PRODUTTIVITA’ DEL LAVORO E CONTRATTAZIONE DI...

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Dipartimento di Economia e Management Corso di Laurea Magistrale in Management PRODUTTIVITA’ DEL LAVORO E CONTRATTAZIONE DI SECONDO LIVELLO Relatore Laureanda Prof. GIORGIO BOLEGO ARIANNA DALLE MULE 162268 Anno Accademico 2013 - 2014

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Dipartimento di Economia e Management Corso di Laurea Magistrale in Management

PRODUTTIVITA’ DEL LAVORO E

CONTRATTAZIONE DI SECONDO LIVELLO

Relatore Laureanda Prof. GIORGIO BOLEGO ARIANNA DALLE MULE

162268

Anno Accademico 2013 - 2014  

INDICE

Introduzione

CAPITOLO 1. Le definizioni di produttività 1

Premessa

1. Definizione di produttività 1

1.1 Produttività del lavoro

1.2 Le ambiguità nel concetto di produttività

1.3 Produttività totale dei fattori

1.4 Le componenti della produttività

2. Canali di crescita della produttività 11

2.1 L’impresa

2.2 Il settore produttivo

2.3 Il sistema economico

3. La crescita della produttività come obiettivo 15

3.1 Benessere e produttività

3.2 Produttività e competitività internazionale

CAPITOLO 2. Produttività nelle economie sviluppate 19

1. Analisi della situazione internazionale ed europea 19

1.1 Andamento della produttività del lavoro nell’Unione Europea

1.2 Rottura del legame tra dinamica salariale e produttività

2. Analisi della situazione italiana 30

2.1 Il confronto Italia – Europa

2.2 Il Pil pro capite in Italia

2.3 La dinamica del Pil pro capite e la sua scomposizione

2.4 Le cause del ristagno della produttività del lavoro

2.5 La produttività a livello aziendale delle imprese italiane

CAPITOLO 3. Legislazione nazionale in tema di produttività 47

Premessa

1. La contrattazione di secondo livello 48

1.1 L’accordo interconfederale del 23 luglio 1993

1.2 L’accordo quadro del 22 gennaio 2009

1.3 L’accordo interconfederale del 28 giugno 2011

1.4 L’art. 8 della Legge n.148/2011

1.5 L’accordo interconfederale del 21 novembre 2012

1.6 L’accordo interconfederale 24 aprile 2013

1.7 Considerazioni conclusive in tema di contrattazione

2. Gli sgravi contributivi e fiscali 83

2.1 La decontribuzione

2.2 La detassazione

CAPITOLO 4. La casistica negoziale in tema di produttività e detassazione 105

1. I numeri della contrattazione di secondo livello 105

2. Analisi di contratti aziendali e territoriali 112

2.1 Contratto integrativo aziendale Carrefour Italia 5 marzo 2013

2.2 Accordo aziendale Luxottica 14 ottobre 2011

2.3 Ipotesi di accordo su contrattazione provinciale di secondo livello – Unionmeccanica Vicenza

2.4 Contratto collettivo regionale per i lavoratori dipendenti delle aziende artigiane della Lombardia dell’area Chimica-Ceramica

CAPITOLO 5. Criticità della normativa attuale e proposte alternative 131

1. Limiti e criticità della normativa in tema di produttività 131

2. Proposte alternative in letteratura per aumentare la produttività 138

2.1 La proposta di Antonioli e Pini su contrattazione, dinamica salariale e produttività

2.2 La produttività programmata di Ciccarone e Messori

2.3 L’organizzazione del lavoro e le High Performance Workplace Practices

Conclusioni 157

Bibliografia 161

Introduzione

   

INTRODUZIONE

L’andamento dei livelli di produttività del lavoro è presente nell’elenco delle

problematiche da risolvere in Italia da moltissimi anni, ben prima dell’arrivo della

crisi economica che dal 2008 ha bloccato l’economia europea e mondiale.

L’aumento della produttività del lavoro è il fattore che permette alle aziende di

produrre di più a costi minori, senza dover però rinunciare alla qualità del

prodotto. E’ facilmente osservabile, quindi, come l’importanza dell’intervento

relativo alla produttività del lavoro sia estremamente elevata per poter migliorare

la struttura, la solidità, la competitività e l’organizzazione delle aziende italiane.

Nell’affrontare tale tematica nella parte iniziale del presente lavoro saranno

esaminate le definizioni di produttività e di produttività del lavoro, analizzandone

le differenze ed identificando gli elementi che caratterizzano l’una e l’altra. Sarà

poi necessario individuare i differenti canali attraverso cui è possibile intervenire

per il miglioramento della produttività, tra i quali se ne possono riconoscere

almeno tre: l’impresa, il settore produttivo ed il sistema economico nel suo

complesso.

Una volta chiarito cosa si intende per produttività del lavoro, quali sono i soggetti

che possono intervenire per il suo miglioramento e quali sono i fattori su cui

intervenire sarà possibile sviluppare una breve analisi dell’andamento della

produttività del lavoro a livello nazionale, europeo ed internazionale. Al riguardo,

occorre considerare che, secondo le rilevazioni statistiche, il caso italiano si

presenta come il più negativo tra quelli che verranno presi in considerazione, con

una produttività del lavoro ferma fino al 2008 (mentre quella di tutti gli altri Stati

era in crescita) e decrescente dal 2008 in poi, mentre gli altri Stati, sebbene non

abbiano migliorato i loro livelli di produttività, non li hanno nemmeno peggiorati.

Il principale obiettivo del presente elaborato è quello di analizzare come a livello

nazionale si interviene per migliorare la produttività del lavoro. Si ritiene che il

modo più efficace per condurre tale ricerca consiste nell’analizzare in che modo

Introduzione

   questa è regolata ed incentivata. Nel sistema legislativo italiano è possibile

riconoscere due principali aree d’intervento utilizzate per influenzare la

produttività: la contrattazione di secondo livello e gli sgravi contributivi e fiscali di

somme derivanti dall’aumento della produttività in azienda.

Saranno quindi esaminati gli accordi quadro ed interconfederali siglati dalle parti

sociali dal 1993 ad oggi, al fine di mettere in luce come la materia di

contrattazione si sia modificata nel tempo e come siano cambiati gli obiettivi delle

parti contraenti. In un secondo momento saranno prese in esame le misure di

incentivo adottate dallo Stato con particolare riferimento agli strumenti di

detassazione e decontribuzione.

Per comprendere al meglio il modo in cui la disciplina nazionale e gli incentivi

sono applicati ed utilizzati dalle aziende verrà esaminato come e quanto lo

strumento della contrattazione di secondo livello è adottato sul territorio nazionale

e quali sono gli elementi contrattuali maggiormente inseriti in tali accordi

decentrati.

Per poter comprendere in modo più completo come gli strumenti promossi dalle

parti sociali e dal Governo per il miglioramento dei livelli di produttività sono stati

adottati dalle aziende verranno esaminati alcuni casi di contrattazione sia

aziendale sia territoriale cercando di evidenziare quali strumenti è possibile si

traducano in un reale aumento di produttività e quali invece difficilmente

contribuiranno alla crescita di questa variabile.

Disponendo di un quadro complessivo relativo alla disciplina che regola la

produttività e di come questa si traduce nelle realtà aziendali, saranno evidenziati

i limiti e le criticità appartenenti all’attuale normativa ed, in un secondo momento,

verranno presentate alcune soluzioni alternative alla disciplina attuale, presentate

in letteratura economica.

Nella presente ricerca risulterà di fondamentale importanza il confronto tra la

definizione di produttività del lavoro individuata in letteratura economica e gli

elementi verso i quali è stata rivolta l’attenzione delle parti sociali e dello Stato

nel regolare le modalità contrattuali e gli incentivi per perseguire l’obiettivo di

crescita della produttività.

Introduzione

   Pur riconoscendo la complessità del tessuto economico italiano, il numero dei

fattori che possono influire sulla produttività del lavoro e come questi possono

mutare per differenti tipologie di aziende, il presente lavoro cercherà di

individuare le motivazioni per cui i diversi accordi interconfederali e gli sgravi

contributivi e fiscali concessi dallo Stato non hanno contribuito alla crescita della

produttività delle imprese italiane, portando invece ad una distribuzione poco

mirata e controllata di benefici fiscali e contributivi.

L’obiettivo conclusivo di questa ricerca sarà quello di individuare, grazie anche al

contributo delle nuove proposte presenti in letteratura, un sistema di

contrattazione di secondo livello e di incentivi che si adatti alla dimensione ridotta

delle imprese italiane ma che comunque persegua in modo concreto l’obiettivo

della crescita della produttività del lavoro.

Le definizioni di produttività

  1  

CAPITOLO 1

Le definizioni di produttività

Premessa – 1. Definizione di produttività – 1.1 Produttività del lavoro – 1.2 Le ambiguità nel concetto di produttività – 1.3 Produttività totale dei fattori – 1.4 Le componenti della produttività – 2. Canali di crescita della produttività – 2.1 L’impresa – 2.2 Il settore produttivo – 2.3 Il sistema economico – 3. La crescita della produttività come obiettivo – 3.1 Benessere e produttività – 3.2 Produttività e competitività internazionale.

Premessa.

Quando parliamo di produttività ci riferiamo alla capacità di un sistema di

crescere, di creare occupazione e sviluppo. Ecco perché nella letteratura

economica il tenore di vita di un Paese viene considerato ragione del livello di

produttività raggiunto, ovvero della quantità dei beni e servizi prodotti dagli

individui che in quel paese lavorano, in una determinata unità di tempo. Questa è

la ragione principale per cui si invoca la produttività ogni qual volta si chiede alle

forze produttive del nostro paese di conseguire un “patto” per la sua crescita e, in

generale per la competitività dello stesso sistema economico-produttivo.1

1. Definizione di produttività.

In senso statistico, la produttività è stata da sempre intesa come un

indicatore in grado di misurare la capacità produttiva di un’impresa, di un settore

produttivo, di una regione, di una nazione o di un’area sovranazionale, correlando

i fattori produttivi utilizzati nel processo produttivo con il risultato, ossia il

prodotto, di tale processo.

                                                                                                               1 R. Sanna, Di cosa parliamo quando parliamo di produttività, 2012.

Le definizioni di produttività

  2  

Per tale ragione l’indice di produttività (p) viene generalmente considerato come il

rapporto esistente tra la quantità di prodotto derivante da un processo produttivo

(Y), (nelle statistiche ufficiali rappresentato dal valore della produzione di beni e

servizi, anche detto valore aggiunto, che in termini aggregati e nei confronti

internazionali, diventa il Pil) e la quantità (a, b, ecc.) di risorse impiegate (il

Capitale e il Lavoro, K e L) per la realizzazione di quel dato prodotto.

p = Y / (aK + bL)

In base a tale definizione si possono calcolare diverse misure di produttività.

Generalmente, la misura di output adottata è il valore aggiunto, che viene

utilizzata per stimare sia la produttività del lavoro sia la produttività totale dei

fattori.2

1.1 Produttività del lavoro.

La definizione statistica più appropriata di produttività del lavoro è il valore

aggiunto per ora lavorata o per addetto. Prendiamo due lavoratori in tutto e per

tutto simili, ma che operano in due imprese di comparti produttivi diversi. Il primo

lavoratore costa alla sua impresa 50 euro lordi all’ora. In quell’ora realizza un

prodotto che si vende a 100 euro. Il costo dei materiali supponiamo sia di 10

euro. Il valore aggiunto su quel prodotto è dunque di 90 euro che si riparte in 50

al lavoro e 40 al profitto. Il secondo lavoratore costa di più, 60 euro all’ora e in

quell’ora realizza un prodotto che vale 120 euro. Supponiamo sia ancora 10 euro il

costo dei materiali. Il valore aggiunto è di 110 euro, 60 in conto al lavoro e 50 ai

profitti. La produttività del secondo lavoratore è dunque più elevata.

Se il primo lavoratore volesse un aumento di salario il suo datore potrebbe

rispondergli di aumentare la sua produttività; ma egli avrebbe solo un modo per

farlo: lavorare più in fretta, e non in tutti i processi è possibile forzare dei tempi

che sono decisi dalla tecnologia che assiste il lavoro o a cui il lavoro assiste. Se il

lavoratore fosse informato potrebbe avanzare qualche obiezione, ad esempio

potrebbe rispondere che se chi governa l’impresa investisse in mezzi di

                                                                                                               2 Da: www.istat.it/it/archivio/35919

Le definizioni di produttività

  3  

produzione più moderni egli potrebbe realizzare più di un prodotto per ora e la

sua produttività aumenterebbe.

Questo esempio fa capire come sia necessario approfondire il concetto di

produttività per farne emergere le diverse facce.3

Per conoscere le determinanti della produttività e della sua crescita, è necessario

indagare come si determina la produzione Y. Infatti, la produttività oraria misura

quanto un’ora di lavoro produce in media, e si ottiene quindi dividendo la

produzione (Y) per le ore di lavoro (L) applicate al processo produttivo.

Per produrre un bene o un servizio, nelle economie moderne l’impresa non si

serve solo di lavoro, ma anche di “beni capitali”, che assistono e completano il

lavoro attivato all’interno dell’impresa.

Queste relazioni in ambito economico sono state riassunte nella “funzione di

produzione”:

Y = A F (K, L)

In questa espressione, F sta a indicare la relazione esistente tra il prodotto (Y) e i

fattori, capitale (K) e lavoro (L), da cui esso deriva. Questa misura di produttività

consente di cogliere l’apporto dei fattori produttivi che concorrono alla

realizzazione dell’output. Tale misurazione è possibile nell’ambito della cosiddetta

contabilità della crescita, un approccio analitico che consente di scomporre la

dinamica dell’output nei contributi derivanti dai fattori produttivi primari (lavoro e

capitale) e da una componente non spiegata da quegli stessi fattori, definita

produttività totale dei fattori (PTF, parametro A).

La produzione cresce al crescere delle quantità impiegate di ciascuno dei fattori.

L’efficacia con cui i fattori operano nel processo produttivo dipende anche dallo

stato della tecnologia e di altri indicatori di natura tecnologica e qualitativa,

contenuti nel parametro A.

Dalla funzione di produzione, considerate e rispettate alcune ipotesi4, è possibile

ricavare una misura della produttività oraria e anche una prima serie di indicazioni

                                                                                                               3 A. Birolo, La produttività: un concetto teorico e statistico ambiguo, 2010, pp. 47-48 4 Presenza di concorrenza perfetta e funzione di produzione con rendimenti di scala costanti.

Le definizioni di produttività

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circa i mezzi che un’impresa, un settore industriale, o un sistema economico nel

suo complesso hanno a disposizione per farla aumentare.

Essendo la produttività del lavoro definita come il prodotto che si ottiene, in

media, da ciascuna ora di lavoro applicata alla produzione, dividendo il prodotto

totale (Y) ottenuto dal processo produttivo per il numero di unità di lavoro (L) che

sono necessarie a produrlo otteniamo la produttività oraria del lavoro (y).

In particolare, con una funzione della forma Y = A K (1-α) L α 5, si avrà la seguente

espressione per la produttività oraria:

y = A (k) (1-α)

dove y = (Y/L), k = (K/L), mentre il parametro (1-α) indica che il rapporto

capitale/lavoro deve essere ponderato con la quota del capitale sul reddito.

La produttività del lavoro è tra le definizioni di produttività quella più utilizzata.6

Questo avviene perché, oltre a rappresentare un indicatore di efficienza tecnica

meno ambiguo di altri, è elemento essenziale nella spiegazione della distribuzione

del reddito (valore aggiunto) tra i percettori di reddito da lavoro e gli altri redditi,

genericamente indicati come redditi da profitti in senso lato.

La produttività oraria del lavoro sarà tanto maggiore quanto maggiore sono:

1) l’intensità capitalistica del processo produttivo, ossia l’attrezzatura di capitale

messa a disposizione di ciascun lavoratore per assisterlo nel processo produttivo;

2) la Produttività Totale dei Fattori.

La produttività oraria del lavoro tende ad essere associata alla dimensione

d’impresa. Come osservato dall’Oecd 7 , “in molte industrie, specialmente nel

settore manifatturiero, e nella maggior parte dei paesi, maggiore è la dimensione

dell’impresa, maggiore è la produttività del lavoro. Ciò rifletterà in parte, senza

                                                                                                               5 Funzione di produzione Cobb-Douglas. 6 Il lavoro è un fattore originario di produzione, come la terra. Tutti gli altri input derivano direttamente o indirettamente dal lavoro. Per questa ragione nello svolgersi della teoria economica al lavoro è stato assegnato un significato speciale, diverso dagli altri input. Non a casa il valore del lavoro, il reddito che a esso viene pagato, è parte del valore aggiunto, diversamente da tutti gli altri input. Come tale si pone in antagonismo statistico con la parte residuale del valore aggiunto, il profitto lordo. Nella contabilità neoclassica della crescita (Growth accounting) la crescita del prodotto è spiegata dalla crescita della produttività del lavoro, della produttività del capitale e da un residuo che Robert Solow chiamò “produttività totale dei fattori” (PTF). 7 Oecd, Compendium of Productivity Indicators, 2008.

Le definizioni di produttività

  5  

dubbio, i più alti livelli d’investimento in beni capitali nelle maggiori imprese, ma

potrebbe anche riflettere le maggiori economie di scala nelle imprese maggiori”.

La dimensione di impresa può, a parità di occupazione, favorire la crescita della

produttività attraverso l’investimento in beni capitali.

1.2 Le ambiguità nel concetto di produttività.

Il concetto di produttività è privo di ambiguità solo nel caso speciale in cui

il solo input lavoro, misurato in ore, è necessario per realizzare il prodotto. Se si

produce un servizio, in certe condizioni, il lavoro può essere l’unico input.

Nei casi più realistici in cui all’input lavoro si affiancano altri input materiali

(materie prime, semilavorati, componenti, attrezzature) la misura della

produttività scivola nell’ambiguità.

Nella storia del concetto di produttività svolge un ruolo importante il corn model8.

In questo modello prodotto e input materiale sono fatti della stessa materia, il

grano, e il calcolo del prodotto netto è la differenza tra due quantità di grano. Non

c’è pertanto necessità di conoscere il prezzo del grano, che è al contempo il

prezzo sia del prodotto che dell’input, perché il calcolo del prodotto netto è reso

immediatamente in termini fisici.

Ma se si adotta una rappresentazione del processo produttivo più realistica, con

l’ammissione di una pluralità di input si afferma l’ambiguità del concetto di

produttività. Più alto è il prezzo del prodotto e più bassi sono i prezzi degli input

maggiore è il valore del prodotto netto e viceversa. A parità di ore lavorate, di

tecnologia adottata, di grado di outsourcing, la produttività può risultare più o

meno elevata a seconda del sistema dei prezzi utilizzato nel misurare il prodotto

netto.

Il valore del prodotto netto non è dunque il risultato della pura tecnica produttiva;

assume un rilievo economico genuino perché nella sua definizione esercitano un

peso essenziale i prezzi e dietro essi l’insieme dei fattori che li determinano: la

distribuzione del reddito tra salariati e imprenditori, dei profitti tra produttori, la

capacità contrattuale di chi vende e di chi acquista, le caratteristiche dei mercati

                                                                                                               8 Il modello “grano-grano” è introdotto da Sraffa nel 1951.

Le definizioni di produttività

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dei prodotti finali e degli input intermedi. Un’impresa, ad esempio, può mostrare

un’alta produttività perché sa bene vendere il suo prodotto finale.

Lo schema teorico del corn model ci indica che la produttività del lavoro è un

concetto tecnico, un rapporto tra quantità fisiche che è privo di ambiguità

interpretative. Quando entrano in gioco i prezzi del prodotto e degli input, diversi

dal lavoro, per misurare il valore del prodotto netto passiamo a un concetto

economico di produttività.

La produttività presenta anche una dimensione sociale o socio-tecnica. Il

denominatore del rapporto è una quantità di lavoro misurata di solito in ore di

lavoro, un’unità di tempo sufficientemente piccola in modo da rendere minime le

influenze istituzionali. Sul piano empirico le ore lavorate sono considerate la

misura migliore per quantificare l’effettivo impiego di lavoro del processo di

produzione del reddito perché assorbono le fluttuazioni di breve periodo dell’input

di lavoro dovute sia a fattori economici che a fattori sociali.

Per la stima delle ore lavorate l’approccio dell’Istat9 è indiretto: si moltiplicano le

posizioni lavorative per il numero medio annuo di ore lavorate per posizione

lavorativa rilevato con indagini ad hoc.

Unità di lavoro e monte ore lavorate si discostano quando straordinari e assenze

per malattia presentano andamenti erratici. Sulla incertezza delle ore lavorate e,

di riflesso, sulle posizioni lavorative, hanno notevole influenza fenomeni come

l’ampiezza del lavoro nero e la dimensione della sotto-contabilizzazione delle

prestazioni lavorative straordinarie di lavoratori ufficiali.

La sottostima della quantità di lavoro può implicare anche una sottostima del

valore del prodotto e del valore aggiunto di impresa e di settore o altrimenti una

sovrastima della produttività di impresa e settoriale.

Si trova un’ulteriore pagina aperta sul denominatore. Il lavoro che vi compare è

convenzionalmente inteso come lavoro generico o omogeneo, in grado di svolgere

tutte le differenti mansioni richieste all’interno del processo produttivo. Nella

realtà industriale il lavoro è eterogeneo, infatti vi sono diverse tipologie di lavoro

svolto con diverse mansioni e diversi riconoscimenti salariali. La teoria economica,

con le diverse nozioni di “lavoro equivalente”, ha ricondotto ad omogeneità ciò

                                                                                                               9 Istat, Misure di produttività, Statistiche Report Anni 1992-2012, 2013.

Le definizioni di produttività

  7  

che è diverso. Sul piano concreto la statistica economica assume come data la

composizione dei diversi tipi di lavoro all’interno dei processi produttivi e

immagina che ogni ora statistica lavorata sia la somma di tante frazioni di ora,

ciascuna per specifica tipologia di lavoro, la cui composizione riflette la struttura

occupazionale per mansioni osservata dell’impresa o del settore10.

1.3 Produttività totale dei fattori.

La produttività totale dei fattori è il risultato del progresso tecnico tenuto

artificialmente scorporato dal lavoro e dal capitale fisico che, di fatto, lo veicolano.

Si tratta di un indicatore sintetico in grado di cogliere meglio i fattori critici legati

all’utilizzo delle risorse naturali e all’accumulazione del capitale fisico e del capitale

umano, quindi le determinanti sostanziali del valore aggiunto e della produttività.

La PTF catturerebbe gli effetti non tangibili del miglioramento nella qualità o

nell’efficienza del lavoro e degli strumenti di produzione che quel lavoro utilizza.11

Questa impostazione è un’estensione della teoria neoclassica della distribuzione in

cui una funzione di produzione well-behaved consente la determinazione della

remunerazione (prezzo) di equilibrio di ciascun fattore, lavoro e capitale. Così si

vuole associare alle variazioni (qualitative o quantitative) di ciascuno dei diversi

fattori in gioco nella funzione di produzione il contributo all’aumento della

produttività totale. Trattandosi di variazioni potrebbe accadere che tutto il

contributo all’aumento del prodotto risulti imputabile al fattore capitale o al

progresso tecnico e nulla al lavoro; con ovvie conseguenze sulla distribuzione del

maggior reddito derivante dall’incremento della produttività.12

La PTF può essere considerata una misura del grado di sviluppo, di efficienza e

d’innovazione tecnologica e organizzativa nell’utilizzo degli input produttivi ed è

importante perché garantisce che il processo di crescita non si arresti. Si calcola

come rapporto tra un indice di output e un indice d’input, media ponderata degli

indici di lavoro e capitale. Ci sono diversi modi per svolgere tale calcolo. Secondo

                                                                                                               10 A. Birolo, La produttività: un concetto teorico e statistico ambiguo, 2010, pp. 53-55 11 OECD, The Groningen Growth and Development Centre (www.rug.nl/feb/Onderzoek/Onderzoekscentra/GGDC/databases) 12 Il capitale, va ricordato, non è un fattore originario di produzione, ma un insieme di beni strumentali, prodotti da imprese, che nella loro interezza rappresentano la materialità della tecnica produttiva a cui il lavoro viene applicato.

Le definizioni di produttività

  8  

l’Istat la misura di volume degli input è costituita da un indice composito dei

servizi del capitale e del lavoro, ottenuto tramite una formula statistica

(Tornqvist13) che riconduce alla quota della remunerazione del fattore lavoro e del

fattore capitale sul valore aggiunto, permettendo di scomporre il tasso di crescita

dell’indice composito nel contributo dei singoli fattori produttivi, a sua volta

calcolato come prodotto tra il tasso di crescita di ciascun input e la media tra la

sua quota sul valore aggiunto del periodo corrente e quella del periodo

precedente.14

1.4 Le componenti della produttività.

Si ritiene molto importante andare ad analizzare quali sono le componenti

della produttività, sia questa produttività totale dei fattori oppure produttività del

lavoro. Tra queste, rientrano fattori relativi alle caratteristiche qualitative del

lavoro e del capitale, fattori di natura tecnologica e innovativa, di natura

istituzionale ed organizzativa.

Tra i fattori qualitativi, particolare importanza è presentata dai profili qualitativi

del lavoro. Sulla qualità del lavoro influiscono soprattutto il livello d’istruzione dei

lavoratori e il loro livello di formazione professionale. Lavori tecnici e stime

empiriche hanno dimostrato che il capitale umano costituisce uno dei fattori

principali che influenzano la produttività15. Lavoratori più istruiti e formati per una

specifica mansione sono più produttivi. Quindi si può affermare che la natura

qualitativa del lavoro detiene un’importanza fondamentale per fare crescere la

produttività16.

                                                                                                               13 L’indice di Tornqvist è un numero indice utilizzato in statistica ed economia per misurare la variazione nei volumi o nei prezzi di determinati aggregati. Si tratta in particolare di una media geometrica ponderata degli indici dei prezzi (o delle quantità) dei singoli beni dell’aggregato, con pesi di ponderazione costituiti dalla media aritmetica delle quote di valore del bene sul valore totale dell’aggregato. La sua applicazione è particolarmente diffusa come indice di quantità di input di lavoro e capitale negli studi di analisi della produttività. 14 R. Sanna, Di cosa parliamo quando parliamo di produttività, 2012. 15 P. Romer, Endogenous Technical Change, in Journal of Political Economy, 1990, 98(5); R. E. Lucas, Making a Miracle, in Econometrica, 1993, vol. 61, n.2, pp. 251-272; G. M. Grossmann, E. Helpmann, Endogenous Innovation in the Theory of Growth, in The Journal of Economics Perspectives, 1994, vol 8, n.1, pp. 23-44 16 In alcuni studi, la necessità di individuare differenze qualitative nel lavoro ha giustificato l’uso della massa salariale anziché il numero di lavoratori o il numero di ore lavorate come dato utilizzato per la misurazione dell’input lavoro. L’idea è che il mercato dei salari rifletta i differenti contributi dei lavoratori alla produzione; imprese con lavoratori più produttivi avranno un maggiore salario

Le definizioni di produttività

  9  

Un altro fattore che permette la crescita della produttività sono le capacità

manageriali che presentano gli attori dirigenziali dell’azienda. Il management è un

input non misurabile nella maggior parte delle sue funzioni all’interno dell’impresa,

e spesso è incluso senza avere uno specifico peso nelle misurazioni della

produttività.

La qualità degli input capitalistici che l’impresa utilizza è fondamentale e

determina una buona parte della PTF. Oltre alla qualità del capitale fisico utilizzato

come input è necessario considerare anche quella del capitale intangibile. Questa

tipologia di input include un’ampia serie di elementi, come la reputazione

dell’azienda, il know-how, la fedeltà dei clienti. Nonostante la difficoltà nel

quantificare il capitale intangibile di un’azienda, il suo contributo per l’aumento

della produttività è indubbiamente importante.

Le innovazioni che migliorano la qualità del prodotto non necessariamente fanno

crescere la quantità di output prodotta per unità di input utilizzata, ma possono

far crescere il prezzo del prodotto venduto, e quindi il guadagno per l’azienda. In

questo modo l’innovazione di prodotto può far crescere la produttività17. Per

questo motivo fondamentali sono gli sforzi delle aziende diretti all’investimento in

Ricerca e Sviluppo.

Per comprendere come operano i fattori di natura tecnologica della PTF occorre

considerare che il maggiore o minore contributo alla produzione che i fattori

lavoro e capitale possono dare, dipende dallo stato della tecnologia adottata,

quindi dai frutti del progresso tecnico. E’ molto importante osservare che

nell’ultimo decennio il progresso tecnico ha preso la forma prevalente, anche se

non unica, dell’applicazione alla produzione delle così dette tecnologie

dell’informazione e della comunicazione (ICT). L’uso di qualsiasi tecnologica,

incluse le tecnologie ICT, comporta un costo. Il beneficio che si rileva

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                             per impiegato. Seguendo questo approccio si incontrano problematiche di diversa natura: le differenze nei salari misurati su ampia scala possono riflettere differenze appartenenti alle realtà analizzate oppure, i produttori con buone performance potrebbero scegliere di condividere i guadagni con i loro lavoratori attraverso strumenti differenti rispetto al salario (Van Reenen 1996, Abowd, Francis Kramarz, David N. Margolis 1999). 17 D. Acemoglu, J. Linn, Market Size in Innovation: Theory and Evidence from the Pharmaceutical Industry, Quarterly Journal of Economics, 2004, 119(3), pp. 1049-1053

Le definizioni di produttività

  10  

dall’introduzione di una nuova tecnologia dipende dalla differenza tra l’incremento

di produttività e il costo dell’acquisizione18.

Ulteriore fattore che determina la Produttività Totale dei Fattori sono gli elementi

di natura istituzionale. Essi possono influenzare notevolmente l’efficacia del

processo produttivo e quindi anche la produttività del lavoro. Per esempio, è stata

trovata empiricamente una relazione positiva tra la produttività del lavoro e

legislazione protettiva dell’impiego19. Leggi e regolamentazioni severe, in tema di

disciplina di licenziamenti, aiutano a rendere il rapporto di lavoro tra datore di

lavoro e lavoratore più stabile, e incentivano entrambe le parti ad investire in

formazione e competenze specifiche. Viceversa, rapporti di lavoro meno stabili,

non aiutano la formazione di capitale umano, poiché entrambe la parti fin

dall’inizio, sanno che il loro sforzo nella direzione dell’investimento in competenze

specifiche, sarà vano al momento del termine del rapporto di lavoro20.

La stabilità e la continuità del rapporto di lavoro permettono di sfruttare i benefici

che derivano dal learnig-by-doing. Lavorando per un lungo periodo all’interno

della stessa azienda i lavoratori avranno una conoscenza sempre più approfondita

delle loro mansioni e di come poter gestire situazioni impreviste, tutto questo non

può far altro che aiutare l’aumento della produttività.

Nella determinazione della PTF hanno un peso anche cause di natura

organizzativa. Tra queste rientrano i progressi derivanti da un miglioramento delle

relazioni industriali, che inducono un miglior clima sul posto di lavoro e quindi un

possibile aumento della motivazione del lavoratore. Tra i fattori di natura

organizzativa è interessante segnalare l’introduzione, in alcuni paesi, di un nuovo

modello di impresa che si basa sulla riduzione dei livelli gerarchici, il lavoro di

squadra, la rotazione delle mansioni, il coinvolgimento dei lavoratori nei processi

                                                                                                               18 C. Syverson, What Determines Productivity?, Journal of Economic Literature, 2011, 49(2), pp. 335-347. 19 L. Costabile, Riforme istituzionali ed esiti economici: l’evoluzione della “relazione d’impiego” ed il ruolo del capitale umano specifico nell’esperienza italiana (Nota di apertura), Eco. Pol., 2002, vol XIX, n. 3, pp. 349-361. I. Dew-Becker, R. J. Gordon, The Role of Labour Market Changes in the Slowdown of European Productivity Growth, in Nber Working Paper, 2008, n.13840. G. Ramey, J. Watson, Contrctual Fragility, Job Destruction and Business Cycles, in Quarterly Journal of Economics, 1997, vol .112, pp- 873-911. 20 http://keynesblog.com/2013702/19/la-flessibilità-non-fa-crescere-la-produttività.

Le definizioni di produttività

  11  

decisionali e cognitivi e il maggiore grado di autonomia di cui i lavoratori

godono21.

2. Canali di crescita della produttività.

In questa sezione verranno analizzati i tre diversi canali, l’impresa, il settore

produttivo ed il sistema economico, dove è possibile operare per fare crescere la

produttività e gli strumenti che i diversi attori hanno per perseguire questo

obiettivo.

2.1 L’impresa.

L’impresa può controllare in primo luogo l’intensità capitalistica del processo

produttivo, investendo nell’acquisto di beni capitali. L’investimento in beni capitali

è fondamentale per stimolare la produttività del lavoro, perché permette di

accrescere la dotazione di attrezzature che assistono ogni unità di lavoro applicata

alla produzione. Se aumenta l’investimento in macchinari e attrezzature crescerà

l’intensità capitalistica di una certa quantità di lavoro occupato. Per questo

motivo, se all’interno dell’impresa si decide di aumentare il livello di occupazione,

o allungare la giornata lavorativa, sarà necessario fare in modo che le attrezzature

di capitale dove viene svolto ed esercitato questo lavoro vengano aumentate per

fare in modo che il rapporto capitale/lavoro rimanga invariato. Se questo rapporto

non rimane costante, non solo la produttività non cresce, ma diminuisce.

Relativamente alla Produttività totale dei fattori, che come si è affermato

precedentemente, è la seconda variabile da cui dipende la produttività oraria del

lavoro, l’impresa può operare in diversi modi per promuoverne la crescita.

Uno dei principali canali consiste nell’investimento in Ricerca & Sviluppo, per

migliorare i processi produttivi, o per arrivare alla creazione di nuovi prodotti.

L’innovazione di prodotto è il tipo di innovazione più importante quando si parla di

produttività, sia che si tratti di imprese, sia che si considerino paesi nel loro

                                                                                                               21 A. Cristini, A. Gay, S. Labory, R. Leoni, Flat Hierarchical Structure, Bundles of New York Practices and Firm Performance, in Riv. Ita. Econ., 2003, vol.8, n. 2, pp. 137-165.

Le definizioni di produttività

  12  

complesso22. Generalmente sono le imprese che hanno maggiori dimensioni o

quelle che operano in settori tecnologicamente avanzati che più di tutte investono

in attività di ricerca. Oltre ad impegnarsi direttamente nell’investimento in R&S,

l’impresa può avanzare tecnologicamente anche assorbendo nozioni di progresso

tecnico non proprio. Questo può avvenire carpendo informazioni sulle nuove

tecnologie da imprese fornitrici di input, oppure da imprese con cui si sviluppano

sinergie, come joint ventures. Questo è ciò che è accaduto con la diffusione

dell’uso di software. Questo prodotto è stato sviluppato dal settore informativo,

ma utilizzato, grazie all’acquisto del software stesso, da imprese operanti sia nel

settore industria sia nel settore servizi. Le tecnologie dell’informazione e della

comunicazione si sono diffuse proprio attraverso questi canali. Poiché la diffusione

del progresso tecnico incorporato avviene spesso tramite l’importazione di beni

strumentali dall’estero, un fattore che può influire sulla produttività del lavoro è il

grado di apertura internazionale dell’impresa.

Quanto esaminato fino ad ora permette di individuare per l’impresa, il ruolo

strategico dell’investimento ai fini dell’incremento della produttività del lavoro, e

questo può avvenire tramite diversi canali.

L’investimento in beni capitali agisce attraverso un canale diretto, facendo

crescere il rapporto capitale/lavoro, che fa crescere la produttività del lavoro.

L’investimento in beni capitali dà un contributo di natura diversa, ma ancora più

importante, se è indirizzato all’acquisto di beni dal alto contenuto tecnologico,

perché in questo caso esso consente all’impresa di assorbire il progresso tecnico

creato altrove.

Se l’investimento è direttamente concentrato sulla R&S, esso costituisce la

principale leva dell’innovazione e dell’introduzione diretta del progresso

tecnologico e, per via della PTF, un forte fattore di incremento della produttività

del lavoro.

                                                                                                               22 European Commission, The Economic Cost of Non-Lisbon: a Survey of the Literature on the Economic Impact of Lisbon-type Reforms, in European Economy Occasional Paper, 2005, 16, Brussels.

Le definizioni di produttività

  13  

2.2 Il settore produttivo.

La specializzazione settoriale di un paese può essere importante ai fini della

produttività. Se consideriamo un paese specializzato in un settore con produzione

ad alta intensità tecnologica e lo confrontiamo con un paese la cui ampia fetta di

prodotto è composta da beni che richiedono una bassa specializzazione

tecnologica per esser prodotti, il primo paese realizzerà una maggiore produttività

del lavoro rispetto al secondo.

Alcune attività e alcune linee produttive all’interno di ogni settore richiedono

ingenti investimenti in capitale e ricerca, e presentano quindi alti livelli di

produttività. Questi sono sotto-settori ad alto valore aggiunto, che possono essere

presenti anche all’interno di più ampi settori considerati tradizionali. Poiché è

possibile trovare imprese innovative in tutti i diversi settori produttivi è difficile

delineare una gerarchia tra settori caratterizzati da una più alta o bassa

produttività. Alcuni settori, in determinati periodi di tempo, si presentano come

quelli in cui si concentrano le innovazioni, o in cui avvengono ondate di

investimento, caratterizzandoli, per quel periodo, come quelli a più alta

produttività (o più alto valore aggiunto per addetto)23.

La specializzazione settoriale, in conclusione, conta molto pur non essendo l’unico

fattore importante nello spiegare le differenze nei tassi di crescita delle

produttività del lavoro.

2.3 Il sistema economico.

Gli incrementi di produttività realizzati individualmente da ciascuna impresa

si sommano, dando così luogo a un risultato positivo per l’intero sistema

economico, che tanto più vedrà crescere la propria produttività quanto più

numerose sono le sue imprese che innovano e investono.

                                                                                                               23 S. Ferrari, P. Guerrieri, F. Malerba, S. Mariotti, D. Palma (a cura di), L’Italia nella competizione tecnologica internazionale: secondo rapporto, 1999, Franco Angeli, Milano. L. Gallino, La scomparsa dell’Italia industriale, 2003, Einaudi, Torino. L. Costabile, Note su crescita e declino dell’economia italiana, in A. Giannola (a cura di), Riforme e mutamento strutturale in Italia. Mercato, impresa e istituzioni in un sistema dualistico, Carocci, pressonline, 2006, pp. 19-35.

Le definizioni di produttività

  14  

Accanto a questa semplice somma, possono crearsi effetti positivi cumulativi,

grazie all’esistenza di spillover tecnologici.24

In un sistema produttivo caratterizzato da un elevato numero di imprese che

investono e innovano, le conoscenze tecnologiche si diffondono anche alle altre

imprese, legate a quelle innovative da rapporti di vicinanza settoriale o da rapporti

di scambio. Questa diffusione innalza anche la produttività delle imprese non

innovative, mentre in un sistema in cui investimento e innovazione sono poco

presenti sarà difficile trovare la presenze di spillover.

In sintesi, l’attività innovativa, che cresce grazie agli investimenti in R&S, porta

vantaggi non solo alle imprese a cui appartiene, ma anche alle altre, e

all’economia nel suo complesso.

Esiste un altro circolo virtuoso messo in moto dalla crescita della produttività. La

teoria della crescita endogena ha mostrato che la crescita della produttività

stimola la crescita della produzione, e la crescita della produzione a sua volta

stimola la crescita della produttività, attraverso l’aumento dei redditi,

l’ampliamento del mercato, la conseguente possibilità per le imprese di espandere

la propria dimensione produttiva, le economie di scala così attivate, l’impegno

delle imprese a investire e innovare per cogliere i vantaggi dell’espansione dei

mercati, e così via.

Queste considerazioni, portano alla convinzione secondo la quale i governi

dovrebbero finanziare le spese in ricerca e sviluppo, sia direttamente, sia

attraverso sovvenzioni e/o esenzioni fiscali alle imprese che le sostengono.

Inoltre, poiché non solo la capacità innovativa, ma anche la mera capacità di

assorbire le innovazioni tecnologiche sviluppate fuori dai confini nazionali,

richiedono l’esistenza di un capitale di conoscenza flessibile e diffuso nella

popolazione, ne risulta la necessità di investimenti in istruzione.

                                                                                                               24 Il processo attraverso cui le conoscenze prodotte in un’impresa, o in un settore produttivo, o in un sistema economico, vengono trasferite ad altre imprese, settori e paesi, viene definito “travaso” o “spillover tecnologico”, e rientra nella categoria di quelle che gli economisti chiamano esternalità. Un’esternalità è l’effetto prodotto da un’azione di un individuo sulla situazione di un altro agente (sul suo benessere, o sulla sua produzione).

Le definizioni di produttività

  15  

3. La crescita della produttività come obiettivo.

Perché è desiderabile la crescita della produttività? Principalmente per due

motivi:

1) perché la crescita del prodotto (e quindi del Pil per abitante) può equivalere ad

un aumento del benessere di una collettività di persone e dei suoi membri;

2) perché la crescita della produttività consente ad una nazione di aumentare il

proprio grado di competitività su scala internazionale senza che questo comporti

una diminuzione dei salari.25

3.1 Benessere e produttività.

Il benessere medio di cui godono gli abitanti di un paese si crede dipenda

dalla quantità di beni e servizi che ciascuno di essi può consumare. Se un paese

produce molto, i suoi abitanti potranno condividere un elevato quantitativo di beni

e servizi, viceversa, se questo produce poco, i suoi abitanti soffriranno di una

scarsità di beni disponibili.

La produzione totalmente realizzata in un sistema economico, comunemente

definita come Y, può essere misurata in termini di Prodotto Interno Lordo,

prodotto o reddito nazionale. Per fare in modo che il benessere della collettività

aumenti, bisogna aumentare la quota di prodotto per abitante, definita come

Y/pop (dove Y è il reddito e pop la popolazione).

Si possono muovere diverse obiezioni a questa misura del benessere medio.

In primo luogo, proprio perché è una media, il prodotto pro capite non tiene

conto del profilo distributivo. Dietro questa misura potrebbe nascondersi tanto

una distribuzione del reddito effettivamente ugualitaria, quanto invece una

distribuzione molto diseguale del Pil tra gli abitanti del paese. In secondo luogo,

questa misura non tiene conto della qualità dei prodotti. In terzo luogo, l’uso del

prodotto pro capite come misura di benessere è stato criticato perché non tiene

conto dei possibili costi ambientali della produzione, che possono risolversi in una

riduzione della disponibilità di beni utilizzabili dalle successive generazioni.

                                                                                                               25 L. Costabile, Glossario dell’economista per il giuslavorista, in Riv. Giu. Lav. Prev. Soc., 2009, Volume 2.

Le definizioni di produttività

  16  

Gli approfondimenti compiuti da alcuni studiosi relativamente il collegamento tra

produttività e benessere di una nazione, sembrerebbero scoraggiare questa

relazione ed in particolar modo proprio per quelle nazioni che presentano un

livello elevato di reddito pro capite.

L’economista Richard Layard ha evidenziato, con uno studio effettuato nei primi

anni 2000, come per molte nazioni al crescere del livello dei redditi non cresca

affatto il livello di felicità dei cittadini.26

Nonostante l’elenco delle critiche potrebbe continuare nel corso di questo lavoro

utilizzeremo il prodotto pro capite come indicatore di benessere.

Un paese potrà permettersi di distribuire a ciascuno dei suoi abitanti un reddito

pro capite tanto maggiore quanto maggiore è la quota dei suoi abitanti che

contribuisce alla produzione e quanto maggiore è l’efficacia con cui ciascuno degli

occupati contribuisce alla produzione stessa. Quindi, l’attivazione del lavoro e la

sua produttività sono principali determinanti del benessere.

3.2 Produttività e competitività internazionale.

L’importanza specifica dell’indice di produttività di una nazione tende ad

evidenziarsi nell’ambito della teoria del commercio internazionale. Le differenze

nei livelli di produttività spiegano i flussi di scambi commerciali tra le diverse

nazioni27.

Detto questo, il secondo motivo per cui la crescita della produttività è auspicabile

è che essa influenza in maniera favorevole la competitività internazionale di un

paese, facendo diminuire il costo del lavoro per unità di prodotto.

Esistono diversi modi per ridurre il costo del lavoro per unità di prodotto, si può

ricorrere alla crescita della produttività, o alla riduzione dei salari, oppure a una

crescita dei salari minore della crescita della produttività.

                                                                                                               26S. Palmieri, Cosa intendiamo quando parliamo di produttività?, 2005; R. Layard, Happiness: Has Social Sience a Clue?, Lionel Robbins Memorial Lecture 2002/2003, 2003; R. Layard, Happiness: Less from a New Sience. (trad. Italiana: Felicità – La Nuova Scienza del Benessere Comune, Rizzoli, 2005) 27 Sulla base della teoria dei costi comparati di David Ricardo.

Le definizioni di produttività

  17  

Un paese dovrebbe puntare ad essere competitivo riducendo i costi attraverso

l’aumento della produttività, non attraverso la compressione dei salari e dello

standard di vita del lavoro dipendente.

Per questo motivo, l’incremento della produttività è auspicabile perché consente

ad un paese di essere competitivo senza comprimere lo standard di vita dei

lavoratori dipendenti.

Produttività nelle economie sviluppate  

  19  

CAPITOLO 2

Produttività nelle economie sviluppate

1. Analisi della situazione internazionale ed europea – 1.1 Andamento della produttività del lavoro nell’Unione Europea – 1.2 Rottura del legame tra dinamica salariale e produttività – 2. Analisi della situazione italiana – 2.1 Il confronto Italia-Europa – 2.2 Il Pil pro capite in Italia – 2.3 La dinamica del Pil pro capite e la sua scomposizione – 2.4 Le cause del ristagno della produttività del lavoro – 2.5 La produttività a livello aziendale delle imprese italiane.

1. Analisi della situazione internazionale ed europea.

Dai primi anni Novanta ad oggi la crescita dell’economia europea ha

registrato il più brusco e prolungato rallentamento dalla fine del secondo conflitto

mondiale. Negli ultimi quindici anni il segnale più vistoso di questa frenata è stato

il rallentamento del tasso di crescita della produttività del lavoro, in particolare in

economie come Germania, Francia e Italia.

Fino alla fine degli anni Ottanta, anche se in un contesto di generale

ridimensionamento della crescita, la produttività dei paesi europei è sempre stata

maggiore rispetto a quella degli Stati Uniti. Dalla metà degli anni Novanta è stata

registrata un’inattesa decelerazione, mentre negli Stati Uniti la produttività

cresceva a ritmi sostenuti28.

Per comprendere le motivazioni per cui il sistema economico europeo ha subìto

questo rallentamento nella crescita per arrivare poi negli ultimi anni fino ad una

situazione di stagnazione è giusto esaminare i fatti accaduti.

                                                                                                               28 E. Saltari , G. Travaglini, Il rallentamento della produttività del lavoro e la crescita dell’occupazione. Il ruolo del progresso tecnologico e della flessibilità del lavoro., Riv. Ita. Econ., a. XIII, n.1, aprile 2008.

Produttività nelle economie sviluppate  

  20  

Alcuni fenomeni cruciali sono avvenuti negli ultimi decenni nei paesi appartenenti

all’Unione Europea:

1. La crescita contenuta della produttività del lavoro;

2. La rottura del legame tra la dinamica della produttività e delle retribuzioni

reali.

1.1 Andamento della produttività del lavoro nell’Unione Europea.

Per comprendere il funzionamento della dinamica della produttività nel

tempo, è necessario analizzare brevemente quali possono essere gli scostamenti

dal trend rilevato da analisi empiriche e da cosa sono determinati questi

scostamenti.

Nel lungo periodo la produttività è determinata dalla tecnologia disponibile e dal

modo in cui le risorse sono organizzate all’interno del processo produttivo. La

qualità del capitale umano è significativamente rilevante all’interno del processo.

Infatti, come precedentemente specificato, la crescita del salario può avere un

forte impatto sulla formazione del capitale umano, creando l’incentivo per i

lavoratori a migliorare le proprie conoscenze e competenze.

Nel breve termine, possono essere osservate deviazioni cicliche dal trend della

produttività all’interno del periodo analizzato, determinato da un ritardo nella

reazione dell’azienda sul piano occupazionale a cambiamenti relativi a livelli di

produzione. In altre parole, durante un periodo di recessione, il prodotto decresce

più velocemente rispetto ai livelli occupazionali e alla produttività. Al contrario,

durante una ripresa, l’output crescerà più velocemente di quanto non cresceranno

l’occupazione e la produttività.

L’aggiustamento più lento del lavoro può essere causato dalle rigidità del

mercato, ad esempio la legislazione protettiva nei confronti dei lavoratori, o dalla

percezione di natura temporanea della recessione, o dal tentativo di limitare i

costi dovuta a licenziamenti ed assunzioni con un tentativo da parte dell’azienda

volto a cercare di mantenere la propria dimensione occupazionale stabile nel

tempo.

Oltre a questo, i datori di lavoro potrebbero pensare di usufruire di strumenti volti

alla flessibilità all’interno dei rapporti di lavoro (utilizzando degli straordinari o

Produttività nelle economie sviluppate  

  21  

facendo godere ferie e permessi) prima di arrivare alla scelta di procedere a

licenziamenti o assunzioni.

Lungo l’asse temporale che va dal 2000 ad oggi, è possibile riconoscere due

periodi economici caratterizzati da differenze profonde nei tassi di crescita della

produttività.

Nel primo periodo analizzato, che va dal 2000 al 2007, di notevole impatto sono i

tassi di crescita registrati da Paesi di recente sviluppo, mentre il periodo che va

dal 2008 ad oggi, momento coincidente con lo scoppio della crisi economica

internazionale, è stato caratterizzato da una brusca frenata nei tassi di crescita e

dalla recessione in alcune economie29.

Relativamente all’Unione Europea nel suo complesso la produttività del lavoro è

cresciuta di 9,6 punti percentuali nel periodo che va dal 2000 al 2007, ma si

possono notare performance profondamente differenti tra i diversi stati membri.

La Romania (+74,2%) e le Repubbliche Baltiche (Estonia +48,9%, Lettonia

+52,4%, Lituania +57,7%) hanno registrato un forte crescita relativa alla

produttività nel periodo che va dal 2000 al 2007, e anche gli Stati membri che

hanno aderito all’EU nel 2004, tolto Cipro e Malta, hanno mostrato un’importante

crescita della produttività del lavoro, tutti vicini al 30-40%. Questi importanti tassi

di crescita in primo luogo riflettono il risultato di un importante percorso di

ricostruzione, tuttora in corso, delle strutture produttive inefficienti ereditate dal

passato e la risposta alle aspettative nei confronti di questi Paesi da parte degli

altri Stati membri nate dopo l’annessione all’Unione avvenuta nel 2004.

Negli stati membri dell’euro zona – ad esclusione di Slovenia (+ 26,6%) e

Slovacchia (41,5%) - la crescita della produttività è stata più tenue, con

solamente Irlanda (12,6%), Grecia (17,2%) e Finlandia (15,5%) che hanno

registrato tassi di crescita maggiori del 10% nel periodo 2000-2007. Altrettanto

appariscente è stato il basso tasso di crescita della produttività in Spagna (0,1%)

e il ribasso riscontrato in Italia (- 0,6%).

L’Unione Europea nel suo complesso ha registrato un tasso di crescita della

produttività decisamente ristretto, pari ad uno 0,6%, nel periodo 2008-2011.                                                                                                                29 European Commission, Emplyment and Social Developments in Europe 2012, European Commission, November, Luxembourg, Pubblications Office of the European Union, 2012.

Produttività nelle economie sviluppate  

  22  

La maggior parte degli Stati membri dell’euro zona hanno registrato una perdita

nel tasso di crescita della produttività del lavoro durante il periodo 2008 – 2011,

con il Lussemburgo in testa alla lista con un tracollo di dieci punti percentuali,

seguito da Grecia (- 5,7%), Italia (- 2,8%) e Austria (-1,5%). Ciononostante,

importanti incrementi in termini di produttività del lavoro, soprattutto visto

l’andamento dell’Europa in generale, sono stati registrati in Irlanda (6,1%),

Spagna (8,4%) e Slovacchia (6,7%). Ad eccezione di Malta, gli Stati membri

entrati a far parte dell’Unione Europea nel 2004 o successivamente hanno

mostrato trend positivi nella crescita della produttività, con Bulgaria (12,3 %),

Lituania (9,0%) e Polonia (9,4%) che hanno mostrato tassi di crescita robusti e

continui. Danimarca (-1,3%) e il Regno Unito (- 2,3%) hanno visto decrescere il

loro livello di produttività, mentre la Svezia (2,3%) ha mostrato dei piccoli

miglioramenti in termini di crescita.

Nel 2012 l’abbassamento dei tassi di produttività del lavoro ha subìto

un’accelerazione in quasi tutti gli stati membri, ad eccezione di Spagna e

Repubbliche Baltiche dove i tassi di crescita della produttività sono rimasti

costanti30.

1.2 Rottura del legame tra dinamica salariale e produttività

Le dinamiche della produttività e delle retribuzioni reali31 si sono divaricate, con la

prima cresciuta più del doppio delle seconde.

Questi fenomeni si sono risolti in un cambiamento epocale della distribuzione del

reddito, con trasferimento dal lavoro al capitale: dal 1975 ad oggi la quota del

lavoro sul reddito nazionale è diminuita di circa dieci punti percentuali, dal 75% al

65%. La crescita corrispondente della quota del capitale ha favorito soprattutto i

settori finanziari dell’economia e la distribuzione dei dividendi ai possessori di

                                                                                                               30 Eurostat, Statistical Database, European Commission, 2013, Brussels, (http://epp.eurostat.ec.europa.eu/portal/page/portal/statistics/themes) 31 Per salario reale si intende il potere d'acquisto del salario nominale, ossia la quantità di moneta che viene data al lavoratore dipendente, cioè la quantità di beni e servizi che il lavoratore può ottenere con esso. Di conseguenza, il salario reale è pari al salario nominale diviso per un indice dei prezzi (infatti, a parità di salario nominale, il salario reale sarà alto se i prezzi dei beni e dei servizi sono bassi, e viceversa).

Produttività nelle economie sviluppate  

  23  

azioni32. Questo cambiamento ha interessato l’insieme delle economie sviluppate,

ed in particolare tre paesi: Stati Uniti, Germania e Giappone.

Per meglio comprendere la relazione che lega le variabili in esame, ci aiuteremo

con dei grafici che mostrano il loro andamento negli ultimi 15 anni.

La Figura 1 mostra i tassi di crescita media annuale in termini di output e in

termini di persone occupate nelle economie sviluppate negli anni prima della crisi

finanziaria (1999-2007) e dopo l’inizio della crisi (2008-oggi). La Figura 2 mostra il

tasso di crescita medio annuale dei salari e della produttività del lavoro come

misura di output per ogni soggetto occupato. Osservate congiuntamente, queste

due figure forniscono un’immagine precisa di come la crescita economica ha

influenzato la forza lavoro e come il mercato del lavoro è stato influenzato dalla

recessione di questi ultimi anni. Guardando al periodo venuto prima della crisi,

possiamo vedere che il livello di occupazione è cresciuto di un ammontare pari o

inferiore al PIL in quasi tutte le nazioni (infatti, solo Italia e Spagna stanno al di

sotto della bisettrice a 45° del grafico in figura 1a). Proprio perché l’output è

cresciuto più velocemente del livello di occupazione, la produttività del lavoro

(output per persona occupata) per definizione è aumentata.

Questa crescita della produttività del lavoro si è tradotta in una crescita dei salari

reali? La Figura 2 mostra che la maggior parte delle nazioni hanno registrato un

periodo di crescita sia relativamente alla produttività, sia relativamente ai salari.

In alcuni Stati, come in Danimarca, Francia, Finlandia, Regno Unito, Romania e

Repubblica Ceca, c’è stato un forte collegamento tra i salari e la crescita della

produttività. Ma si possono trovare anche molte nazioni dove le due variabili si

sono mosse in modo meno sincronizzato. La Figura 2a mostra che in Grecia e

Islanda i salari medi sono cresciuti in anticipo rispetto alla produttività del lavoro,

mentre in Spagna e in Italia la produttività del lavoro è calata ma i salari sono

diminuiti solo marginalmente (nel caso italiano) o per nulla (nel caso della Sagna).

In alcune delle più grandi economie tra le nazioni considerate, al contrario, la

crescita dei salari è stata trainata dalla crescita della produttività: questo si è

verificato negli Stati Uniti, in Giappone e specialmente in Germania, dove i salari

                                                                                                               32 ILO, Global Wage Report 2012/2013, Wages and Equitable Growth, ILO, 2013, Ginevra.

Produttività nelle economie sviluppate  

  24  

medi sono diminuiti nonostante una crescita positiva dei valori di produttività del

lavoro negli anni 1999-2007.

Come sono cambiate le variabili in esame nel periodo venuto dopo la crisi del

2008? E’ chiaro dalla Figura 1b che tutti gli Stati che hanno subito una

contrazione del prodotto nazionale dal 2008 ad oggi, hanno anche vissuto una

caduta dei livelli occupazionali che, nelle migliori delle ipotesi, sono rimasti statici

(con l’eccezione del Lussemburgo, dove l’occupazione è cresciuta). Al contrario, la

gran parte delle economie che hanno registrato una crescita del Pil positiva

durante la crisi hanno avuto successo anche nell’espansione occupazionale. E’

tuttavia interessante il fatto che durante gli anni della crisi, l’occupazione ha

sofferto di più rispetto all’output in molte nazioni, incluse Spagna, Irlanda,

Portogallo e Bulgaria. Negli Stati Uniti, il livello occupazionale è diminuito

nonostante la lenta ma positiva crescita economica.

Di conseguenza, è chiaro dalle Figure 2b e 2d, che molte nazioni hanno registrato

tassi di crescita positivi della produttività del lavoro dopo il 2008, nonostante la

crisi (come mostrato dal fatto che molti degli Stati si trovano nella parte destra

dell’asse verticale in queste sezioni di figura). Molte di queste nazioni hanno

anche visto incrementi moderati nei salari medi, inclusa la Germania, che sembra

aver cambiato corso di azione, permettendo la crescita dei salari in eccesso

rispetto alla produttività del lavoro dopo anni di moderazione e controllo salariale.

Una delle eccezioni è il Regno Unito, dove nonostante il guadagno in termini di

produttività la media reale dei salari è scesa nettamente sotto l’influenza della

forte inflazione. In alcuni Stati i salari sono diminuiti in modo considerevole, molto

più di quanto non sia diminuita la produttività del lavoro: tra questi troviamo la

Grecia ed alcuni nuovi entrati nell’Unione Europea. In Grecia, dove i salari sono

cresciuti più della produttività del lavoro prima della crisi, il salario medio è stato

spinto verso il basso da programmi di austerità ed ha registrato una caduta di

quasi 15 punti percentuali solo tra il 2010 e il 2011. Complessivamente, una

comparazione tra le Figure 1 e 2 permette di notare un trade off tra moderazione

salariale e crescita occupazionale durante il periodo di crisi.

Produttività nelle economie sviluppate  

  25  

Una contrazione del reddito derivante dal lavoro dipendente è quasi sempre

legata ad un’altra regolarità empirica, ossia la crescente discrepanza tra i tassi di

crescita di salari medi e produttività del lavoro.

Tra il 1999 e il 2011 la produttività del lavoro media nelle economie sviluppate è

aumentata il doppio dei salari medi.

Una pubblicazione del US Bureau of Labour Statistics33, per esempio, mostra che

la discrepanza tra la crescita della produttività oraria e della retribuzione oraria ha

contribuito alla diminuzione del reddito nazionale proveniente dal lavoro negli

Stati Uniti34. Negli Stati Uniti, la produttività del lavoro oraria effettiva nei settori

industriale e dei servizi è cresciuto dell’85% dal 1980, mentre il corrispettivo

orario è cresciuto solamente del 35%.

Un altro esempio è la Germania, dove la produttività del lavoro è aumentata di

quasi un quarto (22,6%) negli ultimi due decenni mentre il salario mensile è

rimasto stabile nello stesso periodo, inoltre tra il 2003 e il 2011 il livello salariale è

sceso al di sotto di quello presente a metà degli anni ’90.

La caduta dei salari mensili è in parte riconducibile ad una netta riduzione del

tempo lavoro mensile, da 122,7 ore nel 1991 a 110,7 nel 2011, così come al

numero dei lavoratori con contratto di lavoro part-time o forme di lavoro atipico.

In ogni caso, è presente una discrepanza tra la produttività oraria e il salario

orario. Nel 2011, la retribuzione oraria era di poco superiore (0,4%) rispetto al

livello del 2000, mentre la produttività oraria è cresciuta del 12,8% nello stesso

periodo.

Il trend globale ha portato ad un cambiamento nella distribuzione del reddito

nazionale, con una diminuzione della quota dei lavoratori mentre il reddito da

capitale è cresciuto nella maggior parte degli Stati.

La caduta dei redditi provenienti dal lavoro è riconducibile al progresso

tecnologico, alla globalizzazione del commercio, all’espansione dei mercati

finanziari e alla forza decrescente del sindacato, che ha eroso il potere di

contrattazione dei lavoratori. La globalizzazione a livello finanziario, in modo                                                                                                                33 United States Department of Labor, Bureau of Labor Statistics (BLS). “International comparisons of hourly compensation costs in manufacturing, 2010”, news release. Disponibile online: http://www.bls.gov/news.release/pdf/ichcc.pdf [17 Sep. 2012]. 34 Fleck S.; Glaser, J.; Sprague, S., “The compensation-productivity gap: A visual essay”, in Monthly Labor Review, US Bureau of Labor Statistics, Washington, DC, 2011, pp. 57–69.

Produttività nelle economie sviluppate  

  26  

particolare, può aver svolto una funzione più importante di quello che si sarebbe

potuto pensare anticipatamente.

Poiché alcune delle più grandi economie, tra cui Stati Uniti, Germania e Giappone,

hanno visto i tassi di crescita dei salari stare indietro rispetto a tassi di crescita

della produttività, il report sopracitato dell’ILO ha stimato che nelle economie

sviluppate la produttività del lavoro nel suo complesso ha superato la crescita dei

salari reali medi. In base ai dati relativi ai salari di 36 nazioni, è stato stimato che

dal 1999 la produttività media del lavoro è aumentata più del doppio rispetto ai

livelli salariali, come possibile osservare in Figura 3.

Produttività nelle economie sviluppate  

  27  

Figura 1. Crescita di prodotto e occupazionale nelle economie sviluppate, 1999-2007 e 2008-2013 (%)

a. 1999-2007

b. 2008-2013

Fonte. ILO Global Wages Database; ILO Trends Econometric Model, Marzo 2012.  

Produttività nelle economie sviluppate  

  28  

Figura 2. Crescita dei salari reali e della produttività del lavoro nelle economie sviluppate, 1999-2007 e 2008-2013 (%)

a. 1999-2007

b. 2008-2013

Produttività nelle economie sviluppate  

  29  

c. 1999-2007

d. 2008-2013

Note. Le parti in alto (a-c) e in basso (b-d) delle coppie di grafici di riferiscono a dati relativi ad economie sviluppate. Sono state separate solo per facilitarne la lettura. Fonte. ILO Global Wages Database; ILO Trends Econometric Model, Marzo 2012.  

Produttività nelle economie sviluppate  

  30  

Figura 3. Trend di crescita di salari medi e produttività del lavoro nelle economie sviluppate (Indice 1999 =100)

2. Analisi della situazione italiana.

Dopo un breve inquadramento della situazione internazionale ed europea

relativamente alla produttività, è necessario venire ad un esame della situazione

italiana, anche nel confronto internazionale, che permetterà di mettere a fuoco

alcuni dei principali problemi, rispetto alle tematiche principalmente sviluppate nel

Capitolo 1.

Il confronto avverrà rispetto ad economie a cui appartengono sistemi economici

relativamente sviluppati. Dopo la prima fase di confronto la posizione dell’Italia

verrà analizzata con riferimento a:

• il livello del Pil pro capite realizzato nell’ultimo anno di riferimento;

• la dinamica del Pil pro capite realizzata a partire dalla metà degli anni

novanta, e scomponendo all’interno del periodo i due sotto-periodi

corrispondenti rispettivamente alla seconda metà degli anni novanta e al

primo quindicennio degli anni duemila;

Note. Dal momento che gli indici si riferiscono a una media pesata, il livello di sviluppo raggiunto nelle maggiori economie sviluppate (Stati Uniti, Germania e Giappone) ha un particolare impatto sul risultato. La produttività del lavoro è misurata come prodotto per lavoratore. Fonte. ILO Global Wages Database; ILO Trends Econometric Model, Marzo 2012.  

Produttività nelle economie sviluppate  

  31  

• la scomposizione del fenomeno della dinamica del Pil pro capite tra le sue

due cause: la produttività (a sua volta determinata dall’intensità

capitalistica del processo produttivo dalla Produttività totale dei fattori) e

l’attivazione del lavoro.

2.1 Il confronto Italia-Europa

L’Italia presenta una collocazione speciale all’interno della situazione europea.

Infatti, sia prima sia dopo il 2008 si ha una crescita della produttività e dei salari

negativa. Solo la Spagna nel periodo pre-crisi ha un comportamento analogo, e

dopo la crisi solo Grecia e Islanda. I due paesi europei, maggiormente colpiti dalla

crisi finanziaria, hanno performance salariali e di produttività più negative di

quelle italiane.

Esaminando il rapporto della Commissione Europea del 2012 è possibile realizzare

un focus sul confronto tra Germania ed Italia.

Si riscontra per l’Italia un tasso di crescita negativo della produttività del lavoro

pari a -0,6% negli anni 2001-2007, che è fase positiva del ciclo economico a

livello internazionale e per i Paesi dell’Unione. Nel quinquennio di crisi 2008-2012,

in Italia la produttività del lavoro diminuisce del 2,8% (-3,4% nell’intero periodo).

Negli stessi due periodi i salari reali mostrano una crescita di +1,9% ed un

andamento negativo pari a -3,1% (-1,2% nell’intero periodo). Ma il tasso di

crescita negativo del salario reale è peculiare della Germania (-3,1% sull’intero

periodo 2001-2011, -4,5% sino al 2007 e +1,5% dal 2008), unico altro paese con

segno meno insieme alla Grecia. Nel caso tedesco, però, il tasso di crescita della

produttività è stato pari a +8,9% negli anni 2001-2007 e quasi nullo (-0,3%)

durante la crisi35.

Per il caso tedesco emerge dunque un fenomeno che la Germania condivide, anzi

esaspera, con l’insieme dei paesi sviluppati: la rottura del legame tra la dinamica

della produttività e delle retribuzioni reali. Mentre per la Germania ciò è avvenuto

                                                                                                               35 European Commission, Employment and Social Developments in Europe 2012, European Commission, November, Luxembourg , Publications Office of the European Union, 2012, pp 300-310.

Produttività nelle economie sviluppate  

  32  

con una crescita della produttività, in Italia, tale rottura è stata accompagnata da

un suo fenomeno peculiare: la crescita pressoché nulla della produttività36.

2.2 Il Pil pro capite in Italia

Ricordando quanto si è detto nel paragrafo 3.1 del primo Capitolo a proposito del

benessere dei cittadini di un paese, è giusto chiedersi come si colloca lo standard

di vita medio italiano nel contesto internazionale.

La prima colonna della Tabella 1, consente di vedere che in Italia il Pil per

abitante è pari al 63% di quello degli Stati Uniti (il cui Pil per abitante è posto pari

a 100, essendo gli Usa presi come paese di riferimento nei confronti

internazionali). Il divario di Pil pro capite dell’Italia rispetto agli Usa è pari quindi

al 36% mentre esso è pari al 29% per la media dei paesi Oecd. Questo risultato

non è entusiasmante, soprattutto se rapportato a quello delle economie centro e

nord-europee (si va da una Norvegia - +23% - che ha addirittura superato gli Usa

in termini di questo indicatore, a un divario negativo della Francia pari al 30%).

Per trovare il giusto contesto alla situazione italiana nel confronto internazionale,

è doveroso ricorda che l’Italia, come le altre grandi potenze europee, aveva

registrato nei decenni successivi alla seconda guerra mondiale una fase di forte

crescita del Pil per abitante, il che equivale a un forte incremento nello standard

di vita dei suoi abitanti e consentì di inserire l’Italia tra i paesi ricchi. In un

secondo momento, a ondate successive, alcuni tra i paesi meno sviluppati, in

Europa e nel mondo, hanno superato i paesi ricchi in termini di tassi di crescita,

avvicinandosi così ai primi (quando non li hanno superati) in termini di livelli di Pil

pro capite e quindi di standard di vita. Questo non deve meravigliare: il fatto che,

quando un paese povero imbocca la strada della crescita, esso tenda a crescere a

tassi molto elevati è una regolarità empirica più volte verificata, e ricollegata in

letteratura al termine catching-up.

E’ possibile sostenere che, ciò che fa si che l’Italia, nel contesto attuale,

nonostante la rincorsa di numerosi paesi negli ultimi decenni, si collochi ancora su

posizioni di relativo, se pur non entusiasmante, benessere (quasi nella media

                                                                                                               36 Antonioli D., Pini P., Contrattazione, dinamica salariale e produttività: ripensare agli obiettivi ed i metodi, Università di Ferrara, Dipartimento di Economia e Management, aprile 2013.

Produttività nelle economie sviluppate  

  33  

Oecd, seppur sotto di essa), è l’eredità degli anni della forte crescita (gli anni

cinquanta e sessanta), e dei decenni successivi. Viceversa, il contributo degli

ultimi anni all’incremento del tenore di vita è stato deludente.

Prima di passare a trattare di questi andamenti dinamici dell’ultimo periodo, è

necessario fermarsi ancora sulla Tabella 1, per sfruttare le informazioni che essa

ci offre nella seconda e nella terza colonna. Qui è possibile vedere che il divario

tra la produttività oraria italiana e quella realizzata negli Usa è pari al 27%, quindi

il divario per l’Italia dagli Stati Uniti è minore per la produttività di quanto non lo

sia per il reddito pro capite. L’Italia pur producendo in media, in un’ora di lavoro,

il 72% di quanto si produce negli Usa, non riesce a realizzare un corrispondente

livello di benessere medio per abitante. Infatti, il Pil pro capite italiano è pari solo

al 63% di quello Usa. La ragione di questo si ricava facilmente da quanto già

analizzato relativamente ai fattori che compongono il benessere: la attivazione del

lavoro e la produttività del lavoro stesso. Prendendo in esame l’attivazione del

lavoro, è possibile osservare che questa registra un divario rispetto agli Usa pari al

9%. E’ un fatto noto che in Italia il tasso di occupazione sia molto basso,

nonostante la sua crescita soprattutto nella seconda metà degli anni novanta: nel

2013, in Italia solo il 55,6% di tutte le persone in età da lavoro (15-64) era

occupato, contro un tasso di occupazione pari al 67,4% negli Stati Uniti e al

63,5% nell’Europa a 15.

Dunque, il divario nello standard di vita italiano va ripartito su due cause: il divario

di produttività (che è pari al – 27% rispetto agli Usa) e la minore capacità di

creare occupazione dell’economia italiana (il divario è pari al – 9%).

Produttività nelle economie sviluppate  

  34  

Tabella 1. Livelli di Prodotto Interno Lordo e produttività, 2013. Differenze in punti percentuali rispetto agli Stati Uniti.

Gap in GDP per capita

with respect to the USA Gap in labour utilisation with respect to the USA

Gap in GDP per hour worked with respect to

the USA

Australia -16,49 2,298 -18,366 Austria -16,776 1,12 -17,698 Belgium -23,39 -19,367 -4,989 Canada -18,515 9,984 -25,912

Czech Republic -48,443 8,337 -52,41 Denmark -19,413 -12,525 -7,874 Finland -27,929 -4,358 -24,645 France -30,166 -24,07 -8,029

Germany -19,841 -11,303 -9,626 Greece -51,962 -9,987 -46,633

Hungary -56,886 -1,896 -56,053 Iceland -24,829 15,473 -34,901 Ireland -19,251 -7,706 -12,509 Italy -36,666 -12,963 -27,234

Japan -31,583 10,748 -38,223 Korea -42,328 35,411 -57,409 Mexico -68,062 11,406 -71,332

Netherlands -18,209 -11,445 -7,638 New Zealand -34,553 11,875 -41,5

Norway 23,424 -5,373 30,432 Poland -56,24 2,217 -57,189

Portugal -51,309 4,387 -53,355 Slovak Republic -50,793 -10,061 -45,288

Spain -38,559 -21,528 -21,703 Sweden -18,055 -1,845 -16,514

Switzerland 1,981 19,917 -14,957 Turkey -64,655 -21,084 -55,211

United Kingdom -31,798 -2,195 -30,267 United States .. .. .. Euro area (15

countries) -30,369 -14,643 -18,424

OECD - Total -29,469 -1,018 -28,743

Note. La quantità di lavoro svolto utilizzata nella stima è basata sul totale delle ore lavorate pro capite. I dati relativi alla Francia includono anche i dipartimenti oltremare e il Pil turco è calcolato attraverso l’utilizzo del sistema di contabilità nazionale del 1968. Fonte. Oecd Productivity Database, versione dicembre 2013; www.oecd.org/statistics/productivity.  

Produttività nelle economie sviluppate  

  35  

2.3 La dinamica del Pil pro capite e la sua scomposizione

Ciò che preoccupa di più non è tanto il livello del Pil pro capite in rapporto a

quello degli altri paesi ricchi, quanto l’incapacità italiana di cresce nel periodo più

recente, a partire soprattutto dai primi anni 2000.

L’Italia ha smesso di crescere, questo paese ha esaurito, almeno per il momento,

lo slancio per assicurare ai suoi cittadini un incremento del tenore di vita

attraverso l’aumento del prodotto pro capite, che è rimasto invariato nel periodo

2000-2007, con un tasso annuo di crescita pari a zero, ed è diminuito dopo la

crisi.

In primo luogo, è doveroso chiedersi come la responsabilità della mancata

crescita del Pil pro capite sia da ripartire tra le sue due componenti individuate

precedentemente, e cioè tra la crescita della produttività oraria e la crescita

dell’attivazione di lavoro (o alla loro mancata crescita).

Si possono distinguere due fasi, il 1995-2000 e il 2001-2013, i cui andamenti

possono riassumersi come segue: nella prima fase, il tasso di crescita del prodotto

pro capite (1,9%), pur essendo tra i più bassi dell’Oecd, e anche tra i più bassi

dell’Europa a 15, era tuttavia positivo. A tale risultato contribuivano il tasso di

crescita della produttività oraria (0,9%) più basso tra i paesi considerati, e un

tasso di crescita dell’attivazione del lavoro (1%), che era, invece, superiore alla

media (sia rispetto all’Oecd che all’Europa). Nel secondo periodo, invece, il tasso

di crescita nullo del Pil pro capite è da attribuirsi equamente alla crescita nulla

della produttività e alla crescita nulla nell’attivazione del lavoro. Dopo il 2008, per

alcuni anni il Pil pro capite ha registrato delle perdite, giustificabili sia dal

restringersi dell’attivazione del lavoro e sia alla diminuzione della produttività.

In altri termini, dopo una fase in cui l’occupazione cresce relativamente molto, ma

la produttività ristagna, si passa a una fase in cui il ristagno di entrambe le

variabili determina il deludente risultato aggregato, in termini di crescita del Pil

pro capite.37

A sua volta, il dato relativo alla produttività deve essere ricondotto alle sue cause

determinanti.

                                                                                                               37 Costabile L, Glossario dell’economista per il giuslavorista in Riv. Giu. Lav. Prev. Soc., 2009, Vol. 2. pp 193-199

Produttività nelle economie sviluppate  

  36  

2.4 Le cause del ristagno della produttività del lavoro

Come precedentemente specificato all’interno del Capitolo 1, la produttività oraria

del lavoro è legata positivamente a due variabili: l’intensità capitalistica del

processo produttivo e la Produttività totale dei fattori. L’indagine volta ad

appurare le cause del ristagno della produttività deve quindi analizzare il

contributo di queste due variabili. Il contributo dato dall’incremento dell’intensità

capitalistica del processo produttivo alla crescita della produttività del lavoro è

positivo ma modesto, e non sufficiente ad annullare l’effetto negativo esercitato

dalla caduta della PTF. Bisogna osservare, più precisamente, che il contributo

dell’intensità capitalistica alla crescita del capitale, secondo i dati Oecd, pur

rimanendo positivo, si è molto ridotto negli ultimi anni rispetto a quello registrato

nei periodi precedenti, il che può essere interpretato come il risultato di un

possibile insufficiente accrescimento dell’investimento in risposta al forte

incremento occupazionale che tra il 1995 e i primi anni 2000, si è registrato in

Italia. “In altri termini, la flessione nel tasso di crescita del rapporto tra capitale e

lavoro sembra indicare che le imprese, pur accrescendo l’occupazione, non hanno

adeguato a sufficienza l’attrezzatura produttiva necessaria ad assistere questa

maggiore manodopera, dal che deriva un primo effetto negativo sulla produttività

del lavoro”38.

A questo si deve aggiungere il fattore più importante: l’andamento estremamente

negativo della Produttività Totale dei Fattori, che con il proprio apporto negativo,

annulla il modesto apporto positivo esercitato dall’intensità capitalistica. I due

contributi, infatti, si bilanciano quasi esattamente in valore assoluto, dando così

luogo al risultato di una crescita della produttività del lavoro pari a zero.

                                                                                                               38 Il fatto che la riduzione dell’approfondimento della struttura produttiva sia stata relativamente limitata è dovuto al fatto che la netta riduzione della crescita del rapporto capitale/lavoro è stata in parte bilanciata dal forte aumento della quota del capitale sul reddito: The slowdown in Mediterranean capital deepening was relatively modest, because the sharp negative turnaround in K/H growth was partially offset by a sizeable increase in the income share of capital, Dew Backer e Gordon, 2008, p7. Un altro aspetto su cui vale la pena soffermarsi è che il contributo dell’intensità capitalistica osservato in Italia è sostanzialmente in linea con quello dei paesi quali la Francia e superiore a quello registrato in Germania. Rimane tuttavia il duplice problema: 1) tale contributo positivo non riesce a compensare in Italia quello negativo della PTF, che nei principali paesi concorrenti è positivo; 2) tale contributo, pur rimanendo positivo in Italia, si è ridotto in Italia nell’ultimo periodo considerato, riflettendo lo spostamento verso tecniche a più alta intensità di lavoro.

Produttività nelle economie sviluppate  

  37  

Cosa può aver determinato la caduta della PTF? Si è visto in precedenza che

questa variabile riassume in sé gli effetti variabili quali il progresso tecnico e i

miglioramenti organizzativi, ma anche dei miglioramenti nella qualità dei due

fattori di produzione: il capitale e il lavoro. Così se il grado d’istruzione o di

preparazione professionale aumenta, la Produttività totale dei fattori aumenterà.

La qualità del lavoro aveva dato un contributo molto alto alla crescita della

produttività nel settore manifatturiero nel quinquennio 1990-1995, e questo era

avvenuto anche nel settore privato nel suo complesso nel decennio precedente; al

contrario, a cominciare dal 1996, si verifica una drastica e repentina caduta di

questo contributo, come se qualcosa avesse interrotto un processo di upgrading

qualitativo della forza lavoro italiana che sembrava ormai consolidato.

Per concludere questo ragionamento, si può da un lato ricordare e accogliere

un’interpretazione39 secondo cui le imprese, soprattutto nel settore manifatturiero,

sembrano aver preferito adottare tecniche a minore intensità capitalistica rispetto

ai periodi precedenti, indotte a far ciò dal fatto che il lavoro è diventato meno

caro e la legislazione protettiva dell’occupazione si è allentata grazie alle riforme

liberalizzatrici nel mercato del lavoro. Queste riforme hanno quindi favorito un

forte incremento dell’occupazione cui ha fatto seguito un corrispondente

incremento dell’attrezzatura di capitale destinata ad assistere il maggior numero

di occupati. L’esito delle riforme sarebbe allora misto, avendo esse sì favorito un

incremento dell’occupazione, ma pagando questa espansione con una riduzione

della sua produttività.

In secondo luogo, la riforma delle tipologie contrattuali ha contribuito

probabilmente a modificare la composizione qualitativa della forza lavoro

occupata, con l’incremento della quota dei lavoratori meno qualificati, e ad

arrestare l’upgrading della qualità del lavoro (misurata, per esempio, dal livello

d’istruzione) che si era registrata nei decenni precedenti. Come visto in

precedenza, la qualità dei fattori produttivi è una delle principali determinanti

della produttività del lavoro, attraverso i suoi effetti sulla Produttività totale dei                                                                                                                39 Dew-Becker I., Gordon R. J., The slowdown in European Productivity Growth: A tale of Tigers, Tortoise, and Textbook Labor Economics, versione presentata al Nber Summer Institute Macroeconomics and Productivity Workshop, Cambridge, MA, 20 luglio 2006; Dew-Becker I., Gordon R. J., The Role of Labour Market Changes in the Slowdown of European Productivity Growth, in Nber Working Paper, n.13840, marzo 2008.

Produttività nelle economie sviluppate  

  38  

fattori. Quindi, anche per questa via le riforme istituzionali sul mercato del lavoro

potrebbero aver influenzato negativamente la produttività.

Queste riforme si inseriscono comunque nel quadro di relativa debolezza

dell’apparato produttivo italiano che, per le dimensioni tipicamente limitate delle

sue imprese e per la sua specializzazione produttiva, non favorisce la spesa per

ricerca e sviluppo e, di conseguenza, l’introduzione del progresso tecnologico40.

La dinamica negativa della produttività italiana ha le sue radici in quattro grandi

debolezze, che si sono fatte sempre più gravi: la struttura produttiva, le

dimensioni troppo piccole delle imprese, l’assenza di investimenti, la mancanza di

innovazione41.

• La struttura di un sistema produttivo influenza direttamente le sue possibilità di

crescita. In Europa, la crescita media della produttività del lavoro nell’industria

tradizionale (alimentari, tessile, calzature, legno, prodotti in metallo) è appena

un terzo di quella del resto della manifattura. I redditi sono più alti nelle attività

in cui conoscenze, capitali, qualifiche del lavoro, potere di mercato e crescita

della domanda sono più elevate. Ma nell’industria italiana i settori tradizionali

pesano per il 46% degli occupati – e son stati relativamente stabili – contro il

31% della Germania.

• L’Italia ha il record negativo della dimensione d’impresa. L’84% delle 510 mila

imprese italiane ha meno di 9 addetti e un altro 15% ha tra 10 e 49 addetti. Le

imprese con più di 250 addetti sono 1400 in Italia e 4000 in Germania. La

piccola dimensione delle imprese italiane impedisce di raggiungere economie di

scala, entrare in settori avanzati, ottenere efficienza. Non sono bastate le reti

d’imprese e i distretti industriali per recuperare dinamismo; molte piccole

imprese si trovano ora integrate in modo subalterno nei sistemi di produzione

internazionale governati dalle grandi imprese tedesche e di altri paesi; altre

hanno tentato di riprodurre il modello del decentramento che riduce i costi

delocalizzando la produzione nei paesi dell’Est e del Mediterraneo. In entrambi i

casi le prospettive per investimenti, crescita e occupazione in Italia sono assai

                                                                                                               40 Foresti G., Guelpa F., Trenti S., Quali leve per il rilancio dell’industria? La questione dimensionale, Collana Ricerche, Servizio Studi Intesa-San Paolo, Giugno 2007. 41 Pianta M., Nove su Dieci. Perché stiamo (quasi) tutti peggio di 10 anni fa, 2012, Editoriali Laterza, Roma.

Produttività nelle economie sviluppate  

  39  

modeste, e dopo il 2008, la crisi ha colpito in modo particolare proprio questi

sistemi produttivi.

• Un altro paradosso italiano è la coesistenza di alti profitti e bassi investimenti.

In Italia il rapporto tra profitti lordi delle imprese (non finanziarie) e valore

aggiunto è il più elevato tra i maggiori paesi europei – oltre il 40% anche

nell’anno di crisi 2009, contro il 30% in Francia – ma gli investimenti fissi sono

appena il 22% del valore aggiunto. Gli investimenti in macchinari (quelli che

alimentano le capacità produttive) sono diminuiti negli ultimi dieci anni del

9,8% e, se li rapportiamo alla popolazione, la caduta è stata del 14,5%, mentre

si sono gonfiati gli investimenti immobiliari. Anziché reinvestire i profitti in

nuove attività e investimenti, sempre più capitali escono dalle imprese

attraverso una gestione finanziaria che da un lato ha liquidità, e dall’altro l’ha

utilizzata per arricchire i proprietari attraverso dividendi agli azionisti, bonus ai

manager e operazioni finanziarie. Questo trasferimento di risorse ha sottratto

possibilità di crescita alle imprese.

• L’innovazione, purtroppo, non è di casa in Italia. Le attività innovative

documentate dall’Istat mostrano che circa il 30% delle imprese italiane ha

introdotto nel 2008 un’innovazione di prodotto o di processo, mentre la media

dell’Europa a 15 è vicina al 40%. Non solo si innova meno in Italia, ma prevale

l’adozione di nuovi processi (con acquisti dall’estero di macchinari, in genere

destinati a sostituire lavoratori), piuttosto che la capacità di realizzare, con

risorse interne, nuovi prodotti in grado di espandere produzione e occupazione.

E sono le imprese che realizzano nuovi prodotti quelle che riescono a vendere a

prezzi maggiori, con meno concorrenza, a distribuire salari e profitti più alti42.

Per concludere ed avere uno sguardo più ampio sulle problematiche registrate si

può affermare che la performance così negativa della produttività italiana è

usualmente ricondotta ad un insieme di fattori, che spesso si rafforzano a

vicenda43. Vi sono componenti sistemiche, componenti connettive e componenti

                                                                                                               42 Pianta M., Produttività l’Italia è ferma da vent’anni, pubblicato in Home Page Uniurb (http://post.uniurb.it/?cat=225), 26 Novembre 2012 43 Tronti L., The Italian Productivity Slowdown: The Role of the Bargaining Model, International Journal of Manpower, 2010, vol. 31, n.7, pp. 770-792 Tronti L., La crisi di produttività dell’economia italiana: modello contrattuale e incentivi ai fattori, Eco. & Lav., 2010, n. 2, pp.47-70.

Produttività nelle economie sviluppate  

  40  

aziendali che spiegano questo trend44. Le componenti sistemiche sono di tipo

generale, ed hanno a che fare con le infrastrutture ed i procedimenti

amministrativi (burocrazia), tra cui si fanno rientrare anche ciò che è di pertinenza

della lotta alla criminalità e della giustizia. Tra le componenti connettive di

produttività vanno ricordate l’istruzione, la formazione, la ricerca scientifica e

tecnologica, le tecnologie dell’informazione e comunicazione, l’organizzazione, tra

cui possiamo far rientrare anche le conseguenze della struttura dimensionale delle

imprese italiana. Ma rilevanza cruciale hanno componenti aziendali che sono di

natura fiscale da un lato, data soprattutto dal gap tra costo del lavoro e

retribuzione del lavoratore, e di natura contrattuale dall’altro, che chiama in causa

la contrattazione collettiva ed il legame tra contrattazione accentrata e

contrattazione decentrata. E’ proprio su quest’ultima componente che si

concentrerà l’attenzione di questo elaborato di tesi.

2.5 La produttività a livello aziendale delle imprese italiane.

Dopo aver osservato il problema della produttività da un punto di vista

macroeconomico, è giusto per chi scrive analizzare come le aziende italiane

operano per migliorare la loro produttività del lavoro e come queste si collocano

rispetto alle loro concorrenti europee.

Come precedentemente affermato, le pratiche di innovazione organizzativa sui

luoghi di lavoro risultano efficaci per l’aumento della produttività, soprattutto se

vengono utilizzate in modo sinergico, perché possono espletarsi gli effetti

aggiuntivi di complementarietà che derivano dall’utilizzo congiunto di un insieme

di pratiche ad “alta performance”, effetti che vanno perduti se ci si concentra sulle

singole pratiche. Tali pratiche riguardano vari aspetti dell’organizzazione del

lavoro, che vanno dalla progettazione delle mansioni lavorative all’estensione

dell’autonomia nello svolgimento delle mansioni e dei compiti lavorativi, dai

percorsi di formazione sul posto di lavoro ed estensione delle competenze di tipo

cognitivo e relazionale alla riduzione dei livelli gerarchici che accompagna il

processo di decentramento decisionale e responsabilizzazione nello svolgimento

dell’attività lavorativa, dalla definizione degli obiettivi da conseguire ai sistemi

                                                                                                               44 Quadrio Curzio A., Produttività, sfida cruciale per il Paese, Il Sole 24 Ore, 20 novembre 2012.

Produttività nelle economie sviluppate  

  41  

retributivi premiali per i dipendenti legati alla valutazione delle prestazioni e dei

comportamenti, dalla diffusione delle pratiche di lavoro innovative progettate sui

gruppi di lavoratori alle procedure di confronto formale ed informale sulla

organizzazione del lavoro e qualità del processo produttivo e/o del prodotto.

Vari studiosi sottolineano come l’Italia sia indietro in questo campo se confrontata

con altri paesi europei45.

Di seguito si analizzerà in dettaglio come il sistema industriale italiano si colloca in

quanto ad adozione di best work organization practices. Eurofound46 nel 2011 ha

svolto un’indagine concernente questo argomento analizzando 30 paesi e

coinvolgendo più di 27.000 stabilimenti, industriali e dei servizi. Sono stati

analizzati 5 gruppi di pratiche di lavoro:

A. flessibilità degli orari di lavoro;

B. retribuzioni legate alle performance;

C. formazione;

D. lavoro a squadre di lavoro con autonomia decisionale;

E. coinvolgimento dei lavoratori e delle rappresentanze nel definire

l’organizzazione del lavoro.

La Tabella 2 evidenzia la diffusione dei 5 gruppi di pratiche. La flessibilità

dell’orario di lavoro e la formazione sono quelle più diffuse, in un terzo degli

stabilimenti; ma anche quelle meno diffuse, gli incentivi finanziari ed economici e

il coinvolgimento dei lavoratori, sono comunque presenti in circa un quarto degli

stabilimenti. In circa un terzo degli stabilimenti analizzati si utilizzano almeno due

gruppi di pratiche innovative. Il fenomeno dell’adozione multipla è da rimarcare in

quanto si ha il noto effetto di complementarietà secondo il quale i benefici totali

dell’adozione in cluster sono maggiori della semplice somma dei benefici derivanti

dalle singole pratiche.

                                                                                                               45 Leoni R., Può bastare una tazzina di caffè per far crescere la produttività?, Università di Bergamo, mimeo, 2013. 46 Eurofound, HRM Practices and Establishment Performance: An Analysis Using the European Company Survey 2009, Eurofound, 2011, Dublino, (http://www.eurofound.europa.eu/pubdocs/2011/69/en/1/EF1169EN.pdf)

Produttività nelle economie sviluppate  

  42  

Tabella 2. Diffusione di pratiche innovative e loro frequenza

Pratiche organizzative nei luoghi di lavoro

% stabilimenti coinvolti

A. Orari di lavoro flessibili 30,5

B. Incentivi economici 17,0

C. Formazione 26,1

D. Gruppi di lavoro autonomi 22,1

E. Voce dei dipendenti 18,3

Stabilimenti con numero pratiche adottate

% stabilimenti coinvolti

Nessuna pratica 32,50

Con 1 pratica 35,64

Con 2 pratiche 20,99

Con 3 pratiche 8,59

Con 4 pratiche 2,13

Con 5 pratiche 0,16

Questa è la situazione in Europa. E’ interessante vedere cosa avviene nei singoli

paesi e dove si posiziona l’Italia. La Tabella 3 mostra come l’Italia sia indietro

quanto ad adozione rispetto a gran parte dei paesi. L’Italia primeggia in negativo

per la quota di luoghi di lavoro che non adotta nessuna delle pratiche di lavoro

considerate, ben il 51% contro una media del 32,5%; sotto l’Italia si trovano, su

30 paesi, solo Malta, Turchia e Grecia.

Molto importante è anche la quota di luoghi di lavoro in cui si adottano pratiche

appartenenti ad almeno 2 dei 5 gruppi considerati, in tal caso si esplicano gli

effetti di complementarietà. L’Italia presenta solo il 17% dei luoghi di lavoro in cui

si adottano almeno 2 gruppi di pratiche; peggio dell’Italia fanno solo i paesi sopra

richiamati, a cui si aggiungono Ungheria e Cipro. La Germania fa due volte meglio

dell’Italia (38%), mentre paesi del nord Europa fanno tre volte meglio (55% e

più, per Finlandia, Svezia, Danimarca e Paesi Bassi).

Fonte. Eurofound, 2011, HRM Practices and Establishment Performance: An Analysis Using the European Company Survey 2009, Eurofound, Dublino, p. 11.  

Produttività nelle economie sviluppate  

  43  

Tabella 3. Diffusione di pratiche innovative e frequenza, per paese (distribuzione %)

Paesi Nessuna

pratica Una pratica

Due o più

pratiche

1. Finlandia 7 23 70

2. Svezia 10 27 64

3. Danimarca 9 27 64

4. Paesi Bassi 17 29 54

5. Slovenia 27 32 41

6. Repubblica Ceca 24 38 38

7. Germania 24 38 38

8. Belgio 30 33 37

9. Regno Unito 27 37 37

10. Francia 28 37 35

11. Portogallo 31 36 33

12. Irlanda 31 37 32

13. Lussemburgo 34 34 32

14. Polonia 33 39 31

15. Macedonia 27 43 30

16. Spagna 35 36 30

17. Slovacchia 31 39 29

18. Austria 33 39 28

19. Bulgaria 38 36 26

20. Romania 38 37 25

21. Lettonia 36 40 24

22. Estonia 39 38 23

Produttività nelle economie sviluppate  

  44  

23. Croazia 40 37 23

24. Lituania 46 36 18

25. Italia 51 32 17

26. Ungheria 45 38 17

27. Cipro 49 35 16

28. Malta 56 32 12

29. Turchia 53 35 12

30. Grecia 71 23 5

Solo la flessibilità oraria induce effetti deboli sulle performance, mentre

formazione, coinvolgimento dei lavoratori e delle rappresentanze, gruppi di lavoro,

hanno effetti fortemente positivi sia su condizioni lavorative e gestione delle

risorse umane, che su performance economiche e produttività; mentre gli

incentivi economici e finanziari per i lavoratori evidenziano alcune difficoltà nella

gestione delle risorse umane, ma non su altri aspetti47.

In Europa vengono tratti evidenti vantaggi dall’adozione di best work organization

practices. Ma l’Italia è quasi fanalino di coda nella loro adozione.

Questi risultati inducono a ritenere che oltre ai fattori concorrenziali sui mercati di

beni e servizi (dove l’Italia non primeggia in Europa) e del lavoro (dove invece

l’Italia primeggia per flessibilità esterna all’impresa e dualismo), oltre alla scarsa

efficienza dei mercati di credito, opera un fattore fin troppo trascurato: le best

work organization practices. Esso ha strette sinergie con l’innovazione tecnologica

incorporata nei beni capitali, quindi con gli investimenti, e con le innovazioni di

                                                                                                               47 Secondo lo studio Eurofound, 2011, p.15.

Fonte. Eurofound, 2011, HRM Practices and Establishment Performance: An Analysis Using the European Company Survey 2009, Eurofound, Dublino, p. 12.  

Produttività nelle economie sviluppate  

  45  

prodotto che le imprese realizzano48. La carenza di questo fattore per l’Italia può

spiegare anche la bassa produttività del capitale49.

La quota di investimento sul reddito potrà anche essere adeguata, ma manca

l’investimento in innovazioni organizzative del lavoro, che a quel capitale fisico

sono complementari.

                                                                                                               48 Antonioli D., Mazzanti M., Pini P., Productivity, Innovation Strategies and Industrial Relations in SME. Empirical Evidence for a Local Manufacturing System in Northern Italy, International Rewiew of Applied Economics, 2010, vol. 24, n. 4, pp. 453-482. Antonioli D., Bianchi A., Mazzanti M., Montresor S., Pini P., Innovation Strategies and Economic Crisis: Evidence from Firm-level Italian Data, Eco. Pol., 2013, vol. 30, n. 1. 49 Già dieci anni fa Bugamelli e Pagano osservavano che le mancate innovazioni nell’organizzazione del lavoro costituivano una barriera al rendimento degli investimenti in capitale fisso ed ICT. Bugamelli M., Pagano P., Barriers to Investment in ICT, Applied Economics, 2004, vol. 36, n. 20, pp.2275-2286.

Produttività nelle economie sviluppate  

  46  

Legislazione nazionale in tema di produttività  

  47  

CAPITOLO 3

Legislazione nazionale in tema di produttività

Premessa – 1. La contrattazione di secondo livello – 1.1 L’accordo interconfederale del 23 Luglio 1993 – 1.2 L’accordo quadro del 22 gennaio 2009 – 1.3 L’accordo interconfederale del 28 giugno 2011 – 1.4 L’art. 8 della Legge n. 148/2011 – 1.5 L’accordo interconfederale del 21 novembre 2012 – 1.6 L’accordo interconfederale 24 aprile 2013 – 1.7 Considerazioni conclusive in tema di contrattazione – 2. Gli sgravi contributivi e fiscali – 2.1 La decontribuzione – 2.2 La detassazione.

Premessa.

La nozione di produttività utilizzata fino a questo momento all’interno del

presente elaborato è profondamente differente da come la legislazione ha inteso

la produttività e il suo sviluppo tramite gli accordi tra le parti sindacali e datoriali

susseguitisi negli ultimi venticinque anni.

La regolazione di questo tema nel nostro ordinamento non individua strumenti per

migliorare tutti gli aspetti della produttività e, nello specifico, della produttività del

lavoro che sono stati elencati fino ad ora, ma fornisce all’imprenditore la libertà di

regolare tramite la contrattazione aziendale e territoriale l’organizzazione del

lavoro all’interno della propria azienda come egli meglio crede.

Per incentivare l’imprenditore a perseguire obiettivi che comprendano anche la

crescita della produttività all’interno dell’azienda, la legislazione individua specifici

elementi retributivi che possono beneficiare di defiscalizzazione o decontribuzione.

Si può quindi affermare che il nostro ordinamento offre una disciplina,

relativamente a questo tema, di natura incentivante che non specifica gli

strumenti da utilizzare per far crescere la produttività.

Legislazione nazionale in tema di produttività  

  48  

In questo capitolo verranno analizzati gli accordi quadro ed interconfederali che

hanno cercato di promuovere la contrattazione di secondo livello e come questi si

sono susseguiti e migliorati nel tempo. In un secondo momento si esamineranno

gli incentivi di natura contributiva e fiscale che la normativa italiana ha utilizzato

per promuovere la produttività del lavoro

1. La contrattazione di secondo livello.

Le regole che disciplinano il rapporto di lavoro sono date, in ordine

decrescente per importanza, dalla Costituzione, dalla normativa comunitaria e

dalle norme di legge. Segue poi la contrattazione collettiva di primo grado,

corrispondente ai contratti nazionali, e di secondo grado, corrispondente ai

contratti aziendali e territoriali.

Normalmente esiste una gerarchia di queste regole. La norma di legge, infatti,

deve essere emanata nel rispetto della costituzione e della normativa comunitaria

esistente in quel settore. Quindi, le norme della contrattazione collettiva non

possono peggiorare le normative in tema di lavoro, anche perché queste ultime

sono, per la grande parte, inderogabili dalla contrattazione dei privati.

Non vi sono invece gerarchie legali tra contrattazione collettiva di primo grado e

di secondo.

Lo scopo dei contratti collettivi, ma soprattutto dei contratti collettivi nazionali di

categoria, è quello di stabilire delle condizioni uniformi e obbligatorie che siano

valide per lavoratori dipendenti e datori di lavoro appartenenti ad una specifica

categoria. Il contratto collettivo persegue “la tutela degli interessi dei lavoratori,

dal lato delle associazioni sindacali dei lavoratori; le regole entro cui si dispiega la

libera concorrenza tra imprese razionali, dal lato dei datori di lavoro”50.

In realtà i contratti collettivi che hanno natura di pattuizione privata seppure

rivolti ad una molteplice platea di parti, rivolgendosi alle parti stipulanti hanno

sempre imposto loro il rispetto della fonte di primo grado al momento della

pattuizione aziendale o territoriale.

In questo modo nasce un sistema, dove i diritti fondamentali ed intangibili sono

governati dalla legge, le retribuzioni ed ogni ulteriore tutela è disciplinata dal

                                                                                                               50 L. Nogler, Saggio sull’efficacia regolativa del contratto collettivo, 1997, Cedam, p.143.

Legislazione nazionale in tema di produttività  

  49  

contratto collettivo e ben poco è lasciato alla contrattazione aziendale, territoriale

o addirittura individuale51.

Tale situazione si mantiene fino al 1993, quando, venuto meno il sistema di

automatismi retributivi collegato alla contingenza, e, acuitasi la crisi economica,

diventò necessario individuare una distribuzione del reddito legata alle singole

realtà aziendali e alla produttività.

Grazie agli accordi nazionali in materia di negoziazione, le regole contrattuali

hanno gradualmente individuato degli spazi riservati alla contrattazione aziendale

e territoriale, riconoscendo così una funzione alla contrattazione di secondo

grado.

Con il susseguirsi degli accordi nel tempo le parti hanno cercato di promuovere la

contrattazione di secondo livello, cercando di bilanciare i suoi costi, relativi

soprattutto alle energie negoziali necessarie da impiegare nella trattativa con il

sindacato, con i benefici organizzativo-produttivi che questa può introdurre, e di

renderla utilizzabile anche dalle aziende di piccole dimensioni che caratterizzano il

tessuto economico ed industriale italiano.

1.1 L’accordo interconfederale del 23 luglio 1993.

Il decennio degli anni ’90, con riferimento alla contrattazione collettiva, si

apre con il protocollo del 31 luglio del 1992 tra Governo e parti sociali e la crisi

della Lira del settembre 199252.

I due accordi triangolari del 31 luglio 1992 e del 23 luglio 1993 vanno letti

insieme, perché si completano a vicenda. Il primo ha espresso lo stato di acuta

crisi in cui si trovava l’economia italiana imponendo comportamenti di rigore alle

parti sociali, avendo temi incentrati sulla politica dei redditi, la lotta all’inflazione e

il costo del lavoro. Il secondo ha confermato le scelte di rigore del primo, ma le

                                                                                                               51 D. Cardellicchio, Accordo sulla produttività. Novità ed effetti per le imprese. Da http://www.petraccimarin.it; consultato il 20 Settembre 2014. 52 Per un breve resoconto: Fornara P., La lira sommersa e salvata, su Il Sole 24 Ore del 6 settembre 2012, http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2012-09-05/settembre-1992-lira-sommersa-221921.shtml?uuid=AbWU76YG; oppure Pesole D., L'autunno nero del '92 tra tasse e svalutazioni, su Il Sole 24 Ore del 30 aprile 2010, http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Editrice/IlSole24Ore/2010/04/30/Economia%20e%20Lavoro/5_A.shtml.

Legislazione nazionale in tema di produttività  

  50  

ha completate definendo un quadro di regole fondamentali 53 necessario al

sistema di relazioni industriali del paese54.

Prima del 1993 il sistema contrattuale italiano appariva caratterizzato da un basso

grado di cooperazione e coordinamento nelle regole che determinavano i salari ed

il paese si poneva in una situazione nettamente distinta rispetto ad altri paesi

europei tipicamente organizzati con strutture corporativistiche. La svolta per le

relazioni industriali italiane arrivò con la stipula dell’accordo triangolare del 23

luglio 1993 che gettava le basi per una nuova era di contrattazione.

Con esso le parti sociali vollero dare una chiara svolta individuando la strada che

si sarebbe dovuta seguire in fase di contrattazione nazionale ed aziendale.

Il Protocollo del 23 luglio 1993 sulla politica dei redditi e dell’occupazione, sugli

assetti contrattuali, sulle politiche del lavoro e sul sostegno al sistema produttivo,

costituisce una vera e propria “carta costituzionale” per le relazioni industriali

italiane.

Il carattere più importante dell’accordo sta nell’aver dettato per l’intero mondo del

lavoro regole istituzionali precise non solo su singoli punti delle relazioni di lavoro,

ma sulle fonti e sugli attori del sistema. In questo assume rilievo “costituzionale”:

relativamente alla costituzione formale che dovrà crearsi sul piano dei rapporti

effettuali55.

Con tale accordo, le parti hanno predisposto un quadro di principi e di regole per

rendere coerenti i processi ed i contenuti contrattuali con le scelte di politica di

bilancio e dei redditi, in particolare per realizzare il controllo dell’inflazione e il

risanamento della finanza pubblica. Esso coinvolge l’insieme del lavoro

dipendente, essendo applicabile all’industria, al commercio, al credito,

all’artigianato, e, indirettamente, al pubblico impiego, e regola struttura, oggetti e

soggetti della contrattazione.

I principi cardine posti alla base del documento sono tre:

1. Il contributo delle parti sociali alla determinazione della politica dei redditi;

                                                                                                               53 L’accordo del 1993 è stato definito dal Ministro Giugni una nuova “costituzione del lavoro”. 54 M. Grandi e M. Rusciano, Accordo del 31 luglio 1992 e contrattazione aziendale, in Gior. Dir. Lav. Rel. Ind., 1993. 55 T. Treu, L’accordo del 23 luglio 1993: assetto contrattuale e struttura della retribuzione, Riv. Giu. Lav. Prev. Soc., 2013, pp. 215 e seguenti.

Legislazione nazionale in tema di produttività  

  51  

2. Il coordinamento della struttura contrattuale e la certezza delle

competenze ad ogni livello;

3. La precisa individuazione dei soggetti titolari dei poteri di rappresentanza e

di contrattazione.

Il Protocollo tende a creare i presupposti e gli strumenti per la stabilizzazione di

uno schema di politica dei redditi concordata e controllata con le parti sociali.

Vengono individuati gli obiettivi e le procedure essenziali per la conduzione della

politica dei redditi56.

Gli obiettivi macroeconomici fondamentali riguardano una più equa distribuzione

delle risorse, la salvaguardia e la crescita dell’occupazione, il controllo del tasso

d’inflazione e la drastica riduzione del deficit e dell’indebitamento pubblico,

secondo i parametri definiti a Maastricht57.

La regolazione delle fonti oltre ad essere procedurale è anche finalistica, perché i

tre attori del sistema (governo, sindacati e imprese) s’impegnano a

comportamenti contrattuali ed economici in linea con gli obiettivi dei paesi più

virtuosi della comunità europea in tema d’inflazione programmata.

E’ in materia di assetto contrattuale che l’accordo del 1993 apporta le innovazioni

potenzialmente più significative: esse introducono una razionalizzazione del

sistema italiano che lo avvicina a quello dei sistemi europei più stabili.

La nuova struttura del sistema contrattuale italiano, dopo il 1993, può essere

definita di “decentramento centralizzato”.

Il primo aspetto da segnalare riguarda la conferma dei due livelli di negoziazione,

l’uno nazionale di categoria e l’altro, alternativamente, aziendale o territoriale, con

esclusione quindi della loro presenza simultanea58 . La scelta fra le due sedi

negoziali decentrate è demandata alla prassi tutt’ora adottata nei diversi settori e

nelle diverse categorie. La conferma dei due livelli contrattuali si accompagna ad

                                                                                                               56 F. Solimene, Il protocollo 23 Luglio 1993 e la riforma della struttura contrattuale; da http://www.4ensicmag.com/diritto-civile/il-protocollo-23-luglio-1993-e-la-riforma-della-struttura-contrattuale, consultato in data 15 ottobre 2014. 57 Il Trattato di Maastricht, o Trattato dell'unione europea è un trattato che è stato firmato il 7 febbraio 1992 a Maastricht dai dodici paesi membri dell'allora Comunità Europea, oggi Unione Europea, che fissa le regole politiche e i parametri economici necessari per l'ingresso dei vari Stati aderenti nella suddetta Unione. È entrato in vigore il 1º novembre 1993. 58 Accordo interconfederale del 23 luglio 1993, sezione seconda (“assetti contrattuali”), primo comma.

Legislazione nazionale in tema di produttività  

  52  

una ridefinizione delle competenze e dei rapporti fra gli stessi, riferita soprattutto

agli istituti che incidono sulla dinamica salariale59.

L’accordo individua per i differenti livelli anche i soggetti collettivi abilitati alla

contrattazione:

1. A livello interconfederale contrattano CGIL, CISL e UIL assieme alle

associazioni di rappresentanza delle imprese (Come Confindustria, Confapi

e Confartigianato); e vengono stipulati accordi interconfederali o i protocolli

d’intesa sulle relazioni industriali riguardanti la generalità dei lavoratori;

2. A livello nazionale di categoria contrattano le categorie nazionali (come

chimici e metalmeccanici) assieme alle relative associazioni imprenditoriali.

Rappresentando i lavoratori di un determinato settore produttivo del

territorio nazionale da questa contrattazione nascono i contratti collettivi

nazionali di lavoro;

3. A livello aziendale vengono prodotti accordi validi per i lavoratori di una

determinata impresa, stipulati tra le rappresentanze sindacali in azienda

che possono essere assistite dal sindacato territoriale o da quello nazionale

di categoria e dal singolo imprenditore (assistito o meno, come per la

controparte sindacale).

La durata dei contratti di categoria è stata differenziata: due anni per la parte

retributiva, quattro anni per quella normativa60.

Altro aspetto importante è che l’accordo pone definitivamente fine al meccanismo

della scala mobile61, in quanto “la dinamica degli effetti economici del contratto

sarà coerente con i tassi di inflazione programmata assunti come obiettivo

comune62”. Venuto meno ogni automatismo salariale con l’accordo del 31 luglio

1992, per salvaguardare il potere d’acquisto delle retribuzioni, si è deciso di

                                                                                                               59 G. Ferraro, Retribuzione e assetto della contrattazione collettiva, in Riv. Ita. Dir. Lav., 2010, I, pp. 693-710. 60 Accordo interconfederale del 23 luglio 1993, sezione seconda (“assetti contrattuali”), secondo comma. 61 La scala mobile, o ufficialmente indennità di contingenza, è uno strumento economico di politica dei salari, volto ad indicizzare automaticamente i salari all'inflazione e all'aumento del costo della vita secondo un indice dei prezzi al consumo. 62 Accordo interconfederale del 23 luglio 1993, sezione seconda (“assetti contrattuali”), secondo comma.

Legislazione nazionale in tema di produttività  

  53  

intensificare la frequenza degli adeguamenti negoziali e di incentivare le parti a

ridurre i tempi di vacanza contrattuale.

L’impegno alla salvaguardia del potere d’acquisto delle retribuzioni, è indicato

esplicitamente come obiettivo nell’accordo del 1992 ed in quello del 1993. Il che

potrebbe porre il problema di un possibile recupero dello scarto registratosi fra

retribuzione ed inflazione reale. Il recupero è assegnato come compito alle

revisioni biennali dei minimi contrattuali, cui è attribuita la funzione di comparare i

livelli di inflazione programmata determinati in base al rinnovo quadriennale con

quelli effettivi del primo biennio, in modo da poter aggiustare la dinamica della

retribuzione per mantenere inalterato il potere di acquisto.

L’accordo esplicita che il mantenimento del potere d’acquisto è da praticare

tenendo conto di variabili, quali: le tendenze generali dell’economia e del mercato

del lavoro; il raffronto competitivo e gli andamenti specifici del settore e le

eventuali variazioni delle ragioni di scambio del paese. A conferma di questo nel

punto 2.3 dell’Accordo del 1993 viene ipotizzata la possibilità di utilizzare margini

di produttività (di settore e non solo di azienda) per riconoscere aumenti

retributivi a livello di contratto collettivo nazionale anche oltre quanto necessario

per mantenere il potere d’acquisto delle retribuzioni63.

Il legame instaurato dall’accordo del 1993 fra retribuzione ed andamenti specifici

di settore introduce un elemento di flessibilità nella funzione retributiva del

contratto di categoria: alla funzione prioritaria di adeguare il reale potere di

acquisto delle retribuzioni viene aggiunta un’eventuale funzione distributiva degli

incrementi di produttività64.

Per tentare di promuovere la regolarità della contrattazione è stata prevista una

“indennità di vacanza contrattuale”. Trascorsi tre mesi dalla scadenza del vecchio

contratto senza che sia stato stipulato il nuovo, deve essere corrisposto un

elemento provvisorio della retribuzione, pari al 30% del tasso d’inflazione

programmata; trascorsi sei mesi tale percentuale sale fino ad un 50% del tasso

d’inflazione programmato. Si ha quindi un meccanismo di parziale rivalutazione

                                                                                                               63 C. Dell’Aringa, in Il Sole 24 Ore, 20 luglio 1993 64 G. Roma, Le funzioni della retribuzione, 1997, Bari, Cacucci.

Legislazione nazionale in tema di produttività  

  54  

delle retribuzioni, da attivare in caso di ritardo nei rinnovi e che dovrebbe avere

una funzione sanzionatoria ed incentivante.

I principi utilizzati per controllare la contrattazione aziendale nell’ordinamento

italiano prima degli anni novanta possono essere riconosciuti nei seguenti due: le

clausole di rinvio, risalenti alla prima stagione della contrattazione articolata65, che

obbligano le parti a contenere la negoziazione decentrata entro materie e limiti

definiti nel contratto nazionale, e il principio di specializzazione, secondo il quale

la contrattazione articolata è lasciata libera di esplicarsi solo nelle materie non

definite a livello nazionale66.

L’accordo del luglio 1993 combina fra loro questi due principi: stabilisce, infatti,

che gli istituti della contrattazione decentrata devono essere diversi e non ripetitivi

rispetto a quelli propri del contratto collettivo nazionale e, per ciò che attiene alla

fissazione delle competenze proprie di ciascun livello, la clausola di

specializzazione, prevede che “la contrattazione aziendale riguarda materie e

istituti diversi e non ripetitivi rispetto a quelli retributivi propri del CCNL”, e pare

concernere solo le materie relative agli istituti retributivi e non tutte le materie. E’

evidente l’opzione a favore di erogazioni aziendali collegate strettamente ad

“incrementi di produttività, di qualità ed ad altri elementi di competitività di cui

le imprese dispongano, compresi i margini di produttività, (…), nonché ai risultati

legati all’andamento economico dell’impresa”67 nell’ambito della realizzazione di

programmi concordati fra le parti.

                                                                                                               65 Prevista in sede di contrattazione collettiva, essa non è altro che la deroga ai rappresentanti di categoria di una determinata azienda, o di una singola zona, a specificare la disciplina convenuta dalle associazioni. La contrattazione articolata sembra aver rilanciato il ruolo centrale dell’impresa, che diviene il nucleo dell’azione conflittuale. Si tratta di una localizzazione della contrattazione che si ripercuote sui contenuti stessi degli accordi. La contrattazione articolala dopo un lento processo di maturazione all’interno delle organizzazioni sindacali che data dal convegno di La Dispoli del 1953, nasceva nel 1962 con il protocollo Intersind-Asap che rinviava all’azienda il contratto nazionale “al fine di dare attuazione ai criteri di ordine generale predeterminati dallo stesso contratto nazionale”, sia pure solo per alcune materie. Il collegamento tra i vari livelli veniva assicurato da clausole di rinvio. Si verifica così un vero e proprio sdoppiamento di livello, quello nazionale da una parte e quello aziendale dall’altra, che coincidono solo sulle strategie generali, ma la cui competenza specifica non è delimitata giuridicamente. Dopo gli accordi del 26 gennaio 1977 e del 22 gennaio 1983 vengono introdotte alcune modifiche: alla bipolarità si affianca l’interconfederalità, e si va istituzionalizzando la diversificazione tra le varie sedi contrattuali. 66 L. Mariucci, La struttura della contrattazione collettiva, Il Mulino, Bologna, 1985, pp. 105. 67 Accordo interconfederale del 23 luglio 1993, sezione seconda (“aspetti contrattuali”), terzo comma.

Legislazione nazionale in tema di produttività  

  55  

Il Protocollo ha previsto la competenza esclusiva della contrattazione aziendale in

tema di quote salariali variabili, che svolgerà una funzione integrativa e

applicativa della contrattazione di categoria.

Le quote flessibili dovranno essere determinate in relazione a parametri predefiniti

dalle parti tenendo conto delle caratteristiche ed esigenze dell’impresa e si

tratterà di premi collegati ai risultati conseguiti nella realizzazione di programmi.

Il legame richiesto dall’accordo fra retribuzione aziendale e risultati di produttività

e competitività non è stato una novità: né nel sistema italiano (infatti era presente

nella contrattazione articolata degli anni ’60), né negli altri sistemi europei.

Nell’accordo in esame troviamo di nuovo l’impegno a differenziare la retribuzione

aziendale per il suo trattamento contributivo previdenziale. Questa soluzione,

voluta fortemente dalle organizzazione imprenditoriali, può essere spiegata dalla

particolare pesantezza degli oneri sociali italiani. E’ sembrato plausibile cominciare

a ridurli partendo da elementi retributivi specifici rispetto ai quali un trattamento

privilegiato si può spiegare, per il particolare legame con la migliorata efficienza e

redditività aziendale; in questo modo si può affermare che essi si autofinanzino,

compensando con un maggiore contributo delle parti all’economia nazionale la

sottrazione di gettito al finanziamento fiscale o contributivo del sistema.

Agganciando gli incentivi retributivi ai risultati conseguiti dall’impresa, non si

determinano pressioni inflazionistiche da costi e, soprattutto, si persegue l’intento

di ridistribuire ai lavoratori le risorse derivanti dagli incrementi aziendali,

favorendo così forme di partecipazione economica dei dipendenti ai risultati

dell’azienda stessa. Ciò implica anche che, almeno in parte, le scelte gestionali

inerenti all’impresa diventino oggetto di istanze di partecipazione e di controllo da

parte dei lavoratori.

E’ interessante notare come nell’accordo venga sottolineato dalle parti che la

contrattazione aziendale ha una sua “funzione specifica ed innovativa”, e che i

vantaggi di questa “possono derivare dall’intero sistema produttivo attraverso il

miglioramento dell’efficienza aziendale e dei risultati di gestione”.

In sede di contrattazione aziendale è prevista la possibilità di fare "valutazioni

congiunte", quindi non limitate alle sole informazioni, delle condizioni dell'impresa

e del lavoro ed è demandata la possibilità di attivare procedure d’informazione,

Legislazione nazionale in tema di produttività  

  56  

consultazione, verifica e contrattazione (prevista da leggi, CCNL, accordi e prassi

vigenti) per la gestione degli effetti sociali connessi alle trasformazioni aziendali

(innovazioni tecnologiche, mutamenti organizzativi, processi di ristrutturazione),

che influiscono sulle condizioni di sicurezza e di lavoro, sulla occupazione e sulle

pari opportunità68.

Gli elementi finora analizzati consentono di fissare le caratteristiche principali della

riforma della struttura contrattuale delineata dall’Accordo. Si può affermare che il

documento ha realizzato un nuovo modello di decentramento, nuovo sia rispetto

a quello di tipo gerarchico introdotto dal sistema di contrattazione articolata, sia

rispetto a quello della contrattazione non vincolata69, tipico degli anni ’70. Nello

stesso tempo si può dire che l’accordo del 1993 ha razionalizzato prassi e

discipline già esistenti, che si sono sedimentate nel tempo, a partire dal Protocollo

Scotti70, sostanzialmente orientate a due scopi: favorire l’adattamento di alcune

discipline alle diverse situazioni aziendali, attraverso le clausole di rinvio; evitare la

rinegoziazione di contenuti che abbiano già formato oggetto di contrattazione ad

altri livelli, attraverso il principio di non-ripetibilità.

Nella stesura del Protocollo le parti hanno disegnato una struttura contrattuale

nella quale sono rispettate le esigenze di compatibilità tra politiche e

comportamenti contrattuali seguiti ai diversi livelli e obiettivi di politica dei redditi.

Questa struttura risulta anche dotata di una certa flessibilità tale da far svolgere

al contratto aziendale quella pluralità di funzioni acquisite nel tempo. Alla

                                                                                                               68 P. Pirani, La contrattazione articolata, in Unione Italiana del Lavoro, da http://www.uil.it/contrattazione/articolata.htm consultato il 18 ottobre 2014. 69 A partire dalla fine degli anni ’60 fino alla prima metà degli anni ’70 ha luogo la contrattazione “non vincolata”. Tale fase è caratterizzata dal ciclo di lotte sindacali degli anni ’69 e ’70 (c.d. “autunno caldo”) e dall’approvazione dello Statuto dei lavoratori. Durante questa fase ciascuno dei due livelli di contrattazione è formalmente autonomo, e la contrattazione aziendale può essere aperta in qualsiasi momento e in qualsiasi sede per qualsiasi materia durante la vigenza del CCNL; vi è quindi un forte decentramento e la fine dell’ordine gerarchico fondato sulle clausole di rinvio e di tregua. Proprio per questi motivi si parla di contrattazione “non vincolata”. 70 Il Protocollo Scotti è un accordo firmato nella notte del 22 gennaio 1983 fra governo CGIL-CISL-UIL e Confindustria. L'accordo prende il nome dal ministro del lavoro e della previdenza sociale Vincenzo Scotti che condusse la trattativa durata un anno e mezzo e che infine appose la firma per conto del governo. L'accordo si compone di 14 punti che affrontano molti temi: fisco, assegni familiari, assistenza sanitaria, tariffe e prezzi amministrati, scala mobile, orari di lavoro, rinnovi contrattuali, mercato del lavoro, cassa integrazione, fiscalizzazione degli oneri sociali. L'obiettivo principale era di combattere l'inflazione e la sua spirale molto forte nei primi anni ottanta. Tutte le parti si impegnavano, rispettando l'accordo, ad operare in modo da ridurre il tasso d'inflazione al 13% nel 1983 e al 10% nel 1984.

Legislazione nazionale in tema di produttività  

  57  

contrattazione di secondo livello, infatti, è riconosciuto anche un ruolo autonomo

e specializzato su certe materie (premi di produttività e/o redditività; innovazioni

tecnologiche ed organizzative del lavoro), oltre al tradizionale ruolo di gestione ed

applicazione delle normative generali, che necessitano di essere adeguate alle

specifiche caratteristiche ed esigenze di ogni unità produttiva (inquadramento,

orario, pari opportunità , ambiente di lavoro).

Con il Protocollo del 23 Luglio 1993, inoltre, sulla politica dei redditi e

dell’occupazione, degli assetti contrattuali, sulle politiche del lavoro e sul sostegno

al sistema produttivo, il Governo e le parti sociali hanno recepito i suggerimenti

forniti dalla Raccomandazione del Consiglio CE, a loro volta ispirati da prassi

contrattuali consolidate a livello europeo71.

Il sistema disegnato dall’accordo del 1993 presenta significative novità anche

strumentali rispetto a quelle del decennio precedente: una definizione completa

dell’assetto contrattuale, che comprende la procedimentalizzazione-

programmazione della contrattazione nazionale e un controllo preciso sulla

contrattazione decentrata, nonché un riconoscimento, con regolazione, degli attori

sindacali periferici.

Quanto specificato fino ad ora relativamente al contenuto dell’accordo del 23

luglio 1993 è di interesse per questo elaborato di tesi perché con la contrattazione

aziendale si è cercato di promuovere la parte retributiva legata all’aumento della

produttività dell’azienda e al miglioramento delle pratiche interne al processo

produttivo. Tra i contenuti dell’accordo in esame non sono presenti strumenti volti

solamente all’aumento e alla promozione della produttività del lavoro, ma

considerevole spazio è dedicato al sostegno del sistema produttivo ed anche alla

crescita della produttività totale dei fattori.

Come specificato nel primo capitolo di questo elaborato, la produttività totale dei

fattori contribuisce all’aumento della produttività in generale dell’azienda, e nella

quarta parte dell’accordo (sostegno al sistema produttivo) il primo comma è

dedicato al sostegno della ricerca e dell’innovazione tecnologica.

                                                                                                               71 M. Regini, Le politiche nazionali di regolazione salariale in Europa, in Gior. Dir. Lav. Rel. Ind., 1991.

Legislazione nazionale in tema di produttività  

  58  

Il Protocollo riconosce come “condizione essenziale per la competitività dei sistemi

economico-industriali dell’Italia e dell’Europa72” un più intenso e diffuso progresso

tecnologico.

Per le parti stipulanti l’accordo, di fondamentale importanza è aiutare e valorizzare

tutte le strutture che operano nel campo della ricerca sul territorio nazionale, sia

quelle pubbliche (Università, CNR, ENEA), sia quelle private e aziendali. Per

questo, tra gli obiettivi di politica di redditi dell’accordo rientrano “la creazione di

adeguati margini nei conti economici delle imprese per le risorse finalizzate a

sostenere i costi della ricerca”.

Viene proposto quindi un aumento delle risorse destinate all’attività di ricerca e

all’innovazione e l’introduzione di nuove misure automatiche di carattere fiscale e

contributivo per promuovere la ricerca tramite la defiscalizzazione delle spese

finalizzate a questa attività.

Sempre in tema di produttività totale dei fattori, l’accordo in esame esprime

l’esigenza di un più stretto contatto tra mondo universitario e mondo delle

imprese per favorire la nascita e lo sviluppo di risorse umane composte da nuclei

di ricercatori che possano generare una fertilizzazione tra innovazione e prodotti,

ponendo una particolare attenzione anche ai processi di sviluppo delle piccole e

medie imprese.

1.2 L’accordo quadro del 22 gennaio 2009.

Il Protocollo del 1993 è stato sostituito dall’accordo quadro del 22 gennaio

2009 e successivamente dagli accordi interconfederali emanati in sua

attuazione73 , che hanno confermato in via generale i contenuti presenti nel

sistema precedente, includendo però delle modifiche destinate a rafforzare il

                                                                                                               72 Accordo interconfederale 23 luglio 1993, sezione quarta (“sostegno al sistema produttivo”), primo comma. 73 Sono da menzionale l’A. I. 15 aprile 2009 per il settore industriale, l’A.I. Confservizi del novembre 2009 e l’A.I. del settore agricolo del 22 settembre 2009. In questo elaborato, se non diversamente specificato quando si farà riferimento all’accordo interconfederale del 2009 sarà a riferimento di quello del settore industriale.

Legislazione nazionale in tema di produttività  

  59  

secondo livello contrattuale, dato che in seguito all’accordo del 1993 quest’ultimo

era ripartito, ma mai del tutto decollato74.

L’accordo del 22 gennaio 2009 viene firmato dalle associazioni imprenditoriali,

assieme a CISL, UIL, UGL e Governo75, e riforma le procedure, le fasi e i tempi

della contrattazione collettiva, sostituendosi all’accordo del luglio 1993, e

applicandosi sia al settore privato sia al settore pubblico per quattro anni in via

sperimentale. L’obiettivo dell’accordo in esame è quello dello “sviluppo economico

e della crescita occupazionale fondata sull’aumento della produttività, l’efficiente

dinamica retributiva e il miglioramento di prodotti e servizi resi alle pubbliche

amministrazioni”.

L’assetto della contrattazione collettiva viene confermato su due livelli e viene

però modificata la durata del contratto collettivo nazionale di categoria, che

diventa triennale sia per la parte economica sia per la parte normativa.

Il contratto collettivo nazionale di categoria ha la “funzione di garantire la certezza

dei trattamenti economici e normativi comuni per tutti i lavoratori del settore

ovunque impiegati nel territorio nazionale” 76 ; “regola il sistema di relazioni

industriali a livello nazionale, territoriale e aziendale o di pubblica

amministrazione” 77 ; “può definire ulteriori forme di bilateralità per il

funzionamento di servizi integrativi di walfare” 78 . Allo stesso tempo la

contrattazione di secondo livello “si esercita per le materie delegate, in tutto o in

parte, dal contratto nazionale o dalla legge e deve riguardare materie ed istituti

che non siano già stati negoziati in altri livelli di contrattazione”79.

                                                                                                               74 C. Zoli, Struttura della contrattazione collettiva e rapporti fra contratti collettivi di diverso livello, in Istituzioni e regole del lavoro flessibile, a cura di M. Rusciano, C. Zoli, e L. Zoppoli, 2006, Napoli, Editoriale Scientifica, pp. 301 e seguenti. A. Lassandri, Contrattazione collettiva e produttività: cronaca di evocazioni (ripetute) e di incontri (mancati), in Riv. Giu. Lav. Prev. Soc., 2009, vol,. 2, pp. 299-333. 75 L’accordo non è stato firmato dalla CGIL, la quale, nel proprio commento, scriver che “la costruzione di questa intesa separata contiene un’esplicita volontà di esclusione della CGIL”. Per questo motivo questo sindacato rivendicava ancora l’applicazione del protocollo del 1993. L’unitarietà delle parti sindacali è stata raggiunta di nuovo con la sottoscrizione dell’accordo interconfederale del 28 giugno 2011, dove le diverse confederazioni ribadiscono l’importanza di una regolazione del sistema di relazioni industriali condiviso. 76 Accordo quadro 22 gennaio 2009, pag 2, punto secondo. 77 Accordo quadro 22 gennaio 2009, pag 4, punto terzo. 78 Accordo quadro 22 gennaio 2009, pag 4, punto quarto. 79 Accordo quadro 22 gennaio 2009, pag 5, punto undicesimo.

Legislazione nazionale in tema di produttività  

  60  

Sempre in relazione al secondo livello di contrattazione, il punto 9 dell’accordo in

esame specifica che “le parti confermano la necessità che vengano incrementate

(…) tutte le misure volte ad incentivare, in termini di riduzione di tasse e

contributi, la contrattazione di secondo livello”, dato che questa “collega incentivi

economici al raggiungimento di obiettivi di produttività, reddittività, qualità,

competitività nonché ai risultati legati all’andamento economico delle imprese,

concordati fra le parti”80.

L’accordo interconfederale del 15 aprile 2009 in modo specifico riduce il ruolo

dell’accordo nazionale in materia retributiva con il fine di favorire lo sviluppo e la

diffusione del secondo livello di contrattazione; infatti, a livello nazionale viene

riconosciuto solamente il compito di salvaguardare il potere d’acquisto delle

retribuzioni81, mentre al secondo livello contrattuale viene affidato quello di far

crescere la retribuzione in termini reali. Relativamente a questo argomento le

parti nel Protocollo del 1993 erano arrivate ad una soluzione differente: grazie

soprattutto alla scarsa diffusione della contrattazione aziendale e territoriale, il

contratto collettivo nazionale non doveva solamente adeguare le retribuzioni ai

cambiamenti del costo della vita, ma poteva anche distribuire ai lavoratori margini

di produttività raggiunti in un determinato settore e in questo modo determinare

degli aumenti reali dei trattamenti economici.

Per quanto riguarda la definizione di secondo livello, anche in questo accordo le

parti confermano l’alternatività della contrattazione aziendale e territoriale. Forse

le parti hanno compiuto la scelta di destinare la facoltà e il compito di poter

accrescere in termini reali la retribuzione solo al secondo livello di contrattazione

per favorire la diffusione di questa tipologia di contratto.

Il parziale fallimento dell’accordo del 1993 è riconducibile proprio al fatto di non

essere riuscito a creare un sistema di contrattazione realmente basato sui due

livelli, questo anche grazie alla scelta di molti contratti nazionali di prevedere la

contrattazione solamente aziendale 82 , senza aver promosso quella di natura

                                                                                                               80 Accordo quadro 22 gennaio 2009, pag 4, punto nono. 81 T. Treu, Le forme retributive incentivanti, in Riv. Ita. Dir. Lav., 2010, Vol. 1, pp. 640-652. 82 A. Lassandri, La contrattazione collettiva: prove di de-costruzione di un sistema, in Lav. Dir., 2011, vol.2, pp. 326 e seguenti.

Legislazione nazionale in tema di produttività  

  61  

territoriale83. Con riferimento alla dimensione delle aziende presenti sul territorio

italiano, dove prevalgono imprese di piccole dimensioni o medio-piccole, la

contrattazione aziendale è un costo difficilmente sostenibile e per questo motivo

questa tipologia di contrattazione non ha preso piede, poiché comporta costi

maggiori rispetto ai benefici che produce. Forse una promozione della

contrattazione territoriale porterebbe ad un uso più ampio del secondo livello, ma

gli accordi del 2009, ribadendo la presenza alternativa di contrattazione aziendale

o territoriale, non hanno compiuto alcun passo in questa direzione84.

In materia di retribuzione variabile, come precedentemente anticipato, è stata

confermata la competenza esclusiva del contratto collettivo di secondo livello.

L’accordo interconfederale del 2009, in parte diversamente da quanto previsto

dall’accordo del 1993, afferma che “il premio variabile sarà calcolato con

riferimento ai risultati conseguiti nella realizzazione di programmi, concordati fra

le parti, aventi come obiettivo incrementi di produttività, di qualità, di reddittività,

di efficacia, di innovazione, di efficienza organizzativa ed altri elementi rilevanti ai

fini del miglioramento della competitività aziendale nonché ai risultati legati

all’andamento economico dell’impresa”85. Secondo parte della dottrina86, questa

definizione non porta ad una destinazione meritocratica e selettiva della

retribuzione variabile, poiché con la valorizzazione delle accezioni “competitività

aziendale” e “all’andamento economico dell’impresa” si tenderebbe a premiare la

totalità dei lavoratori grazie all’andamento positivo dell’azienda in generale.

Secondo altra interpretazione87, invece, la formula dell’accordo interconfederale

del 2009 è in grado di coprire tutti i sistemi di retribuzione variabile, legati sia ai

                                                                                                               83 La contrattazione territoriale ha continuato a svilupparsi nei settori in cui da sempre è stata presente, come il settore dell’edilizia e dell’agricoltura. R. Voza, Effettività e competenze della contrattazione decentrata nel lavoro alla luce degli accordi del 2009, in Gior. Dir. Lav. Rel. Ind., 2010, vol. 2, pp. 362-375. 84 R. Voza, 2010, opera citata; M. Rusciano, Livelli di contrattazione e trattamenti retributivi, in Studi in onore di Tiziano Treu, Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano, Istituto giuridico, 2011, pp. 571-583. 85 Accordo interconfederale 15 aprile 2009, parte terza, punto terzo. 86 A. Maresca, Le forme storiche di trattamento retributivo: a tempo, a cottimo e con partecipazione agli utili, testo provvisorio dell’intervento tenuto il 22 aprile 2010, presso L’Accademia Nazionale dei Lincei, Roma. M. Vitaletti, La retribuzione c.d. di produttività nella nuova contrattazione aziendale: questioni ed esiti, in Lav. Dir., 2011, vol.4, pp. 689-702. 87 T. Treu, Le forme retributive incentivanti, in Riv. Ita. Dir. Lav., 2010, Vol. 1, pp. 640-652.

Legislazione nazionale in tema di produttività  

  62  

caratteri della prestazione del singolo lavoratore sia ai parametri di risultato

dell’impresa in generale.

Sicuramente la formulazione di questo paragrafo dell’accordo del 2009 è meno

chiara rispetto alla formulazione della stessa materia contenuta nel protocollo del

1993, questo potrebbe essere dovuto alla debolezza delle confederazioni sindacali

derivante dalla non unità di azione. La forza in questo modo acquistata da

Confindustria può aver portato a rendere più incerta la formulazione della

disposizione per far prevalere l’interpretazione più aziendalistica di retribuzione

variabile, notoriamente preferita dai datori di lavoro.

Un aspetto la cui importanza è sottolineata dall’accordo è la collaborazione tra

datore di lavoro e rappresentanti sindacali; infatti queste parti devono effettuare

incontri preventivi per vagliare “le condizioni produttive ed occupazionali e le

relative prospettive”88 dell’impresa affinché i sindacati dei lavoratori siano nelle

condizioni di contrattare in modo effettivo gli obiettivi della retribuzione variabile

con la controparte. Dopo questo scambio di informazioni è prevista l’apertura

della contrattazione del premio di risultato.

Per mezzo di queste previsioni, l’accordo interconfederale del 2009 ed i contratti

collettivi a livello nazionale o aziendale, procedimentalizzano i poteri datoriali per

favorire il consenso delle parti sulla regolamentazione dei premi di risultato e per

evitare che la retribuzione variabile divenga causa di crescita di conflittualità fra di

esse: per raggiungere tale obiettivo è fondamentale migliorare la trasparenza e la

partecipazione nella formazione del sistema89.

Gli accordi del 2009 assieme all’accordo interconfederale del 28 giugno 2011, che

sarà oggetto di analisi in un paragrafo successivo di questo elaborato,

confermando quanto già previsto dal protocollo del 1993, riconoscono alla

contrattazione collettiva di secondo livello la competenza a disciplinare la

                                                                                                               88 Accordo interconfederale 15 aprile 2009, paragrafo 3.3. 89 Secondo gran parte degli studi di organizzazione aziendale è di fondamentale importanza per il funzionamento del sistema incentivante che i valutati o i loro rappresentanti siano coinvolti nel processo di fissazione degli obiettivi. In questo modo si permette ai lavoratori di capire a pieno il funzionamento del sistema, base fondamentale perché esso svolga la sua funzione incentivante e non determini una crescita del contenzioso fra le parti. R. Mercurio e V. Esposito, La valutazione delle strutture: il punto di vista dello studioso di organizzazione, in Ideologia e tecnica nella riforma del lavoro pubblico, a cura di L. Zoppoli, 2009, Napoli, Editoriale scientifica, pp. 224 e seguenti.

Legislazione nazionale in tema di produttività  

  63  

retribuzione variabile. La diffusione del contratto aziendale e territoriale è il

presupposto per la regolamentazione dei premi di risultato ed è divenuta più

urgente in seguito alla riduzione del ruolo del contratto nazionale in materia

retributiva.

L’accordo interconfederale del 15 aprile 2009 constatato il fatto che il protocollo

del 1993 non era riuscito nell’obiettivo di promuovere la diffusione del contratto di

secondo livello, introduce l’elemento economico di garanzia retributiva, le clausole

di uscita dal contratto nazionale e le linee guida per la retribuzione variabile per

perseguire tale intento. Relativamente alle clausole di uscita verrà analizzata

successivamente la regolamentazione dell’accordo del 28 giugno 2011 che ha

modificato la disciplina del 2009.

Il contratto nazionale deve regolare un elemento economico di garanzia

retributiva90 che consiste in un importo da riconoscere in cifra fissa a favore dei

lavoratori dipendenti di aziende che non hanno contrattazione di secondo livello e

dei prestatori che “non percepiscono altri trattamenti economici individuali o

collettivi oltre a quanto spettante per contratto collettivo nazionale di categoria”91.

L’elemento di garanzia non sembra in grado di raggiungere l’obiettivo che le parti

sociali si erano proposte 92 visto che i sindacati ne hanno ammesso la non

applicazione non solo quando i lavoratori ricevono trattamenti economici

aggiuntivi rispetto a quelli previsti dal contratto nazionale, ma anche quando

questi percepiscono incrementi della retribuzione a livello individuale in imprese

che non hanno accordo di secondo livello. Un superminimo di qualsiasi entità

comporta la disapplicazione dell’elemento di garanzia poiché l’accordo del 2009

non precisa a quanto debba ammontare l’erogazione individuale per comportarne

la disapplicazione. In questo modo non si crea un interesse per le imprese a

sperimentare la contrattazione aziendale, che prevede un confronto con le

                                                                                                               90 R. Voza, Effettività e competenze della contrattazione decentrata nel lavoro privato alla luce degli accordi del 2009, in Gior. Dir. Lav. Rel. Ind., 2010, vol.2, p. 376; G. Ferraro, Retribuzione e assetto della contrattazione collettiva, in Riv. Ita. Dir. Lav., 2010, vol. 1, p. 709; A. Lassandri, Contrattazione collettiva e produttività: cronaca di evocazioni (ripetute) e di incontri (mancati), in Riv. Giu. Lav. Rel. Ind., 2009, vol. 2, p. 329. 91 Accordo interconfederale 15 aprile 2009, paragrafo 4.1. 92 Nell’accordo interconfederale del 15 aprile 2009 l’elemento economico di garanzia viene introdotto “ai fini dell’effettività della diffusione della contrattazione di secondo livello”.

Legislazione nazionale in tema di produttività  

  64  

organizzazioni sindacali e rappresenta un costo, sia in termini di risorse

economiche che di tempo investito per raggiungere l’intesa, ma si rende sempre

più appetibile “la dimensione dell’unilateralità gestionale” 93 . L’elemento di

garanzia retributiva avrebbe incentivato la contrattazione di secondo livello solo

nel caso in cui questo fosse stato fissato pari a una cifra elevata. In questo caso,

molte imprese avrebbero preferito attivare la contrattazione aziendale per rendere

aleatoria l’erogazione della parte aggiuntiva della retribuzione piuttosto che avere

per certa l’erogazione di una somma cospicua a tutti i dipendenti. Questa

soluzione però rischiava di incentivare le imprese ad uscire dal sistema di

contrattazione nazionale per non dover applicare un trattamento economico

notevolmente superiore ai minimi retributivi. Il problema è stato risolto dai

contratti nazionali rinnovati dopo gli accordi del 2009 che hanno previsto

l’erogazione di elementi di garanzia modesti, attestati in media intorno ai 200

euro lordi per anno94. E’ difficile pensare che le imprese abbiano interesse ad

attivare il secondo livello di contrattazione collettiva per non erogare somme così

ridotte.

Il paragrafo 3.4 dell’accordo interconfederale del 2009 riconosce alle parti

stipulanti il contratto nazionale la possibilità di concordare linee guida per il

premio variabile che saranno “adottabili e/o riadattabili in funzione delle concrete

esigenze delle imprese”95.

Nonostante l’accordo del 23 luglio 1993 non contenesse una previsione di questo

genere, gran parte degli accordi nazionali aveva predisposto una

regolamentazione dei premi di risultato al fine di favorire, e allo stesso tempo

rendere più semplice, la contrattazione aziendale e territoriale. Questa scelta

nasceva dal fatto che molte volte il mancato raggiungimento dell’accordo di

                                                                                                               93 A. Lassandri, Contrattazione collettiva e produttività: cronaca di evocazioni (ripetute) e di incontri (mancati), in Riv. Giu. Lav. Rel. Ind., 2009, vol. 2, p. 331. 94 Il ccnl delle industrie alimentari dell’11 dicembre 2009 prevede l’erogazione, a titolo di elementi di garanzia retributiva, di somme che variano da €16 a €37 mensili a seconda del livello di inquadramento del lavoratore; in modo analogo il ccnl delle industrie del settore chimico-farmaceutico del 27 maggio 2010 regola l’attribuzione dell’elemento di garanzia in somme che vanno da €18 a €34 sempre a secondo del livello di inquadramento dei lavoratori; il ccnl delle industrie della carta del 4 novembre 2009 prevede l’erogazione di un elemento di garanzia retributiva di €250 annui lordi per i lavoratori a cui non vengono garantiti aumenti retributivi rispetto a quelli del contratto nazionale. 95 Accordo Interconfederale 15 aprile 2009, paragrafo 3.4.

Legislazione nazionale in tema di produttività  

  65  

secondo livello sui premi di risultato dipendeva dalla inadeguata preparazione dei

rappresentanti sindacali dei lavoratori, che non avevano le conoscenze per

svolgere una contrattazione effettiva e consapevole degli obiettivi da cui far

dipendere l’erogazione del premio96.

Le parti sindacali nel 2009 hanno recepito e regolato questa prassi nell’intento di

favorire la diffusione della contrattazione aziendale con contenuti economici, in

particolare nelle imprese di minori dimensioni.

Le linee guida fissate nel contratto di categoria sono adottabili dal contratto

aziendale senza alcuna modifica, ma anche riadattabili in relazione alle specifiche

esigenze aziendali.

1.3 L’accordo interconfederale del 28 giugno 2011.

Tale accordo viene concluso, a differenza di quello precedente, da

Confindustria e CGIL, CISL e UIL97, segnando in questo modo la ripresa del

dialogo tra le parti sociali; l’obiettivo è quello di delineare nuove regole che siano

condivise in tema di rappresentatività delle organizzazioni sindacali e dei

lavoratori, e di rafforzare il sistema di relazioni industriali in vista di una maggiore

condivisione.

Se, da un lato, viene ribadito il ruolo del contratto collettivo nazionale, che ha la

“funzione di garantire la certezza dei trattamenti economici e normativi comuni

per tutti i lavoratori del settore ovunque impiegati nel territorio nazionale”98;

dall’altro si afferma l’”obiettivo di favorire lo sviluppo e la diffusione della

contrattazione collettiva di secondo livello”99, la quale si “esercita per le materie

delegate, in tutto o in parte, dal CCNL di categoria o dalla legge”100.

Il succedersi dei due accordi interconfederali, quello del 2009 e quello del 2011,

ha portato la dottrina101 ad interrogarsi sui rapporti fra di essi. La vigenza delle

                                                                                                               96 L. Bellardi, Obiettivi, discipline e buone pratiche dei contratti di secondo livello: una breve rassegna, in Dir. Lav. Mer., 2008, vol.1, pp 187-204 97 L’accordo verrà ratificato il 21 settembre 2011. 98 Accordo interconfederale 28 giugno 2011, pag. 2, punto secondo. 99 Accordo interconfederale 28 giugno 2011, pag. 1. 100 Accordo interconfederale 28 giugno 2011, pag. 2, punto terzo. 101 C. Zoli, L’accordo interconfederale del 28 giugno 2011, saggio sulla relazione tenuta al Seminario di Bertinoro, Bologna, 26-27 ottobre 2011, sul tema “All’inseguimento di un “Sistema stabile ed effettivo: dall’Accordo Interconfederale del 28 giugno 2011 all’art.8 della legge di conversione del D.L. n° 138/2011”;

Legislazione nazionale in tema di produttività  

  66  

intese del 1993 e del 2009 rimane ad oggi controversa102, in quanto l’accordo

interconfederale del 28 giugno 2011 non interviene su una serie di questioni

regolate dai precedenti accordi; per quanto interessa ai fini della presente analisi,

l’accordo del 2011 non disciplina la retribuzione variabile, anche se è richiamata

nel paragrafo 8, e l’elemento economico di garanzia retributiva. Per questi aspetti

si ritiene vigente l’accordo del 2009, in quanto la disciplina qui contenuta “non

sembra singolarmente incompatibile con le misure concordate nel 2011”103.

Come precedentemente anticipato, l’accordo interconfederale del 2011 ha

cambiato le regole riguardanti le clausole d’uscita già regolate dall’accordo del

2009. Attraverso le clausole di uscita i contratti collettivi nazionali possono

consentire agli accordi aziendali 104 di modificare, anche temporaneamente, le

disposizioni presenti nel contratto nazionale105.

Secondo l’accordo, le deroghe sono consentite in via generale, nei limiti e con le

procedure fissate nei contratti collettivi nazionali. Questo accordo ha ampliato di

molto la facoltà del contratto nazionale di disciplinare le clausole di uscita perché

ha delegato a quest’ultimo la competenza di fissare i limiti e le procedure che gli

accordi aziendali devono rispettare: le confederazioni non impongono più al

contratto nazionale di fissare i parametri oggettivi sulla base dei quali gli accordi

aziendali eserciteranno il potere di deroga e non individuano più precedentemente

le materie entro le quali questa facoltà modificativa è conferita.

L’accordo del 2011, in attesa dei rinnovi degli accordi nazionali che hanno

competenza a modificare e regolare la materia, ha introdotto una disciplina

provvisoria delle clausole di uscita secondo la quale sono ammesse le deroghe per

“gestire situazioni di crisi o in presenza di investimenti significativi per favorire lo

sviluppo economico ed occupazionale dell’impresa” 106 . Le modificazioni sono

permesse solo in materia di prestazione lavorativa, orari di lavoro e

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                             F. Carinci, L’accordo interconfederale del 28 giugno 2011: armistizio o pace, in Arg. Dir. Lav., 2011, pp. 457-462. 102 C. Zoli, L’accordo interconfederale.., opera citata, 2011, p. 6. 103 C. Zoli, L’accordo interconfederale.., opera citata, 2011, p. 7. 104 L’accordo del 15 aprile 2009 prevedeva che le clausole di uscita dovessero essere contenute negli accordi territoriali, mentre l’accordo del 2011 ha conferito tale potere agli accordi aziendali. 105 Accordo interconfederale 28 giugno 2011, paragrafo 7. 106 L’accordo del 15 aprile 2009 ammetteva le deroghe in generale per “favorire lo sviluppo occupazionale”, l’accordo del 28 giugno 2011 restringe il campo d’azione e richiede la presenza di “investimenti significativi”. C. Zoli, L’accordo interconfederale.., opera citata, 2011, p. 11.

Legislazione nazionale in tema di produttività  

  67  

organizzazione del lavoro, non più in apertamente in ogni ambito economico e

normativo come previsto dall’accordo del 2009.

Dopo il punto 7 dell’accordo è importante analizzare il punto successivo, il numero

8, dove le parti richiedono un intervento del Governo per “incrementare, rendere

strutturali, certe e facilmente accessibili tutte le misure volte ad incentivare, in

termini di riduzione di tasse e contributi, la contrattazione di secondo livello”107, in

quanto proprio questa “collega aumenti di retribuzione al raggiungimento di

obiettivi di produttività, redditività, qualità, efficacia ed altri elementi rilevanti ai

fini del miglioramento della competitività nonché ai risultati legati all’andamento

economico delle imprese”.

1.4 L’art. 8 della Legge n. 148/2011.

Il momento economico in cui si inserisce l’articolo 8 della L. n. 148/2011108

è caratterizzato sia dalla crisi economica sia dalla crisi di governo.

Tale articolo apre il titolo III denominato “misure a sostegno dell’occupazione.

Non a caso l’art. 8 a sua volta è denominato “sostegno alla contrattazione di

prossimità”, visto che questa è considerata dal legislatore quella più “prossima”

alle esigenze delle parti ed è quella che maggiormente corrisponde ai loro

interessi109.

Questo articolo è considerato una novità assoluta nel sistema italiano di relazioni

sindacali dal momento che il legislatore, con il fine di promuovere il secondo

livello di contrattazione, riconosce ai contratti aziendali e territoriali la facoltà di

derogare agli accordi nazionali ed anche alla legge110.

                                                                                                               107 Accordo interconfederale 28 giugno 2011, paragrafo 8. 108 Precedentemente art. 8 della manovra economica bis di agosto, Decreto Legge 13 agosto 2011 n. 138, convertito in legge con modificazioni in settembre, Legge 14 settembre 2011 n. 148; (“ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo”) http://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:decreto.legge:2011;138; e (“conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 13 agosto 2011, n.138, recante ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo. Delega al Governo per la riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari”) http://www.normattiva.it/uri.res/N2Ls?urn:nir:stato:legge:2011;148. 109 G. Ferraro, Il contratto collettivo oggi dopo l’art. 8 del decreto 138/2011, WP CSDLE “Massimo D’Antona” n.129/2011. 110 A. Perulli e V. Speziale, L’articolo 8 della legge 14 settembre 2011, n.148 e la “rivoluzione d’agosto” del diritto del lavoro, in WP CSDLE “Massimo D’Antona” 132/2011; F. Carinci, Al capezzale del sistema contrattuale: il giudice, il sindacato, il legislatore, in WP CSDLE “Massimo D’Antona”, n.133/2011.

Legislazione nazionale in tema di produttività  

  68  

I commi 1, 2 e 2-bis introducono “uno strumento giuridico opzionale attraverso il

quale le parti sociali possono creare un diritto del lavoro di prossimità, anche in

deroga a quello nazionale vigente”111.

Per il comma 1 “i contratti collettivi sottoscritti a livello aziendale o territoriale (…)

possono realizzare specifiche intese”; tali contratti possono essere stipulati da

“associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano

nazionale o territoriale ovvero dalle loro rappresentanze sindacali operanti in

azienda ai sensi della normativa di legge e degli accordi interconfederali”112, in

questo modo dette intese avranno efficacia relativamente a tutti i lavoratori

subordinati interessati se “sottoscritte sulla base di un criterio maggioritario

relativo alle predette rappresentanze sindacali”.

Le intese in esame possono essere stipulate solo se “finalizzate alla maggiore

occupazione, alla qualità dei contratti di lavoro, all’adozione di forme di

partecipazione dei lavoratori, alla emersione del lavoro irregolare, agli incrementi

di competitività e di salario, alla gestione delle crisi aziendali e occupazionali, agli

investimenti e all’avvio di nuove attività”. Nell’elencazione delle situazioni in cui è

possibile stipulare tali accordi viene richiamato in parte quanto già previsto

dall’accordo interconfederale del 2009, ma rispetto a questo l’art. 8 si differenzia

poiché da una parte, l’elenco sembra essere tassativo e non esemplificativo, e

dall’altra, gli obiettivi sono indirizzati sia alla ricerca del miglioramento della

competitività sia a una serie di aspetti che hanno a che fare con profili di

sistema113.

Il comma 2 prevede l’elencazione delle materie nelle quali gli accordi di prossimità

possono modificare le norme di legge e il contratto nazionale che riguardano

“materie inerenti l’organizzazione del lavoro e della produzione”114.

                                                                                                               62 E. Ales, Dal “caso FIAT” al “caso Italia”. Il diritto del lavoro ”di prossimità”, le sue scaturigini e i suoi limiti costituzionali, in WP CSDLE “Massimo D’Antona”, 2011, p. 17. 112 Art. 8 Legge 14 settembre 2011, n. 148, comma 1. 113 Come la “qualità dei contratti di lavoro, l’adozione di forme di partecipazione dei lavoratori, l’emersione del lavoro irregolare”, da E. Ales, Dal “caso FIAT” al “caso Italia”. Il diritto del lavoro ”di prossimità”, le sue scaturigini e i suoi limiti costituzionali, in WP CSDLE “Massimo D’Antona”, 2011, p. 20. 114 Troviamo un lungo elenco di materie da considerarsi tassativo: “a) agli impianti audiovisivi e alla introduzione di nuove tecnologie; b) alle mansioni del lavoratore, alla classificazione e inquadramento del personale; c) ai contratti a termine, ai contratti a orario ridotto, modulato o flessibile, al regime della solidarietà negli appalti e ai casi di ricorso alla somministrazione di

Legislazione nazionale in tema di produttività  

  69  

Il comma 2-bis dell’art. 8, aggiunto in sede di conversione115, prevede che “fermo

restando il rispetto della Costituzione, nonché i vincoli derivanti dalle normative

comunitarie e dalle convenzioni internazionali sul lavoro, le specifiche intese di cui

al comma 1 operano anche in deroga alle disposizioni di legge che disciplinano le

materie richiamate dal comma 2 ed alle relative regolamentazioni contenute nei

contratti collettivi nazionali di lavoro”. Questo comma è stato quello che ha

suscitato le maggiori critiche, poiché “si tratta di una disposizione di delega

derogatoria senza precedenti nella storia del nostro ordinamento, pur da tempo

abituato al rinvio legale della contrattazione collettiva”116.

In questo modo la legge conferisce potestà derogatoria all’accordo di prossimità

che assume efficacia erga omnes, si trova in una posizione superiore rispetto al

contratto collettivo nazionale e si riscontra un “capovolgimento del sistema

contrattuale, riconsiderato bottom-top”117.

E’ da sottolineare però che solamente nel caso in cui vengano soddisfatti entrambi

i requisiti stabiliti dai commi 2 e 2-bis potrà riconoscersi ai contratti di prossimità

una portata erga omnes e la possibilità di prevedere deroghe alla legge e alla

contrattazione collettiva nazionale. La necessità di verificare il rispetto di tali

requisiti apre, quindi, la strada al controllo giudiziario delle intese stipulate ai sensi

dell'art. 8, sia in ordine all'adeguatezza causale e di proporzionalità della misura

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                             lavoro; d) alla disciplina dell’orario di lavoro; e) alle modalità di assunzione e disciplina del rapporto di lavoro, comprese le collaborazioni coordinate e continuative a progetto e le partite IVA, alla trasformazione e conversione dei contratti di lavoro e alle conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro, fatta eccezione per il licenziamento discriminatorio, il licenziamento della lavoratrice in concomitanza del matrimonio, il licenziamento della lavoratrice dall’inizio del periodo di gravidanza fino al termine dei periodi di interdizione al lavoro, nonché fino ad un anno di età del bambino, il licenziamento causato dalla domanda o dalla fruizione del congedo parentale e per la malattia del bambino da parte della lavoratrice o del lavoratore ed il licenziamento in caso di adozione o affidamento. 115 Dato che, secondo Garilli, il D.L. n. 138 del 2011 “non contenendo la deroga espressa (in peggio) lasciava adito al dubbio se la disposizione si limitasse al conferimento dell’efficacia erga omnes della disciplina inerente le materie indicate senza interferire sulla gerarchia delle fonti e sui rapporti tra i livelli di contrattazione”, A. Garilli, L’art. 8 della legge n. 148/2011 nel sistema delle relazioni sindacali, WP CSDLE “Massimo D’Antona”, 2011, p.6. 116 E. Ales, Dal “caso FIAT” al “caso Italia”. Il diritto del lavoro ”di prossimità”, le sue scaturigini e i suoi limiti costituzionali, in WP CSDLE “Massimo D’Antona”, 2011, p. 21. 117 F. Carinci, Al capezzale del sistema contrattuale: il giudice, il sindacato, il legislatore, in WP CSDLE “Massimo D’Antona”, n.133/2011, 2011, p. 34.

Legislazione nazionale in tema di produttività  

  70  

adottata in funzione dell'obiettivo prefissato sia con riguardo al rispetto dei

principi costituzionali e delle convenzioni internazionali118.

1.5 L’accordo interconfederale del 21 novembre 2012.

Il 21 novembre 2012, Confindustria, Alleanza delle Cooperative Italiane,

Rete Impresa Italia, Abi, Ania, Cisl, Uil e Ugl hanno firmato l’accordo sulle Linee

programmatiche per la crescita della produttività e della competitività in Italia, per

aggiornare gli obiettivi da raggiungere all’interno del contesto economico-

produttivo e del mercato del lavoro, e per rendere omogenee le regole in materia

di struttura contrattuale in tutte le aree di impresa119.

Sul piano sindacale tale accordo è da segnalare per due aspetti: il primo è che

non è stato sottoscritto dalla Cgil, il secondo è che è stato sottoscritto da quasi

tutte le associazioni d’impresa. In questo modo, la sua applicabilità è minata dal

mancato consenso del più importante sindacato italiano, ma è fortemente

rafforzata dalla firma quasi del tutto unitaria del sistema imprenditoriale.

La trattativa nasce con l’invito rivolto alle parti sociali da parte dell’allora

Presidente del Consiglio Monti per porre rimedio al deficit di produttività e quindi

di competitività che da anni caratterizzava il Paese.

In uno scenario economico caratterizzato dalla crisi del mercato globale e

dall’assenza di strumenti legislativi adatti a contrastarla, l’accordo in esame si

propone di creare “condizioni di competitività e produttività tali da rafforzare il

sistema produttivo, l’occupazione e le retribuzioni”120 e si concorda di “orientare la

contrattazione collettiva, nelle diverse sedi, alla regolarizzazione dei rapporti di

lavoro, all’emersione del sommerso, alla produzione di quel maggiore valore

aggiunto che possa essere distribuito fra i fattori che hanno contribuito a

determinarlo”.

Le parti firmatarie considerano la “contrattazione collettiva uno strumento utile

per perseguire la crescita della produttività e della competitività in Italia”,

attraverso essa è infatti “possibile definire modalità e strumenti per perseguire e                                                                                                                118 L. Draffa, L'art. 8 della legge n. 148/2011: limiti della portata derogatoria, 09 novembre 2011, http//www.diritto24.ilsole24ore.com/art/avvocatoAffari/mercatiImpresa/2014-01-27/lart-legge-1482011-limiti-122500.php 119 G. Giugni, Diritto sindacale, Cacucci Editore, 2013, Bari, pp 17-21. 120 Accordo interconfederale 21 novembre 2012, seconda parte.

Legislazione nazionale in tema di produttività  

  71  

raggiungere obiettivi di miglioramento della produttività contemperando le ragioni

delle imprese e delle persone che vi lavorano”121.

Sempre nella parte di premessa, i firmatari credono che “l’autonomia contrattuale

debba essere valorizzata con riferimento ai contenuti delle intese finalizzate a

perseguire i miglioramenti della produttività”, e credono che il valorizzare gli

accordi collettivi con questi fini deve essere sostenuto e promosso da misure di

incentivazione fiscale e contributiva dal Governo e dal Parlamento attuabili tramite

il “rendere stabili e certe le misure previste dalle disposizioni di legge per

applicare, sui redditi da lavoro dipendente fino a 40 mila euro lordi annui, la

detassazione del salario di produttività attraverso la determinazione di un’imposta,

sostitutiva dell’IRPEF e delle addizionali, al 10%”, e l’applicazione della Legge

numero 247 del 2007 che “prevede lo sgravio contributivo (…) fino al limite del

5% della retribuzione contrattuale percepita”122.

Nel primo paragrafo dell’accordo, intitolato Considerazioni Introduttive, si accenna

al fatto che l’economia italiana è caratterizzata da problemi strutturali dalla prima

metà degli anni ’90, a cui sono corrisposti una perdita di competitività della stessa

e “una bassa crescita della produttività (che ha comportato) un aumento del costo

del lavoro per unità di prodotto (CLUP123)”124.

Sempre nel primo paragrafo dell’accordo, secondo le parti “è necessario che il

Governo definisca rapidamente indirizzi programmatici e piani di intervento per la

modernizzazione del Paese in cui investimenti pubblici e privati concorrano ad

accrescere i livelli di produttività del sistema Italia” oltre che tramite la

produttività del lavoro anche andando ad agire su molte altre voci che incidono

sulla produttività, sia materiali, come energia, logistica e trasporti, sia immateriali,

come burocrazia, sicurezza, legalità ed istruzione. A fianco di questa necessità

                                                                                                               121 Accordo interconfederale 21 novembre 2012, premessa. 122 Accordo interconfederale 21 novembre 2012, premessa. 123 Il CLUP è il rapporto tra il costo del lavoro e la produttività. Seguendo la metodologia adottata dalla Banca d’Italia, il CLUP è calcolato come il rapporto tra i redditi da lavoro dipendente per unità standard di lavoro (costo del lavoro pro capite) e la produttività media del lavoro (valore aggiunto diviso per le unità standard di lavoro). Rappresenta un importante indicatore della competitività delle imprese esistenti in un sistema economico. Se infatti un lavoratore costa più di un altro ma produce proporzionalmente di più, il suo costo del lavoro risulta più alto, ma il suo CLUP risulta più basso. Un aumento del costo del lavoro superiore all’aumento della produttività può costituire una minaccia per la competitività del sistema, se gli altri costi non si aggiustano in proporzione. Definizione tratta da Enciclopedia Treccani. 124 Accordo interconfederale 21 novembre 2012, prima parte.

Legislazione nazionale in tema di produttività  

  72  

“diviene altresì centrale l’investimento nell’ammodernamento dei macchinari e in

ricerca e sviluppo per l’introduzione di innovazioni di prodotto e di processo”125.

Nell’accordo è quindi specificata la necessità di migliorare, oltre alla produttività

del lavoro, anche la produttività totale del fattori, accennando a quali sono le voci

che la compongono e delegando al Governo l’individuazione di strumenti diretti al

miglioramento della situazione attuale in tale campo.

Per perseguire gli obiettivi dell’accordo interconfederale, sopra elencati, in

continuità con l’evoluzione più recente delle relazioni industriali, l’accordo

conferma il sistema di decentramento controllato dal livello nazionale, ma,

propone delle soluzioni più audaci, pone le condizioni per far assumere un ruolo

decisivo alla contrattazione di secondo livello, prefigurando un coordinamento tra

livelli contrattuali di tipo concorrenziale e dinamico, modulabile secondo le

specificità del singolo contesto produttivo126.

Il modello seguito è quello della doppia specializzazione dei livelli contrattuali,

differente da quello delineato dal protocollo del 1993 e quasi in modo sostanziale

riproposto dall’accordo del 22 gennaio 2009 e dall’accordo del 28 giugno 2011.

In questi accordi il criterio di specializzazione aveva come unico fine quello di

definire l’ambito di azione del contratto aziendale riservando al contratto

nazionale la generalità delle competenze non altrimenti specificate. Nell’accordo

del 2012 la specificazione delle competenze agisce in una doppia direzione,

vengono previste per i due diversi livelli contrattuali competenze differenti,

individuate dallo stesso accordo interconfederale.

In questo modo, il contratto collettivo nazionale deve “rendere la dinamica degli

effetti economici, definita entro i limiti fissati dai principi vigenti, coerente con le

tendenze generali dell’economia, del mercato del lavoro, del raffronto competitivo

internazionale e gli andamenti specifici di settore”127 . Sempre al CCNL viene

attribuita una sorta di responsabilità in ordine alla definizione degli ambiti della

contrattazione collettiva di secondo livello, con la assegnazione del compito di

“perseguire la semplificazione normativa, il miglioramento organizzativo e

                                                                                                               125 Accordo interconfederale 21 novembre 2012, prima parte. 126 P. Tosi, Gli assetti contrattuali fra tradizione e innovazione, ADL: Arg. Dir. Lav, 2013, pp. 538-542. 127 Accordo interconfederale 21 novembre 2012, parte seconda.

Legislazione nazionale in tema di produttività  

  73  

gestionale” tramite “una chiara delega al secondo livello di contrattazione delle

materie e delle modalità che possono incidere positivamente sulla crescita della

produttività, quali gli istituti contrattuali che disciplinano la prestazione lavorativa,

gli orari e l’organizzazione del lavoro”128.

In questo modo l’accordo conferisce al livello contrattuale superiore un ruolo

finalizzato non più alla sola uniformazione dei trattamenti economici e normativi

dei lavoratori, ma ad una loro articolazione corrispondente alle esigenze della

produzione e della competitività129.

Alla contrattazione di secondo livello, “facilitata da idonee e strutturali politiche

fiscali di vantaggio”130, spetta operare “per aumentare la produttività attraverso

un migliore impiego dei fattori di produzione e dell’organizzazione del lavoro,

correlando a tale aspetto la crescita delle retribuzioni dei lavoratori”131.

Per quel che riguarda la funzione dei due livelli in materia di retribuzione,

l’accordo conferma che il contratto nazionale ha “l’obiettivo (…) di tutelare il

potere d’acquisto delle retribuzioni” precisando però che questo deve avvenire,

riprendendo il protocollo del 1993, considerando l’andamento economico e la

competitività internazionale; come a dire che il recupero del potere d’acquisto, nel

caso in cui queste condizioni fossero negative, non potrà essere totale. Questo è il

primo indice di indebolimento del ruolo del contratto collettivo nazionale132.

I contratti di categoria possono prevedere “che una quota degli aumenti

economici derivanti dai rinnovi contrattuali sia destinata alla pattuizione di

elementi retributivi da collegarsi ad incrementi di produttività e reddittività definiti

dalla contrattazione di secondo livello”133; ma “tale quota resterà parte integrante

dei trattamenti economici comuni per tutti i lavoratori rientranti nel settore di

applicazione dei contratti nazionali laddove non vi fosse o venisse meno la

                                                                                                               128 Accordo interconfederale 21 novembre 2012, parte seconda. 129 V. Bavaro, L’aziendalizzazione nell’ordine giuridico-politico del lavoro, in Lav. Dir., 2013 vol. 2, pp. 213-242. 130 Opinioni relative a questo punto riguardanti l’incisività dell’intesa: L. Fiorillo, Misurazione della rappresentanza, efficacia del contratto collettivo ed esercizio dei diritti sindacali in azienda: il nuovo assetto delle relazioni industriali. Analisi e prospettive, in Le relazioni industriali, 2014, Giappichelli Editori, Torino. R. De Luca Tamajo, L’accordo sulla produttività non la farà crescere, 2012, da http://www.linkiesta.it/accordo-salario-produttivita-fiat-pomigliano. 131 Accordo interconfederale 21 novembre 2012, parte seconda. 132 G. Giugni, 2013, Diritto sindacale, Cacucci Editore, Bari, pp 18. 133 Accordo interconfederale 21 novembre 2012, parte seconda.

Legislazione nazionale in tema di produttività  

  74  

contrattazione di secondo livello”. In questo caso ci troviamo di fronte ad un

profilo abbastanza ambiguo dell’Accordo del 21 novembre 2012. Questa

previsione sembra riconoscere alla contrattazione decentrata la possibilità di

derogare in pejus anche i minimi retributivi nazionali (ed è stato questo uno dei

motivi per i quali Cgil non ha firmato l’accordo).

In tal modo la somma certa attribuita dal contratto nazionale, e comunque legata

alla perdita del potere d’acquisto, può essere ridotta ulteriormente, con

corrispondente incremento della retribuzione aleatoria, legata agli elementi di

produttività e reddittività dell’impresa 134 . Si autorizza, così facendo, uno

scivolamento della struttura retributiva in direzione di una valorizzazione del

salario variabile. Un tale scivolamento, che si realizzerebbe in modo inevitabile a

scapito della parte fissa della retribuzione, comporta la possibilità

dell’alleggerimento del costo del lavoro, grazie però ad una erosione della

“funzione solidaristica” 135 del contratto collettivo nazionale del lavoro 136 , che

dovrebbe continuare a “garantire la certezza dei trattamenti economici e

normativi comuni per tutti i lavoratori rientranti nel settore di applicazione del

contratto”.

In realtà non sembra che la nuova previsione vada a modificare in modo

sostanziale quanto già previsto dall’accordo quadro del 2009 relativamente

all’elemento economico di garanzia, considerato che anche l’erogazione di questo

elemento veniva assoggettata alla condizione che i lavoratori non fossero coperti

da un contratto di secondo livello.

Sempre in tema di retribuzione, l’accordo non appare articolare il legame che

dovrebbe collegare retribuzione e risultati economici. La natura della relazione tra

le due variabili se non specificatamente indicata, legata al vantaggio fiscale e

                                                                                                               134 A. Lassandri, Divisione sindacale e “crescita di produttività e competitività”, in Lav. Dir., 2013, vol. 2, pp. 243-267. 135 I. Cairo, I rapporti tra contratti collettivi di diverso livello nel settore privato. tesi in Diritto del Lavoro, Alma Mater Studiorum – Università di Bologna. Dottorato di Ricerca in Diritto dell’economia e delle relazioni industriali indirizzo Diritto del Lavoro “Marco Biagi”, Ciclo XXIV, 2013, Bologna. 136 P. Campanella, Decentramento contrattuale e incentivi retributivi nel quadro delle politiche di sostegno alla produttività del lavoro, in PRISMA - Economia Società Lavoro, vol. 1 “crescere in tempo di crisi: il ruolo delle relazioni industriali e della contrattazione collettiva decentrata”, 2013, pp. 7.

Legislazione nazionale in tema di produttività  

  75  

contributivo, potrebbe condurre le parti a comportamenti collusivi che non

gioverebbero per gli aumenti della produttività137.

All’interno di questo accordo, che è mirato all’aumento della produttività e della

competitività, non è stata data meritevole importanza a strumenti quali:

l’innovazione tecnologica, l’innovazione di prodotto, quella sull’organizzazione

dell’impresa, i processi formativi138, di valorizzazione e responsabilizzazione delle

risorse umane, il disegno dei luoghi di lavoro e dell’organizzazione del lavoro

nell’impresa e ai suoi confini sempre meno definiti ex ante, che costituiscono gli

indicatori cui collegare le retribuzioni variabili collettive e di gruppo, secondo gli

studi della letteratura economica operante in tale campo di interesse139.

Dal punto di vista del rapporto tra i due livelli contrattuali si può osservare che se

la contrattazione decentrata consente di assorbire in parte l’aumento retributivo

previsto dal contratto di categoria, questo implica un indebolimento del ruolo di

questo livello contrattuale in materia di retribuzione, anche se può rendere la

dinamica salariale più coerente con l’andamento della produttività e più funzionale

al suo aumento140.

Al secondo livello resta la funzione di legare la crescita delle retribuzioni dei

lavoratori “al raggiungimento di obiettivi di produttività, di qualità, di reddittività,

di efficacia, di innovazione, di valorizzazione del lavoro, di efficienza organizzativa

e altri elementi rilevanti ai fini del miglioramento della competitività del settore

produttivo”141.

                                                                                                               137 D. Antonioli, P.Pini, Un accordo sulla produttività pieno di nulla (di buono), Quad. Ras. Sind., 2012, vol. 4, pp. 4. 138 Il paragrafo 5 dell’accordo del 2012 evidenzia il ruolo del binomio formazione e occupabilità delle persone, esprimendo l’esigenza di un rilancio della istruzione tecnico-professionale che va arricchita di “contenuti nuovi”, ma in questa sede non è precisamente indicato come migliorare la formazione al di fuori e all’interno dell’azienda, ma si limita ad auspicare “una verifica e una riorganizzazione del sistema della formazione professionale” senza considerare alcuna connessione con le dinamiche dell’apprendistato di cui al d. lgs. 167/2011 e con le politiche relatve all’apprendimento permanente di cui all’art. 4, comma 51, della legge n. 92/2012. P. Rausei, Accordo 21 novembre 2012. Alla ricerca della produttività perduta fra le pieghe di un sistema di relazioni di lavoro senza bussola, da www.bollettinoadapt.it il 26 novembre 2012. 139 S. Albertini e R. Leoni, Innovazioni organizzative e pratiche di lavoro nelle imprese industriali del Nord, Franco Angelo, 2009, Milano. D. Antonioli, M. Mazzanti, P. Pini, Productivity, Innovation Strategies and Industrial Relations in SME. Empirical Evidence for a Local Manufacturing System in Northern Italy, in International Review of Applied Economics, XXIV, 2010, vol. 4, pp. 435-482. 140 G. Giugni, Diritto sindacale, Cacucci Editore, Bari, 2013, pp 19. 141 Accordo interconfederale 21 novembre 2012, parte seconda.

Legislazione nazionale in tema di produttività  

  76  

In coerenza con la tendenza di rovesciamento del rapporto tra livello nazionale e

decentrato si trovano le previsioni riguardanti la semplificazione normativa del

contratto collettivo nazionale del lavoro e quelle dirette ad “agevolare la

definizione di intese modificative delle norme contrattuali più mirate alle esigenze

degli specifici contesti produttivi”. In primo luogo le parti cercano di puntare a

riscrivere la disciplina del contratto nazionale, per semplificarla ed alleggerirla, per

dare valore alla delega di competenze al secondo livello. Relativamente alle intese

modificative, vengono ampliate le finalità perseguibili per la derogabilità in pejus

del contratto nazionale da parte di quello decentrato, per favorire un maggiore

ricorso a tale strumento. E’ previsto che questi accordi di natura decentrata

possano anche “rappresentare un’alternativa a processi di delocalizzazione,

divenire un elemento importante di attrazione dei nuovi investimenti anche

dall’estero, concorrere alla gestione di situazioni di crisi per la salvaguardia

dell’occupazione, favorire lo sviluppo delle attività esistenti, lo start up di nuove

imprese, il mantenimento della competitività, contribuendo così anche alla

crescita territoriale e alla coesione sociale”142.

La novità è la possibilità che le disposizioni in deroga concorrano con quelle

delegate per il raggiungimento dello stesso obiettivo: la definizione di una

disciplina flessibile fatta su misura per uno specifico contesto produttivo. Le intese

derogatorie, potranno rendersi necessarie quando il contratto collettivo nazionale

non abbia esercitato la sua funzione “di chiara delega delle materie che possono

incidere sulla crescita della produttività”.

Quello che negli accordi del 2009 e del 2011 viene proposto come eccezionale,

legato a vincoli di scopo e a procedure di controllo sindacale esterno, nell’accordo

del novembre 2012 viene proposto come fisiologico, fino al sollecitarsi per esso

una autorizzazione preventiva e generale da parte del contratto collettivo di

categoria, producendo un effetto di trascinamento della deroga entro la delega143.

Riassumendo, la contrattazione di secondo livello può sia disciplinare direttamente

ed esclusivamente, anche solo in parte, alcune materie e/o istituti sulla base delle

                                                                                                               142 Accordo interconfederale 21 novembre 2012, parte seconda. 143 P. Tosi, Gli assetti contrattuali fra tradizione e innovazione, ADL: Arg. Dir. Lav., 2013, pp. 541.

Legislazione nazionale in tema di produttività  

  77  

deleghe previste dalla legge o dal contratto di categoria, sia derogare in pejus

quest’ultimo.

All’interno dell’accordo le parti rivendicano una riforma legislativa che consenta

che “la contrattazione collettiva fra le organizzazioni comparativamente più

rappresentative, nei singoli settori, su base nazionale, si eserciti, con piena

autonomia, su materie oggi regolate in maniera prevalentemente o esclusiva dalla

legge che, direttamente o indirettamente, incidono sul tema della produttività del

lavoro” 144 . I temi più urgenti che le parti si impegnano ad affrontare nella

contrattazione collettiva per la produttività in esame sono quelle relative

all’equivalenza delle mansioni, alla integrazione delle competenze; alla

ridefinizione dei sistemi di orari e della loro distribuzione; alle modalità attraverso

cui rendere compatibile l’impiego di nuove tecnologie per “facilitare l’attivazione di

strumenti informatici ordinari, indispensabili per lo svolgimento delle attività

lavorative” con la tutela dei diritti fondamentali dei lavoratori.

In questo modo le parti confermano l’obiettivo di flessibilizzare la normativa, ma

lo perseguono con metodo e finalità opposte a quelle dell’art. 8 Legge n.

148/2011, ossia valorizzando l’autonomia collettiva in funzione del potenziamento

del sistema contrattuale, e non la sua frantumazione145.

Da questa angolazione l’accordo segna senza dubbio un importante passo in

avanti del sistema verso la flessibilità che, ridotta in entrata e incongruamente

realizzata in uscita dalla legge n. 92/2012 146 , viene recuperata sul piano

dell’organizzazione del lavoro.

Concludendo, l’accordo interconfederale del 21 novembre 2012 contiene

un’ulteriore innovazione sempre diretta al miglioramento della produttività

aziendale. Tenuto conto delle disposizioni in materia di informazione e

consultazione dei lavoratori, nonché di partecipazione dei dipendenti agli utili e al

                                                                                                               144 Accordo interconfederale 21 novembre 2012, parte settima. 145 G. Giugni, Diritto sindacale, Cacucci Editore, Bari, 2013, pp 21. 146 L’accordo interconfederale del 21 novembre 2012 si colloca a valle della legge n. 92/2012, la cosiddetta Riforma Fornero, momento in cui le parti sociali prendono atto sia della forte compressione subìta dalla flessibilità in entrata sia delle incertezze che la nuova formulazione dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori induce sul versante della flessibilità in uscita quale conseguenza dell’accresciuta imprevedibilità del giudizio sulla legittimità del licenziamento nell’ambito della medio-grande impresa. P.Tosi, L’improbabile equilibrio tra flessibilità “in entrata” e flessibilità “in uscita” nella legge di riforma del mercato del lavoro, in ADL: Arg. Dir. Lav., 2012, vol. 4-5, p. 813.

Legislazione nazionale in tema di produttività  

  78  

capitale 147 , le parti hanno dichiarato la propria volontà di diffondere la

partecipazione dei lavoratori nell’impresa e si sono impegnate a “valorizzare, nei

diversi livelli contrattuali, i momenti di informazione e consultazione previsti,

anche per favorire un responsabile coinvolgimento nelle scelte dell’impresa sulle

materie che migliorano la produttività, le condizioni di lavoro, lo sviluppo

dell’impresa” e ad iniziare “un confronto sul quadro di riferimento normativo per

favorire l’incentivazione dell’azionariato volontario dei dipendenti, anche in forme

collettive”148.

1.6 L’accordo interconfederale 24 aprile 2013.

L’accordo interconfederale del 24 aprile 2013, sottoscritto da Confindustria,

Cgil, Cisl e Uil ritrova l’unità delle parti sindacali dopo la mancata sottoscrizione da

parte della Cgil dell’accordo del 21 novembre 2012149.

L’accordo raggiunto tra Confindustria e sindacati si presenta come la seconda

intesa incentrata in modo prioritario sul tema della produttività ed è stata

sottoscritta in attuazione del D.P.C.M. 22 gennaio 2013 150 per rendere

pienamente operativa la detassazione “della retribuzione di produttività erogata in

esecuzione di contratti sottoscritti a livello aziendale o territoriale”, cioè per

favorire nel miglior modo il “perseguimento degli obiettivi stabiliti dall’art.1,

comma 481, Legge 24 dicembre 2012, n. 228”151.

Secondo uno schema già condiviso negli anni precedenti, al testo dell’Accordo

Interconfederale segue un modello di accordo quadro territoriale che potrà essere

preso a riferimento o adottato per la definizione degli accordi su base territoriale.

L’accordo interconfederale del 24 aprile 2013 conferma “il modello e la funzione

dei due livelli di contrattazione” presenti nell’accordo interconfederale del 28

                                                                                                               147 Legge n. 92 del 28 giugno 2012. 148 Accordo interconfederale 21 novembre 2012, parte quarta. 149 All’accordo ha successivamente aderito la UGL. Esso è stato recepito in tempi molto brevi da numerosi accordi territoriali. Gli accordi territoriali delle industrie delle provincie di Rovigo (29 aprile 2013) e Fermo (30 aprile 2013), Roma, Frosinone, Rieti e Viterbo (7 maggio 2013), Novara (9 maggio 2013), Vicenza (10 maggio 2013), delle provincie autonome di Trento (6 maggio 2013), e di Bolzano (7 maggio 2013) e della regione Basilicata (2 maggio 2013). 150 Decreto del presidente del consiglio dei ministri del 22 gennaio 2013, ridefinisce i criteri di individuazione della retribuzione di produttività che può accedere ad incentivi di natura fiscale. 151 Accordo interconfederale 24 aprile 2013, pp. 1.

Legislazione nazionale in tema di produttività  

  79  

giugno del 2011, mantenendo anche le stesse procedure per l’efficacia delle

intese modificative152.

Come espresso in modo esplicito nelle premesse del modello di accordo quadro

territoriale, le parti affermano che la sede privilegiata per la definizione di premi di

produttività ed altre forme di retribuzione incentivante, salve le specificità

esistenti in singoli settori, è quella aziendale.

Le parti, però, anche in ragione dell’attuale situazione di crisi del Paese, hanno

ritenuto opportuno facilitare la definizione di intese di natura territoriale, che

consentano anche alle imprese prive di rappresentanza aziendale di applicare ai

propri dipendenti le agevolazioni fiscali previste dal DPCM 22 gennaio 2013, a

fronte di miglioramenti della produttività aziendale, intesa in senso lato, che

conseguono ad una diversa gestione degli orari osservati in azienda.

La novità introdotta dall’intesa in esame è rappresentata dalla possibilità di

estendere il beneficio fiscale alle aziende prive di rappresentanza sindacale.

Al punto 1 dell’accordo quadro standard da applicare localmente, le parti hanno

previsto che in assenza di Rsa o Rsu, un’impresa possa avvalersi dell’assistenza

fornita dalle associazioni aderenti al sistema confindustriale, per stipulare un

accordo aziendale con le federazioni territoriali di categoria dei sindacati.

Trattandosi di veri e propri accordi aziendali, viene specificato che essi si

applicano e vincolano tutti i dipendenti dell’impresa153.

Al punto 2, viene anzitutto riconfermata la volontà di non alterare gli assetti della

contrattazione nazionale, come si evince dal richiamo all’accordo del 28 giugno

2011 e dalla necessità di rispettare gli obblighi di contrattazione previsti dai

contratti collettivi nazionali. L’accordo quadro, in questo punto, prevede anche

una seconda modalità per favorire l’accesso agli incentivi fiscali per la produttività:

quella degli accordi territoriali.

Si prevede, però, una disciplina volta a dare concreta ed agevole attuazione al

così detto “primo canale” della retribuzione di produttività identificato dal D.P.C.M.

22 gennaio 2013, che non si identifichi con i veri e propri “premi di produzione”.

                                                                                                               152 Facendo riferimento al punto 7 dell’accordo interconfederale 28 giugno 2011. 153 G. Pogliotti, Via libera agli accordi di produttività a livello aziendale o territoriale, 2013, da http://www.ilsole24ore.com/art/impresa-e-territori

Legislazione nazionale in tema di produttività  

  80  

Si potrà applicare il beneficio della detassazione in relazione a quelle voci

retributive erogate a fronte di prestazioni 154 che risultino, come diretta

conseguenza dell’accordo territoriale, diverse da quelle rese in attuazione del

regime di orari esistente in azienda prima della stipula dell’accordo territoriale. E’

prevista l’applicazione della cedolare secca155 alle voci retributive erogate per

prestazioni orarie diverse da quelle fino a quel momento attuate, ovviamente solo

nel caso in cui queste modifiche siano funzionali al conseguimento di un più alto

livello di produttività.

Mentre nel caso della contrattazione aziendale è sufficiente che le prestazioni rese

in attuazione di un patto risultino conformi alle finalità perseguite dal DPCM, nel

caso della contrattazione territoriale, stante la sua portata generale, è stato

necessario fare riferimento alla situazione aziendale pregressa per fissare un

parametro di raffronto sul quale fondare l’indicatore quantitativo di riferimento156

per l’applicabilità dell’agevolazione fiscale.

Ed infatti, coerentemente, al punto 4 dell’accordo si afferma testualmente che:

“l’agevolazione sarà riconosciuta sulla quota di retribuzione corrisposta, con le

relative eventuali maggiorazioni, come conseguenza della modifica dell’orario

attuata in azienda, modifica che costituisce l’indicatore quantitativo di riferimento

sulla base del quale applicare il regime fiscale di cui alle norme richiamate in

premessa”157.

Dunque, il datore di lavoro, in applicazione del patto territoriale, avrà l’opportunità

di ottenere prestazioni lavorative differenti da quelle precedentemente svolte in

azienda e, sulle voci retributive erogate a fronte di queste prestazioni lavorative

“diverse”, potrà applicare il beneficio fiscale della detassazione. Il limite è

costituito, oltre che dalle disposizioni inderogabili di legge, soltanto dalle

disposizioni del contratto nazionale che prevedano apposite procedure negoziali

per porre in essere eventuali modifiche nella distribuzione e organizzazione degli

orari.

                                                                                                               154 Individuate nella circolare del Ministero del Lavoro n 15 del 2013, analizzata nel presente capitolo al paragrafo 3.2.2. 155 L’applicazione dell’aliquota pari a 10% sostitutiva di Irpef ed addizionali regionali e comunali. 156 Voluto dal DPCM del 22 gennaio 2013 e dalla circolare ministeriale n. 15/2013. 157 Accordo interconfederale 24 aprile 2014, punto 4, pag. 3.

Legislazione nazionale in tema di produttività  

  81  

Appare importante sottolineare il fatto che tale accordo sembra concentrarsi quasi

unicamente sul primo canale di individuazione della retribuzione di produttività

identificata dal D.P.C.M. del 22 gennaio 2013, non prendendo in considerazione la

così detta “griglia” di almeno tre aree di intervento.

Sempre nel solco dei precedenti accordi in materia, si esplicita il carattere

cedevole dell’accordo territoriale rispetto ad eventuali intese aziendali o pluri-

aziendali e l’impegno delle parti a diffondere i contenuti dell’accordo tra i rispettivi

associati158.

La differenza tra l’accordo interconfederale del 21 novembre 2012 e quello del

2013 non sembra poter essere ricondotta esclusivamente a motivi esterni al

contenuto degli stessi: una differenza sostanziale dell’accordo del 2013 risiede nel

riconoscimento dell’aumento o della modifica dell’orario di lavoro applicato in

azienda come indicatore quantitativo di riferimento sulla base del quale

quantificare la maggior produttività, in linea con la circolare ministeriale del 3

aprile 2013, n. 15.

Nell’accordo del 2012, invece, la modifica dell’orario di lavoro era solo una delle

tre categorie di misure modificative per la produttività, le quali dovevano essere

attivate congiuntamente mediante contratto collettivo per ottenere sgravi

fiscali159. Con il nuovo accordo le modifiche relative all’orario di lavoro sono state

qualificate come autonomi indicatori di produttività rispetto alle altre misure

previste dall’accordo del 2012 e dal D.P.C.M. 22 gennaio 2013160.

Con questa intesa è stato compiuto un primo passo nella direzione che vuole

agevolare le imprese che non hanno la facoltà di stipulare accordi di natura

aziendale. Si tratta di un passo incompleto, a parere di chi scrive, perché

permette alle aziende di accedere ai benefici fiscali legati alla produttività

solamente modificando il sistema di gestione dell’orario di lavoro interno

all’azienda, che, come analizzato nella fase introduttiva del presente elaborato,

                                                                                                               158 Accordo interconfederale 24 aprile 2013, punto sesto, pp. 3. 159 G. Galli, Breve bilancio sulla contrattazione collettiva nazionale dell’anno 2013, in Riv. Giu. Lav. Prev. Soc., 2013, vol. 4, pp. 855-859. 160 Le parti in questa sede hanno evitato di toccare temi che possono apparire più complicati da gestire all’interno di un percorso di contrattazione, come i mutamenti tecnologici, l’inquadramento e le mansioni, e le ferie.

Legislazione nazionale in tema di produttività  

  82  

non apporta grande beneficio alla crescita della produttività dell’azienda, se non

coordinato con altri strumenti organizzativi.

1.7 Considerazioni conclusive in tema di contrattazione.

Il quadro che esce, dopo l’analisi dei cambiamenti ripetuti, relativo alle

regole del sistema contrattuale degli ultimi anni è caratterizzato da diversi

elementi innovativi, ma appare ancora abbastanza incerto, anche in riferimento

alle sue prospettive di evoluzione.

La passibilità di deroga al contratto nazionale di categoria può costituire

un’alternativa all’uscita del sistema contrattuale, perché le deroghe possono

conciliare la necessità di diversificazione delle condizioni di lavoro con il

mantenimento di un quadro generale che include al suo interno le tutele che sono

definite centralmente, secondo il modello del decentramento coordinato161; ma,

diffondendosi potrebbero anche disarticolarlo definitivamente.

Dall’altro lato appare che non sempre le novità introdotte sembrano coerenti con

il fine di promuovere il decentramento contrattuale. Al potenziamento del ruolo

del contratto di secondo livello, relativamente alle competenze, non sempre

corrisponde uno sforzo per permettere alle piccole imprese, dove non è praticata

la contrattazione aziendale, di usufruire agevolmente di quella territoriale.

Nel caso in cui i contratti nazionali riconoscano solo l’accordo di natura aziendale,

ai lavoratori dipendenti delle imprese di piccole dimensioni rimane applicabile

solamente il contratto di categoria, oltretutto indebolito nelle sue tradizionali

funzioni normativa ed obbligatoria, e questo determina una scarsa giustizia nella

distribuzione del reddito e la centralizzazione di fatto del sistema contrattuale.

Un piccolo passo è stato compiuto dall’accordo del 2013, ma non sembra

sufficiente concedere l’accesso ai benefici fiscali se non vengono identificate in

modo preciso delle practices che realmente possono apportare beneficio alla

produttività.

                                                                                                               161 G. Giugni, Diritto sindacale, Cacucci Editore, 2013, Bari, pp 24.

Legislazione nazionale in tema di produttività  

  83  

2. Gli sgravi contributivi e fiscali.

Martin Weitzman, professore di Economia alla Harvard University, nella sua opera

principale “L’economia della partecipazione” 162 , teorizza il superamento del

sistema retributivo per un sistema variabile legato agli andamenti dell’impresa. In

tale contesto, l’autore, sottolinea l’importanza delle agevolazioni fiscali per

incentivare le imprese ad abbandonare le forme retributive tradizionali a favore di

forme partecipative. L’utilizzare risorse provenienti dalla collettività e dallo Stato

per incentivare il sistema partecipativo si giustifica perché questo, secondo

Weitzman, permette di ridurre la disoccupazione e l’inflazione.

Nell’ordinamento italiano, il legislatore non interviene relativamente alla struttura

della retribuzione, alla sua determinazione e agli elementi che la compongono163,

poiché le materie elencate sono di competenza della contrattazione collettiva.

La direzione del nostro ordinamento non si è modificato nemmeno dopo che gli

accordi del 1993, 2009 e 2011 avevano sperato in un intervento del legislatore

che incrementasse e rendesse più facilmente accessibili le agevolazioni a favore

dei premi di risultato erogati dal contratto collettivo di secondo livello. Il

legislatore ha riconosciuto le agevolazioni in discussione, ma alla retribuzione

variabile sempre dettata dalle regole derivanti dagli accordi tra le parti sociali164.

L’utilizzo delle risorse statali è giustificato dal fatto che i premi di risultato

contenuti nella contrattazione di secondo livello hanno il fine e la capacità di

migliorare la produttività del lavoro, l’efficienza e la competitività dell’azienda, ed

è preferibile che lo scambio tra retribuzione e produttività venga concordato con

                                                                                                               162 M. L. Weitzman, L’economia della partecipazione, Bari, 1985, Editori Laterza. 163 Ad eccezione delle norme contenute nel Codice Civile e nella Costituzione. I principi costituzionali sanciti espressamente dall'art.36 della Costituzione sono la proporzionalità e la sufficienza. L'articolo 2121 del codice civile italiano definisce la retribuzione (ai fini del calcolo dell'indennità di mancato preavviso) come "le provvigioni, i premi di produzione, le partecipazioni agli utili e ai prodotti ed ogni altro compenso di carattere continuativo, con l'esclusione di quanto è corrisposto a titolo di rimborso spese". La legge 279/1982 definisce la retribuzione come tutti gli emolumenti corrisposti a titolo non occasionale. L'art. 2099 del c.c. stabilisce che la retribuzione deve essere effettuata "con le modalità e nei termini in uso nel luogo in cui il lavoro viene eseguito", possibilmente quindi sul posto di lavoro, in denaro e periodicamente (solitamente mensilmente). 164 V. Ferrante, Misure per la competitività e per la riduzione del costo del lavoro, in Previdenza, Mercato del Lavoro, Competitività, a cura di M. Magnani, A. Pandolfo e P. A. Varesi, Torino, Giappichelli, 2008, pp.413.

Legislazione nazionale in tema di produttività  

  84  

la parte sindacale per proteggere il lavoratore da comportamenti opportunistici da

parte delle imprese165.

Lo studio svolto all’interno di una ricerca comparata sui sistemi di retribuzione

variabile166 ha evidenziato il fatto che la giustificazione ad incentivi per i premi è

presente solamente in un momento di iniziale utilizzo di questi, con il fine di

indirizzare le imprese verso la sperimentazione di un sistema nuovo. Tali incentivi

in un secondo momento dovrebbero essere eliminati per fare in modo che le

imprese continuino ad utilizzare un sistema di retribuzioni variabili solo nel caso in

cui questo porti realmente a miglioramenti in termini di produttività ed efficienza.

Nel Regno Unito i sistemi di retribuzione variabile continuano ad essere utilizzati

nonostante le agevolazioni da tempo non siano più in uso. Se in passato quelle

forme retributive erano contrattate con le organizzazioni sindacali per accedere

agli incentivi previsti dalla legge, oggi sono gestite in modo unilaterale

dall’impresa.

Questa evoluzione permette di riconsiderare l’obiezione mossa da parte della

dottrina sopra indicata riguardante il sistema delle agevolazioni. Se il legislatore

considera la retribuzione variabile, stipulata all’interno del contratto collettivo,

contrattata con le organizzazioni sindacali, capace di maggiore tutela nei confronti

dei lavoratori rispetto a quella gestita unilateralmente dalle imprese, allora viene

giustificato l’utilizzo di risorse pubbliche anche in un momento successivo a quello

della sperimentazione167.

2.1 La decontribuzione.

Lo sgravio contributivo consiste in una riduzione o eliminazione dei contributi che

gravano sulla retribuzione. Nasce nel 1997, con il D. L. 25 marzo 1997 n. 67

(convertito nella L. n. 135 del 23 maggio 1997), che in attuazione del Protocollo

del 1993, aveva previsto la prima forma di decontribuzione per la retribuzione

variabile erogata dai contratti collettivi. L’art. 1 comma 67, L. 24 dicembre 2007,

                                                                                                               165 T. Treu, Le forme retributive incentivanti, in Riv. Ita. Dir. Lav., 2010, vol. 1, pp. 640 e seguenti. 166 A. Bryson, R. Freeman, C. Lucifora, M. Pellizzari e V. Pérotin, Paying for performance. Incentive pay schemes and employees’ financial participation, 11 maggio 2010, presentato alla fondazione Rodolfo Debenedetti, consultabile in www.frdb.org/upload/file/Second-report1.pdf, pp. 110-115. 167 E. Villa, Retribuzione flessibile e contrattazione collettiva, Tesi di Dottorato di Ricerca in Diritto del Lavoro XXIV Ciclo, 2012, Alma Mater Studiorum Università degli Studi di Bologna.

Legislazione nazionale in tema di produttività  

  85  

n. 247 introduce una nuova regolamentazione delle agevolazioni previdenziali per

i premi di risultato ed abroga il D. L. 67/1997.

L’art. 1, commi 67 e 68, L. n. 247 del 2007 deve essere integrato con il d.m. 7

maggio 2008 e con la circolare Inps 6 agosto 2008, n. 82, poiché il comma 68,

art. 1, l. n. 247 del 2007 prevedeva che le modalità di attuazione delle

agevolazioni fossero fissate in un decreto ministeriale.

Le agevolazioni contributive della L. 247/2007 erano destinate ad applicarsi per il

triennio 2008, 2009 e 2010. Esse sono state prorogate fino al 31.12.2011 dall’art.

53, comma 1, d.l. 31 maggio 2010, n. 78. La l. 12 novembre 2011, n. 183, all’art.

33, comma 14, ha confermato per tutto il 2012 lo sgravio contributivo che

successivamente è stato reso permanente dall’art. 4, comma 28 della l. 28

giugno 2012, n. 92, che ha soppresso al comma 67, art. 1, l. 247/2007 le parole

“In via sperimentale, con riferimento al triennio 2008-2010”168. Con l’articolo 4,

comma 28, della legge 28 giugno 2012, n. 92, il legislatore, a far tempo dal 2012,

ha apportato modifiche alla regolamentazione dello sgravio contributivo in favore

della contrattazione di secondo livello, al fine di stabilizzare l’incentivo e

razionalizzare il plafond a disposizione, attraverso una più puntuale allocazione

delle risorse169.

Fino al 31 dicembre 2011 erano ammesse all’agevolazione contributiva le

erogazioni dei contratti collettivi “aziendali e territoriali, ovvero di secondo livello,

delle quali sono incerte la corresponsione o l’ammontare e la cui struttura sia

correlata dal contratto collettivo medesimo alla misurazione di incrementi di

produttività, qualità ed altri elementi di competitività assunti come indicatori

dell’andamento economico dell’impresa e dei suoi risultati”170. I premi di risultato

sono incerti nell’an e nel quantum visto che la loro erogazione è subordinata al

raggiungimento di un obiettivo che l’impresa si era prefissata e il suo ammontare

cambia in base al grado di raggiungimento dell’obiettivo stabilito.

                                                                                                               168 Art. 4, comma 28, Legge 28 giugno 2012, n. 92. 169 Circolare Inps n. 78 del 17 giugno 2014. 170 Art. 1, comma 67, Legge 24 dicembre 2007, n. 247.

Legislazione nazionale in tema di produttività  

  86  

I premi regolati dal contratto collettivo di secondo livello, aziendale o territoriale,

sono ammessi agli sgravi171. La scelta di concedere le agevolazioni anche ai premi

contrattati a livello territoriale è da valutare positivamente se si pensa che lo

sviluppo della contrattazione collettiva che sia davvero su due livelli dipende dalla

crescita e dall’espansione degli accordi territoriali, quantomeno in quei settori

caratterizzati dalle modeste dimensioni delle imprese che li compongono.

Parte della dottrina172 sostiene che le agevolazioni sono applicabili anche ad

elementi retributivi determinati in via unilaterale dal datore di lavoro, sempre in

via subordinata al fatto che siano incerti nella corresponsione e nell’ammontare.

Questa interpretazione deriva dalla formulazione del paragrafo 3 della circolare

Inps n. 82 del 2008 al cui interno si afferma che la “retribuzione contrattuale”

comprende “quanto stabilito sia dai contratti collettivi, sia da quelli individuali”.

Per la dottrina maggioritaria173 gli sgravi contributivi si applicano solo ai premi di

risultato legati all’andamento dell’impresa e non a quelli correlati alla prestazione

dei lavoratori e diretti a premiare il merito 174 . Questa interpretazione è

condivisibile dal punto di vista letterale, perché l’art. 1, comma 67, l. n. 247/2007,

dopo aver richiamato gli obiettivi di produttività, qualità e altri elementi di

competitività, richiede che essi siano assunti come indicatori dell’andamento

economico dell’impresa e dei suoi risultati, mentre i sistemi di valutazione delle

prestazioni non possono essere considerati indicatori dell’andamento dell’impresa

nel suo complesso.

                                                                                                               171 Non suscita problemi il richiamo ai contratti collettivi aziendali e territoriali, “ovvero di secondo livello”: il legislatore non immagina un contratto di secondo livello diverso da quelli precedentemente elencati, ma vuole sottolineare che, per accedere alle agevolazioni, i contratti aziendali o territoriali devono rappresentare un secondo livello di contrattazione, aggiuntivo a quello nazionale. Nel vigore del d.l. n. 67 del 1997 il legislatore prevedeva che la decontribuzione si applicasse ai premi di risultato erogati “dai contratti collettivi aziendali, ovvero di secondo livello”. Il rinvio al secondo livello consentiva di riconoscere le agevolazioni anche ai premi regolati dai contratti territoriali. 172 V. Ferrante, Misure per la competitività e per la riduzione del costo del lavoro, in Previdenza, Mercato del Lavoro, Competitività, a cura di M. Magnani, A. Pandolfo e P. A. Varesi, Torino, Giappichelli, 2008, pp 407. T. Treu, Le forme retributive incentivanti, in Riv. Ita. Dir. Lav., 2010, pp. 662. 173 M. Martone, Norme in materia di competitività, in La nuova disciplina del welfare, a cura di M. Persiani e G. Proia, Milano, Giuffrè, 2008, pp. 186. F. Lunardon, Contrattazione collettiva di secondo livello: incentivazioni contributive e fiscali, in Il collegato lavoro 2008, a cura di F. Carinci e M. Miscione, Milano, Ipsoa, 2008, pp. 354. 174 F. Lunardon, opera citata, 2008, pp. 356, afferma che gli sgravi non troverebbero applicazione in relazione ai premi corrisposti a titolo individuale a singoli lavoratori, nonché a “tutte le forme di cottimo individuale o collettivo, a prescindere dalla loro vigenza in determinati settori”.

Legislazione nazionale in tema di produttività  

  87  

Una diversa soluzione interpretativa, tale da consentire l’accesso alle agevolazioni

“all’intero spettro dei sistemi retributivi legati sia ai caratteri della prestazione sia

ai parametri di risultato generali dell’impresa”175, è tuttavia prospettabile, in primo

luogo perché la formula utilizzata dal legislatore del 2007 per individuare i premi

ammessi allo sgravio è la stessa del 1997, e nel vigore di quest’ultima non si era

mai dubitato della possibilità di applicare la decontribuzione a tutti i sistemi di

retribuzione variabile regolati dai contratti collettivi aziendali, tanto legati alle

prestazioni, quanto dipendenti dai risultati complessivi dell’impresa176. In secondo

luogo si può ritenere che solo gli “altri elementi”, ulteriori rispetto a quelli di

produttività e qualità, debbano essere necessariamente correlati all’andamento

complessivo dell’impresa, mentre quelli di produttività e di qualità sono utilizzabili

per premiare prestazioni che si siano distinte rispetto alle altre sotto il profilo

quantitativo o qualitativo. Questa soluzione sembra più rispettosa dell’autonomia

delle parti sociali nel definire la retribuzione variabile: se il legislatore incentivasse

esclusivamente i premi correlati all’andamento dell’impresa nel suo complesso,

nonostante le parti abbiano compreso nella definizione di retribuzione variabile

anche quelli correlati alle prestazioni, egli sovrapporrebbe alla definizione di

premio di risultato fornita dalle organizzazioni sindacali una propria definizione e

andrebbe a compromettere l’autonomia del sindacato in materia retributiva177.

Per l’anno 2012, l’art. 33, comma 14, l. 12 novembre 2011, n. 183, ha confermato

lo sgravio contributivo per la retribuzione variabile secondo i criteri e le modalità

definite dall’art. 1, commi 67 e 68, l. n. 247 del 2007, anche se, tramite il rinvio

all’art. 26, d. l. 6 luglio 2011, n. 98 (parzialmente modificato dall’art. 22, comma

6, l. n. 183 del 2011), ha mutato la definizione dei premi ammessi allo sgravio ed

i livelli contrattuali competenti a disciplinarli. Questa nuova regolamentazione si

                                                                                                               175 T. Treu, Le forme retributive incentivanti, in Riv. Ita. Dir. Lav., 2010, pp. 660. 176 V. Ferrante, Misure per la competitività e per la riduzione del costo del lavoro, in Previdenza, Mercato del Lavoro, Competitività, a cura di M. Magnani, A. Pandolfo e P. A. Varesi, Torino, Giappichelli, 2008, pp 413. A suo avviso la formula utilizzata dal legislatore per individuare le somme erogate dalla contrattazione di secondo livello da ammettere alla decontribuzione rinvia alle scelte delle parti sociali. 177 V. Ferrante, Misure per la competitività e per la riduzione del costo del lavoro, in Previdenza, Mercato del Lavoro, Competitività, a cura di M. Magnani, A. Pandolfo e P. A. Varesi, Torino, Giappichelli, 2008, pp 413.

Legislazione nazionale in tema di produttività  

  88  

giustifica con l’intento di armonizzare il quadro normativo in tema di incentivi

fiscali e contributivi178.

Nel 2012 sono stati ammessi allo sgravio i premi correlati “a incrementi di

produttività, qualità, redditività, innovazione, efficienza organizzativa, collegati ai

risultati riferiti all’andamento economico o agli utili della impresa, o a ogni altro

elemento rilevante ai fini del miglioramento della competitività aziendale”179.

Questa definizione di produttività, seppur diversa dalla precedente, potrebbe far

sorgere alcuni dei dubbi interpretativi elencati precedentemente. Nonostante ciò,

il fatto che gli obiettivi di produttività, di qualità, redditività, innovazione,

efficienza organizzativa possano essere collegati, oltre che all’andamento

economico dell’impresa o agli utili, anche “ad ogni altro elemento rilevante ai fini

del miglioramento della competitività aziendale”, consente di mantenere

l’interpretazione proposta: lo sgravio contributivo pare applicabile a tutti i sistemi

retributivi legati sia a caratteri della prestazione che ai premi di risultato generale

dell’impresa.

I premi ammessi all’agevolazione contributiva sono quelli regolati dai contratti

collettivi aziendali o territoriali stipulati dalle associazioni dei lavoratori

comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale o dalle

loro rappresentanze sindacali operanti in azienda ai sensi della normativa di legge

o agli accordi interconfederali vigenti180.

La volontà del legislatore, desumibile dalla parte iniziale del comma 6, art. 22, l.

n. 183 del 2011181, è quella di far accedere agli sgravi i premi regolati dagli

accordi di prossimità di cui all’art. 8, l. n. 148 del 2011.

                                                                                                               178 Art. 22, comma 6, l. n. 183 del 2011. 179 Art. 26, d. l. 6 luglio 2011, n. 98. 180 L’art. 33, comma 14, l. n. 183 del 2011 richiama lo sgravio contributivo dovuto ai sensi dell’art. 26, d.l. n. 98 del 2011. Tale norma contiene la definizione dei premi ammessi all’agevolazione, mentre l’art. 22, comma 6, l. n. 183 del 2011 ha modificato i livelli contrattuali competenti a regolarli per comprendere anche la retribuzione variabile disciplinata nei contratti di prossimità ex art. 8, l. n. 148 del 2011. 181 “Al fine di armonizzare il quadro normativo in tema di incentivi fiscali e contributivi alla contrattazione aziendale e in tema di sostegno alla contrattazione collettiva di prossimità, la tassazione agevolata del reddito dei lavoratori e lo sgravio dei contributi (…), sono riconosciuto in relazione a quanto previsto da contratti collettivi di lavoro sottoscritti a livello aziendale o territoriale da associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale ovvero dalle loro rappresentanze sindacali operanti in azienda (…)”.

Legislazione nazionale in tema di produttività  

  89  

La legge del 2007 sostituisce alla “decontribuzione” prevista dal d.l. n. 67 del

1997 uno “sgravio contributivo”: il vantaggio ricade sui lavoratori dato che le

somme che possono usufruire dell’agevolazione sono computate ai fini

pensionistici, nonostante non siano soggette a trattenuta previdenziale. Al

contrario la decontribuzione implicava un abbattimento delle trattenute

previdenziali sui premi di risultato, ma anche la non computabilità di queste

somme a fini pensionistici182.

Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, di concerto con il Ministero

dell’Economia e delle Finanze, ha pubblicato, sulla Gazzetta Ufficiale n. 79 del 4

aprile 2013, il Decreto 27 dicembre 2012 con la determinazione, per lo stesso

anno, della misura massima percentuale della retribuzione di secondo livello

oggetto dello sgravio contributivo. L’art. 1 del decreto ministeriale citato ripartisce

la dotazione finanziaria disponibile per il finanziamento di sgravi contributivi

concessi per l’incentivazione della contrattazione di secondo livello. Delle risorse

assegnate, pari a 650 milioni di euro183, il 62,5% è destinato alla contrattazione

aziendale e il 37,5% alla contrattazione territoriale. In caso di mancato utilizzo

dell’intera percentuale attribuita a ciascuna delle tipologie contrattuali, il decreto

stabilisce che la quota residua venga attribuita all’altra tipologia.

Con riferimento alle somme corrisposte nell’anno 2012, sulla retribuzione

imponibile184, è concesso, con effetto dal 1° gennaio 2012, ai datori di lavoro, nel

rispetto dei limiti finanziari annui, uno sgravio contributivo sulla quota costituita

dalle erogazioni previste dai contratti collettivi aziendali e territoriali, ovvero di

                                                                                                               182 F. Lunardon, Contrattazione collettiva di secondo livello: incentivazioni contributive e fiscali, in Il collegato lavoro 2008, a cura di F. Carinci e M. Miscione, Milano, Ipsoa, 2008, pp. 352. A. Cannioto e G. Maccarone, Al via lo sgravio contributivo sui premi di risultato, in Guida al Lavoro, n. 34, 2008, pp. 88. 183 L’art. 1, comma 249 della legge n. 228/12, per finanziare il ripristino delle ricongiunzioni gratuite nei termini stabiliti dalla medesima norma, ha ridotto il budget originario (650 milioni di euro), di 43 milioni per il 2014 e per importi più consistenti negli anni futuri. La norma prevede una riduzione di 51 milioni di euro per l'anno 2015, 67 milioni per l'anno 2016, 88 milioni per l'anno 2017, 94 milioni per l'anno 2018, 106 milioni per l'anno 2019, 121 milioni per l'anno 2020, 140 milioni per l'anno 2021 e di 157 milioni a decorrere dall'anno 2022. 184 Art. 27 del DPR n. 797/1955.

Legislazione nazionale in tema di produttività  

  90  

secondo livello, nella misura del 2,25% della retribuzione contrattuale

percepita185.

L’art. 1, comma 67, l. n. 247 del 2007, prevedeva che l’agevolazione riguardasse

al massimo il 5% della retribuzione contrattuale percepita dal lavoratore,

percentuale già ridotta al 3% dal d.m. 7 maggio 2008.

Il provvedimento ministeriale del 2012 prevede che, in relazione al monitoraggio

delle domande e delle risorse finanziarie impegnate, il citato tetto del 2,25%

possa essere rideterminato (in sede di conferenza dei servizi tra le

Amministrazioni interessate indetta ai sensi dell’articolo 14 della legge n. 241 del

1990 e successive modificazioni e integrazioni), fermo restando il tetto massimo

della retribuzione contrattuale, stabilito dal comma 67 dell’articolo 1 della legge n.

247/2007, nella misura del 5%186.

La definizione di retribuzione contrattuale, necessaria per la fissazione del limite

massimo del premio che può beneficiare dell’agevolazione, si trova all’interno del

paragrafo 3 della circolare Inps n. 82 del 2008, che “comprende quanto stabilito

sia dai contratti ed accordi collettivi di lavoro – anche aziendali e territoriali,

ovvero di secondo livello – sia da quelli individuali, ivi compresi i premi oggetto di

sgravio”187.

Entro il tetto della retribuzione del lavoratore come precedentemente individuato,

la norma prevede la concessione di uno sgravio contributivo così articolato:

• entro il limite di 25 punti188 dell’aliquota a carico del datore di lavoro;

l’aliquota deve essere considerata al netto delle riduzioni contributive per

assunzioni agevolate; in agricoltura l’aliquota deve essere al netto delle

agevolazioni per territori montani e svantaggiati;

                                                                                                               185 L’art. 10, comma 2, del d.l. n. 102 del 2013 ha previsto che, a decorrere dall’anno 2014, lo sgravio contributivo sulla contrattazione di secondo livello venga applicato con riferimento alle quote di retribuzione corrisposte nell’anno precedente. 186 Circolare Inps n. 73 del 3 maggio 2013, secondo punto. 187 La circolare Inps n. 82 del 2008 si rifà ai criteri previsti dall’art. 1, comma 1, l. n. 389 del 7 dicembre 1989. Le successive circolari che hanno trattato il tema della retribuzione contrattuale sono n. 39/2010; 51 e 96/2012. 188 La riduzione di 25 punti dell’aliquota datoriale costituisce la quota complessiva massima di sgravio applicabile anche con riferimento alle aziende che assolvono la contribuzione pensionistica presso Enti diversi dall’Inps. Rimane, in ogni caso, escluso dallo sgravio il contributo (0,30%) ex art. 25, c. 4 della legge n. 845/1978, versato nel 2013 dai datori di lavoro ad integrazione della contribuzione per l’ASpI.

Legislazione nazionale in tema di produttività  

  91  

• totale sulla quota del lavoratore189190.

L’accesso al beneficio contributivo non è più automatico per il datore di lavoro dal

d.m. 7 maggio 2008.

Ad oggi le imprese devono formulare una domanda di ammissione allo sgravio

contributivo, nella quale dichiarano di erogare premi di risultato conformi alle

caratteristiche prescritte dalla legge. Per accedere allo sgravio contributivo, i

contratti collettivi aziendali e territoriali, ovvero di secondo livello, devono

presentare le seguenti caratteristiche:

• essere sottoscritti dai datori di lavoro e depositati presso le Direzioni

territoriali del lavoro entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore del

decreto ministeriale. In assenza del deposito non sarà possibile

l’ammissione allo sgravio contributivo;

• prevedere erogazioni incerte nella corresponsione o nel loro ammontare e

correlate a parametri atti a misurare gli aumenti di produttività, qualità ed

altri elementi di competitività assunti come indicatori dell’andamento

economico dell’impresa e dei suoi risultati191.

Ai fini dell’accesso al beneficio è sufficiente la sussistenza anche di uno solo dei

predetti parametri (aumenti di produttività, qualità ed altri elementi). Nel caso di

contratti territoriali, qualora non risulti possibile la rilevanza di indicatori a livello

aziendale, i criteri di erogazione da assumere saranno legati agli andamenti delle

imprese del settore sul territorio192.

Lo sgravio non compete per le aziende che hanno corrisposto ai dipendenti,

nell’anno solare di riferimento, trattamenti economici e normativi non conformi a

quanto previsto dall’art. 1, comma 1, della Legge n. 389 del 7 dicembre 1989,

vale a dire inferiori ai minimi contributivi previsti dalla norma citata193.

                                                                                                               189 Lo sgravio della contribuzione a carico del lavoratore sarà pari al 9,19% per la generalità delle aziende e al 9,49% per i datori di lavoro soggetti alla Cigs (art. 9 legge n. 407/1990) e 8,84% per gli operai assunti in agricoltura; per gli apprendisti la quota è pari al 5,84%. Non costituisce oggetto di sgravio il contributo (1%) ex art. 3ter della legge n. 438/1992, dovuto sulle quote di retribuzione eccedenti il limite della prima fascia di retribuzione pensionabile (per l’anno 2013 € 46.031,00 che, rapportato a dodici mesi, è pari a € 3.836,00) 190 Circolare Inps n. 73 del 3 maggio 2013, quarto punto. 191 D.m. 27 dicembre 2012, art. 2, comma 3. 192 D.m. 27 dicembre 2012, art. 2, comma 4. 193 B. Gallo, Sgravio contributivo sulle erogazioni di secondo livello, in Il mondo Paghe, SEAC, 2014, vol. 7, pp. 26-29.

Legislazione nazionale in tema di produttività  

  92  

La concessione dello sgravio è anche subordinata al possesso dei requisiti di

regolarità contributiva per il rilascio del DURC interno194195, oltre al rispetto della

parte economica degli accordi e contratti collettivi.

L’Inps, con propria circolare, stabilisce le modalità operative per la richiesta di

beneficio e la data dalla quale presentare la richiesta. Detta domanda deve

contenere oltre ai dati dell’azienda e la data di sottoscrizione del contratto di

secondo livello, l’importo delle somme che l’azienda prevede possano essere

ammesse allo sgravio e l’ammontare degli sgravi dovuti ad azienda e lavoratore.

Il D.m. 27 dicembre 2012, nello stabilire che l’ammissione riguarderà tutte le

domande trasmesse entro il periodo indicato dall’Inps, affida allo stesso la

definizione delle relative modalità196.

A tal fine, entro i sessanta giorni successivi alla data finale fissata per l’invio delle

istanze, provvederà all’ammissione delle aziende allo sgravio contributivo,

dandone comunicazione alle stesse e agli intermediari autorizzati. Nel caso in cui

le risorse disponibili non consentissero la concessione dello sgravio nelle misure

indicate nelle richieste delle aziende, l’Istituto provvederà alla riduzione degli

importi in percentuale pari al rapporto tra la quota globalmente eccedente e il

tetto di spesa annualmente stabilito197.

Tale meccanismo di redistribuzione delle somme disponibili dà alle aziende che

possiedono i requisiti richiesti di accedere allo sgravio, ma a priori non fornisce la

certezza della somma che verrà erogata.

Questa regolamentazione è criticabile perché le agevolazioni sono eccessivamente

limitate; uno sgravio contributivo che riguarda al massimo il 2,25% del

trattamento economico complessivo del prestatore, non è in grado di incentivare

le imprese ad attivare un secondo livello di contrattazione collettiva198.

                                                                                                               194 Il Durc interno è il documento unico di regolarità contributiva richiesto ai datori di lavoro per fruire di benefici normativi e contributivi. Viene definito «interno» perché viene gestito completamente dall'Inps in riferimento a benefici di competenza dell'Istituto stesso e non viene emessa alcuna documentazione. Fonte: http//:www.artgomenti.ilsole24ore.com. 195 E’ previsto dall’art. 1, comma 1175, Legge n. 296/2006. 196 Circolare Inps n. 73 del 3 maggio 2013, ottavo punto. 197 D.m. 27 dicembre 2012, articolo 4, comma 3. 198 Nonostante nell’accordo interconfederale del 28 giugno 2011 le parti sociali, dopo aver chiesto una conferma delle agevolazioni anche per il 2012, hanno affermato che queste misure hanno dimostrato reale efficacia nel sostenere la contrattazione aziendale, quando ancora l’aliquota di sgravio era del 3%.

Legislazione nazionale in tema di produttività  

  93  

La nuova normativa, in parte in linea con quanto richiesto dalle parti sociali

nell’accordo interconfederale del 15 aprile 2009 e nell’accordo del 28 giugno

2011, rende certo per il datore di lavoro l’accesso allo sgravio contributivo quando

egli ha rispettato tutte le prescrizioni di legge, ma non è presente la certezza

dell’ammontare dello sgravio e la mancanza di certezza concerne anche

l’individuazione delle forme di retribuzione variabile ammesse allo sgravio. Tali

incertezze rischiano di vanificare la capacità del sistema di incentivare le imprese

a munirsi di un contratto collettivo di secondo livello come strumento per

accrescere la produttività.

Gli sgravi contributivi riguardanti le somme corrisposte nell’anno 2013 sono

regolati dal d.m. 14 febbraio 2014, pubblicato sulla gazzetta ufficiale il 29 maggio

2014, n.123, e dalla circolare Inps n. 78 del 17 giugno 2014. Entrambi i

documenti non presentano alcun elemento modificativo rispetto alla regolazione

dell’anno precedente.

2.2 La detassazione.

L’art. 1, comma 70, l. n. 247 del 2007 introduce per la prima volta nel sistema

italiano un’agevolazione di natura fiscale a favore della retribuzione variabile

erogata dai contratti collettivi di secondo livello. Poiché tale disciplina non era fin

da subito applicabile è stato necessario aspettare l’emanazione del decreto

ministeriale del 23 aprile 2008 che ha riconosciuto la detassazione di massimo il

23% del premio, su erogazioni non superiori a 350 euro199. Il sistema introdotto

dalla l. n. 247/2007 non viene riconfermato nel 2008 per la presenza del d.l. 27

maggio 2008, n. 93 che introduce un nuovo sistema di agevolazioni fiscali diretto

a tutte le misure preordinate alla crescita della produttività in esso elencate. La

disciplina dell’art. 2, d.l. 27 maggio 2008, n. 93, prevedeva “un’imposta sostitutiva

dell'imposta sul reddito delle persone fisiche e delle addizionali regionali e

comunali pari al 10 per cento, entro il limite di importo complessivo di 3.000 euro

lordi, (sul)le somme erogate a livello aziendale: a) per prestazioni di lavoro

straordinario, ai sensi del decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66, effettuate nel

                                                                                                               199 A. Cannioto e G. Maccarone, Al via lo sgravio contributivo sui premi di risultato, in Guida al Lavoro, 2008, n. 34, pp. 88.

Legislazione nazionale in tema di produttività  

  94  

periodo suddetto200; b) per prestazioni di lavoro supplementare ovvero per

prestazioni rese in funzione di clausole elastiche effettuate nel periodo suddetto e

con esclusivo riferimento a contratti di lavoro a tempo parziale stipulati prima

della data di entrata in vigore del presente provvedimento; c) in relazione a

incrementi di produttività, innovazione ed efficienza organizzativa e altri elementi

di competitività e redditività legati all'andamento economico dell'impresa”201.

La disciplina normativa delle agevolazioni fiscali si presenta particolarmente

frastagliata202: in principio è stato emanato il d.l. n. 93 del 2008 (convertito nella

Legge n. 126 del 2008); dopodiché è intervenuto l’art.5, d.l. 29 novembre 2008,

n. 185 (convertito nella l. n. 2 del 2009) che ha regolato le agevolazioni per l’anno

2009; l’art. 2, commi 156 e 157, d.l. n. 191 del 2009 conteneva la

regolamentazione delle agevolazioni per il 2010 e l’art. 53, comma 1, d.l. 31

maggio 2010, n. 78 (convertito nella l. n. 220 del 2010, art. 1, comma 47) ha

regolato le agevolazioni per il 2011. L’art. 33, comma 12, l. n. 183 del 2011 ha

nuovamente modificato la disciplina delle agevolazioni fiscali per il 2012. Sulla scia

dell’accordo interconfederale del 21 novembre 2012 203 , sono intervenuti in

materia di detassazione, l’art. 1, comma 481, l. n. 228 del 2012 (Legge di stabilità

2013), il D.P.C.M. 22 gennaio 2013, la circolare Inps n. 15 del 3 aprile 2013 e la

circolare dell’Agenzia delle entrate n. 11/E del 30 aprile 2013.

Le discipline succedutesi hanno mantenuto l’impianto di fondo del d.l. n. 185 del

2008 e si sono limitate a modificare l’ammontare delle risorse a disposizione per

incentivare i premi di risultato204. L’art. 53, d.l. n. 78 del 2010 è stato il primo

caso di introduzione di modifiche di rilievo.

                                                                                                               200 1° luglio 2008 – 31 dicembre 2008. 201 Art. 2, D.l. 27 maggio 2008, n.93, titolo “Misure sperimentali per l’aumento della produttività del lavoro”. 202 M. Tiraboschi, Le misure sperimentali per l’incremento della produttività del lavoro: la detassazione di straordinari e premi, in La riforma del lavoro pubblico e privato e il nuovo welfare, a cura di M. Tiraboschi, Milano, Giuffrè, 2008, pp. 223 203 Nella sezione intitolata “Premessa” dell’accordo del 21 novembre 2012 “le parti considerano essenziale che la scelta, (…), a favore della valorizzazione degli accordi collettivi per il miglioramento della produttività, venga sostenuta e promossa da adeguate e strutturali misure di incentivazione fiscale e contributiva”. 204 Più precisamente sono state mantenute le agevolazioni a favore delle somme che erano disciplinate nell’art. 2, comma 1, lett. c), d.l. n. 93 del 2008, cioè quelle erogate “in relazione ad incrementi di produttività, innovazione ed efficienza organizzativa, e altri elementi di competitività e reddittività legati all’andamento economico dell’impresa”.

Legislazione nazionale in tema di produttività  

  95  

Il d.l. n. 78 del 2010, all’articolo 53205, prevede una tassazione agevolata206 per

“le somme erogate ai lavoratori dipendenti del settore privato, in attuazione di

accordi collettivi territoriali o aziendali, correlati ad incrementi di produttività,

qualità, redditività, innovazione, efficienza organizzativa, collegate ai risultati

riferibili all’andamento economico o agli utili dell’impresa o a ogni altro elemento

rilevante ai fini del miglioramento della competitività aziendale” 207 . Vengono

ammessi all’agevolazione i soggetti che, nel 2010, hanno percepito un reddito non

superiore a 40 mila euro, nei limiti di 6000 euro lordi.

La formula dell’art. 53, d.l. n. 78 del 2010 si presenta differente dalle

precedenti208: di nuovo c’è che le agevolazioni fiscali sono concesse solo ai premi

di risultato erogati dai contratti collettivi di secondo livello, territoriali o aziendali.

Precedentemente era richiesto da parte del legislatore che i premi fossero erogati

“a livello aziendale” ma non dal contratto aziendale, per questo motivo, la dottrina

sosteneva che gli incentivi fiscali si potessero concedere sia per i premi attribuiti

con il contratto individuale, sia per quelli erogati in modo unilaterale dall’impresa,

sia per quelli attribuiti con il contratto aziendale209.

Tale interpretazione appare condivisibile anche considerando la comparazione tra

la forma letterale del d.l. n. 185 del 2008 e quella dell’art. 1, comma 70, l. n. 247

del 2007 che, invece, precisava che i premi di risultato, per essere ammessi agli

incentivi legislativi, dovevano essere disciplinati nei “contratti collettivi aziendali e

territoriali, ovvero di secondo livello”210.

                                                                                                               205 M. Tiraboschi, Partecipazione sindacale valorizzata, 2010, da http://www.bollettinoadapt.it/old/files/document/10910tiraboschi_15_02.pdf 206 Si tratta, come nei precedenti interventi normativi, di un’imposta sostitutiva dell’Irpef del 10%. 207 Tale definizione corrisponde a quella introdotta nel 2012 per le somme che potevano beneficiare dello sgravio contributivo. 208 Con riferimento al d.l. n. 185 del 29 novembre 2008, richiamato dai decreti legge successivi per individuare le caratteristiche dei premi di risultato che potevano essere ammessi alle agevolazioni fiscali. 209 F. M. Putaturo Donati, Misure sperimentali per l’incremento della produttività del lavoro, in Rivista Giuridica del Lavoro, 2009, vol. 2, pp. 342. V. Ferrante, Misure per la competitività e per la riduzione del costo del lavoro, in Previdenza, Mercato del lavoro, Competitività, a cura di M. Magnani, A. Pandolfo e P. A. Varesi, 2008, Torino, Giappichelli, pp. 420. M. Tiraboschi, Le misure sperimentali per l’incremento della produttività del lavoro: la detassazione di straordinari e premi, in La riforma del lavoro pubblico e privato e il nuovo welfare, a cura di M. Tiraboschi, Milano, Giuffrè, 2008, pp. 224. 210 E. Villa, Retribuzione flessibile e contrattazione collettiva, Tesi di Dottorato di Ricerca in Diritto del Lavoro XXIV Ciclo, Alma Mater Studiorum Università degli Studi di Bologna, 2012, pp. 54.

Legislazione nazionale in tema di produttività  

  96  

Questa nuova formulazione, diversamente da quella che l’ha preceduta, incentiva

la contrattazione di secondo livello, ma rischia di essere indebolita nel perseguire

questo fine dalla circolare dell’Agenzia delle entrate 3/E, del 14 febbraio 2011, che

non dà l’onere al datore di lavoro di depositare il contratto aziendale o territoriale

per avere la possibilità di controllo di questo: per l’azienda è sufficiente dichiarare

che le somme per cui richiede l’incentivo fiscale derivano da un contratto di

secondo livello e che queste hanno il fine di migliorare la produttività aziendale.

Quindi non è previsto alcun tipo di controllo sul contratto di secondo livello,

nemmeno per la sua esistenza211.

La seconda differenza rispetto alla disciplina previgente riguarda la definizione

degli obiettivi cui deve essere condizionata l’erogazione della retribuzione variabile

per accedere all’agevolazione: prima gli obiettivi potevano essere legati alle

prestazioni dei lavoratori ed anche all’andamento dell’impresa 212 , mentre la

normativa introdotta dall’art. 53, d.l. n. 78 del 2010 fa sorgere il dubbio se i premi

ammessi all’incentivo fiscale siano solo i secondi. L’agevolazione sembra avere lo

stesso campo di applicazione della disciplina precedente, poiché gli obiettivi dei

premi, oltre che essere legati all’andamento economico dell’azienda, sono riferibili

ad “ogni altro elemento rilevante ai fini del miglioramento della competitività

aziendale”. Sicuramente questa definizione include anche la possibilità di

migliorare la competitività aziendale con sistemi premianti che valorizzino le

prestazioni ed il merito dei lavoratori.

Il legislatore, con l’art. 33, comma 12, l. n. 183 del 2011, proroga per il 2012 ed il

2013 non la disciplina contenuta nell’art. 53, comma 1, d.l. n. 78 del 2010, ma

quella dell’art. 2, comma 1, lett. c), d.l. n. 93 del 2008, anche se modificando la

definizione dei premi ammessi all’agevolazione (contenuta nell’art. 26, d.l. n. 98

del 2011), e i livelli contrattuali che possiedono la competenza per erogarli (art.

                                                                                                               211 F. M. Putaturo Donati, Misure sperimentali per l’incremento della produttività del lavoro, in Riv. Giu. Lav., 2009, vol. 2, pp. 349. V. Angiolini, Nota sulla costituzionalità dell’art. 2 del d.l. 27 maggio 2008, n. 92 (misure sperimentali per l’incremento della produttività del lavoro), 2009, in http//:www.cgil.it/giuridico. 212 L’art. 2, lett. c), d.l. n. 93 del 2008, faceva riferimento alle somme erogate per “incrementi di produttività, innovazione ed efficienza organizzativa e ad altri elementi di competitività e reddittività legati all’andamento economico dell’impresa”. Si riteneva pertanto che gli obiettivi cui subordinare l’erogazione della retribuzione variabile per accedere agli incentivi fiscali potessero essere legati sia alle prestazioni rese da gruppi di lavoratori, sia all’andamento dell’impresa. Solo gli “altri elementi” dovevano essere necessariamente legati all’andamento economico dell’impresa.

Legislazione nazionale in tema di produttività  

  97  

22, comma 6, l. n. 183 del 2011). Così facendo il legislatore ha privato del suo

significato il rinvio all’art. 2, comma 1, lett. c), d.l. n. 93 del 2008.

Come per gli sgravi contributivi, l’art 26, d.l. n. 98 del 2011 afferma che si deve

trattare di somme correlate “ad incrementi di produttività, qualità, reddittività,

innovazione, efficienza organizzativa, collegate ai risultati riferiti all’andamento

economico o agli utili della impresa, o a ogni altro elemento rilevante ai fini del

miglioramento della competitività aziendale”. La formulazione appare identica a

quella precedentemente analizzata dell’art. 53, comma 1, d.l. n. 78 del 2010.

Relativamente ai livelli contrattuali competenti a disciplinare i premi che possono

ottenere gli incentivi, l’art. 22, comma 6, l. n. 183 del 2011, afferma che deve

trattarsi di contratti collettivi sottoscritti a livello aziendale o territoriale da

sindacati comparativamente più rappresentativi sul piano nazionale o territoriale

“ovvero dalle loro rappresentanze sindacali operanti in azienda ai sensi della

normativa di legge e degli accordi interconfederali vigenti”. Così affermando si

conferma la direzione presa dal legislatore con l’art. 53, comma 1, d.l. n. 78 del

2010 di agevolare solo i premi derivanti da un contratto di secondo livello.

Con questo intervento il legislatore ha compiuto un processo di armonizzazione

del quadro normativo che regola incentivi fiscali e contributivi, sia relativamente ai

premi che godono dell’agevolazione e sia ai livelli contrattuali che li erogano.

Per gli anni 2011 e 2012 l’agevolazione, che continua a rimanere sperimentale,

mira a sostenere ed incentivare la produttività delle imprese e si riferisce anche

alle somme corrisposte per lavoro straordinario, lavoro notturno e festivo e alle

indennità per le turnazioni, se collegate all’aumento della redditività aziendale.

Con l’approvazione del D.P.C.M. 22 gennaio 2013213 , vengono fissati i criteri

operativi della detassazione delle somme legate alla produttività per l’anno 2013.

Il decreto si colloca nel contesto delineato dall’art. 1, commi 481 e 482 della legge

n. 228 del 2012 (Legge di stabilità) e risponde in parte alle istanze sollevate

dall’accordo del 21 novembre 2012. Più precisamente, il decreto, sulla base delle

risorse disponibili fissate dalla legge di stabilità214, raccoglie le aspettative previste

                                                                                                               213 Gazzetta ufficiale n. 75 del 29 marzo 2013. 214 L’agevolazione trova applicazione nel limite massimo di onere di 950 milioni di euro per l’anno 2013 e di 400 milioni di euro per l’anno 2014 destinati a stimolare la produttività ampliando la platea dei beneficiari ed elevando il limite reddituale per l’accesso all’agevolazione.

Legislazione nazionale in tema di produttività  

  98  

dall’accordo sulla produttività evidenziate in premessa215, e nel secondo punto

dove le parti firmatarie affermavano che si presentava “necessario incrementare e

rendere strutturali, certe e facilmente accessibili tutte le misure fiscali e

contributive volte ad incentivare la contrattazione di secondo livello”216.

Come si analizzerà in seguito, il carattere innovativo delle fattispecie introdotte

richiama l’art. 7 dell’accordo interconfederale del 2012 e affronta in modo chiaro i

seguenti punti:

• “l’affidamento alla contrattazione collettiva di una piena autonomia

negoziale rispetto alle tematiche relative all’equivalenza delle mansioni, alla

integrazione delle competenze, presupposto necessario per consentire

l’introduzione di modelli organizzativi più adatti a cogliere e promuovere

l’innovazione tecnologica e la professionalità necessarie alla crescita della

produttività e della competitività aziendale;

• la ridefinizione dei sistemi di orari e della loro distribuzione anche con

modelli flessibili, in rapporto agli investimenti, all’innovazione tecnologica e

alla fluttuazione dei mercati finalizzati al pieno utilizzo delle strutture

produttive idoneo a raggiungere gli obiettivi di produttività convenuti;

• l’affidamento alla contrattazione collettiva delle modalità attraverso cui

rendere compatibile l’impiego di nuove tecnologie con la tutela dei diritti

fondamentali dei lavoratori, per facilitare l’attivazione di strumenti

informatici ordinari, indispensabili per lo svolgimento delle attività

lavorative”217.

Il D.P.C.M. del 22 gennaio 2013 stabilisce che “le somme erogate a titolo di

retribuzione di produttività, in esecuzione di contratti collettivi di lavoro sottoscritti

a livello aziendale o territoriale, ai sensi della normativa di legge e degli accordi

interconfederali vigenti, da associazioni dei lavoratori comparativamente più

rappresentative sul piano nazionale, ovvero dalle loro rappresentanze sindacali

operanti in azienda, sono soggette a un’imposta sostitutiva dell’imposta sul

                                                                                                               215 “Le parti, pertanto, chiedono al Governo e al Parlamento di rendere stabili e certe le misure previste dalle disposizioni di legge per applicare, sui redditi da lavoro dipendente fino a 40 mila euro lordi annui, la detassazione del salario di produttività attraverso la determinazione di un’imposta, sostitutiva dell’Irpef e delle addizionali, al 10%”. 216 Accordo interconfederale 21 novembre 2012, punto secondo. 217 Accordo interconfederale 21 novembre 2012, punto settimo.

Legislazione nazionale in tema di produttività  

  99  

reddito delle persone fisiche e delle addizionali regionali e comunali pari al

10%”218.

Lo Stato nel detassare parzialmente la retribuzione di produttività compie uno

sforzo finanziario non trascurabile se lo si affianca a quello compiuto per lo

sgravio contributivo219.

Il decreto interviene fissando le caratteristiche che distinguono i soggetti

interessati e il limite per l’applicazione dell’imposta sostitutiva. L’imposta

agevolata trova applicazione esclusivamente al settore privato e interessa i titolari

di reddito da lavoro dipendente non superiore nel 2012 a 40 mila euro al lordo

delle somme assoggettate nell’anno 2012 all’imposta sostitutiva220.

Al comma 3 dell’art.1 del decreto in esame viene fissato il limite per l’applicazione

dell’imposta sostitutiva: la retribuzione di produttività individualmente riconosciuta

che può beneficiare dell’imposta agevolata non può comunque essere

complessivamente superiore, nel corso dell’anno 2013, a 2.500 euro lordi.

Fino a questo punto dell’analisi ciò che varia, rispetto alla normativa precedente, è

l’innalzamento della misura del reddito minimo di riferimento che passa da 30

mila a 40 mila euro.

Senza dubbio le novità che attengono all’applicazione dell’agevolazione fiscale

sono da riconoscere nell’ambito oggettivo e in particolar modo nell’introduzione

del concetto di retribuzione di produttività221.

Il D.P.C.M. 22 gennaio 2013 coerentemente con la ratio dell’agevolazione che

vuole introdurre criteri più selettivi e sostenere chi realmente si impegna ad

incrementare la produttività, stabilisce che per retribuzione di produttività si

intendono le voci retributive erogate in esecuzione di contratti aziendali e

territoriali con espresso riferimento ad indicatori di diversa natura.

La nozione di “retribuzione di produttività” si presenta peculiare ed articolata,

costruita su indicatori quantitativi, ma anche qualitativi e organizzativi, così da

ritenere incentivabili222:

                                                                                                               218 D.P.C.M. 22 gennaio 2013, art. 1, comma 1. 219 S. Malandrini, Contrattazione di prossimità e welfare aziendale, in Riv. Ita. Dir. Lav., 2013, vol. 3, parte I, pp. 141. 220 D.P.C.M. 22 gennaio 2013, art. 1, comma 2. 221 A. Tea, Detassazione della retribuzione di produttività, in Guida alle Paghe, 2013, vol. 7, pp. 376-383.

Legislazione nazionale in tema di produttività  

  100  

1. “le voci retributive erogate, in esecuzione di contratti, con espresso

riferimento ad indicatori quantitativi di

produttività/reddittività/qualità/efficienza/innovazione”223;

2. “le voci retributive erogate, in esecuzione di contratti, che prevedano

l’attivazione di almeno una misura in almeno tre delle aree di intervento di

seguito indicate: a) ridefinizione dei sistemi di orari e della loro

distribuzione con modelli flessibili, anche in rapporto agli investimenti,

all’innovazione tecnologica e alla fluttuazione dei mercati finanziari ad un

più efficiente utilizzo delle strutture produttive idoneo a raggiungere gli

obiettivi di produttività convenuti mediante una programmazione mensile

della quantità e della collocazione oraria della prestazione; b) introduzione

di una distribuzione flessibile delle ferie mediante una programmazione

aziendale anche non continuativa delle giornate di ferie eccedenti le due

settimane; c) adozione di misure volte a rendere compatibile l’impiego di

nuove tecnologie con la tutela dei diritti fondamentali dei lavoratori, per

facilitare l’attivazione di strumenti informatici, indispensabili per lo

svolgimento delle attività lavorative; d) attivazione di interventi in materia

di fungibilità delle mansioni e di integrazione delle competenze, anche

funzionali a processi di innovazione tecnologica”224.

Il raccordo tra incentivi retributivi e flessibilità organizzative prospettato dal

D.P.C.M. “realizza direttamente ed in forma del tutto inedita una sorta

monetizzazione del valore della flessibilità” in relazione a materie che sono poi le

stesse di cui al punto 7 dell’accordo interconfederale del novembre 2012,

esprimendo, così “in chiari termini quella equazione flessibilità-produttività che

nell’accordo del 2012 restava comunque implicita”225 . L’operazione è affidata

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                             222 P. Campanella, 2013, Decentramento contrattuale e incentivi retributivi nel quadro delle politiche di sostegno alla produttività del lavoro, in PRISMA - Economia Società Lavoro, vol. 1 “crescere in tempo di crisi: il ruolo delle relazioni industriali e della contrattazione collettiva decentrata”, pp. 10. 223 In linea con la retribuzione tradizionale e sperimentata già prevista dal Protocollo 23 luglio 1993. 224 D.P.C.M. 22 gennaio 2013, art. 2. 225 F. Lunardon, 2013, I contenuti della contrattazione collettiva di secondo livello negli accordi interconfederali 2009-2013, in PRISMA Economia Società Lavoro, vol.1, pp.35-52.

Legislazione nazionale in tema di produttività  

  101  

direttamente alla contrattazione di secondo livello e non al primo, come poteva

apparire desumibile dal testo dell’accordo interconfederale del 2012226.

Osservando le aree di intervento del decreto del presidente del consiglio, la

retribuzione di produttività è inserita in un contesto dove l’attività organizzatrice

del datore di lavoro è considerata un “insieme di atti di diritto privato coordinati o

unificati sul piano funzionale dal punto di vista dello scopo”227.

Il D.P.C.M. non guarda al singolo contratto di lavoro, ma alla collocazione di più

contratti nello stesso contesto coordinato, come atti che fanno parte della sfera

dell’imprenditore per organizzare e gestire la struttura produttiva. Il datore di

lavoro può quindi guidare la sua organizzazione attraverso le esigenze mutevoli

della produzione, utilizzando due profili fondamentali: le mansioni da svolgere e il

tempo di lavoro228.

L’aspetto più innovativo del decreto del 2013 è rintracciabile nella relazione tra

retribuzione e organizzazione: il trattamento economico è collegato alla previsione

di contratti collettivi che “programmano” la produttività adottando misure

organizzative connesse ai tempi (orario di lavoro), ai contenuti (mansioni) della

prestazione e alla tecnologia. In questo modo viene modificata la modalità di

erogazione del salario di produttività. La condizione richiesta per la

corresponsione della retribuzione aggiuntiva non è il raggiungimento di un

risultato futuro e incerto, ma l’esistenza di un accordo collettivo che sia diretto a

recuperare maggior produttività tramite l’utilizzo di strumenti di flessibilità

contrattuale.

A rendere incerta l’erogazione del trattamento economico non è più il

conseguimento dell’obiettivo di produttività, ma la presenza o meno di un

contratto collettivo che dia attuazione alle misure previste dal decreto

                                                                                                               226 Nella parte inziale del punto 7 dell’accordo interconfederale del 21 novembre 2012, “le parti ritengono necessario che la contrattazione collettiva fra le organizzazioni comparativamente più rappresentative, nei singoli settori, su base nazionale, si eserciti, con piena autonomia, su materie oggi regolate in maniera prevalente o esclusiva dalla legge che, direttamente o indirettamente, incidono sul tema della produttività del lavoro. Le parti s’impegnano ad affrontare, pertanto, in sede di contrattazione collettiva le questioni ritenute più urgenti (…)”. Il riferimento alla contrattazione nazionale contenuto in questa parte dell’accordo porta a pensare che le parti ritenessero di competenza della contrattazione di primo livello le materie che sono state poi delegate alla contrattazione di secondo. 227 C. Angelici, Diritto commerciale, Laterza, 2002, Roma-Bari. 228 M. Marazza, I poteri di organizzazione, dell’attività e del lavoro, in Contratto di lavoro e organizzazione, CEDAM, Padova, 2012, pp. 1271.

Legislazione nazionale in tema di produttività  

  102  

interministeriale. Il D.P.C.M. quindi responsabilizza le parti sociali ad utilizzare gli

strumenti contrattuali a disposizione, dal cui impiego dipende la detassazione

dell’incremento retributivo da erogare229.

L’art. 2 del decreto ha fornito una doppia nozione di retribuzione di produttività

negoziata ai sensi dell’art. 1; la prima, collegata ad indicatore quantitativi, e la

seconda, connessa all’attivazione di almeno “una misura in almeno tre” delle

quattro arre di intervento indicate nel decreto.

Probabilmente, la seconda nozione, nel suo tentativo di indirizzare il sostegno

statale verso interventi di flessibilizzazione ad ampio raggio dell’organizzazione del

lavoro, giustifica la circolare del Ministero del lavoro n. 15 del 2013. Tale circolare

sembra avere l’obbiettivo di arginare eventuali strette sulle voci retributive che

possono godere di agevolazione fiscale per effetto del D.P.C.M. 22 gennaio 2013.

Questo documento suggerisce una lettura estensiva del concetto di “indicatore

quantitativo” presente all’interno della prima nozione, con la conseguenza di

ricondurvi qualsiasi indicatore diretto “a remunerare un apporto lavorativo

finalizzato ad un miglioramento della produttività in senso lato e quindi anche ad

una “efficientazione” aziendale”230.

Si tratta di erogazioni economiche che possono essere corrisposte anche in

misura fissa e continuativa, poiché la circolare esplicita che esse “possono essere

anche incerte231 nella loro corresponsione e nel loro ammontare”232.

A titolo esemplificativo la circolare in esame elenca degli indicatori a cui le voci

retributive del D.P.C.M. del 22 gennaio 2013 possono essere ricollegate. Tra

questi indicatori ne sono presenti alcuni di natura quantitativa, come

“l’andamento del fatturato”, la “maggior soddisfazione della clientela rilevabile dal

numero dei clienti cui si dà riscontro”, i “minori costi di produzione a seguito

dell’utilizzo di nuove tecnologie”, la “lavorazione di periodi di riposo di origine

pattizia” (ad esempio ROL), le “prestazioni lavorative aggiuntive rispetto a quanto

previsto dal CCNL”, i “premi di rendimento o produttività (quelli ad esempio che                                                                                                                229 M. Vitaletti, Retribuzione di produttività e contrattazione collettiva decentrata, in Eco. & Lav., 2014, vol.1, pp. 108-113. 230 Circolare del Ministero del lavoro n. 15, 3 aprile 2013, pag. 3. 231 Secondo T. Treu, opera citata, 2010, è coessenziale alla natura dei premi la caratteristica della loro variabilità, in modo da potersi dubitare che vi siano comprese erogazioni economiche collegate, ad esempio, alla presenza del lavoratore. 232 Circolare del Ministero del lavoro n. 15, 3 aprile 2013, pag. 3.

Legislazione nazionale in tema di produttività  

  103  

già fruiscono dello sgravio contributivo ai sensi dell’art. 1, comma 67, della l. n.

247/2007)” , ed altri che non sono propriamente misurabili o quantificabili

attraverso degli indici, come le “quote retributive ed eventuali maggiorazioni

corrisposte in funzione di particolari sistemi orari (…) a ciclo continuo, sistemi di

“banca delle ore”, indennità di reperibilità, di turno o di presenza, clausole

flessibili o elastiche”, i “ristorni ai soci delle cooperative nella misura in cui siano

collegati ad un miglioramento della produttività”, le “modifiche alla distribuzione

degli orari (…) in azienda”, le “modifiche orientate alla gestione di turnazioni o

giornate aggiuntive (ad esempio lavoro domenicale o festivo), e/o orari a

scorrimento su giornate non lavorative e/o alla gestione delle modalità attuative

dei regimi di flessibilità previsti dai CCNL”, nonché, ogni altro intervento teso “al

miglioramento dell’utilizzo degli impianti e dell’organizzazione del lavoro”233.

In questo modo la prima nozione di retribuzione di produttività è stata ampliata in

modo smisurato, con l’effetto di oscurare persino il senso e l’utilità della seconda

e più rigorosa nozione234.

Al fine di una maggiore incisività degli obiettivi prefissati dal D.P.C.M. 22 gennaio

2013 è stata introdotta una procedura che ha come obiettivo il monitoraggio dello

sviluppo delle misure di detassazione e una verifica di conformità degli accordi

con le disposizioni del suddetto decreto. I datori di lavoro, infatti, dovranno

provvedere a depositare i contratti presso la Direzione territoriale del lavoro,

territorialmente competente, entro 30 giorni dalla loro sottoscrizione con allegata

autodichiarazione di conformità dell’accordo depositato alle disposizioni del

D.P.C.M.235.

L’art. 3, comma 3 del decreto prevede che il Governo procederà entro la fine del

2013 ad “un confronto con le parti sociali, al fine di acquisire elementi conoscitivi

in ordine all’applicazione dei contratti e all’effettiva idoneità delle previsioni di cui

all’articolo 2 a conseguire gli obiettivi di incrementi della produttività”.

Come ultimo documento, in termini cronologici, da analizzare in tema di

defiscalizzazione della produttività si presenta il D.P.C.M. 19 febbraio 2014, che

                                                                                                               233 Circolare del Ministero del lavoro n. 15, 3 aprile 2013, pag. 3. 234 P. Tomassetti, La produttività secondo Monti, da http://www.farecontrattazione.it, pubblicato il 28 gennaio 2013, 2013, pp. 1. 235 D.P.C.M. 22 gennaio 2013, art. 3, comma 1.

Legislazione nazionale in tema di produttività  

  104  

oltre a confermare il decreto dell’anno precedente236, ha dato attuazione alla

Legge di stabilità 2013 (art. 1, comma 481, legge n. 228/2012), prevedendo

l’agevolazione fiscale per la tassazione del reddito dei lavoratori dipendenti

erogato allo specifico scopo di incrementare la produttività del lavoro.

Il decreto del 2014, mantenendo l’assetto regolativo dell’anno precedente, come

unica novità introduce l’innalzamento del tetto massimo annuo delle voci di salario

legate alla produttività aziendale, da 2.500 a 3.000 euro237.

 

                                                                                                               236 D.P.C.M. 22 gennaio 2013. 237 E. D’Alessandro, Detassazione degli elementi di paga collegati alla Banca ore, in Guida alle paghe, 2014, vol. 10, pp. 601-606.

La casistica negoziale in tema di produttività e detassazione

 

  105  

CAPITOLO 4

La casistica negoziale in tema di produttività e detassazione

1. I numeri della contrattazione di secondo livello – 2. Analisi di contratti aziendali e territoriali – 2.1 Contratto integrativo aziendale Carrefour Italia 5 marzo 2013 – 2.2 Accordo aziendale Luxottica 14 ottobre 2011 – 2.3 Ipotesi di accordo su contrattazione provinciale di secondo livello – Unionmeccanica Vicenza – 2.4 Contratto collettivo regionale per i lavoratori dipendenti delle aziende artigiane della Lombardia dell’area Chimica-Ceramica.

1. I numeri della contrattazione di secondo livello.

Dopo aver analizzato la normativa che regola ed incentiva la produttività

del lavoro possiamo dire che il principale strumento attraverso cui le aziende

italiane cercano di aumentare la produttività del lavoro è la contrattazione di

secondo livello. Per questo motivo cercheremo di individuare come e quanto è

utilizzata questa tipologia di contrattazione sul suolo nazionale.

Per quanto riguarda la contrattazione aziendale, maggiore è la dimensione

occupazionale dell’azienda, più facile è che questa utilizzi la contrattazione di

secondo livello. In questo senso, la variabile determinante è la maggiore presenza

sindacale in azienda, connessa alla disponibilità delle imprese con maggiore

complessità organizzativa ad affrontare aggiustamenti e miglioramenti specifici

dell’organizzazione del lavoro, degli orari e dei salari.

L’altra dimensione di contrattazione di secondo livello è quella territoriale, e gran

parte di questo tipo di contrattazione, soprattutto per le aziende medio-piccole,

viene svolta al centro-nord del paese.

C’è da osservare che rispetto alla variabile delle dimensioni aziendali, proprio la

struttura dimensionale è un tema critico per le imprese italiane: nel 2012 sul

La casistica negoziale in tema di produttività e detassazione

 

  106  

territorio nazionale erano presenti 4,4 milioni di imprese che occupavano un totale

di 16,7 milioni di lavoratori. Rispetto alla dimensione totale, 2,6 milioni di imprese

avevano meno di due dipendenti, 1,6 milioni occupavano da 2 a 10 lavoratori, 134

mila imprese ne occupavano da 11 a 19, 53,3 mila da 20 a 49, 21,6 mila imprese

avevano tra 50 e 249 dipendenti e solo 3,6 mila imprese avevano più di 250

dipendenti. Dei 16,7 milioni di occupati sul territorio nazionale, solo 6 milioni di

lavoratori erano assunti presso un’azienda con più di 20 dipendenti238.

Dall’analisi di questi semplici dati si arriva alla conclusione secondo la quale la

contrattazione aziendale riguarda una quota relativa e concentrata di lavoratori e

lavoratrici. Basti pensare che a più dell’80% dei lavoratori italiani viene applicato il

contratto collettivo nazionale di lavoro.

A questo quadro si aggiunge la contrattazione territoriale che si è sviluppata in

modo diverso sia geograficamente sia rispetto ai settori di appartenenza delle

aziende: ad esempio in Veneto, Friuli Venezia Giulia, Toscana, Emilia Romagna,

Lombardia; più diffusamente in settori quali l’edilizia e l’artigianato.

Un ostacolo all’individuazione della situazione nazionale della contrattazione di

secondo livello è sicuramente la raccolta dei dati che riguardano gli accordi che

ogni anno sono stipulati. A livello nazionale non viene svolta un’operazione di

raccolta e catalogazione dei diversi accordi, quindi per poter avere una visione di

come la contrattazione di secondo livello si articola sul territorio ci si deve

rivolgere ad analisi campionarie che non sempre rispecchiano la reale

composizione della contrattazione di secondo livello in Italia.

Per sintetizzare la situazione italiana sono stati presi in considerazione, da parte di

chi scrive, tre differenti studi239 relativi alla contrattazione di secondo livello, che

hanno analizzato panieri composti da numeri diversi di accordi.

                                                                                                               238 Istat, 2012, registro statistico delle imprese attive (Asia); non sono disponibili dati più aggiornati relativi alla materia in esame. 239 Il primo studio preso in analisi è il “Secondo rapporto di dati OCSEL sulla contrattazione di 239 Il primo studio preso in analisi è il “Secondo rapporto di dati OCSEL sulla contrattazione di secondo livello negli anni 2009-2012” dell’Osservatorio sulla Contrattazione di Secondo Livello della CISL. Il secondo studio considerato è stato condotto da Vincenzo Bavaro e rielabora i risultati di una ricerca sulla contrattazione collettiva aziendale svolta negli anni 2010-2012. L’insieme di accordi analizzati, 764 in totale, rappresentano una casistica ragionata, selezionata in base alla provenienza e alla categoria dei settori produttivi in cui più spesso viene utilizzata la contrattazione di secondo livello.

La casistica negoziale in tema di produttività e detassazione

 

  107  

Il più ampio e completo dei tre è il Secondo rapporto sulla contrattazione di

secondo livello di OCSEL promosso da Cisl.

Il lavoro presenta i risultati di un’analisi quali-quantitativa sulla contrattazione di

secondo livello attraverso l’elaborazione statistica e lo studio di accordi stipulati

negli anni 2009-2012. Sono stati oggetto di analisi 2.402 accordi stipulati in 1.491

aziende con una dimensione minima di 10 occupati. Quasi il 90% degli accordi

analizzati sono di natura aziendale mentre la parte restante è composta da

accordi territoriali.

Il 42% degli accordi analizzati dal OCSEL sono stati stipulati nelle Regioni del

Nord, il 33% in quelle del Centro, il 18% riguardava accordi di Gruppo che

andavano applicati a lavoratori presenti su tutto il territorio nazionale e solo il 7%

dell’analisi riguardava la produzione contrattuale delle Regioni del Sud e delle

Isole240.

Analizzando i dati per settore emerge che la maggior parte degli accordi sono

stati stipulati nel settore metalmeccanico (17%), seguiti da quelli stipulati nel

commercio (14%), nel settore tessile (11%), nel settore chimico (10,6%),

nell’amministrazione pubblica (10,3%), nell’edilizia (10%) e nei trasporti (6%).

Sia il lavoro di Bavaro che quello di OCSEL sottolineano come la stragrande

maggioranza dei contratti aziendali rilevati sono riconducibili alla generale finalità

di gestire situazioni di crisi aziendale o eccedenza di personale. L’elevato numero

di questa tipologia di contratti è presumibilmente giustificata, tenendo in

considerazione i periodi analizzati, dalla grave crisi finanziaria che ha colpito il

tessuto economico nazionale dal 2008 in poi241.

Una seconda tipologia di contratti aziendali, anch’essa in numero consistente fra

quelli rilevati, riguarda la detassazione della retribuzione collegata alla

produttività. Si tratta di accordi che non regolano l’assetto organizzativo, ma si

limitano a ricondurre uno o più emolumenti economici alla crescita della

produttività così da poter usufruire del beneficio previsto dalla politica fiscale.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                              Il terzo lavoro utilizzato è stato presentato da Paolo Tomassetti e riguarda i risultati di un’indagine sugli accordi di produttività, condotta su un campione di 350 contratti integrativi aziendali sottoscritti nell’industria metalmeccanica lombarda nel periodo 2008-2013. 240 Sicuramente tale percentuale è giustificata dal minore tessuto produttivo presente in tali territori. 241 V. Bavaro, Contrattazione aziendale e produttività (a proposito di un’indagine casistica), in Econ. & Lav., 2014, vol. 1, pp.119.

La casistica negoziale in tema di produttività e detassazione

 

  108  

Molto spesso si tratta di rinnovi di accordi aziendali precedenti, infatti, solo un 8%

degli accordi sotto firmati per usufruire dell’incentivo di detassazione sono stati

stipulati da aziende che prima non avevano contrattazione di secondo livello242.

In tutti e tre gli studi pochissimi casi di contratti di secondo livello sembrano

perseguire il miglioramento dell’organizzazione del lavoro e delle pratiche

aziendali.

Nel lavoro di Tomassetti la selezione degli accodi di produttività all’interno del

campione è avvenuta a partire dalla definizione elaborata da Clegg243, secondo cui

un contratto collettivo può definirsi di produttività quando i lavoratori o le loro

rappresentanze accettano dei cambiamenti nelle condizioni lavorative che

determinano un’organizzazione del lavoro più economica, al netto di eventuali

incrementi salariali concessi a titolo compensativo. Solamente 48 contratti su 350

analizzati corrispondono a tale definizione, il 13,7% del campione considerato244.

Emerge, quindi un utilizzo dello strumento di contrattazione di secondo livello

interessato all’accesso ad incentivi fiscali e contributivi piuttosto che al

miglioramento reale dei processi e dell’organizzazione del lavoro, unica strada

verosimilmente percorribile per poter avere in azienda un aumento della

produttività consistente e continuativo.

Dopo aver individuato una prima criticità a livello di utilizzo di questo tipo di

contrattazione, che verrà approfondita nella parte conclusiva di questo capitolo, è

interessante soffermarsi su quali sono gli elementi inseriti nei contratti aziendali e

territoriali. Questo tipo di analisi è possibile svolgerla solamente grazie al lavoro di

OCSEL che suddivide i contenuti degli accordi in categorie e li analizza.

I contenuti della contrattazione presa in esame sono sicuramente ricchi ed

articolati. Tra le materie ricorrenti all’interno della contrattazione si trova quella

retributiva, presente in quasi il 40% degli accordi analizzati. In ordine di

frequenza segue il tema della gestione delle crisi aziendali (38%); poi i diritti

sindacali (20%), l’orario di lavoro (19%), il welfare integrativo (14%) e la

                                                                                                               242 OCSEL, Secondo rapporto sui dati OCSEL sulla contrattazione di secondo livello negli anni 2009-2012, 2012, pp. 13. 243 H. A. Clegg, The Substance of Productivity Agreement, in A. Flanders, Collective Bargaining, Penguin Books, Harmondsworth, 1969, pp. 352-365. 244 P. Tomassetti, Gli accordi aziendali di produttività: una dimensione provinciale?, in Econ. & Lav., 2014, vol.1, pp. 90-96.

La casistica negoziale in tema di produttività e detassazione

 

  109  

formazione professionale (13%). Percentuali relativamente basse riguardano

l’inquadramento (8%), l’organizzazione del lavoro (9%), la tematica dell’ambiente

(9%) e il mercato del lavoro (7%).

In questa sede verranno analizzate solamente le materie che all’interno della

contrattazione di secondo livello possono avere un contributo positivo per

l’aumento della produttività dell’azienda.

Il tema del salario è stato trattato da quasi tutti gli accordi interconfederali presi

in esame nella parte di analisi giuridica di questo lavoro ed è anche la materia più

trattata nei contratti di secondo livello analizzati dall’OCSEL.

All’interno dell’area Salario, identificata a livello statistico per ordinare i temi di

contrattazione, confluiscono sia le voci a carattere continuativo e in cifra fissa, sia

le voci a carattere variabile, nonché le maggiorazioni o indennità 245 . I dati

evidenziano come il salario variabile è quello maggiormente oggetto di

contrattazione in azienda (68%) rispetto alle voci ad importo fisso (52%).

Nel caso di voci a carattere variabile sono i premi di risultato (94%) ad essere

legati con maggior frequenza ad obiettivi concordati tra le parti.

Anche se viene ripetutamente dichiarata la totale variabilità del premio di

risultato, va detto che in alcuni casi sono state introdotte delle clausole di

revisione e/o dei meccanismi in grado di garantire un valore minimo del premio.

Gli indicatori utilizzati per determinare i premi sono di natura estremamente

variegata e nell’analisi effettuata da OCSEL ne sono stati individuati tre gruppi

principali: indicatori tecnico-produttivi, indicatori di bilancio, formule miste246.

Gli indicatori più utilizzati sono quelli tecnico-produttivi (63%), riferibili a

produttività, efficienza, flessibilità, qualità, presenza assunta come obiettivo della

prestazione, seguiti da quelli di bilancio (29%) e formule miste.

Gli indicatori di bilancio maggiormente rinvenibili nella determinazione del premio

di risultato sono sostanzialmente quattro (MOL, Ebit, Fatturato ed Ebitda), e quasi

tutti questi parametri tendono ad essere utilizzati congiuntamente nello stesso

accordo. Infatti, sono pochissimi gli accordi che legano la retribuzione variabile ad                                                                                                                245 Quali voci retributive più direttamente collegate alle peculiari modalità di svolgimento della prestazione. 246 Non è facile ed immediato creare una netta linea di demarcazione poiché gli indicatori sono spesso rappresentati da una combinazione di parametri, collegati tra loro da formule più o meno complesse.

La casistica negoziale in tema di produttività e detassazione

 

  110  

un solo parametro, mentre la maggioranza utilizza meccanismi complessi che

fanno riferimento a più indicatori.

La decisione circa gli indicatori da utilizzare nei meccanismi premianti influenza in

modo non indifferente gli schemi di suddivisione del rischio tra le parti. La scelta

di utilizzare principalmente indicatori di produttività e di qualità riduce il rischio

della variabilità degli importi concordati, e allo stesso tempo funge in alcuni casi

da incentivo ad una maggiore partecipazione ed impegno alla riduzione delle

inefficienze del sistema produttivo.

E’ da rilevare la forte importanza attribuita alla presenza intesa non come

obiettivo di prestazione ma come criterio per determinare la partecipazione del

lavoratore ai benefici maturati in funzione del raggiungimento di altri obiettivi di

produttività, qualità e redditività. Dall’analisi risulta che il 24% degli accordi

introducono un correttivo individuale di presenza. La presenza viene utilizzata per

mantenere un rapporto di causalità fra risultati e premio: la maggior presenza sul

posto di lavoro implica un maggiore apporto al raggiungimento degli obiettivi

stabiliti nell’accordo aziendale.

Abbastanza contenuta appare la diffusione delle forme di indennità (15%). Tra

quelle più contrattate troviamo le indennità di turno (29%), seguite dalle

indennità di mansione/funzione (18%).

Il 25% degli accordi regolamenta invece le maggiorazioni per orario straordinario,

dal turno diurno al notturno, dal festivo al settimanale.

Un secondo elemento che può incidere in modo profondo sulla gestione della

produttività in azienda è l’orario di lavoro. Relativamente a questa materia, il 54%

degli accordi hanno contrattato in tema di flessibilità, il 36% si sono concentrati

sulla distribuzione dell’orario, il 25% sul part-time ed il 24% sullo straordinario.

Analizzando le singole voci nella sezione “Flessibilità” rientrano gli accordi relativi

all’applicazione in azienda di periodi di flessibilità, quelli dove sono previste fasce

di orario elastiche per l’entrata e l’uscita, comprensive di eventuali opzioni di

recupero e/o accantonamento delle ore, quelli relativi all’incremento delle ore

lavorate e/o numero dei turni in periodi di punta, quelli legati ai tempi di vita e di

lavoro.

La casistica negoziale in tema di produttività e detassazione

 

  111  

Tali strumenti, la cui attuazione può determinare anche fenomeni di

diversificazione e di personalizzazione dell’orario di lavoro all’interno della stessa

azienda, rispondono evidentemente alle esigenze aziendali di rendere più flessibile

la prestazione di lavoro per far fronte, anche attraverso un utilizzo ottimale degli

impianti, alle variazioni della domanda.

Relativamente alle regole di retribuzione delle ore eccedenti in regime di

flessibilità poco più della metà degli accordi (53%) ha disposto in materia di

retribuzione della flessibilità e per la maggior parte prevedendo delle retribuzioni

con maggiorazioni ulteriori rispetto a quanto stabilito dal contratto collettivo

nazionale applicato (32%). Rilevante si presenta la percentuale degli accordi che

prevedono, come retribuzione delle ore eccedenti l’orario di lavoro, la variabile dei

riposi compensativi (29%).

La seconda delle sezioni maggiormente contrattata è la distribuzione dell’orario.

Rientrano in questa sezione tutti gli accordi relativi alla determinazione dei c. d.

calendari annui (73%), alla definizione dell’assetto dei turni (74%), alla

definizione dei tempi di pausa e recupero (59%), alla banca ore (49%), nonché

all’attuazione di riduzione di orario di lavoro (33%).

Nella prima parte del presente elaborato, all’interno degli elementi volti al

miglioramento della produttività, sono stati identificati anche una serie di

strumenti non solamente diretti al miglioramento della prestazione lavorativa o

all’aumento della produttività per ora lavoro, ma anche al benessere del

lavoratore. Non è possibile quindi considerare la produttività del lavoro slegata dai

sistemi di welfare aziendale, anche se all’interno della normativa che regola e

incentiva proprio la produttività gli strumenti di welfare non sono, se non

minimamente, considerati e premiati.

L’area di intervento maggiormente ricorrente nella regolazione del welfare

integrativo sul totale degli accordi è quella dei servizi aziendali e l’attivazione di

convenzioni (77%), seguita dall’attivazione di fondi integrativi (60%) e, in ultimo,

le disposizioni di miglioramenti, rispetto alla legislazione vigente, riguardo ad

alcune materi del welfare contrattuale (55%).

La preparazione e la formazione dei lavoratori per aumentare la produttività

dell’azienda sono di fondamentale importanza, soprattutto se si guarda alla

La casistica negoziale in tema di produttività e detassazione

 

  112  

produttività totale dei fattori, dove le capacità dei singoli lavoratori possono dare

un contributo chiave per il miglioramento dell’efficienza dell’impresa.

La contrattazione di secondo livello per quanto concerne il tema della formazione,

non persegue la strada d’implementazione delle conoscenze dei lavoratori, ma si

concentra piuttosto sull’utilizzo della formazione contrattata come strumento per

favorire la riqualificazione di lavoratori sospesi dall’attività lavorativa. Solo il 16%

degli accordi che trattano di formazione, infatti, hanno utilizzato questo strumento

per migliorare le capacità e le conoscenze dei lavoratori in seguito all’introduzione

di nuove tecnologie all’interno dell’azienda.

Dall’analisi di questi dati si può dedurre che la contrattazione di secondo livello

non sia attivata per migliorare in modo concreto la produttività del lavoro.

Pochissimi accordi trattano temi quali il miglioramento dell’organizzazione del

lavoro o la modificazione dei contenuti del rapporto di lavoro in seguito

all’introduzione di innovazioni tecnologiche.

In questo modo la contrattazione di secondo livello, nei casi in cui viene utilizzata,

permette l’accesso agli sgravi contributivi e agli incentivi fiscali, ma non contiene

gran parte degli elementi che la letteratura economica riconosce come

fondamentali per il perseguimento della competitività e della crescita della

produttività delle imprese italiane.

2. Analisi di contratti aziendali e territoriali.

Dopo aver individuato quanto e come sono utilizzati i contratti di secondo

livello è opportuno completane l’analisi attraverso lo studio più specifico di alcuni

casi di contrattazione di secondo livello.

Tra i molti accordi disponibili, sia di natura aziendale sia di natura territoriale,

l’attenzione è stata rivolta a casi di contrattazione contenenti strumenti ritenuti

validi al fine del miglioramento dei livelli di produttività dell’azienda.

Relativamente ai contratti di natura aziendale sono state individuate due imprese

di grandi dimensioni.

Il primo contratto aziendale analizzato è stato siglato da Carrefour Italia; questo

accordo è stato scelto per la tipologia di indici utilizzati ai fini della stima del

premio di risultato. Anche se ben strutturato per quanto concerne i parametri da

La casistica negoziale in tema di produttività e detassazione

 

  113  

misurare per cogliere un aumento di produttività, esso non presenta alcun tipo di

innovazione e di riferimento a strumenti alternativi alla flessibilità dell’orario di

lavoro. Questo accordo, nonostante le dimensioni considerevoli dell’azienda che lo

ha sotto scritto, non presenta differenze di rilievo rispetto alla maggior parte degli

accordi aziendali stipulati sul territorio nazionale. Il fine primo di tale contratto

pare essere quello di identificare in modo preciso e sicuro gli elementi retributivi

che possono beneficiare di incentivi fiscali e contributivi.

Il secondo accordo aziendale analizzato, invece, è stato scelto proprio per la sua

natura innovatrice relativamente agli strumenti utilizzati per aumentare i livelli di

produttività. Il contratto aziendale del gruppo Luxottica è stato inserito in questo

contesto di analisi perché rappresenta una valida alternativa agli accordi aziendali

più frequentemente adottati in Italia e presenta elementi utili al perseguimento

concreto dell’innalzamento di produttività e non di accesso a benefici contributivi

e fiscali.

Per quanto riguarda la contrattazione territoriale sono stati analizzati due accordi,

uno provinciale e uno regionale, che presentano caratteristiche distintive rispetto

ai numerosi accordi territoriali fotocopia il cui uso è dilagato dopo l’accordo

interconfederale del 24 aprile 2013.

Gli accordi territoriali scelti si rivolgono ad imprese anche di dimensioni ridotte ed

individuano indici che si distinguono dalla semplice misurazione della flessibilità di

orario, per la misurazione degli aumenti di produttività.

2.1 Contratto integrativo aziendale Carrefour Italia 5 marzo 2013

In data 5 marzo 2013 viene sotto scritto il contratto aziendale integrativo tra le

società appartenenti al gruppo Careffour247 Italia e FILCAMS CGIL, FISASCAT

CISL, UILTUS UIL.

Carrefour è una società francese operante nel settore della grande distribuzione

organizzata a livello internazionale. Presente in Italia dal 1974, opera oggi su

tutto il territorio nazionale con 461 punti vendita diretti e 655 punti franchising,

occupando in totale più di 19 mila collaboratori.

                                                                                                               247 GS Spa, SSC Srl, Diperdì Srl, Carrefour Property Srl, Carrefour Italia Finance e Carrefour Banque SA.

La casistica negoziale in tema di produttività e detassazione

 

  114  

Le parti stipulano il nuovo accordo relativo al triennio 2013-15 con la volontà di

proseguire la politica di sviluppo e investimenti sempre portata avanti

dall’azienda, riconoscendo la necessità di rimodularne il modello commerciale con

la finalità di essere più competitivi all’interno del mercato. Per perseguire tali

obiettivi l’azienda si propone di attuare l’apertura di nuovi punti vendita e di

investire in nuove tecnologie e sistemi informativi per l’ammodernamento dei

punti vendita già esistenti248.

Come conseguenza di un significativo decremento dell’ammontare degli affari

aziendali del triennio precedente alla stipula dell’accordo analizzato, le parti

riconoscono la necessità di “favorire un recupero di efficienza, qualità e

produttività, anche attraverso lo svolgimento di prestazioni domenicali o festive”.

Per questo motivo si costituisce un sistema incentivante, applicabile a dipendenti

con contratto a tempo indeterminato e apprendisti, a cui si potrà accedere solo

nel caso in cui verrà raggiunto un livello previsto di reddittività. Il premio di

produttività risulta legato al raggiungimento di uno tra i due seguenti indicatori:

“l’1,5% dell’incremento rispetto all’anno precedente del fatturato annuo lordo a

tasso iva costante del Gruppo Carrefour Italia, al netto del tasso annuo di

inflazione e delle benzine; l’1% del fatturato annuo lordo a tasso constante ed al

netto delle benzine del Gruppo Carrefour Italia eccedente il budget”.

Se il fatturato del gruppo non crescerà per l’ammontare determinato da almeno

uno dei due parametri, il premio non verrà riconosciuto.

L’ammontare teorico per addetto del premio di produttività variabile sarà

costituito dalla somma di incremento del fatturato determinata precedentemente

diviso il numero dei dipendenti, fino a un massimo di 600 euro lordi annui, che nel

2015 salirà ad 800.

Il valore del premio che verrà erogato al dipendente, il cui ammontare massimo

dipende dall’andamento del gruppo in generale, dipenderà anche dal

raggiungimento di ulteriori indici relativi al punto vendita dove il lavoratore svolge

                                                                                                               248 Contratto Integrativo Aziendale Carrefour Italia 5 marzo 2013, paragrafo “investimenti e piano industriale”, p. 2.

La casistica negoziale in tema di produttività e detassazione

 

  115  

la propria attività. A titolo esemplificativo per i dipendenti di “Market e

Superstore”249 del Gruppo il premio dipenderà per il:

- 40% raggiungimento del fatturato lordo a tasso costante previsto nel

budget del punto di vendita;

- 40% raggiungimento della % di differenze inventariali prevista nel budget

del punto di vendita;

- 20% raggiungimento del Fatturato per Ora Lavorata (FOL) previsto nel

budget del punto di vendita.

Per le tipologie di negozio di dimensioni più importanti si fa riferimento a valori

previsti nel budget del singolo punto vendita, mentre per quelli di dimensioni

ridotte, identificati con il formato “Prossimità”, si fa riferimento a budget definiti a

livello di area commerciale.

La strutturazione del premio di produttività tramite l’utilizzo di due tipologie

differenti di indici, permette di avere la flessibilità retributiva necessaria al buon

andamento dell’azienda nel caso di situazioni di crisi, che si rispecchiano nel

minore fatturato rispetto a quello atteso; e dall’altro lato riconosce lo sforzo e

l’impegno, se non del singolo lavoratore dello specifico punto vendita,

incentivando così i lavoratori ad aumentare le proprie perfomance in funzione del

risultato. In questo modo si evita che l’azienda distribuisca il premio “a pioggia”

che potrebbe essere riconosciuto anche i dipendenti di un punto vendita che

frenano la crescita e il buon andamento dell’impresa.

Per fare in modo che il premio presenti un carattere ancora più individuale,

l’accordo prevede che “l’erogazione del premio sarà riproporzionata all’effettiva

presenza fatta registrare dal singolo lavoratore nel corso dell’anno”.

Proprio perché il premio di produttività in questione verrà erogato come

conseguenza del “miglioramento della competitività aziendale e dell’incremento

della produttività, reddittività, qualità del servizio, innovazione ed efficienza

organizzativa” 250 , esso detiene le caratteristiche richieste per rientrare nelle

                                                                                                               249 Sono previsti all’interno del contratto indici e percentuali diverse per le sedi “Formato Market e Superstore”, “Formato Prossimità”, “Formato Ipermercati e Cash & Carry”, “Sede” e “Depositi”. 250 Contratto Integrativo Aziendale Carrefour Italia 5 marzo 2013, paragrafo “premio di produttività variabile”, p. 9.

La casistica negoziale in tema di produttività e detassazione

 

  116  

agevolazioni fiscali e contributive previste dalla normativa per le erogazioni

retributive correlate alla produttività/reddittività aziendale.

Come ulteriore strumento per aumentare la flessibilità all’interno

dell’organizzazione aziendale, le parti hanno individuato un sistema di

incentivazione per i dipendenti che prestano il lavoro nelle giornate festive e

domenicali. Oltre alle maggiorazioni previste dal contratto collettivo nazionale,

l’azienda corrisponderà a titolo di incentivazione da 50 a 400 euro lordi

complessivi (riparametrati a seconda del livello di inquadramento del lavoratore),

in proporzione al numero di domeniche o giornate festive lavorate251.

Le incentivazioni legate al numero di giornate festive/domenicali lavorate sono

legate sempre all’incremento della “qualità del servizio alla clientela, competitività,

produttività ed efficienza organizzativa, derivanti dall’apertura dei punti vendita

anche nelle giornate domenicali e festive”; per questo motivo le parti considerano

anche questi incentivi rientranti nelle agevolazioni fiscali e contributive. In

aggiunta a questo, le parti, all’interno dell’accordo in esame, “dichiarano la

reciproca volontà di dar seguito alle opportune misure a sostegno di tale

agevolazione laddove eventualmente richieste dalla relativa normativa presente o

futura”252.

Sempre in un’ottica volta al miglioramento della competitività aziendale, le parti,

in un paragrafo intitolato “Organizzazione del Lavoro”, palesano la volontà di

monitorare in modo continuo i singoli punti vendita e le divisioni territoriali

dell’azienda, per finalizzare eventuali accordi su assetti organizzativi volti al

recupero di efficienza e produttività. Nell’ambito di tali confronti le parti dovranno

concentrarsi specificatamente su due principali fattori: l’orario di lavoro, in modo

da implementare la flessibilità oraria giornaliera e settimanale, per situazioni di

aumenti della domanda prevedibili e non prevedibili; e le mansioni, in relazione

alla “promiscuità, fungibilità e polivalenza da applicare all’interno delle singole

unità produttive e tra i rispettivi settori e reparti”.

                                                                                                               251 Da 4 a 9 giornate fest/dom lavorate verranno corrisposti 50 euro, da 9 a 12 110, da 13 a 16 220, da 17 a 20 300 e per più di 21 giornate festive lavorate verrà corrisposto un premio pari a 400 euro. 252 Contratto Integrativo Aziendale Carrefour Italia 5 marzo 2013, paragrafo “Prestazioni straordinarie domenicali e festive”, p. 10.

La casistica negoziale in tema di produttività e detassazione

 

  117  

Questo contratto aziendale si presenta completo e volto con diversi strumenti al

miglioramento della produttività del lavoro in azienda. Il premio di produttività

dipende da elementi che appartengono al gruppo in generale, al singolo punto

vendita e al singolo lavoratore, e la disponibilità alla flessibilità è premiata in

modo separato rispetto all’andamento economico dell’impresa con un

riconoscimento in denaro che cresce al crescere della flessibilità prestata.

Un punto critico di tale accordo può essere riconosciuto nella mancanza completa

di elementi volti al welfare integrativo aziendale. Le remunerazioni per la

produttività dei lavoratori sono solo in forma monetaria e non viene presentata

alcuna ipotesi di recupero giorni prestati come flessibilità oppure forme di

assistenza sanitaria o previdenziale integrativa, che spesso incentivano i lavoratori

in modo più efficace.

Una prima ipotesi di ridisegno delle soluzioni organizzative è stata portata avanti

con questi confronti periodici tra rappresentanza sindacali aziendali,

amministratori e lavoratori che potranno migliorare l’efficienza del sistema di

lavoro, i cui risultati saranno però visibili solamente nei prossimi anni.

Questo contratto aziendale è stato inserito nella presente analisi perché pur

trattandosi di un’azienda di grandi dimensioni questa si compone di tante realtà

indipendenti di dimensioni più ridotte. Per questo motivo, gli strumenti identificati

dalle parti potrebbero essere facilmente applicati a molte realtà produttive di

medio-piccola dimensione, anche appartenenti a settori diversi da quello del

commercio e della distribuzione.

2.2 Accordo aziendale Luxottica 14 ottobre 2011.

Dopo aver analizzato un caso di azienda che punta al miglioramento della

produttività e della competitività utilizzando i mezzi messi a disposizione dalla

normativa nazionale, pare interessante guardare ad un caso di contrattazione

aziendale che presenti sia elementi previsti dal sistema normativo italiano, sia

elementi che innalzano la produttività modificando non solo l’orario di lavoro, ma

fattori come il clima di lavoro aziendale e il sistema di welfare integrativo.

Nel panorama della contrattazione aziendale italiano l’azienda che ha più di tutte

puntato sull’introduzione di strumenti volti al facilitare la conciliazione tra vita

La casistica negoziale in tema di produttività e detassazione

 

  118  

lavorativa e privata, al creare un clima lavorativo favorevole al confronto e

positivo per la risoluzione di problematiche interne, è Luxottica.

Luxottica è una multinazionale italiana che produce e commercializza occhiali,

attualmente il più grande produttore mondiale di lenti e montature grazie alla sua

ampia gamma di marchi di proprietà e in licenza. Nel 2013 occupava, nei suoi

stabilimenti dislocati in tutto il mondo, 73.400 dipendenti, di cui un 15% occupato

presso uno dei 5 stabilimenti italiani.

Il 14 ottobre 2011 la società, il coordinamento sindacale Luxottica (costituito da

FILCTEM-CGIL, FEMCA-CISL e UILTA-UIL) e le RSU del gruppo hanno sottoscritto

l’accordo aziendale applicabile al triennio 2011-13.

Nel primo paragrafo dell’accordo, intitolato “Contesto”, le parti riconoscono le

modifiche di carattere strutturale che colpiscono il mercato mondiale a causa della

crisi. Nonostante l’ottimo andamento dell’azienda, possibile anche grazie ad “un

forte contributo dei lavoratori” che hanno permesso di creare una delle imprese

più dinamiche dell’intero sistema italiano, si riconosce la necessità di rispondere a

tali cambiamenti strutturali per poter rimanere sempre competitivi e mantenere la

posizione di leadership. Gli obiettivi che si prefigge l’azienda, raggiungibili anche

tramite l’utilizzo del presente accordo aziendale, sono: “produrre meglio in termini

di produttività, velocità, di riduzione di tempi di attraversamento, di qualità, di

redditività; contenere i costi impropri per non aumentare il gap economico verso

altre matrici produttive; valorizzare le specificità degli stabilimenti italiani;

aumentare l’efficienza; rafforzare il grado di coinvolgimento dei lavoratori

attraverso una sempre maggiore partecipazione ai processi”253.

Viene riconosciuta, al fine di raggiungere tali obiettivi, anche la necessità di

costruire un sistema di relazioni sindacali in grado di governare le esigenze

produttive tenendo conto delle necessità delle persone.

Già nella prima parte dell’accordo si può notare come il tema delle esigenze e

delle necessità dei lavoratori sia preso a cuore dall’azienda. Moltissimi elementi

presenti nel contratto sono finalizzati al benessere dei lavoratori, inteso come

veicolo per migliorare l’efficienza del sistema produttivo e il suo andamento

complessivo.

                                                                                                               253 Accordo aziendale Luxottica 14 ottobre 2011, paragrafo 1, p. 2.

La casistica negoziale in tema di produttività e detassazione

 

  119  

Peculiare di tale accordo è l’importanza data alla partecipazione dei lavoratori

nell’organizzazione dell’azienda e al loro coinvolgimento. Le parti condividono che

“l’esigenza di garantire una sempre più adeguata risposta alle reali richieste del

mercato o di realizzare gli interventi di innovazione necessari nei tempi più rapidi,

dipendono anche dal livello di coinvolgimento e partecipazione dei lavoratori”254.

Per raggiungere questi obiettivi risulta fondamentale la conoscenza del problemi,

la condivisione degli obiettivi ed il coinvolgimento dei lavoratori. Per questo

motivo le parti concordano sul migliorare il sistema informativo aziendale,

investendo anche nell’acquisto di nuovi strumenti informatici da mettere a

disposizione dei dipendenti all’interno dell’azienda.

Molto importante all’interno dell’organicità dell’accordo in esame è il paragrafo 4,

intitolato “Organizzazione del lavoro e orario di lavoro”. Secondo le parti, infatti, la

gestione efficace dell’orario di lavoro è una delle componenti primarie per:

ottimizzare l’organizzazione del lavoro, soddisfare le diverse esigenze produttive e

conciliare i tempi di lavoro con i tempi di vita. Sono individuati diversi strumenti

per fare in modo che l’orario di lavoro si possa adattare alle mutevoli condizioni di

volumi di vendita, tipologia di prodotto, stagionalità e servizio al cliente. Il primo

di tali strumenti è riconosciuto nella flessibilità, che è definita come “distribuzione

variabile dell’orario contrattuale su cicli plurisettimanali nell’arco dell’anno”. Essa

serve a rispondere alle esigenze di maggiore produzione o spedizione da una

puntuale esigenza di servizio al cliente piuttosto che da mere logiche di trend

stagionali. L’azienda potrà disporre annualmente di un massimo di 96 ore di

flessibilità. Come secondo strumento volto all’adattamento dell’orario alle esigenze

produttive le parti indentificano la banca ore, che in ogni caso non potrà mai

superare le 120 ore di lavoro prestato oltre orario regolare da contratto.

Interessante è l’istituzione di un nuovo strumento “finalizzato a rispondere alle

esigenze delle future maternità e paternità denominata ‘banca delle ore a

supporto di future maternità/paternità’”. Questa banca ore sperimentale potrà

essere alimentata da ore non utilizzate dalla banca ore, permessi individuali non

goduti, maggiorazioni di straordinario e flessibilità e quote di retribuzione

aggiuntiva tramutate in ore. Con questo strumento i dipendenti che programmano

                                                                                                               254 Accordo aziendale Luxottica, 14 ottobre 2011, paragrafo 3 “partecipazione”, p. 4.

La casistica negoziale in tema di produttività e detassazione

 

  120  

la genitorialità potranno accumulare ore da utilizzare nel periodo di crescita del

bambino in aggiunta ai congedi parentali, che potranno essere goduti entro 3 anni

dalla data di sottoscrizione dell’accordo, in presenza del verificarsi della condizione

di maternità/paternità comprovata da idonea documentazione.

Secondo le parti il lavoro straordinario è una “modalità organizzativa volontaria”

finalizzata al superamento di temporanei colli di bottiglia tecnologici. Pertanto,

esso non rappresenta una modalità strutturale di organizzazione del lavoro, e le

parti “agiranno per cercare di contenerne l’utilizzo” anche attraverso la previsione

di maggiorazioni più alte rispetto a quelle previste dal contratto nazionale255.

Dopo aver regolato tutte le diverse tipologie di organizzazione e di orario di lavoro

applicabili in azienda, l’accordo si occupa di mercato del lavoro, e anche all’interno

di questo paragrafo è possibile trovare un ulteriore elemento che sottolinea

l’attenzione verso il lavoratore, la sua famiglia ed il loro benessere. Le parti, in via

sperimentale, prevedono la possibilità di attivare contratti di lavoro di Job Sharing

per tenere conto delle esigenze personali e delle condizioni familiari del singolo

dipendente. Potranno essere attivati contratti di Job Sharing che coinvolgono: “un

dipendente e il coniuge disoccupato o in CIGS; un genitore dipendente e il figlio

che stia terminando o abbia appena concluso il ciclo di studi (anche per

agevolare l’uscita verso il pensionamento); il dipendente e un componente della

sua famiglia non occupato”256.

La parte del contratto aziendale Luxottica che più si distingue rispetto ad altri

contratti aziendali di imprese multinazionali è quella dedicata alla responsabilità

sociale dell’impresa. “Le parti ritengono che la responsabilità sociale vada intesa

come valore aggiunto per l’impresa e per i suoi rapporti con i lavoratori, i fornitori,

il territorio, i clienti e le istituzioni”, ed individuano ambiti di intervento volti a

migliorare tale aspetto quali, conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, welfare

integrativo, codice etico, agevolazione dell’attività di volontariato, rafforzamento

rapporto con il territorio, eliminazione degli sprechi.

                                                                                                               255 Accordo aziendale Luxottica, 14 ottobre 2011, paragrafo 4 “organizzazione del lavoro e orario di lavoro”, p. 11. 256 Accordo aziendale Luxottica, 14 ottobre 2011, paragrafo 5 “mercato del lavoro”, p. 19.

La casistica negoziale in tema di produttività e detassazione

 

  121  

Molti sono gli strumenti individuati per conciliare la vita lavorativa e quella privata:

permessi retribuiti per padri, 5 giornate di congedo di paternità entro 15 giorni

dalla nascita o dall’adozione, e 3 giorni annui per genitori con figli fino ai 13 anni.

Sono previsti poi permessi non retribuiti per la cura dei figli, permessi per diritto

allo studio, trasformazione di permessi per lo studio non utilizzati in borse di

studio, aspettative brevi non retribuite per necessità familiari da 15 giorni a 3

mesi e molti altri strumenti volti alla conciliazione di esigenze differenti dei

lavoratori.

Un altro fattore di fondamentale importanza per la crescita della produttività

dell’azienda sono le capacità e le conoscenze professionali dei lavoratori. Il

mantenimento di elevati livelli qualitativi, della capacità produttiva e del livello del

servizio al cliente sono mantenibili solo attraverso la crescita professionale e la

conoscenza dei processi da parte dei lavoratori a tutti i livelli. Per questo motivo

l’azienda, puntando sulla formazione, si impegna ad attuare un’azione formativa

attuata anche con la job rotation, riguardante sia i processi produttivi e

distributivi, sia i prodotti257.

Il Gruppo Luxottica oltre ad aver studiato l’utilizzo di strumenti alternativi a quelli

canonici per il raggiungimento di livelli più alti di produttività del lavoro, al

paragrafo 11 del proprio accordo ha mantenuto “un premio di risultato variabile

legato ad indici aziendali di redditività ed efficienza (così come previsto

dall’Accordo Interconfederale del 23 luglio 1993 e dai successivi Accordi

Interconfederali in vigore)”. Tale premio di risultato è stato legato a diversi indici:

• Indice di bilancio, che viene identificato con l’andamento della divisione

wholesale di Luxottica, assumendo come indice primario di riferimento il

rapporto tra utile operativo e fatturato netto del segmento wholesale. Al

variare dell’indice il premio assumerà diversi valori lordi annui258.

• Indice di presenza, misura la percentuale delle ore di malattia rilevate

nell’anno solare di riferimento del personale a tempo indeterminato diretto

                                                                                                               257 Accordo aziendale Luxottica, 14 ottobre 2011, paragrafo 8 “formazione”, p. 22. 258 Gli importi del premio variano da un minimo di 800 euro corrispondenti al valore percentuale 14,8% dell’indice di bilancio, fino a 1.900 euro, nel caso in cui l’indice sia pari a 24,3%.

La casistica negoziale in tema di produttività e detassazione

 

  122  

di produzione e variabile di logistica prodotto finito. Al variare dell’indice

annuo rispetto all’anno precedente, il premio assumerà differenti valori259.

• Indici zero sprechi. Tali indici misurano, rispetto all’anno precedente, la

riduzione annua del consumo di energia elettrica e dell’utilizzo della carta

per ufficio e toner260.

• Indice di flessibilità. La partecipazione a ciascun sabato di flessibilità

comporterà l’erogazione di una quota individuale aggiuntiva di 10 euro o in

proporzione all’orario effettivamente lavorato.

Il premio finale composto da tutte le somme derivanti dai diversi indici, viene poi

riproporzionato su base individuale moltiplicandolo per un valore percentuale

ottenibili detraendo da un valore teorico261 di ore lavorative, le aspettative, la

maternità facoltativa, le ore di permesso non retribuito, le ore di sciopero, le ore

di assenza ingiustificata e quelle di assenza non retribuita.

Le parti specificano che il premio di risultato calcolato con i parametri concordati

“determina un incremento della competitività, produttività ed efficienza aziendale”

e per questo motivo esso può accedere a tutti gli incentivi previsti dalla legge di

natura fiscale e contributiva262.

Dall’analisi svolta appare in modo chiaro come l’attenzione dell’azienda sia rivolta

verso tutti quelli strumenti incentivanti la produttività di natura non

retributiva/monetaria. Gli obiettivi di welfare aziendale sono l’attrazione di talenti,

la motivazione dei lavoratori, il rafforzamento del senso di appartenenza che non

incidono in modo direttamente misurabile sulla produttività, ma sicuramente ne

facilitano di molto l’incremento, attraverso la disponibilità e la collaborazione dei

lavoratori263.

                                                                                                               259 In questo caso il premio varia al variare di due differenti variabili; la prima è la riduzione sull’anno precedente della percentuale delle ore di malattia, la secondo è il range percentuale entro cui si colloca l’incidenza delle ore di malattia rispetto a quelle lavorative medie annue. L’incrocio delle due variabili porta a un premio da aggiungere a quello identificato dall’indice di bilancio che va da 10 a 150 euro. 260 Anche in questo caso si tratta di somme che vanno ad aggiungersi a quelle individuate dagli altri indici, che vanno dai 10 ai 55 euro per la riduzione del consumo energetico rispetto all’anno precedente e dai 2 ai 20 euro per la riduzione di carta e toner. 261 Per un full time pari a 1840 (365 giorni – 52 domeniche – 52 sabati – 20 giorni di ferie – 11 giorni PIR = 230 giorni ossia 1840 ore). 262 Accordo aziendale Luxottica, 14 ottobre 2011, paragrafo 11 “premio di risultato”, pp. 23-30. 263 R. Caragnano, Luxottica: un nuovo modello di welfare aziendale integrato, da www.adapt.it, 15 ottobre 2010.

La casistica negoziale in tema di produttività e detassazione

 

  123  

E’ stato deciso di introdurre in questo capitolo di analisi casistica il contratto

aziendale del gruppo Luxottica per mostrare una via alternativa, e a parere di chi

scrive anche più efficace, per cercare di migliorare i livelli di produttività del

lavoro. Questo contratto aziendale non utilizza in modo esclusivo gli strumenti

identificati dalla contrattazione interconfederale e dalla legge, ma, partendo da

una definizione economica di produttività, cerca di migliorare tutti gli aspetti che

la compongono e la determinano. Sicuramente le dimensioni e la capacità

economica dell’azienda presa in esame sono determinanti per l’adozione di

progetti di simile portata, ma la conciliazione tra vita lavorativa e vita familiare,

l’adozione di pratiche che vadano incontro alle esigenze dei lavoratori e l’ascolto

di questi nel percorso decisionale rivolto alla progettazione della struttura

organizzativa sono fondamentali per raggiungere flessibilità e professionalità

importanti strumenti utilizzabili per aumentare la produttività.

2.3 Ipotesi di accordo su contrattazione provinciale di secondo livello –

Unionmeccanica Vicenza.

L’accordo in esame è stato firmato il 23 dicembre 2011 da Unionmeccanica

Vicenza e dai Segretari provinciali di Cisl e Uil per il settore metalmeccanico con

l’obiettivo di introdurre misure specifiche per migliorare la competitività delle

industrie metalmeccaniche del territorio.

Il contesto economico in cui nasce tale accordo è quello del settore

metalmeccanico delle piccole e medie imprese che da anni ormai risente di una

forte crisi. Alla fine del 2012 le imprese attive del settore metalmeccanico in

Veneto erano circa 22.400, quasi il 5% del totale delle imprese attive in Regione,

diminuite di un 4% rispetto al 2009. Dal 2008 al 2011 il numero dei lavoratori

dipendenti è diminuito di quasi 22 mila unità, pari all’8,5% del totale.

Il contratto in esame rappresenta uno dei primi casi di sperimentazione di

contrattazione territoriale di secondo livello, si sensi dell’accordo di rinnovo Ccnl

Unionmeccanica-Confapi del 3 giugno 2010, finalizzato all’introduzione di “misure

specifiche per migliorare la competitività delle industrie metalmeccaniche del

territorio, favorendo la flessibilità organizzativa e l’ottimizzazione dei costi,

garantendo al tempo stesso il coinvolgimento dei lavoratori attraverso un

La casistica negoziale in tema di produttività e detassazione

 

  124  

miglioramento del trattamento economico individuale ed il conseguimento dei

benefici contributivi e fiscali previsti dalla normativa vigente”264.

L’obiettivo quindi è quello di generare una contrattazione capace di portare

benefici di natura economica alle imprese medio-piccole e ai loro lavoratori

fissando obiettivi di produttività e qualità concreti.

Sulla base di questi presupposti, per il triennio 2012-2014, le parti hanno previsto

l’istituzione del Premio Territoriale di Risultato (PTR) con erogazione annuale. Tale

emolumento è caratterizzato da due basi di calcolo: la prima territoriale, e la

seconda aziendale e facoltativa.

Gli indicatori individuati per la base territoriale sono: l’indice di occupazione, che

considera il numero degli addetti al comparto nella provincia di riferimento;

l’indice di rilevanza economica del comparto, che misura la vocazione all’export

delle piccole medie imprese metalmeccaniche vicentine ed evidenzia la capacità

del sistema di mantenere il proprio posizionamento nel mercato globale; e l’indice

di sicurezza sul lavoro, che intende premiare il miglioramento dell’andamento

infortunistico del comparto. Tutti gli indicatori sono raggiunti in caso di

miglioramento del valore iniziale ma, per i primi due indici, il risultato si considera

raggiunto anche in caso di diminuzione del valore non superiore al 5%265.

Al raggiungimento di almeno 2 dei 3 indici stabiliti, sarà corrisposta l’erogazione

del premio pari a 650 euro annui per ogni lavoratore.

Il PTR può essere incrementato al raggiungimento di uno o più obiettivi individuati

a livello aziendale, che comportano l’erogazione di un importo ulteriore annuo di

ammontare massimo pari a 360 euro.

Gli indicatori aziendali sono individuati nei seguenti indici: indice di reddittività

legato al margine operativo lordo; indice organizzativo legato al miglioramento dei

tempi di consegna; indice di qualità legato al contenimento dei costi266.

Il premio viene poi riproporzionato a livello individuale in base ai giorni di assenza

dal lavoro di ogni singolo lavoratore267.

                                                                                                               264 Ipotesi di Accordo su Contrattazione Provinciale di Secondo Livello – Unionmeccanica Vicenza, dicembre 2011, pp. 1. 265 Ipotesi di Accordo su Contrattazione Provinciale di Secondo Livello – Unionmeccanica Vicenza, dicembre 2011, punto 3.1, pp. 2. 266 Ipotesi di Accordo su Contrattazione Provinciale di Secondo Livello – Unionmeccanica Vicenza, dicembre 2011, punto 3.2, pp.3.

La casistica negoziale in tema di produttività e detassazione

 

  125  

Oltre all’istituzione del PTR, le parti hanno individuato nella maggiore flessibilità

degli orari di lavoro un altro strumento utile per soddisfare l’esigenza di

consolidare l’occupazione del comparto e aumentarne la reddittività. In questo

modo sono state aumentate le ore massime di straordinario annuo che possono

essere prestate da ciascun lavoratore, ed è stata riconosciuta ai datori di lavoro

aderenti al PTR la possibilità di modificare in aumento o in diminuzione la durata

normale della prestazione lavorativa settimanale268.

“Le parti firmatarie confermano che il PTR erogato con le modalità sopra descritte

rispetti i requisiti previsti per l’applicazione delle agevolazioni contributive e fiscali

di legge” e che tali incentivi sono applicabili a tutte le somme corrisposte dai

datori di lavoro a titolo di: “lavoro straordinario, supplementare, notturno e

festivo, anche per la quota di maggiorazione prevista dagli usi aziendali, nonché

qualora corrisposto in forma continuativa forfetizzata; lavoro festivo per i

lavoratori che, usufruendo del giorno di riposo settimanale in giornata diversa

dalla domenica (con spostamento del turno di riposo), siano tenuti a prestare

lavoro la domenica; indennità di turno o maggiorazioni retributive, comunque

denominate, corrisposte per lavoro normalmente prestato in base ad un orario

articolato su turni; flessibilità della prestazione”269.

In chiusura è stata riconosciuta la possibilità di sospensione del premio in caso di

oggettive difficoltà economico finanziarie da parte dell’azienda.

Si individua una principale criticità relativa al contratto esaminato: la scarsa

consistenza del PTR. Questo è calcolato al lordo delle ritenute di legge e

comprensivo dell’incidenza su ogni altro istituto retributivo diretto ed indiretto,

legale o contrattuale, incluso il trattamento di fine rapporto. Oltre a questo, gli

indicatori di produttività individuati secondo gli studi economici affrontati non

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                             267 Per il calcolo volto alla riproporzione del premio vengono prese in considerazione le assenze derivanti da assenze ingiustificate, malattia e infortunio non sul lavoro, infortuni in itinere, infortuni sul lavoro, se riconducibili al mancato utilizzo dei Dispositivi di Protezione Individuale o comunque da omissione di norme e/o procedure di sicurezza, regolarmente contestati ai sensi dell’art. 7, L. 300/70 al lavoratore interessato. In questo tipo di regolazione troviamo da un primo elemento diretto alla diminuzione dei fenomeni di assenteismo, difficile da combattere nelle piccole-medio imprese. 268 Ipotesi di Accordo su Contrattazione Provinciale di Secondo Livello – Unionmeccanica Vicenza, dicembre 2011, punto 7, pp. 6. 269 Ipotesi di Accordo su Contrattazione Provinciale di Secondo Livello – Unionmeccanica Vicenza, dicembre 2011, punto 8, pp. 7.

La casistica negoziale in tema di produttività e detassazione

 

  126  

sembrano avere la capacità di determinare una reale crescita della produttività270,

poiché si tratta di indicatori piuttosto tradizionali e poco innovativi che spesso si

rivelano poco efficaci con pochi effetti sulle retribuzioni dei lavoratori.

Specificare all’interno dell’accordo gli altri elementi retributivi, come lo

straordinario, che possono beneficiare degli incentivi fiscali e contributivi potrebbe

diminuire l’impegno da parte di lavoratori e datori di lavoro nel raggiungere gli

obiettivi degli indici per il PTR, vista la sua poco importante dimensione

economica.

Il contratto provinciale si inserisce in una logica incentivante della competitività

mediante il coinvolgimento dei lavoratori al risultato d’impresa. L’introduzione del

PTR può portare un effetto positivo in termini di partecipazione dei lavoratori

all’andamento dell’impresa, dall’altro lato però, la soluzione del PTR non

garantisce una maggiore flessibilità produttiva, e non viene fatto cenno ad alcun

tipo di introduzione di innovazione tecnologica o organizzativa.

2.4 Contratto collettivo regionale per i lavoratori dipendenti delle aziende artigiane

della Lombardia dell’area Chimica-Ceramica.

L’accordo esaminato in questo paragrafo è stato siglato il 24 ottobre 2012 tra

Confartigianato Lombardia, Confederazione Nazionale dell’Artigianato della

Lombardia e i rappresentanti regionali di Cgil, Cisl e Uil e dà continuità all’attività

di sviluppo della contrattazione regionale di secondo livello ed il consolidamento

del sistema bilaterale per lo sviluppo del comparto271.

L’accordo viene sotto firmato in un periodo di profonda crisi del mercato. Il

settore artigianato (che in Lombardia occupa circa 200 mila lavoratori in 50 mila

aziende) non è stato risparmiato dalla congiuntura economica negativa che ha

caratterizzati gli ultimi anni, registrando un notevole calo della produzione ed una

contestuale riduzione nell’utilizzo degli impianti. In tale scenario le parti sono state

obbligate ad intervenire con l’accordo in esame per dare aiuto al rilancio e alla

                                                                                                               270 B. Caponetti, Caso studio su contrattazione decentrata e decontribuzione, in Econ. & Lav., 2014, vol. 1, pp. 86. 271 “L’esperienza lombarda dell’artigianato in materia di bilateralità, maturata a partire dagli anni ottanta ed inserita nel sistema nazionale della bilateralità artigiana, ha consentito di costruire un significativo sistema finalizzato a gestire le tematiche più importanti per lo sviluppo del comparto e garantire sostegno alle imprese ed ai dipendenti”, dalla parte introduttiva dell’accordo stesso.

La casistica negoziale in tema di produttività e detassazione

 

  127  

valorizzazione del settore per migliorare la competitività delle imprese, le

prospettive occupazionali e le condizioni di lavoro. La scelta del ricorso alla

contrattazione territoriale è riconducibile alle caratteristiche dimensionali delle

aziende che compongono il settore (il numero medio di dipendenti per azienda è

inferiore a tre), per le quali sarebbe stato impensabile il ricorso alla contrattazione

decentrata di natura aziendale.

Il modello contrattuale dell’artigianato è articolato su due livelli di contrattazione,

regolati dal principio di inscindibilità. Per questo motivo l’applicazione del CCNL

comporta l’obbligo per il datore di lavoro di applicare anche il Contratto Collettivo

Regionale. Quindi, il presente Contratto Regionale regola norme e istituti

demandati dal CCNL e tutte le materie di non esclusiva competenza di questo272.

L’accordo in esame risponde all’esigenza delle parti di “estendere e semplificare

l’adozione di soluzioni organizzative per un efficiente posizionamento

competitioe”, che siano volte anche all’innovazione e alla riduzione dei “costi per

unità di prodotto”, pensate per “assecondare la variabilità delle richieste del

mercato”273.

Per il perseguimento di tali obiettivi è stata riconosciuta la possibilità di

individuare una diversa distribuzione dell’orario di lavoro su base settimanale o

plurisettimanale per un periodo non superiore a sei mesi, con la possibilità di

estensione a dodici mesi “al verificarsi di ragioni obiettive, tecniche o inerenti

all’organizzazione del lavoro”274.

Come seconda novità introdotta per migliorare la flessibilità dell’orario di lavoro è

stato aumentato il numero di ore lavorative che il lavoratore può prestare in

esubero rispetto all’orario normale. Per far fronte alle variazioni di intensità

dell’attività lavorativa, l’azienda potrà realizzare diversi regimi di orario in

particolari periodi, con il superamento dell’orario contrattuale sino al limite delle

48 ore settimanali, per un massimo di 98 ore l’anno. A fronte del superamento

dell’orario contrattuale è stata prevista la fruizione di una pari entità di riposi                                                                                                                272 Contratto Collettivo Regionale per i lavoratori dipendenti delle aziende artigiane della Lombardia dell’area Chimica-Ceramica, art. 1, pp. 4. 273 Contratto Collettivo Regionale per i lavoratori dipendenti delle aziende artigiane della Lombardia dell’area Chimica-Ceramica, art. 8, pp. 7. 274 Sono elencate all’interno dell’accordo le casistiche che si intendono per “ragioni obiettive”, tra le quali troviamo, a titolo esemplificativo, lancio di nuovi prodotti, esecuzione di più commesse, calamità naturali.

La casistica negoziale in tema di produttività e detassazione

 

  128  

compensativi. In aggiunta, nel caso in cui le ore prestate risultino maggiori di

quelle retribuibili nel mese, è stato previsto l’accantonamento del conto

individuale denominato “banca ore”. Le ore accantonate potranno essere utilizzate

nella misura massima del 50% per fronteggiare situazioni di crisi o riduzioni

impreviste di ordini, anche allo scopo di evitare il ricorso agli ammortizzatori

sociali. Il restante 50% è lasciato alla piena disponibilità del singolo lavoratore che

potrà usufruire di permessi o del prolungamento delle ferie entro 18 mesi; se tali

ore non verranno usufruite, dovranno essere monetizzate da parte del datore di

lavoro275.

L’accordo per creare un incentivo all’aumento della produttività istituisce un

premio. Questo è il primo caso appartenente al settore dell’artigianato dove parte

della retribuzione viene agganciata alla produttività e calcolata su parametri

oggettivi relativi alla situazione economica regionale.

Il premio è suddiviso in due tipologie di obiettivi ognuna delle quali ha un peso

percentuale del 50% sul totale. Nel caso in cui l’impresa soggetta all’applicazione

dell’accordo raggiunga una soltanto delle due tipologie di obiettivi, il premio verrà

erogato nella misura del 50%. La prima tipologia di obiettivi prende in

considerazione, con logica comparativa, il numero di imprese, il numero di

lavoratori e il numero di ore medie di sospensione per lavoratore276. Non si tratta

di parametri commisurati all’andamento dell’impresa, ma all’andamento del

settore nella sua generalità. Questo tipo di identificazione rimane tale anche

riguardo alla seconda tipologie di parametri, riferiti alla produzione manifatturiera

artigiana e all’andamento degli investimenti277.

Sono stati riconosciuti per i tre anni tre importi differenti da corrispondere nel

caso in cui gli obiettivi dei parametri fossero raggiunti. Per il primo anno l’importo

massimo di premio che il lavoratore può ricevere è pari a 125 euro, che nel

                                                                                                               275 Contratto Collettivo Regionale per i lavoratori dipendenti delle aziende artigiane della Lombardia dell’area Chimica-Ceramica, art. 8,9,10. 276 Quota parte del premio sarà erogata qualora ricorrano due dei seguenti parametri: il numero di imprese del settore non risulti inferiore del 10% rispetto a quelle presenti nel periodo di riferimento (2007-10); i lavoratori occupati nelle imprese del settore non risultino inferiori del 10% rispetto a quelli occupati nel medesimo periodo di riferimento e che le ore di sospensione per ciascun lavoratore non superino quota 100. 277 Contratto Collettivo Regionale per i lavoratori dipendenti delle aziende artigiane della Lombardia dell’area Chimica-Ceramica, art. 12.

La casistica negoziale in tema di produttività e detassazione

 

  129  

secondo salgono a 200 e nel terzo raggiungono i 500 euro. Tale premio “non

concorre alla determinazione del trattamenti di fine rapporto ed è comprensivo

dell’incidenza di tutti gli istituti contrattuale e di legge diretti ed indiretti”278.

Le parti firmatarie specificano all’interno dell’accordo che tale premio è da

considerarsi conforme a quanto richiesto per l’adesione agli incentivi di

decontribuzione e detassazione.

Per sottolineare l’importanza del carattere di bilateralità, è interessante segnalare

il coinvolgimento dell’ELBA279 che ha la funzione di ricevere le comunicazioni

informative in materia di gestione dell’orario di lavoro e di rilevazione dei dati per

la misurazione della prima tipologia di parametri280.

Un ultimo elemento inserito nell’accordo che è volto a favorire la produttività dei

lavoratori all’interno di una visione più ampia di tale concetto sono le forme di

previdenza integrativa, di carattere sanitario e sociale a favore dei lavoratori. Per

questo motivo, i datori di lavoro mensilmente dovranno versare per ogni

dipendenti l’importo di 5 euro.

Sicuramente ci troviamo di fronte ad un positivo tentativo di contrattazione

territoriale, che cerca di utilizzare le deleghe conferite dal livello nazionale per

creare un modello contrattuale più flessibile che risponda alle esigenze più

specifiche delle aziende appartenenti a differenti aree geografiche.

Di contro, troviamo una marcata territorialità del sistema, che impedisce

l’adattamento del contratto alle esigenze delle singole imprese. Tale carattere è

riscontrabile soprattutto nella definizione del premio di produttività, legato

esclusivamente al raggiungimento di parametri oggettivi del tutto slegati

dall’andamento dell’azienda.

Il premio dovrebbe essere legato a parametri sia oggettivi sia soggettivi. I primi

legati alla qualità della prestazione del lavoratore, i secondi all’andamento

dell’azienda o del settore nel suo complesso281.

                                                                                                               278  Contratto Collettivo Regionale per i lavoratori dipendenti delle aziende artigiane della Lombardia dell’area Chimica-Ceramica, art. 12.  279 Ente Lombardo Bilaterale dell’Artigianato. 280 Contratto Collettivo Regionale per i lavoratori dipendenti delle aziende artigiane della Lombardia dell’area Chimica-Ceramica, art. 10 e 12. 281 S. Negrelli, Relazioni di lavoro e performance aziendale, in Dir. Lav. Rel. Ind., 1995, p. 51.

La casistica negoziale in tema di produttività e detassazione

 

  130  

Secondo Treu, le forme retributive incentivanti trovano la loro ragion d’essere nel

motivare i lavoratori ad essere più produttivi e più flessibili per permettere

all’impresa di adattarsi meglio alle esigenze di mercato. Per questo motivo è

fondamentale la presenza sia di parametri oggettivi, sia, soprattutto, di parametri

soggettivi282.

L’accordo in esame non rispetta tale logica. Il modo in cui è stato strutturato il

premo in questione rischia di non produrre alcun incentivo al lavoratore, poiché

egli non può controllarne i risultati.

Oltre a questa criticità se ne può identificare una seconda, il premio non sembra

essere in grado di garantire la flessibilità retributiva di cui l’azienda potrebbe aver

bisogno in un momento di difficoltà. Essendo gli obiettivi fissati a livello di settore,

nel momento in cui un datore di lavoro si trovasse in difficoltà con l’andamento

dell’attività produttiva, egli dovrebbe comunque erogare il premio se i parametri

settoriali venissero rispettati.

In risposta a questi aspetti negativi c’è da ricordare la dimensione molto ridotta

delle imprese a cui questo accordo si rivolge, dove non è semplice indentificare

indicatori aziendali e, a maggior ragione, legati all’andamento del singolo

lavoratore.

L’accordo rappresenta un ottimo tentativo di applicazione dei benefici della

contrattazione di secondo livello anche alle aziende di piccole dimensioni. La

nuova articolazione, molto flessibile, dell’orario di lavoro, permette alle aziende di

adattarsi meglio alle fluttuazioni del mercato senza dover ricorrere allo

straordinario, che comporterebbe il pagamento di una maggiorazione, oppure agli

ammortizzatori sociali. Il sacrificio richiesto ai lavoratori è bilanciato dalla

somministrazione del premio nel caso in cui la flessibilità si traduca in risultati

positivi a livello di settore283.

                                                                                                               282 T. Treu, Le forme retributive incentivanti, in Riv. Ita. Dir. Lav, 2010, vol. 4, pp. 637 ss. 283 D. Ghigiarelli e L. Cerusa, Flessibilità oraria e premio di produttività. Contratto collettivo regionale di lavoro 24 ottobre 2012, in Econ. & Lav., 2014, vol. 1, pp. 75-81.

Limiti e criticità della normativa attuale e proposte alternative    

  131  

CAPITOLO 5

Criticità della normativa attuale e proposte alternative

1. Limiti e criticità della normativa in tema di produttività – 2. Proposte alternative in letteratura per aumentare la produttività – 2.1 La proposta di Antonioli e Pini su contrattazione, dinamica salariale e produttività – 2.2 La produttività programmata di Ciccarone e Messori – 2.3 L’organizzazione del lavoro e le High Performance Workplace Practices.

1. Limiti e criticità della normativa in tema di produttività.

Dopo aver individuato quali sono gli elementi che compongono la

produttività secondo la letteratura economica, quali strumenti sono stati promossi

a livello nazionale per farla crescere e come sono stati utilizzati tali strumenti dalle

aziende, è opportuno riflettere su quali siano le criticità del sistema italiano rivolto

al miglioramento della produttività.

Si parla di criticità perché il valore della produttività delle aziende italiane ha

continuato a diminuire, nonostante gli sforzi di natura regolatoria ed economica

che si sono susseguiti dal 1993.

La crescita della produttività rappresenta un interesse di carattere generale,

poiché senza la crescita di questa, non è possibile garantire i livelli occupazionali

delle imprese e in, un’ottica di lungo periodo, non sarà possibile creare nuovi posti

di lavoro. Per questo motivo lo Stato, anche in presenza di problemi finanziari di

considerevole entità, decide di stanziare risorse economiche rivolte all’incentivo di

un utilizzo più intensivo e proficuo della manodopera occupata in azienda284.

                                                                                                               284 Secondo Treu, 2010, p. 659, “l’impiego di risorse pubbliche si giustifica (…) non per un generico favore della contrattazione ma per il suo carattere innovativo e per i vantaggi che da

Limiti e criticità della normativa attuale e proposte alternative    

  132  

Il mancato raggiungimento di un maggiore livello di produttività, che

comporterebbe la mancata nascita di nuovi posti di lavoro, produrrebbe disparità

tra gli insider del mercato del lavoro, che avrebbero usufruito di un sostegno

economico statale in modo ingiustificato, e gli outsider, che nonostante le risorse

collettive spese non avrebbero garantita la creazione di nuovi posti di lavoro285.

Considerate l’importanza dell’obiettivo da raggiungere e l’entità delle risorse

impiegate, dovremmo aspettarci la presenza di misure e meccanismi rigorosi, che

permettano l’accesso a tali risorse solo in presenza di progetti imprenditoriali

diretti al recupero della competitività, dove la produttività del lavoro svolge un

ruolo centrale, attuabile attraverso la connessione tra retribuzione e indici

quantitativi di produttività/reddittività/qualità/efficienza/innovazione.

Analizzando l’esperienza passata, i risultati ottenuti non sono sicuramente

incoraggianti. “Il sostegno alla contrattazione decentrata via defiscalizzazione e

decontribuzione si è tradotto non raramente in una distribuzione poco selettiva di

incentivi” 286 , e questo ha portato le parti a tenere comportamenti per nulla

virtuosi e dinamici.

Le norme di agevolazione esaminate in questa sede, non hanno alimentato in

modo efficace incrementi di produttività all’interno delle aziende, ma hanno

stimolato la crescita di accordi fotocopia. Mentre alcuni esempi di accordi

sottoscritti al di fuori della logica di quel tipo di normativa, come il contratto

aziendale del gruppo Luxottica, hanno individuato strumenti volti al miglioramento

della crescita della produttività e della competitività, concentrandosi su elementi

quali lo sviluppo di complessi sistemi di welfare integrativo, il coinvolgimento del

lavoratore nel processo di disegno dell’organizzazione del lavoro. Questi appaiono

“variamente configurati e combinati in forme standard o più spesso personalizzati

e flessibili a seconda delle preferenze di singoli e di gruppo”, così contribuendo “a

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                             essa possono derivare al sistema aziendale e produttivo. In altre parole, uno scambio virtuoso fra retribuzione e produttività concordato e regolato collettivamente è considerato di utilità generale, assume cioè il carattere di bene pubblico”. 285 P. Campanella, Decentramento contrattuale e incentivi retributivi nel quadro delle politiche di sostegno alla produttività del lavoro, in PRISMA - Economia Società Lavoro, vol. 1 “crescere in tempo di crisi: il ruolo delle relazioni industriali e della contrattazione collettiva decentrata”, 2013, pp. 13. 286 L. Bordogna, Ecco perché occorre monitorare l’applicazione dell’accordo, in AREL Europa, Lavoro, Economia, 2012, vol.6, p. 27.

Limiti e criticità della normativa attuale e proposte alternative    

  133  

relativizzare se non a svalutare l’efficacia della (sola) leva retributiva come

strumento di motivazione” dei lavoratori287. Sicuramente, l’efficacia di tali accordi

è aiutata dalla dimensione aziendale, dalla vocazione internazionale, dalla

maturità delle relazioni sindacali, e la propensione del management ad utilizzare

moderne politiche di gestione del personale; ma tali accordi contengono validi

strumenti per il raggiungimento degli obiettivi posti dall’azienda.

Gli accordi fotocopia sopra citati, invece, si presentano privi di qualsiasi tipo di

disegno strategico finalizzato all’innalzamento della produttività aziendale. Questi

puntano sull’utilizzo di strumenti come il lavoro straordinario o supplementare, le

clausole elastiche e flessibili, il premio di risultato, il lavoro part-time: voci che,

salvo qualche eccezione, sono da tempo già state negoziate in sede di

contrattazione nazionale, e la loro introduzione nel contratto di secondo livello

sembra avere l’unico fine di darne una “formale copertura”288.

Non si riesce a riconoscere la volontà di cambiare l’utilizzo poco virtuoso di tale

tipologia di accordi, poiché anche dopo lo sforzo compiuto dal Governo nel

ricercare una definizione di retribuzione di produttività più vicina agli elementi utili

al miglioramento di questa, la circolare n. 15 del 2013 ha cercato

immediatamente di ampliare il più possibile i confini posti dal D.P.C.M. 22 gennaio

2013. Rimane anche oggi, quindi, la possibilità di stipulare accordi cosmetici che

hanno il fine di premiare “una ‘maggiore’ produttività che, nella quasi totalità dei

casi, non esiste”, o di sottoscrivere intese che puntano all’incentivazione della

flessibilità già contrattata e remunerata “a livello nazionale nell’ambito di periodici

rinnovi contrattuali e retributivi”289.

Se ciò che è stato fatto dal Governo ha prodotto scarsi risultati relativamente alla

produttività, le cose non cambiano se passiamo ad analizzare quello che è stato

concluso dalle parti sociali.

                                                                                                               287 T. Treu, Le forme retributive incentivanti, in Rivista italiana di diritto del lavoro, 2010, vol. 4, p. 659. 288 F. Fazio e M. Tiraboschi, Una occasione mancata per la crescita. Brevi considerazioni a proposito della misura di detassazione del salario di produttività, in Bollettino Adapt, Annuario del Lavoro 2012, ADAPT University Press, Modena, 2012, p. 2. 289 F. Fazio e M. Tiraboschi, Una occasione mancata per la crescita. Brevi considerazioni a proposito della misura di detassazione del salario di produttività, in Bollettino Adapt, Annuario del Lavoro 2012, ADAPT University Press, Modena, 2012, p. 2.

Limiti e criticità della normativa attuale e proposte alternative    

  134  

Ancora oggi le prassi contrattuali non rappresentano una modalità efficace per la

ricerca di soluzioni innovative per stimolare la crescita della competitività

d’impresa.

Le organizzazioni sindacali, nella conclusione di specifici accordi quadro in svariati

settori produttivi, hanno solamente perseguito l’obiettivo di accesso alla

detassazione. Questi accordi, nel definire modelli standard negoziali, utili alla

successiva stipulazione di contratti aziendali e territoriali, elencavano, a titolo

esemplificativo, gli istituti ammessi al beneficio dell’aliquota fiscale ridotta. Tra gli

istituti elencati sono comprese, non diversamente dal passato, diverse voci

retributive che non presentano alcun collegamento tra retribuzione e risultato di

impresa, né attenzione a schemi e soluzioni nuovi sul piano del cambiamento

tecnologico e organizzativo o dell’innovazione di prodotto e della sua qualità.

Anche le parti sociali quindi, hanno promosso la prima nozione di retribuzione di

produttività, mirando a premiare, a spese dello Stato, solamente i regimi di

flessibilità oraria che spesso derivano dalla volontà dell’impresa e che

garantiscono in parte l’elasticità necessaria per far fronte alle condizioni mutevoli

del mercato.

Nel punto 2 dell’accordo interconfederale del 23 aprile 2014, i regimi di flessibilità

oraria rappresentano le uniche voci detassabili, e tra queste è presente anche lo

straordinario. A rigor di logica però, per l’innalzamento dei livelli di produttività,

sarebbe opportuno incentivare la capacità di produrre con meno ore lavorate, e

cercare di contrastare il ricorso, quasi cronico per le aziende italiane, a lavoro

eccedente il regime orario ordinario290.

La letteratura afferma che “il dilagare delle ore straordinarie combina la scarsa

capacità di pianificazione e razionalizzazione dei processi da parte delle imprese

con la fame di retribuzione aggiuntiva da parte dei lavoratori la cui dinamica

salariale reale è stata notoriamente negativa, almeno per il settore privato, per

                                                                                                               290 Secondo Bavaro, “dal punto di vista della produttività, all’aumento di ore lavorate può conseguire un aumento dell’indice di produttività del lavoro solo se a esso consegue un aumento percentuale della produzione superiore a quello delle ore lavorate. Al contrario, produrre un medesimo valore con meno ore lavorate comporta un incremento della produttività”. Non a caso, la L. n. 549/1995 (art. 2, commi 18-21) penalizzava lo straordinario sul piano contributivo, con un duplice obiettivo: indurre le imprese “ad aumentare le ore lavorate mediante nuove assunzioni” oppure incentivarle “a produrre con meno ore lavorate”. V. Bavaro, Un itinerario sui tempi del lavoro, in Rivista Giuridica del Lavoro e della previdenza sociale, 2009, vol. 2, p. 217.

Limiti e criticità della normativa attuale e proposte alternative    

  135  

tutto l’ultimo decennio. Lo straordinario è una risposta organizzativamente

“povera” alle esigenze sempre meno eccezionali di flessibilità della produzione e al

contempo rappresenta un costo altamente improduttivo per le aziende perché

spesso aumenta anziché ridurre i problemi di efficienza organizzativa (…), tanto

che, com’è noto, le aziende più efficienti ed organizzate lo usano poco”291. Come

se non bastasse gli accordi quadro prevedono anche il ricorso a formule di

chiusura facendo riferimento ad “ogni altra voce retributiva finalizzata ad

incrementare la produttività aziendale, la qualità, la competitività, la reddittività,

l’innovazione e l’efficienza organizzativa”292.

Gli accordi quadro sotto firmati in conseguenza del D.P.C.M. 22 gennaio 2013,

volti all’ampliamento dell’utilizzo della contrattazione di secondo livello, non si

sono distinti, come già sottolineato, per capacità innovativa. Oltre ad apparire

poco utile, o come prima affermato negativo, l’utilizzo della sola flessibilità di

orario come strumento per aumentare la produttività, non è presente alcuna

attenzione riguardante la gestione dei possibili effetti collaterali sulla salute psico-

fisica del personale derivante da una ricerca della produttività solo tramite questo

tipo di mezzi293. In relazione a questo aspetto poco considerato dalle parti e dalla

regolazione è doveroso sottolineare che il miglioramento della performance

aziendale andrebbe perseguito, tenendo fede ai principi costituzionali, nel rispetto

della “utilità sociale” e della “sicurezza”, oltre che della “liberta” e della “dignità

umana”294.

Un’altra debolezza del sistema di contrattazione di secondo livello per l’aumento

della produttività riguarda l’attività di monitoraggio relativa alla corrispondenza dei

contenuti degli accordi aziendali e territoriali alle caratteristiche richieste dalla

normativa vigente.

                                                                                                               291 L. Pero e A. M. Ponzellini, Ecco quali flessibilità è meglio incentivare per la produttività, in AREL europa, lavoro, economia, 2012, vol. 6, p. 40. 292 F. Fazio e M. Tiraboschi, Una occasione mancata per la crescita. Brevi considerazioni a proposito della misura di detassazione del salario di produttività, in Bollettino Adapt, Annuario del Lavoro 2012, ADAPT University Press, Modena, 2012, p. 47. 293 F. M. Putaturo Donati, La decontribuzione dello straordinario. In Lavoro, competitività, welfare. Commentario alla legge 24 dicembre 2007, n. 247 e riforme correlate, a cura di Cinelli M., Ferraro G., 2008, UTET, Torino, pp. 253-259. 294 Art. 41, comma 2, Costituzione. V. Bavaro, L’aziendalizzazione nell’ordine giuridico-politico del lavoro. Lavoro e Diritto, 2013, vol. 2, pp. 213-256.

Limiti e criticità della normativa attuale e proposte alternative    

  136  

I provvedimenti governativi condizionano l’accesso ai benefici fiscali per i datori di

lavoro al deposito dell’accordo presso la Direzione Territoriale del Lavoro, entro 30

giorni dalla sottoscrizione, con allegata autodichiarazione di conformità dei

contenuti a quanto previsto dal D.P.C.M. 22 gennaio 2013. In contrapposizione, la

circolare n. 15 del 2013 specifica invece “che la rispondenza delle voci retributive

introdotte alle finalità volute dal Legislatore rappresenta un elemento di esclusiva

valutazione da parte della contrattazione collettiva, cosicché l’agevolazione non

può ritenersi condizionata ai risultati effettivamente conseguiti”.

In questo modo, oltre ad essere gli elementi che permettono l’accesso agli

incentivi fiscali e contributivi poco chiari e forse troppo ampi, anche il rispetto dei

parametri stabiliti dalla legge non sembra essere assicurato dalle modalità di

controllo relative agli accordi di secondo livello individuate dal D.P.C.M. 22

gennaio 2013.

Una soluzione a questo tipo di problematica la si può individuare nel caso degli

accordi collettivi di prossimità, che godono degli incentivi fiscali e contributivi, ma

che l’art. 8 D. L. 138/2011 vuole funzionalizzati agli obiettivi, anche se indicati

anche in questo caso in modo ampio, al comma 1 e alle materie elencate al

comma 2. In questo modo il giudice potrà stabilire la nullità dell’accordo in sede

giudiziale nel caso in cui questo non rispetti i commi 1 e 2 del citato articolo, con

il conseguente obbligo, per l’impresa che ha beneficiato delle agevolazione, di

restituzione dei vantaggi ottenuti.

Un’ulteriore motivazione della debole efficacia del sistema normativo volto alla

promozione della produttività è la visione miope del concetto stesso di produttività

delle parti. La definizione di produttività analizzata da un punto di vista economico

appare molto più ampia rispetto a quella considerata dalla legislazione italiana. La

declinazione della produttività al solo fattore “lavoro” appartiene ad un quadro

incompleto, che affida la crescita della competitività solamente a meccanismi volti

all’incentivo dello sforzo lavorativo, facendo riferimento ad indicatori di

redditività/produttività poco realistici 295 , difficili da valutare 296 e “il cui

                                                                                                               295 E. Gragnoli, La retribuzione e i criteri della sua determinazione, La retribuzione, 2012, UTET, Torino, p. 17. 296 La scelta di indicatori certi e misurabili è essenziale ai fini della configurazione e dell’efficacia dei premi, ma la prassi contrattuale italiana segnala significative criticità in proposito, con una

Limiti e criticità della normativa attuale e proposte alternative    

  137  

raggiungimento dipende in larga misura da scelte strategiche” dell’impresa, “che

esulano dall’impegno dei lavoratori”297.

Sembra quasi che le parti nella regolazione degli incentivi per la produttività non

si siano chieste quanto la produttività aziendale possa dipendere da quella del

lavoro, e quali fattori organizzativi del lavoro stesso siano comunque in grado di

influenzare detta produttività. Solamente l’accordo interconfederale del 21

novembre 2012 fa riferimento al fatto che sulla “produttività (…) incidono, oltre al

lavoro, molte altre voci sia materiali (energia, logistica, trasporti) sia immateriali

(ad esempio burocrazia, sicurezza, legalità, istruzione)” e che “diviene altresì

centrale l’investimento nell’ammodernamento dei macchinari e in ricerca e

sviluppo per l’introduzione di innovazioni di prodotto e di processo” 298 . Tali

elementi alternativi sono stati solamente individuati dalle parti sociali, poiché è

stata devoluta allo Stato ogni competenza e responsabilità a riguardo.

Per spiegare in parte tutte le criticità individuate fino a questo momento è

doveroso considerare la dimensione occupazionale delle aziende italiane e le

caratteristiche della difficile situazione economica che queste stanno

attraversando.

La dimensione media delle aziende italiane è molto minore di quella di imprese

straniere dove la produttività è rimasta stabile negli ultimi anni, se non addirittura

aumentata. L’individuazione di strumenti volti al miglioramento dell’organizzazione

del lavoro che porti benefici in termini competitivi non è semplice se si tratta di

piccole aziende, dove la flessibilità oraria non è possibile e particolari strumenti di

welfare integrativo, soprattutto quelli di conciliazione tra vita privata e lavoro,

sono inattuabili. Risulta difficile la misurazione delle performance aziendali al

netto dell’andamento del mercato, e praticamente impossibile la misurazione delle

performance individuali dei lavoratori.

Oltre a questa tipo di problematica, è noto che in un periodo di crisi economica le

aziende che soffrono dell’andamento negativo del mercato sono caratterizzate da

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                             pluralità spesso troppo accentuata di parametri di riferimento, che “rischia di complicare il funzionamento del sistema senza necessariamente raggiungere l’obiettivo dichiarato di precisare il nesso salario-produttivita”, T. Treu, 2010, p. 649. 297 F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Diritto del lavoro 2. Il rapporto di lavoro subordinato, ottava edizione, UTET, Torino, 2013. 298 Accordo interconfederale 21 novembre 2012, punto 1 “Considerazioni introduttive”.

Limiti e criticità della normativa attuale e proposte alternative    

  138  

un sentimento di sfiducia che non porta sicuramente gli imprenditori ad investire

in nuove tecnologie o in ricerca per innovare prodotti e processi.

Nonostante queste considerazioni, diverse sono le proposte per migliorare la

strategia adottata per accrescere la produttività.

Riassumendo, si può affermare che le politiche di agevolazione fiscale e

contributiva della retribuzione di produttività non hanno dato i frutti sperati.

Sembra invece che queste abbiamo stimolato comportamenti opportunistici299

degli attori sociali il cui fine appariva una “mera ripartizione dei benefici

pubblici”300.

Gli strumenti adottati dalle parti non sono riusciti ad incidere nemmeno sulla

diffusione della contrattazione di secondo livello, che negli ultimi anni è diminuita

e quando utilizzata è spesso rivolta alla soluzione di crisi aziendali e non al

miglioramento dell’attività produttiva.

La tipologia di politiche adottate negli ultimi anni sembra essere riuscita

solamente nel fine di diminuire il cuneo fiscale tra retribuzione lorda e netta

mentre la produttività sembra essere una priorità rimasta in disparte.

2. Proposte alternative in letteratura per aumentare la produttività.

Come già affermato nel paragrafo precedente le politiche attuate fino ad ora per il

sostegno della produttività non hanno sortito i risultati sperati, e per questo è

auspicabile un cambio di direzione in materia.

Diverse sono le proposte avanzate in letteratura per ridisegnare l’assetto

contrattuale ed incentivante diretto all’aumento della produttività.

Le diverse proposte per attivare un meccanismo virtuoso che dia il via e sostenga

la crescita della produttività si concentrano sulla componente aziendale e di

conseguenza sul ruolo della contrattazione. Tra queste troviamo l’Appello

promosso da Acocella, Leoni Troni (2006), e le proposte formulate da Acocella,

Leoni (2007), Ciccarone (2009), Fadda (2009), Messori (2012), Tronti (2010,

2012), Mazzanti, Pini (2013). Si riscontrano tra le diverse proposte più elementi di

                                                                                                               299 L. Bordogna, Ecco perché occorre monitorare l’applicazione dell’accordo, AREL europa, lavoro, economia, vol. 6, p. 27. 300 M. Carrieri, Come ridisegnare la produttività, AREL europa, lavoro, economia, vol. 6, p. 30.

Limiti e criticità della normativa attuale e proposte alternative    

  139  

complementarietà che contrapposizione, e tutte, con pesi diversi, si occupano del

ruolo della contrattazione accentrata e decentrata.

La focalizzazione sul ruolo della contrattazione nazionale, che esprime una visione

di contrattazione accentrata, definisce un quadro dove le parti sociali ed il

governo si devono impegnare in un patto macroeconomico. La concentrazione

delle funzioni alla contrattazione nazionale rischia però di non permettere

l’espressione delle diverse caratteristiche settoriali, dimensionali, territoriali ed

aziendali che distinguono le imprese italiane. D’altro canto, l’attenzione

concentrata sulla dimensione microeconomica, modello decentrato, permette una

migliore adattabilità alle specificità aziendali e territoriali, ma sicuramente

coinvolge una quota minima di aziende del tessuto economico a causa della

limitata presenza della contrattazione decentrata sul territorio nazionale.

Nella presente sezione saranno analizzate proposte differenti, che oltre a

focalizzarsi sui differenti livelli della contrattazione e i loro ruoli, si sono occupate

anche dei diversi strumenti che a livello aziendale sono da considerare per

collegare salario e produttività.

2.1 La proposta di Antonioli e Pini su contrattazione, dinamica salariale e

produttività.

Davide Antonioli e Paolo Pini nell’aprile 2013, alla luce dell’accordo sulla

produttività del novembre 2012 e del decreto ministeriale di attuazione di questo

del 22 gennaio 2013, formulano una proposta per la riforma della contrattazione

relativa al salario che abbia come fulcro il ruolo della contrattazione nazionale nel

legame ex-ante tra salario e produttività. Per tale proposta questo deve essere

promosso con la parallela promozione della contrattazione decentrata per

l’introduzione dell’innovazione organizzativa nei luoghi di lavoro.

Come appena anticipato, il patto di produttività e crescita delineato da Antonioli e

Pini si articola su due livelli, il primo nazionale e il secondo aziendale. Affinché tale

patto risulti credibile ed efficace è necessario che il soggetto pubblico attui una

politica economica in grado di sostenere la domanda effettiva. Senza tale sforzo

da parte del soggetto pubblico, qualsiasi azione concordata tra le parti non

condurrebbe all’obiettivo di crescita della produttività.

Limiti e criticità della normativa attuale e proposte alternative    

  140  

Secondo la proposta, le parti sociali ed il governo devono stabilire un obiettivo

pluriennale di crescita della produttività, la produttività programmata, e le parti

sociali devono stabilire come redistribuirla sotto forma di salario. Ad ogni livello

percentuale annuo di crescita della produttività programmata corrisponderà una

quota percentuale di crescita delle retribuzioni. Nel contempo le diverse parti

dovranno attivarsi per migliorare le componenti sistemiche, connettive ed

aziendali che influiscono sulla crescita della produttività.

In questo quadro, il contratto nazionale svolge una funzione di garante dei minimi

retributivi e si fa carico di “trovare strumenti adeguati per perseguire l’obiettivo di

crescita della produttività e recupero della competitività” 301 . Le leve che

permettono il conseguimento dell’obiettivo sono indentificate: nell’innovazione

organizzativa e tecnologica, negli investimenti in capitale fisico e capitale

intangibile, nell’investimento di risorse pubbliche e private in ricerca e sviluppo e

per l’innovazione di prodotto e di processo, negli interventi su formazione e

istruzione, nella riduzione della tassazione di lavoro e impresa, nello snellimento

delle procedure amministrative, negli interventi per contrastare l’elusione fiscale,

nelle politiche delle infrastrutture e in quelle di valorizzazione ambientale del

territorio302.

Le imprese saranno incentivate ad innovare in termini sia organizzativi sia

tecnologici per ottenere i guadagni derivanti dal raggiungimento degli obiettivi di

produttività programmata e a superare tali obiettivi per diminuire il CLUP.

Come conseguenza di questo meccanismo le imprese meno efficienti usciranno

dal mercato, il che avrà implicazioni occupazionali negative, ma si possono

prevedere effetti positivi sulla qualità della domanda del lavoro, che in Italia è

caratterizzata da scarsa qualità. L’impatto positivo viene creato oltre che dal lato

della domanda, tramite l’introduzione di nuove tecnologie e processi organizzativi

che richiedono posizioni lavorative ad alta preparazione, anche relativamente al

                                                                                                               301 ANTONIOLI D. e PINI P., Contrattazione, dinamica salariale e produttività: ripensare agli obiettivi ed i metodi, Università di Ferrara, Dipartimento di Economia e Management, aprile 2013, p 10. 302 E’ interessante sottolineare come la riduzione della tassazione, a cui sono ricollegabili anche gli incentivi fiscali e contributivi, sia solo una delle tante leve individuate per l’aumento della produttività, a differenza della normativa vigente che la identifica quasi come unico strumento da utilizzare per il raggiungimento di tale obiettivo.

Limiti e criticità della normativa attuale e proposte alternative    

  141  

lato dell’offerta, dove “l’andamento dei salari, in crescita in accordo alla

produttività programmata, crea un incentivo ad acquisire capitale umano,

sottraendo il sistema economico italiano da quella spirale perversa che sembra

essersi creata tra basse retribuzioni, scarsa domanda di lavoro qualificato e scarsi

incentivi ad acquisire elevati livelli di scolarizzazione”303.

Il secondo pilastro su cui si poggia la proposta di Antonioli e Pini è la

contrattazione aziendale. La prima necessità individuata è quella di trovare un

rimedio per la scarsa diffusione di questo istituto.

La proposta in analisi suggerisce di creare un incentivo endogeno alla diffusione

della contrattazione decentrata. Le imprese devono essere incentivate a seguire

un percorso di contrattazione e confronto con i dipendenti e le rappresentanze

sindacali per raggiungere l’obiettivo di produttività programmata. Chi non seguirà

tale percorso rischierà perdere terreno nella competitività rispetto alle imprese

impegnatesi nel percorso virtuoso. Il costo del lavoro aumenterà per tutte le

imprese a causa della contrattazione nazionale che distribuisce parte della

produttività programmata raggiunta ai lavoratori. Per questo motivo, quelle che

vorranno superare tale obiettivo di produttività dovranno investire in cambiamenti

tecnologici e organizzativi con la partecipazione della forza lavoro aziendale.

Con questa proposta viene data comunque importanza all’impegno aziendale per

l’aumento della produttività, ma senza prevedere l’utilizzo del salario di

incentivazione o la suddivisione del rischio di impresa304.

Secondo questa proposta sono gli incrementi salariali che devono incentivare le

imprese a investire per avere guadagni di produttività, e non il contrario. Questo

concetto è attuabile legando gli incrementi retributivi ai cambiamenti organizzativi

del lavoro ed agli “impregni delle imprese, dei lavoratori e loro rappresentanti in

sede aziendale sul terreno della tecnologia, dell’innovazione di processo e di

                                                                                                               303 ANTONIOLI D. e PINI P., Contrattazione, dinamica salariale e produttività: ripensare agli obiettivi ed i metodi, Università di Ferrara, Dipartimento di Economia e Management, aprile 2013, p. 11. 304 Si tratta di meccanismi di incentivazione che legano la retribuzione ad indicatori tradizionali di produttività fisica o di redditività aziendale. Tali strumenti hanno come unico fine la riduzione del costo del lavoro attraverso la diminuzione della componente fissa del salario per una parte più consistente di retribuzione variabile. Questo accade quando si persegue un aumento della produttività intervenendo sui ritmi di lavoro, riduzione delle pause, riduzione dell’assenteismo, come nel caso del salario di incentivazione dello sforzo lavorativo.

Limiti e criticità della normativa attuale e proposte alternative    

  142  

prodotto, dell’innovazione organizzativa, dello sfruttamento delle ICT e

dell’innovazione ambientale, connettendo competitività e sviluppo dell’impresa ad

un modello di crescita sostenibile”.

Secondo gli autori della proposta in esame l’elemento attorno al quale si deve

sviluppare la contrattazione decentrata è il salario di partecipazione. Quest’ultimo

deve essere individuato tramite l’utilizzo di modelli di gestione delle risorse umane

che coinvolgono i lavoratori nei processi decisionali e che valorizzano l’importanza

dei lavoratori stessi attraverso la promozione di spirito di appartenenza e

condivisione, percezione di equità organizzativa oltre che retributiva, centralità

delle competenze del lavoratore anche attraverso una formazione che conferisca

capacità decisionale decentrata, coinvolgimento nella determinazione degli

obiettivi, pratiche di lavoro innovative basate sul team work, job-rotation,

problem-solving305.

Dagli autori sono stati individuati cinque principi cardine specifici cui il salario di

partecipazione dovrebbe essere legato:

1. La parte variabile del salario deve essere aggiuntiva a quella nominale, non

sostitutiva di questa;

2. La partecipazione deve essere ai guadagni e non alle perdite dell’impresa,

che devono far parte unicamente del rischio imprenditoriale;

3. La variabilità della quota aggiuntiva del salario deve essere riconducibile

all’organizzazione del lavoro in impresa e alla partecipazione dei lavoratori

a questa e non a fattori di rischio di mercato che appartengono

all’imprenditore;

4. I lavoratori devono avere voce nelle scelte aziendali relative ai fattori

organizzativi da cui dipende la retribuzione variabile. Per questo motivo i

rapporti tra impresa e lavoratore non devono essere solo di natura

informativa, ma anche consultiva e negoziale;

5. I primi quattro principi sopra elencati devono essere attuati solo in

presenza di una già esistente relazione fiduciaria tra le parti e non è

possibile considerare questi gli strumenti per costruire tale relazione.

                                                                                                               305 Santangelo D., Pini P., The Uderlying Internal Learning Process of Incremental and Radical Innovations, in Economia Politica, 2010, vol. 27, n. 1, pp. 55-81.

Limiti e criticità della normativa attuale e proposte alternative    

  143  

Proprio perché la contrattazione decentrata è fondamentale per la validità della

proposta assieme a quella nazionale, è necessario sottolineare i limiti che tale

contrattazione di secondo livello presenta e cercare di trovare delle soluzioni a

questi limiti. Il primo limite è identificato in particolare nella dimensione ridotta

delle imprese che compongono il tessuto produttivo italiano, che è composto

quasi totalmente da imprese con meno di 20 addetti dove il problema della

mancanza della contrattazione aziendale emerge a pieno.

Per risolvere questo problema è possibile ricorrere alla contrattazione territoriale,

strumento che, come è stato osservato nei precedenti capitoli, viene già utilizzato.

Per poter essere parte integrante del modello proposto da Antonioli e Pini devono

essere risolti due aspetti problematici della contrattazione territoriale individuati

dagli autori: sindacato e imprese dovrebbero rendere gli elementi contrattati a

livello territoriale omogenei a quelli contrattati a livello di impresa; i contenuti

della contrattazione territoriale dovrebbero essere differenziati per settori e filiere

produttive diverse.

Per questi motivi anche la contrattazione territoriale dovrebbe ispirarsi ai principi

sopra individuati riguardanti l’individuazione del salario di produttività, e la

dimensione della contrattazione dovrebbe essere spostata da territoriale a di

settore/filiera produttiva per meglio soddisfare le particolari esigenze dei diversi

tipi di impresa in tema di strategie innovative.

Tutto quello che è stato indicato fino ad ora non può prescindere da una solida

democrazia sindacale. “I lavoratori devono essere liberi di associarsi e poter

decidere l’organizzazione sindacale a cui iscriversi” 306 , tale organizzazione

dovrebbe avere un significativo tasso di rappresentanza dei lavoratori certificato e

non solo dichiarato. In ultimo, le intese raggiunte dovrebbero essere comunque

approvate dalla maggioranza dei lavoratori che sono coloro che, in bene o in

male, subiranno gli effetti dell’intesa.

Dopo aver individuato il ruolo delle parti sociali, che consiste nel definire un

sistema contrattuale che governa la crescita della produttività e la sua

distribuzione sul salario, viene individuato anche il ruolo del Governo.                                                                                                                306 ANTONIOLI D. e PINI P., Contrattazione, dinamica salariale e produttività: ripensare agli obiettivi ed i metodi, Università di Ferrara, Dipartimento di Economia e Management, aprile 2013, p. 14.

Limiti e criticità della normativa attuale e proposte alternative    

  144  

Il Governo, secondo la prospettiva degli autori, deve lasciare le parti sociali

definire le regole che riguardano la distribuzione dei benefici derivanti dal

raggiungimento della produttività programmata a livello microeconomico e

intervenire per una riforma dell’Irap 307 che penalizza la capacità di creare

occupazione da parte delle imprese.

Gli sforzi del Governo dovrebbero essere diretti alla riduzione della pressione

fiscale sul lavoro e sull’impresa. Questo produrrebbe diversi effetti tra cui, liberare

una quota di salario alla contrattazione tra le parti, aumentare il margine delle

imprese di competitività relativamente al prezzo, migliorare il potere d’acquisto

dei salari producendo così un effetto positivo sulla domanda interna di beni e

servizi.

Dopo la riforma del sistema fiscale308, il secondo compito del Governo è quello

diretto all’incentivazione delle strategie innovative delle imprese e sono state

individuate tre azioni per poter fare in modo che questo avvenga.

La prima è promuovere e sostenere gli investimenti di natura tecnologica che

portino ad innovazioni di prodotto e processo e permettano la sostenibilità

ambientale della produzione. La seconda azione è il supportare innovazioni e

investimenti diretti all’organizzazione del lavoro. Per entrambe le azioni riportate è

importante che il Governo preveda delle misure di natura fiscale a sostegno di tali

investimenti a favore delle aziende.

Il terzo compito che appartiene al Governo è quello di garantire il reddito per tutti

gli attori coinvolti nei processi di riorganizzazione. Tali progetti, infatti, non sono a

costo zero per l’azienda e spesso comportano la perdita di posti di lavoro. E’

                                                                                                               307 L'imposta regionale sulle attività produttive, nota anche con l'acronimo IRAP, è stata istituita con il decreto legislativo 15 dicembre 1997 n.446, nella sua applicazione più comune, colpisce il valore della produzione netto delle imprese, ossia, in termini generali, il reddito prodotto al lordo dei costi per il personale e degli oneri e dei proventi di natura finanziaria. È l'unica imposta a carico delle imprese che è proporzionale al fatturato e non applicata all'utile di esercizio. La legge che l'ha istituita prevede che il 90% del gettito ottenuto sia attribuito alle regioni allo scopo di finanziare il Fondo sanitario nazionale, come quota parte della spesa pubblica. 308 All’interno della proposta gli autori indicano anche i passi attraverso i quali attuare la riforma del sistema fiscale per ridurre il peso che grava le imprese. “1. applicare la norma della progressività impositiva sia nella fiscalità diretta che in quella indiretta; 2. spostare l’imposizione dalla produzione e dal lavoro verso le attività e le rendite finanziarie, applicando la recente Tobin tax introdotta in ambito europeo; 3. ridurre l’imposizione sui flussi di reddito ed accrescere il carico sugli stock, il che implica tasse ambientali sull’utilizzo delle risorse naturali, e tasse fortemente progressive sui patrimoni mobiliari e immobiliari; 4. introdurre tutti quegli strumenti e norme che consentono di abbattere l’evasione fiscale”.

Limiti e criticità della normativa attuale e proposte alternative    

  145  

quindi importante saper gestire nel modo migliore la formazione e la

ricollocazione dei lavoratori sul mercato del lavoro.

Antonioli e Pini sottolineano in ogni paragrafo della loro proposta l’importanza

della presenza di tutti i soggetti coinvolti nel raggiungimento dell’obiettivo della

crescita della produttività.

Aziende, parti sociali e Governo hanno dei ruoli ben definiti e ugualmente

importanti per l’azione diretta al miglioramento delle componenti connettive,

sistemiche ed aziendali che conducono al raggiungimento dell’obiettivo di

produttività programmata.

La proposta di Antonioli e Pini appare, agli occhi di chi scrive, completa ed

articolata, soprattutto nel definire il ruolo del Governo e le azioni che questo deve

tenere. All’interno degli accordi analizzati in questo elaborato il ruolo del Governo

non è mai stato definito. Solamente nell’accordo interconfederale 21 novembre

2012 è possibile trovare l’elenco di alcuni obiettivi che richiedono l’aiuto dell’attore

pubblico per essere raggiunti con l’auspicio che tale aiuto si verifichi, ma non è

presente la descrizione delle azioni che questo dovrebbe attuare.

Nella proposta appena analizzata, invece, sorprende la mancanza di linee guida

per l’attuazione di una contrattazione territoriale valida e utile all’incremento della

produttività. Sono state definite le azioni da svolgere per l’ottimizzazione del ruolo

di tutti gli attori, ma non è stato specificato come impostare in modo positivo

l’istituto della contrattazione di settore o filiera produttiva che allo stato attuale

sembra essere l’elemento più importante visto che comporta l’applicazione o

meno del contratto decentrato a quasi la totalità delle imprese italiane.

2.2 La produttività programmata di Ciccarone e Messori.

Giuseppe Ciccarone e Marcello Messori in diversi contributi309 degli ultimi anni

hanno individuato il problema di incentivo dell’economia italiana verso la

                                                                                                               309 G. Ciccarone, Produttività programmata. Una proposta per la riforma della contrattazione e l’unità sindacale, “Nel merito”, 24 aprile 2009, da http://www.nelmerito.com/index.php?option=com_content&task=view&id=708&Itemid=135. G. Ciccarone, Equità distributiva e produttività programmata: una proposta per la riforma della contrattazione, in Economia & Lavoro, 2009, vol. 43, n. 2. G. Ciccarone, E. Saltari, Produttività e capitale innovativo, in G. Ciccarone, M. Franzini, E. Saltari, (a cura di), L’Italia possibile. Equità e crescita, 2010, Brioschi Editore, Milano.

Limiti e criticità della normativa attuale e proposte alternative    

  146  

produttività nella possibilità di disegnare la contrattazione salariale in modo che

questa renda convenienti le spese per le innovazioni organizzative che le imprese

devono sostenere quando sono di dimensioni medio-piccole e piccole,

notoriamente poco propense al cambiamento.

Come soluzione a tale problematica gli autori propongono una definizione di

produttività programmata che permette di fornire alle imprese un incentivo

semplificato ma efficace che condizioni la crescita dei profitti grazie all’incremento

dei livelli di produttività raggiunti.

Il punto di partenza della proposta è la poca soddisfazione rispetto ai patti firmati

dalle parti sociali relativamente al tema della produttività, per questo motivo il

meccanismo di incentivo presentato dagli autori cerca di:

1. “Ribaltare le regole esistenti di determinazione dei salari”310 attraverso il

superamento della scissione dei due livelli di contrattazione: quello

nazionale che ha come scopo il garantire il potere di acquisto delle

retribuzioni dei lavoratori, e quello decentrato, che vuole distribuire alle

diverse parti i benefici derivanti da incrementi di produttività.

2. “Lasciare autonomia decisionale alle imprese e ai rappresentanti dei

lavoratori, evitando improprie interferenze statali o pubbliche rispetto ai

contenuti contrattuali e alle scelte decisionali”.

La proposta di produttività programmata collega la variazione del salario a quella

di diverse variabili, che sono il livello dei prezzi, la quota di occupazione

dipendente sul totale, la quota di lavoro dipendente sul reddito, la produttività

media del lavoro, la quota del salario contrattato a livello nazionale rispetto alla

retribuzione totale, il coefficiente che lega il tasso di crescita del salario variabile

al tasso di variazione della produttività311.

Le parti sociali attraverso la negoziazione possono contrattare la parte di reddito

totale da destinare a reddito dipendente, stabilire il tasso di crescita della

produttività programmata, decidere la quota di reddito derivante dall’aumento

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                             M. Messori, Serve un patto su retribuzioni e produttività, “Corriere della Sera”, 9 gennaio 2012. 310 G. Ciccarone, M. Messori, Per la produttività programmata, in Economia & Lavoro, 2013, vol. 3, p. 28. 311 L. Tronti, Distribuzione del reddito, produttività del lavoro e crescita: il ruolo della contrattazione decentrata, in Rivista italiana di economia, demografia e statistica, 2007, LXI, vol. 3-4, pp. 177-215.

Limiti e criticità della normativa attuale e proposte alternative    

  147  

della produttività da aggiungere alle retribuzioni dei lavoratori. In questo modo le

parti possono stabilire il tasso di crescita della parte fissa del salario

compatibilmente con l’obiettivo distributivo, la crescita programmata della

produttività e la politica retributiva derivante dalla contrattazione di secondo

livello, utilizzando un indice di inflazione che esclude l’andamento dei prezzi dei

più importanti bene energetici.

Con il meccanismo in analisi, nel caso in cui la produttività non raggiunga il tasso

di crescita programmato, il salario viene adeguato al tasso programmato di

crescita, tramite l’utilizzo dell’indice di inflazione che include le variazioni di prezzo

dei beni energetici principali. In questo modo la crescita della produttività è

incentivata, poiché le imprese se non raggiungono i livelli di produttività

programmata subiscono un aumento dei salari, e di conseguenza del costo

unitario del prodotto, e una riduzione del margine di profitto. Le imprese in

questo modo sono incentivate ad investire in nuove tecnologie e innovative

soluzioni organizzative312.

Marcello Messori, partendo da questo impianto analitico, ha cercato di individuare

delle soluzioni alle problematiche che si presentano nella sua applicazione. In

prima istanza, è stato chiarito che il progetto di produttività programmata richiede

la partecipazione del governo e delle autorità pubbliche. In secondo luogo, le parti

sociali, nell’atto di contrattazione della produttività programmata, devono

rispettare diversi vincoli. Esse devono fare riferimento ad orizzonti pluriennali per

poter incentivare riorganizzazioni aziendali e investimenti strategici ed è

necessario che fissino tassi di crescita della produttività compatibilmente al

riavvicinamento dei livelli nazionali a quelli europei di crescita della produttività.

Il raggiungimento degli obiettivi è influenzato dalle esternalità negative che

condizionano l’attività delle imprese, per questo motivo le istituzioni pubbliche                                                                                                                312 S. Fadda in alcuni suoi lavori propone una soluzione simile a quella individuata dalla letteratura in esame. Egli non fissa il tasso di crescita del salario attraverso l’uso della contrattazione, ma come somma della quota dell’inflazione misurata dall’indice armonizzato dei prezzi di consumo e della quota, determinata nella contrattazione di secondo livello, di un tasso programmato della crescita della produttività determinato da un “soggetto terzo”. S. Fadda, Riforma dei contratti: un rischio e una proposta, “Sbilanciamoci”, 25 marzo 2009, da http://www.sbilanciamoci.info/content/pdf/1790. S. Fadda, La riforma della contrattazione: un rischio e una proposta circa il secondo livello, “Nel merito”, 19 giugno 2009, da http://www.nelmerito.com/index.php?option=com_content&task=view&id=759&Itemid=135.

Limiti e criticità della normativa attuale e proposte alternative    

  148  

devono impegnarsi nella rimozione degli ostacoli che aumentano il costo delle

innovazioni organizzative.

Secondo Messori “la produttività programmata deve basarsi sullo stringente

rispetto degli accordi di ciascuna delle parti sociali313”314, sono quindi da evitare

situazioni di dispersione salariale ma anche effetti di shirking 315

nell’organizzazione del lavoro.

Per fare in modo che non si verifichi quanto appena esposto l’effettivo tasso

medio di crescita della retribuzione dei lavoratori deve rimanere di poco inferiore

alla variazione media della produttività programmata. In questo modo, la

differenza che si viene a creare potrebbe essere destinata alla riduzione delle

differenze salariali di lavoratori di imprese diverse che operano nello stesso

settore o a specifici gruppi di lavoratori316.

La problematica più importane del modello originario di produttività programmata

in relazione alla sua applicazione è il fatto che non è possibile trovare un tasso

medio di crescita della produttività programmata applicabile a tutte le imprese

indistintamente a prescindere dalle dimensioni, dai comparti e dal territorio a cui

esse appartengono. Come soluzione a questo problema gli autori propongono di

fare interagire i differenti livelli contrattuali. Il contratto nazionale deve fissare le

cifre minime raggiungibili di produttività programmata, mentre quello di secondo

livello deve occuparsi della fissazione del tasso programmato per le singole

imprese. I contratti di primo livello dovrebbero fissare delle classi omogenee di

produttività programmata a cui ricondurre le diverse aziende e decidere in quali

classi far rientrale le imprese in cui non è stato adottato lo strumento del

contratto di secondo livello.

                                                                                                               313 Bisogna evitare che i sindacati mettano vincoli alle ristrutturazioni aziendali, o richiedano aumenti di retribuzione maggiori a quelli stabiliti nel caso in cui il livello di produttività raggiunto sia maggiore di quello programmato. 314 G. Ciccarone, M. Messori, Per la produttività programmata, in Economia & Lavoro, 2013, vol. 3, p. 30. 315 I modelli di shirking sono modelli che tentano di spiegare la rigidità del salario e, quindi, il persistere di un equilibrio di sottoccupazione. Secondo queste ipotesi, livelli di salario bassi demotivano i lavoratori che tendono, di conseguenza, a scansare (shirk) i compiti più pesanti. Le imprese, di conseguenza (pur in presenza di elevata disoccupazione) tenderanno a non ridurre il salario corrisposto per evitare che la demotivazione dei lavoratori e i costi delle vertenze sindacali si riflettano in una produttività più bassa. 316 M. Messori, Problemi della produttività dell’economia italiana, Relazione all’incontro ASTRID, 20 settembre 2012, Roma.

Limiti e criticità della normativa attuale e proposte alternative    

  149  

La proposta di Ciccarone e Messori con gli accorgimenti attuativi appena

sottolineati potrebbe produrre, secondo gli autori, tre effetti molto positivi: nel

breve termine, l’innesco di aumenti salariali con il conseguente alleggerimento

della depressione dell’economia e l’imposizione al governo e ai partiti politici di

“un’esplicita assunzione di responsabilità rispetto alle variabili esterne alle imprese

e rispetto ai compiti di politica industriale”; nel medio-lungo termine, si avrebbe

una selezione delle imprese più efficienti determinando un “rafforzamento

strutturale del potenziale di crescita” del sistema economico italiano317.

La proposta in analisi confrontata con quella di Antonioli e Pini presenta diversi

elementi di complementarietà: il primo è il recupero di un ruolo centrale della

contrattazione nazionale che deve legare ex-ante salario e livelli di produttività, il

secondo è individuabile nello stabilire un livello di produttività programmata

pluriennale e in ultimo il concetto cardine di entrambe le teorie che si fondano sul

ribaltamento della logica seguita fino ad oggi dalla regolazione, ossia che gli

incrementi retributivi non devono essere risultato ma incentivo per i guadagni

derivanti dagli incrementi di produttività.

Tra le due proposte analizzate è possibile anche individuare due differenze di

metodologia. La prima è la dimensione di determinazione del tasso di crescita

programmato della produttività, che secondo Antonioli e Pini deve essere

contrattato a livello di settore, comparto, filiera o territorio, mentre secondo

Ciccarone e Messori deve derivare dalla contrattazione aziendale e ricondotto in

un secondo momento a classi omogenee di impresa. La secondo problematica

individuata è il ruolo dei lavoratori e dei loro rappresentanti nel percorso di

riorganizzazione aziendale. Secondo Antonioli e Pini questi attori hanno un ruolo

importantissimo nel processo decisionale e negoziale, mentre per Messori e

Ciccarone, “una volta disegnato un incentivo efficace, gli imprenditori e i manager

(è opportuno) svolgano appieno i loro compiti, assumendosi la responsabilità

primaria di migliorare la competitività delle loro imprese mediante appropriate

innovazioni organizzative”318.

                                                                                                               317 G. Ciccarone, M. Messori, Per la produttività programmata, in Economia & Lavoro, 2013, vol. 3, p. 31. 318 G. Ciccarone, M. Messori, Per la produttività programmata, in Economia & Lavoro, 2013, vol. 3, p. 32.

Limiti e criticità della normativa attuale e proposte alternative    

  150  

2.3 L’organizzazione del lavoro e le High Performance Workplace Practices.

Gli strumenti di natura normativa e contrattuale utilizzati per l’innalzamento della

produttività analizzati nel presente elaborato e le due proposte alternative

precedentemente esposte sono diretti più che alla contrattazione della produttività

alla contrattazione del salario. Raramente la contrattazione aziendale si occupa di

come organizzare i diversi fattori della produzione per migliorare i risultati.

Per agire con efficacia sulla produttività delle aziende è necessario in primo luogo

identificare come, in quali ambiti aziendali e attraverso che tipo di strumenti

organizzativi e gestionali è possibile incrementarla. In un secondo momento potrà

essere istituito un sistema premiante e solo in ultimo sarà utile individuare un

sistema di incentivi pubblici, che solo in questo modo potranno essere mirati ed

efficaci.

Non appare utile quindi definire obiettivi di produttività, come affermato dalle

proposte analizzate, ma è necessario identificare quali sono le strade per

raggiungere una buona produttività. Il processo di produzione deve quindi essere

ottimizzato in ogni singola parte di cui è composto, e le parti sociali devono

partecipare in modo attivo a tale percorso di ottimizzazione319.

Per questo motivo è auspicabile una nuova tipologia di contrattazione che si

concentri sui fattori che compongono la produttività del lavoro, come le

competenze dei lavoratori, il know-how complessivo aziendale, gli investimenti

per unità di lavoro in organizzazione del lavoro, l’efficienza delle strutture e dei

processi dell’azienda; e gli elementi che compongono la reddittività del lavoro,

ossia il posizionamento competitivo alla valorizzazione del brand, le pratiche

manageriali, l’innovazione di prodotto, la qualità degli inputs, le scelte di natura

tecnologica e la loro influenza sui prodotti e l’organizzazione.

Uno dei fattori che può migliorare la produttività è l’istruzione della forza lavoro e,

in modo complementare, il volume degli investimenti formativi, sia che questi

siano mirati a infondere competenze tecniche necessarie all’azienda, sia che siano

diretti al miglioramento qualitativo generale della forza lavoro.                                                                                                                319 A. M. Ponzellini, La strada giusta per la contrattazione della produttività, Nuovi Lavori Newslette, 2013, da http://www.nuovi-lavori.it/index.php/sezioni/61-contrattazione/127-la-strada-giusta-per-la-contrattazione-della-produttivita.

Limiti e criticità della normativa attuale e proposte alternative    

  151  

Un secondo fattore che influenza la crescita della produttività è il controllo

dell’assenteismo. Nei casi di contrattazione di secondo livello che sono stati

analizzati nei capitoli precedenti abbiamo individuato incentivi monetari collegati

alla riduzione della dimensione delle assenze, senza però che venissero analizzate

le cause di tali assenze e gli strumenti per farle diminuire. La riduzione

temporanea dell’orario di lavoro, la possibilità di usufruire di orari flessibili

abbassa il tasso di assenteismo di madri con figli piccoli; il miglioramento delle

caratteristiche ergonomiche di alcune postazioni di lavoro migliorano le prestazioni

dei lavoratori e riducono periodi di malattia per disturbi muscoloscheletrici, per

questo motivo queste problematiche devono essere al centro della contrattazione

per diminuire il tasso di assenteismo nell’impresa.

Anche le modalità di utilizzo del capitale risultano importantissime per la

produttività. L’organizzazione del lavoro può migliorare i livelli di saturazione degli

impianti, la fluidità dei processi, l’adattabilità della produzione alle oscillazioni della

domanda di mercato riducendo al minimo gli sprechi di costi ed energie sia per

l’azienda che per i lavoratori.

Un elemento che la letteratura economica identifica come fondamentale per la

crescita della produttività, ma in Italia non viene considerato nella gestione di tale

obiettivo, è la capacità del management. La contrattazione può difficilmente

intervenire sulla selezione del management, ma può garantire l’utilizzo di pratiche

innovative ed efficienti nella gestione delle risorse umane. Per far crescere i

risultati di un reparto è fondamentale la presenza di pratiche manageriali dirette

ad una selezione meritocratica nei processi di crescita del personale.

Il principio che lega la crescita della produttività di un’impresa alle pratiche di

innovazione organizzativa è sostenuto, oltre che da gran parte della letteratura

economica, anche da diversi studi internazionali, che dimostrano che la relazione

tra produttività e cambiamento organizzativo è un ottimo terreno per una

contrattazione aziendale che voglia migliorare allo stesso tempo performance

aziendale e condizioni dei lavoratori. A supporto di questa tesi, alcuni studi

Limiti e criticità della normativa attuale e proposte alternative    

  152  

americani affermano che il 30% della crescita dell’industria americana sia

riconducibile alle High Performance Workplace Practices320.

Eurofound, in un lavoro del 2012, ha identificato alcune pratiche di lavoro

definendole “ad alta produttività”, esse comprendono: lavoro in squadra,

formazione, coinvolgimento dei lavoratori nella condivisione delle conoscenze e

nella soluzione dei problemi e nuove forme di ricompensa. Questa indagine

europea afferma che la crisi ha portato all’implementazione delle innovazioni nel

settore manifatturiero, che le aziende necessitano di leadership, cultura

organizzativa e partecipazione dei lavoratori per intraprendere un processo di

cambiamento, che l’uso delle pratiche sopra elencate, soprattutto se combinate

tra loro, “ha prodotto incrementi estremamente significativi della produttività del

lavoro, riduzione dei costi operativi, maggiore condivisione della conoscenza dei

processi produttivi e della soluzione dei problemi”321.

Appare quindi di fondamentale importanza identificare in modo preciso come

possono essere introdotte tali practices in azienda.

Il lavoro di squadra risulta essere molto importante per la crescita della

produttività e permette il miglioramento della partecipazione e del clima di lavoro

in azienda. Il teamworking deriva dal modello di lean productin, caratterizzato da

una bassa piramide gerarchica e forte coinvolgimento dei lavoratori nelle decisioni

aziendali. Questo strumento organizzativo responsabilizza i lavoratori, specie se

dotati di autonomia decisionale, nella ricerca di un buon funzionamento dei

processi, puntando alla diminuzione dei fermo macchina, al taglio degli sprechi di

materie prime e al miglioramento della qualità.

Secondo diversi studi, in questo caso secondo WERS322 (Workplace Employment

Relations Survey) il 60% delle imprese che adottano il teamworking identifica la

propria produttività come al di sopra della media ed il 65% di queste misurano                                                                                                                320 L. Lynch, The evolving nature of High Performance Workplace Practices in the United States, Bryson A. (a cura di), Advances in the Economic Analysis of Participatory and Labor- Managed Firms, 2012, vol. 13, pp. 267-309, EGPL. 321 Eurofound, Work organization and innovation, 2012, da http://eurofound.europa.eu/publications/report/2012/other/work-organisation-and-innovation. 322 E’ uno studio promosso dal Governo britannico che tratta il tema dei lavoratori nel Regno Unito. Questo tipo di analisi comprende dati e informazioni relativamente alle imprese, alle rappresentanze sindacali e ai lavoratori che appartengono a diverse tipologie di settori economici. WERS è stato pubblicato 6 volte: nel 1980, 1984, 1990, 1998, 2004 e 2011. L’ultimo studio del 2011 è stato completato nel Giugno 2012.

Limiti e criticità della normativa attuale e proposte alternative    

  153  

anche risultati finanziari superiori323. Come esempio a livello nazionale si può

citare Elica, un’azienda italiana, che in seguito all’utilizzo di questa pratica

aziendale ha raggiunto la diminuzione del 300% dei costi di produzione in un solo

esercizio324. E’ dimostrato quindi che il lavoro di squadra fa crescere la qualità di

prodotto e di lavoro in azienda, attraverso il miglioramento delle conoscenze dei

lavoratori che sono spinti alla risoluzione di problematiche e a fornire proposte

nuove per migliorare i processi.

Visto che le pratiche di teamworking non sono molto diffuse in Italia, un tipo di

contrattazione di secondo livello nuovo e più efficace potrebbe creare le basi di

dialogo necessarie per introdurre questo strumento organizzativo nelle imprese,

prendendo anche spunto dalla Germania, dove questa pratica è diffusa e le forme

di partecipazione sono molto ampie e arrivano anche al coinvolgimento dei

lavoratori nella distribuzione delle mansioni e nella definizione dei ritmi e delle

pause di orario325.

Come già sottolineato in diverse parti di questo elaborato la flessibilità di orario è

uno strumento prezioso per l’impresa per far crescere la produttività, anche se in

Italia questa non viene utilizzata nel modo corretto, facendo più ricorso al lavoro

straordinario che alla distribuzione multi-periodale dell’orario di lavoro per

rispondere alle necessità del mercato.

Le pratiche manageriali efficaci, l’individuazione degli investimenti necessari, la

formazione delle risorse umane non sono gli unici fattori che garantiscono un

miglioramento in termini di produttività. Gli sforzi dell’impresa senza la

condivisione di un progetto da parte delle parti sociali è inutile.

In Italia purtroppo in alcuni ambienti sindacali il concetto di produttività viene

associato al mero sfruttamento dei lavoratori, ad una perdita di tutele inserite nei

contratti collettivi nazionali, e non ad una visione di partecipazione e

coinvolgimento della forza lavoro.

                                                                                                               323 S. Procter, M. Burridge, Teamworking and Performance: The extent and Intensity of teamworking in the 1998 UK Workplace Employee Relations Survey, International Journal of Human Resource Management, 2008, vol. 1, pp. 153-168. 324 S Sidiqui, B. Allison, A. Cox, Work organization and innovation: Case Study Elica, Italy, 2012, da http://www.eurofound.europa.eu/pubblications/htmlfiles/efl27214.htm. 325 A. M. Ponzellini, La strada giusta per la contrattazione della produttività, Nuovi Lavori Newslette, 2013, da http://www.nuovi-lavori.it/index.php/sezioni/61-contrattazione/127-la-strada-giusta-per-la-contrattazione-della-produttivita.

Limiti e criticità della normativa attuale e proposte alternative    

  154  

Per poter fare in modo che l’innovazione dell’organizzazione del lavoro entri a far

parte della contrattazione di secondo livello e di conseguenza caratterizzi la

crescita delle imprese virtuose, il sindacato dovrebbe essere parte attiva

nell’individuazione delle pratiche più adatte alle esigenze delle singole aziende per

migliorare i livelli di produttività.

Dal lato dell’imprenditore, le imprese italiane sicuramente, come più volte

sottolineato, non presentano dimensioni tali da dare per scontata la conoscenza

necessaria per l’introduzione delle pratiche organizzativa qui analizzate. La

funzione delle associazioni di categoria e dei sindacati potrebbe essere quella di

guida e supporto nella stesura di un piano di ridisegno anche per le piccole

aziende. Nel caso in cui le parti sociali non presentassero le competenze

necessarie per il raggiungimento degli obiettivi che la contrattazione di secondo

livello si pone, il soggetto pubblico potrebbe destinare fondi per lo sviluppo delle

competenze necessarie ad entrambe le parti negoziali tramite l’assistenza di

esperti e un’azione di formazione capillare dei lavoratori, come già sperimentato

in Francia e Germania.

Questo tipo di investimento di risorse pubbliche sembra molto più efficace rispetto

alla distribuzione di incentivi a pioggia che da più di vent’anni non produce

risultati per la crescita della produttività.

Attraverso l’applicazione di questa proposta le imprese sono assistite nel processo

di realizzazione di efficaci piani di ristrutturazione organizzativa e i lavoratori

acquisiscono nuove competenze. Le realtà aziendali, dove l’innovazione

organizzativa apporta reali benefici perché utilizzata e applicata nel modo

corretto, continueranno ad investire per migliorare i loro livelli produttivi anche

senza l’apporto di incentivi contributivi e fiscali, poiché il beneficio derivante da

tali investimenti sarà maggiore del loro costo.

Confrontando tale proposta con quelle di produttività programmata dei precedenti

paragrafi, emergono due considerazioni principali: da un lato, i sistemi di

produttività programmata si presentano come valida e più efficace alternativa a

sistemi che stabiliscono tassi di inflazione programmata; dall’altro lato però, non è

automatico che lo stabilire obiettivi di produttività si tramuti in reali aumenti di

produttività. L’identificazione di un piano derivante da analisi specifiche e

Limiti e criticità della normativa attuale e proposte alternative    

  155  

l’individuazione di strumenti adatti risulta sicuramente più efficace rispetto allo

stabilire un obiettivo complessivo e generale.

Limiti e criticità della normativa attuale e proposte alternative    

  156  

Conclusioni    

  157  

CONCLUSIONI

Il presente elaborato si poneva l’obiettivo di esaminare come viene incentivata la

produttività in Italia e quali sono gli strumenti utilizzati dalle aziende italiane per

migliorare questo elemento all’interno dell’organizzazione di impresa.

Sono presenti due attori principali che operano nel campo del miglioramento della

produttività: le parti sociali e l’amministrazione pubblica.

Le prime, con la promozione e la regolazione della contrattazione di secondo

livello cercano di fornire gli strumenti adatti alle imprese per favorire quei

miglioramenti organizzativi che portano ad un aumento dei livelli di produttività; il

soggetto pubblico invece, considerata l’importanza per l’economia nazionale nel

suo complesso dell’aumento della produttività delle imprese italiane, attraverso

strumenti di decontribuzione e detassazione del salario di produttività cerca di

incentivare le aziende ad investire sia in campo organizzativo sia in campo

tecnologico per fare in modo che tale fattore sia in crescita.

Alla luce dell’analisi dei dati nazionali confrontati con quelli europei relativi ai tassi

di produttività del lavoro delle aziende e dei livelli di utilizzo della contrattazione di

secondo livello nel tessuto economico aziendale nazionale, si può sostenere che

entrambe le parti che hanno operato per migliorare la situazione italiana hanno

fallito nei loro intenti.

Come evidenziato nel presente lavoro, gli sforzi economici da parte del soggetto

pubblico si sono tradotti in una distribuzione poco oculata e selezionata delle

risorse pubbliche, che sono risultate essenzialmente dirette ad aziende che poco

avevano a che fare con reali sforzi per il miglioramento della produttività

aziendale. Spesso anche i fattori indicati dalla legge utilizzabili ai fini di accedere

allo sgravio non coincidevano con quelli riconosciuti dalla letteratura economica

internazionale come utili al fine del miglioramento dei tassi di produttività.

Il collegamento del premio di produttività, con conseguente vantaggio fiscale e

contributivo, a fattori come la flessibilità o il lavoro straordinario hanno solamente

Conclusioni    

  158  

portato alla stesura di accordi aziendali cosmetici diretti all’accesso a risorse

pubbliche senza che il vero obiettivo fosse necessariamente raggiunto.

Il comportamento collusivo delle aziende nell’accesso a tali risorse pubbliche è

stato ancora meno contrastato grazie alla mancanza di un sistema chiaro e

specifico di controllo relativo al reale raggiungimento di livelli migliori di

produttività per l’impresa e all’efficacia degli strumenti utilizzati per raggiungere

tali obiettivi.

Allo stato attuale, con una semplice dichiarazione di intenti l’impresa può

accedere alle agevolazioni fiscali e contributive senza necessariamente che questa

volontà di impegno si traduca in un miglioramento organizzativo reale.

Anche le parti sociali non sono riuscite a pieno nello svolgimento della loro

funzione. Con i numerosi accordi quadro e interconfederali, dal 1993 al 2013 i

sindacati e le associazioni di categoria hanno cercato di dare alle imprese la

libertà di negoziazione necessaria per individuare gli strumenti specifici utili al

miglioramento della produttività aziendale attraverso l’utilizzo del contratto di

secondo livello. La problematica non affrontata dalle parti sociali, però, è quella

che più ostacola il funzionamento di tutto l’impianto regolatorio contrattato fino

ad oggi, ossia la diffusione della contrattazione decentrata sul territorio nazionale.

Se gli sforzi vengono concentrati su come si possa utilizzare il contratto aziendale

e quali benefici e libertà questo possa fornire all’azienda, ma non ci si pone come

obiettivo l’uso diffuso e capillare di questo strumento, i livelli di produttività del

lavoro nazionali non cresceranno. Infatti, il tasso di crescita della produttività

italiana è negativo e l’utilizzo della contrattazione decentrata negli ultimi anni, già

partendo da livelli di diffusione molto bassi, è addirittura diminuito.

In questo modo lo Stato sta distribuendo risorse ad imprese che utilizzano la

contrattazione di secondo livello, quindi principalmente di medio-grandi

dimensioni, che ne fanno un utilizzo non sempre diretto ad un reale aumento del

tasso di produttività, a discapito delle piccole aziende che a tali risorse non

riescono ad accedere perché così strutturata tale contrattazione decentrata per le

imprese di modeste dimensioni richiede sforzi che superano di gran lunga i

benefeci che derivano dal suo utilizzo.

Conclusioni    

  159  

Le parti sociali e lo Stato dovrebbero intraprendere un percorso dove di centrale

importanza è l’individuazione dei fattori che realmente influenzano l’andamento

della produttività all’interno dell’azienda, per poterne fare il fulcro di qualsiasi tipo

di incentivo. Tale operazione risulta particolarmente complicata per la natura

estremamente varia delle imprese, sia relativamente alle dimensioni di queste sia

per la loro natura economica e produttiva. Proprio per questo motivo le

associazioni di categoria e i sindacati dovrebbero diventare i punti di riferimento

per l’impostazione del cambiamento organizzativo e tecnologico delle imprese, e

una volta che questo avviene dovrebbe essere poi certificato e riconosciuto un

reale miglioramento dei livelli di produttività per poter accedere ai benefici fiscali e

previdenziali.

Tale percorso risulta sicuramente più costoso per le parti sociali ma di gran lunga

più efficace, e i progetti per l’innovazione e la riorganizzazione delle piccole

imprese potrebbero essere impostati su base territoriale per ottimizzare le risorse.

Il costo elevato di questo tipo di operazione potrebbe essere parzialmente

assorbito da una distribuzione di incentivi più mirata e corretta, in questo modo

parte dei fondi che adesso sono destinati agli sgravi potrebbe essere rivolta al

sostegno di questo sistema più complesso.

Non è detto quindi che la creazione di tale sistema di sostegno alle aziende nella

progettazione organizzativa risulterebbe più costoso dell’attuale sistema di

incentivi alla produttività.

Anche nel caso in cui questa soluzione fosse più onerosa, si andrebbe comunque

nella direzione di un sistema dove le aziende inizialmente investono in produttività

incentivate anche dagli sgravi, ma in un secondo momento, il reale beneficio

tratto dall’azienda dall’essere più produttiva giustificherebbe da sé il continuo

investimento. In questo modo l’aumento di produttività delle aziende italiane

seguirebbe il modello anglosassone, dove l’aiuto dello Stato è presente solo nella

prima fase di intervento.

L’obiettivo che Stato e parti sociali devono avere è che il risparmio derivante

dall’essere più produttive per le aziende che investono, diventi il motore che fa

perdurare l’investimento nel tempo.

Conclusioni    

  160  

 

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