PRODUTTIVITA’ DEL LAVORO E CONTRATTAZIONE DI...
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Dipartimento di Economia e Management Corso di Laurea Magistrale in Management
PRODUTTIVITA’ DEL LAVORO E
CONTRATTAZIONE DI SECONDO LIVELLO
Relatore Laureanda Prof. GIORGIO BOLEGO ARIANNA DALLE MULE
162268
Anno Accademico 2013 - 2014
INDICE
Introduzione
CAPITOLO 1. Le definizioni di produttività 1
Premessa
1. Definizione di produttività 1
1.1 Produttività del lavoro
1.2 Le ambiguità nel concetto di produttività
1.3 Produttività totale dei fattori
1.4 Le componenti della produttività
2. Canali di crescita della produttività 11
2.1 L’impresa
2.2 Il settore produttivo
2.3 Il sistema economico
3. La crescita della produttività come obiettivo 15
3.1 Benessere e produttività
3.2 Produttività e competitività internazionale
CAPITOLO 2. Produttività nelle economie sviluppate 19
1. Analisi della situazione internazionale ed europea 19
1.1 Andamento della produttività del lavoro nell’Unione Europea
1.2 Rottura del legame tra dinamica salariale e produttività
2. Analisi della situazione italiana 30
2.1 Il confronto Italia – Europa
2.2 Il Pil pro capite in Italia
2.3 La dinamica del Pil pro capite e la sua scomposizione
2.4 Le cause del ristagno della produttività del lavoro
2.5 La produttività a livello aziendale delle imprese italiane
CAPITOLO 3. Legislazione nazionale in tema di produttività 47
Premessa
1. La contrattazione di secondo livello 48
1.1 L’accordo interconfederale del 23 luglio 1993
1.2 L’accordo quadro del 22 gennaio 2009
1.3 L’accordo interconfederale del 28 giugno 2011
1.4 L’art. 8 della Legge n.148/2011
1.5 L’accordo interconfederale del 21 novembre 2012
1.6 L’accordo interconfederale 24 aprile 2013
1.7 Considerazioni conclusive in tema di contrattazione
2. Gli sgravi contributivi e fiscali 83
2.1 La decontribuzione
2.2 La detassazione
CAPITOLO 4. La casistica negoziale in tema di produttività e detassazione 105
1. I numeri della contrattazione di secondo livello 105
2. Analisi di contratti aziendali e territoriali 112
2.1 Contratto integrativo aziendale Carrefour Italia 5 marzo 2013
2.2 Accordo aziendale Luxottica 14 ottobre 2011
2.3 Ipotesi di accordo su contrattazione provinciale di secondo livello – Unionmeccanica Vicenza
2.4 Contratto collettivo regionale per i lavoratori dipendenti delle aziende artigiane della Lombardia dell’area Chimica-Ceramica
CAPITOLO 5. Criticità della normativa attuale e proposte alternative 131
1. Limiti e criticità della normativa in tema di produttività 131
2. Proposte alternative in letteratura per aumentare la produttività 138
2.1 La proposta di Antonioli e Pini su contrattazione, dinamica salariale e produttività
2.2 La produttività programmata di Ciccarone e Messori
2.3 L’organizzazione del lavoro e le High Performance Workplace Practices
Conclusioni 157
Bibliografia 161
Introduzione
INTRODUZIONE
L’andamento dei livelli di produttività del lavoro è presente nell’elenco delle
problematiche da risolvere in Italia da moltissimi anni, ben prima dell’arrivo della
crisi economica che dal 2008 ha bloccato l’economia europea e mondiale.
L’aumento della produttività del lavoro è il fattore che permette alle aziende di
produrre di più a costi minori, senza dover però rinunciare alla qualità del
prodotto. E’ facilmente osservabile, quindi, come l’importanza dell’intervento
relativo alla produttività del lavoro sia estremamente elevata per poter migliorare
la struttura, la solidità, la competitività e l’organizzazione delle aziende italiane.
Nell’affrontare tale tematica nella parte iniziale del presente lavoro saranno
esaminate le definizioni di produttività e di produttività del lavoro, analizzandone
le differenze ed identificando gli elementi che caratterizzano l’una e l’altra. Sarà
poi necessario individuare i differenti canali attraverso cui è possibile intervenire
per il miglioramento della produttività, tra i quali se ne possono riconoscere
almeno tre: l’impresa, il settore produttivo ed il sistema economico nel suo
complesso.
Una volta chiarito cosa si intende per produttività del lavoro, quali sono i soggetti
che possono intervenire per il suo miglioramento e quali sono i fattori su cui
intervenire sarà possibile sviluppare una breve analisi dell’andamento della
produttività del lavoro a livello nazionale, europeo ed internazionale. Al riguardo,
occorre considerare che, secondo le rilevazioni statistiche, il caso italiano si
presenta come il più negativo tra quelli che verranno presi in considerazione, con
una produttività del lavoro ferma fino al 2008 (mentre quella di tutti gli altri Stati
era in crescita) e decrescente dal 2008 in poi, mentre gli altri Stati, sebbene non
abbiano migliorato i loro livelli di produttività, non li hanno nemmeno peggiorati.
Il principale obiettivo del presente elaborato è quello di analizzare come a livello
nazionale si interviene per migliorare la produttività del lavoro. Si ritiene che il
modo più efficace per condurre tale ricerca consiste nell’analizzare in che modo
Introduzione
questa è regolata ed incentivata. Nel sistema legislativo italiano è possibile
riconoscere due principali aree d’intervento utilizzate per influenzare la
produttività: la contrattazione di secondo livello e gli sgravi contributivi e fiscali di
somme derivanti dall’aumento della produttività in azienda.
Saranno quindi esaminati gli accordi quadro ed interconfederali siglati dalle parti
sociali dal 1993 ad oggi, al fine di mettere in luce come la materia di
contrattazione si sia modificata nel tempo e come siano cambiati gli obiettivi delle
parti contraenti. In un secondo momento saranno prese in esame le misure di
incentivo adottate dallo Stato con particolare riferimento agli strumenti di
detassazione e decontribuzione.
Per comprendere al meglio il modo in cui la disciplina nazionale e gli incentivi
sono applicati ed utilizzati dalle aziende verrà esaminato come e quanto lo
strumento della contrattazione di secondo livello è adottato sul territorio nazionale
e quali sono gli elementi contrattuali maggiormente inseriti in tali accordi
decentrati.
Per poter comprendere in modo più completo come gli strumenti promossi dalle
parti sociali e dal Governo per il miglioramento dei livelli di produttività sono stati
adottati dalle aziende verranno esaminati alcuni casi di contrattazione sia
aziendale sia territoriale cercando di evidenziare quali strumenti è possibile si
traducano in un reale aumento di produttività e quali invece difficilmente
contribuiranno alla crescita di questa variabile.
Disponendo di un quadro complessivo relativo alla disciplina che regola la
produttività e di come questa si traduce nelle realtà aziendali, saranno evidenziati
i limiti e le criticità appartenenti all’attuale normativa ed, in un secondo momento,
verranno presentate alcune soluzioni alternative alla disciplina attuale, presentate
in letteratura economica.
Nella presente ricerca risulterà di fondamentale importanza il confronto tra la
definizione di produttività del lavoro individuata in letteratura economica e gli
elementi verso i quali è stata rivolta l’attenzione delle parti sociali e dello Stato
nel regolare le modalità contrattuali e gli incentivi per perseguire l’obiettivo di
crescita della produttività.
Introduzione
Pur riconoscendo la complessità del tessuto economico italiano, il numero dei
fattori che possono influire sulla produttività del lavoro e come questi possono
mutare per differenti tipologie di aziende, il presente lavoro cercherà di
individuare le motivazioni per cui i diversi accordi interconfederali e gli sgravi
contributivi e fiscali concessi dallo Stato non hanno contribuito alla crescita della
produttività delle imprese italiane, portando invece ad una distribuzione poco
mirata e controllata di benefici fiscali e contributivi.
L’obiettivo conclusivo di questa ricerca sarà quello di individuare, grazie anche al
contributo delle nuove proposte presenti in letteratura, un sistema di
contrattazione di secondo livello e di incentivi che si adatti alla dimensione ridotta
delle imprese italiane ma che comunque persegua in modo concreto l’obiettivo
della crescita della produttività del lavoro.
Le definizioni di produttività
1
CAPITOLO 1
Le definizioni di produttività
Premessa – 1. Definizione di produttività – 1.1 Produttività del lavoro – 1.2 Le ambiguità nel concetto di produttività – 1.3 Produttività totale dei fattori – 1.4 Le componenti della produttività – 2. Canali di crescita della produttività – 2.1 L’impresa – 2.2 Il settore produttivo – 2.3 Il sistema economico – 3. La crescita della produttività come obiettivo – 3.1 Benessere e produttività – 3.2 Produttività e competitività internazionale.
Premessa.
Quando parliamo di produttività ci riferiamo alla capacità di un sistema di
crescere, di creare occupazione e sviluppo. Ecco perché nella letteratura
economica il tenore di vita di un Paese viene considerato ragione del livello di
produttività raggiunto, ovvero della quantità dei beni e servizi prodotti dagli
individui che in quel paese lavorano, in una determinata unità di tempo. Questa è
la ragione principale per cui si invoca la produttività ogni qual volta si chiede alle
forze produttive del nostro paese di conseguire un “patto” per la sua crescita e, in
generale per la competitività dello stesso sistema economico-produttivo.1
1. Definizione di produttività.
In senso statistico, la produttività è stata da sempre intesa come un
indicatore in grado di misurare la capacità produttiva di un’impresa, di un settore
produttivo, di una regione, di una nazione o di un’area sovranazionale, correlando
i fattori produttivi utilizzati nel processo produttivo con il risultato, ossia il
prodotto, di tale processo.
1 R. Sanna, Di cosa parliamo quando parliamo di produttività, 2012.
Le definizioni di produttività
2
Per tale ragione l’indice di produttività (p) viene generalmente considerato come il
rapporto esistente tra la quantità di prodotto derivante da un processo produttivo
(Y), (nelle statistiche ufficiali rappresentato dal valore della produzione di beni e
servizi, anche detto valore aggiunto, che in termini aggregati e nei confronti
internazionali, diventa il Pil) e la quantità (a, b, ecc.) di risorse impiegate (il
Capitale e il Lavoro, K e L) per la realizzazione di quel dato prodotto.
p = Y / (aK + bL)
In base a tale definizione si possono calcolare diverse misure di produttività.
Generalmente, la misura di output adottata è il valore aggiunto, che viene
utilizzata per stimare sia la produttività del lavoro sia la produttività totale dei
fattori.2
1.1 Produttività del lavoro.
La definizione statistica più appropriata di produttività del lavoro è il valore
aggiunto per ora lavorata o per addetto. Prendiamo due lavoratori in tutto e per
tutto simili, ma che operano in due imprese di comparti produttivi diversi. Il primo
lavoratore costa alla sua impresa 50 euro lordi all’ora. In quell’ora realizza un
prodotto che si vende a 100 euro. Il costo dei materiali supponiamo sia di 10
euro. Il valore aggiunto su quel prodotto è dunque di 90 euro che si riparte in 50
al lavoro e 40 al profitto. Il secondo lavoratore costa di più, 60 euro all’ora e in
quell’ora realizza un prodotto che vale 120 euro. Supponiamo sia ancora 10 euro il
costo dei materiali. Il valore aggiunto è di 110 euro, 60 in conto al lavoro e 50 ai
profitti. La produttività del secondo lavoratore è dunque più elevata.
Se il primo lavoratore volesse un aumento di salario il suo datore potrebbe
rispondergli di aumentare la sua produttività; ma egli avrebbe solo un modo per
farlo: lavorare più in fretta, e non in tutti i processi è possibile forzare dei tempi
che sono decisi dalla tecnologia che assiste il lavoro o a cui il lavoro assiste. Se il
lavoratore fosse informato potrebbe avanzare qualche obiezione, ad esempio
potrebbe rispondere che se chi governa l’impresa investisse in mezzi di
2 Da: www.istat.it/it/archivio/35919
Le definizioni di produttività
3
produzione più moderni egli potrebbe realizzare più di un prodotto per ora e la
sua produttività aumenterebbe.
Questo esempio fa capire come sia necessario approfondire il concetto di
produttività per farne emergere le diverse facce.3
Per conoscere le determinanti della produttività e della sua crescita, è necessario
indagare come si determina la produzione Y. Infatti, la produttività oraria misura
quanto un’ora di lavoro produce in media, e si ottiene quindi dividendo la
produzione (Y) per le ore di lavoro (L) applicate al processo produttivo.
Per produrre un bene o un servizio, nelle economie moderne l’impresa non si
serve solo di lavoro, ma anche di “beni capitali”, che assistono e completano il
lavoro attivato all’interno dell’impresa.
Queste relazioni in ambito economico sono state riassunte nella “funzione di
produzione”:
Y = A F (K, L)
In questa espressione, F sta a indicare la relazione esistente tra il prodotto (Y) e i
fattori, capitale (K) e lavoro (L), da cui esso deriva. Questa misura di produttività
consente di cogliere l’apporto dei fattori produttivi che concorrono alla
realizzazione dell’output. Tale misurazione è possibile nell’ambito della cosiddetta
contabilità della crescita, un approccio analitico che consente di scomporre la
dinamica dell’output nei contributi derivanti dai fattori produttivi primari (lavoro e
capitale) e da una componente non spiegata da quegli stessi fattori, definita
produttività totale dei fattori (PTF, parametro A).
La produzione cresce al crescere delle quantità impiegate di ciascuno dei fattori.
L’efficacia con cui i fattori operano nel processo produttivo dipende anche dallo
stato della tecnologia e di altri indicatori di natura tecnologica e qualitativa,
contenuti nel parametro A.
Dalla funzione di produzione, considerate e rispettate alcune ipotesi4, è possibile
ricavare una misura della produttività oraria e anche una prima serie di indicazioni
3 A. Birolo, La produttività: un concetto teorico e statistico ambiguo, 2010, pp. 47-48 4 Presenza di concorrenza perfetta e funzione di produzione con rendimenti di scala costanti.
Le definizioni di produttività
4
circa i mezzi che un’impresa, un settore industriale, o un sistema economico nel
suo complesso hanno a disposizione per farla aumentare.
Essendo la produttività del lavoro definita come il prodotto che si ottiene, in
media, da ciascuna ora di lavoro applicata alla produzione, dividendo il prodotto
totale (Y) ottenuto dal processo produttivo per il numero di unità di lavoro (L) che
sono necessarie a produrlo otteniamo la produttività oraria del lavoro (y).
In particolare, con una funzione della forma Y = A K (1-α) L α 5, si avrà la seguente
espressione per la produttività oraria:
y = A (k) (1-α)
dove y = (Y/L), k = (K/L), mentre il parametro (1-α) indica che il rapporto
capitale/lavoro deve essere ponderato con la quota del capitale sul reddito.
La produttività del lavoro è tra le definizioni di produttività quella più utilizzata.6
Questo avviene perché, oltre a rappresentare un indicatore di efficienza tecnica
meno ambiguo di altri, è elemento essenziale nella spiegazione della distribuzione
del reddito (valore aggiunto) tra i percettori di reddito da lavoro e gli altri redditi,
genericamente indicati come redditi da profitti in senso lato.
La produttività oraria del lavoro sarà tanto maggiore quanto maggiore sono:
1) l’intensità capitalistica del processo produttivo, ossia l’attrezzatura di capitale
messa a disposizione di ciascun lavoratore per assisterlo nel processo produttivo;
2) la Produttività Totale dei Fattori.
La produttività oraria del lavoro tende ad essere associata alla dimensione
d’impresa. Come osservato dall’Oecd 7 , “in molte industrie, specialmente nel
settore manifatturiero, e nella maggior parte dei paesi, maggiore è la dimensione
dell’impresa, maggiore è la produttività del lavoro. Ciò rifletterà in parte, senza
5 Funzione di produzione Cobb-Douglas. 6 Il lavoro è un fattore originario di produzione, come la terra. Tutti gli altri input derivano direttamente o indirettamente dal lavoro. Per questa ragione nello svolgersi della teoria economica al lavoro è stato assegnato un significato speciale, diverso dagli altri input. Non a casa il valore del lavoro, il reddito che a esso viene pagato, è parte del valore aggiunto, diversamente da tutti gli altri input. Come tale si pone in antagonismo statistico con la parte residuale del valore aggiunto, il profitto lordo. Nella contabilità neoclassica della crescita (Growth accounting) la crescita del prodotto è spiegata dalla crescita della produttività del lavoro, della produttività del capitale e da un residuo che Robert Solow chiamò “produttività totale dei fattori” (PTF). 7 Oecd, Compendium of Productivity Indicators, 2008.
Le definizioni di produttività
5
dubbio, i più alti livelli d’investimento in beni capitali nelle maggiori imprese, ma
potrebbe anche riflettere le maggiori economie di scala nelle imprese maggiori”.
La dimensione di impresa può, a parità di occupazione, favorire la crescita della
produttività attraverso l’investimento in beni capitali.
1.2 Le ambiguità nel concetto di produttività.
Il concetto di produttività è privo di ambiguità solo nel caso speciale in cui
il solo input lavoro, misurato in ore, è necessario per realizzare il prodotto. Se si
produce un servizio, in certe condizioni, il lavoro può essere l’unico input.
Nei casi più realistici in cui all’input lavoro si affiancano altri input materiali
(materie prime, semilavorati, componenti, attrezzature) la misura della
produttività scivola nell’ambiguità.
Nella storia del concetto di produttività svolge un ruolo importante il corn model8.
In questo modello prodotto e input materiale sono fatti della stessa materia, il
grano, e il calcolo del prodotto netto è la differenza tra due quantità di grano. Non
c’è pertanto necessità di conoscere il prezzo del grano, che è al contempo il
prezzo sia del prodotto che dell’input, perché il calcolo del prodotto netto è reso
immediatamente in termini fisici.
Ma se si adotta una rappresentazione del processo produttivo più realistica, con
l’ammissione di una pluralità di input si afferma l’ambiguità del concetto di
produttività. Più alto è il prezzo del prodotto e più bassi sono i prezzi degli input
maggiore è il valore del prodotto netto e viceversa. A parità di ore lavorate, di
tecnologia adottata, di grado di outsourcing, la produttività può risultare più o
meno elevata a seconda del sistema dei prezzi utilizzato nel misurare il prodotto
netto.
Il valore del prodotto netto non è dunque il risultato della pura tecnica produttiva;
assume un rilievo economico genuino perché nella sua definizione esercitano un
peso essenziale i prezzi e dietro essi l’insieme dei fattori che li determinano: la
distribuzione del reddito tra salariati e imprenditori, dei profitti tra produttori, la
capacità contrattuale di chi vende e di chi acquista, le caratteristiche dei mercati
8 Il modello “grano-grano” è introdotto da Sraffa nel 1951.
Le definizioni di produttività
6
dei prodotti finali e degli input intermedi. Un’impresa, ad esempio, può mostrare
un’alta produttività perché sa bene vendere il suo prodotto finale.
Lo schema teorico del corn model ci indica che la produttività del lavoro è un
concetto tecnico, un rapporto tra quantità fisiche che è privo di ambiguità
interpretative. Quando entrano in gioco i prezzi del prodotto e degli input, diversi
dal lavoro, per misurare il valore del prodotto netto passiamo a un concetto
economico di produttività.
La produttività presenta anche una dimensione sociale o socio-tecnica. Il
denominatore del rapporto è una quantità di lavoro misurata di solito in ore di
lavoro, un’unità di tempo sufficientemente piccola in modo da rendere minime le
influenze istituzionali. Sul piano empirico le ore lavorate sono considerate la
misura migliore per quantificare l’effettivo impiego di lavoro del processo di
produzione del reddito perché assorbono le fluttuazioni di breve periodo dell’input
di lavoro dovute sia a fattori economici che a fattori sociali.
Per la stima delle ore lavorate l’approccio dell’Istat9 è indiretto: si moltiplicano le
posizioni lavorative per il numero medio annuo di ore lavorate per posizione
lavorativa rilevato con indagini ad hoc.
Unità di lavoro e monte ore lavorate si discostano quando straordinari e assenze
per malattia presentano andamenti erratici. Sulla incertezza delle ore lavorate e,
di riflesso, sulle posizioni lavorative, hanno notevole influenza fenomeni come
l’ampiezza del lavoro nero e la dimensione della sotto-contabilizzazione delle
prestazioni lavorative straordinarie di lavoratori ufficiali.
La sottostima della quantità di lavoro può implicare anche una sottostima del
valore del prodotto e del valore aggiunto di impresa e di settore o altrimenti una
sovrastima della produttività di impresa e settoriale.
Si trova un’ulteriore pagina aperta sul denominatore. Il lavoro che vi compare è
convenzionalmente inteso come lavoro generico o omogeneo, in grado di svolgere
tutte le differenti mansioni richieste all’interno del processo produttivo. Nella
realtà industriale il lavoro è eterogeneo, infatti vi sono diverse tipologie di lavoro
svolto con diverse mansioni e diversi riconoscimenti salariali. La teoria economica,
con le diverse nozioni di “lavoro equivalente”, ha ricondotto ad omogeneità ciò
9 Istat, Misure di produttività, Statistiche Report Anni 1992-2012, 2013.
Le definizioni di produttività
7
che è diverso. Sul piano concreto la statistica economica assume come data la
composizione dei diversi tipi di lavoro all’interno dei processi produttivi e
immagina che ogni ora statistica lavorata sia la somma di tante frazioni di ora,
ciascuna per specifica tipologia di lavoro, la cui composizione riflette la struttura
occupazionale per mansioni osservata dell’impresa o del settore10.
1.3 Produttività totale dei fattori.
La produttività totale dei fattori è il risultato del progresso tecnico tenuto
artificialmente scorporato dal lavoro e dal capitale fisico che, di fatto, lo veicolano.
Si tratta di un indicatore sintetico in grado di cogliere meglio i fattori critici legati
all’utilizzo delle risorse naturali e all’accumulazione del capitale fisico e del capitale
umano, quindi le determinanti sostanziali del valore aggiunto e della produttività.
La PTF catturerebbe gli effetti non tangibili del miglioramento nella qualità o
nell’efficienza del lavoro e degli strumenti di produzione che quel lavoro utilizza.11
Questa impostazione è un’estensione della teoria neoclassica della distribuzione in
cui una funzione di produzione well-behaved consente la determinazione della
remunerazione (prezzo) di equilibrio di ciascun fattore, lavoro e capitale. Così si
vuole associare alle variazioni (qualitative o quantitative) di ciascuno dei diversi
fattori in gioco nella funzione di produzione il contributo all’aumento della
produttività totale. Trattandosi di variazioni potrebbe accadere che tutto il
contributo all’aumento del prodotto risulti imputabile al fattore capitale o al
progresso tecnico e nulla al lavoro; con ovvie conseguenze sulla distribuzione del
maggior reddito derivante dall’incremento della produttività.12
La PTF può essere considerata una misura del grado di sviluppo, di efficienza e
d’innovazione tecnologica e organizzativa nell’utilizzo degli input produttivi ed è
importante perché garantisce che il processo di crescita non si arresti. Si calcola
come rapporto tra un indice di output e un indice d’input, media ponderata degli
indici di lavoro e capitale. Ci sono diversi modi per svolgere tale calcolo. Secondo
10 A. Birolo, La produttività: un concetto teorico e statistico ambiguo, 2010, pp. 53-55 11 OECD, The Groningen Growth and Development Centre (www.rug.nl/feb/Onderzoek/Onderzoekscentra/GGDC/databases) 12 Il capitale, va ricordato, non è un fattore originario di produzione, ma un insieme di beni strumentali, prodotti da imprese, che nella loro interezza rappresentano la materialità della tecnica produttiva a cui il lavoro viene applicato.
Le definizioni di produttività
8
l’Istat la misura di volume degli input è costituita da un indice composito dei
servizi del capitale e del lavoro, ottenuto tramite una formula statistica
(Tornqvist13) che riconduce alla quota della remunerazione del fattore lavoro e del
fattore capitale sul valore aggiunto, permettendo di scomporre il tasso di crescita
dell’indice composito nel contributo dei singoli fattori produttivi, a sua volta
calcolato come prodotto tra il tasso di crescita di ciascun input e la media tra la
sua quota sul valore aggiunto del periodo corrente e quella del periodo
precedente.14
1.4 Le componenti della produttività.
Si ritiene molto importante andare ad analizzare quali sono le componenti
della produttività, sia questa produttività totale dei fattori oppure produttività del
lavoro. Tra queste, rientrano fattori relativi alle caratteristiche qualitative del
lavoro e del capitale, fattori di natura tecnologica e innovativa, di natura
istituzionale ed organizzativa.
Tra i fattori qualitativi, particolare importanza è presentata dai profili qualitativi
del lavoro. Sulla qualità del lavoro influiscono soprattutto il livello d’istruzione dei
lavoratori e il loro livello di formazione professionale. Lavori tecnici e stime
empiriche hanno dimostrato che il capitale umano costituisce uno dei fattori
principali che influenzano la produttività15. Lavoratori più istruiti e formati per una
specifica mansione sono più produttivi. Quindi si può affermare che la natura
qualitativa del lavoro detiene un’importanza fondamentale per fare crescere la
produttività16.
13 L’indice di Tornqvist è un numero indice utilizzato in statistica ed economia per misurare la variazione nei volumi o nei prezzi di determinati aggregati. Si tratta in particolare di una media geometrica ponderata degli indici dei prezzi (o delle quantità) dei singoli beni dell’aggregato, con pesi di ponderazione costituiti dalla media aritmetica delle quote di valore del bene sul valore totale dell’aggregato. La sua applicazione è particolarmente diffusa come indice di quantità di input di lavoro e capitale negli studi di analisi della produttività. 14 R. Sanna, Di cosa parliamo quando parliamo di produttività, 2012. 15 P. Romer, Endogenous Technical Change, in Journal of Political Economy, 1990, 98(5); R. E. Lucas, Making a Miracle, in Econometrica, 1993, vol. 61, n.2, pp. 251-272; G. M. Grossmann, E. Helpmann, Endogenous Innovation in the Theory of Growth, in The Journal of Economics Perspectives, 1994, vol 8, n.1, pp. 23-44 16 In alcuni studi, la necessità di individuare differenze qualitative nel lavoro ha giustificato l’uso della massa salariale anziché il numero di lavoratori o il numero di ore lavorate come dato utilizzato per la misurazione dell’input lavoro. L’idea è che il mercato dei salari rifletta i differenti contributi dei lavoratori alla produzione; imprese con lavoratori più produttivi avranno un maggiore salario
Le definizioni di produttività
9
Un altro fattore che permette la crescita della produttività sono le capacità
manageriali che presentano gli attori dirigenziali dell’azienda. Il management è un
input non misurabile nella maggior parte delle sue funzioni all’interno dell’impresa,
e spesso è incluso senza avere uno specifico peso nelle misurazioni della
produttività.
La qualità degli input capitalistici che l’impresa utilizza è fondamentale e
determina una buona parte della PTF. Oltre alla qualità del capitale fisico utilizzato
come input è necessario considerare anche quella del capitale intangibile. Questa
tipologia di input include un’ampia serie di elementi, come la reputazione
dell’azienda, il know-how, la fedeltà dei clienti. Nonostante la difficoltà nel
quantificare il capitale intangibile di un’azienda, il suo contributo per l’aumento
della produttività è indubbiamente importante.
Le innovazioni che migliorano la qualità del prodotto non necessariamente fanno
crescere la quantità di output prodotta per unità di input utilizzata, ma possono
far crescere il prezzo del prodotto venduto, e quindi il guadagno per l’azienda. In
questo modo l’innovazione di prodotto può far crescere la produttività17. Per
questo motivo fondamentali sono gli sforzi delle aziende diretti all’investimento in
Ricerca e Sviluppo.
Per comprendere come operano i fattori di natura tecnologica della PTF occorre
considerare che il maggiore o minore contributo alla produzione che i fattori
lavoro e capitale possono dare, dipende dallo stato della tecnologia adottata,
quindi dai frutti del progresso tecnico. E’ molto importante osservare che
nell’ultimo decennio il progresso tecnico ha preso la forma prevalente, anche se
non unica, dell’applicazione alla produzione delle così dette tecnologie
dell’informazione e della comunicazione (ICT). L’uso di qualsiasi tecnologica,
incluse le tecnologie ICT, comporta un costo. Il beneficio che si rileva
per impiegato. Seguendo questo approccio si incontrano problematiche di diversa natura: le differenze nei salari misurati su ampia scala possono riflettere differenze appartenenti alle realtà analizzate oppure, i produttori con buone performance potrebbero scegliere di condividere i guadagni con i loro lavoratori attraverso strumenti differenti rispetto al salario (Van Reenen 1996, Abowd, Francis Kramarz, David N. Margolis 1999). 17 D. Acemoglu, J. Linn, Market Size in Innovation: Theory and Evidence from the Pharmaceutical Industry, Quarterly Journal of Economics, 2004, 119(3), pp. 1049-1053
Le definizioni di produttività
10
dall’introduzione di una nuova tecnologia dipende dalla differenza tra l’incremento
di produttività e il costo dell’acquisizione18.
Ulteriore fattore che determina la Produttività Totale dei Fattori sono gli elementi
di natura istituzionale. Essi possono influenzare notevolmente l’efficacia del
processo produttivo e quindi anche la produttività del lavoro. Per esempio, è stata
trovata empiricamente una relazione positiva tra la produttività del lavoro e
legislazione protettiva dell’impiego19. Leggi e regolamentazioni severe, in tema di
disciplina di licenziamenti, aiutano a rendere il rapporto di lavoro tra datore di
lavoro e lavoratore più stabile, e incentivano entrambe le parti ad investire in
formazione e competenze specifiche. Viceversa, rapporti di lavoro meno stabili,
non aiutano la formazione di capitale umano, poiché entrambe la parti fin
dall’inizio, sanno che il loro sforzo nella direzione dell’investimento in competenze
specifiche, sarà vano al momento del termine del rapporto di lavoro20.
La stabilità e la continuità del rapporto di lavoro permettono di sfruttare i benefici
che derivano dal learnig-by-doing. Lavorando per un lungo periodo all’interno
della stessa azienda i lavoratori avranno una conoscenza sempre più approfondita
delle loro mansioni e di come poter gestire situazioni impreviste, tutto questo non
può far altro che aiutare l’aumento della produttività.
Nella determinazione della PTF hanno un peso anche cause di natura
organizzativa. Tra queste rientrano i progressi derivanti da un miglioramento delle
relazioni industriali, che inducono un miglior clima sul posto di lavoro e quindi un
possibile aumento della motivazione del lavoratore. Tra i fattori di natura
organizzativa è interessante segnalare l’introduzione, in alcuni paesi, di un nuovo
modello di impresa che si basa sulla riduzione dei livelli gerarchici, il lavoro di
squadra, la rotazione delle mansioni, il coinvolgimento dei lavoratori nei processi
18 C. Syverson, What Determines Productivity?, Journal of Economic Literature, 2011, 49(2), pp. 335-347. 19 L. Costabile, Riforme istituzionali ed esiti economici: l’evoluzione della “relazione d’impiego” ed il ruolo del capitale umano specifico nell’esperienza italiana (Nota di apertura), Eco. Pol., 2002, vol XIX, n. 3, pp. 349-361. I. Dew-Becker, R. J. Gordon, The Role of Labour Market Changes in the Slowdown of European Productivity Growth, in Nber Working Paper, 2008, n.13840. G. Ramey, J. Watson, Contrctual Fragility, Job Destruction and Business Cycles, in Quarterly Journal of Economics, 1997, vol .112, pp- 873-911. 20 http://keynesblog.com/2013702/19/la-flessibilità-non-fa-crescere-la-produttività.
Le definizioni di produttività
11
decisionali e cognitivi e il maggiore grado di autonomia di cui i lavoratori
godono21.
2. Canali di crescita della produttività.
In questa sezione verranno analizzati i tre diversi canali, l’impresa, il settore
produttivo ed il sistema economico, dove è possibile operare per fare crescere la
produttività e gli strumenti che i diversi attori hanno per perseguire questo
obiettivo.
2.1 L’impresa.
L’impresa può controllare in primo luogo l’intensità capitalistica del processo
produttivo, investendo nell’acquisto di beni capitali. L’investimento in beni capitali
è fondamentale per stimolare la produttività del lavoro, perché permette di
accrescere la dotazione di attrezzature che assistono ogni unità di lavoro applicata
alla produzione. Se aumenta l’investimento in macchinari e attrezzature crescerà
l’intensità capitalistica di una certa quantità di lavoro occupato. Per questo
motivo, se all’interno dell’impresa si decide di aumentare il livello di occupazione,
o allungare la giornata lavorativa, sarà necessario fare in modo che le attrezzature
di capitale dove viene svolto ed esercitato questo lavoro vengano aumentate per
fare in modo che il rapporto capitale/lavoro rimanga invariato. Se questo rapporto
non rimane costante, non solo la produttività non cresce, ma diminuisce.
Relativamente alla Produttività totale dei fattori, che come si è affermato
precedentemente, è la seconda variabile da cui dipende la produttività oraria del
lavoro, l’impresa può operare in diversi modi per promuoverne la crescita.
Uno dei principali canali consiste nell’investimento in Ricerca & Sviluppo, per
migliorare i processi produttivi, o per arrivare alla creazione di nuovi prodotti.
L’innovazione di prodotto è il tipo di innovazione più importante quando si parla di
produttività, sia che si tratti di imprese, sia che si considerino paesi nel loro
21 A. Cristini, A. Gay, S. Labory, R. Leoni, Flat Hierarchical Structure, Bundles of New York Practices and Firm Performance, in Riv. Ita. Econ., 2003, vol.8, n. 2, pp. 137-165.
Le definizioni di produttività
12
complesso22. Generalmente sono le imprese che hanno maggiori dimensioni o
quelle che operano in settori tecnologicamente avanzati che più di tutte investono
in attività di ricerca. Oltre ad impegnarsi direttamente nell’investimento in R&S,
l’impresa può avanzare tecnologicamente anche assorbendo nozioni di progresso
tecnico non proprio. Questo può avvenire carpendo informazioni sulle nuove
tecnologie da imprese fornitrici di input, oppure da imprese con cui si sviluppano
sinergie, come joint ventures. Questo è ciò che è accaduto con la diffusione
dell’uso di software. Questo prodotto è stato sviluppato dal settore informativo,
ma utilizzato, grazie all’acquisto del software stesso, da imprese operanti sia nel
settore industria sia nel settore servizi. Le tecnologie dell’informazione e della
comunicazione si sono diffuse proprio attraverso questi canali. Poiché la diffusione
del progresso tecnico incorporato avviene spesso tramite l’importazione di beni
strumentali dall’estero, un fattore che può influire sulla produttività del lavoro è il
grado di apertura internazionale dell’impresa.
Quanto esaminato fino ad ora permette di individuare per l’impresa, il ruolo
strategico dell’investimento ai fini dell’incremento della produttività del lavoro, e
questo può avvenire tramite diversi canali.
L’investimento in beni capitali agisce attraverso un canale diretto, facendo
crescere il rapporto capitale/lavoro, che fa crescere la produttività del lavoro.
L’investimento in beni capitali dà un contributo di natura diversa, ma ancora più
importante, se è indirizzato all’acquisto di beni dal alto contenuto tecnologico,
perché in questo caso esso consente all’impresa di assorbire il progresso tecnico
creato altrove.
Se l’investimento è direttamente concentrato sulla R&S, esso costituisce la
principale leva dell’innovazione e dell’introduzione diretta del progresso
tecnologico e, per via della PTF, un forte fattore di incremento della produttività
del lavoro.
22 European Commission, The Economic Cost of Non-Lisbon: a Survey of the Literature on the Economic Impact of Lisbon-type Reforms, in European Economy Occasional Paper, 2005, 16, Brussels.
Le definizioni di produttività
13
2.2 Il settore produttivo.
La specializzazione settoriale di un paese può essere importante ai fini della
produttività. Se consideriamo un paese specializzato in un settore con produzione
ad alta intensità tecnologica e lo confrontiamo con un paese la cui ampia fetta di
prodotto è composta da beni che richiedono una bassa specializzazione
tecnologica per esser prodotti, il primo paese realizzerà una maggiore produttività
del lavoro rispetto al secondo.
Alcune attività e alcune linee produttive all’interno di ogni settore richiedono
ingenti investimenti in capitale e ricerca, e presentano quindi alti livelli di
produttività. Questi sono sotto-settori ad alto valore aggiunto, che possono essere
presenti anche all’interno di più ampi settori considerati tradizionali. Poiché è
possibile trovare imprese innovative in tutti i diversi settori produttivi è difficile
delineare una gerarchia tra settori caratterizzati da una più alta o bassa
produttività. Alcuni settori, in determinati periodi di tempo, si presentano come
quelli in cui si concentrano le innovazioni, o in cui avvengono ondate di
investimento, caratterizzandoli, per quel periodo, come quelli a più alta
produttività (o più alto valore aggiunto per addetto)23.
La specializzazione settoriale, in conclusione, conta molto pur non essendo l’unico
fattore importante nello spiegare le differenze nei tassi di crescita delle
produttività del lavoro.
2.3 Il sistema economico.
Gli incrementi di produttività realizzati individualmente da ciascuna impresa
si sommano, dando così luogo a un risultato positivo per l’intero sistema
economico, che tanto più vedrà crescere la propria produttività quanto più
numerose sono le sue imprese che innovano e investono.
23 S. Ferrari, P. Guerrieri, F. Malerba, S. Mariotti, D. Palma (a cura di), L’Italia nella competizione tecnologica internazionale: secondo rapporto, 1999, Franco Angeli, Milano. L. Gallino, La scomparsa dell’Italia industriale, 2003, Einaudi, Torino. L. Costabile, Note su crescita e declino dell’economia italiana, in A. Giannola (a cura di), Riforme e mutamento strutturale in Italia. Mercato, impresa e istituzioni in un sistema dualistico, Carocci, pressonline, 2006, pp. 19-35.
Le definizioni di produttività
14
Accanto a questa semplice somma, possono crearsi effetti positivi cumulativi,
grazie all’esistenza di spillover tecnologici.24
In un sistema produttivo caratterizzato da un elevato numero di imprese che
investono e innovano, le conoscenze tecnologiche si diffondono anche alle altre
imprese, legate a quelle innovative da rapporti di vicinanza settoriale o da rapporti
di scambio. Questa diffusione innalza anche la produttività delle imprese non
innovative, mentre in un sistema in cui investimento e innovazione sono poco
presenti sarà difficile trovare la presenze di spillover.
In sintesi, l’attività innovativa, che cresce grazie agli investimenti in R&S, porta
vantaggi non solo alle imprese a cui appartiene, ma anche alle altre, e
all’economia nel suo complesso.
Esiste un altro circolo virtuoso messo in moto dalla crescita della produttività. La
teoria della crescita endogena ha mostrato che la crescita della produttività
stimola la crescita della produzione, e la crescita della produzione a sua volta
stimola la crescita della produttività, attraverso l’aumento dei redditi,
l’ampliamento del mercato, la conseguente possibilità per le imprese di espandere
la propria dimensione produttiva, le economie di scala così attivate, l’impegno
delle imprese a investire e innovare per cogliere i vantaggi dell’espansione dei
mercati, e così via.
Queste considerazioni, portano alla convinzione secondo la quale i governi
dovrebbero finanziare le spese in ricerca e sviluppo, sia direttamente, sia
attraverso sovvenzioni e/o esenzioni fiscali alle imprese che le sostengono.
Inoltre, poiché non solo la capacità innovativa, ma anche la mera capacità di
assorbire le innovazioni tecnologiche sviluppate fuori dai confini nazionali,
richiedono l’esistenza di un capitale di conoscenza flessibile e diffuso nella
popolazione, ne risulta la necessità di investimenti in istruzione.
24 Il processo attraverso cui le conoscenze prodotte in un’impresa, o in un settore produttivo, o in un sistema economico, vengono trasferite ad altre imprese, settori e paesi, viene definito “travaso” o “spillover tecnologico”, e rientra nella categoria di quelle che gli economisti chiamano esternalità. Un’esternalità è l’effetto prodotto da un’azione di un individuo sulla situazione di un altro agente (sul suo benessere, o sulla sua produzione).
Le definizioni di produttività
15
3. La crescita della produttività come obiettivo.
Perché è desiderabile la crescita della produttività? Principalmente per due
motivi:
1) perché la crescita del prodotto (e quindi del Pil per abitante) può equivalere ad
un aumento del benessere di una collettività di persone e dei suoi membri;
2) perché la crescita della produttività consente ad una nazione di aumentare il
proprio grado di competitività su scala internazionale senza che questo comporti
una diminuzione dei salari.25
3.1 Benessere e produttività.
Il benessere medio di cui godono gli abitanti di un paese si crede dipenda
dalla quantità di beni e servizi che ciascuno di essi può consumare. Se un paese
produce molto, i suoi abitanti potranno condividere un elevato quantitativo di beni
e servizi, viceversa, se questo produce poco, i suoi abitanti soffriranno di una
scarsità di beni disponibili.
La produzione totalmente realizzata in un sistema economico, comunemente
definita come Y, può essere misurata in termini di Prodotto Interno Lordo,
prodotto o reddito nazionale. Per fare in modo che il benessere della collettività
aumenti, bisogna aumentare la quota di prodotto per abitante, definita come
Y/pop (dove Y è il reddito e pop la popolazione).
Si possono muovere diverse obiezioni a questa misura del benessere medio.
In primo luogo, proprio perché è una media, il prodotto pro capite non tiene
conto del profilo distributivo. Dietro questa misura potrebbe nascondersi tanto
una distribuzione del reddito effettivamente ugualitaria, quanto invece una
distribuzione molto diseguale del Pil tra gli abitanti del paese. In secondo luogo,
questa misura non tiene conto della qualità dei prodotti. In terzo luogo, l’uso del
prodotto pro capite come misura di benessere è stato criticato perché non tiene
conto dei possibili costi ambientali della produzione, che possono risolversi in una
riduzione della disponibilità di beni utilizzabili dalle successive generazioni.
25 L. Costabile, Glossario dell’economista per il giuslavorista, in Riv. Giu. Lav. Prev. Soc., 2009, Volume 2.
Le definizioni di produttività
16
Gli approfondimenti compiuti da alcuni studiosi relativamente il collegamento tra
produttività e benessere di una nazione, sembrerebbero scoraggiare questa
relazione ed in particolar modo proprio per quelle nazioni che presentano un
livello elevato di reddito pro capite.
L’economista Richard Layard ha evidenziato, con uno studio effettuato nei primi
anni 2000, come per molte nazioni al crescere del livello dei redditi non cresca
affatto il livello di felicità dei cittadini.26
Nonostante l’elenco delle critiche potrebbe continuare nel corso di questo lavoro
utilizzeremo il prodotto pro capite come indicatore di benessere.
Un paese potrà permettersi di distribuire a ciascuno dei suoi abitanti un reddito
pro capite tanto maggiore quanto maggiore è la quota dei suoi abitanti che
contribuisce alla produzione e quanto maggiore è l’efficacia con cui ciascuno degli
occupati contribuisce alla produzione stessa. Quindi, l’attivazione del lavoro e la
sua produttività sono principali determinanti del benessere.
3.2 Produttività e competitività internazionale.
L’importanza specifica dell’indice di produttività di una nazione tende ad
evidenziarsi nell’ambito della teoria del commercio internazionale. Le differenze
nei livelli di produttività spiegano i flussi di scambi commerciali tra le diverse
nazioni27.
Detto questo, il secondo motivo per cui la crescita della produttività è auspicabile
è che essa influenza in maniera favorevole la competitività internazionale di un
paese, facendo diminuire il costo del lavoro per unità di prodotto.
Esistono diversi modi per ridurre il costo del lavoro per unità di prodotto, si può
ricorrere alla crescita della produttività, o alla riduzione dei salari, oppure a una
crescita dei salari minore della crescita della produttività.
26S. Palmieri, Cosa intendiamo quando parliamo di produttività?, 2005; R. Layard, Happiness: Has Social Sience a Clue?, Lionel Robbins Memorial Lecture 2002/2003, 2003; R. Layard, Happiness: Less from a New Sience. (trad. Italiana: Felicità – La Nuova Scienza del Benessere Comune, Rizzoli, 2005) 27 Sulla base della teoria dei costi comparati di David Ricardo.
Le definizioni di produttività
17
Un paese dovrebbe puntare ad essere competitivo riducendo i costi attraverso
l’aumento della produttività, non attraverso la compressione dei salari e dello
standard di vita del lavoro dipendente.
Per questo motivo, l’incremento della produttività è auspicabile perché consente
ad un paese di essere competitivo senza comprimere lo standard di vita dei
lavoratori dipendenti.
Produttività nelle economie sviluppate
19
CAPITOLO 2
Produttività nelle economie sviluppate
1. Analisi della situazione internazionale ed europea – 1.1 Andamento della produttività del lavoro nell’Unione Europea – 1.2 Rottura del legame tra dinamica salariale e produttività – 2. Analisi della situazione italiana – 2.1 Il confronto Italia-Europa – 2.2 Il Pil pro capite in Italia – 2.3 La dinamica del Pil pro capite e la sua scomposizione – 2.4 Le cause del ristagno della produttività del lavoro – 2.5 La produttività a livello aziendale delle imprese italiane.
1. Analisi della situazione internazionale ed europea.
Dai primi anni Novanta ad oggi la crescita dell’economia europea ha
registrato il più brusco e prolungato rallentamento dalla fine del secondo conflitto
mondiale. Negli ultimi quindici anni il segnale più vistoso di questa frenata è stato
il rallentamento del tasso di crescita della produttività del lavoro, in particolare in
economie come Germania, Francia e Italia.
Fino alla fine degli anni Ottanta, anche se in un contesto di generale
ridimensionamento della crescita, la produttività dei paesi europei è sempre stata
maggiore rispetto a quella degli Stati Uniti. Dalla metà degli anni Novanta è stata
registrata un’inattesa decelerazione, mentre negli Stati Uniti la produttività
cresceva a ritmi sostenuti28.
Per comprendere le motivazioni per cui il sistema economico europeo ha subìto
questo rallentamento nella crescita per arrivare poi negli ultimi anni fino ad una
situazione di stagnazione è giusto esaminare i fatti accaduti.
28 E. Saltari , G. Travaglini, Il rallentamento della produttività del lavoro e la crescita dell’occupazione. Il ruolo del progresso tecnologico e della flessibilità del lavoro., Riv. Ita. Econ., a. XIII, n.1, aprile 2008.
Produttività nelle economie sviluppate
20
Alcuni fenomeni cruciali sono avvenuti negli ultimi decenni nei paesi appartenenti
all’Unione Europea:
1. La crescita contenuta della produttività del lavoro;
2. La rottura del legame tra la dinamica della produttività e delle retribuzioni
reali.
1.1 Andamento della produttività del lavoro nell’Unione Europea.
Per comprendere il funzionamento della dinamica della produttività nel
tempo, è necessario analizzare brevemente quali possono essere gli scostamenti
dal trend rilevato da analisi empiriche e da cosa sono determinati questi
scostamenti.
Nel lungo periodo la produttività è determinata dalla tecnologia disponibile e dal
modo in cui le risorse sono organizzate all’interno del processo produttivo. La
qualità del capitale umano è significativamente rilevante all’interno del processo.
Infatti, come precedentemente specificato, la crescita del salario può avere un
forte impatto sulla formazione del capitale umano, creando l’incentivo per i
lavoratori a migliorare le proprie conoscenze e competenze.
Nel breve termine, possono essere osservate deviazioni cicliche dal trend della
produttività all’interno del periodo analizzato, determinato da un ritardo nella
reazione dell’azienda sul piano occupazionale a cambiamenti relativi a livelli di
produzione. In altre parole, durante un periodo di recessione, il prodotto decresce
più velocemente rispetto ai livelli occupazionali e alla produttività. Al contrario,
durante una ripresa, l’output crescerà più velocemente di quanto non cresceranno
l’occupazione e la produttività.
L’aggiustamento più lento del lavoro può essere causato dalle rigidità del
mercato, ad esempio la legislazione protettiva nei confronti dei lavoratori, o dalla
percezione di natura temporanea della recessione, o dal tentativo di limitare i
costi dovuta a licenziamenti ed assunzioni con un tentativo da parte dell’azienda
volto a cercare di mantenere la propria dimensione occupazionale stabile nel
tempo.
Oltre a questo, i datori di lavoro potrebbero pensare di usufruire di strumenti volti
alla flessibilità all’interno dei rapporti di lavoro (utilizzando degli straordinari o
Produttività nelle economie sviluppate
21
facendo godere ferie e permessi) prima di arrivare alla scelta di procedere a
licenziamenti o assunzioni.
Lungo l’asse temporale che va dal 2000 ad oggi, è possibile riconoscere due
periodi economici caratterizzati da differenze profonde nei tassi di crescita della
produttività.
Nel primo periodo analizzato, che va dal 2000 al 2007, di notevole impatto sono i
tassi di crescita registrati da Paesi di recente sviluppo, mentre il periodo che va
dal 2008 ad oggi, momento coincidente con lo scoppio della crisi economica
internazionale, è stato caratterizzato da una brusca frenata nei tassi di crescita e
dalla recessione in alcune economie29.
Relativamente all’Unione Europea nel suo complesso la produttività del lavoro è
cresciuta di 9,6 punti percentuali nel periodo che va dal 2000 al 2007, ma si
possono notare performance profondamente differenti tra i diversi stati membri.
La Romania (+74,2%) e le Repubbliche Baltiche (Estonia +48,9%, Lettonia
+52,4%, Lituania +57,7%) hanno registrato un forte crescita relativa alla
produttività nel periodo che va dal 2000 al 2007, e anche gli Stati membri che
hanno aderito all’EU nel 2004, tolto Cipro e Malta, hanno mostrato un’importante
crescita della produttività del lavoro, tutti vicini al 30-40%. Questi importanti tassi
di crescita in primo luogo riflettono il risultato di un importante percorso di
ricostruzione, tuttora in corso, delle strutture produttive inefficienti ereditate dal
passato e la risposta alle aspettative nei confronti di questi Paesi da parte degli
altri Stati membri nate dopo l’annessione all’Unione avvenuta nel 2004.
Negli stati membri dell’euro zona – ad esclusione di Slovenia (+ 26,6%) e
Slovacchia (41,5%) - la crescita della produttività è stata più tenue, con
solamente Irlanda (12,6%), Grecia (17,2%) e Finlandia (15,5%) che hanno
registrato tassi di crescita maggiori del 10% nel periodo 2000-2007. Altrettanto
appariscente è stato il basso tasso di crescita della produttività in Spagna (0,1%)
e il ribasso riscontrato in Italia (- 0,6%).
L’Unione Europea nel suo complesso ha registrato un tasso di crescita della
produttività decisamente ristretto, pari ad uno 0,6%, nel periodo 2008-2011. 29 European Commission, Emplyment and Social Developments in Europe 2012, European Commission, November, Luxembourg, Pubblications Office of the European Union, 2012.
Produttività nelle economie sviluppate
22
La maggior parte degli Stati membri dell’euro zona hanno registrato una perdita
nel tasso di crescita della produttività del lavoro durante il periodo 2008 – 2011,
con il Lussemburgo in testa alla lista con un tracollo di dieci punti percentuali,
seguito da Grecia (- 5,7%), Italia (- 2,8%) e Austria (-1,5%). Ciononostante,
importanti incrementi in termini di produttività del lavoro, soprattutto visto
l’andamento dell’Europa in generale, sono stati registrati in Irlanda (6,1%),
Spagna (8,4%) e Slovacchia (6,7%). Ad eccezione di Malta, gli Stati membri
entrati a far parte dell’Unione Europea nel 2004 o successivamente hanno
mostrato trend positivi nella crescita della produttività, con Bulgaria (12,3 %),
Lituania (9,0%) e Polonia (9,4%) che hanno mostrato tassi di crescita robusti e
continui. Danimarca (-1,3%) e il Regno Unito (- 2,3%) hanno visto decrescere il
loro livello di produttività, mentre la Svezia (2,3%) ha mostrato dei piccoli
miglioramenti in termini di crescita.
Nel 2012 l’abbassamento dei tassi di produttività del lavoro ha subìto
un’accelerazione in quasi tutti gli stati membri, ad eccezione di Spagna e
Repubbliche Baltiche dove i tassi di crescita della produttività sono rimasti
costanti30.
1.2 Rottura del legame tra dinamica salariale e produttività
Le dinamiche della produttività e delle retribuzioni reali31 si sono divaricate, con la
prima cresciuta più del doppio delle seconde.
Questi fenomeni si sono risolti in un cambiamento epocale della distribuzione del
reddito, con trasferimento dal lavoro al capitale: dal 1975 ad oggi la quota del
lavoro sul reddito nazionale è diminuita di circa dieci punti percentuali, dal 75% al
65%. La crescita corrispondente della quota del capitale ha favorito soprattutto i
settori finanziari dell’economia e la distribuzione dei dividendi ai possessori di
30 Eurostat, Statistical Database, European Commission, 2013, Brussels, (http://epp.eurostat.ec.europa.eu/portal/page/portal/statistics/themes) 31 Per salario reale si intende il potere d'acquisto del salario nominale, ossia la quantità di moneta che viene data al lavoratore dipendente, cioè la quantità di beni e servizi che il lavoratore può ottenere con esso. Di conseguenza, il salario reale è pari al salario nominale diviso per un indice dei prezzi (infatti, a parità di salario nominale, il salario reale sarà alto se i prezzi dei beni e dei servizi sono bassi, e viceversa).
Produttività nelle economie sviluppate
23
azioni32. Questo cambiamento ha interessato l’insieme delle economie sviluppate,
ed in particolare tre paesi: Stati Uniti, Germania e Giappone.
Per meglio comprendere la relazione che lega le variabili in esame, ci aiuteremo
con dei grafici che mostrano il loro andamento negli ultimi 15 anni.
La Figura 1 mostra i tassi di crescita media annuale in termini di output e in
termini di persone occupate nelle economie sviluppate negli anni prima della crisi
finanziaria (1999-2007) e dopo l’inizio della crisi (2008-oggi). La Figura 2 mostra il
tasso di crescita medio annuale dei salari e della produttività del lavoro come
misura di output per ogni soggetto occupato. Osservate congiuntamente, queste
due figure forniscono un’immagine precisa di come la crescita economica ha
influenzato la forza lavoro e come il mercato del lavoro è stato influenzato dalla
recessione di questi ultimi anni. Guardando al periodo venuto prima della crisi,
possiamo vedere che il livello di occupazione è cresciuto di un ammontare pari o
inferiore al PIL in quasi tutte le nazioni (infatti, solo Italia e Spagna stanno al di
sotto della bisettrice a 45° del grafico in figura 1a). Proprio perché l’output è
cresciuto più velocemente del livello di occupazione, la produttività del lavoro
(output per persona occupata) per definizione è aumentata.
Questa crescita della produttività del lavoro si è tradotta in una crescita dei salari
reali? La Figura 2 mostra che la maggior parte delle nazioni hanno registrato un
periodo di crescita sia relativamente alla produttività, sia relativamente ai salari.
In alcuni Stati, come in Danimarca, Francia, Finlandia, Regno Unito, Romania e
Repubblica Ceca, c’è stato un forte collegamento tra i salari e la crescita della
produttività. Ma si possono trovare anche molte nazioni dove le due variabili si
sono mosse in modo meno sincronizzato. La Figura 2a mostra che in Grecia e
Islanda i salari medi sono cresciuti in anticipo rispetto alla produttività del lavoro,
mentre in Spagna e in Italia la produttività del lavoro è calata ma i salari sono
diminuiti solo marginalmente (nel caso italiano) o per nulla (nel caso della Sagna).
In alcune delle più grandi economie tra le nazioni considerate, al contrario, la
crescita dei salari è stata trainata dalla crescita della produttività: questo si è
verificato negli Stati Uniti, in Giappone e specialmente in Germania, dove i salari
32 ILO, Global Wage Report 2012/2013, Wages and Equitable Growth, ILO, 2013, Ginevra.
Produttività nelle economie sviluppate
24
medi sono diminuiti nonostante una crescita positiva dei valori di produttività del
lavoro negli anni 1999-2007.
Come sono cambiate le variabili in esame nel periodo venuto dopo la crisi del
2008? E’ chiaro dalla Figura 1b che tutti gli Stati che hanno subito una
contrazione del prodotto nazionale dal 2008 ad oggi, hanno anche vissuto una
caduta dei livelli occupazionali che, nelle migliori delle ipotesi, sono rimasti statici
(con l’eccezione del Lussemburgo, dove l’occupazione è cresciuta). Al contrario, la
gran parte delle economie che hanno registrato una crescita del Pil positiva
durante la crisi hanno avuto successo anche nell’espansione occupazionale. E’
tuttavia interessante il fatto che durante gli anni della crisi, l’occupazione ha
sofferto di più rispetto all’output in molte nazioni, incluse Spagna, Irlanda,
Portogallo e Bulgaria. Negli Stati Uniti, il livello occupazionale è diminuito
nonostante la lenta ma positiva crescita economica.
Di conseguenza, è chiaro dalle Figure 2b e 2d, che molte nazioni hanno registrato
tassi di crescita positivi della produttività del lavoro dopo il 2008, nonostante la
crisi (come mostrato dal fatto che molti degli Stati si trovano nella parte destra
dell’asse verticale in queste sezioni di figura). Molte di queste nazioni hanno
anche visto incrementi moderati nei salari medi, inclusa la Germania, che sembra
aver cambiato corso di azione, permettendo la crescita dei salari in eccesso
rispetto alla produttività del lavoro dopo anni di moderazione e controllo salariale.
Una delle eccezioni è il Regno Unito, dove nonostante il guadagno in termini di
produttività la media reale dei salari è scesa nettamente sotto l’influenza della
forte inflazione. In alcuni Stati i salari sono diminuiti in modo considerevole, molto
più di quanto non sia diminuita la produttività del lavoro: tra questi troviamo la
Grecia ed alcuni nuovi entrati nell’Unione Europea. In Grecia, dove i salari sono
cresciuti più della produttività del lavoro prima della crisi, il salario medio è stato
spinto verso il basso da programmi di austerità ed ha registrato una caduta di
quasi 15 punti percentuali solo tra il 2010 e il 2011. Complessivamente, una
comparazione tra le Figure 1 e 2 permette di notare un trade off tra moderazione
salariale e crescita occupazionale durante il periodo di crisi.
Produttività nelle economie sviluppate
25
Una contrazione del reddito derivante dal lavoro dipendente è quasi sempre
legata ad un’altra regolarità empirica, ossia la crescente discrepanza tra i tassi di
crescita di salari medi e produttività del lavoro.
Tra il 1999 e il 2011 la produttività del lavoro media nelle economie sviluppate è
aumentata il doppio dei salari medi.
Una pubblicazione del US Bureau of Labour Statistics33, per esempio, mostra che
la discrepanza tra la crescita della produttività oraria e della retribuzione oraria ha
contribuito alla diminuzione del reddito nazionale proveniente dal lavoro negli
Stati Uniti34. Negli Stati Uniti, la produttività del lavoro oraria effettiva nei settori
industriale e dei servizi è cresciuto dell’85% dal 1980, mentre il corrispettivo
orario è cresciuto solamente del 35%.
Un altro esempio è la Germania, dove la produttività del lavoro è aumentata di
quasi un quarto (22,6%) negli ultimi due decenni mentre il salario mensile è
rimasto stabile nello stesso periodo, inoltre tra il 2003 e il 2011 il livello salariale è
sceso al di sotto di quello presente a metà degli anni ’90.
La caduta dei salari mensili è in parte riconducibile ad una netta riduzione del
tempo lavoro mensile, da 122,7 ore nel 1991 a 110,7 nel 2011, così come al
numero dei lavoratori con contratto di lavoro part-time o forme di lavoro atipico.
In ogni caso, è presente una discrepanza tra la produttività oraria e il salario
orario. Nel 2011, la retribuzione oraria era di poco superiore (0,4%) rispetto al
livello del 2000, mentre la produttività oraria è cresciuta del 12,8% nello stesso
periodo.
Il trend globale ha portato ad un cambiamento nella distribuzione del reddito
nazionale, con una diminuzione della quota dei lavoratori mentre il reddito da
capitale è cresciuto nella maggior parte degli Stati.
La caduta dei redditi provenienti dal lavoro è riconducibile al progresso
tecnologico, alla globalizzazione del commercio, all’espansione dei mercati
finanziari e alla forza decrescente del sindacato, che ha eroso il potere di
contrattazione dei lavoratori. La globalizzazione a livello finanziario, in modo 33 United States Department of Labor, Bureau of Labor Statistics (BLS). “International comparisons of hourly compensation costs in manufacturing, 2010”, news release. Disponibile online: http://www.bls.gov/news.release/pdf/ichcc.pdf [17 Sep. 2012]. 34 Fleck S.; Glaser, J.; Sprague, S., “The compensation-productivity gap: A visual essay”, in Monthly Labor Review, US Bureau of Labor Statistics, Washington, DC, 2011, pp. 57–69.
Produttività nelle economie sviluppate
26
particolare, può aver svolto una funzione più importante di quello che si sarebbe
potuto pensare anticipatamente.
Poiché alcune delle più grandi economie, tra cui Stati Uniti, Germania e Giappone,
hanno visto i tassi di crescita dei salari stare indietro rispetto a tassi di crescita
della produttività, il report sopracitato dell’ILO ha stimato che nelle economie
sviluppate la produttività del lavoro nel suo complesso ha superato la crescita dei
salari reali medi. In base ai dati relativi ai salari di 36 nazioni, è stato stimato che
dal 1999 la produttività media del lavoro è aumentata più del doppio rispetto ai
livelli salariali, come possibile osservare in Figura 3.
Produttività nelle economie sviluppate
27
Figura 1. Crescita di prodotto e occupazionale nelle economie sviluppate, 1999-2007 e 2008-2013 (%)
a. 1999-2007
b. 2008-2013
Fonte. ILO Global Wages Database; ILO Trends Econometric Model, Marzo 2012.
Produttività nelle economie sviluppate
28
Figura 2. Crescita dei salari reali e della produttività del lavoro nelle economie sviluppate, 1999-2007 e 2008-2013 (%)
a. 1999-2007
b. 2008-2013
Produttività nelle economie sviluppate
29
c. 1999-2007
d. 2008-2013
Note. Le parti in alto (a-c) e in basso (b-d) delle coppie di grafici di riferiscono a dati relativi ad economie sviluppate. Sono state separate solo per facilitarne la lettura. Fonte. ILO Global Wages Database; ILO Trends Econometric Model, Marzo 2012.
Produttività nelle economie sviluppate
30
Figura 3. Trend di crescita di salari medi e produttività del lavoro nelle economie sviluppate (Indice 1999 =100)
2. Analisi della situazione italiana.
Dopo un breve inquadramento della situazione internazionale ed europea
relativamente alla produttività, è necessario venire ad un esame della situazione
italiana, anche nel confronto internazionale, che permetterà di mettere a fuoco
alcuni dei principali problemi, rispetto alle tematiche principalmente sviluppate nel
Capitolo 1.
Il confronto avverrà rispetto ad economie a cui appartengono sistemi economici
relativamente sviluppati. Dopo la prima fase di confronto la posizione dell’Italia
verrà analizzata con riferimento a:
• il livello del Pil pro capite realizzato nell’ultimo anno di riferimento;
• la dinamica del Pil pro capite realizzata a partire dalla metà degli anni
novanta, e scomponendo all’interno del periodo i due sotto-periodi
corrispondenti rispettivamente alla seconda metà degli anni novanta e al
primo quindicennio degli anni duemila;
Note. Dal momento che gli indici si riferiscono a una media pesata, il livello di sviluppo raggiunto nelle maggiori economie sviluppate (Stati Uniti, Germania e Giappone) ha un particolare impatto sul risultato. La produttività del lavoro è misurata come prodotto per lavoratore. Fonte. ILO Global Wages Database; ILO Trends Econometric Model, Marzo 2012.
Produttività nelle economie sviluppate
31
• la scomposizione del fenomeno della dinamica del Pil pro capite tra le sue
due cause: la produttività (a sua volta determinata dall’intensità
capitalistica del processo produttivo dalla Produttività totale dei fattori) e
l’attivazione del lavoro.
2.1 Il confronto Italia-Europa
L’Italia presenta una collocazione speciale all’interno della situazione europea.
Infatti, sia prima sia dopo il 2008 si ha una crescita della produttività e dei salari
negativa. Solo la Spagna nel periodo pre-crisi ha un comportamento analogo, e
dopo la crisi solo Grecia e Islanda. I due paesi europei, maggiormente colpiti dalla
crisi finanziaria, hanno performance salariali e di produttività più negative di
quelle italiane.
Esaminando il rapporto della Commissione Europea del 2012 è possibile realizzare
un focus sul confronto tra Germania ed Italia.
Si riscontra per l’Italia un tasso di crescita negativo della produttività del lavoro
pari a -0,6% negli anni 2001-2007, che è fase positiva del ciclo economico a
livello internazionale e per i Paesi dell’Unione. Nel quinquennio di crisi 2008-2012,
in Italia la produttività del lavoro diminuisce del 2,8% (-3,4% nell’intero periodo).
Negli stessi due periodi i salari reali mostrano una crescita di +1,9% ed un
andamento negativo pari a -3,1% (-1,2% nell’intero periodo). Ma il tasso di
crescita negativo del salario reale è peculiare della Germania (-3,1% sull’intero
periodo 2001-2011, -4,5% sino al 2007 e +1,5% dal 2008), unico altro paese con
segno meno insieme alla Grecia. Nel caso tedesco, però, il tasso di crescita della
produttività è stato pari a +8,9% negli anni 2001-2007 e quasi nullo (-0,3%)
durante la crisi35.
Per il caso tedesco emerge dunque un fenomeno che la Germania condivide, anzi
esaspera, con l’insieme dei paesi sviluppati: la rottura del legame tra la dinamica
della produttività e delle retribuzioni reali. Mentre per la Germania ciò è avvenuto
35 European Commission, Employment and Social Developments in Europe 2012, European Commission, November, Luxembourg , Publications Office of the European Union, 2012, pp 300-310.
Produttività nelle economie sviluppate
32
con una crescita della produttività, in Italia, tale rottura è stata accompagnata da
un suo fenomeno peculiare: la crescita pressoché nulla della produttività36.
2.2 Il Pil pro capite in Italia
Ricordando quanto si è detto nel paragrafo 3.1 del primo Capitolo a proposito del
benessere dei cittadini di un paese, è giusto chiedersi come si colloca lo standard
di vita medio italiano nel contesto internazionale.
La prima colonna della Tabella 1, consente di vedere che in Italia il Pil per
abitante è pari al 63% di quello degli Stati Uniti (il cui Pil per abitante è posto pari
a 100, essendo gli Usa presi come paese di riferimento nei confronti
internazionali). Il divario di Pil pro capite dell’Italia rispetto agli Usa è pari quindi
al 36% mentre esso è pari al 29% per la media dei paesi Oecd. Questo risultato
non è entusiasmante, soprattutto se rapportato a quello delle economie centro e
nord-europee (si va da una Norvegia - +23% - che ha addirittura superato gli Usa
in termini di questo indicatore, a un divario negativo della Francia pari al 30%).
Per trovare il giusto contesto alla situazione italiana nel confronto internazionale,
è doveroso ricorda che l’Italia, come le altre grandi potenze europee, aveva
registrato nei decenni successivi alla seconda guerra mondiale una fase di forte
crescita del Pil per abitante, il che equivale a un forte incremento nello standard
di vita dei suoi abitanti e consentì di inserire l’Italia tra i paesi ricchi. In un
secondo momento, a ondate successive, alcuni tra i paesi meno sviluppati, in
Europa e nel mondo, hanno superato i paesi ricchi in termini di tassi di crescita,
avvicinandosi così ai primi (quando non li hanno superati) in termini di livelli di Pil
pro capite e quindi di standard di vita. Questo non deve meravigliare: il fatto che,
quando un paese povero imbocca la strada della crescita, esso tenda a crescere a
tassi molto elevati è una regolarità empirica più volte verificata, e ricollegata in
letteratura al termine catching-up.
E’ possibile sostenere che, ciò che fa si che l’Italia, nel contesto attuale,
nonostante la rincorsa di numerosi paesi negli ultimi decenni, si collochi ancora su
posizioni di relativo, se pur non entusiasmante, benessere (quasi nella media
36 Antonioli D., Pini P., Contrattazione, dinamica salariale e produttività: ripensare agli obiettivi ed i metodi, Università di Ferrara, Dipartimento di Economia e Management, aprile 2013.
Produttività nelle economie sviluppate
33
Oecd, seppur sotto di essa), è l’eredità degli anni della forte crescita (gli anni
cinquanta e sessanta), e dei decenni successivi. Viceversa, il contributo degli
ultimi anni all’incremento del tenore di vita è stato deludente.
Prima di passare a trattare di questi andamenti dinamici dell’ultimo periodo, è
necessario fermarsi ancora sulla Tabella 1, per sfruttare le informazioni che essa
ci offre nella seconda e nella terza colonna. Qui è possibile vedere che il divario
tra la produttività oraria italiana e quella realizzata negli Usa è pari al 27%, quindi
il divario per l’Italia dagli Stati Uniti è minore per la produttività di quanto non lo
sia per il reddito pro capite. L’Italia pur producendo in media, in un’ora di lavoro,
il 72% di quanto si produce negli Usa, non riesce a realizzare un corrispondente
livello di benessere medio per abitante. Infatti, il Pil pro capite italiano è pari solo
al 63% di quello Usa. La ragione di questo si ricava facilmente da quanto già
analizzato relativamente ai fattori che compongono il benessere: la attivazione del
lavoro e la produttività del lavoro stesso. Prendendo in esame l’attivazione del
lavoro, è possibile osservare che questa registra un divario rispetto agli Usa pari al
9%. E’ un fatto noto che in Italia il tasso di occupazione sia molto basso,
nonostante la sua crescita soprattutto nella seconda metà degli anni novanta: nel
2013, in Italia solo il 55,6% di tutte le persone in età da lavoro (15-64) era
occupato, contro un tasso di occupazione pari al 67,4% negli Stati Uniti e al
63,5% nell’Europa a 15.
Dunque, il divario nello standard di vita italiano va ripartito su due cause: il divario
di produttività (che è pari al – 27% rispetto agli Usa) e la minore capacità di
creare occupazione dell’economia italiana (il divario è pari al – 9%).
Produttività nelle economie sviluppate
34
Tabella 1. Livelli di Prodotto Interno Lordo e produttività, 2013. Differenze in punti percentuali rispetto agli Stati Uniti.
Gap in GDP per capita
with respect to the USA Gap in labour utilisation with respect to the USA
Gap in GDP per hour worked with respect to
the USA
Australia -16,49 2,298 -18,366 Austria -16,776 1,12 -17,698 Belgium -23,39 -19,367 -4,989 Canada -18,515 9,984 -25,912
Czech Republic -48,443 8,337 -52,41 Denmark -19,413 -12,525 -7,874 Finland -27,929 -4,358 -24,645 France -30,166 -24,07 -8,029
Germany -19,841 -11,303 -9,626 Greece -51,962 -9,987 -46,633
Hungary -56,886 -1,896 -56,053 Iceland -24,829 15,473 -34,901 Ireland -19,251 -7,706 -12,509 Italy -36,666 -12,963 -27,234
Japan -31,583 10,748 -38,223 Korea -42,328 35,411 -57,409 Mexico -68,062 11,406 -71,332
Netherlands -18,209 -11,445 -7,638 New Zealand -34,553 11,875 -41,5
Norway 23,424 -5,373 30,432 Poland -56,24 2,217 -57,189
Portugal -51,309 4,387 -53,355 Slovak Republic -50,793 -10,061 -45,288
Spain -38,559 -21,528 -21,703 Sweden -18,055 -1,845 -16,514
Switzerland 1,981 19,917 -14,957 Turkey -64,655 -21,084 -55,211
United Kingdom -31,798 -2,195 -30,267 United States .. .. .. Euro area (15
countries) -30,369 -14,643 -18,424
OECD - Total -29,469 -1,018 -28,743
Note. La quantità di lavoro svolto utilizzata nella stima è basata sul totale delle ore lavorate pro capite. I dati relativi alla Francia includono anche i dipartimenti oltremare e il Pil turco è calcolato attraverso l’utilizzo del sistema di contabilità nazionale del 1968. Fonte. Oecd Productivity Database, versione dicembre 2013; www.oecd.org/statistics/productivity.
Produttività nelle economie sviluppate
35
2.3 La dinamica del Pil pro capite e la sua scomposizione
Ciò che preoccupa di più non è tanto il livello del Pil pro capite in rapporto a
quello degli altri paesi ricchi, quanto l’incapacità italiana di cresce nel periodo più
recente, a partire soprattutto dai primi anni 2000.
L’Italia ha smesso di crescere, questo paese ha esaurito, almeno per il momento,
lo slancio per assicurare ai suoi cittadini un incremento del tenore di vita
attraverso l’aumento del prodotto pro capite, che è rimasto invariato nel periodo
2000-2007, con un tasso annuo di crescita pari a zero, ed è diminuito dopo la
crisi.
In primo luogo, è doveroso chiedersi come la responsabilità della mancata
crescita del Pil pro capite sia da ripartire tra le sue due componenti individuate
precedentemente, e cioè tra la crescita della produttività oraria e la crescita
dell’attivazione di lavoro (o alla loro mancata crescita).
Si possono distinguere due fasi, il 1995-2000 e il 2001-2013, i cui andamenti
possono riassumersi come segue: nella prima fase, il tasso di crescita del prodotto
pro capite (1,9%), pur essendo tra i più bassi dell’Oecd, e anche tra i più bassi
dell’Europa a 15, era tuttavia positivo. A tale risultato contribuivano il tasso di
crescita della produttività oraria (0,9%) più basso tra i paesi considerati, e un
tasso di crescita dell’attivazione del lavoro (1%), che era, invece, superiore alla
media (sia rispetto all’Oecd che all’Europa). Nel secondo periodo, invece, il tasso
di crescita nullo del Pil pro capite è da attribuirsi equamente alla crescita nulla
della produttività e alla crescita nulla nell’attivazione del lavoro. Dopo il 2008, per
alcuni anni il Pil pro capite ha registrato delle perdite, giustificabili sia dal
restringersi dell’attivazione del lavoro e sia alla diminuzione della produttività.
In altri termini, dopo una fase in cui l’occupazione cresce relativamente molto, ma
la produttività ristagna, si passa a una fase in cui il ristagno di entrambe le
variabili determina il deludente risultato aggregato, in termini di crescita del Pil
pro capite.37
A sua volta, il dato relativo alla produttività deve essere ricondotto alle sue cause
determinanti.
37 Costabile L, Glossario dell’economista per il giuslavorista in Riv. Giu. Lav. Prev. Soc., 2009, Vol. 2. pp 193-199
Produttività nelle economie sviluppate
36
2.4 Le cause del ristagno della produttività del lavoro
Come precedentemente specificato all’interno del Capitolo 1, la produttività oraria
del lavoro è legata positivamente a due variabili: l’intensità capitalistica del
processo produttivo e la Produttività totale dei fattori. L’indagine volta ad
appurare le cause del ristagno della produttività deve quindi analizzare il
contributo di queste due variabili. Il contributo dato dall’incremento dell’intensità
capitalistica del processo produttivo alla crescita della produttività del lavoro è
positivo ma modesto, e non sufficiente ad annullare l’effetto negativo esercitato
dalla caduta della PTF. Bisogna osservare, più precisamente, che il contributo
dell’intensità capitalistica alla crescita del capitale, secondo i dati Oecd, pur
rimanendo positivo, si è molto ridotto negli ultimi anni rispetto a quello registrato
nei periodi precedenti, il che può essere interpretato come il risultato di un
possibile insufficiente accrescimento dell’investimento in risposta al forte
incremento occupazionale che tra il 1995 e i primi anni 2000, si è registrato in
Italia. “In altri termini, la flessione nel tasso di crescita del rapporto tra capitale e
lavoro sembra indicare che le imprese, pur accrescendo l’occupazione, non hanno
adeguato a sufficienza l’attrezzatura produttiva necessaria ad assistere questa
maggiore manodopera, dal che deriva un primo effetto negativo sulla produttività
del lavoro”38.
A questo si deve aggiungere il fattore più importante: l’andamento estremamente
negativo della Produttività Totale dei Fattori, che con il proprio apporto negativo,
annulla il modesto apporto positivo esercitato dall’intensità capitalistica. I due
contributi, infatti, si bilanciano quasi esattamente in valore assoluto, dando così
luogo al risultato di una crescita della produttività del lavoro pari a zero.
38 Il fatto che la riduzione dell’approfondimento della struttura produttiva sia stata relativamente limitata è dovuto al fatto che la netta riduzione della crescita del rapporto capitale/lavoro è stata in parte bilanciata dal forte aumento della quota del capitale sul reddito: The slowdown in Mediterranean capital deepening was relatively modest, because the sharp negative turnaround in K/H growth was partially offset by a sizeable increase in the income share of capital, Dew Backer e Gordon, 2008, p7. Un altro aspetto su cui vale la pena soffermarsi è che il contributo dell’intensità capitalistica osservato in Italia è sostanzialmente in linea con quello dei paesi quali la Francia e superiore a quello registrato in Germania. Rimane tuttavia il duplice problema: 1) tale contributo positivo non riesce a compensare in Italia quello negativo della PTF, che nei principali paesi concorrenti è positivo; 2) tale contributo, pur rimanendo positivo in Italia, si è ridotto in Italia nell’ultimo periodo considerato, riflettendo lo spostamento verso tecniche a più alta intensità di lavoro.
Produttività nelle economie sviluppate
37
Cosa può aver determinato la caduta della PTF? Si è visto in precedenza che
questa variabile riassume in sé gli effetti variabili quali il progresso tecnico e i
miglioramenti organizzativi, ma anche dei miglioramenti nella qualità dei due
fattori di produzione: il capitale e il lavoro. Così se il grado d’istruzione o di
preparazione professionale aumenta, la Produttività totale dei fattori aumenterà.
La qualità del lavoro aveva dato un contributo molto alto alla crescita della
produttività nel settore manifatturiero nel quinquennio 1990-1995, e questo era
avvenuto anche nel settore privato nel suo complesso nel decennio precedente; al
contrario, a cominciare dal 1996, si verifica una drastica e repentina caduta di
questo contributo, come se qualcosa avesse interrotto un processo di upgrading
qualitativo della forza lavoro italiana che sembrava ormai consolidato.
Per concludere questo ragionamento, si può da un lato ricordare e accogliere
un’interpretazione39 secondo cui le imprese, soprattutto nel settore manifatturiero,
sembrano aver preferito adottare tecniche a minore intensità capitalistica rispetto
ai periodi precedenti, indotte a far ciò dal fatto che il lavoro è diventato meno
caro e la legislazione protettiva dell’occupazione si è allentata grazie alle riforme
liberalizzatrici nel mercato del lavoro. Queste riforme hanno quindi favorito un
forte incremento dell’occupazione cui ha fatto seguito un corrispondente
incremento dell’attrezzatura di capitale destinata ad assistere il maggior numero
di occupati. L’esito delle riforme sarebbe allora misto, avendo esse sì favorito un
incremento dell’occupazione, ma pagando questa espansione con una riduzione
della sua produttività.
In secondo luogo, la riforma delle tipologie contrattuali ha contribuito
probabilmente a modificare la composizione qualitativa della forza lavoro
occupata, con l’incremento della quota dei lavoratori meno qualificati, e ad
arrestare l’upgrading della qualità del lavoro (misurata, per esempio, dal livello
d’istruzione) che si era registrata nei decenni precedenti. Come visto in
precedenza, la qualità dei fattori produttivi è una delle principali determinanti
della produttività del lavoro, attraverso i suoi effetti sulla Produttività totale dei 39 Dew-Becker I., Gordon R. J., The slowdown in European Productivity Growth: A tale of Tigers, Tortoise, and Textbook Labor Economics, versione presentata al Nber Summer Institute Macroeconomics and Productivity Workshop, Cambridge, MA, 20 luglio 2006; Dew-Becker I., Gordon R. J., The Role of Labour Market Changes in the Slowdown of European Productivity Growth, in Nber Working Paper, n.13840, marzo 2008.
Produttività nelle economie sviluppate
38
fattori. Quindi, anche per questa via le riforme istituzionali sul mercato del lavoro
potrebbero aver influenzato negativamente la produttività.
Queste riforme si inseriscono comunque nel quadro di relativa debolezza
dell’apparato produttivo italiano che, per le dimensioni tipicamente limitate delle
sue imprese e per la sua specializzazione produttiva, non favorisce la spesa per
ricerca e sviluppo e, di conseguenza, l’introduzione del progresso tecnologico40.
La dinamica negativa della produttività italiana ha le sue radici in quattro grandi
debolezze, che si sono fatte sempre più gravi: la struttura produttiva, le
dimensioni troppo piccole delle imprese, l’assenza di investimenti, la mancanza di
innovazione41.
• La struttura di un sistema produttivo influenza direttamente le sue possibilità di
crescita. In Europa, la crescita media della produttività del lavoro nell’industria
tradizionale (alimentari, tessile, calzature, legno, prodotti in metallo) è appena
un terzo di quella del resto della manifattura. I redditi sono più alti nelle attività
in cui conoscenze, capitali, qualifiche del lavoro, potere di mercato e crescita
della domanda sono più elevate. Ma nell’industria italiana i settori tradizionali
pesano per il 46% degli occupati – e son stati relativamente stabili – contro il
31% della Germania.
• L’Italia ha il record negativo della dimensione d’impresa. L’84% delle 510 mila
imprese italiane ha meno di 9 addetti e un altro 15% ha tra 10 e 49 addetti. Le
imprese con più di 250 addetti sono 1400 in Italia e 4000 in Germania. La
piccola dimensione delle imprese italiane impedisce di raggiungere economie di
scala, entrare in settori avanzati, ottenere efficienza. Non sono bastate le reti
d’imprese e i distretti industriali per recuperare dinamismo; molte piccole
imprese si trovano ora integrate in modo subalterno nei sistemi di produzione
internazionale governati dalle grandi imprese tedesche e di altri paesi; altre
hanno tentato di riprodurre il modello del decentramento che riduce i costi
delocalizzando la produzione nei paesi dell’Est e del Mediterraneo. In entrambi i
casi le prospettive per investimenti, crescita e occupazione in Italia sono assai
40 Foresti G., Guelpa F., Trenti S., Quali leve per il rilancio dell’industria? La questione dimensionale, Collana Ricerche, Servizio Studi Intesa-San Paolo, Giugno 2007. 41 Pianta M., Nove su Dieci. Perché stiamo (quasi) tutti peggio di 10 anni fa, 2012, Editoriali Laterza, Roma.
Produttività nelle economie sviluppate
39
modeste, e dopo il 2008, la crisi ha colpito in modo particolare proprio questi
sistemi produttivi.
• Un altro paradosso italiano è la coesistenza di alti profitti e bassi investimenti.
In Italia il rapporto tra profitti lordi delle imprese (non finanziarie) e valore
aggiunto è il più elevato tra i maggiori paesi europei – oltre il 40% anche
nell’anno di crisi 2009, contro il 30% in Francia – ma gli investimenti fissi sono
appena il 22% del valore aggiunto. Gli investimenti in macchinari (quelli che
alimentano le capacità produttive) sono diminuiti negli ultimi dieci anni del
9,8% e, se li rapportiamo alla popolazione, la caduta è stata del 14,5%, mentre
si sono gonfiati gli investimenti immobiliari. Anziché reinvestire i profitti in
nuove attività e investimenti, sempre più capitali escono dalle imprese
attraverso una gestione finanziaria che da un lato ha liquidità, e dall’altro l’ha
utilizzata per arricchire i proprietari attraverso dividendi agli azionisti, bonus ai
manager e operazioni finanziarie. Questo trasferimento di risorse ha sottratto
possibilità di crescita alle imprese.
• L’innovazione, purtroppo, non è di casa in Italia. Le attività innovative
documentate dall’Istat mostrano che circa il 30% delle imprese italiane ha
introdotto nel 2008 un’innovazione di prodotto o di processo, mentre la media
dell’Europa a 15 è vicina al 40%. Non solo si innova meno in Italia, ma prevale
l’adozione di nuovi processi (con acquisti dall’estero di macchinari, in genere
destinati a sostituire lavoratori), piuttosto che la capacità di realizzare, con
risorse interne, nuovi prodotti in grado di espandere produzione e occupazione.
E sono le imprese che realizzano nuovi prodotti quelle che riescono a vendere a
prezzi maggiori, con meno concorrenza, a distribuire salari e profitti più alti42.
Per concludere ed avere uno sguardo più ampio sulle problematiche registrate si
può affermare che la performance così negativa della produttività italiana è
usualmente ricondotta ad un insieme di fattori, che spesso si rafforzano a
vicenda43. Vi sono componenti sistemiche, componenti connettive e componenti
42 Pianta M., Produttività l’Italia è ferma da vent’anni, pubblicato in Home Page Uniurb (http://post.uniurb.it/?cat=225), 26 Novembre 2012 43 Tronti L., The Italian Productivity Slowdown: The Role of the Bargaining Model, International Journal of Manpower, 2010, vol. 31, n.7, pp. 770-792 Tronti L., La crisi di produttività dell’economia italiana: modello contrattuale e incentivi ai fattori, Eco. & Lav., 2010, n. 2, pp.47-70.
Produttività nelle economie sviluppate
40
aziendali che spiegano questo trend44. Le componenti sistemiche sono di tipo
generale, ed hanno a che fare con le infrastrutture ed i procedimenti
amministrativi (burocrazia), tra cui si fanno rientrare anche ciò che è di pertinenza
della lotta alla criminalità e della giustizia. Tra le componenti connettive di
produttività vanno ricordate l’istruzione, la formazione, la ricerca scientifica e
tecnologica, le tecnologie dell’informazione e comunicazione, l’organizzazione, tra
cui possiamo far rientrare anche le conseguenze della struttura dimensionale delle
imprese italiana. Ma rilevanza cruciale hanno componenti aziendali che sono di
natura fiscale da un lato, data soprattutto dal gap tra costo del lavoro e
retribuzione del lavoratore, e di natura contrattuale dall’altro, che chiama in causa
la contrattazione collettiva ed il legame tra contrattazione accentrata e
contrattazione decentrata. E’ proprio su quest’ultima componente che si
concentrerà l’attenzione di questo elaborato di tesi.
2.5 La produttività a livello aziendale delle imprese italiane.
Dopo aver osservato il problema della produttività da un punto di vista
macroeconomico, è giusto per chi scrive analizzare come le aziende italiane
operano per migliorare la loro produttività del lavoro e come queste si collocano
rispetto alle loro concorrenti europee.
Come precedentemente affermato, le pratiche di innovazione organizzativa sui
luoghi di lavoro risultano efficaci per l’aumento della produttività, soprattutto se
vengono utilizzate in modo sinergico, perché possono espletarsi gli effetti
aggiuntivi di complementarietà che derivano dall’utilizzo congiunto di un insieme
di pratiche ad “alta performance”, effetti che vanno perduti se ci si concentra sulle
singole pratiche. Tali pratiche riguardano vari aspetti dell’organizzazione del
lavoro, che vanno dalla progettazione delle mansioni lavorative all’estensione
dell’autonomia nello svolgimento delle mansioni e dei compiti lavorativi, dai
percorsi di formazione sul posto di lavoro ed estensione delle competenze di tipo
cognitivo e relazionale alla riduzione dei livelli gerarchici che accompagna il
processo di decentramento decisionale e responsabilizzazione nello svolgimento
dell’attività lavorativa, dalla definizione degli obiettivi da conseguire ai sistemi
44 Quadrio Curzio A., Produttività, sfida cruciale per il Paese, Il Sole 24 Ore, 20 novembre 2012.
Produttività nelle economie sviluppate
41
retributivi premiali per i dipendenti legati alla valutazione delle prestazioni e dei
comportamenti, dalla diffusione delle pratiche di lavoro innovative progettate sui
gruppi di lavoratori alle procedure di confronto formale ed informale sulla
organizzazione del lavoro e qualità del processo produttivo e/o del prodotto.
Vari studiosi sottolineano come l’Italia sia indietro in questo campo se confrontata
con altri paesi europei45.
Di seguito si analizzerà in dettaglio come il sistema industriale italiano si colloca in
quanto ad adozione di best work organization practices. Eurofound46 nel 2011 ha
svolto un’indagine concernente questo argomento analizzando 30 paesi e
coinvolgendo più di 27.000 stabilimenti, industriali e dei servizi. Sono stati
analizzati 5 gruppi di pratiche di lavoro:
A. flessibilità degli orari di lavoro;
B. retribuzioni legate alle performance;
C. formazione;
D. lavoro a squadre di lavoro con autonomia decisionale;
E. coinvolgimento dei lavoratori e delle rappresentanze nel definire
l’organizzazione del lavoro.
La Tabella 2 evidenzia la diffusione dei 5 gruppi di pratiche. La flessibilità
dell’orario di lavoro e la formazione sono quelle più diffuse, in un terzo degli
stabilimenti; ma anche quelle meno diffuse, gli incentivi finanziari ed economici e
il coinvolgimento dei lavoratori, sono comunque presenti in circa un quarto degli
stabilimenti. In circa un terzo degli stabilimenti analizzati si utilizzano almeno due
gruppi di pratiche innovative. Il fenomeno dell’adozione multipla è da rimarcare in
quanto si ha il noto effetto di complementarietà secondo il quale i benefici totali
dell’adozione in cluster sono maggiori della semplice somma dei benefici derivanti
dalle singole pratiche.
45 Leoni R., Può bastare una tazzina di caffè per far crescere la produttività?, Università di Bergamo, mimeo, 2013. 46 Eurofound, HRM Practices and Establishment Performance: An Analysis Using the European Company Survey 2009, Eurofound, 2011, Dublino, (http://www.eurofound.europa.eu/pubdocs/2011/69/en/1/EF1169EN.pdf)
Produttività nelle economie sviluppate
42
Tabella 2. Diffusione di pratiche innovative e loro frequenza
Pratiche organizzative nei luoghi di lavoro
% stabilimenti coinvolti
A. Orari di lavoro flessibili 30,5
B. Incentivi economici 17,0
C. Formazione 26,1
D. Gruppi di lavoro autonomi 22,1
E. Voce dei dipendenti 18,3
Stabilimenti con numero pratiche adottate
% stabilimenti coinvolti
Nessuna pratica 32,50
Con 1 pratica 35,64
Con 2 pratiche 20,99
Con 3 pratiche 8,59
Con 4 pratiche 2,13
Con 5 pratiche 0,16
Questa è la situazione in Europa. E’ interessante vedere cosa avviene nei singoli
paesi e dove si posiziona l’Italia. La Tabella 3 mostra come l’Italia sia indietro
quanto ad adozione rispetto a gran parte dei paesi. L’Italia primeggia in negativo
per la quota di luoghi di lavoro che non adotta nessuna delle pratiche di lavoro
considerate, ben il 51% contro una media del 32,5%; sotto l’Italia si trovano, su
30 paesi, solo Malta, Turchia e Grecia.
Molto importante è anche la quota di luoghi di lavoro in cui si adottano pratiche
appartenenti ad almeno 2 dei 5 gruppi considerati, in tal caso si esplicano gli
effetti di complementarietà. L’Italia presenta solo il 17% dei luoghi di lavoro in cui
si adottano almeno 2 gruppi di pratiche; peggio dell’Italia fanno solo i paesi sopra
richiamati, a cui si aggiungono Ungheria e Cipro. La Germania fa due volte meglio
dell’Italia (38%), mentre paesi del nord Europa fanno tre volte meglio (55% e
più, per Finlandia, Svezia, Danimarca e Paesi Bassi).
Fonte. Eurofound, 2011, HRM Practices and Establishment Performance: An Analysis Using the European Company Survey 2009, Eurofound, Dublino, p. 11.
Produttività nelle economie sviluppate
43
Tabella 3. Diffusione di pratiche innovative e frequenza, per paese (distribuzione %)
Paesi Nessuna
pratica Una pratica
Due o più
pratiche
1. Finlandia 7 23 70
2. Svezia 10 27 64
3. Danimarca 9 27 64
4. Paesi Bassi 17 29 54
5. Slovenia 27 32 41
6. Repubblica Ceca 24 38 38
7. Germania 24 38 38
8. Belgio 30 33 37
9. Regno Unito 27 37 37
10. Francia 28 37 35
11. Portogallo 31 36 33
12. Irlanda 31 37 32
13. Lussemburgo 34 34 32
14. Polonia 33 39 31
15. Macedonia 27 43 30
16. Spagna 35 36 30
17. Slovacchia 31 39 29
18. Austria 33 39 28
19. Bulgaria 38 36 26
20. Romania 38 37 25
21. Lettonia 36 40 24
22. Estonia 39 38 23
Produttività nelle economie sviluppate
44
23. Croazia 40 37 23
24. Lituania 46 36 18
25. Italia 51 32 17
26. Ungheria 45 38 17
27. Cipro 49 35 16
28. Malta 56 32 12
29. Turchia 53 35 12
30. Grecia 71 23 5
Solo la flessibilità oraria induce effetti deboli sulle performance, mentre
formazione, coinvolgimento dei lavoratori e delle rappresentanze, gruppi di lavoro,
hanno effetti fortemente positivi sia su condizioni lavorative e gestione delle
risorse umane, che su performance economiche e produttività; mentre gli
incentivi economici e finanziari per i lavoratori evidenziano alcune difficoltà nella
gestione delle risorse umane, ma non su altri aspetti47.
In Europa vengono tratti evidenti vantaggi dall’adozione di best work organization
practices. Ma l’Italia è quasi fanalino di coda nella loro adozione.
Questi risultati inducono a ritenere che oltre ai fattori concorrenziali sui mercati di
beni e servizi (dove l’Italia non primeggia in Europa) e del lavoro (dove invece
l’Italia primeggia per flessibilità esterna all’impresa e dualismo), oltre alla scarsa
efficienza dei mercati di credito, opera un fattore fin troppo trascurato: le best
work organization practices. Esso ha strette sinergie con l’innovazione tecnologica
incorporata nei beni capitali, quindi con gli investimenti, e con le innovazioni di
47 Secondo lo studio Eurofound, 2011, p.15.
Fonte. Eurofound, 2011, HRM Practices and Establishment Performance: An Analysis Using the European Company Survey 2009, Eurofound, Dublino, p. 12.
Produttività nelle economie sviluppate
45
prodotto che le imprese realizzano48. La carenza di questo fattore per l’Italia può
spiegare anche la bassa produttività del capitale49.
La quota di investimento sul reddito potrà anche essere adeguata, ma manca
l’investimento in innovazioni organizzative del lavoro, che a quel capitale fisico
sono complementari.
48 Antonioli D., Mazzanti M., Pini P., Productivity, Innovation Strategies and Industrial Relations in SME. Empirical Evidence for a Local Manufacturing System in Northern Italy, International Rewiew of Applied Economics, 2010, vol. 24, n. 4, pp. 453-482. Antonioli D., Bianchi A., Mazzanti M., Montresor S., Pini P., Innovation Strategies and Economic Crisis: Evidence from Firm-level Italian Data, Eco. Pol., 2013, vol. 30, n. 1. 49 Già dieci anni fa Bugamelli e Pagano osservavano che le mancate innovazioni nell’organizzazione del lavoro costituivano una barriera al rendimento degli investimenti in capitale fisso ed ICT. Bugamelli M., Pagano P., Barriers to Investment in ICT, Applied Economics, 2004, vol. 36, n. 20, pp.2275-2286.
Legislazione nazionale in tema di produttività
47
CAPITOLO 3
Legislazione nazionale in tema di produttività
Premessa – 1. La contrattazione di secondo livello – 1.1 L’accordo interconfederale del 23 Luglio 1993 – 1.2 L’accordo quadro del 22 gennaio 2009 – 1.3 L’accordo interconfederale del 28 giugno 2011 – 1.4 L’art. 8 della Legge n. 148/2011 – 1.5 L’accordo interconfederale del 21 novembre 2012 – 1.6 L’accordo interconfederale 24 aprile 2013 – 1.7 Considerazioni conclusive in tema di contrattazione – 2. Gli sgravi contributivi e fiscali – 2.1 La decontribuzione – 2.2 La detassazione.
Premessa.
La nozione di produttività utilizzata fino a questo momento all’interno del
presente elaborato è profondamente differente da come la legislazione ha inteso
la produttività e il suo sviluppo tramite gli accordi tra le parti sindacali e datoriali
susseguitisi negli ultimi venticinque anni.
La regolazione di questo tema nel nostro ordinamento non individua strumenti per
migliorare tutti gli aspetti della produttività e, nello specifico, della produttività del
lavoro che sono stati elencati fino ad ora, ma fornisce all’imprenditore la libertà di
regolare tramite la contrattazione aziendale e territoriale l’organizzazione del
lavoro all’interno della propria azienda come egli meglio crede.
Per incentivare l’imprenditore a perseguire obiettivi che comprendano anche la
crescita della produttività all’interno dell’azienda, la legislazione individua specifici
elementi retributivi che possono beneficiare di defiscalizzazione o decontribuzione.
Si può quindi affermare che il nostro ordinamento offre una disciplina,
relativamente a questo tema, di natura incentivante che non specifica gli
strumenti da utilizzare per far crescere la produttività.
Legislazione nazionale in tema di produttività
48
In questo capitolo verranno analizzati gli accordi quadro ed interconfederali che
hanno cercato di promuovere la contrattazione di secondo livello e come questi si
sono susseguiti e migliorati nel tempo. In un secondo momento si esamineranno
gli incentivi di natura contributiva e fiscale che la normativa italiana ha utilizzato
per promuovere la produttività del lavoro
1. La contrattazione di secondo livello.
Le regole che disciplinano il rapporto di lavoro sono date, in ordine
decrescente per importanza, dalla Costituzione, dalla normativa comunitaria e
dalle norme di legge. Segue poi la contrattazione collettiva di primo grado,
corrispondente ai contratti nazionali, e di secondo grado, corrispondente ai
contratti aziendali e territoriali.
Normalmente esiste una gerarchia di queste regole. La norma di legge, infatti,
deve essere emanata nel rispetto della costituzione e della normativa comunitaria
esistente in quel settore. Quindi, le norme della contrattazione collettiva non
possono peggiorare le normative in tema di lavoro, anche perché queste ultime
sono, per la grande parte, inderogabili dalla contrattazione dei privati.
Non vi sono invece gerarchie legali tra contrattazione collettiva di primo grado e
di secondo.
Lo scopo dei contratti collettivi, ma soprattutto dei contratti collettivi nazionali di
categoria, è quello di stabilire delle condizioni uniformi e obbligatorie che siano
valide per lavoratori dipendenti e datori di lavoro appartenenti ad una specifica
categoria. Il contratto collettivo persegue “la tutela degli interessi dei lavoratori,
dal lato delle associazioni sindacali dei lavoratori; le regole entro cui si dispiega la
libera concorrenza tra imprese razionali, dal lato dei datori di lavoro”50.
In realtà i contratti collettivi che hanno natura di pattuizione privata seppure
rivolti ad una molteplice platea di parti, rivolgendosi alle parti stipulanti hanno
sempre imposto loro il rispetto della fonte di primo grado al momento della
pattuizione aziendale o territoriale.
In questo modo nasce un sistema, dove i diritti fondamentali ed intangibili sono
governati dalla legge, le retribuzioni ed ogni ulteriore tutela è disciplinata dal
50 L. Nogler, Saggio sull’efficacia regolativa del contratto collettivo, 1997, Cedam, p.143.
Legislazione nazionale in tema di produttività
49
contratto collettivo e ben poco è lasciato alla contrattazione aziendale, territoriale
o addirittura individuale51.
Tale situazione si mantiene fino al 1993, quando, venuto meno il sistema di
automatismi retributivi collegato alla contingenza, e, acuitasi la crisi economica,
diventò necessario individuare una distribuzione del reddito legata alle singole
realtà aziendali e alla produttività.
Grazie agli accordi nazionali in materia di negoziazione, le regole contrattuali
hanno gradualmente individuato degli spazi riservati alla contrattazione aziendale
e territoriale, riconoscendo così una funzione alla contrattazione di secondo
grado.
Con il susseguirsi degli accordi nel tempo le parti hanno cercato di promuovere la
contrattazione di secondo livello, cercando di bilanciare i suoi costi, relativi
soprattutto alle energie negoziali necessarie da impiegare nella trattativa con il
sindacato, con i benefici organizzativo-produttivi che questa può introdurre, e di
renderla utilizzabile anche dalle aziende di piccole dimensioni che caratterizzano il
tessuto economico ed industriale italiano.
1.1 L’accordo interconfederale del 23 luglio 1993.
Il decennio degli anni ’90, con riferimento alla contrattazione collettiva, si
apre con il protocollo del 31 luglio del 1992 tra Governo e parti sociali e la crisi
della Lira del settembre 199252.
I due accordi triangolari del 31 luglio 1992 e del 23 luglio 1993 vanno letti
insieme, perché si completano a vicenda. Il primo ha espresso lo stato di acuta
crisi in cui si trovava l’economia italiana imponendo comportamenti di rigore alle
parti sociali, avendo temi incentrati sulla politica dei redditi, la lotta all’inflazione e
il costo del lavoro. Il secondo ha confermato le scelte di rigore del primo, ma le
51 D. Cardellicchio, Accordo sulla produttività. Novità ed effetti per le imprese. Da http://www.petraccimarin.it; consultato il 20 Settembre 2014. 52 Per un breve resoconto: Fornara P., La lira sommersa e salvata, su Il Sole 24 Ore del 6 settembre 2012, http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2012-09-05/settembre-1992-lira-sommersa-221921.shtml?uuid=AbWU76YG; oppure Pesole D., L'autunno nero del '92 tra tasse e svalutazioni, su Il Sole 24 Ore del 30 aprile 2010, http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Editrice/IlSole24Ore/2010/04/30/Economia%20e%20Lavoro/5_A.shtml.
Legislazione nazionale in tema di produttività
50
ha completate definendo un quadro di regole fondamentali 53 necessario al
sistema di relazioni industriali del paese54.
Prima del 1993 il sistema contrattuale italiano appariva caratterizzato da un basso
grado di cooperazione e coordinamento nelle regole che determinavano i salari ed
il paese si poneva in una situazione nettamente distinta rispetto ad altri paesi
europei tipicamente organizzati con strutture corporativistiche. La svolta per le
relazioni industriali italiane arrivò con la stipula dell’accordo triangolare del 23
luglio 1993 che gettava le basi per una nuova era di contrattazione.
Con esso le parti sociali vollero dare una chiara svolta individuando la strada che
si sarebbe dovuta seguire in fase di contrattazione nazionale ed aziendale.
Il Protocollo del 23 luglio 1993 sulla politica dei redditi e dell’occupazione, sugli
assetti contrattuali, sulle politiche del lavoro e sul sostegno al sistema produttivo,
costituisce una vera e propria “carta costituzionale” per le relazioni industriali
italiane.
Il carattere più importante dell’accordo sta nell’aver dettato per l’intero mondo del
lavoro regole istituzionali precise non solo su singoli punti delle relazioni di lavoro,
ma sulle fonti e sugli attori del sistema. In questo assume rilievo “costituzionale”:
relativamente alla costituzione formale che dovrà crearsi sul piano dei rapporti
effettuali55.
Con tale accordo, le parti hanno predisposto un quadro di principi e di regole per
rendere coerenti i processi ed i contenuti contrattuali con le scelte di politica di
bilancio e dei redditi, in particolare per realizzare il controllo dell’inflazione e il
risanamento della finanza pubblica. Esso coinvolge l’insieme del lavoro
dipendente, essendo applicabile all’industria, al commercio, al credito,
all’artigianato, e, indirettamente, al pubblico impiego, e regola struttura, oggetti e
soggetti della contrattazione.
I principi cardine posti alla base del documento sono tre:
1. Il contributo delle parti sociali alla determinazione della politica dei redditi;
53 L’accordo del 1993 è stato definito dal Ministro Giugni una nuova “costituzione del lavoro”. 54 M. Grandi e M. Rusciano, Accordo del 31 luglio 1992 e contrattazione aziendale, in Gior. Dir. Lav. Rel. Ind., 1993. 55 T. Treu, L’accordo del 23 luglio 1993: assetto contrattuale e struttura della retribuzione, Riv. Giu. Lav. Prev. Soc., 2013, pp. 215 e seguenti.
Legislazione nazionale in tema di produttività
51
2. Il coordinamento della struttura contrattuale e la certezza delle
competenze ad ogni livello;
3. La precisa individuazione dei soggetti titolari dei poteri di rappresentanza e
di contrattazione.
Il Protocollo tende a creare i presupposti e gli strumenti per la stabilizzazione di
uno schema di politica dei redditi concordata e controllata con le parti sociali.
Vengono individuati gli obiettivi e le procedure essenziali per la conduzione della
politica dei redditi56.
Gli obiettivi macroeconomici fondamentali riguardano una più equa distribuzione
delle risorse, la salvaguardia e la crescita dell’occupazione, il controllo del tasso
d’inflazione e la drastica riduzione del deficit e dell’indebitamento pubblico,
secondo i parametri definiti a Maastricht57.
La regolazione delle fonti oltre ad essere procedurale è anche finalistica, perché i
tre attori del sistema (governo, sindacati e imprese) s’impegnano a
comportamenti contrattuali ed economici in linea con gli obiettivi dei paesi più
virtuosi della comunità europea in tema d’inflazione programmata.
E’ in materia di assetto contrattuale che l’accordo del 1993 apporta le innovazioni
potenzialmente più significative: esse introducono una razionalizzazione del
sistema italiano che lo avvicina a quello dei sistemi europei più stabili.
La nuova struttura del sistema contrattuale italiano, dopo il 1993, può essere
definita di “decentramento centralizzato”.
Il primo aspetto da segnalare riguarda la conferma dei due livelli di negoziazione,
l’uno nazionale di categoria e l’altro, alternativamente, aziendale o territoriale, con
esclusione quindi della loro presenza simultanea58 . La scelta fra le due sedi
negoziali decentrate è demandata alla prassi tutt’ora adottata nei diversi settori e
nelle diverse categorie. La conferma dei due livelli contrattuali si accompagna ad
56 F. Solimene, Il protocollo 23 Luglio 1993 e la riforma della struttura contrattuale; da http://www.4ensicmag.com/diritto-civile/il-protocollo-23-luglio-1993-e-la-riforma-della-struttura-contrattuale, consultato in data 15 ottobre 2014. 57 Il Trattato di Maastricht, o Trattato dell'unione europea è un trattato che è stato firmato il 7 febbraio 1992 a Maastricht dai dodici paesi membri dell'allora Comunità Europea, oggi Unione Europea, che fissa le regole politiche e i parametri economici necessari per l'ingresso dei vari Stati aderenti nella suddetta Unione. È entrato in vigore il 1º novembre 1993. 58 Accordo interconfederale del 23 luglio 1993, sezione seconda (“assetti contrattuali”), primo comma.
Legislazione nazionale in tema di produttività
52
una ridefinizione delle competenze e dei rapporti fra gli stessi, riferita soprattutto
agli istituti che incidono sulla dinamica salariale59.
L’accordo individua per i differenti livelli anche i soggetti collettivi abilitati alla
contrattazione:
1. A livello interconfederale contrattano CGIL, CISL e UIL assieme alle
associazioni di rappresentanza delle imprese (Come Confindustria, Confapi
e Confartigianato); e vengono stipulati accordi interconfederali o i protocolli
d’intesa sulle relazioni industriali riguardanti la generalità dei lavoratori;
2. A livello nazionale di categoria contrattano le categorie nazionali (come
chimici e metalmeccanici) assieme alle relative associazioni imprenditoriali.
Rappresentando i lavoratori di un determinato settore produttivo del
territorio nazionale da questa contrattazione nascono i contratti collettivi
nazionali di lavoro;
3. A livello aziendale vengono prodotti accordi validi per i lavoratori di una
determinata impresa, stipulati tra le rappresentanze sindacali in azienda
che possono essere assistite dal sindacato territoriale o da quello nazionale
di categoria e dal singolo imprenditore (assistito o meno, come per la
controparte sindacale).
La durata dei contratti di categoria è stata differenziata: due anni per la parte
retributiva, quattro anni per quella normativa60.
Altro aspetto importante è che l’accordo pone definitivamente fine al meccanismo
della scala mobile61, in quanto “la dinamica degli effetti economici del contratto
sarà coerente con i tassi di inflazione programmata assunti come obiettivo
comune62”. Venuto meno ogni automatismo salariale con l’accordo del 31 luglio
1992, per salvaguardare il potere d’acquisto delle retribuzioni, si è deciso di
59 G. Ferraro, Retribuzione e assetto della contrattazione collettiva, in Riv. Ita. Dir. Lav., 2010, I, pp. 693-710. 60 Accordo interconfederale del 23 luglio 1993, sezione seconda (“assetti contrattuali”), secondo comma. 61 La scala mobile, o ufficialmente indennità di contingenza, è uno strumento economico di politica dei salari, volto ad indicizzare automaticamente i salari all'inflazione e all'aumento del costo della vita secondo un indice dei prezzi al consumo. 62 Accordo interconfederale del 23 luglio 1993, sezione seconda (“assetti contrattuali”), secondo comma.
Legislazione nazionale in tema di produttività
53
intensificare la frequenza degli adeguamenti negoziali e di incentivare le parti a
ridurre i tempi di vacanza contrattuale.
L’impegno alla salvaguardia del potere d’acquisto delle retribuzioni, è indicato
esplicitamente come obiettivo nell’accordo del 1992 ed in quello del 1993. Il che
potrebbe porre il problema di un possibile recupero dello scarto registratosi fra
retribuzione ed inflazione reale. Il recupero è assegnato come compito alle
revisioni biennali dei minimi contrattuali, cui è attribuita la funzione di comparare i
livelli di inflazione programmata determinati in base al rinnovo quadriennale con
quelli effettivi del primo biennio, in modo da poter aggiustare la dinamica della
retribuzione per mantenere inalterato il potere di acquisto.
L’accordo esplicita che il mantenimento del potere d’acquisto è da praticare
tenendo conto di variabili, quali: le tendenze generali dell’economia e del mercato
del lavoro; il raffronto competitivo e gli andamenti specifici del settore e le
eventuali variazioni delle ragioni di scambio del paese. A conferma di questo nel
punto 2.3 dell’Accordo del 1993 viene ipotizzata la possibilità di utilizzare margini
di produttività (di settore e non solo di azienda) per riconoscere aumenti
retributivi a livello di contratto collettivo nazionale anche oltre quanto necessario
per mantenere il potere d’acquisto delle retribuzioni63.
Il legame instaurato dall’accordo del 1993 fra retribuzione ed andamenti specifici
di settore introduce un elemento di flessibilità nella funzione retributiva del
contratto di categoria: alla funzione prioritaria di adeguare il reale potere di
acquisto delle retribuzioni viene aggiunta un’eventuale funzione distributiva degli
incrementi di produttività64.
Per tentare di promuovere la regolarità della contrattazione è stata prevista una
“indennità di vacanza contrattuale”. Trascorsi tre mesi dalla scadenza del vecchio
contratto senza che sia stato stipulato il nuovo, deve essere corrisposto un
elemento provvisorio della retribuzione, pari al 30% del tasso d’inflazione
programmata; trascorsi sei mesi tale percentuale sale fino ad un 50% del tasso
d’inflazione programmato. Si ha quindi un meccanismo di parziale rivalutazione
63 C. Dell’Aringa, in Il Sole 24 Ore, 20 luglio 1993 64 G. Roma, Le funzioni della retribuzione, 1997, Bari, Cacucci.
Legislazione nazionale in tema di produttività
54
delle retribuzioni, da attivare in caso di ritardo nei rinnovi e che dovrebbe avere
una funzione sanzionatoria ed incentivante.
I principi utilizzati per controllare la contrattazione aziendale nell’ordinamento
italiano prima degli anni novanta possono essere riconosciuti nei seguenti due: le
clausole di rinvio, risalenti alla prima stagione della contrattazione articolata65, che
obbligano le parti a contenere la negoziazione decentrata entro materie e limiti
definiti nel contratto nazionale, e il principio di specializzazione, secondo il quale
la contrattazione articolata è lasciata libera di esplicarsi solo nelle materie non
definite a livello nazionale66.
L’accordo del luglio 1993 combina fra loro questi due principi: stabilisce, infatti,
che gli istituti della contrattazione decentrata devono essere diversi e non ripetitivi
rispetto a quelli propri del contratto collettivo nazionale e, per ciò che attiene alla
fissazione delle competenze proprie di ciascun livello, la clausola di
specializzazione, prevede che “la contrattazione aziendale riguarda materie e
istituti diversi e non ripetitivi rispetto a quelli retributivi propri del CCNL”, e pare
concernere solo le materie relative agli istituti retributivi e non tutte le materie. E’
evidente l’opzione a favore di erogazioni aziendali collegate strettamente ad
“incrementi di produttività, di qualità ed ad altri elementi di competitività di cui
le imprese dispongano, compresi i margini di produttività, (…), nonché ai risultati
legati all’andamento economico dell’impresa”67 nell’ambito della realizzazione di
programmi concordati fra le parti.
65 Prevista in sede di contrattazione collettiva, essa non è altro che la deroga ai rappresentanti di categoria di una determinata azienda, o di una singola zona, a specificare la disciplina convenuta dalle associazioni. La contrattazione articolata sembra aver rilanciato il ruolo centrale dell’impresa, che diviene il nucleo dell’azione conflittuale. Si tratta di una localizzazione della contrattazione che si ripercuote sui contenuti stessi degli accordi. La contrattazione articolala dopo un lento processo di maturazione all’interno delle organizzazioni sindacali che data dal convegno di La Dispoli del 1953, nasceva nel 1962 con il protocollo Intersind-Asap che rinviava all’azienda il contratto nazionale “al fine di dare attuazione ai criteri di ordine generale predeterminati dallo stesso contratto nazionale”, sia pure solo per alcune materie. Il collegamento tra i vari livelli veniva assicurato da clausole di rinvio. Si verifica così un vero e proprio sdoppiamento di livello, quello nazionale da una parte e quello aziendale dall’altra, che coincidono solo sulle strategie generali, ma la cui competenza specifica non è delimitata giuridicamente. Dopo gli accordi del 26 gennaio 1977 e del 22 gennaio 1983 vengono introdotte alcune modifiche: alla bipolarità si affianca l’interconfederalità, e si va istituzionalizzando la diversificazione tra le varie sedi contrattuali. 66 L. Mariucci, La struttura della contrattazione collettiva, Il Mulino, Bologna, 1985, pp. 105. 67 Accordo interconfederale del 23 luglio 1993, sezione seconda (“aspetti contrattuali”), terzo comma.
Legislazione nazionale in tema di produttività
55
Il Protocollo ha previsto la competenza esclusiva della contrattazione aziendale in
tema di quote salariali variabili, che svolgerà una funzione integrativa e
applicativa della contrattazione di categoria.
Le quote flessibili dovranno essere determinate in relazione a parametri predefiniti
dalle parti tenendo conto delle caratteristiche ed esigenze dell’impresa e si
tratterà di premi collegati ai risultati conseguiti nella realizzazione di programmi.
Il legame richiesto dall’accordo fra retribuzione aziendale e risultati di produttività
e competitività non è stato una novità: né nel sistema italiano (infatti era presente
nella contrattazione articolata degli anni ’60), né negli altri sistemi europei.
Nell’accordo in esame troviamo di nuovo l’impegno a differenziare la retribuzione
aziendale per il suo trattamento contributivo previdenziale. Questa soluzione,
voluta fortemente dalle organizzazione imprenditoriali, può essere spiegata dalla
particolare pesantezza degli oneri sociali italiani. E’ sembrato plausibile cominciare
a ridurli partendo da elementi retributivi specifici rispetto ai quali un trattamento
privilegiato si può spiegare, per il particolare legame con la migliorata efficienza e
redditività aziendale; in questo modo si può affermare che essi si autofinanzino,
compensando con un maggiore contributo delle parti all’economia nazionale la
sottrazione di gettito al finanziamento fiscale o contributivo del sistema.
Agganciando gli incentivi retributivi ai risultati conseguiti dall’impresa, non si
determinano pressioni inflazionistiche da costi e, soprattutto, si persegue l’intento
di ridistribuire ai lavoratori le risorse derivanti dagli incrementi aziendali,
favorendo così forme di partecipazione economica dei dipendenti ai risultati
dell’azienda stessa. Ciò implica anche che, almeno in parte, le scelte gestionali
inerenti all’impresa diventino oggetto di istanze di partecipazione e di controllo da
parte dei lavoratori.
E’ interessante notare come nell’accordo venga sottolineato dalle parti che la
contrattazione aziendale ha una sua “funzione specifica ed innovativa”, e che i
vantaggi di questa “possono derivare dall’intero sistema produttivo attraverso il
miglioramento dell’efficienza aziendale e dei risultati di gestione”.
In sede di contrattazione aziendale è prevista la possibilità di fare "valutazioni
congiunte", quindi non limitate alle sole informazioni, delle condizioni dell'impresa
e del lavoro ed è demandata la possibilità di attivare procedure d’informazione,
Legislazione nazionale in tema di produttività
56
consultazione, verifica e contrattazione (prevista da leggi, CCNL, accordi e prassi
vigenti) per la gestione degli effetti sociali connessi alle trasformazioni aziendali
(innovazioni tecnologiche, mutamenti organizzativi, processi di ristrutturazione),
che influiscono sulle condizioni di sicurezza e di lavoro, sulla occupazione e sulle
pari opportunità68.
Gli elementi finora analizzati consentono di fissare le caratteristiche principali della
riforma della struttura contrattuale delineata dall’Accordo. Si può affermare che il
documento ha realizzato un nuovo modello di decentramento, nuovo sia rispetto
a quello di tipo gerarchico introdotto dal sistema di contrattazione articolata, sia
rispetto a quello della contrattazione non vincolata69, tipico degli anni ’70. Nello
stesso tempo si può dire che l’accordo del 1993 ha razionalizzato prassi e
discipline già esistenti, che si sono sedimentate nel tempo, a partire dal Protocollo
Scotti70, sostanzialmente orientate a due scopi: favorire l’adattamento di alcune
discipline alle diverse situazioni aziendali, attraverso le clausole di rinvio; evitare la
rinegoziazione di contenuti che abbiano già formato oggetto di contrattazione ad
altri livelli, attraverso il principio di non-ripetibilità.
Nella stesura del Protocollo le parti hanno disegnato una struttura contrattuale
nella quale sono rispettate le esigenze di compatibilità tra politiche e
comportamenti contrattuali seguiti ai diversi livelli e obiettivi di politica dei redditi.
Questa struttura risulta anche dotata di una certa flessibilità tale da far svolgere
al contratto aziendale quella pluralità di funzioni acquisite nel tempo. Alla
68 P. Pirani, La contrattazione articolata, in Unione Italiana del Lavoro, da http://www.uil.it/contrattazione/articolata.htm consultato il 18 ottobre 2014. 69 A partire dalla fine degli anni ’60 fino alla prima metà degli anni ’70 ha luogo la contrattazione “non vincolata”. Tale fase è caratterizzata dal ciclo di lotte sindacali degli anni ’69 e ’70 (c.d. “autunno caldo”) e dall’approvazione dello Statuto dei lavoratori. Durante questa fase ciascuno dei due livelli di contrattazione è formalmente autonomo, e la contrattazione aziendale può essere aperta in qualsiasi momento e in qualsiasi sede per qualsiasi materia durante la vigenza del CCNL; vi è quindi un forte decentramento e la fine dell’ordine gerarchico fondato sulle clausole di rinvio e di tregua. Proprio per questi motivi si parla di contrattazione “non vincolata”. 70 Il Protocollo Scotti è un accordo firmato nella notte del 22 gennaio 1983 fra governo CGIL-CISL-UIL e Confindustria. L'accordo prende il nome dal ministro del lavoro e della previdenza sociale Vincenzo Scotti che condusse la trattativa durata un anno e mezzo e che infine appose la firma per conto del governo. L'accordo si compone di 14 punti che affrontano molti temi: fisco, assegni familiari, assistenza sanitaria, tariffe e prezzi amministrati, scala mobile, orari di lavoro, rinnovi contrattuali, mercato del lavoro, cassa integrazione, fiscalizzazione degli oneri sociali. L'obiettivo principale era di combattere l'inflazione e la sua spirale molto forte nei primi anni ottanta. Tutte le parti si impegnavano, rispettando l'accordo, ad operare in modo da ridurre il tasso d'inflazione al 13% nel 1983 e al 10% nel 1984.
Legislazione nazionale in tema di produttività
57
contrattazione di secondo livello, infatti, è riconosciuto anche un ruolo autonomo
e specializzato su certe materie (premi di produttività e/o redditività; innovazioni
tecnologiche ed organizzative del lavoro), oltre al tradizionale ruolo di gestione ed
applicazione delle normative generali, che necessitano di essere adeguate alle
specifiche caratteristiche ed esigenze di ogni unità produttiva (inquadramento,
orario, pari opportunità , ambiente di lavoro).
Con il Protocollo del 23 Luglio 1993, inoltre, sulla politica dei redditi e
dell’occupazione, degli assetti contrattuali, sulle politiche del lavoro e sul sostegno
al sistema produttivo, il Governo e le parti sociali hanno recepito i suggerimenti
forniti dalla Raccomandazione del Consiglio CE, a loro volta ispirati da prassi
contrattuali consolidate a livello europeo71.
Il sistema disegnato dall’accordo del 1993 presenta significative novità anche
strumentali rispetto a quelle del decennio precedente: una definizione completa
dell’assetto contrattuale, che comprende la procedimentalizzazione-
programmazione della contrattazione nazionale e un controllo preciso sulla
contrattazione decentrata, nonché un riconoscimento, con regolazione, degli attori
sindacali periferici.
Quanto specificato fino ad ora relativamente al contenuto dell’accordo del 23
luglio 1993 è di interesse per questo elaborato di tesi perché con la contrattazione
aziendale si è cercato di promuovere la parte retributiva legata all’aumento della
produttività dell’azienda e al miglioramento delle pratiche interne al processo
produttivo. Tra i contenuti dell’accordo in esame non sono presenti strumenti volti
solamente all’aumento e alla promozione della produttività del lavoro, ma
considerevole spazio è dedicato al sostegno del sistema produttivo ed anche alla
crescita della produttività totale dei fattori.
Come specificato nel primo capitolo di questo elaborato, la produttività totale dei
fattori contribuisce all’aumento della produttività in generale dell’azienda, e nella
quarta parte dell’accordo (sostegno al sistema produttivo) il primo comma è
dedicato al sostegno della ricerca e dell’innovazione tecnologica.
71 M. Regini, Le politiche nazionali di regolazione salariale in Europa, in Gior. Dir. Lav. Rel. Ind., 1991.
Legislazione nazionale in tema di produttività
58
Il Protocollo riconosce come “condizione essenziale per la competitività dei sistemi
economico-industriali dell’Italia e dell’Europa72” un più intenso e diffuso progresso
tecnologico.
Per le parti stipulanti l’accordo, di fondamentale importanza è aiutare e valorizzare
tutte le strutture che operano nel campo della ricerca sul territorio nazionale, sia
quelle pubbliche (Università, CNR, ENEA), sia quelle private e aziendali. Per
questo, tra gli obiettivi di politica di redditi dell’accordo rientrano “la creazione di
adeguati margini nei conti economici delle imprese per le risorse finalizzate a
sostenere i costi della ricerca”.
Viene proposto quindi un aumento delle risorse destinate all’attività di ricerca e
all’innovazione e l’introduzione di nuove misure automatiche di carattere fiscale e
contributivo per promuovere la ricerca tramite la defiscalizzazione delle spese
finalizzate a questa attività.
Sempre in tema di produttività totale dei fattori, l’accordo in esame esprime
l’esigenza di un più stretto contatto tra mondo universitario e mondo delle
imprese per favorire la nascita e lo sviluppo di risorse umane composte da nuclei
di ricercatori che possano generare una fertilizzazione tra innovazione e prodotti,
ponendo una particolare attenzione anche ai processi di sviluppo delle piccole e
medie imprese.
1.2 L’accordo quadro del 22 gennaio 2009.
Il Protocollo del 1993 è stato sostituito dall’accordo quadro del 22 gennaio
2009 e successivamente dagli accordi interconfederali emanati in sua
attuazione73 , che hanno confermato in via generale i contenuti presenti nel
sistema precedente, includendo però delle modifiche destinate a rafforzare il
72 Accordo interconfederale 23 luglio 1993, sezione quarta (“sostegno al sistema produttivo”), primo comma. 73 Sono da menzionale l’A. I. 15 aprile 2009 per il settore industriale, l’A.I. Confservizi del novembre 2009 e l’A.I. del settore agricolo del 22 settembre 2009. In questo elaborato, se non diversamente specificato quando si farà riferimento all’accordo interconfederale del 2009 sarà a riferimento di quello del settore industriale.
Legislazione nazionale in tema di produttività
59
secondo livello contrattuale, dato che in seguito all’accordo del 1993 quest’ultimo
era ripartito, ma mai del tutto decollato74.
L’accordo del 22 gennaio 2009 viene firmato dalle associazioni imprenditoriali,
assieme a CISL, UIL, UGL e Governo75, e riforma le procedure, le fasi e i tempi
della contrattazione collettiva, sostituendosi all’accordo del luglio 1993, e
applicandosi sia al settore privato sia al settore pubblico per quattro anni in via
sperimentale. L’obiettivo dell’accordo in esame è quello dello “sviluppo economico
e della crescita occupazionale fondata sull’aumento della produttività, l’efficiente
dinamica retributiva e il miglioramento di prodotti e servizi resi alle pubbliche
amministrazioni”.
L’assetto della contrattazione collettiva viene confermato su due livelli e viene
però modificata la durata del contratto collettivo nazionale di categoria, che
diventa triennale sia per la parte economica sia per la parte normativa.
Il contratto collettivo nazionale di categoria ha la “funzione di garantire la certezza
dei trattamenti economici e normativi comuni per tutti i lavoratori del settore
ovunque impiegati nel territorio nazionale” 76 ; “regola il sistema di relazioni
industriali a livello nazionale, territoriale e aziendale o di pubblica
amministrazione” 77 ; “può definire ulteriori forme di bilateralità per il
funzionamento di servizi integrativi di walfare” 78 . Allo stesso tempo la
contrattazione di secondo livello “si esercita per le materie delegate, in tutto o in
parte, dal contratto nazionale o dalla legge e deve riguardare materie ed istituti
che non siano già stati negoziati in altri livelli di contrattazione”79.
74 C. Zoli, Struttura della contrattazione collettiva e rapporti fra contratti collettivi di diverso livello, in Istituzioni e regole del lavoro flessibile, a cura di M. Rusciano, C. Zoli, e L. Zoppoli, 2006, Napoli, Editoriale Scientifica, pp. 301 e seguenti. A. Lassandri, Contrattazione collettiva e produttività: cronaca di evocazioni (ripetute) e di incontri (mancati), in Riv. Giu. Lav. Prev. Soc., 2009, vol,. 2, pp. 299-333. 75 L’accordo non è stato firmato dalla CGIL, la quale, nel proprio commento, scriver che “la costruzione di questa intesa separata contiene un’esplicita volontà di esclusione della CGIL”. Per questo motivo questo sindacato rivendicava ancora l’applicazione del protocollo del 1993. L’unitarietà delle parti sindacali è stata raggiunta di nuovo con la sottoscrizione dell’accordo interconfederale del 28 giugno 2011, dove le diverse confederazioni ribadiscono l’importanza di una regolazione del sistema di relazioni industriali condiviso. 76 Accordo quadro 22 gennaio 2009, pag 2, punto secondo. 77 Accordo quadro 22 gennaio 2009, pag 4, punto terzo. 78 Accordo quadro 22 gennaio 2009, pag 4, punto quarto. 79 Accordo quadro 22 gennaio 2009, pag 5, punto undicesimo.
Legislazione nazionale in tema di produttività
60
Sempre in relazione al secondo livello di contrattazione, il punto 9 dell’accordo in
esame specifica che “le parti confermano la necessità che vengano incrementate
(…) tutte le misure volte ad incentivare, in termini di riduzione di tasse e
contributi, la contrattazione di secondo livello”, dato che questa “collega incentivi
economici al raggiungimento di obiettivi di produttività, reddittività, qualità,
competitività nonché ai risultati legati all’andamento economico delle imprese,
concordati fra le parti”80.
L’accordo interconfederale del 15 aprile 2009 in modo specifico riduce il ruolo
dell’accordo nazionale in materia retributiva con il fine di favorire lo sviluppo e la
diffusione del secondo livello di contrattazione; infatti, a livello nazionale viene
riconosciuto solamente il compito di salvaguardare il potere d’acquisto delle
retribuzioni81, mentre al secondo livello contrattuale viene affidato quello di far
crescere la retribuzione in termini reali. Relativamente a questo argomento le
parti nel Protocollo del 1993 erano arrivate ad una soluzione differente: grazie
soprattutto alla scarsa diffusione della contrattazione aziendale e territoriale, il
contratto collettivo nazionale non doveva solamente adeguare le retribuzioni ai
cambiamenti del costo della vita, ma poteva anche distribuire ai lavoratori margini
di produttività raggiunti in un determinato settore e in questo modo determinare
degli aumenti reali dei trattamenti economici.
Per quanto riguarda la definizione di secondo livello, anche in questo accordo le
parti confermano l’alternatività della contrattazione aziendale e territoriale. Forse
le parti hanno compiuto la scelta di destinare la facoltà e il compito di poter
accrescere in termini reali la retribuzione solo al secondo livello di contrattazione
per favorire la diffusione di questa tipologia di contratto.
Il parziale fallimento dell’accordo del 1993 è riconducibile proprio al fatto di non
essere riuscito a creare un sistema di contrattazione realmente basato sui due
livelli, questo anche grazie alla scelta di molti contratti nazionali di prevedere la
contrattazione solamente aziendale 82 , senza aver promosso quella di natura
80 Accordo quadro 22 gennaio 2009, pag 4, punto nono. 81 T. Treu, Le forme retributive incentivanti, in Riv. Ita. Dir. Lav., 2010, Vol. 1, pp. 640-652. 82 A. Lassandri, La contrattazione collettiva: prove di de-costruzione di un sistema, in Lav. Dir., 2011, vol.2, pp. 326 e seguenti.
Legislazione nazionale in tema di produttività
61
territoriale83. Con riferimento alla dimensione delle aziende presenti sul territorio
italiano, dove prevalgono imprese di piccole dimensioni o medio-piccole, la
contrattazione aziendale è un costo difficilmente sostenibile e per questo motivo
questa tipologia di contrattazione non ha preso piede, poiché comporta costi
maggiori rispetto ai benefici che produce. Forse una promozione della
contrattazione territoriale porterebbe ad un uso più ampio del secondo livello, ma
gli accordi del 2009, ribadendo la presenza alternativa di contrattazione aziendale
o territoriale, non hanno compiuto alcun passo in questa direzione84.
In materia di retribuzione variabile, come precedentemente anticipato, è stata
confermata la competenza esclusiva del contratto collettivo di secondo livello.
L’accordo interconfederale del 2009, in parte diversamente da quanto previsto
dall’accordo del 1993, afferma che “il premio variabile sarà calcolato con
riferimento ai risultati conseguiti nella realizzazione di programmi, concordati fra
le parti, aventi come obiettivo incrementi di produttività, di qualità, di reddittività,
di efficacia, di innovazione, di efficienza organizzativa ed altri elementi rilevanti ai
fini del miglioramento della competitività aziendale nonché ai risultati legati
all’andamento economico dell’impresa”85. Secondo parte della dottrina86, questa
definizione non porta ad una destinazione meritocratica e selettiva della
retribuzione variabile, poiché con la valorizzazione delle accezioni “competitività
aziendale” e “all’andamento economico dell’impresa” si tenderebbe a premiare la
totalità dei lavoratori grazie all’andamento positivo dell’azienda in generale.
Secondo altra interpretazione87, invece, la formula dell’accordo interconfederale
del 2009 è in grado di coprire tutti i sistemi di retribuzione variabile, legati sia ai
83 La contrattazione territoriale ha continuato a svilupparsi nei settori in cui da sempre è stata presente, come il settore dell’edilizia e dell’agricoltura. R. Voza, Effettività e competenze della contrattazione decentrata nel lavoro alla luce degli accordi del 2009, in Gior. Dir. Lav. Rel. Ind., 2010, vol. 2, pp. 362-375. 84 R. Voza, 2010, opera citata; M. Rusciano, Livelli di contrattazione e trattamenti retributivi, in Studi in onore di Tiziano Treu, Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano, Istituto giuridico, 2011, pp. 571-583. 85 Accordo interconfederale 15 aprile 2009, parte terza, punto terzo. 86 A. Maresca, Le forme storiche di trattamento retributivo: a tempo, a cottimo e con partecipazione agli utili, testo provvisorio dell’intervento tenuto il 22 aprile 2010, presso L’Accademia Nazionale dei Lincei, Roma. M. Vitaletti, La retribuzione c.d. di produttività nella nuova contrattazione aziendale: questioni ed esiti, in Lav. Dir., 2011, vol.4, pp. 689-702. 87 T. Treu, Le forme retributive incentivanti, in Riv. Ita. Dir. Lav., 2010, Vol. 1, pp. 640-652.
Legislazione nazionale in tema di produttività
62
caratteri della prestazione del singolo lavoratore sia ai parametri di risultato
dell’impresa in generale.
Sicuramente la formulazione di questo paragrafo dell’accordo del 2009 è meno
chiara rispetto alla formulazione della stessa materia contenuta nel protocollo del
1993, questo potrebbe essere dovuto alla debolezza delle confederazioni sindacali
derivante dalla non unità di azione. La forza in questo modo acquistata da
Confindustria può aver portato a rendere più incerta la formulazione della
disposizione per far prevalere l’interpretazione più aziendalistica di retribuzione
variabile, notoriamente preferita dai datori di lavoro.
Un aspetto la cui importanza è sottolineata dall’accordo è la collaborazione tra
datore di lavoro e rappresentanti sindacali; infatti queste parti devono effettuare
incontri preventivi per vagliare “le condizioni produttive ed occupazionali e le
relative prospettive”88 dell’impresa affinché i sindacati dei lavoratori siano nelle
condizioni di contrattare in modo effettivo gli obiettivi della retribuzione variabile
con la controparte. Dopo questo scambio di informazioni è prevista l’apertura
della contrattazione del premio di risultato.
Per mezzo di queste previsioni, l’accordo interconfederale del 2009 ed i contratti
collettivi a livello nazionale o aziendale, procedimentalizzano i poteri datoriali per
favorire il consenso delle parti sulla regolamentazione dei premi di risultato e per
evitare che la retribuzione variabile divenga causa di crescita di conflittualità fra di
esse: per raggiungere tale obiettivo è fondamentale migliorare la trasparenza e la
partecipazione nella formazione del sistema89.
Gli accordi del 2009 assieme all’accordo interconfederale del 28 giugno 2011, che
sarà oggetto di analisi in un paragrafo successivo di questo elaborato,
confermando quanto già previsto dal protocollo del 1993, riconoscono alla
contrattazione collettiva di secondo livello la competenza a disciplinare la
88 Accordo interconfederale 15 aprile 2009, paragrafo 3.3. 89 Secondo gran parte degli studi di organizzazione aziendale è di fondamentale importanza per il funzionamento del sistema incentivante che i valutati o i loro rappresentanti siano coinvolti nel processo di fissazione degli obiettivi. In questo modo si permette ai lavoratori di capire a pieno il funzionamento del sistema, base fondamentale perché esso svolga la sua funzione incentivante e non determini una crescita del contenzioso fra le parti. R. Mercurio e V. Esposito, La valutazione delle strutture: il punto di vista dello studioso di organizzazione, in Ideologia e tecnica nella riforma del lavoro pubblico, a cura di L. Zoppoli, 2009, Napoli, Editoriale scientifica, pp. 224 e seguenti.
Legislazione nazionale in tema di produttività
63
retribuzione variabile. La diffusione del contratto aziendale e territoriale è il
presupposto per la regolamentazione dei premi di risultato ed è divenuta più
urgente in seguito alla riduzione del ruolo del contratto nazionale in materia
retributiva.
L’accordo interconfederale del 15 aprile 2009 constatato il fatto che il protocollo
del 1993 non era riuscito nell’obiettivo di promuovere la diffusione del contratto di
secondo livello, introduce l’elemento economico di garanzia retributiva, le clausole
di uscita dal contratto nazionale e le linee guida per la retribuzione variabile per
perseguire tale intento. Relativamente alle clausole di uscita verrà analizzata
successivamente la regolamentazione dell’accordo del 28 giugno 2011 che ha
modificato la disciplina del 2009.
Il contratto nazionale deve regolare un elemento economico di garanzia
retributiva90 che consiste in un importo da riconoscere in cifra fissa a favore dei
lavoratori dipendenti di aziende che non hanno contrattazione di secondo livello e
dei prestatori che “non percepiscono altri trattamenti economici individuali o
collettivi oltre a quanto spettante per contratto collettivo nazionale di categoria”91.
L’elemento di garanzia non sembra in grado di raggiungere l’obiettivo che le parti
sociali si erano proposte 92 visto che i sindacati ne hanno ammesso la non
applicazione non solo quando i lavoratori ricevono trattamenti economici
aggiuntivi rispetto a quelli previsti dal contratto nazionale, ma anche quando
questi percepiscono incrementi della retribuzione a livello individuale in imprese
che non hanno accordo di secondo livello. Un superminimo di qualsiasi entità
comporta la disapplicazione dell’elemento di garanzia poiché l’accordo del 2009
non precisa a quanto debba ammontare l’erogazione individuale per comportarne
la disapplicazione. In questo modo non si crea un interesse per le imprese a
sperimentare la contrattazione aziendale, che prevede un confronto con le
90 R. Voza, Effettività e competenze della contrattazione decentrata nel lavoro privato alla luce degli accordi del 2009, in Gior. Dir. Lav. Rel. Ind., 2010, vol.2, p. 376; G. Ferraro, Retribuzione e assetto della contrattazione collettiva, in Riv. Ita. Dir. Lav., 2010, vol. 1, p. 709; A. Lassandri, Contrattazione collettiva e produttività: cronaca di evocazioni (ripetute) e di incontri (mancati), in Riv. Giu. Lav. Rel. Ind., 2009, vol. 2, p. 329. 91 Accordo interconfederale 15 aprile 2009, paragrafo 4.1. 92 Nell’accordo interconfederale del 15 aprile 2009 l’elemento economico di garanzia viene introdotto “ai fini dell’effettività della diffusione della contrattazione di secondo livello”.
Legislazione nazionale in tema di produttività
64
organizzazioni sindacali e rappresenta un costo, sia in termini di risorse
economiche che di tempo investito per raggiungere l’intesa, ma si rende sempre
più appetibile “la dimensione dell’unilateralità gestionale” 93 . L’elemento di
garanzia retributiva avrebbe incentivato la contrattazione di secondo livello solo
nel caso in cui questo fosse stato fissato pari a una cifra elevata. In questo caso,
molte imprese avrebbero preferito attivare la contrattazione aziendale per rendere
aleatoria l’erogazione della parte aggiuntiva della retribuzione piuttosto che avere
per certa l’erogazione di una somma cospicua a tutti i dipendenti. Questa
soluzione però rischiava di incentivare le imprese ad uscire dal sistema di
contrattazione nazionale per non dover applicare un trattamento economico
notevolmente superiore ai minimi retributivi. Il problema è stato risolto dai
contratti nazionali rinnovati dopo gli accordi del 2009 che hanno previsto
l’erogazione di elementi di garanzia modesti, attestati in media intorno ai 200
euro lordi per anno94. E’ difficile pensare che le imprese abbiano interesse ad
attivare il secondo livello di contrattazione collettiva per non erogare somme così
ridotte.
Il paragrafo 3.4 dell’accordo interconfederale del 2009 riconosce alle parti
stipulanti il contratto nazionale la possibilità di concordare linee guida per il
premio variabile che saranno “adottabili e/o riadattabili in funzione delle concrete
esigenze delle imprese”95.
Nonostante l’accordo del 23 luglio 1993 non contenesse una previsione di questo
genere, gran parte degli accordi nazionali aveva predisposto una
regolamentazione dei premi di risultato al fine di favorire, e allo stesso tempo
rendere più semplice, la contrattazione aziendale e territoriale. Questa scelta
nasceva dal fatto che molte volte il mancato raggiungimento dell’accordo di
93 A. Lassandri, Contrattazione collettiva e produttività: cronaca di evocazioni (ripetute) e di incontri (mancati), in Riv. Giu. Lav. Rel. Ind., 2009, vol. 2, p. 331. 94 Il ccnl delle industrie alimentari dell’11 dicembre 2009 prevede l’erogazione, a titolo di elementi di garanzia retributiva, di somme che variano da €16 a €37 mensili a seconda del livello di inquadramento del lavoratore; in modo analogo il ccnl delle industrie del settore chimico-farmaceutico del 27 maggio 2010 regola l’attribuzione dell’elemento di garanzia in somme che vanno da €18 a €34 sempre a secondo del livello di inquadramento dei lavoratori; il ccnl delle industrie della carta del 4 novembre 2009 prevede l’erogazione di un elemento di garanzia retributiva di €250 annui lordi per i lavoratori a cui non vengono garantiti aumenti retributivi rispetto a quelli del contratto nazionale. 95 Accordo Interconfederale 15 aprile 2009, paragrafo 3.4.
Legislazione nazionale in tema di produttività
65
secondo livello sui premi di risultato dipendeva dalla inadeguata preparazione dei
rappresentanti sindacali dei lavoratori, che non avevano le conoscenze per
svolgere una contrattazione effettiva e consapevole degli obiettivi da cui far
dipendere l’erogazione del premio96.
Le parti sindacali nel 2009 hanno recepito e regolato questa prassi nell’intento di
favorire la diffusione della contrattazione aziendale con contenuti economici, in
particolare nelle imprese di minori dimensioni.
Le linee guida fissate nel contratto di categoria sono adottabili dal contratto
aziendale senza alcuna modifica, ma anche riadattabili in relazione alle specifiche
esigenze aziendali.
1.3 L’accordo interconfederale del 28 giugno 2011.
Tale accordo viene concluso, a differenza di quello precedente, da
Confindustria e CGIL, CISL e UIL97, segnando in questo modo la ripresa del
dialogo tra le parti sociali; l’obiettivo è quello di delineare nuove regole che siano
condivise in tema di rappresentatività delle organizzazioni sindacali e dei
lavoratori, e di rafforzare il sistema di relazioni industriali in vista di una maggiore
condivisione.
Se, da un lato, viene ribadito il ruolo del contratto collettivo nazionale, che ha la
“funzione di garantire la certezza dei trattamenti economici e normativi comuni
per tutti i lavoratori del settore ovunque impiegati nel territorio nazionale”98;
dall’altro si afferma l’”obiettivo di favorire lo sviluppo e la diffusione della
contrattazione collettiva di secondo livello”99, la quale si “esercita per le materie
delegate, in tutto o in parte, dal CCNL di categoria o dalla legge”100.
Il succedersi dei due accordi interconfederali, quello del 2009 e quello del 2011,
ha portato la dottrina101 ad interrogarsi sui rapporti fra di essi. La vigenza delle
96 L. Bellardi, Obiettivi, discipline e buone pratiche dei contratti di secondo livello: una breve rassegna, in Dir. Lav. Mer., 2008, vol.1, pp 187-204 97 L’accordo verrà ratificato il 21 settembre 2011. 98 Accordo interconfederale 28 giugno 2011, pag. 2, punto secondo. 99 Accordo interconfederale 28 giugno 2011, pag. 1. 100 Accordo interconfederale 28 giugno 2011, pag. 2, punto terzo. 101 C. Zoli, L’accordo interconfederale del 28 giugno 2011, saggio sulla relazione tenuta al Seminario di Bertinoro, Bologna, 26-27 ottobre 2011, sul tema “All’inseguimento di un “Sistema stabile ed effettivo: dall’Accordo Interconfederale del 28 giugno 2011 all’art.8 della legge di conversione del D.L. n° 138/2011”;
Legislazione nazionale in tema di produttività
66
intese del 1993 e del 2009 rimane ad oggi controversa102, in quanto l’accordo
interconfederale del 28 giugno 2011 non interviene su una serie di questioni
regolate dai precedenti accordi; per quanto interessa ai fini della presente analisi,
l’accordo del 2011 non disciplina la retribuzione variabile, anche se è richiamata
nel paragrafo 8, e l’elemento economico di garanzia retributiva. Per questi aspetti
si ritiene vigente l’accordo del 2009, in quanto la disciplina qui contenuta “non
sembra singolarmente incompatibile con le misure concordate nel 2011”103.
Come precedentemente anticipato, l’accordo interconfederale del 2011 ha
cambiato le regole riguardanti le clausole d’uscita già regolate dall’accordo del
2009. Attraverso le clausole di uscita i contratti collettivi nazionali possono
consentire agli accordi aziendali 104 di modificare, anche temporaneamente, le
disposizioni presenti nel contratto nazionale105.
Secondo l’accordo, le deroghe sono consentite in via generale, nei limiti e con le
procedure fissate nei contratti collettivi nazionali. Questo accordo ha ampliato di
molto la facoltà del contratto nazionale di disciplinare le clausole di uscita perché
ha delegato a quest’ultimo la competenza di fissare i limiti e le procedure che gli
accordi aziendali devono rispettare: le confederazioni non impongono più al
contratto nazionale di fissare i parametri oggettivi sulla base dei quali gli accordi
aziendali eserciteranno il potere di deroga e non individuano più precedentemente
le materie entro le quali questa facoltà modificativa è conferita.
L’accordo del 2011, in attesa dei rinnovi degli accordi nazionali che hanno
competenza a modificare e regolare la materia, ha introdotto una disciplina
provvisoria delle clausole di uscita secondo la quale sono ammesse le deroghe per
“gestire situazioni di crisi o in presenza di investimenti significativi per favorire lo
sviluppo economico ed occupazionale dell’impresa” 106 . Le modificazioni sono
permesse solo in materia di prestazione lavorativa, orari di lavoro e
F. Carinci, L’accordo interconfederale del 28 giugno 2011: armistizio o pace, in Arg. Dir. Lav., 2011, pp. 457-462. 102 C. Zoli, L’accordo interconfederale.., opera citata, 2011, p. 6. 103 C. Zoli, L’accordo interconfederale.., opera citata, 2011, p. 7. 104 L’accordo del 15 aprile 2009 prevedeva che le clausole di uscita dovessero essere contenute negli accordi territoriali, mentre l’accordo del 2011 ha conferito tale potere agli accordi aziendali. 105 Accordo interconfederale 28 giugno 2011, paragrafo 7. 106 L’accordo del 15 aprile 2009 ammetteva le deroghe in generale per “favorire lo sviluppo occupazionale”, l’accordo del 28 giugno 2011 restringe il campo d’azione e richiede la presenza di “investimenti significativi”. C. Zoli, L’accordo interconfederale.., opera citata, 2011, p. 11.
Legislazione nazionale in tema di produttività
67
organizzazione del lavoro, non più in apertamente in ogni ambito economico e
normativo come previsto dall’accordo del 2009.
Dopo il punto 7 dell’accordo è importante analizzare il punto successivo, il numero
8, dove le parti richiedono un intervento del Governo per “incrementare, rendere
strutturali, certe e facilmente accessibili tutte le misure volte ad incentivare, in
termini di riduzione di tasse e contributi, la contrattazione di secondo livello”107, in
quanto proprio questa “collega aumenti di retribuzione al raggiungimento di
obiettivi di produttività, redditività, qualità, efficacia ed altri elementi rilevanti ai
fini del miglioramento della competitività nonché ai risultati legati all’andamento
economico delle imprese”.
1.4 L’art. 8 della Legge n. 148/2011.
Il momento economico in cui si inserisce l’articolo 8 della L. n. 148/2011108
è caratterizzato sia dalla crisi economica sia dalla crisi di governo.
Tale articolo apre il titolo III denominato “misure a sostegno dell’occupazione.
Non a caso l’art. 8 a sua volta è denominato “sostegno alla contrattazione di
prossimità”, visto che questa è considerata dal legislatore quella più “prossima”
alle esigenze delle parti ed è quella che maggiormente corrisponde ai loro
interessi109.
Questo articolo è considerato una novità assoluta nel sistema italiano di relazioni
sindacali dal momento che il legislatore, con il fine di promuovere il secondo
livello di contrattazione, riconosce ai contratti aziendali e territoriali la facoltà di
derogare agli accordi nazionali ed anche alla legge110.
107 Accordo interconfederale 28 giugno 2011, paragrafo 8. 108 Precedentemente art. 8 della manovra economica bis di agosto, Decreto Legge 13 agosto 2011 n. 138, convertito in legge con modificazioni in settembre, Legge 14 settembre 2011 n. 148; (“ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo”) http://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:decreto.legge:2011;138; e (“conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 13 agosto 2011, n.138, recante ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo. Delega al Governo per la riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari”) http://www.normattiva.it/uri.res/N2Ls?urn:nir:stato:legge:2011;148. 109 G. Ferraro, Il contratto collettivo oggi dopo l’art. 8 del decreto 138/2011, WP CSDLE “Massimo D’Antona” n.129/2011. 110 A. Perulli e V. Speziale, L’articolo 8 della legge 14 settembre 2011, n.148 e la “rivoluzione d’agosto” del diritto del lavoro, in WP CSDLE “Massimo D’Antona” 132/2011; F. Carinci, Al capezzale del sistema contrattuale: il giudice, il sindacato, il legislatore, in WP CSDLE “Massimo D’Antona”, n.133/2011.
Legislazione nazionale in tema di produttività
68
I commi 1, 2 e 2-bis introducono “uno strumento giuridico opzionale attraverso il
quale le parti sociali possono creare un diritto del lavoro di prossimità, anche in
deroga a quello nazionale vigente”111.
Per il comma 1 “i contratti collettivi sottoscritti a livello aziendale o territoriale (…)
possono realizzare specifiche intese”; tali contratti possono essere stipulati da
“associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano
nazionale o territoriale ovvero dalle loro rappresentanze sindacali operanti in
azienda ai sensi della normativa di legge e degli accordi interconfederali”112, in
questo modo dette intese avranno efficacia relativamente a tutti i lavoratori
subordinati interessati se “sottoscritte sulla base di un criterio maggioritario
relativo alle predette rappresentanze sindacali”.
Le intese in esame possono essere stipulate solo se “finalizzate alla maggiore
occupazione, alla qualità dei contratti di lavoro, all’adozione di forme di
partecipazione dei lavoratori, alla emersione del lavoro irregolare, agli incrementi
di competitività e di salario, alla gestione delle crisi aziendali e occupazionali, agli
investimenti e all’avvio di nuove attività”. Nell’elencazione delle situazioni in cui è
possibile stipulare tali accordi viene richiamato in parte quanto già previsto
dall’accordo interconfederale del 2009, ma rispetto a questo l’art. 8 si differenzia
poiché da una parte, l’elenco sembra essere tassativo e non esemplificativo, e
dall’altra, gli obiettivi sono indirizzati sia alla ricerca del miglioramento della
competitività sia a una serie di aspetti che hanno a che fare con profili di
sistema113.
Il comma 2 prevede l’elencazione delle materie nelle quali gli accordi di prossimità
possono modificare le norme di legge e il contratto nazionale che riguardano
“materie inerenti l’organizzazione del lavoro e della produzione”114.
62 E. Ales, Dal “caso FIAT” al “caso Italia”. Il diritto del lavoro ”di prossimità”, le sue scaturigini e i suoi limiti costituzionali, in WP CSDLE “Massimo D’Antona”, 2011, p. 17. 112 Art. 8 Legge 14 settembre 2011, n. 148, comma 1. 113 Come la “qualità dei contratti di lavoro, l’adozione di forme di partecipazione dei lavoratori, l’emersione del lavoro irregolare”, da E. Ales, Dal “caso FIAT” al “caso Italia”. Il diritto del lavoro ”di prossimità”, le sue scaturigini e i suoi limiti costituzionali, in WP CSDLE “Massimo D’Antona”, 2011, p. 20. 114 Troviamo un lungo elenco di materie da considerarsi tassativo: “a) agli impianti audiovisivi e alla introduzione di nuove tecnologie; b) alle mansioni del lavoratore, alla classificazione e inquadramento del personale; c) ai contratti a termine, ai contratti a orario ridotto, modulato o flessibile, al regime della solidarietà negli appalti e ai casi di ricorso alla somministrazione di
Legislazione nazionale in tema di produttività
69
Il comma 2-bis dell’art. 8, aggiunto in sede di conversione115, prevede che “fermo
restando il rispetto della Costituzione, nonché i vincoli derivanti dalle normative
comunitarie e dalle convenzioni internazionali sul lavoro, le specifiche intese di cui
al comma 1 operano anche in deroga alle disposizioni di legge che disciplinano le
materie richiamate dal comma 2 ed alle relative regolamentazioni contenute nei
contratti collettivi nazionali di lavoro”. Questo comma è stato quello che ha
suscitato le maggiori critiche, poiché “si tratta di una disposizione di delega
derogatoria senza precedenti nella storia del nostro ordinamento, pur da tempo
abituato al rinvio legale della contrattazione collettiva”116.
In questo modo la legge conferisce potestà derogatoria all’accordo di prossimità
che assume efficacia erga omnes, si trova in una posizione superiore rispetto al
contratto collettivo nazionale e si riscontra un “capovolgimento del sistema
contrattuale, riconsiderato bottom-top”117.
E’ da sottolineare però che solamente nel caso in cui vengano soddisfatti entrambi
i requisiti stabiliti dai commi 2 e 2-bis potrà riconoscersi ai contratti di prossimità
una portata erga omnes e la possibilità di prevedere deroghe alla legge e alla
contrattazione collettiva nazionale. La necessità di verificare il rispetto di tali
requisiti apre, quindi, la strada al controllo giudiziario delle intese stipulate ai sensi
dell'art. 8, sia in ordine all'adeguatezza causale e di proporzionalità della misura
lavoro; d) alla disciplina dell’orario di lavoro; e) alle modalità di assunzione e disciplina del rapporto di lavoro, comprese le collaborazioni coordinate e continuative a progetto e le partite IVA, alla trasformazione e conversione dei contratti di lavoro e alle conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro, fatta eccezione per il licenziamento discriminatorio, il licenziamento della lavoratrice in concomitanza del matrimonio, il licenziamento della lavoratrice dall’inizio del periodo di gravidanza fino al termine dei periodi di interdizione al lavoro, nonché fino ad un anno di età del bambino, il licenziamento causato dalla domanda o dalla fruizione del congedo parentale e per la malattia del bambino da parte della lavoratrice o del lavoratore ed il licenziamento in caso di adozione o affidamento. 115 Dato che, secondo Garilli, il D.L. n. 138 del 2011 “non contenendo la deroga espressa (in peggio) lasciava adito al dubbio se la disposizione si limitasse al conferimento dell’efficacia erga omnes della disciplina inerente le materie indicate senza interferire sulla gerarchia delle fonti e sui rapporti tra i livelli di contrattazione”, A. Garilli, L’art. 8 della legge n. 148/2011 nel sistema delle relazioni sindacali, WP CSDLE “Massimo D’Antona”, 2011, p.6. 116 E. Ales, Dal “caso FIAT” al “caso Italia”. Il diritto del lavoro ”di prossimità”, le sue scaturigini e i suoi limiti costituzionali, in WP CSDLE “Massimo D’Antona”, 2011, p. 21. 117 F. Carinci, Al capezzale del sistema contrattuale: il giudice, il sindacato, il legislatore, in WP CSDLE “Massimo D’Antona”, n.133/2011, 2011, p. 34.
Legislazione nazionale in tema di produttività
70
adottata in funzione dell'obiettivo prefissato sia con riguardo al rispetto dei
principi costituzionali e delle convenzioni internazionali118.
1.5 L’accordo interconfederale del 21 novembre 2012.
Il 21 novembre 2012, Confindustria, Alleanza delle Cooperative Italiane,
Rete Impresa Italia, Abi, Ania, Cisl, Uil e Ugl hanno firmato l’accordo sulle Linee
programmatiche per la crescita della produttività e della competitività in Italia, per
aggiornare gli obiettivi da raggiungere all’interno del contesto economico-
produttivo e del mercato del lavoro, e per rendere omogenee le regole in materia
di struttura contrattuale in tutte le aree di impresa119.
Sul piano sindacale tale accordo è da segnalare per due aspetti: il primo è che
non è stato sottoscritto dalla Cgil, il secondo è che è stato sottoscritto da quasi
tutte le associazioni d’impresa. In questo modo, la sua applicabilità è minata dal
mancato consenso del più importante sindacato italiano, ma è fortemente
rafforzata dalla firma quasi del tutto unitaria del sistema imprenditoriale.
La trattativa nasce con l’invito rivolto alle parti sociali da parte dell’allora
Presidente del Consiglio Monti per porre rimedio al deficit di produttività e quindi
di competitività che da anni caratterizzava il Paese.
In uno scenario economico caratterizzato dalla crisi del mercato globale e
dall’assenza di strumenti legislativi adatti a contrastarla, l’accordo in esame si
propone di creare “condizioni di competitività e produttività tali da rafforzare il
sistema produttivo, l’occupazione e le retribuzioni”120 e si concorda di “orientare la
contrattazione collettiva, nelle diverse sedi, alla regolarizzazione dei rapporti di
lavoro, all’emersione del sommerso, alla produzione di quel maggiore valore
aggiunto che possa essere distribuito fra i fattori che hanno contribuito a
determinarlo”.
Le parti firmatarie considerano la “contrattazione collettiva uno strumento utile
per perseguire la crescita della produttività e della competitività in Italia”,
attraverso essa è infatti “possibile definire modalità e strumenti per perseguire e 118 L. Draffa, L'art. 8 della legge n. 148/2011: limiti della portata derogatoria, 09 novembre 2011, http//www.diritto24.ilsole24ore.com/art/avvocatoAffari/mercatiImpresa/2014-01-27/lart-legge-1482011-limiti-122500.php 119 G. Giugni, Diritto sindacale, Cacucci Editore, 2013, Bari, pp 17-21. 120 Accordo interconfederale 21 novembre 2012, seconda parte.
Legislazione nazionale in tema di produttività
71
raggiungere obiettivi di miglioramento della produttività contemperando le ragioni
delle imprese e delle persone che vi lavorano”121.
Sempre nella parte di premessa, i firmatari credono che “l’autonomia contrattuale
debba essere valorizzata con riferimento ai contenuti delle intese finalizzate a
perseguire i miglioramenti della produttività”, e credono che il valorizzare gli
accordi collettivi con questi fini deve essere sostenuto e promosso da misure di
incentivazione fiscale e contributiva dal Governo e dal Parlamento attuabili tramite
il “rendere stabili e certe le misure previste dalle disposizioni di legge per
applicare, sui redditi da lavoro dipendente fino a 40 mila euro lordi annui, la
detassazione del salario di produttività attraverso la determinazione di un’imposta,
sostitutiva dell’IRPEF e delle addizionali, al 10%”, e l’applicazione della Legge
numero 247 del 2007 che “prevede lo sgravio contributivo (…) fino al limite del
5% della retribuzione contrattuale percepita”122.
Nel primo paragrafo dell’accordo, intitolato Considerazioni Introduttive, si accenna
al fatto che l’economia italiana è caratterizzata da problemi strutturali dalla prima
metà degli anni ’90, a cui sono corrisposti una perdita di competitività della stessa
e “una bassa crescita della produttività (che ha comportato) un aumento del costo
del lavoro per unità di prodotto (CLUP123)”124.
Sempre nel primo paragrafo dell’accordo, secondo le parti “è necessario che il
Governo definisca rapidamente indirizzi programmatici e piani di intervento per la
modernizzazione del Paese in cui investimenti pubblici e privati concorrano ad
accrescere i livelli di produttività del sistema Italia” oltre che tramite la
produttività del lavoro anche andando ad agire su molte altre voci che incidono
sulla produttività, sia materiali, come energia, logistica e trasporti, sia immateriali,
come burocrazia, sicurezza, legalità ed istruzione. A fianco di questa necessità
121 Accordo interconfederale 21 novembre 2012, premessa. 122 Accordo interconfederale 21 novembre 2012, premessa. 123 Il CLUP è il rapporto tra il costo del lavoro e la produttività. Seguendo la metodologia adottata dalla Banca d’Italia, il CLUP è calcolato come il rapporto tra i redditi da lavoro dipendente per unità standard di lavoro (costo del lavoro pro capite) e la produttività media del lavoro (valore aggiunto diviso per le unità standard di lavoro). Rappresenta un importante indicatore della competitività delle imprese esistenti in un sistema economico. Se infatti un lavoratore costa più di un altro ma produce proporzionalmente di più, il suo costo del lavoro risulta più alto, ma il suo CLUP risulta più basso. Un aumento del costo del lavoro superiore all’aumento della produttività può costituire una minaccia per la competitività del sistema, se gli altri costi non si aggiustano in proporzione. Definizione tratta da Enciclopedia Treccani. 124 Accordo interconfederale 21 novembre 2012, prima parte.
Legislazione nazionale in tema di produttività
72
“diviene altresì centrale l’investimento nell’ammodernamento dei macchinari e in
ricerca e sviluppo per l’introduzione di innovazioni di prodotto e di processo”125.
Nell’accordo è quindi specificata la necessità di migliorare, oltre alla produttività
del lavoro, anche la produttività totale del fattori, accennando a quali sono le voci
che la compongono e delegando al Governo l’individuazione di strumenti diretti al
miglioramento della situazione attuale in tale campo.
Per perseguire gli obiettivi dell’accordo interconfederale, sopra elencati, in
continuità con l’evoluzione più recente delle relazioni industriali, l’accordo
conferma il sistema di decentramento controllato dal livello nazionale, ma,
propone delle soluzioni più audaci, pone le condizioni per far assumere un ruolo
decisivo alla contrattazione di secondo livello, prefigurando un coordinamento tra
livelli contrattuali di tipo concorrenziale e dinamico, modulabile secondo le
specificità del singolo contesto produttivo126.
Il modello seguito è quello della doppia specializzazione dei livelli contrattuali,
differente da quello delineato dal protocollo del 1993 e quasi in modo sostanziale
riproposto dall’accordo del 22 gennaio 2009 e dall’accordo del 28 giugno 2011.
In questi accordi il criterio di specializzazione aveva come unico fine quello di
definire l’ambito di azione del contratto aziendale riservando al contratto
nazionale la generalità delle competenze non altrimenti specificate. Nell’accordo
del 2012 la specificazione delle competenze agisce in una doppia direzione,
vengono previste per i due diversi livelli contrattuali competenze differenti,
individuate dallo stesso accordo interconfederale.
In questo modo, il contratto collettivo nazionale deve “rendere la dinamica degli
effetti economici, definita entro i limiti fissati dai principi vigenti, coerente con le
tendenze generali dell’economia, del mercato del lavoro, del raffronto competitivo
internazionale e gli andamenti specifici di settore”127 . Sempre al CCNL viene
attribuita una sorta di responsabilità in ordine alla definizione degli ambiti della
contrattazione collettiva di secondo livello, con la assegnazione del compito di
“perseguire la semplificazione normativa, il miglioramento organizzativo e
125 Accordo interconfederale 21 novembre 2012, prima parte. 126 P. Tosi, Gli assetti contrattuali fra tradizione e innovazione, ADL: Arg. Dir. Lav, 2013, pp. 538-542. 127 Accordo interconfederale 21 novembre 2012, parte seconda.
Legislazione nazionale in tema di produttività
73
gestionale” tramite “una chiara delega al secondo livello di contrattazione delle
materie e delle modalità che possono incidere positivamente sulla crescita della
produttività, quali gli istituti contrattuali che disciplinano la prestazione lavorativa,
gli orari e l’organizzazione del lavoro”128.
In questo modo l’accordo conferisce al livello contrattuale superiore un ruolo
finalizzato non più alla sola uniformazione dei trattamenti economici e normativi
dei lavoratori, ma ad una loro articolazione corrispondente alle esigenze della
produzione e della competitività129.
Alla contrattazione di secondo livello, “facilitata da idonee e strutturali politiche
fiscali di vantaggio”130, spetta operare “per aumentare la produttività attraverso
un migliore impiego dei fattori di produzione e dell’organizzazione del lavoro,
correlando a tale aspetto la crescita delle retribuzioni dei lavoratori”131.
Per quel che riguarda la funzione dei due livelli in materia di retribuzione,
l’accordo conferma che il contratto nazionale ha “l’obiettivo (…) di tutelare il
potere d’acquisto delle retribuzioni” precisando però che questo deve avvenire,
riprendendo il protocollo del 1993, considerando l’andamento economico e la
competitività internazionale; come a dire che il recupero del potere d’acquisto, nel
caso in cui queste condizioni fossero negative, non potrà essere totale. Questo è il
primo indice di indebolimento del ruolo del contratto collettivo nazionale132.
I contratti di categoria possono prevedere “che una quota degli aumenti
economici derivanti dai rinnovi contrattuali sia destinata alla pattuizione di
elementi retributivi da collegarsi ad incrementi di produttività e reddittività definiti
dalla contrattazione di secondo livello”133; ma “tale quota resterà parte integrante
dei trattamenti economici comuni per tutti i lavoratori rientranti nel settore di
applicazione dei contratti nazionali laddove non vi fosse o venisse meno la
128 Accordo interconfederale 21 novembre 2012, parte seconda. 129 V. Bavaro, L’aziendalizzazione nell’ordine giuridico-politico del lavoro, in Lav. Dir., 2013 vol. 2, pp. 213-242. 130 Opinioni relative a questo punto riguardanti l’incisività dell’intesa: L. Fiorillo, Misurazione della rappresentanza, efficacia del contratto collettivo ed esercizio dei diritti sindacali in azienda: il nuovo assetto delle relazioni industriali. Analisi e prospettive, in Le relazioni industriali, 2014, Giappichelli Editori, Torino. R. De Luca Tamajo, L’accordo sulla produttività non la farà crescere, 2012, da http://www.linkiesta.it/accordo-salario-produttivita-fiat-pomigliano. 131 Accordo interconfederale 21 novembre 2012, parte seconda. 132 G. Giugni, 2013, Diritto sindacale, Cacucci Editore, Bari, pp 18. 133 Accordo interconfederale 21 novembre 2012, parte seconda.
Legislazione nazionale in tema di produttività
74
contrattazione di secondo livello”. In questo caso ci troviamo di fronte ad un
profilo abbastanza ambiguo dell’Accordo del 21 novembre 2012. Questa
previsione sembra riconoscere alla contrattazione decentrata la possibilità di
derogare in pejus anche i minimi retributivi nazionali (ed è stato questo uno dei
motivi per i quali Cgil non ha firmato l’accordo).
In tal modo la somma certa attribuita dal contratto nazionale, e comunque legata
alla perdita del potere d’acquisto, può essere ridotta ulteriormente, con
corrispondente incremento della retribuzione aleatoria, legata agli elementi di
produttività e reddittività dell’impresa 134 . Si autorizza, così facendo, uno
scivolamento della struttura retributiva in direzione di una valorizzazione del
salario variabile. Un tale scivolamento, che si realizzerebbe in modo inevitabile a
scapito della parte fissa della retribuzione, comporta la possibilità
dell’alleggerimento del costo del lavoro, grazie però ad una erosione della
“funzione solidaristica” 135 del contratto collettivo nazionale del lavoro 136 , che
dovrebbe continuare a “garantire la certezza dei trattamenti economici e
normativi comuni per tutti i lavoratori rientranti nel settore di applicazione del
contratto”.
In realtà non sembra che la nuova previsione vada a modificare in modo
sostanziale quanto già previsto dall’accordo quadro del 2009 relativamente
all’elemento economico di garanzia, considerato che anche l’erogazione di questo
elemento veniva assoggettata alla condizione che i lavoratori non fossero coperti
da un contratto di secondo livello.
Sempre in tema di retribuzione, l’accordo non appare articolare il legame che
dovrebbe collegare retribuzione e risultati economici. La natura della relazione tra
le due variabili se non specificatamente indicata, legata al vantaggio fiscale e
134 A. Lassandri, Divisione sindacale e “crescita di produttività e competitività”, in Lav. Dir., 2013, vol. 2, pp. 243-267. 135 I. Cairo, I rapporti tra contratti collettivi di diverso livello nel settore privato. tesi in Diritto del Lavoro, Alma Mater Studiorum – Università di Bologna. Dottorato di Ricerca in Diritto dell’economia e delle relazioni industriali indirizzo Diritto del Lavoro “Marco Biagi”, Ciclo XXIV, 2013, Bologna. 136 P. Campanella, Decentramento contrattuale e incentivi retributivi nel quadro delle politiche di sostegno alla produttività del lavoro, in PRISMA - Economia Società Lavoro, vol. 1 “crescere in tempo di crisi: il ruolo delle relazioni industriali e della contrattazione collettiva decentrata”, 2013, pp. 7.
Legislazione nazionale in tema di produttività
75
contributivo, potrebbe condurre le parti a comportamenti collusivi che non
gioverebbero per gli aumenti della produttività137.
All’interno di questo accordo, che è mirato all’aumento della produttività e della
competitività, non è stata data meritevole importanza a strumenti quali:
l’innovazione tecnologica, l’innovazione di prodotto, quella sull’organizzazione
dell’impresa, i processi formativi138, di valorizzazione e responsabilizzazione delle
risorse umane, il disegno dei luoghi di lavoro e dell’organizzazione del lavoro
nell’impresa e ai suoi confini sempre meno definiti ex ante, che costituiscono gli
indicatori cui collegare le retribuzioni variabili collettive e di gruppo, secondo gli
studi della letteratura economica operante in tale campo di interesse139.
Dal punto di vista del rapporto tra i due livelli contrattuali si può osservare che se
la contrattazione decentrata consente di assorbire in parte l’aumento retributivo
previsto dal contratto di categoria, questo implica un indebolimento del ruolo di
questo livello contrattuale in materia di retribuzione, anche se può rendere la
dinamica salariale più coerente con l’andamento della produttività e più funzionale
al suo aumento140.
Al secondo livello resta la funzione di legare la crescita delle retribuzioni dei
lavoratori “al raggiungimento di obiettivi di produttività, di qualità, di reddittività,
di efficacia, di innovazione, di valorizzazione del lavoro, di efficienza organizzativa
e altri elementi rilevanti ai fini del miglioramento della competitività del settore
produttivo”141.
137 D. Antonioli, P.Pini, Un accordo sulla produttività pieno di nulla (di buono), Quad. Ras. Sind., 2012, vol. 4, pp. 4. 138 Il paragrafo 5 dell’accordo del 2012 evidenzia il ruolo del binomio formazione e occupabilità delle persone, esprimendo l’esigenza di un rilancio della istruzione tecnico-professionale che va arricchita di “contenuti nuovi”, ma in questa sede non è precisamente indicato come migliorare la formazione al di fuori e all’interno dell’azienda, ma si limita ad auspicare “una verifica e una riorganizzazione del sistema della formazione professionale” senza considerare alcuna connessione con le dinamiche dell’apprendistato di cui al d. lgs. 167/2011 e con le politiche relatve all’apprendimento permanente di cui all’art. 4, comma 51, della legge n. 92/2012. P. Rausei, Accordo 21 novembre 2012. Alla ricerca della produttività perduta fra le pieghe di un sistema di relazioni di lavoro senza bussola, da www.bollettinoadapt.it il 26 novembre 2012. 139 S. Albertini e R. Leoni, Innovazioni organizzative e pratiche di lavoro nelle imprese industriali del Nord, Franco Angelo, 2009, Milano. D. Antonioli, M. Mazzanti, P. Pini, Productivity, Innovation Strategies and Industrial Relations in SME. Empirical Evidence for a Local Manufacturing System in Northern Italy, in International Review of Applied Economics, XXIV, 2010, vol. 4, pp. 435-482. 140 G. Giugni, Diritto sindacale, Cacucci Editore, Bari, 2013, pp 19. 141 Accordo interconfederale 21 novembre 2012, parte seconda.
Legislazione nazionale in tema di produttività
76
In coerenza con la tendenza di rovesciamento del rapporto tra livello nazionale e
decentrato si trovano le previsioni riguardanti la semplificazione normativa del
contratto collettivo nazionale del lavoro e quelle dirette ad “agevolare la
definizione di intese modificative delle norme contrattuali più mirate alle esigenze
degli specifici contesti produttivi”. In primo luogo le parti cercano di puntare a
riscrivere la disciplina del contratto nazionale, per semplificarla ed alleggerirla, per
dare valore alla delega di competenze al secondo livello. Relativamente alle intese
modificative, vengono ampliate le finalità perseguibili per la derogabilità in pejus
del contratto nazionale da parte di quello decentrato, per favorire un maggiore
ricorso a tale strumento. E’ previsto che questi accordi di natura decentrata
possano anche “rappresentare un’alternativa a processi di delocalizzazione,
divenire un elemento importante di attrazione dei nuovi investimenti anche
dall’estero, concorrere alla gestione di situazioni di crisi per la salvaguardia
dell’occupazione, favorire lo sviluppo delle attività esistenti, lo start up di nuove
imprese, il mantenimento della competitività, contribuendo così anche alla
crescita territoriale e alla coesione sociale”142.
La novità è la possibilità che le disposizioni in deroga concorrano con quelle
delegate per il raggiungimento dello stesso obiettivo: la definizione di una
disciplina flessibile fatta su misura per uno specifico contesto produttivo. Le intese
derogatorie, potranno rendersi necessarie quando il contratto collettivo nazionale
non abbia esercitato la sua funzione “di chiara delega delle materie che possono
incidere sulla crescita della produttività”.
Quello che negli accordi del 2009 e del 2011 viene proposto come eccezionale,
legato a vincoli di scopo e a procedure di controllo sindacale esterno, nell’accordo
del novembre 2012 viene proposto come fisiologico, fino al sollecitarsi per esso
una autorizzazione preventiva e generale da parte del contratto collettivo di
categoria, producendo un effetto di trascinamento della deroga entro la delega143.
Riassumendo, la contrattazione di secondo livello può sia disciplinare direttamente
ed esclusivamente, anche solo in parte, alcune materie e/o istituti sulla base delle
142 Accordo interconfederale 21 novembre 2012, parte seconda. 143 P. Tosi, Gli assetti contrattuali fra tradizione e innovazione, ADL: Arg. Dir. Lav., 2013, pp. 541.
Legislazione nazionale in tema di produttività
77
deleghe previste dalla legge o dal contratto di categoria, sia derogare in pejus
quest’ultimo.
All’interno dell’accordo le parti rivendicano una riforma legislativa che consenta
che “la contrattazione collettiva fra le organizzazioni comparativamente più
rappresentative, nei singoli settori, su base nazionale, si eserciti, con piena
autonomia, su materie oggi regolate in maniera prevalentemente o esclusiva dalla
legge che, direttamente o indirettamente, incidono sul tema della produttività del
lavoro” 144 . I temi più urgenti che le parti si impegnano ad affrontare nella
contrattazione collettiva per la produttività in esame sono quelle relative
all’equivalenza delle mansioni, alla integrazione delle competenze; alla
ridefinizione dei sistemi di orari e della loro distribuzione; alle modalità attraverso
cui rendere compatibile l’impiego di nuove tecnologie per “facilitare l’attivazione di
strumenti informatici ordinari, indispensabili per lo svolgimento delle attività
lavorative” con la tutela dei diritti fondamentali dei lavoratori.
In questo modo le parti confermano l’obiettivo di flessibilizzare la normativa, ma
lo perseguono con metodo e finalità opposte a quelle dell’art. 8 Legge n.
148/2011, ossia valorizzando l’autonomia collettiva in funzione del potenziamento
del sistema contrattuale, e non la sua frantumazione145.
Da questa angolazione l’accordo segna senza dubbio un importante passo in
avanti del sistema verso la flessibilità che, ridotta in entrata e incongruamente
realizzata in uscita dalla legge n. 92/2012 146 , viene recuperata sul piano
dell’organizzazione del lavoro.
Concludendo, l’accordo interconfederale del 21 novembre 2012 contiene
un’ulteriore innovazione sempre diretta al miglioramento della produttività
aziendale. Tenuto conto delle disposizioni in materia di informazione e
consultazione dei lavoratori, nonché di partecipazione dei dipendenti agli utili e al
144 Accordo interconfederale 21 novembre 2012, parte settima. 145 G. Giugni, Diritto sindacale, Cacucci Editore, Bari, 2013, pp 21. 146 L’accordo interconfederale del 21 novembre 2012 si colloca a valle della legge n. 92/2012, la cosiddetta Riforma Fornero, momento in cui le parti sociali prendono atto sia della forte compressione subìta dalla flessibilità in entrata sia delle incertezze che la nuova formulazione dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori induce sul versante della flessibilità in uscita quale conseguenza dell’accresciuta imprevedibilità del giudizio sulla legittimità del licenziamento nell’ambito della medio-grande impresa. P.Tosi, L’improbabile equilibrio tra flessibilità “in entrata” e flessibilità “in uscita” nella legge di riforma del mercato del lavoro, in ADL: Arg. Dir. Lav., 2012, vol. 4-5, p. 813.
Legislazione nazionale in tema di produttività
78
capitale 147 , le parti hanno dichiarato la propria volontà di diffondere la
partecipazione dei lavoratori nell’impresa e si sono impegnate a “valorizzare, nei
diversi livelli contrattuali, i momenti di informazione e consultazione previsti,
anche per favorire un responsabile coinvolgimento nelle scelte dell’impresa sulle
materie che migliorano la produttività, le condizioni di lavoro, lo sviluppo
dell’impresa” e ad iniziare “un confronto sul quadro di riferimento normativo per
favorire l’incentivazione dell’azionariato volontario dei dipendenti, anche in forme
collettive”148.
1.6 L’accordo interconfederale 24 aprile 2013.
L’accordo interconfederale del 24 aprile 2013, sottoscritto da Confindustria,
Cgil, Cisl e Uil ritrova l’unità delle parti sindacali dopo la mancata sottoscrizione da
parte della Cgil dell’accordo del 21 novembre 2012149.
L’accordo raggiunto tra Confindustria e sindacati si presenta come la seconda
intesa incentrata in modo prioritario sul tema della produttività ed è stata
sottoscritta in attuazione del D.P.C.M. 22 gennaio 2013 150 per rendere
pienamente operativa la detassazione “della retribuzione di produttività erogata in
esecuzione di contratti sottoscritti a livello aziendale o territoriale”, cioè per
favorire nel miglior modo il “perseguimento degli obiettivi stabiliti dall’art.1,
comma 481, Legge 24 dicembre 2012, n. 228”151.
Secondo uno schema già condiviso negli anni precedenti, al testo dell’Accordo
Interconfederale segue un modello di accordo quadro territoriale che potrà essere
preso a riferimento o adottato per la definizione degli accordi su base territoriale.
L’accordo interconfederale del 24 aprile 2013 conferma “il modello e la funzione
dei due livelli di contrattazione” presenti nell’accordo interconfederale del 28
147 Legge n. 92 del 28 giugno 2012. 148 Accordo interconfederale 21 novembre 2012, parte quarta. 149 All’accordo ha successivamente aderito la UGL. Esso è stato recepito in tempi molto brevi da numerosi accordi territoriali. Gli accordi territoriali delle industrie delle provincie di Rovigo (29 aprile 2013) e Fermo (30 aprile 2013), Roma, Frosinone, Rieti e Viterbo (7 maggio 2013), Novara (9 maggio 2013), Vicenza (10 maggio 2013), delle provincie autonome di Trento (6 maggio 2013), e di Bolzano (7 maggio 2013) e della regione Basilicata (2 maggio 2013). 150 Decreto del presidente del consiglio dei ministri del 22 gennaio 2013, ridefinisce i criteri di individuazione della retribuzione di produttività che può accedere ad incentivi di natura fiscale. 151 Accordo interconfederale 24 aprile 2013, pp. 1.
Legislazione nazionale in tema di produttività
79
giugno del 2011, mantenendo anche le stesse procedure per l’efficacia delle
intese modificative152.
Come espresso in modo esplicito nelle premesse del modello di accordo quadro
territoriale, le parti affermano che la sede privilegiata per la definizione di premi di
produttività ed altre forme di retribuzione incentivante, salve le specificità
esistenti in singoli settori, è quella aziendale.
Le parti, però, anche in ragione dell’attuale situazione di crisi del Paese, hanno
ritenuto opportuno facilitare la definizione di intese di natura territoriale, che
consentano anche alle imprese prive di rappresentanza aziendale di applicare ai
propri dipendenti le agevolazioni fiscali previste dal DPCM 22 gennaio 2013, a
fronte di miglioramenti della produttività aziendale, intesa in senso lato, che
conseguono ad una diversa gestione degli orari osservati in azienda.
La novità introdotta dall’intesa in esame è rappresentata dalla possibilità di
estendere il beneficio fiscale alle aziende prive di rappresentanza sindacale.
Al punto 1 dell’accordo quadro standard da applicare localmente, le parti hanno
previsto che in assenza di Rsa o Rsu, un’impresa possa avvalersi dell’assistenza
fornita dalle associazioni aderenti al sistema confindustriale, per stipulare un
accordo aziendale con le federazioni territoriali di categoria dei sindacati.
Trattandosi di veri e propri accordi aziendali, viene specificato che essi si
applicano e vincolano tutti i dipendenti dell’impresa153.
Al punto 2, viene anzitutto riconfermata la volontà di non alterare gli assetti della
contrattazione nazionale, come si evince dal richiamo all’accordo del 28 giugno
2011 e dalla necessità di rispettare gli obblighi di contrattazione previsti dai
contratti collettivi nazionali. L’accordo quadro, in questo punto, prevede anche
una seconda modalità per favorire l’accesso agli incentivi fiscali per la produttività:
quella degli accordi territoriali.
Si prevede, però, una disciplina volta a dare concreta ed agevole attuazione al
così detto “primo canale” della retribuzione di produttività identificato dal D.P.C.M.
22 gennaio 2013, che non si identifichi con i veri e propri “premi di produzione”.
152 Facendo riferimento al punto 7 dell’accordo interconfederale 28 giugno 2011. 153 G. Pogliotti, Via libera agli accordi di produttività a livello aziendale o territoriale, 2013, da http://www.ilsole24ore.com/art/impresa-e-territori
Legislazione nazionale in tema di produttività
80
Si potrà applicare il beneficio della detassazione in relazione a quelle voci
retributive erogate a fronte di prestazioni 154 che risultino, come diretta
conseguenza dell’accordo territoriale, diverse da quelle rese in attuazione del
regime di orari esistente in azienda prima della stipula dell’accordo territoriale. E’
prevista l’applicazione della cedolare secca155 alle voci retributive erogate per
prestazioni orarie diverse da quelle fino a quel momento attuate, ovviamente solo
nel caso in cui queste modifiche siano funzionali al conseguimento di un più alto
livello di produttività.
Mentre nel caso della contrattazione aziendale è sufficiente che le prestazioni rese
in attuazione di un patto risultino conformi alle finalità perseguite dal DPCM, nel
caso della contrattazione territoriale, stante la sua portata generale, è stato
necessario fare riferimento alla situazione aziendale pregressa per fissare un
parametro di raffronto sul quale fondare l’indicatore quantitativo di riferimento156
per l’applicabilità dell’agevolazione fiscale.
Ed infatti, coerentemente, al punto 4 dell’accordo si afferma testualmente che:
“l’agevolazione sarà riconosciuta sulla quota di retribuzione corrisposta, con le
relative eventuali maggiorazioni, come conseguenza della modifica dell’orario
attuata in azienda, modifica che costituisce l’indicatore quantitativo di riferimento
sulla base del quale applicare il regime fiscale di cui alle norme richiamate in
premessa”157.
Dunque, il datore di lavoro, in applicazione del patto territoriale, avrà l’opportunità
di ottenere prestazioni lavorative differenti da quelle precedentemente svolte in
azienda e, sulle voci retributive erogate a fronte di queste prestazioni lavorative
“diverse”, potrà applicare il beneficio fiscale della detassazione. Il limite è
costituito, oltre che dalle disposizioni inderogabili di legge, soltanto dalle
disposizioni del contratto nazionale che prevedano apposite procedure negoziali
per porre in essere eventuali modifiche nella distribuzione e organizzazione degli
orari.
154 Individuate nella circolare del Ministero del Lavoro n 15 del 2013, analizzata nel presente capitolo al paragrafo 3.2.2. 155 L’applicazione dell’aliquota pari a 10% sostitutiva di Irpef ed addizionali regionali e comunali. 156 Voluto dal DPCM del 22 gennaio 2013 e dalla circolare ministeriale n. 15/2013. 157 Accordo interconfederale 24 aprile 2014, punto 4, pag. 3.
Legislazione nazionale in tema di produttività
81
Appare importante sottolineare il fatto che tale accordo sembra concentrarsi quasi
unicamente sul primo canale di individuazione della retribuzione di produttività
identificata dal D.P.C.M. del 22 gennaio 2013, non prendendo in considerazione la
così detta “griglia” di almeno tre aree di intervento.
Sempre nel solco dei precedenti accordi in materia, si esplicita il carattere
cedevole dell’accordo territoriale rispetto ad eventuali intese aziendali o pluri-
aziendali e l’impegno delle parti a diffondere i contenuti dell’accordo tra i rispettivi
associati158.
La differenza tra l’accordo interconfederale del 21 novembre 2012 e quello del
2013 non sembra poter essere ricondotta esclusivamente a motivi esterni al
contenuto degli stessi: una differenza sostanziale dell’accordo del 2013 risiede nel
riconoscimento dell’aumento o della modifica dell’orario di lavoro applicato in
azienda come indicatore quantitativo di riferimento sulla base del quale
quantificare la maggior produttività, in linea con la circolare ministeriale del 3
aprile 2013, n. 15.
Nell’accordo del 2012, invece, la modifica dell’orario di lavoro era solo una delle
tre categorie di misure modificative per la produttività, le quali dovevano essere
attivate congiuntamente mediante contratto collettivo per ottenere sgravi
fiscali159. Con il nuovo accordo le modifiche relative all’orario di lavoro sono state
qualificate come autonomi indicatori di produttività rispetto alle altre misure
previste dall’accordo del 2012 e dal D.P.C.M. 22 gennaio 2013160.
Con questa intesa è stato compiuto un primo passo nella direzione che vuole
agevolare le imprese che non hanno la facoltà di stipulare accordi di natura
aziendale. Si tratta di un passo incompleto, a parere di chi scrive, perché
permette alle aziende di accedere ai benefici fiscali legati alla produttività
solamente modificando il sistema di gestione dell’orario di lavoro interno
all’azienda, che, come analizzato nella fase introduttiva del presente elaborato,
158 Accordo interconfederale 24 aprile 2013, punto sesto, pp. 3. 159 G. Galli, Breve bilancio sulla contrattazione collettiva nazionale dell’anno 2013, in Riv. Giu. Lav. Prev. Soc., 2013, vol. 4, pp. 855-859. 160 Le parti in questa sede hanno evitato di toccare temi che possono apparire più complicati da gestire all’interno di un percorso di contrattazione, come i mutamenti tecnologici, l’inquadramento e le mansioni, e le ferie.
Legislazione nazionale in tema di produttività
82
non apporta grande beneficio alla crescita della produttività dell’azienda, se non
coordinato con altri strumenti organizzativi.
1.7 Considerazioni conclusive in tema di contrattazione.
Il quadro che esce, dopo l’analisi dei cambiamenti ripetuti, relativo alle
regole del sistema contrattuale degli ultimi anni è caratterizzato da diversi
elementi innovativi, ma appare ancora abbastanza incerto, anche in riferimento
alle sue prospettive di evoluzione.
La passibilità di deroga al contratto nazionale di categoria può costituire
un’alternativa all’uscita del sistema contrattuale, perché le deroghe possono
conciliare la necessità di diversificazione delle condizioni di lavoro con il
mantenimento di un quadro generale che include al suo interno le tutele che sono
definite centralmente, secondo il modello del decentramento coordinato161; ma,
diffondendosi potrebbero anche disarticolarlo definitivamente.
Dall’altro lato appare che non sempre le novità introdotte sembrano coerenti con
il fine di promuovere il decentramento contrattuale. Al potenziamento del ruolo
del contratto di secondo livello, relativamente alle competenze, non sempre
corrisponde uno sforzo per permettere alle piccole imprese, dove non è praticata
la contrattazione aziendale, di usufruire agevolmente di quella territoriale.
Nel caso in cui i contratti nazionali riconoscano solo l’accordo di natura aziendale,
ai lavoratori dipendenti delle imprese di piccole dimensioni rimane applicabile
solamente il contratto di categoria, oltretutto indebolito nelle sue tradizionali
funzioni normativa ed obbligatoria, e questo determina una scarsa giustizia nella
distribuzione del reddito e la centralizzazione di fatto del sistema contrattuale.
Un piccolo passo è stato compiuto dall’accordo del 2013, ma non sembra
sufficiente concedere l’accesso ai benefici fiscali se non vengono identificate in
modo preciso delle practices che realmente possono apportare beneficio alla
produttività.
161 G. Giugni, Diritto sindacale, Cacucci Editore, 2013, Bari, pp 24.
Legislazione nazionale in tema di produttività
83
2. Gli sgravi contributivi e fiscali.
Martin Weitzman, professore di Economia alla Harvard University, nella sua opera
principale “L’economia della partecipazione” 162 , teorizza il superamento del
sistema retributivo per un sistema variabile legato agli andamenti dell’impresa. In
tale contesto, l’autore, sottolinea l’importanza delle agevolazioni fiscali per
incentivare le imprese ad abbandonare le forme retributive tradizionali a favore di
forme partecipative. L’utilizzare risorse provenienti dalla collettività e dallo Stato
per incentivare il sistema partecipativo si giustifica perché questo, secondo
Weitzman, permette di ridurre la disoccupazione e l’inflazione.
Nell’ordinamento italiano, il legislatore non interviene relativamente alla struttura
della retribuzione, alla sua determinazione e agli elementi che la compongono163,
poiché le materie elencate sono di competenza della contrattazione collettiva.
La direzione del nostro ordinamento non si è modificato nemmeno dopo che gli
accordi del 1993, 2009 e 2011 avevano sperato in un intervento del legislatore
che incrementasse e rendesse più facilmente accessibili le agevolazioni a favore
dei premi di risultato erogati dal contratto collettivo di secondo livello. Il
legislatore ha riconosciuto le agevolazioni in discussione, ma alla retribuzione
variabile sempre dettata dalle regole derivanti dagli accordi tra le parti sociali164.
L’utilizzo delle risorse statali è giustificato dal fatto che i premi di risultato
contenuti nella contrattazione di secondo livello hanno il fine e la capacità di
migliorare la produttività del lavoro, l’efficienza e la competitività dell’azienda, ed
è preferibile che lo scambio tra retribuzione e produttività venga concordato con
162 M. L. Weitzman, L’economia della partecipazione, Bari, 1985, Editori Laterza. 163 Ad eccezione delle norme contenute nel Codice Civile e nella Costituzione. I principi costituzionali sanciti espressamente dall'art.36 della Costituzione sono la proporzionalità e la sufficienza. L'articolo 2121 del codice civile italiano definisce la retribuzione (ai fini del calcolo dell'indennità di mancato preavviso) come "le provvigioni, i premi di produzione, le partecipazioni agli utili e ai prodotti ed ogni altro compenso di carattere continuativo, con l'esclusione di quanto è corrisposto a titolo di rimborso spese". La legge 279/1982 definisce la retribuzione come tutti gli emolumenti corrisposti a titolo non occasionale. L'art. 2099 del c.c. stabilisce che la retribuzione deve essere effettuata "con le modalità e nei termini in uso nel luogo in cui il lavoro viene eseguito", possibilmente quindi sul posto di lavoro, in denaro e periodicamente (solitamente mensilmente). 164 V. Ferrante, Misure per la competitività e per la riduzione del costo del lavoro, in Previdenza, Mercato del Lavoro, Competitività, a cura di M. Magnani, A. Pandolfo e P. A. Varesi, Torino, Giappichelli, 2008, pp.413.
Legislazione nazionale in tema di produttività
84
la parte sindacale per proteggere il lavoratore da comportamenti opportunistici da
parte delle imprese165.
Lo studio svolto all’interno di una ricerca comparata sui sistemi di retribuzione
variabile166 ha evidenziato il fatto che la giustificazione ad incentivi per i premi è
presente solamente in un momento di iniziale utilizzo di questi, con il fine di
indirizzare le imprese verso la sperimentazione di un sistema nuovo. Tali incentivi
in un secondo momento dovrebbero essere eliminati per fare in modo che le
imprese continuino ad utilizzare un sistema di retribuzioni variabili solo nel caso in
cui questo porti realmente a miglioramenti in termini di produttività ed efficienza.
Nel Regno Unito i sistemi di retribuzione variabile continuano ad essere utilizzati
nonostante le agevolazioni da tempo non siano più in uso. Se in passato quelle
forme retributive erano contrattate con le organizzazioni sindacali per accedere
agli incentivi previsti dalla legge, oggi sono gestite in modo unilaterale
dall’impresa.
Questa evoluzione permette di riconsiderare l’obiezione mossa da parte della
dottrina sopra indicata riguardante il sistema delle agevolazioni. Se il legislatore
considera la retribuzione variabile, stipulata all’interno del contratto collettivo,
contrattata con le organizzazioni sindacali, capace di maggiore tutela nei confronti
dei lavoratori rispetto a quella gestita unilateralmente dalle imprese, allora viene
giustificato l’utilizzo di risorse pubbliche anche in un momento successivo a quello
della sperimentazione167.
2.1 La decontribuzione.
Lo sgravio contributivo consiste in una riduzione o eliminazione dei contributi che
gravano sulla retribuzione. Nasce nel 1997, con il D. L. 25 marzo 1997 n. 67
(convertito nella L. n. 135 del 23 maggio 1997), che in attuazione del Protocollo
del 1993, aveva previsto la prima forma di decontribuzione per la retribuzione
variabile erogata dai contratti collettivi. L’art. 1 comma 67, L. 24 dicembre 2007,
165 T. Treu, Le forme retributive incentivanti, in Riv. Ita. Dir. Lav., 2010, vol. 1, pp. 640 e seguenti. 166 A. Bryson, R. Freeman, C. Lucifora, M. Pellizzari e V. Pérotin, Paying for performance. Incentive pay schemes and employees’ financial participation, 11 maggio 2010, presentato alla fondazione Rodolfo Debenedetti, consultabile in www.frdb.org/upload/file/Second-report1.pdf, pp. 110-115. 167 E. Villa, Retribuzione flessibile e contrattazione collettiva, Tesi di Dottorato di Ricerca in Diritto del Lavoro XXIV Ciclo, 2012, Alma Mater Studiorum Università degli Studi di Bologna.
Legislazione nazionale in tema di produttività
85
n. 247 introduce una nuova regolamentazione delle agevolazioni previdenziali per
i premi di risultato ed abroga il D. L. 67/1997.
L’art. 1, commi 67 e 68, L. n. 247 del 2007 deve essere integrato con il d.m. 7
maggio 2008 e con la circolare Inps 6 agosto 2008, n. 82, poiché il comma 68,
art. 1, l. n. 247 del 2007 prevedeva che le modalità di attuazione delle
agevolazioni fossero fissate in un decreto ministeriale.
Le agevolazioni contributive della L. 247/2007 erano destinate ad applicarsi per il
triennio 2008, 2009 e 2010. Esse sono state prorogate fino al 31.12.2011 dall’art.
53, comma 1, d.l. 31 maggio 2010, n. 78. La l. 12 novembre 2011, n. 183, all’art.
33, comma 14, ha confermato per tutto il 2012 lo sgravio contributivo che
successivamente è stato reso permanente dall’art. 4, comma 28 della l. 28
giugno 2012, n. 92, che ha soppresso al comma 67, art. 1, l. 247/2007 le parole
“In via sperimentale, con riferimento al triennio 2008-2010”168. Con l’articolo 4,
comma 28, della legge 28 giugno 2012, n. 92, il legislatore, a far tempo dal 2012,
ha apportato modifiche alla regolamentazione dello sgravio contributivo in favore
della contrattazione di secondo livello, al fine di stabilizzare l’incentivo e
razionalizzare il plafond a disposizione, attraverso una più puntuale allocazione
delle risorse169.
Fino al 31 dicembre 2011 erano ammesse all’agevolazione contributiva le
erogazioni dei contratti collettivi “aziendali e territoriali, ovvero di secondo livello,
delle quali sono incerte la corresponsione o l’ammontare e la cui struttura sia
correlata dal contratto collettivo medesimo alla misurazione di incrementi di
produttività, qualità ed altri elementi di competitività assunti come indicatori
dell’andamento economico dell’impresa e dei suoi risultati”170. I premi di risultato
sono incerti nell’an e nel quantum visto che la loro erogazione è subordinata al
raggiungimento di un obiettivo che l’impresa si era prefissata e il suo ammontare
cambia in base al grado di raggiungimento dell’obiettivo stabilito.
168 Art. 4, comma 28, Legge 28 giugno 2012, n. 92. 169 Circolare Inps n. 78 del 17 giugno 2014. 170 Art. 1, comma 67, Legge 24 dicembre 2007, n. 247.
Legislazione nazionale in tema di produttività
86
I premi regolati dal contratto collettivo di secondo livello, aziendale o territoriale,
sono ammessi agli sgravi171. La scelta di concedere le agevolazioni anche ai premi
contrattati a livello territoriale è da valutare positivamente se si pensa che lo
sviluppo della contrattazione collettiva che sia davvero su due livelli dipende dalla
crescita e dall’espansione degli accordi territoriali, quantomeno in quei settori
caratterizzati dalle modeste dimensioni delle imprese che li compongono.
Parte della dottrina172 sostiene che le agevolazioni sono applicabili anche ad
elementi retributivi determinati in via unilaterale dal datore di lavoro, sempre in
via subordinata al fatto che siano incerti nella corresponsione e nell’ammontare.
Questa interpretazione deriva dalla formulazione del paragrafo 3 della circolare
Inps n. 82 del 2008 al cui interno si afferma che la “retribuzione contrattuale”
comprende “quanto stabilito sia dai contratti collettivi, sia da quelli individuali”.
Per la dottrina maggioritaria173 gli sgravi contributivi si applicano solo ai premi di
risultato legati all’andamento dell’impresa e non a quelli correlati alla prestazione
dei lavoratori e diretti a premiare il merito 174 . Questa interpretazione è
condivisibile dal punto di vista letterale, perché l’art. 1, comma 67, l. n. 247/2007,
dopo aver richiamato gli obiettivi di produttività, qualità e altri elementi di
competitività, richiede che essi siano assunti come indicatori dell’andamento
economico dell’impresa e dei suoi risultati, mentre i sistemi di valutazione delle
prestazioni non possono essere considerati indicatori dell’andamento dell’impresa
nel suo complesso.
171 Non suscita problemi il richiamo ai contratti collettivi aziendali e territoriali, “ovvero di secondo livello”: il legislatore non immagina un contratto di secondo livello diverso da quelli precedentemente elencati, ma vuole sottolineare che, per accedere alle agevolazioni, i contratti aziendali o territoriali devono rappresentare un secondo livello di contrattazione, aggiuntivo a quello nazionale. Nel vigore del d.l. n. 67 del 1997 il legislatore prevedeva che la decontribuzione si applicasse ai premi di risultato erogati “dai contratti collettivi aziendali, ovvero di secondo livello”. Il rinvio al secondo livello consentiva di riconoscere le agevolazioni anche ai premi regolati dai contratti territoriali. 172 V. Ferrante, Misure per la competitività e per la riduzione del costo del lavoro, in Previdenza, Mercato del Lavoro, Competitività, a cura di M. Magnani, A. Pandolfo e P. A. Varesi, Torino, Giappichelli, 2008, pp 407. T. Treu, Le forme retributive incentivanti, in Riv. Ita. Dir. Lav., 2010, pp. 662. 173 M. Martone, Norme in materia di competitività, in La nuova disciplina del welfare, a cura di M. Persiani e G. Proia, Milano, Giuffrè, 2008, pp. 186. F. Lunardon, Contrattazione collettiva di secondo livello: incentivazioni contributive e fiscali, in Il collegato lavoro 2008, a cura di F. Carinci e M. Miscione, Milano, Ipsoa, 2008, pp. 354. 174 F. Lunardon, opera citata, 2008, pp. 356, afferma che gli sgravi non troverebbero applicazione in relazione ai premi corrisposti a titolo individuale a singoli lavoratori, nonché a “tutte le forme di cottimo individuale o collettivo, a prescindere dalla loro vigenza in determinati settori”.
Legislazione nazionale in tema di produttività
87
Una diversa soluzione interpretativa, tale da consentire l’accesso alle agevolazioni
“all’intero spettro dei sistemi retributivi legati sia ai caratteri della prestazione sia
ai parametri di risultato generali dell’impresa”175, è tuttavia prospettabile, in primo
luogo perché la formula utilizzata dal legislatore del 2007 per individuare i premi
ammessi allo sgravio è la stessa del 1997, e nel vigore di quest’ultima non si era
mai dubitato della possibilità di applicare la decontribuzione a tutti i sistemi di
retribuzione variabile regolati dai contratti collettivi aziendali, tanto legati alle
prestazioni, quanto dipendenti dai risultati complessivi dell’impresa176. In secondo
luogo si può ritenere che solo gli “altri elementi”, ulteriori rispetto a quelli di
produttività e qualità, debbano essere necessariamente correlati all’andamento
complessivo dell’impresa, mentre quelli di produttività e di qualità sono utilizzabili
per premiare prestazioni che si siano distinte rispetto alle altre sotto il profilo
quantitativo o qualitativo. Questa soluzione sembra più rispettosa dell’autonomia
delle parti sociali nel definire la retribuzione variabile: se il legislatore incentivasse
esclusivamente i premi correlati all’andamento dell’impresa nel suo complesso,
nonostante le parti abbiano compreso nella definizione di retribuzione variabile
anche quelli correlati alle prestazioni, egli sovrapporrebbe alla definizione di
premio di risultato fornita dalle organizzazioni sindacali una propria definizione e
andrebbe a compromettere l’autonomia del sindacato in materia retributiva177.
Per l’anno 2012, l’art. 33, comma 14, l. 12 novembre 2011, n. 183, ha confermato
lo sgravio contributivo per la retribuzione variabile secondo i criteri e le modalità
definite dall’art. 1, commi 67 e 68, l. n. 247 del 2007, anche se, tramite il rinvio
all’art. 26, d. l. 6 luglio 2011, n. 98 (parzialmente modificato dall’art. 22, comma
6, l. n. 183 del 2011), ha mutato la definizione dei premi ammessi allo sgravio ed
i livelli contrattuali competenti a disciplinarli. Questa nuova regolamentazione si
175 T. Treu, Le forme retributive incentivanti, in Riv. Ita. Dir. Lav., 2010, pp. 660. 176 V. Ferrante, Misure per la competitività e per la riduzione del costo del lavoro, in Previdenza, Mercato del Lavoro, Competitività, a cura di M. Magnani, A. Pandolfo e P. A. Varesi, Torino, Giappichelli, 2008, pp 413. A suo avviso la formula utilizzata dal legislatore per individuare le somme erogate dalla contrattazione di secondo livello da ammettere alla decontribuzione rinvia alle scelte delle parti sociali. 177 V. Ferrante, Misure per la competitività e per la riduzione del costo del lavoro, in Previdenza, Mercato del Lavoro, Competitività, a cura di M. Magnani, A. Pandolfo e P. A. Varesi, Torino, Giappichelli, 2008, pp 413.
Legislazione nazionale in tema di produttività
88
giustifica con l’intento di armonizzare il quadro normativo in tema di incentivi
fiscali e contributivi178.
Nel 2012 sono stati ammessi allo sgravio i premi correlati “a incrementi di
produttività, qualità, redditività, innovazione, efficienza organizzativa, collegati ai
risultati riferiti all’andamento economico o agli utili della impresa, o a ogni altro
elemento rilevante ai fini del miglioramento della competitività aziendale”179.
Questa definizione di produttività, seppur diversa dalla precedente, potrebbe far
sorgere alcuni dei dubbi interpretativi elencati precedentemente. Nonostante ciò,
il fatto che gli obiettivi di produttività, di qualità, redditività, innovazione,
efficienza organizzativa possano essere collegati, oltre che all’andamento
economico dell’impresa o agli utili, anche “ad ogni altro elemento rilevante ai fini
del miglioramento della competitività aziendale”, consente di mantenere
l’interpretazione proposta: lo sgravio contributivo pare applicabile a tutti i sistemi
retributivi legati sia a caratteri della prestazione che ai premi di risultato generale
dell’impresa.
I premi ammessi all’agevolazione contributiva sono quelli regolati dai contratti
collettivi aziendali o territoriali stipulati dalle associazioni dei lavoratori
comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale o dalle
loro rappresentanze sindacali operanti in azienda ai sensi della normativa di legge
o agli accordi interconfederali vigenti180.
La volontà del legislatore, desumibile dalla parte iniziale del comma 6, art. 22, l.
n. 183 del 2011181, è quella di far accedere agli sgravi i premi regolati dagli
accordi di prossimità di cui all’art. 8, l. n. 148 del 2011.
178 Art. 22, comma 6, l. n. 183 del 2011. 179 Art. 26, d. l. 6 luglio 2011, n. 98. 180 L’art. 33, comma 14, l. n. 183 del 2011 richiama lo sgravio contributivo dovuto ai sensi dell’art. 26, d.l. n. 98 del 2011. Tale norma contiene la definizione dei premi ammessi all’agevolazione, mentre l’art. 22, comma 6, l. n. 183 del 2011 ha modificato i livelli contrattuali competenti a regolarli per comprendere anche la retribuzione variabile disciplinata nei contratti di prossimità ex art. 8, l. n. 148 del 2011. 181 “Al fine di armonizzare il quadro normativo in tema di incentivi fiscali e contributivi alla contrattazione aziendale e in tema di sostegno alla contrattazione collettiva di prossimità, la tassazione agevolata del reddito dei lavoratori e lo sgravio dei contributi (…), sono riconosciuto in relazione a quanto previsto da contratti collettivi di lavoro sottoscritti a livello aziendale o territoriale da associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale ovvero dalle loro rappresentanze sindacali operanti in azienda (…)”.
Legislazione nazionale in tema di produttività
89
La legge del 2007 sostituisce alla “decontribuzione” prevista dal d.l. n. 67 del
1997 uno “sgravio contributivo”: il vantaggio ricade sui lavoratori dato che le
somme che possono usufruire dell’agevolazione sono computate ai fini
pensionistici, nonostante non siano soggette a trattenuta previdenziale. Al
contrario la decontribuzione implicava un abbattimento delle trattenute
previdenziali sui premi di risultato, ma anche la non computabilità di queste
somme a fini pensionistici182.
Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, di concerto con il Ministero
dell’Economia e delle Finanze, ha pubblicato, sulla Gazzetta Ufficiale n. 79 del 4
aprile 2013, il Decreto 27 dicembre 2012 con la determinazione, per lo stesso
anno, della misura massima percentuale della retribuzione di secondo livello
oggetto dello sgravio contributivo. L’art. 1 del decreto ministeriale citato ripartisce
la dotazione finanziaria disponibile per il finanziamento di sgravi contributivi
concessi per l’incentivazione della contrattazione di secondo livello. Delle risorse
assegnate, pari a 650 milioni di euro183, il 62,5% è destinato alla contrattazione
aziendale e il 37,5% alla contrattazione territoriale. In caso di mancato utilizzo
dell’intera percentuale attribuita a ciascuna delle tipologie contrattuali, il decreto
stabilisce che la quota residua venga attribuita all’altra tipologia.
Con riferimento alle somme corrisposte nell’anno 2012, sulla retribuzione
imponibile184, è concesso, con effetto dal 1° gennaio 2012, ai datori di lavoro, nel
rispetto dei limiti finanziari annui, uno sgravio contributivo sulla quota costituita
dalle erogazioni previste dai contratti collettivi aziendali e territoriali, ovvero di
182 F. Lunardon, Contrattazione collettiva di secondo livello: incentivazioni contributive e fiscali, in Il collegato lavoro 2008, a cura di F. Carinci e M. Miscione, Milano, Ipsoa, 2008, pp. 352. A. Cannioto e G. Maccarone, Al via lo sgravio contributivo sui premi di risultato, in Guida al Lavoro, n. 34, 2008, pp. 88. 183 L’art. 1, comma 249 della legge n. 228/12, per finanziare il ripristino delle ricongiunzioni gratuite nei termini stabiliti dalla medesima norma, ha ridotto il budget originario (650 milioni di euro), di 43 milioni per il 2014 e per importi più consistenti negli anni futuri. La norma prevede una riduzione di 51 milioni di euro per l'anno 2015, 67 milioni per l'anno 2016, 88 milioni per l'anno 2017, 94 milioni per l'anno 2018, 106 milioni per l'anno 2019, 121 milioni per l'anno 2020, 140 milioni per l'anno 2021 e di 157 milioni a decorrere dall'anno 2022. 184 Art. 27 del DPR n. 797/1955.
Legislazione nazionale in tema di produttività
90
secondo livello, nella misura del 2,25% della retribuzione contrattuale
percepita185.
L’art. 1, comma 67, l. n. 247 del 2007, prevedeva che l’agevolazione riguardasse
al massimo il 5% della retribuzione contrattuale percepita dal lavoratore,
percentuale già ridotta al 3% dal d.m. 7 maggio 2008.
Il provvedimento ministeriale del 2012 prevede che, in relazione al monitoraggio
delle domande e delle risorse finanziarie impegnate, il citato tetto del 2,25%
possa essere rideterminato (in sede di conferenza dei servizi tra le
Amministrazioni interessate indetta ai sensi dell’articolo 14 della legge n. 241 del
1990 e successive modificazioni e integrazioni), fermo restando il tetto massimo
della retribuzione contrattuale, stabilito dal comma 67 dell’articolo 1 della legge n.
247/2007, nella misura del 5%186.
La definizione di retribuzione contrattuale, necessaria per la fissazione del limite
massimo del premio che può beneficiare dell’agevolazione, si trova all’interno del
paragrafo 3 della circolare Inps n. 82 del 2008, che “comprende quanto stabilito
sia dai contratti ed accordi collettivi di lavoro – anche aziendali e territoriali,
ovvero di secondo livello – sia da quelli individuali, ivi compresi i premi oggetto di
sgravio”187.
Entro il tetto della retribuzione del lavoratore come precedentemente individuato,
la norma prevede la concessione di uno sgravio contributivo così articolato:
• entro il limite di 25 punti188 dell’aliquota a carico del datore di lavoro;
l’aliquota deve essere considerata al netto delle riduzioni contributive per
assunzioni agevolate; in agricoltura l’aliquota deve essere al netto delle
agevolazioni per territori montani e svantaggiati;
185 L’art. 10, comma 2, del d.l. n. 102 del 2013 ha previsto che, a decorrere dall’anno 2014, lo sgravio contributivo sulla contrattazione di secondo livello venga applicato con riferimento alle quote di retribuzione corrisposte nell’anno precedente. 186 Circolare Inps n. 73 del 3 maggio 2013, secondo punto. 187 La circolare Inps n. 82 del 2008 si rifà ai criteri previsti dall’art. 1, comma 1, l. n. 389 del 7 dicembre 1989. Le successive circolari che hanno trattato il tema della retribuzione contrattuale sono n. 39/2010; 51 e 96/2012. 188 La riduzione di 25 punti dell’aliquota datoriale costituisce la quota complessiva massima di sgravio applicabile anche con riferimento alle aziende che assolvono la contribuzione pensionistica presso Enti diversi dall’Inps. Rimane, in ogni caso, escluso dallo sgravio il contributo (0,30%) ex art. 25, c. 4 della legge n. 845/1978, versato nel 2013 dai datori di lavoro ad integrazione della contribuzione per l’ASpI.
Legislazione nazionale in tema di produttività
91
• totale sulla quota del lavoratore189190.
L’accesso al beneficio contributivo non è più automatico per il datore di lavoro dal
d.m. 7 maggio 2008.
Ad oggi le imprese devono formulare una domanda di ammissione allo sgravio
contributivo, nella quale dichiarano di erogare premi di risultato conformi alle
caratteristiche prescritte dalla legge. Per accedere allo sgravio contributivo, i
contratti collettivi aziendali e territoriali, ovvero di secondo livello, devono
presentare le seguenti caratteristiche:
• essere sottoscritti dai datori di lavoro e depositati presso le Direzioni
territoriali del lavoro entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore del
decreto ministeriale. In assenza del deposito non sarà possibile
l’ammissione allo sgravio contributivo;
• prevedere erogazioni incerte nella corresponsione o nel loro ammontare e
correlate a parametri atti a misurare gli aumenti di produttività, qualità ed
altri elementi di competitività assunti come indicatori dell’andamento
economico dell’impresa e dei suoi risultati191.
Ai fini dell’accesso al beneficio è sufficiente la sussistenza anche di uno solo dei
predetti parametri (aumenti di produttività, qualità ed altri elementi). Nel caso di
contratti territoriali, qualora non risulti possibile la rilevanza di indicatori a livello
aziendale, i criteri di erogazione da assumere saranno legati agli andamenti delle
imprese del settore sul territorio192.
Lo sgravio non compete per le aziende che hanno corrisposto ai dipendenti,
nell’anno solare di riferimento, trattamenti economici e normativi non conformi a
quanto previsto dall’art. 1, comma 1, della Legge n. 389 del 7 dicembre 1989,
vale a dire inferiori ai minimi contributivi previsti dalla norma citata193.
189 Lo sgravio della contribuzione a carico del lavoratore sarà pari al 9,19% per la generalità delle aziende e al 9,49% per i datori di lavoro soggetti alla Cigs (art. 9 legge n. 407/1990) e 8,84% per gli operai assunti in agricoltura; per gli apprendisti la quota è pari al 5,84%. Non costituisce oggetto di sgravio il contributo (1%) ex art. 3ter della legge n. 438/1992, dovuto sulle quote di retribuzione eccedenti il limite della prima fascia di retribuzione pensionabile (per l’anno 2013 € 46.031,00 che, rapportato a dodici mesi, è pari a € 3.836,00) 190 Circolare Inps n. 73 del 3 maggio 2013, quarto punto. 191 D.m. 27 dicembre 2012, art. 2, comma 3. 192 D.m. 27 dicembre 2012, art. 2, comma 4. 193 B. Gallo, Sgravio contributivo sulle erogazioni di secondo livello, in Il mondo Paghe, SEAC, 2014, vol. 7, pp. 26-29.
Legislazione nazionale in tema di produttività
92
La concessione dello sgravio è anche subordinata al possesso dei requisiti di
regolarità contributiva per il rilascio del DURC interno194195, oltre al rispetto della
parte economica degli accordi e contratti collettivi.
L’Inps, con propria circolare, stabilisce le modalità operative per la richiesta di
beneficio e la data dalla quale presentare la richiesta. Detta domanda deve
contenere oltre ai dati dell’azienda e la data di sottoscrizione del contratto di
secondo livello, l’importo delle somme che l’azienda prevede possano essere
ammesse allo sgravio e l’ammontare degli sgravi dovuti ad azienda e lavoratore.
Il D.m. 27 dicembre 2012, nello stabilire che l’ammissione riguarderà tutte le
domande trasmesse entro il periodo indicato dall’Inps, affida allo stesso la
definizione delle relative modalità196.
A tal fine, entro i sessanta giorni successivi alla data finale fissata per l’invio delle
istanze, provvederà all’ammissione delle aziende allo sgravio contributivo,
dandone comunicazione alle stesse e agli intermediari autorizzati. Nel caso in cui
le risorse disponibili non consentissero la concessione dello sgravio nelle misure
indicate nelle richieste delle aziende, l’Istituto provvederà alla riduzione degli
importi in percentuale pari al rapporto tra la quota globalmente eccedente e il
tetto di spesa annualmente stabilito197.
Tale meccanismo di redistribuzione delle somme disponibili dà alle aziende che
possiedono i requisiti richiesti di accedere allo sgravio, ma a priori non fornisce la
certezza della somma che verrà erogata.
Questa regolamentazione è criticabile perché le agevolazioni sono eccessivamente
limitate; uno sgravio contributivo che riguarda al massimo il 2,25% del
trattamento economico complessivo del prestatore, non è in grado di incentivare
le imprese ad attivare un secondo livello di contrattazione collettiva198.
194 Il Durc interno è il documento unico di regolarità contributiva richiesto ai datori di lavoro per fruire di benefici normativi e contributivi. Viene definito «interno» perché viene gestito completamente dall'Inps in riferimento a benefici di competenza dell'Istituto stesso e non viene emessa alcuna documentazione. Fonte: http//:www.artgomenti.ilsole24ore.com. 195 E’ previsto dall’art. 1, comma 1175, Legge n. 296/2006. 196 Circolare Inps n. 73 del 3 maggio 2013, ottavo punto. 197 D.m. 27 dicembre 2012, articolo 4, comma 3. 198 Nonostante nell’accordo interconfederale del 28 giugno 2011 le parti sociali, dopo aver chiesto una conferma delle agevolazioni anche per il 2012, hanno affermato che queste misure hanno dimostrato reale efficacia nel sostenere la contrattazione aziendale, quando ancora l’aliquota di sgravio era del 3%.
Legislazione nazionale in tema di produttività
93
La nuova normativa, in parte in linea con quanto richiesto dalle parti sociali
nell’accordo interconfederale del 15 aprile 2009 e nell’accordo del 28 giugno
2011, rende certo per il datore di lavoro l’accesso allo sgravio contributivo quando
egli ha rispettato tutte le prescrizioni di legge, ma non è presente la certezza
dell’ammontare dello sgravio e la mancanza di certezza concerne anche
l’individuazione delle forme di retribuzione variabile ammesse allo sgravio. Tali
incertezze rischiano di vanificare la capacità del sistema di incentivare le imprese
a munirsi di un contratto collettivo di secondo livello come strumento per
accrescere la produttività.
Gli sgravi contributivi riguardanti le somme corrisposte nell’anno 2013 sono
regolati dal d.m. 14 febbraio 2014, pubblicato sulla gazzetta ufficiale il 29 maggio
2014, n.123, e dalla circolare Inps n. 78 del 17 giugno 2014. Entrambi i
documenti non presentano alcun elemento modificativo rispetto alla regolazione
dell’anno precedente.
2.2 La detassazione.
L’art. 1, comma 70, l. n. 247 del 2007 introduce per la prima volta nel sistema
italiano un’agevolazione di natura fiscale a favore della retribuzione variabile
erogata dai contratti collettivi di secondo livello. Poiché tale disciplina non era fin
da subito applicabile è stato necessario aspettare l’emanazione del decreto
ministeriale del 23 aprile 2008 che ha riconosciuto la detassazione di massimo il
23% del premio, su erogazioni non superiori a 350 euro199. Il sistema introdotto
dalla l. n. 247/2007 non viene riconfermato nel 2008 per la presenza del d.l. 27
maggio 2008, n. 93 che introduce un nuovo sistema di agevolazioni fiscali diretto
a tutte le misure preordinate alla crescita della produttività in esso elencate. La
disciplina dell’art. 2, d.l. 27 maggio 2008, n. 93, prevedeva “un’imposta sostitutiva
dell'imposta sul reddito delle persone fisiche e delle addizionali regionali e
comunali pari al 10 per cento, entro il limite di importo complessivo di 3.000 euro
lordi, (sul)le somme erogate a livello aziendale: a) per prestazioni di lavoro
straordinario, ai sensi del decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66, effettuate nel
199 A. Cannioto e G. Maccarone, Al via lo sgravio contributivo sui premi di risultato, in Guida al Lavoro, 2008, n. 34, pp. 88.
Legislazione nazionale in tema di produttività
94
periodo suddetto200; b) per prestazioni di lavoro supplementare ovvero per
prestazioni rese in funzione di clausole elastiche effettuate nel periodo suddetto e
con esclusivo riferimento a contratti di lavoro a tempo parziale stipulati prima
della data di entrata in vigore del presente provvedimento; c) in relazione a
incrementi di produttività, innovazione ed efficienza organizzativa e altri elementi
di competitività e redditività legati all'andamento economico dell'impresa”201.
La disciplina normativa delle agevolazioni fiscali si presenta particolarmente
frastagliata202: in principio è stato emanato il d.l. n. 93 del 2008 (convertito nella
Legge n. 126 del 2008); dopodiché è intervenuto l’art.5, d.l. 29 novembre 2008,
n. 185 (convertito nella l. n. 2 del 2009) che ha regolato le agevolazioni per l’anno
2009; l’art. 2, commi 156 e 157, d.l. n. 191 del 2009 conteneva la
regolamentazione delle agevolazioni per il 2010 e l’art. 53, comma 1, d.l. 31
maggio 2010, n. 78 (convertito nella l. n. 220 del 2010, art. 1, comma 47) ha
regolato le agevolazioni per il 2011. L’art. 33, comma 12, l. n. 183 del 2011 ha
nuovamente modificato la disciplina delle agevolazioni fiscali per il 2012. Sulla scia
dell’accordo interconfederale del 21 novembre 2012 203 , sono intervenuti in
materia di detassazione, l’art. 1, comma 481, l. n. 228 del 2012 (Legge di stabilità
2013), il D.P.C.M. 22 gennaio 2013, la circolare Inps n. 15 del 3 aprile 2013 e la
circolare dell’Agenzia delle entrate n. 11/E del 30 aprile 2013.
Le discipline succedutesi hanno mantenuto l’impianto di fondo del d.l. n. 185 del
2008 e si sono limitate a modificare l’ammontare delle risorse a disposizione per
incentivare i premi di risultato204. L’art. 53, d.l. n. 78 del 2010 è stato il primo
caso di introduzione di modifiche di rilievo.
200 1° luglio 2008 – 31 dicembre 2008. 201 Art. 2, D.l. 27 maggio 2008, n.93, titolo “Misure sperimentali per l’aumento della produttività del lavoro”. 202 M. Tiraboschi, Le misure sperimentali per l’incremento della produttività del lavoro: la detassazione di straordinari e premi, in La riforma del lavoro pubblico e privato e il nuovo welfare, a cura di M. Tiraboschi, Milano, Giuffrè, 2008, pp. 223 203 Nella sezione intitolata “Premessa” dell’accordo del 21 novembre 2012 “le parti considerano essenziale che la scelta, (…), a favore della valorizzazione degli accordi collettivi per il miglioramento della produttività, venga sostenuta e promossa da adeguate e strutturali misure di incentivazione fiscale e contributiva”. 204 Più precisamente sono state mantenute le agevolazioni a favore delle somme che erano disciplinate nell’art. 2, comma 1, lett. c), d.l. n. 93 del 2008, cioè quelle erogate “in relazione ad incrementi di produttività, innovazione ed efficienza organizzativa, e altri elementi di competitività e reddittività legati all’andamento economico dell’impresa”.
Legislazione nazionale in tema di produttività
95
Il d.l. n. 78 del 2010, all’articolo 53205, prevede una tassazione agevolata206 per
“le somme erogate ai lavoratori dipendenti del settore privato, in attuazione di
accordi collettivi territoriali o aziendali, correlati ad incrementi di produttività,
qualità, redditività, innovazione, efficienza organizzativa, collegate ai risultati
riferibili all’andamento economico o agli utili dell’impresa o a ogni altro elemento
rilevante ai fini del miglioramento della competitività aziendale” 207 . Vengono
ammessi all’agevolazione i soggetti che, nel 2010, hanno percepito un reddito non
superiore a 40 mila euro, nei limiti di 6000 euro lordi.
La formula dell’art. 53, d.l. n. 78 del 2010 si presenta differente dalle
precedenti208: di nuovo c’è che le agevolazioni fiscali sono concesse solo ai premi
di risultato erogati dai contratti collettivi di secondo livello, territoriali o aziendali.
Precedentemente era richiesto da parte del legislatore che i premi fossero erogati
“a livello aziendale” ma non dal contratto aziendale, per questo motivo, la dottrina
sosteneva che gli incentivi fiscali si potessero concedere sia per i premi attribuiti
con il contratto individuale, sia per quelli erogati in modo unilaterale dall’impresa,
sia per quelli attribuiti con il contratto aziendale209.
Tale interpretazione appare condivisibile anche considerando la comparazione tra
la forma letterale del d.l. n. 185 del 2008 e quella dell’art. 1, comma 70, l. n. 247
del 2007 che, invece, precisava che i premi di risultato, per essere ammessi agli
incentivi legislativi, dovevano essere disciplinati nei “contratti collettivi aziendali e
territoriali, ovvero di secondo livello”210.
205 M. Tiraboschi, Partecipazione sindacale valorizzata, 2010, da http://www.bollettinoadapt.it/old/files/document/10910tiraboschi_15_02.pdf 206 Si tratta, come nei precedenti interventi normativi, di un’imposta sostitutiva dell’Irpef del 10%. 207 Tale definizione corrisponde a quella introdotta nel 2012 per le somme che potevano beneficiare dello sgravio contributivo. 208 Con riferimento al d.l. n. 185 del 29 novembre 2008, richiamato dai decreti legge successivi per individuare le caratteristiche dei premi di risultato che potevano essere ammessi alle agevolazioni fiscali. 209 F. M. Putaturo Donati, Misure sperimentali per l’incremento della produttività del lavoro, in Rivista Giuridica del Lavoro, 2009, vol. 2, pp. 342. V. Ferrante, Misure per la competitività e per la riduzione del costo del lavoro, in Previdenza, Mercato del lavoro, Competitività, a cura di M. Magnani, A. Pandolfo e P. A. Varesi, 2008, Torino, Giappichelli, pp. 420. M. Tiraboschi, Le misure sperimentali per l’incremento della produttività del lavoro: la detassazione di straordinari e premi, in La riforma del lavoro pubblico e privato e il nuovo welfare, a cura di M. Tiraboschi, Milano, Giuffrè, 2008, pp. 224. 210 E. Villa, Retribuzione flessibile e contrattazione collettiva, Tesi di Dottorato di Ricerca in Diritto del Lavoro XXIV Ciclo, Alma Mater Studiorum Università degli Studi di Bologna, 2012, pp. 54.
Legislazione nazionale in tema di produttività
96
Questa nuova formulazione, diversamente da quella che l’ha preceduta, incentiva
la contrattazione di secondo livello, ma rischia di essere indebolita nel perseguire
questo fine dalla circolare dell’Agenzia delle entrate 3/E, del 14 febbraio 2011, che
non dà l’onere al datore di lavoro di depositare il contratto aziendale o territoriale
per avere la possibilità di controllo di questo: per l’azienda è sufficiente dichiarare
che le somme per cui richiede l’incentivo fiscale derivano da un contratto di
secondo livello e che queste hanno il fine di migliorare la produttività aziendale.
Quindi non è previsto alcun tipo di controllo sul contratto di secondo livello,
nemmeno per la sua esistenza211.
La seconda differenza rispetto alla disciplina previgente riguarda la definizione
degli obiettivi cui deve essere condizionata l’erogazione della retribuzione variabile
per accedere all’agevolazione: prima gli obiettivi potevano essere legati alle
prestazioni dei lavoratori ed anche all’andamento dell’impresa 212 , mentre la
normativa introdotta dall’art. 53, d.l. n. 78 del 2010 fa sorgere il dubbio se i premi
ammessi all’incentivo fiscale siano solo i secondi. L’agevolazione sembra avere lo
stesso campo di applicazione della disciplina precedente, poiché gli obiettivi dei
premi, oltre che essere legati all’andamento economico dell’azienda, sono riferibili
ad “ogni altro elemento rilevante ai fini del miglioramento della competitività
aziendale”. Sicuramente questa definizione include anche la possibilità di
migliorare la competitività aziendale con sistemi premianti che valorizzino le
prestazioni ed il merito dei lavoratori.
Il legislatore, con l’art. 33, comma 12, l. n. 183 del 2011, proroga per il 2012 ed il
2013 non la disciplina contenuta nell’art. 53, comma 1, d.l. n. 78 del 2010, ma
quella dell’art. 2, comma 1, lett. c), d.l. n. 93 del 2008, anche se modificando la
definizione dei premi ammessi all’agevolazione (contenuta nell’art. 26, d.l. n. 98
del 2011), e i livelli contrattuali che possiedono la competenza per erogarli (art.
211 F. M. Putaturo Donati, Misure sperimentali per l’incremento della produttività del lavoro, in Riv. Giu. Lav., 2009, vol. 2, pp. 349. V. Angiolini, Nota sulla costituzionalità dell’art. 2 del d.l. 27 maggio 2008, n. 92 (misure sperimentali per l’incremento della produttività del lavoro), 2009, in http//:www.cgil.it/giuridico. 212 L’art. 2, lett. c), d.l. n. 93 del 2008, faceva riferimento alle somme erogate per “incrementi di produttività, innovazione ed efficienza organizzativa e ad altri elementi di competitività e reddittività legati all’andamento economico dell’impresa”. Si riteneva pertanto che gli obiettivi cui subordinare l’erogazione della retribuzione variabile per accedere agli incentivi fiscali potessero essere legati sia alle prestazioni rese da gruppi di lavoratori, sia all’andamento dell’impresa. Solo gli “altri elementi” dovevano essere necessariamente legati all’andamento economico dell’impresa.
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97
22, comma 6, l. n. 183 del 2011). Così facendo il legislatore ha privato del suo
significato il rinvio all’art. 2, comma 1, lett. c), d.l. n. 93 del 2008.
Come per gli sgravi contributivi, l’art 26, d.l. n. 98 del 2011 afferma che si deve
trattare di somme correlate “ad incrementi di produttività, qualità, reddittività,
innovazione, efficienza organizzativa, collegate ai risultati riferiti all’andamento
economico o agli utili della impresa, o a ogni altro elemento rilevante ai fini del
miglioramento della competitività aziendale”. La formulazione appare identica a
quella precedentemente analizzata dell’art. 53, comma 1, d.l. n. 78 del 2010.
Relativamente ai livelli contrattuali competenti a disciplinare i premi che possono
ottenere gli incentivi, l’art. 22, comma 6, l. n. 183 del 2011, afferma che deve
trattarsi di contratti collettivi sottoscritti a livello aziendale o territoriale da
sindacati comparativamente più rappresentativi sul piano nazionale o territoriale
“ovvero dalle loro rappresentanze sindacali operanti in azienda ai sensi della
normativa di legge e degli accordi interconfederali vigenti”. Così affermando si
conferma la direzione presa dal legislatore con l’art. 53, comma 1, d.l. n. 78 del
2010 di agevolare solo i premi derivanti da un contratto di secondo livello.
Con questo intervento il legislatore ha compiuto un processo di armonizzazione
del quadro normativo che regola incentivi fiscali e contributivi, sia relativamente ai
premi che godono dell’agevolazione e sia ai livelli contrattuali che li erogano.
Per gli anni 2011 e 2012 l’agevolazione, che continua a rimanere sperimentale,
mira a sostenere ed incentivare la produttività delle imprese e si riferisce anche
alle somme corrisposte per lavoro straordinario, lavoro notturno e festivo e alle
indennità per le turnazioni, se collegate all’aumento della redditività aziendale.
Con l’approvazione del D.P.C.M. 22 gennaio 2013213 , vengono fissati i criteri
operativi della detassazione delle somme legate alla produttività per l’anno 2013.
Il decreto si colloca nel contesto delineato dall’art. 1, commi 481 e 482 della legge
n. 228 del 2012 (Legge di stabilità) e risponde in parte alle istanze sollevate
dall’accordo del 21 novembre 2012. Più precisamente, il decreto, sulla base delle
risorse disponibili fissate dalla legge di stabilità214, raccoglie le aspettative previste
213 Gazzetta ufficiale n. 75 del 29 marzo 2013. 214 L’agevolazione trova applicazione nel limite massimo di onere di 950 milioni di euro per l’anno 2013 e di 400 milioni di euro per l’anno 2014 destinati a stimolare la produttività ampliando la platea dei beneficiari ed elevando il limite reddituale per l’accesso all’agevolazione.
Legislazione nazionale in tema di produttività
98
dall’accordo sulla produttività evidenziate in premessa215, e nel secondo punto
dove le parti firmatarie affermavano che si presentava “necessario incrementare e
rendere strutturali, certe e facilmente accessibili tutte le misure fiscali e
contributive volte ad incentivare la contrattazione di secondo livello”216.
Come si analizzerà in seguito, il carattere innovativo delle fattispecie introdotte
richiama l’art. 7 dell’accordo interconfederale del 2012 e affronta in modo chiaro i
seguenti punti:
• “l’affidamento alla contrattazione collettiva di una piena autonomia
negoziale rispetto alle tematiche relative all’equivalenza delle mansioni, alla
integrazione delle competenze, presupposto necessario per consentire
l’introduzione di modelli organizzativi più adatti a cogliere e promuovere
l’innovazione tecnologica e la professionalità necessarie alla crescita della
produttività e della competitività aziendale;
• la ridefinizione dei sistemi di orari e della loro distribuzione anche con
modelli flessibili, in rapporto agli investimenti, all’innovazione tecnologica e
alla fluttuazione dei mercati finalizzati al pieno utilizzo delle strutture
produttive idoneo a raggiungere gli obiettivi di produttività convenuti;
• l’affidamento alla contrattazione collettiva delle modalità attraverso cui
rendere compatibile l’impiego di nuove tecnologie con la tutela dei diritti
fondamentali dei lavoratori, per facilitare l’attivazione di strumenti
informatici ordinari, indispensabili per lo svolgimento delle attività
lavorative”217.
Il D.P.C.M. del 22 gennaio 2013 stabilisce che “le somme erogate a titolo di
retribuzione di produttività, in esecuzione di contratti collettivi di lavoro sottoscritti
a livello aziendale o territoriale, ai sensi della normativa di legge e degli accordi
interconfederali vigenti, da associazioni dei lavoratori comparativamente più
rappresentative sul piano nazionale, ovvero dalle loro rappresentanze sindacali
operanti in azienda, sono soggette a un’imposta sostitutiva dell’imposta sul
215 “Le parti, pertanto, chiedono al Governo e al Parlamento di rendere stabili e certe le misure previste dalle disposizioni di legge per applicare, sui redditi da lavoro dipendente fino a 40 mila euro lordi annui, la detassazione del salario di produttività attraverso la determinazione di un’imposta, sostitutiva dell’Irpef e delle addizionali, al 10%”. 216 Accordo interconfederale 21 novembre 2012, punto secondo. 217 Accordo interconfederale 21 novembre 2012, punto settimo.
Legislazione nazionale in tema di produttività
99
reddito delle persone fisiche e delle addizionali regionali e comunali pari al
10%”218.
Lo Stato nel detassare parzialmente la retribuzione di produttività compie uno
sforzo finanziario non trascurabile se lo si affianca a quello compiuto per lo
sgravio contributivo219.
Il decreto interviene fissando le caratteristiche che distinguono i soggetti
interessati e il limite per l’applicazione dell’imposta sostitutiva. L’imposta
agevolata trova applicazione esclusivamente al settore privato e interessa i titolari
di reddito da lavoro dipendente non superiore nel 2012 a 40 mila euro al lordo
delle somme assoggettate nell’anno 2012 all’imposta sostitutiva220.
Al comma 3 dell’art.1 del decreto in esame viene fissato il limite per l’applicazione
dell’imposta sostitutiva: la retribuzione di produttività individualmente riconosciuta
che può beneficiare dell’imposta agevolata non può comunque essere
complessivamente superiore, nel corso dell’anno 2013, a 2.500 euro lordi.
Fino a questo punto dell’analisi ciò che varia, rispetto alla normativa precedente, è
l’innalzamento della misura del reddito minimo di riferimento che passa da 30
mila a 40 mila euro.
Senza dubbio le novità che attengono all’applicazione dell’agevolazione fiscale
sono da riconoscere nell’ambito oggettivo e in particolar modo nell’introduzione
del concetto di retribuzione di produttività221.
Il D.P.C.M. 22 gennaio 2013 coerentemente con la ratio dell’agevolazione che
vuole introdurre criteri più selettivi e sostenere chi realmente si impegna ad
incrementare la produttività, stabilisce che per retribuzione di produttività si
intendono le voci retributive erogate in esecuzione di contratti aziendali e
territoriali con espresso riferimento ad indicatori di diversa natura.
La nozione di “retribuzione di produttività” si presenta peculiare ed articolata,
costruita su indicatori quantitativi, ma anche qualitativi e organizzativi, così da
ritenere incentivabili222:
218 D.P.C.M. 22 gennaio 2013, art. 1, comma 1. 219 S. Malandrini, Contrattazione di prossimità e welfare aziendale, in Riv. Ita. Dir. Lav., 2013, vol. 3, parte I, pp. 141. 220 D.P.C.M. 22 gennaio 2013, art. 1, comma 2. 221 A. Tea, Detassazione della retribuzione di produttività, in Guida alle Paghe, 2013, vol. 7, pp. 376-383.
Legislazione nazionale in tema di produttività
100
1. “le voci retributive erogate, in esecuzione di contratti, con espresso
riferimento ad indicatori quantitativi di
produttività/reddittività/qualità/efficienza/innovazione”223;
2. “le voci retributive erogate, in esecuzione di contratti, che prevedano
l’attivazione di almeno una misura in almeno tre delle aree di intervento di
seguito indicate: a) ridefinizione dei sistemi di orari e della loro
distribuzione con modelli flessibili, anche in rapporto agli investimenti,
all’innovazione tecnologica e alla fluttuazione dei mercati finanziari ad un
più efficiente utilizzo delle strutture produttive idoneo a raggiungere gli
obiettivi di produttività convenuti mediante una programmazione mensile
della quantità e della collocazione oraria della prestazione; b) introduzione
di una distribuzione flessibile delle ferie mediante una programmazione
aziendale anche non continuativa delle giornate di ferie eccedenti le due
settimane; c) adozione di misure volte a rendere compatibile l’impiego di
nuove tecnologie con la tutela dei diritti fondamentali dei lavoratori, per
facilitare l’attivazione di strumenti informatici, indispensabili per lo
svolgimento delle attività lavorative; d) attivazione di interventi in materia
di fungibilità delle mansioni e di integrazione delle competenze, anche
funzionali a processi di innovazione tecnologica”224.
Il raccordo tra incentivi retributivi e flessibilità organizzative prospettato dal
D.P.C.M. “realizza direttamente ed in forma del tutto inedita una sorta
monetizzazione del valore della flessibilità” in relazione a materie che sono poi le
stesse di cui al punto 7 dell’accordo interconfederale del novembre 2012,
esprimendo, così “in chiari termini quella equazione flessibilità-produttività che
nell’accordo del 2012 restava comunque implicita”225 . L’operazione è affidata
222 P. Campanella, 2013, Decentramento contrattuale e incentivi retributivi nel quadro delle politiche di sostegno alla produttività del lavoro, in PRISMA - Economia Società Lavoro, vol. 1 “crescere in tempo di crisi: il ruolo delle relazioni industriali e della contrattazione collettiva decentrata”, pp. 10. 223 In linea con la retribuzione tradizionale e sperimentata già prevista dal Protocollo 23 luglio 1993. 224 D.P.C.M. 22 gennaio 2013, art. 2. 225 F. Lunardon, 2013, I contenuti della contrattazione collettiva di secondo livello negli accordi interconfederali 2009-2013, in PRISMA Economia Società Lavoro, vol.1, pp.35-52.
Legislazione nazionale in tema di produttività
101
direttamente alla contrattazione di secondo livello e non al primo, come poteva
apparire desumibile dal testo dell’accordo interconfederale del 2012226.
Osservando le aree di intervento del decreto del presidente del consiglio, la
retribuzione di produttività è inserita in un contesto dove l’attività organizzatrice
del datore di lavoro è considerata un “insieme di atti di diritto privato coordinati o
unificati sul piano funzionale dal punto di vista dello scopo”227.
Il D.P.C.M. non guarda al singolo contratto di lavoro, ma alla collocazione di più
contratti nello stesso contesto coordinato, come atti che fanno parte della sfera
dell’imprenditore per organizzare e gestire la struttura produttiva. Il datore di
lavoro può quindi guidare la sua organizzazione attraverso le esigenze mutevoli
della produzione, utilizzando due profili fondamentali: le mansioni da svolgere e il
tempo di lavoro228.
L’aspetto più innovativo del decreto del 2013 è rintracciabile nella relazione tra
retribuzione e organizzazione: il trattamento economico è collegato alla previsione
di contratti collettivi che “programmano” la produttività adottando misure
organizzative connesse ai tempi (orario di lavoro), ai contenuti (mansioni) della
prestazione e alla tecnologia. In questo modo viene modificata la modalità di
erogazione del salario di produttività. La condizione richiesta per la
corresponsione della retribuzione aggiuntiva non è il raggiungimento di un
risultato futuro e incerto, ma l’esistenza di un accordo collettivo che sia diretto a
recuperare maggior produttività tramite l’utilizzo di strumenti di flessibilità
contrattuale.
A rendere incerta l’erogazione del trattamento economico non è più il
conseguimento dell’obiettivo di produttività, ma la presenza o meno di un
contratto collettivo che dia attuazione alle misure previste dal decreto
226 Nella parte inziale del punto 7 dell’accordo interconfederale del 21 novembre 2012, “le parti ritengono necessario che la contrattazione collettiva fra le organizzazioni comparativamente più rappresentative, nei singoli settori, su base nazionale, si eserciti, con piena autonomia, su materie oggi regolate in maniera prevalente o esclusiva dalla legge che, direttamente o indirettamente, incidono sul tema della produttività del lavoro. Le parti s’impegnano ad affrontare, pertanto, in sede di contrattazione collettiva le questioni ritenute più urgenti (…)”. Il riferimento alla contrattazione nazionale contenuto in questa parte dell’accordo porta a pensare che le parti ritenessero di competenza della contrattazione di primo livello le materie che sono state poi delegate alla contrattazione di secondo. 227 C. Angelici, Diritto commerciale, Laterza, 2002, Roma-Bari. 228 M. Marazza, I poteri di organizzazione, dell’attività e del lavoro, in Contratto di lavoro e organizzazione, CEDAM, Padova, 2012, pp. 1271.
Legislazione nazionale in tema di produttività
102
interministeriale. Il D.P.C.M. quindi responsabilizza le parti sociali ad utilizzare gli
strumenti contrattuali a disposizione, dal cui impiego dipende la detassazione
dell’incremento retributivo da erogare229.
L’art. 2 del decreto ha fornito una doppia nozione di retribuzione di produttività
negoziata ai sensi dell’art. 1; la prima, collegata ad indicatore quantitativi, e la
seconda, connessa all’attivazione di almeno “una misura in almeno tre” delle
quattro arre di intervento indicate nel decreto.
Probabilmente, la seconda nozione, nel suo tentativo di indirizzare il sostegno
statale verso interventi di flessibilizzazione ad ampio raggio dell’organizzazione del
lavoro, giustifica la circolare del Ministero del lavoro n. 15 del 2013. Tale circolare
sembra avere l’obbiettivo di arginare eventuali strette sulle voci retributive che
possono godere di agevolazione fiscale per effetto del D.P.C.M. 22 gennaio 2013.
Questo documento suggerisce una lettura estensiva del concetto di “indicatore
quantitativo” presente all’interno della prima nozione, con la conseguenza di
ricondurvi qualsiasi indicatore diretto “a remunerare un apporto lavorativo
finalizzato ad un miglioramento della produttività in senso lato e quindi anche ad
una “efficientazione” aziendale”230.
Si tratta di erogazioni economiche che possono essere corrisposte anche in
misura fissa e continuativa, poiché la circolare esplicita che esse “possono essere
anche incerte231 nella loro corresponsione e nel loro ammontare”232.
A titolo esemplificativo la circolare in esame elenca degli indicatori a cui le voci
retributive del D.P.C.M. del 22 gennaio 2013 possono essere ricollegate. Tra
questi indicatori ne sono presenti alcuni di natura quantitativa, come
“l’andamento del fatturato”, la “maggior soddisfazione della clientela rilevabile dal
numero dei clienti cui si dà riscontro”, i “minori costi di produzione a seguito
dell’utilizzo di nuove tecnologie”, la “lavorazione di periodi di riposo di origine
pattizia” (ad esempio ROL), le “prestazioni lavorative aggiuntive rispetto a quanto
previsto dal CCNL”, i “premi di rendimento o produttività (quelli ad esempio che 229 M. Vitaletti, Retribuzione di produttività e contrattazione collettiva decentrata, in Eco. & Lav., 2014, vol.1, pp. 108-113. 230 Circolare del Ministero del lavoro n. 15, 3 aprile 2013, pag. 3. 231 Secondo T. Treu, opera citata, 2010, è coessenziale alla natura dei premi la caratteristica della loro variabilità, in modo da potersi dubitare che vi siano comprese erogazioni economiche collegate, ad esempio, alla presenza del lavoratore. 232 Circolare del Ministero del lavoro n. 15, 3 aprile 2013, pag. 3.
Legislazione nazionale in tema di produttività
103
già fruiscono dello sgravio contributivo ai sensi dell’art. 1, comma 67, della l. n.
247/2007)” , ed altri che non sono propriamente misurabili o quantificabili
attraverso degli indici, come le “quote retributive ed eventuali maggiorazioni
corrisposte in funzione di particolari sistemi orari (…) a ciclo continuo, sistemi di
“banca delle ore”, indennità di reperibilità, di turno o di presenza, clausole
flessibili o elastiche”, i “ristorni ai soci delle cooperative nella misura in cui siano
collegati ad un miglioramento della produttività”, le “modifiche alla distribuzione
degli orari (…) in azienda”, le “modifiche orientate alla gestione di turnazioni o
giornate aggiuntive (ad esempio lavoro domenicale o festivo), e/o orari a
scorrimento su giornate non lavorative e/o alla gestione delle modalità attuative
dei regimi di flessibilità previsti dai CCNL”, nonché, ogni altro intervento teso “al
miglioramento dell’utilizzo degli impianti e dell’organizzazione del lavoro”233.
In questo modo la prima nozione di retribuzione di produttività è stata ampliata in
modo smisurato, con l’effetto di oscurare persino il senso e l’utilità della seconda
e più rigorosa nozione234.
Al fine di una maggiore incisività degli obiettivi prefissati dal D.P.C.M. 22 gennaio
2013 è stata introdotta una procedura che ha come obiettivo il monitoraggio dello
sviluppo delle misure di detassazione e una verifica di conformità degli accordi
con le disposizioni del suddetto decreto. I datori di lavoro, infatti, dovranno
provvedere a depositare i contratti presso la Direzione territoriale del lavoro,
territorialmente competente, entro 30 giorni dalla loro sottoscrizione con allegata
autodichiarazione di conformità dell’accordo depositato alle disposizioni del
D.P.C.M.235.
L’art. 3, comma 3 del decreto prevede che il Governo procederà entro la fine del
2013 ad “un confronto con le parti sociali, al fine di acquisire elementi conoscitivi
in ordine all’applicazione dei contratti e all’effettiva idoneità delle previsioni di cui
all’articolo 2 a conseguire gli obiettivi di incrementi della produttività”.
Come ultimo documento, in termini cronologici, da analizzare in tema di
defiscalizzazione della produttività si presenta il D.P.C.M. 19 febbraio 2014, che
233 Circolare del Ministero del lavoro n. 15, 3 aprile 2013, pag. 3. 234 P. Tomassetti, La produttività secondo Monti, da http://www.farecontrattazione.it, pubblicato il 28 gennaio 2013, 2013, pp. 1. 235 D.P.C.M. 22 gennaio 2013, art. 3, comma 1.
Legislazione nazionale in tema di produttività
104
oltre a confermare il decreto dell’anno precedente236, ha dato attuazione alla
Legge di stabilità 2013 (art. 1, comma 481, legge n. 228/2012), prevedendo
l’agevolazione fiscale per la tassazione del reddito dei lavoratori dipendenti
erogato allo specifico scopo di incrementare la produttività del lavoro.
Il decreto del 2014, mantenendo l’assetto regolativo dell’anno precedente, come
unica novità introduce l’innalzamento del tetto massimo annuo delle voci di salario
legate alla produttività aziendale, da 2.500 a 3.000 euro237.
236 D.P.C.M. 22 gennaio 2013. 237 E. D’Alessandro, Detassazione degli elementi di paga collegati alla Banca ore, in Guida alle paghe, 2014, vol. 10, pp. 601-606.
La casistica negoziale in tema di produttività e detassazione
105
CAPITOLO 4
La casistica negoziale in tema di produttività e detassazione
1. I numeri della contrattazione di secondo livello – 2. Analisi di contratti aziendali e territoriali – 2.1 Contratto integrativo aziendale Carrefour Italia 5 marzo 2013 – 2.2 Accordo aziendale Luxottica 14 ottobre 2011 – 2.3 Ipotesi di accordo su contrattazione provinciale di secondo livello – Unionmeccanica Vicenza – 2.4 Contratto collettivo regionale per i lavoratori dipendenti delle aziende artigiane della Lombardia dell’area Chimica-Ceramica.
1. I numeri della contrattazione di secondo livello.
Dopo aver analizzato la normativa che regola ed incentiva la produttività
del lavoro possiamo dire che il principale strumento attraverso cui le aziende
italiane cercano di aumentare la produttività del lavoro è la contrattazione di
secondo livello. Per questo motivo cercheremo di individuare come e quanto è
utilizzata questa tipologia di contrattazione sul suolo nazionale.
Per quanto riguarda la contrattazione aziendale, maggiore è la dimensione
occupazionale dell’azienda, più facile è che questa utilizzi la contrattazione di
secondo livello. In questo senso, la variabile determinante è la maggiore presenza
sindacale in azienda, connessa alla disponibilità delle imprese con maggiore
complessità organizzativa ad affrontare aggiustamenti e miglioramenti specifici
dell’organizzazione del lavoro, degli orari e dei salari.
L’altra dimensione di contrattazione di secondo livello è quella territoriale, e gran
parte di questo tipo di contrattazione, soprattutto per le aziende medio-piccole,
viene svolta al centro-nord del paese.
C’è da osservare che rispetto alla variabile delle dimensioni aziendali, proprio la
struttura dimensionale è un tema critico per le imprese italiane: nel 2012 sul
La casistica negoziale in tema di produttività e detassazione
106
territorio nazionale erano presenti 4,4 milioni di imprese che occupavano un totale
di 16,7 milioni di lavoratori. Rispetto alla dimensione totale, 2,6 milioni di imprese
avevano meno di due dipendenti, 1,6 milioni occupavano da 2 a 10 lavoratori, 134
mila imprese ne occupavano da 11 a 19, 53,3 mila da 20 a 49, 21,6 mila imprese
avevano tra 50 e 249 dipendenti e solo 3,6 mila imprese avevano più di 250
dipendenti. Dei 16,7 milioni di occupati sul territorio nazionale, solo 6 milioni di
lavoratori erano assunti presso un’azienda con più di 20 dipendenti238.
Dall’analisi di questi semplici dati si arriva alla conclusione secondo la quale la
contrattazione aziendale riguarda una quota relativa e concentrata di lavoratori e
lavoratrici. Basti pensare che a più dell’80% dei lavoratori italiani viene applicato il
contratto collettivo nazionale di lavoro.
A questo quadro si aggiunge la contrattazione territoriale che si è sviluppata in
modo diverso sia geograficamente sia rispetto ai settori di appartenenza delle
aziende: ad esempio in Veneto, Friuli Venezia Giulia, Toscana, Emilia Romagna,
Lombardia; più diffusamente in settori quali l’edilizia e l’artigianato.
Un ostacolo all’individuazione della situazione nazionale della contrattazione di
secondo livello è sicuramente la raccolta dei dati che riguardano gli accordi che
ogni anno sono stipulati. A livello nazionale non viene svolta un’operazione di
raccolta e catalogazione dei diversi accordi, quindi per poter avere una visione di
come la contrattazione di secondo livello si articola sul territorio ci si deve
rivolgere ad analisi campionarie che non sempre rispecchiano la reale
composizione della contrattazione di secondo livello in Italia.
Per sintetizzare la situazione italiana sono stati presi in considerazione, da parte di
chi scrive, tre differenti studi239 relativi alla contrattazione di secondo livello, che
hanno analizzato panieri composti da numeri diversi di accordi.
238 Istat, 2012, registro statistico delle imprese attive (Asia); non sono disponibili dati più aggiornati relativi alla materia in esame. 239 Il primo studio preso in analisi è il “Secondo rapporto di dati OCSEL sulla contrattazione di 239 Il primo studio preso in analisi è il “Secondo rapporto di dati OCSEL sulla contrattazione di secondo livello negli anni 2009-2012” dell’Osservatorio sulla Contrattazione di Secondo Livello della CISL. Il secondo studio considerato è stato condotto da Vincenzo Bavaro e rielabora i risultati di una ricerca sulla contrattazione collettiva aziendale svolta negli anni 2010-2012. L’insieme di accordi analizzati, 764 in totale, rappresentano una casistica ragionata, selezionata in base alla provenienza e alla categoria dei settori produttivi in cui più spesso viene utilizzata la contrattazione di secondo livello.
La casistica negoziale in tema di produttività e detassazione
107
Il più ampio e completo dei tre è il Secondo rapporto sulla contrattazione di
secondo livello di OCSEL promosso da Cisl.
Il lavoro presenta i risultati di un’analisi quali-quantitativa sulla contrattazione di
secondo livello attraverso l’elaborazione statistica e lo studio di accordi stipulati
negli anni 2009-2012. Sono stati oggetto di analisi 2.402 accordi stipulati in 1.491
aziende con una dimensione minima di 10 occupati. Quasi il 90% degli accordi
analizzati sono di natura aziendale mentre la parte restante è composta da
accordi territoriali.
Il 42% degli accordi analizzati dal OCSEL sono stati stipulati nelle Regioni del
Nord, il 33% in quelle del Centro, il 18% riguardava accordi di Gruppo che
andavano applicati a lavoratori presenti su tutto il territorio nazionale e solo il 7%
dell’analisi riguardava la produzione contrattuale delle Regioni del Sud e delle
Isole240.
Analizzando i dati per settore emerge che la maggior parte degli accordi sono
stati stipulati nel settore metalmeccanico (17%), seguiti da quelli stipulati nel
commercio (14%), nel settore tessile (11%), nel settore chimico (10,6%),
nell’amministrazione pubblica (10,3%), nell’edilizia (10%) e nei trasporti (6%).
Sia il lavoro di Bavaro che quello di OCSEL sottolineano come la stragrande
maggioranza dei contratti aziendali rilevati sono riconducibili alla generale finalità
di gestire situazioni di crisi aziendale o eccedenza di personale. L’elevato numero
di questa tipologia di contratti è presumibilmente giustificata, tenendo in
considerazione i periodi analizzati, dalla grave crisi finanziaria che ha colpito il
tessuto economico nazionale dal 2008 in poi241.
Una seconda tipologia di contratti aziendali, anch’essa in numero consistente fra
quelli rilevati, riguarda la detassazione della retribuzione collegata alla
produttività. Si tratta di accordi che non regolano l’assetto organizzativo, ma si
limitano a ricondurre uno o più emolumenti economici alla crescita della
produttività così da poter usufruire del beneficio previsto dalla politica fiscale. Il terzo lavoro utilizzato è stato presentato da Paolo Tomassetti e riguarda i risultati di un’indagine sugli accordi di produttività, condotta su un campione di 350 contratti integrativi aziendali sottoscritti nell’industria metalmeccanica lombarda nel periodo 2008-2013. 240 Sicuramente tale percentuale è giustificata dal minore tessuto produttivo presente in tali territori. 241 V. Bavaro, Contrattazione aziendale e produttività (a proposito di un’indagine casistica), in Econ. & Lav., 2014, vol. 1, pp.119.
La casistica negoziale in tema di produttività e detassazione
108
Molto spesso si tratta di rinnovi di accordi aziendali precedenti, infatti, solo un 8%
degli accordi sotto firmati per usufruire dell’incentivo di detassazione sono stati
stipulati da aziende che prima non avevano contrattazione di secondo livello242.
In tutti e tre gli studi pochissimi casi di contratti di secondo livello sembrano
perseguire il miglioramento dell’organizzazione del lavoro e delle pratiche
aziendali.
Nel lavoro di Tomassetti la selezione degli accodi di produttività all’interno del
campione è avvenuta a partire dalla definizione elaborata da Clegg243, secondo cui
un contratto collettivo può definirsi di produttività quando i lavoratori o le loro
rappresentanze accettano dei cambiamenti nelle condizioni lavorative che
determinano un’organizzazione del lavoro più economica, al netto di eventuali
incrementi salariali concessi a titolo compensativo. Solamente 48 contratti su 350
analizzati corrispondono a tale definizione, il 13,7% del campione considerato244.
Emerge, quindi un utilizzo dello strumento di contrattazione di secondo livello
interessato all’accesso ad incentivi fiscali e contributivi piuttosto che al
miglioramento reale dei processi e dell’organizzazione del lavoro, unica strada
verosimilmente percorribile per poter avere in azienda un aumento della
produttività consistente e continuativo.
Dopo aver individuato una prima criticità a livello di utilizzo di questo tipo di
contrattazione, che verrà approfondita nella parte conclusiva di questo capitolo, è
interessante soffermarsi su quali sono gli elementi inseriti nei contratti aziendali e
territoriali. Questo tipo di analisi è possibile svolgerla solamente grazie al lavoro di
OCSEL che suddivide i contenuti degli accordi in categorie e li analizza.
I contenuti della contrattazione presa in esame sono sicuramente ricchi ed
articolati. Tra le materie ricorrenti all’interno della contrattazione si trova quella
retributiva, presente in quasi il 40% degli accordi analizzati. In ordine di
frequenza segue il tema della gestione delle crisi aziendali (38%); poi i diritti
sindacali (20%), l’orario di lavoro (19%), il welfare integrativo (14%) e la
242 OCSEL, Secondo rapporto sui dati OCSEL sulla contrattazione di secondo livello negli anni 2009-2012, 2012, pp. 13. 243 H. A. Clegg, The Substance of Productivity Agreement, in A. Flanders, Collective Bargaining, Penguin Books, Harmondsworth, 1969, pp. 352-365. 244 P. Tomassetti, Gli accordi aziendali di produttività: una dimensione provinciale?, in Econ. & Lav., 2014, vol.1, pp. 90-96.
La casistica negoziale in tema di produttività e detassazione
109
formazione professionale (13%). Percentuali relativamente basse riguardano
l’inquadramento (8%), l’organizzazione del lavoro (9%), la tematica dell’ambiente
(9%) e il mercato del lavoro (7%).
In questa sede verranno analizzate solamente le materie che all’interno della
contrattazione di secondo livello possono avere un contributo positivo per
l’aumento della produttività dell’azienda.
Il tema del salario è stato trattato da quasi tutti gli accordi interconfederali presi
in esame nella parte di analisi giuridica di questo lavoro ed è anche la materia più
trattata nei contratti di secondo livello analizzati dall’OCSEL.
All’interno dell’area Salario, identificata a livello statistico per ordinare i temi di
contrattazione, confluiscono sia le voci a carattere continuativo e in cifra fissa, sia
le voci a carattere variabile, nonché le maggiorazioni o indennità 245 . I dati
evidenziano come il salario variabile è quello maggiormente oggetto di
contrattazione in azienda (68%) rispetto alle voci ad importo fisso (52%).
Nel caso di voci a carattere variabile sono i premi di risultato (94%) ad essere
legati con maggior frequenza ad obiettivi concordati tra le parti.
Anche se viene ripetutamente dichiarata la totale variabilità del premio di
risultato, va detto che in alcuni casi sono state introdotte delle clausole di
revisione e/o dei meccanismi in grado di garantire un valore minimo del premio.
Gli indicatori utilizzati per determinare i premi sono di natura estremamente
variegata e nell’analisi effettuata da OCSEL ne sono stati individuati tre gruppi
principali: indicatori tecnico-produttivi, indicatori di bilancio, formule miste246.
Gli indicatori più utilizzati sono quelli tecnico-produttivi (63%), riferibili a
produttività, efficienza, flessibilità, qualità, presenza assunta come obiettivo della
prestazione, seguiti da quelli di bilancio (29%) e formule miste.
Gli indicatori di bilancio maggiormente rinvenibili nella determinazione del premio
di risultato sono sostanzialmente quattro (MOL, Ebit, Fatturato ed Ebitda), e quasi
tutti questi parametri tendono ad essere utilizzati congiuntamente nello stesso
accordo. Infatti, sono pochissimi gli accordi che legano la retribuzione variabile ad 245 Quali voci retributive più direttamente collegate alle peculiari modalità di svolgimento della prestazione. 246 Non è facile ed immediato creare una netta linea di demarcazione poiché gli indicatori sono spesso rappresentati da una combinazione di parametri, collegati tra loro da formule più o meno complesse.
La casistica negoziale in tema di produttività e detassazione
110
un solo parametro, mentre la maggioranza utilizza meccanismi complessi che
fanno riferimento a più indicatori.
La decisione circa gli indicatori da utilizzare nei meccanismi premianti influenza in
modo non indifferente gli schemi di suddivisione del rischio tra le parti. La scelta
di utilizzare principalmente indicatori di produttività e di qualità riduce il rischio
della variabilità degli importi concordati, e allo stesso tempo funge in alcuni casi
da incentivo ad una maggiore partecipazione ed impegno alla riduzione delle
inefficienze del sistema produttivo.
E’ da rilevare la forte importanza attribuita alla presenza intesa non come
obiettivo di prestazione ma come criterio per determinare la partecipazione del
lavoratore ai benefici maturati in funzione del raggiungimento di altri obiettivi di
produttività, qualità e redditività. Dall’analisi risulta che il 24% degli accordi
introducono un correttivo individuale di presenza. La presenza viene utilizzata per
mantenere un rapporto di causalità fra risultati e premio: la maggior presenza sul
posto di lavoro implica un maggiore apporto al raggiungimento degli obiettivi
stabiliti nell’accordo aziendale.
Abbastanza contenuta appare la diffusione delle forme di indennità (15%). Tra
quelle più contrattate troviamo le indennità di turno (29%), seguite dalle
indennità di mansione/funzione (18%).
Il 25% degli accordi regolamenta invece le maggiorazioni per orario straordinario,
dal turno diurno al notturno, dal festivo al settimanale.
Un secondo elemento che può incidere in modo profondo sulla gestione della
produttività in azienda è l’orario di lavoro. Relativamente a questa materia, il 54%
degli accordi hanno contrattato in tema di flessibilità, il 36% si sono concentrati
sulla distribuzione dell’orario, il 25% sul part-time ed il 24% sullo straordinario.
Analizzando le singole voci nella sezione “Flessibilità” rientrano gli accordi relativi
all’applicazione in azienda di periodi di flessibilità, quelli dove sono previste fasce
di orario elastiche per l’entrata e l’uscita, comprensive di eventuali opzioni di
recupero e/o accantonamento delle ore, quelli relativi all’incremento delle ore
lavorate e/o numero dei turni in periodi di punta, quelli legati ai tempi di vita e di
lavoro.
La casistica negoziale in tema di produttività e detassazione
111
Tali strumenti, la cui attuazione può determinare anche fenomeni di
diversificazione e di personalizzazione dell’orario di lavoro all’interno della stessa
azienda, rispondono evidentemente alle esigenze aziendali di rendere più flessibile
la prestazione di lavoro per far fronte, anche attraverso un utilizzo ottimale degli
impianti, alle variazioni della domanda.
Relativamente alle regole di retribuzione delle ore eccedenti in regime di
flessibilità poco più della metà degli accordi (53%) ha disposto in materia di
retribuzione della flessibilità e per la maggior parte prevedendo delle retribuzioni
con maggiorazioni ulteriori rispetto a quanto stabilito dal contratto collettivo
nazionale applicato (32%). Rilevante si presenta la percentuale degli accordi che
prevedono, come retribuzione delle ore eccedenti l’orario di lavoro, la variabile dei
riposi compensativi (29%).
La seconda delle sezioni maggiormente contrattata è la distribuzione dell’orario.
Rientrano in questa sezione tutti gli accordi relativi alla determinazione dei c. d.
calendari annui (73%), alla definizione dell’assetto dei turni (74%), alla
definizione dei tempi di pausa e recupero (59%), alla banca ore (49%), nonché
all’attuazione di riduzione di orario di lavoro (33%).
Nella prima parte del presente elaborato, all’interno degli elementi volti al
miglioramento della produttività, sono stati identificati anche una serie di
strumenti non solamente diretti al miglioramento della prestazione lavorativa o
all’aumento della produttività per ora lavoro, ma anche al benessere del
lavoratore. Non è possibile quindi considerare la produttività del lavoro slegata dai
sistemi di welfare aziendale, anche se all’interno della normativa che regola e
incentiva proprio la produttività gli strumenti di welfare non sono, se non
minimamente, considerati e premiati.
L’area di intervento maggiormente ricorrente nella regolazione del welfare
integrativo sul totale degli accordi è quella dei servizi aziendali e l’attivazione di
convenzioni (77%), seguita dall’attivazione di fondi integrativi (60%) e, in ultimo,
le disposizioni di miglioramenti, rispetto alla legislazione vigente, riguardo ad
alcune materi del welfare contrattuale (55%).
La preparazione e la formazione dei lavoratori per aumentare la produttività
dell’azienda sono di fondamentale importanza, soprattutto se si guarda alla
La casistica negoziale in tema di produttività e detassazione
112
produttività totale dei fattori, dove le capacità dei singoli lavoratori possono dare
un contributo chiave per il miglioramento dell’efficienza dell’impresa.
La contrattazione di secondo livello per quanto concerne il tema della formazione,
non persegue la strada d’implementazione delle conoscenze dei lavoratori, ma si
concentra piuttosto sull’utilizzo della formazione contrattata come strumento per
favorire la riqualificazione di lavoratori sospesi dall’attività lavorativa. Solo il 16%
degli accordi che trattano di formazione, infatti, hanno utilizzato questo strumento
per migliorare le capacità e le conoscenze dei lavoratori in seguito all’introduzione
di nuove tecnologie all’interno dell’azienda.
Dall’analisi di questi dati si può dedurre che la contrattazione di secondo livello
non sia attivata per migliorare in modo concreto la produttività del lavoro.
Pochissimi accordi trattano temi quali il miglioramento dell’organizzazione del
lavoro o la modificazione dei contenuti del rapporto di lavoro in seguito
all’introduzione di innovazioni tecnologiche.
In questo modo la contrattazione di secondo livello, nei casi in cui viene utilizzata,
permette l’accesso agli sgravi contributivi e agli incentivi fiscali, ma non contiene
gran parte degli elementi che la letteratura economica riconosce come
fondamentali per il perseguimento della competitività e della crescita della
produttività delle imprese italiane.
2. Analisi di contratti aziendali e territoriali.
Dopo aver individuato quanto e come sono utilizzati i contratti di secondo
livello è opportuno completane l’analisi attraverso lo studio più specifico di alcuni
casi di contrattazione di secondo livello.
Tra i molti accordi disponibili, sia di natura aziendale sia di natura territoriale,
l’attenzione è stata rivolta a casi di contrattazione contenenti strumenti ritenuti
validi al fine del miglioramento dei livelli di produttività dell’azienda.
Relativamente ai contratti di natura aziendale sono state individuate due imprese
di grandi dimensioni.
Il primo contratto aziendale analizzato è stato siglato da Carrefour Italia; questo
accordo è stato scelto per la tipologia di indici utilizzati ai fini della stima del
premio di risultato. Anche se ben strutturato per quanto concerne i parametri da
La casistica negoziale in tema di produttività e detassazione
113
misurare per cogliere un aumento di produttività, esso non presenta alcun tipo di
innovazione e di riferimento a strumenti alternativi alla flessibilità dell’orario di
lavoro. Questo accordo, nonostante le dimensioni considerevoli dell’azienda che lo
ha sotto scritto, non presenta differenze di rilievo rispetto alla maggior parte degli
accordi aziendali stipulati sul territorio nazionale. Il fine primo di tale contratto
pare essere quello di identificare in modo preciso e sicuro gli elementi retributivi
che possono beneficiare di incentivi fiscali e contributivi.
Il secondo accordo aziendale analizzato, invece, è stato scelto proprio per la sua
natura innovatrice relativamente agli strumenti utilizzati per aumentare i livelli di
produttività. Il contratto aziendale del gruppo Luxottica è stato inserito in questo
contesto di analisi perché rappresenta una valida alternativa agli accordi aziendali
più frequentemente adottati in Italia e presenta elementi utili al perseguimento
concreto dell’innalzamento di produttività e non di accesso a benefici contributivi
e fiscali.
Per quanto riguarda la contrattazione territoriale sono stati analizzati due accordi,
uno provinciale e uno regionale, che presentano caratteristiche distintive rispetto
ai numerosi accordi territoriali fotocopia il cui uso è dilagato dopo l’accordo
interconfederale del 24 aprile 2013.
Gli accordi territoriali scelti si rivolgono ad imprese anche di dimensioni ridotte ed
individuano indici che si distinguono dalla semplice misurazione della flessibilità di
orario, per la misurazione degli aumenti di produttività.
2.1 Contratto integrativo aziendale Carrefour Italia 5 marzo 2013
In data 5 marzo 2013 viene sotto scritto il contratto aziendale integrativo tra le
società appartenenti al gruppo Careffour247 Italia e FILCAMS CGIL, FISASCAT
CISL, UILTUS UIL.
Carrefour è una società francese operante nel settore della grande distribuzione
organizzata a livello internazionale. Presente in Italia dal 1974, opera oggi su
tutto il territorio nazionale con 461 punti vendita diretti e 655 punti franchising,
occupando in totale più di 19 mila collaboratori.
247 GS Spa, SSC Srl, Diperdì Srl, Carrefour Property Srl, Carrefour Italia Finance e Carrefour Banque SA.
La casistica negoziale in tema di produttività e detassazione
114
Le parti stipulano il nuovo accordo relativo al triennio 2013-15 con la volontà di
proseguire la politica di sviluppo e investimenti sempre portata avanti
dall’azienda, riconoscendo la necessità di rimodularne il modello commerciale con
la finalità di essere più competitivi all’interno del mercato. Per perseguire tali
obiettivi l’azienda si propone di attuare l’apertura di nuovi punti vendita e di
investire in nuove tecnologie e sistemi informativi per l’ammodernamento dei
punti vendita già esistenti248.
Come conseguenza di un significativo decremento dell’ammontare degli affari
aziendali del triennio precedente alla stipula dell’accordo analizzato, le parti
riconoscono la necessità di “favorire un recupero di efficienza, qualità e
produttività, anche attraverso lo svolgimento di prestazioni domenicali o festive”.
Per questo motivo si costituisce un sistema incentivante, applicabile a dipendenti
con contratto a tempo indeterminato e apprendisti, a cui si potrà accedere solo
nel caso in cui verrà raggiunto un livello previsto di reddittività. Il premio di
produttività risulta legato al raggiungimento di uno tra i due seguenti indicatori:
“l’1,5% dell’incremento rispetto all’anno precedente del fatturato annuo lordo a
tasso iva costante del Gruppo Carrefour Italia, al netto del tasso annuo di
inflazione e delle benzine; l’1% del fatturato annuo lordo a tasso constante ed al
netto delle benzine del Gruppo Carrefour Italia eccedente il budget”.
Se il fatturato del gruppo non crescerà per l’ammontare determinato da almeno
uno dei due parametri, il premio non verrà riconosciuto.
L’ammontare teorico per addetto del premio di produttività variabile sarà
costituito dalla somma di incremento del fatturato determinata precedentemente
diviso il numero dei dipendenti, fino a un massimo di 600 euro lordi annui, che nel
2015 salirà ad 800.
Il valore del premio che verrà erogato al dipendente, il cui ammontare massimo
dipende dall’andamento del gruppo in generale, dipenderà anche dal
raggiungimento di ulteriori indici relativi al punto vendita dove il lavoratore svolge
248 Contratto Integrativo Aziendale Carrefour Italia 5 marzo 2013, paragrafo “investimenti e piano industriale”, p. 2.
La casistica negoziale in tema di produttività e detassazione
115
la propria attività. A titolo esemplificativo per i dipendenti di “Market e
Superstore”249 del Gruppo il premio dipenderà per il:
- 40% raggiungimento del fatturato lordo a tasso costante previsto nel
budget del punto di vendita;
- 40% raggiungimento della % di differenze inventariali prevista nel budget
del punto di vendita;
- 20% raggiungimento del Fatturato per Ora Lavorata (FOL) previsto nel
budget del punto di vendita.
Per le tipologie di negozio di dimensioni più importanti si fa riferimento a valori
previsti nel budget del singolo punto vendita, mentre per quelli di dimensioni
ridotte, identificati con il formato “Prossimità”, si fa riferimento a budget definiti a
livello di area commerciale.
La strutturazione del premio di produttività tramite l’utilizzo di due tipologie
differenti di indici, permette di avere la flessibilità retributiva necessaria al buon
andamento dell’azienda nel caso di situazioni di crisi, che si rispecchiano nel
minore fatturato rispetto a quello atteso; e dall’altro lato riconosce lo sforzo e
l’impegno, se non del singolo lavoratore dello specifico punto vendita,
incentivando così i lavoratori ad aumentare le proprie perfomance in funzione del
risultato. In questo modo si evita che l’azienda distribuisca il premio “a pioggia”
che potrebbe essere riconosciuto anche i dipendenti di un punto vendita che
frenano la crescita e il buon andamento dell’impresa.
Per fare in modo che il premio presenti un carattere ancora più individuale,
l’accordo prevede che “l’erogazione del premio sarà riproporzionata all’effettiva
presenza fatta registrare dal singolo lavoratore nel corso dell’anno”.
Proprio perché il premio di produttività in questione verrà erogato come
conseguenza del “miglioramento della competitività aziendale e dell’incremento
della produttività, reddittività, qualità del servizio, innovazione ed efficienza
organizzativa” 250 , esso detiene le caratteristiche richieste per rientrare nelle
249 Sono previsti all’interno del contratto indici e percentuali diverse per le sedi “Formato Market e Superstore”, “Formato Prossimità”, “Formato Ipermercati e Cash & Carry”, “Sede” e “Depositi”. 250 Contratto Integrativo Aziendale Carrefour Italia 5 marzo 2013, paragrafo “premio di produttività variabile”, p. 9.
La casistica negoziale in tema di produttività e detassazione
116
agevolazioni fiscali e contributive previste dalla normativa per le erogazioni
retributive correlate alla produttività/reddittività aziendale.
Come ulteriore strumento per aumentare la flessibilità all’interno
dell’organizzazione aziendale, le parti hanno individuato un sistema di
incentivazione per i dipendenti che prestano il lavoro nelle giornate festive e
domenicali. Oltre alle maggiorazioni previste dal contratto collettivo nazionale,
l’azienda corrisponderà a titolo di incentivazione da 50 a 400 euro lordi
complessivi (riparametrati a seconda del livello di inquadramento del lavoratore),
in proporzione al numero di domeniche o giornate festive lavorate251.
Le incentivazioni legate al numero di giornate festive/domenicali lavorate sono
legate sempre all’incremento della “qualità del servizio alla clientela, competitività,
produttività ed efficienza organizzativa, derivanti dall’apertura dei punti vendita
anche nelle giornate domenicali e festive”; per questo motivo le parti considerano
anche questi incentivi rientranti nelle agevolazioni fiscali e contributive. In
aggiunta a questo, le parti, all’interno dell’accordo in esame, “dichiarano la
reciproca volontà di dar seguito alle opportune misure a sostegno di tale
agevolazione laddove eventualmente richieste dalla relativa normativa presente o
futura”252.
Sempre in un’ottica volta al miglioramento della competitività aziendale, le parti,
in un paragrafo intitolato “Organizzazione del Lavoro”, palesano la volontà di
monitorare in modo continuo i singoli punti vendita e le divisioni territoriali
dell’azienda, per finalizzare eventuali accordi su assetti organizzativi volti al
recupero di efficienza e produttività. Nell’ambito di tali confronti le parti dovranno
concentrarsi specificatamente su due principali fattori: l’orario di lavoro, in modo
da implementare la flessibilità oraria giornaliera e settimanale, per situazioni di
aumenti della domanda prevedibili e non prevedibili; e le mansioni, in relazione
alla “promiscuità, fungibilità e polivalenza da applicare all’interno delle singole
unità produttive e tra i rispettivi settori e reparti”.
251 Da 4 a 9 giornate fest/dom lavorate verranno corrisposti 50 euro, da 9 a 12 110, da 13 a 16 220, da 17 a 20 300 e per più di 21 giornate festive lavorate verrà corrisposto un premio pari a 400 euro. 252 Contratto Integrativo Aziendale Carrefour Italia 5 marzo 2013, paragrafo “Prestazioni straordinarie domenicali e festive”, p. 10.
La casistica negoziale in tema di produttività e detassazione
117
Questo contratto aziendale si presenta completo e volto con diversi strumenti al
miglioramento della produttività del lavoro in azienda. Il premio di produttività
dipende da elementi che appartengono al gruppo in generale, al singolo punto
vendita e al singolo lavoratore, e la disponibilità alla flessibilità è premiata in
modo separato rispetto all’andamento economico dell’impresa con un
riconoscimento in denaro che cresce al crescere della flessibilità prestata.
Un punto critico di tale accordo può essere riconosciuto nella mancanza completa
di elementi volti al welfare integrativo aziendale. Le remunerazioni per la
produttività dei lavoratori sono solo in forma monetaria e non viene presentata
alcuna ipotesi di recupero giorni prestati come flessibilità oppure forme di
assistenza sanitaria o previdenziale integrativa, che spesso incentivano i lavoratori
in modo più efficace.
Una prima ipotesi di ridisegno delle soluzioni organizzative è stata portata avanti
con questi confronti periodici tra rappresentanza sindacali aziendali,
amministratori e lavoratori che potranno migliorare l’efficienza del sistema di
lavoro, i cui risultati saranno però visibili solamente nei prossimi anni.
Questo contratto aziendale è stato inserito nella presente analisi perché pur
trattandosi di un’azienda di grandi dimensioni questa si compone di tante realtà
indipendenti di dimensioni più ridotte. Per questo motivo, gli strumenti identificati
dalle parti potrebbero essere facilmente applicati a molte realtà produttive di
medio-piccola dimensione, anche appartenenti a settori diversi da quello del
commercio e della distribuzione.
2.2 Accordo aziendale Luxottica 14 ottobre 2011.
Dopo aver analizzato un caso di azienda che punta al miglioramento della
produttività e della competitività utilizzando i mezzi messi a disposizione dalla
normativa nazionale, pare interessante guardare ad un caso di contrattazione
aziendale che presenti sia elementi previsti dal sistema normativo italiano, sia
elementi che innalzano la produttività modificando non solo l’orario di lavoro, ma
fattori come il clima di lavoro aziendale e il sistema di welfare integrativo.
Nel panorama della contrattazione aziendale italiano l’azienda che ha più di tutte
puntato sull’introduzione di strumenti volti al facilitare la conciliazione tra vita
La casistica negoziale in tema di produttività e detassazione
118
lavorativa e privata, al creare un clima lavorativo favorevole al confronto e
positivo per la risoluzione di problematiche interne, è Luxottica.
Luxottica è una multinazionale italiana che produce e commercializza occhiali,
attualmente il più grande produttore mondiale di lenti e montature grazie alla sua
ampia gamma di marchi di proprietà e in licenza. Nel 2013 occupava, nei suoi
stabilimenti dislocati in tutto il mondo, 73.400 dipendenti, di cui un 15% occupato
presso uno dei 5 stabilimenti italiani.
Il 14 ottobre 2011 la società, il coordinamento sindacale Luxottica (costituito da
FILCTEM-CGIL, FEMCA-CISL e UILTA-UIL) e le RSU del gruppo hanno sottoscritto
l’accordo aziendale applicabile al triennio 2011-13.
Nel primo paragrafo dell’accordo, intitolato “Contesto”, le parti riconoscono le
modifiche di carattere strutturale che colpiscono il mercato mondiale a causa della
crisi. Nonostante l’ottimo andamento dell’azienda, possibile anche grazie ad “un
forte contributo dei lavoratori” che hanno permesso di creare una delle imprese
più dinamiche dell’intero sistema italiano, si riconosce la necessità di rispondere a
tali cambiamenti strutturali per poter rimanere sempre competitivi e mantenere la
posizione di leadership. Gli obiettivi che si prefigge l’azienda, raggiungibili anche
tramite l’utilizzo del presente accordo aziendale, sono: “produrre meglio in termini
di produttività, velocità, di riduzione di tempi di attraversamento, di qualità, di
redditività; contenere i costi impropri per non aumentare il gap economico verso
altre matrici produttive; valorizzare le specificità degli stabilimenti italiani;
aumentare l’efficienza; rafforzare il grado di coinvolgimento dei lavoratori
attraverso una sempre maggiore partecipazione ai processi”253.
Viene riconosciuta, al fine di raggiungere tali obiettivi, anche la necessità di
costruire un sistema di relazioni sindacali in grado di governare le esigenze
produttive tenendo conto delle necessità delle persone.
Già nella prima parte dell’accordo si può notare come il tema delle esigenze e
delle necessità dei lavoratori sia preso a cuore dall’azienda. Moltissimi elementi
presenti nel contratto sono finalizzati al benessere dei lavoratori, inteso come
veicolo per migliorare l’efficienza del sistema produttivo e il suo andamento
complessivo.
253 Accordo aziendale Luxottica 14 ottobre 2011, paragrafo 1, p. 2.
La casistica negoziale in tema di produttività e detassazione
119
Peculiare di tale accordo è l’importanza data alla partecipazione dei lavoratori
nell’organizzazione dell’azienda e al loro coinvolgimento. Le parti condividono che
“l’esigenza di garantire una sempre più adeguata risposta alle reali richieste del
mercato o di realizzare gli interventi di innovazione necessari nei tempi più rapidi,
dipendono anche dal livello di coinvolgimento e partecipazione dei lavoratori”254.
Per raggiungere questi obiettivi risulta fondamentale la conoscenza del problemi,
la condivisione degli obiettivi ed il coinvolgimento dei lavoratori. Per questo
motivo le parti concordano sul migliorare il sistema informativo aziendale,
investendo anche nell’acquisto di nuovi strumenti informatici da mettere a
disposizione dei dipendenti all’interno dell’azienda.
Molto importante all’interno dell’organicità dell’accordo in esame è il paragrafo 4,
intitolato “Organizzazione del lavoro e orario di lavoro”. Secondo le parti, infatti, la
gestione efficace dell’orario di lavoro è una delle componenti primarie per:
ottimizzare l’organizzazione del lavoro, soddisfare le diverse esigenze produttive e
conciliare i tempi di lavoro con i tempi di vita. Sono individuati diversi strumenti
per fare in modo che l’orario di lavoro si possa adattare alle mutevoli condizioni di
volumi di vendita, tipologia di prodotto, stagionalità e servizio al cliente. Il primo
di tali strumenti è riconosciuto nella flessibilità, che è definita come “distribuzione
variabile dell’orario contrattuale su cicli plurisettimanali nell’arco dell’anno”. Essa
serve a rispondere alle esigenze di maggiore produzione o spedizione da una
puntuale esigenza di servizio al cliente piuttosto che da mere logiche di trend
stagionali. L’azienda potrà disporre annualmente di un massimo di 96 ore di
flessibilità. Come secondo strumento volto all’adattamento dell’orario alle esigenze
produttive le parti indentificano la banca ore, che in ogni caso non potrà mai
superare le 120 ore di lavoro prestato oltre orario regolare da contratto.
Interessante è l’istituzione di un nuovo strumento “finalizzato a rispondere alle
esigenze delle future maternità e paternità denominata ‘banca delle ore a
supporto di future maternità/paternità’”. Questa banca ore sperimentale potrà
essere alimentata da ore non utilizzate dalla banca ore, permessi individuali non
goduti, maggiorazioni di straordinario e flessibilità e quote di retribuzione
aggiuntiva tramutate in ore. Con questo strumento i dipendenti che programmano
254 Accordo aziendale Luxottica, 14 ottobre 2011, paragrafo 3 “partecipazione”, p. 4.
La casistica negoziale in tema di produttività e detassazione
120
la genitorialità potranno accumulare ore da utilizzare nel periodo di crescita del
bambino in aggiunta ai congedi parentali, che potranno essere goduti entro 3 anni
dalla data di sottoscrizione dell’accordo, in presenza del verificarsi della condizione
di maternità/paternità comprovata da idonea documentazione.
Secondo le parti il lavoro straordinario è una “modalità organizzativa volontaria”
finalizzata al superamento di temporanei colli di bottiglia tecnologici. Pertanto,
esso non rappresenta una modalità strutturale di organizzazione del lavoro, e le
parti “agiranno per cercare di contenerne l’utilizzo” anche attraverso la previsione
di maggiorazioni più alte rispetto a quelle previste dal contratto nazionale255.
Dopo aver regolato tutte le diverse tipologie di organizzazione e di orario di lavoro
applicabili in azienda, l’accordo si occupa di mercato del lavoro, e anche all’interno
di questo paragrafo è possibile trovare un ulteriore elemento che sottolinea
l’attenzione verso il lavoratore, la sua famiglia ed il loro benessere. Le parti, in via
sperimentale, prevedono la possibilità di attivare contratti di lavoro di Job Sharing
per tenere conto delle esigenze personali e delle condizioni familiari del singolo
dipendente. Potranno essere attivati contratti di Job Sharing che coinvolgono: “un
dipendente e il coniuge disoccupato o in CIGS; un genitore dipendente e il figlio
che stia terminando o abbia appena concluso il ciclo di studi (anche per
agevolare l’uscita verso il pensionamento); il dipendente e un componente della
sua famiglia non occupato”256.
La parte del contratto aziendale Luxottica che più si distingue rispetto ad altri
contratti aziendali di imprese multinazionali è quella dedicata alla responsabilità
sociale dell’impresa. “Le parti ritengono che la responsabilità sociale vada intesa
come valore aggiunto per l’impresa e per i suoi rapporti con i lavoratori, i fornitori,
il territorio, i clienti e le istituzioni”, ed individuano ambiti di intervento volti a
migliorare tale aspetto quali, conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, welfare
integrativo, codice etico, agevolazione dell’attività di volontariato, rafforzamento
rapporto con il territorio, eliminazione degli sprechi.
255 Accordo aziendale Luxottica, 14 ottobre 2011, paragrafo 4 “organizzazione del lavoro e orario di lavoro”, p. 11. 256 Accordo aziendale Luxottica, 14 ottobre 2011, paragrafo 5 “mercato del lavoro”, p. 19.
La casistica negoziale in tema di produttività e detassazione
121
Molti sono gli strumenti individuati per conciliare la vita lavorativa e quella privata:
permessi retribuiti per padri, 5 giornate di congedo di paternità entro 15 giorni
dalla nascita o dall’adozione, e 3 giorni annui per genitori con figli fino ai 13 anni.
Sono previsti poi permessi non retribuiti per la cura dei figli, permessi per diritto
allo studio, trasformazione di permessi per lo studio non utilizzati in borse di
studio, aspettative brevi non retribuite per necessità familiari da 15 giorni a 3
mesi e molti altri strumenti volti alla conciliazione di esigenze differenti dei
lavoratori.
Un altro fattore di fondamentale importanza per la crescita della produttività
dell’azienda sono le capacità e le conoscenze professionali dei lavoratori. Il
mantenimento di elevati livelli qualitativi, della capacità produttiva e del livello del
servizio al cliente sono mantenibili solo attraverso la crescita professionale e la
conoscenza dei processi da parte dei lavoratori a tutti i livelli. Per questo motivo
l’azienda, puntando sulla formazione, si impegna ad attuare un’azione formativa
attuata anche con la job rotation, riguardante sia i processi produttivi e
distributivi, sia i prodotti257.
Il Gruppo Luxottica oltre ad aver studiato l’utilizzo di strumenti alternativi a quelli
canonici per il raggiungimento di livelli più alti di produttività del lavoro, al
paragrafo 11 del proprio accordo ha mantenuto “un premio di risultato variabile
legato ad indici aziendali di redditività ed efficienza (così come previsto
dall’Accordo Interconfederale del 23 luglio 1993 e dai successivi Accordi
Interconfederali in vigore)”. Tale premio di risultato è stato legato a diversi indici:
• Indice di bilancio, che viene identificato con l’andamento della divisione
wholesale di Luxottica, assumendo come indice primario di riferimento il
rapporto tra utile operativo e fatturato netto del segmento wholesale. Al
variare dell’indice il premio assumerà diversi valori lordi annui258.
• Indice di presenza, misura la percentuale delle ore di malattia rilevate
nell’anno solare di riferimento del personale a tempo indeterminato diretto
257 Accordo aziendale Luxottica, 14 ottobre 2011, paragrafo 8 “formazione”, p. 22. 258 Gli importi del premio variano da un minimo di 800 euro corrispondenti al valore percentuale 14,8% dell’indice di bilancio, fino a 1.900 euro, nel caso in cui l’indice sia pari a 24,3%.
La casistica negoziale in tema di produttività e detassazione
122
di produzione e variabile di logistica prodotto finito. Al variare dell’indice
annuo rispetto all’anno precedente, il premio assumerà differenti valori259.
• Indici zero sprechi. Tali indici misurano, rispetto all’anno precedente, la
riduzione annua del consumo di energia elettrica e dell’utilizzo della carta
per ufficio e toner260.
• Indice di flessibilità. La partecipazione a ciascun sabato di flessibilità
comporterà l’erogazione di una quota individuale aggiuntiva di 10 euro o in
proporzione all’orario effettivamente lavorato.
Il premio finale composto da tutte le somme derivanti dai diversi indici, viene poi
riproporzionato su base individuale moltiplicandolo per un valore percentuale
ottenibili detraendo da un valore teorico261 di ore lavorative, le aspettative, la
maternità facoltativa, le ore di permesso non retribuito, le ore di sciopero, le ore
di assenza ingiustificata e quelle di assenza non retribuita.
Le parti specificano che il premio di risultato calcolato con i parametri concordati
“determina un incremento della competitività, produttività ed efficienza aziendale”
e per questo motivo esso può accedere a tutti gli incentivi previsti dalla legge di
natura fiscale e contributiva262.
Dall’analisi svolta appare in modo chiaro come l’attenzione dell’azienda sia rivolta
verso tutti quelli strumenti incentivanti la produttività di natura non
retributiva/monetaria. Gli obiettivi di welfare aziendale sono l’attrazione di talenti,
la motivazione dei lavoratori, il rafforzamento del senso di appartenenza che non
incidono in modo direttamente misurabile sulla produttività, ma sicuramente ne
facilitano di molto l’incremento, attraverso la disponibilità e la collaborazione dei
lavoratori263.
259 In questo caso il premio varia al variare di due differenti variabili; la prima è la riduzione sull’anno precedente della percentuale delle ore di malattia, la secondo è il range percentuale entro cui si colloca l’incidenza delle ore di malattia rispetto a quelle lavorative medie annue. L’incrocio delle due variabili porta a un premio da aggiungere a quello identificato dall’indice di bilancio che va da 10 a 150 euro. 260 Anche in questo caso si tratta di somme che vanno ad aggiungersi a quelle individuate dagli altri indici, che vanno dai 10 ai 55 euro per la riduzione del consumo energetico rispetto all’anno precedente e dai 2 ai 20 euro per la riduzione di carta e toner. 261 Per un full time pari a 1840 (365 giorni – 52 domeniche – 52 sabati – 20 giorni di ferie – 11 giorni PIR = 230 giorni ossia 1840 ore). 262 Accordo aziendale Luxottica, 14 ottobre 2011, paragrafo 11 “premio di risultato”, pp. 23-30. 263 R. Caragnano, Luxottica: un nuovo modello di welfare aziendale integrato, da www.adapt.it, 15 ottobre 2010.
La casistica negoziale in tema di produttività e detassazione
123
E’ stato deciso di introdurre in questo capitolo di analisi casistica il contratto
aziendale del gruppo Luxottica per mostrare una via alternativa, e a parere di chi
scrive anche più efficace, per cercare di migliorare i livelli di produttività del
lavoro. Questo contratto aziendale non utilizza in modo esclusivo gli strumenti
identificati dalla contrattazione interconfederale e dalla legge, ma, partendo da
una definizione economica di produttività, cerca di migliorare tutti gli aspetti che
la compongono e la determinano. Sicuramente le dimensioni e la capacità
economica dell’azienda presa in esame sono determinanti per l’adozione di
progetti di simile portata, ma la conciliazione tra vita lavorativa e vita familiare,
l’adozione di pratiche che vadano incontro alle esigenze dei lavoratori e l’ascolto
di questi nel percorso decisionale rivolto alla progettazione della struttura
organizzativa sono fondamentali per raggiungere flessibilità e professionalità
importanti strumenti utilizzabili per aumentare la produttività.
2.3 Ipotesi di accordo su contrattazione provinciale di secondo livello –
Unionmeccanica Vicenza.
L’accordo in esame è stato firmato il 23 dicembre 2011 da Unionmeccanica
Vicenza e dai Segretari provinciali di Cisl e Uil per il settore metalmeccanico con
l’obiettivo di introdurre misure specifiche per migliorare la competitività delle
industrie metalmeccaniche del territorio.
Il contesto economico in cui nasce tale accordo è quello del settore
metalmeccanico delle piccole e medie imprese che da anni ormai risente di una
forte crisi. Alla fine del 2012 le imprese attive del settore metalmeccanico in
Veneto erano circa 22.400, quasi il 5% del totale delle imprese attive in Regione,
diminuite di un 4% rispetto al 2009. Dal 2008 al 2011 il numero dei lavoratori
dipendenti è diminuito di quasi 22 mila unità, pari all’8,5% del totale.
Il contratto in esame rappresenta uno dei primi casi di sperimentazione di
contrattazione territoriale di secondo livello, si sensi dell’accordo di rinnovo Ccnl
Unionmeccanica-Confapi del 3 giugno 2010, finalizzato all’introduzione di “misure
specifiche per migliorare la competitività delle industrie metalmeccaniche del
territorio, favorendo la flessibilità organizzativa e l’ottimizzazione dei costi,
garantendo al tempo stesso il coinvolgimento dei lavoratori attraverso un
La casistica negoziale in tema di produttività e detassazione
124
miglioramento del trattamento economico individuale ed il conseguimento dei
benefici contributivi e fiscali previsti dalla normativa vigente”264.
L’obiettivo quindi è quello di generare una contrattazione capace di portare
benefici di natura economica alle imprese medio-piccole e ai loro lavoratori
fissando obiettivi di produttività e qualità concreti.
Sulla base di questi presupposti, per il triennio 2012-2014, le parti hanno previsto
l’istituzione del Premio Territoriale di Risultato (PTR) con erogazione annuale. Tale
emolumento è caratterizzato da due basi di calcolo: la prima territoriale, e la
seconda aziendale e facoltativa.
Gli indicatori individuati per la base territoriale sono: l’indice di occupazione, che
considera il numero degli addetti al comparto nella provincia di riferimento;
l’indice di rilevanza economica del comparto, che misura la vocazione all’export
delle piccole medie imprese metalmeccaniche vicentine ed evidenzia la capacità
del sistema di mantenere il proprio posizionamento nel mercato globale; e l’indice
di sicurezza sul lavoro, che intende premiare il miglioramento dell’andamento
infortunistico del comparto. Tutti gli indicatori sono raggiunti in caso di
miglioramento del valore iniziale ma, per i primi due indici, il risultato si considera
raggiunto anche in caso di diminuzione del valore non superiore al 5%265.
Al raggiungimento di almeno 2 dei 3 indici stabiliti, sarà corrisposta l’erogazione
del premio pari a 650 euro annui per ogni lavoratore.
Il PTR può essere incrementato al raggiungimento di uno o più obiettivi individuati
a livello aziendale, che comportano l’erogazione di un importo ulteriore annuo di
ammontare massimo pari a 360 euro.
Gli indicatori aziendali sono individuati nei seguenti indici: indice di reddittività
legato al margine operativo lordo; indice organizzativo legato al miglioramento dei
tempi di consegna; indice di qualità legato al contenimento dei costi266.
Il premio viene poi riproporzionato a livello individuale in base ai giorni di assenza
dal lavoro di ogni singolo lavoratore267.
264 Ipotesi di Accordo su Contrattazione Provinciale di Secondo Livello – Unionmeccanica Vicenza, dicembre 2011, pp. 1. 265 Ipotesi di Accordo su Contrattazione Provinciale di Secondo Livello – Unionmeccanica Vicenza, dicembre 2011, punto 3.1, pp. 2. 266 Ipotesi di Accordo su Contrattazione Provinciale di Secondo Livello – Unionmeccanica Vicenza, dicembre 2011, punto 3.2, pp.3.
La casistica negoziale in tema di produttività e detassazione
125
Oltre all’istituzione del PTR, le parti hanno individuato nella maggiore flessibilità
degli orari di lavoro un altro strumento utile per soddisfare l’esigenza di
consolidare l’occupazione del comparto e aumentarne la reddittività. In questo
modo sono state aumentate le ore massime di straordinario annuo che possono
essere prestate da ciascun lavoratore, ed è stata riconosciuta ai datori di lavoro
aderenti al PTR la possibilità di modificare in aumento o in diminuzione la durata
normale della prestazione lavorativa settimanale268.
“Le parti firmatarie confermano che il PTR erogato con le modalità sopra descritte
rispetti i requisiti previsti per l’applicazione delle agevolazioni contributive e fiscali
di legge” e che tali incentivi sono applicabili a tutte le somme corrisposte dai
datori di lavoro a titolo di: “lavoro straordinario, supplementare, notturno e
festivo, anche per la quota di maggiorazione prevista dagli usi aziendali, nonché
qualora corrisposto in forma continuativa forfetizzata; lavoro festivo per i
lavoratori che, usufruendo del giorno di riposo settimanale in giornata diversa
dalla domenica (con spostamento del turno di riposo), siano tenuti a prestare
lavoro la domenica; indennità di turno o maggiorazioni retributive, comunque
denominate, corrisposte per lavoro normalmente prestato in base ad un orario
articolato su turni; flessibilità della prestazione”269.
In chiusura è stata riconosciuta la possibilità di sospensione del premio in caso di
oggettive difficoltà economico finanziarie da parte dell’azienda.
Si individua una principale criticità relativa al contratto esaminato: la scarsa
consistenza del PTR. Questo è calcolato al lordo delle ritenute di legge e
comprensivo dell’incidenza su ogni altro istituto retributivo diretto ed indiretto,
legale o contrattuale, incluso il trattamento di fine rapporto. Oltre a questo, gli
indicatori di produttività individuati secondo gli studi economici affrontati non
267 Per il calcolo volto alla riproporzione del premio vengono prese in considerazione le assenze derivanti da assenze ingiustificate, malattia e infortunio non sul lavoro, infortuni in itinere, infortuni sul lavoro, se riconducibili al mancato utilizzo dei Dispositivi di Protezione Individuale o comunque da omissione di norme e/o procedure di sicurezza, regolarmente contestati ai sensi dell’art. 7, L. 300/70 al lavoratore interessato. In questo tipo di regolazione troviamo da un primo elemento diretto alla diminuzione dei fenomeni di assenteismo, difficile da combattere nelle piccole-medio imprese. 268 Ipotesi di Accordo su Contrattazione Provinciale di Secondo Livello – Unionmeccanica Vicenza, dicembre 2011, punto 7, pp. 6. 269 Ipotesi di Accordo su Contrattazione Provinciale di Secondo Livello – Unionmeccanica Vicenza, dicembre 2011, punto 8, pp. 7.
La casistica negoziale in tema di produttività e detassazione
126
sembrano avere la capacità di determinare una reale crescita della produttività270,
poiché si tratta di indicatori piuttosto tradizionali e poco innovativi che spesso si
rivelano poco efficaci con pochi effetti sulle retribuzioni dei lavoratori.
Specificare all’interno dell’accordo gli altri elementi retributivi, come lo
straordinario, che possono beneficiare degli incentivi fiscali e contributivi potrebbe
diminuire l’impegno da parte di lavoratori e datori di lavoro nel raggiungere gli
obiettivi degli indici per il PTR, vista la sua poco importante dimensione
economica.
Il contratto provinciale si inserisce in una logica incentivante della competitività
mediante il coinvolgimento dei lavoratori al risultato d’impresa. L’introduzione del
PTR può portare un effetto positivo in termini di partecipazione dei lavoratori
all’andamento dell’impresa, dall’altro lato però, la soluzione del PTR non
garantisce una maggiore flessibilità produttiva, e non viene fatto cenno ad alcun
tipo di introduzione di innovazione tecnologica o organizzativa.
2.4 Contratto collettivo regionale per i lavoratori dipendenti delle aziende artigiane
della Lombardia dell’area Chimica-Ceramica.
L’accordo esaminato in questo paragrafo è stato siglato il 24 ottobre 2012 tra
Confartigianato Lombardia, Confederazione Nazionale dell’Artigianato della
Lombardia e i rappresentanti regionali di Cgil, Cisl e Uil e dà continuità all’attività
di sviluppo della contrattazione regionale di secondo livello ed il consolidamento
del sistema bilaterale per lo sviluppo del comparto271.
L’accordo viene sotto firmato in un periodo di profonda crisi del mercato. Il
settore artigianato (che in Lombardia occupa circa 200 mila lavoratori in 50 mila
aziende) non è stato risparmiato dalla congiuntura economica negativa che ha
caratterizzati gli ultimi anni, registrando un notevole calo della produzione ed una
contestuale riduzione nell’utilizzo degli impianti. In tale scenario le parti sono state
obbligate ad intervenire con l’accordo in esame per dare aiuto al rilancio e alla
270 B. Caponetti, Caso studio su contrattazione decentrata e decontribuzione, in Econ. & Lav., 2014, vol. 1, pp. 86. 271 “L’esperienza lombarda dell’artigianato in materia di bilateralità, maturata a partire dagli anni ottanta ed inserita nel sistema nazionale della bilateralità artigiana, ha consentito di costruire un significativo sistema finalizzato a gestire le tematiche più importanti per lo sviluppo del comparto e garantire sostegno alle imprese ed ai dipendenti”, dalla parte introduttiva dell’accordo stesso.
La casistica negoziale in tema di produttività e detassazione
127
valorizzazione del settore per migliorare la competitività delle imprese, le
prospettive occupazionali e le condizioni di lavoro. La scelta del ricorso alla
contrattazione territoriale è riconducibile alle caratteristiche dimensionali delle
aziende che compongono il settore (il numero medio di dipendenti per azienda è
inferiore a tre), per le quali sarebbe stato impensabile il ricorso alla contrattazione
decentrata di natura aziendale.
Il modello contrattuale dell’artigianato è articolato su due livelli di contrattazione,
regolati dal principio di inscindibilità. Per questo motivo l’applicazione del CCNL
comporta l’obbligo per il datore di lavoro di applicare anche il Contratto Collettivo
Regionale. Quindi, il presente Contratto Regionale regola norme e istituti
demandati dal CCNL e tutte le materie di non esclusiva competenza di questo272.
L’accordo in esame risponde all’esigenza delle parti di “estendere e semplificare
l’adozione di soluzioni organizzative per un efficiente posizionamento
competitioe”, che siano volte anche all’innovazione e alla riduzione dei “costi per
unità di prodotto”, pensate per “assecondare la variabilità delle richieste del
mercato”273.
Per il perseguimento di tali obiettivi è stata riconosciuta la possibilità di
individuare una diversa distribuzione dell’orario di lavoro su base settimanale o
plurisettimanale per un periodo non superiore a sei mesi, con la possibilità di
estensione a dodici mesi “al verificarsi di ragioni obiettive, tecniche o inerenti
all’organizzazione del lavoro”274.
Come seconda novità introdotta per migliorare la flessibilità dell’orario di lavoro è
stato aumentato il numero di ore lavorative che il lavoratore può prestare in
esubero rispetto all’orario normale. Per far fronte alle variazioni di intensità
dell’attività lavorativa, l’azienda potrà realizzare diversi regimi di orario in
particolari periodi, con il superamento dell’orario contrattuale sino al limite delle
48 ore settimanali, per un massimo di 98 ore l’anno. A fronte del superamento
dell’orario contrattuale è stata prevista la fruizione di una pari entità di riposi 272 Contratto Collettivo Regionale per i lavoratori dipendenti delle aziende artigiane della Lombardia dell’area Chimica-Ceramica, art. 1, pp. 4. 273 Contratto Collettivo Regionale per i lavoratori dipendenti delle aziende artigiane della Lombardia dell’area Chimica-Ceramica, art. 8, pp. 7. 274 Sono elencate all’interno dell’accordo le casistiche che si intendono per “ragioni obiettive”, tra le quali troviamo, a titolo esemplificativo, lancio di nuovi prodotti, esecuzione di più commesse, calamità naturali.
La casistica negoziale in tema di produttività e detassazione
128
compensativi. In aggiunta, nel caso in cui le ore prestate risultino maggiori di
quelle retribuibili nel mese, è stato previsto l’accantonamento del conto
individuale denominato “banca ore”. Le ore accantonate potranno essere utilizzate
nella misura massima del 50% per fronteggiare situazioni di crisi o riduzioni
impreviste di ordini, anche allo scopo di evitare il ricorso agli ammortizzatori
sociali. Il restante 50% è lasciato alla piena disponibilità del singolo lavoratore che
potrà usufruire di permessi o del prolungamento delle ferie entro 18 mesi; se tali
ore non verranno usufruite, dovranno essere monetizzate da parte del datore di
lavoro275.
L’accordo per creare un incentivo all’aumento della produttività istituisce un
premio. Questo è il primo caso appartenente al settore dell’artigianato dove parte
della retribuzione viene agganciata alla produttività e calcolata su parametri
oggettivi relativi alla situazione economica regionale.
Il premio è suddiviso in due tipologie di obiettivi ognuna delle quali ha un peso
percentuale del 50% sul totale. Nel caso in cui l’impresa soggetta all’applicazione
dell’accordo raggiunga una soltanto delle due tipologie di obiettivi, il premio verrà
erogato nella misura del 50%. La prima tipologia di obiettivi prende in
considerazione, con logica comparativa, il numero di imprese, il numero di
lavoratori e il numero di ore medie di sospensione per lavoratore276. Non si tratta
di parametri commisurati all’andamento dell’impresa, ma all’andamento del
settore nella sua generalità. Questo tipo di identificazione rimane tale anche
riguardo alla seconda tipologie di parametri, riferiti alla produzione manifatturiera
artigiana e all’andamento degli investimenti277.
Sono stati riconosciuti per i tre anni tre importi differenti da corrispondere nel
caso in cui gli obiettivi dei parametri fossero raggiunti. Per il primo anno l’importo
massimo di premio che il lavoratore può ricevere è pari a 125 euro, che nel
275 Contratto Collettivo Regionale per i lavoratori dipendenti delle aziende artigiane della Lombardia dell’area Chimica-Ceramica, art. 8,9,10. 276 Quota parte del premio sarà erogata qualora ricorrano due dei seguenti parametri: il numero di imprese del settore non risulti inferiore del 10% rispetto a quelle presenti nel periodo di riferimento (2007-10); i lavoratori occupati nelle imprese del settore non risultino inferiori del 10% rispetto a quelli occupati nel medesimo periodo di riferimento e che le ore di sospensione per ciascun lavoratore non superino quota 100. 277 Contratto Collettivo Regionale per i lavoratori dipendenti delle aziende artigiane della Lombardia dell’area Chimica-Ceramica, art. 12.
La casistica negoziale in tema di produttività e detassazione
129
secondo salgono a 200 e nel terzo raggiungono i 500 euro. Tale premio “non
concorre alla determinazione del trattamenti di fine rapporto ed è comprensivo
dell’incidenza di tutti gli istituti contrattuale e di legge diretti ed indiretti”278.
Le parti firmatarie specificano all’interno dell’accordo che tale premio è da
considerarsi conforme a quanto richiesto per l’adesione agli incentivi di
decontribuzione e detassazione.
Per sottolineare l’importanza del carattere di bilateralità, è interessante segnalare
il coinvolgimento dell’ELBA279 che ha la funzione di ricevere le comunicazioni
informative in materia di gestione dell’orario di lavoro e di rilevazione dei dati per
la misurazione della prima tipologia di parametri280.
Un ultimo elemento inserito nell’accordo che è volto a favorire la produttività dei
lavoratori all’interno di una visione più ampia di tale concetto sono le forme di
previdenza integrativa, di carattere sanitario e sociale a favore dei lavoratori. Per
questo motivo, i datori di lavoro mensilmente dovranno versare per ogni
dipendenti l’importo di 5 euro.
Sicuramente ci troviamo di fronte ad un positivo tentativo di contrattazione
territoriale, che cerca di utilizzare le deleghe conferite dal livello nazionale per
creare un modello contrattuale più flessibile che risponda alle esigenze più
specifiche delle aziende appartenenti a differenti aree geografiche.
Di contro, troviamo una marcata territorialità del sistema, che impedisce
l’adattamento del contratto alle esigenze delle singole imprese. Tale carattere è
riscontrabile soprattutto nella definizione del premio di produttività, legato
esclusivamente al raggiungimento di parametri oggettivi del tutto slegati
dall’andamento dell’azienda.
Il premio dovrebbe essere legato a parametri sia oggettivi sia soggettivi. I primi
legati alla qualità della prestazione del lavoratore, i secondi all’andamento
dell’azienda o del settore nel suo complesso281.
278 Contratto Collettivo Regionale per i lavoratori dipendenti delle aziende artigiane della Lombardia dell’area Chimica-Ceramica, art. 12. 279 Ente Lombardo Bilaterale dell’Artigianato. 280 Contratto Collettivo Regionale per i lavoratori dipendenti delle aziende artigiane della Lombardia dell’area Chimica-Ceramica, art. 10 e 12. 281 S. Negrelli, Relazioni di lavoro e performance aziendale, in Dir. Lav. Rel. Ind., 1995, p. 51.
La casistica negoziale in tema di produttività e detassazione
130
Secondo Treu, le forme retributive incentivanti trovano la loro ragion d’essere nel
motivare i lavoratori ad essere più produttivi e più flessibili per permettere
all’impresa di adattarsi meglio alle esigenze di mercato. Per questo motivo è
fondamentale la presenza sia di parametri oggettivi, sia, soprattutto, di parametri
soggettivi282.
L’accordo in esame non rispetta tale logica. Il modo in cui è stato strutturato il
premo in questione rischia di non produrre alcun incentivo al lavoratore, poiché
egli non può controllarne i risultati.
Oltre a questa criticità se ne può identificare una seconda, il premio non sembra
essere in grado di garantire la flessibilità retributiva di cui l’azienda potrebbe aver
bisogno in un momento di difficoltà. Essendo gli obiettivi fissati a livello di settore,
nel momento in cui un datore di lavoro si trovasse in difficoltà con l’andamento
dell’attività produttiva, egli dovrebbe comunque erogare il premio se i parametri
settoriali venissero rispettati.
In risposta a questi aspetti negativi c’è da ricordare la dimensione molto ridotta
delle imprese a cui questo accordo si rivolge, dove non è semplice indentificare
indicatori aziendali e, a maggior ragione, legati all’andamento del singolo
lavoratore.
L’accordo rappresenta un ottimo tentativo di applicazione dei benefici della
contrattazione di secondo livello anche alle aziende di piccole dimensioni. La
nuova articolazione, molto flessibile, dell’orario di lavoro, permette alle aziende di
adattarsi meglio alle fluttuazioni del mercato senza dover ricorrere allo
straordinario, che comporterebbe il pagamento di una maggiorazione, oppure agli
ammortizzatori sociali. Il sacrificio richiesto ai lavoratori è bilanciato dalla
somministrazione del premio nel caso in cui la flessibilità si traduca in risultati
positivi a livello di settore283.
282 T. Treu, Le forme retributive incentivanti, in Riv. Ita. Dir. Lav, 2010, vol. 4, pp. 637 ss. 283 D. Ghigiarelli e L. Cerusa, Flessibilità oraria e premio di produttività. Contratto collettivo regionale di lavoro 24 ottobre 2012, in Econ. & Lav., 2014, vol. 1, pp. 75-81.
Limiti e criticità della normativa attuale e proposte alternative
131
CAPITOLO 5
Criticità della normativa attuale e proposte alternative
1. Limiti e criticità della normativa in tema di produttività – 2. Proposte alternative in letteratura per aumentare la produttività – 2.1 La proposta di Antonioli e Pini su contrattazione, dinamica salariale e produttività – 2.2 La produttività programmata di Ciccarone e Messori – 2.3 L’organizzazione del lavoro e le High Performance Workplace Practices.
1. Limiti e criticità della normativa in tema di produttività.
Dopo aver individuato quali sono gli elementi che compongono la
produttività secondo la letteratura economica, quali strumenti sono stati promossi
a livello nazionale per farla crescere e come sono stati utilizzati tali strumenti dalle
aziende, è opportuno riflettere su quali siano le criticità del sistema italiano rivolto
al miglioramento della produttività.
Si parla di criticità perché il valore della produttività delle aziende italiane ha
continuato a diminuire, nonostante gli sforzi di natura regolatoria ed economica
che si sono susseguiti dal 1993.
La crescita della produttività rappresenta un interesse di carattere generale,
poiché senza la crescita di questa, non è possibile garantire i livelli occupazionali
delle imprese e in, un’ottica di lungo periodo, non sarà possibile creare nuovi posti
di lavoro. Per questo motivo lo Stato, anche in presenza di problemi finanziari di
considerevole entità, decide di stanziare risorse economiche rivolte all’incentivo di
un utilizzo più intensivo e proficuo della manodopera occupata in azienda284.
284 Secondo Treu, 2010, p. 659, “l’impiego di risorse pubbliche si giustifica (…) non per un generico favore della contrattazione ma per il suo carattere innovativo e per i vantaggi che da
Limiti e criticità della normativa attuale e proposte alternative
132
Il mancato raggiungimento di un maggiore livello di produttività, che
comporterebbe la mancata nascita di nuovi posti di lavoro, produrrebbe disparità
tra gli insider del mercato del lavoro, che avrebbero usufruito di un sostegno
economico statale in modo ingiustificato, e gli outsider, che nonostante le risorse
collettive spese non avrebbero garantita la creazione di nuovi posti di lavoro285.
Considerate l’importanza dell’obiettivo da raggiungere e l’entità delle risorse
impiegate, dovremmo aspettarci la presenza di misure e meccanismi rigorosi, che
permettano l’accesso a tali risorse solo in presenza di progetti imprenditoriali
diretti al recupero della competitività, dove la produttività del lavoro svolge un
ruolo centrale, attuabile attraverso la connessione tra retribuzione e indici
quantitativi di produttività/reddittività/qualità/efficienza/innovazione.
Analizzando l’esperienza passata, i risultati ottenuti non sono sicuramente
incoraggianti. “Il sostegno alla contrattazione decentrata via defiscalizzazione e
decontribuzione si è tradotto non raramente in una distribuzione poco selettiva di
incentivi” 286 , e questo ha portato le parti a tenere comportamenti per nulla
virtuosi e dinamici.
Le norme di agevolazione esaminate in questa sede, non hanno alimentato in
modo efficace incrementi di produttività all’interno delle aziende, ma hanno
stimolato la crescita di accordi fotocopia. Mentre alcuni esempi di accordi
sottoscritti al di fuori della logica di quel tipo di normativa, come il contratto
aziendale del gruppo Luxottica, hanno individuato strumenti volti al miglioramento
della crescita della produttività e della competitività, concentrandosi su elementi
quali lo sviluppo di complessi sistemi di welfare integrativo, il coinvolgimento del
lavoratore nel processo di disegno dell’organizzazione del lavoro. Questi appaiono
“variamente configurati e combinati in forme standard o più spesso personalizzati
e flessibili a seconda delle preferenze di singoli e di gruppo”, così contribuendo “a
essa possono derivare al sistema aziendale e produttivo. In altre parole, uno scambio virtuoso fra retribuzione e produttività concordato e regolato collettivamente è considerato di utilità generale, assume cioè il carattere di bene pubblico”. 285 P. Campanella, Decentramento contrattuale e incentivi retributivi nel quadro delle politiche di sostegno alla produttività del lavoro, in PRISMA - Economia Società Lavoro, vol. 1 “crescere in tempo di crisi: il ruolo delle relazioni industriali e della contrattazione collettiva decentrata”, 2013, pp. 13. 286 L. Bordogna, Ecco perché occorre monitorare l’applicazione dell’accordo, in AREL Europa, Lavoro, Economia, 2012, vol.6, p. 27.
Limiti e criticità della normativa attuale e proposte alternative
133
relativizzare se non a svalutare l’efficacia della (sola) leva retributiva come
strumento di motivazione” dei lavoratori287. Sicuramente, l’efficacia di tali accordi
è aiutata dalla dimensione aziendale, dalla vocazione internazionale, dalla
maturità delle relazioni sindacali, e la propensione del management ad utilizzare
moderne politiche di gestione del personale; ma tali accordi contengono validi
strumenti per il raggiungimento degli obiettivi posti dall’azienda.
Gli accordi fotocopia sopra citati, invece, si presentano privi di qualsiasi tipo di
disegno strategico finalizzato all’innalzamento della produttività aziendale. Questi
puntano sull’utilizzo di strumenti come il lavoro straordinario o supplementare, le
clausole elastiche e flessibili, il premio di risultato, il lavoro part-time: voci che,
salvo qualche eccezione, sono da tempo già state negoziate in sede di
contrattazione nazionale, e la loro introduzione nel contratto di secondo livello
sembra avere l’unico fine di darne una “formale copertura”288.
Non si riesce a riconoscere la volontà di cambiare l’utilizzo poco virtuoso di tale
tipologia di accordi, poiché anche dopo lo sforzo compiuto dal Governo nel
ricercare una definizione di retribuzione di produttività più vicina agli elementi utili
al miglioramento di questa, la circolare n. 15 del 2013 ha cercato
immediatamente di ampliare il più possibile i confini posti dal D.P.C.M. 22 gennaio
2013. Rimane anche oggi, quindi, la possibilità di stipulare accordi cosmetici che
hanno il fine di premiare “una ‘maggiore’ produttività che, nella quasi totalità dei
casi, non esiste”, o di sottoscrivere intese che puntano all’incentivazione della
flessibilità già contrattata e remunerata “a livello nazionale nell’ambito di periodici
rinnovi contrattuali e retributivi”289.
Se ciò che è stato fatto dal Governo ha prodotto scarsi risultati relativamente alla
produttività, le cose non cambiano se passiamo ad analizzare quello che è stato
concluso dalle parti sociali.
287 T. Treu, Le forme retributive incentivanti, in Rivista italiana di diritto del lavoro, 2010, vol. 4, p. 659. 288 F. Fazio e M. Tiraboschi, Una occasione mancata per la crescita. Brevi considerazioni a proposito della misura di detassazione del salario di produttività, in Bollettino Adapt, Annuario del Lavoro 2012, ADAPT University Press, Modena, 2012, p. 2. 289 F. Fazio e M. Tiraboschi, Una occasione mancata per la crescita. Brevi considerazioni a proposito della misura di detassazione del salario di produttività, in Bollettino Adapt, Annuario del Lavoro 2012, ADAPT University Press, Modena, 2012, p. 2.
Limiti e criticità della normativa attuale e proposte alternative
134
Ancora oggi le prassi contrattuali non rappresentano una modalità efficace per la
ricerca di soluzioni innovative per stimolare la crescita della competitività
d’impresa.
Le organizzazioni sindacali, nella conclusione di specifici accordi quadro in svariati
settori produttivi, hanno solamente perseguito l’obiettivo di accesso alla
detassazione. Questi accordi, nel definire modelli standard negoziali, utili alla
successiva stipulazione di contratti aziendali e territoriali, elencavano, a titolo
esemplificativo, gli istituti ammessi al beneficio dell’aliquota fiscale ridotta. Tra gli
istituti elencati sono comprese, non diversamente dal passato, diverse voci
retributive che non presentano alcun collegamento tra retribuzione e risultato di
impresa, né attenzione a schemi e soluzioni nuovi sul piano del cambiamento
tecnologico e organizzativo o dell’innovazione di prodotto e della sua qualità.
Anche le parti sociali quindi, hanno promosso la prima nozione di retribuzione di
produttività, mirando a premiare, a spese dello Stato, solamente i regimi di
flessibilità oraria che spesso derivano dalla volontà dell’impresa e che
garantiscono in parte l’elasticità necessaria per far fronte alle condizioni mutevoli
del mercato.
Nel punto 2 dell’accordo interconfederale del 23 aprile 2014, i regimi di flessibilità
oraria rappresentano le uniche voci detassabili, e tra queste è presente anche lo
straordinario. A rigor di logica però, per l’innalzamento dei livelli di produttività,
sarebbe opportuno incentivare la capacità di produrre con meno ore lavorate, e
cercare di contrastare il ricorso, quasi cronico per le aziende italiane, a lavoro
eccedente il regime orario ordinario290.
La letteratura afferma che “il dilagare delle ore straordinarie combina la scarsa
capacità di pianificazione e razionalizzazione dei processi da parte delle imprese
con la fame di retribuzione aggiuntiva da parte dei lavoratori la cui dinamica
salariale reale è stata notoriamente negativa, almeno per il settore privato, per
290 Secondo Bavaro, “dal punto di vista della produttività, all’aumento di ore lavorate può conseguire un aumento dell’indice di produttività del lavoro solo se a esso consegue un aumento percentuale della produzione superiore a quello delle ore lavorate. Al contrario, produrre un medesimo valore con meno ore lavorate comporta un incremento della produttività”. Non a caso, la L. n. 549/1995 (art. 2, commi 18-21) penalizzava lo straordinario sul piano contributivo, con un duplice obiettivo: indurre le imprese “ad aumentare le ore lavorate mediante nuove assunzioni” oppure incentivarle “a produrre con meno ore lavorate”. V. Bavaro, Un itinerario sui tempi del lavoro, in Rivista Giuridica del Lavoro e della previdenza sociale, 2009, vol. 2, p. 217.
Limiti e criticità della normativa attuale e proposte alternative
135
tutto l’ultimo decennio. Lo straordinario è una risposta organizzativamente
“povera” alle esigenze sempre meno eccezionali di flessibilità della produzione e al
contempo rappresenta un costo altamente improduttivo per le aziende perché
spesso aumenta anziché ridurre i problemi di efficienza organizzativa (…), tanto
che, com’è noto, le aziende più efficienti ed organizzate lo usano poco”291. Come
se non bastasse gli accordi quadro prevedono anche il ricorso a formule di
chiusura facendo riferimento ad “ogni altra voce retributiva finalizzata ad
incrementare la produttività aziendale, la qualità, la competitività, la reddittività,
l’innovazione e l’efficienza organizzativa”292.
Gli accordi quadro sotto firmati in conseguenza del D.P.C.M. 22 gennaio 2013,
volti all’ampliamento dell’utilizzo della contrattazione di secondo livello, non si
sono distinti, come già sottolineato, per capacità innovativa. Oltre ad apparire
poco utile, o come prima affermato negativo, l’utilizzo della sola flessibilità di
orario come strumento per aumentare la produttività, non è presente alcuna
attenzione riguardante la gestione dei possibili effetti collaterali sulla salute psico-
fisica del personale derivante da una ricerca della produttività solo tramite questo
tipo di mezzi293. In relazione a questo aspetto poco considerato dalle parti e dalla
regolazione è doveroso sottolineare che il miglioramento della performance
aziendale andrebbe perseguito, tenendo fede ai principi costituzionali, nel rispetto
della “utilità sociale” e della “sicurezza”, oltre che della “liberta” e della “dignità
umana”294.
Un’altra debolezza del sistema di contrattazione di secondo livello per l’aumento
della produttività riguarda l’attività di monitoraggio relativa alla corrispondenza dei
contenuti degli accordi aziendali e territoriali alle caratteristiche richieste dalla
normativa vigente.
291 L. Pero e A. M. Ponzellini, Ecco quali flessibilità è meglio incentivare per la produttività, in AREL europa, lavoro, economia, 2012, vol. 6, p. 40. 292 F. Fazio e M. Tiraboschi, Una occasione mancata per la crescita. Brevi considerazioni a proposito della misura di detassazione del salario di produttività, in Bollettino Adapt, Annuario del Lavoro 2012, ADAPT University Press, Modena, 2012, p. 47. 293 F. M. Putaturo Donati, La decontribuzione dello straordinario. In Lavoro, competitività, welfare. Commentario alla legge 24 dicembre 2007, n. 247 e riforme correlate, a cura di Cinelli M., Ferraro G., 2008, UTET, Torino, pp. 253-259. 294 Art. 41, comma 2, Costituzione. V. Bavaro, L’aziendalizzazione nell’ordine giuridico-politico del lavoro. Lavoro e Diritto, 2013, vol. 2, pp. 213-256.
Limiti e criticità della normativa attuale e proposte alternative
136
I provvedimenti governativi condizionano l’accesso ai benefici fiscali per i datori di
lavoro al deposito dell’accordo presso la Direzione Territoriale del Lavoro, entro 30
giorni dalla sottoscrizione, con allegata autodichiarazione di conformità dei
contenuti a quanto previsto dal D.P.C.M. 22 gennaio 2013. In contrapposizione, la
circolare n. 15 del 2013 specifica invece “che la rispondenza delle voci retributive
introdotte alle finalità volute dal Legislatore rappresenta un elemento di esclusiva
valutazione da parte della contrattazione collettiva, cosicché l’agevolazione non
può ritenersi condizionata ai risultati effettivamente conseguiti”.
In questo modo, oltre ad essere gli elementi che permettono l’accesso agli
incentivi fiscali e contributivi poco chiari e forse troppo ampi, anche il rispetto dei
parametri stabiliti dalla legge non sembra essere assicurato dalle modalità di
controllo relative agli accordi di secondo livello individuate dal D.P.C.M. 22
gennaio 2013.
Una soluzione a questo tipo di problematica la si può individuare nel caso degli
accordi collettivi di prossimità, che godono degli incentivi fiscali e contributivi, ma
che l’art. 8 D. L. 138/2011 vuole funzionalizzati agli obiettivi, anche se indicati
anche in questo caso in modo ampio, al comma 1 e alle materie elencate al
comma 2. In questo modo il giudice potrà stabilire la nullità dell’accordo in sede
giudiziale nel caso in cui questo non rispetti i commi 1 e 2 del citato articolo, con
il conseguente obbligo, per l’impresa che ha beneficiato delle agevolazione, di
restituzione dei vantaggi ottenuti.
Un’ulteriore motivazione della debole efficacia del sistema normativo volto alla
promozione della produttività è la visione miope del concetto stesso di produttività
delle parti. La definizione di produttività analizzata da un punto di vista economico
appare molto più ampia rispetto a quella considerata dalla legislazione italiana. La
declinazione della produttività al solo fattore “lavoro” appartiene ad un quadro
incompleto, che affida la crescita della competitività solamente a meccanismi volti
all’incentivo dello sforzo lavorativo, facendo riferimento ad indicatori di
redditività/produttività poco realistici 295 , difficili da valutare 296 e “il cui
295 E. Gragnoli, La retribuzione e i criteri della sua determinazione, La retribuzione, 2012, UTET, Torino, p. 17. 296 La scelta di indicatori certi e misurabili è essenziale ai fini della configurazione e dell’efficacia dei premi, ma la prassi contrattuale italiana segnala significative criticità in proposito, con una
Limiti e criticità della normativa attuale e proposte alternative
137
raggiungimento dipende in larga misura da scelte strategiche” dell’impresa, “che
esulano dall’impegno dei lavoratori”297.
Sembra quasi che le parti nella regolazione degli incentivi per la produttività non
si siano chieste quanto la produttività aziendale possa dipendere da quella del
lavoro, e quali fattori organizzativi del lavoro stesso siano comunque in grado di
influenzare detta produttività. Solamente l’accordo interconfederale del 21
novembre 2012 fa riferimento al fatto che sulla “produttività (…) incidono, oltre al
lavoro, molte altre voci sia materiali (energia, logistica, trasporti) sia immateriali
(ad esempio burocrazia, sicurezza, legalità, istruzione)” e che “diviene altresì
centrale l’investimento nell’ammodernamento dei macchinari e in ricerca e
sviluppo per l’introduzione di innovazioni di prodotto e di processo” 298 . Tali
elementi alternativi sono stati solamente individuati dalle parti sociali, poiché è
stata devoluta allo Stato ogni competenza e responsabilità a riguardo.
Per spiegare in parte tutte le criticità individuate fino a questo momento è
doveroso considerare la dimensione occupazionale delle aziende italiane e le
caratteristiche della difficile situazione economica che queste stanno
attraversando.
La dimensione media delle aziende italiane è molto minore di quella di imprese
straniere dove la produttività è rimasta stabile negli ultimi anni, se non addirittura
aumentata. L’individuazione di strumenti volti al miglioramento dell’organizzazione
del lavoro che porti benefici in termini competitivi non è semplice se si tratta di
piccole aziende, dove la flessibilità oraria non è possibile e particolari strumenti di
welfare integrativo, soprattutto quelli di conciliazione tra vita privata e lavoro,
sono inattuabili. Risulta difficile la misurazione delle performance aziendali al
netto dell’andamento del mercato, e praticamente impossibile la misurazione delle
performance individuali dei lavoratori.
Oltre a questa tipo di problematica, è noto che in un periodo di crisi economica le
aziende che soffrono dell’andamento negativo del mercato sono caratterizzate da
pluralità spesso troppo accentuata di parametri di riferimento, che “rischia di complicare il funzionamento del sistema senza necessariamente raggiungere l’obiettivo dichiarato di precisare il nesso salario-produttivita”, T. Treu, 2010, p. 649. 297 F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Diritto del lavoro 2. Il rapporto di lavoro subordinato, ottava edizione, UTET, Torino, 2013. 298 Accordo interconfederale 21 novembre 2012, punto 1 “Considerazioni introduttive”.
Limiti e criticità della normativa attuale e proposte alternative
138
un sentimento di sfiducia che non porta sicuramente gli imprenditori ad investire
in nuove tecnologie o in ricerca per innovare prodotti e processi.
Nonostante queste considerazioni, diverse sono le proposte per migliorare la
strategia adottata per accrescere la produttività.
Riassumendo, si può affermare che le politiche di agevolazione fiscale e
contributiva della retribuzione di produttività non hanno dato i frutti sperati.
Sembra invece che queste abbiamo stimolato comportamenti opportunistici299
degli attori sociali il cui fine appariva una “mera ripartizione dei benefici
pubblici”300.
Gli strumenti adottati dalle parti non sono riusciti ad incidere nemmeno sulla
diffusione della contrattazione di secondo livello, che negli ultimi anni è diminuita
e quando utilizzata è spesso rivolta alla soluzione di crisi aziendali e non al
miglioramento dell’attività produttiva.
La tipologia di politiche adottate negli ultimi anni sembra essere riuscita
solamente nel fine di diminuire il cuneo fiscale tra retribuzione lorda e netta
mentre la produttività sembra essere una priorità rimasta in disparte.
2. Proposte alternative in letteratura per aumentare la produttività.
Come già affermato nel paragrafo precedente le politiche attuate fino ad ora per il
sostegno della produttività non hanno sortito i risultati sperati, e per questo è
auspicabile un cambio di direzione in materia.
Diverse sono le proposte avanzate in letteratura per ridisegnare l’assetto
contrattuale ed incentivante diretto all’aumento della produttività.
Le diverse proposte per attivare un meccanismo virtuoso che dia il via e sostenga
la crescita della produttività si concentrano sulla componente aziendale e di
conseguenza sul ruolo della contrattazione. Tra queste troviamo l’Appello
promosso da Acocella, Leoni Troni (2006), e le proposte formulate da Acocella,
Leoni (2007), Ciccarone (2009), Fadda (2009), Messori (2012), Tronti (2010,
2012), Mazzanti, Pini (2013). Si riscontrano tra le diverse proposte più elementi di
299 L. Bordogna, Ecco perché occorre monitorare l’applicazione dell’accordo, AREL europa, lavoro, economia, vol. 6, p. 27. 300 M. Carrieri, Come ridisegnare la produttività, AREL europa, lavoro, economia, vol. 6, p. 30.
Limiti e criticità della normativa attuale e proposte alternative
139
complementarietà che contrapposizione, e tutte, con pesi diversi, si occupano del
ruolo della contrattazione accentrata e decentrata.
La focalizzazione sul ruolo della contrattazione nazionale, che esprime una visione
di contrattazione accentrata, definisce un quadro dove le parti sociali ed il
governo si devono impegnare in un patto macroeconomico. La concentrazione
delle funzioni alla contrattazione nazionale rischia però di non permettere
l’espressione delle diverse caratteristiche settoriali, dimensionali, territoriali ed
aziendali che distinguono le imprese italiane. D’altro canto, l’attenzione
concentrata sulla dimensione microeconomica, modello decentrato, permette una
migliore adattabilità alle specificità aziendali e territoriali, ma sicuramente
coinvolge una quota minima di aziende del tessuto economico a causa della
limitata presenza della contrattazione decentrata sul territorio nazionale.
Nella presente sezione saranno analizzate proposte differenti, che oltre a
focalizzarsi sui differenti livelli della contrattazione e i loro ruoli, si sono occupate
anche dei diversi strumenti che a livello aziendale sono da considerare per
collegare salario e produttività.
2.1 La proposta di Antonioli e Pini su contrattazione, dinamica salariale e
produttività.
Davide Antonioli e Paolo Pini nell’aprile 2013, alla luce dell’accordo sulla
produttività del novembre 2012 e del decreto ministeriale di attuazione di questo
del 22 gennaio 2013, formulano una proposta per la riforma della contrattazione
relativa al salario che abbia come fulcro il ruolo della contrattazione nazionale nel
legame ex-ante tra salario e produttività. Per tale proposta questo deve essere
promosso con la parallela promozione della contrattazione decentrata per
l’introduzione dell’innovazione organizzativa nei luoghi di lavoro.
Come appena anticipato, il patto di produttività e crescita delineato da Antonioli e
Pini si articola su due livelli, il primo nazionale e il secondo aziendale. Affinché tale
patto risulti credibile ed efficace è necessario che il soggetto pubblico attui una
politica economica in grado di sostenere la domanda effettiva. Senza tale sforzo
da parte del soggetto pubblico, qualsiasi azione concordata tra le parti non
condurrebbe all’obiettivo di crescita della produttività.
Limiti e criticità della normativa attuale e proposte alternative
140
Secondo la proposta, le parti sociali ed il governo devono stabilire un obiettivo
pluriennale di crescita della produttività, la produttività programmata, e le parti
sociali devono stabilire come redistribuirla sotto forma di salario. Ad ogni livello
percentuale annuo di crescita della produttività programmata corrisponderà una
quota percentuale di crescita delle retribuzioni. Nel contempo le diverse parti
dovranno attivarsi per migliorare le componenti sistemiche, connettive ed
aziendali che influiscono sulla crescita della produttività.
In questo quadro, il contratto nazionale svolge una funzione di garante dei minimi
retributivi e si fa carico di “trovare strumenti adeguati per perseguire l’obiettivo di
crescita della produttività e recupero della competitività” 301 . Le leve che
permettono il conseguimento dell’obiettivo sono indentificate: nell’innovazione
organizzativa e tecnologica, negli investimenti in capitale fisico e capitale
intangibile, nell’investimento di risorse pubbliche e private in ricerca e sviluppo e
per l’innovazione di prodotto e di processo, negli interventi su formazione e
istruzione, nella riduzione della tassazione di lavoro e impresa, nello snellimento
delle procedure amministrative, negli interventi per contrastare l’elusione fiscale,
nelle politiche delle infrastrutture e in quelle di valorizzazione ambientale del
territorio302.
Le imprese saranno incentivate ad innovare in termini sia organizzativi sia
tecnologici per ottenere i guadagni derivanti dal raggiungimento degli obiettivi di
produttività programmata e a superare tali obiettivi per diminuire il CLUP.
Come conseguenza di questo meccanismo le imprese meno efficienti usciranno
dal mercato, il che avrà implicazioni occupazionali negative, ma si possono
prevedere effetti positivi sulla qualità della domanda del lavoro, che in Italia è
caratterizzata da scarsa qualità. L’impatto positivo viene creato oltre che dal lato
della domanda, tramite l’introduzione di nuove tecnologie e processi organizzativi
che richiedono posizioni lavorative ad alta preparazione, anche relativamente al
301 ANTONIOLI D. e PINI P., Contrattazione, dinamica salariale e produttività: ripensare agli obiettivi ed i metodi, Università di Ferrara, Dipartimento di Economia e Management, aprile 2013, p 10. 302 E’ interessante sottolineare come la riduzione della tassazione, a cui sono ricollegabili anche gli incentivi fiscali e contributivi, sia solo una delle tante leve individuate per l’aumento della produttività, a differenza della normativa vigente che la identifica quasi come unico strumento da utilizzare per il raggiungimento di tale obiettivo.
Limiti e criticità della normativa attuale e proposte alternative
141
lato dell’offerta, dove “l’andamento dei salari, in crescita in accordo alla
produttività programmata, crea un incentivo ad acquisire capitale umano,
sottraendo il sistema economico italiano da quella spirale perversa che sembra
essersi creata tra basse retribuzioni, scarsa domanda di lavoro qualificato e scarsi
incentivi ad acquisire elevati livelli di scolarizzazione”303.
Il secondo pilastro su cui si poggia la proposta di Antonioli e Pini è la
contrattazione aziendale. La prima necessità individuata è quella di trovare un
rimedio per la scarsa diffusione di questo istituto.
La proposta in analisi suggerisce di creare un incentivo endogeno alla diffusione
della contrattazione decentrata. Le imprese devono essere incentivate a seguire
un percorso di contrattazione e confronto con i dipendenti e le rappresentanze
sindacali per raggiungere l’obiettivo di produttività programmata. Chi non seguirà
tale percorso rischierà perdere terreno nella competitività rispetto alle imprese
impegnatesi nel percorso virtuoso. Il costo del lavoro aumenterà per tutte le
imprese a causa della contrattazione nazionale che distribuisce parte della
produttività programmata raggiunta ai lavoratori. Per questo motivo, quelle che
vorranno superare tale obiettivo di produttività dovranno investire in cambiamenti
tecnologici e organizzativi con la partecipazione della forza lavoro aziendale.
Con questa proposta viene data comunque importanza all’impegno aziendale per
l’aumento della produttività, ma senza prevedere l’utilizzo del salario di
incentivazione o la suddivisione del rischio di impresa304.
Secondo questa proposta sono gli incrementi salariali che devono incentivare le
imprese a investire per avere guadagni di produttività, e non il contrario. Questo
concetto è attuabile legando gli incrementi retributivi ai cambiamenti organizzativi
del lavoro ed agli “impregni delle imprese, dei lavoratori e loro rappresentanti in
sede aziendale sul terreno della tecnologia, dell’innovazione di processo e di
303 ANTONIOLI D. e PINI P., Contrattazione, dinamica salariale e produttività: ripensare agli obiettivi ed i metodi, Università di Ferrara, Dipartimento di Economia e Management, aprile 2013, p. 11. 304 Si tratta di meccanismi di incentivazione che legano la retribuzione ad indicatori tradizionali di produttività fisica o di redditività aziendale. Tali strumenti hanno come unico fine la riduzione del costo del lavoro attraverso la diminuzione della componente fissa del salario per una parte più consistente di retribuzione variabile. Questo accade quando si persegue un aumento della produttività intervenendo sui ritmi di lavoro, riduzione delle pause, riduzione dell’assenteismo, come nel caso del salario di incentivazione dello sforzo lavorativo.
Limiti e criticità della normativa attuale e proposte alternative
142
prodotto, dell’innovazione organizzativa, dello sfruttamento delle ICT e
dell’innovazione ambientale, connettendo competitività e sviluppo dell’impresa ad
un modello di crescita sostenibile”.
Secondo gli autori della proposta in esame l’elemento attorno al quale si deve
sviluppare la contrattazione decentrata è il salario di partecipazione. Quest’ultimo
deve essere individuato tramite l’utilizzo di modelli di gestione delle risorse umane
che coinvolgono i lavoratori nei processi decisionali e che valorizzano l’importanza
dei lavoratori stessi attraverso la promozione di spirito di appartenenza e
condivisione, percezione di equità organizzativa oltre che retributiva, centralità
delle competenze del lavoratore anche attraverso una formazione che conferisca
capacità decisionale decentrata, coinvolgimento nella determinazione degli
obiettivi, pratiche di lavoro innovative basate sul team work, job-rotation,
problem-solving305.
Dagli autori sono stati individuati cinque principi cardine specifici cui il salario di
partecipazione dovrebbe essere legato:
1. La parte variabile del salario deve essere aggiuntiva a quella nominale, non
sostitutiva di questa;
2. La partecipazione deve essere ai guadagni e non alle perdite dell’impresa,
che devono far parte unicamente del rischio imprenditoriale;
3. La variabilità della quota aggiuntiva del salario deve essere riconducibile
all’organizzazione del lavoro in impresa e alla partecipazione dei lavoratori
a questa e non a fattori di rischio di mercato che appartengono
all’imprenditore;
4. I lavoratori devono avere voce nelle scelte aziendali relative ai fattori
organizzativi da cui dipende la retribuzione variabile. Per questo motivo i
rapporti tra impresa e lavoratore non devono essere solo di natura
informativa, ma anche consultiva e negoziale;
5. I primi quattro principi sopra elencati devono essere attuati solo in
presenza di una già esistente relazione fiduciaria tra le parti e non è
possibile considerare questi gli strumenti per costruire tale relazione.
305 Santangelo D., Pini P., The Uderlying Internal Learning Process of Incremental and Radical Innovations, in Economia Politica, 2010, vol. 27, n. 1, pp. 55-81.
Limiti e criticità della normativa attuale e proposte alternative
143
Proprio perché la contrattazione decentrata è fondamentale per la validità della
proposta assieme a quella nazionale, è necessario sottolineare i limiti che tale
contrattazione di secondo livello presenta e cercare di trovare delle soluzioni a
questi limiti. Il primo limite è identificato in particolare nella dimensione ridotta
delle imprese che compongono il tessuto produttivo italiano, che è composto
quasi totalmente da imprese con meno di 20 addetti dove il problema della
mancanza della contrattazione aziendale emerge a pieno.
Per risolvere questo problema è possibile ricorrere alla contrattazione territoriale,
strumento che, come è stato osservato nei precedenti capitoli, viene già utilizzato.
Per poter essere parte integrante del modello proposto da Antonioli e Pini devono
essere risolti due aspetti problematici della contrattazione territoriale individuati
dagli autori: sindacato e imprese dovrebbero rendere gli elementi contrattati a
livello territoriale omogenei a quelli contrattati a livello di impresa; i contenuti
della contrattazione territoriale dovrebbero essere differenziati per settori e filiere
produttive diverse.
Per questi motivi anche la contrattazione territoriale dovrebbe ispirarsi ai principi
sopra individuati riguardanti l’individuazione del salario di produttività, e la
dimensione della contrattazione dovrebbe essere spostata da territoriale a di
settore/filiera produttiva per meglio soddisfare le particolari esigenze dei diversi
tipi di impresa in tema di strategie innovative.
Tutto quello che è stato indicato fino ad ora non può prescindere da una solida
democrazia sindacale. “I lavoratori devono essere liberi di associarsi e poter
decidere l’organizzazione sindacale a cui iscriversi” 306 , tale organizzazione
dovrebbe avere un significativo tasso di rappresentanza dei lavoratori certificato e
non solo dichiarato. In ultimo, le intese raggiunte dovrebbero essere comunque
approvate dalla maggioranza dei lavoratori che sono coloro che, in bene o in
male, subiranno gli effetti dell’intesa.
Dopo aver individuato il ruolo delle parti sociali, che consiste nel definire un
sistema contrattuale che governa la crescita della produttività e la sua
distribuzione sul salario, viene individuato anche il ruolo del Governo. 306 ANTONIOLI D. e PINI P., Contrattazione, dinamica salariale e produttività: ripensare agli obiettivi ed i metodi, Università di Ferrara, Dipartimento di Economia e Management, aprile 2013, p. 14.
Limiti e criticità della normativa attuale e proposte alternative
144
Il Governo, secondo la prospettiva degli autori, deve lasciare le parti sociali
definire le regole che riguardano la distribuzione dei benefici derivanti dal
raggiungimento della produttività programmata a livello microeconomico e
intervenire per una riforma dell’Irap 307 che penalizza la capacità di creare
occupazione da parte delle imprese.
Gli sforzi del Governo dovrebbero essere diretti alla riduzione della pressione
fiscale sul lavoro e sull’impresa. Questo produrrebbe diversi effetti tra cui, liberare
una quota di salario alla contrattazione tra le parti, aumentare il margine delle
imprese di competitività relativamente al prezzo, migliorare il potere d’acquisto
dei salari producendo così un effetto positivo sulla domanda interna di beni e
servizi.
Dopo la riforma del sistema fiscale308, il secondo compito del Governo è quello
diretto all’incentivazione delle strategie innovative delle imprese e sono state
individuate tre azioni per poter fare in modo che questo avvenga.
La prima è promuovere e sostenere gli investimenti di natura tecnologica che
portino ad innovazioni di prodotto e processo e permettano la sostenibilità
ambientale della produzione. La seconda azione è il supportare innovazioni e
investimenti diretti all’organizzazione del lavoro. Per entrambe le azioni riportate è
importante che il Governo preveda delle misure di natura fiscale a sostegno di tali
investimenti a favore delle aziende.
Il terzo compito che appartiene al Governo è quello di garantire il reddito per tutti
gli attori coinvolti nei processi di riorganizzazione. Tali progetti, infatti, non sono a
costo zero per l’azienda e spesso comportano la perdita di posti di lavoro. E’
307 L'imposta regionale sulle attività produttive, nota anche con l'acronimo IRAP, è stata istituita con il decreto legislativo 15 dicembre 1997 n.446, nella sua applicazione più comune, colpisce il valore della produzione netto delle imprese, ossia, in termini generali, il reddito prodotto al lordo dei costi per il personale e degli oneri e dei proventi di natura finanziaria. È l'unica imposta a carico delle imprese che è proporzionale al fatturato e non applicata all'utile di esercizio. La legge che l'ha istituita prevede che il 90% del gettito ottenuto sia attribuito alle regioni allo scopo di finanziare il Fondo sanitario nazionale, come quota parte della spesa pubblica. 308 All’interno della proposta gli autori indicano anche i passi attraverso i quali attuare la riforma del sistema fiscale per ridurre il peso che grava le imprese. “1. applicare la norma della progressività impositiva sia nella fiscalità diretta che in quella indiretta; 2. spostare l’imposizione dalla produzione e dal lavoro verso le attività e le rendite finanziarie, applicando la recente Tobin tax introdotta in ambito europeo; 3. ridurre l’imposizione sui flussi di reddito ed accrescere il carico sugli stock, il che implica tasse ambientali sull’utilizzo delle risorse naturali, e tasse fortemente progressive sui patrimoni mobiliari e immobiliari; 4. introdurre tutti quegli strumenti e norme che consentono di abbattere l’evasione fiscale”.
Limiti e criticità della normativa attuale e proposte alternative
145
quindi importante saper gestire nel modo migliore la formazione e la
ricollocazione dei lavoratori sul mercato del lavoro.
Antonioli e Pini sottolineano in ogni paragrafo della loro proposta l’importanza
della presenza di tutti i soggetti coinvolti nel raggiungimento dell’obiettivo della
crescita della produttività.
Aziende, parti sociali e Governo hanno dei ruoli ben definiti e ugualmente
importanti per l’azione diretta al miglioramento delle componenti connettive,
sistemiche ed aziendali che conducono al raggiungimento dell’obiettivo di
produttività programmata.
La proposta di Antonioli e Pini appare, agli occhi di chi scrive, completa ed
articolata, soprattutto nel definire il ruolo del Governo e le azioni che questo deve
tenere. All’interno degli accordi analizzati in questo elaborato il ruolo del Governo
non è mai stato definito. Solamente nell’accordo interconfederale 21 novembre
2012 è possibile trovare l’elenco di alcuni obiettivi che richiedono l’aiuto dell’attore
pubblico per essere raggiunti con l’auspicio che tale aiuto si verifichi, ma non è
presente la descrizione delle azioni che questo dovrebbe attuare.
Nella proposta appena analizzata, invece, sorprende la mancanza di linee guida
per l’attuazione di una contrattazione territoriale valida e utile all’incremento della
produttività. Sono state definite le azioni da svolgere per l’ottimizzazione del ruolo
di tutti gli attori, ma non è stato specificato come impostare in modo positivo
l’istituto della contrattazione di settore o filiera produttiva che allo stato attuale
sembra essere l’elemento più importante visto che comporta l’applicazione o
meno del contratto decentrato a quasi la totalità delle imprese italiane.
2.2 La produttività programmata di Ciccarone e Messori.
Giuseppe Ciccarone e Marcello Messori in diversi contributi309 degli ultimi anni
hanno individuato il problema di incentivo dell’economia italiana verso la
309 G. Ciccarone, Produttività programmata. Una proposta per la riforma della contrattazione e l’unità sindacale, “Nel merito”, 24 aprile 2009, da http://www.nelmerito.com/index.php?option=com_content&task=view&id=708&Itemid=135. G. Ciccarone, Equità distributiva e produttività programmata: una proposta per la riforma della contrattazione, in Economia & Lavoro, 2009, vol. 43, n. 2. G. Ciccarone, E. Saltari, Produttività e capitale innovativo, in G. Ciccarone, M. Franzini, E. Saltari, (a cura di), L’Italia possibile. Equità e crescita, 2010, Brioschi Editore, Milano.
Limiti e criticità della normativa attuale e proposte alternative
146
produttività nella possibilità di disegnare la contrattazione salariale in modo che
questa renda convenienti le spese per le innovazioni organizzative che le imprese
devono sostenere quando sono di dimensioni medio-piccole e piccole,
notoriamente poco propense al cambiamento.
Come soluzione a tale problematica gli autori propongono una definizione di
produttività programmata che permette di fornire alle imprese un incentivo
semplificato ma efficace che condizioni la crescita dei profitti grazie all’incremento
dei livelli di produttività raggiunti.
Il punto di partenza della proposta è la poca soddisfazione rispetto ai patti firmati
dalle parti sociali relativamente al tema della produttività, per questo motivo il
meccanismo di incentivo presentato dagli autori cerca di:
1. “Ribaltare le regole esistenti di determinazione dei salari”310 attraverso il
superamento della scissione dei due livelli di contrattazione: quello
nazionale che ha come scopo il garantire il potere di acquisto delle
retribuzioni dei lavoratori, e quello decentrato, che vuole distribuire alle
diverse parti i benefici derivanti da incrementi di produttività.
2. “Lasciare autonomia decisionale alle imprese e ai rappresentanti dei
lavoratori, evitando improprie interferenze statali o pubbliche rispetto ai
contenuti contrattuali e alle scelte decisionali”.
La proposta di produttività programmata collega la variazione del salario a quella
di diverse variabili, che sono il livello dei prezzi, la quota di occupazione
dipendente sul totale, la quota di lavoro dipendente sul reddito, la produttività
media del lavoro, la quota del salario contrattato a livello nazionale rispetto alla
retribuzione totale, il coefficiente che lega il tasso di crescita del salario variabile
al tasso di variazione della produttività311.
Le parti sociali attraverso la negoziazione possono contrattare la parte di reddito
totale da destinare a reddito dipendente, stabilire il tasso di crescita della
produttività programmata, decidere la quota di reddito derivante dall’aumento
M. Messori, Serve un patto su retribuzioni e produttività, “Corriere della Sera”, 9 gennaio 2012. 310 G. Ciccarone, M. Messori, Per la produttività programmata, in Economia & Lavoro, 2013, vol. 3, p. 28. 311 L. Tronti, Distribuzione del reddito, produttività del lavoro e crescita: il ruolo della contrattazione decentrata, in Rivista italiana di economia, demografia e statistica, 2007, LXI, vol. 3-4, pp. 177-215.
Limiti e criticità della normativa attuale e proposte alternative
147
della produttività da aggiungere alle retribuzioni dei lavoratori. In questo modo le
parti possono stabilire il tasso di crescita della parte fissa del salario
compatibilmente con l’obiettivo distributivo, la crescita programmata della
produttività e la politica retributiva derivante dalla contrattazione di secondo
livello, utilizzando un indice di inflazione che esclude l’andamento dei prezzi dei
più importanti bene energetici.
Con il meccanismo in analisi, nel caso in cui la produttività non raggiunga il tasso
di crescita programmato, il salario viene adeguato al tasso programmato di
crescita, tramite l’utilizzo dell’indice di inflazione che include le variazioni di prezzo
dei beni energetici principali. In questo modo la crescita della produttività è
incentivata, poiché le imprese se non raggiungono i livelli di produttività
programmata subiscono un aumento dei salari, e di conseguenza del costo
unitario del prodotto, e una riduzione del margine di profitto. Le imprese in
questo modo sono incentivate ad investire in nuove tecnologie e innovative
soluzioni organizzative312.
Marcello Messori, partendo da questo impianto analitico, ha cercato di individuare
delle soluzioni alle problematiche che si presentano nella sua applicazione. In
prima istanza, è stato chiarito che il progetto di produttività programmata richiede
la partecipazione del governo e delle autorità pubbliche. In secondo luogo, le parti
sociali, nell’atto di contrattazione della produttività programmata, devono
rispettare diversi vincoli. Esse devono fare riferimento ad orizzonti pluriennali per
poter incentivare riorganizzazioni aziendali e investimenti strategici ed è
necessario che fissino tassi di crescita della produttività compatibilmente al
riavvicinamento dei livelli nazionali a quelli europei di crescita della produttività.
Il raggiungimento degli obiettivi è influenzato dalle esternalità negative che
condizionano l’attività delle imprese, per questo motivo le istituzioni pubbliche 312 S. Fadda in alcuni suoi lavori propone una soluzione simile a quella individuata dalla letteratura in esame. Egli non fissa il tasso di crescita del salario attraverso l’uso della contrattazione, ma come somma della quota dell’inflazione misurata dall’indice armonizzato dei prezzi di consumo e della quota, determinata nella contrattazione di secondo livello, di un tasso programmato della crescita della produttività determinato da un “soggetto terzo”. S. Fadda, Riforma dei contratti: un rischio e una proposta, “Sbilanciamoci”, 25 marzo 2009, da http://www.sbilanciamoci.info/content/pdf/1790. S. Fadda, La riforma della contrattazione: un rischio e una proposta circa il secondo livello, “Nel merito”, 19 giugno 2009, da http://www.nelmerito.com/index.php?option=com_content&task=view&id=759&Itemid=135.
Limiti e criticità della normativa attuale e proposte alternative
148
devono impegnarsi nella rimozione degli ostacoli che aumentano il costo delle
innovazioni organizzative.
Secondo Messori “la produttività programmata deve basarsi sullo stringente
rispetto degli accordi di ciascuna delle parti sociali313”314, sono quindi da evitare
situazioni di dispersione salariale ma anche effetti di shirking 315
nell’organizzazione del lavoro.
Per fare in modo che non si verifichi quanto appena esposto l’effettivo tasso
medio di crescita della retribuzione dei lavoratori deve rimanere di poco inferiore
alla variazione media della produttività programmata. In questo modo, la
differenza che si viene a creare potrebbe essere destinata alla riduzione delle
differenze salariali di lavoratori di imprese diverse che operano nello stesso
settore o a specifici gruppi di lavoratori316.
La problematica più importane del modello originario di produttività programmata
in relazione alla sua applicazione è il fatto che non è possibile trovare un tasso
medio di crescita della produttività programmata applicabile a tutte le imprese
indistintamente a prescindere dalle dimensioni, dai comparti e dal territorio a cui
esse appartengono. Come soluzione a questo problema gli autori propongono di
fare interagire i differenti livelli contrattuali. Il contratto nazionale deve fissare le
cifre minime raggiungibili di produttività programmata, mentre quello di secondo
livello deve occuparsi della fissazione del tasso programmato per le singole
imprese. I contratti di primo livello dovrebbero fissare delle classi omogenee di
produttività programmata a cui ricondurre le diverse aziende e decidere in quali
classi far rientrale le imprese in cui non è stato adottato lo strumento del
contratto di secondo livello.
313 Bisogna evitare che i sindacati mettano vincoli alle ristrutturazioni aziendali, o richiedano aumenti di retribuzione maggiori a quelli stabiliti nel caso in cui il livello di produttività raggiunto sia maggiore di quello programmato. 314 G. Ciccarone, M. Messori, Per la produttività programmata, in Economia & Lavoro, 2013, vol. 3, p. 30. 315 I modelli di shirking sono modelli che tentano di spiegare la rigidità del salario e, quindi, il persistere di un equilibrio di sottoccupazione. Secondo queste ipotesi, livelli di salario bassi demotivano i lavoratori che tendono, di conseguenza, a scansare (shirk) i compiti più pesanti. Le imprese, di conseguenza (pur in presenza di elevata disoccupazione) tenderanno a non ridurre il salario corrisposto per evitare che la demotivazione dei lavoratori e i costi delle vertenze sindacali si riflettano in una produttività più bassa. 316 M. Messori, Problemi della produttività dell’economia italiana, Relazione all’incontro ASTRID, 20 settembre 2012, Roma.
Limiti e criticità della normativa attuale e proposte alternative
149
La proposta di Ciccarone e Messori con gli accorgimenti attuativi appena
sottolineati potrebbe produrre, secondo gli autori, tre effetti molto positivi: nel
breve termine, l’innesco di aumenti salariali con il conseguente alleggerimento
della depressione dell’economia e l’imposizione al governo e ai partiti politici di
“un’esplicita assunzione di responsabilità rispetto alle variabili esterne alle imprese
e rispetto ai compiti di politica industriale”; nel medio-lungo termine, si avrebbe
una selezione delle imprese più efficienti determinando un “rafforzamento
strutturale del potenziale di crescita” del sistema economico italiano317.
La proposta in analisi confrontata con quella di Antonioli e Pini presenta diversi
elementi di complementarietà: il primo è il recupero di un ruolo centrale della
contrattazione nazionale che deve legare ex-ante salario e livelli di produttività, il
secondo è individuabile nello stabilire un livello di produttività programmata
pluriennale e in ultimo il concetto cardine di entrambe le teorie che si fondano sul
ribaltamento della logica seguita fino ad oggi dalla regolazione, ossia che gli
incrementi retributivi non devono essere risultato ma incentivo per i guadagni
derivanti dagli incrementi di produttività.
Tra le due proposte analizzate è possibile anche individuare due differenze di
metodologia. La prima è la dimensione di determinazione del tasso di crescita
programmato della produttività, che secondo Antonioli e Pini deve essere
contrattato a livello di settore, comparto, filiera o territorio, mentre secondo
Ciccarone e Messori deve derivare dalla contrattazione aziendale e ricondotto in
un secondo momento a classi omogenee di impresa. La secondo problematica
individuata è il ruolo dei lavoratori e dei loro rappresentanti nel percorso di
riorganizzazione aziendale. Secondo Antonioli e Pini questi attori hanno un ruolo
importantissimo nel processo decisionale e negoziale, mentre per Messori e
Ciccarone, “una volta disegnato un incentivo efficace, gli imprenditori e i manager
(è opportuno) svolgano appieno i loro compiti, assumendosi la responsabilità
primaria di migliorare la competitività delle loro imprese mediante appropriate
innovazioni organizzative”318.
317 G. Ciccarone, M. Messori, Per la produttività programmata, in Economia & Lavoro, 2013, vol. 3, p. 31. 318 G. Ciccarone, M. Messori, Per la produttività programmata, in Economia & Lavoro, 2013, vol. 3, p. 32.
Limiti e criticità della normativa attuale e proposte alternative
150
2.3 L’organizzazione del lavoro e le High Performance Workplace Practices.
Gli strumenti di natura normativa e contrattuale utilizzati per l’innalzamento della
produttività analizzati nel presente elaborato e le due proposte alternative
precedentemente esposte sono diretti più che alla contrattazione della produttività
alla contrattazione del salario. Raramente la contrattazione aziendale si occupa di
come organizzare i diversi fattori della produzione per migliorare i risultati.
Per agire con efficacia sulla produttività delle aziende è necessario in primo luogo
identificare come, in quali ambiti aziendali e attraverso che tipo di strumenti
organizzativi e gestionali è possibile incrementarla. In un secondo momento potrà
essere istituito un sistema premiante e solo in ultimo sarà utile individuare un
sistema di incentivi pubblici, che solo in questo modo potranno essere mirati ed
efficaci.
Non appare utile quindi definire obiettivi di produttività, come affermato dalle
proposte analizzate, ma è necessario identificare quali sono le strade per
raggiungere una buona produttività. Il processo di produzione deve quindi essere
ottimizzato in ogni singola parte di cui è composto, e le parti sociali devono
partecipare in modo attivo a tale percorso di ottimizzazione319.
Per questo motivo è auspicabile una nuova tipologia di contrattazione che si
concentri sui fattori che compongono la produttività del lavoro, come le
competenze dei lavoratori, il know-how complessivo aziendale, gli investimenti
per unità di lavoro in organizzazione del lavoro, l’efficienza delle strutture e dei
processi dell’azienda; e gli elementi che compongono la reddittività del lavoro,
ossia il posizionamento competitivo alla valorizzazione del brand, le pratiche
manageriali, l’innovazione di prodotto, la qualità degli inputs, le scelte di natura
tecnologica e la loro influenza sui prodotti e l’organizzazione.
Uno dei fattori che può migliorare la produttività è l’istruzione della forza lavoro e,
in modo complementare, il volume degli investimenti formativi, sia che questi
siano mirati a infondere competenze tecniche necessarie all’azienda, sia che siano
diretti al miglioramento qualitativo generale della forza lavoro. 319 A. M. Ponzellini, La strada giusta per la contrattazione della produttività, Nuovi Lavori Newslette, 2013, da http://www.nuovi-lavori.it/index.php/sezioni/61-contrattazione/127-la-strada-giusta-per-la-contrattazione-della-produttivita.
Limiti e criticità della normativa attuale e proposte alternative
151
Un secondo fattore che influenza la crescita della produttività è il controllo
dell’assenteismo. Nei casi di contrattazione di secondo livello che sono stati
analizzati nei capitoli precedenti abbiamo individuato incentivi monetari collegati
alla riduzione della dimensione delle assenze, senza però che venissero analizzate
le cause di tali assenze e gli strumenti per farle diminuire. La riduzione
temporanea dell’orario di lavoro, la possibilità di usufruire di orari flessibili
abbassa il tasso di assenteismo di madri con figli piccoli; il miglioramento delle
caratteristiche ergonomiche di alcune postazioni di lavoro migliorano le prestazioni
dei lavoratori e riducono periodi di malattia per disturbi muscoloscheletrici, per
questo motivo queste problematiche devono essere al centro della contrattazione
per diminuire il tasso di assenteismo nell’impresa.
Anche le modalità di utilizzo del capitale risultano importantissime per la
produttività. L’organizzazione del lavoro può migliorare i livelli di saturazione degli
impianti, la fluidità dei processi, l’adattabilità della produzione alle oscillazioni della
domanda di mercato riducendo al minimo gli sprechi di costi ed energie sia per
l’azienda che per i lavoratori.
Un elemento che la letteratura economica identifica come fondamentale per la
crescita della produttività, ma in Italia non viene considerato nella gestione di tale
obiettivo, è la capacità del management. La contrattazione può difficilmente
intervenire sulla selezione del management, ma può garantire l’utilizzo di pratiche
innovative ed efficienti nella gestione delle risorse umane. Per far crescere i
risultati di un reparto è fondamentale la presenza di pratiche manageriali dirette
ad una selezione meritocratica nei processi di crescita del personale.
Il principio che lega la crescita della produttività di un’impresa alle pratiche di
innovazione organizzativa è sostenuto, oltre che da gran parte della letteratura
economica, anche da diversi studi internazionali, che dimostrano che la relazione
tra produttività e cambiamento organizzativo è un ottimo terreno per una
contrattazione aziendale che voglia migliorare allo stesso tempo performance
aziendale e condizioni dei lavoratori. A supporto di questa tesi, alcuni studi
Limiti e criticità della normativa attuale e proposte alternative
152
americani affermano che il 30% della crescita dell’industria americana sia
riconducibile alle High Performance Workplace Practices320.
Eurofound, in un lavoro del 2012, ha identificato alcune pratiche di lavoro
definendole “ad alta produttività”, esse comprendono: lavoro in squadra,
formazione, coinvolgimento dei lavoratori nella condivisione delle conoscenze e
nella soluzione dei problemi e nuove forme di ricompensa. Questa indagine
europea afferma che la crisi ha portato all’implementazione delle innovazioni nel
settore manifatturiero, che le aziende necessitano di leadership, cultura
organizzativa e partecipazione dei lavoratori per intraprendere un processo di
cambiamento, che l’uso delle pratiche sopra elencate, soprattutto se combinate
tra loro, “ha prodotto incrementi estremamente significativi della produttività del
lavoro, riduzione dei costi operativi, maggiore condivisione della conoscenza dei
processi produttivi e della soluzione dei problemi”321.
Appare quindi di fondamentale importanza identificare in modo preciso come
possono essere introdotte tali practices in azienda.
Il lavoro di squadra risulta essere molto importante per la crescita della
produttività e permette il miglioramento della partecipazione e del clima di lavoro
in azienda. Il teamworking deriva dal modello di lean productin, caratterizzato da
una bassa piramide gerarchica e forte coinvolgimento dei lavoratori nelle decisioni
aziendali. Questo strumento organizzativo responsabilizza i lavoratori, specie se
dotati di autonomia decisionale, nella ricerca di un buon funzionamento dei
processi, puntando alla diminuzione dei fermo macchina, al taglio degli sprechi di
materie prime e al miglioramento della qualità.
Secondo diversi studi, in questo caso secondo WERS322 (Workplace Employment
Relations Survey) il 60% delle imprese che adottano il teamworking identifica la
propria produttività come al di sopra della media ed il 65% di queste misurano 320 L. Lynch, The evolving nature of High Performance Workplace Practices in the United States, Bryson A. (a cura di), Advances in the Economic Analysis of Participatory and Labor- Managed Firms, 2012, vol. 13, pp. 267-309, EGPL. 321 Eurofound, Work organization and innovation, 2012, da http://eurofound.europa.eu/publications/report/2012/other/work-organisation-and-innovation. 322 E’ uno studio promosso dal Governo britannico che tratta il tema dei lavoratori nel Regno Unito. Questo tipo di analisi comprende dati e informazioni relativamente alle imprese, alle rappresentanze sindacali e ai lavoratori che appartengono a diverse tipologie di settori economici. WERS è stato pubblicato 6 volte: nel 1980, 1984, 1990, 1998, 2004 e 2011. L’ultimo studio del 2011 è stato completato nel Giugno 2012.
Limiti e criticità della normativa attuale e proposte alternative
153
anche risultati finanziari superiori323. Come esempio a livello nazionale si può
citare Elica, un’azienda italiana, che in seguito all’utilizzo di questa pratica
aziendale ha raggiunto la diminuzione del 300% dei costi di produzione in un solo
esercizio324. E’ dimostrato quindi che il lavoro di squadra fa crescere la qualità di
prodotto e di lavoro in azienda, attraverso il miglioramento delle conoscenze dei
lavoratori che sono spinti alla risoluzione di problematiche e a fornire proposte
nuove per migliorare i processi.
Visto che le pratiche di teamworking non sono molto diffuse in Italia, un tipo di
contrattazione di secondo livello nuovo e più efficace potrebbe creare le basi di
dialogo necessarie per introdurre questo strumento organizzativo nelle imprese,
prendendo anche spunto dalla Germania, dove questa pratica è diffusa e le forme
di partecipazione sono molto ampie e arrivano anche al coinvolgimento dei
lavoratori nella distribuzione delle mansioni e nella definizione dei ritmi e delle
pause di orario325.
Come già sottolineato in diverse parti di questo elaborato la flessibilità di orario è
uno strumento prezioso per l’impresa per far crescere la produttività, anche se in
Italia questa non viene utilizzata nel modo corretto, facendo più ricorso al lavoro
straordinario che alla distribuzione multi-periodale dell’orario di lavoro per
rispondere alle necessità del mercato.
Le pratiche manageriali efficaci, l’individuazione degli investimenti necessari, la
formazione delle risorse umane non sono gli unici fattori che garantiscono un
miglioramento in termini di produttività. Gli sforzi dell’impresa senza la
condivisione di un progetto da parte delle parti sociali è inutile.
In Italia purtroppo in alcuni ambienti sindacali il concetto di produttività viene
associato al mero sfruttamento dei lavoratori, ad una perdita di tutele inserite nei
contratti collettivi nazionali, e non ad una visione di partecipazione e
coinvolgimento della forza lavoro.
323 S. Procter, M. Burridge, Teamworking and Performance: The extent and Intensity of teamworking in the 1998 UK Workplace Employee Relations Survey, International Journal of Human Resource Management, 2008, vol. 1, pp. 153-168. 324 S Sidiqui, B. Allison, A. Cox, Work organization and innovation: Case Study Elica, Italy, 2012, da http://www.eurofound.europa.eu/pubblications/htmlfiles/efl27214.htm. 325 A. M. Ponzellini, La strada giusta per la contrattazione della produttività, Nuovi Lavori Newslette, 2013, da http://www.nuovi-lavori.it/index.php/sezioni/61-contrattazione/127-la-strada-giusta-per-la-contrattazione-della-produttivita.
Limiti e criticità della normativa attuale e proposte alternative
154
Per poter fare in modo che l’innovazione dell’organizzazione del lavoro entri a far
parte della contrattazione di secondo livello e di conseguenza caratterizzi la
crescita delle imprese virtuose, il sindacato dovrebbe essere parte attiva
nell’individuazione delle pratiche più adatte alle esigenze delle singole aziende per
migliorare i livelli di produttività.
Dal lato dell’imprenditore, le imprese italiane sicuramente, come più volte
sottolineato, non presentano dimensioni tali da dare per scontata la conoscenza
necessaria per l’introduzione delle pratiche organizzativa qui analizzate. La
funzione delle associazioni di categoria e dei sindacati potrebbe essere quella di
guida e supporto nella stesura di un piano di ridisegno anche per le piccole
aziende. Nel caso in cui le parti sociali non presentassero le competenze
necessarie per il raggiungimento degli obiettivi che la contrattazione di secondo
livello si pone, il soggetto pubblico potrebbe destinare fondi per lo sviluppo delle
competenze necessarie ad entrambe le parti negoziali tramite l’assistenza di
esperti e un’azione di formazione capillare dei lavoratori, come già sperimentato
in Francia e Germania.
Questo tipo di investimento di risorse pubbliche sembra molto più efficace rispetto
alla distribuzione di incentivi a pioggia che da più di vent’anni non produce
risultati per la crescita della produttività.
Attraverso l’applicazione di questa proposta le imprese sono assistite nel processo
di realizzazione di efficaci piani di ristrutturazione organizzativa e i lavoratori
acquisiscono nuove competenze. Le realtà aziendali, dove l’innovazione
organizzativa apporta reali benefici perché utilizzata e applicata nel modo
corretto, continueranno ad investire per migliorare i loro livelli produttivi anche
senza l’apporto di incentivi contributivi e fiscali, poiché il beneficio derivante da
tali investimenti sarà maggiore del loro costo.
Confrontando tale proposta con quelle di produttività programmata dei precedenti
paragrafi, emergono due considerazioni principali: da un lato, i sistemi di
produttività programmata si presentano come valida e più efficace alternativa a
sistemi che stabiliscono tassi di inflazione programmata; dall’altro lato però, non è
automatico che lo stabilire obiettivi di produttività si tramuti in reali aumenti di
produttività. L’identificazione di un piano derivante da analisi specifiche e
Limiti e criticità della normativa attuale e proposte alternative
155
l’individuazione di strumenti adatti risulta sicuramente più efficace rispetto allo
stabilire un obiettivo complessivo e generale.
Conclusioni
157
CONCLUSIONI
Il presente elaborato si poneva l’obiettivo di esaminare come viene incentivata la
produttività in Italia e quali sono gli strumenti utilizzati dalle aziende italiane per
migliorare questo elemento all’interno dell’organizzazione di impresa.
Sono presenti due attori principali che operano nel campo del miglioramento della
produttività: le parti sociali e l’amministrazione pubblica.
Le prime, con la promozione e la regolazione della contrattazione di secondo
livello cercano di fornire gli strumenti adatti alle imprese per favorire quei
miglioramenti organizzativi che portano ad un aumento dei livelli di produttività; il
soggetto pubblico invece, considerata l’importanza per l’economia nazionale nel
suo complesso dell’aumento della produttività delle imprese italiane, attraverso
strumenti di decontribuzione e detassazione del salario di produttività cerca di
incentivare le aziende ad investire sia in campo organizzativo sia in campo
tecnologico per fare in modo che tale fattore sia in crescita.
Alla luce dell’analisi dei dati nazionali confrontati con quelli europei relativi ai tassi
di produttività del lavoro delle aziende e dei livelli di utilizzo della contrattazione di
secondo livello nel tessuto economico aziendale nazionale, si può sostenere che
entrambe le parti che hanno operato per migliorare la situazione italiana hanno
fallito nei loro intenti.
Come evidenziato nel presente lavoro, gli sforzi economici da parte del soggetto
pubblico si sono tradotti in una distribuzione poco oculata e selezionata delle
risorse pubbliche, che sono risultate essenzialmente dirette ad aziende che poco
avevano a che fare con reali sforzi per il miglioramento della produttività
aziendale. Spesso anche i fattori indicati dalla legge utilizzabili ai fini di accedere
allo sgravio non coincidevano con quelli riconosciuti dalla letteratura economica
internazionale come utili al fine del miglioramento dei tassi di produttività.
Il collegamento del premio di produttività, con conseguente vantaggio fiscale e
contributivo, a fattori come la flessibilità o il lavoro straordinario hanno solamente
Conclusioni
158
portato alla stesura di accordi aziendali cosmetici diretti all’accesso a risorse
pubbliche senza che il vero obiettivo fosse necessariamente raggiunto.
Il comportamento collusivo delle aziende nell’accesso a tali risorse pubbliche è
stato ancora meno contrastato grazie alla mancanza di un sistema chiaro e
specifico di controllo relativo al reale raggiungimento di livelli migliori di
produttività per l’impresa e all’efficacia degli strumenti utilizzati per raggiungere
tali obiettivi.
Allo stato attuale, con una semplice dichiarazione di intenti l’impresa può
accedere alle agevolazioni fiscali e contributive senza necessariamente che questa
volontà di impegno si traduca in un miglioramento organizzativo reale.
Anche le parti sociali non sono riuscite a pieno nello svolgimento della loro
funzione. Con i numerosi accordi quadro e interconfederali, dal 1993 al 2013 i
sindacati e le associazioni di categoria hanno cercato di dare alle imprese la
libertà di negoziazione necessaria per individuare gli strumenti specifici utili al
miglioramento della produttività aziendale attraverso l’utilizzo del contratto di
secondo livello. La problematica non affrontata dalle parti sociali, però, è quella
che più ostacola il funzionamento di tutto l’impianto regolatorio contrattato fino
ad oggi, ossia la diffusione della contrattazione decentrata sul territorio nazionale.
Se gli sforzi vengono concentrati su come si possa utilizzare il contratto aziendale
e quali benefici e libertà questo possa fornire all’azienda, ma non ci si pone come
obiettivo l’uso diffuso e capillare di questo strumento, i livelli di produttività del
lavoro nazionali non cresceranno. Infatti, il tasso di crescita della produttività
italiana è negativo e l’utilizzo della contrattazione decentrata negli ultimi anni, già
partendo da livelli di diffusione molto bassi, è addirittura diminuito.
In questo modo lo Stato sta distribuendo risorse ad imprese che utilizzano la
contrattazione di secondo livello, quindi principalmente di medio-grandi
dimensioni, che ne fanno un utilizzo non sempre diretto ad un reale aumento del
tasso di produttività, a discapito delle piccole aziende che a tali risorse non
riescono ad accedere perché così strutturata tale contrattazione decentrata per le
imprese di modeste dimensioni richiede sforzi che superano di gran lunga i
benefeci che derivano dal suo utilizzo.
Conclusioni
159
Le parti sociali e lo Stato dovrebbero intraprendere un percorso dove di centrale
importanza è l’individuazione dei fattori che realmente influenzano l’andamento
della produttività all’interno dell’azienda, per poterne fare il fulcro di qualsiasi tipo
di incentivo. Tale operazione risulta particolarmente complicata per la natura
estremamente varia delle imprese, sia relativamente alle dimensioni di queste sia
per la loro natura economica e produttiva. Proprio per questo motivo le
associazioni di categoria e i sindacati dovrebbero diventare i punti di riferimento
per l’impostazione del cambiamento organizzativo e tecnologico delle imprese, e
una volta che questo avviene dovrebbe essere poi certificato e riconosciuto un
reale miglioramento dei livelli di produttività per poter accedere ai benefici fiscali e
previdenziali.
Tale percorso risulta sicuramente più costoso per le parti sociali ma di gran lunga
più efficace, e i progetti per l’innovazione e la riorganizzazione delle piccole
imprese potrebbero essere impostati su base territoriale per ottimizzare le risorse.
Il costo elevato di questo tipo di operazione potrebbe essere parzialmente
assorbito da una distribuzione di incentivi più mirata e corretta, in questo modo
parte dei fondi che adesso sono destinati agli sgravi potrebbe essere rivolta al
sostegno di questo sistema più complesso.
Non è detto quindi che la creazione di tale sistema di sostegno alle aziende nella
progettazione organizzativa risulterebbe più costoso dell’attuale sistema di
incentivi alla produttività.
Anche nel caso in cui questa soluzione fosse più onerosa, si andrebbe comunque
nella direzione di un sistema dove le aziende inizialmente investono in produttività
incentivate anche dagli sgravi, ma in un secondo momento, il reale beneficio
tratto dall’azienda dall’essere più produttiva giustificherebbe da sé il continuo
investimento. In questo modo l’aumento di produttività delle aziende italiane
seguirebbe il modello anglosassone, dove l’aiuto dello Stato è presente solo nella
prima fase di intervento.
L’obiettivo che Stato e parti sociali devono avere è che il risparmio derivante
dall’essere più produttive per le aziende che investono, diventi il motore che fa
perdurare l’investimento nel tempo.
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