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PRIME INDICAZIONI DI CONFINDUSTRIA SULLE PRINCIPALI NORME GIUSLAVORISTICHE DEL D. L. 8 GIUGNO 2013, N. 76 COME CONVERTITO DALLA LEGGE 9 AGOSTO 2013, N. 99.

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PRIME INDICAZIONI DI CONFINDUSTRIA SULLE PRINCIPALI NORME GIUSLAVORISTICHE

DEL D. L. 8 GIUGNO 2013, N. 76 COME CONVERTITO DALLA LEGGE 9 AGOSTO 2013, N. 99.

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Incentivi per l’assunzione di giovani (art. 1)..........................................................................3

Apprendistato (art. 2, commi 2 e 3 e art. 9, comma 3).........................................................6

Tirocini (art. 2, comma 5-ter)................................................................................................8

Contratto a tempo determinato (art. 7, comma 1)................................................................9

1. Acausalità (lett. a)................................................................................................................................. 9

2. Prorogabilità dei contratti “acausali” e limiti quantitativi (lett. b e d, numero 3)...................................11

3. Prosecuzione del rapporto oltre il termine iniziale (lett. c, numeri 1 e 2).............................................13

4. Disciplina degli intervalli tra un contratto a tempo determinato ed un altro (lett. c, numero 3)............13

5. Contratti a tempo determinato con i lavoratori in mobilità (lett. d, numeri 1 e 2).................................15

Reti di imprese (art. 7, comma 2, lett. 0a)..........................................................................17

Lavoro intermittente (art. 7, comma 2, lett. a; comma 3 e comma 5, lett. a, n. 2)..............19

Contratto a progetto (art. 7, comma 2, lett. c, c-bis e d e comma 2-bis).............................20

Lavoro accessorio (art. 7, comma 2, lett. e).......................................................................21

Licenziamento per giustificato motivo oggettivo - procedura (art. 7, comma 4).................22

Associazione in partecipazione (art. 7, comma 5, lett. a, n. 2-bis).....................................23

Incentivo per l’assunzione di fruitori di ASPI (art. 7, comma 5, lett. b)...............................24

Stabilizzazione di associati in partecipazione con apporto di lavoro (art. 7-bis).................24

Dimissioni – procedura di convalida (art. 7, comma 5, lett. d, n. 1)....................................27

Responsabilità solidale negli appalti (art. 9, comma 1)......................................................28

Contrattazione di prossimità ex art. 8 del D. L. n. 138/2011 (ex art. 9, comma 4)..............29

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Incentivi per l’assunzione di giovani (art. 1)

La norma prevede un beneficio economico per le nuove assunzioni a tempo indeterminato

- anche a tempo parziale - di giovani di età compresa tra i 18 e i 29 anni, effettuate tra il 7

agosto 2013 ed il 30 giugno 2015.

I giovani devono essere in possesso di almeno uno di questi due requisiti:

- privi di un impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi

- privi di un diploma di scuola media superiore o professionale.

Relativamente al primo requisito, sulla base dei criteri indicati nel decreto ministeriale del

20/3/2013 e illustrati nella circolare del Ministero del Lavoro n.4/2013, si ricorda che:"

l’indicazione per cui la nozione di impiego regolarmente retribuito viene riferita non tanto

alla condizione di regolarità contributiva del rapporto di lavoro, quanto alla rilevanza del

lavoro sotto il profilo della durata (per il lavoro subordinato) o della remunerazione (per il

lavoro autonomo): i rapporti di lavoro subordinato di durata inferiore a 6 mesi sono

pertanto considerati non “regolarmente retribuiti” e quindi non possono essere presi in

considerazione ai fini della verifica del requisito; analogamente è da dirsi per le attività di

lavoro autonomo la cui remunerazione, su base annuale, è inferiore ai limiti esenti da

imposizione (che, per il diverso importo delle detrazioni, è di 4.800 euro in caso di lavoro

autonomo propriamente detto, e di 8.000 euro per le collaborazioni coordinate e

continuative e le altre prestazioni di lavoro di cui all’articolo 50, comma 1, lett. c-bis), del

Testo Unico delle imposte sui redditi approvato con DPR 917/1986). Ai fini della presenza

del requisito occorrerà pertanto considerare il periodo di sei mesi antecedente la data di

assunzione e verificare che in quel periodo il lavoratore considerato non abbia svolto una

attività di lavoro subordinato legata ad un contratto di durata di almeno sei mesi ovvero

una attività di collaborazione coordinata e continuativa (o altra prestazione di lavoro di cui

all’articolo 50, comma 1, lett. c-bis), del TUIR) la cui remunerazione annua sia superiore a

8.000 euro o ancora una attività di lavoro autonomo tale da produrre un reddito annuo

lordo superiore a 4.800 euro.";

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L’incentivo spetta anche per le assunzioni a tempo indeterminato a scopo di

somministrazione ma, in considerazione della circostanza che l’incentivo è finalizzato a

promuovere l’occupazione e che la sua misura è determinata in riferimento alla

retribuzione del lavoratore, non spetta durante i periodi in cui il lavoratore non sia

somministrato ad alcun utilizzatore. Infatti, in assenza di somministrazione, il lavoratore

non può considerarsi occupato, almeno ai fini dell’incentivo in oggetto; inoltre l’indennità di

disponibilità, che il lavoratore percepisce, non costituisce retribuzione in senso proprio.

L’avvio di una nuova somministrazione dopo un periodo di disponibilità consente

all’agenzia di godere nuovamente del beneficio fino all’originaria sua scadenza.

L’incentivo è pari ad un terzo della retribuzione imponibile a fini previdenziali, fino a un

tetto massimo di 650 euro mensili per lavoratore ed è fruibile per 18 mesi mediante

conguaglio nelle denunce contributive mensili.

Le assunzioni devono comportare un incremento occupazionale netto , rispettare anche

gli altri requisiti richiesti dall’art. 40 del regolamento UE n.800/2008 sulla compatibilità degli

aiuti all’occupazione (intensità massima dell’aiuto, tetto dei costi ammissibili) e devono

essere effettuate a decorrere dal giorno successivo alla data di approvazione degli atti di

riprogrammazione dei Fondi regionali ( 7 agosto 2013) e non oltre il 30 giugno 2015.

L'incremento occupazionale è calcolato sulla base della differenza tra il numero dei

lavoratori rilevato in ciascun mese e il numero dei lavoratori mediamente occupati nei

dodici mesi precedenti all'assunzione ed inoltre va considerato al netto delle diminuzioni

occupazionali verificatesi in società controllate o collegate ai sensi dell'articolo 2359 del

codice civile o facenti capo, anche per interposta persona, allo stesso soggetto.

L'incentivo è corrisposto, per un periodo di 12 mesi e sempre entro i limiti di 650 euro

mensili per lavoratore, nel caso di trasformazione con contratto a tempo

indeterminato, sempre che ricorrano le condizioni soggettive ed incrementali, con

esclusione dei lavoratori in riferimento ai quali i datori di lavoro hanno comunque già

beneficiato dell'incentivo .

Alla trasformazione deve corrispondere entro un mese un'ulteriore assunzione di

lavoratore con contratto di lavoro dipendente. Inoltre, anche le trasformazioni devono

rispettare gli altri requisiti richiesti dall’art.40 del regolamento UE n.800/2008 sulla

compatibilità degli aiuti all’occupazione.

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Va però sottolineato che, ai fini della valutazione dell’incremento occupazionale, il numero

dei dipendenti è calcolato in Unità di Lavoro Annuo (U.L.A.), secondo il criterio

convenzionale proprio del diritto comunitario; al riguardo la circolare INPS rinvia ai criteri

già illustrati con la circolare 111/2013, al paragrafo 3.3.1 e all’allegato 3, integrati con le

indicazioni ulteriori relative al mantenimento mensile dell’incremento occupazionale,

contenute nella stessa circolare n. 131, cui si rinvia.

Le risorse per il finanziamento dell'incentivo ammontano a 500 milioni di euro per il

periodo 2013-2016 per le 8 regioni del Mezzogiorno. Per le altre Regioni ammontano per

il medesimo periodo a 294 milioni di euro.

Le Regioni possono finanziare ulteriormente con fondi propri le misure in questione.

Quanto alle modalità di concessione del beneficio, si stabilisce che l’INPS provveda,

entro tre giorni dalla presentazione della domanda di ammissione al beneficio da parte

del soggetto interessato, a fornire una specifica comunicazione in ordine alla

sussistenza di un’effettiva disponibilità di risorse per l'accesso. A seguito della

comunicazione, in favore del richiedente opera una riserva di somme pari

all'ammontare previsto del beneficio spettante sulla base della documentazione

allegata alla domanda e allo stesso richiedente e' assegnato un termine perentorio di

sette giorni per provvedere alla stipula del contratto di lavoro che da' titolo

all'agevolazione. Entro il termine perentorio dei successivi sette giorni , lo stesso

richiedente ha l'onere di comunicare all’INPS l'avvenuta stipula del contratto che da' titolo

all'agevolazione. In caso di mancato rispetto di entrambi i termini perentori, il

richiedente decade dalla riserva di somme operata in suo favore, che vengono

conseguentemente rimesse a disposizione di ulteriori potenziali beneficiari. L'incentivo

è riconosciuto dall'INPS in base all'ordine cronologico di presentazione delle domande

cui abbia fatto seguito l'effettiva stipula del contratto.

Con la circolare n.131 del 17 settembre c.m. l’INPS, nel fornire le indicazioni operative

sull’art.1, ha tra l’altro precisato che, in considerazione della circostanza che per il rapporto

di apprendistato l’ordinamento già prevede una disciplina di favore, cioè una contribuzione

ridotta rispetto alla contribuzione ordinaria, il nuovo incentivo,in caso di assunzione di un

apprendista, non può mensilmente superare l’importo della contribuzione dovuta dal

datore di lavoro per il medesimo apprendista (quindi l’incentivo previsto dall’art.1 spetta

nella misura mensile dell’11,61% della retribuzione imponibile previdenziale).

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Del pari, qualora sussistano sia i presupposti di applicazione dell’incentivo sia i

presupposti di applicazione di altri incentivi sotto forma di riduzione contributiva in senso

stretto (esempio sgravio per chi assume dalla mobilità), il nuovo incentivo è applicabile

mensilmente in misura non superiore alla contribuzione agevolata dovuta dal datore di

lavoro per il medesimo lavoratore.

Apprendistato (art. 2, commi 2 e 3 e art. 9, comma 3).

Vengono introdotte norme tese a semplificare la disciplina della formazione

nell’apprendistato professionalizzante1.

La norma prevede l’emanazione di apposite linee guida da parte della Conferenza

permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e

Bolzano con l’obiettivo di definire “una disciplina maggiormente uniforme sull’intero

territorio nazionale dell’offerta formativa pubblica”.

Vengono inoltre previsti dei possibili contenuti, in deroga al T.U. dell’apprendistato, per le

linee guida:

a. limitazione dell'obbligo di redazione del piano formativo esclusivamente in relazione

alla formazione per l’acquisizione delle competenze tecnico-professionali e

specialistiche;

b. registrazione della formazione e della qualifica professionale su un modello

semplificato di libretto formativo del cittadino;

c. possibilità per le imprese multilocalizzate di prendere a riferimento per tutti i rapporti di

apprendistato esclusivamente la disciplina regionale del luogo in cui si trova la sede

legale.

La norma approvata prevedeva che se le linee guida non fossero state emanate entro il 30

settembre 2013, le regole di cui alle lettere a), b) e c) sarebbero divenute immediatamente

applicabili. Posto che l’approvazione di queste linee guida non è intervenuta entro il

termine fissato, quelle disposizioni devono ritenersi applicabili.1 La legge di conversione ha abrogato la parte della disposizione che circoscriveva alle microimprese, piccole e medie imprese l’ambito di applicazione della norma. Conseguentemente, la disciplina dell’apprendistato di cui all’art. 2, commi 2 e 3 trova applicazione per tutti i contratti di apprendistato professionalizzante o di mestiere.

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Si evidenzia, peraltro, che la facoltà prevista dalla lettera c) era già prevista dall’art. 7,

comma 10, del D. Lgs. n. 167/2011, nonché che, a fronte della mancata entrata in vigore

del libretto del cittadino, la registrazione dell’attività formativa svolta su un modello di

libretto formativo semplificato costituisce una buona pratica già adottata da diversi contratti

collettivi nazionali.

Il legislatore ha, comunque, fatto espressamente salva la possibilità, anche

successivamente al 30 settembre 2013, che le Regioni e le linee guida eventualmente

adottate dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province

autonome di Trento e Bolzano adottino una diversa disciplina. Ci risulta che siano in corso

i lavori per la definizione di queste linee guida.

Per parte sua, la circolare del Ministero del Lavoro precisa che, in ogni caso, la norma non

fa venire meno l’obbligo di svolgimento della formazione di base e trasversale disciplinata

dalle Regioni. Sul punto, la circolare ha chiarito, inoltre, che la facoltà di fare riferimento

alla disciplina regionale del luogo in cui si trova la sede legale (cfr. lett. c) è una

disposizione di semplificazione che attiene ai contenuti e la durata di questo tipo di

formazione. Conseguentemente, deve escludersi che essa comporti un obbligo di

frequenza di corsi extra-Regione e quindi maggiori oneri per le imprese.

Per quanto riguarda, invece, la registrazione della formazione la circolare fa

espressamente salva la possibilità per le imprese di avvalersi della modulistica prevista dal

contratto collettivo applicato, come quella individuata dall’Accordo Interconfederale del 18

aprile 2012.

Infine, con il comma 3 dell’art. 9, è stata prevista la possibilità che un rapporto di

apprendistato per la qualifica e per il diploma professionale si trasformi in apprendistato

professionalizzante al fine di conseguire la qualifica professionale prevista dal contratto

collettivo.

Sul punto, la circolare del Ministero del Lavoro ha effettuato delle importanti precisazioni.

Sotto il profilo intertemporale la circolare ha, infatti, chiarito che possibilità di

“trasformazione” della tipologia di apprendistato riguarda i contratti di apprendistato per la

qualifica o diploma professionale in corso alla data di entrata in vigore del Decreto Legge

purché non sia già terminato il periodo formativo previsto dal contratto.

È affidata alla contrattazione collettiva di cui all’art. 2 del D. Lgs. n. 167/2011 la

determinazione della durata massima complessiva dei due periodi di apprendistato. La 7

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circolare del Ministero del Lavoro chiarisce che la determinazione della durata massima

complessiva costituisce una delle condizioni necessarie per potersi avvalere della

possibilità di “trasformazione” dell’apprendistato.

Tirocini (art. 2, comma 5-ter).

In sede di conversione del D. L. n. 76/2013 è stato aggiunto all’art. 2 il comma 5- ter che

interviene sulla disciplina dei tirocini.

La disposizione prevede che i datori di lavoro con sedi in più regioni “possono fare

riferimento alla sola normativa della regione dove è ubicata la sede legale”.

La circolare del Ministero del Lavoro evidenzia che “tale previsione costituisce una mera facoltà per i datori di lavoro e non già un obbligo”, ferma restando la possibilità delle

parti di fare riferimento alla disciplina regionale di riferimento in base al luogo di

svolgimento del tirocinio.

Anche in ragione di ciò, la circolare opportunamente precisa che occorre indicare nella

documentazione consegnata al tirocinante la disciplina regionale di riferimento.

Inoltre, il D. L. n. 76/2013 ha previsto che i medesimi datori di lavoro “possono altresì

accentrare le comunicazioni di cui all’art. 1, commi 1180 e seguenti, della legge 27

dicembre 2006, n. 296, presso il Servizio informatico nel cui ambito territoriale e'

ubicata la sede legale”.

La circolare chiarisce che la norma non intende, comunque, estendere l’obbligo di

comunicazione ai cd. tirocini curricolari che restano esclusi, come chiarito dal medesimo

Ministero con nota prot. n. 4746 del 14 febbraio 2007.

Contratto a tempo determinato (art. 7, comma 1).

1. Acausalità (lett. a).

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Il D. L. n. 76/2013, convertito in l. n. 99/2013, interviene su vari profili della disciplina del

contratto a tempo determinato.

Vengono, in primo luogo, modificate le ipotesi di ricorso al contratto a tempo determinato

senza che sussistano specifiche ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o

sostitutivo (cd. acausalità).

A seguito delle nuove disposizioni, è possibile concludere rapporti di lavoro a tempo

determinato “acasuali” nelle seguenti ipotesi:

- primo rapporto a tempo determinato non superiore a dodici mesi (ipotesi

applicabile anche alla somministrazione a tempo determinato), già previsto dalla

legge n.92/ 2012;

- altre ipotesi previste dalla contrattazione collettiva , anche aziendale, stipulate da

organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più

rappresentative sul piano nazionale.

Se la prima ipotesi è rimasta immutata, merita di essere approfondita la seconda ipotesi

che è stata introdotta ex novo e sostituisce, abrogandola, l’ipotesi della percentuale del 6%

legata alla realizzazione di specifici processi organizzativi previsti dalla “legge Fornero”.

Innanzitutto, è opportuno sottolineare che i contratti collettivi che possono prevedere

ulteriori ipotesi di “acausalità” devono essere sottoscritti da “organizzazioni sindacali dei

lavoratori”. Per questo motivo deve ritenersi che gli accordi debbano essere sottoscritti

dalle articolazioni territoriali o nazionali dell’organizzazione sindacale, mentre non risultano

formalmente ricomprese tra i soggetti legittimati le sole RSA o la sola RSU.

Pertanto, è opportuno che i contratti collettivi aziendali che intendano individuare ulteriori

ipotesi di acausalità siano sottoscritti non solo dalle rappresentanze costituite in azienda

ma anche dalle articolazioni territoriali delle organizzazioni sindacali comparativamente più

rappresentative sul piano nazionale.

Anche per quanto riguarda il lato datoriale, merita di essere precisato che, stante il dato

normativo che si riferisce alle “organizzazioni … dei datori di lavoro”, è necessario che

l’accordo sia sottoscritto, oltre che dal datore di lavoro, anche dall’associazione di appartenenza.

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Per quanto riguarda i contenuti del contratto, alla contrattazione collettiva è demandato

individuare altre “ipotesi” di ricorso all’acausalità.

Stante la somiglianza delle due disposizioni, è opportuno fare riferimento alle

considerazioni svolte con riferimento alla facoltà, già affidata dalla cd. “riforma Fornero”

alla contrattazione collettiva, di individuare ipotesi nelle quali trovano applicazione termini

ridotti tra un contratto a tempo determinato ed un altro.

Pertanto, deve ritenersi che non sussistano specifici limiti alla possibilità della

contrattazione collettiva di individuare “altre ipotesi” che potranno, quindi, prendere a

riferimento tanto parametri soggettivi (ad es. lavoratori in cassa integrazione), quanto

oggettivi (ad es. lavoratori addetti allo svolgimento di una determinata attività) o perfino

quantitativi. È, però, importante che si tratti di ipotesi specifiche o, comunque, ben

delineate, mentre sollevano perplessità ipotesi “a tratto general-generico”. In quest’ultimo

caso, infatti, difetta il requisito della “ipotesi individuata”.

Con riferimento alla durata massima del rapporto, anche le ipotesi di acausalità previste

dalla contrattazione collettiva (di cui alla lett. b) del comma 1 - bis dell’art. 1 del d. lgs. n.

368/2001) sono soggette al limite ordinario di trentasei mesi di durata massima dei

rapporti a tempo determinato.

Questa interpretazione è confermata dalla circolare n. 35/2013 che ha chiarito che il

contratto “acausale” introdotto dalla contrattazione collettiva “va ad integrare quanto già

previsto direttamente dal Legislatore”. Sulla base di questa considerazione la circolare

ammette espressamente anche la possibilità che il contratto collettivo preveda una durata

maggiore a dodici mesi oppure che il contratto sia concluso con un lavoratore che abbia

già precedentemente svolto un lavoro subordinato con lo stesso datore di lavoro.

2. Prorogabilità dei contratti “acausali” e limiti quantitativi (lett. b e d, numero 3).

Il Decreto Legge n. 76/2013 ha abrogato la disposizione introdotta dalla cd. “riforma

Fornero” che escludeva la possibilità di proroga del primo contratto a tempo determinato

“acausale”.10

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Tuttavia, la soppressione del divieto non determina automaticamente la libera prorogabilità

di quel contratto a tempo determinato.

Piuttosto, il primo contratto a tempo determinato acausale risulta ora soggetto alla

disciplina generale prevista dall’art. 4 del D. Lgs. n. 368/2011. Pertanto, il primo contratto

a tempo determinato acausale risulta soggetto ai seguenti limiti:

- rispetto del limite di durata massima dei 12 mesi;

- possibilità di effettuare una sola proroga;

- in caso di proroga, svolgimento della “stessa attività lavorativa”.

Peraltro, la possibilità di effettuare una sola proroga è stata esplicitata in fase di

conversione del D. L. n. 76/2013 per quanto riguarda la fattispecie del primo contratto

acausale di dodici mesi. Con la legge di conversione n. 99/2013 è stato modificato l’art. 1,

comma 1-bis, lett. a, del D. Lgs. n. 368/2001 prevedendo espressamente che la durata

massima di dodici mesi deve essere “comprensiva di eventuale proroga”. L’uso del

singolare (proroga e non proroghe) rende quindi evidente che il contratto è prorogabile

una sola volta.

Sempre in caso di proroga, non sembra, invece, possibile applicare al contratto acausale il

requisito delle “ragioni oggettive”. Ciò in quanto tale requisito è tipico del contratto a tempo

determinato “ordinario”, ossia soggetto alla specificazione della “causale legittimante”,

mentre nelle ipotesi di acausalità questo requisito non è, ovviamente, richiesto in fase di

instaurazione del rapporto di lavoro.

Questa impostazione interpretativa trova conferma nella circolare n. 35/2013 che ha

chiarito che “trovano applicazione le disposizioni di cui all’art. 4 del D. Lgs. n. 368/2001 ad

eccezione del requisito relativo alla “esistenza delle ragioni che giustificano l’eventuale

proroga”.

A nostro avviso, la nuova disciplina sulla prorogabilità del primo contratto a tempo

determinato può trovare applicazione solo per i contratti acausali stipulati dopo il 28 giugno

2013. A rigore, infatti, secondo il principio del tempus regit actum, i contratti acausali

stipulati prima di tale data restano soggetti alla disciplina precedente il D. L. n. 76/2013 e

conseguentemente al divieto di proroga di cui all’art. 4, comma 2-bis del D. lgs. n.

368/2001.

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Di diverso avviso è, invece, la circolare del Ministero del Lavoro la quale, prendendo a

riferimento il momento della proroga, ritiene applicabile la disciplina della prorogabilità

anche ai contratti acausali stipulati prima dell’entrata in vigore del D. L. n. 76/2013, purché

non sia scaduto il termine inizialmente apposto al contratto e la proroga sia effettuata

successivamente al 28 giugno 2013.

A fronte delle diverse interpretazioni sul punto, che potrebbero riproporsi anche in sede

contenziosa, si ritiene preferibile attenersi, specie in fase di prima applicazione, a quella

più prudenziale, avvalendosi della facoltà di proroga solo per i contratti acausali stipulati

dopo il 28 giugno 2013.

Questione diversa è, invece, quella dell’applicabilità, anche ai contratti acausali, dei limiti

quantitativi al ricorso al contratto a tempo determinato, previsti dalla contrattazione

collettiva. Il Decreto Legge n. 76/2013 interviene sulla questione integrando il dato

normativo preesistente e aggiungendo espressamente tale ipotesi (cfr. art. 10, comma 7,

del D. Lgs. n. 368/2001).

L’espressa previsione legislativa, ora introdotta con il d.l. n. 76/2013, pone il problema di

verificare se le disposizioni contrattuali che, in passato, hanno previsto l’applicabilità di

limiti quantitativi siano o meno riferibili anche alle ipotesi di contratti a termine acausali.

Ferma restando la necessità di valutare tale circostanza caso per caso, sulla base di

quanto previsto e voluto nei singoli contratti collettivi, in linea di mero principio, non si

ritiene possibile estendere “automaticamente” i limiti già previsti nei contratti collettivi

anche ai contratti a tempo determinato acausali, dal momento che si deve presumere che

l’intenzione delle parti contraenti fosse quella di apporre limiti soltanto alle fattispecie di

contratti a tempo determinato “ordinari”, ossia quelli previsti e disciplinati dall’ordinamento

prima del 2012, ossia prima dell’introduzione della fattispecie “acausale” e della

previsione. E’ consigliabile, però, un’attenta verifica della volontà contrattuale, prima di

giungere all’una o all’altra soluzione.

Quest’ultima questione, poi, non è affrontata dalla circolare n. 35/2013 che si limita a

precisare che è facoltà della contrattazione collettiva individuare limiti quantitativi

differenziati tra contratti a tempo determinato “causali” e contratti “acausali”.

3. Prosecuzione del rapporto oltre il termine iniziale (lett. c, numeri 1 e 2).

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Il Decreto Legge n. 76/2013 chiarisce che la disciplina della prosecuzione del rapporto di

lavoro oltre il termine inizialmente fissato nel contratto a tempo determinato opera anche

per i contratti a tempo determinato “acausali”. Conseguentemente, anche per i contratti

“acausali” la conversione del rapporto a tempo indeterminato opera esclusivamente

qualora il rapporto prosegua oltre un determinato periodo di tempo, successivo al termine

finale previsto nel contratto2, durante il quale il lavoratore matura esclusivamente il diritto

ad una maggiorazione retributiva.

Inoltre, il Decreto Legge elimina opportunamente l’onere di comunicazione preventiva che

la Legge n. 92/2012 aveva introdotto in caso di prosecuzione del rapporto oltre il termine

inizialmente convenuto tra le parti.

La circolare ministeriale ricorda che resta, ovviamente, salvo il diverso obbligo di

comunicazione previsto dalla legge per la proroga del termine inizialmente fissato al

contratto o la sua trasformazione a tempo indeterminato, ai sensi dell’art. 4 bis, comma 5,

del D. Lgs. n. 181/2000.

4. Disciplina degli intervalli tra un contratto a tempo determinato ed un altro (lett. c,

numero 3).

La Legge n. 92/2012 aveva esteso gli intervalli tra un contratto a tempo determinato ed un

altro, creando notevoli difficoltà applicative, parzialmente attenuate a seguito dei correttivi

introdotti con il D. L. n. 83/2012.

Il Decreto Legge n. 76/2013 modifica in senso più favorevole la disciplina, prevedendo la

seguente disciplina degli intervalli:

intervallo di 10 giorni qualora il precedente contratto a tempo determinato

abbia avuto una durata fino a 6 mesi;

intervallo di 20 giorni qualora il precedente contratto a tempo determinato

abbia avuto una durata superiore ai 6 mesi.

Il Decreto Legge n. 76/2013 prevede inoltre che gli intervalli “ non trovano applicazione ” :

2 Oltre il trentesimo giorno in caso di contratto di durata inferiore a sei mesi e oltre il cinquantesimo giorno negli altri casi.

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per i lavoratori impiegati nelle attività stagionali di cui all’art. 5, comma 4-ter del

D. Lgs. n. 368/2001;

nelle ipotesi individuate dai contratti collettivi, anche aziendali, stipulati dalle

organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più

rappresentative sul piano nazionale.

Con la legge di conversione è stato, inoltre, previsto che nelle ipotesi di esenzione dagli

intervalli è possibile effettuare due assunzioni a tempo determinato senza soluzione di

continuità. È stato, infatti, modificato il comma 3 dell’art. 5 del D. Lgs. n. 368/2001

prevedendo espressamente che nei due casi di esenzione non trova applicazione il

comma 4 del medesimo art. 5 che sanziona con la conversione ex tunc le assunzioni

effettuate senza alcuna soluzione di continuità.

La circolare nell’illustrare la nuova disciplina chiarisce espressamente che le ipotesi

individuate dalla contrattazione collettiva possono, ovviamente, anche riferirsi ad attività

non stagionali.

Questione diversa è, invece, quella della disciplina degli intervalli che sia stata introdotta

dalla contrattazione collettiva in base alla precedente formulazione dell’art. 5, comma 3 del

D. Lgs. n. 368/2001. Sulla base del precedente disposto di legge sono stati, infatti,

conclusi diversi contratti collettivi volti a beneficiare degli intervalli ridotti di 20 o 30 giorni.

Si tratta di un problema complesso, che attiene al perdurare dell’efficacia di una

disposizione del contratto collettivo nel caso in cui venga modificata la disposizione di

legge alla quale ha dato esecuzione.

In linea di principio, si ritiene fondata la tesi che ritiene che, in caso di modificazione del

quadro normativo, tale accordo non possa più ritenersi efficace (cd. principio della

presupposizione), in quanto l’accordo è avvenuto sulla base dell’unico presupposto della

vigenza di una determinata disciplina legislativa. Ed è infatti in questo senso la nota del

Ministero del Lavoro del 4 ottobre (cfr. in allegato).

Trattandosi, però, di interpretare la volontà contrattuale è comunque opportuna una

verifica caso per caso.

Un ultimo profilo problematico attiene, invece, alla individuazione della disciplina degli

intervalli tra contratti a termine da applicare nel caso di contratti stipulati prima e dopo

l’entrata in vigore del D. L. n. 76/2013.14

Page 15: PRIME INDICAZIONI SULLE PRINCIPALI NORME ... · Web viewLa norma prevede l’emanazione di apposite linee guida da parte della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le

Qualora il successivo contratto a tempo determinato sia stipulato dopo l’entrata in vigore

del D. L. n. 76/2013, troveranno applicazione i nuovi intervalli di 10 o 20 giorni. Ciò che

rileva, infatti, è il momento della stipulazione del secondo contratto a tempo determinato,

dovendosi verificare, in quel momento, il rispetto della vigente disciplina legislativa degli

intervalli.

Questa interpretazione trova conferma anche nella circolare n. 35/2013 che ha chiarito

che “per tutti i contratti a termine stipulati a partire del 28 giugno 2013 (data di entrata in

vigore del D. L. n. 76/2013) è pertanto sufficiente rispettare un intervallo di 10 o 20 giorni,

anche se il precedente rapporto a tempo determinato è sorto prima di tale data”.

5. Contratti a tempo determinato con i lavoratori in mobilità (lett. d, numeri 1 e 2).

Il D. L. n. 76/2013 ha chiarito una questione che aveva sollevato diversi problemi

interpretativi, ossia ha previsto l’esclusione dalla disciplina del D. Lgs. n. 368/2001 dei

contratti a tempo determinato conclusi con i lavoratori in mobilità ai sensi dell’art. 8,

comma 2, della Legge n. 223/1991.

Questa precisazione ha degli effetti importanti per quanto riguarda la disciplina della

fattispecie, perché chiarisce che il contratto a tempo determinato, stipulato con i lavoratori

in mobilità, non è soggetto ai limiti generalmente previsti dal Decreto Legislativo n.

368/2011 (ad es. disciplina della proroga, intervalli etc.).

In sede di conversione, la norma è stata modificata integrandone il disposto con la

previsione che trovano comunque applicazione ai contratti a tempo determinato stipulati

con lavoratori in mobilità gli artt. 6 e 8 del D. Lgs. n. 368/2001.

In altre parole, trovano applicazione anche ai contratti a tempo determinato conclusi con

lavoratori in mobilità le disposizione relative:

- al principio di non discriminazione;

- ai criteri di computo per il riconoscimento dei diritti sindacali di cui all’art. 35 della

Legge n. 300/1970.

Se la prima disciplina non pone particolari problemi, la seconda merita di essere

approfondita.

15

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L’art. 8 del D. Lgs. n. 368/2001 è stato recentemente modificato dalla Legge n. 97/2013

per rendere conforme questa normativa alla disciplina prevista dalla Direttiva 1999/70/CE.

Tale disposizione prevede ora che i lavoratori a termine devono essere computati nella

base occupazione prendendo a riferimento il “numero medio mensile di lavoratori a tempo

determinato impiegati negli ultimi due anni, sulla base dell'effettiva durata dei loro rapporti

di lavoro”.

Il nuovo criterio di computo sarà probabilmente oggetto di uno specifico chiarimento da

parte del Ministero del Lavoro. In via di prima interpretazione, la nuova diposizione

richiede che si operi la somma di tutti i mesi di contratto a tempo determinato svolti da tutti

i lavoratori a termine impiegati dall’impresa negli ultimi due anni e che il risultato di tale

somma venga diviso per 24. Il risultato finale ottenuto sarà il numero di unità lavorative utili

ai fini dell’art. 35 della Legge n. 300/1970.

Orbene, in base al disposto del nuovo art. 10, comma 1, lett. c-ter del D. Lgs. 368/2001,

nella sommatoria andranno inclusi anche i mesi di contratto a tempo determinato svolti, ai

sensi dell’art. 8 della Legge n. 223/1991, da lavoratori in mobilità.

La circolare n. 35/2013 non entra nel merito del funzionamento del sistema di computo ma

chiarisce un profilo di diritto intertemporale. Il Ministero del Lavoro chiarisce, infatti, che

rientrano nel criterio di computo esclusivamente i lavoratori in mobilità assunti con

contratto a tempo determinato ex art. 8 della Legge n. 223/1991 “a partire dall’entrata in vigore della legge di conversione e quindi a far data dal 23 agosto u.s.”.

Nonostante il tenore della legge, anche a seguito della conversione in legge, continuiamo

comunque a ritenere opportuno consigliare il rispetto del disposto dell’art. 3 del D. Lgs. n.

368/2001 (in particolare, quello che riguarda il divieto di sostituzione dei lavoratori in

sciopero, che trova fonte anche nei principi costituzionali e nell’insegnamento univoco

della giurisprudenza) nonché, più in generale, di stipulare il contratto in forma scritta.

Questione diversa è quella dell’applicabilità della disciplina degli intervalli nel caso di

successione tra le due tipologie di contratti a tempo determinato (ossia quella ordinaria e

quella ex art. 8).

In questo caso, la disciplina degli intervalli applicabile è quella prevista per la fattispecie

contrattuale stipulata successivamente. In altre parole, qualora il secondo contratto

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stipulato sia un contratto a tempo determinato “ordinario”, occorrerà rispettare gli intervalli

di cui all’art. 5, comma 3 del D. Lgs. n. 368/2001. Viceversa, se si tratterà di un contratto

stipulato con lavoratore iscritto alle liste di mobilità (ipotesi che, in concreto, appare

difficilmente verificabile) non opererà alcuna disciplina degli intervalli.

Va, infine, sottolineato che aver sottratto la disciplina del contratto a tempo determinato ex

art. 8 della Legge n. 223/1991 dalla più generale disciplina dei contratti a termine dettata

dal D. Lgs. n. 368/2001 comporta anche un qualche effetto di rigidità per quanto attiene la

prosecuzione di fatto del rapporto oltre il termine prefissato. Ed infatti, per come è

formulata la norma in commento, si deve escludere che ai contratti a tempo determinato

ex art. 8 della Legge n. 223/1991 si possa applicare il disposto dell’art. 5, comma 2, del D.

Lgs. n. 368/2001 che consente, entro certi limiti e a determinate condizioni, la

prosecuzione di fatto del rapporto.

Reti di imprese (art. 7, comma 2, lett. 0a).

Il D. L. n. 76/2013 introduce, per la prima volta, disposizioni specifiche per il lavoro a

favore delle reti di imprese.

In primo luogo, si prevede espressamente che, ogniqualvolta sussista una rete

validamente costituita, si presume sempre sussistente un interesse al distacco tra le

imprese che la compongono. Si agevola, così, il ricorso all’istituto da parte delle imprese

che facciano parte di una rete, dal momento la sussistenza di un interesse dell’impresa

distaccante al distacco, costituisce elemento essenziale della fattispecie (cfr. art. 30 D.

Lgs. n. 276/2003).

La circolare n. 35/2013 conferma questa interpretazione e, conseguentemente, invita il

personale ispettivo a limitarsi a “verificare l’esistenza di un contratto di rete tra distaccante

e distaccatario”.

Sul piano del trasferimento intra-aziendale, viene invece confermata la disciplina generale

prevista dall’art. 2103 c.c.

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Il D. L. n. 76/2013 prevede, infine, che le imprese in rete possano avvalersi della

“ codatorialità ”.

Si tratta di una norma innovativa che si riferisce alla possibilità di assumere lavoratori

imputando il rapporto ad una pluralità di datori di lavoro ossia a due o più imprese facenti

parte della rete.

Quanto al merito della disciplina, il Decreto Legge è essenziale, limitandosi a rinviare la

definizione della regolamentazione di riferimento al contratto che disciplina la rete stessa.

La circolare del Ministero del Lavoro precisa che la codatorialità consente a ciascun

imprenditore che partecipa al contratto di rete di esercitare il potere direttivo nei confronti

del dipendente.

Inoltre, sul piano della responsabilità penale, civile ed amministrativa la circolare non

ritiene possibile “configurare automaticamente una solidarietà tra tutti i partecipanti al

contratto”.

Come precisa la stessa circolare, spetta al contratto di rete disciplinare i vari profili della

“codatorialità”.

A tal proposito, specie in fase di prima applicazione, riteniamo opportuno che in sede di

redazione del contratto di rete si presti particolare attenzione nella definizione della

disciplina della “codatorialità” che dovrà in ogni caso rispettare i principi e le norme

inderogabili di legge.

Lavoro intermittente (art. 7, comma 2, lett. a; comma 3 e comma 5, lett. a, n. 2).

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Il D.L. n. 76/2013 introduce un tetto massimo di giornate per il ricorso al contratto di lavoro

intermittente. La disciplina ha, però, subito importanti modifiche in sede di conversione ad

opera della Legge n. 99/2013.

Si prevede che un lavoratore intermittente non possa prestare, a favore del medesimo

datore di lavoro, più di 400 giornate di lavoro effettivo nell’arco di tre anni solari. Il

riferimento al singolo datore di lavoro è ora espressamente previsto dall’art. 34, comma 2-

bis, del D. Lgs. n. 276/2003.

Qualora tale limite venga superato, il rapporto si trasforma a tempo pieno e indeterminato.

Il Decreto Legge disciplina anche il diritto intertemporale, stabilendo che debbano essere

computate esclusivamente le giornate di effettivo lavoro rese successivamente alla sua

entrata in vigore (ovvero il 28 giugno 2013).

La legge di conversione ha, inoltre, aggiunto dei settori esentati dalla disciplina del limite

complessivo delle giornate. Più specificamente il limite delle 400 giornate di lavoro effettivo

non opera per i seguenti settori:

- turismo;

- pubblici esercizi;

- spettacolo.

In questi tre settori, pertanto, il contratto di lavoro intermittente potrà essere utilizzato

senza limiti “quantitativi” ma pur sempre nel rispetto dei presupposti soggettivi o oggettivi

previsti dall’art. 34 del D. Lgs. n. 276/2003 e necessari per potersi avvalere dell’istituto.

La legge di conversione ha, invece, abrogato la disposizione del D. L. n. 76/2013 sulla

disciplina delle sanzioni previste in caso di violazione dell’obbligo di comunicazione

preventiva introdotto dalla Legge n. 92/2012.

Infine, viene prorogato al 1° gennio 2014 il termine entro il quale i vecchi contratti di lavoro

intermittente devono essere resi compatibili con le modifiche apportate all’istituto dalla

Legge n. 92/2012 (riforma Fornero).

Contratto a progetto (art. 7, comma 2, lett. c, c-bis e d e comma 2-bis).

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Il D. Lgs. n. 76/2013 introduce alcune correttivi alla riforma Fornero anche in materia di

contratto a progetto.

Si chiarisce, infatti, che la limitazione alla stipulazione di contratti a progetto riguarda le

attività che siano, allo stesso tempo, esecutive e ripetitive. Viene così superato il

precedente dato normativo che poteva far ritenere che le due caratteristiche fossero

autonome e alternative, restringendo così, in maniera eccessiva, il ricorso all’istituto.

La circolare n. 35/2013 conferma questa interpretazione e rinvia per una più ampia

disamina delle novità introdotte dalla Legge n. 92/2012 (cd. riforma Fornero) alla propria

circolare n. 29/2012.

Viene, inoltre, modificata la disciplina della forma del contratto a progetto. Il Decreto

Legge, infatti, mantiene inalterato l’obbligo della forma scritta, ma elimina il riferimento “ai

fini della prova”.

Sul punto, ricordiamo peraltro che la Legge n. 92/2012, con norma di interpretazione

autentica, ha introdotto una presunzione assoluta, prevedendo che “l'individuazione di uno

specifico progetto costituisce elemento essenziale di validità del rapporto di collaborazione

coordinata e continuativa, la cui mancanza determina la costituzione di un rapporto di

lavoro subordinato a tempo indeterminato” (cfr. art. 1, comma 24 della Legge n. 92/2012).

La circolare n. 35/2013 ripercorre il nuovo quadro normativo e precisa che per il contratto

a progetto “la forma scritta costituisce elemento di legittimità dello stesso (c.d. forma scritta

ad substantiam)”. Vengono, inoltre, citate una serie di pronunce di merito in base alle quali

l’assenza di specificità del progetto equivale ad assenza del progetto sotto il profilo delle

conseguenze di trasformazione da collaborazione a rapporto di lavoro subordinato a

tempo indeterminato.

La legge di conversione ha poi introdotto all’art. 61 del D. Lgs. n. 276/2003 il nuovo

comma 2-bis in base al quale “se il contratto ha per oggetto un'attività di ricerca

scientifica e questa viene ampliata per temi connessi o prorogata nel tempo, il progetto

prosegue automaticamente”.

La circolare del Ministero del Lavoro ritiene che la disposizione non introduca particolari

novità, ma piuttosto si limiti a rafforzare il collegamento tra l’attività di ricerca scientifica e

la durata “determinata o determinabile, della prestazione di lavoro” di cui all’art. 62,

comma 1, lett. a) del D. Lgs. n. 276/2003.20

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In altre parole, secondo la circolare, il D. L. n. 76/2013 si sarebbe limitato ad estendere il

concetto di durata “determinabile” della prestazione di lavoro, prevedendo, nelle ipotesi di

collaborazione avente ad oggetto un’attività di ricerca scientifica, “un automatico

“ampliamento” dello stesso progetto, legittimando la prosecuzione dell’attività del

collaboratore senza particolari formalità”.

Riteniamo pienamente condivisibile e consigliabile l’indicazione fornita dal Ministero di

dare atto della volontà di avvalersi della facoltà di prosecuzione automatica prevista dalla

norma nel contratto di collaborazione o comunque in successive comunicazioni effettuate

dal committente al collaboratore a progetto.

Infine, sempre con la legge di conversione è stata introdotta una norma di interpretazione

autentica del significato dell’espressione “vendita diretta di beni e servizi” relativa all’ipotesi

di contratto a progetto prevista per i call center 'outbound'.

L’interpretazione fornita dal D. L. n. 76/2013 è estensiva e chiarisce che la disciplina

speciale opera sia per i call center 'outbound' che si occupano della vendita diretta di beni

che di quelli che si occupano della vendita diretta di servizi.

La circolare n. 35/2013 chiarisce che la legge di conversione ha tradotto in norma

un’indicazione interpretativa già fornita dal Ministero del Lavoro con la circolare n. 14/2013

alla quale rinvia per un approfondimento della fattispecie.

Lavoro accessorio (art. 7, comma 2, lett. e).

Quanto al lavoro accessorio, viene opportunamente abrogata l’espressione “di natura

meramente occasionale”, che ingenerava equivoci interpretativi, dal momento che ora la

fattispecie è individuata, tout court, sulla base dei limiti quantitativi del compenso.

La circolare n. 35/2013 ricorda che la disposizione del D. L. n. 76/2013 “cristallizza”

un’interpretazione già fornita dal Ministero con la circolare n. 18/2012.

Licenziamento per giustificato motivo oggettivo - procedura (art. 7, comma 4).

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La riforma Fornero ha introdotto una procedura per i licenziamenti intimati per giustificato

motivo oggettivo (cfr. art. 6 D. Lgs. n. 604/1966).

Anche alla luce dei problemi emersi in fase di prima applicazione, il D. L. n. 76/2013

interviene per modificare l’ambito di applicazione della procedura. In particolare, il Decreto

esclude dall’ambito di applicazione della procedura di conciliazione preventiva:

i licenziamenti intimati per superamento del periodo di comporto;

i licenziamenti effettuati in conseguenza di cambi di appalto, ai quali siano succedute

assunzioni presso altri datori di lavoro, in attuazione di clausole sociali che

garantiscano la continuità occupazionale prevista dai contratti collettivi nazionali di

lavoro stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro

comparativamente più rappresentative sul piano nazionale;

l’interruzione dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato, nel settore delle costruzioni

edili, per completamento delle attività e chiusura del cantiere.

Viene, inoltre, previsto che in caso di mancata comparizione avanti la DTL di una o

entrambe le parti, tale condotta potrà essere valutata ai fini della prova ai sensi dell’art.

116 c.p.c.

Non è ancora chiara la portata di questa innovazione legislativa, la cui reale efficacia potrà

essere valutata solo a seguito dell’applicazione giurisprudenziale. In via di prima

interpretazione, tuttavia, in considerazione del richiamo dell’art. 116 c.p.c., si ritiene che

con questa disposizione il legislatore abbia voluto qualificare la condotta della mancata

comparizione come un “argomento di prova”. Conseguentemente, la condotta omissiva

potrebbe essere presa in considerazione dal giudice solo come elemento di valutazione di

altre prove mentre non potrebbe costituire l’unico fondamento di un giudizio di fatto.

La circolare n. 35/2013, nel confermare le novità introdotte dal D. L. n. 76/2013, non entra

nel merito degli effetti del richiamo dell’art. 116 c.p.c., precisando unicamente che attiene

alla valutazione delle prove da parte dell’autorità giudiziaria.

E’ certamente opportuno, in ogni caso, non sottovalutare le conseguenze che potrebbero

derivare dall’inosservanza della norma che impone la comparizione.

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Associazione in partecipazione (art. 7, comma 5, lett. a, n. 2-bis).

Come noto, la cd. riforma Fornero (Legge n. 92/2012) ha introdotto nell’art. 2549, comma

2, Cod. Civ., un limite quantitativo all’utilizzo dell’istituto dell’associazione in

partecipazione con apporto di lavoro.

In sede di conversione del Decreto Legge è stata previsto che il limite quantitativo

all’utilizzo dell’associazione in partecipazione con apporto di lavoro non si applica:

- alle imprese a scopo mutualistico, agli associati individuati mediante elezione

dall'organo assembleare di cui all'articolo 2540, il cui contratto sia certificato dagli

organismi di cui all'articolo 76 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e

successive modificazioni;

- al rapporto fra produttori e artisti, interpreti, esecutori, volto alla realizzazione di

registrazioni sonore, audiovisive o di sequenze di immagini in movimento.

La circolare n. 35/2013 si sofferma sulla prima ipotesi chiarendo che non è necessario che

la certificazione sia già intervenuta prima dell’entrata in vigore della legge di conversione

del D. L. n. 76/2013, ma che “dette certificazioni dovranno essere quantomeno avviate

prima di qualsiasi accertamento ispettivo”.

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Incentivo per l’assunzione di fruitori di ASPI (art. 7, comma 5, lett. b).

Viene istituito un nuovo incentivo per l’assunzione a tempo pieno ed indeterminato di

disoccupati.

L’incentivo consiste in un contributo per chi assume coloro che fruiscono dell’ASpI, pari al

cinquanta per cento dell’indennità mensile residua che sarebbe stata corrisposta al

lavoratore se fosse rimasto disoccupato.

La struttura dell’incentivo, peraltro, fa insorgere più di un dubbio sulla sua compatibilità con

il regolamento UE n.800/2008 in materia di aiuti di Stato per l’occupazione: in particolare,

andrebbe chiarito che l’importo dell’incentivo previsto dalla norma non può superare quello

stabilito dal regolamento UE sugli “aiuti de minimis”.

Pertanto, finché le incertezze sopra indicate non saranno risolte, si consiglia di evitare

l’applicazione dell’incentivo.

Stabilizzazione di associati in partecipazione con apporto di lavoro (art. 7-bis).

Con la legge di conversione è stato introdotto nel D. L. n. 76/2013 l’art. 7-bis che prevede

una procedura volta a consentire la “stabilizzazione” di associati in partecipazione con

apporto di lavoro, che determina un’efficacia estintiva degli illeciti, anche in corso di

accertamento, relativi a versamenti contributivi, assicurativi e fiscali.

A tal fine il comma 1 prevede la conclusione di uno specifico contratto collettivo tra

l’azienda, anche assistita dalla propria associazione di categoria, e le associazioni dei

lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, i cui contenuti sono

previsti dalla legge stessa. Tali contratti possono essere stipulati nel periodo compreso fra

il 1° giugno 2013 e il 30 settembre 2013.

Con il contratto collettivo il datore di lavoro si deve impegnare all’assunzione a tempo

indeterminato dell’associato in partecipazione entro tre mesi. L’assunzione può essere

effettuata anche in apprendistato o ricorrendo ad eventuali benefici previsti dalla

legislazione.24

Page 25: PRIME INDICAZIONI SULLE PRINCIPALI NORME ... · Web viewLa norma prevede l’emanazione di apposite linee guida da parte della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le

Il rapporto gode di uno speciale regime di stabilità, in quanto, in base al disposto del

comma 3, nei primi sei mesi del rapporto il datore di lavoro non può recedere dal contratto

di lavoro per giustificato motivo oggettivo.

L’art. 7-bis prevede che i lavoratori assunti sottoscrivano una conciliazione ai sensi dell’art.

410 e ss. c.p.c. “con riferimento a tutto quanto riguardante i pregressi rapporti di

associazione”. L’efficacia della conciliazione è, tuttavia, subordinata al versamento da

parte del datore di lavoro di un contributo straordinario alla gestione separata INPS “pari al

5 per cento della quota di contribuzione a carico degli associati per i periodi di vigenza dei

contratti di associazione in partecipazione e comunque per un periodo non superiore a sei

mesi, riferito a ciascun lavoratore assunto a tempo indeterminato”.

Per poter beneficiare dell’effetto estintivo degli illeciti, il datore di lavoro è tenuto a

depositare presso l’INPS entro il 31 gennaio 2014:

- il contratto collettivo aziendale;

- gli atti di conciliazione;

- i contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato, stipulati con ciascun

lavoratore;

- l’attestazione dell’avvenuto versamento delle somme alla Gestione separata INPS.

Il secondo periodo del comma 5 prevede che gli esiti della verifica da parte dell’INPS della

correttezza degli adempimenti e “per quanto riguarda l’effettività dell’assunzione” sono

comunicati dall’Istituto alle DTL territorialmente competenti.

La circolare opera un’importante precisazione sul punto perché prevede che la

comunicazione debba essere inviata anche al datore di lavoro interessato. Inoltre, il

Ministero raccomanda all’Istituto, dal momento che la legge non prevede un termine

massimo per la durata della verifica, “la massima tempestività nella definizione delle

procedure”.

Dal momento che la procedura può essere attivata anche da aziende che siano

destinatarie di provvedimenti amministrativi o giurisdizionali non definitivi concernenti

la qualificazione dei rapporti, il comma 5 prevede un effetto sospensivo durante il corso

della procedura di verifica degli adempimenti da parte dell’INPS.

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A tal proposito la circolare n. 35/2013 chiarisce che il datore di lavoro interessato a

beneficiare dell’efficacia sospensiva possono comunicare direttamente alla competente

DTL l’adesione alla procedura di stabilizzazione.

Inoltre, il Ministero del Lavoro precisa che la sospensione riguarda l’efficacia dei

provvedimenti già adottati mentre non riguarda i termini previsti dagli artt. 14 e 28 della

Legge n. 689/1981 in tema di contestazione e notificazione e di prescrizione del diritto a

riscuotere le somme dovute.

Conseguentemente, chiarisce la circolare, eventuali provvedimenti amministrativi potranno

essere notificati all’azienda, ma conterranno l’avvertenza che i relativi effetti restano

sospesi in attesa degli esiti della verifica del procedimento di stabilizzazione da parte

dell’INPS.

La sospensione opera, invece, per quanto riguarda i termini per l’eventuale presentazione

di scritti difensivi ai sensi dell’art. 18 della Legge n. 689/1981 e per la proposizione dei

ricorsi di cui agli artt. 16 e 17 del D. Lgs. n. 124/2004.

Infine, in caso di esito positivo della verifica da parte dell’INPS, si produce l’effetto estintivo

degli illeciti che riguarda:

- i pregressi rapporti di associazione in partecipazione;

- le forme di tirocinio.

Il comma 7 estende l’efficacia dell’estinzione anche agli illeciti “connessi ad attività

ispettiva già compiuta alla data di entrata in vigore della legge di conversione del

presente decreto”, ovvero il 23 agosto 2013.

Se la stabilizzazione, quindi, riguarda solo i rapporti di associazione in partecipazione, gli

effetti estintivi degli illeciti si estendono, invece, anche ai provvedimenti sanzionatori

concernenti l’impiego di tirocinanti.

La circolare n. 35/2013 chiarisce, tuttavia, che l’effetto estintivo si estende al tirocinio solo

se il provvedimento sanzionatorio è adottato “sulla base di un medesimo accertamento

ispettivo” rispetto a quello che ha determinato l’adozione del provvedimento sanzionatorio

per il rapporto di associazione in partecipazione “stabilizzato”.

Ovviamente, precisa la circolare, restano invece ferme eventuali sanzioni irrogate per

violazioni relative ad altre fattispecie contrattuali (ad es. collaborazioni a progetto, partite

IVA).

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Page 27: PRIME INDICAZIONI SULLE PRINCIPALI NORME ... · Web viewLa norma prevede l’emanazione di apposite linee guida da parte della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le

L’effetto estintivo ha un’ampia portata e opera anche con riferimento a:

- provvedimenti amministrativi emanati in conseguenza di contestazioni riguardanti i

rapporti di associazione in partecipazione e di tirocinio interessati dalla procedura in

esame, anche se già oggetto di provvedimento giudiziale non definitivo (ad es.

diffide accertative);

- pretese contributive, assicurative e sanzioni amministrative e civili conseguenti alle

contestazioni connesse ai rapporti di associazione in partecipazione e di tirocinio

interessati dalla procedura in esame.

Dimissioni – procedura di convalida (art. 7, comma 5, lett. d, n. 1).

Il Decreto Legge n. 76/2013 estende l’ambito di applicazione della procedura di convalida

delle dimissioni e delle risoluzioni consensuali di cui all’art. 4, commi 16 e ss., della Legge

n. 92/2012. In particolare, si estende l’onere di convalida o conferma anche alle seguenti

fattispecie contrattuali:

collaborazioni coordinate e continuative anche a progetto;

associazione in partecipazione con apporto di lavoro.

Occorrerà, pertanto, procedere alla convalida o alla conferma, previste dalla Legge n.

92/2012, anche nei casi di recesso esercitato dal collaboratore o dall’associato in

partecipazione, prima della scadenza del contratto, ovvero nei casi di risoluzione

consensuale del rapporto.

Sul punto, la circolare del Ministero del Lavoro precisa che, dal momento che la

disposizione del D. L. n. 76/2013 richiama esclusivamente il comma 1 dell'articolo 61, del

decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, restano, invece, escluse le ipotesi di cui ai

commi 2 e 3 del medesimo articolo, ovvero:

- prestazioni occasionali (comma 2);

- collaborazioni che non richiedono il progetto (comma 3).

Resta, tuttavia, aperta la questione dell’interpretazione del limite dell’applicazione “ in

quanto compatibili” con la disciplina delle collaborazioni e dell’associazione in

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partecipazione. In fase di prima applicazione, consigliamo di applicare sempre la

procedura di convalida o conferma a questi istituti.

Responsabilità solidale negli appalti (art. 9, comma 1).

Il Decreto Legge n. 76/2013 irrigidisce la disciplina della responsabilità solidale negli

appalti.

Viene, infatti, esteso l’ambito di applicazione della responsabilità solidale di cui all’art. 29,

comma 2, del D. Lgs. n. 276/2003 anche ai lavoratori autonomi.La disposizione solleva notevoli perplessità dal momento che potrebbe facilmente

prestarsi ad abusi. Occorre fin d’ora precisare che, in ogni caso, è necessario che il

lavoratore dimostri che la prestazione per la quale richiede l’applicazione della

responsabilità solidale sia collegata all’appalto.

Le perplessità sollevate dall’estensione del regime della solidarietà anche ai lavoratori

autonomi, risultano attenuate grazie all’interpretazione fornita dalla circolare n. 35/2013.

Il Ministero del Lavoro ha, infatti, chiarito che, a ragione della ratio dell’istituto della

solidarietà e considerato il rischio di “distonie sul piano delle finalità proprie dell’istituto”, il

riferimento ai lavoratori autonomi è “limitato sostanzialmente ai co.co.co. /co.co.pro.

impiegati nell’appalto e non anche a quei lavoratori autonomi che sono tenuti in via esclusiva all’assolvimento dei relativi oneri”.

Si chiarisce, inoltre, che le pubbliche amministrazioni individuate dall’art. 1, comma 2, del

D. Lgs. n. 165/2001 sono esentate dalla disciplina della responsabilità solidale. La

circolare n. 35/2013 precisa che per tali appalti trova applicazione la disciplina prevista dal

D. Lgs. n. 163/2006 e dall’art. 1676 c.c.

La norma stabilisce, infine, che la possibilità di esonero dalla responsabilità solidale

prevista dalla Legge Fornero, in caso di modalità di controllo stabilite da contratti collettivi

nazionali, valga solo per le retribuzioni e non per i contributi previdenziali e assicurativi.

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Contrattazione di prossimità ex art. 8 del D. L. n. 138/2011 (ex art. 9, comma 4).

In sede di conversione del Decreto Legge è stata soppressa la disposizione che

prevedeva l’onere del deposito dell’accordo del contratto collettivo di prossimità di cui

all’art. 8 del D. L. n. 138/2011 presso la Direzione territoriale del lavoro competente per

territorio.

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