PRODI, TELECOM & C. - Renato Brunetta

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PRODI, TELECOM & C. Manuali di Conversazione Politica a cura di Vittorio Feltri e Renato Brunetta Il grande imbroglio continua di Davide Giacalone 9 PRODI, TELECOM & C.

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PRODI, TELECOM & C.

Manuali di Conversazione Politica

a cura di Vittorio Feltri e Renato Brunetta

Il grande imbroglio continua

di Davide Giacalone

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Manuali diConversazione

Politica

Da vendersi esclusivamente in abbinamento a Libero.Supplemento al numero odierno.Euro 3,00 + il prezzo del quotidiano

Quando, nel luglio scorso, abbiamo mandato inedicola Il Grande Intrigo, sapevamo di maneggiareun materiale esplosivo.

È passato pochissimo tempo, e non solo la crisiè deflagrata, non solo le cose argomentate e preciseche si raccontavano in quel libro si sono dimostrateesatte, ma è anche capitato che il presidente delConsiglio, Romano Prodi, sia andato in Parlamentoa dire che la causa di tutto stava nell’avere privatiz-zato male.

Quell’errore è costato carissimo alla collettività,e basterà rileggere le cifre contenute nel secondocapitolo di questo libro per inorridire.

Romano Prodi, però, è un uomo generoso, ed haaccompagnato l’ammissione dell’errore con unavalanga di bugie tese a mascherare l’altro grandeerrore, da lui commesso adesso, e che ha preso formacon il Piano Rovati. Leggete più avanti di che si trat-ta, ma, detto in due parole, la faccenda consiste neltentativo di ricomperare con soldi dello Stato unarete di telecomunicazioni che era stata realizzata coni soldi dello Stato e che è poi stata venduta male.

Il Grande Intrigo ha venduto più di centomila dicopie, quanto mai nessun libro dedicato al malaffa-re di Telecom.

Questa è la continuazione di quell’inchiesta,aggiornata ai fatti dell’ultima ora.

L’ulteriore continuazione dovrà essere un ragio-namento serio e spietato sullo stato del capitalismoitaliano, dei suoi “campioni”, del mercato, dellegaranzie, della vigilanza e delle libertà nel nostroPaese.

Lo faremo nei prossimi mesi, statene certi.Intanto godetevi (amaramente) questo.

PRODI, TELECOM & C.

PRODI, TELECOM & C.

Manuali di Conversazione Politica

a cura diVittorio Feltri e Renato Brunetta

Il grande imbroglio continua

Libero 09/01 Parte 19-10-2006 16:48 Pagina 1

© 2006Edizione speciale perFree Foundation for Research on European Economy

EditingAndrea Mancia

ADGerardo Spera

Segreteria di redazioneElvira Mercuri

StampaLito Terrazzi, Firenze

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Indice

Prefazione di Vittorio FeltriIntroduzione di Renato Brunetta

1. Disse Prodi: va a finire come Telekom Serbia 5

2. Contro l’interesse nazionale, dilapidando il patrimonio degli italiani 13

3. Il governo e gli affari 174. Tronchetti Provera compera all’estero

e Gnutti paga Consorte e Sacchetti 235. Gli spioni di Telecom Italia 316. I debiti e la media company 477. Il candido Rovati

ed il suo informato piano 538. Il futuro presente delle telecomunicazioni

ed i soldi dello Stato 699. I poteri deboli e le regole ignorate 77

Appendice10. Il dibattito alla Camera 8511. Il dibattito al Senato 16112. Estratto della relazione sull’affare

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Prefazione

di Vittorio Feltri

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elecom Italia non è soltanto una ditta dalla sorteincerta. Non è appena il telefono con annessi econnessi multimediali. Essa è la casa e la cassa delpotere italiano. Il luogo di misteri, profitti, consu-lenze, debiti e misfatti. Io credo sarà anche il nomeche bisognerà stampare sulle carte da morto del

governo Prodi. “Nato a Roma l’11 aprile 2006, deceduto inTelecom il...”. La data non si sa. Io ho una certa idea che laconosca Guido Rossi, l’avvocato che oggi presiede l’azien-da di telecomunicazioni. Di certo Rossi sarà in prima fila aifunerali. Il libro di Davide Giacalone racconta come e per-ché sia giusto affrettare la mesta cerimonia, e quali passi sidebbano fare per modernizzare il settore di sviluppo deci-sivo sia per la nostra economia sia per il livello della nostraciviltà.

Giacalone è una firma importante di Libero e lo saràsempre di più. Studia, analizza, poi spiega in modo da ren-dersi comprensibile ai neofiti, e scrive con stile avvincente.Chi ha letto il suo precedente “Il grande intrigo” sa che pos-siede la capacità di afferrare le matasse ingarbugliate e didipanare il filo (telefonico e tangentizio). Quel libromostrava le gracili gambe su cui, per colpa dei governi disinistra e delle loro scelte avventate, vacillava quella cheera stata una bellissima multinazionale con la bandiera tri-colore. Raccontava i pastrocchi brasileri e le enormi cifre

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Prefazione

buttate al vento dagli Appennini alle Ande. C’è stata unanovità nel frattempo. Si è scoperto che Davide Giacalone,in forza di quelle sue conoscenze e per le pagine che anda-va scrivendo per noi, è stato oggetto di attenzioni spionisti-che. Addirittura qualcuno ha versato 400 mila euro a untizio perché gli rivelasse davvero chi era Giacalone. Se sirivolgevano a me, avremmo fatto un affare in due. Io e laditta telefonica. Avrei convinto l’interlocutore che conveni-va seguire i consigli di questo autentico genio. Sarebberomolto migliorate le mie finanze ma anche quelle degli azio-nisti di Telecom. In generale l’Italia sarebbe un po’ piùserena.

Giacalone è spietato. Fotografa con nitidezza da premioPulitzer la vicenda tragicomica che ha visto coinvolti nel-l’autunno 2006 Marco Tronchetti Provera, presidente e poiex presidente di Telecom, ma comunque dominus dell’a-zienda, e il presidente del Consiglio Romano Prodi. Non vianticipo i passaggi più avvincenti di quello che purtropponon è un romanzo ma il ritratto fedele di una classe diri-gente stracciona e delle sue mosse meschine. Di certo sicapisce che Prodi ha mentito un sacco di volte. A Tron-chetti, al parlamento, all’opinione pubblica internazionale.Aveva in mente un piano per salvare il salvabile dell’azien-da (e se stesso). Pensava di statalizzare la rete fissa perpagare i debiti abissali delle società proprietarie di Tele-com. Con i nostri soldi l’avrebbe fatta diventare una dittamortadelliana, consolidando così il proprio potere. Avrebbeevitato un crack rispetto al quale il disastro Parmalat sareb-be apparso come una falla in una vasca da bagno rispetto alVajont-Telecom. Tronchetti aveva accettato, ma in cambiovoleva scorporare la rete mobile per tenersela. Ha reso pub-blica questa intenzione. Al che Romano ha giurato che diquesto non sapeva nulla. Tronchetti gli ha dato del bugiar-do. E ha avuto buon gioco facendo pubblicare su Corrieredella Sera e Il Sole 24 Ore, giornali di cui è comproprieta-rio, il piano firmato da Angelo Rovati con l’intestazione“segreteria del Presidente del Consiglio”. Dopo di cheRovati ha smentito che il suo capo ne sapesse alcunché.

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“Roba artigianale”, ha minimizzato. Giacalone mostra chesi tratta di tutt’altro. Sia Tronchetti sia Prodi hanno cercatodi fare i furbetti. Ora meritano di finire sulla graticolaentrambi. Già ci sono. Per la rosolatura i tempi li sa – fida-tevi del mio fiuto - Guido Rossi: è maestro di cotture lentee scodellamenti rapidi.

Non sto a spiegare la soluzione prospettata da Giacalo-ne per ridare vigore a questa nostra telefonia e ai beneficiper tutti che ne deriverebbero. Egli vagheggia un mondodove in qualunque luogo tu sia, seduto o in piedi, apri iltelefono e vedi qualsiasi tivù, navighi su Internet, parli gra-tis con l’Antartide. Io ci credo, bevo queste analisi comeoro colato. Non ci capisco un acca, io scrivo con la Olivet-ti 32, la quale – sia chiaro - con la Olivetti proprietaria diTelecom, non c’entra nulla: e ne sono sollevato. Non me nevanto, ma sono di vecchia razza bruno-alpina, un tipo chesi stupisce di come pigiando un tasto della macchina perscrivere magicamente resti impressa una letterina sul fogliobianco. Ma a Giacalone do la più totale fiducia. Oltretuttola strada indicata da Davide non passa dalla statalizzazioneo da una privatizzazione che distribuisca ricchezze ai solitiamici dei politici, ma trova soluzioni tatcheriane: un capi-talismo dove i semplici cittadini con un po’ di coraggiosono protagonisti. Per questo però occorre un’opposizionedavvero capace. Non bisogna limitarsi al lamento, maimpedire lo scempio individuando piste alternative. Propriociò che ci proponiamo di sostenere con questa serie divolumi che hanno il marchio di Libero.

Questa osservazione ne chiama un’altra. “Il grande intri-go” di Giacalone, il volume che è la premessa di questonuovo titolo, ha venduto più di centomila copie. La colla-na, che ho il piacere di dirigere con il professor RenatoBrunetta, è un autentico successo di mercato. È il fattodavvero rivoluzionario della nostra cultura e della nostraeditoria di questi ultimi anni. Anzi no, ritiro la parola “rivo-luzionario”: è di sinistra. Diciamo che è un evento in cuiintravedo un granello di speranza.

IV

Prefazione

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Introduzione

di Renato Brunetta

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uando, nel luglio scorso, abbiamo mandato in edi-cola Il Grande Intrigo, sapevamo di maneggiareun materiale esplosivo. Lo sapevamo e lo scrive-vamo, avvertendo anche i nostri lettori che nonavrebbero dovuto credere agli apologetici raccon-ti degli scribacchini intruppati, alle tante paginededicate alla gloriosa stagione delle privatizzazio-ni ed ai festeggiamenti di regime per le scalate

fatte da imprenditori amici della sinistra. Spiegavamo, allo-ra, con il documentato testo scritto da Davide Giacalone,che la ragione della poca trasparenza e della montagna deldebito era da ricercarsi tutta nel modo sbagliato con cui fufatta la privatizzazione di Telecom Italia. Anzi, la malapri-vatizzazione.

È passato pochissimo tempo, e non solo la crisi è defla-grata, non solo le cose argomentate e precise che si raccon-tavano in quel libro si sono dimostrate esatte, ma è anchecapitato che il presidente del Consiglio, Romano Prodi, siaandato in Parlamento a dire che la causa di tutto stava nel-l’avere privatizzato male. Finalmente, ho pensato, adessoc’è almeno una cosa per cui posso applaudire Prodi. Ma misono subito ricordato il nome di quello strano signore chela privatizzazione aveva fatto, essendo allora presidente delConsiglio: Romano Prodi. Il che significa, in definitiva, checi ha dato ragione anche Prodi, riconoscendo un suo errore.

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Introduzione

Quell’errore è costato carissimo alla collettività, e basteràrileggere le cifre contenute nel secondo capitolo di questolibro per inorridire.

Romano Prodi, però, è un uomo generoso, ed ha accom-pagnato l’ammissione dell’errore con una valanga di bugietese a mascherare l’altro grande errore, da lui commessoadesso, e che ha preso forma con il Piano Rovati. Leggetepiù avanti di che si tratta, ma, detto in due parole, la fac-cenda consiste nel tentativo di ricomperare con soldi delloStato una rete di telecomunicazioni che era stata realizzatacon i soldi dello Stato e che è poi stata venduta male. Hafatto cosa opportuna, Prodi, ricordando il suo curriculumprofessionale e la sua coerenza politica, perché in quel ten-tativo li si ritrova entrambi.

In questo libro abbiamo voluto introdurre due sezioni didocumentazione. La prima è relativa ai due dibattiti parla-mentari, perché una cosa è sentirli raccontare nei telegior-nali, con il corollario delle reciproche contumelie, altra, epiù impressionante, toccare la carne viva di un confrontopolitico che più avvilente non poteva essere.

Sono cose che i lettori hanno fra le mani per la primavolta, ed è leggendole che potranno farsi un’idea di qualesia il livello cui si è giunti. Dopo essersi fatti un’idea,potranno con cognizione di causa controllare come i proprieletti gestiscono e gestiranno il problema. Per intenderci:qui non si sollecita l’inseguire uno scandalismo che non ciè proprio e che detestiamo in certa sinistra, ma è obbligato-rio vedere l’enormità politica, ed anche istituzionale, di unacondotta che merita la più decisa, ma anche la più informa-ta e consapevole opposizione.

La seconda sezione di documentazione è relativa a Tele-kom Serbia. Quella faccenda fu gestita male, dal centrodestra. Fu invece gestita benissimo dalla sinistra, che fucapace di far passare per vittime gli autori di un abominiopolitico ed economico. È ora di rimettere le cose a posto edi raccontare cosa fu quell’affare con cui un’azienda dellepartecipazioni statali finanziò un nostro nemico, un dittato-

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Introduzione

re, un genocida, cui presto saremmo andati a far la guerra(perché quella fu una guerra, giusta, anche se i pacifisti acorrente alternata tendono a dimenticarlo).

Il Grande Intrigo ha venduto più di centomila di copie,quanto mai nessun libro dedicato al malaffare di Telecom.Nessuno ne parla, ma noi siamo orgogliosi di avere portatoin edicola una vera inchiesta giornalistica, realizzata senzaguardare in faccia nessuno, senza nessun vincolo di schie-ramento e scrivendo i nomi ed i cognomi.

Si ripete troppo spesso che “gli italiani non leggono”.Non è vero. Se trovano prodotti di qualità leggono, e sifanno anche sentire.

Questa è la continuazione di quell’inchiesta, aggiornataai fatti dell’ultima ora. Va letta tenendo a mente i fatti giàraccontati, che ne sono la premessa. L’ulteriore continua-zione dovrà essere un ragionamento serio e spietato sullostato del capitalismo italiano, dei suoi “campioni”, del mer-cato, delle garanzie, della vigilanza e delle libertà nelnostro Paese.

Lo faremo nei prossimi mesi, statene certi. Intanto gode-tevi (amaramente) questo.

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Disse Prodi: va a finire come Telekom Serbia

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iovedì 28 settembre 2006, in un caldo pomeriggio,Romano Prodi si presenta alla Camera dei Depu-tati. Avrebbe voluto non esserci, avrebbe preferitoevitare, aveva anche detto che era semplicemente“da matti” pensare che sul caso Telecom Italia sidovesse fare un dibattito parlamentare. Quando

poi quel dibattito era stato fissato, aveva deciso di mandar-ci il ministro per i rapporti con il Parlamento, il diessinoChiti, che aveva fermamente declinato l’offerta, alloraaveva desiderato spedirvi il ministro delle comunicazioni,il margherito Gentiloni. Ma erano stati i suoi stessi alleati adirglielo a muso duro: caro Romano, tocca a te andare, seci mandiamo Gentiloni e gli facciamo dire che non ne sape-va niente, va a finire che lo prendono in parola e ci faccia-mo una figura terrificante. Così, quel pomeriggio, Prodiavrebbe preferito non esserci, ma aveva dovuto esserci.

La questione era delicata, pertanto aveva prudentemen-te pensato di portare con sé un discorso scritto. Ma anchenel leggerlo la voce s’incattiviva nelle difficoltà, oppureerano state fatte delle aggiunte, all’ultimo minuto, chespezzavano il fluire del discorso. In ogni caso, l’uomo erateso, molto teso. Quando l’opposizione prese a schernirlo,con ironici applausi, per un passaggio del discorso nelquale sosteneva che la sua storia personale (lui, democri-stiano, due volte presidente dell’Iri!) gli avrebbe impedito

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Disse Prodi: va a finire come Telekom Serbia

di pensare ad una ristatalizzazione della rete, quando questoaccadde, quando si dovette sospendere la seduta, sembròsollevato: c’erano caduti, avevano abboccato alla provoca-zione, adesso non tutta l’attenzione si sarebbe concentratasulle povere cose che aveva ed avrebbe detto. Ma confessoche, a quel punto, ero già distratto. Mi ero fermato all’ini-zio, al punto in cui Prodi aveva detto, sfidando l’opposizio-ne: “si concluderà allo stesso modo di Telekom Serbia”.

Quelle parole mi avevano gelato, primadi tutto perché dicevano il vero. Potevaveramente finire come Telekom Serbia.Un’opposizione caciarona e scatenata, nonguidata dalla saggezza politica e non illumi-nata dalla conoscenza degli argomenti, poteva effettiva-mente consentire che il responsabile si facesse vittima.Poteva effettivamente capitare che s’inseguisse un morali-smo straccione e senza etica, nel sogno di dimostrare unamalefatta altrui, magari una tangente, commettendo ancoral’ingenuità che allora li perse: queste cose si possono fare(e fanno comunque schifo) se hai una magistratura di com-plemento a sostegno. Se hai una procura che sia disposta atenere a mollo l’accusato per anni ed anni, secernendo ver-bali ad intervalli regolari, rinnovando la memoria conrichieste di rinvii a giudizio corroborate dalle medesimeaccuse iniziali, e strafregandosene tutti, stampa corriva alseguito, se l’accusato dimostrerà d’essere innocente. Tantoavverrà quando della sua storia si saranno stufati tutti, tran-ne lui, il tapino, che girerà stordito e querulo: ve lo avevodetto, che ero innocente. Ma se questo non ce l’hai, se ilmagistrato, al contrario, svolge accertamenti sui testi d’ac-cusa, dimostrandone velocemente l’inconsistenza, allora sirimane con il cerino in mano, ci si brucia le dita, si fa lafigura degli scemi. Come avvenne con Telekom Serbia.

Mi aveva gelato, però, anche la temerarietà. Prodi non èsolo capace di approfonditi studi sull’alta velocità, non è solocapace di farsi pagare l’acuta scoperta che il suo valore con-siste nell’andare veloci, no, è un osso duro, un combattente

Cosa ha spintoProdi ad unaccostamentocosì pericoloso?

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Disse Prodi: va a finire come Telekom Serbia

con il fiato lungo, uno che non rinuncia alla vendetta. Ma quila temerarietà superava il coraggio, c’era qualche cosa diprofondo, qualche agitarsi dell’animo ad averlo spinto versoun accostamento così pericoloso. Era stato lui a parlare dimatti, ma io pensai ad una delle lezioni introduttive alla psi-canalisi, che Sigmund Freud tenne all’università di Vienna, aquella, in particolare, in cui volle spiegare il “lapsus” e perfarlo portò l’esempio di un ... dibattito parlamentare. S’eranel Parlamento austriaco ed il presidente, agitando il campa-nello, laddove avrebbe dovuto aprire la seduta, disse “laseduta è chiusa”. Sapeva che non si sarebbe discusso e le suelabbra tradirono il pensiero, disse quel che pensava e nonquel che avrebbe dovuto. Che sia capitato anche a Prodi?

Già, perché proprio questo è quello che Prodi avevavoluto e vuole, ieri ed oggi, per la Serbia e per Rovati: nonesserci, non andare in Parlamento, non discutere. In ognicaso, non sapere. Non sapere mai. Allora riuscì a non met-tere piede in commissione, quel caldo giovedì gli è toccatoparlare, ma in tutti e due i casi non ha voluto dire niente.“Si concluderà allo stesso modo di Telekom Serbia”. Inquel caso si trattò di un pericoloso scandalo politico edeconomico. Si era nel 1997, Prodi era presidente del Con-siglio, e la Telecom Italia, anche allora presieduta da GuidoRossi (il tempo deve essersi fermato!), era controllata dalministero del tesoro, era una società privata, quotata inBorsa, ma non di meno era sotto il controllo statale, quindigovernativo. Ecco, fu quel tipo di società ad andare a rega-lare una montagna di quattrini ad un nemico della civiltà,ad un genocida, ad un dittatore di nome Slobodan Milose-vic. Pochi mesi dopo i bombardieri italiani, assieme a quel-li della Nato, si levavano in volo per andare a distruggerlo:lui, il suo regime, e gli impianti telefonici che gli italianiavevano appena finito di pagare. Furono Prodi e Dini (allo-ra ministro degli Esteri) a farci fare questa prodezza, furo-no loro a governare in modo da rendere possibile il soste-gno ad un cotale galantuomo. Al loro seguito c’era il soli-to, ignaro e frastornato Fassino, allora sottosegretario agliesteri che, messo alle strette dal suo stesso segretario, con-

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fermò che di tutto era, naturalmente, informato il ministro.E come poteva essere diversamente, visto che il nostroambasciatore non faceva che mandare dispacci e telegram-mi per cercare di evitare un simile dissennato affare?

Eppure l’Italia consegnò quei soldi, in modo a dir pocorocambolesco, al nemico. Fu giusta la scelta del governoD’Alema (succeduto a Prodi), fu giusto affiancarsi allaNato e porre fine alla carneficina, fu giusto deporre Milo-sevic. Ma se tutto questo fu giusto, e lo fu, allora fu sba-gliatissimo imbottirlo di quattrini, che erano per la granparte del contribuente, dei cittadini italiani, di quegli stessiche, sempre con le loro tasse, finanziavano la spedizionedei bombardieri. Eravamo per aria a sganciare ed a terra aricevere. Cos’è, questo, se non uno scandalo politico?

Poi c’era il lato economico, secondario, a questo punto,me ne rendo conto, quasi trascurabile, ma pur sempre indi-cativo. Ad amministrare la Telecom Italia, allora, c’eraTommaso Tomasi di Vignano. Biagio Agnes ed ErnestoPascale erano stati cacciati via, in malo modo, perché espo-nenti di quella genia che fu denominata “boiardi di Stato”.E qui faccio una digressione, del tutto pertinente con iltema di questo libro, come del suo genitore.

I “boiardi di Stato” erano i managers,forse è meglio dire i dirigenti d’impresa,chiamati ad amministrare quelle società cherientravano nell’ambito delle partecipazionistatali. Società che agivano nel mercato,che erano regolate dal normale diritto, mache avevano un proprietario particolare,ovvero una finanziaria che faceva capo all’Iri, quindi alcapitale pubblico, dello Stato. Erano “partecipate dalloStato”, quindi partecipazioni statali.

Lo Stato, com’è del tutto ovvio e normale, non lo siamministra per concorso, ma per via politica, per successoelettorale, per capacità di aggregare maggioranze parla-mentari. Capitava così che quelle società, cui si doveva lagran parte della ricostruzione post bellica e del boom eco-

I boiardi,esponenti di unpassato che nondeve tornare,ma cui si devela grandeTelecom Italia

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nomico, erano sempre più popolate da dirignti che impie-gavano parte del loro tempo, tanto o poco a seconda deicasi, nel tenere i rapporti con le forze cui dovevano lanomina, le forze politiche. Era normale, ripeto, ma non erabello. A questo s’aggiunga che la progressiva integrazioneeuropea, la necessità di competere su mercati mondiali,rendeva anacronistica la scelta di alcuni uomini. Talunierano dei ruderi folkloristici, avanzi di sindacato, rottamiministeriali di cui s’impediva il definitivo smaltimento par-cheggiandoli, appunto, nelle partecipazioni statali. Ero gio-vane, allora, e tutto questo mi dava il voltastomaco. Ades-so ho qualche hanno in più, ma continua a darmi il volta-stomaco (già, perché non è mica finita). Ero allora e sonooggi favorevole alle privatizzazioni, a che il managementsia scelto per capacità professionale e non per cuginanzapartitica. Non ho cambiato idea.

Ma pensarla in questo modo non impedisce affatto, anzi,di riconoscere a quel gruppo di uomini di avere dato vita adun’azienda magnifica, ad una grande multinazionale italia-na delle telecomunicazioni. Vorrei fare molti nomi, ma nonvoglio cadere nella retorica degli scomparsi e nella ruffia-neria verso i viventi, uno, però, lasciatemelo: FrancescoSilvano. L’assoluta onestà coniugata con la più profondacompetenza. Ce ne fosse stato mezzo, nel proseguio chevedremo, ad amministrare quella Telecom Italia che avevacontribuito in modo determinante a creare.

Torniamo a noi. I “boiardi” li madaronovia, ma Tomasi di Vignano se lo tennero.Scelta più che legittima, ma non certo dovu-ta alla competenza internazionale che non

aveva. Fatto è che proprio lui tratta l’acquisto di una quota inTelekom Serbia, ed i numeri sono questi: nel 1997 TelecomItalia paga 878 miliardi di lire, cinque anni dopo rivende a378 miliardi. 500 se ne sono andati, senza contabilizzarealtre spese e cinque anni persi a far niente. Un capolavoro.

Ma Tomasi di Vignano è un boiardo sui generis, pertan-to, dopo questa brillantissima performance, e dopo l’indi-

500 miliardipersi nelle tasche

di un nemico

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menticabile numero sull’inesistente socio estero che avreb-be dovuto comperare una quota di Telecom Italia (c’è tuttone “Il grande intrigo”), passa dalle partecipazioni statali aquelle comunali, con particolare dedizione a quelle deicomuni amministrati dalla sinistra che era al governo inquel fatale 1997, dove, in effetti, ancora oggi si trova.Splendido, non vi pare? Sarà il frutto dell’amicizia, saràquello della riconoscenza, sarà una fino a quel puntorepressa vocazione, ma, insomma, il nostro fu boiardo con-tinua una, evidentemente, meritata carriera.

Ecco, questa fu Telekom Serbia. Avrete notato che nonho parlato di tangenti, né intendo parlarne. Le tangenti sonoun reato penale, occorre non solo che un pubblico ministe-ro le scopra e persegua, ma che la giustizia faccia il suocorso, che si stabilisca quali esattamente sono le responsa-bilità personali di ciascuno, e fino a quando non ci sia unasentenza definitiva che attesti il contrario, tutti hanno dirit-to alla presunzione d’innocenza. Questa si chiama civiltà,ed è stata calpestata già da un plotone di magistrati, di gior-nalisti servili e di vigliacchi addetti alle vettovaglie. Non honessunissima intenzione d’accodarmi. Ma gli scandali nonci sono solo dove ci sono le tangenti, ed in qualche caso,come in questo di Telekom Serbia, la loro eventuale esi-stenza è del tutto accessoria e secondaria. Qui lo scandaloè rappresentato dall’avere finanziato un uomo ed un gover-no nemici, di averlo fatto con un’azienda sulla quale esi-steva un dovere di vigilanza governativa, e di avere cosìbruciato denaro che non era privato.

Dice Prodi “va a finire come Telekom Serbia”. Lì rima-si gelato, al punto da non riuscire a godere la successivascenetta petroliniana. Lì decisi che “Il grande intrigo”, alquale rimando come necessario antefatto di quel che qui siracconta, avrebbe avuto un seguito.

Nel corso del dibattito parlamentare cheseguì, ed anche fuori da quelle Aule, moltiesponenti dell’opposizione lamentaronoche se quello che aveva fatto Prodi lo aves-

E molti dissero,a sproposito,“selo avesse fattoBerlusconi...”

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Disse Prodi: va a finire come Telekom Serbia

se fatto Berlusconi sarebbe venuto giù il mondo e le prote-ste si sarebbero sentite in cielo. Non ho capito, però, a chirivolgevano una simile argomentazione.

Se l’opposizione non è capace di mettere in luce l’esat-to contorno degli errori politici commessi da chi governa,se non è capace di renderne comprensibile a tutti la gravi-tà, di trasmettere indignazione, di sollecitare ribellione, conchi se la deve prendere, se non con se stessa? Certo, sequelle cose le avesse fatte Berlusconi ci sarebbero statiintellettuali e capi azienda, politici e padri nobili che avreb-bero soffiato nel corno della protesta, che avrebbero inqua-drato quel malcostume nella più generale depravazione delgoverno, che avrebbero parlato il linguaggio della banalitàperché a nessuno sfuggisse lo spessore della malefatta. Equesto si chiama far politica. Se il centro destra non ne ècapace se pensa d’impietosire qualcuno additando la diffe-renza di trattamento, così facendo approfondisce e rimarcail sentirsi culturalmente e politicamente inferiore.

Adesso torno ad occuparmi di Telecom Italia, ma le coseche ho raccontato e che racconterò hanno avuto poco peso,nella battaglia politica e culturale, come in quella civile,proprio perché non c’è pubblico, non c’è appoggio, non c’èlegittimità se la critica è portata non dalla, ma alla sinistra.Io vado avanti, ma i lamentosi sappiano che la responsabi-lità è loro.

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Contro l’interesse nazionale, dilapidando il patrimonio degli italiani

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el 1997 era stato il governo Prodi, dopo l’acquistodi una partecipazione suicida in Telekom Serbia, a“privatizzare”, in realtà a vendere il controllo diTelecom Italia. Fu un’operazione condotta inmodo pessimo, con il desiderio di fare cassa esenza alcuna attenzione al mercato delle teleco-

municazioni.Quale era, allora, l’interesse nazionale? Avevamo inte-

resse a che l’ex monopolista fosse spinto a praticare tariffeorientate ai costi, portando ai clienti un servizio la cui qua-lità doveva essere garantita, ma il cui prezzo doveva pro-gressivamente scendere. Ed avevamo interesse a far cre-scere altri operatori nazionali, altri imprenditori italianimessi in condizione di farsi le ossa ed imparare a compete-re in un mercato che si espandeva nel mondo. L’interessenazionale, dunque, spingeva nella direzione della privatiz-zazione, ma da condursi in parallelo, e semmai successiva-mente, ad una deregolamentazione del mercato ed alla suaapertura alla concorrenza. Per far cassa si praticò la viaopposta, privatizzando un monopolio. Che sia stata la sini-stra a fare una cosa simile, dimostra, al di là di ogni ragio-nevole dubbio, che il termine non ha alcun significato.

Non solo si privatizzò un monopolio, ma successiva-mente si continuò a proteggerlo. Che i liberali del centrodestra non siano fra quanti lo abbiano con forza denuncia-

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Contro l’interesse nazionale, dilapidando il patrimonio degli italiani

to, dimostra che l’intera terminologia è pronta per la nafta-lina. Lo si protesse in ogni modo, ritardando fin dove pos-sibile l’applicazione nel mercato interno delle direttivecomunitarie. Al contempo, però, si millantavano le obbli-gazioni che dalla Comunità ci venivano come favolosepolitiche di liberalizzazione, applauditi dal folto codazzo dipresunti esperti a reale contratto.

In quel momento, con quell’impostazione, si posero lebasi della successiva distruzione di Telecom Italia e, cosaforse ancor più grave, dell’asfittico panorama dei concor-renti. Il che portò anche al togliere ossigeno a quelle azien-de italiane che avrebbero ed hanno da dire molto, nelmondo, a proposito di servizi a valore aggiunto, e che,invece, furono lasciate in una condizione di sudditanzadimensionale rispetto all’ex monopolista, finendo con ilcostringere tutti a vivere di quella rendita anziché combat-tere su mercati aperti. Sono queste le ragioni per cui nessu-no è realmente in grado di valutare il danno che, con quel-le scelte, si arrecò all’Italia.

Per non parlare del colpo micidiale alla credibilità delgoverno (inteso come istituzione). Le azioni di Telecom Ita-lia, infatti, furono vendute, ai piccoli risparmiatori ed agliinvestitori istituzionali, accompagnandole con tre precisiimpegni: a. Telecom Italia sarà un public company; b. nes-suno potrà mai controllare, direttamente od in accordo conaltri, più del 3 per cento; c. la nuova compagine societariapartirà avendo all’interno un socio straniero. Questi tre impe-gni erano fortificati da due garanzie: 1. lo Stato restava ilprincipale azionista; 2. deteneva una golden share che sareb-be stata utilizzata, senza che questo avrebbe potuto suscitaredubbi di legittimità, per mantenere quei tre impegni.

Ecco, tutto questo è divenuto carta straccia, parole dacattivo e mendace mercante. Non uno solo degli impegni èstato rispettato, non una delle garanzie è stata fatta valere.Fosse stato un privato sarebbe stato chiamato in giudizio, asentirsi condannare per violazione di norme contrattuali.Era lo Stato, ed il giudizio non può che essere severo.

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Demolita la credibilità, restavano i soldi.Leggetele, le cifre. Nel 1997 lo Stato ven-dette il controllo di Telecom Italia incassan-do 11.82 miliardi di euro, quattro anni dopol’Enel, società dello Stato, decide di entrarenel mercato delle telecomunicazioni acqui-

stando un concorrente di Telecom, Infostrada, per 11miliardi di euro (ne pagherà meno, ma solo grazie alla len-tezza con cui l’affare fu definito). Si vende un colosso e sitenta di comperare un nano, per una differenza di 820milioni! Ed i soldi, non dimenticatelo, sono dei cittadini,perché stiamo parlando di quote e società pubbliche. Chia-ro? Ancora un dato, Cos’era l’Infostrada che Enel acquista-va? Era una società di Olivetti, che aveva nella pancia larete di telecomunicazioni delle Ferrovie dello Stato (sem-pre soldi pubblici). Quella rete era stata venduta ad Olivet-ti, nel miracoloso 1997, per 700 miliardi di lire, pagabili inquattordici anni. L’anno successivo, quando ancora le rateerano tutte da pagarsi, Olivetti rivendette Infostrada allatedesca Mannesman, per 14 mila miliardi di lire, da pagar-si immediatamente.

Rileggete il periodo precedente, riflettete sulle cifre.Non ci vuole né il master né la laurea, è più che sufficienteil normale buon senso per accorgersi dell’evidenza: fu unimmane salasso di soldi pubblici, trasferiti nelle tasche dipochi privati. Eccovela, la mitica stagione delle privatizza-zioni. Guardatela, ammiratela, cercate di capirla, perché èrincitrullendo il pubblico con linguaggi iniziatici che ilmagheggio è avvenuto. In quel momento siamo diventatitutti più poveri, ci siamo tenuti il debito pubblico, maabbiamo dato via una fetta succosa di patrimonio pubblico.Di che altro dovrebbe mai essere accusata, una classe poli-tica?

Leggete le cifre della

privatizzazione,pochi numeri

che raccontanol’incredibile

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a storia successiva l’ho già raccontata, non trovogiusto, né opportuno, ridurla in pillole. Ci sonomolte cose che è importante i lettori sappiano, erimando ancora a “Il grande intrigo”.

Qui c’interessano i passaggi di proprietà. Il 19febbraio del 1999 nessuno aveva lanciato un’Opa

su Telecom Italia. Quel giorno, però, il presidente del Con-siglio, Massimo D’Alema esprimeva “apprezzamento per ilcoraggio di un gruppo di persone, imprenditori e manager,che vogliono conquistare e gestire una grande aziendacome Telecom Italia”. Altro che il tandem Prodi-Rovati,altro che un piano che si tenta d’imporre ad un finanziere,qui siamo al capo del governo che anticipa e sponsorizzauna scalata condotta su una società il cui principale azioni-sta è lo Stato ed il cui amministratore delegato, insediatodallo Stato stesso, fermamente vi s’oppone. D’Alema siprestò, in quel momento, a fare da addetto stampa degliscalatori, con l’aggravante, però, che la scalata formalmen-te non esisteva. Anche qui, fermatevi, pensateci, sono cosepazzesche, per le quali si finisce sotto processo, o, quantomeno, si consegnano immediatamente le dimissioni inquasi ogni pizzo del mondo civilizzato.

E D’Alema non era il solo. Precedentemente era stato ilministro della giustizia, Piero Fassino, a telefonare, nelnovembre 1998, a Carlo De Benedetti (suggerimento: toglie-

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te il telefono a Fassino) per chiedergli notizie di una possibi-le scalata a Telecom. Neanche sospettava, il signor ministro,che quelle sono informazioni sensibili, che o si danno al mer-cato o non esistono, che l’esserne in possesso significa espor-si ad una serie di rilevanti reati, che, in ogni caso, la figura diun ministro che cerca anticipazioni sui movimenti di Borsa èda considerarsi abbondantemente oltre i limiti del diritto.

Fatto è che l’Opa viene ufficialmentelanciata il 21 febbraio 1999. Con due signi-ficative caratteristiche: era illegittima, per-ché subordinata alla vendita di Omnitel; edaveva come protagoniste delle società lus-semburghesi, la cui proprietà si perdeva asua volta nelle Caiman Island, dal che deri-va la totale oscurità del nuovo proprietario.

La prima cosa venne prontamente sanata dal governoD’Alema, e dall’attivo ministro Cardinale, che in quattro equattro otto (è un modo di dire, non una quantità) consentìla vendita della società ai tedeschi. Ed un pezzo del nostrosistema se ne và, fate ciao ciao con la manina ed usatela, lamanina, quando qualcuno tenta di prendervi per i fondelliblaterando di “italianità”.

La seconda cosa non può essere rimediata, perché è con-naturata a quell’operazione. Ma è regolare? La risposta è:no. Non è regolare perché se le autorità non sono del tuttocerte su quale e chi sia la proprietà mi dite come fanno a farvalere le regole antitrust? Se non so chi è il proprietario midite come si fa a controllare eventuali spostamenti anoma-li di azioni, come faccio a sapere se a comperare o vendereè la proprietà, dato che per me la proprietà sta nell’oscurapancia di un coccodrillo? Tutte domande più che legittime,specie perché il 30 marzo 1999, nel mentre l’Opa è incorso, cioè nel mentre si dice al mercato di volere compe-rare, l’Olivetti di Colaninno viene beccata a vendere azioniTelecom Italia. Con l’aggravante, decisiva, che il valore diquelle azioni si stava pericolosamente avvicinando a quel-lo dell’offerta d’acquisto e, pertanto, era interesse del

Il governoD’Alema fu sponsor,consulente ed aiutante in campo degli scalatori

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potenziale compratore deprimerne il prezzo. In giro per ilmondo questo somiglia ad un reato, in ogni caso l’autoritàdi Borsa interviene, sospende l’Opa, e comincia a chiederetutte quelle cose che si era dimenticata di chiarire.

Invece, da noi, il presidente della Consob, professorLuigi Spaventa, già parlamentare eletto nel partito del pre-sidente del Consiglio, quindi dello sponsor della scalata, efuturo membro di un consiglio di amministrazione di unamunicipalizzata romana, sempre giunta di sinistra, siaccontenta delle scuse. Ho sbagliato, disse Colaninno, nonlo faccio più. Va bene, rispose Spaventa, fai il bravino edandiamo avanti. Vi è chiaro come andarono le cose? Edanche se il diritto societario non è il vostro forte, la sensa-zione che provate è del tutto ben fondata: quella roba erainteramente irregolare.

Per far vincere gli scalatori era necessario un ultimosforzo, si doveva impedire che il tesoro e la Banca d’Italiaprendessero parte all’Assemblea straordinaria con la qualel’amministratore delegato, Franco Bernabé, intendeva rea-gire e difendersi. La partecipazione di quelle quote, si badi,non era facoltativa, non era un modo per occupare il tempo,ma era resa moralmente obbligatoria perché si dovevamantenere fede ai due residui impegni presi al momentodella “privatizzazione” (ovvero tutelare la public company,perché il socio estero si era già scoperto come una bufala).Provvide Il presidente del Consiglio, chiedendo ad AntonioFazio di astenersi ed imponendo analoga condotta ad unriottoso, ma cedevole Carlo Azelio Ciampi. Di lì a qualcheora la sua integerrima fermezza sedette al Quirinale.

Ora è fatta, l’Opa vince la partita, Tele-com Italia finisce nelle mani di ... di chi nonlo sapremo mai. Il che provoca conseguen-ze d’assoluta attualità giudiziaria. Ci arrivo.

Durante la gestione Colaninno ne succe-dono di tutti i colori e, a volere essere bene-

voli, fino al punto di diventare sdolcinati, capita che unfiume di quattrini sparisce all’estero. In Brasile si compe-

Dall’Opa di Colaninnoinizia la fine

di una grandemultinazionale:

Telecom Italia

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rano cose che non esistono o si tenta di pagarle il più pos-sibile. Naturalmente è possibile, in via probabilistica, chetutti i cretini si siano dati appuntamento in Telecom Italia ead essi siano stati affidati gli affari esteri. Ma benché pos-sibile, a me sembra eccessivo. In generale, se vedo una per-sona gettare quattrini dalla finestra mi viene istintivo guar-dare sotto per accertarmi se non ci sia qualcuno a racco-glierli. Istinto che ebbi solo io, però, perché agli altri sem-brò tutto normale, forse anche ammirevole. Mi misi a guar-dare dentro le cose brasiliane, conquistandomi così unposto fra gli spiati da Telecom Italia, fra quelli da radiogra-fare per capire come fermarli. Ne parliamo più avanti.

Fatto è, comunque, che quando Tronchetti Provera giun-se in Telecom Italia dovette fare, più che correttamente, 13miliardi di euro di abbattimenti patrimoniali. Tradotto inaltre parole: c’erano 13 miliardi di cose, a bilancio, che nonvalevano un centesimo. E quella era una società quotata inBorsa. 13 miliardi non sono proprio bruscolini, hanno unastretta parentela con 25 mila miliardi di lire italiane. Se unbilancio è tarocco per quell’ammontare, normalmente, gliamministratori si rivolgono alla giustizia affinché si appurise vi sono delle responsabilità. Quanto meno per non dove-re essere loro, i nuovi amministratori, a risponderne. Inve-ce niente, tutto tacque.

Su quella realtà non si aprirono gli occhi neanche dopo gliscandali Cirio e Parmalat. In tutti e due i casi le aziende ave-vano utilizzato gli affari brasiliani per fare sparire ricchezzeimmense, naturalmente in barba ai risparmiatori. In tutti edue i casi si trattava di aziende sostanzialmente sane, con-dotte alla rovina dalla bramosia di giocare con i soldi, farlisparire, o magari ripulirli. Ed in tutti e tre i casi, quindi com-presa Telecom Italia, a guidare le operazioni, ufficialmenteinquadrata, si trova la stessa persona, lo stesso soggetto chepresta servizio in Cirio, in Parmalat ed in Telecom, semprenella stessa area. Incredibile? Ma vero. Lo scrissi, lo docu-mentai, ma non si mosse una foglia. Un giorno, per fare chia-rezza, manderemo gli archeologi, anziché gli inquirenti.

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Tronchetti Provera compera all’estero e Gnutti paga Consorte e Sacchetti

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uidando Telecom Italia Roberto Colaninno se neera innamorato. La mattina si svegliava avendolaaccanto, e nei suoi occhi vedeva agitarsi il grande etumultuoso mare del potere. Chicco Gnutti nonbadava, invece, a sentimentalismi. Si rendevaconto che quell’avventura, travolgente ed appassio-

nante, cominciava a presentare qualche rischio. Il potere haa che vedere con il cuore, i soldi ne sono la carne. I due amicie sodali cominciarono a trovarsi su strade diverse.

Vinse Gnutti, anche perché trovò in Marco TronchettiProvera l’uomo non solo disposto, ma desideroso d’averefra le braccia un simile affare. Colaninno oppose tutta laresistenza che poté, ma l’altro la spuntò perché non soloriuscì a vendere ciascuna azione a 4,175 euro, mentre ilmercato le valutava 2,25, ma fu anche capace di spuntarecondizioni che avrebbero reso magico il profitto da mette-re in tasca. Si badi ad un solo dato: l’accordo fra Gnutti eTronchetti Provera fu chiuso la notte del 29 luglio 2001, mail passaggio effettivo delle azioni era fissato per il 2 agosto,nel frattempo i pacchetti cominciarono un lungo giro, pas-sando da una mano all’altra delle stesse persone, in mododa depositare i profitti nei posti più lontani dagli occhi delfisco e di ogni altro impiccione. Fu un lavoro fatto talmen-te bene che solo anni dopo, e del tutto accidentalmente, siseppe che ben 50 milioni erano finiti a due dirigenti Unipol,

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Consorte e Sacchetti, quale pagamento di una presunta eper il vero assai inverosimile consulenza (il che risulta nondagli atti d’indagine compiuti dal pm, che richiederebberol’attesa di un giudizio, ma dalle dichiarazioni dei due inte-ressati).

Al momento dell’acquisto TronchettiProvera utilizzò una società di transito, laKallithea, che pagò all’estero a beneficiodella lussemburghese Bell, che era di Gnut-ti. Dal momento in cui i soldi finiscononella cassa della Bell, nessuno sa più chefine hanno fatto, chi abbia effettivamenteincassato quanto. Certo, sono state rimbor-sate le banche statunitensi che avevano prestato i soldi, ma,per il resto, il buio regna sovrano.

Avendo scoperto che, nel buio, 50 milioni presero unadirezione che nessuno avrebbe neanche sospettato, credoche sia umana una certa curiosità: e gli altri soldi? C’è qual-che autorità che si sia mai premurata di chiedere: scusate,voi che pagaste e voi che incassaste, avreste la cortesia difarci sapere che destinazione hanno preso quei soldi, tuttiquei soldi? Una volta Gherardo Colombo, magistrato conun animo di sinistra e componente il pool Mani Pulite diMilano, sostenne che tutto quello che non viene accertatofinisce con l’alimentare il ricatto. Ma, evidentemente, nonlo si considera vero in tutti i casi e, comunque, questa inte-ressante cosa nessuno ha voluto accertarla.

Consorte e Sacchetti dicono di essere stati pagati per unaconsulenza resa nel corso delle trattative per la vendita. Maquelle trattative durarono poche settimane, forse pochi gior-ni, l’interesse di ciascuna parte era evidente, trasparenza suiconti della società non ce ne fu, il venditore era lussembur-ghese ed il compratore lo sapeva e lo accettava, cribbio, e suche cavolo l’hanno fatta una consulenza da 50 milioni?Manco avessero lavorato solo loro ed avessero preparatouna quadro dettagliato e severo di tutti i conti Telecom Ita-lia. Niente, non c’è manco un pizzino scritto, niente.

Una montagnadi soldi sparisceall’estero, ma nessunosembraincuriosito dal sapere dove e verso chi

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Consorte e Sacchetti erano due dirigenti della compa-gnia d’assicurazione che fa capo alla Lega delle Cooperati-ve, la quale faceva capo al Partito Comunista Italiano, ilquale sopravvive con i medesimi dirigenti di sempre (tran-ne i morti), sebbene sotto diverso nome. Le indagini che liriguardano seguono la strada della giustizia, il che signifi-ca che non succede niente. Auguro loro di essere assolti, e,con ancor più calore, auguro loro di esserlo in giudizio,senza la beffa di una prescrizione che difenda la procuradall’obbligo di sostenere l’accusa. Ma la politica non è unprocesso penale, noi non siamo proprio del tutto cretini, equesta storia puzza da lontano. In mancanza di una spiega-zione almeno apparentemente credibile, a me rimane ilsospetto che quei soldi (e solo quelli?) furono il corrispet-tivo di qualcosa che con le consulenze aziendali non hanulla a che vedere.

Consorte e Sacchetti, del resto, finirono nell’occhio delciclone, ed in quello delle indagini, essendosi mischiati adelle scalate bancarie, nell’estate che passerà alla cronacacome quella dei “furbetti del quartierino” (definizione perla quale Stefano Ricucci meriterebbe i diritti d’autore,destinata a segnalare che lui si era accorto di quanto scioc-ca ed inconsistente fosse la difesa formale che i banchieriavevano approntato per mascherare il concerto della scala-ta, il che vada a suo merito). Le indagini sulla scalata eranopartite da un esposto, presentato alla Procura di Milano, daGuido Rossi, che si era anche premurato di far sapere all’u-niverso mondo di essere molto amico e quasi consiglieredel sostituto procuratore Greco, incaricato delle indagini.Rossi era stato, con merito e ragione, critico severissimodell’operato di D’Alema nel corso della scalata Colaninno.Ora che l’indagine si avvicinava a Consorte e Sacchettipoteva anche sembrare, a qualche malpensante, che lo stes-so amante della vela avesse di che temere. Non che abbiamai fatto nulla di male, ci mancherebbe, ma è un fatto chequei due cooperatori sono membri della sua famiglia, poli-ticamente parlando.

Insomma, una bella sera il buon D’Alema (dicono i suoi

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amici: mangiandosi il fegato) si autoinvita a casa di Rossi,per una cena che sarà stata deliziosa, ma che il professoreaccompagnò con il più urticante dei condimenti. Difatti, ilgiorno dopo, casualmente parlando con un giornalista,disse di essere contento del chiarimento, ed in particolaredel fatto che D’Alema si fosse pentito di quel che avevafatto al tempo dell’assalto alla Telecom, portato dai capita-ni coraggiosi.

Siete cuori teneri, so che vi siete già commossi alladescrizione di un simile quadretto deamicisiano. Asciugatela lacrimuccia e pensate a quel che segue: da quel momen-to le indagini proseguono (se proseguono) nel più assolutoriserbo, e nessuno ne sa più niente. Un tempo ci si pentivain parrocchia, ora senza neanche osservare il digiuno.

Quando, cinque anni dopo, TronchettiProvera è giunto al capolinea, in moltihanno riscoperto quel che scriviamo da annie ne hanno dedotto che l’origine del suo dis-astro sta in quell’estate del 2001, quandopagò troppo le azioni, praticamente il dop-pio del valore di mercato. Grazie per lariscoperta, ma la deduzione è sbagliata: nonfurono pagate troppo.

Furono pagate male, furono pagate all’estero, furonopagate a società nebbiose (e non erano certo colpe di Tron-chetti Provera, ma di chi aveva reso possibile una robasimile), ma non troppo. Grazie a Chicco Gnutti, preziosa-mente assistito dai compagni assicuratori, Tronchetti Pro-vera risparmiò un sacco di soldi perché nel pacchetto cheacquistava era compreso il dominio su tre società quotate inBorsa: Olivetti, Telecom Italia e Telecom Italia Mobile. Senon avesse trovato il gatto, la volpe e due aiutanti gli sareb-be toccato lanciare un’opa, come s’usa fare nel mondo civi-lizzato, portando a ciascun azionista il vantaggio offerto algruppetto di privilegiati, facendoci una figura di gran lungamigliore, ma dovendo pagare molto, ma molto di più.Accedendo all’offerta del finanziere bresciano, invece,

Pagandoall’estero e pagando il doppioTronchettiProverarisparmiò isoldi necessariper unadoverosa opa

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mise le mani su tutto comperando solo un pezzettino. Nonlo pagò affatto troppo, perché il contenuto del pacchettonon era solo la somma delle azioni, ma quella più il potere.Che fa la differenza.

Tanto è vero che, da quel momento, Tronchetti Proveranominò se stesso capo di tutto, scelse i sottoposti, fuse le tresocietà in due tempi diversi, insomma, la fece da padroneassoluto. Ma a chi gli rivolgeva la troppo sciocca domanda:è lei, è Camfin, è Pirelli che detenete il controllo di Tele-com Italia? Rispondeva serafico: no. Chiunque gli avrebberibattuto: ma va là. La Consob, invece, fece finta di berla e,cosa incredibile ma vera, non scattò mai l’obbligo di con-solidare. Fosse scattato, le cose sarebbero andate diversa-mente. Siccome non scattava, già nel 2004 potevo permet-termi di scrivere che questa storia sarebbe finita male. Emale è finita, con gran sorpresa degli allocchi veri e diquelli finti.

La scommessa di Tronchetti Provera eraquella di riuscire dove Gnutti temeva cheColaninno non sarebbe riuscito, ovveronella gestione del debito, colossale, accu-mulato al momento della scalata. Il ragio-niere mantovano ci aveva provato, ma ognivolta che proponeva una delle sue trovate

(come la fusione con Tim od il suo trasloco sotto diversaproprietà) il mercato lo bastonava duramente. TronchettiProvera, invece, era blasonato, ben voluto, ed avrebbesaputo vendere meglio alcune operazioni.

Quando promosse la fusione fra Olivetti e Telecom Ita-lia, in effetti, non faceva che portare una parte dei debitidentro la società operativa, ma riuscì a far scrivere a tuttiche si trattava di una sana operazione, destinata ad accor-ciare la catena del controllo. Ma tale catena stava a montedi Olimpia, non a valle. Con quella fusione non si cambia-va il guinzaglio, ma il cane.

Poi riuscì a far digerire la fusione per incorporazione diTim in Telecom, che serviva a portare la cassa il più vicino

TronchettiProvera

scommise di riuscire dove

Colaninno eGnutti avevano

fallito, e perse

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possibile ai debiti, facendo scrivere a tutti che si varava unanuova strategia d’integrazione fra il fisso ed il mobile,mentre quella roba si sarebbe potuta fare comunque (e,comunque, non la si fece), anche senza fusione, perché Timera saldamente controllata da Telecom. Insomma, è effetti-vamente riuscito ad eseguire una discreta serie di giochisocietari senza che il mercato (ed il giornalismo) reagissecon la suscettibilità di un tempo. E, del resto, qualcosa purvale essere l’azionista del Corriere della Sera ed il vice-presidente di Confindustria, editore de Il Sole 24 Ore !

Ma prima di arrivare alla fine dei giochi, ancora un’an-notazione su quel che lo prepara. Una volta in sella a Tele-com, il nuovo management si accorge che i conti sonotaroccati, che sono necessari quegli abbattimenti patrimo-niali per 13 miliardi, che abbiamo già visto. Allora Tron-chetti Provera chiama Gnutti e gli dice: mi avete fregato,ora fammi uno sconto. Quello non ci pensa nemmeno, magli fa un prestito, che poi diviene una partecipazione azio-naria in Olimpia. Il buon Chicco, che se ne voleva andareda Telecom, torna sul ponte di comando. Mentre Colanin-no, che voleva restare, oramai viaggia lontano, sui motori-ni. Così è la vita.

Quando, nell’estate del 2005, la buriana giudiziaria tra-volge Gnutti, Consorte e Sacchetti, un non coraggiosissimoTronchetti Provera si mette a straparlare di personaggi dis-cutibili, di persone con cui la politica amava avere a chefare e che, invece, sarebbe bene non frequentare. Ma uno èun suo socio e tutti e tre quelli che gli hanno venduto Tele-com Italia! Doveva dircelo lui, che era meglio starne allalarga. Allora si rende conto di averla sparata grossa edaggiunge: con Gnutti abbiamo chiuso, avrà i suoi soldi eduscirà dalla proprietà. Ed è quello il punto: chi ha i soldi darestituirgli, come si fa a pagare Gnutti e, contemporanea-mente le due banche che, entro l’ottobre del 2006 hanno ildiritto di andarsene chiedendo anche loro i soldi indietro?

È finita, i conti non tornano più e lo sanno tutti. Per quel-li che proprio sono duri di comprendonio provvede la pub-blicazione (mai sufficientemente esecrata) delle intercetta-

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zioni telefoniche fra Ricucci e Gnutti: uno si lamenta diTronchetti Provera, l’altro lo avverte che fra poco abbasse-rà la cresta. Oramai il treno corre verso il burrone, anche sei giornali e la politica si occupano della lite fra chi vuole ilposto vicino al finestrino, da dove si gode meglio il pano-rama.

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e indagini della procura della Repubblica di Milanohanno portato alla luce una specie di struttura spio-nistica alimentata con i soldi della Telecom Italia edella Pirelli. Alcune persone sono state tratte in arre-sto e per loro, come per tutti gli indagati, vale la pre-sunzione d’innocenza. Sul tema ho convinzioni e

conoscenze personali che non nutro timore ad esporre.Un segnale preoccupante giunse nel 2003, e non era

affatto riservato, ma totalmente pubblico. Fino a quelmomento le intercettazioni telefoniche venivano chieste dalpubblico ministero, disposte dal giudice e, per l’esecuzionemateriale, trasmesse all’ufficio legale della Telecom Italia,che provvedeva ad attivare il meccanismo interno. Nel2003 cambia musica e nasce in Telecom, sotto la direzionedi Giuliano Tavaroli, il Cnag, stabilendosi che tutte le atti-vità di servizio all’autorità giudiziaria sono centralizzate inun solo punto, sottratto alla competenza dell’ufficio legale.Fecero anche una pubblica presentazione ed il responsabi-le, ex carabiniere, si fece fotografare in compunta posamarziale. Solo che non era affatto tranquillizzante l’ideache la Telecom avesse messo su un’organizzazione di quelgenere, sebbene all’ufficiale servizio della magistratura, eche ne fosse responsabile un uomo di personale e direttafiducia del presidente – proprietario, Marco Tronchetti Pro-vera. Non lo era affatto.

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Le solite indiscrezioni sulle indagini raccontano di cen-tinaia di fascicoli, forse migliaia, con persone schedatesulle quali sono state raccolte informazioni le più diverse,talune pedinate. Una robaccia, perché non solo si tratta direati, ma del tipo che sembra prepararne altri, ancor piùgravi.

La mattina di sabato 23 settembre apro i giornali e sco-pro di essere fra quelli cui gli uomini di Tavaroli hannodedicato le loro attenzioni. Uno di loro ha dichiarato aimagistrati che mi spiavano perché ritenevano che stessiscrivendo un libro ispirato dai loro avversari brasiliani. Lostesso fa sapere che, sempre per spiarmi, ha inviato 400mila euro ad un apposito spione, il quale si sarebbe valsodelle confidenze di un ex sindacalista Alitalia “molto intro-dotto nel mondo romano”. La mia prima sensazione è chesi tratti di una storia da film intitolato “Totò spione”.

Il contesto è ridicolo, la supposizione iniziale di uninfantilismo disarmante. Certo, c’è qualcuno che, grazie alraggiro, ha intascato un bel po’ di soldi. Ad averlo saputogli avrei anche dato una mano, fornendo foto fin dal tempodelle scuole elementari. Ma, in generale, c’è poco da ride-re, perché in questo melmoso scandagliare si avverte subi-to la più intensa delle puzze. Quindi provo a ricordare.

Il libro a causa del quale sono stato spia-to dagli omini della Telecom Italia, ed inse-rito nel loro prezioso “archivio Zeta”, èRazza Corsara, edito da Rubbettino nel2004, e poi divenuto Il Grande Intrigo, chei lettori di Libero possono, dal luglio scor-so, comodamente comprare al costo di treeuro. Una volta compratolo possono legger-lo, ed alla fine ne sapranno assai di più di quelli che hannospeso almeno 400 mila soldoni per farsi gli affari miei.Dicono di avermi “radiografato”, commettendo un reato. Iodi loro mi sono occupato in modo aperto, citando nomi ecognomi, anche delle fonti, e non sono stati in grado dismentire una sola parola di quelle che ho scritto. Proprio

Che stranoessere spiati per quello cheera pubblicato,si trovava in libreria e si trova ora in edicola

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per questo trovavo, e trovo ancora, singolare che i fatti nar-rati non siano finiti prima all’accurata attenzione delleautorità preposte.

A chi il libro lo ha letto, invece, è il momento di rac-contare qualche retroscena. Io ci tengo allo stile, ci tengoall’onorabilità, pertanto non vado in giro a spifferare incon-tri e colloqui riservati. Ma visto che della riservatezza, gliinterlocutori, hanno un’idea tutta personale ed assai origi-nale, è bene che a giudicare siano i lettori (mentre dellaparte penale si occuperanno i giudici, spero in questodecennio). Quel che segue, sia chiaro, non cambia di unavirgola il contenuto del libro.

Dunque, contrariamente a quel che le apparenze sugge-riscono, io non faccio il giornalista. Mi occupo, da moltianni, di diritto, ed in un certo senso storia, delle telecomu-nicazioni. Conoscevo bene il mondo della Stet (la finanzia-ria che controllava Sip, Italcable e Telespazio, nei cui con-sigli d’amministrazione e comitati esecutivi sedetti) edalcuni degli uomini che per questa lavoravano, in giro peril mondo. Nel corso della gestione Colaninno si fecero, inBrasile, operazioni di rara demenzialità e di altissimocosto, l’ho anche qui ricordato, al punto da allarmare chiben conosceva quei mercati. Telecom, per molti di noi, erauna bandiera nazionale, non una mucca da mungere, nonmi piaceva lo spettacolo che stavamo dando e pensai chequalcosa si dovesse fare. Nello stesso periodo, però, Cola-ninno cedette Telecom a Tronchetti Provera. Finalmente,pensai, così la si finisce di smandrapparla e si potrà trova-re una soluzione ragionevole al conflitto che, nel frattempo,si era aperto con i soci brasiliani.

Per il tramite di una comune conoscenza (l’allora vice-ministro all’economia, prof. Baldassarri), chiesi a Tron-chetti Provera di parlargli. Lui fu assai cortese, mi chiamòal telefono, gli esposi la questione, mi disse che erano appe-na arrivati e non ne sapeva nulla, pertanto di prendere con-tatti con l’allora amministratore delegato, Enrico Bondi. Lofeci, si organizzò un incontro tecnico, vennero delle perso-ne dal Brasile, si doveva incontrarsi con l’ufficio legale,

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ma, una mattina, in quel di Milano, saltò tutto. Bondi mimandò una lettera dove scrisse che la faccenda riguardavagli azionisti e che non dovevano esserci intromissioni poli-tiche. Giusto, gli risposi, ma quali intromissioni ci sonostate? Nessuna, a mia conoscenza, a parte l’iniziale presen-tazione di Baldassarri, che mi sembrava, e mi sembra, deltutto normale e lecita. Comunque, si badi al sodo e si orga-nizzi l’incontro fra gli azionisti, cioè fra Marco TronchettiProvera e Daniel Dantas. L’incontro si fece. Per inciso, lamia tesi era che Telecom avesse torto marcio (tesi poi suf-fragata da sentenze), ma che la richiesta di Dantas fossetroppo esosa, si dovevano limitare i danni (fatti da Cola-ninno) e rilanciare una collaborazione che sarebbe statafondamentale per limitare i costi dell’avventura nella tele-fonia mobile. Non se ne fece nulla e, dopo qualche tempo,spunta fuori un signore di nome Giuliano Tavaroli.

Mai visto né sentito, mi chiede un incon-tro. Lo vedo con la disponibilità di sempre.Mi riempie di complimenti (ancora grazie),dice che sono uno dei pochi a sapere tutto(il che era leggermente esagerato), poi mi fa la proposta:senta, lei conosce fatti e persone, del Brasile e non solo,noi, invece, non sappiamo quasi nulla, ci darebbe unamano? Volentieri, ma a fare cosa? A “sapere”. La cosa eraalquanto strana, ed il suo essere ex carabiniere, il quel con-testo, non mi rassicurava. Lo avvertii che c’erano stati deicontatti con Bondi, e lui mi disse: lo so, ma lasci perdereBondi. Gli dissi che ero disposto a collaborare con Tele-com, affrontando la sostanza del problema brasiliano, nellasperanza che la nuova proprietà facesse pulizia dove la pre-cedente aveva seminato disastri. Non si fece più sentire.

Due mesi dopo vidi crescere attività molto sospette, edal Brasile mi facevano sapere che si stavano muovendospie di ogni tipo. Chiamai Tavaroli, andai a trovarlo, e glidissi: mi dicono queste cose, state attenti perché potrebbe-ro provare a diffamarvi. Lui fu schietto: questi sono deidelinquenti, usano le spie e noi risponderemo con gli stessi

Compare sulla scena unafolla di spioni

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strumenti, stia attento. Io? State attenti voi. Fine, non ho piùvoluto vederlo. Il suo ragionamento era radicalmente sba-gliato: se un tuo antagonista usa mezzi illeciti lo denunci,non prendi più spioni di lui.

Come abbiamo prima visto, allorquando Tronchetti Pro-vera s’accorse dei valori sballati relativi agli affari brasilia-ni, non fece quello che, secondo me, avrebbe dovuto fare,ovvero promuovere un’azione di responsabilità nei con-fronti dei precedenti amministratori, ma chiamò Gnutti echiese uno sconto. Solo che l’azione di responsabilitàavrebbe tutelato la società, e con questa gli azionisti, men-tre lo sconto era un beneficio per i soli compratori che ave-vano pagato Gnutti all’estero.

A quel punto, mi sembrava che il vaso fosse colmo.Ogni azione seria e ragionevole era inutile, il tavolo fra leparti era saltato, quella storia meritava d’essere raccontata,con il giusto grado d’indignazione e senza tacere nulla allettore, neanche, naturalmente, fonti e contatti brasiliani,che nel libro sono citati uno ad uno. Mentre inizio il lavo-ro, capita una cosa strana: il Giornale pubblica un’inchie-sta a puntate, tutta ispirata alla difesa di Telecom da queimalfattori dei brasiliani (faranno lo stesso il Sole 24 Ore edil Corriere della Sera), alla quarta puntata racconta di unincontro, a Milano, presso il Four Season, fra Tavaroli el’amministratore delegato di Brasil Telecom, Carla Cico.Scrivono che Tavaroli sospettava vi fossero spie, così presedelle contromisure, e fece bene, perché quando uscì dallacamera, dopo un po’ di tempo, entrarono gli uomini dellaKroll, che è un’agenzia internazionale d’investigazione. Unmomento, scrissi sull’Opinione, come fanno a sapere chientra ed esce dalla camera di una signora? L’inchiesta s’in-terruppe, e Tavaroli non la prese bene.

Una mattina entro in studio, mi metto al tavolo da lavo-ro, accendo il computer ed ho la sensazione che si provaquando, all’aeroporto, prendi per sbaglio la valigia di unaltro. Qualcuno aveva abbondantemente grufolato. Nonsporgo denuncia, per due ragioni: primo perché non hoprove di nessun tipo (chi lo dice, se non io, che il computer

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era stato manomesso?), secondo perché capisco che quelloche li infastidisce è il libro, di cui hanno avuto notizia nonso come (si fa per dire). Quindi decido di fare una solacosa, accelerare la scrittura.

Lo ripeto: né nella prima versione né nella seconda illibro ha mai ricevuto una smentita, e quelle che pubblicainon sono solo riflessioni personali, ma anche fatti, fatti duricome pietre. Raccontai, ad esempio, che in Brasile la Tele-com era, di fatto, rappresentata da Naji Nahas, un uomod’affari libanese, e raccontai che, cosa incredibile, l’ufficiolegale di Telecom Italia, con lettera autografa del suoresponsabile, Nicola Virdicchio, negò questa circostanza.Appresi poi, quando il libro era già uscito, che Nahas nonsolo era profumatamente pagato da Telecom Italia, ma chelo era in contanti, con procedura che non è normale in nes-suna parte del mondo. Riprendete Il Grande Intrigo, persapere di chi stiamo parlando. Ma, allora, Nahas lavora ono, per Telecom Italia? O esistono due strutture parallele?Non è una curiosità, un capriccio, è una notizia fondamen-tale per capire cosa successe e succede.

Su tutta questa faccenda è pendente una corposa denun-cia, presentata da Piero Marini Garavini ed altri compo-nenti la comunità italiana in Brasile. Non tocca a me dire seè fondata, ed è così vasta che confesso di non averla nean-che letta, ma non è incredibile che questa semplice notizianon sia mai stata pubblicata, dalle nostre parti? Anche que-sta è una dimostrazione dell’enorme influenza che TelecomItalia ha sul giornalismo italiano, certamente con i favolosiinvestimenti pubblicitari (che talora non pubblicizzanoniente) e non so se anche grazie al lavoro degli spioni.

In ogni caso, su di me non hanno avuto influenza, sonoandato per la mia strada, accompagnato dal silenzio di tuttigli altri (a proposito, Il Grande Intrigo ha venduto decinedi migliaia di copie, roba da fenomeno editoriale, come glialtri libri di questa collana alla quale dedichiamo tanta pas-sione, ma nessuno lo dice, nessuno lo scrive, nessuno vuolprendere atto che gli italiani leggono, se trovano qualchecosa da leggere). A me, personalmente, ha solo dato fasti-

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dio che qualcuno si fosse fatto l’idea che fosse sufficientedossierarmi per poi intralciarmi. Ecco, per questo, concalma e serenità, penso a loro con l’apprezzamento chemeritano. E, con calma e serenità, vado avanti.

Dopo le dimissioni da presidente di Tele-com Italia, in un clima teso, Tronchetti Pro-vera ha tenuto una conferenza stampa suicui contenuti torneremo dopo. In particola-re, a proposito degli spioni, ci ha tenuto a

ricordare e sottolineare che, come risulta dal mandato dicattura nei confronti di Tavaroli ed altri, “noi siamo partelesa”. Sì, ma noi chi? Che siano parti lese Pirelli e TelecomItalia, intese come società, non c’è dubbio. Se si vuoleescludere, come mi sembra sia del tutto da escludersi, cheil lavoro di spionaggio abbia qualche cosa a che vedere congli interessi aziendali, e posto che le due società hannopagato fatture plurimilionare agli spioni stessi, è naturaleche siano considerate parti lese.

È da vedere, invece, se nel concetto di parte lesa rientrachi quelle società guidava. Già, perché qualcuno aveva purchiamato quelle persone, qualcuno aveva affidato loroincarichi di fiducia, aveva delegato poteri interni all’azien-da ed aveva autorizzato i pagamenti. Chi ha fatto questecose non è la parte lesa, bensì il complice od il circonvenu-to. E, del resto, non mi risulta che, almeno al momento,nessuno di quelli che avevano le massime responsabilità sisia recato dai magistrati inquirenti nominando un avvocatoquale persona offesa.

Quindi, le due aziende sono parti lese, in quella specifi-ca ipotesi di reato. Gli indagati non sono colpevoli, ma èesattamente questo che si deve accertare, nell’accertarlo sidovrà stabilire di quali complicità hanno goduto. Tronchet-ti Provera avrebbe fatto meglio ad esprimersi in modo piùappropriato: sono stati lesi gli interessi delle società che hoamministrato. Ecco, così è detta bene.

In ogni caso, comunque, non è una condotta di partico-lare coraggio lo scaricare tutte le responsabilità sui sotto-

Telecom e Pirelli

sono parte lesa, ma da chi?

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posti. Io della nascita del Cnag ne ho letto sui giornali,mentre suppongo la dirigenza Telecom sia esattamente lasede dove quella struttura è stata promossa. Io Tavaroli l’hoconosciuto come ho raccontato, mentre suppongo cheTronchetti Provera non affidi la sua sicurezza personale equella delle aziende che amministra al primo che passa. Èsolare che Tavaroli è un uomo di sua personale fiducia, edè anche probabile che la meriti. Ma se c’è una cosa cheinsospettisce è che Tavaroli sostenga di avere riferito aCarlo Buora. Non è credibile, tutto qui. Poi può darsi cheanche lui sia del tutto innocente, anzi, glielo auguro, ma aquel punto dovremmo dedurne che lo spionaggio lo face-vano solo i suoi amici ed a sua insaputa, per giunta convin-cendolo a ricoprirli d’oro. Può darsi, certo. Ma sembra untantinello improbabile.

Chiariranno le indagini, si spera. Auspicabilmente in untempo che non sfidi la sopravvivenza di ciascuno. Ma c’èun altro lato delicato della faccenda, che merita esserepreso in considerazione.

Mi ha incuriosito la sicurezza con cui ilvertice di Telecom Italia ha sostenuto: noinon facciamo e non abbiamo mai fatto inter-cettazioni illegali. Strano, ho pensato, per-ché è appena emersa l’evidenza che alcunestrutture aziendali avevano fatto, o avevanocomunque pagato attività di spionaggio, epur ammettendo (per amore del ragionamento) che la diri-genza non ne sapesse nulla, anzi, in questo caso a maggiorragione, come fanno, poi, a mettere la mano sul fuoco circale intercettazioni? Strano, è come se conoscessero il mecca-nismo e fossero sicuri della sua inattaccabilità.

In effetti, la creazione del Cnag portò con sé una ulte-riore anomalia: solo chi lo guidava poteva sapere qualiintercettazioni legali erano state richieste, e quando, dal-l’autorità giudiziaria, neanche le singole procure potevanosaperlo, perché ciascuna all’oscuro di quanto avviato daaltre, né avevano visibilità su quegli atti i sottoposti, cui

Telecom non ha mai fattointercettazioni,dicono, ma pagava fior di milionigli spioni

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semplicemente veniva ordinato di attivare il collegamentocon questo o quel telefono. Allora, come si fa a sapere seuna intercettazione è illegale? Se ne dovrebbe trovare una,con tanto di registrazioni, relativa a qualcuno per il qualenon è stata chiesta da nessun magistrato, nel mentre parlacon un’altra persona che si trova in quella stessa condizio-ne. Immagino vi stiate chiedendo se esistano, in Italia, duepersone di quel tipo e, se esistono, chissà cosa hanno dadirsi. Ma nel mentre voi vi ponete questo problema esi-stenziale a me viene in mente un’altra cosa: e dove la sidovrebbe cercare, una tale intercettazione?

Già, perché esiste un problema di aggiornamento cultu-rale. Il governo ha prontamente varato, con l’applauso del-l’opposizione, un decreto legge ove si stabilisce che tuttoquesto materiale deve essere distrutto. Ora, a parte le obie-zioni (credo ragionevoli) giunte da qualche magistrato chesi chiede come si possano distruggere documenti che con-tengono notizie di reato, resta il fatto che si può “distrug-gere” solo ciò che ha una qualche materialità. I dossierdegli spioni si possono distruggere, se contengono carterelative al casellario giudiziario o alla centrale rischi, e robasimile. Ma è anche vero che questa non è roba di gran valo-re. Le intercettazioni, però, non sono più quei pesanti nastrimagnetici dei film anni sessanta, oramai si tiene tutto informato digitale, che non solo è facilmente occultabile, maanche facilmente riproducibile. L’indagine sugli spioni èiniziata mesi fa, mentre gli ordini di custodia cautelaredatano da poche settimane. Questo significa che c’è statotutto il tempo per cancellare quel che si doveva, ma nonprima di averlo copiato. E, del resto, dalle indagini risulte-rebbe che non poco materiale è stato distrutto volontaria-mente ed in fretta. Quindi, torno alla domanda: come si faa stabilire che vi sono state intercettazioni illegali?

Il 5 ottobre il presidente di Telecom Italia, Guido Rossi,davanti ai commissari parlamentari del Copaco, si spingeassai oltre, sostenendo che Telecom Italia non ha mai fattointercettazioni, né legali né illegali e che, anzi, intende dif-fidare chiunque dall’accostare il nome dell’azienda al tema

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delle intercettazioni. Ne prendo atto, ma non vorrei che,prima o dopo, possa anche accusarmi d’essermi spiato dasolo e, magari, decida d’inviarmi la nota spese, molto, mamolto salata. Quindi, un paio di osservazioni.

La tesi di Rossi è largamente condivisibile: “Le attività diintercettazione sono effettuate esclusivamente da organi dipolizia giudiziaria, espressamente delegati dall’autorità giu-diziaria, con utilizzo di strumenti e di apparecchiatureinstallati, manutenuti e per lo più di proprietà di societàterze diverse da Telecom Italia e da questa non controllatené a questa collegate. Tali strumenti e apparecchiature sonoubicati nelle cosiddette ‘sale di ascolto’ delle procure dellaRepubblica e sono nella esclusiva disponibilità delle procu-re stesse”. Non fa una piega. Perché, allora, quest’attività,meramente tecnica, è stata sottratta alla competenza ed allacura dell’ufficio legale per essere affidata al Cnag guidatoda Giuliano Tavaroli e rientrante nella “direzione security”?La cosa non passò sotto silenzio, non fu un qualsiasi ordinedi servizio mirante a razionalizzare attività secondarie, malo stesso Tavaroli la presentò come una sorta di rivoluzione,concentrando a Milano e sotto se stesso tutte le attività.Quali? Perché pur tacendo della progettata Super Amanda,che già per il nome induce a non prenderla troppo sul serio,ovvero tacendo il progetto di più accurata efficienza spioni-stica, rimane il fatto che se il reclamizzato Cnag era solo losmistatore di collegamenti, forse, appare sprecata l’applica-zione di uno influente come Tavaroli.

Le parole di Rossi, poi, stimolano una certa ingenuacuriosità: chi sono i privati, a Telecom non collegati, chegestiscono questo popò di roba? No, perché, tutto somma-to, troverei più logico che fra Telecom e le procure non cisiano terzi.

Telecom Italia, sostiene Rossi, “non è strutturata perintercettare comunicazioni telefoniche”. Grazie, e ci man-cherebbe altro. Il punto non è sapere se è strutturata perfarlo, ma se qualcuno lo ha fatto. Della qual cosa si occu-pano i magistrati, e buon lavoro.

Detto questo, sembra ci siano delle persone che, per

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Telecom Italia, svolgevano attività spionistica. O vogliamochiamarla d’osservazione sociale? Può darsi che sia tuttoun equivoco, che non è vero che Tavaroli era l’uomo difiducia di Tronchetti Provera, non è vero che fu rimossodall’incarico ed inviato in Romania quando iniziarono leindagini, non è vero che non era vero che era in Romania,ma se ne stava a Milano facendo quello che aveva semprefatto, non è vero che ordinava lavori d’indagini a suoi amicicon società private, insomma, mettiamo che non sia veronulla di nulla. Allora perché Telecom e Pirelli hanno liqui-dato fatture milionarie a società d’investigazione privata?La domanda è rilevante, anche ai fini della tutela del buonnome delle aziende e degli interessi dei loro azionisti.

Non ci sono state intercettazioni telefoniche, evviva. Peròpare ci siano dei dossier dedicati a diversi di noi. Pertanto, lecose starebbero così: degli uomini che lavoravano in Tele-com, probabilmente all’insaputa anche di se stessi, commis-sionano indagini su privati cittadini, le pagano milioni, learricchiscono con notizie provenienti da pubblici ufficialiforse corrotti, ma evitano accuratamente di utilizzare quellerelative al traffico telefonico, guardandosi bene dall’origlia-re alcunché. Sì, fila perfettamente, è assolutamente credibile,non c’è dubbio, e non lo scrivo mica perché c’è la diffida!

Prima di detta diffida, per la verità, era stato RiccardoPerissich, direttore della funzione public and economicaffairs and external relations, del Gruppo Telecom (alla fac-cia dell’italianità), a raccontare alla commissione giustiziadella Camera dei Deputati che dei tabulati telefonici si face-va un commercio tutt’altro che regolare, certamente incoe-rente con la legge. Sentite quel che disse: “Nel corso del2005 sono stati forniti all’autorità giudiziaria 56.316 tabula-ti relativi ad utenze fisse e 101.894 tabulati relativi ad uten-ze mobili. Nei primi sei mesi del corrente anno sono statiforniti all’autorità 23.228 tabulati relativi ad utenze fisse e58.443 relativi ad utenze mobili. A questo proposito dob-biamo ammettere che nei vari database, anche diversi daquelli riservati all’autorità giudiziaria che custodiscono idati di traffico, sono emerse alcune smagliature che sono

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state individuate sulla base di analisi effettuate da tecnicidella stessa Telecom, quindi originati al nostro interno, nonprovenienti dall’esterno. Normalmente, infatti, i sistemi dicontrollo e di tracciamento di cui sono dotate le applicazio-ni informatiche di Telecom che contengono dati di traffico,hanno consentito di individuare i responsabili di eventualiilleciti e conseguentemente di sanzionarli. I file di log hannodocumentato l’indebito accesso e l’indebita interrogazionealle banche dati al fine di estrarre tabulati di traffico da con-segnare a terzi in violazione della vigente normativa sullaprivacy. In un caso i sistemi di controllo e di tracciamentonon hanno funzionato. Sulla base delle verifiche svolte èragionevole pensare che possa essersi trattato di un illecitointervento di un amministratore del sistema, vale a dire diuno di quei tecnici ai quali è affidato il compito di monito-rare le risorse elaborative e di memoria, di allocare questerisorse alle applicazioni informatiche, di controllare il cor-retto uso del sistema da parte degli utilizzatori, di effettuar-ne la manutenzione”. Il traffico di tabulati, quindi, c’è.

Strano che di tutto questo gli occhiuti uomini dellasecurity non si siano accorti. E lo stesso Rossi, a propositodei tabulati, osserva: “non si può negare che siano emersealcune smagliature”. A parte la fissazione estetica dellesmagliatiure, segno che chi ha preparato gli appunti perRossi ha copiato da Perissich, resta la sostanza: quei tabu-lati sono usciti sia per indagini private sulle corna, sia peraccertamenti con finalità meno sentimentali.

Va a finire che se la piglieranno con il signor DionisioPaccaglioni, tecnico di ultima fascia, addetto alla puliziadelle centrali, traditore dell’azienda ed attentatore di matri-moni.

C’è dell’altro, credo. Per l’autorità giu-diziaria la collaborazione del Cnag eraimportante. Se funziona l’intercettazioneparte non appena l’autorizzazione del giu-dice arriva, e magari anche qualche tempo prima, dati ibuoni rapporti e l’assoluta fiducia. Se non funziona, va a

La collaborazionecon i servizisegreti, per lasicurezza di tutti

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finire che si comincia ad intercettare quando l’interessatoha da un pezzo smesso di parlare. Per i servizi segreti, inve-ce, quella collaborazione non è importante, è vitale.

Noi tutti sappiamo che anche i servizi di sicurezza, soli-tamente detti “segreti”, si muovono secondo regole precisee nel rispetto delle leggi, ma siamo anche disposti adammettere che in quella zona vi sia una qualche maggioredisinvoltura. Facciamo un esempio: se si ha ragione disospettare che in un determinato ambiente stia maturandol’organizzazione di un attentato non è che ci scandaliziamose qualche utenza telefonica, o anche molte, finisce inter-cettata anche senza alcuna autorizzazione formale. Non ciscandalizziamo perché vale di più la vita dei cittadini e lasicurezza dello Stato, pur sperando che tale costume nondegeneri, ovviamente. Per svolgere quel lavoro sono vitali icollegamenti con macchine come il Cnag e pare che, effet-tivamente, quel tipo di collaborazione abbia avuto luogo. Laprocura di Milano, poi, ritiene che quella collaborazioneabbia funzionato anche in senso inverso, ovvero che taluneinformazioni defluissero dai servizi per finire nei dossierillegali. Il che non sarebbe grave, ma gravissimo.

Ed è qui che vedo un paradosso: collaborando con i ser-vizi di sicurezza dello Stato è probabile che quegli uominiprotagonisti dell’attività illegale di dossieraggio si sianosentiti, come dire, coperti, ed invece è proprio da quellaporta, che doveva essere blindata, che la magistratura èentrata ed ha messo gli occhi sulla potentissima macchina.Ed è un paradosso che si sia fatto prima ad indagare sul-l’attività dei servizi segreti dello Stato che su quella dei ser-vizi di spionaggio privato. Anche questo è un argomentosul quale occorrerà riflettere.

Staremo a vedere come andrà a finire lavicenda giudiziaria, sapendo fin da ora chesarà una conquista se andrà a finire. Dicerto, tutte queste cose hanno gettato una

luce triste su un certo modo di intendere gli affari e le rela-zioni pubbliche. Sembra quasi che ci si predisponesse, di

Una storiabrutta, dove c’è

già un morto

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volta in volta, a pagare o ricattare, il che è dimostrazionenon di forza, ma semmai di arroganza. Spero che le miepeggiori impressioni saranno fugate, e si dimostri che apensar male, almeno qualche volta, si sbaglia.

In questa storia c’è già un morto, frutto finale di unostrano suicidio. Molto strano. Si è detto che quel dirigentedi Telecom Italia si sarebbe tolto la vita perché non resiste-va all’idea che il suo nome potesse essere infamato. Strano,perché chi agisce in quel modo, anche se preda di senti-menti violenti e d’irrazionalità, solitamente lascia scritto ilproprio sdegno, l’urlo della propria innocenza. Suicidarsiper lasciare alla famiglia, ignara, tutto il peso della presun-ta infamia, non è una condotta comprensibile.

Tutti quegli ex militi ed ex poliziotti che si ritrovano inTelecom Italia, però, sono un ulteriore problema da risol-vere. È facile comprendere perché dall’aeronautica milita-re di tutto il mondo provengono molti piloti civili, giacché,in questo modo, le compagnie aeree possono assumere per-sone la cui formazione è stata pagata da altri. Ma si puòaccettare con la medesima tranquillità il fatto che chi è statoformato per la difesa dello Stato si ritrovi così spesso acurare i servizi di sicurezza privati? A me pare patologico,e forse dovrebbe essere impedito.

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fine di agosto i bene informati, che spesso sono deipettegoli in cravatta, cominciano a parlare dell’ideadi trasformare Telecom Italia in una media com-pany. Entro i primi di settembre ne parlano tutti igiornali, senza neanche sospettare che questa tro-vata di Tronchetti Provera è l’anticamera della fine.

Complice la stagione estiva si pubblicano le fotografiedel Roseherty, il veliero di cinquantasei metri sul quale sitrova Rupert Murdoch e dove l’armatore incontra il presi-dente di Telecom, anch’egli velista (sempre che possa defi-nirsi “velista” uno che va in giro con cinquantasei metri diroba). È tutto un fiorire di cronache che raccontano le futu-re sorti del progresso, la geniale trasformazione, la solidaalleanza. Il tre agosto avevo già scritto che la faccenda nonmi convinceva punto e che, a naso, le cose sarebbero anda-te in modo assai diverso. Non che mi piaccia fare il guasta-feste, ma sarebbe stato sufficiente non lasciarsi distrarre dairutilanti comunicati stampa, non essere ipnotizzati dalfascino del quattrino, e restare con i piedi per terra per ren-dersi conto che il vento non soffiava in quelle vele.

Intanto Telecom Italia è un operatore ditelecomunicazioni, proprietario delle reti edil cui fatturato dipende per la gradissimaparte da questa attività. È vero che produce

A

La trovataestiva cui

credette solo chi voleva

crederci

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anche dei contenuti, con le due televisioni ed il portaleinternet, ma si tratta di ben poca cosa, rispetto al resto. Inol-tre, la rete fissa di Telecom è solo in parte utile al trasportodi grandi quantità d’informazioni, quindi di contenuti tele-visivi, e dire di volersi concentrare prevalentemente suquello ha tutta l’aria del mettere le mani avanti per far cassasul resto. E della cassa c’è bisogno.

Murdoch lo si capisce, perché la sua Sky Italia non vabenissimo. Lui non è abituato a prendere la fetta piccoladella torta, e l’Italia, invece, è largamente dominata dallatelevisione analogica, che è gratis. A questo si aggiunga cheil governo di centro destra aveva varato una politica (sba-gliata, sotto tutti i punti di vista, e ci torno) di finanzia-mento pubblico a sostegno della televisione digitale terre-stre, che di per sé non cambia il mercato, perché è destina-ta all’inglorioso e previsto fallimento, ma certo non suonaconfortante a chi ha investito sul satellite. È logico, quindi,che gli uomini di Murdoch guardino alla larga banda comeal piede di porco con cui far saltare l’equilibrio statico delduopolio italiano. Ma è di questo che parlano, con Tron-chetti Provera? Sì e no.

Parlano di questo, perché lì porta la corrente del merca-to, ma lo fanno parlando d’altro e, per la precisione, deiguai finanziari di chi controlla la Telecom. Lo sanno tutti, elo sa naturalmente anche Murdoch, che entro il mese diottobre la catena proprietaria di Telecom dovrà sborsaresoldi che non ha. Dovrà aprire il portafogli per liquidarel’Hopa di Gnutti e, al tempo stesso, le banche che deside-rano uscire dalla trincea sempre più umida di Olimpia. Mail borsellino tende al vuoto. I due, dunque, parlano di que-sto, l’uno con l’idea di mantenersi a galla, l’altro alla ricer-ca di nuovi mari da navigare.

L’idea poteva essere, più o meno, la seguente: TelecomItalia acquista Sky Italia (a Telecom i soldi non mancano),con i soldi incassati Murdoch entra in Olimpia, apportandoenergie finanziarie fresche, ed utili come l’aria, viste le sca-denze che si avvicinano, il socio forte diventa lui, da qui laprogressiva riconversione verso una società che vende con-

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tenuti sulla rete di telecomunicazioni, appunto, una mediacompany. Ci sono altri due elementi, da tenere in conside-razione. Il primo è che Murdoch, noto come “lo squalo”,non ha alcuna predisposizione alla beneficenza e neanche afare il socio che non conta, l’idea di assumersi, per quotaparte, i debiti di Olimpia per poi lasciare il timone di Tele-com a Tronchetti Provera non gli sembra interessante, cosìpone la condizione di avere un’opzione all’acquisto dellamaggioranza. In altre parole, se vi ritroverete ancora adavere bisogno di soldi io ve li darò, ma a quel punto micedete il governo della baracca.

Il secondo elemento è che con l’acquisto di Sky, perragioni di antitrust, Telecom non può più tenere la proprie-tà delle due reti analogiche. Il che non è detto sia un maleinatteso, perché più di qualcuno spinge affinché quelle tele-visioni finiscano in Rizzoli Corriere della Sera. Potrebbeanche darsi che sia stata l’opposizione a questo disegno acostare la carica all’amministratore delegato, VittorioColao, e, comunque, già s’immagina una nuova strutturaeditoriale, con a capo quel Paolo Mieli che ha condotto inmodo eccellente le operazioni politiche da via Solferino,salvo lasciare sul campo non poche copie invendute. A talproposito segnalo una stranezza: per diverse volte il Sole24 Ore ha sostenuto che Rcs, come il gruppo L’Espresso,non potrebbero comperare le televisioni di Telecom essen-do questo proibito dalla legge Gasparri. Ma la proibizionenon c’è, la legge non dice nulla di simile perché l’antutrustè asimettrico: le televisioni non possono comperare giorna-li, ma i giornali possono comperare le televisioni. Può darsiche il prestigioso quotidiano confindustriale abbia avutodei problemi a leggere la norma, ma resta il sospetto che sitendesse a confondere le idee.

Questi erano i temi di cui parlare, e di questi parlaronoProdi e Tronchetti Provera. Nel mentre, all’esterno, i pre-sunti esperti ed i giornalisti del settore si gingillavano con isoliti giocattoli della convergenza e dell’integrazione, conun linguaggio innovatore che è statico da lustri, la partita si

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giocava sul terreno vero, quello dei debiti edella proprietà. Intanto, però, tutti gli arti-coli sulla media company e tutte le “indi-screzioni” sugli incontri con Murdochfanno credere al mercato che per Pirelli sisia trovata una via d’uscita, o che si siaprossimi a trovarla, così il titolo sale, dopomesi e mesi di languore e discesa. Il titolosale grazie ai titoli (dei giornali). La Consobchiede, come al solito, spiegazioni e, come al solito, ottie-ne indietro parole.

Il problema della proprietà, a quel punto, era già aper-tissimo, e Prodi ne era consapevole, come dimostra il fattoche da Palazzo Chigi si faceva sapere che il governo gradi-va la permanenza in mani italiane del grande gruppo tele-fonico. Tronchetti Provera poteva pur dire di avere aderitoa questa richiesta, perché nell’immediato non mutava la suapresa proprietaria, ma nessuno voleva farsi fare fesso, edera chiaro che Murdoch non avrebbe accettato di fare labella statuina, per giunta pagante. E questo lo sapevanotutti. Chiaritolo, veniamo alla farsa del piano Rovati.

Parlare con Prodi, comeTronchettiProvera fece,significavaparlare dei problemidella proprietà

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omenica 10 settembre i giornali danno, all’uniso-no, l’annuncio del riassetto di Telecom Italia che,però, il consiglio d’amministrazione avrebbe vara-to il giorno dopo. Anche quella mattina domenica-le pensai con tristezza ai signori che si fanno chia-mare “consiglieri indipendenti”, che lo sono al

punto da farsi nominare dall’azionista di maggioranza e finoad approvare quel che i giornali scrivono in anticipo. Forsecredono di essere stati chiamati per i loro titoli accademicio per la loro comprovata competenza, è da supporsi cheabbia avuto un peso anche il loro buon carattere.

Fatto è che di domenica si acquisisce la notizia che Tele-com sarà divisa in tre, con società distinte per la rete fissa,quella mobile e la media company. La società della retemobile si annuncia come in vendita. Il bello (si fa per dire)è che il punto più alto (si fa sempre per dire) del titolo Tele-com, poco sopra i tre euro, risale al gennaio 2005, un annoe mezzo prima, e precisamente al momento in cui si annun-ciò e realizzò la fusione fra Telecom Italia e Tim, con un’o-pa da 14,5 miliardi, naturalmente argomentata con i sempreverdi concetti della convergenza e dell’integrazione. Soloche era l’esatto contrario di quel che lo stesso presidente elo stesso consiglio d’amministrazione s’apprestavano a fare.Sempre, ed indipendentemente ragionando, all’unanimità.

Il giorno stesso del Consiglio d’amministrazione Prodi

D

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dice la sua: “sono sconcertato e preoccupato”. Disse che untale stato d’animo era dettato dal repentino cambio di rotta,dal passaggio dalla fusione allo scorporo. E non si potevache dare ragione a Prodi, solo che quelli dovevano legitti-mamente essere le opinioni degli azionisti, o degli analisti diborsa. Lui non era un libero pensatore, era il presidente delConsiglio. Per giunta, subito dopo, aggiunge che lo scon-certo deriva anche dal fatto di non essere stato informato, diavere parlato con Tronchetti Provera, ma di essere statotenuto all’oscuro di tutto. E quelle parole pesavano enorme-mente, visto che non erano state dette in privato, ma pubbli-camente e nel merito di una decisione presa dagli organi diuna società quotata in Borsa. È lì che comincia una storiache paghiamo e pagheremo, sui mercati internazionali.

Il ministro delle comunicazioni, Paolo Gentiloni, arrivasubito di rincalzo e dice che proprio non se ne parla dicedere la Tim agli stranieri, che la soluzione deve essereitaliana. Ora, intendiamoci, a me piacerebbe che tutte leaziende avessero un management di alto livello, possibil-mente anche italiano, e questo vale per le aziende italiane,ma mi piacerebbe anche per quelle americane o tedesche,mentre, al contrario, la disputa sull’italianità intesa comebandiera dell’orgoglio è un totale non senso. Oltre tuttoProdi sosteneva l’esatto contrario all’epoca delle scalatebancarie. E come se non basti è bene ricordare che il secon-do operatore di telefonia mobile fu ceduto ai tedeschi, e poipassato agli inglesi, con il fattivo contributo del governoD’Alema, il terzo operatore è stato ceduto ad un egiziano,senza che il governo Berlusconi trovasse da ridire, cioè adun soggetto esterno all’Unione Europea, ed il quarto è natodirettamente in mani orientali. Dove erano nascosti, duran-te quest’emorragia, tutti gli italianeggianti?

Il 13 settembre si giunge all’apoteosidel masochismo nazionale. Nel mentreProdi si trova in Cina, e nel mentre conti-nua a ripetere che Tronchetti Provera nonlo aveva informato, Palazzo Chigi, a con-

Palazzo Chigirivela al mercato gli affaririservati di unasocietà quotatain Borsa

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forto della tesi presidenziale, diffonde una nota che è unasorta di verbale degli incontri fra i due. Solo che ci sonotre fatti a dir poco irrituali: a. il governo entra con i piedinel piatto di affari privati e quotati; b. per sostenere di nonsapere nulla dello scorporo raccontano di trattative incorso con Time Warner e General Electric, di cui il mer-cato non era al corrente; c. si indica al mercato, quanto-meno, che il capo azienda di una società quotata è unbugiardo.

Tronchetti Proveva reagisce in due modi. Prima ditutto dà fiato alla bocca e diece che “neanche in Sudame-rica ci sono dei politici così”. Io leggo e trasecolo, perchéi giornali ed i settimanali brasiliani hanno più volte venti-lato l’ipotesi che che Telecom Italia abbia pagato dei poli-tici, in Brasile. Resta ancora tutta da chiarire la storia deipagamenti fatti a Naji Nahas, loro consulente, che nonsolo sono ingenti, ma vengono effettuati in contante (contanto di furgoncino blindato che va dalla banca all’alber-go). E fra le persone che pagavano in nero compare ancheRoberto De Marco, che da una parte era l’ex socio di Dan-tas, contro il quale avviò una lunga e dura battaglia lega-le, dall’altra era uno dei referenti del ministro dell’econo-mia, che dovette dimettersi perché travolto da uno scan-dalo di tangenti. Insomma, quando Tronchetti Provera siriferisce ai costumi politici di quell’area del mondo c’è ilrischio che sappia con fin troppa precisione quel che stadicendo. E li considera comunque migliori dei nostri.Cosa esattamente volle dire? Nessuno glielo ha piùdomandato.

Ma non si limitò a questo, perché decise di far avere alSole 24 Ore un documento esplosivo: un serio e documen-tato piano di ristrutturazione, con tanto di tabelle ed anali-si di costi benefici, che gli era stato inviato a Palazzo Chigiil 5 settembre, accompagnato da un biglietto intestato“Segreteria Particolare del Presidente del Consiglio deiMinistri”, sopra lo stellone della Repubblica e sotto, amano: “Grazie per la disponibilità e a presto. AngeloRovati”.

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Alla faccia del “non sapevo niente”.Palazzo Chigi non solo sapeva, ma era atti-vamente coinvolto nelle operzioni di ristrut-turazione. Tutto questo comincia ad attirar-ci addosso i pallettoni della più quotatastampa internazionale: ma che razza diPaese è l’Italia? Ed è mai possibile, si chiede The Times,che su una roba di questo tipo non si apra un’inchiesta?Vedete, la storia potrebbe anche finire qui, anzi, dovrebbefinire qui, perché per assai meno, in altri Paesi, il governosi dimette. Ma da noi è diverso. All’epoca di Colaninno ilcapo del governo fece da sponsor ed anticipatore, qui haindossato i panni del consulente che s’arrabbia perché nonne seguono i suggerimenti. Come dire? Più che uomini dimondo, siamo fuori dal mondo.

Il piano Rovati, lo ripeto, è una cosa seria, fatta bene ebene informata, in perfetto stile banca d’affari, anzi in per-fetto stile della banca d’affari dove lavorava Prodi, pertan-to sintetizzarne il contenuto in poche parole è un po’ unaviolenza, ma, insomma, all’osso il piano prevede che pertrovare liquidità immediata, di cui la proprietà ha estremobisogno, si scorpora la rete fissa e la si cede alla CassaDepositi e Prestiti, vale a dire che si usano i soldi delloStato e lo si fa con un preciso disegno industriale e politi-co, consistente nel riportare le reti (non solo quella di tele-comunicazione) sotto il controllo pubblico offrendole qualimezzi per veicolare i servizi offerti in regime di concorren-za. Si può condividerlo o no (io non lo condivido affatto),ma è un pensiero. Siccome Prodi dice di non saperne nien-te e di non averlo mai letto, Rovati la butta sul patetico: èun lavoretto artigianale, fatto di domenica con un amico(imprenditore o banchiere, a seconda delle versioni). Il cheapre interrogativi sui quali torniamo subito.

Ma la tesi del “non sapevo non ne ho mai sentito parla-re” è così poco verosimile che perfino un cane sciolto comeme aveva potuto commentare quelle idee il 22 agosto (ilpiano, lo ricordo, fu consegnato a Telecom il 5 settembre),e già allora potevo trovare dei punti di appoggio all’interno

Compare sulla scena il Piano Rovati,che non è di Rovati

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della maggioranza di governo. Aveva detto il ministroGentiloni che “la rete infrastrutturale delle tlc è un assetirrinunciabile per il Paese”. Dice il ministro Lanzillotta,con maliziosa allusione, che “lo Stato deve tutelare un’ef-fettiva accessibilità alla rete e le condizioni che ne favori-scano il rafforzamento perchè la rete tlc è un asset fonda-mentale per il Paese come quello energetico o delle auto-strade”. E Vincenzo Vita, dei ds, dopo avere fiutato l’aria,chiarisce: “Servirebbe una vera politica industriale nellecomunicazioni a cominciare dal riassetto della rete chepotrebbe utilmente tornare in mano pubblica senza depri-mere la concorrenza”. Dello stesso tenore le dichiarazionidel ministro Antonio Di Pietro, secondo il quale Telecompotrebbe tornare ad essere pubblica. Sembrerebbe, allora,che Prodi fosse l’unico a non saperne niente ed a non occu-parsene, ed a questo punto sfugge come se ne possa menarvanto.

Il 14 settembre Marco Tronchetti Provera si dimette dapresidente di Telecom Italia ed al suo posto, indicato da luistesso e votato dal suo consiglio d’amministrazione, arrival’avvocato Guido Rossi, cioè l’uomo che aveva guidatoTelecom al momento della privatizzazione, lo stesso che sene era andato sbattendo la porta e che aveva poi condanna-to, con parole durissime, la dalemiana operazione a favoredi Colaninno.

Dimettendosi, Tronchetti Provera, dice di farlo “per sal-vaguardare Telecom” e per “evitare un conflitto istituzio-nale”. La seconda cosa è quanto meno imprecisa, perché lacompagnia telefonica non è un’istituzione, ma il senso,credo, sia quello di volere evitare un conflitto con le istitu-zioni, vale a dire con il governo. Tronchetti Provera, quin-di, giudica impossibile e pericoloso restare al suo postoperché valuta possibile che l’ira del governo si scarichisulla società, evidenzia, pertanto, di avere subito pressioniche ritiene intollerabili. In quel momento, dopo averne cri-ticato puntigliosamente i numerosi errori, scrissi che meri-tava una sincera solidarietà. Sono convinto che la suaavventura sarebbe dovuta andare in modo diverso, e sem-

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mai fermarsi (se del caso) prima, ma questo doveva avve-nire ad opera delle Autorità di controllo e del mercato. Cheavvenga a seguito di una dichiarazione di guerra mossaglidal governo, invece, è un segno di decadimento civile e dicorruzione dei costumi. Una procedura da condannarsi connettezza.

Quella decisione, come era del tutto prevedibile, fa sali-re al calor bianco le proteste, l’opposizioni chiede un dibat-tito parlamentare e, dalla Cina, Prodi fa sapere due cose: a.Rovati è un amico, ha la mia fiducia e deve restare al suoposto, anche se del suo piano non ne sapevo niente; b. l’i-dea che lui possa mettere piede in Parlamento per parlare diTelecom Italia è “da matti”.

Tronchetti Provera aveva parlato di Sud America, il suosocio in Olimpia, Gilberto Benetton, parla ora di Far West.Dalle mazzette alle pistolettate, non c’è dubbio che la fan-tasia dei protagonisti butta decisamente sul pulp. La stam-pa internazionale rincara la dose, e L’Economist, citato peranni quale censore austero dei peccati berlusconiani, stabi-lisce che Romano Prodi non è migliore manco per niente.Addirittura capita che Murdoch, parlando agli operatorifinanziari, a New York, dica chiaro e tondo che ogni tratta-tiva è da considerarsi chiusa, che lui non c’entra niente eche certe cose, in Italia, seguono percorsi non sempre chia-ri. E lo dice lui, Murdoch, lo squalo.

Il 18 settembre Rovati si dimette, nell’intento dichiaratodi evitare strumentalizzazioni che servano a colpire un deltutto innocente Prodi. Il quale, dal canto suo, ribadisce chenon ha nessuna intenzione di mettere piede in Parlamento eche non ha nessunissimo chiarimento da dare né alcunadomanda cui rispondere. No e poi no. La procura dellaRepubblica di Roma, intanto, avvia un’inchiesta ma senzaipotesi di reato e contro “ignoti” (?!).

Il 20 settembre Prodi perde una bella occasione per starezitto, torna sui fatti e cerca di puntualizzare. Ha propostouna nuova verità, con il risultato di rendere più profonda lapozza nella quale il governo si trova.

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Sul documento inviato da Rovati a Tron-chetti Provera ha sorvolato, prendendoselacon le “invenzioni” e dicendo che “abbiamogià dato tutti i chiarimenti possibili”. Forsequelli possibili, ma non quelli necessari.Con quel documento è stato proposto a

Telecom Italia un piano, preciso e circostanziato, per farfronte ai debiti ed alle imminenti scadenze finanziarie. Nonè affatto “inventato” ed è stato redatto a seguito dell’incon-tro fra Prodi e Tronchetti Provera. Ha una caratteristica:serviva a fare della proprietà Telecom un ostaggio nellemani del governo, dato che dalle casse pubbliche sarebbe-ro arrivati i soldi necessari. In quel modo non solo sarebbestato Prodi a fare il mestiere e ad esercitare i poteri checompetevano a Tronchetti Provera, ma si toglieva a tutti glialtri la benché minima rilevanza in questa faccenda, cosache a D’Alema ed i ds non è piaciuta proprio per niente.Non si trascuri il fatto che sul terreno di Telecom Prodiconsuma anche una vendetta nei confronti di chi lo mandòvia da Palazzo Chigi e, occupando il suo posto, rese possi-bile la distruzione di quella che sarebbe dovuta essere lapubblic company (e sarà una coincidenza, ma nel momen-to di maggiore difficoltà, per Prodi, Il Sole 24 Ore pubbli-ca una bella e documentata inchiesta su una faccenda cherisale al 2000, ovvero l’acquisto della Banca del Salento,fatto dal Monte Paschi di Siena, faccenda oscura, a trattidissennata, svoltasi in un ambiente non lontano dall’attua-le ministro degli esteri).

Tronchetti Provera, letto il piano che conosceva già, cosìcome lo conoscevano i consulenti di Murdoch, decide diaderire, ma con una velenosa aggiunta: scorporo, come michiedete, la rete fissa, mi preparo ad essere salvato da voi,ma scorporo anche quella mobile, che se per caso vi gira dimollarmi a mezza strada ho un salvagente cui aggrapparmi.Ora, se questa succosa postilla sia stata o meno oggetto dicomunicazione a Prodi, non lo so, ma è arcisicuro che nelcorso dell’incontro si parlò, eccome, del resto. Quindi,quando Prodi dice che non gli fu detto niente mente. E dato

La gara a darsidel bugiardo,

mentrearrivano

gli arresti

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che si tratta di una bugia piuttosto patetica, significa che glibrucia da morire l’essere stato gabbato da un uomo che luiriteneva di avere in pugno.

Dice Prodi che “quando si parla con il presidente delConsiglio si deve dire tutta la verità”. A forza di vedersiritratto da parroco deve essere entrato nella parte, madovrebbe indicare in quale fonte di diritto ha letto una simi-le scempiaggine. Anzi, dato che è stato lui a far divulgareun verbale di parte di quel colloquio, credo che nessuno,mai più, vorrà dirgli nulla che ritenga non debba divenirepubblico. Dice Rovati che il suo errore è stato quello difidarsi di Tronchetti Provera, e questa volta sento la since-rità nata dal dolore: ma come, eravamo d’accordo su tutto,ne avevamo parlato, altri lo mettono per iscritto, io te lopasso e tu lo fai pubblicare?! È vero, non doveva fidarsi.Ma lo spilungone sincero, quello che secondo Prodi nondoveva dimettersi e secondo i ds doveva sparire dalla cir-colazione, forse non si rende conto che il suo fidarsi è l’e-satto contrario di quel che sostiene il di lui principale.

Auspica Prodi che si deve “ragionare seriamente sulfuturo delle telecomunicazioni”. Bravo, ben detto. Ed aquale futuro immaginabile risponde l’idea di ristatalizzarela rete fissa, con i soldi della Cassa Depositi e Prestiti?Oltre ad essere un errore è anche scandaloso il modo in cuisi è provato a farlo, ma prima di tutto è un errore. La retefissa è, in prospettiva, un affare più interessante di quellamobile, ed è dal tipo di investimenti che qui si faranno chedipende l’evoluzione del mercato delle comunicazioni. Sela rete fosse solo un costo, il compito del regolatore sareb-be quello di costringere chi fa altri profitti a mantenerla invita. Siccome, invece, quella rete sarà determinante ne deri-va che nessuno potrà farla crescere meglio di chi ci mette-rà i quattrini. Statalizzandola si ottiene un duplice disastro:a. un’opportunità si trasforma in onere, a spese dei cittadi-ni; b. l’evoluzione ce la scordiamo e congeliamo tutto,restando senza altra banda che quella operante in politica. Icapitali pubblici possono entrare nel mercato, ma per inno-vare e sviluppare, non conservare e proteggere. Comunque,

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di questo, Prodi, con chi ne ha parlato? La cosa paradossa-le è che ne ha parlato solo ad una persona: Tronchetti Pro-vera.

Quello stesso 20 settembre successe una seconda cosa,che richiama ad uno dei guasti profondi dell’organismoistituzionale italiano: nel mentre Tronchetti Provera divie-ne sempre meno potente, o appare tale, la procura dellaRepubblica di Milano ottiene l’arresto di quanti avrebberosvolto attività spionistiche per conto di Telecom e Pirelli, acominciare da Giuliano Tavaroli, che di Tronchetti Proveraè personale collaboratore. Ancora una volta un collassofinanziario si accompagna ad un’inchiesta penale, o vice-versa, a seconda dei gusti e dei punti di vista.

Sul fronte ancora politico, invece, Prodi aveva detto cheRovati non si sarebbe dovuto dimettere, e si è dimesso, poi,nell’ordine, che non sarebbe andato in Parlamento, chesarebbe andato alla Camera ma mai al Senato, ed invecedovrà andare sia alla Camera che al Senato. A costringerloa questo continuo rimangiarsi le cose dette non è l’opposi-zione, di cui non si sarebbe curato punto, ma la stessa mag-gioranza di governo, innervosita sia dalla gestione persona-le dei rapporti con Telecom Italia, sia dalla dissennata con-dotta che ha esposto tutti al pubblico discredito.

Il 28 settembre Romano Prodi, alle tredel pomeriggio, prende la parola alla Came-ra dei Deputati. Secondo lui, lo abbiamovisto, era da matti immaginare che si sareb-be svolto quel dibattito e che lui vi avrebbe

preso parte. Comunque, sebbene non lo volesse, sebbeneabbia fatto di tutto per evitarlo, Prodi avrebbe dovutorispondere a precise domande, rivoltegli dai parlamentari,ma oramai presenti in tutta l’opinione pubblica che nonaveva ignorato il caso. Eccole.

1. È noto che, secondo lui, Angelo Rovati non si sareb-be dovuto dimettere. Il collaboratore che passò a Tronchet-ti Provera il piano cui il presidente di Telecom si sarebbedovuto attenere, e che lo fece partire da Palazzo Chigi

Le domande cui Prodi

non ha volutorispondere

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accompagnandolo con un biglietto intestato dove, di suopugno, lo ringraziava “per la disponibilità” (a proposito,quale? normalmente si mettono i saluti, mentre se si rin-grazia per la disponibilità s’intende qualche cosa di preci-so, cosa?), Rovati appunto, sarebbe dovuto restare al suoposto. Allora, prima domanda: ma gli sembra normale che,dalla sede del governo, ci si faccia gli affari altrui o,meglio, si lavori quali mediatori d’affari?

2. Rovati, colto dall’altruismo ingenuo di chi tenta diaddossarsi colpe non proprie, ha detto che quel piano erafrutto di un lavoro privato, fatto con un amico. L’amiciziaè un nobile sentimento, quindi si vorrebbe sapere: chi è, l’a-mico? Un compagno di merende domenicali, solitamenteimpegnato sul fronte ortofrutticolo, o, per caso, un profes-sionista che già seguiva la materia, magari come consulen-te di qualche candidato partner di Telecom?

3. Immagino non sia facile sentirsi rispondere: “laseconda che hai detto”. Mettiamo, allora, che sia la prima.Il piano è piuttosto preciso e particolareggiato, denotandouna buona conoscenza della materia e delle intenzioniriservatamente espresse da Tronchetti Provera. Sarebbeinteressante sapere: se l’amico consultato è estraneo alletrattative, chi gli ha dato gli elementi utili per il suo oramaiceleberrimo lavoro? ha provveduto Rovati, davanti ai soli-ti tavoli a tre piedi che da tempo accompagnano le dome-niche prodiane? e se è stato Rovati, era con lui medesimoche Tronchetti Provera aveva condiviso i dolori, o le noti-zie gli arrivavano da Prodi?

4. Il piano contiene un’idea, che è quella di scorporare larete fissa e consegnarla alla Cassa Depositi e Prestiti, ovepare che uno dei banchieri consulenti di Murdoch, e prove-niente dalla banca d’affari dove prestava servizio Prodi, siastato candidato alla presidenza. Ma questa è solo una coin-cidenza, ovviamente. Tale era la posizione di Prodi, che neaveva discusso con Tronchetti Provera (mentre nega diavere mai saputo dello scorporo della rete mobile). C’è unproblema, però: la privatizzazione di Telecom fu curata dalgoverno Prodi che, all’epoca, ritenne utile e produttivo l’e-

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satto contrario, ovvero mantenere la rete fissa sotto la stes-sa amministrazione del resto della società. Pertanto: ritienedi avere sbagliato allora? sono insorte novità, e quali? ècosì divertente vendere a poco e ricomperare a tanto, con isoldi degli italiani?

5. L’idea dello scorporo della rete fissa era già stata dis-cussa nella maggioranza di governo, e ci sono dichiarazio-ni, in tal senso, che riportavamo i primi di agosto. Sicco-me nel tomazzo programmatico questa roba non c’è, sidomanda: il Parlamento sarebbe stato messo al corrente acose fatte, o si contava sul fatto che i parlamentari loavrebbero letto direttamente sui giornali? No, perché veni-re, adesso, a dire che il dibattito si fa sulla politica delletelecomunicazioni, così da buttarla in strategia, è giusto untantinello tardivo.

6. Posto che attorno a quell’idea lavorava il governo, eposto che Guido Rossi ha già detto che non se ne parla nep-pure, si desidera sapere: le proposizioni di Rossi in cosasono differenti da quelle di Tronchetti Provera, e se eranoinaccettabili le seconde, lo sono anche le prime? Nel casonon siano condivise dal governo, come tutto lascia intende-re, questo ha intenzione di prendere dei provvedimenti, equali? È urgente che sia chiarito, perché l’Italia tutta sta giàpagando un prezzo altissimo in termini di credibilità inter-nazionale.

7. Veniamo alla nazionalità del futuro assetto proprieta-rio. All’epoca delle tentate scalate bancarie Prodi criticò, eda ragione, quei settori politici che si adoperavano per farvalere un prosaico “non passi lo straniero”. Poi, però, quan-do Tronchetti Provera ha reso nota la precaria condizionedella proprietà Telecom gli è stato detto che, prima di ognicosa, si doveva salvaguardare l’”italianità”. Concetto poiripetuto. Ora la proprietà Telecom non è solo scalabile, maquasi raccattabile. Quale dei due criteri vale? Gli avversaridel fazismo bancario si sono convertiti ad un fazismo tele-comunicativo? E, non ultimo, non è che per aiutare il trico-lore in Telecom si è già stabilito di spagnolizzare Autostra-de, talché i Benetton abbiano dei denari da reinvestire?

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8. Il dibattito odierno lo si sarebbe voluto manicomiale,e passi. Ma non ritiene, il governo, che l’intera vicenda,coinvolgendo la politica stessa delle comunicazioni edarricchendosi di zone che sono grigie per non dire diretta-mente nere, meriti una commissione parlamentare? So chela materia non è di competenza governativa, ma so ancheche, a detta di tutti i suoi avversari, Prodi è il capo dellamaggioranza, ed in tal senso tenuto a rispondere.

9. I debiti di Tronchetti Provera sono affari suoi, e sareb-be bene li paghi con soldi suoi, ma il governo ha valutatol’eventuale impatto sul sistema bancario, ha esaminato ilrischio connesso ad un’eventuale impossibilità? Già, per-ché dire che Tim non deve essere venduta, senza porsi que-sto problema, non è molto pregno di significato.

Alla Camera dei Deputati, come poi alSenato, Prodi non ha risposto a neanche unadi queste domande. In compenso, specie alSenato, si è lasciato andare ad un dottalezione su come si dovrebbero fare le privatizzazioni esulla necessità di garantire che ad acquistare siano gruppicon capacità finanziarie tali da stare al passo con i necessa-ri investimenti. Molto giusto e molto bello. Ma chi è chegovernò la privatizzazione di Telecom Italia, chi avrebbedovuto esercitarsi in quella garanzia? Romano Prodi. Quin-di il Prodi capo del governo nel 2006 tiene banco eviden-ziando gli errori del Prodi capo del governo nel 1996. Ecredo lo abbia fatto per dare maggior valore alla sua inizia-le e sempre valida intuizione: roba da matti.

Chi non riesce più a stare zitto è Angelo Rovati, chesente bruciare l’affronto di essere stato la causa di una tem-pesta abbattutasi sul suo amico tornato alla presidenza.Così parla, il 2 ottobre, per il tramite del Corriere dellaSera, ma, come si dice, la toppa è più colorata del buco.Certo, chi trova un amico trova un tesoro, se poi l’amicoche trovi fa anche il tesoriere del tuo gruppo politico, nonresta che fargli fare il consigliere economico. Lui, AngeloRovati, ha deciso di trasformarsi in monumento all’abne-

Chi trova un amico trova un tesoro

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Il candido Rovati ed il suo informato piano

gazione, in modo da mettere l’amico, Romano Prodi, alriparo dagli attacchi. Ad esagerare, però, c’è il rischio disubire la bruciante accusa di ridicolaggine.

Secondo Rovati, allora, le cose sarebbero andate così: aPalazzo Chigi si occuparono, effettivamente, di TelecomItalia, ma fuggevolmente, al mattino, e chi, come il soloRovati, sosteneva l’opportunità di scorporare la rete fissa efarla acquistare dalla Cassa Depositi e Prestiti veniva rim-brottato, specie da Prodi che, come è noto, è esponente diuna scuola liberista, contraria all’intervento dello Stato nelmercato. Ma lui, Rovati, non si da per vinto, e siccome, perlavoro, continua ad incontrare manager di vario livello, aciascuno di essi pone il tema di Telecom. Le risposte piùinteressanti le riceve da Bernabé e Colao. Non ci dice se idue pensavano di parlare con l’amico Angelo o con il con-sigliere economico di Prodi, sta di fatto che le loro parolegli sono sembrate convincenti e le ha trascritte. Poi, sicco-me si trovava in barca con un amico di Tronchetti Provera,e quest’ultimo chiamava per informare l’armatore del suocordialissimo incontro con Prodi, ecco che è proprio il bar-carolo a mettere in contatto il presidente di Telecom conRovati, temporaneamente componente la ciurma. Ora, dicoio, se Tronchetti e Prodi non parlarono di Telecom, dei guaifinanziari e del modo per porvi rimedio, com’è che il baldomarinaio si permette di presentare un suo piano, per giuntapersonalissimo e computato rubacchiando idee a qualcheignaro consulente?

Comunque, arriva il giorno in cui il piano viene conse-gnato, per il tramite di un uomo appositamente inviato aPalazzo Chigi. Prima domanda: ma gli sembra normale, albuon Rovati, diffondere da quella sede piani che sono l’op-posto di quel che pensa il presidente del Consiglio? Secon-da questione: perché scrisse a Tronchetti “grazie per la dis-ponibilità”? disponibilità a che cosa?

Sta di fatto che il destinatario riceve il piano, chiamacortesemente e dice all’autore che gli sembra una grancavolata. Grazie, prego. Poi riunisce il consiglio d’ammini-strazione e vara un riassetto che in parte ricalca il piano ed

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in parte va oltre. Arriva Prodi, che naturalmente non sanulla di nulla, e dice: “sono sconcertato”. Di cosa, è scon-certato? Precisa Rovati: Romano era sconcertato dal fattoche quel riassetto si muoveva in direzione opposta a quellavarata da Telecom poco più di un anno prima. Bella spie-gazione, il che significa che Prodi ha un’anima da azionistaTelecom, e si sconcerta per le inversioni di rotta a prescin-dere dal giudizio su quale sia la rotta buona? Il bello è cheanche il piano Rovati è un’inversione di rotta, giacché pre-vede l’esatto opposto di quel che fece il precedente gover-no Prodi.

Morale, quel che Rovati racconta al Corriere della Seranon sta in piedi, non ha senso logico, e fa venire il mal dimare. Rappresenta lo staff del presidente come compostoda persone che vanno ciascuna per i fatti propri, ma hannoin comune il venire da Goldman Sachs e lo sperare di con-tinuare a fare affari insieme. Naturalmente fra una festa el’altra.

E non è finita, perché il giorno stesso in cui l’intervistaviene pubblicata i due citati, Ovvero Bernabé e Colao,provvedono immediatamente a dire: chi, noi, quando, conchi? Insomma, dicono che loro di Telecom non parlarono,semmai fu Rovati a chiedere, ma i due se la sbrigaronorispondendo in modo evasivo e tagliando corto. Ecco che,allora, alla fine di questa tragicommedia, resta senza rispo-sta la domanda: chi scrisse quel piano e sulla base di qualiinformazioni? Se Prodi e Rovati continuano a scavarsi lafossa pur di non rispondere, vuol dire che qualche cosa dioscuro, di profondo, di non esponibile lo rende impossibile.

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l piano Rovati e, lo abbiamo visto, le significative opi-nioni favorevoli ad una rinazionalizzazione della retefissa, è la trascrizione di un certo modo di vedere ilmercato delle telecomunicazioni, anzi, direi il merca-to in generale. Certo, è stato elaborato pensando ad unproblema prima di tutto finanziario, ma è anche una

buona occasione per discutere di idee, di politiche per lacomunicazione.

Non voglio portare fuori strada il racconto dei fatti rela-tivi a Telecom Italia, ma è davvero preoccupante che, intutti questi giorni, non si sia trovato modo di parlare di unevidente interesse collettivo. Le scelte da compiersi nonhanno natura meramente tecnica, e può discuterne anchechi non abbia competenze specifiche nel mondo delle tele-comunicazioni. Queste scelte, come ogni altra, però, nonpossono prescindere dalla realtà e dal bisogno di conoscer-la. Il motto einaudiano resta sempre valido: conoscere perdeliberare. L’impressione, purtroppo, è che larga parte delmondo politico ritenga troppo faticoso conoscere e quasisuperfluo deliberare.

Il quadro di riferimento, in due parole. Inostri telefoni sono tutti attaccati ad una rete.Quelli di casa ed ufficio grazie alla rete fissa,che giunge con un doppino fin dentro le stan-

Il grande valoredelle reti,

il monopolio ed i privati

I

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ze, quelli mobili grazie ad una rete invisibile, senza fili, mache continuamente “lega” il cellulare (è come se si dicesse-ro: “dove sei?” - “sono sempre qua”, “non ti vedo più” -“sono arrivato da quest’altra parte”, è anche questo il motivoper cui le batterie si scaricano non telefonando, perché il tele-fono comunica sempre, a meno che non lo si spenga).

Realizzare la rete è un investimento, manutenerla edaggiornarla un costo. Chi spende quei soldi lo fa perché sache i clienti, telefonando, o anche solo pagando canoni ericariche, li remunereranno. Finché si era in regime dimonopolio, c’era poco di che ragionare: il proprietariodella rete era il gestore della telefonia e praticava i prezziche gli pareva, fornendo il servizio nei tempi e nei modiche gli aggradavano. Il monopolio, però, non aveva soloconnotazioni negative, conteneva anche una cosa grande-mente positiva: gli investimenti erano così costosi ed il lororendimento così dilazionato nel tempo che nessun privato liavrebbe fatti, e comunque non in regime di competizione.Li fece lo Stato, in monopolio.

La privatizzazione di Telecom Italia sarebbe dovuta ser-vire per accompagnare in modo coerente l’apertura delmercato alla concorrenza. Il piano Rovati, nel 1997 avreb-be avuto un senso (e sarebbe stato anche possibile, vistoche il presidente del Consiglio era sempre Prodi) perché sisarebbe potuta vendere la telefonia mantenendo in manopubblica la rete, sulla quale i diversi concorrenti avrebberoofferto i loro servizi senza finanziare l’ex monopolista. Maallora si fece la scelta opposta, si privatizzò un monopolioe si aprirono solo pochi e monchi spazi alla concorrenza,con il risultato che si depresse quel mercato. Il Prodi dioggi, quello che critica il modo in cui si è fatta la privatiz-zazione, è un censore feroce del Prodi di ieri. Non deveessere facile vivere, in quelle condizioni. Né è facile aver-ci a che fare, perché non si sa mai a quale dei due ci si starivolgendo.

La rete, dunque, si fece con i soldi dei cittadini, quellidelle tasse e quelli delle bollette. Il cavo sottomarino checollega l’America Latina all’Italia lo si stese investendo

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anche soldi dei nostri emigranti, il che non guasta ricordar-lo, senza per questo cedere alla retorica. Quando si vendet-te lo si fece per fare cassa, e se ne fece poca, scegliendo ditenere la rete unita ai servizi. Poi si è aperto a qualcheforma di concorrenza, portando chi voleva battere Telecoma dover pagare Telecom per raggiungere i clienti (sempreper quel benedetto doppino, che dalla centralina del quartie-re entra in casa nostra). Ora, dice il piano Rovati, dicono isostenitori della rinazionalizzazione, questo schema nonfunziona. Ed hanno ragione. Allora prendiamo di nuovo isoldi dei cittadini, ricompriamoci la rete fissa e mettiamolaa disposizione di tutti, Telecom Italia compresa. E qui hannotorto, marcio.

Non solo perché si finirebbe con l’avere investito molto,avere venduto a poco, e poi ricomprato a di più, non solo,quindi, per una ragione di moralità e ragionevolezza nelmaneggio dei soldi pubblici, ma anche per una ragione disostanza.

Quando i soldi dello Stato furono inve-stiti per realizzare la rete fissa, quella era larete di comunicazione, e quello era l’inte-resse collettivo. Fu giusto investirli e furo-

no investiti bene. Ma, oggi, è sempre quello l’interesse col-lettivo? La risposta è: no. Se oggi lo Stato ricomprasse larete dovrebbe, per prima cosa, aggiornarla e, quindi, faregli investimenti che i privati non hanno fatto, pur essendoremunerati per farli. Se lo Stato comprasse dovrebbe prov-vedere a diffondere la larga banda, ovvero provvedere aportare a tutti quella nuova rete di comunicazione che è,questa sì, un interesse collettivo, dovrebbe provvedere ariprendere il lavoro interrottosi quando i privati bloccaronoil piano di cablatura, avviato da lungimiranti “boiardi”. Eper fare tutto questo dovrebbe anche pagare un bigliettod’ingresso? Ma non scherziamo!

Qui non si tratta di dividersi in scuole ideologiche, cheson sempre delle brutte scuole. Non si tratta di lanciare ana-temi contro i soldi dello Stato, o, all’opposto, sostenere che

Qual è, oggi,l’interessecollettivo?

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solo quel che è in mano pubblica è realmente aperto a tutti(io, poi, gli uffici pubblici li trovo quasi sempre chiusi). Cisono stagioni e settori di mercato in cui i soldi pubblicifanno da moltiplicatore della ricchezza collettiva, e, quindi,sono ben investiti e vanno spesi. E ci sono stagioni e setto-ri dove, invece, quei quattrini servono solo a proteggere lacagionevole salute di taluno dagli spifferi del mercato, inun accanimento terapeutico che non è solo inumano, maanche estremamente costoso, quindi non vanno spesi.

Nel caso delle telecomunicazioni gli operatori privatisono più che in grado di investire quel che serve ad occu-pare un lucroso mercato, quindi i soldi pubblici non devo-no essere spesi. Ma se proprio si vuole investirli, allora li siinvesta laddove maggiore è l’interesse della collettività,ovvero nella diffusione dell’accessibilità ai servizi più evo-luti, alla larga banda. E qui il lettore pazienti qualche minu-to e non si faccia scoraggiare dagli acronimi.

Se si va a leggere i programmi di Tele-com Italia, come di altri operatori, si trovapiù volte ribadita l’intenzione di diffonderela larga banda, ovvero quel tipo di rete checonsente di scambiare dati in gran quantità,quindi non solo internet per tutti, ma anche,tendenzialmente, la televisione. Ma se silegge con più attenzione, si scopre che per larga bandaintendono sempre una riqualificazione della rete fissa, pas-sando dall’adsl per giungere alla fibra ottica. Ci voglionosoldi ed anni. C’è una scorciatoia. La larga banda può dif-fondersi anche senza fili, ma non a prescindere dalla retefissa, può, cioè, camminare in giro per il mondo grazie acavi e satelliti, ma arrivare al vostro telefono ed al vostrocomputer via onde radio. È possibile grazie al wi-fi, lo èancor meglio con il wi-max. Ed a questo punto si rizzano icapelli sulla testa dei gestori.

Quei sistemi sono stupendi. Arrivi in albergo, al bar, alristorante, in un parco, all’aereoporto, apri il computer e seiconnesso con il mondo. Una certa retorica da luogocomu-

Garantirel’accesso allanuova rete,capace di portarecontenutiimportanti

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nismo pasoliniano e lucciolesco dice: è la fine, saremo pri-gionieri ovunque ci si trova. Ma la positiva realtà di chi nonpassa il tempo a dolersi dell’esser nato, grida: evviva, saròlibero di essere ovunque. Insomma, pensate alla rivoluzio-ne del telefono cellulare: prima si doveva restare fermidavanti al telefono, se ci si spostava si dovevano lasciaremille recapiti, ora si va dove ci pare ed il telefono lo por-tiamo in tasca. Un passo indietro? No, qualche chilometroavanti. Tanta bellezza, però, ha, per i gestori, il terribiledifetto di mandare gambe all’aria la loro idea di come farsoldi.

Significa questo: ciascuno di noi paga un tot per avere iltelefono, poi paga in proporzione di quanto telefona (vale,in maniera combinata, con ogni tipo di contratto, anche conquelli che stabiliscono una cifra fissa, ma non bassa). Seuso la larga banda, però, le telefonate in voce potranno pas-sare come dati (si chiama: voice on ip, ed usa il protocollointernet per farci parlare) e, quindi, il gestore non può piùfarmele pagare. Il che vale anche per le telefonate interna-zionali (costosissime), e vale per la telefonia cellulare,giacché i nuovi modelli di telefono sono capaci di ricono-scere le aree in questo modo attrezzate, ed in quelle mi fachiamare senza usare la rete del mio gestore, quindi gratis.In queste condizioni, dicono i gestori, la rete fissa resta uncosto, ma la sua remunerazione sarà sempre inferiore, conil risultato che collasserà. Ecco, io i soldi pubblici li mette-rei proprio ad espandere la larga banda senza fili, cioè afavorire un collasso che non ci sarà.

Per la verità, non c’è bisogno di soldi pubblici, è suffi-ciente che si facciano saltare tutti i vincoli e gli ostacoli cheil ministero delle comunicazioni e l’Autorità si sono affan-nati a lasciare, quali macerie sui binari, per evitare che siproceda troppo velocemente. Ma ove mai li si voglia spen-dere per forza, questo è un buon motivo. Per propiziare ilcollasso della rete fissa? No, per promuovere il suo rilancio.

Gli ex monopolisti (non solo in Italia) dicono di voleredifendere il valore della rete fissa, ma, in realtà, difendonola propria incapacità di cambiare e competere. I sistemi che

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diffondono la larga banda per mezzo delle onde radio nonpossono certo prescindere dalla rete fissa. Diciamo che è unpo’ il rapporto esistente fra l’acquedotto ed i rubinetti: noiprendiamo l’acqua dai rubinetti, ma se si prosciuga l’ac-quedotto hai voglia ad aprirli, si resta comunque a secco.Gli ex monopolisti si battono contro la diffusione del rubi-netto, dato che già fanno soldi vendendo l’acqua con letaniche. Qual è l’interesse collettivo? tutelare l’acquedotto,promuovere i rubinetti e punire la rendita parassitaria di chicommercia in taniche. Nel nostro caso si deve promuoverela diffusione di wi-fi e wi-max, regolando il mercato inmodo tale da trasferire parte dei profitti al mantenimento esviluppo della rete. Quel che serve, insomma, non è unoStato investitore, ma uno regolatore e garante.

In un quadro di questo tipo, la societàdelle reti può essere pubblica, se rimastanelle mani dello Stato al momento della pri-vatizzazione. Ma può benissimo essere pri-vata, nel senso di proprietà di un solo gesto-re, che la rende utilizzabile a tutti gli altri competitori secon-do norme e criteri stabiliti pubblicamente e facendo pagaretariffe orientate ai costi e che non generino un antieconomi-co ed immotivato sopraprofitto. Così come può esser privatanel senso di detenuta da una società specifica cui partecipa-no tutti gli altri, od una parte dei gestori concorrenti, a dimo-strazione che non è quello il business sul quale puntare, maun bene strumentale a poterlo sviluppare.

Nel primo caso ci sarebbe un residuo del passato dadovere adeguare al presente, nel secondo sarebbe indispen-sabile una separazione contabile nell’amministrazionedella rete, nel terzo è sufficiente che le autorità controllinoche non insorga un accordo di cartello, magari finalizzato arendere difficili nuovi ingressi nel mercato. In tutti e tre loStato fa il suo mestiere, che è quello di regolatore e con-trollore, ed i soldi pubblici rimangono liberi d’essere desti-nati laddove lo sviluppo incespica, non dove tira fin troppobene.

La società delle reti ed il compitodel regolatore

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Il piano Rovati era l’esatto contrario, perché se lo Statoacquista la rete fissa è evidente che si protrarranno neltempo le errate politiche che ne proteggono il valore, con laconseguenza che sarà depressa una possibilità di sviluppoeconomico, civile e democratico, e, come se non basti, saràanche allontanata la data di riscatto e rinnovamento delmodello su cui la rete fissa si regge. Doppio errore, mafiglio di un certo modo di concepire il mercato e la politi-ca, non d’ignoranza.

Le reti di comunicazione sono ricchezzacollettiva, non per questo da collettivizzar-si. Quando si compiono grandi investimen-ti per far nascere questa ricchezza collettiva

è ragionevole (ma non indispensabile) sia che lo Statospenda direttamente, sia che protegga gli investitori difen-dendone il mercato. Oggi non siamo in questa condizione.L’interesse collettivo è non solo quello di diffondere ovun-que i servizi più avanzati, di diffondere quell’alfabetizza-zione informatica che è lingua indispensabile per qualsiasidisciplina, ma anche quello di far crescere i mille impren-ditori che quei servizi sappiano inventare e commercializ-zare, offrendo loro una palestra dove rafforzare le gambe ecorrere per il mondo.

A questo interesse, da molti anni, si dedica poca e nes-suna attenzione. Il governo di centro sinistra, lo abbiamovisto, avrebbe voluto mettere i soldi nell’acquisto di quelloche gli italiani avevano già pagato. Il governo di centrodestra, con la dissennata e puerile politica di promozionedel digitale televisivo terrestre, li ha spesi per far vedereloro quel che già vedevano e nel solito modo passivo e noninterattivo. Basterebbe questo per chiarire quanto il proble-ma italiano è un problema di classe dirigente. Che manca.

Tutelare la ricchezza

collettiva

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I poteri deboli e le regole ignorate

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el raccontare le storie ed i fatti di quel che restadel capitalismo italiano, troppo spesso s’usanoiperboli che hanno a che vedere con il “potere”.Quando si guarda alla pochezza della politica,s’usa ricordare che dovranno essere fatti i conticon i “poteri forti”, intendendosi per tali quelli del

denaro. Il guaio è che di poteri forti ce ne sono sempremeno, più che altro si ha a che fare con arroganti deboli,ovvero soggetti che pretendono di dominare nel piccolostagno del mercato interno italiano, che contano di vincerele loro partite grazie alle coperture legislative e politiche,che succhiano sempre di più la ruota degli ex monopoli etentano di arricchirsi con le tariffe, ma che poi, nel merca-to internazionale, sono dei pesi piuma, contano poco eniente, sono, appunto, deboli.

La vicenda di Telecom Italia è il festival del torto, l’o-limpiade dell’errore, il tripudio della colpa. L’inizio dellafine è nella malaprivatizzazione, la caduta verticale iniziacon l’opa lanciata da Colaninno. Ancora oggi non si sonovalutati le conseguenze ed i costi di quell’operazione, cheha trasferito una montagna di ricchezza in tasche private, etalora sconosciute, distruggendo ricchezza pubblica inquantità cento volte superiore. Il tutto ad opera, certamen-te, dei governi Prodi, D’Alema e nuovamente Prodi, maanche senza che l’opposizione sia stata capace di percepire

N

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l’entità del guasto e di mettere in campo un’adeguata azio-ne di contrasto politico. Va detto. Una grande multinazio-nale italiana è stata distrutta nel mentre la politica restava aguardare. Nel migliore dei casi.

Marco Tronchetti Provera ha la respon-sabilità di avere creduto d’essere capace difare quel che ad altri non riusciva. Benconosceva la dimensione del debito cheColaninno aveva accumulato con l’opa lan-ciata con soldi non suoi, ma ha creduto dipotere riuscire a dominare il mercato egovernare i bilanci in modo da portare a casa un successo.Ha fallito.

Il mercato è stato buono, con lui, non gli si è ribellatocome si ribellò a Colaninno, egli ha dimostrato molte capa-cità nell’amministrazione del potere. Ma i numeri non silasciano commuovere, non cambiano colore al mutare d’u-more dei direttori dei giornali. Il titolo Pirelli valeva 3,3euro prima che si parlasse dell’acquisizione di Telecom Ita-lia, già prima dell’11 settembre 2001, quando le procedured’acquisto erano in corso, era sceso ad 1,59. Il titolo Tele-com Italia ha perso il 30 per cento del suo valore nel corsodei cinque anni di governo Tronchetti Provera, nel mentre laBorsa saliva del 61 per cento. Se la catena proprietaria ripor-tasse ai valori reali la partecipazione in Telecom emergereb-be che, per Pirelli, il costo dell’operazione è stato enorme,la perdita secca e l’equilibrio fra patrimonio e debiti arischio. Fin qui Tronchetti Provera ha potuto sostenere, aragione, che il valore della quota posseduta da Olimpia nonpuò essere dato dalla mera somma delle azioni in portafo-glio ed a prezzi di mercato, per la semplice ragione chequella quota consente il dominio su Telecom Italia, e se nedeve calcolare il relativo premio. Ma, a parte il fatto chetutto questo comporta l’obbligo del consolidamento, adessola situazione è cambiata e considerato che, calcolando anchele azioni di risparmio, il mercato ha in mano l’87,6 per centodi Telecom, è evidente che quella condizione di dominio è

È statoamministrato il potere, manon la societàimpegnata nelletelecomunica-zioni

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destinata a cadere. Con quel che significa nei conti.Per cinque anni è stato amministrato il potere, ma non

l’azienda, non il debito. Lo spettacolo era sotto gli occhi diquanti avevano voglia di vederlo, e noi lo abbiamo ancheraccontato nel mentre si svolgeva. Nessuno, quindi, ha ildiritto di mostrarsi stupito, perché non sta succedendo nullache non poteva essere previsto.

In tutti questi anni, almeno dall’opaall’origine del disastro, non hanno funzio-nato le Autorità di controllo. Va detto e ripe-tuto perché da più parti si ciancia sulla loroautonomia ed indipendenza, e da altre partise ne paventa una riforma che sa tanto di

rieducazione. Invece il punto è un altro: quelle Autorità ser-vono a garantire, in tempo reale, la moralità del mercato,ovvero la moralità di un mondo dove l’arricchimento èanch’esso morale e salutare, ma nel rispetto delle regole enella tutela di tutti gli azionisti. Passate Cirio, Parmalat eTelecom Italia, messi anche in evidenza i legami fra le trevicende (ancora non emersi in tutto il loro peso), è eviden-te che la moralità è stata considerata un inutile orpello.

E non hanno funzionato neanche gli organi della mora-lità societaria, quelli che, dall’interno, dovrebbero garanti-re la corretta e sana amministrazione, che non possonocerto impedire gli errori imprenditoriali (quelli sono con-naturati al mestiere d’imprenditore), ma dovrebbero garan-tire che non siano cosa diversa da errori.

Su questo dovrebbe riflettere la scuola giuridica, quellasocietaria, su questo dovrebbe maturare idee la politica.Invece niente, ancora tutti ad ammirare la “furbizia” di que-sto o di quello, la sua estrosità contabile, la sua spregiudi-catezza borsistica, senza neanche accorgersi che sono tuttisintomi di un mercato opaco, camarillesco, dove le personesensate non investono i propri soldi.

Quando tutti i controlli non funzionano non resta che lagiustizia penale, ovvero il ricorso al magistrato che conte-sti questo o quel reato. Ma la giustizia penale è un tavolac-

Un mercato mal regolato e

mal controllatosi ammala

di patologiapenale

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cio per autopsie, ci arrivano i corpi senza vita o, peggio,quelli agli ultimi sussulti agonici. E poi non funziona nean-che la giustizia penale, che ha tempi intollerabilmente lun-ghi, incompatibili con la vita degli individui, figuriamocicon il ritmo dei mercati.

L’insieme di questi tre non funzionamen-ti rende il mercato italiano inaffidabile, l’in-capacità politica di capirlo e di porvi rime-dio sembra uccidere anche la speranza. Cosìprocedendo l’Italia si avvia ad annegarenella propria ricchezza, ubriacata da patrimoni che devonoancora essere consumati, aumentando la differenza nelladistribuzione dei redditi, rallentando fino a fermarla lacorsa dello sviluppo. Abbiamo ancora case e terre da ven-dere, come i nobili decaduti di un tempo, ma non sappiamotrovare la chiave per riprendere a costruire e coltivare.

Non hanno voce in capitolo i giovani, che sono esclusidella spartizione e cui indichiamo la via fiacca del “trovareun posto”. Non sperare di diventare ricchi, non sperare dieccellere, non avere una vocazione ed una passione cuidedicare una vita, no, “trovare un posto”. Così diventiamoil Paese che importa manodopera nera (in tutti i sensi) perraccogliere pomodori ed esporta economisti e scienziati.Anzi, non li esporta, li fa fuggire.

Non hanno voce in capitolo le forze di mercato cui s’in-segna il sottotono dell’evasione fiscale, cui si ripete l’anti-co ed ipocrita costume del considerare ricchi quelli cheguadagnano 70 mila euro lordi all’anno, cui s’insegna atenere basso il profilo in Italia per poi piazzare gli stabili-menti che tirano in Polonia.

Non ha voce in capitolo l’innovazione, la rottura degliequilibri, l’apertura dei mercati, la sana melodia della com-petizione. Si costruisce una realtà falsa che scambia l’e-guaglianza delle opportunità con l’egualitarismo dei tra-guardi, con il risultato di moltiplicare le ingiustizie socialie solidificare l’assenza di mobilità.

Il nostro è sempre di più un Paese in cui pesano le cor-

L’Italia che non ha vocee la ricchezzache ubriaca

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porazioni, i diritti acquisiti, l’egoismo di chi ha ma non saguardare avanti. Una volta si lamentava la ribellione deifigli verso i padri, ma ora c’è il conte Ugolino che tienelezione su quanto bene si possa campare mangiando il futu-ro dei propri figli. E di questo non si accorgono i nostri con-cittadini, perché la ricchezza patrimoniale ancora li droga,perché credono che la sorte dei figli loro, quelli che si chia-mano Peppe e Maria, che sempre più spesso sono dei figliunici, possa essere diversa, protetta, accudita, rispetto aquella degli altri giovani. L’egoismo generazionale è anche,naturalmente, un morboso e malato amore per il figlio pro-prio. Ma è avversità verso il nuovo, verso il cambiamento,verso quella distruzione dell’immobilismo che sarebbe cosìsalutare.

Cosa c’entra questo con Telecom Italia?C’entra, eccome, perché il disastro è matu-rato in questa insensibilità morale, politicae civile. C’era chi gridava, chi avvertiva delpericolo, ma gli altri preferivano doman-

darsi: perché lo fa, quali altri interessi sta difendendo, chilo paga? perché si mette contro tutti, perché non accetta l’e-videnza, perché pretende di dar lezioni a blasonati giornalie giornalisti, uomini di scuola e dottrina che difendono ilbell’andazzo? Sarebbe bastato un pizzico di minore indif-ferenza, un niente di maggiore libertà, un profumo di rigo-re morale e le cose avrebbero preso una piega diversa.

Adesso qui siamo, comunque, e da qui si riparte. Quelche si dovrebbe fare, nel campo delle telecomunicazioni,ho cercato di riassumerlo nel capitolo precedente. La spe-cifica sorte di Telecom dipende da come interpreterà il suoruolo l’attuale presidente, Guido Rossi. Egli ha scritto pen-sieri profondi circa il conflitto d’interessi, ora si tratta divedere come riuscirà a districarsene. Secondo il codicecivile il suo dovere è quello di difendere gli interessi del-l’azienda e di tutti gli azionisti, ma la sua nomina si devealla minoranza che ancora esercita un controllo e di cui,come egli stesso ha ricordato al Financial Times che indi-

Una drammaticainsensibilità

morale, politica e civile

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I poteri deboli e le regole ignorate

cava il problema, era consulente ed avvocato. Non dubitoche abbia la schiena dritta, ma nella storia di Telecom Ita-lia c’è già qualche traccia negativa della sua propensione aduscirne al momento per lui più propizio. Staremo a vedere.

Telecom Italia non è più la multinazionale di un tempo,ma è ancora una bell’azienda con significative possibilitàdi sviluppo. Con un management all’altezza ed una pro-prietà che non intenda usarla a secondi fini, può riprendereun cammino sano. Al momento in cui scrivo mancanoentrambe le cose. Staremo a vedere, ma con un’avvertenza:le aziende che si salvano con i soldi dello Stato normal-mente infettano il mercato e ne corrompono una moralitàfatta di ricchezza che accompagna il successo e fallimentoche accompagna l’insuccesso.

Per quel che riguarda noi tutti, per quel che attiene aitanto citati e poco praticati “interessi generali”, speriamovenga presto il giorno in cui una nuova generazione, unanuova classe dirigente sappia farsi avanti, chiudendo defi-nitivamente un capitolo pessimo, apertosi nella cruenta edoscura stagione del 1992 – 1994, facendola finita con l’e-terno regolamento di conti fra poteri che pensano ancora dicontare ed in gran parte sono già morti.

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eduta 28 settembre

Romano Prodi, Presidente del Consiglio deiministri. Signor Presidente, onorevoli colleghi, daoltre due settimane, l’opinione pubblica ed i cittadiniitaliani assistono ad un dibattito su Telecom Italia nel

quale argomenti e problemi sono stati tra loro mescolati inquello che oggi è divenuto un intreccio di ormai difficilecomprensione: strategie di impresa, politica industriale,assetti del capitalismo italiano ed altri temi sono stati affron-tati in un contesto che si è fatto via via più confuso; all’in-terno di tale contesto, demagogia e strumentalizzazionihanno preso via via il sopravvento.

Signor Presidente, altri sono gli interessi del paese, ed èad essi che deve essere rivolta l’attenzione del Parlamento edel Governo.

Al Presidente del Consiglio sono state rivolte le accusepiù disparate, talvolta persino infamanti, dall’ingerenza neiconfronti delle società quotate all’intenzione di perseguireuna politica economica neodirigista a quella, infine, di volermentire e di volersi sottrarre al confronto con il Parlamento.Non è uno scenario diverso da quello architettato per Tele-com Serbia (Commenti dei deputati dei gruppi di Forza Ita-lia e di Alleanza Nazionale)...

Presidente. Colleghi...

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Romano Prodi. Ebbene, non è uno scenario diverso daquella architettato per Telecom Serbia e si concluderà allostesso modo.

L’essere oggi qui, e tra qualche giorno in Senato, dimostraquanto l’accusa di volermi sottrarre al confronto con il Par-lamento sia infondata (Reiterati commenti dei deputati deigruppi di Forza Italia e di Alleanza Nazionale)...

Presidente. Colleghi, vi prego! Siamo all’inizio di questodibattito; il Presidente del Consiglio è venuto a riferire inAssemblea su nostra richiesta: consentiamogli di sviluppareordinatamente la sua argomentazione.

Romano Prodi. E a quanti - immagino - stanno già obiet-tando che la mia presenza sia il risultato di un ripensamento,di un dietro front (Dai banchi dei deputati dei gruppi diForza Italia, di Alleanza Nazionale e della Lega Nord Pada-nia si grida polemicamente: No...!)..

Marco Boato (Verdi). Presidente, è indecente questomodo di comportarsi!

Romano Prodi. ...figlio di chissà quale consiglio o pres-sione, a questi rispondo che proprio il rispetto per il Parla-mento mi ha indotto a rifiutare gli irriguardosi tentativi diutilizzare le aule parlamentari per portare il dibattito al difuori dei temi di reale interesse per il paese (Commenti deideputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza Nazionale edella Lega Nord Padania). Ribadisco innanzitutto in questasede quanto ho già più volte dichiarato, cioè che non sonomai stato messo a conoscenza di alcun piano su Telecom Ita-lia (Una voce dai banchi di Forza Italia: Provocatore!) e nonho avuto diretta conoscenza nemmeno di altre ipotesi chesono state elaborate, in questi mesi, per aiutare una delle piùimportanti imprese del paese a ritrovare il sentiero della cre-scita (Reiterati commenti dei deputati dei gruppi di ForzaItalia, di Alleanza Nazionale e della Lega Nord Padania).Questi piani, il Governo, non li ha mai analizzati, né tantomeno elaborati; e se sul punto qualcuno poteva nutrire dei

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dubbi, credo che le dimissioni e le spiegazioni di Rovati liabbiano già fugati (Commenti dei deputati dei gruppi diForza Italia, di Alleanza Nazionale e della Lega Nord Pada-nia). Queste dimissioni sono state un gesto che chiude ognipolemica e rende onore a chi le ha date.

Di fronte alle infondate e strumentali accuse di aver menti-to sul fatto che fossi a conoscenza del piano di organizzazionesocietaria varato dal consiglio di amministrazione di TelecomItalia lo scorso 11 settembre, ho già più volte risposto. Ribadi-sco, tuttavia, anche in questa sede, che negli incontri che i ver-tici di Telecom Italia hanno richiesto... (Commenti dei deputa-ti dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza Nazionale e dellaLega Nord Padania)... che negli incontri che i vertici di Tele-com Italia hanno richiesto non solo al Presidente del Consi-glio, ma anche ad autorevoli membri del Governo non è maistato fatto alcun accenno a tale piano, né a me né a loro.

E non è certamente un verbale di un consiglio di ammini-strazione di Telecom a costituire prova che il Presidente delConsiglio - e, con lui, il Governo - fosse a conoscenza delpiano di riorganizzazione. Lo stupore che ho espresso risie-de, quindi, nel fatto che si chieda di incontrare, con insisten-za, il Presidente del Consiglio e non si faccia alcun cenno aquella che, di lì a pochissimi giorni, sarebbe stata la nuovastrategia del gruppo. Vorrei che fosse chiaro, una volta pertutte, che non anticipare al Governo decisioni strategicherilevanti è nel pieno diritto di qualsiasi azienda. Non era,quindi, nemmeno obbligo per il management di Telecom Ita-lia informare il Governo. In particolare, voglio ribadire cheil Governo, quando era stato informato dal vertice di Tele-com del profilarsi di una partnership strategica con il grup-po Murdoch, si era limitato ad auspicare che il controllodella più importante azienda di telecomunicazione del paeserimanesse in mano italiana...

Elio Vito (FI). Falso!

Romano Prodi. ...e, nel contempo, che tale alleanza stra-tegica fornisse l’occasione per rilanciare l’industria italianadelle telecomunicazioni sui mercati esteri. Su entrambi i

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punti il Governo aveva ottenuto, in quel caso, ampie garan-zie. Abbiamo, infatti, sempre avuto la consapevolezza chenon è compito dell’Esecutivo elaborare piani e strategieaziendali. Questa è prerogativa esclusiva del management espetta agli azionisti ed al mercato valutarne la bontà. Ciò nonsignifica, però, che, pur nel rispetto dell’autonomia dell’im-presa privata, il Governo rimanga indifferente al destino diun’azienda come Telecom, così rilevante per il paese.

Onorevoli colleghi, il Presidente del Consiglio è perciòoggi in Parlamento per esporre qual è l’orientamento delGoverno nel delicato rapporto tra Stato e mercato, specifi-cando il significato e la valenza che le politiche pubblicheassumono in una moderna economia aperta. Per questaragione, non intendo soffermarmi su un altro e ben più tristecapitolo che, in questi giorni, tocca da vicino la principaleazienda di telecomunicazioni del paese: quello delle inter-cettazioni illegali, capitolo su cui mi auguro semplicementeche si faccia la necessaria chiarezza.

In questa sede, voglio solo esprimere solidarietà a tutti glistakeholders, azionisti, utenti, dipendenti e manager, chesoffrono nel constatare che il nome prestigioso della loroazienda venga associato a questa inquietante ed oscuravicenda. La magistratura e l’Autorità garante per la protezio-ne dei dati personali stanno svolgendo il loro lavoro e ilGoverno si augura che ciò avvenga in tempi rapidi. Peraltro,al fine di evitare che l’abuso e l’illegittimo utilizzo dello stru-mento delle intercettazioni possano pregiudicare i diritti fon-damentali dei cittadini e - lo dico senza retorica - anche lalibertà e la democrazia di questo paese, siamo già tempesti-vamente intervenuti con uno specifico decreto-legge. Mi facerto piacere che tutte le forze politiche, sia di maggioranza,sia di opposizione, abbiano apprezzato l’iniziativa dell’Ese-cutivo. Bisognerà, tuttavia, completare il lavoro con interven-ti successivi, organici e ben equilibrati, compreso il rafforza-mento dei poteri sanzionatori e delle risorse a disposizionedell’Autorità garante per la protezione dei dati personali.

Dicevo che oggi mi trovo in quest’aula per parlare dell’o-rientamento del Governo nel delicato rapporto tra Stato emercato.

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Italo Bocchino (AN). La Miranda!

Romano Prodi. Vorrei subito dire a coloro che ritengonoche il Governo voglia perseguire una politica dirigista, finaliz-zata all’uso dell’apparato pubblico inteso quale strumentoalternativo e distorsivo del mercato, che si stanno sbagliando(Commenti dei deputati del gruppo di Alleanza Nazionale).Questo modello il paese lo ha abbandonato a partire dai primianni Novanta e non sarà certamente il Governo di centrosini-stra, da me presieduto, a tornare indietro (Commenti dei depu-tati del gruppo di Alleanza Nazionale). Per me, in particolare,sarebbe anche sconfessare parte della mia storia professionale(Commenti dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Allean-za Nazionale, dell’UDC, della Lega Nord Padania e Misto-Movimento per l’Autonomia - Applausi polemici dei deputatidei gruppi di Forza Italia, di Alleanza Nazionale, della LegaNord Padania e Misto-Movimento per l’Autonomia), e vistoche, da presidente dell’IRI, in quegli anni (Commenti)...

Presidente. Colleghi, per favore! Lasciate svolgere l’in-tervento al Presidente del Consiglio dei ministri, in rispetto alui e in rispetto a tutta l’Assemblea, grazie!

Marco Boato (Verdi). Verranno ricambiati quando parle-ranno loro!

Presidente. Per favore, non ci si metta anche lei (Com-menti)!

Romano Prodi. Per me, in particolare, sarebbe anchesconfessare parte della mia storia professionale, visto (Com-menti - Applausi polemici dei deputati dei gruppi di ForzaItalia, di Alleanza Nazionale, della Lega Nord Padania edella Democrazia Cristiana-Partito Socialista)... Per me, inparticolare, sarebbe anche sconfessare parte della mia storiaprofessionale [Commenti - Applausi polemici dei deputatidei gruppi di Forza Italia, di Alleanza Nazionale, della LegaNord Padania, della Democrazia Cristiana-Partito Sociali-sta e dell’UDC.

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Presidente. Mi scusi, signor Presidente del Consiglio.Una parte dell’Assemblea ha già avuto modo di esprimerecompiutamente il suo pensiero, interrompendo il Presidentedel Consiglio dei ministri. Chiedo che l’Assemblea consentache si svolga regolarmente l’intervento del Presidente Prodi,come è stato promesso da questa Assemblea. Prego, Presi-dente Prodi, prosegua.

Romano Prodi. Per me, in particolare, sarebbe anchesconfessare [Commenti - Applausi polemici dei deputati deigruppi di Forza Italia, di Alleanza Nazionale, della LegaNord Padania e dell’UDC.

Ignazio La Russa (AN). Provocatore!

Roberto Menia (AN). Presidente!

Presidente. In questo momento faccio solo modestamen-te il Presidente di questa Assemblea. Temo che non stiamodando un bello spettacolo al paese!

Prego, Presidente Prodi, prosegua pure (Commenti).

Ignazio La Russa (AN). Presidente, lo richiami all’ordine!

Romano Prodi. Per me, in particolare, sarebbe anchesconfessare parte della mia storia professionale (Commenti -Applausi polemici dei deputati dei gruppi di Forza Italia, diAlleanza Nazionale e della Lega Nord Padania - Dai banchidel gruppo de L’Ulivo si grida: Basta! - Dai banchi dei depu-tati del gruppo di Alleanza Nazionale si scandisce: Corag-gio, coraggio, Prodi è di passaggio)...

Presidente. Colleghi, scusate. Non so come volete ridur-re questa giornata, non so cosa volete (Commenti)... Credoche ci siamo adoperati tutti per svolgere qui, alla Camera deideputati, una seduta importante, che oggi è sotto gli occhi ditutto il paese. Vorrei che i contenuti avessero la prevalenzasu ogni tipo di reazione.

La prego, Presidente del Consiglio dei ministri, di prose-

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guire e prego tutti i parlamentari di consentire l’ascolto(Commenti dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Allean-za Nazionale e della Lega Nord Padania)!

Romano Prodi. Per me, in particolare, sarebbe anchesconfessare (Commenti - Applausi polemici dei deputati deigruppi di Forza Italia e di Alleanza Nazionale - Commentidei deputati dei gruppi de L’Ulivo, di Rifondazione Comuni-sta-Sinistra Europea, dell’Italia dei Valori, de La Rosa nelPugno, dei Popolari-Udeur e dei Verdi)... Per me, in partico-lare, sarebbe anche sconfessare parte (Commenti)...

Presidente. La prego (Commenti)... Colleghi, scusate. Vorrei evitare di sospendere i lavori e

convocare la Conferenza dei capigruppo. Prego il Presidente del Consiglio dei ministri di andare

avanti e l’Assemblea di consentirgli di proseguire. Prego, Presidente.

Romano Prodi. Per me, in particolare, sarebbe anche(Vivi commenti - Applausi polemici dei deputati dei gruppi diForza Italia, di Alleanza Nazionale e della Lega Nord Pada-nia)...

Italo Bocchino (AN). Basta (Commenti dei deputati delgruppo dei Popolari-Udeur)!

Presidente. Signori deputati, faccio appello...

Italo Bocchino (AN). Si appelli a lui!

Presidente. ...alla sensibilità democratica di ciascuno divoi e faccio appello ai capigruppo in generale - dell’opposi-zione, in particolare - di farsi carico del problema di consen-tire lo svolgimento dell’informativa.

Prego il Presidente del Consiglio dei ministri di prosegui-re e prego singolarmente ogni deputata e ogni deputato diavere un comportamento che consenta la conclusione deldiscorso del Presidente del Consiglio. Grazie (Applausi dei

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deputati dei gruppi de L’Ulivo e di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea)!

Romano Prodi. Per me, in particolare, sarebbe anchesconfessare (Vivi, reiterati commenti dei deputati dei gruppidi Forza Italia, di Alleanza Nazionale, dell’UDC (Unionedei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro) edella Lega Nord Padania)...

Ignazio La Russa (AN). Lo richiami a non provocare!

Marco Boato (Verdi). Che cosa c’è, il direttore d’orche-stra?

Presidente. Sospendo la seduta e convoco immediata-mente la Conferenza dei presidenti di gruppo (Applausi).

La seduta, sospesa alle 15,15, è ripresa alle 15,55.

Presidente. Nella riunione della Conferenza dei presiden-ti di gruppo testé svoltasi, ho avuto modo di precisare i ter-mini di un corretto ed ordinato dibattito parlamentare, che ètale quando si realizzano condizioni di rispetto reciproco e diascolto nei confronti di chi interviene. Questo diritto la Presi-denza ha inteso tutelare con la sospensione dei lavori e si pro-pone di tutelare nel successivo svolgimento della seduta.

Uno sviluppo ordinato dei lavori è tanto più necessarioquando, come in questo caso, i lavori sono oggetto di ripre-sa televisiva diretta, che è un servizio offerto all’opinionepubblica del paese perché possa essere adeguatamente infor-mata sul merito delle questioni e sulle posizioni del Gover-no, della maggioranza e dell’opposizione.

Proseguiamo ora nei nostri lavori. Invito il Presidente delConsiglio a continuare nella sua informativa. Prego, Pre-

sidente, ha facoltà di parlare.

Romano Prodi. Stavamo parlando dell’evoluzione deirapporti tra Stato e mercato e stavo dicendo che, per me inparticolare, sarebbe anche sconfessare parte della mia storia

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professionale, visto che da presidente dell’IRI in quegli anniho avviato uno dei più consistenti processi di privatizzazio-ne intrapresi in Europa.

Elio Vito (FI). Cirio!

Romano Prodi. La strada allora tracciata, fondata su pri-vatizzazioni, liberalizzazioni ed una moderna regolamenta-zione, è finalizzata all’apertura del mercato, all’introduzionedi maggiore efficienza, soprattutto a beneficio dei consuma-tori utenti, e all’allargamento e al rafforzamento del capitali-smo italiano, attraverso la creazione di nuovi protagonisti.

Se in termini di apertura del mercato e riduzione delletariffe il paese ha fatto qualche passo in avanti - e le teleco-municazioni sono un buon esempio di ciò -, non possiamocertamente essere soddisfatti dei risultati conseguiti sul ver-sante degli assetti del capitalismo italiano. Nel paese nonsono emersi infatti nuovi protagonisti, anzi qualcuno degliesistenti si è perso per strada. Il nostro capitalismo non hasaputo cogliere l’opportunità offerta dalle privatizzazioni edha incontrato difficoltà nella gestione di progetti strategici diampio respiro.

Indubbiamente, ci siamo trovati di fronte ad una eccessi-va finanziarizzazione, che a volte ha messo in ombra le rile-vanti potenzialità sul versante industriale. Su questo temacredo sia necessario avviare una profonda riflessione edinterrogarsi su ciò che è possibile fare.

Per rendere più competitive le nostre imprese, dobbiamoriformare il capitalismo italiano. Occorrono assetti di gover-no delle imprese più stabili e più trasparenti e il tema riguar-da anche la crescita della contendibilità degli assetti proprie-tari su base europea, perché i processi di integrazione devo-no avvenire entro un quadro di riferimento comune.

In questa prospettiva, è nostro interesse che l’Unioneeuropea definisca regole chiare in tema di liberalizzazionedei mercati, evitando che, pur in un’ottica di pura reciproci-tà, sia il paese più chiuso ad imporre le proprie scelte ai paesipiù aperti.

Il Governo continuerà a ripercorrere la strada dell’apertu-

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ra del mercato, con determinazione e coerenza, salvaguar-dando ovviamente i principi di equità e di giustizia sociale.Non mi convince, piuttosto, chi oggi si appassiona alla dot-trina liberale e alle privatizzazioni, stando all’opposizione,quando, nella scorsa legislatura, avendo responsabilità diGoverno, ha assunto comportamenti non coerenti con gliideali professati.

Elio Vito (FI). Non è vero!

Romano Prodi. E non ci vengano a raccontare che lastrategia di utilizzo della Cassa depositi e prestiti per l’ac-quisto di partecipazioni di imprese pubbliche rappresenti unbrillante esempio di privatizzazione. È a tutti chiaro che die-tro a questa iniziativa si è nascosta una operazione contabilefinalizzata ad una riduzione artificiale del debito pubblico,debito che peraltro ha continuato a crescere.

Elio Vito (FI). Ma che dici!

Romano Prodi. Il Governo, dicevo, intende proseguirel’opera di apertura del mercato, di riduzione delle posizionidi rendita e, laddove possibile, di ulteriore privatizzazione, inlinea con gli obiettivi originari. In questo senso, un tangibileesempio è stato già dato con il decreto Bersani del luglioscorso (Commenti dei deputati dei gruppi di Forza Italia e diAlleanza Nazionale).

Siamo altresì consapevoli che, affinché il paese possa inpieno beneficiare degli effetti associati all’apertura dei mer-cati, si debba ribadire la centralità di una efficace regolazio-ne, esaltando e valorizzando, in primo luogo, le funzioni edil ruolo delle Autorità indipendenti.

Proprio chi oggi pretende di impartire lezioni di liberismoha fortemente ridimensionato l’azione di quei nuovi organi-smi. Nella scorsa legislatura, i poteri delle Autorità di rego-lazione (ivi compresi quelli dell’Autorità per le garanzienelle comunicazioni) sono stati progressivamente erosi e laloro indipendenza costantemente minacciata (Commenti deideputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza Nazionale).

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Maurizio Gasparri (AN). Bugiardo!

Romano Prodi. Vi è stato un significativo trasferimentodi poteri dalle Autorità all’amministrazione centrale delloStato (Commenti dei deputati dei gruppi di Forza Italia e diAlleanza Nazionale), spesso con sovrapposizioni e duplica-zioni funzionali: e questo è dirigismo.

Il Governo intende, perciò, restituire alle Autorità la cen-tralità prevista (Commenti dei deputati dei gruppi di ForzaItalia e di Alleanza Nazionale - Una voce dai banchi deideputati del gruppo di Alleanza Nazionale: Restituisci isoldi!) nel disegno originario, assegnando loro funzioni,poteri e strumenti adatti per svolgere efficacemente la mis-sione loro affidata.

In tal senso, è già allo studio un disegno di riordino orga-nico del sistema di regolazione, nonché la rivisitazione deicodici delle comunicazioni elettroniche e delle radiotelevisio-ni, su cui il Parlamento sarà presto chiamato a pronunciarsi.

Sempre nella prospettiva di rilanciare la funzione regola-toria dello Stato, il Governo sta inoltre lavorando al riordinodella materia dei beni pubblici e, in particolare, del sistemadelle concessioni, per meglio regolarne l’utilizzo e la valo-rizzazione.

Alla domanda, quindi, di quale sia il rapporto tra Stato emercato e, più in particolare, di quale sia l’ambito di inter-vento del Governo, la mia risposta è chiara e semplice. Ènostro dovere evidenziare l’interesse pubblico, ma lo voglia-mo promuovere attraverso un sistema efficace di regole. Èmia convinzione che la politica sia, prima di tutto, determi-nazione di regole; ma per assicurare la crescita e la prosperi-tà del paese, queste regole debbono anche essere rispettate(Commenti dei deputati dei gruppi di Forza Italia e diAlleanza Nazionale).

Questo è il modello che il Governo intende affermareanche nelle telecomunicazioni, e non ci sfugge certo la spe-cificità del settore e la sua rilevanza nell’economia del paese.

Noi stiamo parlando di un settore che, compreso l’indot-to, rappresenta il 4,2 per cento del prodotto interno lordo.Non ci sfugge, altresì, il peso e l’importanza di Telecom Ita-

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lia. Si tratta di uno dei principali gruppi industriali italiani,con ricavi superiori ai 30 miliardi di euro, con più di 80 miladipendenti e, soprattutto, con un potenziale innovativo cru-ciale per la competitività dell’intero sistema economico delpaese.

Solo nel settore della telefonia mobile, il gruppo vanta piùdi 30 milioni di clienti. Del resto, proprio in questo settore ilpaese ha dato grandi segni di vitalità e di capacità competiti-va (Commenti dei deputati del gruppo di Forza Italia). InItalia sono state inventate le carte prepagate e siamo stati iprimi...

Gregorio Fontana (FI). Infatti...!

Romano Prodi. ...nei cellulari di terza generazione, iprimi nella televisione mobile con standard avanzati. Oggi(Commenti dei deputati dei gruppi di Forza Italia e diAlleanza Nazionale)...

Roberto Menia (AN). Chiama le guardie svizzere!

Romano Prodi. Oggi il settore, nel suo complesso,affronta non solo la sfida tecnologica legata all’innovazionedelle reti, ma anche quella della convergenza tra i tradizio-nali servizi di telecomunicazione e quelli legati al mondodella televisione.

Tali sfide, allo stesso tempo, ampliano la dimensione delmercato ben oltre i confini nazionali e offrono importantiopportunità per far fronte alla redditività decrescente checaratterizza i tradizionali servizi di telecomunicazione. Di fronte a queste sfide - sostiene qualcuno -, Telecom Italiasi presenta indebolita a causa della severità che ha caratte-rizzato l’attività del regolatore. Non è certo compito delGoverno valutare la severità o meno del regolatore: saràpiuttosto il Parlamento che dovrà affrontare questo tipo diverifica e, nel caso, intervenire per rimediare a eventualilacune ed imperfezioni del sistema, tenendo conto dell’evo-luzione del quadro normativo comunitario.

È certo invece che a limitare la capacità di investire e

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quindi di competere sul mercato è stato l’ingente indebita-mento finanziario del gruppo Telecom, debito che è cresciu-to per effetto sia dell’accorciamento della catena di control-lo, cioè la fusione Olivetti-Telecom, che per il successivoacquisto delle quote di minoranza di TIM e la successivafusione per incorporazione di Telecom Italia; operazione for-temente motivata e sostenuta dalla necessità di avviare unprogetto di integrazione tecnologica e commerciale delle duesocietà. Su queste operazioni non emetto certamente giudiziperché li ha già espressi il mercato (Commenti di deputati deigruppi di Forza Italia e di Alleanza Nazionale - Una vocedai banchi dei deputati del gruppo de L’Ulivo: Piantala!).

Certo, è da lungo tempo noto che il debito elevato dellesocietà sottoposte a regolamentazione è spesso uno strumen-to per spingere il regolatore a concedere all’azienda tariffepiù elevate; ed è questo l’ulteriore motivo per cui le priva-tizzazioni devono essere sostenute da capitali appropriati, inmodo da evitare che il peso del debito possa in parte ricade-re sugli utenti finali.

A rendere ancora più complessa la sfida per Telecom Ita-lia è la progressiva riduzione della sua presenza internazio-nale, riduzione avvenuta con ogni probabilità per reperire lerisorse finanziarie necessarie per fronteggiare l’indebitamen-to. Negli ultimi anni il gruppo ha infatti dismesso quasi perintero l’attività europea e parte di quella sudamericana.

Enzo Raisi (AN). Telekom-Serbia!

Romano Prodi. Nonostante queste oggettive difficoltà,l’azienda dispone delle risorse umane e delle capacità tecni-che per cogliere in pieno la sfida, e poiché è interesse delpaese essere il protagonista vincente all’interno del nuovoscenario competitivo è necessario creare le condizioni affin-ché il gruppo Telecom possa crescere e svilupparsi.

Vorrei nuovamente precisare, onde evitare che tale affer-mazione venga fraintesa o strumentalizzata, che il Governonon intende interferire in alcun modo con le strategie azien-dali né tantomeno (Commenti dei deputati dei gruppi diForza Italia e di Alleanza Nazionale) dare indicazione e

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porre veti sulle scelte che la società porterà avanti. Vorrei ancora una volta affermarlo con chiarezza: non ho maiespresso un giudizio di valore sul piano della riorganizzazio-ne societaria del gruppo Telecom (Commenti dei deputati deigruppi di Forza Italia e di Alleanza Nazionale); ho soloespresso la preoccupazione perché tale piano rappresentauna virata strategica a 180 gradi rispetto a quanto fortemen-te proposto dal gruppo non più tardi di un anno e mezzo fa.

In particolare, per quanto riguarda l’implementazione del-l’eventuale piano di scorporo della rete, sarà l’Autorità per legaranzie nelle comunicazioni a definire con il gruppo Tele-com i contorni dell’operazione, a stabilire le regole delnuovo contesto competitivo e i criteri di governance dellanuova società. Non sarà un lavoro né semplice né breve, edè per questo che tutti noi, Governo e Parlamento, dovremomettere l’Autorità nelle condizioni di lavorare bene.

È certo, comunque, che al termine di questo processo nonavremo uno Stato proprietario della rete, ma piuttosto unoStato che ne garantisce l’accesso a condizioni eque e non dis-criminatorie. Anche in questo caso l’interesse pubblico saràassicurato non dalla proprietà, ma piuttosto da un insiemecerto di regole chiare e trasparenti (Applausi dei deputati deigruppi de L’Ulivo, di Rifondazione Comunista-SinistraEuropea, dell’Italia dei Valori, de La Rosa nel Pugno, deiVerdi, e dei Popolari-Udeur).

L’interesse pubblico, come dimostra con chiarezza il casoTelecom, va però oltre la semplice determinazione delleregole.

Con l’inasprirsi della concorrenza sul mercato mondialeassume, infatti, particolare rilevanza il supporto che l’attivi-tà di Governo può fornire a tutte le imprese che su tale mer-cato operano. Questo è il nuovo orientamento che deve assu-mere l’intervento pubblico nell’economia.

Alla luce delle nuove sfide, sta crescendo in Europa daparte di tutti i sistemi industriali la domanda per nuove poli-tiche di sostegno. Ciascun Governo risponde a tale domandain maniera differente, in linea con la propria storia e con lapropria tradizione (Una voce dai banchi dei deputati delgruppo di Forza Italia: Nomisma!).

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Alcuni stanno puntando sul rafforzamento del campionenazionale, altri mirano a ridefinire i rapporti tra banche edimpresa. Altri ancora sostengono, nel pieno rispetto del mer-cato, il sistema produttivo sui temi della ricerca e sull’inno-vazione tecnologica.

Anche noi abbiamo fatto la nostra scelta. È una scelta che,come ho già detto, abbandona il modello della proprietà pub-blica delle imprese e conferma l’importanza della concor-renza e delle regole, ma, nello stesso tempo, è anche unascelta che riorganizza e riqualifica le politiche pubbliche asupporto del sistema industriale. Essa supera, quindi, la tra-dizionale dicotomia tra Stato e mercato per ricercare solu-zioni efficaci attraverso un’azione congiunta di strumentidiversi, di regolazione, concorrenza e politica industriale, alfine di promuovere un sistema economico forte e competiti-vo. Il Governo ha già cominciato a lavorare in questa dire-zione e in questa direzione proseguirà. Grazie (Prolungatiapplausi dei deputati dei gruppi de L’Ulivo, di RifondazioneComunista-Sinistra Europea, dell’Italia dei Valori, de LaRosa nel Pugno, dei Comunisti Italiani, dei Verdi e dei Popo-lari-Udeur - Commenti).

Presidente. Diamo ora inizio agli interventi dei rappre-sentanti dei gruppi in ordine decrescente, secondo la rispetti-va consistenza numerica, per dodici minuti ciascuno.

Com’è avvenuto in altre occasioni, la Presidenza ha con-sentito lo scambio di turno tra i gruppi, in particolare tra igruppi di Rifondazione Comunista e dell’Ulivo, secondo leintese intercorse tra i medesimi.

Ha chiesto di parlare il deputato Giordano. Ne ha facoltà.

Francesco Giordano (RC-SE). Signor Presidente, signorPresidente del Consiglio, in questi giorni sulla vicenda Tele-com abbiamo assistito per lungo tempo ad una discussionesurreale. Quella vicenda, come lei qui ci ha spiegato, ci parladella politica industriale del nostro paese, ci parla del possi-bile interesse di intervento pubblico su un’azienda di rilievostrategico, ci parla del futuro di una consistente parte delmondo del lavoro.

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Signor Presidente, sono circa 84 mila i lavoratori che il 3ottobre sciopereranno, perché sono fortemente preoccupatiper il loro futuro, e 200 mila quelli che lavorano per l’indot-to. Per questo, è giusto che il Parlamento ne discuta congrande rilievo e ai massimi livelli. È di loro che noi ci stia-mo occupando in questo preciso momento!

Ma dall’opposizione abbiamo avuto chilometri di polemi-ca, tutta interna alla separatezza di una certa politica. Anchequi ne abbiamo avuto qualche assaggio nelle ripetute inter-ruzioni, ma una politica tutta tesa a guardare dal buco dellaserratura è una politica che non ci fa fare un passo in avantinelle scelte di fondo del nostro paese; peraltro, era tesa aguardare dal buco della serratura mentre emergeva un siste-ma di controllo che inquinava le nostre vite e la nostra stes-sa democrazia.

Torna alla mente, signor Presidente del Consiglio, la vec-chia massima di Confucio: «Quando il saggio indica la luna,lo stolto guarda il dito». Eppure sarebbe meglio per tutti noi,per tutti noi che siamo in questo Parlamento, smettere diosservare ossessivamente il dito, perché emergono questioniche investono la nostra responsabilità collettiva. Qualche giorno fa, signor Presidente del Consiglio dei mini-stri, Tronchetti Provera ha parlato in una conferenza stampadi una zona grigia, molto larga, che coinvolge la politicatutta, non una parte di essa. Ha parlato di un coinvolgimentodel Parlamento, non solo del Governo; ha parlato di un coin-volgimento di tutta la magistratura, un carico di responsabi-lità rigettate inquietantemente su noi tutti, al fine di un’au-toassoluzione che non risponde al seguente quesito: perchéle dimissioni?

È bene dirlo subito: questa è una grande azienda ad inte-resse nazionale (esattamente come lei si espresse, signor Pre-sidente del Consiglio dei ministri); un bene comune l’abbia-mo definita noi nel programma dell’Unione. Essa investe unsettore nevralgico e strategico per il paese, parla del nostrodomani produttivo. Non dovremmo occuparcene? Dovrem-mo disinteressarci di quei lavoratori che il 3 ottobre sciope-reranno? Dovremmo stare alla larga e lasciare fare al merca-to, come da qualche parte, insistentemente, abbiamo ascolta-

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to in questi giorni, a cominciare dal presidente della Confin-dustria (Una voce dai banchi dei deputati del gruppo diForza Italia: Da Prodi!)? Il che non significa sostituirci,come qui è stato detto, alle scelte, singole e specifiche, del-l’azienda.

In Europa, colleghi, la presenza pubblica nel settore è piùrilevante che in Italia: Francia e Germania hanno il 33 percento di presenza pubblica, la Gran Bretagna di Tony Blair,che tanto piace al capitalismo nostrano, ha il governo e l’in-dirizzo pubblico delle reti; non può che essere così! Noi stiamo ai fatti e i fatti ci dicono che il piano dell’11 set-tembre - data nevralgica, diciamo così - del consiglio diamministrazione è stato respinto, ed è stato respinto dai mer-cati, dagli investitori, ma anche dai lavoratori, che si sentonominacciati nella loro stabilità occupazionale.

La vendita di TIM - la cui complementarietà con Telecomun anno fa era sta ritenuta strategica dalla direzione dell’a-zienda - è stata ora sconfessata dallo stesso Guido Rossi. Signor Presidente, penso che oggi siamo al saldo di unamodalità della politica delle privatizzazioni nel nostro paese.Assieme al mio gruppo e al mio partito, ritengo che quellemodalità non abbiano garantito l’occupazione, la qualità deiservizi, la riduzione dei costi ed un’adeguata competizionenello scenario globale (Applausi dei deputati del gruppo diRifondazione Comunista-Sinistra Europea).

Ci sono delle domande che spesso si fanno fuori dal Par-lamento, noi vogliamo farle qui: quanto è costato a Tron-chetti Provera l’acquisto di Telecom? Mi piacerebbe e piace-rebbe a tutti noi saperlo. Gli unici dati disponibili, gli uniciche ho trovato, sono quelli di Mucchetti, un economista ecollaboratore di un noto ed importante quotidiano. Egli lipropone in un suo libro: le uniche risorse sono, se non ricor-do male, 153 mila euro. Se avessimo fatto una colletta,avremmo potuto comprare anche noi del nostro gruppo!

Mercato? Concorrenza? Ma quale politica dovrebbe starealla larga dal mercato? Quella che fa gli interessi dei lavora-tori, quella che fa gli interessi del paese o quella che permet-te disinvolte operazioni finanziarie? La cronaca parla diacquisto della Telecom con 39 miliardi di debito: in questi

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cinque anni si vendono partecipazioni e tecnologie in altreaziende telefoniche per 15 miliardi di euro. Oggi mi piace-rebbe sapere a quanto ammonta il debito, ma non è datosaperlo. A 41, a 45 o a 51 miliardi, come qualcuno fa inten-dere?

Fatto sta che, a debito crescente, si sono ripetutamentedivisi i dividendi. Sono proprio forti, Presidente del Consi-glio: a noi chiedono di ridurre il debito dello Stato, quandotocca a loro aumentano il debito per fare profitti! Da che pul-pito ci viene la predica del rigore (Applausi dei deputati delgruppo di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea e dideputati del gruppo della Democrazia Cristiana-PartitoSocialista)!

Per questo, dobbiamo intervenire non sulla strutturafinanziaria piramidale che sovrasta Telecom, ma, al contra-rio, nel merito, esprimere la nostra opinione sul piano indu-striale, intervenendo, a nostro modo di vedere, signor Presi-dente del Consiglio, sul governo, sul controllo, sull’indirizzopubblico delle reti. D’altronde, la rete in mano ai privati con-sente un aumento esponenziale della possibilità di intrusionenella vita privata e nei gangli democratici. Non esiste la pos-sibilità di una rete sicura: è a prova di intrusione o è mani-polazione, ma se la rete è in mano ai privati, la tendenza adusarla sarà connessa alla sua stessa potenzialità e pervasivitàtecnologica. Ci sono atti del Parlamento europeo che parlanodi disinvolte reti di spionaggio che controllano l’intera filie-ra della comunicazione e queste informazioni sono archivia-te ed usate costantemente, sotto il profilo economico, alte-rando la concorrenza, e politico, ma anche sotto il profilosociale, controllando il sistema del lavoro e la vita dei lavo-ratori.

In Italia, una parte consistente di capitalismo si caratteriz-za per la brillante capacità di non rischiare capitali propri.Per stare alla Telecom, Presidente del Consiglio, nel 1997 laFIAT aveva il controllo con l’1 per cento, nel 1999 Gnutti eColaninno acquistavano a debito, dei giorni nostri ho giàavuto modo di dire. Recentemente, su altro capitolo delleprivatizzazioni, quello delle autostrade, rischiamo la farsaprima ancora che la beffa. Benetton acquista la società di

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gestione delle autostrade, non fa investimenti, come pure eravincolato a fare, e dopo un po’ vuole vendersi la rete: picco-lo particolare, quella roba lì non è roba sua, ma è roba nostra!Siamo al classico, Totò con la fontana di Trevi (Applausi deideputati dei gruppi di Rifondazione Comunista-SinistraEuropea, de L’Ulivo, dell’Italia dei Valori, dei Verdi e de LaRosa nel Pugno)!

Emerge il bisogno di una svolta nella politica industriale.Inseguendo l’egemonia persino culturale del profitto del-l’impresa, si è rischiato di portare questo paese in un vicolocieco, facendolo competere, si fa per dire, sui prezzi e sullariduzione del costo lavoro. Bassi salari, bassi livelli formati-vi, scarsa innovazione e precarizzazione dei rapporti di lavo-ro sinora sono state la forma concreta della politica indu-striale di questo paese. Bisogna cambiare il paradigma, inve-stire sulla ricerca, sull’innovazione, su produzioni non ener-givore, compatibili con la valorizzazione del territorio e del-l’ambiente, sulla qualità di processo e di prodotto, su salaridignitosi, sulle tutele, sui diritti e sulla qualità della vita. Seinvece di volgere lo sguardo in maniera ossessivamente esa-sperata al profitto d’impresa lo volgessimo sulle lavoratrici esui lavoratori, ci accorgeremmo per questa via di fare gliinteressi veri del nostro paese (Applausi dei deputati deigruppi di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea, deL’Ulivo, dell’Italia dei Valori e dei Verdi).

Presidente. Ha chiesto di parlare il deputato Giulio Tre-monti. Ne ha facoltà.

Giulio Tremonti (FI). Signor Presidente, onorevoli colle-ghi, è stato davvero un piacere, Presidente Prodi, vederlafinalmente entrare in quest’aula; francamente, non è stato unpiacere sentirla parlare a quest’Assemblea (Applausi deideputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza Nazionale edella Lega Nord Padania). Lei non è riuscito a difendere néil suo operato né il suo consigliere.

Qui ci ha parlato di molto, anche con insistiti, intimisticiframmenti, della sua storia professionale. Ci ha parlato ditutto questo, ma non dell’essenziale: della ragione per cui è

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stato convocato oggi in quest’aula. Per favore, non divaghi sul futuro del capitalismo e delle

telecomunicazioni. Userò una sua immagine: se schiacci iltubetto, poi è difficile rimetterci dentro il dentifricio. Nel1997, è lei che ha schiacciato il tubetto della Telecom, priva-tizzandola istantaneamente e totalmente (Applausi dei depu-tati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza Nazionale, del-l’UDC e della Lega Nord Padania). È lei che ha messo laTelecom sul mercato dei capitali, senza che ci fossero i capi-talisti (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, diAlleanza Nazionale, dell’UDC e della Lega Nord Padania)!

Dopo nove anni, adesso ci dice che si deve correggerequel suo errore. Dubito che sia possibile farlo con mezzipolitici corretti: non con la nazionalizzazione, non arran-giando una cordata più o meno filogovernativa, non aggiran-do la normativa europea.

Il Governo avrà modo di esporci i suoi piani sul capitali-smo, sulle telecomunicazioni; ma noi qui, oggi, vogliamoparlare di un’altra cosa. Vogliamo parlare dell’affare Tele-com, del suo ruolo in questo affare, della sua azione di sub-governo (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, diAlleanza Nazionale, dell’UDC (Unione dei Democratici Cri-stiani e dei Democratici di Centro) e della Lega Nord Pada-nia), della cattiva politica per cui sull’Italia è riapparso ilrischio paese.

È, infatti, considerato a rischio dall’estero un paese in cuiil premier fa incontri privati non verbalizzati e comunicatipubblici su soci esteri e controllate estere di un gruppo pri-vato.

Signor Presidente, lei è stato eletto con un programma -glielo ricordo - in cui si impegnava a favorire la trasparenzae la legalità dei mercati. Basta leggere il suo comunicatostampa suicida dell’8 settembre per avere la prova che lei hafatto esattamente l’opposto (Applausi dei deputati dei grup-pi di Forza Italia, di Alleanza Nazionale, dell’UDC e dellaLega Nord Padania)!

Partiamo dall’inizio, dal decreto di gabinetto della suaPresidenza del Consiglio. Qui troviamo registrato il signorRovati come consigliere politico ed economico. Escluso il

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politico - perché Rovati stesso dice che di politica non siinteressa e non si occupa -, resta l’economico. In attesa dismentita, a seguito della chiamata di Rovati per chiara famaad una qualche cattedra di economia, dobbiamo chiederciqual è il tipo di economia per cui un economista solido efamoso come lei si consiglia con Rovati. Deve essere un tipomolto particolare di economia, diciamo in senso aristotelico;economia privata, economia domestica (Si ride - Applausidei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza Naziona-le, dell’UDC, della Lega Nord Padania e della DemocraziaCristiana-Partito Socialista).

Forse, è per questo che il vostro piano l’avete definitocome artigianale. Ma non buttatevi giù! Non è un piano arti-gianale: è un piano industriale; anzi, un piano settoriale eistituzionale, un piano da cui tutti avrebbero guadagnato,tranne qualcuno. Avrebbe dovuto guadagnarci la Telecom,ipoteticamente ristrutturata nel suo assetto patrimoniale efinanziario; le banche creditrici, rientrando sui crediti erisolvendo qualche problema di ratios di Basilea 2; le fonda-zioni, estendendo il loro ruolo sull’economia; forse, un indu-striale interessato ai telefonini e, soprattutto, la sua ditta poli-tica, con le mani in pasta come regista nella ristrutturazionedi un settore chiave dell’economia, delle comunicazioni edella politica.

Dimenticavo di dire chi ci avrebbe perduto: il contribuen-te italiano (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia,di Alleanza Nazionale, dell’UDC, della Lega Nord Padaniae della Democrazia Cristiana-Partito Socialista).

Signor Presidente, il suo non è stato un errore di calcoloeconomico: «qualche sbavatura», dice il ministro Bersani. Èstato un errore di calcolo politico. Un errore che si è manife-stato all’interno del vostro circuito di potere.

Qual è la dinamica dell’affare? Il Presidente D’Alema hainiziato le sue vacanze convinto della fusione Sanpaolo-Monte dei Paschi di Siena. Durante le stesse, ha letto sulgiornale la notizia sulla fusione Sanpaolo-Banca Intesa. Poi,ha letto sul giornale dell’affare Telecom, di un affare che,alla Farnesina, si direbbe del tipo con ritorno non multilate-rale, bensì unilaterale. È questo il suo errore di calcolo

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(Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Allean-za Nazionale e dell’UDC).

È questo che ha causato il cortocircuito politico. È questoche l’ha portata a fare i comunicati stampa suicidi che lei hafatto. Veda, il problema non è lo scorporo dei telefonini daTelecom: il problema è lo scorporo, che lei ha tentato, dal-l’affare Telecom di un pezzo di maggioranza [Applausi deideputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza Nazionale,dell’UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Demo-cratici di Centro), della Lega Nord Padania e della Demo-crazia Cristiana-Partito Socialista].

Com’è stato scritto autorevolmente, signor Presidente, lasua è una vocazione storica; è sempre stata quella: una voca-zione sensale ad orchestrare affari. Ma, poi, lei ha fatto unsalto di qualità, un progresso. Per compensare il suo deficitdi forza politica, lei ha cercato di acquisire un surplus diforza economica [Applausi dei deputati dei gruppi di ForzaItalia, di Alleanza Nazionale e dell’UDC (Unione dei Demo-cratici Cristiani e dei Democratici di Centro)]: lei è statofulminato sulla via telefonica al partito democratico[Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Allean-za Nazionale e dell’UDC (Unione dei Democratici Cristianie dei Democratici di Centro)]!

Qui voglio essere chiaro. Tra gli elettori della sinistra, tragli eletti della sinistra, non domina questa ideologia, domi-nano valori e principi: diversi dai nostri, ma valori e princi-pi. È a palazzo Chigi (Applausi dei deputati dei gruppi diForza Italia, di Alleanza Nazionale e della Lega Nord Pada-nia) che si concentra un’idea distorta della politica, la confu-sione tra affari e politica [Applausi dei deputati dei gruppi diForza Italia, di Alleanza Nazionale, dell’UDC (Unione deiDemocratici Cristiani e dei Democratici di Centro), dellaLega Nord Padania e della Democrazia Cristiana-PartitoSocialista - Commenti dei deputati del gruppo de L’Ulivo]!

Vedo che ride, Presidente Prodi; e questo certamente ralle-gra chi ascolta (Commenti dei deputati del gruppo de L’Uli-vo). Veda, lei ha l’idea che la politica serva per fare gli affari...

Massimo Vannucci (Ulivo). Voi! Voi!

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Giulio Tremonti (FI). ...e, soprattutto, che gli affari ser-vano per fare politica. Questo il paese deve sapere. Questo ilpaese non può accettare.

Veda, nella terza Repubblica francese, nel pieno di unoscandalo come il suo, un uomo di governo si difese dicendo:«Delle due l’una: o non sono onesto o non sono capace». Larisposta fu: «Il cumulo delle cariche non è vietato (Applausidei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza Naziona-le, dell’UDC e della Lega Nord Padania - Si ride).

Quante cariche ha, Presidente Prodi? Esploso lo scandalo,lei ha detto: «Mi sento metà Presidente del Consiglio, metàassistente sociale». Che lei sia, per metà, assistente sociale,lo concordi con i suoi alleati; ma che lei sia un Presidentedimezzato lo ha detto lei stesso, e noi non abbiamo difficol-tà a concordare su questo (Applausi dei deputati dei gruppidi Forza Italia e di Alleanza Nazionale). Dimezzato, com-missariato, tanto debole da formulare una minaccia d’ultimaistanza: «Se vado a casa, porto anche voi con me!». Nonsarebbe una cattiva idea (Applausi dei deputati del gruppo diForza Italia - Si ride)!

Ancora, lei ha detto: «Quando un imprenditore parla alPresidente del Consiglio, deve dire la verità». Vale lo stessoanche per lei, Presidente Prodi: quando il Presidente delConsiglio parla in Parlamento, deve dire la verità (Applausidei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza Naziona-le, dell’UDC, della Lega Nord Padania e della DemocraziaCristiana-Partito Socialista - Alcune voci: Bravo!).

Giulio Tremonti (FI). Invece, oggi, lei - ridendo - hamentito...

Giovanni Carbonella (Ulivo). Cinque finanziarie: tuttebuttate!

Giulio Tremonti (FI). ...ha mentito all’Assemblea, ha men-tito agli italiani. È per questo che lei, da oggi, non può gover-nare questo paese con la necessaria dignità. Continui a ridere(Prolungati applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, diAlleanza Nazionale, dell’UDC, della Lega Nord Padania e

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della Democrazia Cristiana-Partito Socialista - Congratula-zioni - Commenti dei deputati del gruppo de L’Ulivo)!

Presidente. Grazie. Ha chiesto di parlare il deputato Gianfranco Fini. Ne ha

facoltà.

Gianfranco Fini (AN). Anche noi, onorevole Presidentedel Consiglio, siamo totalmente insoddisfatti del suo discor-so e, dopo averlo ascoltato, io credo sia più chiaro perché ella- non un suo sosia cinese, ma ella - ebbe modo di dire chesarebbe stata roba da matti riferire in Parlamento sulla vicen-da Telecom.

Non fu uno scherzo del fuso orario tra Roma e Pechino, enemmeno una caduta di stile: una dimostrazione di arrogan-za che, lo dico tra parentesi, se avesse visto protagonista ilPresidente Berlusconi od un qualsivoglia ministro del prece-dente Governo, avrebbe scatenato un putiferio, con fiumi diinchiostro contro la minaccia [Applausi dei deputati deigruppi di Forza Italia, di Alleanza Nazionale, dell’UDC,della Lega Nord Padania e della Democrazia Cristiana-Par-tito Socialista] rappresentata, per la democrazia, dalla destrabecera e populista.

Dopo averlo ascoltato io credo che gli italiani abbianocapito molto bene, signor Presidente del Consiglio, che lei, aPechino, era nervoso, così come è nervoso quest’oggi e anche- me lo permetta - il comportamento infantile di poc’anzi lodimostra [Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, diAlleanza Nazionale, dell’UDC, della Lega Nord Padania edella Democrazia Cristiana-Partito Socialista]. Era nervosoperché intimidito. Di che cosa aveva paura, signor Presidentedel Consiglio, a Pechino, quando disse: «In Parlamento?Roba da matti!»? Aveva due paure: innanzitutto, la paura difare una pessima figura con i suoi alleati qualora avesserocapito chiaramente ciò che anche l’onorevole Tremonti hadetto poc’anzi, vale a dire che erano stati tenuti del tutto all’o-scuro da un personale piano del Presidente Prodi.

La seconda paura, ancora più forte, era che in Parlamen-to emergesse chiaramente la sensazione che il Presidente del

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Consiglio non aveva detto la verità e questo non solo ai suoialleati, ma, soprattutto, a tutti gli italiani (Applausi dei depu-tati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza Nazionale e dellaLega Nord Padania).

Orbene, quella sensazione oggi è palese. Quanto al primoaspetto, è una cosa che ci riguarda davvero in minima parte.Ai colleghi della maggioranza, che sono certamente abba-stanza imbarazzati per quello che sta accadendo, ricordo sol-tanto che «chi è causa del suo mal pianga se stesso». Delresto, con un Presidente del Consiglio che, come ricordavaTremonti, dice che si sente nei vostri confronti metà leader emetà assistente sociale, vorrei capire che cosa vi potevateaspettare di più (Applausi dei deputati dei gruppi di ForzaItalia, di Alleanza Nazionale e della Lega Nord Padania)!

Comprendiamo la frustrazione di chi Prodi lo ha portato,in qualche modo, sulle spalle a Palazzo Chigi e, quindi, siattendeva doverosamente maggiore lealtà e credo di com-prendere anche la ragione per la quale l’onorevole Fassino,innovando, fa parlare inizialmente l’onorevole Giordano e siriserva di parlare tra gli ultimi. Il suo è il ruolo di un avvo-cato difensore, ma è un avvocato d’ufficio ed è l’avvocatod’ufficio di una causa persa (Applausi dei deputati dei grup-pi di Forza Italia, di Alleanza Nazionale, dell’UDC e dellaLega Nord Padania)!

Comprendiamo tutto ciò, ma non abbiamo intenzione disottacere l’altro aspetto, che riguarda tutti gli italiani. Infatti,quello che è accaduto le scorse settimane riguarda gli italia-ni, che sono stati ingannati dal Presidente del Consiglio, eriguarda la credibilità dell’Italia agli occhi della comunitàinternazionale. Basta leggere la stampa internazionale perrendersene conto.

Lo diciamo perché l’intervento di Prodi non ha fugato ilsospetto che egli non abbia detto la verità, anzi, lo ha raffor-zato. Voglio ripercorrere rapidamente la vicenda, pregandol’avvocato difensore, onorevole Fassino, di smentirmi. L’8settembre - il comunicato suicida - Palazzo Chigi diramaquesta nota: «Quanto apparso oggi su Il Messaggero riguar-do un ipotetico altolà alla vendita di TIM da parte del Presi-dente del Consiglio necessita di una secca smentita e di una

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opportuna sottolineatura. Le fantasiose interpretazioni gior-nalistiche - sempre colpa dei giornalisti: vero, PresidenteProdi? (Commenti del deputato Giachetti) -, che attribuisco-no al Governo intromissioni ultimative sulle scelte e sullepolitiche industriali di società italiane, vanno esattamentenella direzione opposta rispetto alle impostazioni dell’Ese-cutivo”. Chapeau! Se non fosse che l’11 settembre il consi-glio di amministrazione di Telecom approva il piano di scor-poro di TIM.

Il giorno dopo, il 12 settembre, da Frascati, Prodi si dicesconcertato e lamenta di essere stato tenuto all’oscuro delpiano, ma, già ventiquattr’ore dopo, il 13 settembre, si smen-tisce e afferma che Tronchetti gli aveva garantito che TIMsarebbe rimasta sotto controllo italiano. Perché lo ha fatto,Presidente Prodi? Perché, evidentemente, Tronchetti gliaveva detto di voler mettere TIM sul mercato e, quindi, nonè vero che Prodi non sapesse nulla. È una prima, clamorosae palese bugia che risulta dalle sue parole (Applausi deideputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza Nazionale,dell’UDC, della Lega Nord Padania e della DemocraziaCristiana-Partito Socialista)!

Poi, il 14 settembre viene pubblicato il cosiddetto pianoRovati, fedelissimo consigliere economico del premier,uomo di assoluta fiducia, amico personale e di famiglia. Sitratta di un documento - è notorio - che è stato inviato a Tron-chetti, con tanto di biglietto intestato a Palazzo Chigi, in cuiil riassetto Telecom si basa sull’intervento della Cassa depo-siti e prestiti, cioè su un sostanziale intervento pubblico.

Dopo la pubblicazione del cosiddetto piano Rovati, Prodiafferma di non sapere nulla, come le tre scimmie: non vedee non sente, parla... Egli scarica tutta la responsabilità sul suoconsigliere, che, da amico fedele, se la assume e definiscepersonale e artigiano il suo progetto. È la seconda clamoro-sa bugia, perché non è un piano personale ed è tutt’altro cheartigianale, perché è stato elaborato a Palazzo Chigi dagliesperti della Presidenza del Consiglio e da una nota banca diaffari, che aveva tra i suoi consulenti anche un personaggio,Costamagna, per il quale, nelle stesse ore, negli ambientiprodiani, si ipotizzava un prestigioso incarico pubblico alla

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guida - guarda caso - della Cassa depositi e prestiti (Applau-si dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza Nazio-nale, dell’UDC, della Lega Nord Padania e della Democra-zia Cristiana-Partito Socialista)!

Il 15 settembre Prodi va all’attacco e difende Rovati;esclude che si possa o si debba dimettere ed esclude di rife-rire in Parlamento. In serata, a borse chiuse, Tronchetti sidimette e gli subentra Guido Rossi. Da quel momento il Pre-sidente del Consiglio innesta la retromarcia: il suo è un die-tro front su tutta la linea. Il 18 settembre Rovati si dimette, laprocura di Roma apre un fascicolo. Il 19 settembre il Presi-dente del Consiglio accetta di riferire in Parlamento.

Tutti sanno che, a chiedere che il Presidente del Consi-glio venisse in Parlamento, è stata a gran voce l’opposizio-ne ma che, ad imporglielo, sono stati proprio DS e Marghe-rita che, finalmente, hanno aperto gli occhi e si sono resiconto di essere stati tenuti all’oscuro di tutto ciò che Palaz-zo Chigi faceva. Ce ne sarebbe a sufficienza per far risalta-re la pessima figura del Presidente, ma ciò che induce l’op-posizione a pretendere che Prodi ammetta di non aver dettola verità - e ne tragga le doverose conseguenze - è la pub-blicazione dei verbali del consiglio di amministrazione diTelecom del 15 settembre, quelle in cui Tronchetti dà ledimissioni. In quei verbali Tronchetti afferma - e fa metterea verbale - che Prodi sapeva fin dai primi giorni di settem-bre del piano di scorporo di Telecom-TIM; che Prodi glidisse che il Governo non sarebbe intervenuto su iniziativa diaziende private, ma in realtà, secondo Tronchetti, attraversoRovati-Costamagna. Il vero obiettivo del Presidente delConsiglio era quello di fare intervenire la Cassa depositi eprestiti per evitare che Murdoch acquisisse il controllo dellarete fissa. E, sempre secondo Tronchetti, il costo del trasfe-rimento della rete fissa alla Cassa depositi e prestiti sarebbestato fronteggiato dalle maggiori tasse che il gruppo avreb-be pagato al momento dello scorporo della rete: ciò attra-verso la definizione di un plusvalore delle azioni. Da questopunto di vista, l’abitudine di pensare sempre e solo a nuovetasse caratterizza tutto il centrosinistra (Applausi dei depu-tati del gruppo di Alleanza Nazionale e di Forza Italia )!

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Certo, nessuno può giurare - e lo dico io per primo - chequanto detto e verbalizzato da Tronchetti Provera nel consi-glio di amministrazione sia la verità.

Valentina Aprea (FI). Bravo!

Gianfranco Fini (AN). È altrettanto certo che il contrastocon le affermazioni e con i silenzi del Presidente Prodi è evi-dente. Uno dei due mente oppure - come ha detto la «velinarossa» - forse è una gara tra bugiardi. Certo è, signor Presi-dente del Consiglio, che non ci fa una bella figura [Applausidei deputati del gruppo di Alleanza Nazionale, di Forza Ita-lia, dell’UDC e della Lega Nord Padania]!

Quel che è indubbio è che Palazzo Chigi ha creato pro-blemi seri ad una azienda privata quotata in borsa, con deci-ne di migliaia di dipendenti, e ha sconcertato gli ambientiinternazionali con il suo comportamento. Vedete, colleghi, inun giornale che non è certo di centrodestra, la Repubblica, il25 settembre, Federico Rampini ha scritto: «Le continueinvasioni di campo hanno già provocato danni», e si trattadelle invasioni di campo del Presidente del Consiglio, «peresempio, hanno fatto saltare la trattativa con Murdoch sul-l’alleanza tra Telecom e Sky». Il famoso piano di Rovati chesuggeriva lo scorporo della rete fissa Telecom ed una rina-zionalizzazione mascherata attraverso l’intervento dellaCassa depositi e prestiti, arrivò anche alle orecchie di Mur-doch e lo convinse che il valore della Telecom sarebbe crol-lato, una volta sottratta la rete fissa. Che sia stata solo unasoffiata o che sia il doppio ruolo di Costamagna non sta a medirlo e mi auguro che lo accerti la magistratura (Applausi deideputati del gruppo di Alleanza Nazionale e di Forza Italia).Certo è che Palazzo Chigi ha dato prova di un interventismofuori luogo e di spregiudicatezza che riportano alla mente lafamosa definizione che proprio Guido Rossi diede alla Pre-sidenza del Consiglio ai tempi di un altro Governo di cen-trosinistra: «l’unica banca d’affari in cui non si parla ininglese». Oggi si parla l’inglese, ma che Prodi continui a rite-nere Palazzo Chigi una banca d’affari è innegabile. Tuttisanno - e concludo - che i problemi di Telecom sono di pre-

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valente natura finanziaria e non industriale. Sin dai tempi delle privatizzazioni gli acquirenti hanno

acquisito il controllo della società lasciando intatto l’indebi-tamento. A fronte di un utile di circa un miliardo e mezzo dieuro annui, l’indebitamento di 41 miliardi è pari al fatturato.Negli sviluppi della vicenda Telecom vi è quindi un ruolocentrale del sistema bancario e dei centri di potere, giornalicompresi, ad esso riferiti. Sono centri di potere tutti impe-gnati a sostenere Prodi nell’ultima campagna elettorale ed èanche per questo che l’attivismo di palazzo Chigi desta unevidente sospetto. Il piano di riassetto di Telecom comeazienda privata deve essere competenza esclusiva degli azio-nisti. Certo, da italiani e da parlamentari, non possiamo cheaugurarci anche noi che un’eventuale vendita di TIM vedal’interesse di investitori italiani e soprattutto che siano tute-lati i dipendenti dell’azienda.

Ma dov’erano, Presidente Prodi e colleghi della sinistra,coloro che oggi parlano di interesse nazionale - e ci fa pia-cere - come pure di telecomunicazioni come settore strategi-co da tutelare?

Dov’erano quando un’azienda pubblica come ENEL ven-deva ad investitori egiziani Wind e la rete fissa di Infostrada(Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza Nazionale e diForza Italia) ... né ricordo obiezioni levatesi a sinistra quan-do Olivetti, Presidente Prodi, vendette Omnitel all’ingleseVodaphone proprio per fare quell’operazione di cassa neces-saria per la successiva scalata di Telecom (Applausi deideputati dei gruppi di Alleanza Nazionale, di Forza Italia edella Lega Nord Padania).

Ricordo qualcuno che parlò dei capitani coraggiosi: èfacile essere coraggiosi con i soldi delle banche (Applausidei deputati dei gruppi di Alleanza Nazionale, di Forza Ita-lia e della Lega Nord Padania)!

Sergio Antonio D’Antoni, Sottosegretario di Stato per losviluppo economico. Cose da pazzi!

Gianfranco Fini (AN). La conclusione, onorevoli colle-ghi, è molto semplice; Prodi non è credibile quando dice:

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non sapevo. Sapeva ed agiva; agiva, non per tutelare un inte-resse nazionale bensì per organizzare scalate finanziarie, sce-gliere investitori più o meno amici, riportare sotto il control-lo pubblico una grande azienda privata. Sapeva, agiva e con-temporaneamente negava; negava e cioè mentiva. Ed è que-sta la ragione per la quale lo sdegno dell’opposizione certa-mente non è solo in questa Assemblea: è lo sdegno dellamaggioranza degli italiani (Applausi dei deputati dei gruppidi Alleanza Nazionale, di Forza Italia, dell’UDC, della LegaNord Padania e della Democrazia Cristiana-PartitoSociali-sta - Congratulazioni)!

Presidente. Ha chiesto di parlare il deputato Fassino. Neha facoltà.

Piero Fassino (Ulivo). Signor Presidente, signor Presi-dente del Consiglio, a nome del gruppo dell’Ulivo - maanche, ritengo, a nome di tutti gli altri parlamentari del cen-trosinistra -, desidero naturalmente esprimerle un ringrazia-mento per come ha voluto informare il Parlamento di tutti gliaspetti che questa vicenda ha sollevato ed esprimerle, altre-sì, solidarietà per gli attacchi, le insinuazioni, le polemicheastiose che nelle settimane scorse l’hanno colpita e per lepolemiche e gli attacchi malevoli alla cui tentazione l’oppo-sizione di centrodestra ...

Valentina Aprea (FI). La magistratura!

Piero Fassino (Ulivo). ...non si è sottratta in quest’aula.Tutti, almeno noi, avremmo sperato in una discussione utile;credo che gli italiani che ci seguono pensino che il Parla-mento debba fare discussioni utili e non discussioni astiose,polemiche, una rissa tra sordi.

Vede, onorevole Fini, io ho chiesto di intervenire a questopunto del dibattito per rispetto nei suoi confronti e nei con-fronti dell’onorevole Tremonti (Commenti dei deputati deigruppi di Alleanza Nazionale e di Forza Italia - Applausi deideputati del gruppo de L’Ulivo)... perché mi sembrava utileci potesse essere una interlocuzione tra noi e non perché

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dovessi fare il difensore d’ufficio di un Presidente del Con-siglio che è in grado di difendersi benissimo da sé.

Evidentemente, mi ero probabilmente illuso sulla pratica-bilità di un dibattito serio tra noi, perché non ho sentito inter-venti che consentano un confronto; ho sentito, invece, unasequenza di osservazioni e considerazioni maligne, insinuan-ti (Commenti del deputato Iannarilli), qualche volta, se mipermette, al limite della calunnia, e con considerazioni chesono facilmente ritorcibili verso di voi se si dovesse adotta-re il vostro stesso stile polemico.

Vede, onorevole Tremonti, lei ha detto che è dovere diogni cittadino la verità, ed è dovere tanto più di ogni par-lamentare essere sincero e veritiero di fronte al Parlamen-to. Giusto! Le ricordo che lei è stato nei cinque anni diGoverno di centrodestra il titolare per tre volte della pre-sentazione di una legge finanziaria a questo Parlamentoche era palesemente e consapevolmente fasulla (Applausidei deputati dei gruppi de L’Ulivo, dell’Italia dei Valori,de La Rosa nel Pugno e dei Comunisti Italiani - Commen-ti del deputato Aprea)... Lei ha mentito agli occhi di que-sto Parlamento!

Sarebbe facile ricordare a chi ha rimproverato al Presi-dente del Consiglio una battuta, che non era riferita, eviden-temente, al Parlamento, che il Presidente del Consiglio pre-cedente, l’onorevole Berlusconi, per cinque anni non ha rite-nuto di venire mai a rispondere alle interrogazioni dei parla-mentari di questo Parlamento (Applausi dei deputati deigruppi de L’Ulivo, dell’Italia dei Valori, de La Rosa nelPugno, dei Comunisti Italiani, dei Verdi e dei Popolari-Udeur)! Sarebbe troppo facile, onorevole Tremonti, di fron-te ad insinuazioni che sono al limite della calunnia, che lei haformulato sugli interessi personali del Presidente del Consi-glio in carica, ricordare che l’unico Governo che per cinqueanni nella vita di questa Repubblica è stato minato costante-mente dal conflitto di interessi è stato il vostro (Applausi deideputati dei gruppi de L’Ulivo, di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea, dell’Italia dei Valori, de La Rosa nelPugno, dei Comunisti Italiani, dei Verdi e dei Popolari-Udeur)!

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Elisabetta Gardini (FI). Telecom!

Piero Fassino (Ulivo). Potrei continuare a lungo, ma nonmi interessa, perché non credo che gli italiani siano appas-sionati ad un dibattito condotto su questo tenore. Quindi, misforzo, al pari di altri colleghi - il collega Giordano, in par-ticolare - di cercare di riflettere sulle questioni che la vicen-da Telecom suscita e che sono state affrontate dal Presiden-te del Consiglio; mi pare che ve ne siano molte, ma segna-tamente tre.

Domenico Di Virgilio (FI). Telecom!

Piero Fassino (Ulivo). La prima questione è il rapportotra Stato e mercato. In queste settimane, voi dell’opposizio-ne (quindi, mi sforzo ancora di interloquire con voi, non-ostante il tono del dibattito)...

Maurizio Gasparri (AN). Grazie! Vergogna!

Piero Fassino (Ulivo). ...voi, in queste settimane, anchegli onorevoli Gianfranco Fini e Tremonti, avete adombrato -e non solo adombrato - l’idea che dietro il comportamentodel Governo vi sia una mentalità statalista, dirigista, un ten-tativo addirittura - è stato evocato nell’intervento dell’onore-vole Tremonti - di nazionalizzare le telecomunicazioni. Ora,tutto ciò non ha alcun fondamento. Sappiamo tutti, da tempo,che appartiene ad un’altra epoca la fase nella quale lo Statoaveva un ruolo come imprenditore di prodotti, di beni e dimerci, che oggi il mercato è in grado di corrispondere a tuttele esigenze di merci e di beni che la nostra società abbisognae che il ruolo dello Stato si gioca su un altro terreno, quellodella definizione delle regole, che peraltro sono affidate adun’autorità indipendente, quale l’authority delle telecomuni-cazioni, e sul terreno dell’individuazione ed attivazione dellepolitiche di sistema, dalla formazione al sostegno, alla ricer-ca, alle infrastrutture, all’internazionalizzazione, che consen-tano alle imprese che agiscono in un mercato di non esseresole e, avvalendosi dei fattori di sistema che la politica e lo

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Stato possono mettere loro a disposizione, di essere più com-petitive.

A questo approccio si ispira la nostra politica nel settoredelle telecomunicazioni, dove non intendiamo statalizzarealcunché; intendiamo, invece, che siano rafforzate tutte leiniziative di regolazione trasparente del mercato, attraversol’attività dell’authority e riteniamo - e la legge finanziariache discuteremo a breve renderà evidente questo nostroimpegno - di mettere in campo tutte le politiche industriali edi sistema necessarie a far sì che gli operatori delle teleco-municazioni possano agire in termini più competitivi diquanto non abbiano fatto sinora.

Per quanto attiene alla questione del rapporto tra le infra-strutture di rete e coloro che producono beni e servizi, ancheal riguardo non facciamo finta di non sapere che le cose, inquesti anni, hanno conosciuto un’evoluzione, in Italia comein tutto il mondo. Un tempo, un’impresa era titolare dellarete e dei servizi che sulla rete stessa viaggiavano. Oggi nonè più così in moltissimi paesi e non è più così in Italia permolti servizi. Oggi, se fosse redditizio, una qualsiasi compa-gnia privata ferroviaria potrebbe far circolare i suoi treni suibinari pubblici, perché abbiamo separato la rete da coloroche organizzano il trasporto. Lo abbiamo fatto nell’energia,lo abbiamo fatto negli aeroporti. Non è, dunque, uno scanda-lo discutere - ne ha parlato anche Guido Rossi, il nuovo pre-sidente della Telecom, ieri, nel corso dell’audizione che si èsvolta in questa Camera - della possibilità di separare, comeavviene già in altri paesi, l’infrastrutturazione di rete dagliutilizzatori, dalle società che prestano servizi telefonici. Èuna questione su cui è lecito discutere. Ricordo che questotema fu evocato persino dal ministro Tremonti, quando eraministro dell’economia e delle finanze e, se dobbiamo fareuna riflessione su tale tema, è possibile farla: come si orga-nizza l’insieme dei servizi telefonici in una logica che veda,anche in questo campo, un’articolazione ed una flessibilizza-zione tra servizi e rete. Il che non significa necessariamentetradurre ciò nel fatto che i servizi devono essere privati e larete pubblica. Infatti, nel caso della separazione tra aeropor-ti e compagnie aeree tutto è, ad esempio, privato e, quindi,

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come si può constatare, si possono avere modalità diverseper metterla in atto.

Per quanto riguarda la terza questione, ossia la Telecom,quest’ultima non è un’azienda in crisi. È un’azienda che hatecnologia, risorse, che ha visto aumentare i propri clienti,che ha visto accrescere i propri ricavi, è un patrimoniostraordinario del paese.

È una società che ha un forte indebitamento. È proprioperché essa è un patrimonio prezioso per il paese, non èindifferente come si affronta, si aggredisce e si risolve que-sto indebitamento. Dico francamente che a noi non appari-rebbe convincente se venisse praticata (è un’ipotesi, non sose questa è la decisione) l’idea che per pagare i debiti si ceda-no attività, rami e settori della Telecom perché in questomodo si ridurrebbe il suo patrimonio tecnologico, finanzia-rio, umano e di mercato. Noi pensiamo che, se si vuoleaffrontare seriamente questo tema - un tema che è bene etempo sia di evocare, perché la Telecom è una grande azien-da di questo nostro sistema produttivo, sia di affrontare (laresponsabilità sarà naturalmente dell’azienda e dei suoi azio-nisti) -, è bene allora agire sul terreno della ricapitalizzazio-ne della società, allargare la base azionaria dei soci e, perquesta via, accumulare le risorse finanziarie per ridurre l’in-debitamento, senza compromettere il patrimonio tecnologi-co, produttivo ed umano dell’azienda (Applausi dei deputatidel gruppo de L’Ulivo).

Proprio per questa ragione, proprio per non compromette-re la credibilità di un’azienda così importante, è opportunoche in questo stesso periodo si faccia chiarezza sulla vicendadelle intercettazioni; si chiarisca se quell’organizzazione dispionaggio e di schedatura che è stata fatta sia andata a van-taggio di qualcuno: a vantaggio di chi? Sulla base di qualifinalità e per quali obiettivi? Quali eventuali inquinamentipuò aver prodotto o quale era l’intenzione di chi ha posto inessere quell’attività produrre? La magistratura accerti tutto eindividui le responsabilità di tutti coloro che le hanno, sianoessi nella Telecom, siano essi in corpi o in apparati delloStato. Dico ciò perché è necessario, in primo luogo, restitui-re serenità a questa azienda proprio per quello che rappre-

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senta nel patrimonio produttivo, tecnologico e finanziariodel nostro paese. Serenità, quindi, a chi investe, a chi lavora,a chi utilizza questi servizi. Insomma, usciamo da questavicenda guardando in avanti.

Se vogliamo discutere di questi temi noi siamo pronti,oggi, come lo saremo in qualsiasi altro momento. Se invecequalcuno pensa di continuare ad imbastire delle aggressioni,allora troverà pane per i suoi denti (Commenti dei deputatidel gruppo di Alleanza Nazionale - Applausi dei deputati deigruppi de L’Ulivo, di Rifondazione Comunista-SinistraEuropea, dell’Italia dei Valori, de La Rosa nel Pugno, deiComunisti Italiani, dei Popolari-Udeur e dei Verdi - Con-gratulazioni).

Presidente. Ha chiesto di parlare il deputato Casini. Neha facoltà.

Pier Ferdinando Casini (UDC). Come sa il PresidenteProdi, io parlo a nome di un partito che interpreta il ruolodell’opposizione in modo responsabile e non demagogico epenso che l’abbiamo dimostrato in tutta questa legislatura sutemi cruciali come quelli della politica estera (missioni dipace). E ciò lo abbiamo fatto nell’interesse del nostro paese.La politica la conduciamo prevalentemente in Parlamento,più che nelle piazze, a viso aperto e senza pregiudizi, confermezza, però, come credo lo debba fare una forza politicaseria di opposizione.

Siamo moderati, ma questo non significa, PresidenteProdi, che siamo ingenui. Noi dell’UDC non siamo degliingenui e non vogliamo essere trattati come degli ingenui.Non vogliamo soprattutto in questa sede assistere ad interes-santi racconti di favole.

All’onorevole Fassino dico francamente una cosa sempli-ce, non avendo né Fini né Tremonti bisogno di difensorid’ufficio. Non capisco, onorevole Fassino, perché noidovremmo essere gli unici italiani non interessati a chiarire,non con dibattiti astratti sul merito dei processi innovatividelle telecomunicazioni, e a rispondere alle domande chetutti i giorni si pongono i giornali di questo paese. Tutti,

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anche coloro che notoriamente non hanno sostenuto il cen-trodestra nelle recenti elezioni!

Il Presidente ci ha ripetuto quello che sapevamo, ciò cheè stato dichiarato sui giornali: che del piano Rovati non sape-va nulla, che nulla sapeva dei progetti di scorporo! Purtrop-po, questi chiarimenti, che non era da matti, ma era dovero-so venire a fornire al Parlamento, non hanno, in realtà,aggiunto nulla e in nulla hanno davvero chiarito; anzi, dalnostro punto di vista, hanno accresciuto la curiosità ed ilnostro sacrosanto desiderio di conoscere la verità. Questo è il ruolo di un’opposizione, altro che lamentarsi diquello che l’opposizione dice! Avrei voluto, nelle condizioniinverse, vedere voi che cosa potevate dire al Presidente Ber-lusconi nella scorsa legislatura in casi analoghi (Applausi deideputati dei gruppi dell’UDC, di Forza Italia e di AlleanzaNazionale)!

Stiamo discutendo di una vicenda che tocca i temi dellademocrazia e non mi riferisco alle intercettazioni telefoni-che, di cui il nostro partito, l’UDC, è parte lesa per eccellen-za, poiché il nostro segretario è stato tra coloro che sono statispiati illegalmente. Mi riferisco, invece, alle questioni dioggi, vale a dire al rapporto tra politica ed economia, alla tra-sparenza nelle grandi operazioni finanziarie, alla tutela deiconsumatori, all’esercizio del potere esecutivo e, onorevolidella maggioranza, all’attività di controllo del Parlamento.

Non è un problema da guardare dal buco della serratura,ma un problema di fatti che già sono stati posti e che io ripro-pongo.

L’8 settembre, Palazzo Chigi smentiva una presunta intro-missione sulle scelte industriali di società italiane ed interna-zionali nella vicenda Telecom. Il titolo di quella nota, diffu-sa dalla Presidenza del Consiglio, non lasciava spazio adinterpretazioni: nessun altolà di Prodi alla vendita di TIM!Ma il 12 settembre, all’indomani della notizia ufficiale delprogettato scorporo, il Presidente si dice sorpreso. Ammettedi aver avuto dieci giorni prima un colloquio con TronchettiProvera, durante il quale, però, nessuno aveva assolutamen-te accennato ad una ristrutturazione societaria così importan-te e radicale.

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Peccato che il giorno seguente una lunga inconsueta notadi Palazzo Chigi informa di ben due colloqui avuti da Prodicon Tronchetti Provera e rivela, a mercati aperti, tutti i detta-gli del piano di ristrutturazione dell’azienda, coinvolgendo,fra l’altro, con nome e cognome, una serie di grandi società,come Time Warner del gruppo Murdoch e General Electric.

Questa incauta, inusitata, per usare le parole del WallStreet Journal, sfrontata irruzione del Governo italiano negliaffari di una società quotata è la dimostrazione della legge-rezza e della contraddizione dell’esecutivo nel rapporto chedeve intercorrere tra il Governo ed il mercato!

Tutti, inoltre, abbiamo visto le fotocopie del bigliettoautografo su carta della Presidenza del Consiglio con il qualesi invia un articolato studio, ben 28 pagine, con due ipotesialternative di ristrutturazione aziendale. Se un’opposizionenon si deve interessare di queste cose, forse è meglio chevada a casa (Applausi dei deputati dei gruppi dell’UDC, diForza Italia e di Alleanza Nazionale)!

Presidente Prodi, lei ha insistito nel dirsi sconcertato dallasua mancanza di informazione sul futuro di Telecom. Noidenunciamo qui il nostro sconcerto per quello scambiosegreto di informazioni, proposte, consigli, ma è logico defi-nirle intromissioni o indebite pressioni ed in merito a ciò nonci può bastare quanto lei ci è venuto a dire!

Non è finita qui! Dai verbali del consiglio di Telecomacquisiti dai magistrati risulta l’altra verità, quella di Tron-chetti Provera che aveva cioè informato a suo dire il Presi-dente del Consiglio anche del progetto di scorporo di TIM. Allora chi dice la verità? A questo punto sento il dovere diporre al Presidente del Consiglio alcune domande, ma noncome esponente dell’opposizione, come parlamentare chetutela la dignità del luogo in cui ci troviamo.

Colleghi della maggioranza, questo interessa anche voi!Anzitutto, chi davvero ha redatto quello studio? La nostra non è una curiosità fine a se stessa, ma serve a

dissipare dubbi legittimi su connessioni tra Governo e ban-che di affari internazionali e in particolare una, che annove-ra fra i suoi ex dirigenti componenti dello stesso Governo,circostanza che rende doverosa la trasparenza e una spiega-

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zione molto più incisiva ed esauriente delle sue assicurazio-ni, che suonano un po’ retoriche riguardo al fatto che a palaz-zo Chigi non c’è una banca d’affari. Il dossier Rovati preve-deva il successivo acquisto di TIM da parte della Cassadepositi e prestiti, ossia da parte dello Stato e qui vengo allaseconda domanda. È uno scenario di strategia industrialecondiviso dall’esecutivo, perché una gran parte della suamaggioranza condivide questo scenario ed è quella stessaparte della sua attuale maggioranza che due anni fa voleval’entrata dello Stato nella FIAT. Il tema è delicato, perchédettare le regole per il funzionamento del mercato è un com-pito specifico tra l’altro del Parlamento, non del Governo.

Sempre secondo il piano, insieme alla Cassa depositi eprestiti dovevano entrare soci minori. Anche in questo casofughiamo i dubbi. C’era una cordata precostituita, oppure ilGoverno è stato solo spettatore? Vede, Presidente, quando lericordo che non siamo degli ingenui, mi riferisco anche aduna certa memoria che abbiamo delle privatizzazioni. Oggiho sentito in lei qualche accenno autocritico, ma era benepensarci dieci anni fa. Qualcuno ci dovrà spiegare perché ilprimo Governo Prodi decise nel 1997 di pilotare la privatiz-zazione della Telecom, consegnandola in mano alla FIAT,permettendole di governare con un nocciolo duro molto pic-colo, in cui la FIAT aveva appena lo 0,6 per cento; poi tuttele fasi successive discendono da questo peccato originale.

Due anni dopo, nel 1999, con un altro Governo di centro-sinistra, l’attuale governatore della Banca d’Italia, Draghi,allora direttore generale del tesoro, fu obbligato dal Presi-dente del Consiglio D’Alema a disertare la riunione decisivadell’assemblea Telecom [Applausi dei deputati dei gruppidell’UDC, di Forza Italia e di Alleanza nazionale].

Infatti la sua presenza avrebbe fatto scattare il numerolegale ed impedito che l’azienda finisse in mano ad una cor-data di imprenditori graditi all’esecutivo, con la compiacen-za delle banche, che non sono spettatrici - cosa che invecepuntualmente avvenne - ma, guarda caso, l’unico fra questiimprenditori che avesse un’idea di politica industriale, ossiaRoberto Colaninno, fu a sua volta costretto a lasciare pocotempo dopo.

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È questa la politica industriale sulla quale lei vuole oggiimpartirci una sua lezione? Vorrei infine sollevare una que-stione grande come una casa, che riguarda il ministro Di Pie-tro. Il ministro delle infrastrutture Antonio Di Pietro il 13 set-tembre, a mercati aperti, ha chiesto pubblicamente le dimis-sioni di Tronchetti Provera, presidente di un’azienda privatalegittimamente nominato dai suoi azionisti. Quelle perento-rie dichiarazioni del ministro, come era prevedibile, hannodeterminato una caduta del titolo Telecom, un danno per irisparmiatori e gli investitori e la conseguente apertura di unfascicolo da parte della procura di Roma.

Ma il fatto grave è che Di Pietro abbia rilasciato questadichiarazione, mentre decideva il destino di uno degli azio-nisti principali di Telecom, cioè la famiglia Benetton, la cuisocietà Autostrade sta portando avanti un processo di fusio-ne con Abertis sul quale l’assenso del ministro Di Pietro èdeterminante. Bell’esempio di politica industriale, basata sulconflitto di interessi e la turbativa dei mercati [Applausi deideputati dei gruppi dell’UDC, di Forza Italia, di AlleanzaNazionale, della Lega Nord Padania e della DemocraziaCristiana-Partito Socialista].

Alla fine di questa vicenda è chiara l’inadeguatezza delGoverno, ma anche la debolezza del capitalismo italiano.Se si vuole privatizzare, bisogna avere il coraggio di aprirei mercati, perché altrimenti il consumatore non avrà mai ilbeneficio del processo di liberalizzazione, le tariffe non siabbasseranno mai. Se si vuole privatizzare con dei destina-tari precisi dotati di nome e cognome, ma senza capitali, siavrà un processo di liberalizzazione che non serve al con-sumatore italiano. Infine, Presidente, un’ultima annotazio-ne: è la ventesima volta che la sento parlare di authority,per affermare l’importanza dell’autorità di regolazione, maqui bisogna essere chiari. Un conto è occupare gli enti pub-blici, come questo Governo ha già fatto, un conto è minac-ciare un giorno sì e l’altro pure le autorità di riformarle dra-sticamente, perché questo lede i principi di autonomia delleautorità (Applausi dei deputati dei gruppi dell’UDC, diForza Italia, di Alleanza Nazionale e della Lega NordPadania).

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Difendiamo le autorità nella loro indipendenza e fare que-sto concretamente, non solo a parole, significa metterle alriparo dalle vendette legislative.

Non siamo soddisfatti di queste sue parole. Tutti sappia-mo quello di cui si doveva discutere oggi in Parlamento. Noi abbiamo affrontato delle questioni in modo anche crudoe spiacevole, ma l’opinione pubblica non si aspetta che fac-ciamo dei balletti da salotto, ma che affrontiamo le questio-ni che non hanno ancora una risposta davanti a tutti gli ita-liani [Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, diAlleanza Nazionale, dell’UDC e della Lega Nord Padania].

Presidente. Ha chiesto di parlare il deputato Roberto Cota.

Roberto Cota (LNP). Signor Presidente del Consiglio,c’è amarezza e insoddisfazione per il suo intervento, perchépiù che l’intervento di un leader che deve dettare la lineapolitica, che deve guidare il paese nei momenti difficili, ilsuo intervento è sembrato invece la «lezioncina» di un pro-fessore al primo anno di un istituto tecnico. Questa è statal’impressione che noi abbiamo tratto dal suo intervento.

Il dibattito che oggi ci ha occupato, a nostro avviso, inve-ste due aspetti. Il primo è certamente attinente al suo com-portamento da Presidente del Consiglio, mentre il secondo èattinente alla linea politica del Governo in un momento deli-cato, per quanto riguarda l’economia del paese.

Con riferimento al primo aspetto, che un Presidente delConsiglio menta o meno all’opinione pubblica, che un Presi-dente del Consiglio menta di fronte al Parlamento, che unPresidente del Consiglio menta su una questione così impor-tante non è irrilevante.

Veda, Presidente Prodi, qui non si tratta di avere corso omeno la maratona, di essersi fatto portare o meno all’ultimochilometro prima del traguardo, perché la situazione è que-sta: o mente lei o mente il consigliere Rovati.

Presidente. Inviterei i signori parlamentari ad un com-portamento consono alla possibilità di ascoltare l’intervento.La prego di proseguire il suo intervento, deputato Cota.

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Roberto Cota (LNP). Grazie, Presidente. Devo dire che le circostanze non depongono a suo favo-

re. Il fatto che sia stato inviato un piano industriale su cartaintestata della Presidenza del Consiglio, il ruolo e la funzio-ne del consigliere Rovati la mettono in estrema difficoltà.Potremmo dire che probabilmente verrebbe condannatoanche da una toga rossa, in questa situazione. L’accusa non èda a poco, Presidente Prodi. Veda, qui si tratta di averearmeggiato sulle vicende di una azienda privata, si tratta diavere esercitato un’influenza indebita sul mercato, che hatanti risvolti. Penso che se una vicenda del genere fosse acca-duta nella scorsa legislatura sarebbe successo di tutto, comehanno ricordato altri colleghi, sarebbero fioccate richieste didimissioni, inchieste e patenti di impresentabilità.

Però, come dicevo prima, Presidente Prodi, c’è anche unaquestione politica sottesa al suo comportamento, che è una que-stione politica che investe tutto il Governo, investe la lineapolitica di questo Governo. Più in generale, essa riguarda quel-lo che sta facendo questo Governo in economia, quello che stafacendo questo Governo per il sistema produttivo, quello chesta facendo questo Governo per il nord, per quanto ci riguarda.

Presidente Prodi, in questi pochi mesi, il Governo ha fattomolti danni, in questi pochi mesi il Governo ha mostrato lafaccia del più bieco statalismo, ha mostrato la faccia dell’i-nasprimento della pressione fiscale, ha mostrato la volontà dicolpire i ceti produttivi.

Vorrei portare alcuni esempi, cominciando dal decretoVisco-Bersani, che lei, nella sua «lezioncina», ha «venduto»come un esempio di liberalizzazione. Sappiamo tutti che sitratta dell’esatto contrario: infatti, ha portato alla creazionedi nuovi oligopoli (pensiamo agli interessi che hanno riguar-dato le cooperative, di solito «rosse»), ha portato ad una stan-gata fiscale ed ha portato alla criminalizzazione delle libereprofessioni.

Pensiamo alla linea che sta emergendo con riferimento aldisegno di legge finanziaria (Commenti dei deputati delgruppo della Lega Nord Padania)...

Roberto Maroni (LNP). Presidente...!

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Roberto Cota (LNP). Presidente, scusi...! Mi ascolti!

Presidente. Lei avrà constatato che l’ho già ha fatto...

Roberto Maroni (LNP). Grazie!

Roberto Cota (LNP). Grazie!

Presidente. ...e lo rifaccio ancora; prego anche chi siedeai banchi del Governo di prestare l’attenzione che un depu-tato merita.

Prego, può riprendere il suo intervento.

Roberto Cota (LNP). Grazie, Presidente (Applausi deideputati del gruppo della Lega Nord Padania)! Forse nonc’è molta differenza tra quando il Presidente del Consigliosta attento e quando non lo è, però voglio dire... Va bene(Applausi dei deputati dei gruppi della Lega Nord Padania edi Forza Italia)...!

Pensiamo alla sbandierata riduzione del cuneo fiscale, chedovrebbe essere contenuta nel disegno di legge finanziaria...

Presidente Prodi...? Grazie: poi, se vuol fare i suoi como-di, magari potrebbe anche uscire dall’aula, per rispetto neiconfronti del Parlamento!

Questa sbandierata riduzione del cuneo fiscale - dicevo -dovrebbe riguardare soltanto le assunzioni a tempo indeter-minato; in altri termini, tale operazione dovrebbe fare esclu-sivamente gli interessi delle grandi imprese, abbandonandocompletamente il ceto produttivo, nonché quelle piccole emedie imprese che costituiscono ancora, per fortuna, il tes-suto economico e sociale del paese e, soprattutto, del nord.

In buona sostanza, vi è una strategia per colpire, oltre aiceti produttivi, la classe media: pensiamo, ad esempio,all’aumento al 43 per cento dell’aliquota sui redditi oltre i 70mila euro. Lo stesso senatore Treu, un esponente della mag-gioranza, ha detto candidamente la verità su tale punto: que-sto sembra e sta diventando il Governo delle tasse! Lo stes-so Riformista, che non è certo la Padania, ha scritto che que-sto Governo fomenta la rivolta dei ceti produttivi al nord

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(Applausi dei deputati dei gruppi della Lega Nord Padania edi Forza Italia)!

Ma ritorniamo per un attimo alla vicenda Telecom, Presi-dente Prodi. È importante riflettere su cosa avessero in testagli uffici di Palazzo Chigi. Infatti, dopo che la Telecom erastata privatizzata, con una vostra operazione che ha favoritogli interessi dei soliti pochi noti, che conoscete bene, Palaz-zo Chigi aveva in mente di ristatalizzare la Telecom, median-te un’acquisizione della stessa da parte della Cassa depositie prestiti!

Presidente Prodi, è ciò che accade nei paesi sudamerica-ni: si svendono le aziende pubbliche, il risultato è che qual-cuno realizza ingenti affari, ma poi, quando le cose vannomale, si pensa di statalizzarle nuovamente! Questo, Presi-dente Prodi, è lo statalismo che uccide il sistema produttivo;questo è lo statalismo che toglie il fiato al nord e alla suaripresa!

Ricordiamoci quanto è successo nel recente passato; pen-siamo, per esempio, al fatto che la FIAT, finalmente, hamigliorato i dati della sua produzione, perché nella passatalegislatura il Governo ha smesso di erogare aiuti a scopoassistenziale ed ha obbligato il management della stessaFIAT ad investire sulla qualità dei prodotti! Voi, invece, statefacendo l’esatto contrario (Applausi dei deputati dei gruppidella Lega Nord Padania e di Forza Italia)!

Qualcuno afferma che, in fondo, questo piano Rovati nonè così male, perché si tratta di un piano tecnicamente benfatto e potrebbe essere preparato da una banca d’affari. Vede,Presidente Prodi, è questo il problema, è questo il male:Palazzo Chigi è una banca d’affari! Palazzo Chigi si com-porta come una banca d’affari (Applausi dei deputati deigruppi della Lega Nord Padania, di Forza Italia e di Allean-za Nazionale)! Con due azionisti, peraltro, a leggere i reso-conti documentati dei giornali: uno è il Presidente del Con-siglio, mentre l’altro azionista è il ministro degli affari esteri(con tanto di ricostruzioni relative alle ultime vicende ban-carie)!

Vede, questo non è un bene per il paese, perché gli inte-ressi di questa banca d’affari non coincidono con gli interes-

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si generali, non coincidono con gli interessi dei ceti produt-tivi e non coincidono con gli interessi del nord che noi ci pro-poniamo, con determinazione e con coerenza, di tutelare.

Per questo motivo, il Governo deve andare a casa il piùpresto possibile; le altre cose per noi vengono dopo [Applau-si dei deputati dei gruppi della Lega Nord Padania, di ForzaItalia, di Alleanza Nazionale e dell’UDC (Unione dei demo-cratici cristiani e dei Democratici di Centro)]!

Presidente. Ha chiesto di parlare il deputato Donadi. Neha facoltà.

Massimo Donadi (Ulivo). Signor Presidente, innanzitut-to, esprimo rammarico per il fatto che il dibattito odiernovenga trasmesso in diretta televisiva soltanto in Italia: pensoche, se l’avessimo trasmesso in mondovisione, con le argo-mentazioni venute oggi dall’opposizione, avremmo dato aDan Brown materiale per scrivere almeno tre dei suoi pros-simi fantastici thriller.

Detto questo, e a parte gli scherzi, intendiamo veramente,a nome dell’intero gruppo parlamentare dell’Italia dei Valo-ri, esprimere il pieno apprezzamento per la scelta, fatta oggidal Presidente del Consiglio Romano Prodi, di essere pre-sente in quest’aula in rappresentanza dell’intero Governo.

Lei oggi, signor Presidente del Consiglio, ha fatto ben dipiù che riferirci sulla vicenda Telecom: lei ha illustrato aquest’aula e al paese intero le linee ispiratrici del Governo,direi quasi la filosofia del Governo in materia di politicaindustriale, una politica che correttamente vede il Governonon più come un protagonista, come l’imprenditore di Stato,con buona pace delle tante velleità e aspettative che, da que-sto punto di vista, la Casa delle libertà covava in questi gior-ni, ma, molto più correttamente ed efficientemente, come ilsoggetto regolatore dei mercati; un soggetto che contrastaquei conflitti di interesse che spesso nell’economia oggi nonvediamo segnati, a causa della mancanza di regole, da unanetta demarcazione tra il ruolo del controllore e quello delcontrollato. È un Governo che pone le regole, poche, chiare,ma stringenti, a garanzia della trasparenza, dell’efficienza,

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della competitività dei mercati economici, soprattutto - dob-biamo dirlo -, nelle fasi così delicate, ma così strategiche perl’economia del paese, legate alle privatizzazioni e alle dis-missioni da parte dello Stato di parti importanti dell’econo-mia di un paese.

A tale riguardo, credo che non solo noi ma una gran partedel paese sia stanca e non ne possa più di vedere tanti capi-talisti senza capitali che nel corso di questi anni hanno acqui-stato importanti aziende pubbliche con i soldi delle banche,quando non con i soldi delle aziende stesse indebitandole,procurando ricchezza per sé ma impoverimento complessivodel sistema economico.

E su questo punto vorrei ribattere rapidamente all’onore-vole Casini, se fosse ancora presente e non fosse uscito dal-l’aula subito dopo avere svolto il proprio intervento, ricor-dandogli che, se il ministro Di Pietro oggi si trova a parlaredi Telecom e di Tronchetti Provera e cinque minuti dopo adover decidere se dare una concessione a Benetton, che pureè socio di Telecom, il problema non è certo del ministro DiPietro, ma di un sistema italiano asfittico, in cui non si riescepurtroppo a dar vita a soggetti nuovi, a energie nuove chesappiano creare, attraverso la moltiplicazione delle iniziati-ve, quella vera competitività di cui ogni mercato e ognidemocrazia liberale si nutre.

In ogni caso, resta da fare un’ultima considerazione cheriteniamo fondamentale. Un Governo che, come richiamavalei, signor Presidente, deve porsi come regolatore dei merca-ti, deve intervenire anche e soprattutto nella disciplina diquello che è uno degli elementi strategici e strutturali di ognipaese a democrazia avanzata, cioè la gestione e il controllodelle grandi reti. Quando si parla di grandi reti, ci si riferiscea quelle strutturali, infrastrutturali e telematiche, quali le fer-rovie, l’energia, le telecomunicazioni, attraverso le qualipassa non solo una parte importante dell’economia del paese,ma una gran parte dell’innovazione e spesso della sicurezzastessa del paese. E allora dobbiamo dircelo con chiarezza chela gestione, la proprietà, l’utilizzo e l’amministrazione delleaziende che gestiscono le grandi reti del paese, molto spessooggi privatizzate, non sono fatti che possono lasciare un

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Governo indifferente e neutrale, ma richiedono un intervento. Infatti, non è affatto la stessa cosa se, per esempio, un’a-

zienda, pressocché monopolista nel settore della telefoniafissa e mobile, finisce nelle mani di uno straniero. E di qualestraniero e con quale finalità? In questi giorni abbiamo con-statato che un’azienda come Telecom, che collabora con lamagistratura per le indagini e le intercettazioni, che vivesulla base di una concessione dello Stato, può finire nellemani di qualcuno rispetto al quale, come paese, non siamo ingrado di sentirci completamente sicuri e rassicurati. Questonon significa e non deve significare nel modo più assolutol’ingerenza del Governo nelle politiche aziendali di ogni sin-gola impresa, tanto meno di un’azienda quotata in Borsa.Tuttavia, c’è un piano che crediamo diverso, ma strettamen-te connesso.

Ogni Governo ha il dovere, sempre, di rappresentare gliinteressi collettivi fondamentali di un paese e di garantire lamigliore tutela di questi interessi, anche nel campo dell’eco-nomia. Allora, crediamo che un Governo sarebbe inadem-piente e veramente colpevole se, rispetto a queste aziende,che per dimensioni, collocazione strategica, possesso diknow how, investimenti scientifici e tecnologici, costituisco-no la spina dorsale di un paese, non intervenisse con richie-ste di conoscenza, di informazione, di partecipazione, di con-divisione.

Tutto questo, nel caso Telecom, non è avvenuto o non èavvenuto compiutamente. Se i più alti vertici di questa azien-da, fin dal principio, avessero collaborato con il Governo,spiegando le ragioni per cui si disfaceva oggi quello che siera deciso poco meno di due anni fa, fugando i dubbi legatia un debito enorme, 80 mila miliardi di vecchie lire, con leconseguenti preoccupazioni in merito al mantenimento deilivelli occupazionali e alla tutela dei piccoli imprenditori,ebbene, credo che tutto questo polverone non sarebbe statosollevato.

È vero, esiste una zona grigia nel paese. Ma la cosa che cilascia perplessi è che questa zona grigia sembra oggi lambi-re anche parte di quello stesso sistema economico dal qualearriva la denuncia. Se la politica ha certo il dovere, in modo

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fermo e rispettoso, di arrestarsi di fronte alle dichiarazioni diun’azienda che afferma di essere essa stessa parte lesa diquella sorta di Spectre delle intercettazioni illegali, che pure,come una metastasi, si era strutturata ed organizzata all’inter-no di Telecom stessa, al punto di lavorare per anni, indistur-bata, contro la libertà dei cittadini, è anche vero che moltocontribuirebbe a dissipare questa zona grigia una grande ope-razione di trasparenza e di pulizia, non quella che competeallo Stato, che con tempestività e con grande coerenza e fer-mezza è già intervenuto per quanto di propria competenza,ma quella che compete ai massimi vertici industriali: il livel-lo e la qualità della democrazia e del confronto nel nostropaese se ne gioverebbero senz’altro in larga misura.

In conclusione, signor Presidente, le vogliamo dire cheper primi ritenevamo che questo dibattito e questi chiari-menti fossero assolutamente indispensabili e non rinviabilida parte del Governo. Le siamo, quindi, grati delle parole - elo voglio dire con orgoglio e con forza - di verità che lei oggiha pronunciato in quest’aula, ma soprattutto di un’informati-va decisa e determinante non solo e non tanto sulla vicendaeconomica di Telecom, ma, più in generale, sulle politicheindustriali di questo Governo e sulla necessità che lei stessoha riaffermato di tutelare gli interessi pubblici legati allaavvenuta privatizzazione delle grandi reti infrastrutturali etelematiche del nostro paese.

Questi erano i veri problemi da affrontare. Queste lerisposte che il Presidente del Consiglio ha dato a quest’aula.Purtroppo, abbiamo dovuto, ancora una volta, constatare chel’opposizione, asservita quasi sempre ad una concezionedella politica puramente strumentale, ha finito, ancora unavolta, per tradire il ruolo e le funzioni stesse che in unademocrazia competono all’opposizione, dimostrando - e lorileviamo con amarezza - che di tutti questi temi di cui oggiabbiamo parlato all’opposizione non interessava assoluta-mente nulla: lo ribadisco, non gliene interessava assoluta-mente nulla!

Ciò che stava a cuore all’opposizione qui, oggi, era darvita, sulla base di presupposti inesistenti e relativamente adun fatto totalmente irrilevante ed insignificante, ad una sorta

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di siparietto mediatico ai danni del Governo. Noi, signor Presidente del Consiglio, lasciamo interamen-

te a loro questa sterile ed a tratti offensiva polemica. Noisaremo e siamo sempre al suo fianco nel porre in primopiano i problemi veri del paese, gli interessi generali dell’I-talia e degli italiani (Applausi dei deputati del gruppo dell’I-talia dei Valori).

Presidente. È iscritto a parlare il deputato Villetti. Ne hafacoltà.

Roberto Villetti (RnP). Apprezziamo, innanzitutto, la suadecisione, signor Presidente del Consiglio dei ministri, divenire in Parlamento a riferire su tutta la complessa vicendadella Telecom. Noi, come gruppo della Rosa nel Pugno,siamo stati tra i primi a chiedere che il Governo venisse inParlamento e che fosse lei, signor Presidente del Consigliodei ministri, ad offrire i chiarimenti da più parti invocati.

In tutta questa vicenda, è necessario ammetterlo, sonostate commesse leggerezze, vi è stato qualche sbandamentoe vi è stato anche qualche vero e proprio errore.

Si è diffusa l’impressione, che ha avuto riflessi nella stes-sa opinione pubblica internazionale, che ci trovassimo difronte ad un’ingerenza del Governo nella gestione dei pro-getti industriali di un’impresa come la Telecom. Tutto ciò èdovuto alla diffusione del cosiddetto piano Rovati, da cui lei,signor Presidente del Consiglio dei ministri, ha più voltepreso le distanze e qui ha dato una chiara impostazione. Èstato, quindi, opportuno che il dottor Rovati abbia fatto unpasso indietro.

Non vedo alcuno scandalo se il Presidente del Consiglioè chiamato a spiegarsi meglio di fronte ad una situazione chenon ha brillato per trasparenza. Chiarimenti di diverso tipo edi maggiore gravità, del resto, li ha dovuti fornire persino ilPapa, senza che ciò comportasse una perdita della sua auto-revolezza. Non capisco proprio perché sia considerato un fat-tore sconvolgente se quello chiamato a dare chiarimenti è ilCapo del Governo.

Quanto lei ha detto, signor Presidente del Consiglio dei

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ministri, ci rassicura perché ha sgombrato il campo da equi-voci e ha così contribuito a contrastare la campagna martel-lante ed ossessiva condotta da settori dell’opposizione,soprattutto per mettere sotto accusa lei, signor Presidente delConsiglio dei ministri, e quindi tentare nuovamente di dareuna spallata al Governo. Ciò è comprensibile, meno com-prensibili sono le lezioni proprio sul terreno della distinzio-ne tra economia domestica e Stato: questo lo dico riferendo-mi alla situazione del partito nel quale milita il professor Tre-monti, poiché Berlusconi è, in qualche modo, il simbolo el’emblema di una commistione tra questi due aspetti.

Ripeto qui quanto abbiamo già detto tante volte: il pro-blema non era Prodi e non è Prodi, e non è neppure quello diun duello tra il Presidente Prodi e il dottor Tronchetti Prove-ra. La principale questione è, invece, l’orientamento delGoverno sul futuro delle telecomunicazioni in Italia.

In tutta questa vicenda, è sembrato che il Governo voles-se procedere con la testa rivolta all’indietro, in controten-denza rispetto ai processi da tempo avviati, rivolti ad affer-mare privatizzazioni e liberalizzazioni, cosa che lei qui hasmentito nettamente affermando una ben diversa concezionedei rapporti tra Governo e mercato.

Michele Salvati, proprio oggi, su Il Corriere della Sera,ha osservato che due fantasmi si aggirano per le stanze deiministeri economici di mezza Europa: il fantasma della pro-prietà pubblica e quello della proprietà nazionale. Si aggira-no soprattutto da noi; erano già presenti con il Governo dicentrodestra e sono puntualmente tornati con quello di cen-trosinistra.

Ieri, il nuovo presidente della Telecom, il professor GuidoRossi, nella sua audizione presso le Commissioni riunite tra-sporti della Camera e lavori pubblici del Senato, ha detto -con il tono di un altolà di fronte ad un pericolo incombente -che non intende assistere passivamente ad una nuova, sia purlarvata, nazionalizzazione dell’impresa. Si possono conside-rare eccessive queste preoccupazioni.

Tuttavia, in un paese come l’Italia - dove non c’è solo ilveterostatalismo a sinistra, ma anche nell’opposto schiera-mento si annidano colbertisti, corporativisti e destra sociale -

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simili timori possono avere qualche fondamento. Qui nondobbiamo certo fare un confronto sull’intervento pubbliconel corso della storia d’Italia, rispetto al quale non mi sentoaffatto di dare un giudizio sommario e negativo, poiché loStato ha avuto spesso un ruolo utile nella ricostruzione delpaese. Semmai, il limite è stato quello che si riferisce nontanto allo Stato, ma all’invadenza dei partiti nello Stato enella vita delle imprese pubbliche. Si tratta, invece, di direcon chiarezza che, di fronte alle sfide della globalizzazione enel quadro dell’Unione europea, quel capitolo è ormai chiu-so. Oggi dobbiamo puntare innanzitutto sul valore della con-correnza per riuscire a dare una spinta allo sviluppo del nostropaese. La concorrenza è necessaria per assicurare un correttofunzionamento del mercato, che non è il far west, ma un’isti-tuzione dotata di regole, ispirata a principi di trasparenza, sot-toposta a controlli da parte di autorità indipendenti.

Solo così si potrà trasformare il capitalismo italiano, trop-po spesso chiuso ed arroccato in piccole dimensioni, piutto-sto refrattario alla competizione, caratterizzato da una forteimpronta familiare e da una mai completamente abbandona-ta vocazione ad essere assistito dallo Stato. La concorrenzadeve essere assicurata difendendone i presupposti, che nelcampo delle comunicazioni vedono nell’accesso alle reti unaspetto fondamentale. Le reti sono un bene comune, ma ciònon implica affatto che siano di proprietà dello Stato; posso-no essere private, ma devono essere gestite sulla base diregole liberali che evitino qualsiasi tentazione monopolisti-ca. Così si pone la questione in Italia, come negli altri paesieuropei. La soluzione da dare alle reti non ha, quindi, nulla ache vedere con le tentazioni di tornare indietro e di rinazio-nalizzare la Telecom, cosa che va nettamente esclusa, ma conl’esigenza di assicurare la concorrenza.

Tutta questa vicenda ci fa comprendere come siano staticommessi errori quando le privatizzazioni non sono stateaccompagnate dalle liberalizzazioni, con il rischio fondatoche i monopoli pubblici diventassero monopoli privati, e ci facogliere i limiti di situazioni nelle quali le imprese pubblichesono state caricate dei debiti contratti per comprarle. Pareproprio che settori del capitalismo italiano abbiano fatto con-

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correnza allo Stato nella corsa ad un indebitamento davveroeccessivo. Il Governo deve muoversi parlando il linguaggiodelle regole - e il Presidente del Consiglio su questo punto èstato assolutamente chiaro -, regole che devono essere il pre-sidio di un libero mercato. L’opacità, le manovre occulte, gliintrighi sono l’opposto di un libero mercato, nel quale devo-no essere tutelati gli azionisti, i lavoratori, ma, anche e soprat-tutto, i consumatori, che sono, poi, tutti i cittadini.

Scoprire che all’interno della Telecom esisteva un centrodi ascolto che intercettava illegalmente migliaia di personenon può che suscitare un allarme gravissimo sulla nostra vitademocratica e, specificatamente, sull’efficacia dei controllisoprattutto all’interno di imprese nevralgiche per la comuni-cazione. Quello delle intercettazioni è un capitolo a parte ditutta questa vicenda, ma non è, certamente, un capitolosecondario. Il Governo si è mosso tempestivamente per tute-lare la privacy dei cittadini. A questo proposito, devo osser-vare al Presidente del Consiglio che, forse, è necessarioregolare meglio il traffico e la circolazione delle idee tra iministri, perché spesso votano in Consiglio dei ministri in unmodo, escono dal Consiglio dei ministri e dichiarano di esse-re contrari a ciò che hanno votato, poi minacciano di nonvotare in Parlamento per ciò che hanno votato in Consigliodei ministri e, alla fine, votano naturalmente per disciplinanel Parlamento (Applausi dei deputati del gruppo de La Rosanel Pugno). Quindi, abbiamo bisogno, certamente, di unaggiustamento nella maggioranza e nel Governo.

Su questo tema, il Parlamento dovrebbe intervenire e pro-muovere la costituzione di una Commissione di inchiestasulle intercettazioni telefoniche, non sul caso Telecom, masul fenomeno in generale.

Tutta questa vicenda deve portare non a celebrare in que-st’aula un processo né al Governo né a chi ha guidato fino apoco tempo fa la Telecom, ma a riflettere sul futuro ed a con-tribuire alle decisioni che sono necessarie. In Italia abbiamobisogno di un vero e proprio salto di qualità, accrescendo lanostra competitività e incrementando le risorse per l’istru-zione e la ricerca: questa è la sfida che ci attende.

Il Governo ha come imminente e fondamentale banco di

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prova la legge finanziaria. Mi dispiace dirlo, ma in tutta que-sta delicata questione - come pure è avvenuto sul tema dellecomunicazioni - ho registrato nel centrosinistra un riformi-smo debole e spesso scolorito. Spero sia un’impressione chepresto venga fugata.

Lei, signor Presidente del Consiglio, non è solo il leaderdell’Unione, ma è stato indicato da circa quattro milioni di elet-trici e di elettori, alle primarie del centrosinistra, come il gene-rale in capo dei riformisti. È da lei, quindi, che ci attendiamonon solo scelte coraggiose ed innovative, sul futuro dellecomunicazioni e sulla tutela del valore della concorrenza e delmercato, ma anche un suo impulso forte sul terreno della ricer-ca e dell’istruzione. Non vorremmo leggere nella legge finan-ziaria che le spese sono diminuite; vorremmo leggervi che lespese sono aumentate, in sintonia con l’Agenda di Lisbona.Noi la vogliamo impegnato contro ogni corporativismo, controogni forma e pretesa monopolistica e oligopolistica.

Per tale motivo, in occasione di questo dibattito parla-mentare, pur avendo avanzato apertamente alcune critiche,come si fa tra amici, vogliamo riconfermarle - e ci creda,signor Presidente del Consiglio, senza alcuna riserva - lanostra piena fiducia (Applausi dei deputati dei gruppi de LaRosa nel Pugno e de L’Ulivo).

Presidente. Ha chiesto di parlare il deputato Diliberto. Neha facoltà.

Oliviero Diliberto (PdCI). Signor Presidente, colleghi, ilPresidente Prodi è qui intervenuto in merito alle vicendeTelecom che hanno agitato queste ultime settimane. Bene,perché alla campagna indegna delle destre occorreva pur rea-gire. Ed è stato fatto in modo adeguato. Condividiamo emanifestiamo piena solidarietà al Presidente del Consiglio eal Governo.

Vorrei approfittare di questa circostanza non per discute-re delle sciocchezze agitate dalla destra, ma per svolgerealcune considerazioni su un tema che giudico cruciale: quel-lo del destino industriale del nostro paese. Ciò approfittandoproprio della circostanza che, per primo, il Presidente Prodi

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si è soffermato sul passato (le cose già fatte) e sul futuro (lecose che dobbiamo ancora fare).

È bene ripetercelo: parliamo di settori strategici dell’eco-nomia, ossia telecomunicazioni, trasporti ed energia, il futu-ro dell’Italia. Su questo credo vi saranno anche opinionidiverse tra noi, che è bene vengano conosciute dall’opinionepubblica e dal Parlamento.

Negli anni passati abbiamo assistito ad una quasi genera-lizzata «ubriacatura» iperliberista alla quale, spesso, il piùdelle volte isolatamente, non abbiamo partecipato. Riteneva-mo e riteniamo sbagliata, dannosa per il paese, miope eco-nomicamente l’idea che le privatizzazioni dovessero riguar-dare anche e soprattutto i settori strategici dell’economia,quelli che rappresentano l’asse portante, che sono il volanoanche di tutti gli altri segmenti dell’industria e dell’economiamedesima. Lo ripeto: telecomunicazioni, trasporti, energia.

I fatti, purtroppo, ci stanno dando ragione. La privatizza-zione come ideologia - anzi, come dogma - ha contagiato,ahimè, molti - troppi - anche a sinistra; quasi un furore con-tro il ruolo dello Stato, del pubblico in economia. E chi siopponeva, come noi, alle privatizzazioni veniva e ancoraviene descritto come un nostalgico del passato, seguace diun’idea dell’economia da socialismo reale. Opporsi alle pri-vatizzazioni sembrava opporsi al futuro.

È accaduto esattamente il contrario. È accaduto, infatti,che gli effetti delle privatizzazioni - è sotto gli occhi di tutti- hanno creato un disastro nell’economia reale del paese,sotto tutti i profili. Basti pensare ai trasporti: disservizi, spa-ventosi indebitamenti, massicci licenziamenti, pericoli seris-simi di ulteriori tagli al personale (tanto è vero che i dipen-denti Telecom, più di ottantamila, stanno per scendere insciopero) e, da ultimo, certo non in ordine di importanza,incursioni criminali di eccezionale gravità, come nel casodella colossale rete di intercettazioni illegali presso Telecom!

Danni ai lavoratori, dunque, danni ai risparmiatori chehanno investito in azioni di queste aziende privatizzate (chesono crollate), danni agli utenti, che si ritrovano servizi il piùdelle volte pessimi, danni al paese. Chi paga? Pagano tutti,tranne gli alfieri di questo capitalismo straccione edificato

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con l’acquisto di aziende che sono state privatizzate - senzacapitali, ma con tanti debiti -, magari per poi rivendere leaziende medesime ad aziende estere. Società estere, comesanno bene i signori del Governo, stanno scalando, uno aduno, i settori più importanti dell’economia italiana.

Nei grandi paesi industriali europei, dove non mi risultache ci siano economie del socialismo reale, è accaduto ilcontrario: è bene ricordarlo. Le reti, cioè il settore più strate-gico per il futuro, quello della comunicazione e della cono-scenza, in Gran Bretagna, patria del liberalismo, sono di pro-prietà dello Stato. In Francia ed in Germania, non nella Rus-sia dei soviet, in paesi a capitalismo avanzato, ad economiacapitalistica, le telecomunicazioni sono pubbliche.

Allora, cosa c’è di scandaloso in quello che chiediamonoi, qui in Italia? Qui da noi si è stati più realisti del re! Pen-sate che in Italia esiste addirittura - l’abbiamo scoperto anchenel dibattito odierno - una corrente di pensiero secondo laquale, oltre ad uscire dall’economia, lo Stato, rappresentatodal legittimo Governo, non avrebbe il diritto di intervenirequando si discute del destino della più grande azienda italia-na, cioè Telecom. Ebbene, io credo sia venuto il momento didire con chiarezza - perché non se ne può più! - una paroladi verità. Il Governo non ha il diritto di intervenire: il Gover-no ha il dovere di intervenire quando si tratta di settori stra-tegici per l’economia e con circa 90 mila posti di lavoro ingioco. Ha il dovere di intervenire tanto più quando un grup-po dirigente privato - ripeto, della più grande azienda italia-na -, di colpo, contraddice tutto ciò che si sta facendo nelresto del mondo nel campo delle comunicazioni, separando,cioè, la rete fissa dalla telefonia mobile, mentre per anni ilmedesimo gruppo dirigente privato di Telecom aveva soste-nuto che il futuro del settore sarebbe stato rappresentatodalla connessione. Un evidente sotterfugio per vendere all’e-stero: prendi i soldi e scappa!

Il rischio è concretissimo: come stava accadendo per leautostrade, il ramo d’azienda della telefonia mobile rischia-va e rischia di essere acquisito da aziende non italiane, con ilbrillante risultato che l’Italia, il paese con il più alto numerodi telefoni cellulari al mondo, sarebbe stata l’unico paese a

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non avere nemmeno un gestore italiano nel settore della tele-fonia mobile. Terra di conquista: ecco cosa siamo diventati!

Ci viene addebitato, ci viene rimproverato che abbiamonostalgia dell’IRI. Badate: rispetto a questa classe dirigenteimprenditoriale dell’Italia, che non sa fare il proprio mestie-re di imprenditore (perché di questo stiamo parlando) e chenon di rado agisce in spregio assoluto delle leggi italiane -rispetto a quello che è accaduto, sì! -, noi pensiamo si debbaoperare una netta inversione di tendenza. La sfida è quella didimostrare che il pubblico può funzionare come e meglio delprivato; e, nei settori strategici dell’economia, tanto più sidovrebbe sterzare verso nuove e moderne forme di parteci-pazione o di controllo da parte dello Stato e - perché no? -anche attraverso la Cassa depositi e prestiti.

Discuteremo degli strumenti, con il Governo e con lanostra maggioranza, ma l’opinione dei Comunisti Italiani èche la politica italiana - lo ripeto: la politica - non possa assi-stere inerte allo smantellamento e alla sottrazione delleaziende da cui dipende il futuro del nostro paese, tutte edifi-cate con soldi pubblici e poi privatizzate, con enormi arric-chimenti personali di pochissimi e danni gravissimi per tuttigli altri, ad iniziare dai lavoratori.

Le privatizzazioni - so che questo è un tema di discussio-ne anche all’interno del centrodestra - hanno evocato forzeche il fragile, provinciale e debolissimo sistema economico efinanziario italiano non è stato in grado di gestire o di con-trollare, come gli apprendisti stregoni.

È tempo di porvi rimedio. Lo ripeto: è tempo di porvirimedio e di ristabilire il primato della politica sull’economia,il controllo del pubblico sul mercato, non attraverso formevecchie di partecipazione statale, perché il destino di questopaese dipende da quei settori dell’economia se non sarà lapolitica a governare quei settori. Badate: il mercato selvaggiosta procurando, come si è visto, solo ingentissimi danni.

È tempo di porvi rimedio, di salvare ciò che ancora puòessere salvato - lo ripeto -, almeno nei settori strategici delletelecomunicazioni, dell’energia e dei trasporti, affinché nonpiù il sonno della ragione generi altri mostri (Applausi deideputati del gruppo dei Comunisti Italiani)!

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Presidente. Ha chiesto di parlare il deputato Bonelli. Neha facoltà.

Angelo Bonelli (Verdi). Signor Presidente, colleghe e col-leghi, vorrei esprimere, innanzitutto, il mio apprezzamentoper l’informativa del Presidente del Consiglio Prodi edesprimere anche la nostra censura rispetto al comportamentoindecoroso che si è tenuto all’inizio dei lavori pomeridianidell’Assemblea.

Telecom Italia: 85 mila lavoratori e 41 miliardi di euro didebito che, alla fine dell’anno, secondo l’attuale presidentedi Telecom, Rossi, scenderanno a 38 miliardi. Eppure, Tele-com Italia agli inizi degli anni Novanta era un’azienda sanae forte.

Oggi, noi Verdi, in diretta televisiva, ci rivolgiamo ai con-sumatori-utenti, coloro i quali, in questi anni, hanno subitoaumenti tariffari ingiusti, immotivati e sproporzionati, affat-to legati a standard accettabili e notevolmente peggiorati intutti i settori, piuttosto che migliorati.

Ogni anno vengono prelevati dalle tasche degli italiani200 milioni di euro per servizi telefonici mai richiesti. In Ita-lia - unico caso in Europa -, si paga una tassa occulta per lericariche dei telefonini, odioso balzello che grava soprattuttosulle utenze economicamente più deboli del paese, giovani eanziani, e i cittadini che subiscono salassi a causa di un roa-ming internazionale per niente chiaro e trasparente: oltre unmiliardo di euro sottratto alle tasche degli italiani.

Il caso Telecom deve portare ad una seria riflessione,signor Presidente, per riformare il capitalismo italiano - altroche dirigismo! -, abituato a governare con i debiti contrattidalle banche, scatole cinesi, con quote minimali che riesco-no sempre a prevalere rispetto alla maggioranza del capitalesocietario, spesso polverizzato in piccole quote detenute damilioni di risparmiatori azionisti, di lavoratori costretti a sub-ire troppe angherie, a non contare nulla in assemblea, eaumenti tariffari spropositati a prescindere dalla qualità perservizio.

È necessaria una profonda revisione delle regole del capi-talismo all’italiana, occorre rivedere le regole del modello

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societario, in modo da prevedere anche l’ingresso dei lavo-ratori e dei risparmiatori-consumatori nell’azionariato Tele-com, sul modello tedesco della Deutsch Telekom. Tronchetti acquista il controllo di Telecom ed è interessante,nella brevità dell’esposizione che farò, che gli italiani sap-piano che, con il meccanismo delle scatole cinesi, in sostan-za (ossia, una serie di società, in cui al vertice della catenac’è una piccola azienda che ne controlla una più grande, finoad arrivare alla Telecom), con lo 0,8 per cento di azioni, con-trolla un impero attraverso la holding di Olimpia. I debitirimangono e per ridurli la strategia è quella di vendere edesternalizzare i lavoratori.

Negli ultimi due anni, gli azionisti hanno visto il valoredelle loro azioni ridursi della metà. Noi Verdi crediamo chesia necessario un nuovo piano industriale per rilanciare unagrande azienda e rivedere gli assetti societari, coinvolgendoi soggetti finora esclusi, che hanno dovuto subire scelte sba-gliate, ossia lavoratori e consumatori, utenti e risparmiatori,in un grande progetto fin ad ora inedito di public company.

In questa vicenda appare chiaro quanto Telecom sia stra-tegica per il paese, per il futuro lavorativo e di vita di 85 milalavoratori, nonché di milioni di utenti e, cosa importante, perla sicurezza nazionale. L’importanza di quest’ultima è dimo-strata dai fatti di alcuni giorni fa, che hanno portato all’arre-sto di molte persone, tra cui il capo della sicurezza Telecom,per le cosiddette intercettazioni illegali. Dipendenti Telecom,sindacalisti, la politica, il mondo della finanza sono statiintercettati. Il nuovo presidente Telecom, Guido Rossi, diceche l’azienda è parte lesa in questa vicenda. Noi Verdi soste-niamo che parte lesa sono i lavoratori e i dipendenti spiati, epenso che nei loro confronti l’azienda debba prevedere azio-ni risarcitorie. Chiediamo al Governo e al ministro della giu-stizia di avviare indagini sulla presenza nelle altre gestioni ditelefonia mobile di apparati di intercettazioni e di acquisi-zioni di dati della vita di cittadini italiani.

Vogliamo sapere, signor Presidente del Consiglio, se inostri servizi hanno pianificato in Italia il controllo dellecomunicazioni collocando uomini come Tavaroli in altri entigestori. Su questo vogliamo un’immediata risposta e che si

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apra un’indagine: ecco perché chiediamo alcune modificheal tempestivo e condiviso decreto sulle intercettazioni illega-li, per individuare i mandanti e consentire agli intercettati, apartire dai dipendenti Telecom, di chiedere un risarcimento.

Non sfuggirà al Parlamento - lo voglio dire proprio inquesta sede, perché penso sia doveroso - ed è ben chiaro agliitaliani che, se oggi siamo riusciti a scoprire un attentato allademocrazia pari a quello della P2, è grazie alla capacità d’in-chiesta di giornalisti come D’Avanzo e Bonini: senza quel-l’inchiesta, gli italiani non avrebbero mai conosciuto i fatti.Ciò dovrebbe farci riflettere sul ruolo dei nostri servizi, suisistemi di controllo democratico e sul ruolo del precedenteGoverno rispetto a queste operazioni dei servizi italiani. Noiriteniamo non più sufficiente le semplici dimissioni dei ver-tici dei servizi, ma occorre un’inevitabile sostituzione deivari capi divisione.

Alla luce di quanto esposto, è stato per noi chiarissimo sindall’inizio che il suo intervento, signor Presidente del Consi-glio, è stato puntuale e rigoroso, nel bene del paese e degliinteressi generali. Il consiglio di amministrazione, l’11 set-tembre - bruttissima data -, ha deciso di avviare questo scor-poro, con rischi gravi sul futuro dell’azienda, dei livellioccupazionali dei lavoratori e della sicurezza nazionale,come ho detto prima. Non è stato, il suo, un intervento didirigismo, un’intromissione nelle scelte dell’azienda, comeimportanti quotidiani economici hanno scritto e qui qualcu-no dell’opposizione ha voluto e vuole far credere al paese. Ilsuo è stato un intervento - come dicevo prima - a difesa degliinteressi generali del paese.

Il Governo non può rinunciare alla sua funzione regola-trice e non può guardare passivamente al fatto che la piùgrande azienda di telecomunicazione sia terra di selvaggiaconquista. È in gioco la democrazia del paese e sarebbe statogravissimo, signor Presidente, se lei non fosse intervenuto.Non sfuggirà poi che l’acquisizione di Telecom può aprire unversante inedito ed allarmante nel controllo delle telecomu-nicazioni e delle informazioni, a partire anche dalla cartastampata. Chi sono gli interessati a realizzare simili opera-zioni politico-finanziarie? Murdoch? Mediaset? Non lo sap-

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piamo, ma certamente il Governo deve essere controllore perimpedire che il pluralismo in questo paese sia ferito e che iconsumatori italiani non siano tutelati.

Poco fa, signor Presidente, l’onorevole Tremonti e l’ono-revole Fini hanno detto che a Palazzo Chigi c’è una bancad’affari. Noi Verdi diciamo che è vero, c’è stata una bancad’affari a Palazzo Chigi, ma è stata chiusa col voto degli ita-liani il 9 e il 10 aprile scorsi (Applausi dei deputati dei grup-pi dei Verdi e de L’Ulivo)! Oggi è necessario avviare un’o-perazione-verità. Per anni, la destra ha governato e ha avutobelle facce di bronzo! Infatti, aveva un Presidente del Consi-glio che non poteva partecipare e non si poteva sedere per-ché, ogni volta, era così forte il conflitto di interessi che sullequestioni della finanza, delle assicurazioni, delle società dicostruzioni non avrebbe mai dovuto partecipare!

Questo è stato il grave problema del paese; e hanno avutola faccia di bronzo di venire in Parlamento a dichiarare cheesisterebbe una banca d’affari! Tutt’altro: si sta esercitandola funzione importante e fondamentale di tutela degli inte-ressi generali del paese!

Concludo, quindi, dichiarando, signor Presidente delConsiglio, che i Verdi la ringraziamo per l’informativa da leitesté svolta e per il ruolo primario che sta riconoscendo alParlamento - il che non era mai accaduto nella precedentelegislatura -, e la invitano a continuare nel lavoro intrapreso(Applausi dei deputati dei gruppi dei Verdi, de L’Ulivo e deiComunisti Italiani).

Presidente. Ha chiesto di parlare il deputato Fabris. Neha facoltà.

Mauro Fabris (Ulivo). Signor Presidente del Consiglio,noi la ringraziamo per l’informativa oggi resa alla Cameradei deputati.

L’unico elemento certo sulla vicenda che stiamo oggi dis-cutendo è che ci saremmo potuti sicuramente risparmiarequesto dibattito; una discussione che l’opposizione ha prete-so, ha voluto, protestando a lungo pur di averla e che oggi,come possono osservare quanti ci seguono da casa, la stessa

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opposizione diserta. In realtà, i problemi veri del paese sono altri: sullo scena-

rio internazionale, permane la minaccia terroristica, testimo-niata dal lutto e dal dolore causati dal nuovo sangue versatodai nostri soldati in Afghanistan e dall’impegno cui è chia-mato il nostro contingente nel Libano ed in tante altre partidel mondo; sul fronte economico, si pongono, per l’econo-mia, le famiglie e le imprese, le difficoltà connesse alla ripre-sa, che dovranno trovare risposte nella definizione dellalegge finanziaria - condivisa perché condivisibile -, che pre-sto dovremo varare; sul piano sociale, infine, si pone il pro-blema della violenza e della criminalità diffusa, che spaven-tano sempre più le persone.

Insomma, non mancano certamente i temi sui quali con-frontarci; invece, siamo chiamati ad usare il nostro tempo perdibattere su una questione che sarebbe stata evitabile se vifosse stato un po’ meno eccesso di protagonismo personale,da una parte, e, dall’altra, l’alimentazione, fatta ad arte - daparte dell’opposizione - di una bufera scatenata sul casoTelecom.

Si è trattato, invero, di una bufera che è servita a coprire icontrasti interni alla Casa delle libertà, ancora confusa dopola sconfitta elettorale: una confusione resa evidente, proprionei giorni precedenti l’11 settembre - data del famoso consi-glio di amministrazione che doveva dare il via alla riorga-nizzazione di Telecom - dai contrasti manifestatisi sulla mis-sione in Libano, sulle nomine RAI, sulla guida della Casadelle libertà, tra Berlusconi ed i suoi alleati. Quelli erano igiorni in cui, a Gubbio, al convegno di Forza Italia, Berlu-sconi minacciava di non esprimere un voto favorevole insie-me alla maggioranza né sulle nomine RAI, né sulla missionein Libano; missione che, peraltro, per come è nata in ambitoONU, ha nuovamente conferito un ruolo internazionale all’I-talia. Facevano adirare le affermazioni del presidente Berlu-sconi, il leader dell’UDC (Unione dei Democratici Cristianie dei Democratici di Centro), mentre poi tutti insieme appro-vavamo le proposte della maggioranza. Erano i giorni in cuila Lega, a Venezia, dichiarava conclusa l’esperienza dellaCasa delle libertà; erano i giorni in cui molti, forse troppi e

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troppo fiduciosi nelle proprie forze, si candidavano alla suc-cessione alla guida della Casa delle libertà.

Il caso Rovati, come si è voluto definirlo, sarebbe alloradovuto servire all’opposizione, certo in maniera illusoria emomentanea, per fare sparire tutto ciò dalla scena. Per otte-nere tale risultato, si voleva dare l’idea che, a Palazzo Chigi,sedesse addirittura un comitato d’affari. La pochezza - con-sentitemi di esprimermi in tal modo - degli interventi oggisentiti, dall’ex ministro Tremonti all’onorevole Fini, dimo-stra l’infondatezza di quel teorema.

In ogni caso, è incredibile: per cinque anni, durante iGoverni della Casa delle libertà, a Palazzo Chigi è andato inscena il più grande conflitto di interessi mai visto in unademocrazia occidentale (Applausi dei deputati del gruppodei Popolari-Udeur)... che ha avuto come protagonista l’uo-mo più ricco d’Italia, nonché Presidente del Consiglio, edora si vorrebbe far credere che, dopo appena tre mesi diGoverno, già funzioni a pieno regime, a Palazzo Chigi, addi-rittura una banca d’affari! Capisco la polemica, ma franca-mente mi sembra una forzatura eccessiva.

Guardiamo dunque ai fatti. Come ha ricordato il Presi-dente Prodi, è ovvio che il destino del più grande gruppo ditelecomunicazioni del paese, con 85 mila dipendenti, di pro-prietà pubblica solo fino a qualche anno fa e rispetto al qualei nuovi proprietari, al momento del suo acquisto dallo Stato,si erano impegnati su alcuni punti di interesse nazionale,rientri tra le questioni che devono interessare il Governo; senon altro, con riguardo al futuro dei dipendenti, al controllodelle reti cui tutti i gestori dovrebbero poter accedere, alfuturo del ruolo dell’Italia nel mondo nel settore strategicodelle telecomunicazioni.

Lo stesso nuovo presidente di Telecom, Guido Rossi, ieri,nell’audizione informale svoltasi alla Camera dei deputati insede di Commissioni riunite IX (Trasporti) della Camera e 8a(Lavori pubblici) del Senato, ha dichiarato di ritenere asso-lutamente normale, e anzi utile, che il Governo ed il Parla-mento si interessassero delle sorti di un settore strategicodell’economia del paese quali sono le telecomunicazioni,come è comprensibile - continuava Rossi - che le aziende

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cerchino un dialogo ed un confronto con l’esecutivo, spe-cialmente quando le loro strategie hanno implicazioni inter-nazionali.

Nessuno scandalo, dunque, se il Presidente del Consigliosi è confrontato con l’allora presidente di Telecom su questiscenari di riorganizzazione del gruppo, fermo restando che,come ricordava ieri il presidente Guido Rossi - il quale, inverità, non è stato molto chiaro su cosa egli intende fare perTelecom in futuro -, siamo d’accordo sul fatto - come lo stes-so Rossi diceva - che le imprese hanno diritto a veder piena-mente salvaguardata la loro autonomia di gestione.

Cos’è successo, dunque? I fatti sono chiari. Come haricordato il Presidente Prodi, nei due incontri da lui avuti conTronchetti Provera in settembre, erano stati tenuti nascosti alGoverno i piani dell’azienda. Domanda: perché? Penso chel’ex presidente di Telecom volesse davvero usare il Governoper coprire le difficoltà gestionali su cui, a luglio, si è tantodiscusso.

Sarà interessante capire come la vicenda - ancora oscura- dei dossier Telecom, oggetto di indagine della magistratu-ra, ma di cui eravamo già tutti informati dalle inchieste gior-nalistiche che vi erano state nei mesi precedenti, basati anchesu intercettazioni illegali, si intrecci con quelle «pressioni dafare sul Governo» di cui parla il dottor Tronchetti Proveranei verbali del consiglio di amministrazione di Telecomdell’11 settembre scorso.

È interessante notare come il nuovo presidente GuidoRossi, ieri, in questa sede, abbia al tempo stesso confermato lavolontà di andare avanti con il piano di Tronchetti Provera eche nulla, per il momento, è stato ancora deciso. Anzi, lo stes-so Rossi ci ha spiegato che va tutto bene in quel gruppo, chevi sono utili, che l’indebitamento finanziario non è un proble-ma, che la fusione di soli due anni fa tra TIM e Telecom hafatto risparmiare oltre un miliardo di euro al gruppo stesso. Perquesto, allora non si capisce perché, se andava tutto bene, l’expresidente Tronchetti Provera volesse tornare a dividere TIMda Telecom e addirittura venderne alcuni asset.

Dico tutto ciò perché quello di cui stiamo discutendo nonpuò banalmente venire ridotto, per puro gusto della polemi-

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ca, al caso Rovati. Vi è ben altro su cui dovremo discutere,ossia il futuro delle telecomunicazioni, il futuro del più gran-de gruppo italiano del settore, in questo paese e nel mondo,a partire da quanti lavorano in tale settore, per evitare chetutto si riduca a manovre speculative e finanziarie prive direspiro - quello sì - di impresa. Anche per tali ragioni, ilpiano di ristrutturazione del gruppo Telecom inviato daRovati al consigliere economico del presidente TronchettiProvera è stato un errore. Noi lo giudichiamo un errore dop-pio nel momento in cui il Presidente Prodi ha detto, come hariferito in quest’aula, di non essere stato nemmeno informa-to, e tutto ciò mentre pubblicamente lo stesso PresidenteProdi bocciava le proposte di smembramento del gruppo.

Le difficoltà in cui il dottor Rovati, persona amica e chenoi continuiamo a stimare, ha messo il Governo gli sonocostate il posto e devo dare atto della correttezza, in questocaso, del suo comportamento, che certo non ha eguali, quan-do in passato simili vicende sono capitate a Palazzo Chigi.Ma il danno di immagine per un premier che non sa ciò chefa il proprio consigliere economico ormai era fatto. Per ilfuturo, si dovranno evitare simili errori, che danno un’ideanon giusta della nostra coalizione.

L’Unione non ha una visione interventista dello Stato ineconomia, come ha ribadito in quest’aula, oggi, il Presiden-te Prodi. I Governi di centrosinistra sono quelli che hannoavviato le liberalizzazioni in questo paese. Noi siamo quelliche sostengono il decreto Bersani sulle liberalizzazioni e sulriassetto industriale. Come si può essere accusati, nello stes-so momento, di volere due cose tra loro contrarie? Come sifa, cioè, a dire che noi saremmo statalisti, vorremmo lenazionalizzazioni e, al tempo stesso, sostenere che abbiamosvenduto i «gioielli di famiglia», quando abbiamo ceduto aiprivati, con i nostri passati Governi, le autostrade, le banche,le ex partecipate dello Stato, la telefonia, sottomettendo aldiritto privato le Ferrovie dello Stato, l’Alitalia, l’ANAS edaltro? Aver, dunque, prestato il fianco, a causa di un’iniziati-va personale, alle accuse - interne e sui mercati internazio-nali - di volere una politica economica capace di condizio-nare il mercato non corrisponde al vero, anche se ha danneg-

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giato la credibilità della maggioranza che, nel proprio pro-gramma elettorale, non parla certamente di ciò.

Pensavamo, a dire il vero, che le dimissioni del consiglie-re economico del Presidente Prodi sarebbero bastate a chiu-dere la vicenda. Ci spiace notare, invece, che la Casa dellelibertà ha tenuto, su tale argomento, un atteggiamento ecces-sivamente polemico ed irresponsabile. Nemmeno l’esplode-re dello scandalo delle intercettazioni illegali, in cui sonocoinvolti ex dipendenti Telecom, con gli aspetti inquietantiriguardanti la possibilità che tali atti illegali si volesserousare anche per tutelare economicamente e societariamenteil gruppo, ha fermato l’opposizione, che pure sostiene ildecreto-legge, voluto venerdì dal Governo per bloccare queidossier illegali.

La Casa delle libertà, se ha davvero amore per questopaese, deve assumere un atteggiamento responsabile cheguardi alla sostanza delle cose, al futuro di questa azienda. Eper fugare i dubbi di un eccesso e di un’inutile polemica nonbasta che Berlusconi rassicuri che Mediaset non è interessa-ta a Telecom.

In conclusione, mi permetto di dire che la prima lezioneda trarre dalla vicenda è dunque quella che il Governo del-l’Unione deve agire nel campo dell’economia nel pienorispetto del suo programma elettorale dove abbiamo promes-so il risanamento dei conti pubblici ed il rilancio dell’econo-mia, ma senza politiche economiche neo-stataliste. In questoambito, dobbiamo valutare se per Telecom vi sia un futuroindustriale. Siamo stati accusati di rimpiangere le partecipa-zioni statali, i tempi della SIP e della STET. Non è così;come ha ripetuto il Presidente Prodi, non abbiamo mai pen-sato che si debba costituire una nuova IRI per gestire leaziende decotte. Nessuno rimpiange i tempi dell’interventopesante dello Stato in economia, anche se molta industrializ-zazione del paese è stata fatta così. Quello che è certo è chea quell’epoca, ad esempio, la SIP aveva piani di sviluppoambiziosi, interni ed internazionali. Vorremmo capire sequelle prospettive esistono ancora oggi.

Sì, è vero che Telecom è un’azienda privata e, dunque, loStato, il Governo non devono dare indicazioni ma, visto che la

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telefonia è un servizio pubblico, è bene che la politica vigiliperché non vi siano contraccolpi per i cittadini e per le migliaiadi piccoli azionisti che hanno creduto in questo progetto.

Presidente. Deputato Fabris, concluda.

Mauro Fabris (Ulivo). Concludo, Presidente. Da ultimo,quello che a noi interessa dire è che dalla vicenda Telecomse non altro esce un’indicazione: è giunto il tempo di ricon-siderare le cosiddette privatizzazioni fatte in Italia negli anniNovanta e seguenti. Nessuno sogna il ritorno, come detto, adun intervento pesante dello Stato in economia, ma è giustoche si consideri come il Governo e il Parlamento possanogarantire effettivamente il miglioramento dei servizi, l’ab-bassamento dei costi per le imprese e per le famiglie. Percome sono andate le cose finora, è evidente che tale riconsi-derazione deve essere fatta (Applausi dei deputati del grup-po dei Popolari-Udeur).

Presidente. Ha chiesto di parlare il deputato Catone. Neha facoltà.

Giampiero Catone (FI). Signor Presidente, onorevolicolleghi, signor Presidente del Consiglio dei ministri, siamoprofondamente preoccupati per la situazione del mercato edell’industria delle telecomunicazioni nel nostro paese. E,francamente, la comunicazione resa oggi dal PresidenteProdi non ha sedato le nostre preoccupazioni.

È sconcertante che siano state chiamate a gestire la situa-zione attuale le stesse persone già note per avere alcuni annifa, da posti di altissima responsabilità, attuato il processodella cosiddetta privatizzazione della Telecom. Sembraincredibile ma è vero: il Presidente del Consiglio dei ministriche ha voluto e gestito la privatizzazione era Prodi e la misein atto proprio Guido Rossi, che ora è presidente dell’azien-da. Adesso quelle stesse persone e dagli stessi posti diresponsabilità sembrano aver avuto l’intenzione di gestire ilprocesso inverso, ovvero il passaggio della Telecom dallasfera privata ad una sfera pubblica di nuova invenzione.

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Vorremmo sapere che cosa è successo in questi anni. IlPresidente Prodi ha cambiato idea sulle privatizzazioni e sullenazionalizzazioni? È tollerabile aver giocato e ora continuarea giocare con un patrimonio industriale e finanziario cosìgrande ed importante? Dal 1997 ad oggi sono passati meno didieci anni: dobbiamo forse concludere che in questo arco ditempo così breve si è già consumata l’esperienza italiana ditransizione da un mercato monopolistico pubblico ad unasituazione diversa? Se le cose stanno veramente così, vor-remmo sapere quanto è costato a tutti i cittadini italianiavventurarsi in maniera evidentemente approssimativa e sba-gliata verso questi nuovi lidi. Quante risorse sono state bru-ciate! In questo arco di tempo così breve è stato dilapidato unpatrimonio in termini di soldi, ma anche un patrimonio dirisorse industriali e di potenzialità di crescita e traino nel set-tore delle comunicazioni. Come è stato possibile tutto questo?Di chi è la responsabilità? Noi sosteniamo che la responsabi-lità è di Prodi e del centrosinistra. Quando poniamo questedomande non vogliamo essere fraintesi: non siamo nostalgicidel passato e nemmeno di una situazione in cui la gran partedella struttura industriale italiana era nazionalizzata. Voglia-mo sostenere invece la tesi che vi sono molti modi per priva-tizzare bene le imprese pubbliche, e che il Presidente Prodi hascelto all’epoca il peggiore. Egli, innanzitutto, si è preoccu-pato di privatizzare, ma non di liberalizzare.

Una situazione di monopolio di fatto è abbastanza usualenella realtà di aziende di proprietà pubblica, sebbene non sipossa affermare che essa rappresenti la scelta ottimale. Quel-lo che è sconcertante ed inaccettabile è che si sia passati dauna situazione monopolistica pubblica ad una sorta di mono-polio privato.

Non è poi tollerabile - forse questo rappresenta il fatto piùgrave - che il processo di vendita della Telecom sia avvenu-to attraverso metodi poco trasparenti, cercando di formarecordate di amici con il contorno di noccioli cosiddetti duriche sarebbero stati preposti al mantenimento della strutturadi controllo. Si è trattato di una catena di furberie che hannocausato la situazione attuale.

La principale colpa di quella stagione di privatizzazione è

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stata quella di non avere imposto dei requisiti minimi diserietà e consistenza alle società che aspiravano all’acquistodi Telecom. Faccio riferimento, in primo luogo, alla consi-stenza patrimoniale delle società candidate all’acquisizione epoi alla trasparenza degli assetti proprietari. Insomma, quel-le privatizzazioni di dieci anni fa sono state fatte dal Presi-dente Prodi e sono state fatte molto male! Proprio il graveerrore compiuto allora ci ha condotto all’attuale situazione!

Il Presidente Prodi in quest’arco temporale non ha trova-to l’occasione per fare alcuna autocritica su quella stagione,sui criteri seguiti e sui risultati conseguiti nell’interesse delpaese. Si è trattato di un atteggiamento assolutamente irri-spettoso verso gli italiani tutti.

Non pago di avere combinato quel disastro, il PresidenteProdi ha pensato bene di aggravare le cose, montando in gransegreto e con pressappochismo uno schema di soluzione chegli permettesse di riprendere in sostanza il controllo dellaTelecom, utilizzando, anche in questo caso, i metodi usati inprecedenza.

Abbiamo seguito, infatti, con grande interesse ed appren-sione le vicende di queste ultime settimane e, francamente,facciamo ancora fatica a credere che il cosiddetto pianoRovati, scritto su carta intestata della Presidenza del Consi-glio, sia stato semplicemente il frutto di una elaborazioneestemporanea e personale dello stesso Rovati.

Stiamo dicendo che Prodi mirava ad un progetto di riap-propriazione della Telecom da parte dei poteri pubblici, maabbiamo la sensazione che non fosse squisitamente dettatoda una finalità di politica economica ed industriale. Il Presidente del Consiglio non pareva motivato da unapreoccupazione per il miglioramento e lo sviluppo della tele-fonia nel nostro paese. La nostra sensazione, per le modalitànon chiare e delle quali non è stata informata l’opinione pub-blica, è che il Presidente Prodi fosse mosso, soprattutto, dal-l’intenzione di formare una base industriale e finanziaria disostegno al suo Governo, a prescindere da ogni valutazioneriguardante i profili dell’interesse pubblico.

Rimangono ferme a suffragare questa nostra sensazionealcune domande che abbiamo già posto in un’interrogazione

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parlamentare a tutt’oggi inevasa e che intendiamo qui richia-mare. Vorremmo sapere innanzitutto a quanto ammonta esat-tamente il debito della Telecom (la stampa ci dice che essosarebbe di circa 45 miliardi di euro). Come è possibile che sisia giunti nel corso degli anni a questo livello di indebita-mento? Quali sono i motivi per cui, alcuni giorni fa, alcunebanche hanno preso in carico circa il 30 per cento di PirelliTyre, dopo che era rientrata, da parte della proprietà, la deci-sione di collocare la società in borsa? Risponde al vero che,dopo l’annuncio del piano di riassetto, l’11 settembre scorso,le banche abbiano comunicato a Tronchetti Provera che nonavrebbero più sostenuto l’indebitamento del gruppo? Rispon-de al vero che, dopo quest’ultima circostanza, la GoldmanSachs ha approntato uno schema di riassetto del gruppo Tele-com, facendolo passare per la Presidenza del Consiglio deiministri? Risponde al vero oppure no che il sottosegretarioTononi, con delega alle privatizzazioni, è tuttora o è stato finoa poco tempo fa un consulente di Goldman Sachs?

In data 5 giugno 2006, il ministro dell’economia ha rice-vuto formale richiesta da parte di alcuni deputati democri-stiani di conoscere gli affari trattati dalla Goldman Sachs inItalia allorquando in Europa a dirigerla era l’attuale Gover-natore della Banca d’Italia, Mario Draghi.

In mancanza di tali informazioni, non sarebbe stato etica-mente e politicamente corretto prevedere la cessazione,almeno per due anni, di qualunque rapporto della pubblicaamministrazione con la stessa Goldman Sachs?

Come si vede, signor Presidente, onorevoli colleghi, sitratta di domande importanti, per le quali non crediamo diavere fin qui ricevuto una risposta esauriente.

Resta la considerazione che il Presidente Prodi non puòporre mano al riassetto delle telecomunicazioni dal retrobot-tega del suo Governo.

Abbiamo avuto la sensazione che Prodi volesse organizza-re una cordata di banche e di imprenditori vicini all’esecutivoper trovare le risorse necessarie al fine di inserirsi in Telecom.Vogliamo allora domandare al Presidente Prodi quali equilibrivolesse salvaguardare quando il suo consigliere Rovati ha pro-posto, attraverso una serie di meccanismi societari, di far

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accollare allo Stato una parte di Telecom. Se la Telecom è cosìpiena di debiti, perché Prodi voleva farla tornare in mano pub-blica, o meglio farla comprare da vari soggetti, tra cui princi-palmente la Cassa depositi e prestiti? Il Presidente del Consi-glio presume di usare la Cassa come una riserva strategica delGoverno? Cosa ne è stato dell’applicazione della riforma Tre-monti della Cassa depositi e prestiti e qual è il ruolo che visvolgono attualmente le fondazioni bancarie?

Si tratta di domande importanti, utili non solo per appurarei fatti, ma per mettere le basi di un tentativo atto a delineareuna nuova politica di sviluppo nel nostro paese. Siamo peròconvinti che l’attuale Governo sia incapace di avviare questafase e il recente grave episodio del quale ci stiamo occupandodimostra in modo inequivocabile, se mai ve ne fosse statoancora bisogno, che il Presidente Prodi non è l’uomo per indi-cato per affrontare e risolvere questi problemi. Il nostro auspi-cio è che egli, vuoi per la situazione composita ed eterogeneadella sua maggioranza, vuoi per i suoi limiti di strategia poli-tica, dimostrati anche in questa circostanza, possa lasciare alpiù presto l’incarico di Presidente del Consiglio.

Il paese ha bisogno di risposte urgenti, anche sulla crisidelle telecomunicazioni e questo Governo non è in grado didarle. Non ci si può professare liberisti a giorni alterni, nelsenso che il Governo non può svegliarsi per determinatecategorie, sposare il principio della libertà di mercato - vediil decreto Bersani - e in seguito tornare alle pratiche piùdeprecate di sottogoverno e di «irizzazione» delle grandiimprese pubbliche italiane, come se fossimo ancora al tempodel Ministero delle partecipazioni statali. Se Prodi vuole rifa-re un «super-IRI2» lo deve dichiarare esplicitamente al Par-lamento. Chiediamo pertanto che il Parlamento sia postonelle condizioni di poter avere adeguate informazioni pervigilare ed esercitare il proprio dovere di impulso per la con-servazione e lo sviluppo di un patrimonio industriale cosìimportante per l’Italia (Applausi dei deputati del gruppodella Democrazia Cristiana-Partito Socialista).

Presidente. Ha chiesto di parlare il deputato Bezzi. Ne hafacoltà.

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Giacomo Bezzi (SVP). Signor Presidente del Consiglio,colleghi, il caso Telecom tra piani pseudogovernativi, inter-venti dello Stato ed intercettazioni legali richiama tristemen-te il passato, sostanzialmente da due punti di vista. In primoluogo, c’è un aspetto allarmante: la questione delle intercetta-zioni telefoniche che rende inguardabile l’immagine di unpaese dove faccendieri e corrotti, nascosti dietro le quintedella politica e dell’economia, intrecciano relazioni pocochiare muovendosi ai margini e oltre la legalità. Questi signo-ri lavorano segretamente, operando, come ha detto bene ilnostro Presidente della Camera, una lesione profonda delnostro ordinamento democratico e della Carta costituzionale.

Il nostro paese ha respirato in altre occasioni l’aria mal-sana che avvolge la storia di questi giorni. Chi di noi non col-lega questi fatti ad altri, vissuti o letti, ma non così lontani,che hanno cambiato le sorti di questo paese? Condivido ladecisione del Governo di distruggere le intercettazioni e dicancellare quello che è stato in qualche modo un tentativo dischedare il paese, metterlo sotto controllo, con quale intentoo finalità non ci è dato saperlo, ma possiamo solo immagi-narlo o indovinarlo, perché, come ho detto, la storia ci hainsegnato come vanno queste cose.

Su questo, signor Presidente, la invito a riflettere e a pensa-re se non sia il caso di istituire una commissione di inchiesta adhoc, per far luce su quel sottobosco di intrighi e di relazioni piùo meno sporche, su una serie di inquietanti episodi che hannoinvestito l’Italia negli ultimi mesi, tra i quali quello delle inter-cettazioni Telecom è solo il più recente. Ma c’è un secondoaspetto che conferisce al caso Telecom un sapore antico.

È stato un grave errore ritenere di poter in qualche modo«ristatalizzare» la Telecom. Ho avvertito nell’iniziativa unastruggente nostalgia per le partecipazioni statali, forse trop-po precipitosamente distrutte ma oggi improponibili - nostal-gia che sa di dirigismo e di rinazionalizzazione. Lei, signorPresidente del Consiglio, ha detto e dice che si è trattato diiniziativa personale del signor Angelo Rovati, di cui lei eraall’oscuro. Ne prendiamo atto.

Sono un esponente del partito autonomista, del Trentino-Alto Adige, ho votato la fiducia al suo Governo, professor

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Prodi, e continuerò a sostenerla; facciamo però parte di unamaggioranza parlamentare nella quale l’esigenza di part-nership è sempre più avvertita, una partnership che va colti-vata e consolidata attraverso una reale consultazione di tuttele componenti e l’assunzione di decisioni condivise.

In questo contesto, il rispetto del programma elettorale,senza fughe in avanti, su temi estremamente delicati parefondamentale.

Poniamo, ad esempio, che si stesse considerando in qual-che modo l’idea di rinazionalizzare la rete telefonica dellaTelecom utilizzando lo strumento della Cassa depositi e pre-stiti; questo orientamento non potrebbe non essere illustratoal Parlamento, così come a suo tempo, con lei, professore,presidente dell’IRI, fu il Parlamento a ratificare la privatiz-zazione della telefonia; privatizzazione, tra l’altro, che eragiusto fare, ma probabilmente sbagliata nella sua imposta-zione, se è vero, come è vero, che detenendo un piccolo, sep-pur costoso pacchetto azionario, si è riusciti e si riesce a con-trollare un gruppo così importante.

Tornando al nostro caso, il riacquisto della rete comporte-rebbe un esborso pubblico a carico del contribuente di circa20 miliardi di euro, quasi quanto una legge finanziaria. Puòun progetto del genere non essere sottoposto al vaglio deideputati e dei senatori?

A parte il fatto che, come è stato scritto nell’editoriale delsupplemento de la Repubblica, Affari e Finanza, dovremmoistintivamente diffidare quando sentiamo parlare di settoristrategici; tutti ricordiamo quanto costino a noi cittadini lestrategiche Alitalia e Ferrovie. Sul caso Telecom qualcunoosserverà che lo Stato non può disinteressarsi di un settorestrategico, quello delle telecomunicazioni, ma davverosiamo convinti che TIM sia strategica e non si tratti soprat-tutto di un malinteso orgoglio nazionalistico della serie«vade retro straniero»?

La mia, sia chiaro, non vuole essere una critica, ad esempioall’IRI, che pure gli stranieri ammiravano e che spesso pren-deva in consegna dai privati aziende dissestate per poi resti-tuirle risanate e rilanciate, ma in una società globalizzata e congli impegni che abbiamo assunto in sede di Unione europea è

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però impensabile un ritorno al passato in questa forma. È bene dire, con estrema chiarezza, che quel tempo che

pure ha avuto i suoi meriti non tornerà. Questo le chiediamo,signor Presidente del Consiglio; lo Stato non può e non develimitare la libertà di impresa, ma valorizzare al contrario unamoderna politica industriale che veda una positiva coopera-zione tra industriali e pubblici poteri, con il rilancio dellaconcertazione, affinché tutte le parti - anche le parti sociali -possano dare il loro contributo in un’impostazione trilateraleche esalti l’economia sociale.

Presidente. La prego di concludere.

Giacomo Bezzi (SVP). Ho concluso, Presidente. Ci atten-diamo tempi difficili che potremo superare se avremo la con-sapevolezza di lavorare tutti ad un unico progetto; solo cosìquesta maggioranza riuscirà a superare le difficili prove chel’attendono in Parlamento. Evitiamo quindi di complicareuna già delicata situazione con iniziative che sanno troppo diantico e rievocano spettri statalisti. Confrontiamoci, collabo-riamo e lavoriamo insieme per questo paese, che ci ha affi-dato una straordinaria chance di renderlo migliore (Applausidei deputati del gruppo Misto-Minoranze linguistiche).

Presidente. Ha chiesto di parlare il deputato Reina. Ne hafacoltà.

Giuseppe Maria Reina (FI). Signor Presidente, desideroinnanzitutto ringraziare quel drappello, davvero assai sparu-to, di colleghi che resistono alle scorie finali di questo stranodibattito in Parlamento, dopo che i grandi satrapi della poli-tica parlamentare si sono prodotti come attori nel ruolo chegli competeva ed in questo, da destra come da sinistra, hannosingolarmente, almeno per una volta, realizzato quella unitàparlamentare degna di ben altre cause. Se le telecamereriprendessero impietosamente i vuoti che si registrano neibanchi dell’aula della Camera questa sera, probabilmenteavremmo più ascolto noi del Movimento per l’autonomiaquando denunciamo pubblicamente il fatto che i partiti tradi-

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zionali ogni giorno di più manifestano apertamente la loroincapacità di essere ormai realmente interpreti della volontàe dei bisogni del popolo italiano.

Signor Presidente Prodi, noi non siamo tra coloro chesostengono la sua maggioranza, eppure in più di una circo-stanza abbiamo ritenuto di aprire una sorta di dialogo, nellasperanza che per i problemi del sud, del meridione, da partedel Governo ci fosse una certa attenzione.

Tuttavia, al di là di quanto è stato affermato, in questaAssemblea, attorno al tema in discussione, non possiamonon sottacere un fatto che previene tutto.

Veda, Presidente Prodi, noi reputiamo un fatto relativa-mente importante che lei sia qui questa sera; avremmo pre-ferito, tuttavia, che il Capo del Governo avesse avvertito, sindall’inizio, il bisogno di dire alla nazione «vado io in Parla-mento», anticipando tutto e tutti ed impedendo che, in que-sto paese, si consumasse una sarabanda di discussioni, equi-voci e confusioni che hanno messo in difficoltà la credibilitànon solo del Governo, ma anche del Parlamento e dello stes-so paese nella sua interezza.

Lei stasera ha sostenuto che, probabilmente, non ritene-va rilevante che il Parlamento si occupasse con tanta atten-zione di questa materia piuttosto che di numerose altre.Eppure, le dico che essa possiede una rilevanza ed un’im-portanza strategica sotto molteplici aspetti, non ultimo per ilfatto che, se il piano Rovati fosse realmente andato in porto,il paese si sarebbe dovuto accollare, attraverso la Cassadepositi e prestiti, un debito pari a circa un terzo (così è statostimato) della prossima manovra finanziaria. Ma poi si dice,in particolare a noi meridionali, che non vi sono risorse dis-ponibili, ad esempio, per realizzare l’infrastruttura che danumerosissimi anni aspettiamo: il ponte sullo Stretto diMessina.

Risulta davvero strano che venga giudicato «artigianale»il piano di Rovati: come è stato rilevato, infatti, si tratta di unpiano industriale molto attento e puntuale. Si può contestarela filosofia che lo sostiene, ma non si può negare che sia unpiano «vero».

A questo punto, è di ben poco conto che ella lo conosces-

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se o meno. Ciò che conta è che lei si sia rifiutato di venire inParlamento per un lasso di tempo sufficiente a far sì che tuttoil mondo, e non solo gli italiani, cominciasse a sapere che,nella sua stessa maggioranza, larghe fasce delle parti politicheche sostengono questo Governo la inducevano e la spingeva-no affinché, invece, tale rapporto con il Parlamento vi fosse.

Allora, che aleggi adesso il sospetto che lei, in qualchemodo, sapesse del piano Rovati è una cosa, caro Presidente,che, a prescindere dalle dichiarazioni che ha reso e dal dibat-tito che si è svolto, nessuno potrà più togliere dalla testadegli italiani.

È questa la vera tragedia...

Presidente. La prego di concludere...

Giuseppe Maria Reina (FI). ...un Capo del Governo - miaccingo a concludere, caro Presidente Bertinotti - che nonriesce ad essere leale nei confronti del suo paese e non riescea dire la verità fino in fondo. Si tratta di una verità difficile,ma che sarebbe stata ben altra, se avesse avuto l’accortezza,nonché la dimensione della responsabilità che la investe, divenire in aula per raccontarla con lealtà e sincerità, facendoaffrontare tali temi in modo diverso.

Ci auguriamo che il Governo, in futuro, riesca a dare benaltra prova di sé a questo paese, che pure è afflitto da tantigravosi problemi. Mi riferisco in particolare, Presidente - econcludo - a quelli delle regioni meridionali, nonché allenumerose questioni che, in più di una circostanza, in questastessa sede noi stessi abbiamo sollevato ed evidenziato(Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Movimento per l’Au-tonomia e della Democrazia Cristiana-Partito Socialista).

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omunicazioni del Presidente del Consiglio deiministri sulla vicenda Telecom e conseguentediscussione (ore10,10)

Presidente. L’ordine del giorno reca: «Comu-nicazioni del Presidente del Consiglio dei ministri

sulla vicenda Telecom». Ha facoltà di parlare il presidente del Consiglio dei

ministri, onorevole Prodi, che ringrazio per la sollecitudinecon cui ha accettato il nostro invito, nei limiti delle possi-bilità dei suoi impegni di lavoro.

Prodi, presidente del Consiglio dei ministri. Signor Pre-sidente, onorevoli senatori, l’opinione pubblica e i cittadiniitaliani assistono, da ormai quasi un mese, ad un dibattitosu Telecom Italia in cui demagogia e strumentalizzazionehanno preso via via il sopravvento.

Scarpa Bonazza Buora (FI). Cominci bene!

Storace (AN). Buongiorno!

Prodi. Si è cercato di trascinare il Presidente del Consi-glio ed il Governo in una polemica tanto inutile quantopriva di fondamento. (Commenti dai Gruppi FI e AN).

C

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Sono stato accusato di ingerenza nei confronti delle socie-tà quotate, di perseguire una politica economica neodirigi-sta... (Commenti dal Gruppo AN).

Presidente. Onorevoli colleghi, vi prego, vi sarà unlungo dibattito, con tempi di discussione ampi concessi atutti i Gruppi parlamentari.

Storace (AN). Ci vogliono le Guardie svizzere.

Prodi. ...e persino di mentire e di volermi sottrarre alconfronto con il Parlamento.

Sono stato qualche giorno fa alla Camera ed oggi sonoqui. Questo dimostra bene ogni cosa.

Ribadisco in questa sede quanto ho già più volte dichia-rato: sia chiaro, non sono stato mai messo a conoscenza dialcun piano su Telecom Italia; non ho avuto conoscenzadiretta nemmeno di altre ipotesi che sono state elaborateper aiutare una delle più importanti imprese del Paese a ri-trovare il sentiero della crescita. E se in merito a quest’ul-timo punto qualcuno poteva nutrire dubbi, credo che ledimissioni e le spiegazioni di Rovati li abbiano già ampia-mente fugati. (Applausi ironici dal Gruppo AN). Questedimissioni sono state un gesto che chiude ogni polemica erende semplicemente onore a chi le ha date.

Ribadisco, inoltre, che negli incontri che i vertici diTelecom Italia hanno richiesto al Presidente del Consiglio,ma non solo al Presidente del Consiglio, anche ad autore-voli altri membri del Governo, si è parlato unicamente delprofilarsi di una possibile partnership con il gruppo Mur-doch. Niente di più. Per questo il Governo si era limitato adauspicare che il controllo della più importante azienda ditelecomunicazione del Paese rimanesse in mano italiana e,nel contempo, che tale alleanza strategica fornisse l’occa-sione per rilanciare l’industria italiana delle telecomunica-zioni sui mercati esteri; cosa di cui abbiamo veramentebisogno. Su entrambi i punti il Governo aveva ottenutoampie e precise garanzie.

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Ribadisco, quindi, che negli incontri con i vertici diTelecom Italia non si è mai fatto alcun cenno al piano diorganizzazione societaria che il Consiglio di amministra-zione di lì a pochissimi giorni avrebbe varato.

Allora, se si chiama a colloquio il Presidente del Consi-glio e non si dice quello che si fa, vedete voi! E non è certoun verbale del Consiglio d’amministrazione di Telecom Ita-lia né un’intervista del suo ex presidente a costituire provache il Presidente del Consiglio e, con lui, il Governo fosse-ro a conoscenza di tale piano.

Storace (AN). Querelalo!

Prodi. Ripeto: i colloqui sono avvenuti non solo con ilPresidente del Consiglio, ma anche con altri autorevolimembri di Governo...

Storace (AN). È correità!

Prodi. ... e nemmeno a loro è mai stato detto nulla.Chiudo, quindi, ogni polemica perché altri sono gli interes-si del Paese.

Sono qui, perciò, per esporre oggi in Parlamento l’orien-tamento del Governo nel delicato rapporto tra Stato e mer-cato, specificando i significati e la valenza che le politichepubbliche assumono in una moderna economia aperta.

Per questa ragione, non intendo nemmeno soffermarmisu un altro ben più triste, ben più complesso capitolo che inquesti giorni tocca da vicino la principale azienda di tele-comunicazioni, cioè quello delle intercettazioni illegali. Lamagistratura e l’Autorità garante per la protezione dei datipersonali stanno svolgendo il loro lavoro. Il Governo noninterviene. Si augura semplicemente che questo avvenga intempi rapidi perché questo è necessario. (Commenti delsenatore Asciutti).

Dicevo poco fa che oggi voglio solo parlare dell’orien-tamento del Governo nel delicato rapporto tra Stato e mer-cato e voglio subito chiarire che il Governo non intende

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perseguire alcuna politica dirigistica né tanto meno utiliz-zare l’apparato pubblico come strumento alternativo odistorsivo del mercato. Questo modello il Paese lo haabbandonato a partire dagli anni Novanta e non sarà certa-mente il Governo di centro-sinistra, da me presieduto, atornare indietro.

Il Governo, quindi, continuerà a percorrere, con deter-minazione e coerenza, la strada dell’apertura del mercato,della riduzione delle posizioni di rendita, salvaguardando,ovviamente, i principi di equità e di giustizia sociale.

Storace (AN). Non lo applaudite?

Prodi. Non ne ho mica bisogno!

Presidente. Senatore Storace, non commentiamo conti-nuamente!

Prodi. Ciò non significa, però, che non si debba riflette-re sull’esperienza maturata in questi anni e sui risultati con-seguiti perché vi sono certamente molte luci, ma anchequalche ombra e ognuno di noi deve riflettere sulle solu-zioni che possono essere capaci di migliorare e perfeziona-re questo sistema. Sono stati fatti passi in avanti in terminidi apertura di mercato, qualcuno anche in termini di ridu-zione delle tariffe.

Le telecomunicazioni sono in alcuni aspetti un buonesempio di questo, ma il capitalismo italiano si è dimostra-to molto spesso fragile ed immaturo. Nel Paese non sonoemersi nuovi protagonisti; anzi, molti si sono persi per stra-da e il nostro capitalismo non ha saputo cogliere l’opportu-nità offerta dalle privatizzazioni e ha incontrato difficoltànella gestione di progetti strategici di ampio respiro.

Indubbiamente – questa è una riflessione credo impor-tante per tutti noi – ci siamo trovati di fronte ad un’ecces-siva finanziarizzazione che, a volte, ha messo in ombra lerilevanti potenzialità sul piano industriale. Su questo temacredo sia necessario avviare una profonda riflessione ed

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interrogarsi su quello che è possibile fare. Intanto, sul piano dell’apertura al mercato, che ha costi-

tuito uno dei capitoli principali di questo dibattito di appro-fondimento, il Governo ha già avviato un forte processo diriforma, di cui è certamente prova il decreto Bersani delluglio scorso, che io ritengo essere soltanto il primo passodi un cammino di cui però la direzione è già precisa.

Noi dobbiamo anche essere consapevoli che, affinché ilPaese possa in pieno beneficiare degli effetti associati all’a-pertura dei mercati, si debba ribadire la centralità di un’ef-ficace regolazione dei mercati stessi, esaltando e valoriz-zando, in primo luogo, le funzioni e il ruolo delle Autoritàindipendenti.

Nella scorsa legislatura, i poteri delle Autorità di regola-zione, ivi compresi quelli dell’Autorità per le garanzie nellecomunicazioni, sono stati progressivamente erosi e la loroindipendenza è stata progressivamente minacciata.

Il nostro Governo intende restituire alle Autorità la cen-tralità prevista nel disegno originario che le aveva istituite,assegnando loro funzioni, poteri e strumenti per svolgereefficacemente la missione a loro affidata.

Alla domanda quindi – che è la domanda principale chemi è stata posta – di quale sia il rapporto fra Stato e merca-to e, più in particolare, di quale sia l’ambito di interventodel Governo, la mia risposta è semplice: il nostro dovere èdi evidenziare l’interesse pubblico, ma lo vogliamo fareattraverso un sistema efficace di regole e quindi con unpotenziamento di coloro che hanno il compito di sorveglia-re sulle regole. Questo è il modello che il Governo intendeaffermare, anche nelle telecomunicazioni.

Il Governo è pienamente consapevole della rilevanza delsettore, cosı` come è consapevole dell’importanza di Tele-com Italia e delle sfide che si trova dinanzi. Oggi il settorenel suo complesso affronta non solo la sfida tecnologica,legata all’innovazione delle reti, ma anche quella della con-vergenza tra i tradizionali servizi di telecomunicazione equelli legati al mondo della televisione. Tali sfide, nellostesso tempo, ampliano la dimensione del mercato ben oltre

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i confini nazionali e qui è il problema di utilizzare delleopportunità.

Di fronte a queste sfide – questo è un parere molto dif-fuso – Telecom Italia si presenta indebolita a causa dellaseverità che ha caratterizzato – si dice – l’attività del rego-latore. Non è certo compito del Governo valutare questaseverità e dare un giudizio sul regolatore; su questo tema sidovrà pronunciare il Parlamento.

È certo invece – e qui il Governo può dare il suo giudi-zio – che a limitare la capacità di investire, e quindi di com-petere sul mercato, è stato un ingente indebitamento finan-ziario del gruppo Telecom, debito che è cresciuto per effet-to sia dell’accorciamento della catena di controllo (fusioneOlivetti-Telecom) che per il successivo acquisto dellequote di minoranza di TIM e la successiva fusione, perincorporazione, in Telecom Italia.

Su queste operazioni non emetto certamente giudizi,perché li ha già espressi il mercato. È evidente, però, che ilforte debito dell’azienda pone problemi di carattere pubbli-co, dal momento che potrebbe spingere il regolatore a con-cedere all’azienda tariffe più elevate, come succede in tuttala storia delle aziende regolate quando l’indebitamento del-l’azienda è troppo forte.

Storace (AN). Bravissimo!

Prodi. Anche per questo è necessario che le privatizza-zioni siano sostenute da capitali appropriati.

A rendere ancora più complessa la sfida per Telecom Ita-lia concorre la progressiva riduzione della sua presenza inter-nazionale. Negli ultimi tempi, il gruppo ha infatti dismessoquasi per intero le attività europee e una buona parte di quel-le sudamericane; ciò in controtendenza rispetto agli altrimaggiori concorrenti, soprattutto Telefonica, che invecehanno rafforzato la propria posizione sul mercato mondiale.

Nonostante queste oggettive difficoltà, l’azienda dispo-ne delle risorse umane e delle capacità tecniche per coglie-re la sfida e, poiché è interesse del Paese essere protagoni-

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sta vincente all’interno del nuovo scenario competitivo, ènecessario creare le condizioni affinché il gruppo Telecompossa crescere e svilupparsi.

Storace (AN). Bravo!

Prodi. Vorrei nuovamente precisare, onde evitare chequesta affermazione venga fraintesa o strumentalizzata, cheil Governo non intende in alcun modo interferire con lestrategie aziendali, né tantomeno dare indicazioni e porreveti sulle scelte che la società porterà avanti.

In particolare, per quanto riguarda l’implementazionedell’eventuale piano di scorporo della rete, sarà l’Autoritàper le garanzie nelle comunicazioni a definire con il grup-po Telecom i contorni dell’eventuale operazione. Certa-mente, al termine di questo processo non avremo uno Statoproprietario della rete, ma piuttosto uno Stato che ne garan-tisce l’accesso a condizioni eque e non discriminatorie.

L’interesse pubblico, come dimostra con chiarezza ilcaso Telecom, va però oltre la semplice determinazionedelle regole. Alla luce delle nuove sfide sta crescendo inEuropa, da parte di tutti i sistemi industriali, la domandaper nuove politiche di sostegno. Ciascun Governo rispon-de a tale domanda in maniera differente, in linea con lapropria storia e la propria tradizione. Anche noi in questocampo abbiamo fatto la nostra scelta. È una scelta cheabbandona il modello della proprietà pubblica delle im-prese, conferma l’importanza della concorrenza e delleregole e, allo stesso tempo, riorganizza e riqualifica lepolitiche pubbliche nella direzione di incoraggiare e sup-portare il sistema industriale.

Asciutti (FI). Fate almeno un applauso!

Storace (AN). Coraggio!

Prodi. È una scelta, quindi, che supera la tradizionaledicotomia tra Stato e mercato per ricercare soluzioni effi-

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caci attraverso un’azione congiunta di strumenti diversi, diregolazione, di concorrenza e di politica industriale, al finedi promuovere un sistema economico forte e competitivo.

Il Governo ha già cominciato a lavorare in questa dire-zione e in questa direzione proseguirà. Grazie. (Applausidai Gruppi Ulivo, RC-SE, IU-Verdi-Com, Aut, Misto-IdV eMisto-Pop-Udeur. Applausi ironici dai Gruppi FI, AN,UDC, LNP e DC-PRI-IND-MPA. Voci dal Gruppo AN:«Bis! Bis!»).

Gramazio (AN). (Il senatore Gramazio rivolto al Presi-dente mostra il titolo su un quotidiano: «Tronchetti insiste:Prodi sapeva di Telecom»). Devi querelare! Devi querelare!

Presidente. Ringrazio il signor Presidente del Consi-glio. (Commenti dai banchi del centro-destra). Mi pare cheil Senato abbia ascoltato con la dovuta attenzione le comu-nicazioni del Governo; ora la parola spetta ai senatori e airappresentanti dei Gruppi.

Gramazio (AN). Deve querelare!

Presidente. Senatore Gramazio, ha ascoltato con atten-zione, ora andiamo avanti nella discussione. Abbiamo tantotempo per i Gruppi e per i senatori.

Gramazio (AN). Ci sarà tempo.

Presidente. Dichiaro aperta la discussione sulle comu-nicazioni del Presidente del Consiglio dei ministri.

È iscritto a parlare il senatore Formisano. Ne ha facoltà.

Tofani (AN). Prodi non parla?

Storace (AN). Quando parla Prodi?

Presidente. Per favore colleghi! Prego il senatore For-misano di iniziare il suo intervento.

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Formisano (Misto-IdV). Signor Presidente, vorrei nonformalmente ringraziare... (Ripetuti commenti dai banchidel centro-destra). Signor Presidente, perdere occasioni didibattito vero per queste manifestazioni mi sembra ancheper certi aspetti sbagliato perché poche volte abbiamo lapossibilità di discutere...

Presidente. Senatore Formisano, la prego, vada avanti.

Formisano (Misto-IdV). Volevo non formalmente rin-graziare il Presidente del Senato e il Presidente del Consi-glio per questa opportunità che ci viene offerta. (Commen-ti ironici dai Gruppi AN e FI).

Presidente. Cominciamo male, perché qui bisognaascoltarsi, da una parte e dall’altra, veramente. Colleghi,fate parlare il senatore Formisano.

Formisano (Misto-IdV). Signor Presidente, capisco cheprobabilmente c’è la necessità di ripetere, da parte di alcu-ni colleghi, quello che è avvenuto alla Camera, ma auspi-cherei, visto che i tempi sono un pò più freddi e più distan-ti, un dibattito che, al di là delle posizioni politiche, riescaa dare anche un contribuito nel merito, atteso che il Presi-dente del Consiglio alcune indicazione le ha date e chiare.

Quindi, ringrazio il Presidente del Consiglio per esserevenuto ad illustrare il piano del Governo in un settore deli-cato, quello cioè dei rapporti tra lo Stato e il mercato, ele-mento che contraddistingue nettamente questo Governorispetto a quello precedente.

Capisco anche che i tempi della politica, purtroppo, nonsono una variabile e che, quindi, il dibattito che stiamosvolgendo questa mattina, probabilmente, è un pò sfalsatorispetto alle vicende; ma tant’è, hanno talmente insistito peraverlo anche qui in Senato che adesso dobbiamo svolgerlo,anche se probabilmente l’agenda politica di oggi ha altriargomenti più rilevanti che forse interesserebbero di più icittadini.

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Ciò premesso, ritengo che vada ugualmente sfruttataquesta opportunità in relazione alle affermazioni del Presi-dente del Consiglio, al quale devo rivolgere un altro rin-graziamento, quello di avere ribadito con la sua presenza inentrambi i rami del Parlamento che questa maggioranza equesto Governo continuano a ritenere centrale il ruolo delParlamento. Basterebbe questo, colleghi, per dare sensoalla discussione che stiamo svolgendo questa mattina. IlParlamento era, è e resterà il luogo centrale di discussionee di decisione sulle politiche economiche del Governo.Quindi, le rivolgo un ringraziamento non formale per aver-ci consentito questo dibattito e per aver avuto tale sensibi-lità. (Applausi ironici dai banchi del centro-destra).

Si tratta di una questione di metodo che finisce coldiventare sostanza politica. In altre occasioni, abbiamo sen-tito ripetere che il Parlamento rappresentava un appesanti-mento dei lavori dell’Esecutivo. Vivaddio, oggi con noinon è così, nel Parlamento si discute e si discute delle scel-te strategiche principali. Quindi, questione di metodo chediventa sostanza politica.

Per quanto riguarda il merito della discussione che cioccupa oggi e che ci ha occupato, credo che il Presidentedel Consiglio sia stato sufficientemente sereno e distaccatoper darci un’idea di quello che questo Governo e questamaggioranza vogliono realizzare nel rapporto – da lui cosìdefinito – tra Stato e mercato. Mi sembra di aver capito cheil filone fondamentale su cui ragioniamo – ed in ultimo diròperché questo è un segno di forte discontinuità con il pas-sato – lascia alla mano pubblica il dovere di regolamentarebene e non entrare, invece, nelle vicende delle aziende.

Ritengo che questa sia una concezione liberale e chequesto ci metta in condizione, probabilmente, di realizzarequella scossa economica di cui ha bisogno il Paese. Mi pareche questi primi mesi di legislatura e di Governo Prodi stia-no andando in tale direzione.

Il Presidente ha citato il cosiddetto decreto Bersani;ricordo il dibattito che si è sviluppato intorno a questoprovvedimento e quanti amici del centro-destra sulla stam-

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pa hanno detto: «Peccato, potevamo farlo noi nella passatalegislatura». Questo è il modo giusto, secondo noi, attra-verso cui bisogna andare avanti rispetto alla regolamenta-zione dei rapporti tra Stato e mercato.

Quindi, grazie, Presidente, perché noi pensiamo che cosìsi debba andare avanti (Applausi ironici dai banchi del cen-tro-destra) e grazie per aver messo in evidenza anche unaltro aspetto: la totale autonomia delle Autorità. Questa èuna concezione liberale di cui siamo convintamente so-stenitori e che quindi ci vede convinti nell’appoggiare que-sta politica di maggioranza e di Governo. Le autorità sianoeffettivamente tali e non vengano invece – come è a avve-nuto in altre occasioni – asservite a questo o a quel disegno.(Commenti dai Gruppi del centro-destra).

L’Italia dei Valori, signor Presidente del Consiglio, saràin questo Parlamento a controllare che quanto lei ha affer-mato venga poi mantenuto nei fatti attraverso gli atti di pro-duzione normativa: cioè che le Autorità, nel rapporto libe-ro fra Stato e mercato, in cui lo Stato regola, vanno ad effet-tuare i loro controlli in piena indipendenza ed autonomia.

Sono questi i primi elementi di una riforma che auspi-chiamo essere sempre più liberale, di uno Stato sempre piùliberale che metta la libera concorrenza in condizioni diprodurre effetti positivi per i cittadini. Credo che si possaesprimere un primo giudizio, ancorché sommario. Questosta facendo la maggioranza e questo sta facendo il Gover-no Prodi in questi primi mesi.

Voce dai banchi dell’opposizione. Non è vero!

Formisano (Misto-IdV). Credo che il distacco che haconnotato l’intervento del Presidente del Consiglio in que-st’Aula, la serenità con cui ha posto le questioni siano...(Commenti del senatore Guzzanti).

Presidente. Senatore Guzzanti, lei può insegnare a meche il senso della diretta televisiva è quello di fare ascolta-re bene i cittadini che stanno seguendo.

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Guzzanti (FI). C’è anche l’Aula!

Presidente. Prego, senatore Formisano, vada avanti.

Formisano (Misto-IdV). La ringrazio, Presidente, ma eradel tutto ovvio che a distanza di tempo, da parte di alcuni,probabilmente vi sarebbe stata la necessità di creare un sipa-rietto anche in quest’Aula. (Commenti dal Gruppo FI).

Voglio concludere dicendo che le argomentazioni serenee pacate che ci ha offerto il Presidente del Consiglio sonoelemento di discontinuità. Sono andato con la mente allapassata legislatura (di rado accadeva allora che il Presiden-te del Consiglio parlasse in Aula di rapporto tra Stato edimprese) e ho notato che raramente si poteva in quelle occa-sioni vedere un Presidente del Consiglio che fosse scevro daogni condizionamento, da ogni compartecipazione, da ognicointeressenza sulle questioni di cui discutevamo.

Userò un’espressione di Marcello Veneziani, che certa-mente per cultura non è vicino all’Unione o al centro-sini-stra: continuo a dire che con il precedente Presidente delConsiglio quando si discuteva di questi argomenti si avevala sensazione netta che vi fosse la prevalenza dell’interesseprivato sull’interesse pubblico. (Applausi dal GruppoMisto-IdV). Continuo a dire che oggi c’è un forte segno didiscontinuità: quando parliamo di questi argomenti nonregistriamo più quel che registravamo allora.

Signor Presidente del Consiglio, questa maggioranza lesarà vicina in tutti i momenti in cui lei riuscirà ad afferma-re la prevalenza dell’interesse pubblico su quello privato.Questa è la discontinuità più forte di cui ha bisogno l’Italiae mi pare che si stiano dando segnali e dimostrazione chein questa linea ci si voglia muovere, ci si è mossi e ci sicontinuerà a muovere. La ringrazio e le auguro buon lavo-ro. (Applausi dai Gruppi Misto-IdV, Ulivo, RC-SE, Aut eIU-Verdi-Com).

Presidente. È iscritto a parlare il senatore Andreotti. Neha facoltà.

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Il dibattito al Senato

Andreotti (Misto). Signor Presidente, ringrazio di aver-mi dato la parola. Mi trovo in una condizione, in un certosenso, avvantaggiata, perché parlo non per un Gruppo, macome appartenente al Gruppo Misto (abbiamo a disposizio-ne un certo numero di minuti).

Direi che mi trovo anche avvantaggiato per una attitudinealla comprensione: ho svolto, per un certo tempo, il suomestiere, signor Presidente del Consiglio, e so quanto sia dif-ficile. Solo non sottostavo a quella che poi è diventata un’a-bitudine, che peraltro riprende una vecchia usanza. C’è infat-ti un’abitudine ciclica in Italia, che è quella di spiegare tuttopolemicamente addebitando ogni cosa al passato: Mussolinise la pigliava con Giolitti; noi ce la siamo presa – con qual-che motivo maggiore – con Mussolini; poi c’è stato chi se l’èpresa con il centro-sinistra; questa è un’abitudine alla qualedovremmo dare sì un piccolo spazio, ma non farne la sostan-za delle nostre valutazioni. Per il resto, c’è una provvisorietà.

Rimasi colpito – e poteva sembrare anche un qualcosa diiettatorio, ma non lo era – quando fui invitato a pensare chela massima che ci deve guidare, quando si hanno responsabi-lità gravi, è proprio quella della provvisorietà e del rispettoper il passato e per il futuro. Perché ho detto «iettatorio»? Per-ché si faceva riferimento a quel che spesso si trova scritto neicimiteri: «Quello che voi siete noi fummo, quello che voisarete noi siamo». (Applausi dai Gruppi FI e AN. Ilarità).

Ma detto questo, Presidente, credo che dobbiamo venirfuori dal grande contributo di polemica che vi è stato. C’èun paio di fatti, di tutto quello di cui si discute, su cui inve-ce credo dobbiamo soffermarci e uno di questi è la vicendainquietante che è emersa dell’esistenza delle intercettazionie del loro uso. Questo argomento va approfondito.

In passato sono state fatte molte polemiche, spesso esa-gerate, sulle deviazioni dei Servizi. Qui non si tratta dideviazioni quanto di una specie d’iniziativa privata, macredo che anche i fautori dell’iniziativa privata non arrivi-no a ritenere che tale materia possa essere ad essa lasciata.

Ma c’è di più, e vorrei fare solo alcune ultime conside-razioni in merito.

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Il dibattito al Senato

In primo luogo, speravo che nel sessantesimo anniver-sario dell’Assemblea Costituente venisse fatto un bilancio.Sono state fatte alcune belle manifestazioni (e noi Costi-tuenti superstiti eravamo tutti contenti di essere lì), ma nonsi è fatto un bilancio per vedere in che misura sono state at-tuate le grandi linee indicate nella Costituzione, che preci-sa molto bene il limite tra il pubblico e il privato e le areeche devono essere considerate, come la cooperazione etutta una serie di aspetti. Penso allora che sarebbe opportu-no che il Senato e la Camera, anche congiuntamente(eventualmente a margine dell’attività parlamentare, per-ché forse è difficile farlo in Aula), dedicassero una sessio-ne di studio per vedere quanto è stato fatto. Altrimenti,andiamo sempre dietro a polemiche per fatti contingenti.

Per esempio, si fa ingiustamente tutta una critica nei con-fronti degli enti e delle società di Stato del passato ma, in veri-tà, anche con le privatizzazioni, che per alcuni momenti sem-brarono un toccasana, abbiamo poi visto che non è tutt’oroquel che luce. Questa è la raccomandazione che vorrei fare.

Vi è poi un altro aspetto. Non sono riuscito a capire per-ché molti enti di previdenza e altri enti – e poi alcuni nomiritornano – hanno smobilitato le loro risorse immobiliari,consentendo ad un gruppo di accentrare su di sé un potereimmobiliare che sta creando molti problemi. Si è creata, in-fatti, tutta una serie di problemi nei confronti degli inquili-ni e di chi può poi subentrare utilizzando le diverse clauso-le e opzioni. Cito questo caso perché mi interessa; anchequi nelle borgate di Roma abbiamo registrato l’effetto diqueste concentrazioni immobiliari private, che stannocreando rischi di sfratto e, cosa grave, stanno determinan-do un modo di arrangiarsi – verbo nazionale – trovandodelle forme per difendersi da tali novità.

Signor Presidente del Consiglio, sono contento che leisia venuto in Senato e anche che l’accoglienza di que-st’Assemblea sia stata migliore di quella avuta alla Came-ra dei deputati. Venga spesso in Senato e, se anche qualchevolta ascolterà parole cattive, non fa niente, però, tengaconto che determinati indirizzi di oggi vanno riconsiderati.

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Il dibattito al Senato

Il Senato nella scorsa legislatura era stato messo costitu-zionalmente su un binario morto, era stata creata unaCamera unica che dava la fiducia.

L’elettorato non ha convalidato questo sistema e di ciòne devono tenere conto sia i senatori eletti sia noi, senato-ri a vita, che adesso viviamo un momento difficile perchéil presidente Cossiga ha formalizzato addirittura una spe-cie di strano pensionamento attivo (Ilarità), al quale fini-remo per essere soggetti, prevedendo per noi una soprav-vivenza senza diritto di voto e per gli ex Presidenti dellaRepubblica una specie di tronetto nelle Aule – forse nonho capito bene – in cui potrebbero assistere alle seduterispettati.

Chiudo con una raccomandazione – e ho finito, Presi-dente – proprio sul rapporto della politica con il resto. Fac-ciamo ogni tanto dei dibattiti in materia economica e nonmi pare giusto che si discuta dividendo i tecnici dai politi-ci. Io ho sempre dinanzi a me – e lo dico proprio in que-st’Aula dove praticamente morì – il modello migliore diuomo politico e di uomo dell’economia che abbiamo maiavuto: mi riferisco ad Ezio Vanoni.

Ebbene, non ho mai visto Ezio Vanoni guardare dall’al-to la politica e non l’ho mai visto essere talmente presodalla sola tecnica e specialmente non considerare quelloche è giusto, cioè che i poteri elettivi, le Camere hanno unaloro dignità e una loro forza. Diano tutti dei consigli, maanche certi presidenti confederali, che ogni sera con la rigae con il compasso...

Presidente. Presidente Andreotti, la invito a concludere.

Andreotti (Misto). Ho terminato, signor Presidente, emi riservo altre volte, se Dio mi aiuta, di intervenire.(Applausi dai Gruppi Ulivo, RC-SE, IU-Verdi-Com, Aut,Misto-IdV, Misto-Pop-Udeur e FI).

Presidente. È iscritto a parlare il senatore Barbato. Neha facoltà.

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Il dibattito al Senato

Barbato (Misto-Pop-Udeur). Signor Presidente, signorPresidente del Consiglio, colleghi senatori, sento il dovere,a nome del partito che rappresento, di prendere la parola asostegno del Governo che, nella persona di Prodi, oggi quiriferisce sul caso Telecom. Ringrazio l’onorevole Presiden-te del Consiglio per aver risposto all’invito, giammai impo-sto, certamente richiesto con forza dall’opposizione edesortato dal presidente Marini.

L’informativa del Governo alle Camere si rivela assaiutile al fine di fornire chiari dati circa la posizione che l’E-secutivo intende assumere sulle future politiche nel settoredelle reti e delle telecomunicazioni. Tutt’altra questione èinvece quella per cui il Presidente del Consiglio dei mi-nistri, secondo qualcuno, debba obbligatoriamente conferi-re in Parlamento per fornire le ragioni della sua estraneitàall’accusa pretestuosa che gli viene rivolta.

La Telecom – non sono io a dirlo – rappresenta un pila-stro per la nostra economia e le decisioni che la riguardano,senza dubbio, si riflettono sulle sorti del Paese. Non perquesto l’Esecutivo può essere imputato di complicità inaffari da cui, per legge, è avulso ed in merito ai quali hadichiarato e continua a dichiarare con fermezza di non averavuto conoscenza.

Giusto è che lo Stato si preoccupi delle società a parte-cipazione pubblica, dato l’alto impatto occupazionale e disviluppo che le stesse hanno sul territorio, ma le decisioniaziendali vanno valutate da un punto di vista politico e noneconomico, come alcuni, fraintendendo, hanno inteso. Perquesto – lo si ribadisce – l’informativa urgente di Prodi,prima alla Camera e poi qui in Senato, è indice del poterechiarificatore che deve essere difeso da strumentalizzazio-ni false e cavillose, mezzo largamente usato dall’attualeopposizione per minare la maggioranza, nel tentativo diribaltarne le sorti. Evidente esempio è stata l’accoglienzariservata al Presidente dai colleghi della Camera, che dap-prima hanno compulsato il suo intervento, per poi aggre-dirlo caoticamente, togliendogli la parola più volte, edancor prima di averlo ascoltato.

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Il dibattito al Senato

Dobbiamo dare attenzione al Premier, senza tralasciareche il Governo non ha diritto di conoscere i piani dell’a-zienda né, tanto meno, può controllarli e pilotarli. Nondimentichiamo che il riscontro imponente delle scelte Tele-com sull’economia italiana non può e non deve autorizzareil Governo ad intessere il riassetto strategico della società,ruolo precipuo del management della classe azionista, néad interferire sulle decisioni rilevanti per la sua ammini-strazione, perché non è compito dell’Esecutivo.

Personalmente ho fiducia nelle parole di Prodi ed accet-to quanto più volte da lui confermato, ovvero la totaleestraneità alla decisione di ristrutturare l’azienda, proce-dendo allo scorporo con la rete mobile assegnata a societàstraniere.

Proprio rispetto a questo punto stamattina leggevo ledichiarazioni del dottor Tronchetti Provera: pur con tutto ilrispetto per il mondo imprenditoriale (è mio parere perso-nale), credo, però, al Presidente del Consiglio e non ad unimprenditore. Anzi, a fronte di un’ipotetica connivenza conla dirigenza societaria, possiamo solo ricordare che, sulpiano... (Commenti. Richiami del Presidente) ...della rior-ganizzazione del gruppo, il Governo ha espresso solopreoccupazione per una decisione che rappresenta un’in-versione dei metodi aziendali denunciati. (Vivaci commen-ti. Richiami del Presidente).

Gramazio (AN). Potevi chiederlo ad Afef che è venutaalla festa dell’Udeur!

Barbato (Misto-Pop-Udeur). Non mi farò distrarre, Pre-sidente, non si preoccupi.

Presidente. Ma io non mi preoccupo per lei, vorreisemplicemente che la discussione proseguisse.

Barbato (Misto-Pop-Udeur). Tanto è una tecnica!

Presidente. Vada avanti, senatore Barbato.

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Il dibattito al Senato

Barbato (Misto-Pop-Udeur). Tant’è vero che la sceltapolitica attuata e difesa dal Premier nel suo intervento allaCamera sintetizza gli ultimi dieci anni di politica italiana, ecioè la via della privatizzazione, che mira all’apertura deimercati e alla maggiore funzionalità, per il consolidamentodella nostra industria.

Ed è proprio su alcune delle principali tematiche chebisogna focalizzare la nostra discussione, quali, ad esem-pio, quelle inerenti: al bilancio dei processi di privatizza-zione avvenuti in settori strategici del Paese; agli indirizzidi politica industriale per il settore delle telecomunicazioni;ai mutati rapporti tra pubblico e privato all’interno del qua-dro normativo comunitario; nonché al possibile destino ditanti lavoratori.

Di questo vogliamo parlare, non di propaganda, non digossip, né di responsabilità presunte del dottor Rovati.L’importante spazio di confronto fra Esecutivo e Parlamen-to non può essere sprecato nel tentativo di coinvolgere stru-mentalmente la persona del Presidente del Consiglio in unavicenda che lo vede solo spettatore!

Pertanto, tornando al merito della questione Telecom,ricordiamo che, informato dal vertice di Telecom del profi-larsi di una partnership strategica con il gruppo Murdoch,il Primo ministro si era limitato ad auspicare che il control-lo della più importante azienda di telecomunicazione delPaese rimanesse in mano italiana. Ciò, di certo, non puòessere letto come nazionalismo, piuttosto, deve considerar-si come naturale attenzione del Governo, interessato sem-plicemente alla tutela del pubblico interesse del Paese ed aseguire un trend di sviluppo esponenziale, per essere pro-tagonista a livello europeo.

Quanto all’intervento alla Camera, se, come dice l’op-posizione, il Presidente ha esposto poco, magari ciò èdovuto all’impossibilità materiale di riferire, causa l’agita-zione dell’opposizione, oppure all’assoluta estraneità delGoverno alla manovra! Forse che i colleghi della Camera,che con tanta insistenza e zelo lo hanno ascoltato nelle sueargomentazioni, avrebbero preferito che egli riferisse su

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Il dibattito al Senato

fatti, connessioni e retroscena in realtà inesistenti? (Prote-ste dai Gruppi FI, AN e UDC. Richiami del Presidente).

Allora, signori colleghi, credo s’imponga una riflessio-ne sull’ipotesi, da più parti sollevata, che il Governo pro-ceda con la golden share; ovvero il Tesoro, agendo d’in-tesa...

Presidente. Deve concludere, senatore Barbato.

Barbato (Misto-Pop-Udeur). ...con il Ministero dellosviluppo economico, potrebbe, nell’esercizio del potere diveto, opporsi all’operazione sul capitale di Telecom Italia osulle eventuali scissioni e fusioni, laddove rinvenisse unconcreto pregiudizio agli interessi vitali dello Stato.

È d’uopo, cioè, un’analisi serena e matura della vicenda,che segua alle parole riferite oggi in Aula dal Governo, chepotrebbe raggiungersi anche con un’audizione, da partedelle Commissioni di merito, del dottor Tronchetti Proverae del professor Guido Rossi, tra l’altro suggerita in sede diConferenza dei Presidenti dei Gruppi, ma respinta dall’op-posizione.

Presidente. Senatore Barbato, il tempo è scaduto, laprego, concluda.

Barbato (Misto-Pop-Udeur). Presidente, abbiamo altridue minuti! (Vivaci proteste dai Gruppi FI, AN e UDC).

Presidente. Non ha affatto a disposizione altri dueminuti!

Barbato (Misto-Pop-Udeur). Questo sarebbe stato unmodo serio di affrontare in Parlamento un tema così impor-tante! (Commenti e proteste dal Gruppo UDC).

Da ultimo – e concludo – è solo il caso di accennare cheesistono ulteriori strumenti istituzionali di verifica... (Com-menti e proteste dai Gruppi FI, AN e UDC. Richiami delPresidente).

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Nessa (FI). Basta!

Barbato (Misto-Pop-Udeur). ...di operazioni di merca-to, che hanno risvolti rilevantissimi sul consumatore italia-no, quali ad esempio quelli propri dell’Autorità per legaranzie della comunicazione, che è un settore cardine peril nostro Paese. Pertanto, mi rivolgo agli onorevoli col-leghi... (Il microfono si disattiva automaticamente. Applau-si dal Gruppo Misto-IdV. Proteste dai Gruppi FI, AN eUDC).

Presidente. Grazie, senatore Barbato, il tempo a sua dis-posizione è ampiamente scaduto.

È iscritto a parlare il senatore Rotondi. Ne ha facoltà.

Rotondi (DC-PRI-IND-MPA). Signor Presidente delConsiglio, il Senato la ringrazia per essere qui. Come vede,nonostante l’età media più alta, incrocia qui moltissimacomprensione perché, se il Senato avesse voluto reagirealla sue prime dichiarazioni dopo che si è gonfiato questocaso, stamattina avrebbe dovuto trovare un’accoglienza piùvispa di quella che ha ricevuto alla Camera dei deputati.Ma qui siamo tutti uomini di mondo e non ci offendiamoquindi del fatto che lei ha detto che riferire in Parlamentoera roba da matti e che, tra i due rami del Parlamento, inquest’Aula giammai. Poi tra i matti si è calato e, come capi-ta quando uno se la chiama, i colleghi della Camera deideputati, essendo stati chiamati matti, hanno reputatoopportuno esercitare qualche bizzarria.

Qui, Presidente, siamo sereni al punto che, parlando peril mio Gruppo (quello della Democrazia Cristiana-PartitoRepubblicano Italiano-Indipendenti-Movimento per l’Au-tonomia), le faccio il dispetto di non chiederle se lei sape-va o non sapeva che nella stanza attigua alla sua il dottorRovati stava scrivendo l’ormai celebre piano, ma entro nelmerito della questione di cui dovremmo discutere stamatti-na, e cioè gli assetti Telecom, le privatizzazioni, il loroandamento, il progetto del Governo in questo campo.

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Lei ha detto che il guaio di certe privatizzazioni è chesono avvenute per mano di aziende che avevano, traducen-do fuor dal politichese, «il portafoglio vuoto». Recuperandociò che ha detto il Presidente Andreotti sulla cattiva abitudi-ne che abbiamo di prendercela col passato, osservo che que-sta abitudine, sempre cattiva, è singolare in lei, che parlaoggi da Presidente del Consiglio, ma era anche il Presiden-te del Consiglio che ha fatto la privatizzazione di Telecom.(Applausi dai Gruppi DC-PRI-IND-MPA e FI). Quindi,rubando la scena e il mestiere all’opposizione, lei ha fatto undiscorso da maggioranza di oggi, oppositore di sé stesso diieri. (Applausi dai Gruppi DC-PRI-IND-MPA e FI).

Dal momento che alcuni parlamentari dell’Udeur e dell’I-talia dei Valori dicono che sono lieti di vederla al Governooggi perché il signore che c’era prima, cioè Berlusconi, sem-brava che si occupasse di queste cose con interesse suo, mipermetto di dire al presidente Prodi dell’altro Governo (delprimo Governo Prodi, di quello che fu poi «sfrattato» da alcu-ni dei parlamentari che hanno parlato stamattina) che io houna certa frequentazione di Berlusconi e non mi è mai capi-tato di accorgermi che privatamente si appassionasse moltoalle questioni di Telecom, o che nel suo sguardo brillasse l’in-teresse personale quando si occupava del sistema Paese.

Debbo però anche ammettere, presidente Prodi, chemolti dei parlamentari e dei Ministri del suo Governohanno avuto più confidenza e frequentazione di me con Sil-vio Berlusconi. (Applausi del senatore Amato). Deducoquindi che un pò più di parsimonia di giudizio andrebbeutilizzata da coloro che sono saltati più volte da un campoall’altro e oggi, in diretta televisiva, vorrebbero spiegare alPaese che questa è la maggioranza che lo cambierà laddo-ve, invece, questa è solo la maggioranza che, con un pez-zetto di Paese rubato con trasformismo all’altro schiera-mento, cerca di prendere tutto il banco e di presentarsi quia spiegarci persino che le privatizzazioni, che hanno fattoloro nella legislatura precedente, sono fatte male. E noidiciamo che sì, sono fatte male.

Che fine hanno fatto, mi viene da chiedere, ad esempio,

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in Italia i fondi pensione? Altre privatizzazioni sono avve-nute in Europa, ma con una presenza di quello che chia-miamo, con qualche pruderie, «il pubblico», con la presen-za dei fondi pensione o di investitori che hanno la forzaeconomica di mantenere un carattere di orientamento e divocazione al servizio pubblico che alcune aziende e rami diaziende hanno. In Italia abbiamo concepito privatizzazioni,viceversa, che hanno favorito investitori che hanno investi-to con i soldi delle banche, con una patologia iniziale per-manente delle loro aziende che hanno dovuto scontare ilfatto di vivere il quotidiano oberati dai soldi delle bancheche erano serviti per comprare l’azienda.

Queste cose non le ha fatte il centro-destra degli affari,queste cose non le ha fatte la vituperata Democrazia Cri-stiana dei tempi sciagurati: queste cose le hanno fatte iGoverni di centro-sinistra che si sono succeduti dal 1996 al2001, un Governo all’anno, con la variante costante, par-lando di Telecom, che ad ogni Governo cambiava una pro-prietà di Tele-com, abitudine per la verità mantenuta.(Applausi dai Gruppi FI e DC-PRI-IND-MPA).

Allora, signor Presidente, io non avrei trovato nulla discandaloso se lei si fosse alzato qui stamattina (non sologuardo lì, verso i banchi di Rifondazione, alla sua sinistraradicale, ma anche al suo centro e all’opposizione di cen-tro, che pure c’è qui) e avesse detto, con un guizzo d’orgo-glio che pure appartiene alla sua tempra, che noi abbiamosempre apprezzato: «Signori senatori, accade in Italia cheabbiamo fatto le privatizzazioni, ma le abbiamo fatte conquelli che i soldi non ce li avevano, li hanno chiesti allebanche, hanno indebitato le aziende»; e non mi fate direuna cosa banale: se la Telecom funziona con i debiti, chipaga è Pantalone, per cui alla fine, comunque lo guardia-mo, è il cittadino che paga. Se lei avesse qui detto: «Abbia-mo fatto le privatizzazioni con i soldi delle banche e ades-so accade che alcune aziende pubbliche, come Finmeccani-ca ed ENI, non hanno debiti, hanno bilanci migliori e nelmondo sono addirittura concorrenziali e accade addiritturache investano in tecnologia avanzata».

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Allora io vi propongo di far saltare il banco e di riaprireda qui, da stamattina, la discussione su questi temi econo-mici, su quale sia il privato che si consiglia a questo siste-ma Paese, quale sia il pubblico che va recuperato e ripristi-nato e se il mercato sia davvero interessato al privato o alpubblico o se invece, nella sua superiore freddezza o nelsuo ragionato cinismo non sia indifferente se un’azienda èprivata o pubblica e sia solo interessato se funziona o no, sesia efficiente o no.

Signor Presidente, se lei ci avesse sfidato su questi temi,probabilmente avrebbe messo tutti in difficoltà.

Storace (AN). Ascolti il dibattito, presidente Prodi.

Rotondi (DC-PRI-IND-MPA). Non vi allarmate, il Pre-sidente ascolta e medita, probabilmente, quindi continuocon serenità.

Ci avrebbe messi tutti forse in difficoltà. Invece, signorPresidente, lei viene qui a dirci una paginetta ben scritta –non so se gliela ha scritta Rovati – in cui dice in sostanza:«Beh sì, in effetti c’era un piano, lo aveva scritto un colla-boratore, non lo sapevo, ora se n’é andato».

Io stimo Rovati, che ho avuto l’opportunità di conosce-re, un professionista serio, non mi stupisce che abbia potu-to anche redigere un piano fatto meglio di uno scritto daRomano Prodi.

Non mi domando – l’ho detto in premessa – se Prodi losapesse o meno, dico che è poco carino questo andazzodella seconda Repubblica: una volta un Ministro che sba-gliava se ne andava, oggi un Presidente del Consiglio dice:«Non so nulla dell’affare Telecom», poi esce un piano sucarta intestata della Presidenza del Consiglio e non solonon se ne va lui, ma sbatte fuori un collaboratore. A partetutto, non è carino, ma voglio dire che paradossalmenteavrei preferito che il Governo avesse sul tema un’idea, fos-s’anche quella del misterioso piano Rovati, piuttosto che ilbalbettìo di questa mattina, piuttosto che un silenzio irri-spettoso dei temi che sono sul campo, piuttosto che un’as-

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senza di visione strategica, che è una dannazione di questocentro-sinistra.

Capirei, infatti, un centro-sinistra che rilanciasse suitemi di cui abbiamo parlato, ma un centro-sinistra che silimita semplicemente a liquidare un tema di straordinariovalore culturale come la gaffe di un collaboratore è vera-mente indice di una maggioranza arrivata al capolinea.

Credo – e concludo – che varrebbe la pena di tematizza-re con molta serietà delle sessioni parlamentari e di conce-pire un ripensamento profondo e, questo sì, bipartisan, suquesti temi. Quello che non possiamo assolutamente accet-tare è che si utilizzino una gaffe e un’assenza di visionestrategica del Governo come un’opportunità per fare unacontropropaganda.

Ho sentito in quest’Aula i senatori della maggioranzarispolverare ogni tanto il tema del conflitto d’interessi.Nessuno ha riflettuto sul fatto che la metà degli italiani havotato con passione un signore, Silvio Berlusconi, che voiavete per cinque anni tenuto a bersaglio come il protagoni-sta di un conflitto d’interessi che, secondo la vostra propa-ganda, si sarebbe irradiato a tutti gli atti del Governo e dellamaggioranza e a tutte le leggi varate dal Parlamento. Allafine di tutto ciò, persino quando uno smottamento elettora-le alle elezioni amministrative ha consegnato la sconfitta alcentro-destra, persino allora noi siamo riusciti ad arrivare aun passo dalla vittoria.

Sento parlare, a questo proposito, di conflitto d’interes-si, ignorando la sensazione gelida che si prova osservandoquesto Governo su questo affare, la diatriba occulta, manon tanto, nella maggioranza, il risentimento di Ministriche hanno dichiarato e poi smentito di essere stupiti delPresidente che non sapeva, del collaboratore che invecesapeva, del Tronchetti di prima e del Tronchetti di dopo.

La sensazione che il Paese ha provato è che, non solo nonvi sia stato, nei cinque anni precedenti, un conflitto d’inte-ressi, ma che sinistra-mente oggi a Palazzo Chigi vi sia unoscenario inquietante di interessi in conflitto. (Applausi daiGruppi DC-PRI-IND-MPA, FI, AN, UDC e LNP).

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Presidente. È iscritto a parlare il senatore Peterlini. Neha facoltà.

Peterlini (Aut). Signor Presidente, onorevoli colleghi,nell’esprimere, come Gruppo per le Autonomie, il nostroapprezzamento per l’informativa del presidente del Consi-glio Romano Prodi, non vorrei entrare nella polemica.

Ritengo che invece la vicenda Telecom ci ponga davan-ti a due questioni sulle quali riflettere. Una, allarmante,delle intercettazioni telefoniche e delle difficoltà di gestio-ne dell’azienda; l’altra sul futuro scenario della politicaindustriale nel nostro Paese.

Per quanto riguarda le intercettazioni telefoniche (e nonincolpo la Telecom che si dichiara parte lesa), l’immagineche emerge e che, purtroppo, si riflette all’estero è quella diun Paese dove faccendieri e corrotti a vario livello intrec-ciano relazioni poco chiare e di manovre operate oltre lalegalità tra le quinte dell’economia e della politica. Taleimmagine, mi sento di dire, crea una lesione profonda allanostra democrazia.

Condivido, pertanto, la decisione del Governo didistruggere le intercettazioni e di cancellare quello che sipuò benissimo definire come un tentativo di mettere sottocontrollo, attraverso schedatura, un intero Paese. Ritengoaltresì necessario che si faccia luce su quel sottobosco diintrighi e di relazioni più o meno sporche che rappresenta-no l’ultimo, speriamo, di una serie di inquietanti episodiche hanno investito l’Italia in questi ultimi anni.

Come dicevo all’inizio del mio intervento, il caso Tele-com apre soprattutto la riflessione sul destino industrialedel nostro Paese. Non è solo un fatto logico, ma è soprat-tutto un atto dovuto che la politica si interessi di un settorecosì importante come quello delle telecomunicazioni.

Al pari di energia e trasporti, infatti, le telecomunicazio-ni rappresentano settori in cui destini futuri vanno al di làdegli interessi delle singole aziende. Mi spiego meglio.Con i suoi 83.000 lavoratori – nel frattempo ridotti a 76.000– con milioni d’utenti e con una distribuzione di azioni rac-

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colte con i capitali di piccoli e piccolissimi investitori cheprima destinavano i loro risparmi in BOT – il futuro dellaTelecom interessa, signor Presidente, tantissime famiglie etantissimi cittadini. Per questo ritengo il suo intervento,signor Presidente del Consiglio, nel bene del Paese ed adifesa degli interessi generali.

Dopo l’11 settembre 2006, giorno in cui il consiglio diamministrazione ha reso noto quello che dovrebbe essere ilnuovo piano industriale, purtroppo non è più chiara la stra-tegia della Telecom. A rimarcarlo sono gli stessi sindacatiche ricordano come prima di quella data il piano industrialedi solo un anno fa del 2005 fosse condiviso dalle partisociali e confermasse un aspetto importante: l’integrazionetra la rete fissa e la rete mobile.

Un modello presente in tutti i Paesi europei (anche laBritish Telecom vuole recedere nei suoi passi perché hacommesso questo errore) e che rende possibile lo sviluppotecnologico perché tiene conto dello sviluppo delle teleco-municazioni che vede l’integrazione tra il fisso e il mobile.Le voci dello scorporo, pertanto, e della possibile venditadella rete mobile hanno destato preoccupazione da partedell’opinione pubblica. Voci che sono state smentite dalnuovo presidente di Telecom, Guido Rossi, nell’audizionedei giorni scorsi a Palazzo Madama, il quale però non haescluso in futuro una vendita di pezzi della società.

C’è un ulteriore aspetto preoccupante che interessa tan-tissime famiglie. Le azioni della Telecom, raccomandatedalle banche alla gran parte delle famiglie di piccoli rispar-miatori dopo la riduzione delle rendite dei BOT (come,cioè, una nuova forma di risparmio popolare) sono crollatedi più della metà rispetto al prezzo d’acquisto. Da circa 5euro del 1997 sono passate agli attuali 2, 2 euro. Ci ricor-diamo tutti che lo Stato aveva venduto nel 1997 il 35 percento della propria proprietà di Telecom a un prezzo per ilpubblico istituzionale pari a 11.200 lire (9,78 euro) e a10.900 lire ai privati (5,6 euro). Adesso, ripeto, il valore èdi 2, 2 euro.

So che il mondo delle comunicazioni vive una trasfor-

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mazione radicale. Cerano fusioni e ricapitalizzazioni e soche è in atto un’agguerrita concorrenza sul traffico mobilecon tariffe ridotte e difficoltà sul mercato. Ma tutto ciò nonesime dalla considerazione che è stata svalutata un’im-presa importante, che agli inizi degli anni Novanta eraun’azienda sana e forte, che oggi si ritrova con un debito di41 miliardi di euro e che – ripeto – è stato dimezzato ilrisparmio di tantissime famiglie italiane. Senza dimentica-re i consumatori che in questi anni hanno subito aumentitariffari ingiusti, immotivati e sproporzionati. Ogni annovengono prelevati dalle tasche degli italiani 200 milioni dieuro per servizi telefonici mai richiesti. L’Italia, infatti, èl’unico Paese in Europa che paga una tassa occulta per lericariche dei telefonini che grava soprattutto sulle utenzeeconomicamente più deboli: giovani e anziani.

Ci chiediamo allora quale sia la strada da seguire perrilanciare la più grande azienda di telecomunicazioni senzache questa diventi terra selvaggia di conquista, evitandoulteriori scelte sbagliate a danno di utenti, consumatori erisparmiatori.

Qual è questa strada? Non credo proprio che la miglioresia quella della nazionalizzazione. Quella fase appartieneormai definitivamente ad una altra epoca, nella quale loStato aveva un ruolo come imprenditore, nel bene e nelmale! I tempi sono cambiati e questo percorso non terreb-be conto delle liberalizzazioni, della concorrenza, delnuovo sentire espresso dal decreto Bersani.

Vogliamo più liberalizzazione, più mercato, più compe-titività e con questo anche prezzi più competitivi e più bassiper gli utenti. Il riacquisto della rete di distribuzione inoltrecomporterebbe un esborso pubblico di circa 20 miliardi dieuro, quasi quanto una legge finanziaria, senza dimenticarequanto già costino ai cittadini le strategiche Alitalia e Fer-rovie con i suoi vari nomi.

Quello che invece occorre – e questo è il punto, signorPresidente Prodi, su cui prego lei ed il Parlamento di insi-stere nell’ambito della legiferazione sulla legge del rispar-mio – è una revisione delle regole del capitalismo italiano,

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che ha permesso i crack della Cirio e della Parmalat chesembravano aziende sane, di cui anche nuovamente le ban-che hanno raccomandato ai risparmiatori di comprare leazioni. Una revisione delle regole societarie che garanti-scano anche i diritti ai piccoli investitori e risparmiatori,che detengono nella loro somma, la maggioranza del pac-chetto azionario, ma di fatto sono completamente esclusi daogni gestione e da ogni controllo.

Il caso Telecom è la cartina di tornasole di un capitali-smo italiano abituato a governare con i debiti contratti dallebanche. (Commenti del senatore Polledri). Ho detto chenon faccio polemica. Entro nei problemi e non mi interes-sa chi ne sia il responsabile. Sono scatole cinesi con quoteminimali che riescono sempre a prevalere rispetto allamaggioranza del capitale societario, spesso polverizzatonaturalmente in piccole quote detenute da milioni di rispar-miatori azionisti che non contano nulla in assemblea enaturalmente non sono rappresentati.

Lo Stato, che non può e non deve limitare la libertà diimpresa, deve però farsi carico di giocare tutta una partitasul terreno della definizione delle nuove regole più certe,più trasparenti, per impedire che il pluralismo in questoPaese sia ferito e che i consumatori italiani non siano tute-lati. (Commenti dal Gruppo LNP).

È necessario che si garantisca trasparenza nelle trans-azioni e si dia garanzia agli investitori, soprattutto a quel-li medi e piccoli. Bisogna sottolineare l’opportunità che siponga mano alla legge sul risparmio e che, come è avve-nuto negli Stati Uniti, dopo i crolli della WorldCom e dellaEnron, si mettano in essere norme più partecipative e piùsevere per chi truffa i cittadini. E non come è successo inItalia dove, con il Governo Berlusconi, sono diminuite lepene, promuovendo il falso in bilancio ad una sorta didelitto cavalleresco. (Commenti dal Gruppo LNP). Questoè successo! Lo sapete anche voi. Non è la Lega che devedifendere questo perché la Lega ha sempre attaccato ilmalcostume di queste grandi imprese. (Commenti dalGruppo LNP).

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Presidente. Senatore Peterlini, si rivolga all’Assem-blea!

Peterlini (Aut). Mi rivolgo a lei, signor Presidente, miscusi tanto. Questo a tutto danno dei risparmiatori chehanno già pagato caramente con le vicende, le ricordo, deiBond argentini, della Cirio, della Parmalat.

Inoltre, occorre garantire agli azionisti di minoranza e atutti i piccoli risparmiatori una maggiore trasparenza. Sonoqueste quindi le esigenze, di cui necessita il Paese: nuoveregole che si devono aggiungere a quelle già affidateall’Authority per le telecomunicazioni, la cui azione deveessere rafforzata per far sì che il mercato sia sempre più tra-sparente e il risparmio sia ancor più tutelato, oltre che con-sentire una maggiore concorrenza e competitività.

Questo porta alla considerazione della rete delle infra-strutture: bisogna superare modelli ormai sorpassati inmolti Paesi, tranne che in Italia, dove ancora una unicaimpresa è titolare della rete della infrastruttura e dei servi-zi che su di essa viaggiano, con gestori in concorrenza traloro.

Questa doppia funzione, a beneficio di uno tra gli ope-ratori, dovrebbe essere superata. Così com’è accaduto perle ferrovie, gli aeroporti, le autostrade e l’energia, dovrem-mo pensare a quale possa essere la soluzione migliore perapplicare questo modello anche alle telecomunicazioni.Flessibilizzare i sevizi e la rete non significa necessaria-mente seguire una strada che porti ad una rete pubblica.Potremmo immaginare, così com’è accaduto per gli aero-porti e le compagnie aeree, ad un comparto tutto privato, incui il detentore della rete sia – per così dire – neutrale, nonin concorrenza con i gestori. Per Telecom, anche l’Autori-tà delle telecomunicazioni ha chiesto una separazione tra larete infrastrutturale e i servizi.

Ritengo che sulla rete non possa svilupparsi una veraconcorrenza, in quanto, comunque, sarebbe non opportunorealizzare tante reti parallele, anche per i danni dell’inqui-namento, che sappiamo partire da questi impianti; anche

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per le ferrovie, ad esempio, non è possibile che più gestorirealizzino più reti, l’una accanto e parallela all’altra. Men-tre si può creare più concorrenza sui servizi di gestoridiversi. Possiamo e dobbiamo quindi ragionare sul futurodelle telecomunicazioni in Italia e sul futuro della Telecom,azienda che, nonostante il suo forte indebitamento, si pre-senta ancora non in crisi e ha tecnologia e risorse perriprendersi bene.

Serve un confronto, signor Presidente del Consiglio, chedeve vedere, nel quadro di una moderna politica industria-le, una positiva cooperazione tra industriali e pubblici pote-ri – e l’ho esaltata, perché il pubblico è interessato a questaazienda – con il rilancio, senza intromissioni ma con leregole, della concertazione. Solo così tutte le parti, anchequelle sociali, possono dare un loro contributo in un’impo-stazione trilaterale che esalti l’economia sociale.

Confrontiamoci, quindi, e lavoriamo tutti insieme con laconsapevolezza di farlo per un unico progetto: rendere ilPaese migliore. In questo senso, la ringraziamo fin d’oraper il suo impegno, signor presidente Prodi. (Applausi daiGruppi Aut, IU-Verdi-Com e Ulivo. Congratulazioni).

Presidente. È iscritta a parlare la senatrice Palermi. Neha facoltà.

Palermi (IU-Verdi-Com). Signor Presidente, signor Pre-sidente del Consiglio, era del tutto evidente, quando il cen-tro-destra ha insistito per-ché lei venisse in quest’Aula atenere questo dibattito, che c’era il tentativo di farle un pro-cesso, sulla base e sulla costruzione di una sorta di gialloeconomico, basato su illazioni e sospetti. Poi il tempo, eanche la cronaca dei fatti, hanno fatto giustizia di questisospetti e di queste illazioni. Quindi, lei mi perdonerà se misottraggo alla vicenda Rovati, se non la tocco neppure distriscio, se proprio mi sottraggo (nel senso che la trovopochissimo interessante e di nessuna importanza), peraffrontare invece altri problemi che pure lei ha posto nellasua comunicazione.

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Telecom, signor Presidente, è l’ennesima grande indu-stria italiana che rischia di fallire sotto il peso dei debiti. Unaltro crac, come e peggio di quello Parmalat; ho già avutooccasione di dirlo in quest’Aula.

Inoltre, in questa vicenda viene troppo spesso sottovalu-tato che una grande azienda in crisi si trascina sempre die-tro una platea vastissima di fornitori piccoli e medi, cherischiano la chiusura e la messa in mobilità dei lavoratori.Le piccole e medie imprese che operano nell’indotto dellaTelecom sono migliaia e migliaia; quasi tutte, fra l’altro,hanno già iniziato la produzione, perché – come sapete –questa viene avviata prima ancora che venga formalizzatala commessa.

La preoccupazione, allo stato, è che il debito accumula-to da Telecom, assieme allo scandalo incredibile delleintercettazioni, assieme ai progetti di riassetto interno e aimutamenti della direzione aziendale, possa oscurare la crisidi questa vastissima area di fornitori, i quali, se cadono, ca-dono per sempre.

Io dico che è di questo che il Senato dovrebbe discutere,accogliendo anche il suggerimento del senatore Andreotti:delle prospettive di una delle aziende strategiche italiane(ce ne sono altre e sono tutte in crisi, tutte nei guai), delfuturo degli 85.000 lavoratori della Telecom e dei 378.000lavoratori ufficiali – voi sapete meglio di me che in realtàsono di più – dell’indotto. Quasi mezzo milione di lavora-tori: stiamo parlando di una roba del genere, altro che gial-lo Rovati!

Il nuovo presidente della Telecom sembra escluderealmeno per il momento – lo apprendiamo dai giornali edalle agenzie di stampa – lo scorporo della TIM, che è ilsettore che dà più ricavi e contiene il debito. È stato giàdetto, ma insomma ripetiamocelo, perché è una roba seria:è mai possibile che la telefonia italiana abbia in Italiapadroni di tutti i tipi (cinesi, egiziani, inglesi)?

Voglio dire che questa è davvero un’invasione, unapotentissima invasione economica, ben più grave di altreche vengono citate inutilmente. Per questo, signor Presi-

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dente del Consiglio, il primo obbiettivo, il più importante –che è tra l’altro richiesto da tutti i sindacati del settore e cherichiede anche il mio Gruppo – è di lavorare sin da subitoper mantenere in primo luogo l’integrità del gruppo. Que-sto primo obbiettivo, che sembra secondario, è inveceimportantissimo.

Un’altra questione: in questi giorni accade, onorevolisenatori, che Telecom abbia deciso la dismissione alla ITSS.p.A., di un ramo d’azienda costituito dal Servizio clien-ti radiomarittimi; si tratta di un fatto davvero curioso. Erastata ottenuta, grazie al Governo, una sospensiva di circa90 giorni, ma ora – pare ad insaputa dei Ministri, presi-dente Prodi, ma non so dirlo con certezza – si è concessoil nulla osta. C’è però il piccolo particolare che la nuovaazienda non può gestire il servizio perché la licenza èancora di Telecom. Che cosa denota ciò? Miopia? Incom-petenza? Superficialità? Non so di che cosa si tratti, fran-camente.

Qualcuno penserà che forse questa è una questionesecondaria o inopportuna rispetto alle grandi dimensionidella vicenda Telecom, ma per me è difficile, onorevolisenatori, considerare secondario o inopportuno qualcosache riguarda delle persone in carne ed ossa, come sono ilavoratori. Nel ridurli a numeri come spesso accade, ecome spesso accade anche a noi, c’è una logica violenta eanche un pò vigliacca alla quale francamente non riesco arassegnarmi.

Se siamo arrivati a questo punto però, non è per miraco-lo divino, né perché siamo stati perseguitati dal demonio,ma piuttosto perché ad esso ci hanno condotto le ragioni delmercato e l’ideologia liberista. Si sono considerate intocca-bili, incapaci di errori, le ideologie del mercato. Oggi sicorre il rischio – ma forse meno di prima: sono più ottimi-sta dopo il dibattito ascoltato questa mattina – di diventareciechi rispetto alle conseguenze delle privatizzazioni neisettori strategici: è di ciò infatti che si parla, naturalmente,quando si vuole affrontare il nodo delle privatizzazioni. Èstato diffuso un senso comune che, purtroppo, ha conqui-

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stato il Paese, anche i ceti poveri. Un senso comune che hafatto pensare che il libero mercato fosse esente da errori,che avesse in sé una sorta di giustizia neutra, inattaccabiledalla parzialità e dalla complessità proprie degli esseriumani.

La libera concorrenza e il mercato erano considerati il«toccasana» per avere più efficienza e minori costi dei ser-vizi. Sappiamo tutti però che per i consumatori così non èstato: do per scontato che tutti lo riconosciamo.

Storace (AN). Ce l’ha con Prodi?

Palermi (IU-Verdi-Com). Ce l’ho con tutti noi, perchéquest’Assemblea non avrebbe dovuto discutere del «gialloRovati» – e lei lo sa senatore Storace, perché l’ho afferma-to qui – ma di una vicenda che mette in discussione il desti-no di quasi 500.000 lavoratori. Si è tentato un processo...

Storace (AN). A Prodi lo deve dire.

Presidente. Senatore Storace, la prego!

Palermi (IU-Verdi-Com).Si è tentato un processo chenon avremmo dovuto compiere. Oggi pagano tutti rispettoalla questione di Telecom. Gli effetti delle privatizzazionihanno creato un disastro nell’economia del Paese, non soloper i disservizi, per l’indebitamento, per i pericolosissimitagli all’occupazione, ma anche per incursioni criminali –solo così riesco a definirle – di eccezionale gravità: mi rife-risco alla colossale rete di intercettazioni illegali, che nonsento nominare e su cui è caduto una sorta di silenzio pate-tico e penoso.

Una vicenda, quella delle intercettazioni, che fra l’altro,signor Presidente, spiega bene come chi detenga la rete, chidetermini le regole di accesso e di controllo, determinianche le possibilità di libertà e di autodeterminazione cheper noi sono preziose.

Pagano tutti – i lavoratori, i risparmiatori, il Paese – e si

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salva un capitalismo che lei ha definito fragile e che mi per-metto di definire, non solo fragile e inetto, ma assistito.Non si giocano mai i soldi loro, ma sempre i nostri. Si sonoaccaparrati i settori strategici dell’economia, al contrario diciò che avviene in Paesi assolutamente capitalisti, come laGermania, la Francia e la Spagna che si tengono ben stret-ti i settori strategici dell’economia e attraverso quelli tenta-no di operare per rendere il Paese più autonomo e solido.

Qui da noi, invece, succede che il signor Tronchetti Pro-vera ieri rilasci un’intervista al «Financial Times», dichia-rando che un’azienda come Telecom Italia non può funzio-nare senza un atteggiamento quantomeno neutrale delGoverno – sarebbe stato danneggiato, povero signor Tron-chetti Provera – e intendendo naturalmente con questo cheil Governo non si impicci: né il Governo, né il Parlamento,nessuno.

Come tutti riconoscete e come tutti sappiamo, Tronchet-ti Provera si è preso quell’azienda praticamente gratis.Quanto l’ha pagata? Credo 200 milioni di vecchie lire. Unprezzo assolutamente accessibile.

Ferrara (FI). Domandalo a Prodi che lo sa bene.

Palermi (IU-Verdi-Com). Tronchetti Provera fino a ieriha diretto un’azienda con all’interno una rete criminale diintercettazioni: la colpa è del Governo che non è neutrale?Ma di cosa stiamo parlando? Quale è l’argomento all’ordi-ne del giorno? Mi permetta, signor Presidente del Consi-glio, di lamentare il contrario: il Governo ha il diritto-dove-re d’intervenire, di controllare ed indirizzare. Questo signi-fica volere rifare l’IRI? Ma per l’amor di Dio, ma insom-ma, ma via! In anni passati l’IRI ha giocato anche un ruoloimportante nell’economia di questo Paese. Oggi bisognapensare ad altro, non c’è l’IRI nella prospettiva...

Paravia (AN). Anche perché Prodi è già occupato.

Palermi (IU-Verdi-Com). La prospettiva è anche quelladi vedere come altri Paesi (appunto la Germania o la Spa-

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gna) hanno regolato questa materia e come si sono mossirispetto al ruolo di indirizzo, di controllo e anche di parte-cipazione, naturalmente. (Commenti dei senatori Storace eValentino).

Palermi (IU-Verdi-Com). Se vuoi ascoltare solo quelloche vuoi, cerca di ascoltare le parole che dico io.

Di fronte a noi c’è lo smantellamento di aziende edifi-cate con soldi pubblici e poi privatizzate, che hanno signi-ficato enormi arricchimenti personali e danni gravissimiper il Paese. Che facciamo? Assistiamo inerti o, peggioancora, subalterni? Non se lo può permettere il Governo:non può, non deve farlo, ma ancor meno, onorevoli senato-ri, possiamo e dobbiamo farlo noi. La ringrazio, signor Pre-sidente. (Applausi dai Gruppi IU-Verdi-Com, Ulivo eMisto-IdV. Congratulazioni).

Presidente. È iscritto a parlare il senatore Pirovano. Neha facoltà.

Pirovano (LNP). Signor Presidente, signor Presidentedel Consiglio, onorevoli senatori, «Udite le comunicazio-ni del Presidente del Consiglio, rammentando il suo coin-volgimento in incredibili esperimenti esoterico-spiriticirelativi a via Gradoli, preso atto che le dichiarazioni resedall’ex presidente di Telecom Italia, il dottor TronchettiProvera, contraddicono in maniera ineludibile le comuni-cazioni fatte al Senato in data odierna, verificata l’assolu-ta difformità tra i contenuti della proposta di legge finan-ziaria 2007 e il programma e le dichiarazioni rese dalpresidente Prodi nel corso della campagna elettorale 2006;constatato che, diversamente da quanto sopra, i comporta-menti del dottor Tronchetti Provera non hanno mai fattodubitare della sua credibilità e che lo stesso non avrebbeinteresse a mentire sulla vicenda, il Senato ritiene che lecomunicazioni fatte dal Presidente del Consiglio sianopalesemente in contrasto con la verità e, di conseguenza,stigmatizza il comportamento gravemente lesivo della

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dignità della Camera Alta del Parlamento». Questa, signor Presidente, è la proposta di risoluzione a

prima firma del senatore Calderoli, sottoscritta da tutti isenatori della Lega Nord e depositata questa mattina alleore 10,40 che contiamo di poter discutere e votare nelleprossime sedute di quest’Assemblea.

Finalmente, presidente Prodi, è venuto a trovare anche imatti rinchiusi nel Senato, quei matti che ha schernito dallaCina, che sembra interessarle più della nazione dove altrimatti, ma a tempo determinato, l’hanno eletta. (Applausidai Gruppi LNP, FI e AN).

Ai nostri colleghi della Camera – dei matti – non ha par-lato della Telecom e oggi, con una comoda a ripetizione, haparlato solo di sé. Ma vorrei chiederle: chi le scrive gliinterventi, signor Presidente? E almeno lei li capisce?(Applausi dal Gruppo LNP).

Lei, signor Presidente, ha parlato solo di sé, di quantosia bravo, autocertificando la sua incapacità biologica all’u-tilizzo della bugia: si è autoincensato ricordando i fastidella sua presidenza IRI; ricordando a tutti, anche a coloroche mai ne avevano sentito parlare e che oggi capiscono chisia il responsabile dei fallimenti di allora, lo scandalo Tele-com Serbia, affossato perché troppi, con lei, vi erano coin-volti; il fallimento dell’«operazione Alfa di Arese», da leiregalata alla FIAT che non l’ha ancora pagata! (Applausidai Gruppi LNP, FI e AN).

Lei ha sostenuto che non bastano i verbali di un qualun-que consiglio di amministrazione della Telecom per dimo-strare che ha mentito. Eppure, Tronchetti Provera – ieri eoggi sul «Corriere della Sera» – ha confermato che lei sape-va tutto. Che dire?

Credo che insistere sull’argomento sia tempo perso. Icittadini delle Regioni italiane, del Sud, delle isole e spe-cialmente quelli del Nord, che attendono da sessant’anni didiventare una nazione credibile, se ne infischiano dei suoiminuziosi, maniacali tentativi di dimostrare capacità mana-geriali e della sua esasperante autostima: hanno capitotutto, anche coloro che le hanno creduto n ella primavera di

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quest’anno, votando per lei. Anche i suoi alleati hanno capito di avere sbagliato e

non sanno come fare per restare a galla, per restare sedutiin quest’Aula e nell’altra, a poche centinaia di metri da qui.Qualcuno dei suoi alleati la conosceva già bene, molto davicino, ma ancora una volta si è illuso di poterla con-trollare. Quando rivedremo lo scambio di poltrone del1998? E chi siederà su quella poltroncina, tutta oro e por-pora?

Ma finalmente anche per lei è arrivato il momento delriscatto dallo squallido pasticcio della Telecom.

Finalmente, dopo quattro mesi nei quali il suo Governonon ha fatto null’altro che utilizzare i senatori e vita perottenere continuamente la fiducia del Senato... (Applausidai Gruppi LNP, FI e del senatore Mugnai). Molto gratifi-cante per il capo Prodi, senza concludere niente, poco esal-tante per i suoi alleati e per i cittadini, lei ha presentato lafinanziaria per l’anno prossimo. Tamburi, fanfare, proclamiesultanti: mantenute le promesse del programma elettorale!Ma servono doti stregonesche, come quelle citate poc’anzi,per interpretare le 250 pagine scritte per accontentare,imbrogliandoli, tutti i suoi eterogenei alleati.

«Cittadini italiani: quegli incapaci della Casa dellaLibertà vi hanno ridotti sul lastrico, ma ora ci sono io, comequando ero all’IRI, come nel 1996, quando mi avete elettoPresidente del Consiglio. Dimenticatevi che D’Alema miha gambizzato regalandomi la Presidenza europea: oggisono un uomo nuovo, e vi condurrò nel Paese di Bengodi».

Ma, purtroppo per lei, signor Presidente del Consiglio, èandata male un’altra volta: i sindaci della sinistra, da leiesaltati fino a ieri, le vogliono consegnare le chiavi deiComuni dicendo «lo faccia lei il Sindaco, con questa finan-ziaria!»; i sindacati nicchiano, anche la CGIL; la Confindu-stria, sua alleata fino a pochi mesi fa, tuona; i ricchi pian-gono, come volevano i suoi alleati comunisti, ma piangen-do riportano i soldi all’estero; le medie e piccole imprese,piangendo realmente, vedono i fantasmi del fallimento; ilavoratori dipendenti, di destra e di sinistra (anche se non

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ha più alcun senso parlare di destra e di sinistra) si vedonorubare i soldi accantonati per la liquidazione, che serviran-no per le infrastrutture del Sud (ma solo al Sud!); gli sban-dierati risparmi per le imprese dovuti all’abbattimento –solo futuro! – del costo del lavoro, saranno sbranati dal-l’aumento delle imposte. E gli studi di settore? Sarannopesantissimi.

Lei costringe Comuni, Province e Regioni a realizzare ilfederalismo come lo intendono gli statalisti di Stalin.Saranno cioè obbligati ad aumentare le tasse sulla casa el’addizionale IRPEF perché riceveranno meno soldi da voi,ma lo Stato non diminuirà le tasse e i Comuni taglierannoquei pochi servizi essenziali che oggi riescono a dare ailoro cittadini. Ma la vera novità qual è? Tanti soldi al Sud,zero al Nord. Tanto quei barbari sono abituati a lavorare ea subire! (Applausi dal Gruppo LNP).

La tassa sulla casa non sarà più incassata dai Comuni matransiterà nelle casse dello Stato. E dopo quanti anni iComuni rivedranno i loro soldi? Il catasto diventerà comu-nale ma chi pagherà il ritardo di vent’anni che il catastoattuale ha accumulato e chi pagherà gli errori derivanti dal-l’aver mandato le schede catastali in Albania? (Applausidal Gruppo LNP). Perché i Comuni fallimentari ricevonofinanziamenti a fondo perduto e i Comuni ben gestiti duedita negli occhi?

Nella sua finanziaria, signor Presidente del Consiglio,tutto è peggiorato perché l’avete fatta restando chiusi nelvostro castello. Proprio stamattina, di buon’ora, il senatoreSalvi le chiedeva in televisione di preoccuparsi di tenereinsieme i calcinacci del suo Governo, evitando di sprecaretempo facendo politica per il nuovo partito democratico.

I suoi compagni – parlo di quelli con la bandiera di CheGuevara – comandano a casa sua, ma, se vogliamo sottiliz-zare, signor Presidente, comandano nelle case di tutti i cit-tadini, in tutte le loro ditte, nei sindacati, nei Comuni, nelleProvince e nelle Regioni, nella magistratura, nella finanza,nei giornali e nella televisione. Lei però vuole appariretranquillizzante. Buono, purtroppo per lei non ci riesce. Lei

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evoca altre sensazioni, tra le quali la più diffusa è... No,questa non gliela voglio dire.

Tra i suoi strepitosi successi non potrà annotare sola-mente questa splendida e inarrivabile finanziaria, che ridur-rà tutti sul lastrico. Dopo lo slogan degli anni 60: «Unacasa per tutti», il suo nuovo slogan è: «La cittadinanza pertutti». (Applausi dai Gruppi LNP, FI e AN). Non le impor-ta se ne abbiano il diritto, se ne infischia se vogliono lavo-rare, è indifferente allo sfacelo sociale che causeranno, èinsignificante che aumenti la criminalità, inopportunoreclamare i diritti dei nostri concittadini e non è politica-mente corretto paventare il rischio di un’invasione.

Signor Presidente del Consiglio, una sola cosa interessaa lei e ai suoi compagni (sempre gli stessi con la bandieradi Cuba): avere i voti degli extracomunitari perché nel frat-tempo il contratto a termine con i suoi elettori sarà morto.(Applausi dai Gruppi LNP e FI).

Le farebbe comodo che oggi le parlassi solo della Tele-com ma è cosa ormai vecchia che sbrigheranno i giudici el’Europa. Certo, non è tranquillizzante che il Capo delGoverno non si occupi dei circa 9.000 dipendenti Telecomche con questa operazione, in stile vecchia IRI, potrebberotrasformarsi in esuberi.

Il Ministro dell’economia cita i Dieci comandamenti, ilsettimo per la precisione, per identificare gli evasori fisca-li, ma lei, signor Presidente, sembra più asettico nei con-fronti di coloro che vivono sul nostro stesso territorio da2000 anni. I compagni comunisti citavano spesso il Papa,non quello attuale. Questo Papa a lei non piace e neppureal suo Governo. Lui parla di reciprocità; lei bada al sodo, èun manager, e i costi vengono prima di tutto il resto. Cipensino le Guardie svizzere a proteggere il Papa, lei haaltro da fare. (Applausi dai Gruppi LNP e FI).

E siamo arrivati al Paese di Bengodi; nelle sue strade erarappresentato ogni carattere dell’uomo, ovviamente sem-plificato per una favola comunque leggibile ad ogni livelloculturale, ma anche politico. Lucignolo: astuto, infido, chespinge gli altri al rischio, godendone. Il gatto e la volpe: ce

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ne sono tanti ma solo due fra tutti si identificano perfetta-mente in loro. Ed infine lui, il protagonista, Il buono, ilbuono che mente. (I senatori del Gruppo LNP e il senatoreCarrara espongono dei Pinocchi di legno).Il mentitore chesi pente...

Presidente. Prego gli assistenti parlamentari di racco-gliere burattini.

Pirovano (LNP). Ma qui non ci sono fate turchine, c’èil popolo, e Collodi per Pinocchio dovrebbe riscrivere tutto,ma senza il lieto fine. (Applausi dai Gruppi LNP, FI e delsenatore Mugnai. Congratulazioni).

Presidente. Per cortesia, raccogliete i burattini. Dobbia-mo continuare i lavori.

Il Presidente fa quello che ritiene opportuno, senza biso-gno che ci siano integrazioni. Senatore Stiffoni, metta viaquel Pinocchio.

Pisa (Ulivo). Buffoni!

Presidente. Lo dia, lo dia così non verrà più fuori.Doneremo i pinocchi che abbiamo sequestrato ai bambiniche ne hanno bisogno.

Per cortesia, finita la parentesi di Pinocchio, ristabiliamoil corretto funzionamento del Senato. Riprendiamo i nostrilavori.

È iscritto a parlare il senatore Buttiglione. (Brusìo). Col-leghi, dobbiamo mettere il senatore Buttiglione nelle con-dizioni di poter parlare come gli altri oratori.

Senatore Buttiglione, ha facoltà di parlare.

Buttiglione (UDC). Signor Presidente, onorevoli colle-ghi, signor Presidente del Consiglio, nell’ultima fase delGoverno Berlusconi l’Italia ha preso una decisione di gran-de portata, di fiducia nel mercato e, contemporaneamente,di fiducia nelle istituzioni europee, rinunciando agli ultimi

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resti di poteri di inframmettenza dello Stato all’interno delmercato. Questa scelta è stata suggellata dalla nomina diMario Draghi a Governatore della Banca d’Italia ed è avve-nuta al termine di uno scontro politico forte e duro, ancheall’interno della maggioranza.

Fu una delle pochissime decisioni strategiche del Gover-no Berlusconi che vide il concorso e il plauso anche del-l’opposizione e fu salutata dalla stampa internazionale, esoprattutto della stampa finanziaria internazionale, comeun segno importante di maturità del nostro intero sistema.

Ella, signor Presidente del Consiglio, a suo tempo haappoggiato e lodato quella scelta; di più, l’ha confermata inmodo efficace quando, in occasione di una recente, grandeoperazione di fusione bancaria – credo la più grande nellastoria di questo Paese – ha comunicato, con una punta dicivetteria, di non esserne stato nemmeno informato e hacommentato che è bene così, perché il mercato deve poterfare le sue valutazioni e le sue scelte senza indebite infram-mettenze politiche.

La politica deve tutelare il bene comune, dettando ilsistema delle regole, necessariamente generali e astratte,all’interno delle quali, e nell’osservanza delle quali, haluogo la scelta dell’imprenditore. Tale scelta deve peròessere autonoma e libera; in essa la politica non deve inter-ferire. La politica governa con le regole, ciò che la nostracollega dei Comunisti Italiani, che ha parlato poco fa, nonsembra ancora avere capito.

Tutto il guadagno di prestigio e di credibilità sui merca-ti internazionali acquisito dal Paese in quell’occasione leilo ha annullato e distrutto, signor Presidente del Consiglio,con il suo comportamento che mi limito a definire malac-corto, incompetente, irriflessivo e irresponsabile nel recen-te caso Telecom.

Una grande azienda tecnologicamente avanzata e sana –pur se gravata da un debito molto pesante, in parte, per dipiù, in forma di obbligazioni negoziabili sui mercati inter-nazionali – considera una grande operazione di riassetto,che potrebbe comportare anche una o più importanti di-

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smissioni. Il Presidente di tale società le chiede un collo-quio e le espone le proprie intenzioni: lo fa per pura corte-sia, perché non vi è tenuto, né a termini di legge, né secon-do le regole generali da lei a breve distanza di tempo enun-ciate. Quando poi l’operazione effettivamente ha luogo, leiprotesta pubblicamente, perché non corrisponde esattamen-te a quanto le era stato preannunciato. Mi sono sbagliato:l’operazione non ha avuto luogo, è stata annullata dalla suareazione.

Lasciamo per un attimo da parte il fatto che il Presiden-te di quella società le ha pubblicamente, anche se cortese-mente, dato del bugiardo sul «Financial Times» di qualchegiorno fa e che non mi risulta che lei abbia sentito l’ele-mentare dovere di dare mandato ai suoi avvocati di que-relarlo. Ci domandiamo: a che titolo lei ha protestato inquel modo? Diamo per buona la sua valutazione dei fatti:lei, signor Presidente del Consiglio, era stato informato diun progetto o aveva concordato con il Presidente di Tele-com un determinato corso di azione. Vi è molta differenzafra questi due casi.

Se lei era stato semplicemente informato, la sua reazio-ne è stata chiaramente sproporzionata e lesiva dell’interes-se nazionale. Ha rivelato l’esistenza di trattative per Tele-com con altre società interessate all’acquisto di TIM. Hamanifestato chiaramente la sua contrarietà politica – a chetitolo, signor Presidente? – a tale operazione. Ha lanciatoun chiaro avvertimento a tutti gli operatori internazionaliche, decifrato e tradotto nel linguaggio di tutti i giorni,suona più o meno così: «Non azzardatevi ad entrare nelmondo delle telecomunicazioni in Italia senza il mio con-senso, altrimenti potreste essere invischiati in guai seris-simi!».

È credibile tale avvertimento? Certo che lo è, perchéTelecom opera in un regime di autorizzazione, non di con-cessione, come qualcuno ha sostenuto. L’avvertimento ècredibile: se la politica utilizza il proprio potere regolatorionon in vista dell’interesse generale, ma per favorire undeterminato operatore o, viceversa, per tagliargli le gambe,

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a quell’operatore non rimangono, alla fine, neppure gliocchi per piangere.

L’avvertimento è stato prontamente recepito: almeno ungrande investitore straniero ha fatto chiaramente sapere amezzo stampa di non essere interessato all’affare, non per-ché non sia in se stesso economicamente vantaggioso, maperché affari così in Italia non si possono fare, se non sigode di sufficiente protezione politica (Applausi dai Grup-pi FI e UDC). Protezione politica di chi? Se non si godedella sua protezione politica, signor Presidente? Tale è, inquesto momento, l’opinione unanime dei mercati e degliosservatori internazionali sul nostro Paese.

Nel frattempo, sono caduti i corsi delle azioni di Tele-com e delle società collegate, con grave danno degli inve-stitori e, fra essi, di migliaia e migliaia di piccoli azionisti.E perché tutto ciò? Qual è la ragione e quali sono i motividi questa reazione rabbiosa e, a prima vista, del tutto esa-gerata? È davvero solo una questione di galateo e di buonaeducazione, per il fatto che Tronchetti Provera non le hadetto tutta la verità sulla progettata operazione? Lei, infat-ti, ha affermato che nessuno è obbligato a recarsi dal Presi-dente del Consiglio, ma, se lo si fa, bisogna raccontarglitutta la verità.

Questa, in realtà, è una regola un poco curiosa: immagi-niamo che Tronchetti Provera abbia prospettato al Presi-dente del Consiglio il fatto in un certo modo e poi avveni-menti sopravvenienti, o anche solo una più matura delibe-razione, gli abbiano consigliato di agire in un modo par-zialmente diverso. Egli non avrebbe più la libertà di deci-dere in modo diverso da quanto prospettato nel colloquioinformale con il Presidente del Consiglio? Imprenditori,evitate il Presidente del Consiglio! Se per caso lo incontra-te per strada, astenetevi anche solo dal salutarlo: dopo averscambiato con lui anche solo poche parole, vi siete postiirrimediabilmente sotto la sua tutela ed avete perso lavostra libertà di pensiero e di azione!

Secondo questa versione dei fatti lei, signor Presidente,verrebbe a somigliare alla bella Loreley, la strega del Reno:

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chi per una volta le rivolgeva la parola rimaneva poi pri-gioniero per sempre. (Applausi dal Gruppo UDC).

La sua reazione è così sproporzionata all’ipotesi di unasemplice scortesia da legittimare ipotesi diverse. Intendia-moci bene: se risultasse che la causa dei danni riportatidalla credibilità internazionale del Paese e da una grandeimpresa italiana, che oggi guarda al proprio futuro conmaggiore preoccupazione, fosse solo il suo eccesso di vani-tà e di irritabilità, la concezione esagerata di sé e del pro-prio ruolo, la nostra censura non sarebbe meno ferma. Pro-blemi del genere un Presidente del Consiglio, pensoso delbene del Paese, li risolve con una telefonata irritata alresponsabile, senza reazioni pubbliche suscettibili di dan-neggiare l’interesse generale della Nazione e che configu-rano una pesante inframmettenza nel funzionamento deimercati.

La sua reazione, tuttavia, signor Presidente, esagerata edirresponsabile se provocata solo da una scortesia del Presi-dente di Telecom, diventa assai più legittima e comprensi-bile se Tronchetti Provera fosse venuto meno ad un vero eproprio accordo concluso con lei, un accordo che im-plicasse anche un’azione corrispondente da parte delGoverno e di altri attori pubblici o privati, rispetto ai com-portamenti dei quali il Governo si ponesse come garante.

Ecco che emerge un vero e proprio piano di riassetto diTelecom e del sistema italiano delle telecomunicazioni,redatto da uno strettissimo collaboratore del Presidente delConsiglio, del quale si dice che fosse abilitato, non solo aparlare, ma anche a pensare a nome del Presidente delConsiglio. Si tratta di un collaboratore che in campagnaelettorale ha avuto il ruolo delicatissimo di tenere i contat-ti con il mondo imprenditoriale e anche di raccoglierne icontributi.

A prestar fede a ciò che il dottor Rovati dice in unarecente intervista, egli avrebbe discusso più volte del pro-blema Telecom con il circolo dei collaboratori più intimidel Presidente e con il Presidente stesso. Le idee del Presi-dente su questo problema sarebbero state opposte a quelle

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del dottor Rovati, e tuttavia il collaboratore fedele avrebberedatto un piano da sottoporre all’azienda a titolo esclusi-vamente personale, sapendo che quel piano è il contrario diquello che pensa e vuole il Presidente del Consiglio.

A occhio e croce si tratterebbe di un caso evidente di altotradimento, tale da legittimare non solo un licenziamento intronco, ma anche la rottura di un rapporto di amicizia e difiducia personale. Lei, invece, signor Presidente del Consi-glio, lo difende e si rassegna solo tardi e malvolentieri adaccettare le sue dimissioni. Come mai? E credibile questaversione dei fatti?

Andiamo avanti. Il piano di cui il dottor Rovati si èassunto la paternità è davvero un bel piano. Tra l’altro, cisarebbe bisogno di un piano o di un’azione di governo delsettore: ricordate che 400 lavoratori di Wind vedono oggisvanire il loro posto di lavoro per il combinato disposto delmodo in cui si sono fatte le privatizzazioni in Italia e deirecenti provvedimenti presi che mirano a smantellare,almeno parzialmente, la legislazione in materia di lavoro.

Tecnicamente il piano di Rovati non è fatto male; deli-nea per la Cassa depositi e prestiti un ruolo da nuova IRI.E un piano molto politico, che richiede un’azione forte delpotere pubblico e Rovati lo avrebbe redatto e propostosapendo che il Presidente del Consiglio era contrario e chequindi il piano non aveva nessuna possibilità di realizza-zione. E questo quello che noi dovremmo credere?(Applausi dal Gruppo AN). Il piano delinea una vera e pro-pria strategia industriale delle telecomunicazioni, è unpiano di politica industriale, ma il Ministro dell’industrianon ne sapeva niente, il Governo non ne sapeva niente, lamaggioranza non ne sapeva niente e non ne sapevano nien-te né il Parlamento, né il Paese.

Non ne sapeva davvero niente nemmeno lei, signor Pre-sidente. A prescindere dalla visione colbertista, statalista ecollettivista che emerge chiaramente dal documento Rova-ti, e che certo non dispiace ad una parte importante dellasua maggioranza, un grande progetto politico, non solo diriassetto del sistema delle comunicazioni, ma anche di riat-

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tivazione di una politica di intervento diretto dello Statonell’economia, è stato elaborato fuori da ogni rapporto nonsolo con l’opposizione, non solo con il Parlamento, maanche con la coalizione e con il Governo.

Non s’illuda, signor Presidente, queste parole le pronun-cia oggi un esponente dell’opposizione, ma le pensa la suamaggioranza ed è con la sua maggioranza che il rapporto difiducia è andato in crisi. Guardi come sono deserti i suoibanchi, guardi quanti pochi senatori della maggioranzahanno sentito l’urgenza di venire a sostenerla in questomomento difficile.

Oggi questa maggioranza deve difenderla, deve soste-nerla e perfino osannarla, con un entusiasmo tanto piùintenso – per la verità, non ne vedo molto in questomomento – quanto più insincero. Domani queste in-crinature del rapporto di fiducia lei dovrà sperimentarle efarci i conti, e saranno conti difficili.

Lei sa che il mio partito è spesso accusato di guardarlacon eccessiva simpatia, persino di fornirle talvolta unastampella o di farle uno sconto. Non è vero, ma è vero chela nostra è un’opposizione ragionata, non populista e nondemagogica, stiamo ai fatti; quando però si prende un capi-tombolo così rovinoso come questo, non ci sono stampelleche tengano: si cade, si perde la fiducia del Paese e si rima-ne nel fango. E anche con lo sconto il prezzo rimane, per ilPaese, ma anche per la credibilità politica del suo Governo,insostenibilmente alto. (Applausi dai Gruppi UDC, FI eAN).

Presidente. È iscritto a parlare il senatore Zuccherini.Ne ha facoltà.

Zuccherini (RC-SE). Signor Presidente, Presidente delConsiglio, senatrici, senatori, il 3 ottobre c’è stato uno scio-pero generale di tutte le organizzazioni sindacali della cate-goria dei lavoratori delle comunicazioni. Quei lavoratorihanno posto non solo, com’è evidente, questioni che ri-guardano la propria condizione di vita e il proprio lavoro,

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ma anche questioni di interesse generale. Hanno posto lanecessità di riaprire una riflessione sulla natura del capita-lismo italiano (qui il Presidente del Consiglio ha dato ungiudizio fragile ed immaturo) e una riflessione sul ruolodell’intervento pubblico in economia. Soprattutto, hannoposto – e hanno posto il problema anche al Parlamento: inqualche modo, la discussione di oggi lega il Paese reale aquello legale – il lavoro come fondamento di un diritto dicittadinanza che caratterizza l’esperienza del nostro Statosociale.

Quella di cui discutiamo oggi, la vicenda di Telecom, ungrande gruppo industriale, tra i primi dieci nel mondo nelsettore delle telecomunicazioni, è una questione che riguar-da il lavoro e gli interessi generali del Paese, come pure lacapacità di programmazione e di intervento. Infatti, il pianoche è stato definito, che è stato abbozzato nelle dichiara-zioni dell’ex presidente Tronchetti Provera sulla delibera-zione del Consiglio di amministrazione dell’11 settembresono, per il nostro Paese, per le capacità dell’industria, perquello che significano oggi le telecomunicazioni nella pos-sibilità di definire e programmare una moderna politicaindustriale, un grande balzo all’indietro.

Credo si possa rivedere anche criticamente una stagionedelle privatizzazioni. Sono state qui poste molte questioni,fra cui quella dell’Alfa, su cui non c’è tempo per interveni-re, mentre sarebbe interessante ragionare, in questa sede,della specificità del caso italiano e della natura del capita-lismo italiano nel suo rapporto pubblico-privato e vederecome, ad esempio, quando è stata privatizzata l’industriadella siderurgia, quelli che l’hanno acquistata nel primoanno abbiano raccolto più utili di quanto avessero pagato,come sarebbe interessante parlare del settore agroalimen-tare e del fatto che una politica di smembramento di quelcomparto ha impedito che si consolidasse una grande strut-tura imprenditoriale nel Paese (penso, ad esempio, allevicende della SME).

In questi giorni, pensando a considerazioni che portas-sero l’Aula del Senato a discutere le questioni delle teleco-

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municazioni, ho riletto la comunicazione di Franco Berna-bé a tutti i lavoratori e dipendenti della Telecom. Vi si dice-va che l’Opa – quella – del 1999 era dannosa per la società,perché la indebitava e le impediva di affrontare un piano diinvestimenti, di crescita, di modernizzazione del mercato edelle telecomunicazioni e la creazione di una Telecom val-ley all’italiana. Viceversa, tale Opa la indebitava per con-sentire a un gruppo finanziario, non di grande successo nelPaese, di acquistare Telecom con i soldi di Telecom. Il cashflow di Telecom, in tal modo, invece che per investimenti,sarebbe stato impiegato per ripagare i debiti per comprareTelecom.

Le vicende successive di un’altra scalata dimostrano inqualche modo la solidità di quell’impresa, dal punto divista delle capacità professionali e tecniche. Le cronache diquesti giorni dicono che Telecom annualmente valuta edetichetta i suoi dipendenti come adeguati o migliorabili. Sipuò dire che, a fronte di un mercato internazionale delletelecomunicazioni, la proprietà è inadeguata, fragile edimmatura in questo mercato. Anzi, si può sostenere che lastruttura proprietaria sedimentatasi porti a dire che il pub-blico era forse, qualche volta, meglio del privato, che eragestito meglio e che invece quella privatizzazione ha spia-nato la strada all’assetto proprietario odierno e ad unagestione avventurista.

Ho molto apprezzato Pinocchio che, come si sa, non èuna favola per bambini, ma per adulti. Mi riferisco allascena in cui Pinocchio, di fronte al tribunale, dichiara cheil padre di mestiere fa il povero. Così dicendo, voleva farintendere che era sottoposto alle vicissitudini ed alle intem-perie della vita, proprio in quanto povero. Pinocchio sba-gliò compagnia andando con il Gatto e la Volpe e, quindi,uno può anche credere a Tronchetti Provera.

Io però credo al Presidente del Consiglio, perché Tron-chetti Provera ha degli interessi e nemmeno durante leaudizioni svolte in seduta congiunta delle Commissioni diCamera e Senato è stata detta fino in fondo la verità. C’èstata una certa reticenza, pur se è vero che il professor

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Guido Rossi ha confermato che è valido il deliberato delconsiglio d’amministrazione dell’11 settembre scorso(anche se oggi, appunto, non c’è una vendita).

Ma cos’è quel deliberato? E la divisione di Telecom intre: TIM Italia mobile, rete fissa e Telecom Media Com-pany e Holding. Secondo quanto disse Tronchetti Provera,è la vendita di TIM in presenza di offerte che saranno valu-tate e «portate». Siamo, cioè, in presenza di un tentativo dispezzettamento di un’azienda significativa e strategica dalpunto di vista delle politiche industriali del nostro Paese.

Si dovrebbe in qualche modo ragionare anche sui conte-nuti dell’azienda, quando tale azienda remunera il capitalecon i dividendi dell’85 per cento degli utili, mentre leaziende di Francia e Germania, assimilabili per grandezzadi mercato e capacità, lo remunerano con il 40 per cento(destinando, tra l’altro, ingenti risorse agli investimenti).

Come non ricordare che qualche mese fa la strategia diTelecom era la fusione della TIM con la rete fissa? Fusio-ne e convergenza nella rete, cioè il fatto che i diversi siste-mi di comunicazione convergono nella rete fissa. È curiosoche in questo Paese non si dica che c’è un’azienda privatacon 12 milioni di utenze che pagano circa 40 euro al mesefisse solo per avere l’apparecchio telefonico, mentreammonta a 30 euro ciò che effettivamente consumano.

Quell’ipotesi di fusione tra telefonia mobile e fissa ècostata 20 miliardi di euro, 14 dei quali in dismissione (percoprire appunto quell’integrazione) e cessione di rami d’a-zienda, che ha compreso anche il personale, esattamentecome è accaduto nella vicenda, ricordata in questa sede, deimarittimi e della concessione 727 momentaneamentesospesa dal Ministro, che è stata ceduta come ramo d’a-zienda.

L’indebitamento, non solo per quel peccato originale, èaumentato all’interno di questa gestione e gli investimentidei piani triennali, che pure ci sono stati, spesso non sonostati sufficienti nemmeno a coprire i lavori di manutenzio-ne della rete, figuriamoci quelli d’innovazione. E ci tro-viamo in presenza di un’azienda con un livello d’indebita-

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mento che è sì uguale a quello di altre aziende consimili,ma è differente in quanto queste ultime, come ad esempioFrance Telecom e Deutsche Telecom, si espandono e acqui-stano quote di mercato. La Telecom Italia, invece, le dimi-nuisce.

In questa vicenda emerge immediatamente un problemaoccupazionale perché non più tardi di qualche giorno fa,Telecom, nel rapporto col suo sistema degli appalti, ha toltoad Atesia la commessa della telefonia fissa riguardante il50 per cento dei lavoratori di questa società, che vedonocosì aprirsi un baratro rispetto alla loro condizione di lavo-ro dopo le vicende che ci hanno interessato e su cui abbia-mo ragionato circa la condizione di lavoro di quei call cen-ter.

Telecom ha perso, in questi, anni 30.000 dipendenti enon si può non parlare di un gigantesco sistema spionisticoche dentro quell’azienda è stato creato. Non si capisce die-tro ordine di chi funzionasse e non solo per quei fatti di cuisiamo venuti a conoscenza, su cui è in corso un’inchiestadella magistratura, ma addirittura per spiare e schedare ipropri lavoratori di settori delicatissimi come quelli dellarete e dei servizi alla magistratura.

L’azienda si dichiara parte lesa. È possibile, ma ci sonoresponsabilità dell’azienda stessa che, se non sapeva, è col-pevole ugualmente non solo nei confronti di chi ha spiato,ma anche del Paese, proprio per la responsabilità che hanella sicurezza delle telecomunicazioni.

Credo che in questa vicenda vi sia un interesse naziona-le che contrasta profondamente con una catena proprietariafragile, incapace ed immatura oppure capace di tutelaresolo i suoi interessi finanziari. Gli analisti sostengono che idebiti sono passati dalla catena alta del comando alla ca-tena bassa. Ritengo vada definito – e penso che questa siala sede adatta – un percorso che individui una soluzione dipolitica industriale che separi il destino della proprietà daquello dell’azienda. Penso ad un’Unione e ad una maggio-ranza che cambino il Paese.

È una giusta ambizione e non credo vi sia solo la que-

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stione, sia pure fondamentale in democrazia, del conflittodi interessi. È in campo un’altra idea di società e anche lapossibilità che la politica torni ad essere elemento di pro-grammazione, ripensando un suo intervento pubblico nel-l’economia nelle forme e nei modi che ovviamente nonpossono essere quelli che abbiamo conosciuto, bensì diindirizzo e di sollecitazione.

Nel nostro stesso programma c’era il principio di sepa-razione tra gestori delle infrastrutture di rete, produttori econtenuti; ma, soprattutto, c’era l’idea del Welfare, lo Statosociale della comunicazione, vista quest’ultima, come unbene comune dell’umanità.

Se questo è il punto, non solo un punto avanzato dellepolitiche industriali del Paese ma un bene comune dell’u-manità, non può un Governo, un Parlamento non interveni-re su una gestione che salva gli interessi della proprietà, macondanna gli interessi generali del Paese e di migliaia di la-voratori. Penso, e concludo, che un nuovo tempo per unanuova idea della programmazione sia maturo. (Applausidal Gruppo RC-SE).

Presidente. È iscritto a parlare il senatore Matteoli. Neha facoltà.

Matteoli (AN). Signor Presidente, onorevoli rappresen-tanti del Governo, colleghi senatori, signor Presidente delConsiglio, nell’intervento di questa mattina, ancor più diquello alla Camera la settimana scorsa, lei ha dimostratoche per lei Pirandello è un dilettante allo sbaraglio. Nellasintesi dei suoi interventi si può registrare questo: così è,anche se non vi pare! Ma tutta la vicenda Telecom si con-traddistingue prima di tutto per le sue disinvolte capriole,contraddicendosi in maniera plateale.

Come il collega Buttiglione, vorrei seguire l’ordine delgiorno e mettere in luce le sue contraddizioni in quasi unmese dall’8 settembre, quando si è registrata la vicendaTelecom: l’8 settembre respinge l’illazione di un suo altolàalle dismissioni di TIM; dopo qualche giorno ha una rea-

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zione opposta, quando il consiglio di amministrazione diTelecom comunica il riassetto dell’azienda; il suo rifiuto avenire in Parlamento, a spiegare i fatti, alla improvvisa dis-ponibilità a farlo, quando anche la sua maggioranza nonpoteva più difenderla.

Si ricorda la sua battuta in Cina (lo hanno fatto altri col-leghi)? «In Parlamento? Ma che siamo matti!». Inoltre, lasua resistenza a non far dimettere il suo consigliere Rovati,ma subito dopo al plauso alle dimissioni da questi presen-tate. Inoltre il 14 settembre il «Corriere della Sera» e «IlSole-24 ORE» pubblicano due ampi servizi nei quali ren-dono noto che il suo consigliere economico, Angelo Rova-ti, ha inviato a Tronchetti Provera uno studio sulla situazio-ne di Telecom.

Nei servizi emergono non solo dettagli dello studio suciò che sarebbe diventata Telecom in futuro, ma anche lacircostanza che lo studio era accompagnato da una letterasu carta intestata di Palazzo Chigi, firmata dallo stessoRovati. In pari data, lei ai giornalisti dice di non sapernenulla e che, comunque, il Governo non aveva alcunaresponsabilità. Sempre il 14 settembre, Rovati, in una notaufficiale, conferma di aver fatto uno studio su Telecom,precisando che «la responsabilità di questo studio artigia-nale...» – lo dice il suo consulente – «...è solo ed esclusiva-mente mia».

Presidente. Senatore Paravia, per favore, metta via quelgiornale!

Matteoli (AN). Neanche Prodi lo ha analizzato, preci-sando inoltre che aveva detto a Tronchetti Provera che«...quello studio lo avevamo solo io e lui». In effetti, si sco-prirà dopo che lo studio sarebbe stato commissionato allaGoldman Sachs, una delle più di grandi merchant bank. Il15 settembre lei ribadisce: «Il Governo non sapeva nientedel piano Rovati. Ridicola l’idea di un mio placet al testo».

Come vediamo, signor Presidente del Consiglio, lei nonè stato tenero con le opposizioni nella scelta dei termini da

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usare per rispondere loro: «siete matti, siete ridicoli». Hadato del matto e del ridicolo a tutti noi per-ché le chiedeva-mo di sapere cosa era accaduto. La verità è che lei, in tuttaquesta vicenda, non ha mai detto la verità... (Applausi daiGruppi AN e FI)... e, quel che è peggio, onorevole Presi-dente del Consiglio, lei ha indotto a mentire i suoi collabo-ratori amici.

Oggi ha eluso anche l’ultima polemica pubblica tra ilsuo ex consigliere ed amico Rovati, fatta di attacchi esmentite clamorose sulla data di alcuni incontri e sullasostanza dei fatti raccontati dal dottor Rovati e giudicati daTronchetti Provera fuorvianti. Date ed incontri chedimostrerebbero che lei, signor Presidente del Consiglio,non solo sapeva cosa stesse accadendo in Telecom, ma,ancor peggio, che era suo preciso intento guidare e comun-que condizionare le scelte imprenditoriali di Telecom.

Vorrei ricordarle che Tronchetti Provera ha dichiarato dimettere a disposizione della magistratura le sue prove; malei continua a negare, lei non poteva sapere, lei preferiscedilungarsi – per la verità, qui lo ha fatto molto meno, ci haalmeno risparmiato le cose che ha detto alla Camera – edivagare sulle strategie capitaliste e sulle privatizzazioni,facendo finta di non sapere che oggi è qui nella sua veste diPresidente del Consiglio, non di manager. Questo non èsecondario. (Applausi dai Gruppi AN e FI).

Lei continua a nascondersi dietro tecnicismi e schiva ilcuore del problema. In fin dei conti, le Aule parlamentaricosa le chiedevano? Qual è stato il ruolo del Governo negliaffari di Telecom; questo è quello che noi le chiedevamo,questo è ciò che il Parlamento vuole sapere. Il Senato vuolerendersi conto, mi creda, onorevole Presidente del Consi-glio, non soltanto la destra o i partiti del centro-destra e del-l’opposizione, ma anche la sua maggioranza, che è in imba-razzo. Anche questa mattina, da alcuni interventi, si è sen-tito com’è difficile difenderla. Io sottoscrivo il 50 per centodell’intervento della collega senatrice Palermi: è un attaccoal Governo molto più forte di quello che possiamo fare noi.

Volevamo sapere se ci sono state relazioni non corrette

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tra mondo economico e mondo politico. Lei alla Camera,signor Presidente del Consiglio, con cocciutaggine harivendicato la sua storia professionale: abbiamo rispetto(non lo dica a noi), grande rispetto per chi non rinnega ilsuo passato. Lei rivendica il suo passato; noi facciamoappello alla nostra memoria.

Ci permetta, quindi, di ricordare, anche noi, i danni cheha fatto come presidente dell’IRI (Applausi dai Gruppi ANe FI) e di batterci democraticamente per evitare danni agliitaliani nella sua nuova veste di Presidente del Consiglio.Stanti le cose, questa per noi sta diventando una specie dimissione.

Una cosa sola è stata chiara, questa mattina, nel suointervento: lei ha descritto molto bene come il presidentedel Consiglio Prodi deve correggere gli errori del presiden-te dell’IRI Prodi. Questo è l’unico dato che abbiamo regi-strato nel suo intervento. (Applausi dai Gruppi AN e FI).

I dubbi che avevamo prima di ascoltarla non si sonodiradati. Non si governa un Paese come l’Italia sfruttandouna – per carità! – legittima vocazione agli affari; nonquando si svolgono ruoli diversi. Oggi lei svolge un ruolodiverso: è Presidente del Consiglio. (Applausi dai GruppiAN e FI).

Ma la partita non è chiusa. Ha scritto un giornale, in data21 settembre, che Prodi, a questo punto, ha già perso abba-stanza credito a livello internazionale per permettersi dav-vero di cavalcare ipotesi di ripubblicizzazione di Telecom,ipotesi che farebbero perdere la faccia a Tronchetti Prove-ra e soprattutto deluderebbero molti gruppi italiani amicidell’Ulivo, pronti a sostituirlo in alcune attività, come latelefonia mobile.

L’Italia ha dato i natali – lei lo sa meglio di me, signorPresidente del Consiglio – a maestri del pensiero politicocome, Machiavelli e Guicciardini. Ebbene, il Guicciardiniraccomandava ai governanti di essere «guardinghi nelleconcessioni, perché queste non accontentano le popolazio-ni che vogliono aumentare a danno altrui quanto chiedono,ma le spingono a domandare di più e con maggiore insi-

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stenza». Ebbene, abbiamo l’im-pressione che lei, signorPresidente del Consiglio, sia vittima della voglia di daresempre di più a qualcuno a scapito di altri.

Ebbene, abbiamo l’impressione che lei, signor Presiden-te del Consiglio, sia vittima della voglia di dare sempre dipiù a qualcuno a scapito di altri. La vicenda Telecom ne èuna testimonianza: con il suo primo Governo fu presa ladecisione di privatizzare e, non potendo creare una verapublic company, vista la totale assenza di investitori istitu-zionali e di capitalisti disposti a mettere capitali sufficientiper comprare l’azienda, quel suo precedente Governocedette ad un gruppetto di privati – costituito da grandigruppi finanziari italiani – «solo» il sette per cento delleazioni e assegnò a questa esigua minoranza azionaria ilpotere di controllare e gestire l’intera azienda.

Gli addetti ai lavori chiamarono all’epoca lo schema il«nocciolino duro»: tale «nocciolino duro» lasciò pocotempo dopo, incassando un ottima plusvalenza che in quelmomento fu benefica per affrontare le difficoltà storichedelle loro aziende. Ciò è quanto fece il suo precedente Go-verno e l’attuale – sempre in quell’ottica ricordata dalGuicciardini – è diventato consulente, ispiratore di sugge-rimenti atti a non far pagare i debiti, a salvare la parte pro-duttiva e a scaricare sul pubblico la parte indebitata.

Questo è quanto rappresenta la nota Rovati e su questovogliamo risposte (Applausi dai Gruppi AN e FI), cosìcome le vogliamo anche in riferimento ad altre domande:chi ha commissionato e ha pagato ad una grande bancad’affari uno studio sulla ristrutturazione di un grande grup-po privato? A quale titolo un Governo trasmette tale pro-getto ad un grande gruppo privato, brevi manu, allegato aduna lettera? A quale titolo un Governo guidato da un Presi-dente del Consiglio che a suo tempo, anche se in modomaldestro, ha privatizzato la Telecom, manda suggerimen-ti alla Telecom privata? E finiamo con un’ultima domanda:che cosa sarebbe accaduto, qui e fuori, se tutto questo fosseaccaduto con un Governo di centro-destra e il Primo mini-stro invece che Prodi si fosse chiamato Berlusconi? Cosa

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sarebbe accaduto, colleghi? Non voglio nemmeno ricordarle l’intervista che Tron-

chetti Provera ha rilasciato al «Financial Times». Il senato-re Zuccherini accennava prima al Gatto e alla Volpe e aPinocchio: non mi meraviglierei se lei, signor Presidentedel Consiglio, e Tronchetti Provera foste uno il Gatto e l’al-tro la Volpe. (Applausi dai Gruppi AN e FI).

A me interessa molto di più salvare i cittadini e ci preoc-cupa, me lo consenta signor Presidente del Consiglio, ancorpiù della vicenda Telecom, sapere chi è lei oggi. Oggi lei èai massimi vertici del Governo. Lei, presidente Prodi, è uncattolico moderato: tale si è sempre professato. Per la suastoria, dalla presidenza dell’IRI a Nomisma (in senso lato,sintetizzando al massimo e, per carità, quasi banalizzando),è un liberale. Oggi, però, non sappiamo più a quale filonepolitico-culturale si ispiri.

È preoccupante un Presidente del Consiglio di cui nes-suno sa più, per le scelte compiute in questi tre mesi diGoverno, dove possa essere collocato dal punto di vistapolitico. Lei, cattolico, è persino diventato irriguardoso neiconfronti del massimo rappresentante della Chiesa cattoli-ca, con una battuta che l’accompagnerà per tutta la vita «Cipensino le Guardie svizzere». (Applausi dai Gruppi AN eFI).

Ha presentato inoltre una legge finanziaria scritta sottola dettatura dell’ala estremista della sua precaria maggio-ranza. Una manovra finanziaria che ancora non è entrata inParlamento e a proposito della quale ha già detto che i tagliai Comuni saranno modificati, che ritirerà il capitolo sullemissioni di pace, mentre ha anche ingannato i cittadini aproposito delle tasse sulle successioni e sulle donazioni,mentendo sulla loro abolizione e introducendone invece dinuove.

Chi è lei oggi, signor Presidente del Consiglio, dal puntodi vista politico-culturale? Lo vorremo sapere, perché daquesto punto di vista non riusciamo più a collocarla.(Applausi del senatore Selva).

Il suo agire è condizionabile o condizionato, oppure è

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entrambe le cose? Dalla vicenda Telecom, così intrecciata,contraddittoria, con lati oscuri, si intuisce che insieme aisuoi sodali pensava di mettere in scacco ancora una volta lapolitica: non aveva fatto i conti, però, con la reazione nonsolo delle opposizioni, ma anche di ampi settori della suamaggioranza, che desiderano che la politica resti, o comun-que torni ad essere primaria. Insomma, ci chiediamo inmolti chi è davvero, onorevole Prodi, sotto il profilo ideo-logico.

In conclusione, Machiavelli diceva che il signore è«golpe» e «lione» – intendendo per «golpe» la volpe – eche bisogna lusingare i sudditi per mantenere il potere. Nelsuo caso, lusinga alcuni gruppi di potere per mantenere lapoltrona di Palazzo Chigi, ma per poco, signor Presidentedel Consiglio. (Applausi dai Gruppi AN, FI e UDC. Con-gratulazioni).

Presidente. È iscritto a parlare il senatore Schifani. Neha facoltà.

Schifani (FI). Signor Presidente, mi rivolgo inizialmen-te a lei con il rispetto che le dobbiamo: non condividiamoil suo ringraziamento nei confronti del Presidente del Con-siglio per la tempestività della sua presenza. Non possiamofarlo. Lei ha vissuto con noi la storia della nostra battagliaparlamentare per indurre ad essere oggi qui tra noi il Presi-dente del Consiglio, che aveva dato del matto a coloro iquali chiedevano che venisse a chiarire la sua posizione, laposizione della Presidenza del Consiglio sullo scandaloTelecom.

Egli aveva dato del matto al Parlamento, la casa degliitaliani, che gli chiedeva chiarezza. Poi, travolto dall’insi-stenza della politica e del Paese, ebbe a decidere di accede-re soltanto ad un ramo del Parlamento. Ha, cioè, deciso – elo abbiamo appreso tramite la sua persona – che sarebbeandato a riferire alla Camera dei deputati, motivando e giu-stificando questa scelta in conformità ai precedenti, soste-nendo che nel passato il Presidente del Consiglio in genere

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si recava soltanto in un ramo del Parlamento. Allora, ci siamo fatti carico, con grande facilità, di tro-

vare i trascorsi parlamentari delle presenze del Presidentedel Consiglio pro tempore. Avevamo ricordato in que-st’Aula come nella precedente legislatura il presidente Ber-lusconi fosse stato otto volte presente sia alla Camera cheal Senato per lo stesso motivo e come lo stesso presidenteProdi nella sua breve legislatura di Governo ebbe a esseredue volte presente sia alla Camera che al Senato per analo-ghe ragioni.

Abbiamo preso atto delle accuse della maggioranza sul-l’assenza del presidente Berlusconi al question time, maricordiamo pacatamente e con fermezza al presidente Prodiche nella sua breve legislatura di Governo il Senato non haa mai avuto la fortuna di averlo presente al question time.(Applausi dal Gruppo FI).

Presidente Prodi, c’è stato un voto di quest’Assembleain cui la sua maggioranza è stata battuta da questa modestama determinata opposizione che l’ha costretta ad essere quitra noi. (Applausi dal Gruppo FI). Ci auguriamo di nonessere più costretti nel futuro a dover richiedere un votodell’Assemblea affinché il Presidente del Consiglio sia tradi noi.

Mi rifaccio per un istante al richiamo del presidente Prodialla sua storia delle privatizzazioni in ambito nazionale evorrei ricordare pacatamente come sulle telecomunicazionilo stesso professor Prodi, da Presidente dell’IRI, sia statotitolare di un’operazione il cui impatto sulle industrie delletelecomunicazioni era importante. Ebbene, egli ebbe adostacolare la nascita di Telit, un’azienda derivante dalla fun-zione di Telettra con Italtel, allora guidata dalla Bellisario.Da questa fusione sarebbe nato il primo colosso italianodelle telecomunicazioni a livello delle attuali Siemens e Ali-phone. (Applausi dal Gruppo FI). Ci ha fatto questo regalo.

Oggi è qui, Presidente del Consiglio, la vediamo comeun uomo solo, al cui fianco vediamo pochi Ministri, se nonalcuni per atto dovuto come il Ministro per i rapporti con ilParlamento e il Ministro delle comunicazioni. Nella prece-

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dente legislatura ci eravamo abituati ad assistere a più mas-sicce presenze quando il presidente Berlusconi era in Par-lamento.

È un uomo solo forse perché teme il Senato, nonostantele parole che riecheggiano nelle coscienze di molti di noiquando la notte del lunedì post-elettorale ebbe a dire in unapiazza piena di cittadini che lo acclamavano che avrebbegovernato il Paese, perché vi era la certezza che in Par-lamento vi fosse una maggioranza certa e sicura.

Ebbe a mentire e lo sapeva e ci indignammo in quellaoccasione, perché avremmo chiesto un maggiore rispettodei dati, della realtà storica. E ci indignammo ancora di piùquando scoprimmo che questo Governo, per ottenere ilvoto di fiducia e la fiducia sui decreti-legge, ai quali ormaici ha abituati, ricorre, perché sono essenziali, al voto disenatori non votati dagli italiani, non portatori di un man-dato elettorale, eletti in forza di alcune prerogative costitu-zionali, che si fanno carico di tenere in vita un Governo chenon c’è. Ebbene, questa è la verità. (Applausi dal GruppoFI).

Ci saremmo attesi una verità, ma purtroppo siamo abi-tuati al «non so nulla». Il presidente Prodi ci ha educati aquesto suo motto quando è stato coinvolto nello scandalodella Telecom Serbia, grande operazione del presidenteProdi. Nel 1997 Telecom Serbia fu comprata per 450miliardi e fu rivenduta dopo due anni per il modesto prez-zo di 195 miliardi, con una perdita secca per lo Stato di 255miliardi. (Applausi dai Gruppi FI e AN).

In quella occasione disse: «Non ne so nulla». Non sape-va nulla, perché il presidente Prodi quando avvengono que-sti scandali non c’è mai, e se mai c’è, è distratto. In ognicaso, non sa nulla, come non sa nulla di questo scandalo,che ha coinvolto il suo consulente economico.

Il Presidente del Consiglio ha dichiarato giorni fa che«quando si parla al Presidente del Consiglio si dice la veri-tà» e noi condividiamo. È vero: quando si parla con chigoverna il Paese si ha il dovere civico, morale, politico eistituzionale di dire la verità. Ma uguale dovere ha il Presi-

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dente del Consiglio quando parla al Paese e questa veritànon è stata detta. Infatti, non ci venga a dire che lei nonsapeva nulla del piano Rovati: il consulente economico delPresidente del Consiglio invia un piano di ristrutturazioneeconomica della Telecom coinvolgendo lo Stato stesso (laCassa depositi e prestiti), lo fa ad insaputa del suo datore dilavoro, cioè il Presidente del Consiglio, e il Presidente delConsiglio, apprendendo questo, non lo manda a casa? Manon lo manda a casa perché non può farlo, perché è al cor-rente – è evidente – del piano! (Applausi dai Gruppi FI eAN). Se fosse stato altrimenti, sarebbe stato licenziato intronco: chiunque di noi l’avrebbe fatto, avendo un minimodi senso di responsabilità. Non ci si venga a dire il contra-rio.

E nello stesso tempo, interviene la smentita sulla stam-pa di ieri del presidente Telecom Tronchetti Provera. Ebbe-ne, Presidente, credo di più a colui il quale ha avuto ilcoraggio e il senso di responsabilità, qualche settimana fa,di dimettersi e lasciare una carica. Oggi in Italia è difficiledimettersi spontaneamente, eppure Tronchetti Provera loha fatto, l’ha fatto per avere le mani libere. Mi chiedo allo-ra chi sia credibile: Tronchetti Provera, che si dimette peravere le mani libere e poter parlare o il Presidente del Con-siglio, che ha un ruolo invece da tenere caldo perché glipiace la poltrona? Chi dei due è credibile?

E poi vi è la stampa estera, presidente Prodi, che quan-do governava Berlusconi invadeva i nostri giornali nazio-nali, quando si criticava Berlusconi, mentre adesso vi è ilsilenziatore e siamo costretti a recuperare le agenzie stam-pa, dalle quali leggiamo: ««Times»: Prodi si contraddice erischia inchiesta Unione Europea»; ««Financial Times»:Prodi allontana investitori stranieri». Questo è il giudiziodella stampa estera sul nostro Governo. (Applausi daiGruppi FI e AN. Commenti del senatore Peterlini).

Mi spiace che il Presidente del Consiglio, anche pergarbo istituzionale, si lasci distrarre da un mio esimio col-lega che evidentemente ritiene che gli interventi nostrisiano «roba da poco conto».

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Lei, signor Presidente, ci ha promesso la felicità in cam-pagna elettorale. Ha promesso una felicità...

Storace (AN). Colombo, non provocare! Signor Presi-dente, cosa ci fa Colombo al banco del Governo? Lo stadistraendo. (Commenti dai Gruppi FI e AN).

Presidente. Senatore Storace, la prego: sta andando...(Commenti dai Gruppi FI e AN). Prego, senatore Schifani,vada avanti.

Schifani (FI). Avrei voluto evitare questo inciso, signorPresidente, però in effetti dal presidente Prodi, anche pergarbo istituzionale, ci aspettavamo maggiore attenzione,ma evidentemente presta più attenzione ai suoi colleghi dipartito. (Applausi dal Gruppo FI).

Presidente. Prego, senatore: il Presidente del Consiglioè qui da stamattina ininterrottamente.

Schifani (FI).Sì è qui, comunque: ad ognuno il propriostile, Presidente. (Commenti del senatore Storace).

Presidente. Vada avanti, la prego. Dia una mano allaPresidenza.

Schifani (FI). Aveva promesso la felicità agli italiani,ma da quando è diventato Presidente del Consiglio per unpugno di voti ha dichiarato guerra al blocco sociale di cen-tro-destra che non lo aveva votato (Applausi dai Gruppi FI,AN, UDC e LNP).

Con un decreto-legge, definito il Visco-Bersani, ha fattocadere delle norme dall’oggi al domani, senza nessuna con-certazione con le categorie interessate, stimolando ed ecci-tando la protesta di avvocati, ingegneri, notai, professioni-sti, tassisti e farmacisti e indignando i cittadini che si sonoscoperti potenziali evasori.

La logica del Visco-Bersani, contrariamente alla nostra

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è la seguente: il cittadino è un potenziale evasore. Cittadi-no, tu evadi e siccome evadi io devo tracciare la tua vita,devo sapere cosa fai dei tuoi soldi, devo segnare in un cer-vellone tutti i tuoi movimenti di denaro superiori 1.500euro, devo sapere tutto di te perché tu, a prescindere datutto, sei un evasore. Devo sapere tutto di te e controllare latua vita. (Applausi dal Gruppo FI).

Quegli italiani non sono felici, signor Presidente delConsiglio, sono arrabbiati. Sono arrabbiati e i capitali, chenoi con una manovra coraggiosa avevamo fatto rientrare,stanno fuggendo: i dati economici mostrano che 30 miliar-di euro di capitali sono già in fuga.

Successivamente al Visco-Bersani c’è stata la finanzia-ria. E di oggi un sondaggio della IPR marketing, pubblica-to su «Il Sole 24 ORE», giornale neutro e tecnico, secondoil quale il 23 per cento dei suoi elettori, non dei nostri, e il45 per cento degli italiani sono pronti a scendere in piazzacontro la finanziaria. (Applausi dal Gruppo FI).

È stata presentata come un finanziaria che doveva gesti-re un’eredità pesante, quella lasciata da noi. PresidenteProdi, noi nel 2001 abbiamo trovato un buco di 36 miliardidi euro e il post 11 settembre; la nostra finanziaria, non-ostante tutto ciò, non ha introdotto una lira di tasse ed haaumentato le pensioni minime. Questo è governare unPaese con senso di responsabilità. (Applausi dai Gruppi FIe LNP).

Noi abbiamo lasciato un surplus di entrate tributarie di23 miliardi euro: dove sono andati a finire? Con voi, nel2001, il cassaintegrato pagava le tasse perché non vi era lano tax area. Lasciando questo Paese al vostro Governo ilcassaintegrato non paga più le tasse attraverso la nostrapolitica fiscale di elevazione della no tax area. Questa èstata la nostra politica. (Applausi dai Gruppi FI).

È stata presentata come una finanziaria che toglie ai ric-chi e dà ai poveri. E dell’altro ieri la pubblicazione di unatabella su «Il Sole 24 ORE», giornale neutro e attendibile,dal quale si evince che chi percepisce un reddito lordo di30.000 euro, e quindi uno stipendio 1.400 euro al mese,

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pagherà 110 euro di tasse in più all’anno, se ha il coniuge acarico, 170 euro in più all’anno, se ha un figlio a carico, e140 euro in più all’anno, se ha un figlio a carico minore ditre anni. Questo signore non è quel ricco che qualcuno deivostri vorrebbe far piangere, ma soltanto un povero dipen-dente con una famiglia medio-borghese, che viene colpitodalla vostra manovra. (Applausi dal Gruppo FI).

Cosa dire poi della stangata al mondo produttivo, allepiccole imprese, ai commercianti, agli artigiani? Cosadire dell’aumento dei contributi dei lavoratori autonomi edella manovra IRPEF, la quale, nonostante sia statodichiarato dal suo ministro Bersani, all’indomani dellasua presentazione, che era caratterizzata da una manovraneutra, a saldo zero, perché quello che si toglieva si dava,è invece cifrata e prevede un incasso di 1,5 miliardi dieuro prelevato dalle tasche dei cittadini? È prevista unastangata anche nei confronti di quei commercianti chedovessero per caso, anche per errore, non emettere unoscontrino fiscale, i quali, attraverso le vostre norme,rischiano di vedersi chiuso il negozio. (Applausi deiGruppi FI e LNP).

Questa è conflittualità sociale. Non è governare unPaese, è incitare il Paese al terrore, alla preoccupazione diuno Stato padrone che dei propri cittadini vuole controlla-re tutto.

Inoltre, la vostra sarà una stangata ad esecuzione diffe-rita, perché avete scaricato alcuni problemi agli enti locali,che oggi insorgono sulla stampa quotidiana – lo fannoanche i vostri sindaci – contro il Governo.

Avete spostato una parte della tassazione, alla qualestate sottoponendo l’intero Paese, agli enti locali. Avetepromesso di ridurre i trasferimenti ma consentendo diaumentare le tasse. Noi avevamo fatto l’opposto. (Applau-si dai Gruppi FI e AN). Avevamo sì ridotto i trasferimenti,invitando i sindaci a essere più parchi e attenti, ma non ave-vamo mai consentito agli enti locali di aumentare le tasseperché noi le tasse ai cittadini non le abbiamo mai aumen-tate (Applausi dai Gruppi FI e AN).

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Voi avete consentito e imposto ai vostri sindaci diaumentarle e oggi i vostri sindaci hanno minacciato di farela marcia su Roma, i vostri sindaci, che sono in ribellionetotale. Avevate promesso che avreste reintrodotto la tassa disuccessione e l’avete fatto; state aumentando l’ICI attra-verso nuove rendite catastali; prevedrete la tassa di scopoda parte dei Comuni per alcune opere, l’aumento della ben-zina che potrà essere realizzato dalle Regioni.

Avete colpito in maniera indiscriminata il risparmiodella gente perché aumentando la tassazione sulle renditefinanziarie – che sono i risparmi dei cittadini – a prescin-dere dalla loro entità, colpite indiscriminatamente il rispar-mio anche della povera gente. L’avete portato al 20 percento. (Applausi dai Gruppi FI, UDC e AN). Bella politicasociale!

Cosa dire della tassa sui ricoveri e sui pronti soccorsi?Un pronto soccorso costa quello che costa, a prescinderedal numero dei malati che arrivano. Voi avete chiesto unticket al povero disgraziato che si presenta lì e ha bisognodi una radiografia o di un elettrocardiogramma per saperese ha o non ha un infarto. Gli dite che se ha un infarto siricovera e non paga il ticket, se l’infarto non ce l’ha, c’ècomunque un accertamento che viene fatto, per cui dovràpagare 40 euro.

Volete fare cassa sulla salute dei cittadini. (Applausi daiGruppi FI, UDC e AN). Questo è inaccettabile perché sulleemergenze, sui pronti soccorsi, sulla vita dei cittadini nonsi gioca.

Sul Mezzogiorno avete svuotato il FAS, il fondo per learee sottoutilizzate, avete differito al 2010 sette miliardi dieuro; avete realizzato un atto ostile alla Sicilia riducendola vostra presenza, il vostro contributo sulla sanità regio-nale.

Presidente. Concluda, presidente Schifani.

Schifani (FI). Concludo con una promessa. PresidenteProdi, lei cadrà in Senato, cadrà in quest’Aula perché lei

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non ha più una maggioranza; lei è un uomo solo. (Applau-si dai Gruppi FI, UDC e AN. Molte congratulazioni).

Presidente. È iscritto a parlare il senatore Zanda. Ne hafacoltà.

Zanda (Ulivo). Signor Presidente, signori senatori, rin-grazio molto il presidente Prodi per la sua presenza oggi inSenato. Il Gruppo dell’Ulivo ha apprezzato con convinzio-ne le sue serie comunicazioni. Sottolineo «serie» e nonpropagandistiche.

Vorrei tentare di riportare l’attenzione del Parlamentosui principali nodi istituzionali e di politica industriale chel’affare Telecom ha fatto venire alla luce.

Dopo questo dibattito, colleghi, sarebbe veramente morti-ficante se dovesse risultare che l’unico problema delle tele-comunicazioni italiane è il documento di una persona perbene come Angelo Rovati (un documento che, voglio dirloper inciso, si può condividere o meno, ma che evoca il tema,non banale, del come sia possibile conciliare la proprietàdelle reti con le più elementari regole della concorrenza).

Sarebbe egualmente sbagliato se dovessimo dare tropparetta alle interviste rilasciate con l’evidente scopo di con-fondere le acque.

Non perdiamo un’altra occasione importante per miglio-rare il sistema-paese.

L’opposizione, pur restando in minoranza, può contareal Senato su una forza parlamentare numericamente piùconsistente di tutte le legislature repubblicane. Sta ai sena-tori dell’opposizione decidere come utilizzare questo capi-tale politico.

In questa fase, nel centro-destra convivono due anime.Una vuole contribuire al Governo dell’Italia. L’altra, sena-tore Pirovano, preferisce le prove di forza, preferisce iburattini in Aula.

Ritengo che chi dovesse scegliere questa seconda stradasbaglierebbe sia l’analisi politica, sia i calcoli tattici. Il mioaugurio è che presto l’intera opposizione decida di poter con-

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correre a migliorare la qualità dei lavori del Senato. In fondo,è quel che è accaduto negli ultimi giorni, durante la discus-sione sull’ordinamento giudiziario allorché nella maggio-ranza e nella minoranza ha prevalso il senso dello Stato.

Vorrei ricordare al Senato come una parte consistentedel mondo finanziario internazionale stia aspettando dicapire quale morale sapremo trarre dall’affare Telecom. Anoi stanno guardando i grandi investitori, i più di 85.000dipendenti dell’azienda, i cittadini italiani, che chiedono unbuon servizio telefonico e tariffe eque.

Questa è la platea alla quale il Parlamento dovrebbesempre rivolgersi, se solo riuscissimo ad evitare dibattitiautoreferenziali, polemiche politiche interne, contrapposi-zioni pregiudiziali. Lo dico a lei, con molto rispetto, sena-tore Pirovano e mi è dispiaciuto molto questa mattina assi-stere e far assistere i telespettatori italiani ad uno spettaco-lo come quello che abbiamo visto.

Permettetemi adesso di indicare le quattro principaliquestioni che l’affare Telecom ha portato alla nostra atten-zione. Primo: dal 2001, cari colleghi, la Telecom è control-lata da un azionista che possiede direttamente circa l’1 percento della base azionaria, con il quale controlla a cascatauna serie di società, l’ultima delle quali con il 18 per centoè l’azionista di controllo.

È sano che una società con un capitale di più di 10 miliar-di, con un fatturato di 30, con un patrimonio di 26, sia con-trollata con pieni poteri gestionali da un azionista che con ilsolo 1 per cento è riuscito a collocarsi in cima alla piramide?

Baldassarri (AN). Hai ragione, l’avete fatto voi!

Zanda (Ulivo). Non credo che questo sia il modello dipublic company di cui parla Guido Rossi. (Commenti dalGruppo AN).

Presidente. Scusi, senatore Baldassarri, qui si sta svol-gendo un dibattito robusto da una parte e dall’altra. Viprego di non interrompere.

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Storace (AN). Gli stiamo dando ragione, Presidente!

Presidente. Prego, senatore Zanda, prosegua.

Zanda (Ulivo). Guardate, colleghi, questo meccanismodelle «scatole cinesi» è ben noto al sistema industriale ita-liano. Nei decenni passati ha procurato molti guai.

Alcuni senatori del Gruppo dell’Ulivo stanno valutandocome, nel pieno rispetto del mercato, sia possibile contene-re, almeno per le società quotate, gli effetti negativi di unfenomeno troppo spesso orientato a produrre benefici pri-vati ai singoli azionisti. (Applausi dal Gruppo AN).

Mi auguro che l’opposizione decida di partecipare inmodo costruttivo a tale dibattito.

Baldassarri (AN). È Prodi, però, a dire di no!

Zanda (Ulivo). La prego, senatore Baldassarri.Il secondo problema è il debito di 41 miliardi. E stato

sostenuto che il cash flow dell’azienda rende il debitosostenibile. E possibile, ... (Commenti dal Gruppo AN) ...però, colleghi dell’opposizione, voglio farvi notare che Sil-vio Berlusconi, che s’intende di queste cose, interpellatosulla sua intenzione di comprare Telecom, ha risposto:«Bell’affare, con 40 miliardi di debiti!».

Se lo dice anche Silvio Berlusconi, il debito è certamen-te molto elevato.

Baldassarri (AN). Lo avete fatto fare a Colaninno!

Zanda (Ulivo). Ma voi sapete anche – e tutto il Senatosa – che quel che conta... (Commenti dal Gruppo AN).

Presidente. Scusi, senatore Zanda. Colleghi, veramente, in quest’Aula, si invoca spesso il

principio di reciprocità, per cui ci si deve ascoltare tutti.Non si può prestare attenzione solo ad alcuni interventi edinterromperne altri continuamente. La prego di smettere,

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senatore Baldassarri. Senatore Zanda, prosegua.

Zanda (Ulivo). Presidente, vado avanti: non ho interrot-to nessuno, per cui chiederei che venisse conteggiato iltempo che le interruzioni hanno sottratto al mio interventoaffinché mi venga restituito.

Baldassarri (AN). Ha ragione, senatore Zanda!

Zanda (Ulivo). Allora: voi, però, sapete – ed il Senatosa – che ciò che conta è il debito di Olimpia-Pirelli, che dacinque anni ha indotto Telecom ad attuare una politica didismissioni e acquisizioni di cui è utile comprendere ilsenso.

Intanto, c’è stata la perdita del carattere multinazionaledel gruppo, come conseguenza dell’alienazione di quasitutte le numerose aziende telefoniche possedute all’estero.

Poi c’è l’andirivieni di SEAT da Telecom a De Agostini,e viceversa (ogni volta ad un prezzo diverso) e c’è la dis-missione del patrimonio immobiliare Telecom, finito ingran parte a Pirelli R.E.

A quest’ultimo riguardo, sarebbe interessante conoscerese queste operazioni immobiliari sono state più vantaggio-se per Telecom o per l’azionariato di Pirelli R.E.

Quanto alle acquisizioni è bene ricordarne due. Unariguarda quegli azionisti di Telecom che attraverso PirelliR.E., nel 2002 hanno significativamente acquisito il patri-monio immobiliare di Edilnord, società del gruppo Finin-vest.

L’altra è l’acquisizione, per 14 miliardi, della quota diminoranza di TIM, che pesa tutt’ora sull’indebitamento, eche aveva un solo motivo: impedire la diluizione delleposizioni di potere dell’azionista di controllo.

Nonostante queste operazioni, il debito di Telecom nonè diminuito. Le azioni hanno perso consistentemente valo-re in controtendenza rispetto all’andamento della Borsa.Sono stati distribuiti dividendi generosi. Il Consiglio di

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amministrazione in 18 mesi ha cambiato linea di 180 gradi,passando, improvvisamente e contraddittoriamente, da unacostosissima fusione Telecom-TIM alla loro separazione.

L’unica cosa, signori dell’opposizione, che in cinqueanni è stata preservata con cura è la posizione di chi, attra-verso le varie «scatole cinesi», tutt’ora controlla Telecom,pur possedendone solo l’uno per cento. (Applausi ironicidel senatore Baldassarri).

Queste vicende debbono far riflettere su un costume delcapitalismo italiano che compra, a debito, aziende pubbli-che finanziariamente sane, alle quali poi trasferisce, conopportune fusioni, il carico dei propri debiti.

Richiamo l’attenzione del Senato su questo aspetto, per-ché Telecom è pur sempre una società – lo ha ricordato sta-mattina il senatore Buttiglione – che su autorizzazionedello Stato gestisce un servizio pubblico, ereditato da unmonopolio pubblico e remunerato da ricche tariffe.

Baldassarri (AN). Privatizzato da voi!

Zanda (Ulivo). Il bilancio di Telecom evidenzia 5miliardi all’anno di investimenti. Fa piacere sapere che unagran parte è dedicata all’innovazione e alla ricerca perchéquesto è l’unico modo per battere la concorrenza.

Ma Telecom è titolare del «servizio universale» dellatelefonia fissa, per il quale riscuote un canone. Agli utentiinteressano anche i suoi investimenti in manutenzione ordi-naria, copertura del territorio nazionale, servizi ai cittadinie sviluppo della rete.

Terzo: vengo ad un tema, senatore Baldassarri, che leiha più volte evocato. Non condivido l’ipotesi che la Cassadepositi e prestiti acquisti la rete Telecom. Ho più volte dis-sentito dalla trasformazione della Cassa voluta da GiuloTremonti e non mi piace che un istituto, nato per aiutare gliEnti locali, diventi azionista di ENI, ENEL, Poste e tantealtre società importanti. (Applausi dal Gruppo IU-Verdi-Com). Mi sorprende quindi che proprio quel centro-destracui si deve la metamorfosi colbertista della Cassa, adesso si

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scandalizzi per il solo fatto che siano state suggerite (peraltro platonicamente) sue ulteriori acquisizioni.

Il piano Rovati va bocciato per il ruolo assegnato allaCassa, ma pone un problema su cui il Parlamento e ilGoverno dovrebbero riflettere: il problema di come sia pos-sibile rendere «neutre» le grandi reti dei servizi pubblici ecome evitare che la proprietà se ne serva per conservareposizioni dominanti e ostacolare la formazione di un mer-cato realmente concorrenziale. (Applausi dai Gruppi IU-Verdi-Com e RC-SE e dai banchi del Governo).

Faccio un’altra citazione affinché il senatore Schifani lapossa ascoltare: ha ragione Fedele Confalonieri, che noncredo abbia ragioni per essere indulgente nei confronti diRovati, il quale, soltanto pochi giorni fa – lo abbiamo lettosui principali quotidiani italiani – ha ricordato come «nonsia importante essere proprietari di una rete telefonica»,«basta che funzioni bene», basta «poterci mettere dentro ipropri contenuti». È importante che, come nelle autostrade,la rete sia efficiente e utilizzabile quando serve.

C’è un quarto tema e lo voglio citare, perché è un temaimportante ed è il tema della trasparenza Telecom. Lamagistratura ha disposto l’arresto di numerosi collaborato-ri ed ex collaboratori di Telecom. Alla magistratura chie-diamo solo di andare sino in fondo senza esitazioni. Stupi-sce però, sentire che in questa vicenda la Telecom sarebbesolo parte lesa.

In Telecom, società di grandissime dimensioni, dotata disistemi di controllo interno molto sofisticati, avrebbe opera-to un gruppo di circa 500 dipendenti, collaboratori e subap-paltatori, molto ben retribuiti, addestrati addirittura in campiscuola in Sardegna, inseriti in una struttura alle dirette dipen-denze della Presidenza, ai quali la magistratura ha contestatola preparazione di dossier illegali, confezionati attraversocomplesse, illecite forme di vero e proprio spionaggio.

È molto preoccupante che nemmeno l’ombra di unsospetto su queste attività abbia mai sfiorato chi nell’azien-da aveva pieni poteri di gestione e di controllo.

È anche molto singolare, senatori dell’opposizione, che

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sulla base di interviste interessate si voglia applicare al Pre-sidente del Consiglio la famigerata regola giustizialista del«non poteva non sapere», mentre è ritenuto plausibile chel’ex Presidente di Telecom sia stato all’oscuro di quel checombinavano ben 500 suoi collaboratori addetti alla sicu-rezza. (Applausi dai Gruppi Ulivo, IU-Verdi-Com e deisenatori Rame e Tonini).

Telecom è un’azienda di interesse nazionale. Non soloper le dimensioni, ma perché svolge un «servizio pubblico»vitale per il Paese. Richiamo la sua attenzione, signor Pre-sidente del Consiglio, sulle condizioni in cui negli ultimicinque anni sono stati ridotti i grandi servizi pubblici delnostro Paese. Non c’è solo la bufera Telecom, c’è la crisidelle ferrovie, del sistema autostradale, dell’ANAS, degliaeroporti, dell’Alitalia, di gran parte dei nostri porti.

Eufemi (UDC). Le Ferrovie presentino il bilancio con-solidato.

Zanda (Ulivo). Tutti operano in base a concessioni oconvenzioni o autorizzazioni o licenze o contratti di servi-zio con lo Stato. Ma con il tempo la gran parte di questi attisono diventati molto laschi, sono atti che autorizzano l’e-sercizio di pubblici servizi ma che finiscono spesso con ilfavorire i disservizi.

Il nuovo Presidente di Telecom, il professor GuidoRossi, è uno studioso di diritto societario ed un convintosostenitore del mercato.

Recentemente ha sostenuto che nell’economia modernale grandi aziende hanno profonde responsabilità non solonei confronti degli azionisti, ma anche sull’andamento deimercati, sull’ambiente, sul welfare, sulle stesse relazioni tragli Stati. Da qui la necessità che per la loro «funzione pub-blica», le aziende non possano disinteressarsi della ricadu-ta che il loro operato ha sulla società civile, sul rispettodelle regole, sulla crescita economica del Paese.

Alla necessità che le grandi aziende, pubbliche o priva-te che siano, tengano sempre presente le esigenze della loro

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«funzione pubblica», noi oggi ci richiamiamo, signor Pre-sidente, per augurare alla Telecom una nuova stagione.(Applausi dai Gruppi Ulivo, RC-SE, IU-Verdi-Com, Aut,Misto-IdV e Misto-Pop-Udeur. Congratulazioni).

Presidente. Dichiaro chiusa la discussione sulle comu-nicazioni del Presidente del Consiglio dei ministri.

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Estratto della relazione sull’affareTelekom-Serbia

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uesto testo è stato estratto dalla relazione inter-media, preparata dal presidente della Commissio-ne Parlamentare d’Inchiesta su Telekom Serbia.Si chiama “intermedia”, ma, in realtà questa èl’ultima relazione perché la Commissione non èpoi stata ricostituita. In un certo senso, i lavorinon si sono mai conclusi, e questa non è certo una

bella cosa.Ma le questioni procedurali non interferiscono con il

merito, e questi appunti riassuntivi del lavoro svolto, natu-ralmente influenzati dal fatto d’essere stati stesi dal solopresidente, sono comunque istruttivi. Servono, se non altro,a rendere chiaro che il teste Marini, quello che indicò l’e-sistenza di tangenti versate a favore di esponenti del centrosinistra, trovò molto spazio sulla stampa, ed in particolarmodo sulla stampa che appoggiava il centro destra, ma nonnei lavori della commissione. La gestione pubblica delMarini fu un clamoroso autogol, la cui imbarazzante evi-denza oscurò il resto.

La relazione parziale ex art. 19 del nostro Regolamentoderiva dall’avvertita necessità di dovere riferire al Parla-mento sullo stato dei nostri lavori, che tanto interesse etante polemiche hanno suscitato.

Siamo nati come inquirenti per individuare, ove esisten-

Q

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Estratto della relazione sull’affare Telekom-Serbia

ti, responsabilità politiche in capo al gover-no dell’epoca (giugno 1997) per l’acquistoperfezionato quel 9 giugno, del 29% dellequote di Telekom Serbia (l’altro 20% fuacquistato da O.T.E greca).

Abbiamo svolto la prima seduta il 10-07-2002, quindi siamo stati impegnati in 72audizioni con liberi dichiaranti e testimoni, compiendo tremissioni all’estero; restano ancora molti soggetti da inter-rogare, diversi confronti e ben cinque rogatorie da espleta-re. (...)

Abbiamo incontrato i soggetti più vari per cultura, pro-venienza etnica e sociale, ruoli istituzionali, formazionemanageriale, attività professionale, politica e diplomatica.Dobbiamo ammettere, con malinconia morale, di avereriscontrato spesso tanta avvilente omertà quasi organizzata:il pianeta delle scimmie, di chi non ha visto, sentito e par-lato, spesso si è arrampicato sino al quarto piano di S.Macuto, sede dei nostri lavori d’aula….

C’è stato chi legittimamente si è avvalso della facoltà dinon rispondere, e uno dei soggetti più attesi, (TommasoTOMMASI DI VIGNANO, amministratore delegato dellaTelecom dell’epoca), pur ricorrendo a un suo diritto, si èperò spinto a confermare una intervista all’Espresso, doveci ha tenuto a far sapere che “tutti sapevano e nessunointervenne”, così chiamando in causa, almeno in ordine allaconoscenza dell’affaire, il governo dell’epoca, senzarisparmiare l’opposizione che nulla, a suo dire, fece nelcontesto.

La Commissione ha badato alla concre-tezza: al fine di evitare la prescrizione cheminacciava l’avvento, ha denunciato allaCorte dei Conti e alla magistratura civileordinaria i 19 amministratori della TelekomSerbia del tempo, per il danno erariale epatrimoniale, esercitando così responsabilevigilanza e demandando tutela del cittadinoagli organi preposti.

Restano ancoramolti soggettida interrogare,diversi confronti e ben cinquerogatorieda espletare

La Commissioneha denunciatoalla Corte dei Conti e allamagistraturacivile ordinaria i 19amministratoridella TelekomSerbia del tempo

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Estratto della relazione sull’affare Telekom-Serbia

Ma prima di intraprendere il viaggio nei fatti, tenteremodi definire l’affare, che, a giudizio della stragrande mag-gioranza dei dichiaranti fu una “operazione sconvolgente”(CHIRICHIGNO: sentito in Commissione in audizionelibera il 9 e il 15 gennaio 2003), pagata oltre il doppio delsuo valore (si è detto e scritto, e lo vedremo, con un dannoper il pubblico danaro di almeno 500 miliardi, oltre alleperdite connesse e derivate, per un totale, che alla fine delcapitolo, specificheremo di 886.536.000 di vecchie lire,sino al 31.12.2002!).

Dovendo tutelare il cittadino, atteso che il 61% dellerisorse di Telekom Serbia era, all’epoca, danaro pubblico,avendo il Tesoro ereditato il passaggio di controllo dall’I-RI, nessuno si è risparmiato nel cercare di sapere ogni cir-costanza utile alla conoscenza della operazione, e così,quasi tutti i responsabili l’hanno scolpita: non doveva esse-re fatta (poche voci discordi per spiegare strategicamente lapresenza dell’Italia nei Balcani: generosità inutile, attesoche il governo PRODI, per ammissione dei responsabili,“nulla sapeva” e perciò non aveva motivo di apprezzare laqualità politica dell’intervento).

Ci imbatteremo nelle singole deposizioni; per dovere dipresentazione ricordiamo, solo per richiamare le più circo-stanziate, e senza, allo stato, occuparci delle eventualiresponsabilità istituzionali-politiche del momento:AGNES, PASCALE, CHIRICHIGNO, ROSATI (sentito inCommissione il 5 marzo 2003; impressionanti i suoi 12punti per spiegare il “disastro” di quell’acquisto), ALOIA,DE LEO, MASINI, GARAU, CICCHETTI, SPASIANO,AGLIATA … Le rivelazioni più circostanziate, dunque.

PASCALE bolla sin dall’inizio l’affare come non reddi-tuale e possibile fonte di tangenti, seguendo la presenza distrani e inusitati intermediari, mai, in altre occasioni volutie pagati da STET. La trattativa, sostiene PASCALE, percome era predisposta, era inaccettabile: “si trattava di per-sone che volevano battere sentieri... che passavano attra-verso commissioni non per un lavoro svolto ma di naturadiversa, chiamiamole tangenti”.

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CHIRICHIGNO: alla luce del “rischio paese”, altissi-mo, il 49 % di Telekom-Serbia non poteva valere più di 800miliardi, con ulteriore abbattimento alla verifica tecnicadello stato della rete (da rottamare!).

Abbiamo invece pagato 893 miliardi il 29%! Conside-rando la condizione della rete in un 20 % di ulterioreabbattimento, perentoriamente si radica la valutazione deldanno: 500 miliardi circa!

ALOIA e DE LEO parlano di valore bassissimo; MASI-NI (25 giugno 2003 in Commissione): “Se parliamo diritorno economico, non possiamo certo dire che sia statoun successo” – (Si ricordi che Telekom-Serbia è stata laprima operazione internazionale non segui-ta da STET International e decisa a precipi-zio: perché? Soprattutto inspiegabile allavigilia (ottobre 1997) della privatizzazione,con ricorso alla trattativa privata che agevo-la l’ingresso dei… facilitatori, a carico delcompratore, e con l’advisor U.B.S. incalza-to all’offerta in aumento!... Perché?

E ancora MASINI (2 luglio 2003, inCommissione): “Alla luce della mia espe-rienza non poteva non esserci informativa ministeriale”,chiamando in causa Tesoro, controllante, ed Esteri.

SPASIANO, responsabile internazionale dell’operazio-ne (chi più autorevole?), il 14 gennaio, in Commissione:“l’operazione fu atipica, nel senso di unica, inusuale, fuoridalla regola, dalla norma” Perché?... Continua SPASIA-NO: “La situazione, così come presentata da NAT WEST(consulente per i serbi) era irrealistica, nel senso che lavalutazione di quattro miliardi di marchi non aveva ragio-ne di essere; piuttosto era realistica una valutazione di duemiliardi di marchi” (la metà, cioè!...). Infine: “Era un’ope-razione ad altissimo rischio e di difficilissima valutazione,perché il Paese era nella situazione in cui sappiamo”.

Una tra le voci più autorevoli perché al corrente di tuttele dinamiche societarie è il dott. Mario AGLIATA, segreta-rio del Consiglio di Amministrazione di Stet International,

Telekom-Serbiaè stata la primaoperazioneinternazionalenon seguita da STETInternational e decisa a precipizio:perché?

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che da noi convocato, il 9 luglio 2003, riferisce:“In Serbia vi erano i peggiori parametri per gli investi-

tori: guerra civile, pulizia etnica, caduta del prodotto inter-no lordo, consumi ridotti, nessuna prospettiva di sviluppo.Tra noi dirigenti Stet International si cominciò ad afferma-re l’idea che questa operazione non dico fosse stata impo-sta, ma sicuramente non nascesse all’interno di Stet Inter-national”.

“Se rapportato al contesto del momento, cioè nessunaaffidabilità, ingovernabilità, inflazione a tre cifre, cadutadel PIL, consumi privati ridotti drasticamente è difficilesostenere che un investimento in infrastrutture di telefonia

fissa sia congruo rispetto al prezzo indica-to....I miei soldi non li avrei messi”.

“Nel dicembre 1996 con due decreti delPresidente del Consiglio PRODI il gruppoStet che era posseduto dall’ IRI nella misu-ra del 64% fu trasferito al Ministero delTesoro il quale aveva pagato all’Iri 14.800miliardi più 14 mila miliardi di trasferimen-to di indebitamento, più altri conguagli per

un totale di 39.000 miliardi. Ora mi rifiuto di credere cheun Ministero come il Tesoro non sapesse cosa si stessecucinando nel calderone della cucina serba”.

“Nel caso della delibera di Telekom Serbia rimasi mera-vigliato in quanto il Consiglio di Amministrazione di STETInternational si tenne cinque giorni prima di quello dellacontrollante,… ciò era un fatto assolutamente atipico datoche per la prima volta la controllata deliberava primadella controllante. Seconda anomalia non avevo nulla dascrivere in quanto nessun gruppo di lavoro si era costitui-to all’interno di Stet International che si occupasse di Tele-kom Serbia, da noi nessuno sapeva nulla!!! Terza anoma-lia: nel verbale di Stet, non scritto da me, potrete leggereche la società delibera di acquistare la partecipazione per892 milioni di marchi. Ora si trattava di un’operazione giàapprovata, abbiamo dovuto mettere una toppa a colore!”.

GARAU (vice-direttore gerente Telekom-Serbia, l’11

“In Serbia vierano i peggiori

parametri pergli investitori:guerra civile,

pulizia etnica,prospettiva

di sviluppo”

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giugno 2003, in Commissione): “ho trovato una societàche aveva solamente debiti e non aveva una lira in cassa.Ho trovato una società che aveva firmato un accordo cheprevedeva 13.500 dipendenti non licenziabili nei primicinque anni. Mi sono trovato a rispondere di debitiacquisiti precedentemente, con una cassa pari a zero ecentinaia di miliardi di debiti pregressi. Abbiamo trova-to debiti per circa 300 miliardi di lire, debiti per l’acqui-sto di centrali Siemens e Alcatel, che io definivo catte-drali nel deserto, perché in zone del paese dove non vierano clienti”.

La prudenza tecnica tradotta in lessico politico si con-densa nei seguenti elementi: a) la inusualità vuol dire ano-malia, dato il contesto; b) il teatro operativo era anch’essoanomalo; c) le probabilità di riuscita erano “bassissime”,quindi vi erano tutte le premesse di un fallimento, coneffetti gravemente dannosi per il contribuente che aveva,suo malgrado, partecipato al pessimo affare.

La nota introduttiva, per economia descrittiva, devesolo registrare gli annunciati 12 punti del qualificatissimo“apicale” ing. Tebrio ROSATI (contenuti in un allegato diuna lettera inviata da ROSATI ad Archimede DEL VEC-CHIO l’11 marzo 1999), sul disastro prevedibilissimo connormale diligenza: 1) rischio paese: nella scala da 1 a 5, laSerbia era al massimo, cioè 5 (era il 1° Paese tra i 21 arischio); 2) non convertibilità del dinaro; 3) obsolescenzadella rete con investimenti necessari nell’ordine di 5000miliardi (!); 4) mancanza della effettiva due diligence,documento…d’identità di ogni affare di rilevante impor-tanza (a significare l’assoluta importanza della due dili-gence, alleghiamo breve e completa monografia; 5) man-canza della Golden Share, misura di garanzia inevitabile;6) vuoto di cassa; 7) territorio inaccessibile per gli inevita-bili controlli, dopo le ... impossibili installazioni; 8) tariffebloccate dal regime; 9) cultura d’azienda e persino lessicoordinario fortemente problematici fra i 3 soci (serbo,greco, italiano); 10) impossibilità di accedere ai finanzia-menti internazionali interdetti alla Serbia; 11) capitale

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zero; 12) debiti sconosciuti. L’elenco non comprende laqualità dell’impianto, analogico e non digitale (mentre ilmercato aveva già optato per il “digitale”), quindi dasmantellare per intero.

Con riferimento a fatti certi perché riferiti a documentiallegati alla presente, ricordiamo (sperando di evitare ripe-tizioni) e solo per fornire indicatori, tra i tanti, tutti coeren-ti a considerare l’operazione tanto evitabile quanto, invece,pervicacemente portata avanti, malgrado l’evidenza:

l’azienda italiana ha trascurato (?) di controllare conresponsabile attenzione, il bilancio del P.T.T. serbo, attesoche ben 244 milioni di dinari risultano a debito per fattureprecedenti al closing;

il 19.10.1998 MASINI (altro uomo di vertice) ribadisceper lettera all’amministratore delegato DE SARIO che “laSerbia è il caso più drammatico, su cui, tra l’altro, nessunosa niente sugli scopi iniziali, la situazione attuale, le pro-spettive” (Cioè: temeraria dissipazione del pubblico dana-ro!);

il 26.2.’98 il “Financial Times” (tanto glorificato in Ita-lia...) denuncia che l’operazione Telekom “venne criticatadagli analisti del settore per la sua mancanza di trasparenza”;

sin dal 4.5.’97 si indicava “un esborso per STET, in casodi acquisto dell’intero 49% intorno a 1000-1100 milioni diDM”. Essendo l’intero prezzo pagato di 1500 miliardi, si

ricava la differenza (matematica!) di 4-500miliardi in più. Così l’azienda italiana soloper il 29%, paga quasi l’intero prezzo soprariferito al 49%!…: Se poi valutiamo quel20% di “rischio paese”, senza dilatarlo al40% come ha riferito CHIRICHIGNO(15.1.2003 in Commissione), il prezzo perl’intero 49% è di poco più di 800 miliardi:

noi, generosamente, versiamo 893 miliardi solo per il29%!…;

sono prese per buone le attestazioni gonfiate o irrealidei serbi (tra cui l’assenza di debiti), mentre erano note lecondizioni di sfascio: “Rifare completamente la rete”;

L’aziendaitaliana solo per il 29%,paga quasi

l’intero prezzosopra riferito

al 49%!

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viene denunciato che il prezzo pagato “non consenteritorni significativi per l’azionista (al più intorno al15/16%) se calcolato sui dividendi, quindi inferiore al tassodi sconto del 19%”! Si consigliava la riduzione del prezzo:siamo al 6.5.’97, quasi un mese prima della firma, e, intan-to, si insisteva per la trattativa privata, con l’effetto incre-dibile di pagare i “facilitatori” (che sarebbero stati estro-messi in regime di asta pubblica), a carico (psichiatriafinanziaria!) dell’acquirente e non del venditore… o quan-to meno di entrambi;

per cinque volte si insiste col nostro advisor svizzero,U.B.S., non per abbassare il prezzo, come è prassi invete-rata, ma per alzarlo!...;

il 4.6.’97 si esalta “l’elevata solidità finanziaria”, alpunto che si prevedono dividendi a distanza di mesi, men-tre il 31.8.’97 si denuncia “elevata criticità in essere”. Eccoperché il disastro era annunciato: un fattore, tra i tanti;

in quell’agosto ’97 la performance degli incassi è statainferiore del 24% (!), mentre appare urgente un finanzia-mento a favore di Telekom Serbia d’importo superiore aquello ipotizzato a fine luglio (!);

j) la patente violazione dell’art. 2423, 1° co. c.c. adenuncia dell’assenza di rappresentazione veritiera e cor-retta dalla essenziale nota integrativa al bilancio, configu-rante false comunicazioni sociali;

k) lo scialo del pubblico denaro è timbrato nei 30 miliar-di di mediazione (forse fittizia, sicuramente sospetta) ver-sati ai due “facilitatori” VITALI e DIMITRIJEVIC, attra-verso una società di mangimi per animali (incredibile, mavero), quando due esperti, il dott. Alberto MILVIO e l’avv.Domenico PORPORA quantificavano l’opera della media-zione in 6 miliardi (Milvio), 9 miliardi (PORPORA), senzadimenticare che i vertici di Telecom hanno escluso paga-mento di mediazione negli altri rilevanti affari internazio-nali di acquisizione di quote;

l) e, per limitarci ad un affresco veloce, la nota grot-tesca: un Paese con meno di 300.000 lire pro capite, pre-vede una diffusione della telefonia con un costo per

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nuove istallazioni di 1.800.000 per utenza (il reddito di6 mesi!)

In definitiva, per come sostengono gli esperti più quali-ficati, la valutazione che andava fatta non poteva essereconsiderata “usuale”, in quanto non si trattava di una azien-

da operante (ancorché in sviluppo) in unPaese “normale”, ma piuttosto di un busi-ness con bassissime probabilità di riuscita.

Ma quel che colpisce è il giudizio datoall’affare e alle responsabilità politiche con-nesse, dalle più autorevoli personalità del-l’informazione italiana.

Per evitare l’opinione degli “schierati” afavore dell’attuale governo, citiamo, limi-tandoci, e alla rinfusa: PANSA, RINALDI,

MERLO, GALLI DELLA LOGGIA, OSTELLINO, MEN-TANA, MAURO; tutti, con accenti vari, critici nei con-fronti di quell’investimento e della relativa protesta d’inno-cenza, fondata sul “nulla sapevo” (per dovere di controllovi è corposo allegato alla presente, a riferimento dellepesanti, qualificate opinioni critiche sull’affare).

Ora passeremo alla rappresentazione tecnico-economi-co-politica, nella speranza di essere controllabili metodolo-gicamente, senza nutrire ambizioni di costruire la “verità”,che, per convinzione, resta categoria teologica: noi inse-guiamo certezze, che potranno essere incomplete, ma, il piùpossibile aderenti ai fatti, rendendo omaggio all’impegnodi tutti i commissari, anche di quelli che non ci condivide-ranno.

Un fatto è certo: i numeri non sono opinioni.Il seguente prospetto riassuntivo ha tale eloquenza che

rende inutili i commenti:il prezzo ottenuto per la vendita non sarebbe rapportabi-

le a quello di acquisto per l’alea di ogni affare, se non fossestato assolutamente prevedibile il disastro economico, soloche si fosse impiegata la prudenza responsabilmente richie-sta quando si investe il danaro del contribuente!

Quel checolpisce è il

giudizio datoall’affare e alleresponsabilità

politicheconnesse, dallepiù autorevoli

personalitàdell’informazio-

ne italiana

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Estratto della relazione sull’affare Telekom-Serbia

Ecco il prospetto:

Premesse

La Commissione, per far luce sulla delicata e complessavicenda oggetto dell’inchiesta, ha ritenuto di mettere afuoco i seguenti aspetti essenziali:

ricostruzione storica delle trattative, con riferimento alloro inizio ed al loro svolgimento fino alla conclusione;

individuazione delle parti che hanno proposto, condottoe concluso l’affare in questione, nonché di eventuali espo-nenti del Governo e/o personaggi politici che hanno appog-giato l’operazione o che, comunque, siano stati a cono-scenza della stessa.

ricognizione dei fattori di natura economica, politica e/odi altra natura, che hanno determinato la scelta – da parte diSTET-TELECOM/ITALIA – di acquisire una consistentequota di partecipazione in TELEKOM-SERBIA; criteri dideterminazione del prezzo pagato per l’acquisizione del29% del capitale di TELEKOM-SERBIA; congruità omeno del prezzo pagato;

accertamento delle ragioni ufficiali (e di quelle even-tualmente sottostanti) all’accordo STET – O.T.E. peracquisire, rispettivamente, il 29% ed il 20% del capitale diTELEKOM-SERBIA;

Lire 893.000.000.000

Lire 377.572.000.000

Giugno 1997

Dicembre 2002

Lire 515.428.000.000

Lire 61.851.360.000

Lire 886.536.000.000

Lire 371.108.160.000

Prezzo di acquisto (29%)

Prezzo di vendita (29%)

Perdita tra acquisto e vendita (58%)

Interesse annuale del 12% sulla cifra di perdita, come parametro generico

Totale perdita

Interesse annuale del 12% moltiplicato per anni 6

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presenza di advisor per le parti contraenti; loro attività;loro criteri di determinazione del valore delle partecipazio-ni da acquisire; compenso ricevuto e criteri di determina-zione dello stesso; modalità di pagamento;

modalità e canali di pagamento del prezzo delle detteacquisizioni;

mediazione: individuazione di eventuale (i) mediatore(i) nelle trattative; ruolo dello (gli) stesso (i); compensoricevuto e criteri di determinazione dello stesso; modalitàdi pagamento;

le rogatorie. Risultati e aspettative.

Ogni aspetto sopra elencato sarà oggetto di appositocapitolo.

Legittimazione degli organi della Stet e della Telecom e conseguenti responsabilità di natura politica.

Considerato il contenuto dei poteri facenti capo all’Am-ministratore Delegato della STET (atti di ordinaria ammi-nistrazione e acquisti di partecipazioni non di maggioran-za), potrebbe apparire corretto ritenere che rientrasse fra lecompetenze di quest’ultimo assumere la decisione dell’ac-quisto della partecipazione nella TELEKOM SERBIA,senza necessità di consultare previamente il Consiglio diAmministrazione, se la società non fosse stata di pubblicaappartenenza.

Nella comunicazione del Ministero delle PartecipazioniStatali del 28 aprile 1983 si impegnava l’IRI a comunicareallo stesso Ministero le operazioni di acquisizione di parte-cipazioni azionarie, anche attraverso la costituzione dinuove società; e, in attuazione di tale indirizzo, l’IRI, concomunicazione del 14 luglio 1983, aveva richiesto alle pro-prie partecipate – fra le quali anche la STET – di fornireadeguata informativa preventiva in relazione a talune ope-razioni, fra le quali la sottoscrizione di quote non di con-trollo in nuove società.

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Estratto della relazione sull’affare Telekom-Serbia

Ora, poiché non è dato rinvenire comunicazioni di revo-ca degli obblighi imposti alle società originariamente con-trollate dall’IRI – fra le quali, per l’appunto, la STET – sideve correttamente ritenere che, anche successivamente altrasferimento della partecipazione nella STET dall’IRI alMinistero del Tesoro, sussistesse un obbligo di informativapreventiva.

Detto obbligo di informativa preventiva per le societàpubbliche, con ciò intendendosi anche quelle il cui capita-le sia per almeno il 51% detenuto dallo Stato, non è peral-tro casuale; esso infatti discende dal combinato disposto dicui all’art. 95 e 100 della Costituzione.

Secondo tali norme “il Presidente del Consiglio deiMinistri dirige la politica generale del Governo e ne èresponsabile”, così come “i Ministri sono responsabili col-legialmente degli atti del Consiglio dei Ministri ed indivi-dualmente degli atti dei loro dicasteri”.

Le lettere ed i telegrammi dell’ambascia-tore Bascone dimostrano inequivocabil-mente come il Ministero degli Esteri fosseinformato; da ciò discende la responsabilitàpolitica, ex art. 95 Cost., per il Ministrodegli Esteri on. DINI e per il Presidente delConsiglio on. PRODI, dei quali si diràappresso.

Secondo l’art. 100 della Costituzione,infine, sulle Società Pubbliche, anche se detenute per il51% dallo Stato, sia pure se costituite in forma di S.p.A.,permane, e non a caso, il Controllo della Corte dei Conti(cfr. Corte Costituzionale, 28.12.1993 n. 446) in quanto lestesse società comunque dispongono del pubblico denarocome è avvenuto per il caso Telekom Serbia del quale cistiamo occupando.

Infine, prima di specificare le precise responsabilità isti-tuzionali, peraltro già individuate, urgono due chiarimentirelativi a variabili istruttorie, che hanno influito nel distrar-re l’opinione pubblica a favore di chi ha strumentalizzato laconfusione dei temi d’indagine, evitando lo scoglio della

Le lettere ed i telegrammidell’ambasciatore Basconedimostranoinequivocabil-mente come il Ministerodegli Esterifosse informato

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responsabilità politica per puntare su quella giudiziaria,che, appena profilatasi, è stata ambito esclusivo delle Pro-cure competenti. Perciò non eviteremo di esporre le vicen-de Marini e Volpe, solo per dovere di leale informazione, enon perché interferenti col tema istituzionale di cui all’art.1 della legge istitutiva della nostra Commissione, la n. 99del 21.5.2002.

La vicenda Marini

Igor MARINI non aveva bisogno di complicità “inter-ne” per arrivare in Commissione: bastava una semplice let-tera inviata al nostro organismo, contenente la indicazionedi essere a conoscenza di notizie utili alle nostre indagini, esarebbe stato nostro obbligo convocarlo, non disponendo,come vuole qualcuno, di strumenti preventivi per accertarel’attendibilità dei convocati. È così caduto sotto la nostraattenzione insieme ad altre 17 persone (a parte gli “amici diMILOSEVIC”), perché l’indagine molto professionale diun nostro consulente, ricavava da precedenti indagini queinomi rapportabili a soggetti collegati a vario titolo all’avv.Paoletti e al suo studio legale. MARINI, addirittura, ne fucollaboratore dai molti incarichi di particolare rilievo: nonera sconosciuta autoreferenzialità, ma conferma degli uffi-ci di polizia giudiziaria romani, riscontrati dalla locale Pro-cura della Repubblica (dott.ssa Maria Bice BARBORINI,sostituto), a seguito della paziente e sollecita ricerca di ele-menti di conoscenza attivata dal nostro esperto.

Quando venne richiesto, tra gli altri, di MARINI, l’avv.Paoletti esplose, indicandolo come autore dell’anonimo edel relativo documento (il pay order di 36.000 dollari setti-manali, per 32 settimane, che partiva da Londra, transitavaper l’IOR vaticano, e approdava in una banca di S. Mari-no). Se Paoletti non avesse dato irato rilievo al suo ex col-laboratore, e se non fosse esistito un acceso contenziosogiudiziario tra i due, forse mai sarebbe comparso avanti anoi, come avvenne per la quasi totalità dei 24 (18+6).

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Così MARINI, sino ad allora sconosciuto, vestì interes-se; ma fummo, comunque, responsabilmente cauti, e con-vocammo, per avere diretto le indagini che coinvolgevanoPaoletti e MARINI, il magistrato romano già nominato, chevenne a riferirci la densità di quel rapporto, che aveva por-tato all’arresto del legale per estorsione contro il suo ex col-laboratore, ammettendo una circostanza decisiva per la cre-dibilità, allo stato, del MARINI: egli aveva versato al magi-strato che lo interrogò (la BARBORINI, appunto) un titolodi cinquanta milioni di dollari (!), che appariva, a detta del-l’ufficio giudiziario procedente, immediatamente esigibile(gli sviluppi successivi sul titolo, definito falso, potevanoessere noti solo agli indovini, se non lo erano neppureall’Autorità Giudiziaria!...)!

Non ci fu urgenza per conoscere, ma coerenza con itempi ordinari della nostra agenda: dalla seduta di febbraio(audizione della dott.ssa BARBORINI), si passò al 2 apri-le, e, quindi, a seguito di certificato medico, si rispettòl’impedimento del MARINI, che venne convocato per il 7maggio. Seguirono altri 2 interrogatori: il minimo indi-spensabile, secondo obbligo di legalità a fini di conoscen-za. Ci recammo, infine, a Torino, il 7 ago-sto, “a camere chiuse”, perché i difensoridel MARINI, e lo stesso dichiarante quandolo sentimmo a Berna, in presenza dellaminoranza (sen. Lauria), ripetevano che viera per il detenuto (perché arrestato conprocedura inspiegabile, a seguito di ambi-gue manovre partite dall’Italia verso “spon-da” svizzera, in occasione del controllo acaldo dei documenti, ivi depositati e asseri-tamene probatori) pericolo di vita e che lostesso versava in condizioni cliniche pro-gressivamente degeneranti (sospetta neoplasia al colon). Inquella occasione torinese, (terzo e ultimo interrogatorio),due consulenti definirono alcuni commissari, tra cui il Pre-sidente, “pubblici ministeri”, perché incalzammo MARINI,come l’interesse alla conoscenza reclamava, senza riguardi

I difensori del Mariniripetevano che vi era per il detenutopericolo di vita e che lo stessoversava in condizioniclinicheprogressivamen-te degeneranti

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per l’audito. Si precisa che nell’arco dei tre interrogatori (7maggio, 16 giugno, 7 agosto 2003), la Commissione ascol-tava intanto testi e dichiaranti, relativi alla congruità e allaregolarità dell’affare, non avendo mai né fermato, né ral-lentato i propri lavori, “per correre dietro MARINI”. Con-clusa la nostra attività d’indagini, abbiamo offerto piena eleale collaborazione all’Autorità Giudiziaria di Torino, cheha disposto verifiche e quindi deciso per il provvedimentocustodiale, elencando 59 circostanze di addebito, confluen-ti nel reato ex art. 368 c.p. (calunnia).

Dovere di sintesi ci ha imposto brevità, ma, speriamo,completezza. Per evitare, però, ogni possibile confusionesu modi, tempi e condotta imparziale della Commissione,ribadiamo, a rischio di qualche ripetitività:

le dichiarazioni del MARINI, (la cuiconvocazione fu decisa alla unanimità) nonsono state un’opzione della Commissione,ma un obbligo imprescindibile, essendo lostesso radicato nei nostri doveri d’indagineda Paoletti, dai carabinieri, e, infine, dalP.M. Dott.ssa BARBORINI, quale perso-naggio probatoriamente legato a fatti di

riciclaggio internazionale (era questa la nostra “pista”). Tral’altro, la rilevanza dell’inquisito trova riscontro nei prov-vedimenti custodiali emessi dall’Autorità Giudiziaria diTorino, contro cinque soggetti coinvolti in riciclaggio inter-nazionale, a seguito delle circostanze fortemente indiziantiriferibili proprio alla collaborazione del MARINI. (Riven-dichiamo con responsabile orgoglio di avere rianimato unavicenda giudiziaria avviata verso l’archiviazione e di averefornito elementi essenziali per l’accertamento di fatti sino aquel momento ignoti a quella Procura)

Ma qui sorge lo sdoppiamento di giudizio su quantoriferito dal MARINI: la descrizione storica dei fatti e ilcoinvolgimento del “circolo Paoletti” sono elementi condi-visi dall’Autorità Giudiziaria di Torino, che, sulla basedelle dichiarazioni di MARINI, previa attestazione di cre-dibilità, emette, ricordiamo ancora, cinque ordinanze di

Le dichiarazionidel Marini

non sono stateun’opzione della

Commissione,ma un obbligo

imprescindibile

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custodia cautelare. In relazione, invece, alle tangenti aipolitici a noi indicati (PRODI, DINI, FASSINO), l’attendi-bilità del medesimo soggetto, a seguito di approfonditeverifiche, viene dai magistrati torinesi smentita dall’emis-sione di un provvedimento coercitivo per calunnia. Sorgespontaneo l’interrogativo: che succede a un P.M. o a un giu-dice quando le dichiarazioni accusatorie raccolte da un sog-getto si rivelino false? Viene in discussione chi quelledichiarazioni ha verbalizzato, o si contesta il reato di calun-nia all’autore della incolpazione infondata? E il MARINInon tacque a noi, per riferirli ai pubblici ministeri, i nomidi Veltroni, Rutelli e Mastella? Potevano impedirlo queimagistrati? Nessuno però, in quel caso, ha protestato (népoteva). È la prova evidente della logica di convenienza,della ingiustizia delle valutazioni discriminatorie: era dove-re dei magistrati ascoltare MARINI, era invece condottaillegittima, se svolta dalla Commissione…

A noi non è riservato, per osservanza del principio dilegalità, potere di adesione o di critica alla decisione giudi-ziaria, per non essere stati autori di verifica alcuna; il dove-re di leale collaborazione fra poteri dello Stato depone peril rispetto delle determinazioni di altra autorità, specificata-mente legittimata.

L’ “illusione consolatoria di complotti” interni, però,come qualcuno sospettava, usando la “sponda” della Com-missione, tale è rimasta. Le devastanti dichiarazioni, impre-vedibili sino al momento della esternazione, per comeosservato, appartengono alle responsabilità dell’autore, enon di altri incolpevoli; la diluviale informazione mediati-ca è, poi, attività spiegabile per la rilevanza delle notizie.Noi abbiamo improntato a prudenza ogni nostra valutazio-ne, ribadendo con determinazione costante che solo glieventuali riscontri potevano deporre a favore o contro l’at-tendibilità: in decine di occasioni, attraverso tutti i canalid’informazione offertici, abbiamo allertato l’opinione pub-blica sulla inderogabile necessità di riscontri, secondo pro-cedere garantista. (Ricordiamo tra i tanti richiami: “MARI-NI è come assegno presentato all’incasso, ma non riscon-

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trato nella provvista. Cioè: non abbiamo potuto compiereriscontri”. Mancavano solo le pubbliche affissioni!).

Ma ci si permettano alcune considerazioni:Cui prodest? La verifica dei documenti “svizzeri”, da

noi immediatamente sollecitata per corro-borare o smentire MARINI, ha dimostrato –secondo quanto sostiene l’A.G. di Torino –la falsità delle accuse. Da ciò consegue:

eventuali “sponde” in mala fede delMARINI avrebbero dovuto impedire o ral-lentare le verifiche per ritardare la scopertadella mistificazione. È agli atti (secondointerrogatorio a Berna 6.16.2003) la provache il presidente della Commissione solle-citò, insistendo, le Autorità svizzere per l’i-noltro dei documenti di verifica delle

dichiarazioni di Marini: l’antitesi della temeraria ipotesi del“complotto”, presente solo nella perversione del sospettoinsensato;

in ogni caso si sarebbe scoperto il “falso” del MARINI,con conseguente esposizione della Commissione a rischi didelegittimazione provenienti dalla Opposizione, che avreb-be così trovato un pretesto per tentare di vanificare il giu-dizio di responsabilità politica – che stava sempre piùmaturando – del Governo PRODI per l’operazione Tele-kom Serbia (come puntualmente verificatosi): sarebbe statosuicida, disponendo di elementi di severa censura politica,offrirsi consapevolmente al pericolo inevitabile di un ribal-tamento di effetti con forte esposizione politica negativa.

Non potendo la “costruzione” resistere alla scoperta, eraelementare prevedere che l’azione “preordinata” si sarebberisolta in un danno per la serietà dei lavori della Commis-sione, perché il polverone ritorsivo conseguente avrebbeoscurato i veri scenari di fortissima responsabilità politica.La lealtà non è argomento: sarebbe stata condotta politica-mente rovinosa! Ottusa prima che immorale. Torna perciòil quesito: cui prodest?

Una risposta è certa: nuoceva alla Commissione!

La verifica dei documenti

“svizzeri”, da noi

immediatamentesollecitata per

corroborare o smentire

Marini, ha dimostrato

la falsità delle accuse

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La vicenda Volpe

VOLPE Antonio viene indicato dai nostri consulenticome persona in rapporti ambigui con l’avv. Fabrizio Pao-letti, e ciò a seguito di pregresse e non recenti indaginianche dell’Autorità Giudiziaria napoletana.

Facendo parte dell’elenco dei 18, contestiamo il nome aPaoletti, in occasione dell’interrogatorio del 14 gennaio2003. Il dichiarante ricorda il VOLPE come persona inte-ressata a un acquisto immobiliare in Umbria, senza che laproposta avesse avuto seguiti.

Viene rimosso dal nostro interesse. Inconducente! Il 31 luglio 2003, VOLPE deposita alla segreteria della

Commissione, dal presidente ivi prontamente avviato (per-ché a lui si era presentato), un plico chiuso asseritamenteaffidatogli per la consegna dal sig. Romanazzi, residente inThailandia.

Le indagini presenteranno quel dossier come “costruito”per supportare le accuse di MARINI: quindi un riscontroper ancorare quella versione.

Il 7 agosto, una settimana dopo, si svol-ge al carcere di Torino, il terzo e ultimointerrogatorio del MARINI: quale miglioreoccasione per prelevare atti da quel“pacco” e contestarli a MARINI?

Nulla di tutto ciò. Né allora, né dopo,quel fascicolo ha sollecitato il nostro interesse, così comeera avvenuto per i mai utilizzati Zagami, Di Stefano, Deja-na, Pazienza (quando la lettura dei fatti non sarà condizio-nata dalla polemica, qualcuno apprezzerà prudenza e com-petenza della Commissione!).

Quindi, se come prospetta l’Autorità Giudiziaria di Tori-no, vi era un “piano” perché la Commissione servisse da“sponda”, esso è fallito; nessuno ci ha indotto in tentazio-ni… È il riscontro, se occorrente, di essere stata causa delfallimento e mai del successo della trama! E dire che pote-va essere preziosa, se coordinata, la presenza di quei docu-menti dopo la scoperta della inutilità probatoria di quelli

Il 7 agosto sisvolge al carceredi Torino, il terzo e ultimointerrogatoriodel Marini

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indicati da Marini, a noi pervenuti dalla Svizzera. Il pudo-re della logica esige rispetto!

Occorrono ancora due rilievi: 1) scrive l’Autorità Giudiziaria di Torino che non vi è

prova di collegamento tra MARINI con VOLPE. Dal chederiva che se vi era un’organizzazione che “fabbricava”riscontri, funzionalmente inevitabile era la Commissionecome tramite.

Dimostrato il contrario, la nostra irreprensibile condottaè servita, per come osservato, a fare inceppare un meccani-smo, che, se agevolato, sarebbe stato pericoloso.

2) Inoltre: quali vantaggi ha tratto VOLPE dal depositodegli atti di Romanazzi presso la Commissione? Non c’èmiracolo dialettico che possa rovesciare il nulla…

Alcuni si interessavano, e in modo ambiguo, ai nostrilavori? Si accerti la connivenza interna, improduttivacomunque di effetti, e ci vedrà reattivi secondo legge. I fattici vogliono indifferenti a eventuali attese illecite: la Com-missione ha deluso solo i suoi nemici.

Avvertenza:Altri riferimenti e specificazioni devono, allo stato, corret-

tamente attendere gli sviluppi istituzionali in corso. Sarànostro compito scrivere degli esiti nella relazione conclusiva.

Considerazioni

Come si è posto in evidenza, la TELECOM esprime alproprio interno (v. documento in data 13 maggio 1997) unavalutazione del pacchetto azionario (49%) nell’intorno dei1.100 Mil. DM.

È vero che nella seconda valutazione della U.B.S. siattribuisce un valore superiore, ma è altrettanto vero che lastessa U.B.S. nella due diligence sottolinea più volte l’ele-vato grado di rischio connesso con tale valutazione. Siachiaro che quando scriviamo di due diligence, usiamo unafigura convenzionale, perché quel tipo di analisi approssi-

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mativa, sarebbe “azzardato definirla duediligence” (audizione ing. Miranda del 15gennaio 2003).

Anche alla luce della seconda valutazio-ne U.B.S., ragioni di prudenza – peraltro,sottolineate all’interno della stessa STET –avrebbero condotto, se tenute nella dovutaconsiderazione, a vagliare con maggior spi-rito critico l’incremento di prezzo proposto.A maggior ragione per il fatto che – come siè detto - la stessa U.B.S. nella due diligencesottolineava ampi gradi di rischio nell’operazione.

In definitiva, le diverse tappe del processo valutativo,nel corso del quale – come si è detto – si è assistito ad uningiustificato incremento del valore attribuito al pacchettoazionario, lasciano il forte sospetto che vi siano stati coin-volgimenti diretti e/o fattori esterni (es. condizionamentipolitici o ambientali) che hanno indotto il managementdella STET ad accettare un prezzo di transazione certa-mente sopravvalutato e non giustificato dalle dinamicheeconomiche peraltro opinabili, pur in presenza dei rilevan-ti rischi certamente noti al management stesso che l’opera-zione comportava. D’altronde, quale management avrebbeaccettato un incremento di prezzo, in presenza di così fortirischi, se non ne avesse avuto un ritorno diretto o se nonavesse subito condizionamenti “dall’alto”?

E che il management fosse a conoscenza dei fatti è com-provato, in primo luogo, dalla circostanza che nel docu-mento interno del 13 maggio 1997 si pone in chiara evi-denza la sopravvalutazione del pacchetto azionario e, insecondo luogo, dal fatto che la due diligence della U.B.S.,pur a fronte di una seconda valutazione superiore allaprima, poneva in evidenza la scarsa affidabilità dei dati edi forti rischi insiti nell’operazione.

Per scendere nel concreto della valutazione, il prezzodella I fase, pari a 1.443 Mil. DM, ha comportato una pre-sumibile sopravvalutazione di 343 Mil. DM circa (talevalore risulta dalla differenza rispetto al valore attribuito

Ragioni di prudenzasottolineateall’interno della stessaSTET avrebberocondotto a vagliare con maggiorspirito criticol’incremento diprezzo proposto

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dalla stessa TELECOM in 1.100 Mil. DM in data 13 mag-gio 1997). A ciò deve aggiungersi l’effetto della II fase(ulteriore prezzo condizionato) pari a 146 Mil. DM per laparte di competenza TELECOM.

Emerge, inoltre, nella vicenda esaminata un consistentee significativo contesto di macroscopica disapplicazione,per tacer d’altro, dei principi di sana e corretta amministra-zione di cui agli articoli 2392 e 2403 (vecchio testo) delcodice civile, e maggiormente alla stregua della nuova for-mulazione di dette norme introdotta dal D.Lgs n. 6/03, daparte degli organi amministrativi e di controllo di STET: lecaratteristiche, le dimensioni e la rilevanza, anche interna-zionale, dell’operazione avrebbero dovuto suggerire adamministratori e sindaci una rigorosa valutazione della suaconvenienza, e non una frettolosa e semiclandestina deci-sione. E la conferma di tale censurabile clima di superfi-cialità e di imprudenza si rinviene nella circostanza che unasiffatta operazione sia stata appunto trattata con grande dis-involtura, e molto “distrattamente”, dal Consiglio diAmministrazione di STET tenutosi il 6/6/1997, al di fuoridell’ordine del giorno e nell’ambito della voce “varie edeventuali”, secondo una deprecata e censurabile prassi,

peraltro abbandonata da tempo dallamigliore tradizione societaria per evidentimotivi di opacità e di scarsa trasparenzadell’informazione.

A tutto ciò deve aggiungersi che già adistanza di poche settimane veniva riscon-trata l’assoluta inaffidabilità dei dati e deivalori ed il significativo scostamento diquesti rispetto a quelli reali, con pesantiriflessi sulla veridicità del bilancio consoli-dato di STET, atteso che il valore di iscri-

zione non ha subito alcuna, sebbene doverosa, variazione.Sul punto può affermarsi che la scelta operata dagli

amministratori di STET, purtroppo condivisa anche dai sin-daci, di non svalutare la partecipazione, trova origine esclu-sivamente nell’esigenza di codesti amministratori di sot-

La sceltaoperata dagli

amministratoridi STET

trova origineesclusivamente

nell’esigenza di sottrarsi aduna clamorosa

sconfessione del proprio

operato

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trarsi ad una clamorosa sconfessione del proprio operato; eparticolarmente eloquente risulta, al riguardo, l’assenzanella nota integrativa di una esauriente e coerente informa-zione sulle forti criticità che caratterizzavano il business.

Il descritto operato di amministratori e sindaci di STETdeve esser ritenuto, pertanto, fortemente criticabile giacchéattuato in violazione del preciso disposto dell’art. 2423 bis,1° comma n. 1, del codice civile (vecchio e nuovo testo), amente del quale la valutazione delle voci di bilancio deveessere effettuata secondo prudenza, e comunque in paleseviolazione dei richiamati principi di chiarezza, veridicità ecorrettezza del bilancio di cui all’art. 2423 del codice civi-le (vecchio e nuovo testo).

La violazione di tali principi integrava l’ipotesi - ampia-mente suffragata dalla rigorosa e restrittiva giurisprudenzadell’epoca - di false comunicazioni sociali, prevista e puni-ta dall’art. 2621 n. 1 codice civile nel testo vigente primadella riforma dei reati societari introdotta dal D.Lgs. n.61/02; ma la descritta normativa di riforma, entrata in vigo-re il 16 aprile 2002 e pure aspramente criticata dalle oppo-sizioni, è paradossalmente intervenuta a complicare leindagini svolte dalla Procura della Repubblica di Torino,giacché queste (a nostro parere), non risultavano indirizza-te ad individuare i profili di cui all’attuale art. 2622 codicecivile, posto dalla recente sentenza n. 25887 del 16/6/2003delle Sezioni Unite Penali della Corte di Cassazione, incontinuità normativa con il vecchio art. 2621 cod. civ.

Solo una decisa accelerazione di dette indagini - nelsenso sopra indicato - da parte dell’Autorità Giudiziaria diTorino, anche per gli incombenti termini prescrizionaliintrodotti dalla citata riforma del diritto penale societario,potrebbe contribuire a definire con tassativa chiarezza iprofili di rilevanza penale rinvenibili nel segnalato com-portamento di amministratori e sindaci di STET.

Ed invero, anche l’ing. Tebrio ROSATI, nel corso del-l’audizione del 5 marzo 2003, sottolinea che le valutazioniposte a base dell’acquisizione si fondavano su un businessplan che, avendo a riferimento un arco temporale piuttosto

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lungo, era inaffidabile basandosi su un tassodi conversione del dinaro che, a distanza ditempo, non era assolutamente prevedibile.

È doveroso svolgere ancora alcune valu-tazioni:

l’esperienza insegna che la sopravvaluta-zione di una partecipazione (il pagamento

di un prezzo incongruo) è la via “tecnica” normalmenteadottata per la costituzione di una provvista “in nero”, lacui utilizzazione può avere finalità facilmente “intuibili”;

non può affatto escludersi – anzi, è fortemente probabi-le – che, anche nel caso in esame, la sopravvalutazioneabbia avuto finalità di costituire una provvista “in nero”;

per completezza di analisi, va ricordato che l’operazio-ne in questione inizia in fase preelettorale (anno 1995) e siconclude in fase postelettorale (giugno 1997), rispetto alleelezioni politiche della primavera del 1996;

sembra, infatti, non plausibile – sul piano fattuale e logi-co – che si sia voluto fare un ulteriore regalo (e cioè il paga-mento di un sontuoso sovrapprezzo) a MILOSEVIC, oltreal grande affare che gli si consentiva di concludere conl’acquisto di una partecipazione il cui valore doveva esserefortemente “deprezzato” dall’alto rischio-Paese, senzaalcuna due diligence seria (tanto da non prendere in consi-derazione le fortissime passività emerse dopo la conclusio-ne dell’affare), senza convertibilità del dinaro (che preclu-deva qualsiasi forma di “ritorno” dell’investimento) e conuna percentuale minoritaria (che lasciava P.T.T., socia mag-gioritaria, assolutamente padrona della situazione).

L’esecuzione delle rogatorie trasmesse in vari Paesi(Serbia, Grecia, Austria, Germania, Svizzera, Inghilterra,ecc.) ha offerto e potrà ancora offrire utili e significativielementi per la individuazione del (i) percorso (i) seguiti dadetta provvista per raggiungere uno o più (occulti) destina-tari.

Certamente, non sfugge l’estrema difficoltà di tale rico-struzione, con particolare riferimento alla prima tranche(circa 700 mila marchi) del prezzo, atteso che la stessa –

Le valutazioniposte a base

dell’acquisizio-ne si fondavano

su un business plan

inaffidabile

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come ha precisato LARDERA – fu pagata in contanti (o,meglio, mediante trasferimento da un conto all’altro).

In conclusione, vi è stata una “mala gestio” (in pienaconsapevolezza) dell’operazione TELEKOM SERBIA,tanti e tali erano gli aspetti negativi (se non illeciti) che laconnotavano.

È singolare che il presidente PRODI(nella sua memoria estratta dal sito ufficia-le del Presidente Prodi), pur sostenendo cheil Governo non abbia preso, in alcun modo,parte all’operazione, si senta in dovere didifendere l’economicità e la convenienzaeconomica dell’operazione stessa.

A sostegno della sua tesi, PRODI mettein risalto il fatto che le azioni Stet abbianoavuto un incremento di valore a partire dal 9 giugno (8.409lire) – cioè dal giorno della stipulazione del contratto diacquisto della partecipazione nella Telekom - Serbia – finoa raggiungere il loro apice il 18 luglio (11.461 lire).

Analoga progressione avrebbe subito il corso delle azio-ni Telecom.

Romano PRODI prosegue facendo leva sul successodell’operazione di privatizzazione, per affermare che lastessa avrebbe comportato un’entrata di circa 26.000miliardi di lire e che, quindi, non avrebbe influito in alcunmodo sul ricavato che il Tesoro ottenne dalla vendita alpubblico delle azioni Telecom.

Infine, PRODI conclude sostenendo che la minusvalen-za conseguente alla svalutazione della partecipazione nellaTELEKOM-SERBIA abbia inciso – per effetto delle alie-nazioni dovute alla privatizzazione – per meno del 4 percento, cioè per circa 10 milioni di euro.

Il ragionamento di PRODI è viziato sotto molteplici pro-fili, tutti di natura economica. (Politicamente è improponi-bile; se si ricorre alla tesi del “nulla sapevo”, diventaimpresentabile).

Non può essere ritenuto corretto porre a confronto l’an-damento di borsa delle azioni STET e Telecom con l’indi-

È singolare che il presidenteProdi si senta in dovere di difenderel’economicità e la convenienzaeconomicadell’operazionestessa

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ce MIB 30. Infatti, mentre le azioni STET – nel periodointeressato - hanno fatto registrare un incremento del36,29%, l’indice MIB 30 ha avuto un incremento del21,26%.

Va evidenziato, innanzi tutto, che l’incremento di valoredei titoli STET debba essere inquadrato in un più generaletrend (fortemente) positivo dell’intero mercato azionario (enon, certamente, riferito all’acquisto della partecipazione inTelekom-Serbia); verosimilmente, poi, il maggior incre-mento fatto registrare dalle azioni STET deve essere ricon-dotto ad un certo favore dei risparmiatori verso i titoli tele-fonici, anche rispetto alle prospettive di privatizzazione cheormai si stavano concretizzando. Non è corretto, poi, ritene-re che la valutazione offerta dal mercato esprima compiuta-mente il valore economico di una società. Infatti, il prezzodi mercato nasce dall’incontro fra la domanda e l’offerta,che – come è noto - sono influenzate da una moltitudine divariabili, quali ad es. l’ottimismo che in un determinatomomento anima i risparmiatori. Al contrario, il valore effet-tivo di una società è determinato da componenti, quali laconsistenza patrimoniale, le aspettative di reddito e così via,che non sono condizionate da fattori psicologici. Non vi èdubbio – alla luce delle ampie considerazioni svolte nellapresente relazione – che tali parametri abbiano subito unapesante influenza negativa dall’operazione. E le ripercus-sioni di tali effetti negativi sono stati successivamente rece-piti sotto forma di svalutazione della partecipazione.

Ma vi è di più. PRODI afferma che nonvi è stato – se non marginalmente - undanno in capo al Tesoro, poiché il corsodelle azioni ha subito un incremento suc-cessivamente all’operazione. Tale ragiona-mento è privo di senso. Sarebbe come dire:il fumo non fa male, tant’è che vi sonofumatori che vivono fino a ottant’anni.Certo, questo in alcuni casi è vero, ma se glistessi soggetti non fumassero probabilmen-te vivrebbero fino a novanta... In altri ter-

Prodi affermache non

vi è stato un danno in

capo al Tesoro,poiché il corso

delle azioni ha subito

un incrementosuccessiva-

mente all’ope-razione

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mini, non ha senso ritenere che l’operazione non sia statadannosa per il Tesoro soltanto perché la quotazione delleazioni ha avuto un incremento. Infatti, se l’operazione nonfosse stata posta in essere l’incremento avrebbe potutoessere ben maggiore. Quindi, un danno, in occasione dellaprivatizzazione, sicuramente vi è stato.

Infine, sembra riduttivo sostenere che il Tesoro nonabbia subito – se non marginalmente – effetti negativi dallasvalutazione, in quanto la partecipazione nella TELECOMITALIA è stata progressivamente trasferita ai risparmiatori,al punto che nel 1998 essa ammontava a meno del 4 percento. Infatti, se è vero che la svalutazione non ha gravatosul Tesoro è altrettanto vero che ha, comunque, comporta-to un grosso sacrificio per i risparmiatori, che si sono vistisvilire il valore delle azioni.

Detti aspetti di forte negatività meritano un adeguatoapprofondimento da parte della competente Procura diTorino, travalicando, gli stessi, l’ambito discrezionale diuna normale valutazione economica.

Sarebbe un grave errore sostenere che l’accertamento aposteriori del “valore” di un’azienda oggetto di acquisizio-ne è pressoché impossibile, di guisa che sarebbe certo (ecostoso) il fallimento di un’indagine peritale che avessequesto obiettivo.

Questo convincimento presuppone una coincidenza fravalore e prezzo. E non è così: il valore è un dato oggettivo;il prezzo è determinato dall’incontro fra l’offerta e ladomanda e, dunque, è influenzato da molte variabili (quali,ad esempio, gli obiettivi e la “forza contrattuale” delle dueparti in gioco, elementi psicologici, e così via).

Di conseguenza, è sempre possibile – con un rassicuran-te grado di attendibilità – ricostruire il valore di una parte-cipazione, pur tenendo conto della difficile scelta in ordineal peso da attribuire alle diverse variabili che entrano ingioco; scelta che deve, peraltro, sempre essere basata sulladiscrezionalità tecnica del valutatore e non sull’arbitrarietà(es. mancata verifica dei dati forniti).

In definitiva, è sempre possibile esprimere un giudizio

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di attendibilità della valutazione, soprattutto laddove ilrange fornito dall’advisor sia particolarmente ampio.

È, poi, di scarso pregio obiettare che l’eventuale soprav-valutazione di Telekom Serbia abbia avuto un’origine percosì dire fisiologica, derivante cioè da logiche imprendito-riali che, come tali, sono e debbono restare estranee all’in-dagine penale.

Invero, se il valore della partecipazione è un dato, entrocerti limiti, obiettivo, un giudizio diverso – come si è scrit-to – deve essere formulato per il prezzo; questo risente diuna pluralità di variabili che hanno spesso carattere psico-logico (es. ottimismo in relazione ad un’operazione) e cheben difficilmente possono essere quantificate.

Tuttavia, quello che si può dire con unsufficiente grado di certezza è che, in rela-zione all’affare Telekom-Serbia tutte levariabili soggettive dovevano indurre l’ac-quirente a comprimere il prezzo anziché agonfiarlo. Non si poteva, infatti, ritenereche la situazione della Serbia potesselasciare spazio a valutazioni positive o, peg-gio ancora, a giudizi di ottimismo.

In altri termini, il prezzo avrebbe dovuto in ogni casoessere fissato al minimo della valutazione fornita e non inuna zona intermedia.

In definitiva, la sopravvalutazione della partecipazionenella Telekom-Serbia non poteva trovare riscontro in arbi-trarie logiche imprenditoriali, che – si ribadisce – avrebbe-ro ragionevolmente condotto ad una sottovalutazione piùche ad una sopravvalutazione. Si deve, dunque, ritenere chele reali motivazioni dell’operazione debbano essere ricer-cate al di là di semplicistici giudizi di opportunità econo-mica, escludendo che la situazione della Serbia potesselasciare spazio a valutazioni positive o, peggio ancora, agiudizi di ottimismo.

Appare ovvio, comunque, rilevare che una “mala gestio-ne “siffatta comporta un’immane responsabilità, di cuiriesce assai arduo immaginare si sia fatto carico, “in splen-

Tutte le variabilisoggettivedovevano

indurrel’acquirente

a comprimere il prezzoanziché

a gonfiarlo

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dida solitudine”, un solo manager – per quanto autorevole,come TOMMASI di Vignano – senza adeguate coperturepolitiche.

In realtà, la mala gestio che si coglie chiaramente nel-l’affare TELEKOM-SERBIA presenta chiare e forti conno-tazioni politiche, sia sul piano della politicainterna che su quello della politica estera.Rinviando ai capitoli sulle responsabilitàsingole e collegiali dei protagonisti dell’e-poca (PRODI, DINI, FASSINO), escluden-do, per correttezza di mandato, ogniapprezzamento sulla scelta di politica este-ra (peraltro ininfluente nella presente anali-si, perché negata in radice la conoscenzadell’affare), rinunciando quindi alla sugge-stione etica (e non solo) di avere offerto con 897 miliardiuna essenziale “bombola d’ossigeno” al sanguinario ditta-tore che continuò il potere quando appariva boccheggiantee armò la imminente guerra col danaro generoso che finan-ziava i proiettili anche contro i nostri soldati in Kossovo(mandati dalla stessa politica rianimatrice del dittatore),osserviamo in linea tecnica: non risulta affatto che i verticidel Ministero degli Esteri e dell’azienda STET-TELECOMITALIA, e il Presidente del Consiglio, per obbligo di vigi-lanza, si siano preoccupati – alla luce delle provate segna-lazioni – del probabile uso distorto che sarebbe stato fattodall’ingentissima somma pagata, con nostro grave dannoerariale e patrimoniale, conseguente all’uso privato serbodel pubblico danaro italiano.

Non emerge – sul piano documentale e testimoniale –alcun intervento diretto a “suggerire” (a coloro che condu-cevano la trattativa) l’adozione di clausole che garantisserouna corretta destinazione della somma (che non poteva nonessere quella del versamento della stessa nelle casse diTELEKOM-SERBIA).

La politica estera è sullo sfondo. Restano la coscienzadella politica e un pesantissimo interrogativo sospeso: unaffare buono può creare, per congiunture varie, imprevedi-

La mala gestioche si cogliechiaramentenell’affareTELEKOM-SERBIApresenta chiare e forticonnotazionipolitiche

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bili situazioni disastrose. Ma una iniziativa disastrosa dal-l’origine, aggrava irrimediabilmente la responsabilitàanche per le conseguenze dirette e indirette.

Chi governa paga impreviggenza, incompetenza, super-ficialità, mancata confessione di colpe gravi, condottenegative produttive di gravissimo danno nei confronti dellacomunità nazionale.

Questo è principio che può definirsi condiviso. Ma èprovato in rapporto alle dinamiche dei fatti ? Procederemoper singole responsabilità.

Il Presidente del Consiglio dell’epoca Romano Prodi

In spregio alla previsione di cui all’art. 95 della Costitu-zione, ha sempre sostenuto che nulla sapeva e comunquenon era suo compito occuparsi di quella operazione, anchese AGNES riferisce che era proprio lui il “mandante” delsiluramento “perché non prono” come TOMMASI (RASI),oltre ad essere, PRODI, sicuramente informato: “L’IRIassolutamente doveva sapere. Quando dico l’IRI, dico ilGoverno, perché l’istituto ne è tramite” .

Opinionisti non di destra attaccano questa posizione..olimpica sino all’ironia.

PANSA: “La prima è quella già usata contro il Cava-liere per le illegalità, vere o presunte, della Fininvest: luinon poteva non sapere. Chi sta in cima a una piramide dipotere, non può non conoscere che cosa va facendo chi glista sotto. Valeva per il Berlusca? Allora vale anche perRomano PRODI & C. Anzi, come ha sostenuto AlessandroCorneli, editorialista del “Giornale”, loro “dovevanosapere”: “Questo è il cuore del problema, più importantedelle eventuali tangenti” Ancora: “Dire sino in fondo tuttala verità su Telekom Serbia, spiegare e spiegarsi dinanziall’opinione pubblica italiana, soprattutto a quella di cen-tro-sinistra. I nostri amici dell’Ulivo hanno cominciato afarlo troppo tardi e male. E non di loro iniziativa, ma per-ché spinti dai dubbi, dalle domande ansiose e anche dalle

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incavolature di una parte della loro base partitica ed elet-torale.

Del resto, nella mia piccola pretesa ormai sono in otti-ma compagnia. A cominciare da quella di eminenti opinio-nisti di provata fede ulivista, che hanno iniziato a fare lemie stesse domande. Domande incoraggiate da interviste-boomerang di uomini un tempo al governo dell’Ulivo che,vestendo i panni di Biancaneve, ripetono tetragoni: “Hoappreso di Telekom Serbia da qualche trafiletto di giorna-le”. “Mi dicono che PRODI sia moltopreoccupato. E stia domandando ai suoicome reagirà l’opinione pubblica italianaal momento del voto europeo, tra qualchemese. Ha ragione di esserlo. Quando sicommette un errore e non si rimedia subito,il seguito ricorda il detto che al peggio nonc’è mai fine”. (G. PANSA “L’Espresso” 25.09.2003)

MERLO: “…penso anzi che né PRODI né FASSINOabbiano intascato tangenti, per questo o per altri affari.Tuttavia l’acquisto del 29% di Telekom Serbia era un affa-re di Stato e non è credibile che gli uomini dello Stato nonsapessero quel che faceva lo Stato. Addirittura la difesacon il ‘non sapevo’ è peggio dell’offesa. Troppe sono leimplicazioni di politica estera”. (F. MERLO “Oggi”24.09.2003).

EZIO MAURO, parlando all’inizio di ottobre alla tra-smissione di Raitre “Primo Piano” ha detto che il governonon poteva non essere a conoscenza della compravendita diTelekom Serbia e che sospetta il pagamento di tangenti.(“Il Cavaliere e il Professore” di B. Vespa ).

RINALDI: “A prescindere dalle assurde tangenti di cuifavoleggia il faccendiere Igor MARINI, infatti, l’acquistodi una quota di Telekom Serbia durante il governo PRODIfu un grave errore. Finanziario, perché Telecom Italia, nel1997 ancora controllata dallo Stato, pagò un prezzo altis-simo; politico perché l’operazione fornì denaro fresco allabieca tirannia di Slobodan MILOSEVIC”. (C. RINALDI“L’Espresso” 28.08.2003).

“Ho appreso di TelekomSerbia da qualchetrafiletto di giornale”

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Il tema è quindi: è istituzionalmente colpevole perchésapeva e non intervenne o lo è di più se non sapeva doven-do sapere?

Anche un semplice addetto ai lavori segue la stampa, e,senza ricorrere ad ipotesi, ricordiamo RAMPOLDI, che il 6giugno ’97, (a tre giorni dalla firma dell’affare!) scrive suRepubblica: “Cautela seguita anche nell’affare italo-serbosulla telefonia, con gli uomini della Stet che sbarcavano aBelgrado proprio nel giorno in cui PRODI era in visita aZagabria con stuolo di imprenditori al seguito”(Il Foglio,13.09.2003). E, ancora, commentando la dichiarazione diPRODI su una equidistanza italiana nei Balcani, il RAM-POLDI del giugno 1997 spiega che “così PRODI è statoinformato che la politica estera del suo governo è tutt’al-tra”.

Quindi era sul posto il presidente del Consiglio quandomaturavano eventi di rilevante spessore per il denaro delcontribuente italiano, coinvolto in quella operazione per il61%.

Ma era già fortemente partecipe dei rischi di quel Paesecontraente.

Infatti: il 18 gennaio ’97, prima della conclusione, conuna “Relazione sulla politica informativa e della sicu-rezza”, “presentava” al Consiglio dei Ministri la situazioneambientale: “Nella regione balcanica, il protrarsi di ten-sioni etnico-sociali rende estremamente precaria la stabili-tà interna di quasi tutte le Repubbliche ex Jugoslave, conripercussioni nei settori politico-istituzionale, economico emilitare.

Nella ex Yugoslavia, nonostante la firma di accordi dinormalizzazione delle relazioni bilaterali, culminati con ilreciproco riconoscimento degli Stati nati dalla dissoluzio-ne della Repubblica Socialista Federativa Jugoslava(RSFJ), si rileva una situazione di perdurante instabilità.Questa, oltre ad essere alimentata dalla mancata definizio-ne dei contenziosi territoriali e dalla spartizione dell’ere-dità politica e dei beni della RSFJ, rischia di estendersiulteriormente a causa della grave crisi politica innescata-

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si a Belgrado.(…) Perdurano, infatti, attriti interetnici,favoriti dal rafforzamento dei partiti nazionalisti dopo leelezioni presidenziali, politiche e cantonali di settembre.Sono presenti anche rischi connessi alla crescente influen-za dei fondamentalisti islamici, alla mancata consegna deicriminali di guerra e al programma internazionale di riar-mo delle Forze Armate della Federazione Croato-Mussul-mana, percepito dai serbo-bosniaci come un tentativo dirafforzamento della parte avversa”.

“Nella Repubblica Federale Jugoslava, le imponentimanifestazioni di protesta, dopo l’annullamento delle ele-zioni amministrative in importanti città della Serbia, conti-nuano ad essere alimentate anche dalla precaria congiun-tura economica”. (…)

“Si valuta che l’aspirazione popolare alla completademocratizzazione del Paese non sia reprimibile a lungo,anche se la dirigenza di Belgrado non sembra disposta acedere il potere. Ne potrebbe derivare un prolungato perio-do d’instabilità politica, suscettibile di favorire il rafforza-mento delle fazioni ultranazionaliste e di incidere negati-vamente sul processo di normalizzazione dell’intera regio-ne balcanica”.

Subito dopo la firma (agosto ’97), tornava sull’argo-mento: “Profili generali della minaccia”: “L’evoluzionedelle crisi che maggiormente determinano riflessi per lasicurezza nazionale ha confermato la presenza di fattori dirischio, in primo luogo nella regione balcanica, con parti-colare riferimento alla situazione in Albania e in alcuneRepubbliche dell’ex Yugoslavia. Nella ex Yugoslavia, lasituazione permane instabile, soprattutto a causa dei con-tenziosi irrisolti che ostacolano il processo di pace” (…)

“Nella Repubblica Federale di Jugoslavia (RFJ) sisegnalano un deterioramento del quadro politico ed il per-manere di tensioni etnico-sociali.

In Serbia diviene più aspro il confronto tra il Governo el’opposizione, in vista delle elezioni repubblicane, che siterranno entro fine anno” .

Noto e preoccupante il “rischio Paese” (ripetiamo al V°

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grado, il massimo da 1 a 5; la Serbia, primoPaese sui 21 allarmanti), PRODI predicaprincipi lontani dalla grave realtà che siconsumava, praticando inerzia, per comerappresenta i fatti, con... candore da eremi-ta, studioso dei massimi sistemi e non vigi-lante su preoccupanti realtà note.

Ma lui sapeva che era (ed è) vigente la Circolare “IRI”che imponeva la conoscenza preventiva e la vigilanza con-seguente che, se omessa, denuncia l’incapacità del respon-sabile del controllo sull’impiego opportuno e corretto delpubblico danaro. Inoltre PRODI è noto per essere “profes-sore” (quindi tecnico con competenze dirette) prima chepolitico, che potrebbe invocare limitata conoscenza deglistrumenti di analisi e di verifica.

È difficile ipotizzare attenuante alcuna.Ha ragione MENTANA “Il centrosinistra ha una male-

detta paura della vicenda, visto che i suoi leader hannocontinuato a sostenere una linea di assoluta estraneitàall’affare. Ma qui si può ben dire che il governo PRODI“non poteva non sapere” (e sarebbe stato semmai grave ilcontrario). (Enrico MENTANA, “Il Mondo”12.09.2003).

Ha torto, perciò, chi potendo e dovendo spiegare, lo evita!E sarebbe risultato oggettivamente

imbarazzante (comprendiamo il disagio)spiegare come ininfluente nell’affare lasponsorizzazione del “monarca” (così ilprof. ROSSI, ex senatore ds) TommasoTOMMASI ad opera di PRODI e MICHE-LI.

La protezione al TOMMASI dell’expresidente del Consiglio e del suo sottose-gretario alla presidenza è concordementeriferita dal citato sen. prof. Guido ROSSI,da Francesco CHIRICHIGNO, da Ernesto

PASCALE, da Gaetano RASI, da Domenico PORPORA,da Antonio ARGENTINO. Troppi e tutti qualificati!

Prof. PRODI, neppure evocando gli spiriti risulta

Prodi predicaprincipi lontani

dalla realtà,praticando

inerzia con...candore

da eremita

Sarebberisultato

oggettivamenteimbarazzante

come ininfluentenell’affare la

sponsorizzazionedel “monarca”

TommasoTommasi

ad opera diProdi e Micheli

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convincente la tesi che nulla lei sapeva di Telekom Serbia,neppure a livello di obbligatoria informativa e di dettatocostituzionale (il ripetuto art. 95), quando il protagonistaassoluto era un suo uomo, il quale, intervistato, non ha esi-tato a ribadire che il governo (e quindi lei, su tutti) tuttosapeva. Né poteva non sapere, perché doveva sapere!

D’accordo con Merlo: “Non è credibile che gli uominidello Stato non sapessero quel che faceva lo Stato. Addirit-tura la difesa con il ‘non sapevo’ è peggio dell’offesa”...

Il Ministro Lamberto Dini

Sembra un ministro di un altro Stato.Altro “ignaro”, sino alla insofferenza per chi gli chiede

conto istituzionale.C’è una prima folgore che saetta contro il ministro

sospeso nelle nuvole: 14 dispacci (13 telegrammi e una let-tera) che un inutilmente allarmato ambasciatore italiano inSerbia inoltra al Ministero, coinvolgendo il sottosegretariodelegato (FASSINO), che, per come inequivocabilmenteriferisce il diplomatico SANNINO (capo della segreteria diFASSINO), dovevano pervenire (e non poteva non esserlo)alla conoscenza del ministro competente. Così, sul punto,SANNINO, l’ex capo della segreteria di FASSINO, che il09.01.2003 ha rivelato alla Commissione che l’attuale lea-der dei DS informò degli avvisi il Ministro degli Esteri:“FASSINO mi disse che ne parlò a DINI”.

Il ribadito “candore” trova altro significativo (ai finidella conoscenza dell’affare) ostacolo. L’agenzia serba,TANJUG (definita dagli ambasciatori Sessa e Bascone -a confronto in Commissione il 20 aprile 2004 - “l’agen-zia di stato”, “la più importante agenzia del paese”), del9 giugno ’97, lo stesso giorno della conclusione, pubblica:“In occasione della firma dell’accordo fra la P.T.T. serba ele compagnie italiane Stet e Telecom Italia, il Ministrodegli Esteri italiano Lamberto DINI ha mandato un mes-

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saggio al suo omologo iugoslavo Milan MILUTINOVIC:“Nella prima metà dell’anno i rapporti italo-iugoslavi sisono intensificati e sono divenuti più stabili, diceva la nota,soprattutto nel campo dell’economia e del commercio.

DINI ha espresso una valutazione positiva e ha dettoche inspira fiducia il fatto che ulteriori rapporti si possanosviluppare nei migliori interessi dei cittadini dei due paesi.

Il messaggio proseguiva dicendo che l’Italia ha conti-nuato ad osservare attentamente il percorso della Jugosla-via verso la democrazia e le riforme economiche.

DINI ha detto che era soddisfatto di apprendere che leistituzioni di telecomunicazioni dei due paesi e che compa-gnie da paesi terzi si apprestavano a concludere un impor-tante accordo di cooperazione finalizzato alla modernizza-zione e alla promozione dell’efficienza nella regione,accordo che è di grande importanza per assicurare lamigliore possibile comunicazione fra le popolazioni.

DINI ha detto che sperava che l’accordo potesse aiuta-re a migliorare la qualità della vita nella Repubblica Fede-rale Jugoslava in accordo con i valori che la comunitàinternazionale è chiamata ad affermare e sostenere”.

Né il Ministero era estraneo alla materia,tanto che organizza, in data 6 giugno 1997,una importante conferenza (“Il ruolo dell’I-talia nella cooperazione politica ed econo-mica con l’Europa danubiano – balcanica”),che si svolge il 13 giugno (quindi nel cuoretemporale dei fatti) alla Sala Bernini, conl’intervento introduttivo prima di DINI, enel pomeriggio di FASSINO, con invitorivolto al dott. Umberto DE JULIO, diretto-re generale STET.

Ma non è serio nascondersi oltre, quando FASSINO dice(e PANSA lo riporta: “Nell’intervista a Massino Francoper il “Corriere della sera” (1 settembre) dice, in contra-sto con DINI, che “la trattativa era nota”. Afferma che latrattativa “fu conclusa quando Telecom era una società

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Il Ministeroorganizza una

importanteconferenza

(“Il ruolodell’Italia nella

cooperazionepolitica

ed economicacon l’Europadanubiano –balcanica”)

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privata e la presenza dello Stato era irrilevante. Ma questonon è vero perché nell’estate 1997, il 61% della Telecomera ancora del Tesoro” (G. PANSA “L’Espresso”18.09.2003). Poi MERLO: “Se PRODI, FASSINO e DINIvogliono davvero liberarsi della paccottiglia e delle calun-nie ci raccontino perché hanno commesso quell’errore diStato”(F. MERLO “Oggi” 24.09.2003).

“Affare noto” a tutti, tranne che al Presidente del Consi-glio e al Ministro degli esteri?... Né ha dignità di discolpa,scaricare, contro verità, la responsabilità sul governo ame-ricano che concordava, a dire di FASSINO, con gli aiuti aldittatore.

La realtà vuole che DINI e PRODI c’entrano. Infatti,così FASSINO: “Sono l’unico che non c’entra in questastoria della Telecom Serbia, e dovrei espormi proprio io”?(PANSA, Espresso, 25 settembre, pag. 41,). Quindi una pre-cisa indicazione di responsabilità per gli altri due, cioèPRODI e DINI.

Incalzato, poi, da Repubblica che lo definisce “SLOBO– DINI”, e lo colloca al corrente dei fatti, come si difende?Sostenendo che i suoi detrattori di quel giornale (!) sono“manovali della CIA”?…Non appare convincente la spie-gazione. Anche perché l’insospettabileRepubblica, il 16 febbraio 2001, riporta unapesante dichiarazione di Zarco Korac, viceprimo ministro, che scolpisce la situazione:“Il denaro dell’affare Telekom-Serbia servìper sostenere il regime di MILOSEVIC,allora in difficoltà e sì, forse, anche le ope-razioni militari in Kosovo. Quell’affare fuuna dimostrazione di cinismo e un errore diDINI” (La Repubblica, 16.2.2001).

Non commentiamo la scelta di politica estera per corret-tezza di mandato, essendoci preclusa, ma l’errore gravissi-mo può essere scusato con le parole di DINI: “La Cia col-pisce chi non è d’accordo” ?.... (La Repubblica). Anche

Repubblica, il 16 febbraio2001, riportauna pesantedichiarazione di Zarco Korac,vice primoministro, che scolpisce la situazione

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perché l’ex ministro delle telecomunicazioni serbe, BorisTADIC, lancia una sassata in fronte agli avvelenatori dipozzi, a chi cioè schiera “faccendieri” e “dossieristi” pernascondere il marcio, a chi ha dimenticato, per malafede econvenienza, Repubblica e TADIC (16.2.2001!): “L’affareTelekom è stato un caso di corruzione internazionale”.Calunnia? Attendiamo risposte…

È d’accordo anche Francesco Bonazzi, redattore di l’E-spresso, che, in un suo libro di recente pubblicazione(“Telekom-Serbia, l’affare di cui nessuno sapeva”) scri-ve: “Manovali o non manovali della Cia, DINI mettecomunque a segno un incredibile autogol durante il suoaccorato intervento alla Camera del 28 febbraio 2001.Afferma infatti che <l’azionista italiano, a differenza diquello greco, fu determinante nell’impedire che alla presi-denza e nel consiglio di amministrazione di Telekom-Serbiavi fossero uomini del partito di Seselj>. Ora, Vojislav Seseljè il leader ultranazionalista del partito radicale serbo che1998 voleva bombardare l’Italia e dal febbraio del 2003 èdetenuto in carcere a l’Aia, accusato di genocidio e tortu-re. Un contrattempo che non gli ha impedito, alle politichedel dicembre 2003, di essere eletto in Parlamento con unbel numero di voti. DINI deve aver pensato che a raccon-tare di aver fermato un elemento del genere non poteva chefare una gran bella figura. Peccato che così facendo abbiafornito un argomento eccezionale a chi sostiene che ilGoverno sapesse perfettamente tutto su Telekom-Serbia,visto che partecipava perfino alle manovre consiliari.”.

E infine, come intendere l’affermazione di Filippo diRobilant, che, presente a Rambouillet comemembro del gruppo di esperti internaziona-li che assisteva la delegazione kosovara hadichiarato: “Nel gruppo di contatto, se siescludono i Russi, gli unici amici di Belgra-do erano i componenti della delegazioneitaliana. Ascoltai con le mie orecchie JamesRubin, il portavoce di MadeleineALBRIGHT, dire: mi vergogno di ripetere

Nel gruppo di contatto,

se si escludonoi Russi, gli

unici amici diBelgrado erano

i componentidella

delegazioneitaliana

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quel che DINI sta dicendo alle nostre riunioni”. In queigiorni ci si chiese il perché di quell’atteggiamento italianocosì subalterno. La risposta mi fu data da due dei miei col-leghi delle delegazione. Avevamo lavorato al Dipartimentodi Stato USA, erano stati ai colloqui di Dayton. Ebbene,entrambi indicarono nell’affare Telekom una delle ragionidella posizione di Lamberto DINI”. Calunnia continuata?Perché la persona offesa DINI Lamberto, tace, e da vicepresidente del Senato, si rifiuta di rispondere a una Com-missione istituita per volontà di Camera e Senato? Non ètroppo?

Il Sottosegretario Piero Fassino

In ragione del ruolo successivo e attuale (segretario delmaggiore partito di opposizione), FASSINO non riesce aconvincere gli opinionisti di sinistra.

Che scrivono: “FASSINO deve dirci di più e con mag-giore schiettezza”. (PANSA “L’Espresso” 25 settembre2003).

“La partecipazione greca non sorprende… meno scon-tata è la presenza trainante di una società italiana in unaffare che, per quanto dinamica sia la Stet, non potevaessere avviato senza l’incoraggiamento, o almeno il silen-zio-assenso, della Farnesina”. (G. RAMPOLDI “LaRepubblica” 1997).

Poi gli opinionisti moderati (due su tutti: OSTELLINOe ROMANO)

OSTELLINO: “Ora, la stragrande maggioranza degliitaliani pensa che proprio di una “questione morale” indi-viduale si tratti, cioè, in definitiva, che, nella circostanza,non fossero in gioco l’interesse generale, collettivo, leragioni dello Stato, bensì solo squallidi interessi personali.In definitiva, che siano corse le tradizionali tangenti... se siparagona l’attuale comportamento degli uomini al gover-no all’epoca dell’affare Telekom Serbia con quello tenutoda Bettino Craxi in Parlamento dopo lo scoppio di Tan-

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gentopoli, è impossibile non rilevare la differenza di statu-ra politica fra gli uni e l’altro. Qui, i silenzi imbarazzantidi chi non sa politicamente come uscirne; là, l’orgogliosachiamata di correità nello scandalo del finanziamento ille-gale della politica, con l’assunzione di una responsabilitàpolitica che si estendeva all’intero quadro politico. Craxifu ugualmente sconfitto. Ma non per aver preso le tangen-ti, bensì dall’incapacità dei suoi simili di assumerseneanch’essi la responsabilità politica. È quello che rischianooggi gli uomini di Telekom Serbia. Anche se, paradossal-mente, le tangenti non le hanno prese”. (P. OSTELLINO“Corriere della Sera” 6.9.2003).

ROMANO: “Non ho capito e non mi hanno convintocerte dichiarazioni d’esponenti del governo di allora, inparte corretta, che dichiarano di non saperne nulla. Que-sto non è possibile, non è immaginabile. Direi di più: senon sapevano avrebbero avuto il diritto di arrabbiarsi conTelecom, perché una grande impresa nazionale che va inun paese travagliato da problemi politici come la Serbia enon dice nulla al suo governo, pecca di leggerezza. Sareb-be stato più normale che il presidente del Consiglio di allo-ra, ora presidente della Commissione Europea, avesseammesso che gliene avevano parlato e che lui aveva dettodi fare loro. Era una responsabilità dell’impresa. Non lo sose sia stata leggerezza. Mi ha colpito però il fatto che nonabbiano detto subito, immediatamente, di essere al corren-te”. (“La provincia di Sondrio”intervista a SergioROMANO 10.10.2003 ).

Ma nel tentativo di scolorire l’importanza della condot-ta istituzionalmente negativa, FASSINO incorre in un

grave infortunio, quando, in una sua intervi-sta pubblicata dal Corriere della Sera il 1°settembre 2003, vuole presentare quell’ope-razione come destinata alla indifferenzaperché “la presenza dello Stato era irrile-vante”.

Chi ama la polemica potrebbe osservare:se il 61% è... “irrilevante”, a quali mani

Nel tentativo di scolorire

l’importanzadella condotta

istituzionalmen-te negativa,

Fassino incorrein un grave

infortunio

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saremmo affidati in caso di ricambio governativo…?Se poi, per evitare ripetizioni, egli si mostra più.. terre-

stre degli altri per la notorietà dell’operazione, (il capodella sua segreteria, il diplomatico SANNINO lo stringeall’angolo nelle sue audizioni), non torneremo sulla gaffeinternazionale dell’incoraggiamento, contro verità, degliUSA. Basti ricordare: James RUBIN, MadeleineALBRIGHT e Bob GELBARD, tutti a smentire FASSINOin ordine agli ammiccamenti degli USA a quel sanguinarioregime.

Resta sullo sfondo un quesito: ai cercatori di scuse(umanamente comprensibili se la richiesta è rivolta agliautori dell’offesa e non ai soggetti istituzionali obbligati asentirli) non è mai venuta l’idea di chiedere loro scuse agliitaliani per cinquecento miliardi (almeno) regalati al ferocedittatore (montagne di cadaveri a Kostunica!), per le gra-vissime negligenze e imprudenze che squalificano chi hagovernato e pretende di governare ancora le parti offese,cioè il popolo italiano?

Come intendono risarcirlo? Insultando chi chiede spie-gazioni? Evitando di darle in una sede parlamentare? Ognipossibile alibi cade davanti ai doveri, derivanti da pregres-se funzioni governative.

Per chiudere il tema “scuse” e quello più politico “per-sone non informate dei fatti”, interviene Bonazzi, che nelsuo già citato libro, scrive: “Sulle responsabilità politiche eistituzionali dell’affare Telekom, gli italiani non hanno sen-tito una sola parola di scuse da parte dei politici. I variProdi, DINI..., FASSINO e MICHELI si sono nascosti die-tro a un dito (…) Eppure (…) per chi sostiene di non esser-si arricchito non dovrebbe essere poi così difficile alzarsiin piedi, dire una frasetta mai pronunciata in decine di sde-gnose interviste: “Su Telekom-Serbia abbiamo commessoun grave errore politico”.” Scuse, insiste l’autore, chedovrebbero essere rivolte anche ai “serbi e kossovari chegrazie ai nostri soldi hanno subito un dittatore più a lungodel dovuto”.

Il tema del capitolo? “Senza vergogna”.

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Conclusione

Si è sviluppato negli ultimi anni, in Italia, un organismosenza sede fissa, ma con poteri diffusissimi, con facoltà dirilasciare attestati, non sottoposto a verifica tutoria: il cen-tro di delegittimazione permanente.

A sinistra siede un sinedrio di violenza ideologica, chestabilisce, quando conviene, di liquidare l’avversario sco-modo privandolo della patente di agibilità istituzionale edemocratica. La regola è semplice: tu disturbi, io punto asporcare la tua immagine, quella della tua parte politica, latua comunità; sei delegittimato.

Gli strumenti ad effetto immediato sono i partiti, gliorgani di comunicazione, le centrali fiancheggiatrici di dis-informazione, tanto ostinati quanto coordinati, forti dellacollaudata prassi secondo cui la menzogna tradotta in ripe-tuti luoghi comuni, in slogans di massa, finisce col diven-tare versione ufficiale e perciò “verità”.

Che poi tutto si dissolva davanti alla reale storia dei fatticonta relativamente, perché il danno è fatto.

Contro tale cinismo, gli onesti oppongono la fiducianelle prove, che, nel nostro caso, abbiamo rassegnato inmodo organico.

A definitiva dimostrazione del sistema di corruzionedella verità, ricordiamo come certa stampa militante si sia

scatenata in una forsennata campagna d’o-dio e di mistificazione in difesa del centro-sinistra e perciò contro la CommissioneTelekom Serbia. I teorici del “senza se esenza ma” sono però gli stessi (!) che sco-prirono quell’affaraccio Telekom Serbia,“condotto dal governo del centro-sinistra inmodo obliquo e concluso peggio” (!). Neigiorni poi di maggiore violenza intimidatri-

ce non potevano non ammettere (27.9.2003, Repubblica,pagg. 1-2): “Confonde ancor di più la trattativa l’apparen-te, assoluta indifferenza del governo (azionista di riferi-mento del monopolista della telefonia italiana) dinnanzi a

Una forsennatacampagnad’odio e di

mistificazionein difesa del

centro-sinistra e perciò contro

la CommissioneTelekom Serbia

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un affare che di fatto ‘salva’ Slobodan MILOSEVIC dallaspallata dell’opposizione”.

Ogni commento offenderebbe l’interprete davanti all’e-loquenza di una lapide, che non può essere nascosta dallateoria di “manipolatori e dossieristi”, mai ammessi in Com-missione. Perché se tali fossero stati col perverso scopo diservire da sponda al solitario (così sinora appare) IgorMARINI, i sempre evocati Zagami, Di Stefano, Dejana,Pazienza, VOLPE, (il solo a presentarsi avanti la Commis-sione, perché legittimamente richiesto, a confutazione, dalcentro sinistra), e altri demonizzati dal centro-sinistra,sarebbero stati ospiti fissi nella nostra indagine. Ci vantia-mo, invece, di avere esorcizzato, con intelligente barriera diprudenza, il nostro organismo, rimasto indenne da presun-te e mirate contaminazioni, avendo fornito la prova dellanostra impermeabilità ad ogni trama, che, se esistente, èrimasta fuori dalla nostra aula istituzionale.

Il riconoscimento senza enfasi (ai doveri non sono dovu-ti incensi) si estende all’opposizione per il lungo tempodella collaborazione leale e costruttiva, soprattutto nellacritica, quando necessaria, eppure ingenerosamente attac-cata dai soliti “legittimatori” che l’hanno definita “troppopigra, distratta, intimorita, paralizzata” (27 sett. 2003, LaRepubblica).

Quasi una perfetta circonvenzione d’incapaci ad operadella maggioranza… È offesa ingiusta e grave, a dimostra-zione della campagna d’odio che non rispetta storie e valo-ri.

L’ulteriore attività da svolgere, le rogatorie non ancoraavviate (per endemico ritardo di tali adempimenti interna-zionali), gli importanti testi in agenda, numerosi e signifi-cativi, ogni legittimo ulteriore approfondimento, conferi-scono il carattere di provvisorietà alla presente relazione,volta a dimostrare “le molte ombre di quell’affare... nel-l’apparente indifferenza di quel governo, mentre non si èriusciti a superare la soglia degli imbarazzanti e autorevolisilenzi di chi, a Roma, doveva sapere e non seppe o non

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volle sapere o seppe tacendo ieri e tacendo oggi”. (AncoraRepubblica alle pagg. 14 e 15, e non all’inizio dei fatti, madurante il ciclone MARINI: 4 luglio 2003!)

Abbiamo avvertito la necessità d’informare il Parlamen-to per evitare ulteriore corruzione della verità, dovendo iltema istituzionale prevalere sulle variabili, inevitabili inmateria tanto delicata, e con soggetti sconosciuti, impreve-dibili e perciò rischiosi.

Senza perciò dare il sigillo della definitività ribadiamola nostra disponibilità laica all’esame di successivi fatti ecircostanze, se ci saranno consentiti opportuni tempi d’in-dagine.

Vada il forte riconoscimento a tutta la Commissione(anche alle parti politiche ora assenti, che, per quasi i trequarti dei nostri lavori, ci hanno sostenuto con deliberazio-ni quasi sempre unanimi) e l’ammissione di inevitabileincompletezza, ma di ricerca appassionata, rigorosa e com-plessa per offrire un quadro il più organico possibile, per-fettibile ma riscontrato, antidoto all’inevitabile corso dellepolemiche. Rispettate, se oneste.

Sia gratitudine istituzionale e umana, infine, agli espertie collaboratori per la riconosciuta qualità della loro opera.

Non in Commissione, ma in Procura a Torino

I tre, PRODI, DINI e FASSINO, da notizie di stampache sia allegano ( “La Stampa” del 17 e 20 aprile 2004),convocati a Torino si sentono a loro agio (visti i ripetutidinieghi a presentarsi davanti a un organismo parlamentared’inchiesta) e dichiarano (così è scritto) circostanzeimpressionanti.

PRODI, sebbene ribadisca che non sapeva della trattati-va, ragiona sul prezzo pagato da Telecom Italia nel giugno1997 per l’acquisto di una partecipazione in Telekom-Ser-bia. Quindi un opinionista e non un Presidente del Consi-glio con i noti obblighi di conoscenza e vigilanza!

DINI e FASSINO: Fassino in quel contesto (“autunno

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96 e il gennaio successivo”) riceve “informazioni sulle trat-tative per la cessione italiana a Telecom Italia di una parte-cipazione nella società telefonica serba e ne riferì a Lam-berto DINI e l’allora ministro degli esteri sciolse ogni pos-sibile questione di opportunità ribadendo la scelta di noningerenza”.

In attesa di leggere i verbali d’interroga-torio già richiesti, osiamo dire: tutti sapeva-no; tutti hanno dichiarato di non sapere(FASSINO spariglia un po’ il fronte, aven-do registrato le imbarazzanti dichiarazionidel suo capo-segreteria Sannino), ora, fol-gorati sulla via di Torino, si smarcano come possono, marestano impigliati in una certezza confessata: sapevano enon intervennero. Anzi: DINI spiega la teoria del non inter-vento, PRODI abita su Marte e si limita a ragionare sulprezzo, che, ovviamente, reputa congruo.

Ora comprendiamo definitivamente l’orientamento delnon presentarsi in Commissione, atteso che “l’interessedella testimonianza resa” ai magistrati di Torino “è solopolitico”.

Da ciò la spiegazione: essendo l’interesse “solo politi-co”, avendo la nostra Commissione un “interesse solo poli-tico”, era perciò funzionalmente abilitata a sapere.

Non essendo comparsi, hanno offeso non noi, ma il Par-lamento che rappresentiamo. E se per loro vale qualcosa, ilPopolo italiano che ha il diritto di conoscere. O no?...

Tutti sapevano;tutti hannodichiarato di non sapere:sapevano e nonintervennero

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Supplemento al numero odierno di Libero

Direttore: Vittorio FeltriDirettore Responsabile: Alessandro Sallusti

Reg. Trib. Bolzano N. 8/64 del 22/12/1964

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