PRODUTTIVITA’ DEL LAVORO E CRESCITA: IL RUOLO DELLA ... ITALIANA/SLIDE E... · Economia & Lavoro,...

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Produttività del lavoro e crescita Il ruolo della distribuzione del reddito e del sistema contrattuale Fonti: 1)Tronti L., Produttività e distribuzione del reddito, in L’italia possibile, Ed. Brioschi, 2010. 2) Tronti L., (2008), Produttività del lavoro e crescita: Il ruolo della distribuzione del reddito e del sistema contrattuale 3) Tronti L. (2013), A mo’ di conclusione: riforma della contrattazione in tre punti. Economia & Lavoro, XLVII, n.3.

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Produttività del lavoro e crescita Il ruolo della distribuzione del

reddito e del sistema contrattuale

Fonti: 1)Tronti L., Produttività e distribuzione del reddito, in L’italia possibile, Ed. Brioschi, 2010. 2) Tronti L., (2008), Produttività del lavoro e crescita: Il ruolo della distribuzione del reddito e del sistema contrattuale 3) Tronti L. (2013), A mo’ di conclusione: riforma della contrattazione in tre punti. Economia & Lavoro, XLVII, n.3.

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QUOTA REDDITO LAVORO

• L’evoluzione della quota del reddito da lavoro può essere suddivisa in due sottoperiodi:

• A) per tutti gli anni Novanta subisce una caduta continua (62% nel 1990, 53% nel 2000)

• B) a partire da questa data oscilla intorno al 54%

• La quota del reddito da lavoro è identicamente uguale al rapporto tra la retribuzione del lavoro e la produttività del lavoro.

• Se tale rapporto è diminuito ne discende che la retribuzione del lavoro è cresciuta meno della produttività

Adjusted wage share as a % of GDP at factor

costs (ameco database)

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2010

Germany

West Germany

France

Italy

United Kingdom

• La questione del rapporto tra produttività, salari e distribuzione del reddito è una delle più controverse sia dal punto di vista teorico che della conseguente efficacia delle politiche economiche.

• La drastica diminuzione del salario registrata negli ultimi 30 anni in tutti i principali paesi industrializzati con la conseguente modifica della sua quota relativamente ai profitti viene spiegata dalla teoria “ortodossa” in questo modo:

• la dinamica dei salari dipende da quella della produttività del lavoro; se si vogliono aumentare i salari bisogna che cresca la produttività.

Il ruolo della produttività nella dinamica del salario: due possibili soluzioni

• Diverse possono essere le strade percorribili per stimolare la produttività. In questa sede ne vengono privilegiate due, in quanto attinenti alla riforma della contrattazione.

• La prima è quella del nesso tra salario e produttività documentato da diversi lavori di Sylos Labini (1984-2004), secondo cui lo stimolo salariale derivante dall’azione sindacale costituisce in una certa qual misura la leva vitale per l’adozione da parte delle imprese di innovazioni tecnologiche, in termini sia assoluti (attraverso una maggior efficienza dei luoghi di lavoro) sia relativi (sostituzione dinamica del lavoro con capitale, tramite cui prende corpo il progresso tecnico incorporato).

• La ragione di tutto ciò sta nel fatto che la crescita della produttività consente all’impresa stessa di preservare l’invarianza del costo per unità di prodotto, e di conseguenza la quota del profitto

• La seconda soluzione è quella che vede il nesso in termini opposti, vale a dire dalla produttività al salario, inteso quest’ultimo come riconoscimento del contributo apportato al processo produttivo dal lavoratore.

• Le due soluzioni non sono equivalenti in termini di efficienza ed efficacia degli stimoli.

Il quadro teorico di riferimento: il

modello di Sylos Labini • Analizziamo la prima visione partendo dal

modello di Sylos-Labini

tiInvestimen

1

lavoro Quota

..

Ricardo Effetto

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Smith Effetto

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Il modello di Sylos Labini 1. Effetto Smith 1.

• La funzione di produttività di Sylos Labini si basa su due forze economiche fondamentali.

• Effetto Smith • Effetto Ricardo.

• La prima (“effetto Smith”) è data dalla capacità della dimensione

del mercato di sostenere economicamente la divisione e la specializzazione del lavoro: processi che costituiscono la forma primaria dell’innovazione.

• L’aumento della capacità produttiva del lavoro dipende dalla divisione del lavoro, che a sua volta dipende dall’estensione del mercato: un mercato la cui estensione non si espande non mobilita risorse sufficienti a sostenere economicamente la specializzazione professionale che è alla base dell’innovazione endogena.

1. Effetto Smith.2

• Un mercato poco esteso non mobilita risorse sufficienti a sostenere una divisione fine del lavoro, e quindi la specializzazione professionale che è alla base dell’innovazione endogena.

• Questo approccio all’innovazione identifica il meccanismo economico fondamentale che consente rendimenti di scala crescenti e anticipa le successive teorizzazioni e le conferme empiriche di Verdoorn (1949) e Kaldor (1966, 1970)

1. Effetto Smith.3

• In termini altrettanto semplici, Sylos (2004) nota che le innovazioni si possono dividere in

• “grandi invenzioni” (degli scienziati), esogene rispetto ai processi produttivi in quanto sviluppate nei centri di ricerca,

• “piccole invenzioni” (di lavoratori e imprenditori) tecnologiche e organizzative, endogene in quanto derivanti direttamente dall’adattamento dell’impresa agli stimoli del sistema economico

Le piccole invenzioni sono endogene e più importanti delle prime per la crescita economica, in quanto quelle accadono più raramente, e spesso richiedono un rilevante adattamento dei sistemi produttivi e delle modalità di consumo; mentre le piccole invenzioni sono più frequenti e non richiedono grandi adattamenti, ma piccoli aggiustamenti continui, nei sistemi produttivi come nei consumi.

«Piccole invenzioni»

• I sistemi produttivi avanzati offrono a chi sa avvalersene, più di quelli tradizionali, la possibilità di utilizzare le “piccole innovazioni” per il miglioramento continuo di processi e prodotti. Ma, come per il passato, la sostenibilità economica della divisione del lavoro alla base di questi processi di innovazione incontra un limite nell’estensione del mercato.

• Il ruolo fondamentale delle “piccole invenzioni” nella crescita della produttività trova conferma nella teoria dell’impresa moderna (ad es. Roberts, 2004), che riconosce che qualunque processo produttivo, oltre al prodotto cui è finalizzato, genera congiuntamente, nel suo operare concreto, un complesso di informazioni e conoscenze sulla sua stessa funzionalità.

• Queste costituiscono una vera e propria risorsa economica aggiuntiva, ma possono essere raccolte e utilizzate solo da chi è direttamente implicato nello stesso processo produttivo.

• Con l’elevazione dei livelli di scolarità della manodopera e con la flessibilità senza precedenti dei sistemi produttivi basati in misura sostanziale sulle tecnologie informatiche e telematiche, questo aspetto ha assunto rilevanza strategica per l’innovazione e la competitività dell’impresa.

2. Effetto Ricardo.1

• La seconda forza trainante la crescita della produttività (“effetto Ricardo”) è quella dell’aumento del costo del lavoro, in rapporto sia a quello dei macchinari sia a quello del prodotto, come fattore endogeno di spinta all’introduzione da parte degli imprenditori di nuovi macchinari, tecnologie e forme di organizzazione.

• La produttività del lavoro cresce per effetto di un risparmio diretto del coefficiente di lavoro, a sua volta determinato da un aumento del prezzo relativo del lavoro, ossia da un aumento dei salari rispetto al prezzo delle macchine.

2. Effetto Ricardo.2

• Le retribuzioni reali debbono crescere, non solo perché esse sono il principale sostegno ai consumi delle famiglie, ma perché sono anche il fondamentale elemento di pungolo alle imprese sul terreno dell’innovazione tecnologica e organizzativa.

3. Il costo assoluto del lavoro.1

• Nella stessa direzione opera una terza variabile rilevante, il “costo assoluto del lavoro”, ovvero la differenza tra la crescita del costo del lavoro per unità di prodotto e quella dei prezzi del prodotto stesso.

• Questa variabile influenza più rapidamente della prima le decisioni di innovazione degli imprenditori:

• se il costo assoluto del lavoro aumenta, essi tenteranno di salvaguardare i propri guadagni riducendo l’occupazione o riorganizzando la produzione per rendere i lavoratori più produttivi.

3. Il costo assoluto del lavoro.2

Il costo del lavoro per unità di prodotto in termini nominali (clup; «unit labour cost», ulc, in inglese) è dato dal rapporto tra il costo del lavoro per unità di lavoro e la produttività del lavoro (clup=cl/π). • La variazione del costo assoluto del lavoro è data dalla differenza tra

la variazione del clup e quella dei prezzi del prodotto. • Se il clup cresce meno dei prezzi, il costo assoluto del lavoro si

riduce e le imprese hanno maggiori margini di guadagno, • Se, invece, il clup cresce più dei prezzi, il costo assoluto del lavoro

aumenta, gli imprenditori tenteranno di salvaguardare i propri guadagni riducendo l’occupazione o riorganizzando la produzione per rendere i lavoratori più produttivi.

Il costo assoluto del lavoro e quota del lavoro sul reddito.1

Possiamo notare che la quota del lavoro nel reddito corretta per gli indipendenti (Sc

L) può essere definita nel modo seguente (Tronti, 2006):

• dove Nd è l’occupazione dipendente, Ni quella

indipendente, w il tasso di salario, Y il prodotto, p i prezzi, N l’occupazione totale e ulc il costo del lavoro per unità di prodotto. L’equazione mostra che la quota del lavoro corretta può essere espressa anche come rapporto tra quest’ultimo indicatore e i prezzi.

Il costo assoluto del lavoro e quota del lavoro sul reddito.2

Quindi, riscrivendo l’equazione in termini di variazioni abbiamo:

• da cui, otteniamo che la variazione della quota del lavoro

corretta è identica alla variazione del costo assoluto del lavoro (labour absolute cost o lac). Possiamo quindi ricavare la condizione di stabilità:

• La legge di Bowley implica che la variazione del costo del lavoro per unità di prodotto sia pari a quella dei prezzi, ovvero che il costo assoluto del lavoro rimanga costante.

4. Crescita degli investimenti

• La quarta forza trainante considerata nella funzione di produttività di Sylos è il ruolo della crescita degli investimenti realizzati negli anni precedenti che, a differenza degli investimenti correnti, influenzano sia la capacità produttiva, sia la crescita della produttività del lavoro nel periodo corrente.

• Gli investimenti correnti, infatti, sono troppo recenti per causare effetti produttivi di rilievo e pertanto svolgono un ruolo economico soltanto dal lato della domanda, in termini di ampliamento del mercato dei beni capitali (“effetto Smith”)

• L’“effetto Smith” rivisitato: Shock esogeni e scambio tra lavoro e capitale

Export-led o wage-led? O nessuno dei due?

• Rispetto ai suoi concorrenti un sistema economico può essere orientato ad un modello di crescita wage-led, trainato in misura maggiore dal mercato interno, e presentare perciò salari e prezzi più elevati.

• Oppure può dimostrarsi orientato ad un modello di crescita export-led, trainato dai mercati esteri, e presentare pertanto salari e prezzi più contenuti.

• La scelta dell’una o dell’altra strategia di sviluppo può essere determinata tanto dalle condizioni strutturali (tra le quali è fondamentale la dipendenza dalle importazioni), quanto dalle opzioni di politica economica. Ma entrambi i modelli, se adeguati rispetto alle condizioni strutturali dell’economia, possono essere perfettamente funzionali allo sviluppo.

• Ben diverso è il caso di un’economia che presenti salari che crescono meno e prezzi che aumentano più dei concorrenti.

• Questa non può crescere perché inadeguata a perseguire sia un sentiero di crescita wage-led (a causa delle retribuzioni troppo deboli), sia uno di crescita export-led (a causa dei prezzi troppo elevati).

• Ma il blocco della crescita – particolarmente in un contesto come quello italiano, caratterizzato da un sostenuto aumento dell’occupazione – non può che comporta-re un rallentamento della produttività.

Shock esogeni su economie dell’area euro: nuove tecnologie, globalizzazione, moneta unica, crisi internazionale

Il modello Blanchard-Giavazzi (2003) consente di modellare gli effetti di una liberalizzazione (o ri-regolazione) congiunta e contemporanea dei mercati del prodotto e del lavoro.

i) la liberalizzazione del mercato del prodotto deve riuscire a ottenere un aumento della pressione concorrenziale tale da contenere i prezzi, stimolare l’innovazione e favorire la crescita della produttività.

ii) Contenimento dei prezzi, innovazione e produttività, a loro volta, consentono all’economia di mantenere la propria posizione competitiva, almeno nei confronti dei concorrenti tradizionali

iii) nel mercato del lavoro, le riforme devono moderare la crescita del costo del lavoro e dei salari. Ma la moderazione non deve essere portata al punto da diventare controproducente: il contemporaneo contenimento dei prezzi deve infatti assicurare comunque la crescita del potere d’acquisto delle retribuzioni e, per questa via, della domanda interna.

i) Solo l’equilibrio tra i due mercati assicura che l’economia, trainata dalla domanda estera (per il canale della moderazione dei prezzi) e da quella interna (per quello dell’aumento del potere d’acquisto dei salari), cresca stabilmente.

Interazione tra i due mercati ed “effetto Smith”

Elementi dello «scambio politico»: il capitale

• Si è liberalizzato e reso più competitivo il mercato dei beni e dei servizi, incluso il settore finanziario?

Dinamica delle rendite (superprofitti) nell’economia italiana

(quote percentuali sul valore aggiunto)

Competitività: rendite (superprofitti) a prezzi costanti e in rapporto al Pil

LIBERALIZZAZIONI INCOMPLETE MERCATO PRODOTTI

• Le rendite si accumulano nei servizi alle imprese e nei servizi sociali e personali, nella produzione di energia elettrica, gas e acqua, nel comparto agricolo (dove, non a caso, si va esaurendo l’esodo occupazionale iniziato negli anni ’30 del Novecento).

• Incrementi minori, ma comunque significativamente superiori alla media si registrano nell’estrazione di minerali non energetici e nelle attività di trasporto e comunicazione.

• All’opposto (non senza un legame con quanto appena osservato), significative cadute dei precedenti livelli di redditività interessano molte attività della manifattura (pelli e cuoio, carta, stampa ed editoria, fabbricazione di combustibili, macchine e apparecchi meccanici, mezzi di trasporto, altre industrie manifatturiere), le costruzioni, la pesca.

• Ma le cadute più gravi si concentrano in alcune delle più rilevanti attività manifatturiere esposte alla concorrenza internazionale – estrazione di minerali energetici, alimentari, bevande e tabacchi, prodotti della lavorazione di minerali non metalliferi, macchine elettriche ed elettroniche

• La vistosa e diseguale crescita delle rendite dopo il 1993 rivela che le politiche di privatizzazione delle imprese pubbliche non solo non hanno accresciuto la competitività dei settori protetti ma anzi, paradossalmente, l’hanno significativamente ridotta.

• Di conseguenza le attività manifatturiere, esposte alla concorrenza, sono state ancor più schiacciate tra l’incudine della competizione di prezzo sui mercati internazionali e il martello dell’aumento di prezzi e tariffe sul mercato interno.

Elementi dello «scambio politico»: il lavoro

• Si è liberalizzato e reso più conveniente il mercato del lavoro, incluso il pubblico impiego?

Sviluppo «export-led» e sviluppo «wage-led»

• Qual è stato il modello di sviluppo prevalente?

Esportazioni nette e consumi delle famiglie

In sintesi:

In Italia, si è messo in atto una significativa riforma del mercato del lavoro prima di avere adeguatamente riformato il mercato del prodotto e, quindi, senza un’adeguata pressione concorrenziale su prezzi e margini, le conseguenze sono senz’altro perverse:

• da un lato il declino della quota del lavoro nel reddito (impoverimento relativo delle famiglie)

• dall’altro prezzi elevati – con la duplice conseguenza negativa di una perdita di competitività internazionale (pur in presenza di profitti significativi) e di un rallentamento dei consumi interni.

RISULTATI

• un’incisiva riforma del modello contrattuale e delle forme di lavoro (protocollo del ’93, “pacchetto Treu”, legge “Biagi”) a fronte di una politica di privatizzazioni che non si sono coniugate con effettive liberalizzazioni, o con altre forme di regolazione del mercato del prodotto ha dunque prodotto un assetto del sistema economico strutturalmente squilibrato, il cui risultato in estrema sintesi è costituito da prezzi più alti (i prezzi all’esportazione presentano un differenziale anche maggiore rispetto ai paesi euro) e salari più bassi della media dei paesi concorrenti.

In estrema sintesi Effetto Smith Rivisitato

L’economia italiana presenta da molti anni: • Prezzi più alti e salari reali più bassi dei concorrenti dell’area

dell’euro. • Questa situazione deriva da un netto aumento delle rendite da

markup delle imprese, che attesta la perdita di competitività dell’economia.

In queste condizioni non si può crescere. • Contrazione domanda estera(perdita di competitività) e domanda

interna (eccessiva moderazione salariale)

• In mancanza di riforme «dal lato del capitale», che portino ad un ampliamento del mercato, all’interno come all’esportazione, la divisione del lavoro non può progredire, e la produttività non può crescere.

Il caso italiano

• L’ “effetto Ricardo” rivisitato:

• prezzo relativo del lavoro, costo assoluto del lavoro, distribuzione funzionale del reddito e investimenti

• Le cause della caduta del prezzo relativo del lavoro (effetto Ricardo) possono essere meglio comprese se le si colloca nella prospettiva dell’esperienza storica italiana di regolazione della dinamica salariale.

• A questo fine, è indispensabile assumere come punto di partenza gli esperimenti di politica dei redditi degli anni ’80, finalizzati al rientro di un tasso di inflazione che aveva superato i 20 punti percentuali l’anno, attraverso la fissazione concertata, tra governo e parti sociali, di un target di inflazione annuale.

In coerenza con il comune obiettivo:

• il Governo doveva determinare la manovra dei prezzi amministrati e delle tariffe,

• le imprese le politiche di prezzo di beni e servizi,

• i sindacati l’evoluzione degli scatti della cosiddetta “scala mobile” (il meccanismo di adeguamento automatico delle retribuzioni tabellari all’inflazione) e

• la banca centrale l’offerta di moneta.

Quattro capisaldi: La proposta di Tarantelli

1. L’ipotesi di politica dei prezzi concertata identifica, in primo luogo, la stabilità dei prezzi come un bene pubblico, non producibile da un unico agente ma frutto

• da un lato del comportamento cooperativo (e concertato) dei grandi attori dell’arena della relazioni industriali (governo e partner sociali) e della banca centrale,

• dall’altro, delle aspettative dei singoli agenti.

Quattro capisaldi: La proposta di Tarantelli

2. La proposta considera la stabilità delle quote distributive dei salari e dei profitti nel reddito (la cosiddetta “legge di Bowley”) come regola aurea della politica dei redditi perché, a parità di altre condizioni, è questa la condizione che assicura la massima crescita salariale (e, quindi, la massima crescita della domanda interna) compatibile con l’assenza di pressioni sul saggio di profitto e, quindi, sui prezzi interni.

• Si tratta di un punto cruciale. L’ipotesi comporta come corollario che i salari reali (di fatto) crescano nella stessa misura della produttività del lavoro: questo non per un implicito (quanto insostenibile) giudizio morale sul fatto che i lavoratori siano i “veri” autori della crescita della produttività, ma per evidenti considerazioni di carattere macroeconomico, legate alla crescita dell’economia e all’equilibrio nei consumi.

Quattro capisaldi: La proposta di Tarantelli

3. Il terzo aspetto, in cui si concentra forse il contributo più rilevante di Tarantelli all’analisi macroeconomica del rapporto tra salari e prezzi, è quello della cosiddetta politica salariale d’anticipo.

• L’unica possibilità di spezzare la spirale perversa prezzi-salari-prezzi consiste nell’interrompere la trasmissione al presente dell’inflazione passata (quale era assicurata all’epoca, in Italia, dall’istituto della “scala mobile” – e in molti altri paesi industriali da altri, consimili meccanismi di adeguamento automatico delle retribuzioni all’inflazione pregressa).

• La catena viene spezzata programmando in anticipo incrementi retributivi in linea con l’inflazione attesa, invece di recuperare nel periodo corrente il potere d’acquisto perduto in passato. Una clausola di salvaguardia pone in capo alle imprese l’onere di coprire ex post i salari da un eventuale scostamento tra inflazione attesa e inflazione effettiva.

Quattro capisaldi: La proposta di Tarantelli

• 4. Infine, la scelta di governare il movimento dei prezzi attraverso il raffreddamento della scala mobile e il suo allineamento con gli obiettivi di aumento delle retribuzioni di base concertati e coerenti con i comportamenti degli altri attori (governo, imprese e banca centrale), in un regime di reciproca sorveglianza e di fattiva collaborazione tra i partner sociali e il governo, viene proposta in alternativa alla ricetta monetarista di una violenta restrizione dell’offerta di moneta da parte della banca centrale perché paretianamente preferibile, in quanto priva delle conseguenze sociali negative (fallimenti, disoccupazione) che si accompagnano ad un arresto dell’attività economica dal lato monetario.

Inflazione e retribuzioni di fatto. Anni 1970-2007 (Tassi annui di variazione

percentuale)

• Il grafico mostra: • gli effetti esplosivi su prezzi e salari dei due shock

petroliferi del 1973-74 e del 1979-80 e • consente di apprezzare la fase di raffreddamento in cui

ebbero un ruolo rilevante gli esperimenti di politica dei prezzi concertata varati per iniziativa di Tarantelli negli anni 1983-84 e il successivo referendum abrogativo dei punti di scala mobile “congelati” a causa del decreto.

• Il referendum, preceduto dall’assassinio di Tarantelli, nonostante il clima di forte tensione sociale vide la netta affermazione della linea della predeterminazione.

• La distribuzione funzionale del reddito:

• La “regola di Bowley”

La regola di Bowley

A seguito degli studi sui redditi in Gran Bretagna (Bowley e Stamp, 1927), è associata al nome di Arthur Bowley l’ipotesi della costanza nel tempo della quota del lavoro nel reddito, principio divenuto in seguito noto come “legge o regola di Bowley”. • La distribuzione funzionale del reddito (tra quota del lavoro e quota del

capitale) viene ad occupare un ruolo preminente nella teoria economica con il contributo degli economisti post-keynesiani, che la considerano come dipendente dal tasso di crescita del prodotto.

• Nel breve periodo, un incremento del tasso di crescita dell’economia non viene compensato dalla dinamica salariale e comporta quindi uno spostamento della distribuzione a favore dei redditi da capitale. La contrattazione sindacale tende a riportare la distribuzione all’equilibrio precedente.

• Gli economisti post-keynesiani forniscono così un’interpretazione delle variazioni di breve periodo della distribuzione funzionale dei redditi, che si accompagna però con la previsione di una costanza delle quote di reddito nel lungo periodo (legge di Bowley).

Date le diverse propensioni al risparmio di lavoratori e imprenditori, la manovra della distribuzione funzionale del reddito potrebbe consentire di portare i risparmi ad eguagliare gli investimenti necessari per conseguire: • a)il pieno impiego • b)o il tasso di crescita del prodotto desiderato. • Di qui l’importanza fondamentale della politica dei redditi per la

crescita e l’occupazione. • Per Kaldor (1957) la stabilità nel tempo della distribuzione

funzionale del reddito è conseguenza della costanza del saggio di profitto e della coincidenza del tasso di crescita del rapporto capitale-lavoro con quello della produttività del lavoro.

• Queste condizioni, prescrittivamente, consentono un sentiero di balanced growth dell’economia.

Incentivo alla cooperazione e stimolo ai consumi

• Oltre ad essere uno dei pilastri della ‘crescita bilanciata’ à la Kaldor, la legge di Bowley:

• preserva l’incentivo chiave alla cooperazione tra i partner sociali finalizzata al miglioramento della produttività e alla crescita,

• e consente il massimo aumento dei consumi raggiungibile senza esercitare pressioni inflazionistiche sul saggio di profitto.

Regola aurea della politica dei redditi

La regola di Bowley può essere assunta come “regola aurea della politica dei redditi”, perché: • A parità di altre condizioni, assicura la massima crescita dei

salari (e della domanda interna) compatibile con l’assenza di pressioni sul saggio di profitto e, quindi, sui prezzi.

• Questa condizione comporta come corollario che le retribuzioni reali crescano nell’esatta misura della crescita della produttività del lavoro («regola d’oro» della politica salariale),

• Ciò non tanto per un’implicita identificazione dei lavoratori come unici autori della crescita della produttività, ma per gli effetti delle retribuzioni sui consumi e sulla crescita.

Salario, produttività e regola di Bowley

Legge di Bowley e «regola d’oro» dei salari

La slide precedente dimostra che la legge di Bowley si verifica soltanto se: • la crescita del salario reale eguaglia la variazione

della produttività del lavoro («regola d’oro»), • al netto della variazione dell’incidenza

dell’occupazione dipendente sul totale (che nel breve periodo può essere considerata pari a zero).

• Questa condizione vale tanto a livello macro, per l’intera economia, quanto a livello micro, per la singola impresa.

• Il modello contrattuale del Protocollo di luglio 1993

• Lo “scambio politico masochistico”

Il protocollo di luglio 1993

• La scala mobile venne abolita con l’accordo trilaterale di luglio 1992, in cambio del riconoscimento da parte del governo Amato della salvaguardia del potere d’acquisto delle retribuzioni come obiettivo fondamentale della politica economica e della promessa della predisposizione, a breve termine, di un nuovo meccanismo concertato di determinazione della dinamica salariale.

• Questo venne effettivamente varato l’anno successivo, sotto il governo Ciampi, attraverso il patto sociale sancito dal Protocollo di luglio 1993.

Il protocollo di luglio 1993 • Ricordiamo brevemente che il Protocollo prevede due livelli di

contrattazione salariale separati e non sovrapponibili. • Alla contrattazione nazionale di settore (primo livello), articolata in un

quadriennio normativo e due bienni economici, è demandato il compito di salvaguardare il potere d’acquisto delle retribuzioni di base. Gli incrementi dei minimi salariali contrattuali, fissati ogni due anni, devono essere coerenti con il tasso di inflazione programmata (politica salariale d’anticipo); in caso di scostamento tra questo e l’inflazione effettiva, è prevista la possibilità di un recupero nel secondo biennio economico (meccanismo di salvaguardia).

• Alla contrattazione decentrata (secondo livello), articolata su scala aziendale o territoriale, è affidato invece il ruolo di regolare con accordi quadriennali la crescita del potere d’acquisto delle retribuzioni sulla base dei risultati di produttività, redditività e qualità realizzati nell’impresa o nel territorio di applicazione dell’accordo.

• Manca qualunque riferimento alla stabilità delle quote distributive.

Il modello contrattuale in formule Introduciamo una semplice formalizzazione del modello contrattuale italiano. •Sia 𝑤 il tasso di variazione percentuale del salario medio, 𝑤1 (con il puntino sopra) il tasso di variazione percentuale del salario di primo livello (definito dai CCNL) e 𝑤2 (con il puntino sopra) il tasso di variazione percentuale del salario di secondo livello (definito dalla contrattazione aziendale o territoriale). Il tasso di variazione del salario complessivo sarà pari a:

• Dove 𝛼 è l’incidenza del primo livello contrattuale sul salario complessivo e (1- 𝛼) l’incidenza del secondo livello.

Ma la contrattazione di secondo livello non è mai decollata

Secondo l’indagine Invind della Banca d’Italia (D’Amuri e Giorgiantonio, 2013), la contrattazione decentrata copre oggi all’incirca il 21% delle imprese al di sopra dei 20 addetti nel settore privato dell’economia. • Queste imprese rappresentano oltre il 70% degli addetti nel settore

dell’industria in senso stretto e quasi il 60% nel comparto dei servizi non finanziari (sempre delle imprese sopra i 20 addetti).

• Restano quindi privi di contrattazione decentrata: • circa il 30% degli addetti dell’industria e più del 40% degli addetti

dei servizi nelle imprese sopra i 20 addetti (che occupano il 42% dei dipendenti dell’economia),

• e quasi tutti i dipendenti delle imprese sotto i 20 addetti (il 58% dei dipendenti dell’economia).

• La contrattazione decentrata, dunque, copre soltanto il 25-30% dei lavoratori dipendenti e lascia scoperto almeno il 70-75%, che non ha strumenti per aumentare il proprio potere d’acquisto.

Modello contrattuale, contrattazione decentrata e

regola di Bowley Ipotizzando che 𝑤 1=𝑝 , • ovvero che il salario di primo livello si muova esattamente con

l’inflazione, • Possiamo illustrare il rapporto tra modello contrattuale italiano e

regola di Bowley calcolando il tasso di crescita del salario di secondo livello che soddisfa l’invarianza della distribuzione funzionale del reddito:

• Nell’insieme dell’economia italiana, sulla base della differenza in valore assoluto tra retribuzioni complessive e retribuzioni di primo livello, si può calcolare che il fattore β* ha un valore medio molto elevato, vicino a 6,5 – un valore che conferma la scarsa diffusione della contrattazione di secondo livello.

Modello contrattuale e regola di Bowley - 2

Pertanto, il Protocollo di luglio ’93 affida la possibilità di rispettare la regola di Bowley a due condizioni:

1.che la contrattazione decentrata (aziendale o territoriale) sia diffusa a tutte le imprese, e quindi sia disponibile per tutti i dipendenti una voce retributiva flessibile, aggiuntiva rispetto alle voci stabilite dal contratto nazionale di categoria;

2.che il salario di secondo livello cresca in misura tale da eguagliare la dinamica della retribuzione di fatto reale (comprensiva di primo e secondo livello retributivo) alla variazione della produttività del lavoro.

Efficacia della contrattazione decentrata e regola di Bowley

Le due condizioni sono in generale poco probabili,

• in particolare nel sistema produttivo italiano, che è caratterizzato da un gran numero di imprese piccole e piccolissime, dove la contrattazione collettiva incontra notevoli difficoltà a svilupparsi.

Il modello contrattuale, dunque, tutela i profitti

I contratti nazionali di categoria non remunerano gli aumenti di produttività ma si limitano a prevenire la perdita di potere d’acquisto del salario fondamentale. • Gli incrementi di produttività vengono invece

remunerati quando derivano da specifici accordi siglati in sede decentrata, aziendale o (assai più di rado) territoriale, e solo se si registrano i risultati attesi.

• Questi vincoli creano di fatto una ‘clausola di salvaguardia dei profitti’ che nel tempo si è dimostrata insostenibile tanto quanto lo era, per i salari e vent’anni prima, la scala mobile con il punto unico di contingenza.

Da un eccesso all’altro

• Il modello negoziale italiano pone il costo del mancato aumento di produttività, in termini di corrispondente stagnazione del salario reale, in capo ai lavoratori e non alle imprese.

• Queste infatti, in assenza di pressione salariale, possono preservare i margini di profitto senza dover ricorrere a impegnativi recuperi di produttività.

• Gli imprenditori non affrontano costose riorganizzazioni alla leggera, non sfidano il futuro con massicci investimenti a meno che non abbiano forti motivi per farlo – tra i quali quello salariale (ivi incluso il ruolo del salario come elemento centrale della domanda di consumi) è uno dei più rilevanti.

• Effetti macroeconomici della rottura della «regola d’oro» della politica salariale

La rottura della «regola d’oro»

La mancata diffusione della contrattazione di secondo livello – che ancora esclude più del 70 per cento dei dipendenti delle imprese – ha causato per la larga maggioranza delle aziende il mancato rispetto della cosiddetta “regola d’oro dei salari”, che richiede che i salari reali crescano nella stessa misura della produttività del lavoro.

• Ma la violazione sistematica e prolungata della «regola d’oro» della politica salariale comporta pesanti effetti sui consumi e sulla crescita.

Effetto macroeconomico combinato atteso dei due livelli negoziali

Criticità del funzionamento del modello contrattuale del Protocollo ‘93

• In condizioni di «normale funzionamento dell’economia»,

• la produttività del lavoro cresce; • e il modello tende ad aumentare la quota dei

profitti (ovvero a comprimere la quota del lavoro) automaticamente, senza alcuna contropartita in termini di investimenti, occupazione, formazione, riorganizzazione ecc.

• Paradossalmente, questa tendenza implicita si può arrestare o riequilibrare solo con una caduta della produttività del lavoro.

Un rapporto inverso e anticiclico tra produttività e quota del lavoro

Nel modello contrattuale italiano, il combinato disposto:

• della rigidità verso il basso in termini reali del salario “fondamentale” definito dai contratti nazionali (primo livello)

• e della mancata diffusione della contrattazione integrativa (secondo livello)

• ha stabilito un rapporto inverso e anticiclico tra crescita della produttività e quota del lavoro nel reddito.

Il meccanismo perverso del modello contrattuale

Se la produttività cresce (come dovrebbe accadere sempre), la scarsa diffusione della contrattazione integrativa fa sì che i guadagni di produttività vadano ad aumentare la quota del capitale nel reddito.

• Se, viceversa la produttività si riduce (come non dovrebbe accadere mai), la rigidità verso il basso del salario reale fondamentale torna a far crescere la quota del lavoro.

• Effetti del modello contrattuale su consumi, investimenti, crescita, cooperazione per la produttività e la crescita

Produttività e quota del lavoro

Dagli anni ‘80 al 2008, come ricorda l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, con la crescita della produttività, la quota del lavoro nel reddito è caduta in Italia di 10 punti. • Con la crisi, in corrispondenza con la perdita di produttività, per gli

effetti descritti la quota ne ha riguadagnati 4. Ma la dinamica dei salari, come abbiamo appreso dal modello di Sylos Labini, influenza la produttività, e quindi la crescita: • attraverso l’effetto Smith (i consumi), • il prezzo relativo del lavoro (effetto Ricardo) • e il costo assoluto del lavoro (quota del lavoro). • E influenza anche, assieme alla crescita della domanda, la

propensione all’investimento. • La compressione della quota del lavoro ostacola la crescita.

Legge di Bowley e cooperazione per la crescita - 1

Il Protocollo ’93 ha quindi creato un meccanismo che viola la legge di Bowley, alterando automaticamente la stabilità delle quote distributive, • e istituisce un sistema di incentivi evidentemente

sfavorevole alla crescita economica: • Gli imprenditori trovano un equilibrio tra l’incentivo ad

occupare lavoro a basso costo (e bassa produttività) e quello ad accrescere la produttività per spostare automaticamente a loro favore la distribuzione del reddito;

• I lavoratori sono esposti all’azzardo morale di poter riequilibrare la distribuzione del reddito solo frenando la produttività.

Regola di Bowley e cooperazione per la crescita - 2

In altre parole, il sistema istituzionale di regolazione delle retribuzioni abbatte i consumi, la propensione all’investimento e l’incentivo per i partner sociali a cooperare per la crescita.

• E il sistema economico viene sospinto dalle convenienze dei partner sociali a imboccare un sentiero di stagnazione economica.

• È per questo che lo ‘scambio politico’ alla base del modello contrattuale italiano non può che definirsi, con le parole di Tarantelli, uno scambio masochistico: un gioco in cui alla fine perdono tutti.

Modello di Sylos e Protocollo del ’93 - 1

Il nostro esame del Protocollo ’93 e dei suoi effetti alla luce della funzione di produttività di Sylos mette in luce un netto contrasto logico tra i due: • Nel modello contrattuale è la crescita della produttività a determinare le

retribuzioni reali e quindi, attraverso l’efficacia del sistema della contrattazione locale, la distribuzione funzionale del reddito.

• Nel modello di Sylos, invece, sono le retribuzioni (come componente della domanda interna – effetto Smith) e due variabili retributive, il prezzo relativo del lavoro e il suo costo assoluto (che governa la distribuzione funzionale del reddito), a determinare con qualche ritardo temporale la crescita della produttività.

Dunque, il modello contrattuale italiano identifica il salario come una variabile eminentemente distributiva (e non come il motore principale dei consumi e, quindi, della domanda interna) • e pone la distribuzione come momento conseguente alla produzione: • la realizzazione degli incrementi di produttività precede l’aumento delle

retribuzioni reali, sotto il vincolo dell’efficacia della contrattazione decentrata.

Modello di Sylos e Protocollo del ’93 - 2

All’opposto, la funzione di produttività di Sylos attribuisce ai salari, al prezzo relativo e al costo assoluto del lavoro il ruolo di segnali forti, che dal lato della domanda, attraverso l’effetto Smith, sostengono la divisione del lavoro e l’innovazione, e da quello dell’offerta, attraverso l’effetto Ricardo, spingono gli imprenditori a modernizzare e a rendere più efficienti le imprese. • La contrapposizione è anche nel soggetto responsabile

dell’aumento della produttività: se il modello contrattuale indica implicitamente che l’aumento della produttività dipende in larga misura dall’effort dei lavoratori (anche se poi l’inefficacia della contrattazione di secondo livello limita, nel concreto, la capacità del sistema di premiarlo), • la funzione di Sylos pone invece in capo agli imprenditori il ruolo

chiave nello sviluppo del progresso tecnico.

Per crescere è necessario che il potere d’acquisto dei salari aumenti

Il raffronto tra l’entità delle risorse trasferite e i risultati dell’economia smentisce l’ipotesi di neutralità della distribuzione del reddito ai fini della crescita. • Il meccanismo perverso che ha garantito i profitti al di là dei

meriti di mercato nel lungo periodo ha minato, per la cospicua parte del sistema produttivo esclusa dalla contrattazione decentrata e dalla concorrenza internazionale, l’incentivo a investire per migliorare la qualità dei processi produttivi e dei prodotti.

• Il disincentivo ha influito tanto sulle scelte imprenditoriali, garantite sul lato dei profitti, quanto su quelle dei lavoratori, non remunerati in caso di performance produttive migliori.

Uscire dal tunnel.

Una proposta in tre passi

• 1. Riorganizzare i luoghi di lavoro • Contrattazione di linee guida di riorganizzazione dei luoghi

di lavoro (nuove tecnologie, organizzazione flessibile, rapporti di lavoro ad alta performance) per agevolare, dal lato dell’offerta, l’uscita dalla crisi delle imprese in condizioni più difficili,

• possibilmente nel quadro di una strategia di politica industriale e di politica economica promossa dal Governo e dall’Unione Europea

• che insista sulle indispensabili riforme strutturali ‘sul lato del capitale e dello Stato’ e non più ‘sul lato del lavoro’;

2. Programmare produttività e salari reali

Contrattazione di: • valori obiettivo di aumento della produttività

(produttività programmata), finalizzati a ridurre il divario di produttività tra l’Italia e i maggiori paesi partner nell’euro,

• e crescita salariale reale in linea con essi, indipendentemente dai risultati effettivi,

• Per creare un forte stimolo – dal lato della domanda – e responsabilizzare le imprese alla riorganizzazione in accordo con le Linee guida di cui al punto 1.

3. Contrattare la quota del lavoro nel valore aggiunto

Contrattazione esplicita di un valore obiettivo della quota del lavoro nel valore aggiunto (quota del lavoro programmata), a livello sia di impresa che di comparto, in relazione alla politica salariale di cui al punto 2, • anche attraverso l’estensione della contrattazione

decentrata, • da ottenersi con lo sviluppo della contrattazione

territoriale (v. la relazione della Commissione Giugni di revisione del Protocollo del ’93 e il Piano del Lavoro 2013 della Cgil), in modo da contemperare la necessaria ripresa del livello dei consumi con quella degli investimenti.