli obblighi di legge relativi alla tracciabilità dei rifiuti in tale fase di prima applicazione del SISTRI, i soggetti iscritti al SISTRI rimangono tenuti agli adempimenti di cui agli articoli 190 e 193 del D.Lgs n. 152/2006. Pertanto, fino al 31 dicembre

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2010, solo la compilazione del registro di carico e scarico e del formulario di cui alla citata normativa garantisce l’adempimento degli obblighi di legge. Il Ministero, inoltre, richiamandosi ai consideranda del decreto, evidenzia che solo la violazione delle disposizioni dei predetti articoli darà luogo alla comminazione delle specifiche sanzioni previste dal decreto legislativo 152 del 2006. A nostro giudizio tuttavia tale linea interpretativa omette di evidenziare come le sanzioni siano contenute nello schema di decreto di recepimento della direttiva quadro sui rifiuti, attualmente al parere delle Commissioni parlamentari che debbono esprimersi entro il 24 ottobre p.v.. E’ pertanto evidente che le considerazioni esposte dal Ministero non avranno alcun valore giuridico qualora il decreto di recepimento dovesse entrare in vigore prima della fine del corrente anno.

(Pierpaolo Masciocchi, Codice Ambiente e Sicurezza, 5 ottobre 2010)

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Giurisprudenza

Ambiente

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PUGLIA - BARI SEZIONE I, SENTENZA DEL 6 OTTOBRE 2010, n. 3526

ENERGIA - Edilizia - Realizzazione di impianto eolico - Accesso agli atti amministrativi - Diniego - Illegittimità - Garanzia di imparzialità e trasparenza dell'operato amministrativo - Inesistenza di esigenze di riservatezza ed ostensione dei documenti richiesti dal ricorrente, per la tutela dell'interesse qualificato

Merita accoglimento il ricorso volto all'annullamento del diniego opposto dall'amministrazione regionale in relazione all'istanza di accesso formulata dalla ricorrente relativamente agli atti inerenti il progetto di impianto eolico, laddove l'istante fondi la sua pretesa sull'interferenza del progetto in questione con quello presentato dal medesimo ed oggetto di ridimensionamento. Orbene, il diritto di accesso, perseguendo finalità pubblicistiche, costituisce un principio generale dell'operato della P.A., idoneo a favorire la partecipazione ed assicurare imparzialità e trasparenza dell'operato amministrativo. Ne consegue che affinché dette finalità possano dirsi perseguite, in mancanza di esigenze di tutela della riservatezza, deve garantirsi l'ostensibilità di tutti i documenti amministrativi idonei e necessari per la tutela degli interessi qualificati vantati dal ricorrente.

(Massima a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIANA SICILIA – PALERMO, SENTENZA DEL 6 OTTOBRE 2010, n. 1266

DANNO AMBIENTALE - Inquinamento - Attività di bonifica e messa in sicurezza di siti inquinati - Natura di servizio pubblico - Fondamento

Le coordinate qualificatorie del servizio pubblico ben si attagliano al caso delle attività di bonifica e di messa in sicurezza dei siti inquinati, disciplinate dall'art. 242 del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152. Difatti le procedure di messa in sicurezza e di bonifica sono obbligatorie ex lege al ricorrere di determinati presupposti di fatto, sono disciplinate da fonti di rango primario, sono svolte (anche) a favore di una collettività indeterminata di beneficiari (gli abitanti di una zona inquinata), mirano al perseguimento di un interesse pubblico (alla salubrità ambientale e al ripristino del bene-interesse violato dagli inquinamenti) e, infine, consistono in attività produttive e di rilievo economico. La circostanza che per tali attività non sia prevista l'erogazione di un corrispettivo da parte dei beneficiari (come si verifica invece per la normale attività di depurazione) non inficia i riferiti connotati dell'attività quale attività di servizio pubblico e ciò perché, in via generale, la previsione di un corrispettivo (così come di un profitto del gestore del servizio) non è essenziale sul piano della qualificazione giuridica delle attività di servizio pubblico; inoltre, dal punto di vista strettamente economico, l'utilità dei soggetti tenuti alla messa in sicurezza e alla bonifica di siti inquinati è all'evidenza rappresentata dal vantaggio che costoro (o i loro danti causa) hanno conseguito precedentemente attraverso la socializzazione dei costi (id est l'inquinamento) relativi a oneri del processo produttivo (ossia quelli connessi al corretto smaltimento degli agenti inquinanti) che sarebbero dovuti rimanere a carico delle stesse imprese inquinatrici: attraverso le procedure di bonifica e messa in sicurezza tali costi vengono nuovamente internalizzati, peraltro in misura inferiore al vantaggio ottenuto dalle imprese obbligate (non essendo integralmente risarciti i danni, individuali e collettivi, alla salute medio tempore verificatisi).

(Massima a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

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CONSIGLIO DI STATO SEZIONE IV, DECISIONE 22 SETTEMBRE 2010 n. 7034 PIANO REGOLATORE GENERALE - Efficacia – Pubblicazione sul Bur - Sufficienza.

Nel caso in cui non risulti diversamente disposto con apposita norma regionale, l’efficacia del piano regolatore comunale è subordinata alla sola pubblicazione nel bollettino ufficiale della regione.

(Il Sole 24 ORE - Guida al diritto n. 41, 16 ottobre 2010)

Appalti

CONSIGLIO DI STATO SEZIONE V, DECISIONE 21 SETTEMBRE 2010 n. 7031 ACQUIESCENZA - Bando di gara - Clausole – Partecipazione alla gara - Non integra acquiescenza. Sussiste acquiescenza a un provvedimento amministrativo solo nel caso in cui ci si trovi in presenza di atti, comportamenti o dichiarazioni univoci, posti liberamente in essere dal destinatario dell’atto, che dimostrino la chiara e incondizionata (cioè non rimessa a eventi futuri e incerti) volontà dello stesso di accettarne gli effetti e l’operatività; con la conseguenza di escludere la possibilità di affermare la sussistenza dell’acquiescenza per mera presunzione, non potendosi in tal caso trovare univoco riscontro della volontà dell’interessato di accettare tutte le conseguenze derivanti dall’atto amministrativo. Con riferimento specifico ai contratti a evidenza pubblica, la partecipazione alla procedura di gara non configura, di per sé, acquiescenza alle clausole del bando, le quali, anzi, possono essere impugnate solo dopo avere concretamente dimostrato non solo la volontà di partecipare alla procedura selettiva ma la lesione attuale e concreta dell’interesse legittimo azionato.

(Il Sole 24 ORE - Guida al diritto n. 41, 16 ottobre 2010)

CONSIGLIO DI STATO SEZIONE VI, DECISIONE 22 SETTEMBRE 2010 n. 7239 CONCESSIONE DEMANIALE MARITTIMA - art. 18 del regolamento per l'esecuzione del codice della navigazione - obbligo di pubblicazione delle domande di concessione di particolare importanza per l'entità e lo scopo - adeguata pubblicità - non sussiste - fattispecie. Nota Consiglio di stato. Le regole europee Gare e pubblicità sempre necessarie nelle concessioni LA REGOLA - Vale la diretta applicazione dei princìpi comunitari a prescindere dal contenuto delle norme interne Nei rapporti di natura commerciale con la Pa, gli obblighi, di derivazione comunitaria, di dare corpo a idonee forme di pubblicità – quali l'affissione sull'albo comunale e l'inserimento della domanda nelle inserzioni legali –sono inderogabili, e si applicano anche nel caso delle domande di rinnovo delle concessioni demaniali già scadute o in scadenza. Tanto più se si tratta, sotto il profilo quali-quantitativo, di concessioni di particolare importanza, quali ad esempio quelle rivolte all'uso di approdo turistico. Così si è pronunciata la VI sezione del consiglio di stato nella sentenza n. 7239/2010. Il caso esaminato riguardava il rinnovo di una concessione demaniale per ormeggio, relativa ad un porto turistico, per il quale il Tar aveva sostenuto la non necessità di dover rispettare particolari formalità di istruttoria, dato che il regolamento per l'esecuzione del codice della navigazione (articolo 8) questo prevede per le concessioni – come quella in esame – di durata non superiore a quattro anni e che non importino impianti di difficile rimozione. Diversamente, sempre il regolamento, richiede sì un adeguato livello di pubblicità ma solo per le concessioni di particolare importanza per l'entità e lo scopo. Il collegio ha invece evidenziato come nel caso di specie debbano prevalere i principi di carattere comunitario, che impongono indistintamente – anche nel caso delle concessioni demaniali – una previa ed adeguata pubblicità delle domande nonché lo svolgimento per l'assegnazione delle stesse

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di procedure di tipo competitivo. Peraltro, proprio il regolamento, all'articolo 18, stabilisce l'obbligo di pubblicazione delle domande di concessione di particolare importanza per l'entità e lo scopo, senza fare alcuna distinzione tra domande di concessione originarie e domande di rinnovo di concessione già scadute o in scadenza. Ne deriva la necessità di interpretare l'articolo 18 del regolamento, alla luce del diritto comunitario, «che in ogni caso impone l'inversione del rapporto regola-eccezione», rendendo obbligatorie adeguate forme di pubblicità finalizzate allo svolgimento di procedure di assegnazione di tipo comparativo, mediante affissione delle domande nell'albo comunale e l'inserzione delle stesse, per estratto, nel foglio degli annunci legali, su quotidiani e sul sito internet della stazione affidante. Ciò in virtù della diretta e self executing applicazione dei principi del Trattato dell'Unione europea, a prescindere dal fatto che il caso non sia interessato da specifiche disposizioni comunitarie o dalla ricorrenza di specifiche norme interne, e anche nell'ipotesi in cui queste ultime dovessero essere di segno totalmente opposto. In tal senso, peraltro, la chiara occasione di guadagno derivante agli operatori economici sul mercato dall'assegnazione della concessione demaniale, impone ancor più l'applicazione dell'evidenza pubblica, mediante espletamento di una procedura competitiva ispirata ai principi di trasparenza e non discriminazione.

(Raffaele Cusmai, Il Sole 24 ORE Norme e tributi, 25 ottobre 2010)

CORTE DI CASSAZIONE, SEZIONE I, SENTENZA 26 MAGGIO 2010 n. 12884 APPALTI PUBBLICI - Collaudo - Funzione - Effetti per le parti. (Rd 350/1895, articolo 91) Il collaudo delle opere pubbliche, come si evince dalla relativa normativa, articoli 91 e seguenti del Rd 350/1895, integra un procedimento amministrativo, richiedente da un lato l’emissione del cosiddetto certificato di collaudo, il quale racchiude il giudizio finale del collaudatore intorno all’opera e contiene la liquidazione del corrispettivo spettante all’appaltatore e, dall’altro, l’approvazione del collaudo da parte dell’amministrazione, che esprime sostanzialmente l’accettazione dell’opera per conto del committente e rende definitiva la predetta liquidazione. È in quest’ultimo momento e solo in questo momento che si perfeziona la fattispecieprocedimentale della collaudazione di opere pubbliche generativa del diritto del collaudatore al compenso. (M.Pis.)

(Il Sole 24 ORE - Guida al diritto n. 41, 16 ottobre 2010)

CONSIGLIO DI STATO - SEZIONE V - SENTENZA 20 APRILE-16 LUGLIO 2010 n. 4624 GARE D’APPALTO - Valutazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa – Presentazione di un’offerta con valore pari a zero in ogni singola voce di costo – Esclusione - Legittimità. Presentazione di un’offerta con solamente alcune voci di costo pari a zero - Intervento della commissione di gara di assimilazione a un valore infinitesimale delle voci di costo pari a zero ai fini della valutazione dell’offerta - Illegittimità. Nelle gare d’appalto, ai fini dell’individuazione dell’impresa aggiudicataria mediante il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, non è ammissibile la presentazione di una proposta economica con l’indicazione del valore zero in tutte le voci di costo, determinando tale circostanza la sostanziale inapplicabilità della formula matematica utilizzata dalla stazione appaltante per l’attribuzione del relativo punteggio. Né, in tali casi - così come nelle ipotesi in cui anche soltanto alcune delle voci dell’offerta siano pari a zero - la commissione di gara può intervenire modificando l’offerta e attribuendo alla stessa un valore infinitesimale in virtù del principio di favor partecipationis, non potendo attribuire alla commissione di gara alcun tipo di discrezionalità in tal senso, a tutela della par condicio tra i concorrenti.

(Il Sole 24 ORE - Guida agli Enti Locali , 9 ottobre 2010, n. 40)

Un antidoto ai comportamenti collusivi Il caso sottoposto all'attenzione dei giudici di Palazzo Spada, e da cui deriva la sentenza n. 4624/2010, si riferiva a un'impresa partecipante a una gara d'appalto che aveva presentato un'offerta economica con l'indicazione di un valore complessivo pari a zero negli importi delle

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tariffe di servizi da praticare all'utenza. Scelta, questa, che aveva comportato l'attribuzione del massimo punteggio all'impresa stessa e del punteggio zero alle offerte economiche di tutte le altre concorrenti. A seguito della verifica di congruità da parte della Commissione di gara, la concorrente interessata veniva esclusa dalla procedura e ricorreva in giudizio ritenendo che l'offerta presentata fosse, invece, ammissibile in considerazione delle caratteristiche del servizio svolto; precisava, in aggiunta, che l'esclusione dalla procedura fosse possibile soltanto per la mancata presentazione di un tariffario a cui non equivaleva, invece, l'attribuzione del valore zero agli importi indicati nel medesimo. QUADRO NORMATIVO L'articolo 81 del Dlgs 163/2006 (Codice dei Contratti) disciplina i criteri per la scelta della migliore offerta nell'ambito di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture. Il primo comma prescrive che la scelta dell'offerta migliore venga alternativamente realizzata seguendo il criterio del prezzo più basso o dell'offerta economicamente più vantaggiosa, e rimette alle Stazioni Appaltanti l'individuazione, tra i due criteri indicati, di «quello più adeguato in relazione alle caratteristiche dell'oggetto del contratto». In particolare, il criterio di aggiudicazione dell'offerta economicamente più vantaggiosa è basato su una pluralità di elementi di valutazione, di idoneità tecnica ed economica, che si rapportano alla natura e all'importo delle prestazioni oggetto di gara, per cui la scelta dell'offerta si identifica in una valutazione comparativa di ulteriori elementi della prestazione. L'articolo 83 del Dlgs 163/2006 fornisce, in materia, un'elencazione semplificativa dei metodi da adottare al fine della scelta dell'offerta economicamente più vantaggiosa, imponendo alle Stazioni Appaltanti, come previsto al comma 4, di stabilire, fin dal momento della formulazione della documentazione di gara, i criteri di valutazione dell'offerta e, se necessario, la precisazione di sub-criteri nonché la ponderazione degli stessi, consistente nel valore e nella rilevanza di ciascuno. La scelta operata dal Legislatore, della predeterminazione nel bando di gara dei criteri presi in considerazione ai fini dell'aggiudicazione, sottolinea l'esigenza che i concorrenti siano posti in condizione di conoscere la loro esistenza e portata, in conformità e nel rispetto del principio di trasparenza. Il comma 5, in particolare, dispone che le Stazioni Appaltanti, ai fini dell'attribuzione del punteggio o dell'attuazione della ponderazione, adottino metodologie in grado di individuare con un unico parametro numerico finale l'offerta più vantaggiosa; tale scelta discrezionale rimane, in ogni caso, censurabile nelle ipotesi in cui risulti irrazionale o modifichi la funzione propria dei criteri di valutazione rispetto all'oggetto e alle finalità dell'appalto. Quanto all'orientamento giurisprudenziale sul tema in commento, l'Autorità per la Vigilanza sui contratti pubblici, nella determinazione n. 5 dell'8 ottobre 2008, ha fornito alcuni indirizzi di carattere operativo. In particolare, ha precisato come la scelta del criterio di aggiudicazione da adottare appartenga alla discrezionalità tecnica delle Stazioni Appaltanti, chiamate a valutarne l'opportunità in riferimento alle caratteristiche specifiche del singolo contratto, nel rispetto dei principi di trasparenza, non discriminazione e parità di trattamento e assicurando al contempo una valutazione delle offerte in condizioni di effettiva concorrenza. Ad avviso dell'Autorità, il criterio del prezzo più basso è adottabile ogni qual volta l'oggetto del contratto non sia caratterizzato da un rilevante valore tecnologico o quando si svolga secondo procedure standardizzate. Al contrario, il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa è attuabile quando le caratteristiche oggettive dell'appalto rendano rilevanti, ai fini dell'aggiudicazione, aspetti qualitativi come l'organizzazione del lavoro, le caratteristiche tecniche dei materiali oppure la metodologia utilizzata. Nella valutazione delle offerte l'Autorità ha inoltre ribadito come occorra tutelare il principio del favor partecipationis coincidente con l'interesse della Stazione Appaltante alla massima partecipazione dei concorrenti per l'individuazione dell'offerta più vantaggiosa, «evitando illegittime esclusioni dalla gara non espressamente previste dal bando» (Avcp, parere n. 37 del 25 febbraio 2010). Proprio in tema di valutazione di offerte e precisamente in riferimento agli importi economici indicati nelle stesse, il Consiglio di Stato si era già espresso, con la sentenza n. 6651/2006, affermando l'ammissibilità di proposte economiche che presentino specifiche voci di costo pari a zero in quanto l'indicazione da parte delle imprese concorrenti, del valore zero nelle specifiche voci di costo a base d'asta, in assenza di contrarie previsioni contenute nella lex specialis, costituisce pur sempre l'espressione di una offerta economica

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FATTORE DI RISCHIO In coerenza con tale pronuncia, ancora i giudici di Palazzo Spada, nella sentenza n. 5583/2009, avevano sottolineato - nel caso in cui il bando di gara non precluda la possibilità che per singole voci venga proposto un prezzo pari a zero, come sia senz'altro ammissibile che un'impresa concorrente decida di non attribuire nessun valore economico a un determinato servizio. Non solo: per i giudici, risulta anche «ragionevole, a fronte di voci di prezzo pari a zero, applicare comunque la formula matematica, sostituendo il prezzo zero con un prezzo infinitesimale» che permetta «l'operatività della formula, senza snaturare l'offerta più vantaggiosa». Con la pronuncia n. 4624/2010, il Consiglio di Stato, ha sottolineato come legittimi l'esclusione un'offerta che sia in tutte le sue componenti pari a zero. Ciò in quanto «la presentazione di offerte pari a 0 costituisce elemento, idoneo in concreto a influenzare gli esiti della gara e a rappresentare un fattore di rischio per comportamenti collusivi (in alcun modo riscontrati nel caso di specie, ma in astratto ipotizzabili), consistenti nella presentazione di un'offerta pari a zero e di un'altra offerta non conveniente sotto il profilo economico, ma che può beneficiare dell'azzeramento del punteggio (o comunque della riduzione del differenziale, se corretta l'offerta 0) rispetto ad offerte più convenienti». In tale specifico caso, dunque, si può assistere a un'inapplicabilità della formula matematica ai fini dell'attribuzione del punteggio all'offerta economica e a un consequenziale azzeramento del punteggio di tutte le altre concorrenti, seppur «in presenza di differenze di tariffe praticate agli utenti». In particolare, quando la lex specialis richieda esplicitamente la presentazione di tariffari che riportino gli importi dei servizi praticati all'utenza, è inammissibile la produzione di un documento che sia privo di qualsiasi tariffa o che presenti tutte le tariffe pari a zero. In tali casi, infatti, l'offerta così formulata è ben paragonabile alla mancata presentazione della stessa legittimamente sanzionabile con l'esclusione, in quanto la proposta economica dovrebbe costituire un elemento atto a valutare in concreto la «serietà e congruità dell'offerta stessa e la sua incidenza economica sugli utenti». Allo stesso modo, e con ciò in parte discostandosi dall'orientamento poc'anzi richiamato del Consiglio di Stato, la Sezione ha ritenuto inammissibile anche la proposta economica che presenti soltanto singole voci di costo pari a zero non condividendo, in tale ultima ipotesi, la possibilità che sia la Commissione di gara a operare una assimilazione del valore pari a zero a una cifra sia pure infinitesimale. Al riguardo, la Sezione ha infatti evidenziato l'illegittimità di una correzione dell'offerta che presenti tale anomalia da parte della Commissione attraverso la sostituzione del prezzo indicato pari a zero con un valore, come detto, infinitesimale, per consentire l'applicazione della formula matematica e la conseguente attribuzione dei relativi punteggi ai fini dell'individuazione dell'impresa aggiudicataria. Ciò in virtù del ragionamento secondo il quale quando le offerte «integrano clausole di esclusione o si pongono in palese contrasto con le regole della gara, la Commissione non ha margini di discrezionalità e soprattutto non ha poteri officiosi per correggere le offerte, ma deve procedere alla esclusione». CONCLUSIONI Essenziale ai fini del giudizio di verifica dell'anomalia dell'offerta risulta la verifica finale dell'affidabilità o non affidabilità dell'offerta nel suo complesso, accertamento che deve risultare scevro da formalismi e singole inesattezze dovendo, al contrario, mirare solo all'accertamento dell'attendibilità dell'offerta nel suo complesso in virtù della corretta esecuzione dell'appalto. In tal senso, tuttavia, e ciò a prescindere dalle modalità di valutazione in relazione ai differenti criteri adottati dal bando di gara per l'individuazione dell'offerta migliore - prezzo più basso ovvero offerta economicamente più vantaggiosa - mentre la valutazione degli elementi qualitativi dell'offerta ammette che la Stazione Appaltante abbia dei margini di apprezzamento, la valutazione del prezzo dell'offerta stessa, «risulta ancorata ai principi di proporzionalità o progressività». Conseguentemente, al valore complessivamente più basso dovrà necessariamente corrispondere un punteggio più alto. Alla luce delle considerazioni esposte, pertanto, tale meccanismo, come evidenziato nella sentenza n. 4624/2010 del Consiglio di Stato, non può risultare inquinato da elementi, come la presentazione di un'offerta con complessivo valore pari a zero, dunque tale in tutte le sue singole componenti, che determinerebbero insanabili anomalie. Così come è inammissibile un intervento della Commissione di gara finalizzato ad assimilare sia pure a un valore infinitesimale, il valore pari a zero anche soltanto di alcune voci che compongono l'offerta economica, al solo fine di poter consentire l'applicazione della formula matematica di valutazione richiamata nella lex specialis, non potendo riconoscere alla Commissione, in tale peculiare

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fattispecie, alcun tipo di discrezionalità né specifici poteri di correzione dell'offerte presentate. (Cusmai Raffaele, Il Sole 24 ORE Guida agli Enti Locali, 9 ottobre 2010, n. 40)

Edilizia e urbanistica

TRIBUNALE DI NAPOLI - SEZIONE II CIVILE - SENTENZA 18 GIUGNO 2010 n. 7109 RESPONSABILITÀ CIVILE - Infortunio alunno in orario scolastico - Obblighi di protezione dell’istituto - Condizioni - Mancanza di prova su verificazione evento - Accidentalità dell’infortunio - Risarcimento danno - Domanda - Rigetto. (Cc, articolo 2043) Posta la natura contrattuale del rapporto tra istituto scolastico e alunno, non è sufficiente che l’infortunio sia avvenuto in esecuzione della disciplina scolastica per farne derivare responsabilità a carico dell’istituto. L’inadempimento della prestazione (o l’inesatto adempimento) non coincide né con l’evento, né con il danno e va pur sempre provato da parte di chi lo afferma, spettando poi al debitore la prova liberatoria che escluda che esso sia riconducibile a sua colpa. Escluso che il luogo ove avvenne l’incidente (seppure fuori dalle pertinenze dell’istituto) sia di per se rivelatore di un inadempimento degli obblighi di protezione, la mancanza di comprovati elementi circa le modalità dell’accadimento, tali da indurre elementi di responsabilità per il personale scolastico, devono far concludere per l’accidentalità dell’infortunio, con conseguente rigetto della domanda di risarcimento. (Il Sole 24 ORE Guida al diritto, n. 40 del 9 ottobre 2010)

CONSIGLIO DI STATO - SEZIONE VI - DECISIONE 22 GIUGNO-24 SETTEMBRE 2010 N. 7129

EDILIZIA E URBANISTICA - Atti sanzionatori in materia edilizia - Ordine di demolizione di costruzione abusiva – Comunicazione di avvio del procedimento - Necessità - Esclusione. In ragione del contenuto rigidamente vincolato che li caratterizza, gli atti sanzionatori in materia edilizia, tra cui l’ordine di demolizione di costruzione abusiva, non devono essere preceduti dalla comunicazione d’avvio del relativo procedimento. Edilizia e urbanistica - Interventi edilizi subordinati a denuncia di inizio d’attività (Dia) - «Area di protezione integrale» - Conseguenti limitazioni. Laddove una determinata area sia qualificata, dal piano territoriale paesistico, come «area di protezione integrale», l’operatività del regime della Dia risulta conseguentemente limitata in ragione degli interventi edilizi che, nel caso specifico, il piano territoriale consente di realizzare. Edilizia e urbanistica - Interventi edilizi di «nuova costruzione», ai sensi dell’articolo 3, comma 1, lettera e), del Dpr n. 380 del 2001 - Regime della Dia - Non applicabilità - Fattispecie. (Dpr 380/2001, articolo 3, comma 1, lettera e) Qualora gli interventi edilizi siano ascrivibili alla categoria degli «interventi di nuova costruzione» (di cui all’articolo 3, comma 1, lettera e), del Dpr n. 380 del 2001), come nel caso di manufatti interrati o di interventi di urbanizzazione primaria e secondaria realizzati da soggetti diversi dal comune, essi non possono rientrare nella categoria residuale degli interventi edilizi realizzabili in regime di Dia. (Il Sole 24 ORE - Guida al diritto n. 41, 16 ottobre 2010)

TAR LAZIO, Roma, Sez. II bis – 18 ottobre 2010, n. 32861 DIRITTO URBANISTICO – Attuazione del PRG – Necessità dello strumento esecutivo – Lotto intercluso – Deroga. La necessaria attuazione del PRG, se prevista dallo stesso, mediante un Piano di livello inferiore determina quali corollari immediati che: - il rilascio del titolo edilizio può essere legittimamente disposto solo dopo che lo strumento esecutivo sia divenuto perfetto ed efficace e si sia concluso il procedimento (cfr. Cons. Stato, sez. V, 1° aprile 1997, n. 300); - la inconfigurabilità di equipollenti al piano attuativo, sulla base di indagini tecniche di possibili edificazioni, le quali vanificherebbero

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la funzione del Piano, che se ritardata può essere stimolata dall’interessato con gli strumenti consentiti dal sistema (Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 30 dicembre 2008, n. 6625). Tuttavia, a fronte di tali principi e corollari, la prassi giurisprudenziale ha previsto una deroga eccezionale in presenza della situazione di fatto costituita dal “lotto intercluso” (cfr. da ultimo, Cons. Stato, sez. IV, 10 giugno 2010, n. 3699). TAR LAZIO, Roma, Sez. II bis – 18 ottobre 2010, n. 32861 DIRITTO URBANISTICO – Lotto intercluso – Nozione. La fattispecie del “lotto intercluso”si realizza quando l’area edificabile di proprietà del richiedente si trovi in una zona interessata da costruzioni, sia dotata di opere di urbanizzazione primaria e secondaria e sia valorizzata da un progetto conforme agli strumenti urbanistici: elementi questi che consentono l’intervento costruttivo diretto, attesa la sussistenza di tale situazione di fatto del fondo non potendo la inedificabilità dell’area essere considerata sine die per l’assenza di un piano di dettaglio, la cui attuazione risulta necessaria in presenza di zone parzialmente urbanizzate nelle quali detto strumento urbanistico può conseguire l’effetto di correggere e compensare il disordine edificativo in atto (cfr. Cass. pen, sez. III, 19 settembre 2008, n. 35880). (Massime a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

CONSIGLIO DI STATO SEZIONE 4, SENTENZA DEL 6 OTTOBRE 2010, n. 7344 CONCESSIONE EDILIZIA - per la ristrutturazione di un immobile - subordinazione del provvedimento concessorio all'impegno del ricorrente alla dismissione di un'area di sua proprietà a titolo gratuito - legittimità della clausola che sia espressamente accettata dal proprietario con atto di impegno unilaterale. E' infondato l'appello proposto al fine di veder riformata la sentenza di prime cure con la quale il Tar, statuendo in merito all'impugnazione promossa avverso la nota con cui il comune abbia subordinato il rilascio della concessione edilizia per la ristrutturazione dell'immobile del ricorrente, all'assunzione dell'impegno dello stesso di dismettere a titolo gratuito un'area privata per consentire il prolungamento di un via pubblica, nei limiti in cui la ricorrente sostenga l'inconfigurabilità di una pattuizione bilaterale o di una promessa unilaterale relativa ad un obbligo di c.d. "pagamento traslativo" oltre che una sorta di vera e propria usurpazione della sua proprietà a fronte del rilascio della concessione edilizia richiesta. In merito all'asserita illecità della condizione apposta dalla p.a., non sono ravvisabili né gli estremi di cui all'art. 1435 c.c. né l'asserita violazione dell'art. 1987 c.c. in tema di efficacia della promessa unilaterale della prestazione in presenza della normativa regionale, applicabile al caso di specie, che consente espressamente l'apposizione di condizioni alle concessioni edilizie purché accettate dal proprietario con atto di impegno unilaterale. (Massima a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it) Nota Legittima la clausola che «vincola» il via libera in edilizia IL PRINCIPIO - Si possono apporre condizioni al rilascio purché esse trovino fondamento in leggi o regolamenti È legittimo apporre condizioni al rilascio della concessione edilizia, purché ciò trovi fondamento in una norma di legge o regolamento. A dirlo è la sentenza 7344/2010 del Consiglio di stato. La vicenda vede coinvolta una proprietaria di un appezzamento di terreno, in Piemonte, sul quale si trova un edificio destinato a civile abitazione. Ricevuta l'istanza per il rilascio della concessione edilizia per la ristrutturazione dell'immobile, il comune dava il via libera all'intervento subordinando il rilascio del titolo edilizio all'assunzione, da parte della proprietaria, dell'impegno unilaterale a dismettere a titolo gratuito un'area destinata al prolungamento di una via cittadina. La ricorrente non onorava l'impegno assunto e il comune la diffidava a provvedervi nel termine di 30 giorni, riservandosi, in caso di inottemperanza, di adottare i conseguenti provvedimenti sanzionatori. A quel punto, l'interessata impugnava innanzi al Tar l'atto comunale chiedendo la nullità della condizione apposta alla concessione edilizia. Il giudice di prima istanza ha accolto il ricorso in merito all'ingiunzione per il rilascio del l'area, non essendo stato approvato il progetto di prolungamento della via urbana nei modi previsti dall'atto di vincolo, ma ha confermato la validità della clausola apposta.

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La vicenda giunge così in Consiglio di stato. Il ricorso si fonda innanzitutto sull'inesistenza di un preciso fondamento normativo su cui basare la validità della clausola, idoneo a sostenere ragioni di interesse pubblico. In sostanza – si legge nel ricorso – si sarebbe concretizzata una usurpazione della proprietà. I giudici di Palazzo Spada respingono il ricorso ritenendo legittima la clausola condizionante la concessione edilizia quale modalità di attuazione del titolo abilitativo. Infatti – si legge nella motivazione – la promessa unilaterale, ai sensi dell'articolo 1987 del Codice civile, è valida e legittima, in quanto prevista dalla legge regionale del Piemonte 56/1977. In particolare, l'articolo 49, quarto comma, ammette che si pongano condizioni alle concessioni, purché accettate dal proprietario con atto di impegno unilaterale. Inoltre, la dismissione gratuita è prevista dal regolamento comunale di attuazione delle opere di urbanizzazione. Previsione regolamentare – conclude la sentenza – in linea sia con l'articolo 11 della legge 241/90 in tema di accordi integrativi sia con la natura di accertamento costitutivo a carattere non negoziale del titolo edilizio. La sentenza si pone quale nuovo tassello nel mosaico della validità delle clausole alle concessioni edilizie. Infatti, di recente si è pronunciato il Tar del Lazio con la sentenza 5655/2010. Il giudice territoriale afferma che l'apposizione di una o più condizioni al rilascio di un titolo edilizio può ritenersi ammessa solo quando si vada a incidere su aspetti legati alla realizzazione dell'intervento costruttivo, da un punto di vista sia tecnico che strutturale, e ciò trovi un fondamento diretto o indiretto in una norma di legge o regolamento. (Stefano Rossi Il Sole 24 ORE Norme e tributi, 25 ottobre 2010)

CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 4/10/2010 (Ud. 22.5.2010), Sentenza n. 35546

DIRITTO URBANISTICO - Opera abusiva - Demolizione con ripristino dell'assetto territoriale e/o mantenimento in essere per prevalenti interessi pubblici - Art. 31 del T.U.E. n. 380/2001 (e già l'art. 7 L. n. 47/1985). Ai sensi dell’art. 31 del T.U.E., D.P.R. n. 380/2001, regge un criterio generale di preminenza dell'interesse al ripristino dell'assetto territoriale violato, derogabile soltanto in presenza di fondate ragioni, con riferimento alle quali la deliberazione consiliare di mantenimento dell'opera abusiva deve essere motivata. Mentre, infatti, l'art. 15 della legge n. 10/1977 prevedeva il ricorso alla demolizione solo qualora l'opera non fosse idonea ad essere utilizzata per fini pubblici, già con l'art. 7 della legge n. 47/1985 è stato previsto che sia disposta sempre la demolizione "salvo che con deliberazione consiliare non si dichiari l'esistenza di prevalenti interessi pubblici". (Dich. inamm. il ricorso avverso sentenza n. 1739/2008 CORTE APPELLO di ROMA, del 22/01/2009) DIRITTO URBANISTICO – Abusivismo - Ordine di demolizione impartito dal giudice penale – Funzione autonoma ripristinatoria - Art. 31, c. 9, T.U.E. n. 380/2001 - Art. 44, lett. b), D.P.R. n. 380/2001. L'ordine di demolizione impartito dal giudice penale ai sensi dell'art. 31, comma 9, del T.U.E. n. 380/2001, assolvendo ad un'autonoma funzione ripristinatoria del bene giuridico leso, ha natura di provvedimento accessorio rispetto alla condanna principale e costituisce esplicitazione di un potere sanzionatorio, non residuale o sostitutivo ma svincolato rispetto a quelli dell'autorità amministrativa, attribuito dalla legge al giudice penale (Cass., Sez. Unite, 24.7.1996, n. 15, ric. PM in proc. Monterisi). Sicché, deve ritenersi definitivamente superata, in materia urbanistica, "la visione di un giudice supplente dell'Amministrazione pubblica". Lo stesso territorio costituisce l'oggetto della tutela posta dalla normativa penale urbanistica ed a tale tutela sostanziale si riconnette l'attribuzione al giudice del potere di disporre provvedimenti ripristinatori specifici qualora perduri la situazione offensiva dell'interesse protetto dalla norma penale. DIRITTO URBANISTICO - Acquisizione gratuita dell'opera abusiva al patrimonio disponibile del Comune - Demolizione a spese del responsabile dell'abuso - Ordinanza del dirigente o responsabile dell'ufficio tecnico comunale – Presupposti - Art. 31, 3° e 5° c., D.P.R. n. 380/2001. L'acquisizione gratuita dell'opera abusiva al patrimonio disponibile del Comune, ai sensi dell'art. 31, 3° comma, del D.P.R. n. 380/2001, non è incompatibile con l'ordine di demolizione emesso dal giudice penale. Infatti, nella prima parte del comma 5 dello stesso articolo, si stabilisce che l'opera

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acquisita al patrimonio comunale deve essere demolita con ordinanza del dirigente o responsabile dell'ufficio tecnico comunale, a spese del responsabile dell'abuso. Si avrebbe incompatibilità soltanto se, con deliberazione consiliare, a norma della seconda parte dello stesso comma 5, si fosse statuito di non dovere demolire l'opera acquisita. Il destinatario di tale ordine non potrà ottemperarvi soltanto se il Consiglio comunale abbia già ravvisato (ovvero sia sul punto di deliberare) l'esistenza di prevalenti interessi pubblici al mantenimento delle opere abusive. Invece ove il Consiglio comunale non abbia deliberato il mantenimento dell'opera, il procedimento sanzionatorio amministrativo (per le opere realizzate in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali) ha come sbocco unico ed obbligato la demolizione a spese del responsabile dell'abuso. (Massime a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

TAR SICILIA, Catania, Sez. I – 12 ottobre 2010, n. 4113 DIRITTO URBANISTICO – Edificazione – Indici di densità – Densità territoriale e densità fondiaria – Nozione. L’edificazione di aree è condizionata quantitativamente, nello strumento urbanistico, dagli indici di densità. Tra questi, la densità territoriale indica la quantità massima di volumi realizzabili in una zona territoriale omogenea, ovvero un comprensorio di terreno caratterizzato da una medesima qualità urbanistica, mentre la densità fondiaria indica il volume massimo realizzabile su uno specifico lotto, in funzione della prima. DIRITTO URBANISTICO – Cessione di cubatura – Contratto di trasferimento – Conseguente inedificabilità – Qualità obiettiva del fondo – Opponibilità ai terzi – Certificato di destinazione urbanistica – Art. 30, c. 2 d.P.R. n. 380/2001. La cubatura che un terreno esprime o possiede può essere alienata o ceduta indipendentemente dalla alienazione o dalla cessione del terreno medesimo, a determinate condizioni. Questo perché la cubatura (ossia la possibilità di edificare un determinato volume edilizio) pur se intrinsecamente collegata al terreno che la esprime, costituisce una utilità separata da questo, autonomamente valutabile e con una propria commerciabilità e patrimonialità. La cubatura espressa dal terreno può dunque essere oggetto di un contratto di trasferimento con il quale il proprietario di un’area trasferisce a titolo oneroso parte delle sue possibilità edificatorie ad altro soggetto allo scopo di consentire a quest’ultimo di realizzare, nell’area di sua proprietà, una costruzione di maggiore cubatura, nel rispetto dell’indice di densità fondiaria. L’area dalla quale la cubatura è stata sottratta diviene, per quella parte di cubatura alienata, inedificabile: e tale inedificabilità è una qualità obiettiva del fondo, che inerisce alla proprietà immobiliare e si trasferisce al trasferimento di questa, opponibile, dunque, anche ai terzi, sebbene la sua sussistenza non sia evincibile secondo il sistema della trascrizione immobiliare, non richiesta per la cessione in sé (fermo restando che, laddove necessaria per il negozio in seno al quale la cessione è pattuita, anche la relativa cessione risulterà dalla trascrizione). Tuttavia, l’esistenza dell’asservimento deve risultare dal certificato di destinazione urbanistica dell’area, ex art. art. 30, comma 2, dpr 6 giugno 2001 n. 380. DIRITTO URBANISTICO – Cessione di cubatura – Presupposti di legittimità – Omogeneità del’area territoriale – Contiguità territoriale – Condizione giuridica. La legittimità della cessione di cubatura, ai fini dello sfruttamento della cubatura ceduta in un progetto edilizio da parte dell’acquirente, è legata a due condizioni e cioè la omogeneità dell’area territoriale entro la quale si trovano i due terreni (cedente la cubatura e ricevente la cubatura oggetto del contratto) e la contiguità dei due fondi. Il primo requisito è volto ad assicurare che non si stravolgano le previsioni di piano, che sono legate alla rilevazione della volumetria esistente, in modo da determinare, secondo gli standard del DM 1444/68, a quale tipologia di comparto edificabile appartiene l’area; se fosse ammessa la cessione di cubatura tra fondi aventi qualificazione urbanistica di ZTO differenti si otterrebbe che l’indice di densità territoriale potrebbe essere alterato o superato nei limiti massimi. Il secondo requisito non è inteso dalla giurisprudenza come una condizione fisica (ossia contiguità territoriale) ma giuridica, e viene a mancare quando tra i fondi sussistano una o più aree aventi destinazioni urbanistiche incompatibili con l’edificazione. In altri termini, è necessario che le stesse aree siano se non contigue almeno significativamente

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vicine, non potendosi accomunare sotto un regime urbanistico unitario aree ricadenti in zone urbanistiche non omogenee (TAR Campania, Napoli, VIII, 15 maggio 2008, n. 4549; Consiglio Stato, sez. V, 30 ottobre 2003, n. 6734). (Massime a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

TAR CAMPANIA, Napoli, Sez. II – 25 ottobre 2010, n. 21381 DIRITTO URBANISTICO – Abusi – Demolizione – Pregiudizio per le parti realizzate legittimamente – Possibilità di non procedere alla rimozione – Limiti. La possibilità di non procedere alla rimozione delle parti abusive, quando ciò sia pregiudizievole per quelle legittime, costituisce solo un'eventualità della fase esecutiva, subordinato alla circostanza dell'impossibilità del ripristino dello stato di luoghi (cfr. Consiglio Stato, sez. V, 21 maggio 1999, n. 587). Senza contare che siffatta evenienza resta ammissibile nelle sole ipotesi di cui agli artt. 33 e 34 del d.p.r. 380/2001 (rispettivamente di ristrutturazione abusiva e di difformità parziali), mentre non è predicabile rispetto ai più gravi abusi sanzionati dall’art. 31 del d.p.r. 380/2001. (Massima a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 7/10/2010 (Cc. 14/07/2010), Sentenza n. 35968

DIRITTO URBANISTICO - Interventi di nuova costruzione - Installazione di manufatti leggeri, prefabbricati - Permesso di costruire – Necessità – Presupposti - Artt. 3, c. 1 - lett. e.5), 10 e 30, D.P.R. n. 380/2001 - Fattispecie: lottizzazione abusiva e realizzazione di strutture turistico-ricettive. L'art. 3, comma 1 - lett. e.5), del D.P.R. n. 380/2001 ricomprende fra gli "interventi di nuova costruzione" - come tali subordinati, ai sensi del successivo art. 10, al rilascio del permesso di costruire - "l'installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee". DIRITTO URBANISTICO - Reato di lottizzazione abusiva - Frazionamento della proprietà - Atti negoziali con previsioni pattizie - Reato a carattere permanente e progressivo nell'evento - Concorso nel reato – Prescrizione – Computo. Si configura il reato di lottizzazione abusiva anche quando l'attività posta in essere sia successiva agli atti di frazionamento o ad opere già eseguite, perché tali attività iniziali, pur integrando la figura del reato, non definiscono l'iter criminoso che si perpetua negli interventi che incidono sull'assetto urbanistico. Tenuto conto che il reato in questione è, per un verso, un reato a carattere permanente e progressivo e per altro verso a condotta libera, si deve considerare in primo luogo che non vi è alcuna coincidenza tra il momento in cui la condotta assume rilevanza penale e il momento di cessazione del reato, in quanto anche la condotta successiva alla commissione del reato dà luogo ad una situazione antigiuridica di pari efficacia criminosa. In secondo luogo, se il reato di lottizzazione abusiva si realizza anche mediante atti negoziali diretti al frazionamento della proprietà, con previsioni pattizie rivelatrici dell'attentato al potere programmatorio dell'autorità comunale, ciò non significa che l'azione criminosa si esaurisca in questo tipo di condotta perché l'esecuzione di opere di urbanizzazione primaria e secondaria ulteriormente compromettono le scelte di destinazione e di uso del territorio riservate alla competenza pubblica. (Cass., Sez. Unite, 24/04/1992, Fogliari). Tutti i concorrenti e coloro che hanno cooperato rispondono della lottizzazione abusiva nella sua interezza e, conseguentemente, la prescrizione inizia a decorrere, per tutti, dal compimento dell'ultimo atto integrante la condotta illecita, che può consistere nella stipulazione di atti di trasferimento, nell'esecuzione di opere di urbanizzazione, nell'ultimazione dei manufatti che compongono l'insediamento.

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DIRITTO URBANISTICO – Lottizzazione abusiva negoziale - Frazionamento di un terreno - Trasferimento con quote societarie – C.d. suddivisione fattuale - Mancanza di atti formali di vendita dei lotti – Configurabilità – Presupposti - Art. 30, 1° c., T.U.E. n. 380/2001 - Art. 18, 1° c., L. n. 47/1985. Il trasferimento di un terreno, sulla base di quote societarie che conferiscono sostanzialmente al suolo un assetto proprietario frazionato in lotti, è idoneo ad integrare il reato di lottizzazione abusiva c.d. "negoziale", tutte le volte che da elementi indiziari - indicati con elencazione non tassativa dall'art. 18, 1° comma, della legge n. 47/1985 ed attualmente dall'art. 30, 1° comma, del T.U. n. 380/2001 - risulti in modo non equivoco la destinazione dei lotti a scopo edificatorio. Il frazionamento di un terreno, può realizzarsi con qualsiasi forma di suddivisione fattuale dello stesso, dovendosi ritenere che il termine “frazionamento" - già nell'art. 18, 1° comma, della legge n. 47/1985 ed attualmente nell'art. 30, 1° comma, del T.U. n. 380/2001 - sia stato utilizzato dal legislatore in modo atecnico, con riferimento a qualsiasi attività giuridica che abbia per effetto la suddivisione in lotti di una più ampia estensione territoriale, comunque predisposta od attuata ed anche se avvenuta in forma non catastale, attribuendone la disponibilità ad altri al fine di realizzare una non consentita trasformazione urbanistica o edilizia del territorio (Cass., Sez. III: 26.10,2007, Casile; 29.2.2000, n. 3668, Pennelli). Sicché, l'attività di frazionamento abusivo di un terreno può realizzarsi anche in mancanza di atti formali di vendita dei lotti, in presenza di elementi indiziari che consentono tuttavia di riconoscere l'esistenza di quegli "atti giuridici equivalenti alla vendita" idonei a configurare anch'essi una lottizzazione abusiva. DIRITTO URBANISTICO – Reato di lottizzazione abusiva - Concorso di persone - Necessità di un accordo preventivo – Esclusione. Il reato di lottizzazione abusiva nella molteplicità di forme che esso può assumere in concreto, può essere posto in essere da una pluralità di soggetti, i quali, in base ai principi che regolano il concorso di persone nel reato, possono partecipare alla commissione del fatto con condotte anche eterogenee e diverse da quella strettamente costruttiva, purché ciascuno di essi apporti un contributo causale alla verificazione dell'illecito (sia pure svolgendo ruoli diversi ovvero intervenendo in fasi circoscritte della condotta illecita complessiva) e senza che vi sia alcuna necessità di un accordo preventivo [Cass., Sez. 111 21.12.2009, n. 48924, Tortora ed altri; Cass. 8,10.2009, n. 39078, Apponi ed altri; Cass. 22.9.2009, n. 36844, Contò; Cass. 29.4.2009, n. 17865, P.M. in proc. Quarta ed altri]. (Massime a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

CONSIGLIO DI STATO - SEZIONE VI - DECISIONE 22 GIUGNO-24 SETTEMBRE 2010 n. 7129

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - atti pubblici - verbali provenienti da pubblici ufficiali - Efficacia probatoria e limiti - querela di falso (art. 2700 c.c.) - apprezzamenti, valutazioni e deduzioni del pubblico ufficiale - esclusione della c.d. fede privilegiata - confutazione - fattispecie: verbali della polizia municipale

In materia di atti pubblici, se per un verso è vero che i verbali della polizia municipale, come tutti i verbali provenienti da pubblici ufficiali, hanno efficacia di piena prova, fino a querela di falso (art. 2700 c.c.) solo relativamente alla provenienza dell'atto dal pubblico ufficiale che lo ha formato, alle dichiarazioni delle parti e agli altri fatti che il pubblico ufficiale attesti avvenuti in sua presenza o da lui compiuti (mentre tale fede privilegiata non si estende né agli apprezzamenti del pubblico ufficiale ovvero alle sue ulteriori valutazioni e deduzioni); d'altra parte è pur vero che le valutazioni e deduzioni in tal modo svolte dai pubblici ufficiali possono essere confutate nella loro consistenza solo attraverso l'allegazione di circostanziate deduzioni in contrario che, nel caso di specie, non sono state in alcun modo fornite, se non attraverso l'indimostrata affermazione della destinazione dei manufatti in parola al superamento delle barriere architettoniche.

(Massima a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

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Nota

Su un'area soggetta a protezione integrale la Dia è riferita ai soli interventi consentiti Con la decisione in epigrafe il Consiglio di Stato ha l'occasione per fare il punto su alcune questioni centrali nella materia dell'edilizia, già oggetto di passati arresti giurisprudenziali che trovano oggi ulteriore conferma nell'orientamento dei giudici di Palazzo Spada. In particolare, la decisione ha occasione di ribadire la natura vincolata degli atti sanzionatori in materia edilizia (come, nella fattispecie, l'ordine di demolizione di costruzione abusiva), nonché di soffermarsi su alcuni aspetti del generale regime di dichiarazione di inizio d'attività (Dia) evidenziandone alcuni importanti limiti applicativi. Ordine di demolizione e comunicazione di avvio del procedimento - L'ordine di demolizione di manufatti abusivi costituisce - secondo quanto afferma la decisione in epigrafe - una sanzione edilizia caratterizzata da una natura rigidamente vincolata, essendo essa dipendente dalla mera difformità delle opere realizzate rispetto agli strumenti edilizi vigenti. La conseguenza è che l'ordine di demolizione non necessita delle ordinarie garanzie partecipative previste per il privato dalla legge n. 241 del 1990, prima tra tutte la comunicazione di avvio del procedimento. Si tratta di un principio ormai consolidato nella giurisprudenza amministrativa, ultimamente ribadito anche nella prospettiva dell'articolo 21-octies della legge n. 241 del 1990: la mancata comunicazione di avvio del procedimento non può condurre all'annullamento dell'atto, allorché risulti palese che il contenuto dispositivo del provvedimento (ossia, l'ordine di demolire) non poteva essere diverso da quello in concreto adottato (così, da ultimo, Consiglio di Stato, sezione IV, n. 3029 del 2009, in «Rivista giuridica dell'edilizia», 2009, 1562). Nella stessa prospettiva, in passato il Consiglio di Stato ha ritenuto non illegittimo un provvedimento di demolizione carente in punto di motivazione sull'interesse pubblico perseguito, proprio in considerazione della doverosità delle misure sanzionatorie rispetto agli strumenti urbanistici vigenti (Consigli di Stato, sezione V, n. 4530 del 2008, in «Rivista giuridica dell'edilizia», 2008, 1461). Va tuttavia qui ricordato un orientamento giurisprudenziale, formatosi anteriormente all'introduzione dell'articolo 21-octies, in base al quale l'utilità della (omessa) comunicazione di avvio del procedimento deve formare oggetto di specifico accertamento giurisdizionale, ai fini di un eventuale annullamento dell'ordine di demolizione. In tal senso il Consiglio di Stato ha avuto occasione di affermare, in una pronuncia (Consiglio di Stato, sezione V, n. 1095 del 2003, in «Il Foro amministrativo, Consiglio di Stato 2003, 619, solo massima) peraltro citata anche nella decisione qui in epigrafe, che il carattere vincolato di un'ingiunzione di demolizione non è tale, di per sé, da rendere sempre superflua la comunicazione di avvio del procedimento. Sarebbe comunque necessaria, infatti, un'indagine in concreto, da condurre in giudizio, per appurare se, nel caso specifico, la comunicazione richiesta dall'articolo 7 della legge n. 241 del 1990 fosse o meno superflua. Nel caso deciso nel 2003, peraltro, quella superfluità fu esclusa (con conseguente declaratoria di illegittimità dell'ingiunzione di demolizione) in considerazione del fatto che l'allora ricorrente, negli anni precedenti, si era visto rilasciare alcune autorizzazioni edilizie afferenti al medesimo complesso oggetto dell'ordine di demolizione, motivo per il quale quella fattispecie richiedeva una più completa disamina e una maggiore attenzione alle garanzie partecipative. Quest'ultima decisione, resa quando ancora non esisteva l'articolo 21-octies, non pare tuttavia del tutto fuori gioco rispetto a una rigorosa lettura della sopravvenuta disposizione legislativa (comma 2, seconda parte), a norma della quale il giudice è dispensato dall'annullamento, ancorché risulti omessa la comunicazione di avvio del procedimento, solo se «l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato». Detto altrimenti, la natura vincolata dell'atto non pare, da sola, sufficiente a determinare la superfluità della comunicazione di avvio, ma tale superfluità dovrà essere oggetto di prova da parte dell'amministrazione resistente in giudizio: ossia, dovrà essere oggetto di un vero e proprio accertamento, in contraddittorio, da parte del giudice (in ciò sollecitato dalla parte pubblica), precisamente come statuito nel 2003 dal Consiglio di Stato. Denuncia di inizio d'attività e rispetto dell'ambiente - Il secondo profilo di interesse della decisione qui in esame attiene all'annoso problema dell'operatività del regime della Dia per gli interventi edilizi che siano effettuati in aree sottoposte a vincoli paesaggistico-ambientali.

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In proposito, l'articolo 22, comma 6, del Dpr n. 380 del 2001 (Tu dell'edilizia) precisa che l'attività edilizia riguardante immobili sottoposti a tutela storico-artistica o paesaggistico-ambientale «è subordinata al preventivo rilascio del parere o dell'autorizzazione richiesti dalle relative previsioni normative». In aderenza a tale norma, la Corte di cassazione ha più volte ribadito che, laddove debbano eseguirsi interventi edilizi su immobili sottoposti a vincolo, non è sufficiente la presentazione della Dia da parte dell'interessato, ma è anche necessario il preventivo rilascio del nulla osta dell'autorità preposta alla tutela del vincolo: diversamente, la sola Dia non potrebbe dare origine a un provvedimento amministrativo di assenso, ancorché in forma tacita, essendo sempre necessario che ricorrano tutte le condizioni previste in tema di edificazione (così, ex plurimis, Cassazione, sezione III penale, sentenza 26 giugno 2002 n. 33631, in «Rivista penale», 2003, 626; di recente, Cassazione, sezione III penale, sentenza 21 gennaio 2010 n. 8739). La conseguenza è che, in difetto del rilascio del nulla osta, può configurarsi il reato di cui all'articolo 44, lettera c), del Tu dell'edilizia (così Cassazione, sezione III penale, sentenza 13 febbraio 2002 n. 11292, in Cassazione penale, 2003, 470). In queste ipotesi la disciplina procedimentale della Dia è quella prevista dall'articolo 23, commi 1, 3 e 4, del Dpr n. 380 del 2001: la Dia va presentata almeno 30 giorni prima dell'effettivo inizio dei lavori ma, ai fini del legittimo inizio dei lavori, il termine di 30 giorni non inizia a decorrere finché non sopraggiunge l'atto di assenso dell'autorità preposta alla tutela del vincolo. Ne deriva, ulteriormente, che, ai fini di calcolare il termine entro il quale la Dia può essere contestata in sede giurisdizionale, dovrà tenersi conto della data in cui è stato emanato l'atto di assenso e non di quella in cui la Dia è stata presentata (in tal senso, Consiglio di Stato, sezione VI, n. 1150 del 2007, in «Giurisprudenza italiana», 2007, 2584, con nota di F. Pavoni, «La sesta sezione attribuisce alla Dia natura provvedimentale»). Le aree di protezione integrale - Nella cornice generale così tracciata, la decisione qui in commento interviene a disciplinare una fattispecie peculiare, quella in cui una determinata area territoriale sia definita, dal vigente piano territoriale paesistico, come «area di protezione integrale», ossia venga sottoposta a un particolare regime di tutela del territorio e dell'ambiente, pur in assenza dell'apposizione di specifici vincoli. In tal caso, i concreti spazi operativi per l'istituto della Dia - pur nel quadro generale tracciato dall'articolo 22 del Dpr n. 380 del 2001 - risultano doppiati dalle particolari previsioni del piano territoriale (ovvero, nel caso di specie, dalle Nta del medesimo), allorché quest'ultimo indichi specificamente quali interventi possono essere realizzati nell'area considerata. Ne deriva che determinati interventi edilizi, pur astrattamente realizzabili mediante Dia ai sensi della disposizione generale di cui all'articolo 22 del Tu, non potranno concretamente essere ritenuti assentibili (nonostante la Dia sia stata presentata) allorché si tratti di interventi non contemplati in quel piano territoriale. Tale conclusione, in ogni caso, pare già compresa nella formulazione del citato articolo 22, il quale ammette sì la Dia come regime generale per l'attività edilizia, purché però sia comunque fatta salva la conformità «alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente»: e l'esistenza di una zona di protezione integrale costituisce senz'altro un esempio applicativo di quest'ultima specificazione normativa. Ulteriori limiti applicativi al regime della Dia: in particolare, gli interventi di nuova costruzione - La decisione del Consiglio di Stato qui in esame si occupa anche di un ulteriore aspetto limitativo del regime della Dia, ossia quello dell'individuazione delle opere edilizie che, in base al Tu del 2001, possono rientrare nel suddetto regime. La norma generale di riferimento è l'articolo 22, comma 1, del Tu (riguardante l'istituto della Dia cosiddetta semplice, da tenere distinto da quello della cosiddetta super-Dia, di cui al comma 3): tutti gli interventi edilizi possono essere realizzati mediante la presentazione della Dia (purché, beninteso, «conformi alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente»), tranne quelli indicati nell'articolo 10 e nell'articolo 6 del medesimo Tu. Risultano così esclusi, da un lato, gli «interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio» (di cui all'articolo 10), i quali sono assoggettati al più severo regime del rilascio del permesso di costruire (ovvero, se ne ricorrono i presupposti, al regime della cosiddetta super-Dia di cui al comma 3), e, dall'altro lato, tutti quegli interventi edilizi che l'articolo 6 ricomprende nella nozione di «attività edilizia libera», ossia eseguibile senza alcun titolo abilitativo. La fattispecie sottoposta al giudizio del Consiglio di Stato riguardava, in particolare, la realizzazione di una pedana in cemento contenente due pozzi per lo smaltimento di scarichi fognari. Secondo i giudici della sesta sezione, tale intervento doveva farsi rientrare nella categoria «interventi di

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nuova costruzione», ai sensi dell'articolo 3, comma 1, lettera e), del Dpr n. 380 del 2001 (il quale vi include anche la costruzione di manufatti interrati e le opere di urbanizzazione primaria e secondaria realizzate da soggetti diversi dal comune). Posto che tale articolo 3 definisce gli «interventi di nuova costruzione» come «quelli di trasformazione edilizia e urbanistica del territorio», si ricade nella previsione dell'articolo 10 il quale, come detto, assoggetta al più severo regime del permesso di costruire (anziché della Dia) proprio gli «interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio». Nel caso specifico, pertanto, la presentazione della Dia non poteva costituire idoneo titolo abilitativo alla realizzazione dei pozzi fognari, essendo necessario il rilascio di un apposito permesso di costruire. Appare utile, al riguardo, ricordare che, secondo la giurisprudenza amministrativa, per nuova costruzione deve intendersi non solo la costruzione di un nuovo edificio su un'area libera, ma anche la modificazione di opere preesistenti tale da determinare la produzione di un'opera del tutto diversa e nuova in considerazione dell'entità delle modifiche apportate (così, tra le tante, Consiglio di Stato, sezione V, n. 5061 del 2006). La demolizione e la ricostruzione dello stesso edificio, realizzata nel rispetto del volume e della sagoma di quello precedente, rientra invece nella diversa nozione di «ristrutturazione edilizia» (così, di recente, Consiglio di Stato, sezione IV, n. 4462 del 2010), pur qualificabile come eccezionale: la giurisprudenza, infatti, ammette che si rientra nell'ipotesi della semplice ristrutturazione anche allorché si proceda, per motivi tecnici (ad esempio perché risulterebbe antieconomico effettuare interventi di mera riparazione, in considerazione della decadenza dei luoghi), a un radicale rifacimento (ancorché non fedele) dell'immobile, purché a tale rifacimento corrisponda un «intento sostanzialmente conservativo» (in tal senso, Consiglio di Stato, sezione VI, n. 6214 del 2008, la cui massima è in «Il Foro amministrativo», Consiglio di Stato 2008, 3417). In sostanza: la ristrutturazione è qualcosa di più della mera manutenzione (posto che presuppone un intervento di natura innovativa, come il ripristino o la sostituzione di elementi costitutivi dell'edificio, o l'eliminazione, la modifica o l'inserimento di nuovi elementi e/o impianti), ma è comunque qualcosa di meno della nuova costruzione (quest'ultima comportando una vera e propria «trasformazione del territorio», come ha precisato la decisione n. 6214 del 2008, cit., in aderenza al già richiamato dettato normativo di cui all'articolo 3, comma 1, lettera e), del Tu). (Antonino Masaracchia, Il Sole 24 Ore - Guida al Diritto, 16 ottobre 2010, n. 41)

Enti locali ed altre istituzioni

CONSIGLIO DI STATO - SEZIONE V - DECISIONE 13 LUGLIO-17 SETTEMBRE 2010 n. 6964

ENTI LOCALI - Collegio dei revisori - Composizione - Riparto - Ragionieri e commercialisti - Sopravvenuta irrilevanza. (Dlgs 267/2000, articolo 234) A decorrere dal 1° gennaio 2008 la speciale disposizione contenuta nella lettera c), del comma 2, dell’articolo 234 del Dlgs 18 agosto 2000 n. 267, secondo cui uno dei tre componenti del collegio dei revisori debba essere scelto tra gli iscritti nell’albo dei ragionieri non possa più trovare attuazione, essendo divenuta di fatto inapplicabile per effetto della soppressione dell’Ordine dei ragionieri e periti commerciali e della contestuale istituzione dell’Albo unico dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, nella cui sezione A sono confluiti coloro che alla data del 31 dicembre 2007 erano iscritti nell’Albo dei ragionieri e periti commerciali. Pertanto, non trova più alcuna giustificazione la diversificazione tra le due predette figure professionali contenuta nell’articolo 234. (Il Sole 24 ORE - Guida al diritto, n. 40 del 9 ottobre 2010)

CORTE DI CASSAZIONE, Sezione VI, sentenza 19 maggio-17 giugno 2010 n. 23421 Abuso d’ufficio - Fattispecie in tema di reiterazione di nomine illegittime. (Cp, articolo 323) Può ravvisarsi il dolo intenzionale richiesto per la punibilità dell’abuso d’ufficio nella condotta di un sindaco che conferisca un incarico dirigenziale a soggetti privi dei titoli e dei requisiti di legge, invece posseduti da altro candidato ingiustamente pretermesso, allorquando tale nomina risulti la reiterazione di altra precedente annullata dal Capo dello Stato su parere conforme del Consiglio di

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Stato e risulti meramente pretestuosa la rappresentata intenzione di volere in tal modo soddisfare comunque l’interesse pubblico dell’amministrazione. (Il Sole 24 ORE - Guida al diritto n. 41, 16 ottobre 2010)

TRIBUNALE DELL’UNIONE EUROPEA - SEZIONE VI - SENTENZA 13 SETTEMBRE 2010 CAUSE RIUNITE T-166/07 E T-285/07 CONCORSI ED ESAMI - Bandi di concorso Ue - Regime linguistico - Pubblicazione solo in tre lingue ufficiali - Integrazione del bando in tutte le lingue - Individuazione di una seconda lingua tra le prove del concorso - Esigenza legata al buon funzionamento delle istituzioni - Assenza di violazione del principio di non discriminazione - Parità tra i cittadini Ue. (Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, articolo 18) La scelta delle istituzioni Ue di pubblicare il testo integrale di un bando di concorso in sole tre lingue ufficiali, disponendo però la pubblicazione di un avviso sul bando in tutte le lingue dell’Unione europea non costituisce una violazione del principio di non discriminazione in base alla nazionalità. La previsione della conoscenza obbligatoria di carattere soddisfacente di alcune lingue non è una misura sproporzionata se sussistono esigenze legate al buon funzionamento dell’attività degli organi Ue. (Il Sole 24 ORE - Guida al diritto, n. 40 del 9 ottobre 2010)

Inquinamento

TAR SICILIA, Palermo, Sez. II – 21 ottobre 2010, n. 12965 INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO – Comuni – Regolamento di minimizzazione – Art 8 L n. 36/2001 – Limiti. L’art. 8, comma 6, della legge 22 febbraio 2001, n. 36, prevede la possibilità che i Comuni adottino un regolamento c.d. di minimizzazione finalizzato a garantire “il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l'esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici”. Le previsioni dei regolamenti c.d. di minimizzazione possono ritenersi legittime solo qualora finalizzate al perseguimento delle finalità indicate dalla norma e non anche quando tendono a scopi differenti. INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO – Comune – Adozione di misure che costituiscono deroghe ai limiti di esposizione ai campi elettromagnetici – Illegittimità – Art. 4 L. n. 36/2001 – Competenza esclusiva statale. Il Comune non può, mediante il formale utilizzo degli strumenti di natura edilizia-urbanistica, adottare misure, le quali nella sostanza costituiscano una deroga ai limiti di esposizione ai campi elettromagnetici fissati dallo Stato, quali, esemplificativamente, il divieto generalizzato di installare stazioni radio-base per telefonia cellulare in tutte le zone territoriali omogenee, ovvero la introduzione di distanze fisse da osservare rispetto alle abitazioni e ai luoghi destinati alla permanenza prolungata delle persone o al centro cittadino. Tali disposizioni sono, infatti, funzionali non al governo del territorio, ma alla tutela della salute dai rischi dell'elettromagnetismo e si trasformano in una misura surrettizia di tutela della popolazione da immissioni radioelettriche, che l’art. 4 della legge n. 36/2001 riserva allo Stato attraverso l’individuazione di puntuali limiti di esposizione, valori di attenzione ed obiettivi di qualità, da introdursi con D.P.C.M., su proposta del Ministro dell’Ambiente di concerto con il Ministro della Salute (in tal senso, tra le tante Consiglio di Stato, sez. VI, 15 giugno 2006, n. 3534, C.G.A. 12 novembre 2009, n. 929; T.A.R. Sicilia, sez. II, 6 aprile 2009, n. 661). (Massime a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

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Rifiuti

TAR LAZIO, Roma, Sez. II bis – 18 ottobre 2010, n. 32862 RIFIUTI – Osservatorio Nazionale sui Rifiuti – Art. 206 bis d.lgs. n. 152/2006 – Istituzione – Finalità. L’ Osservatorio Nazionale sui Rifiuti trova la sua fonte primaria nell’art. l’art. 206-bis del D.Lgs. 3 aprile 2006, n.152, recante “Norme in materia ambientale”, introdotto dall’art.2, comma 29 bis del D.Lgs. 16 gennaio 2008, n. 4. Tale organismo è istituito per garantire l’attuazione delle norme in materia di gestione dei rifiuti (parte IV del D.Lgs. n. 152 del 2006) anche in attuazione delle direttive comunitarie in materia sulle varie categorie degli stessi, atteso che la gestione dei rifiuti costituisce attività di pubblico interesse ed è disciplinata dalle norme nazionali e comunitarie in materia ambientale al fine di assicurare un’elevata protezione dell’ambiente e controlli efficaci, tenendo anche conto della gestione dei rifiuti pericolosi. RIFIUTI – Osservatorio Nazionale sui Rifiuti – Art. 9, c. 4 DPR n. 140/2009 – Cessazione dell’incarico dei componenti – Illegittimità – Finalità di contenimento della spesa pubblica – Autonomia finanziaria dell’organismo. La cessazione dell’incarico dei componenti “generalizzata” anche nei confronti di quelli dell’Osservatorio Nazionale sui Rifiuti, disposta dall’art.9, comma 4,del DPR n. 140 del 2009., non può essere legittimata da finalità di contenimento della spesa pubblica essendo l’Organismo del tutto indipendente e autonomo anche dal punto di vista finanziario, né risultano emanati i provvedimenti di riordino dell’Organismo di ridimensionamento e revisione quantitativa e qualitativa delle professionalità richieste, finalizzati alla cessazione dell’incarico dei componenti l’organismo collegiale in relazione alla dichiarata razionalizzazione della struttura statale. RIFIUTI – Osservatorio Nazionale sui Rifiuti – Art. 9 DPR 140/2009 – Potere di nomina – Conferimento al Ministero dell’Ambiente – Norma di cui all’art. 206 bis del d.lgs. n. 152/2006 – Nomina dei membri dell’ONR – Decreto del Ministro dell’Ambiente di concerto con il Ministro dello Sviluppo Economico. La norma recata dall’art.9 del DPR n. 140 del 2009 conferisce il potere di nomina dei componenti degli organismi di supporto soltanto al Ministro dell’Ambiente, mentre nello specifico la norma generale gerarchicamente superiore di cui all’art 206-bis del D.Lgs. n. 152 del 2006, confermato dall’art. 7, comma 1, del D.P.R. n.90 del 2007, n. 90, dispone invece la nomina dei membri dell’O.N.R. mediante decreto del Ministro dell’Ambiente e della tutela del Territorio e del Mare, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico. (Massime a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 19/10/2010 (Ud. 2/07/2010), Sentenza n. 37195

RIFIUTI - Inerti derivanti da demolizione di edifici o da scavi di strade - Deposito – Disciplina vigente - Codice CER 17.00.00 - Art. 51 cc. 1 e 2 D.L.vo n.22/97 - Art.6 D.L.vo n.22/97 (oggi art.183 D.L.vo n.152/2006). Il deposito di rifiuti derivanti da demolizioni edili, per essere lecito, deve essere temporaneo ed effettuato sul posto. La non assimilazione degli inerti derivanti da demolizione di edifici o da scavi di strade alle terre e rocce da scavo è stata ribadita con il decreto legislativo n.156 del 2006 (cfr. Cass. pen. sez.3 n.103 del 15.1.2008-Pagliaroli). Pertanto gli inerti provenienti da demolizioni o da scavi di manti stradali erano e continuano ad essere considerati rifiuti speciali anche in base al decreto legislativo n.152 del 2006, trattandosi di materiale espressamente qualificato come rifiuto dalla legge, del quale il detentore ha l'obbligo di disfarsi avviandolo o al recupero o allo smaltimento (codice CER 17.00.00). Infine, i residui delle attività di demolizione edile non costituiscono rifiuti speciali se sono destinati ad essere certamente riutilizzati.

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DIRITTO PROCESSUALE PENALE - Giudicato sostanziale - Atto di impugnazione invalido ex art.591, c.p.p. - Eccezioni – Effetti e preclusioni - art.606 c. 3, c.p.p.. L'intervenuta formazione del giudicato sostanziale derivante dalla proposizione di un atto di impugnazione invalido perché contrassegnato da uno dei vizi indicati dalla legge (art.591 comma 1, con eccezione della rinuncia ad un valido atto di impugnazione, e art.606 comma 3), precluda ogni possibilità sia di far valere una causa di non punibilità precedentemente maturata sia di rilevarla d'ufficio. L'intrinseca incapacità dell'atto invalido di accedere davanti al giudice dell'impugnazione viene a tradursi in una vera e propria absolutio ab instantia, derivante da precise sequenze procedimentali, che siano in grado di assegnare alle cause estintive già maturate una loro effettività sul piano giuridico, divenendo altrimenti fatti storicamente verificatisi, ma giuridicamente indifferenti per essersi già formato il giudicato sostanziale". DIRITTO PROCESSUALE PENALE - Interpretazione delle prove - Valutazione dei passaggi processuali – Criteri. Nella valutazione dei passaggi attraverso i quali si sviluppa la possibilità di verificare se i risultati dell'interpretazione delle prove siano effettivamente corrispondenti alle acquisizioni risultanti dagli atti del processo, è necessario accertare se siano state applicate le regole della logica, le massime di comune esperienza e i criteri legali dettati in tema di valutazione delle prove, in modo da fornire la giustificazione razionale della scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre. (Massime a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE 3 PENALE, SENTENZA DEL 4 OTTOBRE 2010, n. 35540

RIFIUTI - Concetto di rifiuto di sottoprodotto e di materia prima secondaria - Art. 183 e All. D) D.Lgs. n. 152/2006 - Direttiva 2006/12/CE La disciplina introdotta dall'art. 183 e dall'allegato D) del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, in conformità ai principi comunitari in materia, fornisce una chiara distinzione tra il concetto di rifiuto e quelli di sottoprodotto e di materia prima secondaria, così che si versa in materia di rifiuti, e non di sottoprodotti, nella ipotesi di materiale che non risulti con certezza destinato all'impiego diretto da parte dell'impresa senza dover ricorrere ad ulteriori attività di trasformazione preliminare (Corte di Giustizia delle Comunità Europee, sentenza 11/11/2004, causa C-457/02, Niselli e Cass. Sez. III, 10/11/2006 sentenza n. . 37303, Nataloni).

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE EMILIA ROMAGNA - BOLOGNA SEZIONE 2, SENTENZA DEL 27 OTTOBRE 2010, n. 8012

RIFIUTI - procedure semplificate - osservanza dei parametri ex D.M. 5.2.98 - garanzia ex ante delle esigenze di protezione ambientale - esclusione; art. 1, c. 1. Che le esigenze di protezione ambientale non siano garantite "ex ante" dall'osservanza dei parametri ex DM 5.2.1998 (che non assorbono, quindi, la valutazione dell'impatto ambientale, ma costituiscono soltanto le condizioni di esonero dall'autorizzazione) è confermato dallo stesso tenore testuale dell'articolo introduttivo (art. 1 comma1) del decreto medesimo, il quale premette alla definizione dei parametri che "le attività, i procedimenti, e i metodi di recupero.......non devono costituire un pericolo per la salute dell'uomo e recare pregiudizio all'ambiente e in particolare" creare rischi per acqua, aria, suolo, flora e fauna, rumori ed odori, né danni al paesaggio, premessa di carattere generale che sarebbe del tutto superflua ed ultronea, se tale esigenza di tutela ambientale fosse già ex sè assicurata dall'osservanza dei parametri tecnici successivamente stabiliti. Rifiuti - V.I.A. - procedure semplificate - lettura coordinata degli artt. 214-216 D.Lgs. n. 152/2006 - osservanza dei parametri di cui al D.M. 5.2.98 - condizione aggiuntiva e non sostitutiva rispetto a quelle ordinariamente prescritte per le operazioni di recupero dei rifiuti. La lettura coordinata degli artt. 214, 215 e 216 della parte II e IV del DLgs 152/06 impone di ritenere che l'osservanza dei parametri ex DM 5.2.98 è condizione aggiuntiva e non sostitutiva rispetto a quelle ordinariamente prescritte per le operazioni di recupero dei rifiuti (ivi comprese, ove occorrano lo "screening ambientale e/o la VIA stessa), necessaria e sufficiente al solo scopo di consentirne un esercizio-che sia già altrimenti legittimato dall'osservanza di tutti i presupposti di

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legge- in regime semplificato, cioè previa DIA non seguita da inibitoria, e senza necessità di previa autorizzazione espressa. Rifiuti- V.I.A. - impianti di recupero - aumento della capacità di recupero - assenza di modificazioni strutturali/edilizie - modifica sostanziale – configurabilità - assoggettamento a V.I.A. - punto 8, lett. t) dell'Allegato IV al D.Lgs. n. 152/2006.

L'aumento di capacità di recupero - pur in assenza di modificazioni strutturali/edilizie- comporta un ampliamento dell'impianto, del pari sottoposto a verifica di assoggettabilità, ai sensi del punto 8 lett. t) dell'Allegato IV al d.lgs. n. 152/2006. Anche la modifica puramente gestionale, infatti, pur rimanendo invariata la struttura, configura un ampliamento o un'estensione e pertanto rientra nel concetto di "modifica sostanziale". Detta soluzione, che considera anche il mero potenziamento produttivo, ove comporti superamento delle "soglie" previste per le varie categorie progettuali, nell'ambito delle "modifiche o estensioni di progetti già autorizzati, realizzati...che possono avere notevoli ripercussioni negative sull'ambiente..., " è l'unica coerente con la funzione che la disciplina della VIA riveste nell'ordinamento nazionale e comunitario. Tale strumento è finalizzato infatti ad individuare, descrivere e valutare tutti gli effetti, diretti ed indiretti, permanenti o transitori, positivi e negativi, dei "progetti" sull'ambiente circostante, nelle sue componenti naturali ed antropiche. Ben si comprende, pertanto, che un impianto o un'infrastruttura debba essere valutata non solo per le sue caratteristiche "fisiche"(dimensione, localizzazione, ecc.) ma anche in ragione degli impatti che il suo funzionamento può avere sull'ambiente circostante (cfr. TAR Lombardia, n°5534/2008, secondo cui l'aumento del quantitativo dei rifiuti complessivamente trattati presenta inequivocabilmente le caratteristiche di una "modifica sostanziale" dell'impianto, con conseguente assoggettamento alla procedura di VIA, siccome comportante il superamento delle soglie dimensionali fissate negli Allegati alla parte seconda del D.Lgs. n. 152/2006).

(Massime a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

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Ambiente

Valutazione e gestione della qualità dell’aria: definito il testo unico in linea con la Ue

di Siro Corezzi, Il Sole 24 ORE Guida al Diritto n. 43 del 30 ottobre 2010 Con il nuovo decreto legislativo 13 agosto 2010 n. 155 è stata recepita in Italia la direttiva n. 2008/50/Ce relativa alla qualità dell’aria ambiente e per un’aria più pulita in Europa. Il decreto è entrato in vigore il 30 settembre 2010. La direttiva n. 2008/50/Ce ha sostituito tutta la normativa comunitaria a eccezione della direttiva n. 2004/107/Ce su arsenico, cadmio, mercurio, nickel e idrocarburi policiclici aromatici nell’aria ambiente. Il Dlgs 155/2010 comprende anche i contenuti del Dlgs 152/2007 che recepiva la direttiva n. 2004/107/Ce. Il nuovo decreto si configura comeun testo unico e costituisce un quadro normativo unitario in materia di valutazione, gestione e tutela della qualità dell’aria ambiente: «l’aria esterna presente nella troposfera, a esclusione di quella presente nei luoghi di lavoro» (articolo 2, lettera a). Le abrogazioni Numerose sono le norme riordinate e quindi abrogate dal Dlgs 155/2010 tra cui il Dlgs 351/1999 (valutazione e gestione della qualità dell’aria che recepiva la previgente normativa comunitaria), il Dlgs 183/2004 (normativa sull’ozono), il Dlgs 152/2007 (normativa su arsenico, cadmio, mercurio, il nichel e benzo(a)pirene), il Dm 60/2002 (normativa su biossido di zolfo, biossido di azoto, ossidi di azoto, le particelle, il piombo, il benzene e ilmonossido di carbonio), il Dpr 203/1988 (normativa sugli impianti industriali, già soppresso dal Dlgs 152/2006 con alcune eccezioni transitorie, fatte comunque salve dal Dlgs 155/2010) e un pacchetto di ulteriori provvedimenti ministeriali attuativi. Il Dlgs 155/2010 è costituito da 22 articoli, 16 allegati e 11 appendici e stabilisce: - i valori limite (per la protezione della salute - Allegato 11) per biossido di zolfo, biossido di azoto, benzene, monossido di carbonio, piombo e Pm10 (prima disciplinati dal Dm 60/2002); - i livelli critici (per la protezione della vegetazione – Allegato 11) per biossido di zolfo e ossidi di azoto (prima disciplinati dal Dm 60/2002); - le soglie di allarme (Allegato 12) per biossido di zolfo e biossido di azoto (prima disciplinati dal Dm 60/2002); - il valore limite, il valore obiettivo, l’obbligo di concentrazione dell’esposizione e l’obiettivo nazionale di riduzione dell’esposizione (Allegato 14) per le concentrazioni nell’aria ambiente di Pm2,5 (normativa introdotta ex novo); - i valori obiettivo (Allegato 13) per arsenico, cadmio, nichel e benzo(a)pirene (prima disciplinati dal Dlgs 152/2007); - le soglie di allarme e la soglia di informazione (Allegato 12), i valori obiettivo e gli obiettivi a lungo termine (Allegato 7) per l’ozono (prima disciplinati Dlgs 183/2004). Gli obiettivi Tra le finalità indicate dal decreto vi sono: n l’individuazione degli obiettivi di qualità dell’aria ambiente volti a evitare, prevenire o ridurre effetti nocivi per la salute umana e per l’ambiente nel suo complesso; - la valutazione della qualità dell’aria ambiente sulla base di metodi e criteri comuni su tutto il territorio nazionale; - la raccolta di informazioni sulla qualità dell’aria ambiente come base per individuare le misure da adottare per contrastare l’inquinamento e gli effetti nocivi dell’inquinamento sulla salute umana e sull’ambiente e per monitorare le tendenze a lungo termine; - il mantenimento della qualità dell’aria ambiente, laddove buona, e il miglioramento negli altri

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casi; - la garanzia di fornire al pubblico di corrette informazioni sulla qualità dell’aria ambiente; - la realizzazione di una migliore cooperazione tra gli Stati dell’Unione europea in materia di inquinamento atmosferico. Controlli anche ai privati Una novità, non contenuta nella direttiva n. 2008/50/Ce, è la possibilità, anche per i soggetti privati, di effettuare il monitoraggio della qualità dell’aria, purché le misure siano sottoposte al controllo delle regioni o delle agenzie regionali quando delegate (articolo 5, comma 7). L’intero territorio nazionale è diviso, per ciascun inquinante disciplinato dal decreto, in zone e agglomerati da classificare e da riesaminare almeno ogni 5 anni ai fini della valutazione della qualità dell’aria ambiente, condotta con le modalità previste dall’articolo 5 e per l’ozono dall’articolo 8, utilizzando stazioni di misurazione, misurazioni indicative omodellizzazioni a seconda dei casi. Alla zonizzazione, fondata su elementi come la densità emissiva, le caratteristiche orografiche, quelle meteo-climatiche o il grado di urbanizzazione del territorio, provvedono le regioni e le province autonome o, su delega, le agenzie regionali per la protezione dell’ambiente. I piani e le misure da attuare in caso di individuazione di una o più aree di superamento devono agire sulle principali sorgenti di emissione, ovunque localizzate, che influenzano tali aree (articolo 9); le attività di pianificazione dovranno fare riferimento alle «sorgenti di emissione» intervenendo con misure in modo «mirato», senza cioè l’obbligo di estendersi all’intero territorio della zona o di limitarsi a quest’ultimo. Ai sensi dell’articolo 5 comma 9, nell’ambito delle procedure di Valutazione di impatto ambientale (Via) statale o regionale o delle Aia statali o regionali, può essere prescritta l’installazione di nuove stazioni di misurazione, conformi alle norme del decreto, per gli impianti che producono emissioni in atmosfera, qualora la regione o la provincia autonoma interessata o, su delega, l’agenzia regionale per la protezione dell’ambiente valuti tali stazioni necessarie per la rete di misura o per il programma di valutazione. Nell’ambito delle attività per l’effettuazione della Via di grandi impianti di combustione o raffinerie, è di interesse la previsione di apposito decreto ministeriale, da emanarsi di concerto tra il Mattm e il ministero della Salute, sulle modalità di utilizzo di bioindicatori per la valutazione degli effetti sugli ecosistemi dovuti ai livelli di arsenico, cadmio, nichel, idrocarburi policiclici aromatici e mercurio (articolo 5, comma 12). Le misure nazionali È prevista la possibilità di ricorrere a misure nazionali (programma di misure), sulla base dei lavori di un comitato da istituire presso la presidenza del Consiglio dei ministri, qualora risulti da un’apposita istruttoria che tutte le possibili misure individuabili dalle regioni nei piani di qualità dell’aria non siano risolutive, in quanto i superamenti sono causati in modo decisivo da sorgenti di emissione su cui non hanno competenza amministrativa e legislativa. La misure di carattere nazionale sono definite con i ministeri che hanno competenza su specifici settori emissivi, quali trasporti, energia, inclusi usi civili, attività produttive e agricoltura. Da questa nuova impostazione della disciplina consegue, in relazione alle competenze del Mattm in materia di Via e di Autorizzazione integrata ambientale (Aia), che nell’ambito della verifica della compatibilità ambientale di nuovi impianti e infrastrutture localizzati in zone o agglomerati dove sono definiti obiettivi e azioni di risanamento si dovrà, al minimo, accertare la piena compensazione degli inquinanti emessi. Il Dlgs 155/2010 introduce, secondo il principio di precauzione, l’adozione di piani di azione per al riduzione del rischio di superamento dei valori limite, dei valori obiettivo e delle soglie di allarme; tali piani hanno a oggetto specifiche circostanze contingenti che non sono prevedibili e contrastabili attraverso i piani e le misure di carattere strutturale. I piani possono individuare criteri per: limitare la circolazione dei veicoli amotore; prevedere valori limiti di emissione, prescrizioni per l’esercizio, criteri di localizzazione e altre condizioni per i Grandi impianti di combustione (Gic); criteri di localizzazione e prescrizioni per l’esercizio degli impianti di trattamento rifiuti e per impianti soggetti ad Aia; prescrizione per prevenire o limitare le emissioni in atmosfera prodotte dalle navi in ormeggio; prescrizioni per prevenire e limitare le emissioni in atmosfera che si producono nel corso delle attività e delle pratiche agricole. Tali piani possono

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inoltre prevedere interventi finalizzati a limitare oppure a sospendere le attività che contribuiscono all’insorgenza dei rischi di superamento dei valori limite, dei valori obiettivo e delle soglie di allarme (articolo 11). L’indicatore di esposizione media Ai fini della tutela della salute della popolazione, il Dlgs 155/2010 introduce l’indicatore di esposizione media (Iem) per il PM2,5 dato dalla concentrazione media su tre anni civili, ricavata dalla media dei risultati di tali misurazioni. L’Iem è utilizzato per la verifica dell’obiettivo nazionale di riduzione dell’esposizione che, anche nelle situazioni attualmente più critiche, è fissato in 18 µg/m3 al 2020 (Allegato 14). L’obbligo di concentrazione dell’esposizione, sempre basato sull’Iem, è invece fissato in 20 µg/m3 al 2015 (Allegato 14). L’Allegato 11 contiene invece il valore limite per il PM2,5 espresso come media annuale che è pari a 25 µg/m3 da raggiungersi entro il 2015. La normativa europea e l’attuale recepimento italiano introducono la disciplina sul PM2,5 che rappresenta un inquinante problematico per vaste aree europee e, per il livello nazionale italiano, fortemente problematico per le aree metropolitane in genere e per l’ambito geografico dell’intera pianura padana. Esiste una vasta evidenza che la porzione principale di PM2,5 presente in atmosfera non sia direttamente emessa da sorgenti di combustione (traffico, industria, grandi impianti di combustione ecc.) ma sia di origine secondaria. Il particolato fine rilevato in aria ambiente è infatti composto da una componente primaria e da una componente di origine secondaria che, in determinate localizzazioni e sotto determinate condizioni atmosferiche (periodi freddi e alta pressione), può arrivare a pesare per il 70-80% della concentrazione totale di PM10; la componente secondaria ha comunque un peso relativo mai inferiore al 40-50% ed è costituita da particelle fini e ultrafini. Il particolato secondario deriva da reazioni chimiche e chimico- fisiche che coinvolgono inquinanti gassosi sia primari che secondari tipici delle attività di combustione. I più noti processi sono: - la trasformazione dell’SO2 in solfati SO4--; - la trasformazione dell’NO2 in nitrati NO3-. Tale componente secondaria si origina principalmente a seguito di processi chimico-fisici molto complessi, grazie a questi processi, si originano particelle di dimensioni maggiori a partire da quelle più fini e dai radicali (sostanze chimiche estremamente reattive) in fase gassosa presenti in atmosfera, che si aggregano per formare particelle più grandi. Questi processi coinvolgono molti composti, chiamati “precursori” e comprendono principalmente anidride solforosa (SO2), ossidi di azoto (NOx), composti o sostanze organiche volatili (COV o SOV) e ammoniaca (NH3). A titolo di esempio la conversione di NOx a particolato secondario viene stimata superiore al 60%. La European environment agency utilizza i seguenti fattori di conversione per la formazione di aerosol secondario: 0,54 per SO2; 0,88 per NOx; 0,63 per NH3. In conclusione il Dlgs 155/2010, nato per recepire la direttiva n. 2008/50/Ce, rappresenta un testo organico che riorganizza l’intero corpus normativo previgente in materia di valutazione, gestione e tutela della qualità dell’aria finalizzato a mantenere la qualità dell’aria ambiente, laddove buona, e migliorarla negli altri casi.

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Appalti

Regolamento appalti: forse è la volta buona di Roberto Proietti, Il Sole 24 Ore - Diritto e Pratica Amministrativa, n. 10, ottobre 2010 E' finalmente in via di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale il regolamento di attuazione del Codice dei contratti pubblici, previsto dall'articolo 5 del decreto legislativo n. 163 del 12 aprile 2006, recante il Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/Ce e 2004/18/Ce. La versione definitiva del regolamento elaborato dal ministero delle Infrastrutture e dei trasporti è stata adeguata al parere del Consiglio di Stato n. 313/2010 e a sopraggiunte norme che hanno apportato alcune modifiche al testo del Codice dei contratti pubblici. Il regolamento vede la luce privo dell'allegato A1, stralciato in quanto aveva provocato una situazione di stallo a causa del contrasto creatosi tra le associazioni di imprese di lavori specialistici e di quelli generali. La struttura del regolamento segue l'ordine del Codice e l'evoluzione dei rapporti tra amministrazioni e operatori economici, sicché l'ordine sistematico, che dovrebbe consentire agli operatori un'agevole consultazione delle norme, può essere seguito anche per evidenziare le principali novità. Parte prima: disposizioni comuni a lavori, servizi e forniture La parte I contiene le disposizioni comuni a lavori, servizi e forniture e individua le norme riconducibili alla competenza statale esclusiva e concorrente tra Stato e regioni: nell'ambito della legislazione statale esclusiva rientra tutta la disciplina prevista dal regolamento a eccezione delle disposizioni relative agli organi del procedimento e alla programmazione nei contratti relativi a lavori, servizi e forniture (articolo 1). In considerazione della particolarità della disciplina contenuta nel Codice per i lavori relativi alle infrastrutture strategiche e insediamenti produttivi (parte II, titolo III, capo IV, del Codice), l'articolo 2 definisce l'ambito di applicazione del regolamento a tali lavori. Nella parte I sono, inoltre, contenute disposizioni relative alla tutela dei lavoratori, al documento unico di regolarità contributiva (articoli 4, 5, 6), al sito informatico presso l'Osservatorio (articolo 7) che, insieme al sito del ministero delle Infrastrutture e dei trasporti, viene individuato dal Codice per la pubblicazione telematica degli avvisi e dei bandi di gara, e al casellario informatico (articolo 8).

Parte seconda: contratti pubblici relativi a lavori nei settori ordinari

La parte II è dedicata ai contratti pubblici relativi a lavori nei settori ordinari e, sostanzialmente, contiene le disposizioni precedentemente incluse nel Dpr n. 554/1999 (regolamento esecutivo della legge n. 109/1994) e nel Dpr n. 34/2000 (recante la disciplina del sistema di qualificazione). Questa parte del regolamento comprende le disposizioni in tema di responsabile del procedimento (articoli 9 e 10) inserimento dell'opera nella programmazione (articoli da 11 a 13), disciplina dei contenuti dello studio di fattibilità (articolo 14), progettazione e verifica del progetto (articoli da 15 a 59), esecuzione dei lavori (articoli da 147 a 177), contabilità (articoli da 178 a 214), e collaudo (articoli da 215 a 238). Studio di fattibilità, definizione analitica dei livelli di progettazione preliminare e definitiva e verifica del progetto.

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Tra i punti più significativi vanno evidenziate le norme dettate in tema di studio di fattibilità, di definizione analitica dei livelli di progettazione preliminare e definitiva, con specifico riferimento alle relazioni tecniche e agli elaborati grafici, e di verifica del progetto da parte di strutture accreditate, interne o esterne alla stazione appaltante. La verifica, in particolare, è finalizzata ad accertare la completezza della progettazione; la coerenza e la completezza del quadro economico in tutti i suoi aspetti; l'appaltabilità della soluzione progettuale prescelta; i presupposti per la durabilità dell'opera nel tempo; la minimizzazione dei rischi di introduzione di varianti e di contenzioso; la possibilità di ultimazione dell'opera entro i termini previsti; la sicurezza delle maestranze e degli utilizzatori. Tali disposizioni, se correttamente interpretate e applicate, potrebbero consentire di invertire la tendenza che fa registrare il sorgere di notevoli fette di contenzioso legato a problemi progettuali. Le attività di verifica sono affidate a organismi di ispezione di tipo A, B e C che, per lavori di importo superiore a 20 milioni di euro, devono essere accreditati ai sensi della norma UNI CEI EN ISO/IEC 17020. Al riguardo, va segnalata l'inclusione degli organismi di tipo C tra i soggetti idonei a compiere attività di verifica di progetti di importo superiore ai 20 milioni di euro relativi alle opere non strategiche, rispetto alla limitazione previgente per le infrastrutture strategiche che, sopra questa soglia, consentivano l'operatività esclusiva degli organismi di tipo A e B. La disciplina del sistema di qualificazione e i requisiti per gli esecutori di lavori Particolare attenzione è stata dedicata alla disciplina del sistema di qualificazione e ai requisiti per gli esecutori di lavori, disciplinando il sistema SOA, unico per tutti gli esecutori di lavori pubblici, di importo superiore a 150.000 euro, nonché la qualificazione per l'esecuzione dei lavori di importo pari o inferiore, e definendo in modo dettagliato la disciplina e le modalità applicative delle disposizioni contenute nell'articolo 40 del Codice dei contratti in materia di qualificazione, di controlli da esercitarsi sulle SOA, di sanzioni pecuniarie e interdittive, e di decadenza dell'autorizzazione in caso di accertate irregolarità, illegittimità e illegalità commesse dalle SOA nel rilascio delle attestazioni. Vanno registrate, al riguardo, le seguenti significative novità: introduzione di due nuove classifiche III-bis fino a 1.500.000 euro e IV-bis fino a 3.500.000 euro (art. 61); adeguamento del capitale sociale delle SOA da 516.457 euro a 1.000.000 di euro e divieto per le stesse di svolgere attività di attestazione qualora abbiano utilizzato documentazione dell'impresa non veritiera, concernente i requisiti di ordine generale e speciale (art. 64); obbligo per le SOA di verificare, anche dopo il rilascio dell'attestazione, la permanenza del possesso dei requisiti di carattere generale in capo alle imprese (art. 70, co. 1); potere dell'Autorità per la vigilanza di applicare sanzioni pecuniarie alle imprese inadempienti rispetto all'obbligo di fornire risposta alle proprie richieste di informazioni (art. 74); estensione alle SOA della possibilità di accedere alle informazioni del casellario giudiziale in modo integrale (art. 78); disciplina dei requisiti necessari per l'ottenimento della qualificazione nella categoria OG 11 (art. 79); ridimensionamento dell'incidenza, della cifra d'affari in lavori necessaria per ottenere l'attestazione SOA (art. 80); obbligo di informativa per le SOA che rilevino l'esistenza di certificati di lavori non presenti nel casellario informatico, ai fini dell'emanazione, da parte dell'Autorità, dei previsti provvedimenti (art. 83); inserimento nel casellario informatico, a cura dell'Autorità, delle attestazioni di cui sia stata disposta la decadenza dalle SOA o dall'Autorità, tra cui anche quelle rilasciate avvalendosi dei requisiti di altra impresa (art. 91). In generale, si può dire che la nuova disciplina regolamentare del sistema di qualificazione per i lavori ha seguito la via della maggiore trasparenza e della valorizzazione della specializzazione nell'esecuzione dei lavori in quanto si è puntato a una chiara definizione degli obblighi delle imprese e delle SOA; è stato aumentato il numero delle opere cosiddette “superspeciali”, che necessitano di particolare “specializzazione” e che, se di importo superiore al 15% del valore dell'appalto, possono essere subappaltate, ai sensi dell'articolo 37, comma 11, del Codice, nel limite del 30%; e sono stati introdotti requisiti di particolare specializzazione per qualificarsi in dette categorie. La parte II del regolamento contiene, inoltre, rilevanti disposizioni in tema di dialogo competitivo (art. 113), performance bond (artt. 129-136), appalto di progettazione esecutiva ed esecuzione di lavori (artt. 168 e 169), adeguamento prezzi (artt. 171 e 172), collaudo (artt. 215 ss.) e lavori riguardanti i beni del patrimonio culturale (artt. 239 ss.). In particolare, nel dettare la disciplina regolamentare della garanzia globale di esecuzione si è tenuto conto della funzione dell'istituto, di selezione qualitativa delle imprese, ai fini dell'accesso alle gare.

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L'appalto di progettazione esecutiva ed esecuzione di lavori In considerazione della liberalizzazione per gli appalti sopra soglia dell'appalto di progettazione esecutiva ed esecuzione di lavori sia sulla base del progetto preliminare (art. 168) che del progetto definitivo (art. 169), sono state dettate norme che regolamentano questi due tipi di appalto. Sia per quanto riguarda l'appalto di progettazione ed esecuzione con gara “per” il definitivo (ex appalto concorso) sia per l'appalto con gara “sul” definitivo (ex appalto integrato), alcune previsioni dovrebbero dare maggiori garanzie rispetto alla prevenzione del contenzioso e al pagamento del corrispettivo per i progettisti: - nella redazione del progetto esecutivo sono ammesse, rispetto al “definitivo”, variazioni qualitative e quantitative contenute entro un importo non superiore al 10% per i lavori di recupero, ristrutturazione, manutenzione e restauro e al 5% per tutti gli altri lavori delle categorie dell'appalto che non comportino un aumento dell'importo contrattuale; - nell'ipotesi in cui non trova applicazione l'articolo 53, comma 3-bis, del Codice, il capitolato speciale prestazionale, allegato al progetto posto a base di gara, deve indicare le modalità per il pagamento del corrispettivo previsto per le spese di progettazione. Il collaudo dei lavori Circa il collaudo dei lavori, si segnala la previsione che, per l'affidamento a soggetti esterni dei servizi attinenti al collaudo, si applicano le stesse disposizioni relative all'affidamento dei servizi attinenti all'architettura e all'ingegneria. Si prevede, inoltre, che il collaudo di lavori di manutenzione possa essere affidato a un funzionario munito di diploma tecnico in servizio da almeno cinque anni in uffici pubblici o a un tecnico diplomato, geometra o perito, iscritto da almeno cinque anni all'ordine o collegio professionale di appartenenza (articolo 216). Infine, vengono specificati analiticamente i documenti da fornire al collaudatore (articolo 217), le modalità delle visite di collaudo in corso d'opera (articolo 221) e i contenuti del certificato di collaudo (articolo 229). I lavori riguardanti i beni del patrimonio culturale Le disposizioni relative ai lavori riguardanti i beni del patrimonio culturale sono state profondamente rivisitate e sono state completate (in conformità del parere espresso dal Consiglio di Stato n. 3262/2007) tutte le disposizioni concernenti la materia (cfr. artt. 241, comma 2, 247 e 248).

Parte terza: contratti pubblici relativi a servizi attinenti all'architettura e all'ingegneria nei settori ordinari

La parte III del regolamento ha a oggetto i contratti pubblici relativi a servizi attinenti all'architettura e all'ingegneria nei settori ordinari e contiene la procedimentalizzazione della gara per l'affidamento dei servizi di importo pari o superiore a 100.000 (articolo 266) e la gara informale per l'affidamento dei servizi di importo inferiore a 100.000 euro (articolo 267).

Parte quarta: contratti pubblici relativi a forniture e altri servizi nei settori ordinari

Ai contratti pubblici relativi a forniture e altri servizi nei settori ordinari è dedicata la parte IV del regolamento, che contiene disposizioni tendenti a garantire i maggiori vincoli che caratterizzano tradizionalmente la normativa sui lavori, nel rispetto delle differenze di questi settori, e introduce alcune innovazioni nella disciplina dei settori dei servizi e delle forniture in ordine alle varie fasi in cui si articola la procedura di affidamento, oltre a chiarire e dettagliare le modalità applicative di alcuni istituti. Tra queste, va segnalata l'introduzione della disciplina della programmazione facoltativa degli appalti di forniture e di servizi (articolo 271) finalizzata a garantire anche in tale settore una razionale e adeguata organizzazione delle attività, prendendo a riferimento la normativa dei lavori pubblici. È stata introdotta una disciplina di dettaglio dei compiti e delle attività del responsabile del procedimento (articolo 273) che tiene conto delle peculiarità del settore e consente una certa flessibilità in relazione ai regolamenti delle singole stazioni appaltanti. Altro profilo di novità è rappresentato dall'introduzione della finanza di progetto (articolo 278), adattando la disciplina della finanza di progetto prevista per i lavori e assicurando, con gli adeguamenti del caso, le stesse modalità previste dal Codice per la scelta del concessionario di servizi.

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In particolare, sono stati adattati al settore dei servizi il contenuto della proposta presentata dal promotore e l'individuazione delle attività cui è tenuta l'amministrazione in sede di valutazione della proposta medesima. Si è proceduto a definire il meccanismo di selezione dell'affidatario del servizio, prevedendo l'esperimento della procedura di gara di cui all'art. 30, comma 3, del Codice, alla quale è invitato il promotore con diritto di prelazione. È stata, inoltre, definita nei contenuti la progettazione di servizi e forniture (articolo 279). Nel regolamento ha trovato spazio anche la disciplina esecutiva del sistema dinamico di acquisizione e dei presupposti, delle condizioni e delle modalità di svolgimento dell'asta elettronica. In tema di e-procurement è prevista una procedura interamente gestita con sistemi telematici (ivi compreso il mercato elettronico per gli acquisti d'importo inferiore alla soglia di rilievo comunitario) tenendo conto delle esperienze e dei progressi tecnologici già raggiunti in applicazione del Dpr n. 101/2002 e coordinando il contenuto dello stesso alla disciplina del Codice. Sempre in tema di novità, va segnalata anche l'introduzione di un'articolata disciplina in tema di esecuzione del contratto e contabilità (titolo III) nonché in tema di collaudo, che per i servizi e le forniture assume la connotazione di una verifica di conformità delle prestazioni contrattuali (titolo IV).

Parte quinta: contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture nei settori speciali

La parte V è dedicata ai contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture nei settori speciali e tende a omogeneizzare l'attività negoziale degli enti aggiudicatori a una serie di vincoli finalizzati al rispetto dei principi di trasparenza, concorrenza, non discriminazione e a garantire margini di flessibilità, in ottemperanza alle previsioni della direttiva 2004/17/Ce e al rinvio selettivo operato dall'art. 206, comma 1, del Codice dei contratti pubblici. Per quanto concerne i requisiti di qualificazione (art. 340), per ciò che attiene alla fase di scelta del contraente, sono stati specificati gli ambiti di flessibilità già riconosciuti dal Codice dei contratti che, nel rispetto dei principi di proporzionalità e adeguatezza, possono garantire agli enti aggiudicatori nella gestione di sistemi di qualificazione e, limitatamente alle imprese pubbliche e ai soggetti privati, nella qualificazione alle singole gare di appalto, di avere a che fare con concorrenti affidabili in relazione all'esecuzione delle prestazioni richieste.

Parti sesta e settima

Il regolamento si sviluppa, infine, con una parte VI dedicata ai contratti eseguiti all'estero (precedentemente disciplinati dal titolo XIV del regolamento n. 554/1999 per quanto concerne il settore dei lavori), con una parte VII, avente a oggetto le norme transitorie e le abrogazioni, e con gli allegati.

Conclusioni

In conclusione, con il regolamento è stato completato e ordinato il panorama normativo dei contratti pubblici, racchiudendo in un unico testo tutte le disposizioni regolamentari oggi sparse in più contenitori non coordinati con il Dlgs n. 163/2006, apportando diverse e notevoli novità, tra le quali quelle segnalate. Per quanto concerne l'entrata in vigore delle disposizioni regolamentari, l'art. 253, comma 2, del Codice, stabilisce che il regolamento entra in vigore dopo centottanta giorni dalla data di pubblicazione, a esclusione delle disposizioni relative alle sanzioni alle imprese e alle SOA, per le quali è prevista l'entrata in vigore quindici giorni dopo la pubblicazione del regolamento.

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Appalti

Servizi pubblici locali di rilevanza economica Pierpaolo Masciocchi, Il Sole 24 ORE - Codice Ambiente e Sicurezza E’ stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 239 del 12 ottobre 2010 il D.P.R. 7 settembre 2010, n. 168 recante “Regolamento in materia di servizi pubblici locali di rilevanza economica, a norma dell'articolo 23-bis, comma 10, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133”. Va premesso che, con il predetto art. 23-bis, il legislatore statale aveva inteso introdurre una disciplina omogenea di ordine generale in tema di servizi pubblici locali di rilevanza economica atta a prevalere su quelle di settore non compatibili, nella dichiarata finalità di “favorire la più ampia diffusione dei principi di concorrenza, di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi per tutti gli operatori economici interessati, nonché di garantire il diritto di tutti gli utenti all’universalità ed accessibilità dei servizi pubblici locali ed ai livelli essenziali delle prestazioni, assicurando un adeguato sistema di tutela degli utenti”. La norma, pertanto, anche in attuazione della disciplina comunitaria, mirava ad impedire l’acquisizione di ingiustificate posizioni di vantaggio nel delicato e strategico settore dei servizi pubblici locali di rilevanza economica. Sotto il profilo della ripartizione “interna” di competenze legislative tra Stato e Regioni, la disciplina in questione andava inquadrata nell’ambito delle materie della tutela della concorrenza e della determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, attribuite alla competenza esclusiva dello Stato ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lett. e) ed m) della Costituzione. Il legislatore statale, al comma 2 del citato art. 23-bis, aveva stabilito che il conferimento della gestione dei servizi pubblici locali dovesse avvenire, in via ordinaria, a favore di imprenditori o di società in qualunque forma costituite individuate mediante procedure competitive ad evidenza pubblica ovvero a società a partecipazione mista pubblica e privata, a condizione che la selezione del socio avvenisse mediante specifiche procedure ad evidenza pubblica, cosiddette “a doppio oggetto”, e che al socio privato fosse attribuita un partecipazione non inferiore al 40%. I commi 3 e 4 del citato art. 23-bis consentivano, tuttavia, una deroga alle predette modalità ordinarie, nel caso di situazioni eccezionali che, a causa di peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento, non permettessero un efficace e utile ricorso al mercato. In tali casi veniva previsto che l’affidamento potesse avvenire a favore di società a capitale interamente pubblico, partecipate dall’ente locale, in possesso dei requisiti richiesti dall’ordinamento comunitario per la gestione cosiddetta “in house” e, comunque, nel rispetto dei principi della disciplina comunitaria in materia di controllo analogo sulla società e di prevalenza dell’attività svolta dalla stessa con l’ente o gli enti pubblici che la controllano. Il percorso procedimentale per addivenire ad un affidamento diverso da quello ordinario veniva delineato dal comma 4 della citata disposizione di legge che, ricorrendo i presupposti del comma 3, obbligava l’ente affidante a dare adeguata pubblicità alla scelta e a motivarla in base a un’analisi del mercato che doveva essere vagliata dall’Autorità garante della concorrenza alla quale le amministrazioni dovevano trasmettere una relazione. Altri due aspetti della recente normativa rivestono, poi, una particolare rilevanza. Il primo riguarda la previsione di un regime transitorio che imponeva tempi precisi per la scadenza delle gestioni attualmente in corso a seconda delle diverse caratteristiche societarie. Il secondo è l’inserimento del servizio di fornitura idrica tra i settori oggetto della riforma.

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Restano, invece, esclusi dalla riforma la distribuzione di gas naturale e di energia elettrica, il cui mercato è già liberalizzato, il trasporto ferroviario regionale e quello della gestione delle farmacie comunali. Nelle Regioni a statuto speciale e nelle province autonome di Trento e di Bolzano sono esclusi anche i contratti di servizio in materia di trasporto pubblico locale su gomma. L’articolo 23-bis prevedeva, infine, che ulteriori modifiche alla disciplina dei servizi pubblici dovessero essere apportate con successivi provvedimenti governativi di natura regolamentare. Tali regolamenti avrebbero dovuto prevedere: a) l’assoggettamento dei soggetti affidatari cosiddetti in house di servizi pubblici locali al patto di

stabilità interno, tenendo conto delle scadenze fissate al comma 8, e l’osservanza da parte delle società in house e delle società a partecipazione mista pubblica e privata di procedure ad evidenza pubblica per l’acquisto di beni e servizi e l’assunzione di personale;

b) in attuazione dei principi di proporzionalità e di adeguatezza di cui all’ articolo 118 della Costituzione, la possibilità per i comuni con un limitato numero di residenti di svolgere le funzioni relative alla gestione dei servizi pubblici locali in forma associata;

c) una netta distinzione tra le funzioni di regolazione e le funzioni di gestione dei servizi pubblici locali, anche attraverso la revisione della disciplina sulle incompatibilità;

d) l’armonizzazione della nuova disciplina e quella di settore applicabile ai diversi servizi pubblici locali, individuando le norme applicabili in via generale per l’affidamento di tutti i servizi pubblici locali di rilevanza economica in materia di rifiuti, trasporti, energia elettrica e gas, nonché in materia di acqua;

e) l’applicazione del principio di reciprocità ai fini dell’ammissione alle gare di imprese estere; f) limitazioni, secondo criteri di proporzionalità, sussidiarietà orizzontale e razionalità economica,

dei casi di gestione in regime d’esclusiva dei servizi pubblici locali, liberalizzando le altre attività economiche di prestazione di servizi di interesse generale in ambito locale compatibili con le garanzie di universalità ed accessibilità del servizio pubblico locale;

g) idonee forme di ammortamento degli investimenti e una durata degli affidamenti strettamente proporzionale e mai superiore ai tempi di recupero degli investimenti;

h) in caso di subentro, una disciplina per la cessione dei beni di proprietà del precedente gestore, necessari per la prosecuzione del servizio;

l) adeguati strumenti di tutela non giurisdizionale anche con riguardo agli utenti dei servizi; m) le soglie economiche, intese come valore del servizio da affidare, per le quali sia

effettivamente richiesto il parere dell’Antitrust per le deroghe degli affidamenti in house. In attuazione dei vari principi di delega sopra evidenziati, il regolamento in commento, approvato in via definitiva il 22 luglio u.s., ha previsto innanzitutto, con riguardo alla gestione del servizio idrico integrato, che rimangano ferme l’autonomia gestionale del soggetto gestore, la piena ed esclusiva proprietà pubblica delle risorse idriche nonché la spettanza esclusiva alle istituzioni pubbliche del governo delle risorse stesse. L’articolo 2 ha previsto misure in materia di liberalizzazione stabilendo che gli enti locali verifichino la realizzabilità di una gestione concorrenziale dei servizi pubblici locali, limitando l’attribuzione di diritti di esclusiva, ove non diversamente previsto dalla legge, ai casi in cui, in base ad un’analisi di mercato, la libera iniziativa economica privata non risulti idonea, secondo criteri di proporzionalità, sussidiarietà orizzontale ed efficienza, a garantire un servizio rispondente ai bisogni della comunità, e liberalizzando in tutti gli altri casi le attività economiche compatibilmente con le caratteristiche di universalità e accessibilità del servizio. Al fine poi di eliminare disparità determinate dall’imposizione alle imprese di obblighi di servizio pubblico che possano falsare il gioco della concorrenza, si prevede che gli enti locali, per assicurare agli utenti l’erogazione di servizi pubblici che abbiano ad oggetto la produzione di beni e attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali, definiscano, ove necessario, gli obblighi di servizio pubblico prevedendo le eventuali compensazioni economiche alle aziende esercenti i servizi stessi, tenendo conto dei proventi derivanti dalle tariffe e nei limiti della disponibilità di bilancio.

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L’articolo 3, al comma 1, prevede i parametri che le procedure competitive ad evidenza pubblica devono rispettare, analogamente a quanto già previsto dal comma 7, primo periodo, dell’art. 113 del D.Lgs 267/2000. Il comma 2 chiarisce, invece, che le società a capitale interamente pubblico possono partecipare alle procedure competitive ad evidenza pubblica sempre che non via siano specifici divieti previste dalla legge. Rispetto allo schema di regolamento approvato in via preliminare dal Consiglio dei Ministri, nella versione definitiva del provvedimento è stato aggiunta, tra le prescrizioni da inserire nel bando di gara, la previsione dell’adozione di carte di servizi al fine di garantire la trasparenza informativa e la qualità del servizio. L’articolo 4 definisce le soglie oltre le quali gli affidamenti di servizi pubblici locali assumono rilevanza ai fini dell’espressione del parere da parte dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato. In particolare tale rilevanza si configura se il valore economico del servizio oggetto dell’affidamento supera la somma complessiva di 200.000 euro annui. Con riferimento esclusivo ai servizi idrici, nella richiesta del parere l’ente affidante può rappresentare specifiche condizioni di efficienza che rendono la gestione cosiddetta “in house” non distorsiva della concorrenza, ossia comparativamente non svantaggiosa per i cittadini rispetto a una modalità alternativa di gestione dei servizi pubblici locali. L’articolo 5 assoggetta al patto di stabilità interno gli affidatari “in house” di servizi pubblici locali mentre il successivo articolo 6 prevede che le società “in house” e le società a partecipazione mista pubblica e privata, affidatarie di servizi pubblici locali, applichino, per l’acquisto di beni e servizi, le disposizioni del codice dei contratti pubblici. L’articolo 8 contiene alcune disposizioni tese a distinguere le funzioni di regolazione da quelle di gestione. Si tratta, in particolare:

a) di alcune incompatibilità per gli amministratori, i dirigenti e i responsabili, e loro congiunti, degli uffici o dei servizi dell’ente locale, nonché di altri organismi che espletano funzioni di stazione appaltante, di regolazione, di indirizzo e di controllo di servizi pubblici locali, e per coloro che prestano, o hanno prestato nel triennio precedente, a qualsiasi titolo, attività di consulenza o collaborazione in favore di enti locali e dei soggetti che hanno affidato la gestione del servizio pubblico locale;

b) di alcuni divieti alla nomina di amministratore di società partecipate da enti locali;

c) di alcune disposizioni per la nomina dei componenti della commissione di gara per l’affidamento della gestione dei servizi pubblici locali, sulla falsariga anche di quanto previsto dal codice dei contratti pubblici;

d) della sottoposizione alla vigilanza all’organo di revisione dell’ente locale affidante della verifica del rispetto del contratto di servizio in tutti i casi in cui il capitale sociale del soggetto gestore è partecipato dall’ente medesimo.

L’articolo 10 disciplina infine, per il caso di subentro, la cessione dei beni di proprietà del precedente gestore, necessari per la prosecuzione del servizio. Si distingue a seconda se i beni strumentali e le loro pertinenze, necessari per la prosecuzione del servizio, siano stati interamente ammortizzati o meno, prevedendo, nel primo caso, che la cessione in favore del gestore subentrante avvenga a titolo gratuito e senza pesi e gravami, essendo stato il relativo investimento già ammortizzato in tariffa. Nella seconda ipotesi è prevista la corresponsione, da parte del subentrante e a favore del precedente gestore, di un importo pari all’originario valore contabile dei beni non ancora ammortizzati, al netto di eventuali contributi pubblici direttamente riferibili ai beni stessi. Relativamente alla tempistica prevista per la cessazione degli affidamenti esistenti, il regolamento approvato prevede quattro distinte ipotesi:

1) il 31 dicembre 2010 dovranno obbligatoriamente cessare tutti gli affidamenti in house a società pubbliche che non rispettino i principi comunitari;

2) nel caso, invece, di affidamenti in house a società pubbliche che rispettino i principi comunitari, si prevede o la scadenza al 31 dicembre 2011 ovvero la scadenza del contratto se entro il 2011 le amministrazioni abbiano ceduto almeno il 40% del capitale ed abbiano individuato con gara il socio operativo;

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3) per gli affidamenti diretti a società miste la scadenza generale è il 31 dicembre 2010. Qualora invece il socio sia stato individuato con gara la scadenza slitta al 31 dicembre 2011. E’ possibile infine prevedere la scadenza dell’affidamento alla cessazione del contratto se la gara per l’individuazione del socio ha attribuito anche compiti operativi;

4) per gli affidamenti diretti a società controllate quotate in borsa, si prevede la scadenza dell’affidamento alla scadenza del contratto se la partecipazione pubblica scende sotto il 40% entro il 30 giugno 2013 e sotto il 30% entro il 31 dicembre 2015. Nell’ipotesi in cui la partecipazione pubblica non scenda sotto il 40% entro il 30 giugno 2013 la scadenza dell’affidamento avverrà il 30 giugno 2013 mentre nel caso in cui partecipazione pubblica non scenda sotto il 30% entro il 31 dicembre 2015 la scadenza dell’affidamento avverrà il 31 dicembre 2015.

Da ultimo, si ritiene utile osservare che, a seguito dell’entrata in vigore del regolamento – prevista per il 27 ottobre p.v. - la riforma dei servizi pubblici locali si è formalmente completata, divenendo quindi obbligatorio, su scala nazionale e salvo le deroghe previste dal comma 3 dell’art. 23-bis del D.L. 112/2008, così come convertito dalla L. 133/2008, il ricorso alla gara per gli affidamenti pubblici. E’ pertanto evidente come occorra monitorare con attenzione gli effetti che l’introduzione della procedura ad evidenza pubblica dispiegherà sul territorio, soprattutto in riferimento alle scadenze delle concessioni schematizzate nella Tabella 1, di seguito illustrata. Altro aspetto oggetto di particolare interesse riguarda l’applicazione del comma 4, dell’articolo 23-bis, del D.L. 25-6-2008, n. 112 (Legge n. 133/2008). La norma infatti prevede, per gli affidamenti diretti in deroga alla procedura di gara, l’obbligo per l’ente affidante di dare adeguata pubblicità alla scelta, motivandola in base ad un'analisi del mercato e, contestualmente, di trasmettere una relazione contenente gli esiti della predetta verifica all'Autorità garante della concorrenza e del mercato per l'espressione di un parere preventivo. Parere, questo, che, in base all’articolo 4 del Regolamento, sarà obbligatorio solo per gli affidamenti diretti di servizi pubblici locali aventi un valore economico superiore ai 200.000 euro/anno.

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Tabella 1 - Previsioni normative sulle scadenze delle concessioni

TIPOLOGIA AFFIDAMENTO/SOCIETÀ

SCADENZE / PROROGHE

AFFIDAMENTI IN HOUSE A SOCIETA’ PUBBLICHE CHE NON RISPETTINO I PRINCIPI COMUNITARI*

31 dicembre 2010

AFFIDAMENTI IN HOUSE A SOCIETA’ PUBBLICHE CHE RISPETTINO I PRINCIPI COMUNITARI*

1. 31 dicembre 2011 2. Scadenza naturale del contratto se entro il 2011 le

amministrazioni abbiano ceduto almeno il 40% del capitale ed abbiano individuato con gara il socio operativo;

AFFIDAMENTI DIRETTI A SOCIETA’ MISTE

1. 31 dicembre 2010 2. 31 dicembre 2011 se il socio è stato individuato con gara; 3. Scadenza naturale del contratto se il socio privato scelto

con gara ha compito operativi.

AFFIDAMENTI DIRETTI A SOCIETÀ CONTROLLATE QUOTATE IN BORSA

1. Scadenza naturale del contratto se la partecipazione pubblica scende sotto il 40% entro il 30 giugno 2013 e sotto il 30% entro il 31 dicembre 2015;

2. Nell’ipotesi in cui la partecipazione pubblica non scenda sotto il 40% entro il 30 giugno 2013 la scadenza dell’affidamento avverrà il 30 giugno 2013 mentre nel caso in cui partecipazione pubblica non scenda sotto il 30% entro il 31 dicembre 2015 la scadenza dell’affidamento avverrà il 31 dicembre 2015.

CASI RESIDUALI 31 dicembre 2010

* Il rispetto dei principi comunitari può essere desunto dall’analisi dei principi affermati dalla Corte di giustizia delle Comunità europee la quale prevede che il meccanismo dell'affidamento diretto a soggetti in house deve essere strutturato in modo da evitare che esso possa risolversi in una ingiustificata compromissione dei principi che presiedono al funzionamento del mercato e, dunque, in una violazione delle prescrizioni contenute nel Trattato CE a tutela della concorrenza.

• Riferimenti utili: Corte di giustizia : - sentenza Teckal del 18 novembre 1999; - sentenza Stadt Halle dell'11 gennaio 2005.

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Appalti

Durc e appalti pubblici: ultimi chiarimenti del Ministero di Danilo Papa, Il Sole 24 ORE Guida al Lavoro n. 41 del 22 ottobre 2010 Il Ministero del lavoro fornisce importanti indicazioni che trovano fondamento in una determinazione dell'Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici di Lavori, Servizi e Forniture (Avcp) del 12 gennaio 2010. Determinazione Avcp n. 1/2010 Si tratta della determinazione n. 1/2010 che interviene a chiarire diversi aspetti legati al rilascio del Durc, fra i quali la soglia di gravità, la definitività dell'accertamento e la validità temporale. Quanto alla soglia di gravità, l'Autorità rinvia al Dm 24 ottobre 2007, il quale definisce i parametri di valutazione della irregolarità contributiva, fissando - per l'appunto - una "soglia di gravità" dell'inadempimento che limita la discrezionalità delle stazioni appaltanti circa la verifica del requisito della regolarità contributiva. Il Dm stabilisce infatti che, ai soli fini della partecipazione a gare di appalto, va rilasciato un Durc regolare pur in presenza di una omissione contributiva non grave. La gravità del debito è poi individuata secondo due parametri: uno scostamento "inferiore o pari al 5% tra le somme dovute e quelle versate con riferimento a ciascun periodo di paga o di contribuzione" o, comunque, "uno scostamento inferiore ad euro 100,00", fermo restando l'obbligo di pagamento di tali importi entro 30 giorni dal rilascio del Durc. In sostanza, come spiega la circolare n. 5/2008 del Ministero del lavoro, pur in presenza di uno scostamento superiore al 5%, il Durc è comunque rilasciato qualora il debito contributivo sia inferiore a 100 euro (1). Da quanto sopra e sulla base di alcuni orientamenti del Consiglio di Stato (2), l'Autorità di vigilanza chiarisce che, in presenza di un Durc da cui emerga una irregolarità contributiva grave nel senso anzidetto (scostamento superiore al 5% tra somme dovute e somme versate), le stazioni appaltanti sono tenute a prendere atto della certificazione senza poterne in alcun modo sindacare le risultanze. L'Autorità considera infatti la certificazione quale dichiarazione di scienza assistita da fede privilegiata ai sensi dell'art. 2700 c.c. e pertanto "attaccabile" solo attraverso querela di falso. Da ciò deriva anche che il procedimento di rilascio del Durc ha una sua autonomia rispetto al procedimento di gara ed è sottoposto alle regole proprie della materia previdenziale, della cui corretta applicazione è peraltro competente a conoscere il giudice ordinario (3). Per quanto concerne la definitività dell'accertamento, l'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici chiarisce che la stessa "è insita nella circostanza che l'operatore economico, che ha regolarmente presentato la denuncia mensile delle retribuzioni soggette a contribuzione percepite dai lavoratori occupati, ha l'obbligo di versare quanto dovuto e dichiarato, alle scadenze mensili o, comunque, periodiche di cui egli stesso è a conoscenza". Secondo l'Autorità, la definitività dell'accertamento sussiste quindi nel caso di ingiustificata sospensione della rateizzazione di un debito contributivo pregresso autorizzato dall'Istituto competente. Anche la mancata sospensione della cartella amministrativa, conseguente all'assenza di ricorso amministrativo o giudiziario, comporta la definitività dell'accertamento mentre, in caso di ricorso avverso atti di accertamento del debito o di condono previdenziale o, ancora, di una rateizzazione del debito, è possibile certificare la regolarità contributiva. Tali indicazioni scaturiscono dalla previsione di cui all'art. 8 del Dm 24 ottobre 2007 (4), sulla quale sono stati forniti recentemente alcuni chiarimenti dallo stesso Ministero del lavoro. Il Ministero infatti, con l'interpello n. 64/2009, ha da un lato chiarito che il decorso del termine assegnato per la decisione di un ricorso amministrativo è considerato quale silenzio-rigetto, con conseguente impossibilità di rilasciare il Durc, in assenza di pendenza di ricorso giudiziario e, dall'altro, con nota del 18 giugno scorso, ha ulteriormente precisato che l'effetto del silenzio-rigetto non opera in

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relazione ai ricorsi Inps. Nel ribadire i contenuti dell'art. 1, comma 2, del Dpr n. 1199/1971 - secondo cui "contro gli atti amministrativi (...) di Enti pubblici (...) è ammesso il ricorso da parte di chi vi abbia interesse nei casi, nei limiti e con le modalità previste dalla legge o dagli ordinamenti dei singoli Enti" - il Ministero ha infatti ricordato che l'Inps nella propria delibera n. 13 del 21 maggio 1993 "non ha riconosciuto alcuna significatività, ai fini dell'esito del ricorso amministrativo, all'inutile decorso del termine assegnato dal Legislatore per la sua decisione, mentre tale fattispecie viene riconosciuta rilevante quale condizione di procedibilità per promuovere il contenzioso giudiziario" (5). Sulla base di tali premesse il Ministero, nel rendere coerente il principio espresso nella risposta ad interpello n. 64/2009 con la vigente regolamentazione dell'Inps in tema di gravame amministrativo, riconosce "la possibilità per l'Istituto di attestare la regolarità contributiva, ai fini del rilascio del Durc, fino alla adozione del provvedimento formale di decisione da parte dell'Organo competente a pronunciarsi ai sensi della legge n. 88/1989". Ancora sulla definitività dell'accertamento l'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici ricorda che il requisito della regolarità contributiva deve sussistere fin dal momento della presentazione della domanda di partecipazione (essendo irrilevanti eventuali adempimenti tardivi) e per tutta la durata della procedura di gara, fino alla aggiudicazione ed alla sottoscrizione del contratto (6). Per quanto concerne la validità temporale del Documento, l'Autorità ritiene, anche in un'ottica di semplificazione e speditezza delle procedure di gara, che alla certificazione vada riconosciuta una validità trimestrale anche nel settore degli appalti pubblici, al pari di quanto disposto dall'art. 39-septies del Dl n. 273/2006 (conv. da legge n. 51/2006) con espresso riferimento al solo settore dei lavori privati in edilizia (7). Ultimi chiarimenti attengono: - all'obbligo di iscrizione alla Cassa edile per le imprese che eseguono lavori pubblici pur applicando contratti collettivi di lavoro differenti; in tal caso l'Autorità ritiene che la certificazione vada rilasciata dall'Inps e dall'Inail, spettando il rilascio del Durc alla Cassa edile solo per le imprese inquadrate nel settore dell'edilizia. Sul punto va tuttavia precisato che il Ministero del lavoro, nella risposta ad interpello n. 56/2008 richiamata dall'Autorità, dice qualcosa di più, ritenendo che l'obbligo di iscrizione alle Casse edili "ricorre esclusivamente per le imprese inquadrate o inquadrabili nel settore dell'edilizia" e che "nell'ambito delle procedure di appalto, non costituisce elemento di irregolarità contributiva l'assenza dei versamenti alle Casse edili per le aziende non rientranti nello specifico settore e che applicano pertanto un contratto collettivo diverso da quello dell'edilizia". In sostanza per le aziende che svolgono attività rientranti nel campo di applicazione del settore edile sussiste sempre l'obbligo di iscrizione e versamento alle Casse edili, in assenza del quale non è possibile il rilascio del Durc; - all'obbligo del Durc anche in relazione alle procedure di acquisizione in economia di beni, servizi e lavori, ad esclusione dell'ipotesi di amministrazione diretta ex articolo 125, comma 3, del Dlgs n. 163/2006 (8). La circolare del Ministero Sulla base delle precisazioni dell'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici, il Ministero del lavoro ha dunque emanato la circolare n. 35/2010 concordata, quanto ai suoi contenuti, con Inps, Inail e Commissione nazionale paritetica per le Casse edili. Il Ministero evidenzia anzitutto che, relativamente ai contratti pubblici disciplinati dal Dlgs n. 163/2006, nell'ambito delle procedure di selezione del contraente, deve essere acquisito un Durc per ciascuna procedura (9), il quale attesterà la regolarità contributiva alla data di rilascio del Documento emesso ai fini della partecipazione alla procedura di selezione ed avrà validità trimestrale rispetto alla specifica procedura per la quale è stato richiesto. Analogamente, secondo il Ministero, ha validità trimestrale il Durc emesso ai fini del controllo delle autocertificazioni presentate ai sensi del Dpr n. 445/2000 che attesta la regolarità alla data dell'autocertificazione che è stata indicata nella richiesta; in entrambi i casi, il Durc può essere utilizzato dalla stazione appaltante, all'interno della medesima procedura di selezione, anche ai fini della aggiudicazione e sottoscrizione del contratto, purché ancora in corso di validità (ossia non anteriore a tre mesi rispetto alla data di aggiudicazione e/o alla data di stipula).

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A parere di chi scrive, la scelta di prevedere una validità del Durc trimestrale anche nell'ambito degli appalti pubblici non stride con l'impostazione normativa. E' pur vero che il Legislatore ha previsto una validità trimestrale del Documento solo nell'ambito degli appalti privati in edilizia, ma tale disposizione può essere letta come la scelta dello stesso Legislatore di rimettere proprio all'apparato amministrativo l'individuazione della validità temporale del Durc per ogni altro utilizzo, anche al fine di poter al meglio "calibrare" la gestione delle procedure di certificazione con le mutevoli condizioni di mercato. Il Ministero evidenzia inoltre che, nell'ambito degli appalti pubblici, non può essere utilizzato un Durc richiesto a fini diversi (ad esempio un Durc richiesto ai fini della fruizione di benefici e sovvenzioni previsti dalla disciplina comunitaria o un Durc richiesto per lavori privati dell'edilizia); ciò in quanto le verifiche operate dai competenti Istituti e/o Casse edili seguono ambiti e procedure in parte diverse in relazione alle finalità per cui è emesso il Documento. Di seguito la circolare fornisce le seguenti ulteriori indicazioni: - per le fasi di stato avanzamento lavori o di stato finale/regolare esecuzione, fermo restando l'obbligo di richiedere un nuovo Durc per ciascun Sal o stato finale riferiti ad ogni singolo contratto, il Durc ha validità trimestrale ai fini del pagamento per il quale è stato acquisito; analogamente, in sede di liquidazione di fatture relative a contratti pubblici per servizi e forniture, il Durc ha validità trimestrale ai fini del pagamento; - il Durc deve essere richiesto anche nel caso di contratti relativi all'acquisizione di beni, servizi e lavori effettuati in economia ai sensi dell'art. 125, comma 1, lett. b) del Dlgs n. 163/2006 ed ha validità trimestrale con riferimento allo specifico contratto; per ragioni di semplificazione e speditezza, nella sola ipotesi di acquisizioni in economia di beni e servizi per i quali è consentito l'affidamento diretto da parte del responsabile del procedimento, il Durc ha validità trimestrale in relazione all'oggetto e non allo specifico contratto; - la validità trimestrale va estesa anche ai Documenti rilasciati ai fini dell'attestazione Soa e dell'iscrizione all'albo fornitori; diversamente, per specifico dettato normativo, il Durc rilasciato per la fruizione di benefici normativi e contributivi ha validità mensile ai sensi dell'art. 7, comma 1, del Dm 24 ottobre 2007; - il Durc rilasciato con riferimento ai lavori privati in edilizia, anch'esso con validità trimestrale ai sensi dell'art. 39-septies del Dl n. 273/2005 (conv. da legge n. 51/2006), può essere utilizzato, per l'intero periodo di validità, ai fini dell'inizio di più lavori.

Validità trimestrale del Durc

Nell'ambito delle procedure di selezione del contraente il Durc ha validità trimestrale rispetto alla specifica procedura per la quale è stato richiesto. Il Durc può essere utilizzato dalla stazione appaltante, all'interno della medesima procedura di selezione, anche ai fini della aggiudicazione e sottoscrizione del contratto, purché ancora in corso di validità; ha validità trimestrale il Durc emesso ai fini del controllo delle autocertificazioni presentate ai sensi del Dpr n. 445/2000; fermo restando l'obbligo di richiedere un nuovo Durc per ciascun Sal o stato finale riferiti ad ogni singolo contratto, il Durc ha validità trimestrale ai fini del pagamento per il quale è stato acquisito; analogamente, in sede di liquidazione di fatture relative a contratti pubblici per servizi e forniture, il Durc ha validità trimestrale ai fini del pagamento; il Durc richiesto in relazione a contratti relativi all'acquisizione di beni, servizi e lavori effettuati in economia (art. 125, comma 1 lett. b) del Dlgs n. 163/2006) ha validità trimestrale con riferimento allo specifico contratto; nella sola ipotesi di acquisizioni in economia di beni e servizi per i quali è consentito l'affidamento diretto da parte del responsabile del procedimento, il Durc ha validità trimestrale in relazione all'oggetto e non allo specifico contratto; la validità trimestrale è estesa anche ai Documenti rilasciati ai fini dell'attestazione Soa e dell'iscrizione all'albo fornitori.

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Altre indicazioni nell'ambito degli appalti pubblici, non può essere utilizzato un Durc richiesto a fini diversi (ad esempio un Durc richiesto ai fini della fruizione di benefici e sovvenzioni previsti dalla disciplina comunitaria o un Durc richiesto per lavori privati dell'edilizia); il Durc rilasciato con riferimento ai lavori privati in edilizia, anch'esso con validità trimestrale ai sensi dell'art. 39-septies del Dl n. 273/2005 (conv. da legge n. 51/2006), può essere utilizzato, per l'intero periodo di validità, ai fini dell'inizio di più lavori. ----- (1) Tale previsione era stata introdotta per ovviare alle possibili conseguenze negative di un orientamento del Tar Lecce (sentenza 24 novembre 2006, n. 5465) - tuttavia successivamente superato da un diverso pronunciamento del Consiglio di Stato (v. sentenza 8 maggio 2007, n. 4273) - chiamato in causa da una società che impugnava un bando di gara indetto dalla Provincia nella parte in cui lo stesso, nel richiedere alle imprese partecipanti la regolarità contributiva, precisava che "non sarà ritenuta valida la certificazione Durc che, eventualmente, riportasse l'attestazione della regolarizzazione avvenuta successivamente alla data di presentazione della domanda". Il Tar Lecce accoglieva il ricorso, rilevando come non fosse sufficiente per l'esclusione dalla gara la sola certificazione relativa alla assenza di regolarità contributiva, occorrendo invece l'ulteriore verifica circa la "gravità" della infrazione agli obblighi contributivi. La pronuncia rischiava dunque di compromettere l'efficacia del Durc quale elemento indispensabile nell'ambito delle procedure di appalto pubblico, ciò in quanto il Documento non garantirebbe la sussistenza del requisito della "gravità" delle omissioni contributive. (2) Cfr. Cons. Stato 19 novembre 2009, n. 7255; Cons. Stato 10 febbraio 2009, n. 1458. (3) Cfr. Cons. di Stato 23 gennaio 2008, n. 147. (4) Secondo il quale "Il Durc è rilasciato anche qualora vi siano crediti iscritti a ruolo per i quali sia stata disposta la sospensione della cartella amministrativa a seguito di ricorso amministrativo o giudiziario. Relativamente ai crediti non ancora iscritti a ruolo: a) in pendenza di contenzioso amministrativo, la regolarità può essere dichiarata sino alla decisione che respinge il ricorso; b) in pendenza di contenzioso giudiziario, la regolarità è dichiarata sino al passaggio in giudicato della sentenza di condanna, salvo l'ipotesi in cui l'Autorità giudiziaria abbia adottato un provvedimento esecutivo che consente l'iscrizione a ruolo delle somme oggetto del giudizio ai sensi dell'art. 24 del decreto legislativo 26 febbraio 1999, n. 46". (5) In questo senso il Ministero cita Cons. Stato 24 febbraio 2000, n. 983. (6) In tal senso l'Autorità rinvia agli orientamenti del Consiglio di Stato espressi in sent. 31 maggio 2007, n. 2876; 30 gennaio 2006, n. 288; 27 dicembre 2004, n. 8215. (7) Al riguardo l'Autorità segnala la sentenza del Tar Puglia 16 ottobre 2009, n. 2304. (8) Si fa rinvio a quanto chiarito dal Ministero del lavoro con risposta ad interpello n. 10/2009. (9) A tale proposito si ricorda che, in base all'art. 16-bis, comma 10, del Dl n. 185/2009 (conv. dalla legge n. 2/2009), "le stazioni appaltanti pubbliche acquisiscono d'ufficio, anche attraverso strumenti informatici, il Documento unico di regolarità contributiva (Durc) dagli Istituti o dagli Enti abilitati al rilascio in tutti i casi in cui è richiesto dalla legge".

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Edilizia e urbanistica

Espropri, la Consulta boccia la norma che permetteva di sanare procedure illegittime di Roberto Ollari, Il Sole 24 Ore - Edilizia e Territorio, 18 ottobre 2010, n. 40 Con una pronuncia di grande rilievo la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’articolo 43 del Dpr 327/2001 che permetteva si sanare gli espropri effettuati con procedure irregolari garantendoall’amministrazione l’acquisizione delle aree. La Corte costituzionale ha cancellato la sanatoria degli espropri illegittimi, lasciando un vuoto che il legislatore dovrà colmare, senza però riproporre soluzioni normative che si limitino, sempre e in ogni caso, a trasferire la proprietà del terreno (dal privato) all’amministrazione che ha sbagliato. Con la sentenza n. 293, depositata l’8 ottobre 2010, i giudici della Consulta hanno dichiarato non costituzionale per “eccesso di delega” l’intero articolo 43 del Testo unico delle espropriazioni per pubblica utilità (Dpr 327/2001). La sentenza è molto importante per vari motivi: 1) elimina una norma strategica, che doveva porre fine al caos prima amministrativo e poi giurisprudenziale che per anni è stato censurato dall’Europa (in particolare dalla c.d. Cedu, cioè la Corte europea dei diritti dell’uomo, che si occupa di tutelare il diritto di proprietà dei cittadini degli Stati membri); 2) incide su vari istituti giurisprudenziali (la c.d. occupazione acquisitiva e la occupazione usurpativa), che l’articolo 43 pretendeva di aver sostituito, ma che con la sua “morte” non torneranno in vita (nemmeno nello spazio di tempo che il legislatore impiegherà per legiferare); 3) non garantisce alle amministrazioni – in caso di giudizio – di poter mantenere le aree illegittimamente occupate (salvo diversa disposizione di legge, che disponga anche per il passato). Paradossalmente, la motivazione dell’annullamento della norma (violazione della legge delega 50/1999) non è così importante come le considerazioni espresse nella parte finale della sentenza, che, a una attenta lettura, legittimano le conclusioni sopra anticipate. L’eccesso di delega La norma censurata è contenuta nel testo unico, in materia di espropriazioni, redatto in attuazione della legge n. 50 del 1999, a sua volta collegata alla legge 15 marzo 1997, n. 59 che aveva previsto un generale strumento permanente di semplificazione e di delegificazione. In particolare, la delega riguardava il “riordino” delle norme elencate nell’allegato I alla legge n. 59 del 1997 che contemplava il «procedimento di espropriazione per causa di pubblica utilità e altre procedure connesse: legge 25 giugno 1865, n. 2359; legge 22 ottobre 1971, n. 865». La legge delega aveva conferito al legislatore delegato il potere di provvedere soltanto a un coordinamento “formale” relativo a disposizioni “vigenti”. L’istituto previsto e disciplinato dall’articolo 43 è, invece, connotato da numerosi aspetti di novità, rispetto sia alla disciplina espropriativa oggetto delle disposizioni espressamente contemplate dalla legge dele- ga, sia agli istituti di matrice prevalentemente giurisprudenziale (occupazione acquisitiva e usurpativa) che governavano la materia in precedenza. Il legislatore delegato non poteva innovare del tutto e al di fuori di ogni vincolo alla propria discrezionalità esplicitamente individuato dalla legge delega: il libero apprezzamento del legislatore delegato non può mai diventare principio o criterio direttivo, in quanto agli antipodi di una legislazione vincolata, quale è, per definizione, la legislazione su delega (sentenze n. 340 del 2007 e n. 68 del 1991 della Corte costituzionale). Così, per la seconda volta la Corte costituzionale ha esaminato la materia espropriativa senza pronunciarsi direttamente sul merito dell’articolo 43 (cioè sulla sua non congruità con il sistema generale), limitandosi a eliminarlo per eccesso di delega. Già in precedenza (sentenza 348/2007) la Consulta non aveva affrontato il problema della compatibilità dell’istituto dell’occupazione acquisitiva in quanto tale, ma aveva censurano solo i criteri indennitari.

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La norma cancellata La norma eliminata è stata operativa dal 30 giugno 2003 e ha disciplinato l’utilizzazione senza titolo, da parte dell’amministrazione, di un bene (del privato) per scopi di interesse pubblico. L’articolo 43 consentiva all’ente pubblico di emettere un secondo provvedimento espropriativo (c.d. in sanatoria, o di “occupazione acquisitiva”), dopo aver agito con una procedura illegittima, per il solo fatto di aver utilizzato il bene e di aver disposto il risarcimento dei danni, oltre agli interessi. Oggetto della norma potevano essere espropri errati per tutti i motivi possibili, quali la mancanza di una dichiarazione di pubblica utilità, o suo avvenuto annullamento da parte del Tar, oppure il superamento dei termini massimi per la conclusione del procedimento, oppure ancora la espropriazione di fatto di aree non comprese nel progetto di opera pubblica (ad esempio per errori catastali La norma ora espunta dall’ordinamento, con efficacia retroattiva, poteva sanare ogni errore. Era una delle disposizioni più importanti del Testo unico, utilizzato da molte amministrazioni e oggetto di centinaia di sentenze dei vari giudici. Si pensi che in 7 commi (tra cui il 6-bis, che riguardava la possibilità di imporre anche servitù, nonostante la procedura espropriativa fosse stata sbagliata) il legislatore delegato aveva regolato tempo e contenuto dell’atto di acquisizione, nonché l’impugnazione del medesimo, la facoltà dell’amministrazione di chiedere che il Tar si limitasse a condannare al risarcimento del danno, senza imporre la restituzione, fissando i criteri per la quantificazione del danno. L’articolo 43 aveva la pretesa di mettere ordine, sostituendo gli istituti (creati dalla giurisprudenza) della occupazione acquisitiva e di quella usurpativa. Le ragioni sostanziali La Corte afferma che: a) vi è un legittimo dubbio che l’articolo 43 rappresentasse una scelta in grado di garantire il rispetto dei principi della Cedu (Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, con sede a Strasburgo); tale dubbio la sentenza lo esprime, ma non lo risolve; b) la disciplina della norma eliminata offre solo una delle molteplici soluzioni possibili. La Consulta ritiene che il legislatore avrebbe potuto conseguire tale obiettivo e disciplinare in modi diversi la materia, anche eliminando del tutto la possibilità di acquisto connesso esclusivamente a fatti occupatori, garantendo la restituzione del bene al privato, in analogia con altri ordinamenti europei. La Corte, poi, avalla la giurisprudenza della Cedu (che con la sentenza 349/2007 della Corte costituzionale diventa vincolante anche per i giudici italiani) la quale, sia pure incidentalmente, ha precisato che «l’espropriazione indiretta si pone in violazione del principio di legalità», perché non è in grado di assicurare un sufficiente grado di certezza e permette all’amministrazione di utilizzare a proprio vantaggio una situazione di fatto derivante da “azioni illegali”. La Corte di Strasburgo, inoltre, ritiene illegittima l’espropriazione indiretta (sia acquisitiva sia usurpativa) sia allorché essa costituisca conseguenza di un’interpretazione giurisprudenziale, sia allorché derivi da una legge (con espresso riferimento all’articolo 43 del Tu ora dichiarato incostituzionale) in quanto tale forma di espropriazione non può comunque costituire un’alternativa a un’espropriazione adottata secondo «buona e debita forma » (causa Sciarrotta ed altri c. Italia, terza sezione, sentenza 12 gennaio 2006, ricorso 14793/02). In altre parole, la Consulta avverte il Legislatore di non trasporre in legge l’istituto previsto dall’articolo 43 (suscettibile di perpetuare le stesse negative conseguenze dell’espropriazione indiretta) perché potrebbe configgere con il principio di legalità. Più in là di così la Corte non poteva spingersi. La sentenza 293/2010, infatti, non ha potuto esprimersi nel merito della legittimità del contenuto dell’articolo 43, perché era pregiudiziale stabilire se il Dpr 327/2001 potesse introdurre questo nuovo istituto (e a causa dell’eccesso di delega ha verificato che ciò non era possibile). I giudici della Consulta, con grande abilità e senza travalicare il proprio ruolo, hanno cercato di fornire utili indicazioni al legislatore, mettendolo in guardia dai pericoli insiti nell’emanare una semplice norma che riproducesse la disciplina ora bocciata. Non basterà, insomma, cambiare la fonte (da legislatore delegato a Parlamento), ma occorrerà decidere in che modo disciplinare le espropriazioni irregolari.

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Gli effetti Va tenuto conto che la Corte, annullando una norma che prevedeva un provvedimento amministrativo di sanatoria, ha inciso sia sui procedimenti amministrativi, sia sui processi. La declaratoria di incostituzionalità (da quando la sentenza sarà pubblicata sulla «Gazzetta Ufficiale») inficia fin dall’origine la validità e l’efficacia della norma dichiarata incostituzionale. Gli effetti della pronuncia della Corte costituzionale trovano unico limite con riguardo a rapporti esauriti in modo definitivo (per avvenuta formazione del giudicato, per essersi verificate preclusioni processuali, decadenze e prescrizioni non direttamente investite dalla pronuncia di incostituzionalità). La sentenza, dunque, spiega i suoi effetti rispetto alle situazioni ancora pendenti tra cui sono da annoverare anche i provvedimenti adottati sul presupposto dell’articolo 43, purché essi non siano divenuti inoppugnabili o rispetto ai quali non sia intervenuto un giudicato. Sulla Pa Le amministrazioni, pertanto, non potranno più emettere provvedimenti di occupazione acquisitiva sanante. Resta da vedere se i provvedimenti emessi su una fonte di legge non più esistente possano diventare inoppugnabili. Secondo la giurisprudenza, formatasi prima dell’entrata in vigore del Dlgs 104/2010 (cioè fino al 16 settembre 2010), sono da ritenersi nulli i provvedimenti emessi dopo la scadenza dei termini di vigenza sia della dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità e urgenza dei lavori originariamente adottata, sia dei termini di durata dell’occupazione del fondo; tali provvedimenti sono quindi viziati da assoluta carenza di potere, con la conseguenza che gli stessi sono ex se insuscettibili di affievolire la posizione soggettiva del privato (Tar Veneto, sezione I, sentenza 12 febbraio 2009, n. 347, nonché Cassazione, Ss.Uu., 12 giugno 1984, n. 3477). Sarebbe del tutto irrilevante l’omessa impugnazione nei termini decadenziali di provvedimenti amministrativi da considerare nulli. Ma dal 16 settembre 2010 (entrata in vigore del codice del processo amministrativo), il provvedimento emesso sulla base della normativa impugnata, al massimo potrebbe essere considerato: - annullabile, nel qual caso i provvedimenti, se non tempestivamente impugnati (nei termini di 60 giorni per il ricorso al Tar ovvero 120 per il ricorso straordinario al Capo dello Stato) non possono essere rimessi in discussione essendosi i relativi rapporti esauriti in modo definitivo; si può invece chiedere il risarcimento del danno, anche senza agire per l’annullamento (o anche se è decorso il termine) purché si faccia ricorso entro 120 giorni (articolo 30, comma 3, Dlgs 104/2010) - oppure nullo, nel qual caso, il codice del processo amministrativo ha ridotto il termine a 180 giorni (dal 16 settembre 2010) per proporre la domanda di accertamento di nullità; i provvedimenti, emessi ex articolo 43, Dpr 327/2001, potranno, in quanto fondati su una norma illegittima fin dall’origine, essere rimessi in discussione perché nulli entro 180 giorni dalla loro emanazione, con azione di accertamento della nullità. Sono sempre possibili gli accordi (ex articolo 11, legge 241/1990) con i privati, sulle stesse basi dell’articolo 43, senza emettere un provvedimento unilaterale, ma arrivando a un accordo. Sui processi in corso Nei processi giudiziari in corso il provvedimento emesso secondo la norma incostituzionale non avrà quindi più la forza di paralizzare le richieste per la restituzione dell’area. Sia per la giurisprudenza della Cedu, sia per l’avallo che ne ha dato la stessa sentenza 293/2010, non vengono inoltre messi in discussione i principi giurisprudenziali elaborati sulla base dell’ex articolo 43. Infatti, la giurisprudenza uniformemente stabiliva che l’unico modo legittimo per evitare la restituzione dell’area (se richiesta dal privato in causa) fosse l’emissione del provvedimento dell’articolo 43. Una volta “defunto” l’articolo 43, sono tuttavia rimasti vivi i principi espressi da tali sentenze che stabiliscono che: - non decorrono i termini di prescrizione per gli espropri illegittimi; - l’amministrazione acquisisce il bene solo a seguito di usucapione (cioè decorsi 20 anni da quando la Pa è entrata in possesso del bene). Tale regola (usucapione ventennale) subisce una eccezione quando l’ente sia divenuto detentore in forza di legittima occupazione di urgenza (ma poi – ad esempio – abbia sforato i termini o non concluso la procedura); in questo caso non si verifica la

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“interversione del possesso” e non decorre il termine per l’usucapione (Tar Liguria, sezione II, 1883/2010); - è sempre possibile la restituzione del bene (se richiesto dal privato), anche se l’opera sia stata realizzata, salvo diversa valutazione del giudice, caso per caso, il quale potrebbe applicare norme del codice civile per impedire la restituzione, adducendo l’eccessiva onerosità (articolo 2058, Cc) ovvero il pregiudizio all’economia nazionale derivante dalla distruzione della cosa (art. 2933 c.c.). - il privato, agendo in giudizio, può decidere se chiedere il risarcimento del danno, o tramite la forma specifica (cioè la restituzione dell’area) oppure tramite il risarcimento per equivalente (con una somma di denaro). Sui processi futuri Nei processi futuri i privati espropriati in modo irregolare potranno agire per il risarcimento del danno chiedendo al giudice (quasi sempre il Tar) che, previo accertamento incidentale dell’illegittimità della procedura espropriativa, condanni l’amministrazione: - in via principale alla restituzione dell’area (ancora di proprietà del privato ricorrente); - oppure (a scelta del privato) al risarcimento del danno tramite pagamento di una somma di denaro. In entrambi i casi è opportuno precisare nell’atto giudiziario che il giudice accerti i requisiti della responsabilità della Pa, che si presuppone in caso di annullamento della procedura o accertamento incidentale della sua illegittimità.

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Edilizia e urbanistica

Scuole bocciate in sicurezza: crescono gli incidenti tra certificazioni mancanti ed edifici da ristrutturare di Elena Pasquini, Il Sole 24 Ore - Guida al Diritto, 9 ottobre 2010, n. 40 Aumentano gli episodi di bullismo e vandalismo nelle aule d'Italia. E mentre gli intonaci si screpolano, le finestre restano rotte e le aule soffrono il sovraffollamento, a fare i conti con l'incremento degli incidenti restano gli studenti e, in generale, il personale scolastico. Un quadro impietoso degli istituti nel Belpaese: quello tracciato da Cittadinanzattiva assomiglia più a un bollettino di guerra. Nell'VIII Rapporto «Sicurezza, qualità e comfort a scuola», presentato a Roma il 16 settembre la scuola viene definita come un «gigante dai piedi d'argilla». Di certo ha i numeri del gigante: sul territorio sono presenti quasi 42mila punti di erogazione del servizio aggregati in oltre diecimila istituzioni scolastiche dotate di personalità giuridica e autonomia didattica, amministrativa, gestionale e finanziaria. Quasi 371mila le classi funzionanti, ospitate in edifici scolastici di proprietà degli enti locali territoriali - comuni e province - a cui spettano le opere di manutenzione, il pagamento delle utenze e tutta una serie di servizi che spaziano dai contributi per il diritto allo studio all'organizzazione di mensa e trasporto. La sintesi dei dati elaborata dal ministero dell'Istruzione, Università e ricerca relativamente all'anno scolastico 2009/2010 ricorda che la razionalizzazione della rete dei servizi scolastici è loro demandata, «in un'ottica di decentramento che, a partire dal 1997 a oggi (Dpr 20 marzo 2009 n. 81), ha conferito ai territori competenze prima assegnate all'amministrazione centrale». A fronte della riorganizzazione, però, va segnalato che «gli studenti delle scuole statali continuano a far registrare una leggera crescita (...) portando il numero complessivo dei bambini e ragazzi accolti al sistema istruzione a circa nove milioni». Tutti gli altri indicatori strutturali del sistema scuola - istituzioni, punti di erogazione del servizio, classi, docenti, personale Ata - vivono gli effetti di una «contrazione rispetto all'anno scolastico precedente nell'ottica della razionalizzazione del servizio di istruzione in prospettiva di una sua migliore qualificazione». Il risultato è quello poco incoraggiante delineato da Cittadinanzattiva: solo una scuola su cinque strappa la sufficienza, salvandosi in corner per l'impegno nel migliorare qualità e prevenzione. Certificazioni e rilevazioni - Gli istituti scolastici monitorati attraverso una griglia di osservazione strutturale con oltre 300 indicatori e un questionario per il responsabile del servizio prevenzione e protezione della scuola, ha riguardato per questa edizione 82 strutture di ogni ordine e grado. Sul totale, il 16% è «messo davvero male e la sensazione prevalente è che, nonostante i tanti annunci e le risorse messe a disposizione negli ultimi anni, la sicurezza scolastica resti ancora un fanalino di coda». Poco più di una scuola su tre possiede la certificazione di agibilità statica (37%), nonostante oltre la metà si trovi in aree a rischio sismico 55%). Débâcle per il certificato igienico-sanitario (ce l'ha una scuola su quattro) mentre va meglio la prevenzione incendi, con il 31% del campione provvista dell'atto. A questo si aggiunge la previsione del Regolamento attuativo dell'articolo 64 della legge 133/2008: l'innalzamento progressivo del numero di alunni per classe rischia di aggravare ulteriormente la situazione. La speranza è che non ci sia bisogno di utilizzare le porte anti panico (sconosciute nel 93% dei casi), che non serva la cassetta di pronto soccorso (non ne è provvisto il 24% delle palestre), che la collaborazione nei confronti dei disabili non venga meno (il 13% delle aule presenta barriere architettoniche di vario tipo). Gli incidenti - Intanto gli incidenti per gli studenti, e non solo, aumentano rispetto allo scorso anno: secondo i dati dell'Inail nel 2009 sono state 1.268 le denunce in più rispetto all'anno precedente. A rischiare maggiormente sono gli alunni maschi, che hanno subito 53.545 incidenti, rispetto alle ragazze che hanno fatto registrate un totale di 39.783 infortuni.

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Le risorse stanziate per la sicurezza - Per far la messa in sicurezza degli edifici scolastici l'Istituto ha emanato due bandi nel 2007 e nel 2008 con i quali sono stati destinati i cento milioni di euro per il triennio destinati dalla Finanziaria 2007. A febbraio di quest'anno, poi, l'Inail ha incrementato le risorse di ulteriori 67,87 milioni di euro per lo scorrimento delle graduatorie entro le quali sono stati organizzati gli enti locali proprietari di edifici scolastici che abbiano fatto richiesta di finanziamento. Gli interventi, fino a ora, hanno riguardato 605 scuole sparse su tutto il territorio, segnando un punto a favore del triennio di sperimentazione previsto dalla legge 296/2006. I profili di contrasto giurisprudenziale - Capitolo collegato è quello del risarcimento del danno di queste lesioni e delle responsabilità che ne conseguono in capo agli enti scolastici e ai docenti. Ne è un esempio la sentenza pubblicata nelle pagine seguenti: in gioco entra il concetto di responsabilità contrattuale e le impostazioni giuridiche della domanda risarcitoria. Il perno rispetto all'evoluzione giurisprudenziale resta la sentenza della Cassazione, a sezioni Unite, del 27 giugno 2002 n. 9346 con la quale si è anche voluto distinguere tra i danni che l'alunno crea a sé stesso e quelli che sono stati causati da compagni di scuola. La pronuncia del tribunale di Napoli è quindi l'occasione per ripercorrere l'evoluzione giurisprudenziale in materia e sottolineare punti di contatto e di differenza con la responsabilità medica.

I dati Inail sugli infortuni

Denunce 2008 2009

Nord 48.585 52.274

Centro 16.652 15.686

Sud 19.205 18.065

Isole 7.618 7.303

Totale 92.060 93.328

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Edilizia e urbanistica

Dalla Dia alla Scia: molto rumore per nulla di Marcello Clarich, Il Sole 24 ORE –Diritto e pratica amministrativa, n. 10, ottobre 2010 Cambiare i nomi per cambiare le cose spesso non è la strategia migliore. La vicenda della sostituzione della dichiarazione d’inizio di attività (Dia) con la segnalazione certificata d’inizio di attività (Scia), operata da un emendamento al decreto legge n. 78 del 31 maggio 2010 è emblematica di questo errore di metodo. Bisogna partire da lontano e cioè dalla legge n. 241 del 7 agosto 1990 sulla trasparenza amministrativa che introdusse numerosi istituti di semplificazione tra i quali la Dia (art. 19). Essa mirava a sostituire i controlli ex ante sulle attività dei privati con controlli ex post in modo tale da liberare l’iniziativa economica da tanti lacci e lacciouli. In pratica, molti provvedimenti autorizzativi vincolati, per i quali non erano previsti limiti e contingenti, erano sostituiti con una comunicazione e un’autocertificazione del privato (art. 19) e, a seconda dei casi, l’attività poteva essere intrapresa subito o dopo un termine fissato nei regolamenti attuativi. Se, all’esito dei controlli, l’amministrazione rilevava l’assenza non sanabile di un requisito, vietava entro sessanta giorni la prosecuzione dell’attività. La Dia attuava una liberalizzazione più accentuata del silenzio-assenso (art. 20 della legge n. 241/1990), cioè del rilascio tacito di un atto favorevole decorso un certo termine dalla presentazione della domanda senza che l’amministrazione abbia provveduto. In quest’ultimo caso, infatti, il controllo resta ex ante, perché l’amministrazione può emanare un provvedimento di diniego prima che il privato intraprenda l’attività. Questa differenza rileva anche sul piano processuale. Infatti, mentre il silenzio-assenso costituisce un provvedimento impugnabile dal terzo, nel caso della Dia quest’ultimo, in base alla giurisprudenza più recente deve proporre un’azione di accertamento atipica volta ad appurare l’illiceità dell’attività intrapresa. Uno degli aspetti più controversi della Dia è sempre stato l’avvio immediato dell’attività che potrebbe compromettere interessi pubblici rilevanti. Proprio per questo, il Testo unico dell’edilizia (Dpr n. 380/2001) ha introdotto una deroga prevedendo che i lavori possono essere iniziati solo dopo trenta giorni dalla presentazione della Dia. In questo modo l’amministrazione ha il tempo di vietare l’avvio dell’attività. La legge n. 18/2005 ha operato una correzione di rotta più decisa. Ha previsto infatti un termine minimo di trenta giorni tra presentazione della Dia e avvio effettivo dell’attività che va comunque comunicato. Con ciò il regime della Dia si è avvicinato a quello del silenzio-assenso. La differenza principale é che i termini per quest’ultimo sono fissati procedimento per procedimento con atti di tipo regolamentare e possono essere più lunghi. Inoltre, per entrambi vale il principio dell’autotutela che consente all’amministrazione anche a distanza di molto tempo di annullare d’ufficio e di revocare il “via libera” all’attività. La legge n. 69/2009 ha operato un’altra virata. Infatti nei casi di Dia per le attività previste dalla direttiva sulla libera prestazione dei servizi (2006/123/CE) l’attività può essere avviata subito. Con la Scia si generalizza l’avvio immediato di tutte le attività soggette a questo regime. La Scia, come già la Dia, deve essere accompagnata da autocertificazioni e asseverazioni di tecnici abilitati che attestino la conformità dell’attività alle norme vigenti. Resta dunque uno dei problemi principali della vecchia Dia. Il tecnico incaricato delle asseverazioni, in presenza di un sistema normativo spesso confuso, rischia di pagar caro l’errore. Può scattare infatti una sanzione penale, ora resa più pesante rispetto alla formulazione previgente, della reclusione da uno a tre anni.

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Inoltre, come già accadeva per la Dia, anche sulla Scia incombe il rischio della revoca e dell’annullamento d’ufficio. La nuova norma limita questo potere ai soli casi di danno “per il patrimonio artistico e culturale, per l’ambiente, per la salute, per la sicurezza pubblica o la difesa nazionale”. Ma ciò non risolve tutti i problemi. La norma sulla Scia travolge tutti i regimi statali e regionali vigenti previsti per la Dia. E qui si è posto subito il problema se le norme speciali del Testo unico dell’edilizia rimangono in vita. Inoltre non è chiaro se anche la cosiddetta “super-Dia”, prevista in alcuni casi tassativi come alternativa al permesso a costruire, (art. 22, comma 3, del Testo unico) sia esclusa dal nuovo regime della Scia. II Ministero per la Semplificazione normativa presso la Presidenza del Consiglio dei ministri alcuni giorni fa ha diramato una circolare per chiarire che la Scia si applica anche all’attività edilizia, ma non alla “super-Dia”, salvaguardando comunque il potere delle Regioni di ampliare o ridurre i casi di “super-Dia” (art. 22, commi 3 e 4). Può essere superfluo esaminare gli argomenti utilizzati dal ministero. In ogni caso la circolare non vincola il giudice amministrativo. Rimangono dunque dubbi sia sul campo di applicazione della Scia sia sulla sua attitudine a risolvere i problemi di incertezza che hanno reso poco funzionale la Dia e, per certi versi, anche il silenzio-assenso. La verità è che norme così generali mal si prestano a un’operazione di semplificazione. Quest’ultima richiede invece un censimento completo dei regimi autorizzatori e interventi mirati di soppressione o di alleggerimento di ciascuno di essi. Un’occasione mancata è stato proprio il recepimento della direttiva sulla libera prestazione servizi che sollecitava gli Stati membri a compiere questa operazione. In definitiva, la Scia sembra un’altra scorciatoia che va poco lontano.

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Energia

Nuove regole per l'energia di Carmen Chierchia, Il Sole 24 Ore - Diritto e Pratica Amministrativa, 1° ottobre 2010, n. 10 Di recente, il legislatore nazionale ha emanato due provvedimenti di notevole interesse nonché attesi da tempo da parte degli operatori del settore. Si tratta del c.d. III Conto Energia, ossia il decreto del ministero dello Sviluppo economico emesso il 6 agosto 2010 e recante “Incentivazione della produzione di energia elettrica mediante conversione fotovoltaica della fonte solare” (pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 24 agosto 2010). Inoltre, dopo anni di attesa, sono state pubblicate nella Gazzetta Ufficiale del 18 settembre 2010 le Linee Guida per l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili (Decreto ministeriale Sviluppo economico del 10 settembre 2010 recante “Linee Guida per il procedimento di cui all'articolo 12 del Dlgs 387/2003 per l'autorizzazione alla costruzione e all'esercizio di impianti di produzione di elettricità da fonti rinnovabili nonché Linee Guida tecniche per gli impianti stessi” - di seguito “Linee Guida ”). Il nuovo conto energia Dopo mesi di attesa, è stato finalmente approvato il terzo conto energia, ossia il decreto ministeriale che ha stabilito l'ammontare delle tariffe incentivanti per gli impianti fotovoltaici che entreranno in esercizio a partire dal 2011. Il decreto rappresenta il nuovo conto energia che sostituisce il precedente decreto del 19 febbraio 2007. Il nuovo conto energia individua l'obiettivo nazionale di potenza fotovoltaica da installare in 8.000 MW entro il 2020, stabilendo in 3.000 MW la potenza elettrica cumulativa degli impianti fotovoltaici che possono ottenere le tariffe incentivanti. La procedura stabilita dal Dm 6 agosto 2010 per l'accesso alle tariffe incentivanti prevede che il soggetto responsabile dell'impianto (ossia il soggetto responsabile dell'esercizio e della manutenzione dell'impianto) deve presentare la domanda al Gestore dei Servizi Energetici (“GSE”) entro 90 giorni (60 giorni nel Conto energia precedente) dalla data di entrata in esercizio dell'impianto. Si noti che il nuovo conto energia definisce l'entrata in esercizio dell'impianto come il momento in cui si verificano tutte le seguenti condizioni (i) collegamento in parallelo alla rete nazionale, (ii) installazione di tutti i contatori, (iii) adempimento a tutti gli obblighi per l'accesso alle reti e agli obblighi di natura fiscale). Entro 120 giorni dalla presentazione della domanda (60 giorni nel Conto Energia precedente) il GSE verifica la richiesta e assicura l'erogazione della tariffa spettante al soggetto responsabile. Il GSE dispone le regole per l'esecuzione di controlli e ispezioni al fine di verificare la veridicità di quanto dichiarato dai soggetti responsabili. Le false dichiarazioni comportano la decadenza dal diritto alla tariffa incentivante.

Quali le novità?

Le nuove tariffe incentivanti sono parametrate in base al tipo di impianto produttivo di energia. Il Conto Energia opera una triplice distinzione:

• Impianti fotovoltaici (la cui disciplina è contenuta nel Titolo II); • Impianti integrati con caratteristiche innovative (la cui disciplina è contenuta Titolo III); • Impianti a concentrazione (la cui disciplina è contenuta Titolo IV).

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La prima categoria: impianti fotovoltaici

Gli impianti fotovoltaici sono gli impianti di produzione di energia elettrica mediante conversione diretta della radiazione solare, tramite l'effetto fotovoltaico; esso è composto principalmente da un insieme di moduli fotovoltaici piani, nel seguito denominati moduli, uno o più gruppi di conversione della corrente continua in corrente alternata e altri componenti elettrici minori. Per gli impianti fotovoltaici, le tariffe sono riconosciute a favore degli impianti entrati in esercizio in data successiva al 31 dicembre 2010. Le tariffe si differenziano in base a:

• Potenza: il nuovo decreto prevede sei classi di potenza differenti (potenza tra 1 e 3 kW; tra 3 e 20 kW; tra 20 e 200 kW; tra 200 e 1.000 kW; tra 1.000 e 5.000 kW; potenza maggiore di 5.000 kW).

• Data di entrata in esercizio: si prevedono tre scaglioni temporali (I: il 31 dicembre 2010 e il 30 aprile 2011; II: 30 aprile 2011 e il 31 dicembre 2011; III: 31 agosto 2011 e 31 dicembre 2011).

• Ubicazione degli impianti: sparisce la triplice distinzione tra impianti integrati, semi integrati e ubicati al suolo in luogo di una distinzione tra impianti su edifici e altri impianti.

Le tariffe sono accordate sempre per 20 anni e restano costanti in moneta corrente per tutto il periodo di incentivazione. Gli impianti che entrano in esercizio nel 2012 e nel 2013 avranno diritto alle tariffe decurtare del 6% all'anno (si ricorda che nel Conto Energia 2007 la riduzione per gli anni successivi al primo era del 2%). Meritevole di attenzione sono i premi previsti dal Conto Energia per specifiche tipologie di impianti. Infatti, l'articolo 10 del Conto Energia 2011-2013 prevede che la tariffa accordata agli impianti è incrementata:

• del 5% per gli impianti fotovoltaici non integrati ubicati in zone classificate alla data di entrata in vigore del decreto dal pertinente strumento urbanistico come industriali, commerciali, cave o discariche esaurite, area di pertinenza di discariche o di siti contaminati;

• del 5% per gli impianti integrati, operanti in regime di scambio sul posto, realizzati da comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti, dei quali i predetti comuni siano soggetti responsabili;

• del 10% per gli impianti integrati installati in sostituzione di coperture in eternit o comunque contenenti amianto.

La seconda categoria: impianti fotovoltaici integrati con caratteristiche innovative

Secondo le definizioni del nuovo Conto Energia gli impianti fotovoltaici integrati con caratteristiche innovative sono gli impianti che:

• utilizzano moduli e componenti speciali; • sostituiscono elementi architettonici; • rispondono ai requisiti costruttivi e alle modalità di installazione indicate nell'allegato 4 del

Dm 6 agosto 2010. Tali impianti beneficiano delle tariffe incentivanti nel caso in cui siano di una potenza non inferiore a 1 kW e non superiore a 5 MW, siano realizzati con componenti di nuova costruzione o comunque non impiegati in altri impianti. La disponibilità di potenza massima perché tali impianti beneficino delle tariffe incentivanti è fissato in 300 MW. Le tariffe sono accordate sempre per 20 anni e restano costanti in moneta corrente per tutto il periodo di incentivazione. Gli impianti che entrano in esercizio nel 2012 e nel 2013 avranno diritto alle tariffe decurtare del 2% all'anno.

La terza categoria: impianti fotovoltaici a concentrazione

La terza categoria di impianti fotovoltaici disciplinati dal nuovo Conto Energia sono gli impianti a concentrazione, ossia gli impianti composti principalmente da un insieme di moduli in cui la luce solare è concentrata, tramite sistemi ottici, su celle fotovoltaiche, da uno o più gruppi di conversione della corrente continua in corrente alternata e da altri componenti elettrici minori.

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Anche tali impianti beneficiano delle tariffe incentivanti nel caso in cui siano di una potenza non inferiore a 1 kW e non superiore a 5 MW, siano realizzati con componenti di nuova costruzione o comunque non impiegati in altri impianti. La disponibilità di potenza massima perché tali impianti beneficino delle tariffe incentivanti è fissato in 200 MW.

Il regime autorizzativo

Il terzo Conto Energia assoggetta alla Denuncia di inizio attività la costruzione e l'esercizio di impianti e delle opere connesse, i cui moduli fotovoltaici sono collocati su edifici e non ricadono nelle fattispecie di cui: • all'articolo 11, comma 3, del Dlgs 115/2008; • all'articolo 6, comma 2, lett. d del Dpr 380/2001. Le condizioni per ricorrere allo strumento agevolato della DIA sono le seguenti: • la superficie complessiva dei moduli fotovoltaici dell'impianto non sia superiore a quella del tetto dell'edificio sul quale i moduli sono collocati; • il proponente abbia titolo sulle aree. Si ricorda che lo strumento della DIA è oggi stato sostituito dalla Segnalazione Certificata di Inizio Attività, c.d. SCIA. In dettaglio, la legge 122/2010 ha sostituito l'articolo 19 della legge 241/1990 che conteneva la disciplina basilare della procedura della DIA mutandola in SCIA. Con la nuova procedura ogni autorizzazione il cui rilascio dipenda esclusivamente dall'accertamento di requisiti e presupposti richiesti dalla legge o da atti amministrativi a contenuto generale, e non sia previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti di programmazione settoriale per il rilascio degli atti stessi, è sostituita da una segnalazione dell'interessato, con la sola esclusione dei casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali e degli atti rilasciati dalle amministrazioni preposte alla difesa nazionale, alla pubblica sicurezza, all'immigrazione, all'asilo, alla cittadinanza, all'amministrazione della giustizia, all'amministrazione delle finanze. Le amministrazioni competenti hanno poi 60 giorni di tempo per verificare la compatibilità dell'intervento segnalato.

Con una recente circolare del ministero della Semplificazione, lo strumento della SCIA è stato ritenuto applicabile alla materia delle costruzioni (in particolare, gli articoli 22 e seguenti del Dpr 380/2001 ammettevano il ricorso alla DIA per determinate categorie di interventi). A oggi non vi sono espresse pronunce sull'applicazione dello stesso al settore delle energie rinnovabili, ma in linea di prima interpretazione non si ravvedono difficoltà nel ritenerlo applicabile in virtù del richiamo operato dal decreto legislativo 387/2003 agli strumenti autorizzativi di cui al Dpr 380/2001.

Gli impianti entreranno in esercizio entro giugno 2011

Infine, si ricorda che la legge 129/2010 ha finalmente riscritto le regole, prima contenute nel c.d. Decreto Alcoa, perché gli impianti fotovoltaici possano beneficiare delle tariffe incentivanti previste nel vecchio Conto Energia. Tali tariffe, infatti, sono riconosciute a tutti i soggetti che abbiano concluso, entro il 31 dicembre 2010, l'installazione dell'impianto fotovoltaico ed entrino in esercizio entro il 30 giugno 2011.

Le Linee Guida

Le Linee Guida per lo svolgimento del procedimento per l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili sono state approvate più di due mesi fa dalla Conferenza unificata Stato-regioni con lo scopo di dettare una disciplina unica, valida su tutto il territorio nazionale per lo sviluppo del settore delle fonti rinnovabili. La disciplina base del procedimento inerente le autorizzazioni per la costruzione e l'esercizio degli impianti alimentati da fonti rinnovabili è contenuta nel Decreto 387/2003 e in particolare nell'articolo 12 il quale detta i criteri base su cui deve fondarsi la procedura, e su cui il Dm 10 settembre 2010 ha fondato l'intera disciplina delle Linee Guida. In dettaglio, l'articolo 12 del decreto legislativo n. 387 del 2003 prevede: • gli impianti alimentati da fonti rinnovabili (ivi incluse le relative opere connesse e le infrastrutture indispensabili) sono di pubblica utilità e indifferibili e urgenti;

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• tali impianti sono soggetti a un'autorizzazione unica, rilasciata dalla regione o dalle province delegate; • il procedimento per il rilascio dell'autorizzazione è unico e a esso partecipano tutte le amministrazioni interessate, attraverso una Conferenza dei servizi, convocata entro trenta giorni dal ricevimento della domanda di autorizzazione; • il termine massimo per la conclusione del procedimento di cui al presente comma non può comunque essere superiore a centottanta giorni. • l'autorizzazione non può essere subordinata né prevedere misure di compensazione a favore delle regioni e delle province; • le Linee Guida nazionali sono volte ad assicurare un corretto inserimento degli impianti, con specifico riguardo agli impianti eolici, nel paesaggio. Pertanto, come richiesto dal comma 10 del decreto legislativo n. 387 del 29 dicembre 2003, le Linee Guida hanno lo scopo di disciplinare il procedimento di autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili, con specifica attenzione alle modalità di inserimento degli impianti nel paesaggio. Sullo schema base delineato dal legislatore nazionale, le regioni avranno ora margini di manovra più ampi per poter legiferare in autonomia.

Procedure

La costruzione, l'esercizio e la modifica degli impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili richiede un'autorizzazione unica, rilasciata dalla regione o dalla provincia delegata, che dovrà essere conforme alle normative in materia di tutela dell'ambiente, del paesaggio e del patrimonio storico-artistico, e costituirà, ove occorra, variante allo strumento urbanistico. Si prevedono specifiche disposizioni per l'autorizzazione in via semplificata di impianti di taglia più piccola. In particolare: • i piccoli impianti - cioè quelli con capacità di generazione inferiore alle soglie fissate dalla tabella A allegata al Dlgs 387/2003 sono realizzabili attraverso la procedura di Denuncia di inizio attività (DIA) disciplinata dagli articoli 22 e 23 del Testo unico dell'edilizia (Dpr 380/2001). Si tratta, ad esempio, degli impianti fotovoltaici fino a 20 kW; impianti a biomassa fino a 1.000 kWe; impianti eolici fino a 60 kW; impianti idroelettrici fino a 100 kW. Le eventuali concessioni o autorizzazioni ambientali e paesaggistiche devono essere acquisite e allegate alla DIA; • gli impianti con impatto minore (es.: impianti fotovoltaici integrati negli edifici; impianti a biomassa fino a 50 kWe; minieolico; piccoli impianti idroelettrici e geotermoelettrici ecc.) sono considerati “attività di edilizia libera” e possono essere realizzati previa comunicazione di inizio lavori al comune.

Inserimento degli impianti nel paesaggio

Particolare attenzione è riservata all'inserimento degli impianti nel paesaggio e sul territorio: elementi per la valutazione positiva dei progetti sono, ad esempio, la buona progettazione degli impianti, il minore consumo possibile di territorio, il riutilizzo di aree degradate (cave, discariche, ecc.), soluzioni progettuali innovative, coinvolgimento dei cittadini nella progettazione ecc. Agli impianti eolici industriali è dedicato un apposito allegato che illustra i criteri per il corretto inserimento nel paesaggio e sul territorio.

Aree non idonee alla realizzazione degli impianti

Le regioni e le province autonome possono individuare aree e siti non idonei all'installazione di specifiche tipologie di impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili. Per ciascuna area dovranno però essere spiegati i motivi dell'esclusione, che dovranno essere relativi a esigenze di tutela dell'ambiente, del paesaggio e del patrimonio culturale.

Misure compensative

L'autorizzazione alla realizzazione degli impianti non può essere subordinata o prevedere misure di compensazione in favore di regioni e province. Solo per i comuni possono essere previste misure compensative, non monetarie, come interventi di miglioramento ambientale, di efficienza energetica o di sensibilizzazione dei cittadini.

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Le norme regionali - disposizioni transitorie

Le Linee Guida sono entrate in vigore 15 giorni dopo la pubblicazione in Gazzetta, cioè il 3 ottobre 2010. Le regioni e gli enti locali - a cui oggi compete il rilascio delle autorizzazioni - dovranno adeguare le proprie norme alle Linee Guida entro i 90 giorni successivi all'entrata in vigore, cioè entro il 1° gennaio 2011.

Le ragioni di tanta attesa

La pubblicazione delle Linee Guida è stata accolta con notevole sollievo da parte degli operatori economici, ma anche dalle stesse autorità amministrative (che mediante lo strumento della Conferenza Stato-regioni hanno avuto modo di partecipare alla loro formazione). Infatti, a seguito di tale decreto le regioni potranno, finalmente, dar seguito alle esigenze specifiche di tutela di ciascun territorio. Nel corso dei sette anni passati dall'entrata in vigore del decreto legislativo 387/2003, molte regioni hanno più volte tentato di regolare la disciplina dello sviluppo delle rinnovabili sottraendo parti di territorio all'insediamento di tali impianti e individuando, in tal modo, aree e siti idonei. Tale previsione, come molte volte sottolineato dalla Corte costituzionale, era illegittima in virtù dell'articolo 12 del decreto legislativo 387/2003 che subordinava il potere delle regioni nella selezione del territorio all'emanazione delle Linee Guida.

Conclusioni

Ci si aspetta, ora, una nuova ondata di produzione normativa regionale inerente lo sviluppo delle fonti rinnovabili sul territorio in ottemperanza a tali Linee Guida.

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Lavoro

Una legge travagliata ma ricca di novità

di Giuliano Cazzola, Supplemento di Guida al Lavoro, ottobre 2010

Il cd. collegato lavoro (AC 1441quater) ha avuto un iter legislativo molto travagliato. Per la sua approvazione in via definitiva (da parte della Camera dei deputati il 19 ottobre c.a.) sono occorse ben sette letture: un percorso, questo, che ha ben pochi precedenti persino nella mitica Prima Repubblica. Il progetto di legge, già collegato alla Finanziaria per il 2008, ha iniziato, nell'autunno di quell'anno, il suo cammino a Montecitorio, con soli 9 articoli. Ne è uscito con 24. Poi, al Senato, è rimasto quasi un anno, subendovi una notevole trasformazione: gli articoli sono diventati 51, nonostante che almeno una decina di quelli approvati dalla Camera avessero nel frattempo trovato altri vettori più veloci (in particolare i decreti attuativi della riforma Brunetta e le misure attinenti al finanziamento degli ammortizzatori sociali in deroga). È stato appunto in occasione di questo esame condotto dal Senato che il Governo ha ritenuto di arricchire il «pacchetto» di norme sulla conciliazione e l'arbitrato con l'introduzione della possibilità di sottoscrivere, nei contratti individuali di lavoro, una clausola compromissoria riguardante il conferimento ad un collegio arbitrale, chiamato a decidere secondo equità, le controversie insorgenti dal rapporto di lavoro. Nella seconda lettura della Camera gli articoli sono diventati 50. Le modifiche apportate a parecchie norme hanno richiesto una quarta lettura ad opera del Senato. Ovviamente durante la «navetta» tra le due Camere non sono mai mancate le polemiche politiche tra la maggioranza e le opposizioni (va riconosciuta alla UdC una linea di condotta molto più cauta e disponibile, anche nel voto, di altri gruppi parlamentari) su parecchi aspetti del provvedimento. Le circostanze hanno voluto, tuttavia, che ad ogni lettura venisse alla ribalta del confronto politico un particolare argomento, volta per volta. Dapprima è toccato alla rivisitazione dei permessi per l’assistenza a parenti portatori di handicap, nel quadro di una serie di misure destinate al pubblico impiego; poi alla norma che permette di completare l’obbligo scolastico mediante un anno di apprendistato (dal 15° al 16° anno di età). Ma, da un certo punto in poi, lo scontro si è spostato prevalentemente sull'articolo 31 e sulla materia dell’arbitrato irrituale. Così, anziché promulgarlo, il provvedimento è stato oggetto di un messaggio di rinvio alle Camere del Capo dello Stato, ai sensi dell'articolo 74 della Costituzione: un fatto non solo raro, ma addirittura inedito in tema di lavoro. Il messaggio affrontava, in maniera critica, diversi aspetti del testo, ma si soffermava, in particolare, proprio sulla questione dell'arbitrato. Per quanto attiene all’articolo 31, il messaggio presidenziale, pur ritenendo, a determinate condizioni, apprezzabile un indirizzo normativo teso all'introduzione di strumenti arbitrali (compresi quelli che prevedono la possibilità di un giudizio secondo equità) volti a prevenire e accelerare la risoluzione delle controversie, aveva evidenziato tuttavia la necessità di definire, in via legislativa, dei meccanismi meglio idonei ad accertare l'effettiva volontà compromissoria delle parti, con riguardo al contratto individuale, e a tutelare il lavoratore, soprattutto nella fase di instaurazione del rapporto di lavoro. Così, un forte richiamo era contenuto, nel messaggio, con riguardo alla sussistenza di un’effettiva condizione di volontarietà da parte del lavoratore nel momento in cui era chiamato a sottoscrivere la clausola compromissoria. Sempre nel messaggio del Presidente della Repubblica si sottolineavano alcune problematiche riguardanti, in una relazione di coerenza tra di loro, gli ambiti all'interno dei quali fosse ammissibile, alla luce dell'ordinamento in materia di lavoro, un arbitrato secondo equità. Il messaggio riteneva insufficienti tanto il limite del rispetto dei principi generali dell’ordinamento «che non appare come tale idoneo a ricomprendere tutte le ipotesi di diritti indisponibili al di là di quelli costituzionalmente garantiti», quanto l’esclusione per via negoziale della possibilità di inserire nella clausola compromissoria il deferimento ad arbitri delle controversie in materia di risoluzione del rapporto di lavoro, anche se nel messaggio era apprezzato l’avviso comune sottoscritto, l’11 marzo c.a., dalle parti sociali (con autoesclusione della Cgil) con il quale le stesse si erano

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impegnate «a definire con tempestività un accordo interconfederale escludendo che il ricorso delle parti alle clausole compromissorie poste al momento della assunzione possa riguardare le controversie relative al rapporto di lavoro». Il messaggio affermava, nel contempo, che andava meglio risolto il problema del rapporto tra legge e contratto e che l’individuazione dei diritti inderogabili era più ampia di quella riguardante la disciplina del licenziamento di cui all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. In proposito, il Governo e la maggioranza ritenevano che spettasse alla contrattazione collettiva definire un quadro adeguato di garanzie (della cui necessità nessuno ha mai dubitato), tanto che il ministro Maurizio Sacconi come ricordato aveva preso l’iniziativa di promuovere la sottoscrizione ad opera delle parti sociali di un avviso comune che escludesse, nel contesto delle intese negoziali, la materia della risoluzione del rapporto di lavoro dal ricorso a procedure stragiudiziali. Se nel suo messaggio il Capo dello Stato aveva ritenuto indispensabile, però, un ampliamento del perimetro delle garanzie presidiate dal precetto legislativo, la maggioranza ed il Governo si erano adeguati, seguendo le indicazioni per cui era «la fase della costituzione del rapporto…il momento nel quale massima è la condizione di debolezza della parte che offre la prestazione di lavoro». Così il provvedimento riprendeva di nuovo la sua via crucis ripartendo dalla Camera. La Commissione Lavoro (chi scrive è stato relatore) si era sforzata di portare in Aula un testo che tenesse conto delle osservazioni del Capo dello Stato. In particolare, all'articolo 31 era stato previsto quanto segue: - nel'’arbitrato di equità si deve tener conto, oltre che dei principi generali dell’ordinamento, anche dei principi regolatori della materia (derivanti anche da obblighi comunitari); - in caso di impugnazione del lodo arbitrale la competenza è, in unico grado, del Tribunale in funzione di giudice del lavoro; - la clausola compromissoria non può essere pattuita e sottoscritta prima della conclusione del periodo di prova (e, ove non previsto, prima che siano trascorsi 30 giorni dalla stipulazione del contratto di lavoro); - la clausola compromissoria individuale non può comunque avere ad oggetto le controversie relative alla risoluzione del rapporto di lavoro; davanti alle commissioni di certificazione le parti possono farsi assistere da un legale di fiducia o da un rappresentante dell’organizzazione sindacale o professionale a cui conferiscano mandato; - in assenza di accordi interconfederali o contratti collettivi volti a definire la pattuizione di clausole compromissorie trascorsi 12 mesi dalla data di entrata in vigore della legge il Ministro del lavoro e delle politiche sociali può convocare le organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori più rappresentative, al fine di promuovere un accordo; nel caso in cui non si giunga ad un accordo nei successivi 6 mesi, il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, con proprio decreto, individua in via sperimentale, tenuto conto delle risultanze istruttorie del confronto tra le parti sociale, le modalità di attuazione della nuova disciplina. Ciò a prova della essenzialità di percorso negoziale di riferimento, in mancanza del quale la clausola compromissoria sarebbe stata nulla. In sostanza, come richiamato, la maggioranza aveva accolto le osservazioni del messaggio rafforzando gli aspetti della volontarietà al momento dell’assunzione, riconoscendo una oggettiva posizione di debolezza del dipendente. Un emendamento del Pd, approvato in conseguenza di assenze nella maggioranza, aveva imposto che le parti tornassero di nuovo davanti alle Commissioni di garanzia per dichiarare la loro volontà di adire il collegio arbitrale ogni volta che insorgesse una controversia. Il che avrebbe comportato una burocratizzazione dell’arbitrato tale da uccidere questa esperienza fin dal suo nascere. Ecco perché si è posta l’esigenza di una nuova lettura da parte del Senato che ripristinasse l’impostazione corretta. Così è avvenuto. Il Senato ha colto l'occasione per sistemare alcune altre questioni. All'articolo 2, recante una delega per la riorganizzazione degli enti vigilati dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, sono state introdotte alcune modifiche volte a coordinare il testo con le nuove norme introdotte, sulla medesima materia, dal decreto legge n. 78/2010. All'articolo 20, la norma di interpretazione autentica, volta ad escludere l'applicazione delle norme penali di cui al Dpr n. 303/1956 (nel periodo della loro vigenza) ai fatti avvenuti a bordo di mezzi del naviglio di Stato, è stata in primo luogo meglio definita al fine di circoscriverne la portata ai soli profili di rilevanza penale. A tal fine è stato innanzitutto precisato che resta in ogni caso fermo il diritto al risarcimento del danno del lavoratore. Inoltre, laddove si stabilisce che i provvedimenti adottati dal giudice penale non pregiudicano le azioni risarcitorie, è stato precisato come queste ultime abbiano ad oggetto

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l’accertamento della responsabilità civile contrattuale o extracontrattuale derivante dalla violazione delle disposizioni di cui al suddetto Dpr n. 303/1956. Nel corso dell'esame al Senato, inoltre, è stato aggiunto un nuovo comma, volto a incrementare di 5 milioni di euro annui, a decorrere dal 2012, l’autorizzazione di spesa di cui all'articolo 1, comma 562, della legge n. 266/2005, relativa ai benefici a favore delle vittime del dovere, categoria alla quale possono essere ricondotti anche i militari operanti a bordo del naviglio di Stato che abbiano subito danni o siano deceduti nell’espletamento del loro servizio. All'articolo 31, relativo alle procedure di conciliazione e arbitrato, è stato in primo luogo stabilito, con riferimento all'attività delle commissioni di certificazione, che l’effettiva volontà delle parti di devolvere ad arbitri le controversie di lavoro deve essere verificata all’atto della sottoscrizione della clausola compromissoria ed ha ad oggetto le controversie che dovessero successivamente insorgere dal rapporto di lavoro. Inoltre, è stato richiamato anche l’articolo 411 c.p.c., relativo al processo verbale di conciliazione, tra le disposizioni applicabili alle controversie individuali di lavoro nel settore pubblico. All’articolo 32, recante norme sulle modalità e i termini per l’impugnazione dei licenziamenti individuali, è stato in primo luogo innalzato da 180 a 270 giorni il termine entro il quale, a seguito dell'impugnazione del licenziamento, il lavoratore è tenuto (a pena di inefficacia dell’impugnazione medesima) a depositare il ricorso nella cancelleria del tribunale o a comunicare alla controparte la richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato. A tale riguardo è stato inoltre precisato che resta in ogni caso ferma la possibilità di produrre nuovi documenti formatisi dopo il deposito del ricorso. Infine, si è previsto che la nuova disciplina sull'impugnazione dei licenziamenti trovi applicazione nei casi di invalidità del licenziamento. Per effetto della modifica introdotta al Senato, in particolare, la nuova disciplina non troverebbe applicazione nel caso in cui il licenziamento sia solo inefficace, in quanto privo dei requisiti formali (come la forma scritta) previsti dall'ordinamento, nel qual caso varrebbe pertanto il generale termine di prescrizione quinquennale. All'articolo 50, ove si stabilisce che (ferme restando le sentenze passate in giudicato) in caso di accertamento della natura subordinata di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa il datore di lavoro il quale, entro il 30 settembre 2008, abbia offerto la stipulazione di un contratto di lavoro subordinato e, successivamente all’entrata in vigore della legge, offra anche la conversione a tempo indeterminato, è tenuto unicamente a indennizzare il lavoratore con un’indennità compresa tra un minimo di 2,5 e un massimo di 6 mensilità di retribuzione, è stato previsto che la norma trovi applicazione anche nel caso in cui il datore di lavoro, successivamente all’entrata in vigore della legge, offra l’assunzione a tempo indeterminato per mansioni equivalenti a quelle svolte durante il rapporto di lavoro precedentemente in essere. La Camera ha approvato il provvedimento che è destinato ad essere uno dei più importanti della XVI Legislatura in materia di lavoro senza ulteriori modifiche.

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Guida alla valutazione per la qualità dell'Ente di Federico Fontana e Marco Rossi, Il Sole 24 Ore - Guida agli Enti Locali, 9 ottobre 2010, n. 40 Solo ciò che può essere misurato può essere controllato e, quindi, governato; tutto il resto è solo una perdita di tempo». Questa affermazione, ricorrente nei manuali di management soprattutto statunitensi, gioca un ruolo di rilievo nella riforma recata dalla legge 15/2009 e dal conseguente Dlgs 150/2009, con cui anche gli Enti locali, alla stregua delle altre amministrazioni pubbliche, dovranno fare i conti a partire dal prossimo anno. Ne consegue che, in modo molto più incisivo di quanto possa apparire in prima approssimazione, la riforma riguarda non solo (e in considerazione dei limiti fissati alle retribuzioni individuali a seguito del Dl 78/2010 non tanto) il sistema di valutazione delle performance dei dirigenti e del personale, ma anche e soprattutto il sistema di controllo di gestione (a rigore sia il controllo strategico che il controllo direzionale, salvo che siano impostati e svolti unitariamente) e, in funzione necessariamente strumentale, il sistema informativo aziendale (che in un'amministrazione moderna, tanto più se corrispondente a un'organizzazione e a una gestione caratterizzate per complessità e dinamismo, significa sempre più sistema informatico). Questi aspetti erano già chiaramente individuati nella legge 15/2009. Infatti, le finalità perseguite dalla legge delega (come indicato dall'articolo 4), attraverso la revisione della disciplina del sistema di valutazione delle strutture e del personale, riguardano: l'assicurazione di elevati standard qualitativi ed economici nella produzione dei servizi pubblici; il progressivo miglioramento dei livelli di efficienza e produttività da parte delle amministrazioni che registrino significativi scostamenti negativi rispetto ai risultati conseguiti dal 25% delle amministrazioni omologhe best performer; la tutela giurisdizionale degli utenti nei confronti delle amministrazioni e dei concessionari di servizi pubblici che si discostino dagli standard qualitativi ed economici fissati o violino le norme preposte al loro operato; l'attivazione di canali diretti di comunicazione utilizzabili da parte degli utenti per segnalare disservizi di qualsiasi natura alle amministrazioni pubbliche. PRINCIPI È del tutto evidente come si tratti di obiettivi particolarmente ambiziosi e impegnativi che, qualora effettivamente praticabili, potrebbero imprimere significativi miglioramenti alla funzionalità e ai risultati gestionali delle amministrazioni pubbliche, Enti locali compresi. Sebbene non vengano sostanzialmente modificate le finalità di fondo del sistema di valutazione che, per sua natura, dovrebbe appunto contribuire a innalzare progressivamente il livello delle performance conseguite, tali finalità vengono espresse in modo più esplicito, qualificandole, in particolare, sotto tre correlati profili: quello della misurazione delle prestazioni, quello della comparazione tra le risultanze gestionali conseguite da amministrazioni omologhe e quello del coinvolgimento (oltre che della tutela) degli utenti dei servizi pubblici. Non si tratta, a ben vedere, di innovazioni dirompenti, quantomeno per le amministrazioni più sensibili e progredite in materia, in quanto, la misurabilità è un presupposto indispensabile per l'efficacia dei sistemi e processi di controllo e valutazione (anche per evitare arbitrarietà nelle valutazioni), la comparabilità è una condizione essenziale per la significatività delle performance registrate (in particolare per evitare approcci autoreferenziali, tanto più in assenza di un mercato che regoli il rapporto tra domanda e offerta di servizi), il coinvolgimento degli utenti garantisce la coerenza tra le attuazioni concrete e la mission dell'ente. Nondimeno, il livello medio non particolarmente soddisfacente di sensibilità e competenza dimostrato dalle amministrazioni pubbliche, Enti locali compresi, nello sviluppare i propri sistemi di valutazione spiega l'esigenza avvertita dal legislatore di tornare sul tema e di proporne un rilancio e un (ri)orientamento in senso positivo. Sono indicatori piuttosto significativi del deludente stato

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dell'arte sia il numero di enti dotati di un sistema di valutazione del personale, ma privi di un effettivo sistema di controllo di gestione (che dovrebbe, invece, rappresentarne il presupposto), sia l'elevata incidenza, spesso prossima al 100% (e almeno in parte riconducibile alla precedente carenza), di valutazioni eccellenti relative ai risultati di dirigenti e incaricati di posizione organizzativa (che suscitano inevitabilmente perplessità, se non vera e propria incredulità). Per favorire il conseguimento degli obiettivi traguardati, la legge 15/2009 individua una serie articolata di principi e criteri direttivi, espressamente orientati a definire i caratteri che i sistemi di valutazione del personale delle singole amministrazioni pubbliche dovrebbero possedere. Un primo aspetto di rilievo è rappresentato dall'oggetto della valutazione. Sebbene se ne preveda l'estensione ai comportamenti organizzativi dei dirigenti (aspetto peraltro già disciplinato, quantomeno nel caso degli Enti locali, dal relativo contratto collettivo nazionale di lavoro), esso deve principalmente riguardare il grado di realizzazione degli obiettivi gestionali, resi misurabili da indicatori espressivi di standard operativi e monetari. In proposito risulta fondamentale il supporto di appropriati sistemi informativi, favoriti, nel loro sviluppo, dall'evoluzione dell'Ict (Information and communication technology; non a caso, l'articolo 4, comma 2, lettera a) prevede espressamente «ricognizione e utilizzo delle fonti informative anche interattive esistenti in materia»). Altresì significativo, per quanto non banale, è il riferimento a standard qualitativi ed economici rilevati anche a livello internazionale. Centrale, in ogni caso, è il coinvolgimento degli utenti, al soddisfacimento dei cui bisogni e delle cui aspettative è rivolta la gestione delle amministrazioni pubbliche. Sul piano metodologico e applicativo, il legislatore offre indicazioni circa lo svolgimento del processo di valutazione, il quale deve consistere nella verifica consuntiva del grado di realizzazione degli obiettivi programmati, con specifico riguardo ai livelli di produttività e di qualità delle prestazioni, sia del personale che delle strutture. Ne consegue, correttamente, una stretta correlazione tra il sistema di valutazione e il sistema di controllo di gestione (come peraltro già espressamente previsto dal Dlgs 286/1999); quest'ultimo, inoltre, deve opportunamente seguire un'impostazione di controllo-guida, attivando una sequenza logica del tipo: obiettivi - programmi - azione - verifica - aggiustamento (come del resto già previsto, per gli Enti locali, dal Dlgs 267/2000). Indubbiamente più originale, se non altro per la sua potenziale istituzionalizzazione, è il previsto ricorso a tecniche di benchmarking (sinora lasciate alla discrezionale iniziativa di singole amministrazioni), nell'ambito dei sistemi di controllo e valutazione. La formulazione degli obiettivi e la determinazione dei risultati gestionali potrà, infatti, fruire della confrontabilità tra performance comparabili, resa possibile dalla definizione annuale di indicatori comuni alle diverse amministrazioni pubbliche o loro classi omogenee. Si tratta di un aspetto interessante, in quanto consente analisi di posizionamento (rispetto al benchmark individuato), favorisce la significatività degli obiettivi definiti e dei relativi livelli attesi (superando l'approccio altrimenti autoreferenziale) e stimola il progressivo miglioramento delle performance gestionali (per inseguimento o imitazione delle best practice, introducendo elementi di competitività in un contesto tradizionalmente monopolistico). Sintetizzando gli spunti, più o meno innovativi, contenuti nella legge 15/2009, è possibile osservare come essa tenda a rafforzare i sistemi di valutazione (quantomeno quelli relativi alle prestazioni di dipendenti e dirigenti pubblici), ampliando o quantomeno prevedendo espressamente il ricorso a indicatori di performance (cui dovrebbe corrispondere una misurazione oggettiva delle prestazioni), reso possibile dal supporto di appropriati sistemi informativi e di controllo (necessariamente strutturati), ma altresì favorito dal confronto con i risultati gestionali conseguiti da parte di realtà istituzionali comparabili (secondo una logica di benchmarking) nonché dal coinvolgimento nel processo di valutazione di cittadini e utenti (rafforzando la trasparenza e l'accountability delle singole amministrazioni). Per dare attuazione ai principi e criteri generali fissati dalla legge delega, il Dlgs 150/2009 procede a una riforma organica della disciplina del rapporto di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche, intervenendo, tra l'altro (per quanto rileva in questa sede), in materia di valutazione delle strutture e del personale. Specificamente, il Titolo II del decreto (articoli 2-16), dedicato a «misurazione, valutazione e trasparenza della performance», disciplina il sistema di valutazione delle strutture e dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche, al fine di assicurare elevati standard qualitativi ed economici del servizio tramite la valorizzazione dei risultati e della performance organizzativa e individuale.

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SPECIFICAZIONI Al fine di garantire l'efficace sviluppo del sistema di valutazione, il legislatore ne disciplina il processo lungo quello che viene denominato «ciclo di gestione della performance», sostanzialmente corrispondente a un processo di controllo-guida, nel cui ambito assumono un ruolo centrale gli obiettivi perseguiti e gli indicatori di performance attraverso cui gli stessi vengono espressi sul piano quantitativo, al fine di renderli misurabili e controllabili. In particolare, il decreto prevede che gli obiettivi siano programmati su base triennale e vengano definiti, prima dell'inizio dell'esercizio, dagli organi di indirizzo politico-amministrativo, sentiti i vertici dell'amministrazione, che a loro volta consultano i dirigenti o i responsabili delle unità organizzative. Nella formulazione degli obiettivi, al fine di conferire loro significatività e rilevanza, occorre garantire coerenza tra la programmazione strategico-operativa e la programmazione economico-finanziaria, tenendo altresì conto del fatto che il loro conseguimento costituisce condizione essenziale per l'erogazione degli incentivi previsti dalla contrattazione integrativa. Ai fini del migliore grado di conseguimento degli obiettivi traguardati, l'andamento delle performance deve essere sistematicamente monitorato, con il supporto di appropriati sistemi e strumenti di controllo di gestione, consentendo agli organi di governo e di direzione il presidio, nell'ambito delle rispettive competenze, delle risultanze gestionali e favorendo la tempestiva ed efficace adozione degli interventi correttivi (dell'azione, della programmazione e della stessa formulazione degli obiettivi) eventualmente necessari e utili. Affinché il ciclo di gestione della performance si realizzi in modo funzionale e proficuo, devono essere definite in modo chiaro e razionale le sue modalità di svolgimento (in termini di fasi, tempi, strumenti, soggetti coinvolti e relative responsabilità), assicurandone il raccordo e l'integrazione con i sistemi di programmazione e controllo esistenti, ivi compresi quelli di natura economico-finanziaria, e definendo altresì le procedure di conciliazione relative all'applicazione del sistema di misurazione e valutazione della performance.

L'unitario sistema di misurazione e valutazione della performance deve peraltro presidiare congiuntamente la dimensione organizzativa, relativa all'ente nel suo complesso e alle strutture in cui si articola, e la dimensione individuale, relativa alle singole posizioni lavorative e di responsabilità. In sostanza, si rende necessario attivare un sistema di controllo che non solo consenta di monitorare sistematicamente i livelli di efficacia (ossia di appropriato soddisfacimento dei bisogni pubblici serviti) e di efficienza (ossia di economico impiego delle risorse) dell'operare, ma inneschi meccanismi e favorisca atteggiamenti volti al loro incessante miglioramento, rappresentando, così (come rileva anche la Civit nella delibera 89/2010), uno strumento indispensabile per superare l'apparente paradosso con cui gli Enti locali devono oggi più che mai misurarsi: fare di più e meglio avendo a disposizione risorse sempre più limitate.

ERRORI DA EVITARE

Affinché ciò avvenga occorre evitare o rimediare ad alcuni possibili errori e predisporre necessarie condizioni. Tra i principali errori da evitare o cui porre rimedio, è possibile sottolineare i seguenti:

l'accoglimento di un modello gestionale e organizzativo burocratico anziché manageriale, che finisca per privilegiare la formale verifica degli adempimenti, piuttosto che il sostanziale controllo dei risultati; è la criticità più frequente, originata dalla cultura burocratico-amministrativa, tipica del passato, ma ancora oggi piuttosto diffusa, se non addirittura prevalente, presso le amministrazioni pubbliche, enti locali compresi; ed è altresì la criticità più rilevante, dalla quale discendono le altre richiamate di seguito, e che può vanificare, o quantomeno limitare e rallentare, il positivo contributo, in particolare sul piano della responsabilizzazione degli organi gestionali, che le innovazioni nel sistema dei controlli interni possono apportare alla riforma, in chiave aziendale, delle amministrazioni pubbliche locali;

la progettazione di un modello di controllo ispettivo anziché direzionale, che finisca per limitarne la portata, rendendolo strumentale al rendiconto periodico (spesso infrequente) degli esiti dell'azione e alla conseguente alimentazione del sistema di valutazione e incentivazione del personale, ma non al sistematico (e frequente) monitoraggio e alla guida manageriale della gestione dell'ente; il

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sistema di programmazione e controllo si rivela così scarsamente incisivo sugli atteggiamenti e sui comportamenti dei dirigenti e responsabili dei servizi, i quali non ne traggono né vi attribuiscono particolare utilità (a causa dell'infrequente e intempestivo rilascio dei report periodici), dimostrandosi anzi piuttosto ostili nei confronti del sistema di controllo e di chi lo presidia, tendendo spesso ad attivare meccanismi difensivi (sia in sede programmatoria, giocando ordinariamente al ribasso nella negoziazione del rapporto obiettivi/risorse; sia in sede di controllo, tendendo regolarmente a classificare come esogeni gli eventuali scostamenti);

la costruzione di un sistema di controllo dispersivo, anziché selettivo, analiticamente disarticolato in un elevato grado di dettaglio (attraverso cui si pensa, spesso erroneamente, di ottenere una maggiore precisione del controllo), piuttosto che sinteticamente concentrato sugli aspetti significativi e rilevanti (quelli effettivamente sintomatici e segnaletici del concreto andamento della gestione); il che tende a rendere impraticabile il processo di controllo-guida, vuoi per l'eccessiva onerosità del sistema informativo di supporto, vuoi per il ritardo con cui le informazioni risultano disponibili, vuoi per le difficoltà connesse alla loro analisi, interpretazione e utilizzazione nell'ambito dei processi valutativi e decisionali;

il porre l'enfasi sulla sola dimensione economico-finanziaria trascurando quella strategico-operativa, con il che il sistema di controllo risulta parziale e non riesce a cogliere compiutamente l'andamento della gestione; si tratta di un limite non infrequente, tanto più laddove il presidio del sistema di controllo venga individuato presso la direzione finanziaria, tipicamente portatrice di una cultura prevalentemente contabile; si tratta, nondimeno, di un limite rilevante qualora si perseguano obiettivi di efficacia, che i dati economico-finanziari non riescono normalmente a cogliere e rappresentare compiutamente (si pensi alla qualità dei servizi), ma altresì qualora si perseguano obiettivi di efficienza, che i dati economico-finanziari possono misurare, ma che, a meno di essere integrati con dati fisico-tecnici, non sempre consentono di interpretare nelle relative determinanti (si pensi a scostamenti di costo determinati da andamenti, anche di segno diverso, nei livelli di attività, nei livelli di produttività e nei livelli di prezzo);

l'individuazione dei dirigenti e responsabili dei servizi come fornitori anziché fruitori del sistema di controllo, con il che quest'ultimo viene di fatto snaturato (invertendone la sequenza logica di svolgimento e accentuandone la natura di tipo ispettivo); si tratta di un errore spesso originato dalla inadeguatezza del sistema informativo di supporto che induce il servizio di controllo interno a chiedere la predisposizione delle schede di report ai dirigenti e responsabili dei servizi, i quali dovrebbero invece esserne i destinatari; si tratta di una situazione che, accettabile nella fase di avvio del sistema, se si protrae nel tempo finisce per fargli perdere credibilità, determinando o accentuando la disaffezione nei suoi confronti da parte dei dirigenti e responsabili dei servizi, i quali non solo non ne traggono benefici (in termini di informazioni frequenti e tempestive sull'andamento dei servizi diretti), ma ne sostengono anche la parte prevalente dei costi (in termini di tempo che la struttura diretta deve dedicare alla raccolta dei dati richiesti dal servizio di controllo interno).

CONDIZIONI

Le principali condizioni da predisporre per rendere efficace il sistema di programmazione e controllo discendono di conseguenza:

innanzitutto è necessario favorire lo sviluppo e la diffusione di una appropriata cultura di governo e di direzione (fondata sui criteri dell'efficacia e dell'efficienza, sulla tensione al risultato, sull'orientamento al servizio e all'utenza, sull'importanza dell'informazione e della comunicazione), attraverso innesti di figure dotate delle necessarie professionalità (acquisendole anche dall'esterno qualora mancanti), nonché attraverso significativi interventi formativi a spettro allargato (che possibilmente coinvolgano sia gli organi di espressione politica, sia quelli di espressione tecnica);

in secondo luogo occorre progettare l'architettura del sistema di controllo, definendo i confini e le relazioni tra le varie componenti del sistema e, in particolare, tra il controllo strategico, il controllo di gestione e la valutazione dei dirigenti e responsabili; specificamente, nel rapporto tra controllo strategico e controllo di gestione è possibile preferire una soluzione unitaria, ossia un unico sistema che soddisfi entrambe le esigenze di controllo (si tratta della soluzione più semplice, che può

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risultare praticabile e comunque efficace per la generalità degli Enti locali), ovvero una soluzione composita, ossia due sistemi tra loro distinti ma integrati (si tratta della soluzione più complessa, approntabile da parte degli enti di dimensione più grande e maggiormente dotati sul piano delle risorse e delle competenze); in ogni caso, occorre istituire chiare relazioni tra il controllo di gestione e la valutazione delle prestazioni dei dirigenti e responsabili, stabilendo in che misura e in che modo gli esiti dell'attività di controllo alimentino il sistema di valutazione del personale;

inoltre occorre predisporre in modo appropriato l'assetto organizzativo del sistema di controllo, definendone chiaramente il grado di ampiezza e di profondità; in quest'ambito occorre individuare o istituire gli organi e i ruoli di supporto al sistema (ivi compreso, in particolare, l'Organismo indipendente di valutazione); ma in quest'ambito occorre altresì definire le modalità di funzionamento del sistema di controllo (chi, che cosa, come, quando, &) nelle varie fasi che ne compongono il processo;

parallelamente occorre approntare il sistema informativo (nei suoi sub-sistemi contabili e operativi) e le procedure informatiche di supporto, la cui impostazione è necessariamente strumentale e, quindi, subordinata al sistema di controllo specificamente disegnato (sia in quanto al modello accolto, sia in quanto ai relativi caratteri strutturali e procedurali); questo aspetto è fondamentale, in quanto solo un appropriato supporto informativo consente l'efficace svolgimento delle attività di programmazione e, soprattutto, di controllo; dove il valore aggiunto che può essere offerto da un evoluto sistema informativo integrato è rappresentato dalla disponibilità, in modo prevalentemente continuo, istantaneo e automatico delle informazioni necessarie a conoscere e valutare il grado di realizzazione degli obiettivi, lo stato di attuazione dei programmi di attività e il livello di impiego delle risorse;

approntate le strutture organizzativa e tecnica, occorre presentare in modo trasparente il progetto di implementazione del sistema di controllo, coinvolgendo la generalità degli organi di governo e di direzione, ai quali ne vanno spiegate le finalità perseguite, i vantaggi attesi sul piano generale e particolare, la logica di funzionamento, l'assetto organizzativo, la metodologia e gli strumenti tecnici di supporto;

infine, si rende necessario prevedere una fase di avvio, sperimentazione e affinamento del sistema che consenta di testarlo, individuandone le possibili carenze o criticità, e di correggerlo laddove necessario; in questa fase è fondamentale il supporto, a un tempo formativo e operativo, che può essere offerto ai dirigenti e responsabili dei servizi da parte delle strutture di supporto appositamente istituite (in particolare da parte del servizio di controllo interno); superata positivamente questa fase, infatti, il sistema potrà entrare a regime offrendo compiutamente il proprio contributo al miglioramento della funzionalità della complessiva struttura dell'ente.

Un aspetto che merita di essere sottolineato è che la progettazione del sistema di controllo deve avvenire in modo specifico, tenendo in debita considerazione le caratteristiche peculiari, sul piano tanto organizzativo quanto gestionale, tanto strategico quanto operativo, dell'ente considerato. Inoltre, essendo molteplici e mutevoli le possibili e utili dimensioni della gestione che il sistema di controllo deve (consentire di) presidiare, è necessario che si caratterizzi in termini sia di specializzazione (prevedendo metodologie e strumentazioni adeguate alle diverse dimensioni rilevanti) che di flessibilità (prevedendo possibilità di integrazione e di adattamento all'evolvere della realtà di riferimento).

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Pubblica amministrazione

Per le Autonomie l’obbligo del regolamento di Arturo Bianco, Il Sole 24 Ore - Guida agli Enti Locali, 30 ottobre 2010, n. 43 Il provvedimento persegue un’azione amministrativa imparziale e uno svolgimento dell’attività dei dirigenti immune da possibili condizionamenti, con una norma Precettiva che non prevede alcuna alternativa Le indicazioni contenute nella circolare della Funzione pubblica del 6 agosto scorso sui requisiti per il conferimento di incarichi di direzione del personale nelle pubbliche amministrazioni sembrano essere molto utili sul terreno operativo, perché consentono di risolvere quasi tutti i dubbi sulla corretta applicazione delle norme dedicate. LE DISPOSIZIONI NORMATIVE La legge Brunetta (Dlgs 150/2009) ha introdotto una modifica al testo unico sul lavoro nelle pubbliche amministrazioni, in base alla quale non possono essere conferiti incarichi di direzione e di posizione organizzativa relativi alla gestione del personale a coloro che hanno o hanno avuto negli ultimi 2 anni incarichi in partiti politici e/o in organizzazioni, ovvero hanno o hanno avuto in tale arco temporale rapporti di collaborazione non occasionale con questi soggetti. La disposizione si inserisce nell’ambito di un insieme di misure contenute nello stesso provvedimento, che vanno nella direzione di rimarcare la necessità di autonomia e indipendenza di coloro che svolgono funzioni pubbliche nella gestione del personale. Ricordiamo che analoghe prescrizioni, infatti, sono dettate come requisito per potere essere nominati tra i componenti dell’organismo direttivo dell’Aran e che lo stesso vale anche per essere compresi tra i componenti degli Organismi indipendenti di valutazione delle singole amministrazioni. L’obiettivo, come dice espressamente il provvedimento della Funzione pubblica, è «perseguire un’azione amministrativa imparziale e uno svolgimento della funzione dirigenziale scevro da possibili condizionamenti», quindi con una «una norma precettiva che non prevede alternative ». La condizione di incompatibilità “non è rimovibile”, infatti, tramite le dimissioni: «solo il decorso del tempo previsto» può consentire di superare la incompatibilità. La disposizione è rivolta a tutte le pubbliche amministrazioni, statali o meno. Per gli enti non statali, quindi per le Regioni e le Autonomie locali in primo luogo, si tratta di una previsione che deve essere tradotta in una specifica norma regolamentare, l’emanazione della quale è obbligatoria. Non tutti gli incarichi dirigenziali e/o di posizione organizzativa sono interessati dal divieto, ma unicamente quelli delle «strutture deputate alla gestione del personale ». Vale a dire quelle articolazioni organizzative che hanno una specifica “missione” in questo senso. L’AMBITO DI APPLICAZIONE Sono espressamente compresi anche i titolari di posizione organizzativa. Va prestata attenzione particolare ai compiti assegnati nell’ambito delle delegazioni sindacali e il relativo grado di discrezionalità. La circolare della Funzione pubblica 11/2010 mette in evidenza che la norma non si estende a coloro che hanno incarichi di direzione generale, come negli Enti locali i segretari e i direttori generali. Questi ultimi, piuttosto, hanno l’obbligo di evitare il maturare di una condizione di «conflitto di interessi, soprattutto in occasione di trattative negoziali». Al riguardo viene richiamato il codice di comportamento dei dipendenti pubblici. In base di queste indicazioni, non sembrano compresi nell’ambito dell’incompatibilità i segretari dirigenti della Unione a cui sono conferiti dall’Ente

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incarichi di direzione del personale. La circolare invita tutte le singole amministrazioni a individuare previamente le strutture dell’Ente alle quali si applicano i vincoli dettati dal legislatore. La circolare di Palazzo Vidoni offre alcune indicazioni assai utili anche per l’individuazione delle organizzazioni sindacali e dei partiti politici. In premessa si deve evidenziare che il divieto non riguarda né l’iscrizione, né lo svolgere «una semplice partecipazione priva di funzione direzionale»; per svolgimento di incarichi nelle organizzazioni sindacali si deve intendere semplicemente «la partecipazione alle scelte dell’organizzazione», nonché lo «svolgimento di compiti di reale impulso all’attività ». Sono esclusi i casi nei quali «risulta assente il potere di assumere decisioni autonomamente rilevanti nell’organizzazione e per l’organizzazione». Cioè «è rilevante la circostanza di essere o essere stato dirigente sindacale, nonché di agire in nome e per conto dell’associazione quale funzionario delegato». Al riguardo la circolare richiama le disposizioni dettate dall’articolo 3, comma 2, del Dlgs 564/1996, che individua gli incarichi sindacali e politici ai fini della contribuzione figurativa. Tale ruolo si manifesta sia nell’ambito delle confederazioni, sia delle federazioni, sia delle organizzazioni di categoria e, elemento per molti versi estensivo del dettato normativo, anche nell’ambito delle Rsa e delle Rsu. INCARICHI SINDACALI E POLITICI Anche per individuare i partiti politici s devono utilizzare “criteri non eccedenti”; per cui viene suggerito il richiamo alla stessa logica utilizzata per le organizzazioni sindacali, cioè la tipologia di incarico che viene svolto e il suo essere necessariamente dotato di compiti di propulsione o stimolo e/o di poteri di rappresentanza. Al riguardo si citano come punto di riferimento le indicazioni che la giurisprudenza ha dettato in materia di esclusione dalle commissioni di concorso, cioè l’essere titolare di un incarico direttivo. Molto opportunamente la circolare ricorda che l’essere titolari di un incarico elettivo non determina necessariamente il maturare di questa condizione di incompatibilità: c’è una differenza tra gli incarichi in partiti politici e quelli pubblici. Non vi sono elenchi di partiti politici, per cui la loro individuazione deve necessariamente essere effettuata sulla base di previsioni di carattere generale, quali la partecipazione a consultazioni elettorali e l’essere muniti di una organizzazione stabile. ALTRE INDICAZIONI Il richiamo alle collaborazioni deve essere inteso come riferito a quelle che hanno un carattere professionale, elemento che riscontriamo sulla base della erogazione di un compenso. Da qui la conseguenza che sono esclusi gli incarichi svolti a titolo gratuito. La norma, inoltre, esclude espressamente gli incarichi svolti in modo occasionale o saltuario: solamente quelli che hanno una natura coordinata e continuata, per esempio nella forma del lavoro a progetto e del lavoro subordinato rientrano nell’ambito della prescrizione legislativa. La circolare ci ricorda che la disposizione si applica a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto, quindi per il futuro: di conseguenza gli incarichi conferiti a decorrere da questa fase. Sul terreno operativo si suggerisce il ricorso alla dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, da richiedere ai soggetti ai quali si conferiscono gli incarichi. L’eventuale inosservanza determina il maturare di un reato, per la falsità delle dichiarazioni rese, nonché obbliga l’Ente a instaurare un procedimento disciplinare, che può anche comportare il licenziamento, stante le previsioni contenute nell’articolo 55-quater del Dlgs 165/2001 sulle dichiarazioni false rese all’atto della assunzione o della progressione in carriera: c’è una evidente analogia, i dice la circolare. Matura una specifica responsabilità anche in capo al soggetto che ha conferito l’incarico violando la prescrizione legislativa. Va evidenziata, infine, la nullità dell’atto con cui è stato conferito l’incarico, con la necessità di «rimozione degli atti viziati», il che deve essere preceduto da una formale comunicazione di avvio del relativo procedimento.

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Pubblico impiego

Pubblico impiego: le pensioni dopo la manovra d'estate di Giuseppe Rodà, Guida al Lavoro, 22 ottobre 2010, n. 41

La legge n. 122 del 30 luglio 2010, entrata in vigore il 31 luglio 2010, di conversione del decreto legge n. 78 del 31 maggio 2010 (entrato in vigore il 31 maggio 2010) ha introdotto una serie di innovazioni sul versante previdenziale.

L'Inps prima con la circolare n. 126 del 24 settembre 2010 (si veda Guida al Lavoro n. 38/2010, pag. 89) ed ora l'Inpdap con la circolare n. 18 dell'8 ottobre 2010 hanno fornito i relativi criteri applicativi. Ci soffermiamo su alcuni aspetti evidenziati dall'Inpdap nella predetta circolare. In particolare esaminiamo l'eliminazione della possibilità delle ricongiunzioni gratuite dei periodi assicurativi presso l'Inps. La normativa precedente, infatti, stabiliva che l'operazione di trasferimento di tutti i contributi presso l'Inps da parte di altri enti previdenziali era gratuita. Lo stesso discorso avveniva nel caso della costituzione assicurativa presso l'Inps quando si cessava da un servizio del settore statale e pubblico senza diritto a pensione.

Ricongiunzione onerosa

Va notato che il comma 12-septies dell'articolo 12 del decreto legge n. 78/2010, convertito dalla legge n. 122/2010, estende, a decorrere dal 1° luglio 2010, alle ricongiunzioni previste all'articolo 1, comma 1, della legge n. 29/1979 (in concreto le ricongiunzioni verso l'Inps) le disposizioni contenute nell'articolo 2, commi 3, 4 e 5, della stessa legge e cioè l'onerosità.

Tale onere a carico dei richiedenti viene determinato sulla base dei criteri fissati dall'articolo 2, commi da 3 a 5, del decreto legislativo n. 184/1997. Le nuove disposizioni si applicano per le domande presentate dal 1° luglio 2010, restando confermate le precedenti norme per le istanze presentate anteriormente a questa data.

Il predetto articolo 12, comma 12-septies, ha arrecato anche modifiche all'articolo 4, comma 1, della legge n. 299/1980, stabilendo che per la determinazione della riserva matematica delle ricongiunzioni di cui all'articolo 2, comma 3, della legge n. 29/1979, si applicano i coefficienti attuariali contenuti nelle tabelle di cui all'articolo 13 della legge n. 1338/1962, come successivamente modificati dalla normativa vigente (in luogo dei coefficienti contenuti nelle tabelle approvate con Dm 27 gennaio 1964). La modifica legislativa in esame non ha stabilito alcuna variazione nella determinazione delle ricongiunzioni secondo la legge n. 45/1990 (ricongiunzioni per i liberi professionisti), anche in considerazione della circostanza che la riserva matematica per queste ricongiunzioni è stata da sempre correlata alle tabelle approvate con il decreto ministeriale vigente all'atto della presentazione della domanda.

Resta confermato, pure per questa tipologia di ricongiunzioni, l'utilizzo per i dipendenti di sesso femminile delle analoghe tabelle fissate per i dipendenti di sesso maschile in applicazione della sentenza n. 764/1998 della Corte Costituzionale, come già precisato nella circolare Inpdap n. 6/IP del 25 maggio 1991.

Eliminata la possibilità della costituzione della posizione assicurativa presso l'Inps

Con il comma 12-undecies, sempre del predetto articolo 12, viene abrogata la legge 2 aprile 1958, n. 322, concernente la costituzione della posizione assicurativa presso l'Inps e le ulteriori disposizioni connesse che disciplinano tale prestazione in relazione all'ordinamento di appartenenza (articolo 40 della legge n. 1646/1962 per amministrazioni statali e per gli iscritti alle Casse pensioni degli ex Istituti di previdenza; articolo 124 del Dpr n. 1092/1973 che disciplina la

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costituzione della posizione assicurativa per i dipendenti civili e militari dello Stato; articolo 21, comma 4, e articolo 40, comma 3, della legge n. 958/1986 per i militari in servizio di leva o leva prolungata).

Resta, però, in essere la costituzione d'ufficio presso l'Inps quando il dipendente statale sia cessato, senza diritto a pensione, anteriormente al 31 luglio 2010 oppure per gli altri iscritti all'Inpdap (Cpdel, Cps, Cpi e Cpug) che abbiano presentato domanda di costituzione assicurativa presso l'Inps prima del 31 luglio 2010.

Non esiste più, quindi, la possibilità della costituzione della posizione assicurativa presso l'Inps per i dipendenti statali che cessano dal servizio senza diritto a pensione a partire dal 31 luglio 2010 oppure per gli iscritti alle casse pensioni gestite dagli ex istituti di previdenza che non abbiano presentato domanda entro il 30 luglio 2010. Tale impossibilità di costituzione di posizione assicurativa presso l'Inps poteva creare delle problematiche nel senso che presso l'ordinamento previdenziale dell'Inpdap esisteva la disposizione secondo la quale si poteva andare in pensione solo in presenza del rapporto assicurativo fino all'atto del pensionamento e cioè con l'attività lavorativa o la prosecuzione volontaria fino a questa data. L'Inpdap, con la circolare in commento, è corso ai ripari partendo dal presupposto che l'abrogazione della legge 2 aprile 1958, n. 322, che, attraverso il trasferimento dei contributi, consentiva comunque agli iscritti all'lnpdap di ricevere una prestazione dall'assicurazione generale obbligatoria gestita dall'lnps, ha stabilito la possibilità per l'Istituto di attribuire il diritto a pensione di anzianità o di vecchiaia, in presenza dei requisiti contributivi minimi prescritti, indipendentemente se l'interessato, al raggiungimento del requisito anagrafico minimo previsto dalla legge, sia ancora in attività di servizio o abbia cessato il rapporto di lavoro.

L'Inpdap precisa, perciò, che il diritto ad una pensione deve essere garantito dalla esistenza di una contribuzione previdenziale nell'ammontare minimo prescritto dalla legge, fermo restando che l'erogazione di questo trattamento, sia esso di vecchiaia che di anzianità, può avvenire solo al compimento del prescritto requisito anagrafico, ancorché non raggiunto in costanza di attività lavorativa.

Naturalmente per la decorrenza dei relativi trattamenti si fa riferimento alle nuove disposizioni introdotte dalla legge n. 122/2010.

Prolungamento del servizio fino alla finestra

Secondo le disposizioni contenute nei commi 1, 2 e 3 dell'articolo 12 della legge n. 122/2010, scatta la finestra decorsi 12 mesi ovvero 18 mesi (per le pensioni in regime di totalizzazione) dalla maturazione dei prescritti requisiti.

Per poter garantire la tutela previdenziale esistente già nel settore privato per legge, l'Inpdap, facendo riferimento agli articoli 3 e 38 della Costituzione, evita soluzioni di continuità tra stipendio e pensione.

In altri termini le amministrazioni e gli enti datori di lavoro devono mantenere in servizio i dipendenti che cessano per limiti di età ovvero di servizio fino alla data di decorrenza del trattamento pensionistico (finestra).

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Esempi

Vale la pena di elaborare qualche caso concreto di applicazione della nuova normativa.

Domanda: Se un dipendente statale di 59 anni di età cessa dal servizio con 21 anni di contribuzione la pensione verrà liquidata dall'Inpdap o dall'Inps?

Risposta: In questo caso nessun problema nel senso che la pensione di vecchiaia sarà liquidata dall'Inpdap al compimento dell'età pensionabile per il trattamento pensionistico di vecchiaia. Infatti il lavoratore in questione, all'atto della cessazione del rapporto di lavoro, ha già maturato il requisito minimo contributivo di 20 anni per la predetta pensione di vecchiaia.

Domanda: Un dipendente pubblico, iscritto all'Inpdap, cessa dal servizio con 18 anni di contribuzione.

Cosa avviene per la pensione?

Risposta: Qui la situazione appare più complessa mancando, appunto, all'atto della cessazione dal servizio il requisito minimo contributivo per la pensione di vecchiaia (20 anni). Le possibilità in questa situazione sono due in alternativa.

Prima possibilità: prosecuzione della contribuzione volontaria fino alla maturazione del predetto requisito minimo contributivo.

Seconda possibilità: ricongiunzione onerosa presso l'Inps. Questa seconda possibilità, però, non è utile per il fatto che una volta trasferiti a pagamento i 18 anni di contribuzione presso l'Inps bisognerà poi proseguire la contribuzione volontaria per il raggiungimento del requisito minimo contributivo dei 20 anni per poter tagliare al compimento dei 65 anni, se uomo, 60 se donna, il traguardo della pensione di vecchiaia.

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Rifiuti

Gestione dei rifiuti, stop dall'Ue alle città-discarica di Maria Adele Cerizza, Il Sole 24 Ore - Guida agli Enti Locali , 9 ottobre 2010, n. 40 Ogni anno vengono prodotti nell'Ue tra i 118 e i 138 milioni di tonnellate di rifiuti organici, di cui circa 88 milioni sono costituiti da rifiuti urbani. Si prevede che da qui al 2020 tale cifra aumenterà in media del 10%. In Europa in media il 40% dei rifiuti organici viene ancora conferito in discarica e in alcuni Stati membri la percentuale può arrivare fino al 100%. Tuttavia, lo smaltimento in discarica comporta grossi rischi ambientali, quali l'emissione di gas a effetto serra e l'inquinamento del suolo e delle acque sotterranee e sottrae irrevocabilmente risorse preziose (compost, energia) al ciclo naturale ed economico, contravvenendo agli orientamenti delle politiche Ue in materia, in particolare alla "gerarchia dei rifiuti", sulla quale dovrebbero basarsi tutte le politiche nazionali. Sono queste le premesse dalle quali si sviluppa una Comunicazione della Commissione europea relativa alle prossime misure in materia di gestione dei rifiuti organici nell'Unione europea. LA SITUAZIONE La gestione dei rifiuti organici è regolamentata da diversi atti normativi comunitari. In base alla direttiva quadro sui rifiuti, gli Stati membri hanno l'obbligo di elaborare politiche in materia di gestione dei rifiuti rispettose dell'ambiente e della salute umana e capaci di garantire un uso sostenibile delle risorse naturali. Gli Stati membri sono pertanto giuridicamente tenuti a ottimizzare il trattamento dei rifiuti organici in funzione delle loro specifiche situazioni. La direttiva quadro sui rifiuti invita gli Stati membri a effettuare la raccolta differenziata dei rifiuti organici e a riciclarli e li autorizza a includerli nel calcolo degli obiettivi obbligatori di riciclaggio dei rifiuti urbani. La direttiva consente inoltre di definire requisiti minimi in seno all'Ue per la gestione dei rifiuti organici e criteri di qualità per il compost derivato da tali rifiuti, nonché requisiti relativi all'origine dei rifiuti e ai processi di trattamento. Tali criteri si sono resi necessari per accrescere la fiducia del consumatore e rafforzare il mercato a sostegno di un'economia razionale dei materiali. La direttiva quadro fissa una soglia di efficienza energetica al di sotto della quale l'incenerimento di rifiuti solidi urbani non può essere considerato un'operazione di recupero. La direttiva sulle discariche impone agli Stati membri di ridurre gradualmente la messa in discarica dei rifiuti urbani biodegradabili per giungere, entro il 2016, al 35% rispetto ai valori del 1995. La direttiva sulle discariche non prescrive tuttavia nessuna specifica alternativa per il trattamento dei rifiuti non conferiti in discarica. In pratica, gli Stati membri sono spesso portati a scegliere l'alternativa apparentemente più semplice e meno costosa, noncuranti dei reali benefici ambientali e dei costi. Ciò ha scatenato un lungo dibattito sull'eventuale necessità di un'ulteriore regolamentazione. La comunicazione della Commissione spiega le misure che Bruxelles ritiene necessarie in questa fase per ottimizzare la gestione dei rifiuti organici. In particolare, la comunicazione: trae conclusioni dall'analisi della Commissione; presenta raccomandazioni sulla via da seguire per trarre pieno vantaggio da una corretta gestione; descrive le principali linee d'azione che potrebbero essere adottate a livello nazionale o dell'Ue e il modo migliore per attuarle. GESTIONE Ottimizzare riciclaggio e recupero dei rifiuti comporterebbe i seguenti vantaggi: - un risparmio economico per i cittadini; - permetterebbe di ridurre le emissioni di circa 10 milioni di tonnellate di CO2 equivalenti, contribuendo così per il 4% all'obiettivo Ue 2020; - circa 1/3 dell'obiettivo fissato dall'Ue per il 2020 di usare nei trasporti energia da fonti rinnovabili potrebbe essere raggiunto usando il biogas ottenuto dai rifiuti organici come carburante per

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autotrazione, mentre se tutti i rifiuti organici fossero trasformati in energia sarebbe possibile raggiungere il 2% dell'intero obiettivo in materia di energie rinnovabili; - permetterebbe di aumentare di un fattore del 2,6 il volume del mercato del compost di qualità, che raggiungerebbe circa 28 milioni di tonnellate; - sostituendo con compost il 10% dei fertilizzanti fosfatici, il 9% di quelli potassici e l'8% dei fertilizzanti a base di calcio, consentirebbe di risparmiare di risorse; - grazie all'uso di compost, consentirebbe di migliorare tra il 3% e il 7% dei terreni agricoli impoveriti dell'Ue e permetterebbe di affrontare il problema del degrado dei suoli europei. LE MISURE La Commissione intende adottare le seguenti misure: a) Prevenzione dei rifiuti organici Ai sensi della direttiva quadro sui rifiuti, gli Stati membri hanno l'obbligo di predisporre piani nazionali di gestione nel rispetto della gerarchia dei rifiuti. La Commissione potrebbe fornire ulteriore appoggio per promuovere la più ampia diffusione possibile delle buone pratiche. Essa prevede di proporre, in base alla procedura del comitato, specifici orientamenti sulla prevenzione dei rifiuti organici per i piani nazionali e di continuare a lavorare per proporre indicatori per valutare l'opportunità di fissare, in futuro, obiettivi in materia di prevenzione dei rifiuti a livello dell'Ue. b) Trattamento dei rifiuti organici Nel caso in cui non sia possibile evitare la formazione di rifiuti organici e tenuto conto delle loro specifiche situazioni gli Stati membri dovrebbero scegliere le migliori opzioni di gestione. Un certo numero di Stati membri ha già ridotto, o dovrebbe drasticamente ridurre, la messa in discarica dei rifiuti organici a vantaggio di un maggior trattamento biologico. L'analisi dei costi e dei benefici presentata in dettaglio nell'allegato mostra che i potenziali vantaggi sociali e per l'intera Ue sembrano essere significativi. Viste le diverse situazioni negli Stati membri, prima di prendere in considerazione se proporre o meno un obiettivo a livello dell'Ue per il trattamento biologico sarà necessario un lavoro più approfondito. Un obiettivo per il trattamento biologico dovrebbe probabilmente andare di pari passo con il potenziamento della raccolta differenziata al fine di garantire una buona qualità del compost e del digestato. La scelta tra compostaggio centralizzato e decentralizzato, la produzione di energia per digestione e i diversi modi di utilizzo dell'energia prodotta - trasporti, elettricità, produzione di calore - dipenderà dalle condizioni in loco (mix energetico, sinergie con altre politiche) e dovrebbe essere lasciata agli Stati membri. c) Protezione dei suoli Ue Il compost e il digestato prodotti a partire dai rifiuti organici sono materiali sottoutilizzati. Sebbene contribuiscano in modo straordinario all'utilizzo efficiente delle risorse dell'Ue e al miglioramento dei terreni poveri di carbonio, in molti Stati membri la domanda soffre di una mancanza di fiducia da parte dell'utente finale. Per far fronte a tale preoccupazione, l'uso di tali materiali andrebbe regolato in modo tale che i terreni non subiscano alcun effetto negativo. Dovrebbero essere definite norme per il compost e il digestato che ne consentano la libera circolazione nel mercato interno e ne permettano l'utilizzo senza ulteriore monitoraggio o controllo dei terreni sui quali vengono usati. d) Ricerca e innovazione La ricerca e l'innovazione possono sfociare in nuove tecnologie e impieghi per i rifiuti organici. Il settimo programma quadro dell'Ue per ricerca e sviluppo tecnologico (2007-2013) contribuisce a tali sviluppi. e) Maggiore attenzione alla piena applicazione dell'acquis dell'Ue Come dimostrato dai progressi compiuti in diversi Stati membri, la normativa in vigore in materia di rifiuti costituisce un'ottima base per la gestione avanzata dei rifiuti organici. È tuttavia essenziale che gli strumenti a disposizione vengano usati in tutta la loro potenzialità e che siano correttamente applicati. Pertanto la Commissione, oltre ad assistere gli Stati membri, raddoppierà i propri sforzi per assicurare una migliore applicazione della normativa. f) Misure a livello degli Stati membri: Piani di gestione rispettosi della gerarchia dei rifiuti Pur nel rispetto delle specifiche condizioni locali, gli Stati membri dovrebbero innanzitutto applicare le disposizioni della direttiva quadro sui rifiuti ed attuare correttamente la gerarchia dei rifiuti nei piani nazionali di gestione dei rifiuti organici. Una corretta applicazione di tali disposizioni, che dal 12 dicembre 2010 saranno vincolanti per gli Stati membri, contribuirebbe in modo significativo

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all'ottimizzazione della gestione dei rifiuti organici e completerebbe gli effetti della direttiva sui rifiuti. Gli Stati membri dovrebbero impegnarsi a fondo per introdurre la raccolta differenziata in modo da garantire un riciclaggio e una digestione anaerobica di alta qualità. Sistemi altamente efficaci basati sulla separazione alla fonte di diversi flussi di rifiuti organici esistono già. I sistemi di raccolta differenziata possono variare a seconda, per esempio, del tipo di rifiuti raccolti (rifiuti alimentari o di giardino) e della disponibilità delle alternative di trattamento. La chiave del successo risiede nell'adeguamento alle condizioni locali e nella concezione di sistemi di facile utilizzo. g) Protezione dei suoli Ue La Commissione sta valutando la possibilità di proporre norme minime per l'utilizzo del compost e del digestato in agricoltura nel quadro della revisione della direttiva sui fanghi di depurazione. Tali norme saranno probabilmente altrettanto o meno vincolanti di quelle nazionali già messe in atto in alcuni Stati membri. Gli Stati membri dovrebbero promuovere la produzione e l'uso di compost a partire da rifiuti organici puliti (ovvero raccolti in maniera differenziata) incoraggiandone attivamente l'ampia diffusione tra gli utenti finali. La Commissione raccomanda a tutti gli Stati membri di puntare alla totale soppressione dei rifiuti organici non trattati il prima possibile, in conformità alla direttiva quadro sui rifiuti. Nel quadro degli sforzi messi in atto per limitare al massimo la messa in discarica, tutte le soluzioni che figurano ai livelli più alti della gerarchia sono valide. Anche l'incenerimento efficace sul piano energetico può contribuire al generale miglioramento della gestione dei rifiuti. I piani nazionali di gestione dei rifiuti dovrebbero esplicitamente prendere in considerazione tale questione, a medio e a lungo termine. h) Produzione di energia a partire dai rifiuti La decarbonizzazione del settore energetico è una delle principali sfide dell'Ue. I rifiuti organici possono essere trasformati in elettricità, calore o carburante per autotrazione a costi relativamente contenuti, limitando così l'uso di combustibili fossili e aumentando la sicurezza degli approvvigionamenti. Gli Stati membri dovrebbero tenerne conto nell'elaborazione delle misure volte al raggiungimento degli obiettivi nazionali vincolanti per il 2020 in materia di energie rinnovabili previsti dalla direttiva sulle rinnovabili. La direttiva riconosce in particolare i vantaggi legati all'uso dei rifiuti nella produzione di carburante per autotrazione, dal momento che nel computo dell'obiettivo del 10% per la quota di energia da fonti rinnovabili nei trasporti essi valgono il doppio. Gli Stati membri devono fare della corretta attuazione degli strumenti giuridici dell'Ue in materia di gestione dei rifiuti organici la loro principale priorità.

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Casi pratici

Ambiente

POSSIBILE PASSAGGIO DA RIFIUTO A SOTTOPRODOTTO D. Una piccola Srl, che si occupa di restauri edili e che non supera mai i 10 dipendenti, demolendo parti d’edifici produce materiali di scarto che talvolta usa per altre lavorazioni, nello stesso cantiere dove sono stati prodotti oppure in altri suoi cantieri: ad esempio, tegole recuperate dalla demolizione del tetto vecchio per il tetto nuovo o mattoni del muro demolito per riempimento di intercapedini. Quali obblighi ha la società secondo il codice dell’ambiente? ----- R. Preliminarmente si dovrà accertare se i «materiali di scarto» debbano classificarsi come rifiuti ai sensi dell’articolo 183, comma 1 , lettera A, Dlgs 152/2006, ovvero un “sottoprodotto” ai sensi dell’articolo 183, comma 1, lettera P, dello stesso Dlgs, trattandosi, invero, di una questione niente affatto marginale, nel primo caso dovendo procedere agli adempimenti del caso previsti dalla parte quarta del cosiddetto codice ambientale (Dlgs 152/2006 citato). Ammesso, peraltro, come appare verosimile, che i materiali di scarto in questione (da demolizione) prodotti dall’attività rientrino nella definizione di rifiuto, il lettore potrà beneficiare di talune semplificazioni previste dalla legge a favore delle piccole aziende (non oltre dieci dipendenti) produttrici di rifiuti non pericolosi, ovvero: 1) esonero dalla presentazione annuale del Mud ex articolo 189, comma 3, Dlgs 152/2006; 2) esonero dall’obbligo di registrazione sul registro di carico/scarico ex articolo 190, comma 1, Dlgs citato (purché, come detto, non si tratti di rifiuti pericolosi); 3) trasporto anche in conto proprio previa iscrizione all’ Albo nazionale gestori ambientali ai sensi dell’articolo 212, comma 8, Dlgs citato. Al contrario il riutilizzo sul posto dei materiali potrà avvenire solo a condizione che sia effettivamente configurabile, in riferimento agli stessi, la menzionata definizione di “sottoprodotto”, intendendo come tali (sottoprodotti) «… le sostanze ed i materiali dei quali il produttore non intende disfarsi ai sensi dell'articolo 183, comma 1, lettera a), che soddisfino tutti i seguenti criteri, requisiti e condizioni: 1) siano originati da un processo non direttamente destinato alla loro produzione; 2) il loro impiego sia certo, sin dalla fase della produzione, integrale e avvenga direttamente nel corso del processo di produzione o di utilizzazione preventivamente individuato e definito; 3) soddisfino requisiti merceologici e di qualità ambientale idonei a garantire che il loro impiego non dia luogo ad emissioni e ad impatti ambientali qualitativamente e quantitativamente diversi da quelli autorizzati per l'impianto dove sono destinati a essere utilizzati; 4) non debbano essere sottoposti a trattamenti preventivi o a trasformazioni preliminari per soddisfare i requisiti merceologici e di qualità ambientale di cui al punto 3), ma posseggano tali requisiti sin dalla fase della produzione; 5) abbiano un valore economico di mercato» (articolo 183, comma 1, lettera P, Dlgs 152/2006 modificato dal Dlgs 4/2008). Al ricorrere dei menzionati requisiti, dunque, quello che altrimenti potrebbe essere uno scarto di produzione, ovvero un rifiuto, “diviene” un sottoprodotto, come tale sottratto alla normativa sui rifiuti. (Marco Fabrizio, Il Sole 24 Ore - L'Esperto Risponde, 18 ottobre 2010, n. 76)

NESSUNA CIFRA AGGIUNTIVA COME CONTRIBUTO RAEE D. Ho acquistato un televisore digitale. All'atto del pagamento il rivenditore ha preteso 3,50 euro a titolo di contributo Raee, pur non avendogli consegnato alcuna apparecchiatura da rottamare. Poiché l'articolo 1 capo I del Dm 8 marzo 2010 stabilisce la gratuità dell'operazione anche in presenza di consegna di vecchi apparecchi, chiedo cortesemente di sapere se l'operato del rivenditore sia in linea con quanto disposto dal suddetto decreto ministeriale. ----- R. Il fatto che i rivenditori/distributori carichino sugli acquirenti gli oneri del sistema di ritiro gratuito dei Raee non risulta, in effetti, conforme alle previsioni di legge, reiteratamente improntate all’insegna della gratuità in tal senso (si vedano l'articolo 6, comma 1, lettera b del Dlgs

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151/2005, e articolo 1, comma 1 del Dm 8 marzo 2010, n. 65). A maggior ragione, la pretesa del rivenditore appare infondata nel caso in questione, visto che non è stato riconsegnato alcun apparecchio. (Marco Fabrizio, Il Sole 24 Ore - L'Esperto Risponde, 18 ottobre 2010, n. 76)

ISCRIZIONE ALL'ALBO PER TRASPORTI PERICOLOSI D. Porto il caso di una società iscritta alla Cciaa per attività di riparazione, manutenzione e assemblaggio per conto terzi di carrelli elevatori. I codici Atecori 2007 sono: 43.29.01 - 28.22.02 - 46.14.01 – 46.69 La società ha 10 dipendenti e due soci. Il quesito riguarda il trasporto delle batterie esauste ritirate dal cliente dopo la sostituzione con altre nuove. Una associazione artigiani sostiene che, per l’iscrizione relativa al trasporto merci pericolose, occorre l'autorizzazione provinciale autotrasportatori prima dell'iscrizione al Sistri, autorizzazione rilasciabile solo se il certificato camerale specifica che il lavoro di manutenzione per conto terzi viene eseguito anche presso la sede del cliente. Inoltre, pur con l’autorizzazione si possono trasportare al massimo 30 chilogrammi di merce pericolosa. Come essere in regola con la norma Sistri? Si precisa che le batterie pesano 50-60 chilogrammi. ----- R. Si ritiene che l’iscrizione al Sistri possa avvenire in via immediata, in qualità di produttore di rifiuti pericolosi, mentre ai fini del trasporto rileverà un’iscrizione alla locale sezione dell’albo nazionale gestori ambientali in qualità di trasportatore produttore di rifiuti pericolosi autoprodotti ai sensi dell’articolo 212, comma 8 del Dlgs 152/2006, qualora il peso dei rifiuti non superi i 30 kg/giorno. In caso difforme (necessità di trasportare oltre 30 kg/giorno di rifiuti pericolosi) sarà necessaria un’iscrizione all’albo in via ordinaria ai sensi dell’articolo 212, comma 5, del Dlgs citato. Ottenuta l’iscrizione all’albo, l’azienda potrà regolarizzare anche la propria posizione Sistri chiedendo l’iscrizione per l’attività di trasportatore di rifiuti. (Marco Fabrizio, Il Sole 24 Ore - L'Esperto Risponde, 18 ottobre 2010, n. 76)

SISTRI iscrizione D. Salve, pongo il caso di una ditta che aveva una autorizzazione al trattamento dei rifiuti non pericolosi inerti, tale autorizzazione, scaduta, non è stata rinnovata entro i termini previsti, l'ente autorizzante ha chiesto quindi che si procedesse ad una autorizzazione (Art.208) ex novo, attualmente in corso di ottenimento. La ditta è quindi in un momento in cui non ha una autorizzazione all'esercizio, di conseguenza l'impianto è attualmente non funzionante. Premesso che la vecchia autorizzazione è scaduta quando il decreto sistri non era stato ancora pubblicato, chiedo come ci si deve comportare per l'iscrizione al sistri? Si deve aspettare prima l'ottenimento della nuova autorizzazione e poi procedere? O altro? ----- R. Se il presupposto per l'iscrizione al SISTRI è l'esercizio di un'attività di smaltimento, piuttosto che di recupero, ai sensi dell'art. 1, D.M. 17 dicembre 2009, e art. 189, c. 3-bis, D.lgs. n. 152/2006 e successive modifiche, va da sé come nella fattispecie in questione non possa ancora configurarsi il presupposto soggettivo di applicabilità della disciplina citata (prima sarà necessario acquisire l'autorizzazione del caso e subito dopo, all'avvio dell'attività, sarà configurabile il presupposto di legge per procedere all'iscrizione al SISTRI). (Marco Fabrizio Codice Ambiente e Sicurezza risponde, 7 ottobre 2010, n. 585)

PROCEDIMENTO SEMPLIFICATO PER I PANNELLI FOTOVOLTAICI D. Vorrei sapere se in un territorio soggetto al vincolo paesistico di cui al Dgs 42/2004 è possibile installare pannelli fotovoltaici parzialmente integrati su tetti esistenti, senza richiedere il nullaosta paesaggistico, ma solo comunicando all'ente l'intervento ai sensi dell'articolo 11, comma 3 del Dlgs 115/2008. ----- R. L’articolo 11, comma 3, del decreto legislativo 115/2008 prevede che al ricorrere di determinate condizioni si possano ricomprendere nella categoria della manutenzione ordinaria gli interventi volti all’installazione di impianti fotovoltaici, consentendo in tal modo di realizzare tali opere mediante la semplice presentazione di una comunicazione al comune in luogo della denuncia di inizio attività.Occorre sottolineare come si possa fare ricorso a questa disciplina "semplificata" solo

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laddove ricorrano le condizioni prescritte nella norma richiamata, e in particolare: gli impianti devono essere aderenti o integrati nei tetti degli edifici con la stessa inclinazione e lo stesso orientamento della falda; i componenti non devono modificare la sagoma degli edifici stessi; la superficie dell’impianto non deve essere superiore a quella del tetto. L’articolo 11 introduce perciò una semplificazione riguardo la disciplina urbanistico-edilizia delle opere per la realizzazione degli impianti fotovoltaici. Sotto il profilo della tutela paesaggistica si evidenzia che in base all’articolo 149 del Dlgs 42/2004 non sono soggetti ad autorizzazione paesaggistica, tra gli altri, gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria che non alterano lo stato dei luoghi e l’aspetto esteriore degli edifici. In materia è intervenuto recentemente il Dpr 139/2010 con il quale è stato introdotto un procedimento semplificato di autorizzazione paesaggistica per gli interventi di lieve entità che comportano un’alterazione dei luoghi o dell’aspetto esteriore degli edifici. Tra le opere che possono fruire del procedimento semplificato c'è anche la realizzazione di pannelli fotovoltaici purché ricorrano le seguenti condizioni: la superficie non deve superare i 25 mq; l’immobile non deve ricadere nelle zone territoriali omogenee « A» del Dm 1444/1968 (centri storici); l’intervento non deve riguardare aree vincolate ai sensi dell’articolo 136, comma 1, lettere b) e c) del Dlgs 42/2004 (vale a dire ville, giardini, parchi,complessi di cose immobili di notevole interesse pubblico).Il procedimento semplificato si conclude con provvedimento espresso entro 60 giorni dal ricevimento della domanda, dei quali 30 giorni sono a disposizione dell`amministrazione competente per l`istruttoria mentre 25 giorni sono riservati al soprintendente per esprimere il proprio parere vincolante. Entro i successivi 5 giorni la pubblica amministrazione adotta il provvedimento conforme al parere vincolante favorevole. (Massimo Ghiloni, Il Sole 24 Ore - L'Esperto Risponde, 4 ottobre 2010, n. 72)

SEPARZIONE ACQUE DI SCARICO D. In un complesso residenziale costituente un condominio, realizzato con una concessione del 1996 sono presenti alcune problematiche legate allo smaltimento delle acque domestiche e meteoriche. All'epoca della realizzazione il costruttore ha ritenuto di realizzare una unica linea di scarico recapitante in fognatura le acque meteoriche e le acque derivanti da attività domestica. Inoltre lo scarico è iniziato ed è proseguito fino ad oggi senza alcuna autorizzazione allo scarico da parte del comune. Ora per questioni legate alla carenza idraulica del corpo ricettore, la fognatura comunale, in occosione di piogge intense diviene insufficiente e le acque risalgono la linea allagando gli interrati. Tenendo conto che la condotta fognaria comunale all'epoca della realizzazione era unica, il costruttore era tenuto a separare, all'interno del condominio, le acque meteoriche da quelle domestiche? E' legittimo che il comune imponga per il rilascio dell'autorizzazione allo scarico, di cui il condominio è carente, la separazione delle linee e che il condomio debba accollarsi le ingenti spese per la separazione delle stesse? ----- R.1. Inquadramento normativo: Decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 recante Norme in materia ambientale: Art. 3-ter : 1. La tutela dell'ambiente e degli ecosistemi naturali e del patrimonio culturale deve essere garantita da tutti gli enti pubblici e privati e dalle persone fisiche e giuridiche pubbliche o private, mediante una adeguata azione che sia informata ai principi della precauzione, dell'azione preventiva, della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all'ambiente, nonché al principio "chi inquina paga" che, ai sensi dell'articolo 174, comma 2, del Trattato delle unioni europee, regolano la politica della comunità in materia ambientale. Parte terza - Norme in materia di difesa del suolo e lotta alla desertificazione, di tutela delle acque dall'inquinamento e di gestione delle risorse idriche Capo III - Gli interventi Sezione II - Tutela delle acque dall'inquinamento Art. 73 : 1. Le disposizioni di cui alla presente sezione definiscono la disciplina generale per la tutela delle acque superficiali, marine e sotterranee perseguendo i seguenti obiettivi:a) prevenire e ridurre l'inquinamento e attuare il risanamento dei corpi idrici inquinati; ... 2. Il raggiungimento degli obiettivi indicati al comma 1 si realizza attraverso i seguenti strumenti: d) l'adeguamento dei sistemi di fognatura, collegamento e depurazione degli scarichi idrici, nell'ambito del servizio idrico integrato. Art. 75. 1. Nelle materie disciplinate dalle disposizioni della presente sezione: a) lo Stato esercita le competenze ad esso spettanti per la tutela dell'ambiente e dell'ecosistema attraverso il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, fatte salve le competenze in materia igienico-sanitaria spettanti al Ministro della salute; b) le regioni e gli enti locali esercitano le

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funzioni e i compiti ad essi spettanti nel quadro delle competenze costituzionalmente determinate e nel rispetto delle attribuzioni statali. Art. 107, comma 2: 2. Gli scarichi di acque reflue domestiche che recapitano in reti fognarie sono sempre ammessi purché osservino i regolamenti emanati dal soggetto gestore del servizio idrico integrato ed approvati dall'Autorità d'ambito competente.

2. Conclusioni

Tutto ciò premesso in punto di diritto, osserviamo quanto segue. Limitatamente al primo interrogativo, dal momento che quando il complesso residenziale è stato realizzato la fognatura comunale era unica, sia per acque c.d nere che per quelle c.d. bianche, non avrebbe avuto alcun senso ai fini della tutela dell'ambiente, unica ragione che l'avrebbe giustificata, la creazione di canalizzazioni separate. Per quanto riguarda il secondo interrogativo - fermo restando che per esprimere un parere specifico sulla legittimità del provvedimento comunale avremmo bisogno di esaminarlo così da poter valutare anche la logicità coerenza e completezza delle motivazioni che hanno condotto l'ente ad emanare il provvedimento contestato - la decisione del Comune appare assolutamente in linea con i principi scolpiti dal Legislatore del Testo unico in materia di ambiente e che abbiamo riprodotto al paragrafo 1. Infatti tra gli strumenti individuati dalla normativa per raggiungere gli obiettivi prefissati vi è proprio l'adeguamento dei sistemi di fognatura.

(Raffaele Cusmai Repertorio di Urbanistica ed Edilizia risponde, 1 ottobre 2010, n. 401)

Edilizia e urbanistica

L'AGIBILITÀ PARZIALE CONSENTE L'ABITABILITÀ D. Sono un professionista che opera in provincia di Torino. Ho richiesto l'autorizzazione per la ristrutturazione di un locale commerciale con la suddivisione dello stesso in due unità immobiliari distinte in negozio e ufficio in quanto il regolamento comunale lo consente. Ho ultimato i lavori del solo locale commerciale. Posso richiedere e il comune rilasciare il certificato di agibilità del solo locale commerciale e in seguito quello per l'ufficio? ----- R. È necessario premettere che il certificato di agibilità (articolo 24, Testo unico edilizia Dpr 380/2001) non è finalizzato a verificare la conformità del realizzato al progetto, bensì ad attestare la sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene e salubrità degli edifici secondo quanto dispone la normativa vigente. Relativamente alla possibilità di richiedere l'agibilità per singole parti di un edificio, nella legislazione non si riscontra alcuna disposizione che vieti il rilascio del certificato di abitabilità parziale. Anzi, da una lettura della normativa che disciplinava la materia (oggi assorbita negli articoli 24-26 del Testo unico edilizia Dpr 380/2001) si rileva che il certificato di abitabilità era previsto anche per utilizzare "parti" di edifici. Tale impostazione non è stata peraltro disattesa dal Testo unico edilizia che all'articolo 26 prevede espressamente la possibilità di una revoca parziale del certificato, lasciando chiaramente intuire che la restante porzione rimarrà agibile. Ai fini del rilascio dell’agibilità parziale occorrerà comunque verificare, limitatamente alla parte di edificio per la quale si richiede, la sussistenza di tutti i requisiti prescritti dalla legge attinenti alla sicurezza e alla salubrità della stessa, dovendosi trattare di una unità funzionalmente e strutturalmente autonoma rispetto al resto della costruzione. (Il Sole 24 Ore - L'Esperto Risponde, 25 ottobre 2010, n. 79 Massimo Ghiloni)

AMMESSO IL CAMBIO D'USO FUNZIONALE AL LAVORO D. Sono un commercialista proprietario di un immobile di civile abitazione sito in zona rurale. Vorrei utilizzare l’edificio come sede del mio studio professionale, per cui ho chiesto al comune il cambiamento della destinazione urbanistica che non è stata accolta. Il tecnico che ho consultato ha affermato che per l'uso che vorrei fare della casa non è necessaria nessuna variazione di destinazione. Quale procedura dovrei attuare per realizzare l'utilizzo professionale dell'immobile? ----- R. La questione del cambiamento della destinazione d’uso degli immobili è fra le più dibattute e meno chiare nel campo delle norme urbanistiche in quanto il legislatore ha sempre demandando alle regioni la regolamentazione sul cambio d’uso. Nel caso specifico c’è il problema che l’edificio ricade in zona agricola e quindi occorre verificare se ancora oggi si tratta o meno di un’abitazione

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strumentale alla conduzione del fondo. Se sono passati 10 anni dalla ultimazione dei lavori ai sensi dell’articolo 10 del Dpr 380/2001 occorre versare il contributo di costruzione. Ma al di la di tutto questo occorre osservare che nel caso specifico “se” il cambio di destinazione d’uso è di tipo funzionale e quindi reversibile, nel senso che dove oggi si trova il letto con il cambio d’uso potrà trovarsi una scrivania ossia il cambio d’uso avviene senza opere, questo rientra tra le attività libere od al limite per esclusione è soggetto a Dia. (Vincenzo Petrone, Il Sole 24 Ore - L'Esperto Risponde, 11 ottobre 2010)

SE L'INTERVENTO È LIMITATO LA DIA NON È NECESSARIA D. Ho fatto dei lavori di manutenzione straordinaria nel mio appartamento utilizzando il Dl 40/2010. Con la comunicazione di inizio lavori, ho trasmesso al comune una relazione tecnica a firma di un tecnico abilitato. Nel giardino di pertinenza è stato realizzato un vespaio areato (intercapedine) limitrofo al muro perimetrale, per sollevare la pavimentazione del giardino in corrispondenza della porta di accesso all’appartamento, al fine di contenere i fenomeni di umidità in risalita lungo i muri esterni. Tale vespaio è costituito da soletta di calcestruzzo di 5x8 m cm poggiata su due file di mattoni forati, e forma una intercapedine, chiusa da tutti i lati, di altezza di cm 30. Il comune assimila detto vespaio ad un balcone e quindi applica, a questa presunta estensione di superficie, gli oneri di cui all’articolo 16 del Dpr 380/2001 (urbanizazione costruzione eccetera). È legittima la richiesta, visto che non ha avuto nessun aumento di superficie e di volume rispetto a prima? ----- R. L’interpretazione comunale sembra poco fondata nella misura in cui i lavori come descritti nel quesito rientrano tra i lavori di manutenzione straordinaria (articolo 3, 1 comma, lettera a, Dpr 380/2001) e quindi non soggetti a permesso di costruire, anche se il dubbio rimane dal momento che il vespaio areato per il risanamento delle murature risulta eccessivo nelle dimensioni. Se i lavori effettuati fossero soggetti a permesso di costruire troverebbe attuazione "l’articolo 16 (L) - Contributo per il rilascio del permesso di costruire” sempre del Dpr 380/2001 e quindi sarabbe soggetto al pagamento degli oneri di urbanizzazione. (Vincenzo Petrone, Il Sole 24 Ore - L'Esperto Risponde, 11 ottobre 2010)

EDILIZIA E URBANISTICA - LA DIFFORMITÀ IN ALTEZZA FA RICADERE NELL'«ABUSO» D. In materia di abusi edilizi, qual è la differenza tra difformità per altezza e difformità per sopraelevazione? ----- R. La difformità in altezza si ha quando la costruzione realizzata presenta un’altezza superiore (o inferiore) a quella indicata nel permesso di costruire; questo può ad esempio comportare un aumento della volumetria consentita dalle norme vigenti e quindi costituire un abuso edilizio. La difformità per sopraelevazione si ha quando viene realizzato un nuovo immobile soprastante delle fabbriche esistenti. Ovviamente se questo non è consentito oppure è stato realizzato in difformità al Permesso di Costruire in quanto piano in più rispetto a quanto assento si ha abuso edilizio. (Vincenzo Petrone, Il Sole 24 Ore - L'Esperto Risponde, 11 ottobre 2010)

IVA - LA CALDAIA CHE RISPARMIA CON LO SCONTO SULL'IVA D. Vorrei sostituire nella mia abitazione la vecchia caldaia con un nuovo tipo che mi consente un risparmio energetico. È vero che questo tipo di intervento è parificato alla manutenzione straordinaria e quindi l’aliquota Iva da applicare è quella del 10 per cento? ----- R. Sì, è possibile fruire dell’aliquota ridotta del 10% poiché si tratta di un intervento di manutenzione straordinaria realizzato su un’abitazione, ma sono previste delle limitazioni in quanto la caldaia rientra tra i beni significativi di cui al Dm 29 dicembre 1999.« In sostanza, occorre considerare il valore complessivo della prestazione, individuare il valore del bene o dei beni significativi forniti nell’ambito della prestazione medesima e sottrarlo dal corrispettivo. La differenza che ne risulta costituisce il limite di valore entro cui anche alla fornitura del bene significativo è applicabile l’aliquota del 10 per cento. Il valore residuo del bene deve essere

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assoggettato alla aliquota ordinaria del 20 per cento. Può affermarsi, per semplicità, che il "bene significativo" fornito nell’ambito della prestazione resta soggetto interamente all’aliquota del 10% se il suo valore non supera la metà di quello dell’intera prestazione Per i beni aventi un valore superiore l’agevolazione si applica entro il limite sopra precisato» (si veda la circolare del 7 aprile 2000 n. 71/E).Così, solo per fare un esempio, si ipotizzi di realizzare un nuovo impianto di riscaldamento con la sostituzione della caldaia. La realizzazione di tale intervento volto al risparmio energetico, che è parificato agli interventi di manutenzione straordinaria (si veda l’articolo 26 della legge 9 gennaio 1991, n.10), ha un costo complessivo di 5.000 euro di cui 3.000 euro è il costo della caldaia. L’imposta sul valore aggiunto verrà determinata ed evidenziata in fattura nel modo seguente: 2.000 euro costituiscono il valore della prestazione (comprensivo di materie prime e semilavorate oltre ad altri beni non significativi impiegati nel lavoro di installazione) al netto del valore del bene significativo e andranno assoggettate ad aliquota ridotta del 10%; il costo della caldaia pari a 3.000 euro deve essere, invece, diviso in due parti. Una parte pari al valore pari alla differenza di 2.000 euro deve essere assoggettata ad aliquota del 10 per cento. L’altra parte, pari a 1.000 euro, invece, deve essere assoggettata al 20 per cento.È quindi chiaro che maggiore è il valore della “prestazione”, maggiore è la parte del costo del bene che potrà fruire dell’aliquota ridotta. (Giampaolo Giuliani, Il Sole 24 Ore - L'Esperto Risponde, 18 ottobre 2010)

IL MURO IN CEMENTO HA BISOGNO DELLA DIA D. È corretto realizzare dei muri di sostegno in cemento armato di altezza tra i tre e i sei metri mediante Dia in alternativa al permesso di costruire? Le opere da realizzare ricadono in zona di espansione residenziale e i conseguenti interventi edilizi sono disciplinati da un piano di lottizzazione di iniziativa privata regolarmente approvato. ----- R. Vista la presenza di un piano di lottizzazione a iniziativa privata, si ritiene che gli interventi in questione possano essere realizzati anche previa presentazione di una Dia. Ciò in quanto l'articolo 22, comma 3, lettera b) del Dpr 380/2001 prevede che la Dia possa essere richiesta in alternativa al permesso di costruire anche nel caso di interventi di nuova costruzione o di ristrutturazione urbanistica qualora gli stessi siano disciplinati da piani attuativi comunque denominati, ivi compresi gli accordi negoziali aventi valore di piano attuativo. (Sanguini Massimo, Il Sole 24 Ore - L'Esperto Risponde, 18 ottobre 2010)

LINEE GUIDA DELLA REGIONE INDISPENSABILI PER I VOLUMI D. Ho presentato richiesta a un comune della provincia di Caserta, ai sensi dell'articolo 5 della legge regionale 19/09 (demolizione e ricostruzione con aumento del 35% della volumetria esistente). Il comune ha comunicato che la pratica è subordinata all'emanazione da parte delle regione Campania delle linee guida. Questo comportamento è legittimo? Se la regione Campania a oggi non ha ancora emanato le linee guida, come bisogna comportarsi? Ai fini del calcolo dei volumi bisogna attenersi a quanto prescritto nella relazione tecnica annessa al piano regolatore e quindi non considerare il volumi tecnici? ----- R. L'amministrazione comunale legittimamente attende la pubblicazione delle linee guida della regione Campania, come anche previsto dall'articolo 12, comma 4 della legge regionale Campania 19/2009: si ritiene pertanto, che allo stato, e vista la necessità delle linee guida ai fini del rilascio da parte del comune dei titoli a costruire per gli interventi previsti dalla norma medesima, non rimanga altro che attenderne l'emanazione e l'entrata in vigore. Quanto al calcolo dei volumi, se il piano regolatore comunale vigente prevede che non debbano essere conteggiati quelli tecnici, sarà tale prescrizione quella a cui adeguarsi, tanto più che anche la giurisprudenza amministrativa in materia esclude dal computo dei volumi quelli tecnici. (Sanguini Massimo, Il Sole 24 Ore - L'Esperto Risponde, 18 ottobre 2010)

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Copertura terrazzo in centro storico D. Sito: condominio; piano 2; prospetto su pubblica via. Il vicino ha coperto il suo terrazzo (12x1,80 ml), che dista dal mio (1,4x0,80) di 75 cm, con una struttura in ferro e vetro bianco con lunghi tiranti la cui linea di gronda (che non c'è) fuoriesce dal terrazzo stesso creando stillicidio sulla strada pubblica. Inoltre,mediante apposizione di un quadro metallico e griglia floreale, ha chiuso il lato corto per metà e parte del fronte. Io ho subito una diminuzione di luce e non ho più la veduta trasversale. E' possibile con una SCIA? ----- R. 1. Inquadramento normativo D.P.R. 380/2001 - Art. 22, comma 3: possono essere realizzati mediante denuncia di inizio attività: a) gli interventi di ristrutturazione di cui all'articolo 10, comma 1, lettera c) (interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d'uso). Art. 1170 cod. civ.: Chi è stato molestato nel possesso di un immobile, di un diritto reale sopra un immobile o di un'universalità di mobili può, entro l'anno dalla turbativa, chiedere la manutenzione del possesso medesimo. L'azione è data se il possesso dura da oltre un anno, continuo e non interrotto, e non è stato acquistato violentemente o clandestinamente. Qualora il possesso sia stato acquistato in modo violento o clandestino, l'azione può nondimeno esercitarsi, decorso un anno dal giorno in cui la violenza o la clandestinità è cessata. Anche colui che ha subito uno spoglio non violento o clandestino può. 2. Giurisprudenza Sull'azione di manutenzione del possesso: Costituisce molestia possessoria quella che si concreti in atti o in fatti che impediscano al possessore l'esercizio del possesso, o ne mutino il precedente stato (Trib. Salerno Sez. II, 27-10-2008). La finalità propria del giudizio possessorio è quella di reagire ad uno spoglio o ad una molestia di una situazione di possesso, situazione che, quindi, rileva in sé a prescindere dal fatto che trovi o meno fondamento nella titolarità di un diritto. Ne consegue che l'indagine che il Giudice deve svolgere deve essere circoscritta alla verifica della lesione del possesso lamentata dal ricorrente ed intesa come esclusione o riduzione di facoltà precedentemente esercitate dal medesimo ed il provvedimento di eventuale accoglimento non può eccedere ciò che occorre per ripristinare la situazione preesistente alla violazione possessoria (Trib. Arezzo, 26-06-2007). 3. Conclusioni L'intervento realizzato dal vicino rientra tra quelli di ristrutturazione edilizia previsti dall'art.22, comma 3, del Testo unico, realizzabili previa presentazione di semplice d.i.a. Per quanto riguarda invece le conseguenze negative che ne sono derivate, ovvero la diminuzione di luce e la soppressione della veduta trasversale, osserviamo che le stesse oltre a causare una diminuzione di valore dell'immobile costituiscono una turbativa o molestia del possesso in quanto hanno mutato in senso peggiorativo il modo con cui il possesso del proprio immobile veniva prima esercitato dal richiedente. Pertanto, riteniamo esperibile nei confronti del vicino un'azione di manutenzione del possesso per ottenere la riduzione dello stato dei luoghi nel pristino stato, o in subordine la sostituzione dell'attuale copertura del terrazzo con una struttura che non pregiudichi l'esposizione solare e la veduta, preannunciando l'intenzione di chiedere nella successiva fase di merito il risarcimento dei danni patrimoniali subiti (disvalore dell'immobile), oltre ad eventuali danni morali, stante il presumibile disagio psicologico che gli effetti negativi dell'intervento edilizio effettuato dal vicino ha provocato al richiedente. Trattandosi di una procedura giudiziaria da intraprendersi mediante deposito di ricorso ex art. 703 c.p.c. sarà necessario rivolgersi ad un Avvocato. (Cusmai Raffaele, Repertorio di Urbanistica ed Edilizia risponde, 13 ottobre 2010)

Infissi D. Sono proprietario di un appartamento situato al piano inferiore di una villetta bifamiliare. Il proprietario del piano superiore ha rimosso tutti gli infissi senza provvedere alla loro sostituzione da circa due anni. Si verificano altresì distacchi di cornicione dalle pareti dove gli stessi infissi sono stati rimossi. Come mi devo comportare per far risistemare urgentemente quanto sopra? -----

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R. 1. Inquadramento normativo Art. 1172 cod. civ.: Il proprietario, il titolare di altro diritto reale di godimento o il possessore, il quale ha ragione di temere che da qualsiasi edificio, albero o altra cosa sovrasti pericolo di un danno grave e prossimo alla cosa che forma l'oggetto del suo diritto o del suo possesso, può denunziare il fatto all'autorità giudiziaria e ottenere, secondo le circostanze, che si provveda per ovviare al pericolo. L'autorità giudiziaria, qualora ne sia il caso dispone idonea garanzia per i danni eventuali. Art. 688 c.p.c.: La denuncia di nuova opera o di danno tenuto si propone con ricorso al giudice competente a norma dell'articolo 21. Quando vi è causa pendente per il merito, la denuncia si propone a norma dell'articolo 669-quater. 2. Giurisprudenza Sull'azione di denuncia di danno temuto, si vedano ex multis le seguenti pronunce: Qualora sia proposta denunzia di danno temuto, in considerazione del rischio di crollo di un tratto di cinta muraria e di una torre medievale in evidente stato di dissesto, che si trovano in una zona assoggettata a un vincolo storico-artistico indiretto, e venga accertato un incombente pericolo di danno per il fondo appartenente agli istanti, sussistono i presupposti per accogliere il ricorso nei confronti dei proprietari dei beni pericolanti, ai quali va ordinato di attuare le opere necessarie ad impedire il verificarsi di ulteriori pregiudizi (Trib. Salerno Ord., 27-11-2009). Ai fini dell'azione di danno temuto di cui all'art. 1172 c.c., l'obbligo di rimuovere la situazione di pericolo di danno, grave e prossimo, incombe su colui che abbia la proprietà o comunque la disponibilità della cosa dalla quale promana la minaccia di danno per la proprietà o per il possesso di colui che denuncia la situazione di pericolo (Trib. Chieti, 08-04-2008) L'azione nunciatoria di danno temuto richiede che il bene pericoloso e quello minacciato appartengano a due diversi titolari. Conseguentemente, è ammissibile il ricorso ex art. 1172 c.c. proposto dalla proprietaria esclusiva di un garage, in relazione alle infiltrazioni derivate al solaio di copertura e ai muri perimetrali dello stesso a causa della cattiva manutenzione delle tubature condominiali del fabbricato sovrastante, di cui la ricorrente risulti - al contempo - condomina (Trib. Salerno Sez. II (Ord.), 27-01-2005). 3. Conclusioni Lo strumento giuridicamente più appropriato, anche per efficacia e celerità, per far cessare la situazione di pericolo causata dalla mancanza degli infissi nel piano superiore è quello previsto dall'art. 1172 cod. civ. E' comunque necessario rivolgersi ad un legale che provveda a redigere il ricorso introduttivo ed a depositarlo presso il tribunale competente (quello in cui si trova l'immobile). (Avv. Raffaele Cusmai, Repertorio di Urbanistica ed Edilizia risponde, 13 ottobre 2010, n. 409)

D.I.A. - Certificato di collaudo finale D. Nell'anno 2002 è stata presentata una D.I.A. per mutamento della destinazione d'uso di un immobile adibito a deposito e da destinare a locale commerciale con l'esecuzione di opere edili. La D.I.A. ha avuto buon fine, infatti l'ufficio tecnico comunale ha anche rilasciato, nel 2003, dietro richiesta dell'ufficio autorizzazioni sanitarie, un certificato di destinazione d'uso con cui ha attestato che in seguito alla D.I.A. del 2002 il locale ha ottenuto la destinazione commerciale. Siccome, né al termine dei lavori né tanto meno entro il termine dei tre anni, è stato presentato il certificato di collaudo finale con cui il tecnico abilitato ha attestato la conformità delle opere rispetto al progetto presentato con la D.I.A., vorrei sapere se questa condizione possa pregiudicare in qualche modo il titolo edilizio ottenuto, oppure se è ancora possibile presentarlo. ----- R. 1. Inquadramento normativo della fattispecie D.P.R. 380/2001: - Art. 23: 7. Ultimato l'intervento, il progettista o un tecnico abilitato rilascia un certificato di collaudo finale, che va presentato allo sportello unico, con il quale si attesta la conformità dell'opera al progetto presentato con la denuncia di inizio attività. Contestualmente presenta ricevuta dell'avvenuta presentazione della variazione catastale conseguente alle opere realizzate ovvero dichiarazione che le stesse non hanno comportato modificazioni del classamento. In assenza di tale documentazione si applica la sanzione di cui all'articolo 37, comma 5. Art. 37: 5. Fermo restando quanto previsto dall'articolo 23 comma 6, la denuncia di inizio di attività spontaneamente effettuata quando l'intervento è in corso di esecuzione, comporta il pagamento, a titolo di sanzione, della somma di 516 euro.

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2. Conclusioni Il mancato deposito del certificato di collaudo espone committente e direttore dei lavori alla sanzione pecuniaria di 516 euro prevista dall'art.37, comma 5, del Testo Unico. Se è stata comunicata l'ultimazione dei lavori nel termine di efficacia della d.i.a. (tre anni) allora sarà sufficiente presentare il certificato di collaudo finale, eventualmente accompagnato da una d.i.a. in sanatoria se richiesta dall'Ufficio tecnico (è a discrezione della P.A. tenendo presente la normativa locale di riferimento), diversamente dovrà certamente procedersi col deposito di una nuova d.i.a. o eventualmente con una d.i.a. in sanatoria (sempre secondo quanto richiesto dalla P.A. sulla base della normativa locale). (Avv. Raffaele Cusmai, Repertorio di Urbanistica ed Edilizia risponde, 12 ottobre 2010)

CONDONO EDILIZIO - RITARDO NEL VERSAMENTO: OBLAZIONE CON LA RATA D. Un mio cliente ha presentato domanda di condono edilizio in Sicilia in base alla legge 326/2003 e ha versato tutte le rate dell'oblazione tranne l'ultima. Che succede ora? Può versare la rata oggi con gli interessi? ----- R. Ai sensi dell’articolo 32, comma 37, della legge 326/2003 «se nei termini previsti l’oblazione dovuta non è stata interamente corrisposta o è stata determinata in forma dolosamente inesatta si applica la sanzione di cui all’articolo 40 della legge 47/85». L’articolo 40 della legge 47/85 disciplina invero gli effetti della mancata presentazione dell’istanza e pone alla stessa stregua l’ipotesi del mancato deposito nei termini della domanda, la presentazione di una domanda dolosamente infedele, e il mancato versamento della somma dovuta a titolo di oblazione. La norma, infatti, dispone che: «se nel termine prescritto non viene presentata la domanda di cui all’articolo 31 per opere abusivamente realizzate in totale difformità o in assenza della licenza o concessione, ovvero se la domanda presentata, per la rilevanza delle omissioni o delle inesattezze riscontrate, deve ritenersi dolosamente infedele, si applicano le sanzioni di cui al capo I. Le stesse sanzioni si applicano se, presentata la domanda, non viene effettuata l’oblazione dovuta».Diverso è il caso in cui l’interessato versi in ritardo l’ultima rata. In questo caso si ritiene che non si debba parlare di omesso pagamento quanto di ritardato pagamento. Sul punto si evidenzia che la legge 326/2003 all’articolo 32, comma 28, prevede che per quanto non previsto dalla legge si applicano, ove compatibili, le disposizioni di cui alla legge 47/85 ( primo condono) e legge 724/1994 (secondo condono).Sulla base di tale richiamo si ritiene, pertanto, che si debba tener conto di quanto disposto dalla legge 449/1997 che, modificando i commi 40 e 41 dell’articolo 2 della legge 662/1996, ha previsto che « Per i soggetti o i loro aventi causa che hanno presentato domanda di concessione o di autorizzazione edilizia in sanatoria ai sensi del capo IV della legge 28 febbraio 1985, n. 47, e successive modificazioni, e dell'articolo 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724 , e successive modificazioni, il mancato pagamento del triplo della differenza tra la somma dovuta e quella versata nel termine previsto dall'articolo 39, comma 6, della legge n. 724 del 1994 , e successive modificazioni, o il mancato pagamento dell'oblazione nei termini previsti dall'articolo 39, comma 5, della medesima legge n. 724 del 1994 , e successive modificazioni, comporta l'applicazione dell'interesse legale annuo sulle somme dovute, da corrispondere entro sessanta giorni dalla data di notifica da parte dei comuni dell'obbligo di pagamento».Infine, si consiglia di verificare se la regione, in base all’articolo 32, comma 33, della L. 326/2003 si sia avvalsa della facoltà di incrementare l’oblazione nella misura del 10% a favore dei Comuni. (Massimo Ghiloni Il Sole 24 Ore - L'Esperto Risponde, 11 ottobre 2010, n. 75)

IL LAVORO È IN ECONOMIA QUANDO NON SERVE IMPRESA D. Ho presentato una Scia (segnalazione certificata di inizio attività) per lavori interni (sostituzione pavimenti e tinteggiatura) dichiarando che i lavori sarebbero stati eseguiti da me personalmente. Dopo che ho eseguito i lavori il comune mi ha inviato la sospensione perché mi chiede il Durc, il documento unico di regolarità contributiva. Il comune dice che i lavori li deve fare una ditta. Cosa devo fare? ----- R. Con riferimento alla fattispecie in esame è opportuno rilevare che i lavori come descritti sembrerebbero ricadere nell’ambito della manutenzione straordinaria che, ai sensi dell’articolo 6

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Dpr 380/2001 (Tu edilizia) come modificato dal Dl 40/2010, convertito con modificazioni in legge 73/2010, è soggetta ad attività edilizia libera ossia a comunicazione di inizio lavori. In particolare, il comma 3 e 4 del novellato articolo 6 prevede che per gli interventi di manutenzione straordinaria, nella comunicazione di inizio lavori devono essere indicati i dati identificativi dell’impresa alla quale si intende affidare i lavori nonché una relazione tecnica corredata dagli opportuni elaborati progettuali a firma di un tecnico abilitato. Come, pertanto, accadeva per la Dia sarà necessario affidarsi ad un tecnico abilitato per la redazione della relativa relazione tecnica mentre i lavori potranno essere eseguiti anche personalmente e quindi in economia. In tal caso si evidenzia che per quanto riguarda il Durc per i lavori che l’interessato dichiari di eseguire in economia l’articolo 90, comma 9, del Dlgs 81/2008, ne prescrive l’obbligo di presentazione nel caso gli stessi siano realizzati mediante affidamento delle singole lavorazioni a lavoratori autonomi. Deve, quindi, ritenersi non sussistente tale obbligo nei soli casi in cui il privato attesti che i lavori in economia verranno eseguiti senza avvalersi dell’opera di imprese, di lavoratori autonomi o di personale proprio dipendente. (Massimo Ghiloni, Il Sole 24 Ore - L'Esperto Risponde, 11 ottobre 2010, n. 75)

QUANDO SCATTA LA SCIA E QUANDO LA SUPERDIA D. Vorrei un chiarimento sulla nuova segnalazione certificata di inizio attività. La recente nota dell’ufficio legislativo del ministro per la Semplificazione normativa ha chiarito la sua applicabilità anche in campo edilizio. La Scia sostituisce la Dia mantenendo l’identico campo d’applicazione previsti dall’articolo 22, commi 1 e 2, mentre non è applicabile la previsione del comma 3, cioè in sostituzione del Pdc. Tale ultima possibilità rimarrebbe se ci fosse una legislazione regionale che avesse ampliato i casi previsti. In una regione come il Lazio dove non c’è stata una legislazione in merito, è ancora possibile eseguire lavori ai sensi del comma 3 ((la cosiddetta Superdia) o di fatto non essendo più prevista dall’ordinamento la Dia bisogna richiedere il Pdc? ----- R. Il testo unico dell’edilizia Dpr 380/2001, detta le condizioni per poter presentare la cosiddetta superdia in alternativa al permesso di costruire. Le regioni possono ridurre o ampliare l’ambito di applicazione di tali disposizioni. In assenza di normativa regionale di recepimento si applica il disposto normativo statale, come nel caso della regione Lazio. Il chiarimento ministeriale, infatti, fa riferimento ad eventuali altri casi di alternatività tra Dia e permesso di costruire introdotti da legge regionale. Quindi la Scia non incide sulle fattispecie disciplinate dal testo unico edilizia in assenza di leggi regionali sulla cosiddetta superdia. (Massimo Ghiloni, Il Sole 24 Ore - L'Esperto Risponde, 25 ottobre 2010, n. 79)

Previdenza

Finestra <<mobile>> sulle pensioni dal 2011 D. Sarei interessato a conoscere i principali aspetti delle innovazioni introdotte in materia previdenziale dalla legge 122/2010. In particolare, la nuova finestra, la speranza di vita, l'elevazione dell'età pensionabile per le donne dipendenti pubbliche. Vorrei sapere, inoltre, se possibile, quali sono le innovazioni in materia di ricongiunzione dei periodi assicurativi. ----- R. La legge 122/2010 di conversione del decreto legge n. 78/2010 conferma le innovazioni in materia previdenziale previste dall'articolo 12 del Dl 78/2010 con qualche modifica. La novità arrecata dalla legge 122 consiste nel fatto che, dal 1° gennaio 2015, ogni qualvolta scatta il requisito anagrafico sia per la pensione di anzianità che per quella di vecchiaia questo requisito va adeguato con gli incrementi della speranza di vita in base ai parametri connessi agli andamenti demografici. Questo vuol dire che sia per le quote (somma dell'anzianità contributiva più l'età) per la pensione di anzianità che per il pensionamento di vecchiaia gli incrementi della speranza di vita scattano allungando il requisito dell'età pensionabile. Per coloro che maturano i requisiti per il trattamento pensionistico di anzianità e vecchiaia a decorrere dal 1° gennaio 2011 scatta la finestra unica caratterizzata dal fatto di essere mobile e personalizzata. Per la determinazione della finestra entra in gioco la data di maturazione dei requisiti. Da tale data, quindi, avremo la finestra per i lavoratori dipendenti al tredicesimo mese, mentre la finestra si aprirà al diciannovesimo mese per i lavoratori autonomi (coltivatori diretti,

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coloni, mezzadri, artigiani, commercianti e iscritti alla gestione separata Inps prevista dall'articolo 2, comma 26, della legge 335/1995). La totalizzazione Chi desideri ottenere la pensione in regime di totalizzazione dei periodi assicurativi deve fare i conti con la finestra allungata stabilita dalla legge di conversione 122/2010. In particolare, si tratta del fatto che la nuova finestra, trascorsi 18 mesi dalla data di maturazione dei requisiti, scatta anche nei confronti dei soggetti che maturano i requisiti di accesso al pensionamento, a seguito di totalizzazione dei periodi assicurativi, a decorrere dal 1° gennaio 2011. In caso, invece, di pensione in regime di totalizzazione ai superstiti, la pensione decorre dal primo giorno del mese successivo a quello di morte del dante causa, mentre per la pensione di inabilità la decorrenza avviene dal primo giorno del mese successivo a quello di presentazione della domanda. L'esercizio della facoltà di totalizzazione dei periodi assicurativi per la pensione di vecchiaia e di anzianità è soggetto alle seguenti condizioni: ■ compimento del 65° anno di età (sia per gli uomini che per le donne) e possesso di un'anzianità contributiva almeno pari a 20 anni (pensione di vecchiaia) da parte del richiedente; ■ possesso, sempre da parte del richiedente, di un'anzianità contributiva non inferiore a 40 anni, indipendentemente dall'età anagrafica (pensione di anzianità); ■ possesso degli ulteriori requisiti, diversi da quelli dell'anzianità contributiva e dell'età, stabiliti dai singoli ordinamenti per la concessione della pensione di vecchiaia (normalmente la cessazione dell'attività lavorativa dipendente, anche all'estero); ■ la facoltà di cumulo è prevista per i periodi assicurativi non coincidenti di durata non inferiore a 3 anni; ■ totalizzazione di tutti i periodi assicurativi dei quali l'interessato risulta in possesso nelle predette gestioni assicurative obbligatorie. Le quote di pensione derivanti dalla totalizzazione dei periodi assicurativi prevista dal Dlgs n. 42/2006 normalmente vengono liquidate con il sistema di calcolo contributivo. Vi è però la seguente eccezione a questo principio generale. Occorre partire dalla direttiva del 2 marzo 2006 del ministro del Lavoro. Secondo quanto stabilito da tale direttiva ministeriale quando un lavoratore abbia già raggiunto in una gestione a carico degli enti previdenziali pubblici i requisiti minimi richiesti per il diritto ad autonoma pensione questo "pro rata" di pensione verrà calcolato con il sistema di computo previsto dall'ordinamento della predetta gestione. In proposito l'Inps, nella circolare n. 69 del 9 maggio 2006, porta il seguente esempio. È il caso di una lavoratrice che richieda la pensione di anzianità in regime di totalizzazione in possesso di almeno 20 anni di contribuzione nell'assicurazione generale obbligatoria e alla decorrenza della pensione abbia già l'età di 60 anni (65 anni per l'uomo). In questo caso il calcolo della quota pensione a carico dell'assicurazione generale obbligatoria avverrà con il sistema di calcolo stabilito dall'ordinamento di tale forma assicurativa. Il sistema di calcolo, quindi, sarà retributivo se la lavoratrice possa far valere almeno 18 anni di contribuzione entro il 31 dicembre 1995. L'accertamento dell'anzianità contributiva raggiunta al 31 dicembre 1995 dovrà essere effettuato considerando la contribuzione complessivamente maturata nelle gestioni interessate alla totalizzazione tenendo conto di tutti i contributi utili e non utili al diritto a pensione, purché non sovrapposti. Lo stesso discorso vale nell'ipotesi di un lavoratore o lavoratrice che richiedano la pensione di anzianità in regime di totalizzazione avendo già conseguito i requisiti per la pensione di anzianità nell'assicurazione generale obbligatoria (ad esempio, quota 95 nel 2010 con l'età di 59 anni). La vecchia finestra Non cade nella rete della nuova finestra personalizzata chi raggiunge i requisiti per anzianità e di vecchiaia anteriormente al 1° gennaio 2011. Avranno la vecchia finestra. Occorre anche evidenziare che una volta aperta, la finestra resterà aperta nel senso che si può ottenere la decorrenza della pensione ogni mese successivo a tale apertura. Si applicano le vecchie finestre nei seguenti casi: ■ maturazione dei requisiti entro il 31 dicembre 2010; ■ personale della scuola (1°settembre di ciascun anno); ■ lavoratori dipendenti con periodo di preavviso in corso al 30 giugno 2010 con raggiungimento dei requisiti entro la data di cessazione del rapporto di lavoro; ■ lavoratori in mobilità con accordo stipulato entro il 30 aprile 2010 e che perfezionano i requisiti per la pensione entro il periodo di fruizione dell'indennità di mobilità e lavoratori titolari di

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prestazione straordinaria a carico dei fondi di solidarietà (esuberi per banche, assicurazioni e così via). Sono salvi, inoltre (vecchia finestra) i lavoratori per i quali viene meno il titolo abilitante allo svolgimento della specifica attività lavorativa per raggiungimento di limite di età. Per la pensione di vecchiaia il requisito anagrafico è attualmente 60 anni per le donne del settore privato e 65 anni per gli uomini. Per le dipendenti del settore pubblico l'età pensionabile per la pensione di vecchiaia sarà elevata a 65 anni dal 1° gennaio 2012 salvo età più elevate previste dagli specifici ordinamenti previdenziali. Il comma 12-sexies dell'articolo 12 del Dl 78/2010, convertito dalla legge 122/2010 prevede, infatti, che, a decorrere dall'anno 2012, il requisito anagrafico delle lavoratrici dipendenti pubbliche, già elevato a 61 anni a decorrere dal 1° gennaio 2010 per il conseguimento del trattamento pensionistico di vecchiaia ovvero per il collocamento a riposo per raggiunti limiti di età (secondo le regole fissate dai singoli ordinamenti di appartenenza), viene ulteriormente elevato a 65 anni. Quando le lavoratrici abbiano maturato i requisiti contributivi e anagrafici anteriormente al 1° gennaio 2012, fermo restando il diritto acquisito, occorre distinguere, ai fini della decorrenza del pensionamento di vecchiaia, le diverse situazioni in relazione alla normativa vigente alla data di maturazione di questi requisiti. In particolare: ■ quando al 31 dicembre 2009, se maturato il requisito anagrafico di 60 anni, congiuntamente al requisito contributivo minimo prescritto, il trattamento pensionistico di vecchiaia ha decorrenza immediata, dal giorno successivo alla data di risoluzione del rapporto di lavoro, in quanto già risulta aperta la relativa finestra; ■ quando al 31 dicembre 2010, se maturato il requisito anagrafico di 61 anni, congiuntamente al requisito contributivo minimo prescritto, il trattamento pensionistico scatta secondo le vecchie finestre introdotte per le pensioni di vecchiaia dall'articolo 1, comma 5, lettera b) della legge n. 247/2007; ■ quando al 31 dicembre 2011, se maturato il requisito anagrafico di 61 anni, congiuntamente al requisito contributivo minimo prescritto, il trattamento pensionistico ha decorrenza secondo quanto stabilito dall'articolo 12, comma 1 della legge 122/2010 e cioè quella mobile e personalizzata determinata, trascorsi 12 mesi dalla data di maturazione dei prescritti requisiti. Resta, comunque, confermato che nei casi nei quali il diritto al pensionamento sia stato acquisito anteriormente, anche se a diverso titolo (pensione di anzianità), la pensione di vecchiaia, in base ai requisiti della normativa vigente, ha la decorrenza correlata alla data di maturazione dei requisiti contributivi e anagrafici minimi prescritti per la pensione di anzianità. Il regime del Tfr Il trattamento di fine servizio (buonuscita, indennità premio di fine servizio, Tfr e così via) verrà liquidato secondo le regole contenute nell'articolo 12, commi da 7 a 10, del Dl n. 78 del 31 maggio 2010 dalla data dell'entrata in vigore del decreto stesso e cioè dal 31 maggio 2010 (convertito, come già visto, dalla legge 122/2010 entrata in vigore il 31 luglio 2010). Nello specifico si tratta della seguente rateizzazione. Il beneficio verrà corrisposto in un unico importo annuale, secondo la scadenza attualmente in vigore, quando l'ammontare complessivo della prestazione, al lordo delle relative trattenute fiscali, risulta complessivamente pari o inferiore a 90.000 euro. In due importi annuali se l'ammontare complessivo superi 90.000 euro ma è inferiore a 150.000 euro. In questo caso il primo importo è pari a 90.000 euro e il secondo, da corrispondere dopo dodici mesi dall'erogazione del primo importo, pari alla parte residua. Si arriva, poi, al caso della corresponsione di tre importi annuali, se la prestazione è complessivamente pari o superiore a 150.000 euro, dopo 24 mesi dal riconoscimento del primo importo annuale, così articolati: primo importo di 90.000 euro, secondo importo annuale di 60.000 euro e il terzo pari all'ammontare residuo. Quando la rata resta unica Per non cadere nella rete della rateizzazione del trattamento di fine rapporto l'articolo 12 comma 9 del Dl n.78/2010 stabilisce che si deve verificare una delle seguenti situazioni: collocamento a riposo per raggiungimento dei limiti di età entro il 30 novembre 2010; domanda di cessazione dall'impiego presentata prima del 31 maggio 2010 (data di entrata in vigore del Dl 78/2010) a condizione che la cessazione dell'impiego avvenga entro il 30 novembre 2010 (Giuseppe Rodà, Il Sole 24 OREL’Esperto Risponde ottobre 2010)

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Sicurezza

Formazione addetto al primo soccorso D. Si può considerare valido, ai fini della formazione degli addetti al primo soccorso, come stabilito dal D.Lgs 81/08, un attestato rilasciato dalla croce rossa italiana come volontario del soccorso? L'attestato in questione è datato giugno 2001 e fa riferimento agli artt. 3 e 4 del Regolamento Nazionale dei V.d.S. ----- R. A norma dell'art. 45, comma 2, del D.Lgs 81/08, le caratteristiche minime delle attrezzature di primo soccorso, i requisiti del personale addetto e la sua formazione, individuati in relazione alla natura dell'attività, al numero dei lavoratori occupati ed ai fattori di rischio, sono individuati dal decreto ministeriale 15 luglio 2003, n. 388. Tale decreto prevede, in particolare, che la formazione dei lavoratori designati al primo soccorso aziendale debba essere svolta da personale medico, in collaborazione, ove possibile, con il sistema di emergenza del Servizio Sanitario Nazionale. Nello svolgimento della parte pratica della formazione il medico può avvalersi della collaborazione di personale infermieristico o di altro personale specializzato. La formazione degli addetti andrà ripetuta con cadenza triennale almeno per quanto attiene alla capacità di intervento pratico e si differenzia a seconda del gruppo di appartenenza dell'azienda. Da quanto sopra esposto discende che la formazione rilasciata dalla Croce rossa italiana risulta valida nella misura in cui la medesima sia stata erogata da personale medico competente e nel rispetto di quanto previsto dal D.M. 388/03 che, come ricordato, individua, per ciascuna tipologia aziendale, gli obiettivi didattici e i contenuti minimi della formazione. In ogni caso la formazione deve essere ripetuta ogni tre anni. L'attestato cui si fa riferimento, qualora validamente rilasciato, essendo datato giugno 2001, è comunque scaduto. (Pierpaolo Masciocchi, Codice Ambiente e Sicurezza risponde, 19 ottobre 2010, n. 610)

Sicurezza - RSPP D. L'Azienda Regionale Foreste della Regione Sicilia effettua attività di manutenzione e ricostituzione boschiva, normalmente tramite una dozzina di cantieri con 600 operai stagionali e 50 a tempo determinato. L'attività viene trattata come Tit. I del Dlgs 81/08 ed è presente un SPP con un RSPP e diversi addetti SPP. Nonostante non si configuri l'attività del TIT IV (cantieri), viene nominato di volta in volta un Direttore Lavori che svolge anche il ruolo di coordinatore per l'esecuzione dei lavori, come richiesto dal DPR 554/99. L'azienda, a partire da gennaio 2011, intende nominare più RSPP. Si vuole sapere se possono esistere più RSPP per un solo Servizio o addirittura più SPP. ----- R.L'art. 31 del D.Lgs 81/08, nel definire le modalità di organizzazione e gestione dell'attività di prevenzione e protezione, lascia alla libera determinazione del datore di lavoro la scelta se designare uno o più servizi di prevenzione o protezione e se incaricare uno o più responsabili o addetti, interni o esterni all' azienda o unità produttiva, fatta eccezione per le ipotesi indicate dal comma 7, in cui il legislatore richiede, in maniera espressa e inequivoca, l'istituzione di un servizio interno e la nomina di un Rspp che sia organicamente collocato all'interno del funzionigramma aziendale. Il comma 8 del medesimo articolo concede poi la facoltà al datore di lavoro, nei casi di aziende con più unità produttive e nei casi di gruppi di imprese, di istituire un unico servizio di prevenzione e protezione. I datori di lavoro potranno quindi rivolgersi a tale struttura per l'istituzione del servizio e per la designazione degli addetti e del responsabile. La scelta quindi circa il dimensionamento del SPP, tranne le predette ipotesi di cui al comma 7, è rimessa alla libertà del datore di lavoro a condizione, tuttavia, che i soggetti responsabili siano in numero sufficiente rispetto alle caratteristiche dell'azienda e dispongano di mezzi e di tempo adeguati per lo svolgimento dei compiti loro assegnati. Si ricorda infine che, ove il datore di lavoro ricorra a persone o servizi esterni, non è per questo esonerato dalla propria responsabilità in materia. La norma che ha istituzionalizzato il servizio di prevenzione e protezione non ha infatti identificato un nuovo garante della sicurezza, tantomeno, ha inteso trasferire su di esso quote di posizione di garanzia già attribuite al datore, al dirigente e al preposto. Solo chi è giuridicamente obbligato ad agire per attuare i precetti contenuti nella normativa sulla sicurezza e igiene sul lavoro (datore di

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lavoro) è correlativamente il responsabile della loro violazione. Tutti gli altri soggetti, non avendo obblighi di determinarsi per realizzare la sicurezza, non possono essere chiamati a rispondere della omissione di presidi antinfortunistici obbligatori. (Pierpaolo Masciocchi, Il Sole 24 ORE - Codice Ambiente e Sicurezza risponde, 19 ottobre 2010)

Formazione addetto al primo soccorso D. Si può considerare valido, ai fini della formazione degli addetti al primo soccorso, come stabilito dal D.Lgs 81/08, un attestato rilasciato dalla croce rossa italiana come volontario del soccorso? L'attestato in questione è datato giugno 2001 e fa riferimento agli artt. 3 e 4 del Regolamento Nazionale dei V.d.S. ----- R. A norma dell'art. 45, comma 2, del D.Lgs 81/08, le caratteristiche minime delle attrezzature di primo soccorso, i requisiti del personale addetto e la sua formazione, individuati in relazione alla natura dell'attività, al numero dei lavoratori occupati ed ai fattori di rischio, sono individuati dal decreto ministeriale 15 luglio 2003, n. 388. Tale decreto prevede, in particolare, che la formazione dei lavoratori designati al primo soccorso aziendale debba essere svolta da personale medico, in collaborazione, ove possibile, con il sistema di emergenza del Servizio Sanitario Nazionale. Nello svolgimento della parte pratica della formazione il medico può avvalersi della collaborazione di personale infermieristico o di altro personale specializzato. La formazione degli addetti andrà ripetuta con cadenza triennale almeno per quanto attiene alla capacità di intervento pratico e si differenzia a seconda del gruppo di appartenenza dell'azienda. Da quanto sopra esposto discende che la formazione rilasciata dalla Croce rossa italiana risulta valida nella misura in cui la medesima sia stata erogata da personale medico competente e nel rispetto di quanto previsto dal D.M. 388/03 che, come ricordato, individua, per ciascuna tipologia aziendale, gli obiettivi didattici e i contenuti minimi della formazione. In ogni caso la formazione deve essere ripetuta ogni tre anni. L'attestato cui si fa riferimento, qualora validamente rilasciato, essendo datato giugno 2001, è comunque scaduto. (Pierpaolo Masciocchi Codice Ambiente e Sicurezza risponde, 19 ottobre 2010, n. 610)

Figura del datore di lavoro D. Vorrei sapere se il socio del consiglio di amministrazione di una SpA, che ricopre la figura di RSPP, è identificabile a tutti gli effetti come Datore di Lavoro (anche se non è legale rappresentante) e quindi titolare del rapporto di lavoro con l'autorità di firmare, ad esempio, il Documento di Valutazione dei Rischi aziendale e vestire la figura di DL nei casi previsti dalla normativa in materia di sicurezza. ----- R. A norma dell'art. 2, comma 1, let. b) del D.Lgs 81/08 ricopre la qualifica di datore di lavoro, ai fini della sicurezza, il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o, comunque, il soggetto che, secondo il tipo e l'assetto dell'organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività, ha la responsabilità dell'organizzazione stessa o dell'unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa. Gli indici di riconoscimento della figura datoriale sono, dunque, almeno due: l'uno di carattere formale, che si riconduce appunto alla titolarità del rapporto di lavoro col lavoratore, l'altro di natura sostanziale che si riconnette, invece, al concetto di responsabilità in relazione ai tradizionali indici della autonomia - potere decisionale e di spesa. Per la verità il decreto legislativo in questione, nell'ambito della richiamata definizione, nel fissare la natura sostanziale della figura in esame, ne "estende" il riconoscimento al così detto datore di lavoro di "fatto" a cui in qualche modo si aggancia la nozione di "datore di lavoro delegato" pure introdotta innovativamente dall'art. 16 del D.Lgs 81/08. Trattasi di un aspetto di grande rilevanza pratica per molte aziende, in particolare ovviamente per quelle di non modestissime dimensioni, in quanto l'esistenza di un valido atto di delega costituisce, al tempo stesso, una condizione indispensabile al trasferimento soggettivo della responsabilità penale (che notoriamente è personale) e sufficiente a produrne l'effetto. Non a caso, la concreta utilizzabilità in ambito giuridico e processuale di tal genere di delega richiede la sussistenza di specifici requisiti senza i quali l'effetto che le è proprio (del trasferimento della responsabilità penale) non potrebbe essere prodotto. La giurisprudenza ha autorevolmente ed efficacemente fissato i criteri necessari a far ritenere legittimamente applicabile la delega: essa deve essere conferita per iscritto, deve essere

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comprovata e non presunta (principio di certezza), debbono essere concretamente e dettagliatamente indicati i poteri delegati, deve essere esplicitamente accettata dal delegato, è valida solo se correlata alle più ampie facoltà di iniziativa e di organizzazione, ivi compreso il potere di disporre autonomamente delle risorse necessarie. Non potrebbe d'altro canto esserne consentito un uso strumentale, volto cioè all'aggiramento delle responsabilità, ma appunto unicamente quello previsto di contribuire ad una più efficace attribuzione delle competenze dei singoli nella gestione delle problematiche connesse alla tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori. Nel caso prospettato nel quesito, quindi, pare non ricorra alcuno degli elementi giuridicamente costitutivi della figura datoriale. La nomina a consigliere di amministrazione infatti, peraltro attribuita senza il conferimento della rappresentanza legale dell'azienda, non è di per sé sufficiente a legittimare la titolarità, in capo al predetto soggetto, dei rapporti lavorativi in essere in azienda né ad attribuirgli la formale responsabilità dell'organizzazione stessa o dell'unità produttiva (indice formale). Per altro verso non emerge l'esistenza di alcuna delega specifica in tema di sicurezza affidata al consigliere né la titolarità di poteri decisionali e di spesa (indice sostanziale). In aggiunta la funzione, assunta dal consigliere, di responsabile del servizio di prevenzione e protezione, potrebbe anche essere giuridicamente incompatibile con quella di datore di lavoro, qualora l'azienda rientri nelle fattispecie indicate dall'art. 31, comma 6, del D.Lgs 81/08 (aziende industriali di cui all'articolo 2 del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334, e successive modificazioni, soggette all'obbligo di notifica o rapporto, ai sensi degli articoli 6 e 8 del medesimo decreto; centrali termoelettriche; impianti ed installazioni di cui agli articoli 7, 28 e 33 del decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 230, e successive modificazioni; aziende per la fabbricazione ed il deposito separato di esplosivi, polveri e munizioni; aziende industriali con oltre 200 lavoratori; industrie estrattive con oltre 50 lavoratori; strutture di ricovero e cura pubbliche e private con oltre 50 lavoratori). Ad ogni buon fine si ricorda che per lo svolgimento diretto da parte del datore di lavoro dei compiti di prevenzione e protezione dai rischi è necessario rispettare tutti i requisiti, anche di carattere formativo, previsti dall'art. 34 del D.Lgs 81/08, cosa che, da quanto emerge dal tenore del quesito, non pare sia avvenuto. (Pierpaolo Masciocchi, Il Sole 24 ORE - Codice Ambiente e Sicurezza risponde, 13 ottobre 2010)

Formazione lavoratori D. Il comitato tecnico delle Regioni prevede una formazione dei lavoratori divisa in due parti: una prima parte di formazione generale e una seconda parte di formazione specifica per settore o comparto. Vorrei sapere quali sono i riferimenti normativi specifici di questo Comitato Tecnico? ----- R. Al fine di realizzare una programmazione coordinata degli interventi e conferire loro uniformità e omogeneità a livello nazionale - oltre al necessario raccordo con il Comitato per l'indirizzo e la valutazione delle politiche attive e per il coordinamento nazionale delle attività di vigilanza in materia di salute e sicurezza sul lavoro e con la Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro - l'art. 7 del D.Lgs 81/08 ha disposto che, presso ogni regione e provincia autonoma, operi il comitato regionale di coordinamento di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri in data 21 dicembre 2007, pubblicato nella G.U. n. 31 del 6 febbraio 2008. Tali Comitati, istituiti presso ogni regione e provincia autonoma, svolgono i propri compiti di programmazione e di indirizzo delle attività di prevenzione e vigilanza nel rispetto delle indicazioni e dei criteri formulati a livello nazionale dai Ministeri della salute e del lavoro e dalle regioni e province autonome di Trento e di Bolzano al fine di individuare i settori e le priorità d'intervento delle attività di prevenzione e vigilanza in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Il Comitato è presieduto dal presidente della giunta regionale o da un assessore da lui delegato, con la partecipazione degli assessori regionali competenti per le funzioni correlate e deve comprendere rappresentanti, territorialmente competenti: dei servizi di prevenzione e sicurezza nei luoghi di lavoro delle aziende sanitarie locali, dell'Agenzia regionale per la protezione ambientale (ARPA), dei settori ispezione del lavoro delle direzioni regionali del lavoro, degli ispettorati regionali dei Vigili del fuoco, delle agenzie territoriali dell'Istituto superiore per la sicurezza sul lavoro (ISPESL), degli uffici periferici dell'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL), degli uffici periferici dell'Istituto di previdenza per il settore marittimo (IPSEMA), degli uffici periferici dell'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), dell'Associazione nazionale dei comuni d'Italia (ANCI), dell'Unione province italiane (UPI) e rappresentanti degli uffici di sanità aerea e marittima del Ministero della salute nonchè delle autorità marittime portuali ed aeroportuali. Ai

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lavori del Comitato partecipano quattro rappresentanti dei datori di lavoro e quattro rappresentanti dei lavoratori designati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello regionale. Il Comitato di coordinamento si riunisce almeno ogni tre mesi e svolge le seguenti funzioni: a) sviluppa, tenendo conto delle specificità territoriali, i piani di attività e i progetti operativi individuati dalle Amministrazioni a livello nazionale; b) svolge funzioni di indirizzo e programmazione delle attività di prevenzione e di vigilanza e promuove l'attività di comunicazione, informazione, formazione e assistenza operando il necessario coordinamento tra le diverse istituzioni; c) provvede alla raccolta ed analisi delle informazioni relative agli eventi dannosi e ai rischi, proponendo soluzioni operative e tecniche atte a ridurre il fenomeno degli infortuni e delle malattie da lavoro; d) valorizza gli accordi aziendali e territoriali che orientino i comportamenti dei datori di lavoro, anche secondo i principi della responsabilità sociale, dei lavoratori e di tutti i soggetti interessati, ai fini del miglioramento dei livelli di tutela definiti legislativamente. In attuazione degli indirizzi resi a livello nazionale, presso ogni Comitato regionale di coordinamento è istituito un ufficio operativo composto da rappresentanti degli organi di vigilanza che pianifica il coordinamento delle rispettive attività, individuando le priorità a livello territoriale. L'ufficio operativo provvede a definire i piani operativi di vigilanza nei quali sono individuati: gli obiettivi specifici, gli ambiti territoriali, i settori produttivi, i tempi, i mezzi e le risorse ordinarie che sono rese sinergicamente disponibili da parte dei vari soggetti pubblici interessati. In specifici contesti produttivi e in situazioni eccezionali, al fine di migliorare l'efficacia delle politiche attive di prevenzione, possono essere previste particolari attività di coordinamento tecnico che prevedano la costituzione di nuclei operativi integrati di prevenzione e vigilanza che operino per tempi programmati. I piani operativi sono attuati da organismi provinciali composti da: Servizi di prevenzione e sicurezza nei luoghi di lavoro delle ASL, Direzione provinciale del lavoro, INAIL, ISPESL, INPS e Comando provinciale Vigili del fuoco. I Comitati regionali di coordinamento provvedono a monitorare le attività svolte dalle sezioni permanenti per verificare il raggiungimento degli obiettivi, dando comunicazione annuale dei risultati di tale monitoraggio ai Ministeri della salute e del lavoro e della previdenza sociale. (Pierpaolo Masciocchi, Il Sole 24 ORE - Codice Ambiente e Sicurezza risponde, 13 ottobre 2010)

RSPP interno/dipendente D. Con riferimento all'art. 31 comma 7 del D.Lgs. 81/2008 e la figura del RSPP "interno" si chiedono chiarimenti in merito al rapporto che deve intercorrere tra tale soggetto ed il datore di lavoro. Nello specifico si richiede se, a vostro autorevole giudizio, tale figura debba essere un "dipendente" del datore di lavoro visto che tale termine non viene mai citato nel summenzionato articolo, come invece avviene per altre figure in altre parti del Decreto. La definizione di "interno" potrebbe ricondursi ad un rapporto gerarchico e con necessariamente contrattuale/lavorativo (ossia il RSPP prende ordini e riferisce al DL attraverso una scrittura privata). Pare pertanto sia lasciato "spazio" ad altri possibili rapporti lavorativi anche in considerazione delle valutazioni di seguito riportate: - nessun dipendente dell'azienda è disposto ad accettare tale incarico (anche stante le attuali responsabilità penali attribuibili al RSPP); - i lavoratori possono rifiutarsi di ricoprire tale ruolo e, di conseguenza, il DL trovarsi nell'impossibilità di nominare un "dipendente"; - qualora il RSPP dipendente dell'azienda si dimetta da tale incarico e rassegni le proprie dimissioni o interrompa il rapporto lavorativo il DL può trovarsi nell'impossibilità di effettuare una "sostituzione" immediata (magari manca la formazione specifica al nuovo RSPP). Non dovrà cessare per questo la propria attività? Potrei fare molti altri esempi che portano a ritenere la figura del RSPP necessariamente affidabile ad una persona non "dipendente" del DL (consulente esterno con contratto specifico per erogare tali servizi direttamente in azienda) anche nei casi indicati dai commi 6 e 7 come peraltro previsto dal comma 5. Ritengo pertanto, e su questo richiedo vostro parere, che il termine "interno" non sia univocamente riconducibile alla figura del "dipendente" del datore di lavoro come da CCNL. ----- R. L'art. 31 del D.Lgs 81/08, nel definire le modalità di organizzazione e gestione dell'attività di prevenzione e protezione, lascia alla libera determinazione del datore di lavoro la scelta se designare un responsabile del servizio interno o esterno alla propria azienda o unità produttiva, fatta eccezione per le ipotesi indicate dal comma 7, in cui il legislatore richiede, in maniera espressa e inequivoca, l'istituzione di un servizio interno e la nomina di un Rspp che sia organicamente collocato all'interno del funzionigramma aziendale. Mai, in realtà, viene imposta la

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necessità di una "dipendenza" gerarchica tra il datore di lavoro e il responsabile né viene posta la condizione della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra i due soggetti. Le uniche garanzie che il datore di lavoro deve assicurare sono: - l'adeguatezza del numero dei responsabili in relazione alle caratteristiche dell'azienda - la presenza dei mezzi e del tempo adeguati per lo svolgimento dei compiti assegnati - l'assenza si alcun pregiudizio a causa della attività svolta nell'espletamento dell'incarico. Generalmente, nei casi di nomina di un rspp interno, le aziende optano per una collocazione del soggetto in posizione di staff rispetto al datore di lavoro in modo da dare a questa struttura, - che per i suoi compiti essenzialmente "consulenziali", per il suo ruolo di "staff" e non di "line" (quindi di scarso peso gerarchico), per le sue caratteristiche di problematicità (è verosimile che possa entrare in conflitto con le esigenze produttive, e quindi con le figure che tali esigenze presidiano), appare debole in termini di "peso specifico" all'interno dell'azienda, e forte solo dell'autorevolezza tecnico-scientifica del suo responsabile (o dei suoi collaboratori), - una "forza" riflessa che le deriva proprio dallo specifico rapporto privilegiato, almeno in termini di relazioni e comunicazioni, con le più alte gerarchie aziendali. Nulla tuttavia vieta, nel caso prospettato e come peraltro indicato nel quesito, di istituire un servizio interno ed affidarne la responsabilità ad un soggetto non dipendente dal datore di lavoro ma a questi legato da uno specifico contratto di consulenza per erogare il servizi in azienda. E' bene tuttavia fare attenzione, nella redazione del contratto, a specificare chiaramente che la prestazione professionale sia eseguita quotidianamente in azienda e che sia sempre garantita la necessaria attività di controllo dei vari fattori di rischio, che la norma vuole sia assicurata proprio attraverso la presenza di un Rspp interno. Questo, ovviamente, anche e soprattutto a garanzia del datore di lavoro. La norma, infatti, che ha istituzionalizzato il servizio di prevenzione e protezione non ha identificato un nuovo garante della sicurezza, tantomeno, ha inteso trasferire su di esso quote di posizione di garanzia già attribuite al datore, al dirigente e al preposto. Solo chi è giuridicamente obbligato ad agire per attuare i precetti contenuti nella normativa sulla sicurezza e igiene sul lavoro (datore di lavoro) è correlativamente il responsabile della loro violazione. Tutti gli altri soggetti, non avendo obblighi di determinarsi per realizzare la sicurezza, non possono essere chiamati a rispondere della omissione di presidi antinfortunistici obbligatori. (Pierpaolo Masciocchi Codice Ambiente e Sicurezza risponde, 5 ottobre 2010)

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