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Produzione e Organizzazione dello Spettacolo Cinematografico e Televisivo a.a. 2017-2018 Settore L-ART/06 – CFU 6 – Semestre II – Codice 1047921 Corso di laurea LM-65 Teatro, Danza e Arti digitali - 28694 Prof. Alberto Pasquale

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Produzione e Organizzazione dello Spettacolo Cinematografico e Televisivo

a.a. 2017-2018

Settore L-ART/06 – CFU 6 – Semestre II – Codice 1047921

Corso di laurea LM-65 Teatro, Danza e Arti digitali - 28694

Prof. Alberto Pasquale

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Programma

• Elementi di Management• Elementi di Organizzazione Aziendale• Economia e Management del Cinema• Economia e Management della Televisione

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Duplice natura del film• Un film può essere analizzato da diversi punti di vista. • La sua stessa definizione presenta molteplici opzioni.• I teorici francesi distinguono tra film e cinema: l’aspetto filmico riguarda i

rapporti con il mondo circostante, mentre l’aspetto cinematografico riguarda l’estetica e le caratteristiche strutturali dell’oggetto di studio.

• In inglese, si usa una terza espressione, movies, una pratica etichetta che rimanda alla sua funzione di bene economico.

• In genere si usano le tre definizioni in relazione a tre approcci diversi:• movie indica un prodotto da consumare, come il popcorn; • cinema (almeno nell’uso americano) è una forma d’arte che odora di estetica; • film è termine generico, privo di particolari connotazioni.

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Duplice natura del film• Anche a livello istituzionale, almeno in Europa, al cinema e alle opere

audiovisive in generale viene riconosciuto il fatto di possedere «caratteristiche peculiari dovute alla loro duplice natura».

• Sono beni economici che offrono notevoli opportunità per creare ricchezza e occupazione;

• Sono anche beni culturali che, al tempo stesso, rispecchiano e modellano la nostra società.

• La legge che in Italia attualmente governa le attività cinematografiche prevede all’art. 1 che «la Repubblica [...] riconosce il cinema quale fondamentale mezzo di espressione artistica, di formazione culturale e di comunicazione sociale».

• Stabilisce inoltre che «le attività cinematografiche sono riconosciute di rilevante interesse generale, anche in considerazione della loro importanza economica e industriale».

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La natura economica del film• Il film come «bene pubblico»

• Dal lato della domanda possiamo classificare il film come «bene pubblico» (public good), che non significa «bene prodotto col denaro pubblico», sebbene quest’ultimo, come vedremo, svolga un ruolo molto importante nel settore.

• Nel linguaggio economico un bene pubblico “puro” presenta due caratteristiche: 1. assenza di rivalità nel consumo2. assenza di escludibilità dai benefici.

• La prima caratteristica (non-rivalità nel consumo) significa che più soggetti possono simultaneamente beneficiare di quel bene senza per questo ridurre l’utilità che essi traggono dal suo consumo: il benessere di uno spettatore in più per un film non è influenzato dalla concomitante fruizione dello stesso da parte di altri consumatori.

• L’assenza di escludibilità significa invece che qualora il bene sia reso disponibile per qualche consumatore non è possibile o non è conveniente da un punto di vista economico escludere altri consumatori dai benefici che esso produce (si pensi alle trasmissioni televisive non criptate).

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La natura economica del film• Il film come «bene pubblico»• Queste caratteristiche rendono improbabile la produzione di beni pubblici da parte di imprese

private orientate al profitto.

• I cosiddetti “free-rider” non pagherebbero il prezzo del servizio.

• Per fronteggiare questo problema le trasmissioni televisive non criptate (il criptaggio è un meccanismo di esclusione) vengono remunerate:

• attraverso la vendita di spazi pubblicitari agli inserzionisti, nel caso di emittenti private;• attraverso il pagamento obbligatorio di un tributo connesso al possesso dell’apparecchio televisivo (o

direttamente dal bilancio dello Stato), nel caso di emittenti pubbliche;• attraverso un sistema misto pubblicità-tributo

• Sulla natura di bene pubblico del film si innesta la questione della pirateria audiovisiva e della difficoltà ad arginarla

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La natura economica del film• Il film come «bene pubblico»• Ci sono anche i beni pubblici “spuri” (club good). Questi costituiscono una classe

intermedia tra i beni pubblici puri e quelli privati in quanto, pur essendo caratterizzati da non-rivalità nel consumo, i loro benefici sono escludibili.

• Solo chi è disposto (o è costretto dalla presenza di adeguati meccanismi, fisici o tecnologici) a pagare può godere dei benefici: è il caso del biglietto che si paga per assistere a un film al cinema; ma in questo caso c’è la “recinzione” del luogo di spettacolo.

• La tecnologia digitale, facilitando la duplicazione e la circolazione delle opere audiovisive, ha frantumato le mura dei locali di spettacolo, che continuano a esistere solamente per gli spettacoli dal vivo e possono continuare a esercitare la loro funzione per il cinema solo se le sale cinematografiche sono in grado di offrire una “esperienza di spettacolo” unica e non replicabile all’esterno di esse.

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La natura economica del film• Il film come «bene esperienza»

• L’espressione “bene esperienza” (experience good) viene utilizzata in economia con varie accezioni. • Gli experience good sono i beni e i servizi le cui qualità possono essere riconosciute solo dopo l’acquisto,

tramite l’utilizzo o il processo di consumo (ad esempio un pasto al ristorante, un film).• Ovviamente in presenza di questa caratteristica i consumatori saranno riluttanti ad acquistare un determinato

bene o servizio. • Per tutta risposta, i produttori dei beni esperienza adottano alcune strategie, come la diffusione dei trailer di

un film, o il ricorso alla reputazione, includendo attori di richiamo nel cast o affidando l’opera a registi di fama.

• Questa impossibilità di definire ex ante le qualità di un bene ha suggerito in certi casi il ricorso dell’intervento pubblico per sostenere la produzione di questo tipo di beni, i quali proprio per queste loro caratteristiche vengono prodotti dal sistema privato in quantità inferiore a quella auspicabile.

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La natura economica del film• Imprevedibilità della domanda

• A questa caratteristica si fa spesso riferimento con l’espressione “nessuno sa niente” o “nessuno può sapere” (nobody knows anything), citazione attribuita allo sceneggiatore William Goldman (1983), mentre gli economisti la definiscono “mancanza di informazioni simmetrica” (Caves 2001, p. 4).

• In altre parole, non esiste una ricetta per il successo, non è cioè possibile prevedere con certezza il riscontro di pubblico che un film avrà prima della sua uscita.

• Vi sono nella storia del cinema infiniti esempi di “successi annunciati” che si sono rivelati sonori fiaschi al botteghino e altrettanti di “sorprese” totalmente inattese, veri e propri fenomeni di incasso.

• L’elevata imprevedibilità della domanda trova conferma anche in ricerche empiriche sulle dinamiche del box office (De Vany 2004).

• Questa incertezza sui risultati influenza l’intera organizzazione della “macchina cinematografica”, la quale ha messo in atto una serie di dispositivi, organizzativi e contrattuali, per limitare i rischi connessi a tale imprevedibilità.

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La natura economica del film• Pochi, grandi successi• L’industria cinematografica, come quella discografica ed editoriale in genere, è

caratterizzata da pochi, grandi successi (hit driven industry).• A questo proposito alcuni osservatori (De Vany 2004; Finney 2010) hanno fatto

riferimento al “principio di Pareto”, o “legge 80/20”, una legge empirica secondo la quale solo il 20% di un determinato fenomeno è la causa dell’80% dei risultati Questa caratteristica è connessa a quella che abbiamo visto in precedenza (imprevedibilità della domanda).

• Nell’industria cinematografica sono molto pochi i casi di successo e questi dovrebbero ripagare i molti tentativi che vengono effettuati e che non recuperano gli investimenti.

• Per quanto si cerchi di inserire nei film il maggior numero di possibili “ingredienti di successo” (star, registi di richiamo, soggetti tratti da libri best-seller, ecc.), i risultati non sono mai certi.

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La natura economica del film• Pochi, grandi successi

• Inoltre, per i film di successo si innesca il fenomeno del winner-take-all (Frank e Cook 1995), “il vincitore prende tutto”, secondo il quale tali prodotti, a causa delle connessioni in reti sociali degli utenti (connessioni ingigantite dall’avvento di internet), incrementano esponenzialmente il loro risultato positivo iniziale.

• La slide che segue riporta la curva di concentrazione dei film italiani usciti nelle sale cinematografiche nazionali nel 2014 e mostra chiaramente questo fenomeno, osservato in forme analoghe sostanzialmente in tutti i Paesi del mondo (e anche per altre tipologie di prodotti).

• Mettendo in relazione le percentuali cumulate del numero di film usciti e dei loro incassi, vediamo che il 10% dei film italiani realizza il 72% degli incassi, mentre il 20% dei film arriva al 90%. Il principio di Pareto diventa la legge del 90/20?

• Per i film USA, tuttavia, il 10% dei film incassa solo il 47% del totale, mentre il 20% arriva al 70%. Questi numeri si spiegano con una minore “polarizzazione” dovuta alla varietà di generi destinati a diversi segmenti di pubblico.

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0%

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% cumulata film usciti

Italiani USAFonte: elaborazioni DG Cinema su dati Cinetel

• Il 10% dei film USA incassa il 47% degli incassi dei film USA.

• Il 10% dei film italiani incassa il 72% degli incassi dei film italiani.

Anno 2014

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Pochi, grandi successi

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La natura economica del film• Alti costi fissi non recuperabili, bassi costi marginali• Passando alle caratteristiche economiche del film dal lato dell’offerta, la prima

da prendere in considerazione è di estrema importanza.• Per la produzione della “matrice”, la prima copia, un film presenta costi elevati

che sono al contempo “fissi”, cioè non variano al variare della quantità prodotta (fixed cost), e non recuperabili (sunk cost);

• Presenta invece costi (per lo più variabili) molto bassi per la sua duplicazione. • Detto altrimenti, produrre un film costa molto, spesso moltissimo. Riprodurlo

no.

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Costi variabili/fissi e diretti/indiretti

• Costi variabili• Variano proporzionalmente al livello

di attività (es. materie prime)• Costi fissi

• Non variano al variare del livello di attività (es. costi amministrativi)

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• Costi diretti• Direttamente e oggettivamente

attribuibili (es. provvigioni di vendita)• Costi indiretti

• Attribuibili solo in base a un criterio di ripartizione (es. combustibile)

• Di norma:– I costi diretti sono costi variabili– I costi indiretti possono essere sia variabili sia fissi

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Evitare confusioni…• Nella prassi vi è confusione fra costo diretto e costo variabile.

• La dicotomia diretto-indiretto si riferisce alla riconducibilità dei costi a specifici oggetti del costo.

• La dicotomia variabile-fisso si riferisce al comportamento dei costi al variare del volume di produzione.

DIRETTO INDIRETTO

VARIABILE

Costo pneumatici Energia, se i consumi sono rilevati per l’intero stabilimento e si assemblano modelli diversi

FISSOStipendio supervisore linea assemblaggio

Costo del leasing dello stabilimento se vale quanto sopra

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Costi fissi e costi variabili

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Dimensione della perdita

Dimensione dell'utile

Il punto di pareggio

Punto di pareggio

Il punto di pareggio (BEP, Break-Even Point) è il volume di vendita per il quale i ricavi coprono esattamente i costi

Costi fissi

RicaviCosti/ricavi

Volumi

Costi fissi +costi variabili

Costi variabili

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La natura economica del film• Alti costi fissi non recuperabili, bassi costi marginali• Stando agli economisti, la produzione di un film (e dei “beni informazione” in generale)

è caratterizzata da elevati costi fissi ma bassi costi marginali. • Questo tipo di struttura dei costi ha diverse implicazioni. • Ad esempio, porta con sé elevate economie di scala: quanto più si produce, tanto minori

sono i costi medi di produzione.• Qui il termine “produzione” va letto nel senso di “produzione di audience”, di spettatori. • In altri termini, diventa estremamente conveniente allargare il più possibile la platea dei

consumatori: conquistarne uno o cento in più non comporta costi (variabili) rilevanti ma consente di “spalmare” su più unità i costi fissi.

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La natura economica del film• Alti costi fissi non recuperabili, bassi costi marginali• Ma c’è di più. In questa struttura dei costi la componente principale dei costi fissi è data

dai costi irrecuperabili (o “costi sommersi”), ovvero i costi che non possono essere recuperati nel caso in cui la produzione venga interrotta.

• Se si investe nella costruzione di nuovi uffici e, in un secondo momento, si scopre che questi non servono più, è sempre possibile recuperare parte dell’investimento iniziale attraverso la vendita degli immobili.

• Ma se un film si rivela un insuccesso, non c’è un mercato secondario su cui rivendere, ad esempio, le scenografie e tantomeno la pellicola impressionata.

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La natura economica del film• Alti costi fissi non recuperabili, bassi costi marginali

• Non c’è dunque la possibilità di recuperare gli investimenti qualora l’impresa decida di chiudere o di effettuare tagli alla produzione.

• Questo elemento contribuisce all’elevata rischiosità dei film e, poiché i costi di duplicazione (i costi marginali, cioè di ogni copia in più) sono relativamente bassi (o addirittura nulli), diventa fondamentale (e conveniente) distribuire l’elevato costo fisso su un’elevata quantità di consumatori.

• In questo modo si spiega (unitamente ad altri fattori) la tipica struttura oligopolistica di questo settore e in particolare la presenza di un ristretto numero di major companies statunitensi: gli alti costi fissi che il settore impone possono essere sopportati solo in presenza di dimensioni globali.

• Non c’è spazio sufficiente per un nuovo entrante (Caves 2001, p. 289); e questo vale anche nei mercati locali, dove – su scala ridotta – prevalgono pochi grandi gruppi verticalmente integrati (in Italia, Mediaset-Medusa e Rai-01 Distribution).

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La natura economica del film• Varietà infinita• L’unicità del prodotto è una caratteristica distintiva del settore cinematografico; ogni film è

unico e non replicabile, essendo il risultato di un processo ad alto valore aggiunto che poco si presta alla standardizzazione (Salvemini e Delmestri 2000).

• Si parla in questo senso di “varietà infinita” (infinite variety). • Questo connotato, non consentendo la standardizzazione del prodotto, preclude la

possibilità di beneficiare di economie di scala. • Al di là della componente di rischio (l’ennesima) connessa a tale caratteristica, in

conseguenza di essa è possibile osservare nel settore, in contrapposizione al numero ristretto di società di distribuzione, un numero elevato di società di produzione.

• Le economie di scala sono invece presenti (e determinanti) per la distribuzione la quale, di conseguenza, è fortemente concentrata.

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La natura economica del film• Arte per l’arte• La caratteristica della cosiddetta “arte per l’arte” (art for art’s sake), riguarda gli input

creativi (attori e registi). • Chi svolge attività creative prova interesse per il prodotto realizzato e per la propria

autoaffermazione. • Di conseguenza la sua prestazione lavorativa non è facile da stabilire puntualmente per

contratto. • Solo l’attore, ad esempio, sa con esattezza quale impegno profonderà nell’interpretare il

proprio personaggio. • In altri termini, la prevalenza e la forza della passione artistica influenzano la quantità e la

qualità dello sforzo creativo. • Questo elemento aggiunge imprevedibilità agli esiti commerciali del film.

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La natura economica del film• Processo eterogeneo• La natura prototipale del film richiede una struttura organizzativa basata su

progetti, con la presenza di relazioni non molto stabili tra i partecipanti. • Un film è un progetto complesso che richiede il coordinamento e l’integrazione di

un ampio spettro di competenze specialistiche tra loro anche molto diverse.• Questa complessità si traduce in attività di produzione specifiche, non ricorrenti e

dunque con organizzazioni temporanee e non permanenti costruite attorno a un gruppo di professionisti con competenze specialistiche e con rapporti flessibili e non gerarchizzati (Boccardelli 2008).

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La natura economica del film• Processo eterogeneo• Le competenze eterogenee, creative e non creative, in inglese sono definite

come “motley crew”.• Poiché un prodotto cinematografico è il risultato dell’impegno di molti artisti,

ognuno portatore di competenze e valori estetici differenti, si crea un potenziale di conflitto tra preferenze e priorità che complica l’attività di produzione, come si è detto parlando dell’arte per l’arte.

• In tal senso a poco servono i contratti formalizzati. • Il più delle volte è necessario ricorrere a meccanismi gerarchici e il ruolo di

coordinamento del regista, assieme a quello del produttore, diventano essenziali.

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La natura economica del film• Competenze differenziate verticalmente• Un ultimo aspetto di rilievo riguarda l’esistenza di diverse “classi di appartenenza”

(A list/B list) per i vari talenti in gioco. • Gli artisti sono classificabili in base al loro talento e gli artisti di qualità superiore

(“di serie A”) tendono a lavorare insieme, mentre quelli di qualità inferiore (“di serie B”) tendono a collaborare senza regolarità.

• Non vi è intercambiabilità tra queste due tipologie di input e ciò rende spesso automaticamente più costoso un determinato progetto, in quanto l’eventuale presenza di un talento di serie A richiederà l’affiancamento di collaboratori (o altri artisti) in cima alla lista e quindi più costosi.

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Fronteggiare l’incertezza• Alla base dell’industria cinematografica vi è un’elevatissima dose di rischio e le

modalità per fronteggiarlo (o ripartirlo, o trasferirlo ad altri, ad esempio allo Stato o – ciò che è lo stesso – alla collettività) costituiscono il tratto unificante dell’analisi economica del film.

• La gestione del rischio da parte dell’industria passa attraverso diverse strategie. • In primo luogo, l’adozione di una teoria del portafoglio (Vogel 2011, p. 145), vale

a dire cercando di compensare il gran numero di insuccessi con una diversificazione dell’output fra film di vario genere e costo.

• In secondo luogo, attraverso una strategia di concentrazione, tramite integrazione orizzontale e/o verticale, oppure attuando processi di internazionalizzazione.

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Fronteggiare l’incertezza• La strategia di concentrazione è stata studiata in particolare dagli studiosi di economia

industriale (Huettig 1944; Lewis 1933; Conant 1960; Litman 1998), che hanno prestato particolare interesse al potere di mercato e quindi al possibile abuso di posizione dominante.

• Il paradigma utilizzato è quello cosiddetto della Struttura-Condotta-Risultati (Structure-Conduct-Performance, SCP).

• Si ricordi che Hollywood è stata più volte interessata da decisioni antitrust, tra cui quella del 1948 (il Paramount decree) che ha mutato profondamente la struttura del settore.

• Ulteriori modalità per fronteggiare il rischio adottate dalle imprese consistono in elevate spese pubblicitarie, nel ricorso allo star system, ai “generi cinematografici” e alla serializzazione.

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Fronteggiare l’incertezza• Caves (2001) si concentra sulle cause dell’organizzazione economica dell’industria

cinematografica. • In essa si hanno processi creativi per il raggiungimento di obiettivi che necessitano la

collaborazione e l’intervento sia di soggetti non creativi (o “ordinari”: Caves li definisce “humdrum input”), sia di soggetti creativi.

• Queste collaborazioni si attuano attraverso legami contrattuali ed è pertanto la “teoria dei contratti” che viene in soccorso all’analista economico che intenda spiegare perché gli interessi delle singole parti strutturano gli accordi in un determinato modo.

• Caves basa la sua teoria sulla tipologia di contratto che si stipula tra “principale” e “agente”, e che risulta da una situazione in cui il principale ha investito un capitale finanziario non recuperabile (sunk cost) in un progetto o in un’impresa e si assicura i diritti di proprietà sui beni dell’agente (in termini di capitale umano o fisico) in modo da controllare e proteggere l’investimento.

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Fronteggiare l’incertezza• Più è grande l’esborso finanziario e lungo il tempo dell’investimento, maggiore è l’interesse che il principale

ha a controllare gli agenti in ogni stadio della produzione;

• Più stadi ci sono nel processo di produzione e marketing che coinvolgono specialisti (“investimenti specifici”), maggiore sarà il numero di contratti da stipulare per proteggere i costi non recuperabili iniziali.

• Soggiacente a tutto ciò vi è tuttavia l’impossibilità di scrivere “contratti completi”, un dato di fatto che nelle industrie creative è ulteriormente esacerbato dalla caratteristica del “nessuno sa nulla”.

• Non solo. Come abbiamo visto, quando ci sono di mezzo gli artisti (arte per l’arte) la qualità del lavoro non può essere assicurata; occorre poi coordinare sequenzialmente molti individui (la motley crew) e ci sono persone di diverso livello di reputazione e abilità (A list/B list) che non possono essere facilmente interscambiate.

• Infine, il progetto è essenzialmente unico, perché ogni film è una creazione singola di un nuovo prodotto (infinite variety).

• Tutto ciò significa che non c’è una formula che guidi con precisione il principale nell’impresa.

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Il vantaggio competitivo statunitense• È possibile evidenziare almeno tre raggruppamenti teorici (Perretti e Negro

2003):1. Quello che individua la fonte del vantaggio americano principalmente nel

prodotto2. Quello che individua tale vantaggio nella distribuzione3. Quello che lo attribuisce a fattori esterni.

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Il vantaggio competitivo statunitense• Nel primo caso (vantaggio di prodotto), il vantaggio dipenderebbe dalla dimensione del

mercato interno statunitense, dalla diffusione della lingua inglese e dal maggior grado di divisione del lavoro e di specializzazione funzionale.

• Il vantaggio della distribuzione invece consisterebbe nel controllo di questa fase nei vari Paesi, costituendo così un ostacolo all’accesso al mercato da parte dei concorrenti locali.

• Il vantaggio fondato sui fattori esterni fa riferimento alla cosiddetta “egemonia culturale”, per cui il consumo di film sarebbe solo il riflesso della supremazia politica ed economica statunitense, oppure si riferisce all’“esposizione ripetuta” derivante dal consumo di altri prodotti culturali d’oltreoceano.

• Non vi è concordanza rispetto a queste conclusioni. • Tuttavia, al primo raggruppamento (quello del prodotto) è stato attribuito il maggiore

apporto esplicativo.

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Il vantaggio competitivo statunitense• In questo filone di analisi si inseriscono gli studi di strategia che, sulla base del

modello Resource- Based Theory, individuano i fattori critici di successo dell’industria americana in tre dimensioni:

1. Capitale umano (regista, attori, staff creativo)2. Capitale organizzativo (esperienza e know-how del produttore)3. Capitale relazionale (il network di professionisti all’interno della comunità)

(cfr. Boschetti 1999, Boccardelli 2008, Cattani e Ferriani 2009, Bassano 2008, Usai et al. 2001).

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I sussidi al cinema• Una seconda direttrice di studio, relativa ai i sussidi pubblici al cinema, si

inscrive in un contesto in cui il cinema europeo (e “non-statunitense” in generale) risulta fortemente assistito, sia per difendersi dalla dominazione di Hollywood che per promuovere i valori culturali europei.

• Le motivazioni economiche avanzate per giustificare gli aiuti statali sostengono che i film americani siano venduti sottocosto (dumping) nei Paesi europei e questi ultimi, potendo contare solo su di una ristretta dimensione geografica del mercato, non siano in grado di raggiungere economie di scala tali da ridurre i costi in misura sufficiente a consentire di praticare prezzi competitivi.

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I sussidi al cinema• Il tema dei sussidi è molto dibattuto ed è principalmente connesso all’ipotesi che, nel

caso del cinema, si sia in presenza di “fallimenti del mercato”, per cui l’intervento dello Stato si rende necessario per correggere le inefficienze insite nel meccanismo degli scambi, che non è sempre in grado di allocare le risorse in modo ottimale.

• Inoltre, sempre in riferimento ai sussidi, c’è spesso tensione fra l’obiettivo del miglioramento della qualità artistica e il successo al botteghino.

• L’arte per l’arte, secondo le voci più intransigenti, motiva i registi a fare lobbying sui governi per ottenere aiuti economici al fine di realizzare film che soddisfino loro e i loro pari (la loro comunità culturale di riferimento) e possibilmente anche i critici cinematografici, piuttosto che cercare il successo commerciale, il quale valorizzerebbe il sostegno ricevuto rendendolo però al tempo stesso superfluo.

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I sussidi al cinema• L’industria europea è diventata dipendente dai sussidi per sopravvivere e, si è

argomentato, ciò ha portato a un eccesso di offerta di film che sono certamente in grado di attrarre contributi pubblici ma non un numero di spettatori (forse anche per carenza di adeguate azioni di marketing) sufficiente a recuperare i costi.

• Il problema, per chi concede sussidi ai film, è come evitare l’“azzardo morale” e promuovere una produzione cinematografica praticabile anche in presenza di “asimmetrie informative”, dato che neanche a Hollywood il successo può essere previsto.

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