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Prof. A. DEMORI La d o n n a vittim a di abuso: co n seg u en ze p sico p a to lo g ich e P ro f.A ngelo D EM O R I – D ip artim ento diM ed icina Legale – Sez d iC rim in o lo g ia - U n . d iG enova International C lub B usto A rsizio Serata del 16 aprile 2012 1

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Prof. A. DEMORI

La donna vittima di abuso:

conseguenze psicopatologicheProf. Angelo DEMORI – Dipartimento di Medicina

Legale – Sez di Criminologia - Un. di Genova

International Club Busto Arsizio

Serata del 16 aprile 2012

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La vittima di reato è rimasta per molti anni estranea all’interesse dell’opinione pubblica e della dottrina criminologica, che si è sempre

interessata dell’AUTORE del reato.

La scuola classica

La scuola positivista

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Il legislatore non usa la parola “vittima”, ma “offeso”, “persona offesa”, “persona offesa dal reato” o “parte lesa”.

La vittima può definirsi come persona che soccombe all’altrui inganno e/o prepotenza, subendo una sopraffazione o un danno, o venendo comunque perseguitata o oppressa.

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Vittima: “una persona che individualmente o collettivamente ha sofferto un danno fisico o mentale, una sofferenza emotiva, una perdita economica o una violazione sostanziale ai propri diritti fondamentali, attraverso atti ed omissioni che, pur non costituendo violazione del diritto penale nazionale, offendono le norme internazionali riconosciute riguardanti i diritti umani” (Bassiouni, 1988)

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Essere vittima di un reato è sempre una esperienza traumatica.

Subire un reato può distruggere, anche inconsapevolmente, la convinzione che il mondo sia un posto sicuro e rivela una improvvisa vulnerabilità.

La vittima ha quindi bisogno di poter contare su un aiuto che la faccia sentire nuovamente protetta riducendo così la sua sensazione di vulnerabilità.

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La vittimologia nasce come scienza autonoma negli anni ‘50.

Scopo dello studio della vittima:

- diagnostico (della situazione e delle problematiche che possono avere portato il soggetto a divenire vittima) - preventivo rispetto all’eventuale reato - riparativo del danno eventualmente subito (cercare di ridurre effetti dannosi a breve e lungo termine). Prof. A. DEMORI 6

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Vittimizzazione: ogni azione che produce un danno fisico, psichico o economico, commessa intenzionalmente, negligentemente, in modo avventato o di proposito.

Vittimizzazione primaria: processo diretto a provocare un danno fisico, mentale, emozionale o economico alla vittima tramite la commissione di un reato.

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Vittimizzazione secondaria: un soggetto che ha subito un crimine si trova a vivere, nelle fasi successive, esperienze a questo connesse e che ne amplificano gli effetti.

È una ulteriore vittimizzazione che può essere provocata da atteggiamenti di insensibilità, anche inconsapevoli, da parte del sistema sanitario, sociale, giudiziario, delle forze di polizia e della comunità in genere.

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Classificazioni della vittimaVon Hentig (1948), padre della disciplina, sviluppò tre concetti

fondamentali:

- quello di “criminale-vittima”: non si nasce vittima o criminale, ma sono gli eventi a determinare i ruoli (criminale assalta un negozio, commerciante reagisce sparando ed uccidendolo)

- quello di “vittima latente”: alcuni soggetti per fattori psicopatologici e/o sociali sono predisposti al ruolo di vittima (predisposizione “generale” (es. minori) e predisposizione “speciale” (es. portavalori, alcune professioni)

- quello di rapporto che lega vittima al reo: è essenziale l’aspetto sistemico-relazionale tra vittima e aggressore (a volte esiste una inversione dei ruoli, quando la vittima è l’elemento scatenante e determinante il reato).

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Classificazione riguardo il “grado di colpa” da attribuirsi alla vittima (Mendelsohn, 1965):

- vittima “del tutto innocente” (viene colpita per caso da uno sparo o un bambino)

- vittima con “colpa lieve” e vittima “per ignoranza” (passeggero distrae il guidatore => auto esce di strada e soggetto rimane ferito o ucciso)

- vittima “colpevole quanto il delinquente” e vittima “volontaria” (suicidio nella roulette russa, suicidio di coppia)

- vittima “maggiormente colpevole del delinquente” (vittima provocatrice o imprudente)

- vittima “con un altissimo grado di colpa” e vittima come “unica colpevole” (criminale aggredisce un soggetto, che per legittima difesa, lo uccide)

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Modalità con cui un soggetto può contribuire alla propria vittimizzazione (Sparks, 1982):

- “precipitazione”: comportamento della vittima fa precipitare l’evento (con provocazione fisica o verbale)

- “facilitazione”: vittima, consciamente o inconsciamente, si trova in contesti a rischio (es. attraversa di notte un quartiere malfamato)

- “vulnerabilità”: vittima a rischio per una particolare condotta o posizione sociale (soggetto mobbizzato perché non gradita)

- “opportunità”: vittima possiede qualcosa di possibile interesse per il criminale (anziano che ritira la pensione)

- “attrattività”: vittima con particolari fattezze o con particolari beni (donna, rappresentante gioielli).

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Modello di vittimizzazione basato sullo stile di vita Hindelang, Gottfredson & Garofalo 1978

= consueta attività quotidiana svolta dalla persona, inerente sia alla sfera lavorativa sia al tempo libero, incide sull’esposizione al rischio.

La probabilità di divenire vittima dipenderebbe da:

- “esposizione al rischio”: grado di esposizione in luoghi e in momenti caratterizzati da un diverso rischio di vittimizzazione

- “associazioni”: frequenza con cui la persona si trova in associazione con altri soggetti più o meno inclini a commettere reati.

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Modalità di vittimizzazione:

Abuso fisico

Abuso sessuale

Abuso verbale, emotivo o psicologico

Abuso spirituale (tradire la propria religione)

Abuso economico (truffa, furto, ecc.)

Abuso sociale (nonnismo, mobbing, false accuse, ecc.)

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Le vittime devono quindi ricevere la necessaria assistenza materiale, medica, psicologica e sociale tramite enti governativi, del volontariato, delle comunità di base e locali, devono altresì essere informate della disponibilità di servizi sanitari e sociali e di altri rilevanti sussidi e poter prontamente accedere ad essi.

È quindi necessario che la polizia, la magistratura, i servizi socio-sanitari e tutto il personale coinvolto, riceva l’addestramento appropriato per essere sensibilizzati alle necessità della vittima e le linee guida per fornire adeguato e immediato aiuto.

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La violenza sulla donna

Dichiarazione delle Nazioni Unite sull’eliminazione della violenza contro le donne (1993)

Art. 1 (violenza contro le donne): “qualsiasi atto di violenza per motivi di genere che provochi o possa verosimilmente provocare danno fisico, sessuale o psicologico. Comprese le minacce di violenza, la coercizione o privazione arbitraria della libertà personale, sia nella vita pubblica che privata”.

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Dalla ricerche degli ultimi dieci anni emerge come il fenomeno sia endemico, sia nei paesi industrializzati sia in quelli in via di sviluppo.

Nei Paesi industrializzati tra il 20 e il 30% delle donne avrebbe subito violenze fisiche o sessuali.

Le violenze psicologiche sono ben più frequenti: inchiesta su 700 studenti delle medie superiori di 3 città del Nord Italia (Demori & Coll., 2001)

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Vittime e aggressori appartengono a tutte le classi socio-culturali e a tutti i ceti economici.

Almeno 1 donna su 5 avrebbe subito abusi fisici o sessuali da parte di un uomo nel corso della propria vita (OMS).

Autori: mariti, padri, seguiti da amici, vicini di casa, conoscenti, colleghi.

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Violenza domestica ai danni della donna

Violenza può essere ogni atto o parola offensiva, ogni comportamento violento, coercitivo, minaccioso di un membro della famiglia su un altro della famiglia.

Si verifica in ogni gruppo etnico, religioso, socio-economico, seppure più “visibili” in condizioni di povertà, abuso di alcol o droga, o patologie psichiatriche.

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La violenza domestica si sviluppa in 3 fasi

- L’aggressore minaccia, umilia e ridicolizza l’altro

- L’aggressore esplode quando percepisce un’infrazione del proprio codice personale e passa alla violenza fisica

- L’aggressore si “sgonfia”, chiede perdono e promette di cambiare

La vittima rinuncia quindi alla denuncia, ma tipicamente, dopo la riconciliazione, il ciclo riprende.

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Alcuni dati (Milano, Centro donne maltrattate, 2002)

- 64,04% abusi fisico

- 13,01% abuso sessuale

- 8,56% abuso economico

Autore:

- 37,32% marito

- 17,12% convivente

- 6,84% padre

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Sindrome della “moglie maltrattata” (wife-beating)

Secondo FBI è il reato per cui il fenomeno del numero oscuro è più rilevante.

Correlata con

- alcolismo

- razza

- condizione sociale e basso grado di istruzione

- disoccupazione

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Conseguenze vittima

- Diminuzione dell’autostima

- Sensi di colpa e di vergogna

- Sensazione di essere intrappolata in una situazione senza via di uscita

E’ uno dei motivi per cui la donna si sente causa della violenza e non denuncia il marito.

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- Paura, ansia

- Attacchi di panico

- Depressione (rischio suicidio)

complicanza a medio – lungo termine

- Problemi alimentari

- Abuso farmaci, sostanze, alcol

come forma di automedicazione

- Disturbo ossessivo - compulsivo

- Disturbo post-traumatico da stress

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Conseguenze della violenza del partner

sulla salute fisica della donna• Diarrea, stitichezza, nausea, sindrome del colon irritabile• Mancanza di appetito, bulimia, vomito auto-indotto• Dolori addominali, di stomaco, ulcere gastriche• Infezioni urinarie, infezioni vaginali• Malattie sessualmente trasmissibili• Aids• Sanguinamenti vaginali, dolori mestruali intensi• Dolori pelvici• Rapporti dolorosi, mancanza di desiderio sessuale• Fibromi e isterectomie

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• Cefalee, emicranie• Svenimenti, convulsioni• Mal di schiena, dolori cronici alle spalle, al collo• Dolori cronici• Influenza e raffreddori• Artrite• Ipertensione• Qualsiasi tipo di lesione: contusioni, ematomi, danni

oculari, rottura del timpano, fratture, ferite da taglio, bruciature,

• Trauma cranico, lesioni addominali e toracicheCampbell, Lancet 2002

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Violenza sessuale

Vengono considerate una violenza sessuale tutte quelle situazioni in cui una donna è costretta a fare od a subire, contro la propria volontà, atti sessuali di diverso tipo: stupro, tentato stupro, molestia fisica, rapporti sessuali con terzi, rapporti sessuali non desiderati subiti per paura delle conseguenze, attività sessuali degradanti ed umilianti.

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Solo da una trentina di anni il fenomeno della violenza sulla donna, ed in particolare quella commessa all’interno delle mura domestiche, si è lentamente trasformata da “questione privata” a “problema pubblico”, grazie ad una maggiore sensibilità nel confronto del problema della violenza, all’emergere del movimento femminista e al declino del tradizionale modello di famiglia.

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Questo solo recente interesse è dovuto al fatto che nella maggior parte dei casi l’”aggressività maschile”, così contrapposta alla “sottomissione” e “dipendenza femminile”, sia stato interpretato come fatto biologicamente “naturale” e come tale inevitabile, ragion per cui la violenza sulla donna è stata per lungo tempo accettata come qualche cosa di quasi “normale”.

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Indagine ISTAT su 25.000 donne (febbraio 2007)

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Percezioni sociale della violenza sessuale: indagine degli anni ’80: gli intervistati

reputavano un omicidio avvenuto nel contesto di uno stupro il più grave dei reati possibili.

Dopo l’omicidio, lo stupro viene considerato come il reato più grave.

In generale, l’opinione pubblica considera i rapporti sessuali imposti o tentati con la costrizione fra i reati più censurabili e richiede sanzioni severe.

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Il numero oscuro e i dati

Secondo alcuni autori il rapporto fra violenza sessuale denunciata e quella non denunciata è di 2 a 1, per altri di 20 a 1, per altri ancora 100 a 1.

Esiste concordanza sul fatto che si tratta del reato con più bassa probabilità di essere scoperto.

Inoltre spesso, anche se denunciato, il reo non viene adeguatamente punito.

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Una recente ricerca sulla vittimizzazione ha evidenziato come il 95,7% delle vittime di molestie o di violenza sessuale non ha denunciato perché:

- Ritenevano irrilevante il fatto (32,8%) - Conoscevano l’autore (23,8%) - Mancando le prove la polizia non avrebbe

potuto fare nulla (15,5%) - Timorose di ritorsioni (6,7%) - Sfiduciose nei confronti della polizia (4,9%).

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Mancata denuncia:

- Per imbarazzo e vergogna,- Timore della pubblicità del fatto anche

tramite i mass media, - Timore di pregiudizio della Corte,- Desiderio di dimenticare, - Paura di vendetta da parte dell’autore- Paura di reazione negativa da parte della

famiglia.

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Denunce solo il 5% circa

- 18,2% delle donne è consapevole del fatto che si è trattato di reato

- 44% delle donne reputa il fatto “qualche cosa di sbagliato”

- 36% ne parla come di “qualcosa che è accaduto”

Oltre all’elevato numero oscuro caratterizzante il reato di violenza sessuale, vi è poi l’elevato numero di persone accusate che vengono prosciolte o che comunque riescono ad evitare una pena detentiva.

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Stereotipi e luoghi comuni connessi al reato di violenza sessuale:

- sarebbe impossibile violentare chi realmente non lo voglia

- la violenza sarebbe in realtà una aspirazione femminile

- la resistenza della donna sarebbe invece una “naturale ritrosia” della donna

- “se l’è voluta”, visto l’abbigliamento, l’atteggiamento ecc.

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Applicando le classificazioni della vittimologia, la donna-vittima potrebbe essere definita come:

- Vittima passiva latente, in quanto portatrice di una “predisposizione” a diventarlo, attirando in un certo senso l’autore sia per una generale vulnerabilità, sia per il suo aspetto, sia per l’eventuale collocazione in specifici ambienti sociali (luoghi della prostituzione, ambienti marginali);

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Altre volte si parla di vittima “passiva, del tutto innocente” che “accidentalmente”, per puro caso, si viene a trovare sul percorso del reo;

Si parla poi di vittima “passiva preferenziale”, se scelta dal reo per il suo ruolo, posizione sociale, aspetto, ecc.

Altre volte, rientra tra le vittime “passive simboliche”, quando con lo stupro il reo vuole colpire tutto il gruppo.

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In altre occasioni viene percepita come vittima “attiva”, in quanto:

“provocatrice inconscia”, allorché il suo comportamento verrebbe interpretato come offensivo o provocatorio dal reo,

o “favorente”, allorquando frequenterebbe luoghi a rischio di aggressione.

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In base alla modalità in cui la donna potrebbe contribuire alla propria vittimizzazione, si parla

di “vulnerabilità” (tipo di comportamento, posizione sociale, ecc.),

di “attrattività” (fattezze),

di “precipitazione” (suo comportamento “incoraggia”),

di “facilitazione” (si espone al rischio per imprudenza o negligenza- frequenta luoghi a rischio).

Sulla vittimizzazione influirebbe anche la percezione del reo circa una sua “impunità”, che lo porta alla violenza senza timore di essere scoperto, vista la limitatezza delle denunce.

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Dalla vittimizzazione possono nascere sentimenti contrastanti, di fallimento personale, d’ansia, seguiti da comportamenti difensivi, da risposte interpersonali alterate, quali aggressività, rifiuto degli altri, dipendenza dagli altri, ecc.

Le risposte della vittima seguono un modello abbastanza stabile formato da quattro fasi, variabili solo per intensità, durata e in rapporto al tipo di contatto instauratosi tra vittima e reo:

- “negazione” del fatto- “desiderio di parlare”, quando ha ripreso il contatto con la

realtà- “depressione traumatica o autoaccusa”- “meccanismi di difesa” finalizzati a minimizzare o

prevenire i rischi di una futura vittimizzazione.

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I danni psicologici A breve termine: la vittima presenterebbe una fase

acuta “disorganizzata” (sindrome da violenza sessuale con affettività soffocata e controllata, esteriorizzazione di rabbia, ansietà, paura, imbarazzo, pianto, senso di umiliazione, desiderio di vendetta, tendenza all’autoaccusa, tensione, ecc.)

A lungo termine vi è una fase riorganizzativa dei propri vissuti, sempre che il disturbo non cronicizzi. Attenuazione dei sintomi ma spesso persistenza di manifestazioni dell’ansia (tremori, attacchi di panico, disturbi psicosomatici, paura irrazionale, ecc.)

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Danno secondario

Il danno “secondario” deriva dagli atteggiamenti negativi nei confronti della vittima da parte della famiglia, parenti e amici, nonché delle agenzie di controllo formale, consistenti quasi sempre in una mancanza di supporto e a volte persino in una vera e propria “condanna” morale. Ne derivano frustrazioni, umiliazioni, mortificazioni.

Vanno annoverati:eccessiva durata del processo (solo per il primo grado

trascorrono mediamente 2-3 anni)pubblicità delle udienzeinterrogatorio della vittima con modalità del tutto analoghe a

quelle usate per il reo (indagini sulla modalità del fatto e sulla “moralità” della vittima).

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Secondo alcuni da una aggressione sessuale deriverebbe una “quadrupla vittimizzazione”: all’aggressione si aggiungerebbero altre aggressioni “psicologiche” da parte della polizia, dell’apparato medico e del sistema giudiziario.

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Dalle ricerche emerge che non esiste uno stereotipo del sex offender, potendosi trattare semplicemente di un mascalzone o essere semplicemente il risultato ‘normale’ di una cultura maschilista, ma può anche essere un malato, e in ciò non discostandosi dall’autore di qualsiasi altro reato violento.

Spesso l’aggressore manca di compassione e rispetto dell’integrità e inviolabilità dell’altro che viene deumanizzato e ridotto ad una sorta di strumento di piacere.

Solitamente si tratta di una persona ostile che si sente sessualmente rifiutata e che manifesta odio e disprezzo verso la vittima.

Attraverso l’abuso si vendica di un “nemico” creato dalla sua mente.

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Caratteristico degli autori è l’incapacità di mettersi in sintonia con l’altro, di immedesimarsi empaticamente con la sofferenza e la paura dell’altro.

La personalità è contrassegnata da onnipotenza, distacco emotivo, assenza di sentimenti di colpa, cioè da quel “narcisismo maligno” a causa del quale la vittima è unicamente un oggetto atto a soddisfare le proprie fantasie narcisistiche, rivendicative, sadiche, ecc.

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Dalle analisi di casistiche peritali emerge comunque che in questo reato interviene una multifattorialità criminogenetica, essendo ogni autore un caso a sè.

Talvolta esiste una malattia mentale, talvolta no, ma quasi sempre vi è un’organizzazione psicologica, composta di tratti o disturbi a seconda dei casi, inserita in un dato contesto culturale.

La causalità è quindi circolare, vi sono una cultura e un’organizzazione sociale che plasmano le personalità.

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La legittimazione alla violenza maschile non solo è sempre stata implicitamente tollerata ed accettata, ma a volte anche ufficialmente esplicitata e sancita nel diritto positivo

• Le primi leggi scritte del 2500 A.C.

• Il diritto romano

• La legge federale nord americana del 1824.

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