PRIMA CHE IL MONDO COMINCI A BRUCIARE - Un problema italiano

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Luca è un giovane che si trova catapultato nella realtà del lavoro precario. Lui e i suoi amici hanno un'alternativa a questo sistema che li sfrutta e li opprime. Le cose però gli sfuggiranno di mano. "Questo libro è un invito alla resistenza in chiave moderna, non a colpi di fucili e bombe, ma progettando e studiando il modo di risollevare il sistema. “Prima che il mondo cominci a bruciare” di Federico Crosara è una chiamata al raduno per tutti coloro che hanno il fuoco dentro, per combattere e vincere il nemico" (RecensioniLibri.org). "Prima che il mondo cominci a bruciare” mette in luce ciò che accade nella vita di tutti i giorni con passione e trasporto. Un'intera generazione privata delle basilari certezze sulle quali costruire il proprio futuro non può che generare adulti instabili alla ricerca di un salvifico Eden" (RecensioneLibro.it). "Non posso che ritenere un libro come questo, ancora oggi più che mai, fondamentale, per contenuti e per coordinate ermeneutiche fornite per comprendere la realtà del precariato" (StampaLibera.com). Se vuoi conoscere Luca, Alessia, Fabio e tutti gli altri visita www.fuocodentro.it.In più troverai altre notizie e info utili come la rassegna stampa, i commenti dei lettori e molto altro ancora.

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Gli italiani non si spezzanoma si piegano facilmente

Ico

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FEDERICO CROSARA

PRIMA CHE IL MONDOCOMINCI A BRUCIARE

(un problema italiano)

La Riflessione

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FEDERICO CROSARAPRIMA CHE IL MONDO COMINCI A BRUCIARE

(un problema italiano)

PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATAL’OPERA È FRUTTO DELL’INGEGNO DELL’AUTORE

PROGETTO GRAFICO: MARIA SIGNORINIILLUSTRAZIONE DELLA TESTA DEL LUPO: FEDERICO FAEDO

© 2010 La Riflessione

Davide Zedda Editore

Via F.Alziator, 2409126 – Cagliari

[email protected]

[email protected]

Prima Edizionefinito di stampare nel mese di aprile 2010

ISBN-10: 8862114103ISBN-13: 9788862114103

La presente Opera è rilasciata gratuitamentesotto una licenza Creative Commons 3.0 BY-NC-SA.

Luca è un giovane che si trova catapultato nella realtà del lavoro precario.Lui e i suoi amici hanno un’alternativa a questo sistema che li sfrutta e li opprime.

Le cose però gli sfuggiranno di mano.

Se vuoi conoscere Luca, Alessia, Fabio e tutti gli altrivisita il sito ufficiale www.fuocodentro.it.

In più troverai altre notizie e info utili come la rassegna stampa,i commenti dei lettori e molto altro ancora.(anche su www.facebook.com/fuocodentro)

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Un conflitto si concludecon la firma di un trattatoo con la distruzione totaledi una delle due parti.

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Mi chiamo Luca. Ho venticinque anni e sono seduto in caserma aspettando che un giudice mi interroghi. È sera.Mi hanno arrestato stamattina presto e mi accusano di tentata strage.E io che mi preoccupavo di quell’altra cosa.In realtà non so se volevo fare una strage, credo che volessi fare un po’ di pulizia. Dare un segnale più che altro.Non sono mai stato arrestato prima, non ho mai infranto la legge prima, ma da quanto ne so, il mio avvocato, che non ho, mi consiglierà di seguire la linea dell’infermità mentale, parziale, totale o temporale.Chi se ne frega, mi sembra una buona idea.C’è solo un problema: più mi guardo in giro, più penso di non essere io il pazzo.Comunque andiamo per ordine.

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SCENA 01. EST. VIA TRAFFICATA DI CITTÀ. GIORNO.Un giovane PONY EXPRESS in piedi, vicino al suo motorino, col viso “pixel-lato” che gli nasconde l’identità

PONY EXPRESS:Mi chiamo Carlo (cognome censurato con un beep) e ho il fuoco dentro!

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16 giugno

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È mattina, sono in un affollato IC delle FS. I finestrini che non sono bloccati sono tutti giù per fare entrare più aria possibile.Non so più dove mettere le gambe che si sono rattrappite sopra il mio bor-sone nero, pieno di impronte di stelle incomplete lasciate dalle mie scarpe impolverate. Bella idea mettere i jeans! E in più non ho più niente da leg-gere e non ho più niente da fare. Leggo e rileggo la mail che il mio amico Edoardo mi ha inviato il 14 Giugno. La so a memoria, continuo a visualiz-zarmela anche sulle nuvole e sui prati che mi scorrono davanti:

«Ciao Luca,ti aspettiamo in sede Lunedì 16 Giugno nel pomeriggio.

Così conoscerai mio padre e vedrai l’azienda. Fa buon viaggio.Avanti sempre! Non arrendersi mai!

Edo»

“Avanti sempre! Non arrendersi mai!” detto da un fighetto come Edoardo mi fa sempre sorridere. È il motto del mio reggimento. Truppa d’élite sempre in prima linea quando c’è da sbalzare e dalla quale mi sono appena congedato.Edo, Edoardo l’ho conosciuto lì, prima che ci rimpatriassero, io, lui e i miei commilitoni, ed anche i suoi, per i casini che avevamo combinato. È raro che un’intera guarnigione venga rimandata a casa per cose di questo tipo. Credo sia addirittura la prima volta.Eravamo d’istanza in un microscopico paesino centro-africano dove dei po-veri cristi non facevano altro che sniffare colla e spararsi dietro senza nem-meno sapere il motivo, credo.Noi un motivo invece ce l’avevamo. Noi eravamo lì infatti per risolvere il fenomeno dei così detti “diamanti insanguinati”, quelli cioè che venivano e vengono estratti col sangue degli schiavi. Ma non solo. Sono anche depre-dati dai guerriglieri, con un pesante numero di vittime tra i minatori e ven-duti per poter acquistare nuovi armamenti.O meglio il mio paese era lì per i diamanti. Io ero lì per i soldi. Molti soldi.

Prima di giungere a destinazione, il carro bestiame su cui sono sopra, passa attraverso le palazzine proletarie della periferia e molto prima della stazione rallenta, perché la gente le veda meglio e non si perda nessun granello di polvere sottile, nessuna parabola, nessun triciclo, nessuna antenna, nessu-na coperta stesa, nessun terrazzo.L’arrivo genera una lieve euforia tra i passeggeri, che finalmente possono scendere e andare ognuno dai loro impegni.

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Metto via la mia email con l’indirizzo e vado a cercarmi un taxi, assieme a centinaia di persone che con me fuggono dai binari.Non sono di buon umore, ma è una bella mattinata tutto sommato e devo essere ottimista.

Anche il tassista è ottimista. Lo capisco dalle uniche quattro parole che spic-cica lungo la strada«Si boccheggia anche oggi... il clima non da più tregua agli esseri umani. La terra vuole bruciarli!»«È l’effetto serra» dico io,«ah io non so un cazzo, so solo che ho caldo!» e scatarra un altra volta fuori dal finestrino.Non che me ne importi più di tanto, per me può farlo anche su un sedile. Ho solo paura che l’aria me lo faccia arrivare dritto in bocca.

Con ancora l’indirizzo in mano attendo in piedi dentro l’atrio della fab-brica di Edoardo.La mancata velina col microfono ad archetto che sta dietro il banco mi parla «I signori Gherardi mi hanno detto che devi attendere qui.»«Grazie» dico io«Uhm» dice lei annoiata sollevando l’ossuta spalla che sporge da sotto la canottiera finto punk di cotone.Immagino che per le persone fiche o facoltose che entrano da quella porta scorrevole farà anche degli stacchetti per intrattenerli, ma non è il mio caso grazie a dio. Degli stacchetti parlo.Certa gente ucciderebbe per inaugurare un centro commerciale.La hall è molto bella, ampia e luminosa grazie alle grandi vetrate a spec-chio. Non è propriamente accogliente con le sue poltrone in vera pelle e i tavolini di acciaio e cristallo, anzi mette un po’ in soggezione il visitatore, ma forse è proprio questa la sua funzione.Ci sono poi anche delle grandi piante verdi degne di una serra tropicale, riviste varie e un maxischermo appeso al muro dove passa un video indu-striale dell’azienda.L’audio è molto alto, ma ugualmente sento le presse, che con la loro poten-za da quattrocento tonnellate, piegano incessantemente lamine di acciaio come se fossero fogli di carta. Entra dritto, esce piegato.

Da lontano giungono tre uomini in eleganti abiti scuri di ottima fattura. In-dossano camice e scarpe costose, portano orologi da collezione e belle cra-vatte scelte con gusto.Il primo, ed il più giovane lo conosco. È Edoardo Gherardi. Ha ventinove anni, è alto e magro e i lineamenti del viso sono duri e spigolosi, ma ha un bel sorriso. È simpatico, non lo ritengo uno dei migliori che ho conosciuto

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nella mia vita, ma c’è di peggio. Sempre abbronzato, con i capelli scuri e corti, ma usa troppo gel forse. Non lo ritengo nemmeno un amico a dirla tutta. È stato un buon collega, ora è uno che mi offre un lavoro. Domani sarà il mio capo.Non so se lui pensi all’inverso le mie stesse cose, di sicuro però mi accoglie calorosamente, prima stringendomi forte la mano e poi abbracciandomi en-tusiasta per il mio arrivo.Quelli di voi con più memoria, se lo ricorderanno che faceva proprio così in una vecchia pubblicità di uno di quegli insulsi aperitivi alla moda che durano il tempo di un paio di mesi. Poi ha fatto l’ennesima cazzata e i suoi l’hanno spedito in Accademia. Non sarà né il primo né l’ultimo.«Ciao vecchio! ti trovo in gran forma! com’è stato il viaggio?» esclama stac-cando le parole,«Bene grazie e tu come stai?» rispondo io più dimesso.«Alla grande vecchio mio!» conclude lui.Gli altri due rimangono invece molto formali.«Piacere Dino Gherardi, il padre.»«Piacere Luca Olivieri»«Carlo Benetti amministratore delegato, salve.»«Luca Olivieri, piacere.»Dino Gherardi, il papà di Edoardo, è proprietario e presidente dell’azienda di famiglia. Più o meno avrà sui sessantacinque anni. Abbronzato anche lui, ha gli occhi astuti e un po’ di pancia, ma si mantiene bene. Ha ancora tut-ti i suoi capelli brizzolati e li tiene vanitosamente un po’ lunghi e pettinati all’indietro. Mi ispira potere. Il terzo uomo, Carlo Benetti, l’amministratore delegato è anch’egli sui ses-santa. È più magro e leggermente più alto di Dino. Ha il viso pallido e calza occhiali da vista con lenti sottili che gli ingrandiscono i piccoli occhi a fessu-ra. Ha l’aspetto da saputello e da giovane deve essere stato un secchione. Si vede lontano un chilometro che è antipatico.

Come quando si va in gita partiamo per la visita turistica della fabbrica. Pri-ma il corridoio degli uffici.Sento nella testa la voce off della speaker del video all’ingresso, elencare le eccezionali dotazioni dell’azienda in cui andrò a lavorare«...la DG Press è dotata di un moderno ufficio tecnico, di un affidabile uffi-cio amministrativo, di un dinamico ufficio marketing, di un brillante ufficio comunicazione, di un capace ufficio commerciale, di un organizzato ufficio estero, di un attento ufficio progettazione, di spaziosi bagni.»Le immagini dei locali elencati mi si parano davanti in 3D susseguendosi rapidamente nella mia testa.Al loro interno gli impiegati sono sempre laboriosi e felici di essere lì alla DG Press.

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Così come giù,«E questi sono i reparti produttivi» mi dice l’amico Edoardo,confermato subito anche dalla speaker: «... comprensivi di un evoluto re-parto officina, di un sicuro reparto verniciatura, di un organizzato reparto assemblaggio, di un abile reparto quadri elettrici, di un poderoso reparto presse, di uno sperimentato reparto torni e frese...»Dopo il tour entriamo nell’ufficio di Dino Gherardi.Benetti saluta dicendo che «Adesso devo tornare al lavoro perché ho già perso troppo tempo e, come si suol dire qui da noi, bisogna produrre!». «Arrivederci» dico io anche se obbiettivamente spererei nell’esatto contra-rio.

Dino, sedendosi dietro la sua scrivania, mi fa un discorsetto aiutandosi con le sue mani fresche di manicure.«Edoardo mi ha parlato molto bene di te. Sono contento che tu sia venuto, la DG Press è sempre alla ricerca di giovani seri e preparati, ma è sempre più difficile trovarli. Pensano solo ai soldi! Non vogliono nemmeno sapere cosa devono fare! La prima cosa che ti chiedono è (pausa) “quanto pren-do?!” (pausa). La DG Press è da anni leader nel settore degli stampati e dei laminati e lo è diventata perché (pausa) IO (pausa) ho capito che ci voglio-no persone competenti in ogni ruolo, non solo in quelli chiave. Per questo assumo solo periti meccanici, come te, anche per il tornio (pausa). Se una persona merita (pausa) poi farà carriera (pausa). Questo è garantito (pau-sa). Se sei un ragazzo sveglio, qui dentro farai strada (pausa). E lo stipen-dio salirà di conseguenza (pausa lunga).»Lo guardo e Dino continua:«Lo stipendio all’inizio è di mille euro, più che da contratto nazionale... e poi dalle altre parti si prende anche meno. Qui no, io sono uno serio. Contributi, ferie, eccetera. Tutto. Io ho capito che se uno è contento lavora meglio.» Parole sante. A parte il resto parole sante.Squilla il telefono e Dino risponde«Sì!»Dall’altro capo la segretaria dice: «C’è il dottor Facci sulla uno»«me lo passi». Con un gesto sta per congedarci «Dottor Facci! Come sta? Bene! bene rimanga un attimo in attesa» ma poi quando ormai io e suo fi-glio siamo sulla porta ci richiama con un ennesimo movimento della mano «Tu e Edoardo siete due eroi, che avete combattuto per la libertà di un pa-ese, anzi di due, anche del nostro e non vi dovete preoccupare di quattro stronzi di giornalisti. Tutto si sistemerà, la guerra è la guerra, che ci vadano loro sennò la prossima volta.»«Grazie. Lo so.» dico io mentre Gherardi vecchio riprende la telefonata «Ec-comi dottor Facci, allora dove eravamo rimasti l’ultima volta?»

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Fuori dall’ufficio del padre, Edoardo si sincera che io abbia capito bene dove si trova l’appartamento in cui andrò a stare.«Allora l’indirizzo ce l’hai. Prendi il 25 e scendi in via Taldei. È il palazzo verde di fronte alla fermata. Il campanello è il 22, int. 4. Sul campanello c’è scritto Brini. In ogni caso ti lascio le chiavi perché Alessia non è in casa a quest’ora. Ti vedo strano! Non mi segui?!»«No no scusa è che sono stanco» faccio io.Edoardo continua «Eh ti capisco... viaggio in treno... passeggiata azienda-le... mio padre!»«No figurati, sono solo stanco... è comodo l’autobus davanti casa comun-que...»«Eh sì vedrai. È in un posto strategico quel condominio. Vabbè, come ti ho già detto, la tua coinquilina di nome fa Alessia, una ragazza tranquilla, non ci saranno problemi... ah c’è il gatto... sei allergico ai gatti, ti danno a noia?» mi chiede.«No non c’è problema per il gatto... me l’hai già chiesto anche al telefono. Più e più volte!»Edoardo: «Bene allora, non so, vuoi un caffè, qualcos’altro?»,ma declino «No grazie andrei subito a casa, a farmi una doccia e a svuotare la borsa. C’è la doccia vero?!»Battuta vecchia e abusata ma che ci fa ridere, più per stemperare la tensio-ne che altro, ed Edoardo dice «Sì condominiale!»«Devo uscire da qui» penso, avrò tempo di rimanerci più che abbastanza in futuro.

Esco da quel posto che saranno le 19:00 su per giù ed il sole è quasi al tra-monto ma è ancora forte.La città sembra deserta. Le poche persone fuori sono ridotte a magre sil-houette scure in procinto di prendere fuoco per autocombustione e sparire in pochi istanti (nda audio). I palazzi sono quinte di teatri metafisici buoni solo per dare volume alla sce-na e costruire la profondità di campo.Prospettiva centrale, generata da un unico punto di fuga appoggiato sulla linea di orizzonte che attrae ossessivamente a se qualsiasi cosa, come un buco nero.Sta nascosto dietro la fontana della rotatoria, lontana e riconoscibile solo per l’alto zampillo che sembra essere l’unica cosa viva.Sembra piombo fuso.Puff! se n’è bruciato un altro.

A casa conosco Alessia. La aiuto ad apparecchiare per la cena in attesa che arrivi anche Edoardo.Lei è molto bella e ben fatta come si dice. Dimostra ventisette o ventotto

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anni più o meno. Ha grandi occhi verdi. La sua carnagione è chiara e i capelli neri sono molto lunghi.Possiede un sorriso amichevole e gentile, ma contemporaneamente gli occhi tradiscono una profonda tristezza che si spiega solamente con le delusioni della vita, i sogni infranti e la certezza che alcune cose non le realizzerai mai, un po’ per colpa tua e un po’ per colpa degli altri. È un peccato che i suoi occhi non vedranno mai il suo sorriso, ma questa è una delle ironie della vita. Gli specchi in questo caso servono a poco.In questi mesi che ho passato con lei ho pensato che soffrisse di solitudine, ma per starle accanto bisogna avere la schiena larga perché, ragazzi, se lei deve dire una cosa la dice senza fregarsene delle conseguenze e dell’edu-cazione.Non è cattiva ma stanca e comunque combinare casini più di tanto non le pesa o almeno non lo da a vedere.Mi sa che sia dovuto ad una insana ed innata follia, che sta solo in certe persone, che le fa rimanere bambini a vita, e che fa credere che comunque domani sarà meglio di oggi. Almeno questa è l’idea che mi sono fatto, ma io sono di parte.

Comunque tanto è figa lei, tanto l’appartamento è schifoso.Brutto, piccolo, sporco e le stoviglie in tavola sono una diversa dall’altra. Si scoppia dal caldo ed il grande ventilatore perennemente acceso non serve a un cazzo.«Si può definirlo un appartamento di studenti, anche se qui non studia più nessuno -sono le prime parole che mi dice accogliendomi- ma l’affitto è buono e in un attimo sei in centro!»«L’affitto mi sembra un po’ caro» le rispondo guardando il suo soriano grigio fare l’equilibrista sul bordo del divano.«Ma no fidati, c’è gente che per un posto letto in un appartamento di ses-santa metri quadri paga 450/500 euro come ridere! Come ridere... che poi da ridere non è che ci sia molto... rideranno i proprietari... credo.»Sarà così, ma solo l’idea di finire fuori in mezzo a quella giungla di cemento, asfalto e merda, con l’aria bollente e putrida, abitata da zombi cotti, solo per cercarmi un posto nuovo dove stare, non mi alletta proprio per niente e decido di crederle.Alessia tenta di svitare il tappo di una bottiglia d’acqua, ma è impacciata perché ha una mano fasciata. Mi avvicino allungando la mano per prenderle la bottiglia«Lascia, faccio io. Di la verità... hai tentato di suicidarti guardandoti attor-no?!» le chiedo ironicamente«Ah ah divertente! La verità te l’ho già detta... ecco forse non ti ho detto che quando sono scivolata... e ho rotto il vetro... della porta... ero un po’ ubriaca! Ferite di guerra!» e fa una specie di saluto militare.

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La ragazza cambia discorso «E tu hai riportato ferite in guerra?»«No, nessuna» rispondo,«Meglio così» conclude lei guardandomi mentre le verso da bere.Era ovvio che lei sapeva più cose di me che io di lei.Cambio argomento: «Come si chiama il gatto?» le chiedo«Marzapane» risponde lei.«È bello grande -noto- è un gatto da guardia.»Alessia «Ah è addestratissimo, ha fatto una scuola... -non trova la parola mentre muove e dita nervosamente- apposta!»«Vedo sì... bello impostato... fiero... soprattutto.»Lei, che non credo abbia tutte le rotelle a posto, mi bisbiglia«A te piacciono i cani!»e io «cosa? non ho capito...»«Tu preferisci i cani» ripete leie io, sempre bisbigliando «Io preferisco i cani? mi hai chiesto se preferisco i cani? Sì, preferisco i cani ma i gatti non mi danno fastidio.»«Shhh che si offende! è sensibile! No amore nessuno preferisce i cani qui... piccolino»e fa per prenderlo ma il gatto scappa«Bastardo, non si fa mai prendere!» Alessia ci resta un po’ male,porta le mani sui fianchi e ciondola un istante come se fosse una marionet-ta.Poi si morde il labbro inferiore come fa sempre, mi guarda, allarga le braccia e poi guarda sconsolata verso l’animale andato chissà dove.Alla fine bisbigliando ancora mi dice «Anch’io preferisco i cani ma qui non c’è posto e sicché...»«Oh Marzapane hai sentito? Anche lei preferisce i cani! Hai chiuso qui.» dico io a voce alta.«Dai! Zitto!» fa lei ridendo.Ha anche un bel culo. Dove devo firmare per regolarizzare la mia posizione?

Dopo una cena, che mi ha fatto rimpiangere quelle sotto l’esercito, io ed Edoardo siamo addetti alla corvée cucina, ovvero sparecchiamo e laviamo i piatti, mentre Alessia seduta si fuma beatamente una canna tenendo il suo gatto sulle ginocchia«Che spettacolo! due uomini ai miei piedi, che carini -sarcastica- vi dovrei filmare! E comunque Luca sappi che qui l’andazzo è questo: Alessia coman-da e Luca esegue...»«Potrebbe anche piacermi!» dico io guardando Edoardo che inizia a ridere seguito anche da noi.Alessia «Zitti! Facciamo una prova. Tu Edoardo alla lavatrice, ma prima massaggiami la schiena!»«Ma sto sparecchiando...» dice piagnucolando

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«Ah! Allora non ci siamo capiti! Vuoi essere punito?» dice Alessia«No, no la prego milady! Non lo farò più!» Lui molla quello che sta facendo, prende la canna dalle mani di lei, se la infila in bocca, ed inizia a massag-giarle le spalle.«Piano!» dice lei lamentandosi.Dal riflesso sulla finestra, vedo che Alessia mette una mano sopra ad una di Edoardo e si volta per guardarlo in faccia e per lanciargli un bacio.Bacio che viene dolcemente ricambiato dal massaggiatore.Ok se qualcuno avesse avuto dei dubbi...

Alle 6:30 del giorno dopo suona la sveglia per il mio primo giorno di lavoro. Mi alzo e prendo i jeans che avevo preparato sulla sedia vicino allo specchio a figura.Mi infilo una t-shirt nera ripiegata sulla scrivania. Me la tiro giù sulla pancia, che nonostante non abbia ancora digerito la pasta e il vino di merda di ieri sera è miracolosamente piatta. Sopra ci infilo una maglia leggera bicolore a maniche lunghe. Poi scarpe e cintura. Mi allaccio le scarpe, chiudo la cin-tura.Mezz’ora in più di sonno avrebbe sicuramente giovato a me e anche alla produttività della ditta.Ancora mezzo addormentato cammino fuori dalla stanza, lungo il corridoio per raggiungere il bagno.Prima piscio e poi mi lavo abbondantemente la faccia. Esco dal bagno e ri-percorro la strada al contrario per andare in cucina dove dal frigo estraggo un cartone del latte.

Negli spogliatoi della ditta mi tolgo i pantaloni e li appendo dentro il mio armadietto, a sinistra.Mi tolgo la maglia con le maniche lunghe che già mi sta ammazzando dal caldo e la sistemo piegata ai piedi dei pantaloni, sempre a sinistra.La roba civile va a sinistra, la roba militare va a destra. Non riesco a disabi-tuarmi. Tutta la parte destra dell’ultimo periodo della mia vita in un attimo si è dissolta ed ha lasciato un buco enorme in me.Penso ad altro.Un armadietto giallo, piccolo, di truciolato pressato infilato tra altri due ar-madietti come lui, in una lunga fila di armadietti gialli sopra un’altra fila di armadietti gialli.Esco, timbro il cartellino e vado al mio posto di lavoro indossando la tuta blu.Fin’ora ho rispettato tutte le indicazioni di ieri.Cammino guardandomi attorno, tra le macchine, per raggiungere la mia postazione di lavoro. Alcuni operai mi salutano, la maggior parte no, ma li capisco e non mi offendo vista l’ora.

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C’è silenzio, uno strano silenzio, un silenzio che dura poco perché esplode fragorosamente la sirena.Potentissima e quando termina del silenzio di prima ho un ricordo vago. Il capannone in pochi secondi sembra già a pieno ritmo produttivo con le presse che schiacciano lamine d’acciaio, le trance che tagliano tubi di me-tallo, e fabbri che avvolti nelle scintille saldano lamiere tra loro. Rimango stupefatto della trasformazione.Per fortuna la mia zona è relativamente tranquilla. Logicamente i rumori della fabbrica si sentono, ma odo anche la musica che esce da una radio.

Aldo, un operaio in vista di pensione, sarà il mio mentore. Io il suo al-lievo. Mi guarda già pensando «Questo pensa di saperne più di me»,io invece non penso proprio nulla: «Sono convinto che in un’ora imparerò quello che lui ha imparato in trent’anni e per il resto mi arrangerò.»Direi che come inizio è nella norma. Certo con Alessia è stato meglio, ma volete mettere?Questo ometto piccolo, rotondo e calvo è in procinto di smettere di lavorare dopo una vita piatta e inutile. Solo perché sono in quello che lui ritiene il suo territorio, pensa erroneamente di poter instaurare un rapporto di anzianità con me, col giovane, prevaricandomi.«Che miserabile, da me non avrai nessuna soddisfazione. Preparati vec-chio!» gli comunico con gli occhi.Aldo rappresenta il mio connazionale medio. Sfruttato da tutti e da tutto, deriso per una vita intera e che pensa di rifarsi sul prossimo solo perché più “piccolo ed indifeso”. «Vieni vieni pure avanti» penso.I colpi che provengono dalle presse mi disturbano.Mi spiega che «Qui il lavoro è molto semplice. Il tornio a controllo numerico fa tutto da solo, devi solamente caricare il materiale, lanciare il programma e aspettare che finisca.»Lo osservo e registro ogni punto sulla macchina che l’ometto mi indica. Lui, fiero di se stesso, mi regala anche delle perle«L’azienda è bella, si lavora bene e se non sei un rompicoglioni nessuno ti dà fastidio. Io sono qui da trent’anni anni e non sono venuto al lavoro solo tre volte. Anche quando sono nati i miei figli io ero qui... a lavorare!»Le favole nelle audiocassette da bambino non mi facevano venire tutto ‘sto sonno, comunque «Bravo!» mi verrebbe da dirgli prima di andarmene, ma non posso perché ho preso un impegno col mio “amico” Edo.«Non farti mai vedere con le mani in tasca, il trucco è non farsi mai vedere ciondolare o con le braccia conserte. Se non hai niente da fare pulisci, fai vedere che hai voglia di fare… e guardati le spalle da Gianni Bertazzo, che è il capo reparto e da Giulio Guglielmi che è una spia e un lecca-culo!»«Ottimo» dico io sorridendo.

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La mattina mi è volata. È sempre così i primi giorni, quindi non mi faccio grandi illusioni per il futuro.A mezzogiorno pranzo in mensa da solo. Sono un po’ triste credo. O ad ogni modo non sono felice. Penso soltanto ad Alessia che a casa si deve arran-giare con la sua mano fasciata. Mangerà yogurt e frutta penso. Anche Ca-pitan Uncino potrebbe farcela, penso. Ma avevo detto che ero lì anche per aiutarla e l’ho già paccata.Sicuramente però non è questo che mi deprime, penso.Tengo la testa bassa fissando lo spezzatino dentro la vaschetta di plastica bianca. Non ho voglia di fraternizzare oggi, lo farò domani. Ho molti ar-gomenti a disposizione: tempo, calcio mercato, figa,... domani li stordirò. «Buono sto spezzatino, domani se c’è lo riprendo» penso e sollevo il capo per guardare le scelte dei miei nuovi colleghi. Spezzatino, bistecca, bresa-ola rucola e grana, bistecca, bistecca, bistecca. Domani non so se prenderò ancora lo spezzatino.

Più tardi Edoardo, in giacca e cravatta, passa in rassegna i reparti e si ferma a salutarmi«Lavoratore prrr. Allora come ti trovi?»«Bene» rispondo.«Ottimo sono contento. Starò fuori città per qualche giorno. Mi raccomando con Alessia, se puoi aiutarla fino a che non le tolgono i punti...»«Non ti preoccupare» rispondo da vero amico.«Grazie. Ci vediamo.» conclude Edoardo andandosene e dicendo, senza voltarsi, «Sono in debito.»Suona la sirena e gli operai smettono di lavorare.

Contrariamente a quanto pensassi all’inizio, dalla fabbrica all’appartamento c’è un bel pezzo di strada da fare. Sono seduto in autobus e guardo fuori dal vetro la città e tutto il suo casino.Guardo indisturbato i negozi, il via vai dagli uffici, le strade, le automobili, le moto, la gente a piedi, la gente in bici, la gente al telefono, la gente felice, la gente assente, la gente ricca, la gente col cane.Tutto mi è nuovo eppure mi sembra di rivedere ovunque miei vecchi com-militoni, persino nei manifesti pubblicitari.Chissà dove saranno ora. E chissà cosa staranno facendo.

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SCENA 35. EST. ALTRA VIA TRAFFICATA DI CITTÀ. GIORNO.Una DONNA IN CARRIERA sui trent’anni in tailleur, tiene in braccio un BAM-BINO di un paio d’anni d’età. Anche i loro volti sono resi irriconoscibili elet-tronicamente. Lungo il fianco, nella mano libera, tiene una valigetta o una borsa per PC portatile. Lei dice

DONNA IN CARRIERA:Mi chiamo Patrizia (cognome censurato con un beep) e ho il fuoco dentro!

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Alle 6:30 del mattino la sveglia suona. Nella stanza c’è già la luce en-trata dalla finestra aperta per far circolare l’aria durante la notte.Le lenzuola sono fradice, il cuscino è per terra. Fuori la vita lentamente ri-prende. Sono già stanco prima di cominciare e i The Leggins mi cantano che “Money isn’t everything”. Ma allora che cazzo vado a fare in fabbrica, per passare il tempo?!Mi alzo dal letto e guardo fuori dalla finestra del mio appartamento gli altri palazzoni popolari simili a quello in cui abito.Penso che come Daitarn 3 la luce del sole mi potrebbe ricaricare, invece mi piega gli occhi e mi costringe a guardare in basso sulla strada, che veloce-mente si va riempiendo di miei simili.Il rumore aumenta e da un brusio impercettibile si trasforma in un boato che lascia il posto alla sirena della fabbrica.

Ogni operaio dacché era immobile davanti alla propria macchina, comincia a lavorare.Dalla mia cassetta di metallo rossa sopra il mio carrellino rosso, entrambi della Beta, prendo una grossa punta da trapano nuova.La ruoto guardando l’elica girare sotto i miei occhi. La immagino lentamente penetrarmi il cranio giusto dove il naso si attacca alla fronte. Lei lo farebbe, lei è una professionista, fa tutto quello che le si dice di fare senza fiatare, senza problemi.Questa punta diamantata costerà più di me e mastro Aldo con tutto il suo sapere messi insieme. Per forarmi la testa non avrebbe bisogno di niente, nemmeno del suo amato olio bianco latte di cui va ghiotta quando buca il metallo. Ma io non sono di metallo. Magari lo fossi.Sono solo idee stupide.Queste mazzate che tirano le presse mi distraggono e a qualche centimetro dalla mia faccia la punta si ferma e arretra rapidamente nel senso inverso.Mi guardo intorno e vedo gli altri operai lavorare. Allora anch’io apro lo sportello del mio tornio e guardo dentro se tutto è ok prima di innestare l’utensile che ho in mano.La musica proveniente dal banco vicino, dentro al vano prende una eco strana, simile a quei vecchi brani che si sentivano una volta col magnetofo-no. Lo trovo “ristorante”. Mi piace Fabri Fibra.

Salgo le scale del mio condominio velocemente a grandi falcate.Il palazzo è un vecchio ex hotel tenuto in cattive condizioni, ma con un certo fascino dato dai corridoi di moquette rossa e le finiture in finto oro sotto la

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polvere.La parte bassa dei muri, fino al corrimano è ricoperta con carta da parati di velluto rosso con striature d’oro sbiadite, la parte alta è panna o avorio o molti anni prima era semplicemente bianca non so.Alcuni inquilini hanno sostituito le porte originali con porte blindate, altri le hanno mantenute. Non credo ci siano più dei turni di pulizia da quando se n’è andata l’ultima cameriera. È il paradiso degli acari qui.Prevalentemente vi abitano universitari e giovani lavoratori precari che spes-so organizzano delle feste tra loro, dove l’alcol scorre a fiumi e la droga non manca mai. Professionisti viziosi con i quali penso mi troverò benissimo.Giunto al mio piano svolto a sinistra e cammino a passo sostenuto e col viso sereno verso il mio appartamento. Sono contento di essere a casa.Conto gli ultimi metri battendomi sul quadricipite destro il quotidiano ar-rotolato che tengo in mano. Giunto sull‘uscio sto per aprire la porta con la chiave, ma mi sembra di essere osservato dallo spioncino della porta di fronte.Mi vorrei voltare ma so che se lo facessi darei soddisfazioni ad un’altra stu-pida paranoia. Resisto. Entro in casa e mi metto anch’io a guardare dallo spioncino in attesa che qualcuno, o qualcosa, esca dall’altra parte.Sono sicuro che dietro quella cazzo di porta c’è qualcuno, ma rimane chiusa e dopo qualche minuto desisto.

Alla sera Alessia in cucina mi dice che «È una fortuna che tu sia qui, sennò con un braccio solo non saprei proprio come fare... però spererei di non mangiare pasta al tonno anche per i prossimi giorni. E così ti presto questo.» Si alza e prende un libro di ricette «È il mio libro di ricette preferi-to» (nda audio).«Ah te lo volevo giusto chiedere!»«Veramente!?»«Ma figurati! Andiamo non ce la posso fare!»«Oh sì invece, vedrai come ti divertirai!»«No che non mi divertirò, lo so già che non mi divertirò.»«Sì che ti divertirai.»Le dico «E me lo presti o devo farmi le fotocopie!?»,così Alessia sconsolata mette finalmente via il libro«Ho già capito... -mi punta il dito contro- guarda che gli uomini che sanno cucinare guadagnano un casino di punti!»«Ho altre qualità...» la informo.«Sì nascoste» ribatte lei.Poi mi chiede «Sai anche lavare e pettinare i capelli? Mi vergogno a chieder-lo sempre a Samra...»La fermo «Aspetta. Ti sembro uno esperto in taglio dei capelli!?»Lei mi si avvicina e passa una mano sul mio cortissimo cuoio capelluto di-

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cendo «Certo un taglio così sarebbe comodo...»ed io «Beh questo se vuoi te lo posso fare, prendo il rasoio!» e le metto le mani sui fianchi per scansarla ma lei irrigidisce le gambe e il bacino.Adesso che mi è vicina mi rendo conto che ha delle piccole, appena percet-tibili, occhiaie. Non gliele avevo mai viste prima perché non sono profonde. Forse le copre col trucco, forse non c’erano, forse fatica anche lei a dormire la notte.Alessia non si muove e fa la scema sfiorando la mia testa come se fosse una sfera di cristallo «Veeedo, veeedo, vedo delle nubi all’orizzonte! vedo grossi problemi, grandi preoccupazioni, prevedo sofferenze e privazioni, pochissi-me soddisfazioni,...»,«Ora prendo il rasoio! e ti toso!»«No no grazie, piuttosto mi faccio rasta» e si attorciglia i capelli attorno all’indice della mano sinistra, abbandonando la mia “sfera di cristallo”.Dopo qualche secondo guardandoci negli occhi lei mi dice«Sei il mio schiavo, ricordatelo!»Voi cosa avreste fatto nella mia situazione? L’avreste spinta via mollandole i fianchi che ancora tenevate stretti in mezzo alle vostre mani, a contatto con la sua pancia liscia che le vostre dita toccavano, grazie ad una t-shirt corta dicendole «Ma va!»?Esatto! Perché io sono il coinquilino dell’anno ed un amico, non uno che si fotte la donna del capo.Se pensate che io sia un coglione vi do ragione al cento per cento... e «Co-munque il tonno è finito e se non si va a fare la spesa in ogni caso il menù sarà diverso» le comunico ufficialmente.Alessia, col sarcasmo che poi imparerò ad apprezzare, mi dice abbassando la testa sconsolata:«Wow pizza surgelata! Non vedevo l’ora... -si ficca due lunghe dita in bocca e finge di vomitare, poi cambia tono- ...se andiamo a fare la spesa chiedia-mo a Fabio se gli serve qualcosa o se viene anche lui. Così lo conosci, è il nostro dirimpettaio.»Poi prende una scatola di legno e tenta di aprirla.«Che lavoro fai?» le chiedo«Io, attualmente nessuno.»«Come mai?»«Come mai?!... non ce n’è! Non ce n’è per nessuno. Prima di farmi male stavo lavorando presso un ufficio di commercialisti perché sotto il periodo delle dichiarazioni dei redditi hanno più bisogno, ma mi sono tagliata e mi hanno lasciata a casa.»«E cosa vorresti fare nella vita?»«Andarmene. Andarmene via da questo paese di mafiosi e sfruttatori. An-darmene e non tornare più. Trovare i soldi e la forza per andarmene, perché non c’è la faccio più a cambiare lavoro ogni due mesi e non avere mai un

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soldo.»«Che lavori hai fatto?»«Bah facevo giusto ieri il conto di tutti i lavori del piffero durante e dopo l’università, pagati o non pagati o pagati per finta. Vediamo... ricapitolando abbiamo... • Alessia barista,• Alessia cameriera,• Alessia promoter di: caffè, latte e yogurt, brioche e cazzatine varie,• Alessia hostess in fiera,• Alessia segretaria receptionist,• Alessia addetta alla gestione del credito,• Alessia analista Revenue Assurance,• Alessia somministratrice di (pallosissimi) test x indagini di mercato

(bleah, da sboccare),• ... Alessia “muraro”, eh sì so fare la malta e rasare i muri con lo stucco e devo dire con una certa soddi sfazione, Alessia idraulico, qui ammetto che sono alle prime armi, però so smontare i sifoni e montare i lavandini, quello ne è la prova -indicando verso il catino- Alessia “inseritrice” di dati, sì inserivo dati incomprensibili in un computer, poi Alessia infermiera in zone di guerri-glia, e Alessia stronza: lavoro trasversale, che non ho ancora trovato qual-cuno che mi paghi per farlo, ma dicono che mi riesca piuttosto bene. Ok di sicuro qualcosa sarà rimasto fuori e comunque il curriculum è destinato ad allungarsi causa bollette e cazzi vari.»Devo dire che se avessi potuto mettere il rewind non le avrei mai fatto questa domanda. Mi fa una pena che non vi dico. Rimango così, senza dire niente. Non sono uno bravo con le parole. Non sono rapido, magari mi ven-gono, ma dopo, perfino giorni dopo. Fate conto che sto facendo un’altra cosa e quando non servono più mi vengono le parole per quell’altra cosa là successa giorni o mesi prima. Avete capito cosa intendo. Allora ci resto male due volte. Poi sono anche timido come se non bastasse. Cazzo!Tornando a noi. Lo dice come se non fosse un suo problema o una cosa pas-sata o destinata a passare, ma soffriva e si percepiva che non vedeva luce in un futuro prossimo. Mentre lei è ancora intenta ad aprire la scatola, molto per la fasciatura e un po’ anche per il nervoso, si morde il labbro, mi sblocco e gliela porto via dalle mani lentamente. Una volta schiusa prendo tutto il necessario per una canna.Non riesco a non chiedermi una cosa. Perché una ragazza come lei, giova-ne, di cultura elevata, sicuramente post-universitaria, che studia le lingue straniere ed è predisposta umilmente a imparare perché nella vita tutto può servire, che non ha paura a sporcarsi le mani, che ha fatto tantissimi lavori per mantenersi agli studi e per uscire di casa prima della vecchiaia, soffra e

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sogni di andarsene all’estero?«Altri cinque giorni e poi mi sbendano. Mi spiace, come benvenuto non deve essere stato il massimo...»«Tranquilla, non mi pesa fare le canne. Perché non fai una linea di bambole? Alessia centralinista, Alessia magazziniere, Alessia camionista,...1»«Alessia bagascia sui viali... che palle non ne posso più di sta vita, prendes-si almeno soldi! Nemmeno quelli! Figli di Troia sfruttatori!»Malgrado la stanza non sia enorme, non manca certo lo spazio per muo-versi, ma stiamo vicini, io faccio finta di non accorgermene, lei sembra fare altrettanto. Ci spiamo a vicenda, cercando frasi da usare. Possibile che in dieci giorni abbiamo esaurito tutti gli argomenti di circostanza? Sono contento di essere con Alessia e, senza cattiveria, non mi dispiace totalmente che in questo momento lei sia triste o impaurita. Mi fa sentire più utile per lei e spero si apra di più. Di lei, della sua vita, della gente che frequenta, del suo passato, so poco o nulla.Le chiedo «Chi è Fabio?»«Sì... Fabio come ti dicevo... è il nostro dirimpettaio. Niente... è uno tran-quillo... che fa consegne con un furgone...»«Anche lui a progetto?»«No lui ha la partita IVA.»«Oggi mi sembrava che qualcuno mi spiasse da dietro la porta qui di fronte. Un’impressione forse...»«No no potrebbe darsi, ma non ti preoccupare è un ragazzo a posto… come tutto il vicinato. D’altronde se non sei tranquillo, in questo palazzo non ci puoi stare.»Incuriosito approfitto per chiederle un’altra cosa:«Stanotte ho sentito dei rumori, ed anche della musica, ma non ho capito da dove provenissero.»«Sì ti credo. Ma non voglio rovinarti la sorpresa... appena mi sarò ripresa faremo una festa, così ti presenterò i tuoi nuovi vicini e allora ti renderai conto meglio dove sei capitato» e sorride.«Interessante...» dico sbattendo la canna sul tavolo per pressarla un’ulti-ma volta prima di accenderla. Una specie di rito o un tic che dovrei perdere perché spesso le presso troppo e bisogna tirare come dei dannati.Fumare hashish e bere vino rosso, oltre che il nostro maggiore passatempo serale, è anche rimasto l’unico sonnifero funzionante da poter acquista-re senza ricetta. Prima di dormire però dovevo sapere assolutamente una cosa.In modo totalmente disinteressato le chiedo «Alla festa potrebbe venire anche Edoardo...»Lei, mezza cotta abbozza un «Ma… forse è meglio di no... non si trova molto bene con gli altri.»

1 Questa frase è desunta da uno scritto di Lisa Dalla Via ed inserito col consenso dell’autrice.

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Adesso o mai più «Tu invece ti trovi bene con lui. Non è vero?» «Sì abbastanza, mi piace se è quello che vuoi sapere.»Bene ora che lo so torniamo a parlare di altro«E perché non piace agli altri?»«Diciamo che non si trovano caratterialmente... economicamente... politi-camente?!»Mi fissa e mi sorride come di chi la sa più lunga di te.

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Le agenzie di lavoro interinale hanno invaso le città.Sono tantissime, c’è quella con la scritta bianca su sfondo rosso, quella in stampatello maiuscolo blu bordato di bianco, quella col tricolore, quella francese, quella...Le vetrine sono tutte uguali con gli stessi fogli bianchi formato A4 appesi in verticale, con le scrivanie per i colloqui ben esposte in vetrina, con la stessa clientela alla quale promettono le stesse cose. C’è sempre qualcuno con le gambe accavallate che dondola il piede rispondendo alle solite domande. Vengono su come i funghi. Dove esistevano bar, negozi di generi alimentari e sarte oggi ci sono le agenzie di lavoro interinale, perfettamente integrate col caos cittadino.Meno lavoro c’è, più agenzie spuntano. È il classico caso in cui la domanda genera l’offerta. È il mercato bellezza!

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Anche stanotte il caldo e l’afa sono insopportabili. Non riesco a dormi-re.Penserete come facessi nel continente nero se qui mi lamento. Di notte la temperatura scendeva a sedici, diciassette gradi centigradi, con punte an-che di quattordici. Là soffia l’Harmattan, un vento fresco che viene dall’o-ceano per spazzare apposta la calura. Un vento morbido, che però spesso si incazza sollevando un sacco di sabbia e polvere. La savana ne risente e anche per i bronchi e per i polmoni sono disastri. Soffia quasi sempre. Un-dici mesi su dodici.Come quand’ero là immagino rigogliosi prati verdi mossi da un insistente venticello. Io sono sdraiato a terra ai piedi di una vecchia quercia, che conto le mie pecore bianchissime brucare l’erba freschissima sotto un cielo azzur-rissimo.Non capisco però perché l’aria sulla mia schiena dura solo un secondo poi niente. Niente vento, niente erba, niente quercia secolare, niente cielo az-zurro. Per quanto mi sforzi la brezza non dura. Le pecore sono tre pidocchiosi zombi ammalati che urlano dalla fame. Le ammazzerei se non mi facessero così schifo. Le farei fuori a mani nude, a calci sullo stomaco così almeno, dopo, sfinito sverrei addormentato, ma ho paura di ammalarmi toccandole.Quante volte avrei fatto fuoco su quelle bestie se non ci fossero stati i bam-bini. Saranno ancora vivi quei bambini? E i loro animali?Non riesco a dormire. Devo calmarmi. Devo stare calmo, devo stare fermo, devo non muovermi, devo rilassarmi, devo non sudare, devo alzarmi.Sento dei suoni, degli accordi di chitarra, dei giri di basso forse. Qualunque cosa sia mi disturbano e mi alzo dal letto per mettere la testa fuori dalla finestra. Di certo i suoni non vengono da qui.Allora «Ci sarà la TV accesa» penso, sarà Alessia, spero stia fumando.Niente. Apro la porta d’entrata e scopro che il rumore viene dall’esterno. Allora torno in camera e metto i jeans, una t-shirt bianca e vago in infradito lungo il corridoio, barcollante dal sonno per vedere cosa sta succedendo. Sono disfatto, cammino come uno che è appena caduto dal secondo piano nel giardino del vicino. Cadendo di testa.Vicino all’ascensore mi fermo per mettermi a posto il collo, ma è proprio lì, vicino all’ascensore aperto che capisco che la musica viene dal basso. Ci entro e scendo. Destinazione sottosuolo.Esco nello scantinato e tra un garage e l’altro scopro che in fondo al par-cheggio sotterraneo una band sta provando. C’è un batterista, un chitar-rista, un bassista e naturalmente anche un cantante. Lo si riconosce facil-mente perché è l’unico che non sa suonare nessuno strumento e cazzeggia,

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guardandosi intorno con lo sguardo perso, sperando che nessuno gli chieda cosa stia facendo. L’apparenza -che si sa inganna- è però di uno carico e concentrato.La sala è ampia, poco illuminata (ma con una rilassante dominante verde per i miei occhi) e piuttosto sporca, ma è gratis e la corrente per gli ampli è evidentemente “offerta” dal condominio tramite lunghi cavi attaccati chissà dove.C’è anche un vecchio divano di pelle marrone consumata, svariate sedie, una diversa dall’altra, e un paio di tavolini rotondi fregati in qualche bar. Per terra è pieno di lattine vuote e mozziconi spenti. Bah.Quando mi avvicino i musicisti si fermano. Arrivato in prossimità alzo en-trambe le mani e dico «Vengo in pace, posso sedere?»Il cantante mi dice «Certo. Sei fortunato. Stasera è rimasto qualche posto libero.»«Allora prendo una sedia.»

A dire il vero l’unico posto occupato è sul divano dove è sdraiato un tipo di circa trentacinque anni in jeans e canottiera bianca a costine, che ac-cenna un saluto sollevando il viso. Tiene le gambe allungate e sovrapposte. Ha i capelli corti, corporatura robusta con un po’ di pancia, ma muscoloso, ha trentacinque anni, sempre con la barba di un paio di giorni da fare e gli occhi socchiusi di chi dorme poco. La carnagione è chiara come i suoi ca-pelli. Li porta corti e tenuti su con il gel. Ha una testa di lupo che ringhia tatuata all’interno del braccio sinistro... e non ride mai.«Ciao spione» penso, mentre mi tornano in mente le parole di Alessia, quando alcune sere fa me lo descrisse, il nostro dirimpettaio, Fabio.Fabio è il leader del club di cui io entrerò di qui a breve a far parte.Figura carismatica, forte fisicamente e intellettualmente capace, ha mol-teplici interessi: politica ed economia, armi da fuoco, coltelli sportivi e da caccia e se ne intende di esplosivi, di informatica, di chimica e di congegni elettronici. Come fa sempre, e fa adesso con me, fissa e osserva qualsiasi cosa o persona entri nel suo campo visivo come se potesse essere un peri-colo potenziale.È diffidente, ombroso e silenzioso, parla poco ma quando lo fa tutti lo ascol-tano e ne approvano le parole, anche se nella maggior parte dei casi sono discorsi incentrati sull’odio e sulla violenza, ma qui si costuma così.Circa un metro e novanta scarso di altezza, ha tatuaggi sulle braccia, sulla schiena, sulle spalle, sulle mani e sul collo.Vi potrei parlare ore di lui ma come una bomba che esplode senza preavviso entra Anto.

Anto, rasato, sui trentuno, trentadue anni forse. Di corporatura è alto e magro, con molti tatuaggi e porta un orecchino.

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Fisico tonico, non palestrato, ma definito in ogni singolo muscolo. Nervosis-simo, agitato, spavaldo, spaccone.Anto è tipo quelli che quando stanno seduti alla scrivania, non è il suo caso, muovono sempre i piedi, al bar battono sempre le dita sul tavolino, che quando parlano muovono eccessivamente le mani e contorcono la bocca in mille smorfie, ci siamo capiti.Visto da fuori sembra un cazzone provocatore, in realtà gioca a farlo per creare il caos ovunque arrivi e vedere l’effetto che fa. Parla sempre a voce troppo alta ed è insopportabile per il numero di cazzate che riesce a sparare in pochissimo tempo.Il suo hobby preferito è stonarsi e rompere i coglioni. Soprattutto ad Ales-sia.Ad ogni modo per darvi un’idea del tipo, si presenta a torso nudo, porta dei pantaloncini da calcio blu, delle infradito nere ed ha lo stesso tatuaggio di Fabio, oltre a molti altri. In trenta secondi ha vomitato tante di quelle be-stemmie da disintegrare il record di “Platoon” che resisteva da una vita e che nemmeno Tarantino è riuscito a scalfire.Più o meno, tolto il superfluo la frase è questa:«Quelle merde di cingalesi mi hanno dissanguato per sta cazzo di birra! Un altra bottiglia e pretendevano che gli sborrassi in uno di quei bicchierini dove bevono il loro piscio caldo! Fuori i soldi subito o non bevete un cazzo! Vaffanculo! E tu chi cazzo sei?»«Mi chiamo Luca e sto al 22. Sono nuovo.»«Ah bravo minchione non sai dove sei finito! E come ti trovi? Male? Io sono Anto, lui è Fabio, un frocione sta all’occhio, e quelle merde sono… degli in-capaci! Dei veri incompetenti! Ah ah ah.»Il cantante: «Dammi una birra mentecatto! -e facendo lo scemo- adesso ti faccio vedere io... rock’n’roll!»ma nessuno del gruppo parte perché nessuno se l’aspettava e tutti si infi-lano a ridere.Finiti i convenevoli di rito, Anto distribuisce le birre Pedavena che tiene nello scatolone «Toh... toh... toh...»e verso Fabio, riferendosi al cantante, dice «La puttana di sua madre non gli ha insegnato come si dice? Li pisciano fuori e non gli insegnano l’educa-zione! Ma dove andremo a finire!?»«Mi dai una birra per favore?… mentecattoooo!?» chiede il cantante.«Sì certo. Eccola. Ci voleva tanto?!» dice Anto scuotendola con forza prima di passargliela.«Mi fai pena! Te la bevi te adesso questa, coglione!»«Cambia mestiere che è meglio!»poi si volta e mi chiede: «E con Alessia ti trovi bene? Eh?»«Non c’è male» rispondo«Bella gnocca eh?! Tieni una birra riflettici!... -mi fa Anto studiandomi per

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cercare di capire che tipo sia il nuovo arrivato- e benvenuto allora! Cin cin.» «Salute.»Il gruppo inizia a suonare e la musica sovrasta le nostre voci, rimbombando in tutti i sotterranei del palazzo.Le raffiche di chitarra sembrano quelle di “Creep” dei Radiohead, ma non mi sembra una cover. Non me ne intendo io tanto di musica.Anche se non sapevo proprio cosa pensare ero tramortito. Se uno ti chiede se Alessia è figa, anche un omosessuale cieco saprebbe cosa rispondere, ma non ho avuto nemmeno il tempo di schiudere le labbra che lui si era già risposto da solo e cambiato discorso. Porca troia che tipo!

Alle 6:30 suona la sveglia. Mi alzo, mi vesto e cammino fra le stan-ze per raggiungere il bagno. Prima piscio poi mi lavo abbondantemente la faccia. Esco dal bagno per ripercorre la strada al contrario e vado in cucina dove dal frigo estraggo un cartone del latte aperto.Mi sforzo di ricordarmi di chiamarmi Luca Olivieri, ma credo sempre di più di essere un vagone che si muove in un binario di una piccola ferrovia di-menticata.Sono un vagone che sale in un traghetto che anticamente chiamavo auto-bus. Vado in fabbrica, mi cambio, quando suona la sirena sono al tornio, pranzo da solo, mi ricambio e prendo in direzione contraria il solito traghet-to/autobus che mi permette di osservare le persone e la città.Mi sembra sempre di vedere i miei commilitoni.Non sapete quante volte mi sono trattenuto dall’impulso di urlare o di sbrac-ciarmi per farmi riconoscere. Quante figure di merda mi sarei fatto confon-dendomi! Chissà se anche loro mi rivedono tra la gente.Nell’autobus per rientrare a casa lentamente torno me stesso.Doccia poi mi cambio per andare in palestra. T-shirt e bermuda militari sto per uscire, asciugamano sotto il braccio, incrocio la mia coinquilina sulla porta che invece sta entrando con un mucchio di libri sul Brasile.«Ciao, vai in ferie?»«Ciao. No studio il Português! Dove vai?» chiede lei soffiandosi via un ciuffo di capelli dagli occhi.«In palestra, di sopra.»«Ah… lo sai vero che non è esattamente una palestra… è più... una piccio-naia puzzolente...»«ma ci sono i pesi, giusto? e c’è una sbarra… almeno così mi ha detto Fa-bio.»«Sì ci sono i pesi e c’è la sbarra, c’è anche il virus del tetano se ti manca.» «Il tetano è un batterio e comunque sono vaccinato.»«Buon per te, ora scusa ma devo accOlturarmi. Io non sono come tU!»Mi verrebbe da prenderla per i piedi e scuoterla cinque minuti quando fa così, ma esco, ho un impegno e mi avvio lungo i corridoi.

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«Virus, batterio… sono fortunata! mi è capitato un sapientone! Imparerò un sacco di cose nuove. Ma vaffanculo!» le sento dire rimasta sola sulla soglia. «A proposito la mia mano sta bene!» mi urla saltando in corridoio e scuo-tendola senza più fasce.Sposto l’asciugamano dalla mano sinistra sopra la spalla destra così posso usare entrambe le dita medie per confermarle che ho capito. È la prima volta che farò qualcosa fuori da quel buco scuro, senza Alessia e con gente nuova. Sono un po’ emozionato, contento, ho bisogno di fare qualcosa di nuovo e non perderò nemmeno un secondo.

Arrivato nella “palestra” mi accorgo che comunque lei non aveva tutti i torti. Il sottotetto è buio ed illuminato da un paio di neon scarichi e una lampadina a basso consumo che viene giù dal soffitto.Ci sono molti pesi sparsi un po’ ovunque, qualche panca, la sbarra, due sacchi per boxare, un sacco veloce, un paio di tappetini luridi stesi sul pavi-mento e poi bastoni, manubri ma anche mazze da baseball e da hockey. Gli altri ragazzi che sono lì mi salutano con un cenno della testa e io ricambio.Sdraiato su una panca Fabio solleva un pesante bilanciere aiutato da An-drea.Anto invece è intento a sollevarsi alla sbarra con legato in vita un disco da 10kg.Più in là Pippo in mezzo a due panche fa dei piegamenti sui tricipiti tenendo in equilibrio sulle gambe due dischi da 20kg.Lo sforzo è pesante, ma le sue grosse braccia gli consentono di eseguire comunque bene l’esercizio. Nessuno di loro ha una tenuta prettamente da palestra, vestono più che altro abiti sportivi: bermuda, t-shirt bianche, canottiera…Pippo ha, ad esempio, una t-shirt smanicata grigia bucata sulla pancia e pantaloni neri e rossi da pallacanestro. Anche le scarpe sono da basket. Porta una fascetta bianca sulla fronte che gli tiene su i capelli ricci foltissimi. Ha la faccia simpatica e avrà venticinque anni.Andrea, di qualche anno più vecchio, indossa invece un paio di vecchi jeans al ginocchio scoloriti e una maglietta nera con le maniche rosse.Entrambi hanno la testa di lupo.Andrea dice «Questa è l’ultima, falla lentamente! Lentamente ho detto!» Terminata la serie Fabio si mette seduto e anche lui mi saluta«Oh il nuovo inquilino! Ti piace la palestra del condominio?»mentre Andrea va ad aiutare Pippo togliendogli i dischi dalle gambe.«Sì abbastanza, quanto costa l’abbonamento?!»«L’abbonamento è gratis, ma non ti fottere i pesi!»Pippo, apre il frighetto scalcagnato pieno di bottiglie di birra, acqua, ricosti-tuenti e borse per il ghiaccio.Mi chiede «Vuoi dei sali minerali prima di iniziare?»

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«No grazie, magari dopo. Grazie comunque» rispondo io. I muri sono lerci. C’è un cartellone di “Rocky I” strappato e scarabocchiato, un poster de “L’arancia meccanica”, uno schema fronte/retro dei muscoli del corpo umano, dei disegni su come eseguire correttamente lo stretching, un orologio a lancette e sparse in giro scritte come “pompa”, “ancora una”, “a.c.a.b.”, eccetera eccetera.Dallo stereo scassato esce della musica elettronica.Appoggio l’asciugamano su una panca inclinata. Mi siedo ed incastro i piedi, ma non sono comodo e mi tiro su col culo per posizionare meglio le gambe e comincio ad andare su e giù con il busto. La musica dei Bonde do Role mi aiuta e ci prendo gusto. Il tempo passa e cambio l’inclinazione della panca aumentandola e facendo altre serie. Poi la cambio ancora mentre gli altri continuano ad allenarsi coi pesi.

In fabbrica, il lurido Aldo, mio vecchio laido collega bastardo, dopo aver ricevuto una busta di soldi in nero dal nostro capo reparto Gianni Ber-tazzo, su di giri come un bambino di cinque anni la mattina di Natale, mi fa«Tu sei un perito! -ieri sera deve aver visto troppa TV, vista la pausa e la mossetta- E che cosa ci fa un perito al tornio?! dovresti essere in ufficio e invece sei qua con gli operai e prendi un cazzo. Quanto prendi?»«Non credo siano affari tuoi» gli rispondo guardandolo dritto negli occhi.Un sorrisetto idiota tira le labbra al vecchio che suda freddo e capendo di aver sbagliato tattica se ne va in fretta.Mi sto rincoglionendo! Subito non ho pensato che i politici e i sindacalisti hanno barattato la sua pensione con la mia vita. Fosse successo due mesi fa saresti in una pozza di sangue vecchio cane morto.

Di nuovo ma più veloce: 6:30 sveglia, mi alzo, mi vesto -maglie di-verse, pantaloni diversi, diversi colori per giorni uguali- e cammino fra le stanze per raggiungere il bagno. Prima piscio poi mi lavo abbondantemen-te la faccia. Esco dal bagno e ripercorro la strada al contrario per andare in cucina dove dal frigo estraggo un cartone del latte. Vado in fabbrica, mi cambio, quando suona la sirena sono al tornio, litigo con quel farabutto di Aldo, pranzo, mi ricambio (al rovescio come in “Fahrenheit 451” di François Truffaut) e prendo il solito autobus che mi permette di osservare le persone e la città.Odio questo posto di merda. Non me l’aspettavo così. Non che me lo aspet-tassi in qualche altro modo, ma sicuramente non così. Odio questa strada, odio questo autobus, odio questa gente, odio questa aria, odio questa puz-za, odio questo traffico, odio questa fabbrica. Io odio.Non riesco a soddisfarmi con nulla, mi riesce tutto faticoso ed inutile. Mi sembra di essere in quei giorni prima delle licenze o prima di un trasferi-

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mento dove non ti importa più niente di nulla, perché il bello arriverà dopo. Ma cazzo io non devo andare da nessuna parte. Che sensazione assurda! Devo solo aver pazienza, stare calmo e muovere le punte delle dita dei piedi dentro gli anfibi... dentro le scarpe. Contrarle e rilassarle. Contrarle e rilassarle. Vedo due corvi in un’aiuola in mezzo a dei bambini e scendo dall’autobus a vedere cosa fanno in città. Il posto è sporco da far schifo. Vengo assalito da un nugolo di bambini puzzolenti vestiti di stracci che mi chiedono spiccioli. Non voglio che mi tocchino e li allontano in malo modo. Vado verso i corvi ma uno dei bambini che ho allontanato per ripicca spaventa gli animali che volano via gracchiando.«Pensa ai bambini poveri -mi diceva mia madre- e adesso che sono qui che cosa devo pensare?» dico al nanetto.Lui ride e gli mancano tutti gli incisivi di sotto.

Alla sera in un appartamento, io e una raggiante Alessia siamo ad una festa.«Stasera finalmente un po’ di mondanità!» dice lei.«Grande» dico io«Un po’ più di verve ragazzo mio, ok?» dice lei ma questo è il massimo per me oggi.Anche qui lungo le strade bambini sporchi con lo sguardo presuntuoso o con gli occhi pieni di lacrime. Avevamo paura dei bambini. Durante un ra-strellamento una pattuglia è stata assaltata da un gruppetto di bambini con Kalashnikov e granate. Due giorni prima quei soldati avevano dato del riso a quegli stessi bambini. Una storia già vista.Nessuno più voleva distribuire il riso. Non volevamo più dar loro da mangia-re perché eravamo certi di ritrovarceli davanti il giorno dopo con un mitra in mano. Così si decise di sotterrarlo con le ruspe. Quello presente e tutto il riso che sarebbe arrivato. Da ora e per sempre.Non è la festa famosa che mi doveva organizzare, una volta guarita la mano, per il mio debutto in società. Quella è sparita dalla programmazione assieme ai fumi dell’alcol la mattina dopo che l’aveva promessa.Me ne sto in disparte ed osservo. Se l’alcol ed il fumo lo vorranno, lo spirito di Tony (Manero) entrerà nel mio corpo, sennò è lo stesso. Per me va bene anche così. Il posto è ampio, illuminato dalle luci soffuse delle abat-jour e con musica lounge e acid jazz. Ma forse D’&’B’.Ci sono molti giovani, belle ragazze, nessun fighetto e nemmeno punkab-bestia e puttane.Gente normale, studenti, operai, impiegati e lavoratori precari.Siamo vicini ad una scansia in legno fatta da qualche Nilsson o qualche Jo-hansson o qualche altro e sorseggiamo mojitos.Guardo i titoli sulle coste dei libri: “Delitto e castigo” di Fëdor Dostojevski,

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“La vita agra”, “Il lavoro culturale” e “L’integrazione” di Luciano Bianciardi, “Così parlò Zarathustra”, “Al di là del bene e del male”, “Genealogia della morale”, “L’anticristo” e “Il crepuscolo degli idoli” di Friedrich Nietzsche. “Ultime lettere di Jacopo Ortis” e raccolte di Ugo Foscolo. Scritti di Vittorio Alfieri e “I quindicimila passi” e “Il ponte” di Vitaliano Trevisan, “Viaggio al termine della notte” di Louis-Ferdinad Céline, “L’incendiario” di Aldo Palaz-zeschi, ma anche molto Philip K. Dick e… e non so... molti molti altri titoli.

Alessia mi chiede un «Come va?» che premette dell’altro.«Uhm bene» rispondo io disinteressato e penso che il padrone di casa non legge gialli. Decisamente.«Dovresti trovarti una ragazza...»«mi trovi depresso?!»«No, non ancora, ma non temere arriverà.»«Che cosa?»«La depressione.»«La depressione?!»«Sì, e la solitudine!»Sorrido prima di dire «Certo perché le rogne non vengono mai da sole!» «Scherza, scherza...»«Grazie ma sto bene. Di’ che hai paura di me quando dormi!»«No, ho paura che diventi come quelli» indicandomi un gruppo di cinque ceffi vicino alla porta che dà sull’altra stanza.Cinque sul tipo di quelli già conosciuti nel condominio per capirci.Non dico nulla, li osservo solamente.Alessia una-ne-pensa-cento-ne-fa dice«C’è una che ti piace... o una con cui vorresti andarci a letto?»«Scusa, ma che te ne frega a te?»Lei facendo la cretina «Dai sono la tua coinquilina! dovresti dirmele certe cose!»e io annuisco «Sì certo» e bevo.Rimane un po’ in attesa a fissarmi perplessa sgranando gli occhi, poi sbotta «Oh! Certo cosa? Che c’è una che ti piace? o che c’è una che ti faresti?» «Entrambe» le rispondo calmo.Lei non è calma «Entrambe! Che discorsi!... e sono qui? Oh ma ti devo tirar fuori le parole con una tenaglia?!»Non rispondo, a tutti piacciono questi giochetti, anche a voi.Guardo un’abat-jour che emana luce verde.«È quella?» fa lei travisando.«No non è quella» dico io, e vorrei ben vedere, è una lampada cazzo!Ma Alessia età-mentale-tredici-anni non molla «Eh? E chi è?»«Non è qui!» «Chi è? Dai dimmi chi è? È una che hai lasciato al tuo paesel-lo?!» Ecco!

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Non passa giorno che le dica che non vengo da una popolazione nomade cimbra, che si ciba di carne di nutria e che conosce solo tre o quattro suoni per comunicare.«Ma che cazzo dici?! Certo che...»«ah ho capito! è qua!»«Non hai capito un cazzo! Non hai capito un cazzo nemmeno ‘sta volta!»Lei fa finta di incazzarsi e prova a darmi una sberla «Dimmelo un’altra volta che non capisco un cazzo!»Indietreggio «Non c’è nessuna! dicevo così in generale» ma comunque una c’è. Solo che non posso dirglielo ancora.«Allora qui dentro vediamo chi mi farei... o chi mi piace.»Mi guardo in giro «Dunque vediamo, vediamo.»«Ah ora sì che ci capiamo, dai vediamo... vediamo... sono curiosa...» dice lei socchiudendo gli occhi.«Lei» dico indicando col mento una mora strafiga, in fila per prendere da bere e sollevo il bicchiere in direzione per mostragliela.Alessia «Sì carina, ma c’è di meglio»«no no cara mia tu sei di parte! credimi quella lì è veramente gnocca e ti assicuro che è di gran lunga la più figa qui dentro.»Alessia rimane zittita e perplessa «Tu di gnocca non ne capisci molto!»Sono attratto, e vorrei vedere voi, da un’altra ragazza che sta facendo una specie di lap dance (senza palo) davanti al suo ragazzo, che se la gusta ben bene seduto comodamente in poltrona «Lei è la seconda» e poi altre due che ballano e parlano lì vicino «Terza e quarta.»Continuo a guardarmi in giro, onestamente c’è l’imbarazzo della scelta, quando mi si para davanti Alessia che dice«E io? Io quanto sono?»«Tu sei sei -continuando a sondare l’ambiente- tu sei la ventitreeeesima! -passano due ragazze- no no mi dispiace sei la ventiseiesima.»Guarda un’altra ragazza «No purtroppo ti devo comunicare...»«ma come ti permetti, ma sei un cafone! Ora vado dalla mora, la superfi-gona, e ti presento!»«No!»«Oh sì! dico... che c’è un mio amico... che, scusi signorina ci sarebbe l’im-branato del mio coinquilino che vorrebbe tanto conoscerla, ma è che è moo-olto timido e -gridando- hu-hu-hu-hu...» si volta e a passo veloce va verso la mora.“Hu-hu-hu-hu” è il sesto fonema e si utilizza nella danza per l’accoppiamen-to tra eterosessuali al mio paesello, saltellando attorno alla femmina con la mano destra a far da cresta e l’altra nei coglioni.Non confondetevi con “uiii-uiii” che è il settimo e si usa invece per accoppia-menti omosessuali di cui la mia tribù, a detta di Alessia, è ghiotta.Se interessa si gira sempre in tondo ma una mano va appoggiata alla bocca,

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l’altra dietro nel culo. Sempre parole sue, anche se non nego che a qualche cena cose simili potrei anche averle viste.«Fermati Alessia! deficiente!» e la prendo con un braccio sotto il collo all’ul-timo secondo, proprio quando sta per richiamare l’attenzione della tipa.La mora si accorge di noi due coglioni e mi sorride. La saluto porto via Ales-sia, la quale rimane docile sotto il mio braccio mentre le dico«Hai visto si muove a rallentatore! Tu una cosa così non saresti in grado di farla! Aveva anche il vento tra i capelli!»«Era il ventilatore, pipparolo! ce l’ha anche la vecchia al bar dei tramezzini qua sotto... Balliamo?»«Ma sì» dico io.«Largo alla dea s-bendata!» urla lei muovendosi col pugno guarito in alto «Grande» dico io voltando la testa da un’altra parte prima di abbassarla. «Cosa?»«Niente.»Alessia è magra e ha le tette grosse.«Sei uno scherzo della natura» le dico,«Che? Cosa hai detto?»«Niente niente. Andiamo dea s-fasciata.»«Ah ah ah buona questa... dovresti andare in TV, faresti furore...là è pieno di deficienti col tuo senso dello humour.»«Sì ci penserò» le dico spingendola in avanti per una spalla. Lo spirito di Tony al secondo mojito, dopo un Cuba Libre, due birre, e non mi ricordo più... è entrato in me e mi guida tra gli invitati nel luogo che lui ritiene più giusto per esprimersi attraverso il mio corpo.Alessia mi precede tenendomi per la mano, ma Fabio ci blocca e schiaccian-do il polso ad Alessia ci stacca trascinandomi via.Alessia si arrabbia «Ahi! Ma che fai?»«Mi prendo il tuo coinquilino. Te lo riporto fra cinque minuti»«arrivo subito»«sì, ciao» mi dice sconsolata.

Entriamo in un’altra stanza.«Complimenti. Bell’appartamento» gli dico, perché in effetti lo è.«Grazie» risponde Fabio visibilmente provato.L’arredamento qui è più spartano, la stanza è adibita ad ufficio. Su un muro ci sono un mobile vetrina che contiene una collezione di coltelli e un mobile porta armi blindato. Ci sono un paio di altri scaffali che servono a tenere manuali di elettronica e chimica, enciclopedie e software per PC.Molti di quelli che si trovano lì sono ubriachi e girano cillum molto pesanti che la gente aspira a fatica.Andiamo verso il divano dove altri guardano foto di armi sul computer.Saluto sedendomi

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«Ciao»«Ciao»«Ciao» ricambiato.Stanno ascoltando Stefano che invece è in piedi.Sarà alto più o meno un metro e novanta. Capelli corti, mori e ben curati. Barba appena fatta, basette perfette, carnagione scura e molto abbronzata. Orologio costoso al polso sinistro, braccialetto d’oro bianco in quello destro, anelli alle dita. Porta pantaloni eleganti di lino e camicia blu scuro aperta tre bottoni sul collo. Sotto si intravvede un girocollo in acciaio.Ha anche una giacca lasciata appesa sulla sedia lì di fianco e mi chiedo se prima o poi se la metterà. Io già così sudo e sto male per l‘afa. Non c’è aria, c’è troppo fumo in questa sala. Stefano fa il rappresentante, non di questo prodotto anche se secondo me potrebbe:«…questa la conoscete già, è una Welter PPK israeliana calibro 22. Pesa 560 grammi e la canna è lunga 83 millimetri. Il caricatore tiene sette cartucce. Viene da un lotto dismesso dal Mossad e costa 390 euro, è messa bene…»Arriva un cd con della coca e una banconota da 5 euro arrotolata. Fabio tira una riga e poi mi dice«La distanza tra la classe politica e gli elettori ha ormai raggiunto livelli inammissibili.Siamo tornati al medioevo con l’aristocrazia al potere ed il popolo a mante-nerla.Una classe di privilegiati nutrita da precari, da gente con il conto in banca vuoto.Questi si permettono auto blu, macchine da centomila euro, con l’autista che viaggia sulle corsie preferenziali per portargli la spesa -aspira forte con le narici e deglutisce il grumo bianco- per noi invece vecchie utilitarie super tassate perché inquinanti.Loro prendono ventimila euro al mese senza fare un cazzo, io milledue la-vorando dieci/undici se va bene.Più siamo poveri ed indebitati più loro hanno pretese.Non abbiamo un re da mantenere, ne abbiamo seicento, anzi di più.È ora di finirla. È ora di finirla con le loro richieste del cazzo, questa vacca non ha più niente da mungere. Dobbiamo dire basta!Dobbiamo debellarli! Dobbiamo ribellarci e spacciarli.Loro e i loro portaborse paraculi ipocriti e ladri.»Lo ascolto con attenzione, anche se non posso abbandonare lo sguardo dal cd con la bamba e notare che non è l’unico nella stanza. Non sono stupito. La droga è stata una costante nella mia vita. Non sono mai diventato matto per cercarla.La droga non la cerchi, è più simile all’aria che all’acqua.È ovunque: al parco, in discoteca, a scuola, all’università, al bar, al mare, in

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montagna, nelle ville, nei monolocali, al militare, in centro, in periferia, in ferie, al lavoro, in strada, in casa. Cocaina, crack, freebase, eroina, cobret, morfina; popper, liquid gold, rush; etere; anfetamina, efedrina, ketamina, metedrina, metanfetamina, thai, jaba, mdma, mma, mdea, crank, speed, ice, shaboo, tawas, batoo, crystal, ecstasy, paste, chicche, caramelle, flatli-ner; ghb; pcp, angel dust, supergrass; lsd, acidi, trip, cartoni, simpson, su-persimpson, batman, piramidi, micropunte, cala; peyote; funghetti; chat; datura; salvia; assenzio; dob, mescalina; psilocibina, psilocina; erba, mari-juana, albanese, super skank, cima rossa, sansemilla, buddha grass, white widow; haschish, cioccolato, marocchino, libanese oro, libanese rosso, pa-chistano, nero afgano, black Bombay, ciaras, manali, gold kerala, olio. Op-pio. Per me è un problema? No. Finché l’uomo vivrà in questo mondo avrà sempre bisogno di tanta aria, scusate volevo dire droga.Guardo la bocca di Fabio che continua a parlare ininterrottamente e così fanno altre bocche nella stanza. Parlano.Parlano incazzati neri, strafatti di ogni tipo di droga e gonfi di alcol. Se si dovesse dare un nome a tutto questo, dev’essere di sicuro il privé della fe-sta. E io sono seduto di fianco al padrone del locale.Che parla, parla «Tireremo fuori per i capelli le loro mogli nascoste nelle municipalizzate. Le rinchiuderemo con i loro figli, dirigenti delle cliniche convenzionate, nei campi di lavoro fino a che non avranno restituito ogni centesimo. Ne rivenderemo gli organi e poi col resto faremo concime per i campi.Un po’ di sana Rivoluzione Francese, ecco cosa ci vuole in questo paese!»La susta mi chiama non posso fare a meno di non fissarla e così quando finalmente Fabio me la passa trovo naturale non disdegnarla.Fabio tanto deve parlare «Questi politici sono stipendiati dalle multinazio-nali che comandano su di noi e, se ti lamenti, sei un populista, uno che non ha rispetto per le istituzioni.Ma il rispetto bisogna guadagnarselo. Io, noi, a questi schifosi non dobbia-mo nessun rispetto, neanche quello che si dovrebbe al nemico perché loro non sono combattenti, sono parassiti. Questi cani devono morire. Morire! ma prima la pagheranno!»“Glu-glu-glu” sentono le mie orecchie. Su una poltrona in un angolo ci sono un ragazzo ed una ragazza che attirano la mia attenzione. Il ragazzo ascol-ta Stefano mentre la ragazza, che gli siede appollaiata sulle gambe, dopo aver aspirato gli passa un bong giallo e si lascia cadere allungando braccia e gambe.Dalla bocca esce lentamente una lingua di fumo densa e biancastra. Il ra-gazzo la guarda per un attimo, poi prendendo l’accendino dalla mano di lei fa altrettanto con i suoi polmoni. “Glu-glu-glu”.Stefano soffia fuori dalla bocca il fumo del joint che tiene in mano«…ho provato una pistola simile a questa come impugnatura l’altro giorno

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al poligono. Me l’ha data Sartori, la guardia giurata. A casa ha un arsenale.Suo cognato è slavo e ogni volta che torna dal Montenegro gli porta sempre qualcosa. Era una Cineva Zavasta 99 calibro 9mm parabellum. L’impugna-tura è scomoda, non è veloce, ma è devastante. La traiettoria è piatta con rinculo non troppo forte e un potere d’arresto… discreto. Ma è piccola e co-sta veramente poco.L’unico problema è che devi usare dei proiettili a punta cava espandenti per ridurre la penetrazione. Aveva anche dei bossoli d’acciaio fabbricati in Rus-sia, ma c’erano due carabinieri e non li abbiamo usati.Dio Cristo dovevate vederli… mai visto niente di simile: se un giorno vi tro-vate in mezzo ad una rapina ed un carabiniere estrae la pistola, buttatevi a terra perché può succedere di tutto!»Armi e droga sono sfere d’interesse di molte persone. Anche mie, ma poche persone le maneggiano contemporaneamente e soprattutto con disinvoltu-ra. Dove sono finito? In paradiso? All’inferno? Se ci mettete dentro pure la politica ed infornate tutto a 180° per qualche ora capirete perché volevo solamente e velocemente tornare da Alessia.Da ospite educato non ho detto mai «No» alle offerte del padrone di casa. E come una brava casalinga che va alla dimostrazione dell’Avon potrei an-che acquistare qualcosa a questo simpatico giovane, ma mi devo alzare, salutare e tornare dalla mia coinquilina che intravedo nella stanza attigua. Sta parlando con il ragazzo e la ragazza della lap dance di prima. È sbronza e dal bicchiere spande birra che cade sui piedi nudi della ragazza che ride saltellando indietro.Ride anche Alessia che si scusa toccandole la spalla. Poi ridono tutti e tre. Pure Alessia è senza scarpe. La scena fa sorridere anche me e mi sorseggio un altro po’ di mojito giunto non ricordo più da dove.Arriva Anto con Samra e un grosso cillum bianco acceso in mano.Lui con un braccio avvinghia le spalle di lei. Lei con uno dei suoi cinge i fian-chi di lui per sostenerlo, visto che l’uomo non si regge molto bene da solo. Per togliere ogni dubbio sono comunque sfatti e barcollanti entrambi.Anto «...e questo è il mio amico Luca!»

Si scrive Samra, ma si legge s/zamra.Studentessa d’arte, tedesca di venticinque anni è qui per studiare restauro. Alta un metro e settanta circa, filiforme capelli lunghi e castano molto chiari è la tipica giovane ragazza ariana. È la migliore amica di Alessia. Con lei non ho parlato molto in questi mesi ma mi è bastato per pensare a lei come una ragazza di cui fidarmi. Lei di me si fida. Lo so, me ne ha dato prova.La ragazza si appoggia con tutto il peso sulla mia spalla e mi racconta una storia con il suo accento germanico reso monotonico dalla storta che ha addosso.«Un mio amico di trentadue anni, laureato in Economia e Commercio, lavo-

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rava per una società tedesca, qui nel tuo paese, che si occupa della grande distribuzione di prodotti alimentari ed è famosa per i suoi discount».Samra introduce aria “nuova” col naso, chiudendo gli occhi mentre le orbite le vanno leggermente indietro. Poi dopo averla espulsa sempre dalle narici prosegue«Dopo un colloquio, i dirigenti gli offrono di firmare un contratto di 29.000 euro l’anno, con automobile aziendale, buoni pasto e tutti i benefit per di-ventare quello che chiamano il Capo Settore, ossia, un quadro intermedio con le stesse mansioni di un capo area, ma responsabile di una area pro-vinciale non regionale.»Mentre la crucca parla, mi immagino in piedi dietro una scrivania e che qualcuno, non capisco chi, mi da una bella pergamena arrotolata e mi strin-ge la mano.Mi danno anche la targhetta dorata con inciso in grande “CAPO SETTORE”, da attaccare con la spilla nel mio bel completo scuro di alta sartoria napole-tana che mi calza a pennello! Da sbrocco ragazzi! Sono proprio soddisfatto e sorrido stringendo mani una dopo l’altra. Mani curate, mani che fuoriesco-no da belle camice, coi gemelli ai polsi, mani ingioiellate, mani glabre. Mani che mi battono sulla spalla.Penso di essere arrivato ma Samra mi fa sobbalzare«Ora sta attento! Seguimi! -cambia ritmica e tono- Tutte le mattine si alza alle 5:00 e va a scaricare i camion. Poi da solo sistema il banco della frutta, del pane e della carne...»Mi vedo fare queste cose, sempre in vestito, anche se protetto dal cami-ce verde da magazziniere con targhetta che dimostra che comunque qui il Capo Settore sono io. Con me ho sempre il contratto che fuoriesce dalla tasca del grembiule.«Dalle 9:00 alle 21:00 il supermarket è aperto al pubblico e il suo lavoro di Capo Settore è quello di fare ciò che gli altri lavoratori non hanno tempo di fare, come spazzare il parcheggio dalla neve e scaricare i camion merci.»Adesso comincio a spazientirmi. Il suo peso e quello della storia del suo amico sono come macigni sul mio collo. Mi muovo e finalmente Samra si tira su ma mi prende la t-shirt per la spalla destra con le unghie e mi gira a forza, costringendomi ad ascoltare.«È una storia vera! Ascoltala! Dalle 21:00 alle 22:30 sistema il negozio per il giorno dopo e, se tutto va bene, se supera il controllo va a casa, ma se è stato negligente... no! no! deve rimanere finché il controllore non è soddi-sfatto».Sono in magazzino a testa bassa, sconsolato che ramazzo il pavimento controllato da un’ombra. Non devo aver passato il controllo. Una mano mi passa il cillato bianco. Appoggio la scopa allo scaffale e aspiro una, due e tre volte. Forte.Ne ho bisogno e poi lo do a Samra, che si trova nel soggiorno e non nel

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magazzino con me, ma lo rifiuta perché deve raccontare che, il suo amico,«Se c’è l’inventario inizia alle 5:00 e va a letto alle 3:30 per ricominciare tutto 1 ora e mezza dopo»sottolineando la frase ruotando l’indice della mano destra come se fosse la lancetta di un orologio.«I giorni di riposo è meglio utilizzarli, per risparmiare qualche nottata lavo-rativa o per fare l’inventario o per sistemare il magazzino.»Sto camminando lungo il magazzino poco illuminato.«Un lutto in famiglia lo costringe a tornare al sud. Secondo contratto gli spettano cinque giorni, ma i suoi superiori hanno pensato che tre giorni potessero essere più che sufficienti e al suo ritorno lo accusano di aver ab-bandonato il posto di lavoro senza essersi assicurato che tutto fosse pro-grammato e “a posto” per i tre giorni successivi.»Porto una fascia nera al braccio, sopra il camice mentre faccio sì con la testa in piedi dietro una scrivania.«Senti! Gli capita anche un infortunio e deve chiedere il permesso di as-sentarsi dal supermarket per andare al pronto soccorso, a mettere qualche punto alla sua mano. Permesso che gli viene accordato dopo due ore e, al suo ritorno, viene accusato di aver abbandonato il posto di lavoro senza essersi assicurato che tutto fosse programmato e “a posto”, per tutto il pe-riodo della sua degenza.»Cazzo! Ho una mano fasciata, ma dalla garza perdo sangue sui miei jeans e sul divano di Fabio.Di tutta quella gente solo Samra lo nota e mi accarezza sulla testa. Adesso sono impanicato duro, sudo freddo, devo sbendarmi, devo andare al pronto soccorso, devo sapere che cazzo è successo alla mia mano porca troia!Fabio e Anto, che prima se ne fregavano, adesso osservano la scena, senza però notare nulla di strano. Anto con garbo ritrae ‘sta stronza che al posto di aiutarmi, mi guarda dritto negli occhi. Ma lei, di mollarmi, non ne vuol sapere.«Il nostro Capo Settore, all’ennesimo insulto ingiustificato, stanco di riceve-re chiamate ad ogni ora del giorno, di non avere un’ora fissa nemmeno per la pausa pranzo, a quattro giorni dal termine del fatidico periodo di prova, contesta i loro comportamenti e loro gli intimano di presentare la lettera di dimissioni. Cosa che non fa e si mette in malattia.»Il sottoscritto di nuovo in vestito, contesta qualcosa che non si sente a qualcuno che non si vede, da dietro la scrivania. Sbraito, elenco forse le ingiustizie e i torti che ho subito non so, muovo le mani e sventolo il rotolo del contratto. Samra va avanti «Mentre è a casa gli arriva il licenziamento via telegram-ma. È illegale. Ma tanto la loro politica va al di fuori da ogni legge e da ogni logica di mercato, sfruttano le persone fino all’esaurimento e poi le buttano via, tanto per contratti così appetitosi trovano qualche altro ragazzo che

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pensa finalmente di poter costruire qualcosa per il suo futuro.»Sono sdraiato a pancia in giù sul letto di casa mia e ricevo da Alessia il te-legramma. Lo leggo e torno a sdraiarmi con le mani dietro la testa, non so cosa pensare, non so cosa fare. Penso di essere fottuto.«Leggi il contratto che hai in mano! Aprilo!»mi urla Samra durante la festa e io eseguo svolgendolo un po’ alla volta. Su di esso c’è scritto

“Monte ore mensile: 16 ore al giorno X 28 giorni = 448 ore.Base oraria di 3,48 euro, per un contratto da 42 ore settimanali

elastiche e l’inquadramento da quadro”2.

«È una storia vera.»«E portala via cazzo! Ha rotto i coglioni!» dice Fabio e Anto la trascina via mentre ancora con le labbra mi scandisce senza farsi sentire dagli altri«È una storia vera!» puntandomi col dito indice per due volte.Io però la sento «È una storia vera!»Stefano «Cazzo ma nemmeno quando si fa festa si può stare tranquilli! A momenti ci manda tutti in depressione!» Mi volto verso Stefano e penso di essere appena uscito più che da un’allu-cinazione da una realtà parallela.Ma non sono ancora arrivato: la stanza comincia a girare intorno a me, a vorticare e i colori in breve si impastano. Guardo il contratto ma non c’è l’ho più.Il mio sangue gela a 90°C e mi sembra di essere pesantissimo. Il mio sto-maco si contorce e sento l’alcol risalirmi. Ho caldo, ho freddo, ho male, non respiro, devo sdraiarmi, «No stai dritto!» mi dico accavallando le gambe, «Disaccavallale, slacciati la cintura, stai fermo.»Non riesco a stare seduto sul divano e se non fosse per la testa pesantissi-ma correrei via da lì il più velocemente possibile.«È una storia vera!» continuo a sentire queste parole:«È una storia vera!»Devo sloggiare. Mi faccio coraggio, con un colpo di reni mi tiro su e a fatica vado verso il bagno.«È una storia vera!»Dallo stereo Streaming Dookies avverte gli altri che “One Of Our Children Is Missing”.

Dopo essermi risollevato dal water dove ho vomitato anche l’anima, come si fa in questi casi, mi sciacquo il viso e mi bagno la testa. Non sarà il paradiso ma mi sembra comunque di migliorare.Rimango appoggiato al lavandino lasciando che le gocce caschino da sole.

2 Liberamente tratto da “Schiavi moderni”, AA.VV., a cura di Beppe Grillo.

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FEDERICO CROSARA

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Non posso fare altro che osservarle raggiungere lo scarico. Alcune ce la fan-no a tornare in mare, altre muoiono diventando calcare sopra altro calcare. Ci sputo sopra saliva mista a succhi gastrici e dopo qualche minuto -ma chi lo sa? potrebbero essere state anche una ventina di ore- alzo il capo e fisso il mio viso ancora bagnato riflesso nello specchio. Sono io? Non ci giurerei. Lo guardo io, o è questa specie di gemello monozigote che osserva me?Che vuole me stesso?«Sono pallido»,«sono bianco»,«ho le orbite crepate»,«ho gli occhi intrisi di sangue»,«ho vomitato»,«sputo veleno»,«sono finito»,«sono vivo»«figlio di puttana»«figlio di puttana.»«Padre mi assolvo da tutti i miei peccati.»Vai figliuolo e che Dio ti benedica.

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