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Problemi Inversi Elisa Francini Anno accademico 2005/2006 Indice 1 Che cosa sono i problemi inversi 2 2 Esempi di problemi inversi 6 2.1 Tomografia .............................. 6 2.2 Prospezione geologica ........................ 9 2.3 Termografia .............................. 10 2.4 Problemi inversi di scattering .................... 13 2.5 Tomografia ad impedenza elettrica ................. 16 3 Problemi mal posti 18 3.1 Un esempio: derivazione e integrazione ............... 19 3.2 Due problemi per le funzioni armoniche .............. 22 3.2.1 Il problema di Dirichlet per l’equazione di Laplace .... 22 3.2.2 Il problema di Cauchy per l’equazione di Laplace ..... 23 3.3 Un cenno alle equazioni integrali del primo tipo .......... 25 3.3.1 Equazioni integrali del secondo tipo ............ 26 4 Operatori compatti 28 4.1 Un po’ di analisi funzionale ..................... 28 4.2 Sugli insiemi compatti ........................ 28 4.3 Definizione e propriet` a degli operatori compatti .......... 30 4.4 Teoria spettrale degli operatori compatti .............. 34 4.5 Decomposizioni a valori singolari .................. 37 4.6 Criterio di esistenza di Picard .................... 40 5 Informazioni a priori e stabilit` a 42 5.1 Ancora sull’esempio della derivazione ................ 44 5.2 Un risulato generale di stabilit` a ................... 44 5.3 Stime di stabilit` a per l’equazione del calore all’indietro ...... 46 6 Teoria generale della regolarizzazione 47 6.1 Approssimazione della derivata con il rapporto incrementale da un lato ................................. 48 6.2 Strategie di regolarizzazione ..................... 50 6.3 Filtri regolarizzanti .......................... 52 6.4 Regolarizzazione secondo Tikhonov ................. 55 1

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Problemi Inversi

Elisa Francini

Anno accademico 2005/2006

Indice

1 Che cosa sono i problemi inversi 2

2 Esempi di problemi inversi 62.1 Tomografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 62.2 Prospezione geologica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 92.3 Termografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 102.4 Problemi inversi di scattering . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 132.5 Tomografia ad impedenza elettrica . . . . . . . . . . . . . . . . . 16

3 Problemi mal posti 183.1 Un esempio: derivazione e integrazione . . . . . . . . . . . . . . . 193.2 Due problemi per le funzioni armoniche . . . . . . . . . . . . . . 22

3.2.1 Il problema di Dirichlet per l’equazione di Laplace . . . . 223.2.2 Il problema di Cauchy per l’equazione di Laplace . . . . . 23

3.3 Un cenno alle equazioni integrali del primo tipo . . . . . . . . . . 253.3.1 Equazioni integrali del secondo tipo . . . . . . . . . . . . 26

4 Operatori compatti 284.1 Un po’ di analisi funzionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 284.2 Sugli insiemi compatti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 284.3 Definizione e proprieta degli operatori compatti . . . . . . . . . . 304.4 Teoria spettrale degli operatori compatti . . . . . . . . . . . . . . 344.5 Decomposizioni a valori singolari . . . . . . . . . . . . . . . . . . 374.6 Criterio di esistenza di Picard . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 40

5 Informazioni a priori e stabilita 425.1 Ancora sull’esempio della derivazione . . . . . . . . . . . . . . . . 445.2 Un risulato generale di stabilita . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 445.3 Stime di stabilita per l’equazione del calore all’indietro . . . . . . 46

6 Teoria generale della regolarizzazione 476.1 Approssimazione della derivata con il rapporto incrementale da

un lato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 486.2 Strategie di regolarizzazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 506.3 Filtri regolarizzanti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 526.4 Regolarizzazione secondo Tikhonov . . . . . . . . . . . . . . . . . 55

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1 Che cosa sono i problemi inversi

Per i matematici i problemi inversi sono un argomento molto recente. Il lorostudio e motivato dallo sviluppo tecnologico degli ultimi decenni; ad esempio,alcune delle piu sofisticate macchine per diagnosi mediche (TAC, SPECT, etc)non fanno altro che risolvere problemi inversi: infatti ricostruiscono oggetti 2 e3 dimensionali dalle loro proiezioni.

D’altra parte i problemi inversi hanno invece radici antiche: piu di 2000 annifa Platone nel VII libro de La Repubblica descrive una situazione che risultaun problema inverso: i prigionieri della caverna vorrebbero ricostruire il mondoreale fuori dalla caverna sulla base di informazioni limitate che consistono nelleombre proiettate sul fondo della caverna.

A questo punto l’ideale sarebbe poter fornire una definizione chiara ed in-equivocabile di problema inverso, ma questo non e possibile (almeno non nellostesso modo nel quale si definisce cos’e un gruppo o uno spazio di Hilbert).

Cercheremo di avvicinarci lentamente alla comprensione di cosa sia un pro-blema inverso: alla fine saremo in grado di riconoscere un problema inversoquando lo incontreremo.

Per prima cosa osserviamo che parlare di problema inverso presuppone l’esi-stenza di un altro problema (che viene detto diretto) al quale il problema inversoe strettamente correlato.

Diciamo che due problemi sono uno l’inverso dell’altro quando la formu-lazione di uno coinvolge necessariamente l’altro.

Di questa coppia di problemi uno dei due viene detto diretto e l’altro inverso.In genere, viene chiamato problema diretto quello che e stato studiato piu neldettaglio e per primo, mentre viene detto problema inverso quello meno (o piurecentemente) considerato. In realta ci sono anche altri motivi che permettonodi effettuare questa distinzione, ma ne parleremo piu tardi.

Per non rimanere nel vago, facciamo un semplice esempio concreto. Finda bambini impariamo a risolvere questo problema: dati due numeri interi,trovarne il prodotto. L’inverso di questo problema consiste nel trovare unacoppia di fattori di un numero assegnato.

Dal momento che ci viene insegnato per primo, abbiamo stabilito di chiamareproblema diretto quello della moltiplicazione e problema inverso la fattoriz-zazione.

Osserviamo che il problema inverso si presenta gia molto piu complicatodi quello diretto; ad esempio, e un problema che, in generale, non ha un’unicasoluzione. Se restringiamo la classe dei numeri che vogliamo fattorizzare a quelli

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che ammettono una sola scomposizione in fattori, ci troviamo a studiare la classedei numeri primi e la questione si complica.

Quando si parla di problema che derivano dal mondo reale, nella maggiorparte dei casi c’e una distinzione naturale tra problemi diretti e inversi.

Gran parte della matematica che si studia nei primi anni di corso e dominatadai problemi diretti, cioe problemi nei quali si forniscono sufficienti informazioniper poter avviare un procedimento ben definito e stabile che porta ad una unicasoluzione del problema.

informazioni → procedimento → soluzione

(input) (output)

2, 3 → moltiplicazione → 6

Se il processo descrive un fenomeno fisico, o comunque del mondo reale, si puodescrivere il problema diretto come

causa → modello → effetto

x → K → y,

cioeK(x) = y. (1)

Il problema diretto consiste nell’assegnare la causa x e il modello K e calcolarel’effetto y.

Questo pero e solo uno dei tre modi nei quali si puo leggere l’equazione (1):ogni problema diretto suggerisce immediatamente due problemi inversi: 1) datoil modello K e l’effetto y, risalire alla causa x, 2) data la causa x e l’effetto y,costruire un modello K.

Queste ultime due letture dell’equazione (1) corrispondono in genere a pro-blemi inversi.

Quindi, ricapitolando: se si vuole predire il comportamento futuro di unsistema fisico conoscendo il suo stato presente e le leggi fisiche che lo governano,allora diciamo che vogliamo risolvere un problema diretto. Viceversa, risalireallo stato passato di un sistema dalla conoscenza della condizione presente,oppure determinare il valore di certi parametri fisici, conoscendo l’evoluzionedel sistema, vengono detti problemi inversi.

Dal punto di vista applicativo ci sono due motivazioni diverse che giustificanolo studio di questi problemi inversi:

Conoscere lo stato passato o i parametri che regolano un sistema (es: diagnosimediche),

Controllare lo stato finale del sistema modificando lo stato presente o i parametridel modello (es: produzione industriale di manufatti).

Per questo tipo di problemi originati dalle applicazioni possiamo dire chesi affronta un problema inverso quando si cercano le cause di un determinatoeffetto osservato o desiderato.

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Dal punto di vista puramente matematico, esiste pero una ulteriore e decisivadistinzione tra problema diretto e inverso: il problema diretto gode di certebuone proprieta che corrispondono alla definizione di problema ben posto, mentreil problema inverso e solitamente mal posto.

Introduciamo brevemente la nozione di problemi ben posti e mal posti, cheriprenderemo ampiamente durante tutto il corso.

Nel 1923, J. Hadamard dette la seguente definizione di problema ben posto:

1. Esiste una soluzione del problema (esistenza).

2. La soluzione e unica (unicita).

3. La soluzione dipende con continuita dai dati (stabilita).

Viceversa, un problema si dice mal posto quando non verifica una di questecondizioni. Ad esempio, e mal posto un problema che non ha soluzioni, oppureche ne ha piu di una. Ma la condizione piu esigente e quella della stabilita. Cisono numerosi problemi che hanno una a una sola soluzione, ma tale soluzione einstabile. In parole povere l’instabilita significa che cause molto diverse possonoprovocare effetti molto simili rendendo cosı vano il tentativo di risalire ad esse.

Concludiamo questa lezione con alcuni esempi storici di problemi inversi.

Esempio 1.1 Il mito della caverna di Platone (428-348 A.C.). Nel mito dellacaverna, risulta piuttosto semplice decidere quale sia il problema diretto e qualequello inverso. E chiaro che, conoscendo la posizione del fuoco e del muro e glioggetti le cui ombre vengono proiettate, si determinano in modo unico le ombre.Inoltre oggetti simili in posizioni simili proiettano ombre che si assomigliano. Inaltre parole ’proiettare le ombre su un muro’ e un problema diretto ben posto.

Il problema inverso consiste invece nel trovare la forma dell’oggetto la cuiombra si sta proiettando. Ovviamente il problema non ha una soluzione unica:infiniti oggetti possono avere tutti la stessa ombra sul muro. Ad esempio uncubo unitario con una faccia parallela al muro e un cilindro con asse paralleloal muro, altezza e diametro unitari, hanno esattamente la stessa ombra, cioe unquadrato di lato uno.

La tomografia geometrica e un settore della matematica che si occupa diricostruire un corpo dalle sue proiezioni (ovviamente piu di una).

Esempio 1.2 Il bagno di Archimede. Questo racconto rappresenta una delleprime indagini non invasive delle quali si ha notizia. Si dice che il tirannoGerone di Siracusa avesse commissionato una nuova corona d’oro, ma temesseche l’orafo lo avesse truffato sostituendo parte dell’oro che gli era stato con-segnato con argento. Ovviamente il peso della corona corrispondeva al pesodell’oro che era stato fornito all’orafo. Il tiranno chiese ad Archimede (287-212A.C.) di capire se la truffa c’era stata. L’unico modo per sapere se la coronaera composta tutta da oro e non da una lega, sarebbe stato quello di conoscereil volume della corona stessa: infatti l’argento ha una densita diversa e per ot-tenere lo stesso peso e necessario avere un volume diverso. Tuttavia la formadella corona era tale che neanche Archimede sarebbe mai riuscito a calcolarne ilvolume. Avrebbe potuto fonderla in una forma piu adeguata, ma questa sarebbestata un’indagine invasiva avente come risultato finale la scoperta della verita ela distruzione del manufatto. Archimede ebbe quindi un’idea geniale: avrebbe

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ottenuto l’informazione voluta (il volume della corona) per via indiretta: misu-rando cioe il volume dell’acqua che sarebbe fuoriuscita da una bacinella pienanella quale si sarebbe immersa la corona. Confrontando questo volume conquello spostato da un pezzo di oro puro dello stesso peso, si sarebbe scoperto sel’orafo era in buona fede.

Esempio 1.3 La scoperta di Nettuno. Nettuno fu osservato per la prima voltail 23 settembre del 1846 da J. G. Galle e L. d’Arrest. La sua posizione era stataprevista sia dall’astronomo inglese Adams che dal francese Le Verrier, che lacalcolarono indipendentemente l’uno dall’altro studiando l’orbita di Urano edin base alle rispettive posizioni di Giove, Saturno e dello stesso Urano.

Gli astronomi avevano notato che l’ultimo pianeta allora conosciuto, Urano,non seguiva rigorosamente le leggi della meccanica celeste di Newton; anche lenotevoli perturbazioni della sua orbita prodotte dai due pianeti giganti, Giovee Saturno, non potevano spiegare del tutto queste anomalie. Era stata percioipotizzata la presenza di un altro pianeta oltre l’orbita di Urano. Ma la contem-poranea scoperta da parte d’un astronomo francese e d’uno inglese produsse ilsorgere d’una dura disputa internazionale sulla priorita per battezzare il nuovopianeta. In realta ci sono crediti comuni nella scoperta del pianeta e, comesempre, parecchie persone hanno dato il loro contributo. Ulteriori osservazionihanno mostrato che le orbite calcolate da Adams e Le Verrier divergono, daquella corretta di Nettuno, abbastanza velocemente. Se avessero cercato la po-sizione stabilita del pianeta per un certo numero di anni prima o dopo, nonavrebbero trovato niente vicino al luogo previsto.

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2 Esempi di problemi inversi

2.1 Tomografia

L’applicazione che piu ha contribuito a far conoscere i problemi inversi e laTAC (Tomografia Assiale Computerizzata). In inglese viene detta CAT scan daComputer Assisted Tomography.

La TAC misura l’attenuazione dei raggi X dovuta all’attraversamento di uncorpo.

La macchina e costituita da due parti: gli emettitori di raggi X e i ricevi-tori, distribuiti con varie geometrie. Il raggio emesso in una certa direzione econ intensita nota, viene intercettato dal ricevitore dopo che ha attraversato ilcorpo da investigare. L’attenuazione che ha subito dipende dai materiali cheha attraversato. Materiali di natura diversa hanno coefficienti di assorbimentodiversi. Effettuando diverse misurazioni per diverse direzioni, si cerca di avereun’idea della composizione interna del corpo.

Formalizziamo il procedimento in modo matematico in due dimensioni.Sia f(x, y) il coefficiente di attenuazione dei raggi X del tessuto nel punto

(x, y). Questo significa che un raggio X di intensita I che attraversa una piccolaporzione ∆u di tessuto nelle vicinanze del punto (x, y) subisce una attenuazionedi intensita ∆I data da

∆I = −f(x, y)I(x, y)∆u. (2)

Il raggio X viene emesso dalla sorgente con intensita I0 e misurato dal ricevitoredopo aver percorso il segmento L che connette sorgente e ricevitore. Quello chesi misura e l’attenuazione di I lungo la linea L.

Sommando i contributi ottenuti dalla (2) lungo il segmento L si ha∫L

∆II

= −∫L

f(x, y)∆u,

da cuilnI1I0

= −∫L

f(x, y) dL,

dove I1 e l’intensita del raggio X misurata dal ricevitore.

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Si puo immaginare che fuori dal corpo che si vuole analizzare l’attenuazionesia trascurabile, vale a dire che f abbia supporto compatto. In tal caso si puosostituire al segmento L la retta che lo contiene (che indicheremo ancora conL).

Per ogni direzione θ in S1 e per ogni s ∈ R, sia Lθ,s la retta perpendicolarea θ e passante per sθ (cioe tale che sia s la distanza, con segno, dall’origine).

Parametrizziamo la retta con

u → s θ + u θ⊥,

e scriviamo

lnI1I0

(s, θ) = −∫L

f(x, y) dL = −∫ +∞

−∞f(s θ + u θ⊥)du.

Osserviamo che ln I1I0

(s, θ) e il valore misurato in corrispondenza della coppia(s, θ), cioe per una certa disposizione di sorgente e ricevitore.

L’integrale∫ +∞−∞ f(s θ + u θ⊥)du e una funzione di s e θ che viene detta

Trasformata di Radon e si indica

Rf(s, θ) =∫ +∞

−∞f(s θ + u θ⊥)du. (3)

Il problema inverso della TAC consiste quindi nel ricostruire f da misurazionidella sua trasformata di Radon Rf . Nel caso ideale che si avessero a disposizionetutte le possibili misurazioni, si tratterebbe quindi di invertire la trasformata diRadon.

Una trasformazione legata a quella di Radon e la trasformata a raggi X: perθ ∈ S1 e x ∈ R2,

Pf(θ, x) =∫ +∞

−∞f(x+ t θ)dt,

cioe P calcola l’integrale di f lungo le retta passante per x e con direzionetangente θ.

In due dimensioniR e P rappresentano lo stesso operatore anche se parametriz-zato in modo diverso e con diverse simmetrie (Rf(−θ,−s) = Rf(θ, s), mentrePf(θ, x) = Pf(θ, x+ tθ) per ogni t).

Le due trasformate hanno pero una generalizzazione diversa in R3.Per θ ∈ S2 e s ∈ R,

Rf(θ, s) =∫θ⊥f(s θ + y) dy,

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e l’integrale di f sul piano per s θ ortogonale a θ, mentre per θ ∈ S2 e x ∈ R3,

Pf(θ, x) =∫ ∞

−∞f(x+ tθ) dt,

e ancora l’integrale sulla retta per x in direzione θ.Tornando al caso bidimensionale, consideriamo un esempio semplificato nel

quale il coefficiente di assorbimento f ha simmetria radiale, cioe,

f(x, y) = f(√x2 + y2) = f(r).

In questo caso basta considerare le misurazioni corrispondenti a raggi paralleliad una direzione assegnata.

Supponiamo che f abbia supporto nel cerchio di raggio R centrato nell’o-rigine e indichiamo con Lx la retta parallela all’asse y e passante per il punto(x, 0).

p(x) := − lnI1I0

(x) =∫Lx

f(x, y) dLx =∫ R

−Rf(x, y) dy

=∫ √

R2−x2

−√R2−x2

f(√x2 + y2) dy

= 2∫ √

R2−x2

0

f(√x2 + y2) dy.

Con il cambiamento di variabile r =√x2 + y2 (dr = y dy/

√x2 + y2) si ottiene

che la quantita nota p(x) e data da

p(x) =∫ R

|x|

2f(r)r√r2 − x2

dr. (4)

Osserviamo che (4) e una equazione integrale del primo tipo, cioe della forma∫k(x, y)f(y) dy = p(x).

L’equazione integrale (4) e in particolare una equazione integrale di Abel, comesi puo vedere facilmente con un cambio di variabile.

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Esercizio 2.1 Prendiamo in considerazione solo il caso x > 0, dal momentoche per simmetria p(x) = p(−x). Operiamo nella (4) il cambiamento di variabili

z = r2 − x2 e τ = R2 − x2.

In questo modo dz = −2r dr, x =√R2 − τ , r =

√R2 − z e

p(√R2 − τ) = −

∫ 0

R2−|x|2

f(√R2 − z)√τ − z

dz

=∫ τ

0

g(z)√τ − z

dz,

dove g(z) = f(√R2 − z). Questa equazione fa parte della famiglia delle equazioni

integrali di Abel che nella forma generale si scrivono∫ x

0

(x− t)α−1f(t) dt = g(x), con 0 < α < 1.

Torniamo al problema della TAC: abbiamo visto che esso corrisponde a ri-cavare una funzione f conoscendo la sua trasformata di Radon, cioe le sue medieintegrali calcolate su tutte le possibili rette che intersecano il supporto di f . Perf in una ragionevole classe di funzioni si puo dimostrare che la trasformata diRadon e invertibile, cioe esiste un operatore R tale che R R = Id. Tuttavia,questo operatore inverso non e di grande utilita essenzialmente per due motivi:

1. L’inverso della trasformata di Radon non e limitato. Come vedremo trabreve questo significa che il problema della tomografia e mal posto. Piuesattamente significa che se commettiamo un errore anche piccolo nellamisurazione dell’attenuazione del raggio, l’errore si puo ripercuotere inmodo molto grave sulla soluzione ottenuta invertendo la trasformata diRadon. Questo rende il processo di inversione completamente inaffidabile.

2. Non tutti i dati necessari per calcolare l’inversa della trasformata di Radonsono disponibili: in genere le posizioni delle sorgenti e dei ricevitori sonolimitate dalla struttura della macchina. Questo, insieme all’instabilita,rende necessario mettere in atto strategie diverse per risolvere il problemainverso.

2.2 Prospezione geologica

Il problema della prospezione geologica e quello di determinare la posizione, laforma e certi parametri fisici (come ad esempio la conducibilita) di anomalie al-l’interno della terra effettuando misure del campo gravitazionale sulla superficieterrestre.

Consideriamo una versione semplificata e 1-dimensionale del problema.Si vuole determinare la densita ρ(x′) di una regione anomala (0 ≤ x′ ≤ 1) sit-

uata alla profondita h, misurando la componente verticale fv(x) della variazionedella forza gravitazionale nel punto x sulla superficie terrestre.

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La massa dell’elemento di volume situato nel punto (x′,−h) e data daρ(x′)∆x′. Se lo strumento e posizionato nel punto (x, 0), la sua distanza dal-l’elemento di massa e

√(x− x′)2 + h2. Dalla legge di Newton

F = γm

r2,

dove γ indica la costante di gravitazione universale. Indicando con θ l’angolotra la verticale e la retta che congiunge (x′,−h) con (x, 0), si ha

∆fv(x) = γρ(x′)∆x′

(x− x′)2 + h2cos θ = γ

hρ(x′)∆x′

[(x− x′)2 + h2]3/2.

Sommando i contributi di tutti i punti x′ ∈ [0, 1] si ha

fv(x) = γh

∫ 1

0

ρ(x′)[(x− x′)2 + h2]3/2

dx′, 0 ≤ x ≤ 1. (5)

Osserviamo che la (5) e una equazione integrale di Fredholm del primo tipo.

Esercizio 2.2 Mostrare che (5) ha al piu una soluzione. (Suggerimento: es-tendere ρ a tutta la retta (−∞,+∞) ponendola uguale a zero fuori da [0, 1] eapplicare la trasformata di Fourier.)

2.3 Termografia

Consideriamo una sbarra di materiale conduttore di lunghezza π. Supponiamoche la superficie laterale della sbarra sia isolata e che il calore fluisca solo nelladirezione dell’asse. Possiamo allora schematizzare la sbarra con il segmento(0, π) dell’asse reale. Indichiamo con u(x, t) la temperatura nel punto x dellasbarra al tempo t. La funzione u soddisfa l’equazione differenziale

ut = uxx, 0 < x < π. (6)

Supponiamo che gli estremi della sbarra siano tenuti a temperatura 0 eche la temperatura iniziale sia una funzione f(x) per 0 ≤ x ≤ π, vale a dire,supponiamo che u soddisfi le seguenti condizioni al contorno:

u(0, t) = u(π, t) = 0, (7)

e inizialeu(x, 0) = f(x). (8)

Il problema diretto standard in matematica applicata, consiste nel trovare latemperatura della sbarra ad un tempo successivo (diciamo per t = 1), cioe nel

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calcolare g(x) = u(x, 1). Vediamo come si risolve il problema diretto: cerchiamouna soluzione del problema con il metodo della separazione delle variabili, valea dire, consideriamo inizialmente soluzioni della forma

u(x, t) = a(x) · b(t),

che soddisfino(7).L’equazione differenziale (6) risulta soddisfatta se

a(x) · b′(t) = a′′(x) · b(t),

che, supponendo a e b non identicamente nulli, possiamo scrivere

a′′(x)a(x)

=b′(t)b(t)

.

poiche i due membri della precedente uguaglianza dipendono da due variabiliindipendenti, allora devono essere entrambi costanti, cioe deve valere

a′′(x)a(x)

=b′(t)b(t)

= λ.

La condizione al bordo (7) richiede che valga a(0) = a(π) = 0, vale a dire che lafunzione a risolva il seguente problema ai limiti:

a′′(x) = λ a(x) per 0 < x < π,a(0) = 0, a(π) = 0.

Questo problema ai limiti ha soluzione non nulla se e solo se λ = −k2, con knumero intero, e la soluzione e data da ak(x) = Ak sin(kx). La corrispondentefunzione b(t) e data da bk(t) = e−k

2t.Con questa procedura abbiamo costruito una infinita numerabile di fun-

zioni uk(x, t) = Ak sin(kx)e−k2t che risolvono l’equazione differenziale (6) e le

condizioni al bordo (7).Se consideriamo una sovrapposizione di tali soluzioni otteniamo funzioni

della forma

u(x, t) =∞∑k=1

Ak sin(kx)e−k2t,

che soddisfano (6) e (7). Tra queste soluzioni cerchiamo quella che soddisfa lacondizione iniziale (8), cioe, cerchiamo una successione numerica Ak∞k=1 taleche

f(x) =∞∑k=1

Ak sin(kx). (9)

In sostanza ci chiediamo se f e sviluppabile in serie di seni. Consideriamoper semplicita il caso in cui f sia una funzione regolare (ad esempio C1). Percompatibilita con i dati al bordo, sappiamo che f(0) = f(π) = 0. Possia-mo estendere la funzione f a tutto R nel modo seguente: per x ∈ (−π, 0)poniamo f(x) = −f(−x) e poi estendiamo da (−π, π) a tutto R con periodo2π. L’estensione, che indichiamo ancora con f , risulta una funzione disparisu tutto R (infatti, per x > 0, f(−x) = f(−x + 2kπ) per qualche k tale che−x+ 2kπ ∈ (−π, π). Dal momento che la funzione e dispari in (−π, π), quindi

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f(−x) = f(−x + 2kπ) = f(x − 2kπ) = f(x)). La teoria della serie di Fourierci garantisce che una funzione assolutamente continua e di periodo 2π ha unaestensione in serie di Fourier, cioe esistono due successioni Ak∞k=1 e Bk∞k=0

tali che

f(x) =∞∑k=1

Ak sin(kx) +∞∑k=0

Bk cos(kx),

e tale serie converge uniformemente.Osserviamo che imponendo il vincolo che f sia una funzione dispari, si ottiene

immediatamente che Bk = 0 per ogni k = 0, . . . ,∞ (usando anche il fatto cheseni a coseni formano una base di funzioni in (0, 2π)), cioe che f si puo scriverecome serie di seni.

Rimane da stabilire il valore dei coefficienti Ak: moltiplichiamo la (9) persin(mx) e integriamo su (0, π), ottenendo

∫ π

0

f(x) sin(mx) dx =∞∑k=1

Ak

∫ π

0

sin(kx) sin(mx) dx

=∞∑k=1

Ak

∫ π

0

12(cos(k −m)x− cos(k +m)x) dx =

π

2Am,

da cuiAk =

∫ π

0

f(x) sin(kx) dx.

A questo punto abbiamo risolto il problema diretto: data la funzione f ,continua in (0, π) e tale che f(0) = f(π) = 0, una soluzione del problema (6),(7) e (8) e data da

u(x, t) =∞∑k=1

2πe−k

2t sin(kx)∫ π

0

f(y) sin(ky) dy,

in particolare

g(x) =∞∑k=1

2πe−k

2sin(kx)

∫ π

0

f(y) sin(ky) dy.

Osserviamo che la serie che definisce la g converge uniformemente perche lasuccessione degli Ak tende a zero per k → ∞, quindi e limitata da una certacostante L, per cui il termine k-esimo della serie che definisce g si puo maggiorarecon ∣∣∣∣ 2π e−k2

sin(kx)Ak

∣∣∣∣ ≤ 2πe−k

2L

che e il termine k-esimo di una serie numerica convergente.Scambiando la serie con l’integrale si puo ottenere la seguente espressione

g(x) =∫ π

0

k(x, y)f(y) dy, (10)

dove

k(x, y) =2π

∞∑k=1

e−k2sin(kx) sin(ky).

12

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Pensiamo adesso al problema inverso, cioe al problema di determinare ladistribuzione di temperatura iniziale f , che provoca la temperatura successi-va g(x). Si tratta in sostanza di risolvere l’equazione del calore all’indietro.Matematicamente questo si esprime risolvendo rispetto ad f l’equazione (10).

E chiaro dalla natura fisica del processo che la struttura dettagliata di fviene largamente diffusa al tempo successivo t = 1 ed e quindi impossibilericostruire tali informazioni dettagliate misurando g. La base matematica ditali difficolta di ricostruzione e evidente dalla forma del nucleo della (10). Piuin dettaglio, le componenti di f corrispondenti ad alte frequenze (cioe a sin(ny)per n grande), sono severamente compromesse dal fattore e−n

2che, essendo

molto piccolo, rende la loro influenza su g impercettibile.

Esercizio 2.3 Supponiamo che f e g soddisfino (10). Siano ε > 0 e M > 0numeri assegnati (ε arbitrariamente piccolo e M arbitrariamente grande) e siafM (y) = M sin(my). Mostrare che per ogni M ed ε esiste un m abbastanzagrande perche la perturbazione fM (che ha norma grande) abbia su g un effettominore di ε

2.4 Problemi inversi di scattering

I problemi inversi di scattering sono importanti in numerosi campi come lameccanica quantistica, l’acustica e l’elettromagnetismo. Questi problemi hannoorigine dal tentativo di ottenere informazioni su un corpo, il diffusore, illumi-nandolo con onde di diversa lunghezza e direzione e misurando le onde diffuse(rifratte, riflesse, etc.) dal corpo stesso.

Supponiamo che il diffusore sia contenuto in un dominio limitato D dellospazio tridimensionale. In generale si considerano due diversi tipi di proble-ma di scattering inverso: la ricostruzione del profilo acustico e il problemadell’ostacolo.

Analizziamo il primo caso. Supponiamo che un’onda acustica si propaghinello spazio. Il modello matematico che descrive il comportamento della densitadell’onda U e l’equazione delle onde

∂2U

∂t2=

1n2

∆U in R3 ×R+,

dove n = n(x) descrive il profilo acustico cioe il reciproco della velocita delsuono. La funzione n viene normalizzata in modo da essere uguale ad unofuori da un compatto (n = 1 rappresenta il mezzo circostante, ad esempio ariao acqua); la regione nella quale n(x) 6= 1 rappresenta il corpo diffusore e ladeviazione di n da uno fornisce informazioni sulla struttura del diffusore.

Se consideriamo solamente onde acustiche armoniche rispetto al tempo, avre-mo U(x, t) = eiktu(x) dove k rappresenta la frequenza dell’onda acustica. In talcaso, la funzione u(x) risulta soluzione dell’equazione di Helmholtz

∆u+ k2n2u = 0.

Per ottenere lo scattering si genera un’onda incidente ui (che corrispondeall’onda che si propagherebbe in assenza del diffusore), soluzione dell’equazione

∆ui + k2ui = 0. (11)

13

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In genere, l’onda incidente e un’onda piana della forma

ui(x) = eikx·d, dove d ∈ R3, ‖d‖ = 1.

L’onda riflessa e la differenza tra l’onda osservata e l’onda incidente, cioe

us := u− ui,

soluzione di∆us + k2us = k2f(ui + us), (12)

dove f := 1− n2.Il problema inverso consiste quindi nell’identificare la funzione a suppor-

to compatto f conoscendo l’onda incidente ui e misurando l’onda riflessa us.Ovviamente l’onda riflessa potra essere misurata solo lontano dal corpo diffu-sore (scatterer); in molti casi e ragionevole pensare che us possa essere misuratasolamente su una sfera di raggio R >> 1 che contiene D: questi valori di us

vengono detti far field pattern. Questo concetto sara piu chiaro tra breve.Prendendo in considerazione le dimensioni del problema si capisce immedia-

tamente che una sola misura del far field pattern non e sufficiente a determinaref . Infatti, f e una funzione incognita di tre variabili, mentre la misura consistein una funzione di due variabili soltanto. Si otterranno ulteriori misure usandodiverse onde incidenti, cioe cambiando la frequenza k.

Osserviamo inoltre che, poiche f compare come coefficiente nell’equazione diHelmholtz, il problema inverso dello scattering acustico e nonlineare. In diversesituazioni e ragionevole supporre che l’onda riflessa nell’intorno del diffusoresia molto piu piccola dell’onda incidente: in altre parole, nel secondo membrodella (12), si puo approssimare il termine ui + us con ui. Con questa ipotesisi ottiene una versione lineare del problema dello scattering inverso, governatadall’equazione

∆us + k2us = k2fui,

che viene detta approssimazione di Born.Nel problema dell’ostacolo invece, il diffusore D compare nella forma di un

corpo che non viene penetrato dall’onda. In questo caso l’equazione di Helmholtzmodella la propagazione dell’onda fuori da D, cioe,

∆u+ k2u = 0 in R3 \D,

accoppiata con una condizione al bordo del tipo

∂u

∂ν+ λu = 0 on ∂D,

dove ν e la normale uscente a ∂D, e λ descrive la natura dell’ostacolo. Perλ = 0 si ha un ostacolo duro, cioe impenetrabile che corrisponde alla condizioneal bordo

∂u

∂ν= 0,

mentre l’altro caso estremo (λ = ∞) descrive un ostacolo soffice con condizioneal bordo

u = 0.

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Poiche si tratta di un problema differenziale definito sull’esterno di un do-minio compatto, l’equazione differenziale e il dato al bordo vanno completaticon una condizione che descrive il comportamento all’infinito.

Scrivendo la soluzione nella forma u = ui + us, la condizione all’infinito,detta condizione di radiazione o di Sommerfeld, e la seguente:

limr→∞

r

(∂us

∂r− ikus

)= 0. (13)

Matematicamente questa condizione serve a determinare univocamente unasoluzione; dal punto di vista fisico, essa descrive il fatto che l’onda diffusa, lon-tano dall’ostacolo, assomiglia ad un’onda sferica che si allontana verso l’infinitocioe a selezionare solo lo scattering uscente. Infatti, tra le due onde sferiche,cioe soluzioni radiali dell’equazione (11),

eik|x|

|x|e

e−ik|x|

|x|

solo la prima soddisfa la condizione di radiazione.La condizione di radiazione permette anche di mostrare che, lontano dal-

l’ostacolo, l’onda riflessa ha la seguente struttura

us(x) =eik|x|

|x|u∞(θ; k, d) +O

(|x|−2

)se |x| → 0, (14)

dove θ = x/|x|.Il problema inverso consiste nel determinare la forma di D misurando il far

field pattern u∞(θ; k, d) per θ ∈ S2.La notazione u∞(θ; k, d) mette in evidenza la dipendenza del far field pattern

dalla frequenza k e dalla direzione d dell’onda piana incidente.Il problema inverso dell’ostacolo consiste quindi nell’identificare la forma di

D. In questo caso l’analisi dimensionale fa intravedere la possibilita di ricostruireD usando un numero limitato di misure.

Riportiamo un esempio di risultati di unicita relativa al problema dell’osta-colo:

Proposizione 2.1 Siano D1 e D2 due ostacoli soffici tali che, detti u1∞ e u2

∞i rispettivi far field patterns siano

u1∞(θ; k, d) = u2

∞(θ; k, d)

per ogni θ ∈ S2, per un valore fissato di k e per una infinita numerabile didirezioni d, allora

D1 = D2.

Proposizione 2.2 Siano D1 e D2 due ostacoli soffici contenuti nella sfera cen-trata nell’origine e di raggio R. Esiste un numero reale N dipendente da k e daR, tale che, detti u1

∞ e u2∞ i rispettivi far field patterns, se

u1∞(θ; k, d) = u2

∞(θ; k, d)

per ogni θ ∈ S2, per un valore fissato di k e per N + 1 direzioni d, allora

D1 = D2.

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2.5 Tomografia ad impedenza elettrica

La Tomografia ad Impedenza Elettrica (EIT) e una tecnica diagnostica non inva-siva il cui scopo e quello di determinare una mappa della conducibilita elettricadi un corpo, effettuando misure di potenziali e correnti sul bordo del corpo.

La conducibilita elettrica misura quanto il materiale si lascia attraversaredalla corrente elettrica. Materiali diversi hanno conducibilita a volte moltodiverse, quindi una mappa della conducibilita puo dare informazioni sulla strut-tura interna del corpo in esame.

La Tomografia ad impedenza elettrica ha applicazioni mediche (monitor-aggio delle funzioni cardiache e polmonari, diagnosi di tumori), archeologiche(rilevamento di strutture sotterranee), industriali (controllo sulla qualita dellaproduzione) e ’militari’ (localizzazione di mine antiuomo).

L’esperimento si descrive in questo modo: Se Ω e il conduttore da analizzare,si assegna su ∂Ω una differenza di potenziale f e si misura la corrente sul bordo.Il modello matematico che regola questo esperimento e il seguente:Ω ⊂ RN (N = 2, 3) e un dominio limitato con frontiera regolare. Il parametroincognito e una funzione γ(x) : Ω → R+ tale che γ ∈ L∞(Ω).

La corrente in Ω e data dalla legge di Ohm

j = γ∇u

e, se non ci sono sorgenti o pozzi di corrente, il potenziale elettrico u soddisfal’equazione

Lγu := div (γ∇u) = 0 in Ω.

Esperimento:

1. Si assegna una funzione f su ∂Ω.

2. Si considera la soluzione u del problema di Dirichletdiv (γ∇u) = 0 in Ωu = f su ∂Ω.

3. Si misurag = γ

∂u

∂νsu ∂Ω,

dove ν e la normale uscente da ∂Ω.

f e g sono i dati al bordo e appartengono a spazi di Sobolev frazionari.Il problema inverso:Ricostruire γ da un certo numero di dati, cioe di coppie(

u|∂Ω , γ∂u

∂ν |∂Ω

)= (f, g).

Se supponiamo di avere a disposizione tutte le possibili misure, significa checonosciamo la mappa che ad un qualunque dato f associa il corrispondente datog. Tale applicazione viene detta Mappa Dirichlet-Neumann

Λγ : u|∂Ω → γ∂u

∂ν |∂Ω

.

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Il problema inverso consiste quindi nel trovare γ conoscendo Λγ . Osserviamoche Λγ e una applicazione lineare (per γ fissato), ma il funzionale da invertire

γ → Λγ

non lo e. Il primo problema che si affronta e quello dell’unicita, cioe ci chiediamose la mappa Dirichlet-Neumann e sufficiente per ricostruire γ. Vediamo prima ilcaso particolare unidimensionale: sia Ω = [0, 1] ⊂ R. L’equazione differenzialediventa

(γ(x)u′(x))′ = 0 in [0, 1],

e i dati sono

u(0) e u(1) assegnatiγ(0)u′(0) e γ(1)u′(1) misurati.

Si puo ricostruire γ avendo a disposizioni tutte le possibili misure, vale a diretutti i vettori

u(0), u(1), γ(0)u′(0), γ(1)u′(1),

al variare di u tra le soluzione dell’equazione?Osserviamo in primo luogo che dall’equazione si ricava che γ(x)u′(x) = cost

da cui, in particolare,γ(0)u′(0) = γ(1)u′(1).

L’equazione differenziale e una equazione lineare del secondo ordine, quindilo spazio delle soluzione e uno spazio lineare di dimensione 2. In particolarese si assegnato i dati u(0), u′(0) uguali a 0, 1 e 1, 0 si ottengono duesoluzioni linearmente indipendenti che generano tutto lo spazio delle soluzioni.Nessuna altra soluzione aggiunge ulteriori informazioni. Osserviamo che il datou(0), u′(0) = 1, 0 si ottiene la soluzione costantemente uguale ad 1 chenon fornisce alcuna informazione su γ. Consideriamo allora la soluzione che hau(0) = 0 e u′(0) = 1. Da

γ(x)u′(x) = cost = γ(0)u′(0) = γ(0),

si ha che

u′(x) =γ(0)γ(x)

,

da cui

u(x)− u(0) =∫ x

0

γ(0)γ(y)

dy.

il dato u(0), u(1), γ(0)u′(0), γ(1)u′(1) e quindi0,∫ 1

0

γ(0)γ(y)

dy, γ(0), γ(0)

e tutto quello che si ottiene e una media integrale del coefficiente γ.

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3 Problemi mal posti

Negli esempi di problemi inversi che abbiamo presentato nel precedente para-grafo, c’e una differenza fondamentale tra il problema diretto e quello inverso.In tutti i casi il problema inverso e mal posto (o impropriamente posto) nelsenso di Hadamard, mentre il problema diretto e ben posto. La definizione diproblema ben posto risale agli anni ’20 ed e dovuta appunto ad Hadamard. Egliafferma che un modello matematico per un problema fisico (si pensi ad esempioad un problema al bordo per una equazione differenziale) deve essere ben posto,vale a dire, deve avere le seguenti proprieta:

Esistenza: il problema ammette una soluzione;

Unicita: esiste al piu una soluzione;

Stabilita: la soluzione dipende con continuita dai dati.

Matematicamente, l’esistenza di una soluzione si puo forzare allargando lo spaziodelle soluzioni: il concetto di soluzione debole di una equazione differenzialerientra in questo ordine di idee.

Se il problema ha piu di una soluzione significa che mancano informazioni sulmodello (tali da permettere di scegliere quella giusta tra le soluzioni possibili).In questo caso ulteriori informazioni (come condizioni sul segno, limitazione dialcune norme, etc) possono essere aggiunte al modello.

La richiesta di stabilita risulta in sostanza la piu importante. Se il problemanon ha proprieta di stabilita, le sue soluzioni sono praticamente impossibilida calcolare perche ogni misurazione e ogni calcolo numerico sono comunqueinquinati da inevitabili errori, quindi i dati del problema sono sempre perturbatida qualche forma di rumore. Se la soluzione di un problema non dipende concontinuita dai dati, la soluzione calcolata potrebbe non aver niente a che farecon la soluzione reale. In realta, non c’e modo di superare questa difficolta, ameno che non siano disponibili ulteriori informazioni sulle soluzioni.

Nessun trucco matematico puo porre rimedio ad una mancanza di infor-mazione [C. Lanczos, 1961]

Riportiamo con una notazione matematica la definizione di buona posizione.

Definizione 3.1 (Buona Posizione) Siano X e Y due spazi normati e sia Kun operatore (lineare o nonlineare) K : X → Y . L’equazione

Kx = y

si dice ben posta se ha le seguenti proprieta

1. Esistenza: per ogni y ∈ Y esiste almeno un x ∈ X tale che Kx = y.

2. Unicita: per ogni y ∈ Y esiste al piu un x ∈ X che soddisfa Kx = y.

3. Stabilita: la soluzione x dipende con continuita dai dati, cioe, per ognisuccessione xn ⊂ X con Kxn → Kx (per n → ∞) si ha che xn → x(per n→∞).

Vengono dette mal poste le equazioni per le quali almeno una di queste proprietanon vale.

Per questa definizione e essenziale stabilire la tripletta (K,X, Y ) completa dinorme. Esistenza e unicita della soluzione dipendono solo dalla natura algebricadi tali spazi, mentre la stabilita dipende in modo essenziale dalle topologie.

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3.1 Un esempio: derivazione e integrazione

Vediamo adesso un po’ in dettaglio due problemi che ci sono familiari e che sonouno l’inverso dell’altro: integrazione e derivazione. Quale dei due e il problemadiretto e quale quello inverso? Quando li impariamo a scuola, generalmenteci viene insegnato per prima cosa a derivare le funzioni elementari. Piu tardici viene introdotta l’integrazione, come ricerca di una primitiva. Alle scuolesuperiori il processo di integrazione sembra sempre piu complicato di quello diderivazione.

Se invece guardiamo dal punto di vista storico, l’idea di integrazione risalead Archimede, mentre per arrivare ad introdurre propriamente il concetto diderivazione si deve aspettare il calcolo infinitesimale di Newton e Leibnitz.

Come decidiamo allora quale dei due problemi e piu giusto chiamare direttoe quale inverso? Andiamo a vedere se uno dei due e ben posto e l’altro no.

Scriviamo il problema nella forma seguente:

Kx = y

dove x e y appartengono a qualche spazio di funzioni definite, ad esempiosull’intervallo [0, 1] e

(Kx)(s) :=∫ s

0

x(t) dt.

Quindi, se conosco x e voglio calcolare y devo integrare, mentre se conosco ye cerco la funzione x devo derivare, infatti, per esempio se x e continua, per ilTeorema Fondamentale del calcolo integrale y′(t) = x(t).

La buona o cattiva posizione di un problema dipende ovviamente daglispazi funzionali nei quali si scelgono dato e soluzioni. Per il problema del-l’integrazione, prendiamo in considerazione, ad esempio lo spazio delle funzionicontinue, cioe consideriamo

K : C[0, 1] → C[0, 1].

Osserviamo che ogni funzione continua in [0, 1] e integrabile su tale intervallo eche la funzione integrale che ne risulta (cioe la y) e ancora una funzione continua(anzi e derivabile con derivata continua). Quindi il problema di calcolare y,assegnata x ha una soluzione. Tale soluzione e anche unica per definizione diintegrale.

Vediamo adesso se il problema dell’integrazione e stabile, cioe se, date duefunzioni x1 e x2 vicine, anche y1 = Kx1 e y2 = Kx2 sono vicini. Dal momentoche l’operatore K e lineare, questo equivale a chiedersi se K e un operatorelimitato.

Sia ‖x1 − x2‖∞ ≤ ε, allora

|Kx1(s)−Kx2(s)| =∣∣∣∣∫ s

0

(x1(t)− x2(t)) dt∣∣∣∣

≤∫ s

0

|x1(t)− x2(t)| dt ≤ ε

∫ s

0

dt = εs ≤ ε.

Esercizio 3.1 Un risultato del tutto analogo si ottiene considerando uno spazio

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funzionale diverso. Si provi per esercizio con L1(0, 1).

‖y‖1 =∫ 1

0

∣∣∣∣∫ t

0

x(s) ds∣∣∣∣ dt

≤∫ 1

0

∫ t

0

|x(s)| ds dt ≤∫ 1

0

(∫ 1

0

|x(s)| ds)dt =

∫ 1

0

‖x‖1dt = ‖x‖1.

Prendiamo invece in considerazione il problema della derivazione. In sostan-za ci chiediamo cosa possiamo dire sull’invertibilita dell’operatore K.

Osserviamo in primo luogo che l’operatore K : C[0, 1] → C[0, 1] non e su-riettivo, perche appartengono al range di K le funzioni con derivata continuae con valore 0 nell’origine. E invece un operatore iniettivo, supponiamo infattiche Kx1(t) = Kx2(t) per ogni t ∈ (0, 1), avremo allora che x1(t) = (Kx1)′(t) =(Kx2)′(t) = x2(t). Quindi, in sostanza, K−1 esiste purche ristretto al range diK.

Per capire se il problema della derivazione e ben posto, vediamo se K−1

risulta anche lui un operatore limitato. Se K−1 fosse limitato, le immagini diinsiemi limitati dovrebbero rimanere ancora limitati, ma questo non accade e lochiarisce questo esempio.

Consideriamo la successione di funzioni

sin(nx)∞n=1.

Questo e un insieme limitato, perche ‖ sin(nx)‖C0[0,1] ≤ 1 per ogni n. Tuttavia,

‖K−1 sin(nx)‖C0 = ‖n cos(nx)‖C0 = n→∞ per n→∞.

Vediamo cosa significa puo significare questo per un problema applicativo. Sup-poniamo di essere interessati a conoscere la derivata di una certa funzioneche misuriamo con una approssimazione δ. Cioe vogliamo calcolare f ′(x) perx ∈ (0, 1) misurando la funzione fδ(x) e sapendo che

f(x) = fδ(x) + r(x),

dove r e il rumore e ‖r‖∞ < δ.Per prima cosa abbiamo il problema di stabilire se fδ e r sono derivabili.

In generale fδ sara nota puntualmente e r potrebbe essere qualunque funzione.Supponiamo comunque di essere in questa situazione favorevole: sia fδ che rsono derivabili, quindi

f ′(x) = f ′d(x) + r′(x).

Prendendo per buono il valore di f ′δ commettiamo un errore dell’ordine di ‖r′‖∞.Ma tale errore puo essere grandissimo: se r(x) = δ sin(nx/δ), allora ‖r′‖∞ =‖n cos(nx/δ)‖∞ = n puo essere arbitrariamente grande.

Ci chiediamo allora se questo problema dipende dal fatto che le norme cheabbiamo preso in considerazione possono non essere quelle giuste.

Esercizio 3.2 Verificare che la situazione non cambia considerando spazi ditipo Lp.

Il fenomeno che abbiamo descritto e piuttosto caratteristico di certi problemiinversi. Il problema diretto (in questo caso l’integrazione di una funzione con-tinua) e un processo regolarizzante (smoothing), nel senso che errori fortemente

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oscillanti (del tipo n cos(nx/δ)) vengono smorzati dall’integrazione (divenendoδ sin(nx/δ)) e hanno un effetto “trascurabile” sul dato del problema inverso.Questo smorzamento e responsabile del fatto che errori di ampiezza piccolama con alta frequenza creano grandi oscillazioni nella soluzione del problemainverso.

Questo e appunto un fenomeno generale: se il problema diretto e rego-larizzante, ci si aspetta che nella soluzione del problema inverso compaianooscillazioni dovute alla presenza di piccole perturbazioni ad alta frequenza.

Naturalmente anche per la derivazione e possibile trovare qualche normao qualche spazio funzionale nel quale essa risulta una operazione ben posta.Supponiamo, per esempio di considerare

K : C[0, 1] → C1[0, 1]

cioe di equipaggiare lo spazio di arrivo con la norma C1. In tal caso,

‖K−1y‖C0 = ‖x‖C0 = ‖y′‖C0 ≤ ‖y‖C1 ,

per cui l’operatore K−1 e limitato con norma minore di 1. In questo caso glierrori dell’esempio precedente (δ sin(nx/δ)) non sono piu errori piccoli perchela loro norma C1 e dell’ordine di n. Osserviamo che questa scelta delle norme edifficilmente giustificabile nelle applicazioni.

E anche possibile eliminare l’instabilita modificando non la norma ma lospazio funzionale che consideriamo. Supponiamo infatti di potersi restringerea considerare solamente funzioni y lineari, cioe della forma y(t) = at con acostante e 0 < t < 1. Su tale ristretto spazio lineare consideriamo, per esempio,la norma L2.

‖y‖2L2 =∫ 1

0

(at)2 dt =a2

3

Invece,

‖K−1y‖2L2 = ‖y′‖2L2 =∫ 1

0

a2 dt = a2,

e quindi

‖K−1y‖L2 = |a| =√

3|a|√

3=√

3‖y‖L2

Quindi in questo spazio ristretto di funzioni, la derivazione e un funzionalelimitato. Questa osservazione concorda anche con l’intuizione: il processo diderivazioni non puo rendere piu irregolare una funzione lineare.

Come possiamo allora derivare una funzione che conosciamo solo per punti?Abbiamo visto che volendo affrontare il problema utilizzando spazi funzionaliragionevoli il problema risulta mal posto. Possiamo pero cercare di risolverlo seabbiamo a disposizione ulteriori informazioni.

Supponiamo ancora di voler calcolare f ′ conoscendo un valore approssimatodi f , cioe conoscendo fδ in modo tale che ‖f−fδ‖L2 ≤ δ. Ovviamente, conoscen-do solo il dato approssimato non possiamo sperare di ritrovare esattamente laderivata di f : dobbiamo accontentarci di calcolare una funzione che assomigliaalla derivata di f . Consideriamo l’insieme delle funzioni che hanno distanza dafδ minore di δ. Questo insieme contiene sicuramente f e ognuna di tali funzionie, per la nostra capacita di misura, indistinguibile da f . Supponiamo pero di

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avere informazioni di altra origine su f . Supponiamo, per esempio di sapere chenon e troppo oscillante e che i dati che raccogliamo sul bordo sono corretti.

Questo significa restringere l’insieme di arrivo ad

S = g : ‖g − fδ‖L2 < δ, ‖g′′‖L2 ≤ E, g(0) = fδ(0), g(1) = fδ(1) .

La funzione f appartiene a questo insieme. Quale errore si commette cal-colando la derivata di una qualunque altra funzione in S, vale a dire: quantovale ‖f ′ − g′‖L2?

Sia h(x) = f(x)−g(x). Sappiamo che ‖h‖L2 ≤ ‖f−fδ‖L2 +‖g−fδ‖L2 ≤ 2δ,‖h′′‖L2 ≤ ‖f ′′‖L2 + ‖g′′‖L2 ≤ 2E, e h(0) = h(1) = 0, quindi

‖h′‖2L2 =∫ 1

0

(h′(x))2dx =

(h(x)h′(x)

∣∣∣∣x=1

x=0

−∫ 1

0

h(x)h′′(x)dx

)≤ ‖h‖L2‖h′′‖L2 ≤ 4δE,

da cui si ricava che

‖f ′ − g′‖L2 ≤ 2√Eδ, per ogni g ∈ S.

3.2 Due problemi per le funzioni armoniche

3.2.1 Il problema di Dirichlet per l’equazione di Laplace

Supponiamo che D sia un dominio di RN con frontiera regolare, che f sia unafunzione nella classe C(∂D)) e consideriamo il problema di Dirichlet

∆u = 0 in Du = f su ∂D.

Sappiamo che:

• Per ogni f ∈ C(∂D) esiste una soluzione del problema di Dirichlet.

• La soluzione e unica. Se infatti ne esistessero due, u1 e u2, la differenzasarebbe soluzione del problema di Dirichlet

∆(u1 − u2) = 0 in Du1 − u2 = 0 su ∂D.

Per il principio del massimo segue che u1 − u2 ≡ 0 in D.

• La soluzione e stabile. Siano infatti u1 e u2 soluzione di∆u1 = 0 in Du1 = f1 su ∂D

e

∆u2 = 0 in Du2 = f2 su ∂D

rispettivamente. La differenza u1 − u2 e ancora una funzione armonica inD che vale f1−f2 su ∂D. Per il principio del massimo u1−u2 ha massimoe minimo su ∂D e, quindi

|u1 − u2|C0(D) ≤ |f1 − f2|C0(∂D).

Vediamo che invece la situazione e decisamente diversa se si sostituisce ildato di Dirichlet con dati al bordo diversi.

22

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3.2.2 Il problema di Cauchy per l’equazione di Laplace

Questo e il classico esempio di problema mal posto, dato dallo stesso Hadamard.Problema: Trovare una soluzione u dell’equazione di Laplace

∆u(x, y) :=∂2u(x, y)∂x2

+∂2u(x, y)∂y2

= 0 in (0, 1)× (0, r),

che soddisfa le condizioni iniziali (di Cauchy)

u(x, 0) = f(x),∂

∂yu(x, 0) = g(x) per x ∈ (0, 1),

dove f e g sono funzioni assegnate.

Osservazioni di Hadamard:

1. Il problema ha una soluzione se e solo se

φ(x) = f(x)− 1π

∫ 1

0

g(t) ln |x− t| dt

e analitica.

Dim. La funzione

v(x, y) =12π

∫ 1

0

g(t) ln[(x− t)2 + y2] dt

e armonica per y > 0 e ∂∂yv(x, 0) = g(x) in 0 < x < 1.

La funzione w = u − v e quindi armonica nel rettangolo, w(x, 0) = φ(x) e∂∂yw(x, 0) = 0 per 0 < x < 1. Il principio di riflessione per le funzioni armonicheafferma che la funzione w(x, |y|) e armonica in un intorno completo del segmento(x, 0), 0 < x < 1, e quindi w(x, 0) = φ(x) e una funzione analitica.

Viceversa, se φ e analitica, per il Teorema di Cauchy-Kowalevski, esiste unae una sola funzione armonica w definita in un intorno completo di (0, 1)× 0,con derivata normale nulla per y = 0 e uguale a φ per y = 0. La funzioneu = w + v e soluzione del problema.

2. Il problema non e stabile: variazioni arbitrariamente piccole dei dati pos-sono provocare variazioni arbitrariamente grandi della soluzione.

23

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La funzioneun = e−

√n cos(nx) cosh(ny),

e soluzione del problema∆un(x, y) = 0, per (x, y) ∈ (0, 1)× (0, r),un(x, 0) = f(x) = e−

√n cos(nx) per x ∈ (0, 1),

∂∂yun(x, 0) = g(x) = 0 per x ∈ (0, 1).

Osserviamo che

supx∈(0,1)

|f(x)|+ |g(x)| = e−√n → 0, n→∞,

ma

supx∈(0,1)

|u(x, r)| = e−√n cosh(nr) = e−

√n e

nr + e−nr

2→∞, n→∞.

3. I dati del problema sono sovrabbondanti

Questa e una osservazione dovuta a C. Pucci.Possiamo modificare il problema di Dirichlet nel modo seguente: Sia I un

sottoinsieme di (0, 1) con almeno un punto di accumulazione. Il problema∆u(x, y) = 0, per (x, y) ∈ (0, 1)× (0, r),∂∂yu(x, 0) = g(x) per x ∈ (0, 1),u(x, 0) = f(x) per x ∈ I,

(15)

ha al piu una soluzione.Siano, infatti, u e v soluzioni di (15). La funzione w = u − v e armonica

un (0, 1) × (0, r) e ∂∂yw(x, 0) = 0. Per il principio di riflessione, la funzione

w(x, |y|) e armonica in (0, 1) × (−r, r) e, quindi, w(x, 0) e analitica in (0, 1).Poiche w(x, 0) = 0 per x ∈ I segue che w ≡ 0, cioe u ≡ v.

Possiamo anche considerare in problema leggermente diverso. Supponiamoche f(x)− 1

π

∫ 1

0g(t) ln |x−t| dt sia una funzione analitica in (0, 1) e sia v soluzione

di ∆v(x, y) = 0, per (x, y) ∈ (0, 1)× (0, r),∂∂yv(x, 0) = g(x) per x ∈ (0, 1),v(x, 0) = f(x) per x ∈ (0, 1).

Allora, ogni funzione u soluzione del problema∆u(x, y) = 0, per (x, y) ∈ (0, 1)× (0, r),

∂∂yu(x, 0) = g(x) per x ∈ (0, 1),

x : u(x, 0) = f(x) ha un punto di accumulazione in (0, 1),(16)

coincide con v.Basta infatti osservare che ∆(u−v) = 0 in (0, 1)×(0, r) e ∂

∂y (u−v)(x, 0) = 0per x ∈ (0, 1) e quind, sempre utilizzando il principio di riflessione, (u− v)(x, 0)e analitica in (0, 1). Dal momento che x : u(x, 0) = v(x, 0) ha un punto diaccumulazione in (0, 1), allora u ≡ v.

4. La soluzione puo essere controllata facendo intervenire in modo essenzialel’analiticita.

Vedere G.Talenti, Sui problemi mal posti, Bollettino U.M.I. (5), 15-A (1978),1-29.

24

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3.3 Un cenno alle equazioni integrali del primo tipo

Come abbiamo visto le equazioni integrali del primo tipo costituiscono un mod-ello per i problemi inversi lineari. Prendiamole in considerazione per quantoriguarda le questioni di esistenza, unicita e stabilita delle soluzioni.

Consideriamo una equazione integrale di Fredholm del primo tipo:∫ 1

0

k(s, t)x(t) dt = y(s), 0 ≤ s ≤ 1. (17)

Questa forma comprende anche le equazioni integrali di Volterra del primo tipo∫ s

0

k(s, t)x(t) dt = y(s), 0 ≤ s ≤ 1. (18)

per le quali avremo k(s, t) = 0 per t > s.Esistenza

In genere si vorrebbe avere una soluzione x dell’equazione (17) per una classesufficientemente grande di funzioni y. Chiaramente pero la funzione y in (17)non solo dipende da x, ma eredita, attraverso la variabile s certe proprietastrutturali e qualitative dal nucleo k. Quindi la forma di k puo causare severerestrizioni alla forma delle funzioni y per le quali l’equazione (17) ha soluzione.Per fare un esempio estremo, se k(s, t) = 1 per ogni (s, t) ∈ [0, 1]× [0, 1], alloraesistono soluzioni dell’equazione integrale (17) se e solo se y e costante.

Esempio 3.1 Un nucleo k(s, t) si dice degenere se ha la forma

k(s, t) =n∑j=1

Sj(s)Tj(t).

Si vede facilmente che, se k e degenere, allora l’equazione (17) non ha soluzionese y non appartiene allo spazio generato dalle funzioni S1, . . . , Sn.

UnicitaIn generale non ci si puo aspettare che equazioni della forma (17) abbiano unasoluzione unica. Infatti, nell’esempio semplice k(s, t) = 1 e evidente che per ognifunzione costante y(s) = c si hanno infinite soluzioni che verificano l’equazione.Per esempio tutte le funzioni a scala della famiglia xn(t) = nc1(0,1/n)(t) pern ∈ N sono soluzioni.

Altri esempi di non unicita vengono prodotti dalle relazioni di ortogonalita;per esempio, se k(s, t) = a(s) sinπt, allora ognuna delle funzioni

x(t) = sinnπt, n = 2, 3, . . .

e soluzione dell’equazione ∫ 1

0

k(s, t)x(t) dt = 0.

Esercizio 3.3 Supponiamo che, per 0 ≤ t ≤ 1, k(s, t) = 0 per 0 ≤ s < 1/2e k(s, t) = 1 per 1/2 ≤ s ≤ 1. Mostrare che x(t) = 0 e x(t) = t − 1/2 sonoentrambe soluzioni di

∫ 1

0k(s, t)x(t) dt = 0, per 0 ≤ s ≤ 1.

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InstabilitaLa mancanza di stabilita e il punto centrale per le equazioni integrali di primaspecie. Essa non dipende da forme particolari del nucleo, ma e una caratteristicafondamentale e segue dal

Lemma di Riemann-Lebesgue. Se k(·, ·) ∈ L2([0, 1]× [0, 1]), allora∫ 1

0

k(·, t) sinnπt dt→ 0 as n→∞

dove la convergenza si intende in norma L2.

Quindi, una perturbazione significativa (in norma L2) della forma sinnπt aduna soluzione x(t) dell’equazione (17) porta, per n grande, ad una perturbazioneinsignificante dell’effetto y(s).

La forma speciale delle equazioni integrali di Volterra non semplifica le dif-ficolta associate all’esistenza, unicita e stabilita delle soluzioni, come mostranoi seguenti esercizi:

Esercizio 3.4 Mostrare che l’equazione∫ s0x(t) dt = y(s) ha una soluzione

integrabile solo se y e assolutamente continua e y(0) = 0.

Esercizio 3.5 Mostrare che per ogni numero reale c la funzione x(t) = ct2 euna soluzione non nulla dell’equazione∫ s

0

(3s− 4t)x(t) dt = 0

3.3.1 Equazioni integrali del secondo tipo

Prendiamo adesso brevemente in considerazione le equazioni integrali del sec-ondo tipo di Fredholm

x(s) =∫ 1

0

k(s, t)x(t) dt+ y(s), 0 ≤ s ≤ 1, (19)

e di Volterrax(s) =

∫ s

0

k(s, t)x(t) dt+ y(s), 0 ≤ s ≤ 1. (20)

Osserviamo che le equazioni (20) sono sempre risolubili se il nucleo k e ildato y sono ragionevoli e che le soluzioni dipendono con continuita dai dati.

Proposizione 3.2 Sia k continuo in 0 ≤ t ≤ s ≤ 1. Per ogni y ∈ C(0, 1)esiste una e una sola soluzione dell’equazione (20) e tale soluzione dipende concontinuita da y.

Dim. Si costruisce una soluzione utilizzando il metodo delle approssimazionisuccessive. Definiamo per ricorrenza la successione

x0(s) = y(s)

x1(s) =∫ s

0

k(s, t)x0(t) dt+ y(s)

. . .

xn(s) =∫ s

0

k(s, t)xn−1(t) dt+ y(s) (21)

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Vogliamo mostrare che la successione xn∞n=0 converge uniformemente a x ∈C(0, 1) per n→∞ e che x e soluzione di (20).

Possiamo scrivere il termine n-esimo della successione come somma parzialedi una serie telescopica:

xn(s) = y(s) +n∑j=1

xj(s)− xj−1(s).

La successione xn converge se la serie telescopica e convergente. ChiamiamoK = max|k(s, t)| : 0 ≤ t ≤ s ≤ 1 e stimiamo:

|x1(s)− x0(s)| =∣∣∣∣∫ s

0

k(s, t)y(t) dt∣∣∣∣ ≤ ‖y‖C0(0,1)

∫ s

0

|k(s, t)| dt

≤ K‖y‖C0(0,1)s,

|x2(s)− x1(s)| =∣∣∣∣∫ s

0

k(s, t)(x1(t)− x0(t)) dt∣∣∣∣ ≤

∫ s

0

K2‖y‖C0(0,1)t dt

≤ K2‖y‖C0(0,1)s2

2,

|xj(s)− xj−1(s)| ≤ ‖y‖C0(0,1)(Ks)j

j!.

La serie risulta quindi uniformemente convergente ad una x ∈ C(0, 1). Passan-do al limite per n → ∞ nella (21) si ottiene che x e soluzione dell’equazioneintegrale. Per quando riguarda la stabilita si osserva che

‖x‖C0 ≤∞∑j=1

‖xj − xj−1‖C0 + ‖y‖C0 ≤ ‖y‖C0 ·∞∑j=0

Kj

j!= eK‖y‖C0 .

Osservazione 3.3 Esiste una tecnica standard per ridurre alcune equazioniintegrali di Volterra del primo tipo∫ s

0

k(s, t)x(t) dt = y(s), (22)

ad equazioni integrali di Volterra del secondo tipo. Se, infatti, il nucleo k econtinuo e derivabile rispetto ad s con derivata continua per 0 ≤ t ≤ s ≤ 1,y′(s) e continua per 0 ≤ s ≤ 1 e k(s, s) 6= 0 per 0 ≤ s ≤ 1, allora, derivando la(22) rispetto ad s e dividendo per k(s, s) si ha

x(s) +∫ s

0

(∂k

∂s(s, t)/k(s, s)

)x(t) dt = y′(s)/k(s, s). (23)

Questa equazione e ben posta nello spazio delle funzioni continue. Notiamo cheil problema della stabilita persiste perche, a causa della presenza della derivatadi y, piccoli cambiamenti nel secondo membro della (22) possono portare agrandi cambiamenti nel secondo membro della (23). Quindi, la trasformazionedell’equazione dal primo al secondo tipo sposta semplicemente l’instabilita nelprocesso di derivazione.

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Esercizio 3.6 Sia φ(s) =∫ s0x(τ) dτ . Integramo la (22) per parti per ottenere

l’equazione integrale di Volterra del secondo tipo

φ(s)−∫ s

0

(∂k

∂t(s, t)/k(s, s)

)φ(t) dt = y(s)/k(s, s).

Con questo procedimento si aggira l’ostacolo dell’instabilita?

Concludiamo infine questo paragrafo osservando che la risoluzione delle equazionidi Fredholm di seconda specie non e sempre semplice come quella delle equazionidi Volterra di seconda specie. Le equazioni di Fredholm possono presentare degliautovettori, cioe possono esistere funzioni non nulle che soddisfano

x(s) =∫ 1

0

k(s, t)x(t) dt.

La presenza di questi autovettori influenza l’esistenza e, soprattutto, l’unicitadella soluzione. Esistono comunque risultati analoghi a quello mostrato per leequazioni di Volterra, ad esempio:

Proposizione 3.4 Sia k continuo in [0, 1] × [0, 1] con sup|k(s, t)| : (s, t) ∈[0, 1]2 < 1. Per ogni y ∈ C(0, 1) esiste una e una sola soluzione dell’equazione(19) e tale soluzione dipende con continuita da y.

4 Operatori compatti

4.1 Un po’ di analisi funzionale

Per questo richiamo di analisi funzionale si consiglia la parte riguardante glispazi di Hilbert nell’appendice delle dispense del Prof. Magnanini del corso diIstituzioni di Analisi Superiore II mod. reperibili sulla sua pagina web.

4.2 Sugli insiemi compatti

Prima di introdurre gli operatori compatti ricordiamo che un sottoinsieme Sdi uno spazio normato X si dice relativamente compatto se ogni successionein S contiene una sottosuccessione convergente in X. S si dice compatto se erelativamente compatto e chiuso.

Esempi:

1. In RN sono compatti tutti e soli gli insiemi limitati e chiusi (sono relati-vamente compatti tutti e soli gli insiemi limitati).

2. Il Teorema di Ascoli-Arzela caratterizza i sottoinsiemi relativamete com-patti di C[a, b]. Afferma infatti che un sottoinsieme S di C[a, b] e relati-vamente compatto se e solo se e limitato ed equicontinuo, cioe se per ogniε > 0 esiste δ > 0 tale che per ogni f ∈ S e per ogni coppia s, t ∈ (0, 1)con |s− t| < δ si ha |f(s)− f(t)| < ε.

3. Vediamo un caso speciale del Teorema di Immersione di Sobolev

28

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Proposizione 4.1 Gli insiemi della forma

S = f ∈ H1[0, 1] : ‖f‖H1 ≤ E

sono compatti in C[0, 1].

Dim. In primo luogo osserviamo che le funzioni di H1[0, 1] sono in par-ticolare funzione assolutamente continue (e quindi S ⊂ C[0, 1]) e si puoscrivere

f(x) = f(t) +∫ x

t

f ′(s) ds.

Integrando in t questa relazione si ottiene

f(x) =∫ 1

0

f(t) dt+∫ 1

0

∫ x

t

f ′(s) ds dt

=∫ 1

0

f(t) dt+∫ x

0

∫ s

0

f ′(s) dt ds

=∫ 1

0

f(t) dt+∫ x

0

sf ′(s) ds,

da cui

|f(x)| ≤∣∣∣∣∫ 1

0

f(t) dt∣∣∣∣+ ∫ x

0

s|f ′(s)| ds

≤ ‖f‖L2 + ‖f ′‖L21√3≤√

2‖f‖H1 ≤√

2E,

quindi ‖f‖C0 ≤√

2E ed S e limitato in C0[0, 1]. Inoltre,

|f(s)− f(t)| ≤∣∣∣∣∫ t

s

f ′(τ) dτ∣∣∣∣ ≤ ‖f ′‖L2

∣∣∣∣∫ t

s

1 dτ∣∣∣∣1/2

= |s− t|1/2‖f ′‖L2 ≤ |s− t|1/2‖f‖H1 ≤ E|s− t|1/2,

e le funzioni di S sono equicontinue. Questo dimostra che S e relati-vamente compatto. Vogliamo adesso mostrare che e anche chiuso. Siafn∞n=1 una successione di funzioni di S convergente a f in C(0, 1). Con-sideriamo la successione delle derivate f ′n∞n=1. Per la definizione di Ssappiamo che tale successione e limitata rispetto alla norma L2. Per ilteorema di Bolzano-Weierstass generalizzato, tale successione ammetteuna sottosuccessione (che chiamiamo f ′nj

∞j=1) debolmente convergentead una funzione g ∈ L2. Facciamo vedere che g e la derivata debole dif : sia Φ una funzione test, cioe una funzione C∞ a supporto compatto in(0, 1), allora, poiche fnj

converge uniformemente a f ,∫ 1

0

f(t)Φ′(t) dt = limj→∞

∫ 1

0

fnj (t)Φ′(t)

= limj→∞

−∫ 1

0

f ′nj(t)Φ(t)(t) dt = −

∫ 1

0

g(t)Φ(t) dt,

quindi f ∈ H1(0, 1) e

‖f‖2H1 = ‖f‖2L2 + ‖g‖2L2

= limj→∞

(‖fnj

‖2L2 + ‖f ′nj‖2L2

)≤ E.

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4.3 Definizione e proprieta degli operatori compatti

Siano X e Y spazi normati e sia K : X → Y un operatore lineare. K si dicecompatto se per ogni insieme limitato B in X, l’immagine T (B) e relativamentecompatta in Y (cioe la sua chiusura e compatta in Y ).

In altre parole,

Proposizione 4.2 Un operatore K : X → Y e compatto se e solo se per ognisuccessione φn limitata in X, la successione Kφn ha una sottosuccessioneconvergente in Y .

Vediamo alcune proprieta degli operatori compatti1) Gli operatori compatti sono limitati.L’insieme ∂B1 = x ∈ X : ‖x‖ = 1. E limitato in X, quindi la sua

immagine K(∂B1) e compatta (e quindi limitata) in Y , cioe, esiste M > 0 taleche

‖Kx‖ ≤M ∀x ∈ ∂B1 ⇒ ‖K‖ ≤M.

Oss. Gli insiemi compatti sono limitati perche se non lo fossero si potrebbecostruire una successione con norma che tende a +∞ dalla quale non si possonoestrarre sottosuccessioni convergenti.

2) Combinazioni lineari di operatori compatti sono ancora operatori compat-ti.

Siano K1 e K2 operatori compatti. Data una successione φn limitata inX, si puo estrarre una sottosuccessione φn1k

tale che K1φn1kconverge in Y

e da questa un’altra sottosuccessione φn2k tale che K2φn2k

converge in Y .Allora, per ogni coppia di costanti α e β, la successione αK1φn2k

+ βK2φn2ke

convergente.3) Siano T1 : X → Y e T2 : Y → Z operatori lineari limitati. Se uno dei

due operatori e compatto, allora il prodotto

T2T1 : X → Z

e compatto.Sia B un insieme limitato in X. Se T2 e compatto, dal momento che T1(B) e

ancora limitato, allora T2(T1(B)) e relativamente compatto in Y . Supponiamoinvece che T1 sia compatto e prendiamo una successione φn limitata in X. Perla compattezza di T1 la successione T1φn ha una sottosuccessione T1φnk

convergente. Per la limitatezza di T2 si ha allora che anche T2(T1(φnk

)) econvergente.

4) Sia X uno spazio normato e sia Y uno spazio di Banach. Se Kn : X →Y e una successione di operatori compatti convergente in norma all’operatoreK : X → Y , allora K e compatto.

Sia φn una successione limitata in X, ‖φn‖ ≤ E per ogni n. Poichetutti gli operatori sono compatti, con un processo di diagonalizzazione si puoscegliere una sottosuccessione φnj

tale che per ogni m fissato la successioneKmφnj

converge quando j tende a +∞. Vogliamo mostrare che anche Kφnj

converge. Siccome Y e uno spazio di Banach, basta mostrare che la successionee di Cauchy. Fissiamo ε > 0. Dall’ipotesi che ‖Km − K‖ tende a zero per mche tende all’infinito, sappiamo che esiste m0 ∈ N tale che

‖Km0 −K‖ ≤ ε

3E.

30

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Poiche Km0φnjconverge quando j tende all’infinito, esiste un indice N(ε) tale

che se j, k > N(ε), allora

‖Km0φnj −Km0φnk‖ ≤ ε

3.

Calcoliamo allora, per j, k > N(ε)

‖Kφnj−Kφnk

‖ ≤ ‖Kφnj−Km0φnj

‖+ ‖Km0φnj−Km0φnk

‖+Km0φnk

−Kφnk‖

≤ ε

3EE +

ε

3+

ε

3EE = ε.

Esempio 4.1 L’operatore di immersione

K : H1[0, 1] → C[0, 1], Kf = f

e compatto. (Vedere la Proposizione 4.1)

Esempio 4.2 Se k(·, ·) ∈ C([0, 1]× [0, 1]), allora l’operatore integrale

K : C[0, 1] → C[0, 1], Kf(s) =∫ 1

0

k(s, t)f(t) dt

e compatto (si dimostra utilizzando il teorema di Ascoli- Arzela.)

Il precedente esempio si puo estendere ad una classe di nuclei piu grande diquella formata da funzioni continue nel quadrato [0, 1] × [0, 1]. Diciamo che ilnucleo k e debolmente singolare in [0, 1] × [0, 1] se esiste una costante positivaM ed un numero α ∈ [0, 1), tali che

|k(s, t)| ≤M |s− t|α−1, per s, t ∈ [0, 1], s 6= t.

Proposizione 4.3 Un operatore integrale con nucleo debolmente singolare ecompatto da C[0, 1] in se.

Dim. Osserviamo in primo luogo che l’operatore e ben definito perche perogni f ∈ C[0, 1], vale

|k(s, t)f(t)| ≤M‖f‖∞|s− t|α−1,

che e integrabile in (0, 1) per α ∈ (0, 1).Definiamo la funzione continua e lineare a tratti h : [0,+∞) → R

h(x) :=

0 per 0 ≤ x ≤ 1/2,2x− 1 per 1/2 ≤ x ≤ 1,

1 per 1 ≤ x < +∞,

e definiamo i nuclei continui

kn(s, t) :=h(n|s− t|)k(s, t) per s 6= t,

0 per s = t.,

I corrispondenti operatori integrali Kn : C[0, 1] → C[0, 1] sono compatti (esem-pio 4.2).

31

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Calcoliamo

|Kf(s)−Knf(s)| =∣∣∣∣∫ 1

0

(k(s, t)− kn(s, t))f(t) dt∣∣∣∣

≤∫|s−t|≤ 1

n

|k(s, t)(1− h(n|s− t|))| · |f(t)| dt

≤∫|s−t|≤ 1

n

|k(s, t)||f(t)| dt ≤M‖f‖C0

∫|s−t|≤ 1

n

|s− t|α−1dt

=2M‖f‖C0

αnα→ 0 per n→∞.

Cioe Knf converge a Kf uniformemente in [0, 1], e quindi Kf ∈ C[0, 1]. Inoltre

‖K −Kn‖C0 ≤ 2Mαnα

→ 0 per n→∞

e quindi K e compatto.

5) Sia T : X → Y un operatore lineare limitato con range R(T ) a dimensionefinita. Allora T e compatto.

Sia B ⊂ X limitato. T (B) e un insieme limitato contenuto in uno spazio didimensione finita. Per il teorema di Bolzano-Weierstrass, T (B) e relativamentecompatto.

6) L’operatore identita I : X → X e compatto se e solo se X ha dimensionefinita.

Per dimostrare questa affermazione utilizziamo il

Lemma di Riesz Sia X uno spazio normato, sia S ( X un suo sottospaziochiuso e sia α ∈ (0, 1). Allora, esiste un elemento ψ ∈ X con ‖ψ‖ = 1 e

‖ψ − φ‖ ≥ α per ogni φ ∈ S.

Dim. del Lemma di Riesz. Sia S ( X e sia f ∈ X \ S. Per la chiusura di S,si ha che

β := infψ∈S

‖f − ψ‖ > 0.

Per definizione di estremo inferiore, esiste g ∈ S tale che

β ≤ ‖f − g‖ ≤ β

α.

Definiamo il vettore di norma 1,

φ :=f − g

‖f − g‖.

Per ψ ∈ S, il vettore g + ‖f − g‖ψ ∈ S e vale

‖ψ − φ‖ =1

‖f − g‖‖f − g + ‖f − g‖ψ‖ ≥ β

‖f − g‖≥ α.

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Dim. di 6). Supponiamo che I sia compatta e che X non abbia dimensionefinita. Sia ψ1 ∈ X con ‖ψ1‖ = 1. Chiamiamo S1 := spanψ1. S1 e unsottospazio chiuso di X strettamente contenuto in X. Per il Lemma di Riesz,esiste ψ2 ∈ X tale che ‖ψ2‖ = 1 e ‖ψ2−ψ1‖ ≥ 1/2. Sia S2 := spanψ1, ψ2 ( X.Esiste quindi ψ3 ∈ X tale che ‖ψ3‖ = 1, ‖ψ3 − ψ1‖ ≥ 1/2 e ‖ψ2 − ψ1‖ ≥1/2. Poiche X ha dimensione infinita, questo procedimento non ha termine e sicostruisce quindi una successione ψn ⊂ X tale che ‖ψn‖ = 1 e ‖ψm − ψn‖ ≥1/2 per ogni n,m con n 6= m. Abbiamo costruito una successione limitata chenon ha sottosuccessioni convergenti. Questo e contrario all’ipotesi che I siacompatta. Viceversa, se X ha dimensione finita la tesi e conseguenza del punto5).

Conseguenza importante di 6): Se X ha dimensione infinita e K : X →Y e un operatore compatto iniettivo, allora l’inverso di K non e limitato.

Dim. Se K−1 : K(X) → X fosse limitato, allora risulterebbe compattol’operatore

I : K−1K : X → X

e X dovrebbe aver dimensione finita, contrariamente all’ipotesi.

Abbiamo appena visto che l’inverso di un operatore compatto non e limitatose lo spazio ha dimensione infinita. Vediamo invece un caso nel quale l’operatoreinverso e limitato.

Teorema dell’Applicazione Aperta. Siano X e Y spazi di Banach e siaT : X → Y un operatore lineare, continuo e suriettivo. Allora, esiste c > 0 taleche

T (x ∈ X : ‖x‖ < 1) ⊃ y ∈ Y : ‖y‖ < c, (24)

cioe T e una applicazione aperta.

Corollario 4.4 Siano X e Y spazi di Banach e sia T : X → Y un operatorelineare, continuo e bijettivo da X su Y . Allora T−1 e continuo.

Dimostrazione che il Teorema dell’applicazione aperta implica il corollario. Perun operatore bijettivo la condizione (24) si puo leggere nel modo seguente: perogni x ∈ X con ‖Tx‖ < c, allora ‖x‖ < 1. Da questo segue che

‖x‖ ≤ 1c‖Tx‖.

Sia, infatti, 0 < ξ < c, allora∥∥∥∥T ( ξx

‖Tx‖

)∥∥∥∥ =ξ

‖Tx‖‖Tx‖ < c⇒

∥∥∥∥ ξx

‖Tx‖

∥∥∥∥ < 1,

cioe ‖x‖ < 1ξ‖Tx‖ per ogni ξ < c da cui la tesi.

Un risultato fondamentale riguardante gli operatori compatti e il seguenteteorema

33

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Alternativa di Fredholm. Sia X uno spazio di Hilbert, sia K : X → Xun operatore compatto e sia K∗ il suo aggiunto. Allora

a) N(I −K) ha dimensione finita,

b) R(I −K) e chiuso e

R(I −K) = N(I −K∗)⊥

c) N(I −K) = 0 se e solo se R(I −K) = X

d) dim(N(I −K)) = dim(N(I −K∗)).

Osserviamo che la proprieta c) fa somigliare gli operatori compatti a opera-tori tra spazi a dimensione finita.

4.4 Teoria spettrale degli operatori compatti

Limitiamoci al caso di operatori definiti su spazi di Hilbert.

Definizione 4.5 Sia X uno spazio di Hilbert e sia T : X → X un operatorelineare.

Si chiama risolvente di T l’insieme

ρ(T ) = λ ∈ R : T − λI ha inverso limitato su X.

Si chiama invece spettro di T il complementare del risolvente

σ(T ) = C \ ρ(T ).

Un elemento λ ∈ σ(t) e un autovalore se T − λI non e iniettivo. Se λ e unautovalore, gli elementi non nulli del nucleo N(T − λI) si dicono autovettori.

Vale il seguente risultato:

Teorema 4.6 Sia T : X → X un operatore lineare su uno spazio di Hilbert X.

a) Se x1, . . . , xn sono un insieme finito di autovettori , ognuno corrispondentead un diverso autovalore, allora essi sono linearmente indipendenti.

Se T e autoaggiunto tali autovettori sono a due a due ortogonali.

b) Se T e autoaggiunto,

‖T‖ = sup‖x‖=1

< Tx, x >= r(T ) = supλ : λ ∈ σ(T ).

In generale, per operatori non compatti, e possibile che T − λI sia iniettivoma non suriettivo. Questo, grazie all’Alternativa di Fredholm, non succede peroperatori compatti autoaggiunti (cioe tali che < Kx, x >=< x,Kx > per ognix ∈ X) per i quali abbiamo una descrizione completa dello spettro.

Teorema 4.7 Teorema spettrale per operatori compatti autoaggiun-ti. Sia X uno spazio di Hilbert e sia K : X → X un operatore compattoautoaggiunto. Allora:

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a) σ(K) \ 0 e composto da soli autovalori. K ha almeno un autovalore ene ha al piu una infinita numerabile con 0 come unico possibile punto diaccumulazione.

b) Per ogni autovalore λ 6= 0 esiste un numero finito di autovettori linear-mente indipendenti. Autovettori corrispondenti ad autovalori diversi sonoortogonali.

c) Ordiniamo gli autovalori in modo che sia |λ1| > |λ2| > . . .. Se indichiamocon Pj la proiezione su N(K − λj), si ha

K =∞∑j=1

λjPj .

d) Esiste una successione xjj∈J (con J finito o J = N) tale che xj e unautovettore per K, < xi, xj >= 0 se i 6= j e tale che per ogni x ∈ X esistex0 ∈ N(K) tale che

x = x0 +∑j∈J

< x, xj > xj

eKx =

∑j∈J

λj < x, xj > xj .

Se K e iniettivo, xj : j ∈ J e un sistema completo in X.

Per la dimostrazione rimandiamo al libro di H. Brezis, Analisi Funzionale. Os-serviamo soltanto che, per definire il sistema completo, definiamo una succes-sione con valore assoluto non crescente costituita dagli autovalori di K, ognu-no contato con la sua molteplicita. Per ogni autovalore scegliamo una baseortogonale dell’autospazio (che ha dimensione finita uguale alla molteplicitadell’autovalore).

Osservazione 4.8 Se K non e iniettivo e X e separabile, si puo completarexjj∈J con un sistema ortonormale completo per N(K) ottenendo un sistemaortomornale completo per X formato ancora da autovettori.

In generale non si puo concludere che N(K) ha dimensione finita.

Vogliamo adesso introdurre la decomposizioni a valori singolari, che e l’anal-ogo del Teorema spettrale per operatori compatti non autoaggiunti. Prima difarlo richiamiamo brevemente qualche proprieta dell’aggiunto di un operatore.

Sia T : H1 → H2 un operatore lineare tra due spazi di Hilbert. Fissatou ∈ H2, il funzionale lineare

fu : H1 → R,

definito dafu(v) =< u, Tv > per v ∈ H1

e un funzionale lineare limitato su H1, infatti

|fu(v)| ≤ ‖u‖‖Tv‖ ≤ ‖u‖‖T‖‖v‖.

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Per il teorema di rappresentazione di Riesz, esiste uno e un solo elemento di H1,che indichiamo con T ∗u, tale che

< u, Tv >= fu(v) =< T ∗u, v > per ogni v ∈ H1.

L’applicazione T ∗ : H2 → H1 e lineare e limitata. Chiamiamo T ∗ l’operatoreaggiunto di T .

Utilizzeremo le seguenti proprieta:

‖T ∗‖ = ‖T‖, (T ∗)∗ = T e T ∗S∗ = (ST )∗.

Esempio 4.3 Se H1 = Rn e H2 = Rm e T : Rn → Rm e rappresentato dallamatrice A = aij per i = 1 . . . ,m, j = 1, . . . , n nel senso che T (x) = Ax, alloraT ∗ : Rm → Rn e dato da

T ∗(y) = AT y.

Esempio 4.4 Aggiunto di un operatore integrale. Sia k ∈ L2([0, 1]×[0, 1])e sia K : L2[0, 1] → L2[0, 1] definito da

(Kf)(s) =∫ 1

0

k(s, t)f(t) dt.

Calcoliamo l’aggiunto di K utilizzando il Teorema di Fubini.

< Kf, g > =∫ 1

0

(∫ 1

0

k(s, t)f(t) dt)g(s) ds

=∫ 1

0

∫ 1

0

k(s, t)f(t)g(s) dt ds

=∫ 1

0

f(t)(∫ 1

0

k(s, t)g(s) ds)dt =< f,K∗g >,

dove

K∗g(s) =∫ 1

0

k(t, s)g(t) dt.

K∗ e ancora un operatore integrale e corrisponde al nucleo k∗(s, t) = k(t, s).L’operatore K e autoaggiunto se k(t, s) = k(s, t) per ogni (s, t) ∈ [0, 1]× [0, 1].

Proposizione 4.9 Se K : H1 → H2 e compatto, allora anche K∗ : H2 → H1 ecompatto.

Dim. Sia φnn∈N ⊂ H2 una successione limitata tale che ‖φn‖ ≤ c per ognin ∈ N. Per la limitatezza di K∗, la successione K∗φnn∈N ⊂ H1 e ancoralimitata. Poiche K e compatto, esiste una sottosuccessione φnjj∈N tale cheKK∗φnj

j∈N converge in H2. Fissato comunque ε > 0, esiste un indice M > 0tale che

‖KK∗φnj−KK∗φnl

‖ ≤ ε

2cper j, l > M.

Allora, prendendo j, l > M si ha,

‖K∗φnj−K∗φnl

‖2 = < K∗φnj−K∗φnl

,K∗(φnj− φnl

) >= < KK∗φnj

−KK∗φnl, φnj

− φnl>

≤ ‖KK∗φnj−KK∗φnl

‖‖φnj− φnl

‖ ≤ ε

2c2c = ε,

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cioe K∗φnje convergente in H2 e quindi K∗ e compatto.

Proposizione 4.10 Sia T : H1 → H2 un operatore lineare limitato tra duespazi di Hilbert. Valgono allora le seguenti identita:

R(T ) = N(T ∗)⊥ e R(T ∗) = N(T )⊥

e, inoltre,H2 = R(T )⊕N(T ∗) e H1 = R(T ∗)⊕N(T ).

4.5 Decomposizioni a valori singolari

Teorema 4.11 Sia K : H1 → H2 un operatore compatto tra spazi di Hilbert.Esistono un insieme di indici J (finito o J = N), una successione di numerireali positivi σjj∈J e due sistemi ortonormali ejj∈J in H1 e fjj∈J in H2,tali che

1. La successione σjj∈J e monotona non crescente e, se J = N,

limj→+∞

σj = 0.

2. Kej = σjfj e K∗fj = σjej per j ∈ J .

3. Per ogni x ∈ H1 esiste x0 ∈ N(K) tale che

x = x0 +∑j∈J

< x, ej > ej

eKx =

∑j∈J

σj < x, ej > fj . (25)

4. Per ogni y ∈ H2,K∗y =

∑j∈J

σj < y, fj > ej .

Definizione 4.12 Sistema singolare I numeri σj vengono detti valori singolaridi K e la famiglia σj , ej , fjj∈J e detta sistema singolare per K, mentre la for-mula (25) e detta decomposizione a valori singolari di K (SVD=Singular ValueDecomposition).

Osservazione 4.13 La soluzione di Kx = y con y ∈ R(K) si scrive

x = x0 +∑j∈J

σ−1j < y, fj > ej ,

con x0 ∈ N(K).

Dim. Consideriamo gli operatori

K∗K : H1 → H2 e KK∗ : H2 → H1

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che sono entrambi compatti e autoaggiunti.Mostriamo che se λ 6= 0 e un autovalore per K∗K, allora e positivo ed e

anche un autovalore per KK∗ con la stessa molteplicita. Sia λ 6= 0 e sia u taleche

K∗Ku = λu.

Calcoliamo

λ‖u‖2 =< λu, u >=< K∗Ku, u >=< Ku,Ku >= ‖Ku‖2.

Poiche u 6= 0, allora λ > 0. Inoltre

K∗Ku = λu⇒ KK∗(Ku) = λKu,

cioe Ku ∈ N(KK∗ − λI) da cui segue che λ e un autovalore per KK∗. Inoltre

K(N(K∗K − λI)) ⊂ N(KK∗ − λI)

da cui segue che

dim(N(K∗K − λI)) ≤ dim(N(KK∗ − λI)).

Scambiando i ruoli di K e K∗ si ottiene la relazione opposta da cui si ha che

dim(N(K∗K − λI)) = dim(N(KK∗ − λI)).

Per il teorema 4.7, possiamo definire una successione λjj∈J non crescentedi autovalori di K∗K contati ognuno con la propria molteplicita,

λ1 ≥ λ2 ≥ λ3 ≥ . . . > 0

dove J = N oppure J e un insieme finito. A questa successione corrisponde unasuccessione ejj∈J di autovettori di K∗K che forma un sistema ortonormalecompleto per N(K∗K)⊥. Osserviamo che N(K∗K) = N(K). Infatti, se x ∈N(K∗K), K∗Kx = 0 e quindi

0 =< K∗Kx, x >=< Kx,Kx >= ‖Kx‖2,

cioe x ∈ N(K). Viceversa, ogni x ∈ N(K) appartiene sicuramente a N(K∗K).La successione ejj∈J ha quindi le seguenti proprieta:

< ej , ei >= δij per ogni i, j,

K∗Kej = λjej

e per ogni x ∈ H1 esiste x0 ∈ N(K∗K) = N(K) tale che

x = x0 +∑j∈J

< x, ej > ej .

Definiamo adesso per j ∈ J

σj =√λj e fj =

1√λjKej ∈ H2. (26)

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Per ogni j ∈ J , fj e un autovettore di KK∗ corrispondente all’autovalore λj ,infatti

KK∗fj =1√λjKK∗Kej =

1√λjK(λjej) = λjfj .

Inoltre, fjj∈J e una successione ortonormale, infatti

< fi, fj >=< Kei,Kej >√

λiλj=< ei,K

∗Kej >√λiλj

=λj√λjλi

< ej , ei >= δij .

Dalla definizione (26) si ha anche che

Kej = σjfj e K∗fj = σjej .

Rimane da provare la (25). Dal teorema 4.7 sappiamo che

K∗Kx =∑j∈J

λj < x, ej > ej .

Chiamiamo

Qx :=∑j∈J

σj < x, ej > fj e QNx :=∑j∈Jj≤N

σj < x, ej > fj .

Il vettore Qx risulta ben definito perche la successione dei valori singolari e noncrescente e quindi ∑

j∈Jσ2j < x, ej >

2≤ σ21‖x‖2.

Per ogni N il vettore QNx appartiene a R(K). Calcoliamo

‖QNx−Qx‖ = ‖∑j∈Jj≥N

σj < x, ej > fj‖ ≤

∑j∈Jj≥N

σ2j < x, ej >

2

1/2

≤ σN‖x‖,

da cui segue cheQx = lim

N→+∞QNx ∈ R(K).

Per la continuita dell’operatore aggiunto,

K∗Qx = K∗(limNQNx

)= lim

NK∗ (QNx)

= limNK∗

∑j∈Jj≤N

σj < x, ej > fj

= lim

N

∑j∈Jj≤N

λj < x, ej > ej = K∗Kx,

Abbiamo quindi:

K∗(Qx−Kx) = 0, cioe Qx−Kx ∈ N(K∗),

ma ancheQx−Kx ∈ R(K) = N(K∗)⊥

da cui segue che Qx = Kx, cioe la (25).

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Esempio 4.5 Sia K : L2(0, 1) → L2(0, 1) definito da

Kx(s) :=∫ s

0

x(t) dt, per t ∈ (0, 1).

L’aggiunto di K e

K∗y(s) :=∫ 1

s

y(t) dt.

L’operatore K e compatto e

K∗Kx(s) =∫ 1

s

∫ t

0

x(τ) dτ.

λ 6= 0 e un autovalore di K∗K se esiste una funzione x non nulla tale che

λx(s) =∫ 1

s

∫ t

0

x(τ) dτ per s ∈ (0, 1) (27)

Dalla (27) si vede che deve valere

x(1) = 0.

Derivando poi l’equazione (27) rispetto ad s si ha

λx′(s) = −∫ s

0

x(τ) dτ

dalla quale segue che x′(0) = 0. Derivando nuovamente rispetto ad s si ottieneinfine l’equazione differenziale λx′′(s) = −x(s). In conclusione, λ 6= 0 e unautovalore per K∗K se esiste una soluzione non nulla di

λx′′(s) + x(s) = 0 in (0, 1),x(1) = 0, x′(0) = 0.

Questo sistema ha soluzione non nulla se e solo se λ = 4(2j−1)2π2 per j = 1, 2, . . ..

I valori singolari di K sono quindi

σj =2

(2j − 1)πper j ∈ N.

Ogni valore singolare ha molteplicita 1 e le corrispondenti autofunzioni sono

ej(s) =√

2 cos(2j − 1)πs

2,

mentre

fj =1σjKej =

√2 sin

(2j − 1)πs2

.

4.6 Criterio di esistenza di Picard

Il teorema seguente e un criterio per la risolubilita di equazioni lineari governateda un operatore compatto.

Teorema di Picard. Sia K : H1 → H2 un operatore lineare compattocon sistema singolare σj , ej , fj. Dato y ∈ H2 le seguenti condizioni sonoequivalenti:

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(a) y ∈ R(K) (cioe Kx = y ha soluzione)

(b) y ∈ R(K) e∑j∈J

1σ2

j| < y, fj > |2 < +∞.

Dim. (a) ⇒ (b). Sia y ∈ R(K) ⊂ R(K). Esiste x ∈ H1 tale che Kx = y.Dal teorema 4.11 si ha che

x = x0 +∑j∈J

< x, ej > ej e y = Kx =∑j∈J

σj < x, ej > fj ,

da cui segue che< y, fj >= σj < x, ej >

e, quindi, ∑j∈J

σ−2j < y, fj >

2=∑j∈J

< x, ej >2≤ ‖x‖2 < +∞.

(b) ⇒ (a) E sufficiente considerare il caso J = N, infatti se J e un insieme finito,R(K) e chiuso. Definiamo la successione

xn :=n∑j=1

σ−1j < y, fj > ej , per n ∈ N

e facciamo vedere che xn converge, mostrando che e una successione di Cauchy.Sia m ≥ n, allora

‖xn − xm‖2 =m∑

j=n+1

σ−2j < y, fj >

2→ 0 per n,m→ +∞,

perche la serie∑j∈J

1σ2

j| < y, fj > |2 converge. Chiamiamo x := limn x

n.Osserviamo che

Kx = limnKxn = lim

n

n∑j=1

< y, fj > fj =∑j∈J

< y, fj > fj ,

quindi‖Kx‖ ≤ ‖y‖.

Sia, adesso, z := y −∑j∈J < y, fj > fj . Per ipotesi, z ∈ (R(K)) = N(K∗)⊥.

D’altra parte,< z, fj >= 0 per ogni j ∈ J

e, quindi,K∗z =

∑j∈J

σj < z, fj > ej = 0

da cui segue che z ∈ N(K∗) e quindi z = 0, cioe y =∑j∈J < y, fj > fj =

K(x) ∈ R(K).

Osservazione 4.14 La decomposizione ai valori singolari mostra chiaramentela cattiva posizione di una equazione lineare governata da un operatore com-patto. Infatti, se perturbiamo il dato y nell’equazione Kx = y aggiungendoil vettore δy = αfj , si ottiene una perturbazione della soluzione della formaδx = ασ−1

j ej . Se J = N, il rapporto ‖δx‖/‖δy‖ puo essere reso arbitrariamentegrande, infatti

‖δx‖/‖δy‖ = σ−1j → +∞.

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5 Informazioni a priori e stabilita

Nella nostra notazione il problema inverso consiste nel risolvere in x l’equazione

Kx = y

nella quale K : X → Y e un operatore lineare tra spazi di Banach.Inoltre, in genere, siamo nelle condizioni di non conoscere esattamente il

dato y, ma di conoscere una sua approssimazione yε con ‖yε − y‖ ≤ ε.Se K e un operatore invertibile con inverso limitato, possiamo calcolare

xε = K−1yε commettendo un errore del tipo:

‖xε − x‖ = ‖K−1yε −K−1y‖ ≤ ‖K−1‖ε.

Quindi, quando l’errore ε sui dati tende a zero, anche l’errore sulla soluzionetende a zero.

Che cosa succede invece quando K non ha inverso limitato? Riprendiamoin considerazione il problema della derivazione di una funzione che corrispondea risolvere l’equazione ∫ t

0

x(s) ds = y(t)

cioe ad invertire l’operatore

Kx(t) =∫ t

0

x(s) ds.

Supponiamo di cercare la soluzione x ≡ 0 dell’equazione∫ t

0

x(s) ds ≡ 0,

e di aver misurato yε(t) = ε sin tε . L’errore sul dato e ‖yε − y‖∞ ≤ ε, ma la

soluzione che corrisponde a questo dato, cioe la funzione xε(t) = K−1yε(t) =cos tε , e lontana dalla soluzione nulla, infatti ‖xε − x‖∞ = 1 e non tende a zeroper ε→ 0.

Lo studio della stabilita di un problema consiste nell’aggiungere informazionisullo spazio delle soluzioni per cercare di ripristinare la stabilita. Una moti-vazione per questa strategia e fornita dal

Teorema di Tikhonov. Sia K : D(K) ⊂ X → Y un operatore iniettivocontinuo e sia C ⊆ D(K) un insieme compatto in X. Allora, l’operatore inverso

(K|C )−1 : K(C) → C

e continuo.

Dim. Sia φnn∈N una successione convergente in K(C) e sia φ = limn φn.Dobbiamo far vedere che ψnn∈N = (K|C )−1φnn∈N ⊂ C converge in C a ψ =(K|C )−1φ. Per farlo, e sufficiente dimostrare che ogni sottosuccessione di ψn hauna sottosuccessione convergente a ψ. Sia ψnjj una sottosuccessione di ψnn.Poiche C e compatto, ψnj

j ha una sottosuccessione ψnjkk convergente a

qualche ψ ∈ C. Ma K e un operatore continuo, quindi

φ = limkφnjk

= limkK(ψnjk

) = K(limkψnjk

) = K(ψ).

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Dal momento che K e iniettivo, si ha ψ = ψ.

In genere l’operatore che si vuole invertire non e suriettivo ne iniettivo.Conviene allora riformulare il problema inverso in modo leggermente diverso.

Supponiamo di cercare x soluzione di Kx = y ma di conoscere una approssi-mazione yε di y tale che ‖yε − y‖ ≤ ε.

Consideriamo l’insieme

Sε = x ∈ X : ‖Kx− yε‖ ≤ ε.

L’insieme Sε contiene la soluzione x ed e definito anche se K non e ne iniettivone suriettivo. Il diametro di Sε e una stima dell’errore che si commette quandosi approssima x con un qualunque altro elemento di Sε.

Se K e compatto e X non ha dimensione finita, diam(S) = +∞. Perripristinare la stabilita aggiungiamo informazioni sulla soluzione, vale a direrestringiamo S a

S ′ε = x ∈ X : ‖Kx− yε‖ ≤ ε e x soddisfa condizioni aggiuntive.

A questo punto si devono prendere in considerazione due questioni:

1. Stima del diametro di S′ε (studio della stabilita).

2. Esibizione di un elemento di S′ε (ricostruzione).

Per quanto riguarda le stime di stabilita vediamo un esempio generale.

Definizione 5.1 Sia K : X → Y un operatore lineare limitato tra spazi diBanach, sia X1 un sottospazio di X e sia ‖ · ‖1 una norma su X1 piu forte dellanorma su X, nel senso che esiste c > 0 per cui ‖x‖ ≤ c‖x‖1 per ogni x ∈ X1.

Definiamo allora

F(ε, E, ‖ · ‖1) := sup‖x‖ : x ∈ X1, ‖Kx‖ ≤ ε e ‖x‖1 ≤ E.

F(ε, E, ‖ · ‖1) si dice errore nel caso peggiore.

F(ε, E, ‖ · ‖1) dipende dall’operatore K e dalle norme in X, Y e X1. Nel casoottimale di un operatore con inverso limitato, F(ε, E, ‖ · ‖1) e dell’ordine di ε.

Se K e un operatore compatto e ‖ · ‖1 = ‖ · ‖, sappiamo che F(ε, E, ‖ · ‖1)non tende a zero per ε→ 0 e si deve necessariamente scegliere su X1 una normapiu forte.

Osserviamo che F(ε, E, ‖ · ‖1) stima il diametro dell’insieme

S ′ε.

Siano infatti x1 e x2 due elementi in S ′ε. Abbiamo ‖x1 − x2‖1 ≤ 2E e ‖Kx1 −Kx2‖ ≤ ‖Kx1 − yε‖+ ‖Kx1 − yε‖ ≤ 2ε e quindi

‖x1 − x2‖ ≤ F(2ε, 2E, ‖ · ‖1).

Quando si riesce a dimostrare che, per ε → 0 l’errore nel caso peggioreF(ε, E, ‖ · ‖1) tende a zero, diciamo che la condizione x ∈ X1 e ‖x‖1 ≤ Eripristina la stabilita per il problema inverso.

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5.1 Ancora sull’esempio della derivazione

Fissiamo X = Y = L2(0, 1) e Kx(t) =∫ t0x(s) ds.

Prendiamo il sottospazio

X1 =x ∈ H1(0, 1) : x(1) = 0

,

nel quale definiamo la norma ‖x‖1 := ‖x′‖L2(0,1). Mostriamo che questa normae piu forte della norma in X.

Dal momento che ogni x ∈ X1 ha derivata debole in L2(0, 1) ⊂ L1(0, 1) eche x(1) = 0, possiamo scrivere

x(t) = −∫ 1

t

x′(s) ds

e quindi

|x(t)| ≤∫ 1

t

|x′(s)| ds ≤∫ 1

0

|x′(s)| ds ≤(∫ 1

0

|x′(s)|2 ds)1/2

,

e

‖x‖L2 =(∫ 1

0

|x(t)|2dt)1/2

≤(∫ 1

0

‖x′‖2L2dt

)1/2

= ‖x′‖L2 .

Sia x ∈ H1(0, 1) tale che ‖x′‖L2 ≤ E e ‖Kx‖L2 ≤ ε e calcoliamo, integrandoper parti,

‖x‖2L2 =∫ 1

0

(x(t))2dt =∫ 1

0

x(t)(d

dt

∫ t

0

x(s) ds)dt

=∫ 1

0

x′(t)∫ t

0

x(s) dsdt−∣∣∣∣(x(t)∫ t

0

x(s) ds)∣∣∣∣1

0

=∫ 1

0

x′(t)Kx(t) dt ≤ ‖x′‖L2‖Kx‖L2 ≤ εE,

cioeF(ε, E, ‖ · ‖1) ≤

√εE.

5.2 Un risulato generale di stabilita

Il teorema che segue, permette di stimare l’errore nel caso peggiore per partico-lari sottospazi.

Teorema 5.2 Siano H1 e H2 spazi di Hilbert e sia K : H1 → H2 un operatorelineare compatto e iniettivo con R(K) denso in H2.

a) Se X1 = K∗(H2) = R(K∗) e ‖x‖1 := ‖(K∗)−1x‖H2 , allora

F(ε, E, ‖ · ‖1) ≤√εE

e la stima e asintoticamente stabile, cioe, per ogni E > 0 esiste unasuccessione εj convergente a zero tale che

F(εj , E, ‖ · ‖1) =√εjE.

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b) Se X2 = K∗K(H1) e ‖x‖2 := ‖(K∗K)−1x‖H1 , allora

F(ε, E, ‖ · ‖2) ≤ ε2/3E1/3

e la stima e asintoticamente stabile, cioe, per ogni E > 0 esiste unasuccessione εj convergente a zero tale che

F(εj , E, ‖ · ‖1) = ε2/3j E1/3.

Dim. Osserviamo che le norme nei due sottospazi sono ben definite perche Ke iniettivo e R(K) e denso. Con queste ipotesi N(K∗) = R(K)

⊥= 0 e

N(K∗K) = N(K) = 0. Dimostriamo l’affermazione b). Sia x = K∗Kw conw ∈ H1 tale che ‖x‖2 = ‖w‖ ≤ E e ‖Kx‖ ≤ ε.

Calcoliamo

‖x‖2H1=< x, x >=< K∗Kw, x >=< Kw,Kx >≤ ‖Kw‖ε,

e osserviamo che

‖Kw‖2 =< Kw,Kw >=< w,K∗Kw >=< w, x >≤ E‖x‖H1

e, quindi,‖x‖2H1

≤ εE√‖x‖H1 ⇒ ‖x‖H1 ≤ ε2/3E1/3.

Proviamo adesso che la stima e asintoticamente stabile. Sia σj , ej , fj unsistema singolare per K. Prendiamo x = Eσ2

j ej = EK∗Kej ∈ X2. Con questascelta ‖x‖2 = E e ‖Kx‖H2 = ‖Eσ2

jKej‖ = ‖Eσ3j fj‖ = Eσ3

j . Prendendoεj = Eσ3

j → 0 per j →∞ si ha

‖x‖H1 = Eσ2j = e

(εjE

)2/3

= ε2/3j E1/3.

La dimostrazione del caso a) e del tutto analoga.

Vediamo cosa diventa questo risultato nel caso dell’operatore integrale:PrendiamoK : L2(0, 1) → L2(0, 1),Kx(t) =

∫ tox(s) ds eK∗y(t) =

∫ 1

ty(s) ds.

se x ∈ X1 = K∗(L2), allora x(t) =∫ 1

tz(s) ds per qualche z ∈ L2. Vale quindi

x(1) = 0 e x′ = −z(t) ∈ L2, cioe x ∈ H1(0, 1) e ‖x‖1 = ‖z‖L2 = ‖x′‖L2 . Quindiil teorema descrive l’esempio della sezione precedente affermando che

sup‖x‖ : ‖Kx‖ ≤ ε, ‖x′‖L2 ≤ E, x(1) = 0 ≤√εE.

Per la seconda parte, invece, x ∈ X2 se x(t) =∫ 1

t

∫ s0w(τ) dτ ds da cui segue

che x(1) = 0, x′(0) = 0 e x′′(t) = −w(t) con ‖x‖2 = ‖w‖L2 , quindi

sup‖x‖ : ‖Kx‖ ≤ ε, ‖x′′‖L2 ≤ E, x(1) = 0, x′(0) = 0 ≤ ε2/3E1/3.

Osserviamo che la condizione x ∈ X1 e x ∈ X2 riguarda la soluzione. Nelcaso del problema della derivazione possiamo rileggere il risultato nel modoseguente: e ben posto il problema della derivazione di una funzione di classeH2(0, 1)( o H3) con derivata seconda (terza) limitata in norma L2.

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5.3 Stime di stabilita per l’equazione del calore all’in-dietro

Riprendiamo in considerazione il problema della conduzione di calore in unasbarra di lunghezza π i cui estremi sono tenuti a temperatura costante. Ilproblema differenziale e il seguente:

ut = uxx in (0, π)× (0, T ),u(0, t) = u(π, t) = 0 per t ∈ (0, T ).

Abbiamo visto che la soluzione u al tempo t si puo scrivere in funzione dei valorial tempo iniziale

u(x, t) =2π

∞∑n=1

e−n2t sin(nx)

∫ π

0

u(y, 0) sin(ny) dy, per 0 ≤ x ≤ π, 0 < t ≤ T.

Abbiamo osservato che calcolare la temperatura finale u(x, T ) conoscendo latemperatura iniziale u(x, 0) e un problema ben posto, mentre il problema al-l’indietro, cioe calcolare u(x, 0) conoscendo u(x, T ) e un problema mal posto.

Vediamo una leggera variante di questo problema: siano X = Y = L2(0, π),supponiamo di avere il dato u(x, T ) e di voler calcolare l’incognita u(x, τ) perqualche τ ∈ (0, T ). Si tratta quindi di invertire l’operatore K : X → Y che hacome nucleo

k(x, y) =2π

∞∑n=1

e−n2(T−τ) sin(nx) sin(ny).

Ovviamente e ancora un problema mal posto, come si vede considerando soluzionidella forma

u(x, t) = em2(τ−t) sin(mx).

Infatti,

‖dato‖ = ‖u(·, T )‖L2 =√π

2e−m

2(T−τ) → 0 per m→∞,

e

‖soluzione‖ = ‖u(·, τ)‖L2 =√π

2.

Cerchiamo le giuste informazioni aggiuntive che permettono di ripristinare lastabilita.

Supponiamo di sapere che

u(x, 0) ∈ L2(0, 1) e ‖u(x, 0)‖L2 ≤ E. (28)

Osserviamo subito che la funzione u non soddisfa queste condizioni aggiun-tive quando m diventa grande, infatti ‖u(x, 0)‖L2 = em

2τ .Sia u una soluzione che soddisfa le condizioni (28). Chiamiamo

an =√π

2

∫ π

0

u(y, 0) sin(ny)dy.

Con questa notazione

u(y, 0) =∞∑n=1

an

√π

2sin(nx)

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e la (28) diventa∞∑n=1

(an)2 ≤ E2. (29)

Supponiamo che il dato sia piccolo cioe che

‖u(x, T )‖2L2 =∞∑n=1

e−2n2T (an)2 ≤ ε2 (30)

e stimiamo

‖u(x, τ)‖2L2 =∞∑n=1

e−2n2τ (an)2.

Siano q = Tτ e p tale che 1

p + 1q = 1. Usando la versione discreta della

disuguaglianza di Holder si ha

∞∑n=1

e−2n2τ (an)2 =∞∑n=1

e−2n2τ ((an)2)1/q((an)2)1/p

( ∞∑n=1

e−2n2τq(an)2)1/q ( ∞∑

n=1

(an)2)1/p

=

( ∞∑n=1

e−2n2T (an)2)1/q ( ∞∑

n=1

(an)2)1/p

≤ ε2τ/TE2(1−τ/T ),

cioe‖u(x, τ)‖L2(0,π) ≤ ετ/TE1−τ/T

Osserviamo che la stima migliora se τ → T , mentre degenera per τ → 0.Nel linguaggio dell’errore nel caso peggiore possiamo scrivere

X1 = v(x) : v(x) =2π

∞∑n=1

e−n2τ sin(nx)

∫ π

0

u0(y) sin(ny) dy,

per qualche u0 ∈ L2(0, π)

con ‖v‖1 = ‖u0‖L2 e

F(ε, E, ‖ · ‖1) ≤ ετ/TE1−τ/T .

6 Teoria generale della regolarizzazione

Lo scopo dei metodi di regolarizzazione e quello di costruire, a partire dal datomisurato yε, una soluzione xε che sia vicina alla soluzione reale x. L’idealesarebbe costruire una funzione dello spazio S ′ε, ma ci accontenteremo di metodiche forniscano approssimazione comparabili con quelle del peggior errore, cioetali che, per qualche costante positiva C, ‖x−xε‖ ≤ CF(2ε, 2E, ‖·‖1). Iniziamocon un esempio introduttivo.

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6.1 Approssimazione della derivata con il rapporto incre-mentale da un lato

Come esempio introduttivo, vediamo il problema della derivazione numerica.Abbiamo visto che si puo derivare con un processo stabile una funzione y ∈H2(0, 1) con ‖y′′‖L2 ≤ E.

Approssimiamo y′(t) con i rapporti incrementali da un lato. Analizziamoprima il caso senza errori. Fissiamo h ∈ (0, 1/2) e definiamo

v(t) =

y(t+h)−y(t)

h t ∈ (0, 1/2),y(t)−y(t−h)

h t ∈ (1/2, 1).

Per valutare la differenza tra v e y′ utilizziamo la

Formula di Taylor. Sia y ∈ Hn+1(a, b) e siano t, t+ h ∈ (a, b). Allora

y(t+ h) =n∑k=0

y(k)(t)k!

hk +Rn(t, h),

dove

Rn(t, h) =1n!

∫ t+h

t

(t+ h− s)ny(n+1)(s) ds.

Dim. della Formula di Taylor per n = 1. Se y ∈ H2, la sua derivata primay′ ∈ H1 ed e una funzione assolutamente continua e per τ, t ∈ (a, b)

y′(τ)− y′(t) =∫ τ

t

y′′(s) ds,

e

y(t+ h)− y(t) =∫ t+h

t

y′(τ) dτ =∫ t+h

t

(y′(t) +

∫ τ

t

y′′(s) ds)dτ

= y′(t)h+∫ t+h

t

∫ t+h

τ

dτy′′(s) ds

= y′(t)h+∫ t+h

t

(t+ h− τ)y′′(τ) dτ

Utilizziamo la formula di Taylor con n = 1, in t, t+ h e t− h.

y(t± h)− y(t) = ±y′(t)h+∫ t±h

t

(t± h− τ)y′′(τ) dτ.

Per t ∈ (0, 1/2),

v(t)− y′(t) =1h

∫ t+h

h

(t+ h− τ)y′′(τ) dτ =1h

∫ t+h

h

τy′′(t+ h− τ) dτ.

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Calcoliamo

h2‖v − y′‖2L2(0,1/2) = h2

∫ 1/2

0

(v(t)− y′(t))2dt

=∫ 1/2

0

∫ h

0

τy′′(t+ h− τ) dτ∫ h

0

sy′′(t+ h− s) ds

=∫ h

0

∫ h

0

[∫ 1/2

0

y′′(t+ h− τ)y′′(t+ h− s) dt

]dτ ds

≤∫ h

0

∫ h

0

(∫ 1/2

0

|y′′(t+ h− τ)|2dt

)dτ ds

≤ ‖y′′‖2L2(0,1)

(∫ h

0

s ds

)2

=h4

4‖y′′‖2L2(0,1).

con calcoli analoghi per t ∈ (1/2, 1) si ottiene infine,

‖v − y′‖L2(0,1) ≤Eh√

2

dalla quale si vede che se h tende a zero il rapporto incrementale v converge alladerivata.

Vediamo adesso cosa succesde se si introduce un errore. Invece di y suppo-niamo di aver misurato yε tale che ‖y − yε‖L2(0,1) ≤ ε. Anziche v costruiamol’approssimazione

vε(t) =

yε(t+h)−yε(t)

h t ∈ (0, 1/2),yε(t)−yε(t−h)

h t ∈ (1/2, 1).

Stimiamo∫ 1/2

0

|vε(t)− v(t)|2dt ≤ 1h2

∫ 1/2

0

(|yε(t+ h)− y(t+ h)|+ |yε(t)− y(t)|)2 dt

≤ 2h2

(∫ 1/2

0

|yε(t+ h)− y(t+ h)|2dt+∫ 1/2

0

|yε(t)− y(t)|2dt

)

≤ 2h2

(2‖yε − y‖2L2(0,1)

)da cui

‖vε − v‖L2(0,1) ≤2√

2εh

.

L’errore che si commette approssimando con vε la derivata di y e quindi

‖vε − y′‖L2(0,1) ≤ ‖vε − v‖L2 + ‖v − y′‖L2 ≤ 2√

2εh

+Eh√

2.

h e il parametro di discretizzazione. Il minimo dell’errore totale vale 2√

2εE esi realizza scegliendo h = 2

√εE .

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6.2 Strategie di regolarizzazione

L’idea di base della regolarizzazione e quella di costruire approssimazioni limi-tate dell’operatore K−1 : R(K) → Y .

Definizione 6.1 Una strategia di regolarizzazione e una famiglia ad un parametrodi operatori lineari e limitati

Rα : Y → X, α > 0,

tali chelimα→0

RαKx = x per ogni x ∈ X,

cioe l’operatore RαK converge puntualmente all’identita.

Da questa definizione e per la compattezza dell’operatore K si ha che

Teorema 6.2 Sia Rα una strategia di regolarizzazione per l’operatore compattoK : X → Y con dim(X) = +∞. Allora:

1. Gli operatori Rα non sono uniformemente limitati, cioe esiste una suc-cessione aj convergente a zero, tale che

‖Rαj‖ → +∞ per j → +∞.

2. La successione RαKxα non converge uniformemente sui sottoinsiemilimitati di X, cioe RαK non converge all’identita nella norma degli ope-ratori.

Dim. 1) Se esistesse C tale che ‖Rα‖ ≤ C per ogni α, si avrebbe allora ‖Rαy‖ ≤C‖y‖ per ogni y ∈ K(X). Ma Rαy converge a K−1y e quindi ‖K−1y‖ ≤ C‖y‖contrariamente al fatto che K e compatto e X non ha dimensione finita.

2) Per ogni α, RαK e un operatore compatto. Se RαK → I nella normadegli operatori, allora I : X → X e compatta con dimX = +∞ e questo eassurdo.

La nozione di strategia di regolarizzazione e basata su dati esatti: Rαyconverge ad x se y = Kx. Vediamo cosa succede se introduciamo un errore.

Sia y = Kx il dato esatto e sia yε ∈ Y il dato misurato con ‖y − yε‖ ≤ ε.Definiamo

xα,ε := Rαyε

e valutiamo l’errore che si compie approssimando x con xα,ε:

‖xα,ε − x‖ ≤ ‖Rαyε −Rαy‖+ ‖Rαy − x‖≤ ‖Rα‖‖yε − y‖+ ‖RαKx− x‖≤ ε‖Rα‖+ ‖RαKx− x‖.

Questa stima presenta una caratteristica fondamentale: l’errore e diviso in dueparti. Il primo termine descrive quanto l’approssimazione Rα dell’inverso diK amplifica l’errore ε sul dato. Per il teorema precedente, al tendere di αa zero questo termine tende a +∞. Il secondo termine indica l’errore che si

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commette approssimando l’identita con RαK. Per definizione di strategia diregolarizzazione questo termine tende a zero quando α tende a zero.

A questo punto e necessario scegliere α = α(ε) dipendente da ε in modo darendere l’errore piu piccolo possibile. L’ideale sarebbe minimizzare la sommaε‖Rα‖+ ‖RαKx− x‖, ma questo, in genere, non e possibile con le informazionia disposizione.

Introduciamo le seguenti definizioni:

Definizione 6.3 Una strategia di regolarizzazione α = α(ε) si dice ammissibilese α(ε) → 0 e sup‖Rα(ε)y

ε − x‖ : ‖Kx− yε‖ ≤ ε → 0 per ogni x ∈ X.

Definizione 6.4 Una strategia di regolarizzazione α = α(ε) si dice ottimale see ammissibile e per x ∈ X1, ‖x‖1 ≤ E e ‖Kx − yε‖ ≤ ε si ha, per qualchecostante positiva C

‖Rα(ε)yε − x‖ ≤ CF(2ε, 2E, ‖ · ‖1).

Riprendiamo l’esempio del paragrafo 6.1 e chiamiamo

Rh(t) =

y(t+h)−y(t)

h t ∈ (0, 1/2),y(t)−y(t−h)

h t ∈ (1/2, 1).

Verifichiamo che Rh e una strategia di regolarizzazione.

• Per ogni h l’operatore Rh : L2 → L2 e limitato.

h2

∫ 1

0

(Rhy(t))2dt =

∫ 1/2

0

(y(t+ h)− y(t))2dt+∫ 1

1/2

(y(t)− y(t− h))2dt

≤ 2

(∫ 1/2

0

y2(t+ h) + y2(t)dt+∫ 1

1/2

y2(t) + y2(t− h)dt

)≤ 6‖y‖2L2(0,1),

cioe

‖Rh‖ ≤√

6h.

• Mostriamo poi che RhKx → x per ogni x ∈ L2(0, 1). Dal paragrafo 6.1sappiamo che

‖RhKx− x‖L2 ≤ h√2‖x′‖L2 per ogni x ∈ H1(0, 1),

cioe sappiamo che RhK − I converge puntualmente a zero su un sottoin-sieme denso di L2. Per dimostrare che converge puntualmente su tuttolo spazio, utilizziamo il seguente risultato, conseguenza del Teorema diBanach-Steinhaus.

Proposizione 6.5 Sia An una successione di operatori lineari limitati daX spazio di Banach in Y spazio normato e sia D ⊂ X un sottoinsiemedensi in X. Sono allora equivalenti:

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(a) Anx→ 0 per n→ +∞ e per ogni x ∈ X.

(b) supn ‖An‖ < +∞ e Anx→ 0 per n→ +∞ e per ogni x ∈ D.

Rimane quindi soltanto da dimostrare che gli operatori RhK sono equi-limitati.

Per t ∈ (0, 1/2), usando la disuguaglianza di Holder,

|RhKx(t)| =

∣∣∣∣∣ 1h∫ t+h

t

x(s) ds

∣∣∣∣∣ = 1h

∫ h

0

|x(t+ s)| ds

≤ 1√h

(∫ h

0

x2(t+ s) ds

)1/2

e ∫ 1/2

0

|RhKx(t)|2 dt ≤ 1h

∫ 1/2

0

∫ h

0

x2(t+ s) ds dt

≤ 1h

∫ h

0

∫ 1/2

0

x2(t+ s) dt ds ≤ ‖x‖2L2(0,1),

da cui‖RhKx‖L2(0,1) ≤

√2‖x‖L2(0,1),

cioe‖RhK‖ ≤

√2.

Osserviamo che se y ∈ H2(0, 1) e ‖y′′‖L2 ≤ E, e se ‖y − yε‖L2 ≤ ε, allora

‖Rhyε − y′‖ ≤√

6hε+

h√2E

e la scelta h(ε) =√

εE risulta ottimale.

6.3 Filtri regolarizzanti

Dal teorema di Picard abbiamo visto che la soluzione x dell’equazione Kx = ye data da

x =∞∑j=1

1σj

< y, fj > ej

se y ∈ R(K), cioe se questa serie converge.L’idea dei filtri regolarizzanti consiste nel costruire una regolarizzazione

limitando l’influenza del fattore 1/σj soprattutto quando σj diventa piccolo.

Teorema 6.6 Sia K : X → Y un operatore lineare compatto e iniettivo traspazi di Hilbert e sia σj , ej , fjj∈J un sistema singolare per K. Sia q : (0,+∞)×(0, ‖K‖] → R un filtro regolarizzante per K, cioe una funzione con le seguentiproprieta:

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(1) |q(α, σ)| ≤ 1 per ogni α > 0 e 0 < σ ≤ ‖K‖.

(2) Per ogni α > 0 esiste c(α) tale che

|q(α, σ)| ≤ c(α)σ per ogni 0 < σ ≤ ‖K‖.

(3a)limα→0

q(α, σ) = 1 per ogni 0 < σ ≤ ‖K‖.

Allora, l’operatore Rα : Y → X definito per α > 0 da

Rαy =∑j∈J

q(α, σj)σj

< y, fj > ej

e una strategia di regolarizzazione con ‖Rα‖ ≤ c(α).

Una strategia α = α(ε) e ammissibile se, per ε → 0, si ha α(ε) → 0 eεc(α(ε)) → 0.

Dim. Consideriamo il caso J = N. Il caso in cui J e finito e piu semplice.Calcoliamo

‖Rαy‖2 =∞∑j=1

|q(α, σj)|2

σ2j

< y, fj >2≤ c(α)2

∞∑j=1

< y, fj >2≤ c(α)2‖y‖2,

da cui ‖Rα‖ ≤ c(α).Sia x un elemento fissato in X. Dal momento che K e iniettivo

x =∞∑j=1

< x, ej > ej e Kx =∞∑j=1

σj < x, ej > fj ,

quindi

‖RαKx− x‖2 =∞∑j=1

[q(α, σj)− 1]2 < x, ej >2 .

Fissiamo ε > 0. Esiste N = N(ε) tale che

∞∑j=N+1

< x, ej >2≤ ε2

8.

Inoltre, esiste α0 = α(ε,N(ε)) tale che, per 0 < α < α0,

[q(α, σj)− 1]2 ≤ ε2

2‖x‖2per j = 1, 2, . . . , N(ε).

Allora,

‖RαKx− x‖2 =N∑j=1

[q(α, σj)− 1]2 < x, ej >2 +

∞∑j=N+1

[q(α, σj)− 1]2 < x, ej >2

≤ ε2

2‖x‖2‖x‖2 + 4

ε2

8= ε2.

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Inoltre, se ‖Kx− yε‖ ≤ ε, allora

‖Rαyε − x‖ ≤ εc(α) + ‖RαKx− x‖

e, siccome ‖RαKx− x‖ → 0 se α→ 0, e sufficiente scegliere α(ε) in modo che,per ε che tende a zero, sia α(ε) che εc(α(ε) tendano a zero.

Le ipotesi (1), (2) e (3a) sono sufficienti per garantire che Rα e una strate-gia di regolarizzazione. Se specifichiamo ulteriormente il modo in cui q(α, σ)tende ad 1 quando α → 0, si puo stimare meglio la convergenza del metodo diregolarizzazione.

Teorema 6.7 Supponiamo che K soddisfi tutte le ipotesi del teorema 6.6 e cheR(K) sia denso in Y . Supponiamo che q soddisfi le condizioni (1) e (2).

(i) se vale inoltre(3b) esiste una costante c1 > 0 tale che

|q(α, σ)− 1| ≤ c1√α

σper α > 0, 0 < σ ≤ ‖K‖,

e se x ∈ K∗(Y ), allora

‖RαKx− x‖ ≤ c1√α‖(K∗)−1x‖.

(ii) se invece(3c) esiste una costante c2 > 0 tale che

|q(α, σ)− 1| ≤ c2α

σ2per α > 0, 0 < σ ≤ ‖K‖,

e se x ∈ K∗K(X), allora

‖RαKx− x‖ ≤ c2α‖(K∗K)−1x‖.

Vediamo qualche esempio di filtro regolarizzante.

Esempio 6.1 La funzione

q(α, σ) =σ2

α+ σ2

soddisfa le ipotesi (1), (2) con c(α) = 12√α, (3a), (3b) con c1 = 1/2 e (3c) con

c2 = 1.Per x ∈ K∗(Y ) si ha una strategia ottimale per α = ε/E

Esempio 6.2 Fissato a ∈ (0, 1/‖K‖2), la funzione

q(α, σ) = 1− (1− aσ2)1/α

soddisfa le ipotesi (1), (2) con c(α) =√

aα , (3a), (3b) con c1 = 1/

√2a e (3c) con

c2 = 1/a.

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Esempio 6.3 La funzione

q(α, σ) =

1 se σ2 ≥ α,0 se σ2 < α,

soddisfa le ipotesi (1), (2) con c(α) = 1√α, (3a), (3b) con c1 = 1 e (3c) con

c2 = 1.La regolarizzazione che si ottiene usando questo filtro si chiama troncamento

della decomposizione a valori singolari, infatti in questo caso

Rαy =∑σj≥α

1σj

< y, fj > ej .

Anche questo filtro conduce a strategie di regolarizzazione ottimali.

6.4 Regolarizzazione secondo Tikhonov

Quando si ha un sistema lineare finito sovradeterminato della forma

Kx = y

un metodo comune per affrontarlo e quello di cercare di minimizzare lo scartoquadratico

‖Kx− y‖2

al variare di x in X.Se X ha dimensione infinita e K e un operatore compatto, si puo impostare

la stessa strategia, ma il problema di minimo che si ottiene risulta ancora malposto.

Lemma 6.8 Sia K : X → Y un operatore lineare limitato tra spazi di Hilberte sia y ∈ Y .

Esiste x ∈ X tale che

‖Kx− y‖ ≤ ‖Kx− y‖ per ogni x ∈ X

se e solo se x risolve l’equazione normale

K∗Kx = Ky.

Minimizzare lo scarto equivale quindi a risolvere l’equazione normale che e unaequazione di prima specie. Se K e compatto, K∗K e ancora compatto e risolverel’equazione normale e un problema mal posto.

Dim. Con qualche passaggio, si dimostra che

‖Kx− y‖2 − ‖Kx− y‖2 = ‖Kx−Kx‖2 + 2 < x− x,K∗Kx−K∗y > .

Se x risolve l’equazione K∗Kx = K∗y, allora

‖Kx− y‖2 ≥ ‖Kx− y‖2

e x e un punto di minimo.

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D’altra parte, se x e un punto di minimo, per ogni t > 0 e z ∈ X si ha

0 ≤ ‖K(x+ tz)− y‖2 − ‖Kx− y‖2 = t2‖Kz‖2 − 2t < z,K∗Kx−K∗y >,

da cui segue che

< z,K∗Kx−K∗y >= 0 per ogni z ∈ X

cioe K∗Kx−K∗y = 0.

Occorre quindi modificare il problema di minimo.Dato K : X → Y operatore lineare limitato, y ∈ Y e α > 0, determinare

xα ∈ X che minimizza il funzionale di Tikhonov

Jα(x) := ‖Kx− y‖2 + α‖x‖2

Teorema 6.9 Il funzionale di Tikhonov Jα ha un unico minimo xα ∈ X. Taleminimo e soluzione dell’equazione normale

αxα +K∗Kxα = K∗y.

Dim. Sia xn una successione minimizzante per Jα, cioe tale che

limn→∞

Jα(xn) = I := infx∈X

Jα(x).

Facciamo vedere che xn e una successione di Cauchy.Usando la relazione ‖a‖2 + ‖b‖2 − 2

∥∥a+b2

∥∥ = 12‖a− b‖2 si mostra che

Jα(xn) + Jα(xm)− 2Jα(12(xn + xm)) =

12‖Kxn −Kxm‖2 +

α

2‖xn − xm‖2

e quindiα

2‖xn − xm‖2 ≤ Jα(xn) + Jα(xm)− 2I → 0

quando n,m→∞.Chiamiamo xα il limite della successione xn. Per la continuita dell’operatore

di Tikhonov,Jα(xα) = Jα(lim

nxn) = lim

nJα(xn) = I.

Mostriamo adesso che xα risolve l’equazione normale. Si puo procedere comenella dimostrazione del lemma, oppure si puo osservare che, se xα e un puntodi minimo per Jα, allora

d

dtJα(xα + t)|t=0 = 0. (31)

Calcoliamo allora

d

dtJα(xα + t) =

d

dt

(‖K(xα + tz)− y‖2 + α‖xα + tz‖2

)= 2t‖Kz‖2 + 2 < Kz,Kxα − y > +2αt‖z‖2 + 2α < z, xα >,

per cui la (31) diventa

< z,K∗Kxα −K∗y + αxα >= 0 per ogni z ∈ X.

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Rimane da dimostrare che la soluzione e unica. Supponiamo che esista un altropunto di minimo x che sara ancora soluzione dell’equazione normale. Consi-deriamo v = xα − x che risulta soluzione di αv + K∗Kv = 0. Ma K∗K e unoperatore compatto autoaggiunto con autovalori tutti positivi (i suoi autovalorisono i quadrati dei valori singolari di K), quindi per α > 0 l’unica soluzione diαv +K∗Kv = 0 e quella identicamente nulla.

Dato y ∈ Y definiamo allora

Rαy := xα

unico punto di minimo di Jα su X.Vogliamo dimostrare che Rα, che si dice regolarizzazione secondo Tikhonov

e una strategia di regolarizzazione.Per farlo, usiamo la decomposizione a valori singolari. Vogliamo risolvere

l’equazione normale. Scriviamo

xα = x0 +∑j∈J

xjej ,

dove x0 ∈ N(K). Allora,

K∗Kxα =∑j∈J

σ2jxjej

e l’equazione diventa

α

x0 +∑j∈J

xjej

+K∗Kxα =∑j∈J

σ2jxjej =

∑j∈J

σj < y, fj > ej

dalla quale segue che x0 = 0 e xj = σj

α+σ2j< y, fj >, cioe

Rαy =∑j∈J

σjα+ σ2

j

< y, fj > ej

che corrisponde alla regolarizzazione mediante il filtro dell’esempio 6.1.Utilizzando quindi il risultato sui filtri regolarizzanti possiamo affermare che

Teorema 6.10 Sia K : X → Y un operatore lineare compatto tra spazi diHilbert e sia α > 0.

L’operatore αI +K∗K e invertibile con inverso limitato. Gli operatori

Rα = (αI +K∗K)−1K∗ : Y → X

formano una strategia di regolarizzazione con ‖Rα‖ ≤ 12√α

che viene dettametodo di regolarizzazione di Tikhonov.

Rαyε si determina come l’ unica soluzione xα,ε dell’equazione del secondo

tipoαxα,ε +K∗Kxα,ε = K∗yε.

Ogni scelta α(ε) → 0 per ε→ 0 con ε2

α(ε) → 0 e ammissibile.

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Osservazioni.

• αI +K∗K ha autovalori maggiori di α e quindi lontani da zero.

• La scelta di α ammissibile nel teorema precedente e fatta a priori, cioeprima di calcolare il punto di minimo xα. Questa scelta e la migliore dalpunto di vista teorico per studiare il comportamento asintotico dell’errore.Esistono metodi a posteriori nei quali la scelta delparametro di regolariz-zazione viene effettuata contestualmente al calcolo del punto di minimo(ad esempio il metodo di discrepanza di Morozov).

• E possibile penalizzare il funzionale dei minimi quadrati con norme piuforti. Ad esempio si puo minimizzare

‖Kx− y‖2 + α‖x‖21 su X1.

Esercizio 6.1 Si applichi il metodo di regolarizzazione di Tikhonov all’opera-tore

K : L2(0, 1) → L2(0, 1),

mostrando che, per y ∈ H1(0, 1) con y(0) = 0, il punto di minimo del funzionaledi Tikhonov e la soluzione del problema differenziale αx′′(t)− x(t) = −y′(t) in (0, 1)

x′(0) = 0x(1) = 0.

Applicare questo risultato nel caso y(t) = 1n sin πnt

2 .

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