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Presentazione

Bliss Edwards ha 22 anni ed è ad un semestre dalla laurea. E' anche ancora vergine. Non è esattamente un problema per lei però è stanca di essere l'unica rimasta vergine tra le sue amiche. Il modo migliore per risolvere il problema e non pensarci più è perderla nel modo più semplice e veloce possibile, in una storia da una notte.

Ma il suo piano si rivela essere tutt'altro che semplice. Infatti, spaventata, lascia un ragazzo stupendo solo e nudo nel suo letto con una scusa che nessuno con mezzo cervello ci avrebbe mai creduto.

E come se questo non fosse stato già abbastanza imbarazzante, il giorno dopo in classe, riconosce il suo professore di teatro.

Infatti l'aveva lasciato nudo nel suo letto solo otto ore prima...

L’autrice

Cora Carmack è lo pseudonimo di Brittany Howard, studentessa del Vermont College e junior-agent alla Corvisiero Literary Agency. Ha fondato il popolarissimo blog letterario The YA Sistherhood che ha circa due milioni di visite.

CollanaLinea ControcorrenteTitolo originaleLosing it

traduzione di Francesca Mussari

Copyright © 2012, 2013 by Cora CarmackAll rights reserved. No part of this book may be reproduced or transmitted in

any form or by any means, electronic or mechanical, including photocopying, recording or by any information Storage and retrieval system, without permission in writing from the Publisher.

Il libro è stato inizialmente autopubblicato dall'autrice nel 2012 in formato e-book.

© 2013 Edizioni AnordestI edizione, dicembre 2013Via F.lli Rosselli, 19/14 31020 Villorba (TV)Tel +39.0422 912370 Fax [email protected]. com

Tutti i riferimenti a persone reali, eventi, istituzioni, organizzazioni o locali hanno il solo scopo di fornire un senso di autenticità, e sono utilizzati in modo fittizio. Tutti gli altri personaggi, eventi e dialoghi sono tratti dalla fantasia dell'autore e non sono da intendersi come reali.

LOSING IT

Capitolo uno

Mi fermai un attimo.Sei fantastica. Non ci credevo molto neanch'io, quindi lo

ripetei di nuovo.Fantastica. Sei davvero fantastica. Se mia madre avesse

sentito i miei pensieri, mi avrebbe detto di essere un po' più modesta, ma la modestia non mi aveva portato da nessuna parte.

Bliss Edwards, sei un vero schianto.E allora come avevo fatto ad arrivare a ventidue anni ed

essere l'unica persona di mia conoscenza a non aver ancora fatto sesso con nessuno? Una via di mezzo tra Bayside School e Gossip Girl: era inaudito che una ragazza finisse il college senza aver ancora perso la verginità. Ero nella mia stanza e mi ero già pentita di aver trovato il coraggio di confessarlo alla mia amica Kelsey. Aveva reagito come se le avessi appena detto che sotto la gonna nascondevo una coda. Avevo capito che era stata una pessima idea prima ancora che finisse di spalancare la bocca per lo stupore.

«Davvero? Ha a che fare con Gesù? Stai, diciamo... conservandoti per lui?» Fare sesso sembrava più facile per Kelsey: aveva il corpo di una Barbie e per lei, come per un adolescente, il sesso era un'idea fissa.

«No, Kelsey,» dissi. «Sarebbe un po' difficile conservarsi per qualcuno che è morto più di duemila anni fa.»

Di punto in bianco Kelsey si tolse la camicetta e la gettò sul pavimento. Dovevo aver fatto una faccia strana perché mi guardò e scoppiò a ridere.

«Tranquilla, Principessa Castità, mi sto solo cambiando la

camicetta.» Si infilò nell'armadio e cominciò a passare in rassegna i miei vestiti.

«Perché?»«Perché, Bliss, adesso usciamo e andiamo a farti fare

sesso.» Disse la parola 'sesso' con un sibilo che mi fece venire in mente le pubblicità di linee erotiche che vanno in onda a tarda notte.

«Oh Gesù, Kelsey.»Tirò fuori una camicetta che a me stava attillata e che sulle

sue forme generose sarebbe stata davvero scandalosa.«Come? Avevi detto che lui non c'entrava.»Resistetti alla tentazione di darmi una manata in fronte.«Ma no, non credo... Cioè, vado in chiesa e tutto... be', più o

meno. È solo che... Non lo so. Non mi ha mai interessato più di tanto.»

Si fermò con la nuova camicetta sopra la testa, infilata per metà.

«Non ti hanno mai interessato? I ragazzi? Sei lesbica?»Una volta avevo sentito mia madre rivolgere la stessa

domanda a mio padre. Non riusciva a capire come fosse possibile che stessi per finire il college senza avere un anello al dito.

«No Kelsey, non sono lesbica, finisci pure di metterti la camicetta. Non c'è bisogno che ti occupi della mia vita sessuale.»

«Se non sei lesbica e Gesù non c'entra, allora si tratta solo di trovare il ragazzo giusto, o meglio... la persona adatta a occuparsi della tua vita sessuale.»

Roteai gli occhi. «Caspita! È davvero così semplice? Basta trovare il ragazzo giusto? Perché nessuno me l'ha mai detto prima?»

Raccolse i capelli biondi in una coda alta, che in qualche modo faceva risaltare ancora di più il seno. «Non intendo il ragazzo giusto da sposare, cara. Intendo il ragazzo giusto per

farti ribollire il sangue. Per farti spegnere quel cervello analitico, critico e iperattivo e farti pensare con il corpo.»

«I corpi non pensano.»«Lo vedi?» disse. «Sei analitica e critica.»«Va bene, va bene. Qual è il pub di stasera?»«Lo Stumble Inn, ovviamente.»Mi scappò un gemito. «Di classe.»«Cosa?» Kelsey mi guardò come se non fossi in grado di

rispondere da sola a una domanda davvero ovvia. «E un bel locale e, soprattutto, è un locale che piace ai ragazzi. E dato che a noi piacciono i ragazzi, è un locale che ci piace.»

Poteva andare peggio. Poteva decidere di portarmi in discoteca.

«D'accordo, andiamo.» Mi alzai e andai verso la tenda che separava la camera da letto dal resto del loft.

«Aspetta! Aspetta!» Mi afferrò per il gomito e mi tirò così forte che ricaddi sul letto. «Non puoi venire così.»

Diedi un'occhiata ai miei vestiti: una gonna svasata a fiori e una semplice canottiera con una scollatura non troppo profonda. Stavo bene. Vestita così potevo benissimo rimorchiare qualcuno... forse.

«Non vedo quale sia il problema,» dissi.Roteò gli occhi, facendomi sentire una bambina. Odiavo

sentirmi una bambina, cosa che succedeva quasi sempre quando si finiva a parlare di sesso.

«Cara, al momento sembri un'adorabile sorellina minore. Nessun ragazzo vuole andare con la sua sorellina. E se invece vuole, sei tu che non vuoi averci niente a che fare.»

Sì, mi sentivo proprio una bambina. «Messaggio ricevuto.»«Hmm... sembra quasi che tu stia cercando di spegnere quel

cervello iperattivo. Brava. Adesso alzati e lasciami fare il miracolo.»

E, con miracolo, intendeva una tortura.Dopo aver messo il veto a tre camicette che mi facevano

sentire una prostituta, a dei pantaloni che sembravano dei leggings e a una gonna così corta che rischiava di mostrare il mio sedere a tutto il mondo in caso di un leggero colpo di vento, decidemmo per dei pantaloni capri di jeans aderenti e una canottiera di pizzo nero che risaltava per contrasto sulla mia pelle chiara.

«Gambe, depilate?»Annuii.«E... il resto?»«È depilato tutto quello che sono disposta a depilare, adesso

andiamo.» Dissi mettendo fine alla discussione.Sorrise, senza ribattere. «D'accordo, d'accordo. I

preservativi?»«Nella borsetta.»«Il cervello?»«Spento. O meglio... in modalità silenziosa.»«Ottimo. Direi che siamo pronte.»Ma io non ero pronta. Per niente.Se non avevo ancora fatto sesso un motivo c'era, e adesso

sapevo quale fosse. Ero una maniaca del controllo. Ecco perché ero sempre andata così bene a scuola. Questo faceva di me un ottimo direttore artistico: a teatro nessuno era in grado di dirigere le prove meglio di me. E da quando avevo trovato il coraggio di recitare, a lezione ero sempre più preparata di tutti gli altri attori. Ma il sesso... era tutto l'opposto del controllo. Implicava le emozioni, l'attrazione e la fastidiosa presenza dell'altra persona che doveva necessariamente essere coinvolta. Non certo la mia idea di divertimento.

«Stai pensando troppo,» disse Kelsey.«Sempre meglio che non pensare abbastanza.»« Non per stasera,» disse.Appena salimmo in auto alzai il volume dell'iPod di Kelsey

per poter riflettere in pace.Potevo farcela. Era solo un problema da risolvere, una voce

che dovevo cancellare dalla lista delle cose da fare.Era così semplice.Semplice.Falla semplice.Alcuni minuti più tardi, accostammo fuori dal pub e la

serata mi sembrava tutt'altro che semplice. I pantaloni mi sembravano troppo aderenti, la canottiera troppo scollata e il cervello troppo annebbiato. Avrei voluto vomitare.

Non volevo essere vergine, di quello ero certa. Non volevo sentirmi una puritana immatura che non sa niente del sesso. Odiavo non sapere le cose. Il problema era che... così come non volevo essere vergine, non volevo neppure fare sesso.

Il mistero dei misteri. Perché non poteva essere una cosa del tipo che tutti i quadrati sono rettangoli ma non tutti i rettangoli sono necessariamente quadrati?

Kelsey, in piedi davanti alla portiera, schioccava le dita per sollecitarmi a scendere mentre teneva il ritmo con i tacchi. Raddrizzai le spalle, mi ravvivai svogliatamente i capelli e seguii Kelsey nel pub.

Andai dritta al bancone, mi appollaiai su uno sgabello e feci un cenno al barista.

Poteva essere lui: biondo, di corporatura media, un bel viso.Niente di speciale, ma di sicuro non da scartare. Poteva

andare bene.«Cosa vi porto, ragazze?»Un accento del Sud: di certo un ragazzo del posto.Kelsey si intromise, «Per cominciare, abbiamo bisogno di

due tequila.»«Fai quattro,» gracchiai.Fece un fischio, e il suo sguardo incrociò il mio. «È quel

genere di serata, eh?»Non ero pronta a esprimere a parole che genere di serata

fosse, perciò risposi solo, «Ho bisogno di un po' di coraggio alcolico.»

«Sarei lieto di aiutarti.» Mi fece l'occhiolino e, prima ancora che fosse abbastanza lontano da non sentirci, Kelsey si mise a saltellare sullo sgabello dicendo, «È lui! È lui!»

Le sue parole mi fecero sentire come sulle montagne russe, come se il mondo si fosse appena capovolto e tutti i miei organi giocassero a rincorrersi. Avevo solo bisogno di più tempo per abituarmi all'idea. Ecco. Afferrai la spalla di Kelsey e la obbligai a tacere. «Datti una calmata, Kels. Sembri un chihuahua impazzito.»

«Che c'è? E' una buona scelta. E' carino e gentile, e l'ho beccato che ti guardava nella scollatura... due volte!»

Non aveva torto, ma io non ero per niente interessata ad andare a letto con lui, cosa che suppongo non bastasse a escluderlo dalla lista delle possibilità. Di certo sarebbe stato tutto maledettamente più facile se fossi stata davvero interessata a lui. «Non sono sicura... non è scattata la scintilla.» Vidi che stava per alzare gli occhi al cielo, quindi aggiunsi in fretta, «Per il momento!»

Quando il Barista tornò con i nostri shot di tequila, Kelsey pagò e io bevvi i miei due prima ancora che lei avesse il tempo di dargli la carta di credito. Lui si fermò un istante e, prima di passare al cliente successivo, mi sorrise. Rubai una delle due tequila di Kelsey.

«Sei fortunata che questa è la tua serata, Bliss. Normalmente nessuno si mette tra me e la mia tequila.»

Allungai la mano verso di lei e dissi, «Be', nessuno si infilerà tra le mie gambe a meno che io non sia più che ubriaca, perciò dammi anche l'ultima.»

Kelsey scosse la testa, ma stava sorridendo. Qualche secondo dopo si arrese e, con quattro tequila in corpo, la prospettiva di fare sesso sembrava un po' meno spaventosa.

Si avvicinò un altro barista, questa volta una ragazza, e io ordinai un Jack e cola da sorseggiare mentre mi scervellavo sul casino in cui mi ero cacciata.

C'era il Barista, ma non avrebbe staccato prima delle due passate. Ero già un fascio di nervi adesso e, se la cosa si fosse trascinata fino alle ore piccole, sarei diventata psicotica. Già mi vedevo... con la camicia di forza per colpa del sesso.

In piedi accanto a me c'era un tipo che sembrava avvicinarsi di diversi centimetri ogni volta che bevevo, ma doveva avere almeno quarant'anni. No, grazie.

Mandai giù ancora un po' del cocktail, grata del fatto che la barista ci fosse andata pesante con il Jack Daniel's, mentre passavo in rassegna il locale.

«Che cosa ne dici di quello?» chiese Kelsey indicando un ragazzo seduto a un tavolo vicino.

«Troppo giovane.»«Quello?»«Troppo alternativo.»«Quello laggiù?»«Bleah, troppi peli.»L'inventario continuò finché fui quasi certa che la serata

sarebbe stata un fallimento. Kelsey suggerì di spostarci in un altro pub, ma era l'ultima cosa che avevo voglia di fare. Le dissi che dovevo andare in bagno e sperai che qualcuno attirasse la sua attenzione mentre non c'ero, così sarei riuscita a sgattaiolare via senza troppe storie. Il bagno era sul retro, dopo la zona del biliardo e delle freccette, in fondo a una saletta con dei tavolini tondi.

Fu in quel momento che lo notai.Be', tecnicamente, prima notai il libro.E non riuscii proprio a tenere la bocca chiusa. «Se è un

modo per rimorchiare, ti suggerirei di spostarti in un punto un po' più trafficato.»

Alzò gli occhi dal libro e, all'improvviso, cominciai a fare fatica a deglutire. Era decisamente il ragazzo più affascinante che avessi visto in tutta la serata: capelli biondi che ricadevano su due occhi azzurro ghiaccio, un accenno di barba che bastava

a dargli un aspetto virile senza farlo sembrare troppo peloso e un viso che sarebbe stato in grado di far cantare gli angeli. Ma l'effetto che aveva avuto su di me non era stato quello di farmi cantare: mi aveva lasciato senza parole. Perché mi ero fermata? Perché dovevo fare sempre la figura dell'idiota?

«Scusa?»Il mio cervello stava ancora esaminando i capelli perfetti e

gli occhi azzurrissimi, perciò ci misi un momento a dire, «Shakespeare. Nessuno legge Shakespeare in un pub, a meno che non sia una strategia per rimorchiare. Stavo solo dicendo che nell'altra sala potresti avere più fortuna.»

Per un lungo istante non disse nulla, poi la sua bocca si aprì in un gran sorriso, mostrando, neanche a dirlo, dei denti perfetti!

«Non è una strategia, ma se lo fosse direi che ho avuto una gran fortuna proprio qui.»

L'accento. Aveva l'accento inglese! Santo Cielo, stavo per morire!

Respirare. Avevo bisogno di respirare.Non andare fuori di testa, Bliss.Mise giù il libro, ma solo dopo aver segnato la pagina a cui

era arrivato. Accidenti, stava davvero leggendo Shakespeare in un pub.

«Non stai cercando di rimorchiare?»«No, non stavo rimorchiando.»Il mio cervello analitico colse al volo l'uso del passato.

Come se... non avesse cercato di sedurre nessuno fino a quel momento, ma magari lo stesse facendo ora.

Gli diedi un'altra occhiata. Ora stava sorridendo: denti bianchi e una barba corta che lo rendeva davvero attraente. Sì, di certo io ero seducibile. E bastava quel pensiero a sconvolgermi.

«Come ti chiami, tesoro?»Tesoro? Tesoro! Stavo per morire, qui.

«Bliss.»«È una battuta?»Diventai paonazza. «No, è il mio nome.»«Un nome adorabile per una ragazza adorabile.» Il timbro

della sua voce si fece più profondo e sentii le viscere che si annodavano: era come se il mio utero stesse battendo il ritmo di una canzone allegra contro il resto dei miei organi interni. Accidenti, stavo morendo della più lunga, tortuosa ed eccitante morte nella storia del mondo. Era sempre così che ci si sentiva quando si era eccitati? Per forza il sesso faceva fare cose folli!

«Vedi, Bliss, sono appena arrivato in città e sono già riuscito a rimanere chiuso fuori dal mio appartamento. A dire il vero, sto aspettando un fabbro e pensavo di sfruttare al meglio questo tempo libero.»

«Rinfrescando le tue conoscenze di Shakespeare?»«Ci stavo provando, almeno. A essere sinceri, il tizio non mi

è mai piaciuto più di tanto, ma facciamo che resti un segreto tra di noi, d'accordo?»

Se il calore sprigionato dalle mie guance era un segnale, ero quasi certa che fossero ancora in fiamme. A dire il vero, sembrava che tutto il mio corpo stesse bruciando. Non sapevo se fosse stata l'umiliazione, o il suo accento, a farmi quasi prendere fuoco davanti a lui.

«Sembri delusa, Bliss. Sei una fan di Shakespeare?»Annuii, perché sembrava che la gola mi si fosse chiusa.Reagì arricciando il naso e a me prudevano le mani dalla

voglia di seguire il suo profilo, dal naso fino alle labbra.Stavo diventando matta. In effetti, proprio da ricovero.«Non dirmi che sei una fan di Romeo e Giulietta?»Oh, ecco. Finalmente sapevo cosa dire!«A dire il vero, di Otello. È il mio preferito.»«Ah. Bella Desdemona. Leale e Pura.»Alla parola «pura» il mio cuore perse un battito.«Io, ehm...» mi sforzai di riordinare i pensieri. «Mi piace la

giustapposizione di ragione e passione.»* «Bliss» significa «beatitudine». (N.d.T.)«Anch'io sono un fan della passione.» Poi abbassò gli occhi,

percorrendo con lo sguardo tutto il mio corpo. Sentii un formicolio lungo la spina dorsale, sembrava quasi che stesse per schizzare fuori.

«Non mi hai ancora chiesto come mi chiamo,» disse.Mi schiarii la gola, un gesto di certo non affascinante. Ero

socievole quasi quanto un uomo delle caverne. «Come ti chiami?»

Piegò la testa e i capelli quasi gli coprirono gli occhi.«Siediti qui con me e te lo dirò.»Pensai solo che mi sentivo le gambe di gelatina e sedermi

mi avrebbe impedito di fare qualcosa di imbarazzante come svenire sotto l'influsso di quel putiferio di ormoni, chiaramente impazziti, che avevo nel cervello. Mi abbandonai sulla sedia ma, anziché trovare sollievo, mi sentii ancora più tesa.

Quando parlò, il mio sguardo si bloccò sulle sue labbra. «Mi chiamo Garrick.»

E chi lo sapeva che anche i nomi potevano essere così eccitanti?

«Piacere di conoscerti, Garrick.»Si piegò in avanti, appoggiandosi sui gomiti, e io notai le

sue spalle larghe e il modo in cui i suoi muscoli si muovevano sotto la stoffa della camicia. Poi i nostri sguardi si incrociarono e nel locale la luce, che prima era tenue, divenne oscurità, mentre io venivo intrappolata da quegli occhi azzurri.

«Ti offro da bere.» Non voleva essere una domanda. Tn realtà, quando mi guardò, in lui non c'era niente di interrogativo, ma solo una gran sicurezza. «Poi possiamo chiacchierare ancora un po' della ragione e... della passione.»

Capitolo due

Non saprei dire se la sensazione di bruciore al petto avesse a che fare con il fatto che Garrick mi studiava con gli occhi socchiusi, o se fosse il ricordo del primo Jack e cola, che avevo appena mandato giù come se fosse stata acqua.

Garrick richiamò l'attenzione di un cameriere e, mentre lui ordinava da bere per sé, io mi presi un momento per farmi un silenzioso discorso d'incoraggiamento.

«Bliss?» mi sollecitò Garrick.La sua voce mi faceva fremere.Alzai lo sguardo verso di lui, poi verso il cameriere, che per

caso era il Barista di prima. Aprii la bocca per ordinare un altro Jack e cola ma il Barista mi fermò, appoggiandomi una mano sulla spalla. «Mi ricordo: Jack e cola, giusto?»

Annuii e lui mi fece l'occhiolino, sorridendo. Mi interruppi, chiedendomi per un istante come facesse a sapere cosa avessi ordinato. Ero piuttosto sicura che l'ultima volta fosse stata una ragazza a servirmi. Mi stava ancora sorridendo, perciò mi obbligai a parlare. «Grazie, ehm...»

«Brandon,» mi suggerì.«Grazie, Brandon.»Diede un'occhiata a Garrick e poi si concentrò di nuovo su

di me.«Vuoi che dica alla tua amica di là che stai tornando?»«Oh, ehm... Certo, immagino.»Mi rispose con un sorriso e rimase a fissarmi per qualche

secondo prima di voltarsi per tornare verso il bancone. Sapevo di dover guardare di nuovo Garrick, ma ero terrorizzata all'idea di sciogliermi in una pozza di eccitazione e imbarazzo se avessi

incrociato di nuovo quegli occhi stupendi.Disse, «Sai, ogni tanto mi chiedo se Desdemona fosse

davvero innocente come dava a vedere. Magari era consapevole dell'effetto che faceva agli uomini e si divertiva a farli ingelosire.»

In quel momento incrociai i suoi occhi: erano socchiusi e mi studiavano.

Deglutii cercando di tenere a bada il nervosismo e lo studiai a mia volta.

«Magari era solo intimidita dall'intensità di Otello e non sapeva come parlargli. In fin dei conti, la comunicazione è la chiave di tutto.»

«La comunicazione, eh?»«Avrebbe potuto risolvere gran parte dei loro problemi.»«In tal caso, mi sforzerò di essere il più chiaro possibile.»

Prese la sedia e la mise a qualche centimetro dalla mia. Scivolò accanto a me e disse, «Preferirei che non tornassi dalla tua amica. Resta qui con me.»

Deglutisci, Bliss. Devi deglutire o potresti cominciare a sbavare.

«Be', la mia amica mi sta aspettando. Se resto qui, cosa facciamo?»

Allungò una mano e mi spostò i capelli dalla spalla. Poi mi sfiorò il collo, fermandosi sul punto in cui si sentivano i miei battiti, che dovevano essere quasi impazziti.

«Possiamo parlare di Shakespeare. Possiamo parlare di tutto quello che vuoi. Anche se non posso prometterti di non farmi distrarre dal tuo grazioso collo.» Spostò le dita lungo la mandibola, fino al mento, e poi, facendo pressione con l'indice, lo sollevò leggermente in avanti. «O dalle tue labbra. O dagli occhi. Potrei corteggiarti raccontandoti storie della mia vita, come fa Otello con Desdemona.»

Mi sentivo già corteggiata a sufficienza. Risposi ansimando in modo imbarazzante, «Preferirei non paragonare il nostro

incontro a quello di una coppia finita con un omicidio-suicidio.»

Sorrise e il suo dito si allontanò dal mio mento. Sentivo bruciare la pelle dove mi aveva toccato e dovetti impedirmi di piegarmi in avanti per seguire il suo tocco.

«Touché. Non mi interessa cosa facciamo, basta che rimani.»

«Va bene.» Ero immensamente orgogliosa di essere riuscita a rispondere con calma anziché l'Accidenti, sì, farò tutto quello che mi chiedi che mi stava passando per la mente in quel momento.

«Forse dovrei rimanere chiuso fuori dal mio appartamento più spesso.»

A dire il vero, preferirei che ci chiudessimo dentro.La mia tasca cominciò a vibrare e mi affrettai a rispondere

al cellulare prima che partisse l'imbarazzante canzone di una boy band.

«Pronto?»«Ci sei caduta dentro, o cosa?»Era Kelsey.«No, Kelsey, non sono caduta. Senti, perché non vai verso

casa senza di me?»Gli occhi di Garrick si scurirono e, quando il suo sguardo

scese sulle mie labbra, mi si fermò il respiro.«Non te la caverai così, Bliss. Stasera farai sesso con

qualcuno, a costo di farlo con me.»Accidenti, più forte di così non poteva parlare. Pensai che

Garrick l'avesse sentita, ma i suoi occhi non avevano mai lasciato le mie labbra.

«Non sarà necessario, Kels.»Cercai di pensare a un modo criptico per dirle che avevo già

trovato il ragazzo giusto, quando la sentii trattenere il fiato e poi esclamare «Oh. Mio. Dio.»

Gettai lo sguardo oltre Garrick giusto in tempo per vedere il

sorriso di Kelsey che si allargava, seguito da un esplicito gesto della mano.

«Sì, va bene. Ti chiamo dopo, Kels?»«Certo che mi chiami. Mi chiami e mi racconti ogni minimo

dettaglio mozzafiato.»«Vediamo.»«Faresti meglio a vedere un sacco di cose stanotte, tesoro.

Spero che i tuoi occhi si aprano come si deve dopo l'incontro di stasera.»

Attaccai senza rispondere.«La tua amica?» chiese.Annuii, perché in quel momento il suo sguardo mi fece

avvampare. In vita mia, non mi ero mai sentita così eccitata per qualcuno che non mi stava neppure toccando. Il sesso trascina l'uomo come le onde del mare e io fui sorpresa di scoprire quanto fossi interessata a imparare a nuotare.

«Rimani?»Annuii di nuovo, e tutti i muscoli del mio corpo erano tesi

come corde di violino. Se non mi avesse baciato subito, sarei esplosa. Proprio mentre pensavo che stesse per farlo, il Barista ritornò con i nostri cocktail. Arrivò sorridendo, ma il suo sorriso si spense quando vide quanto eravamo vicini Garrick ed io.

«Mi dispiace averci messo tanto. Di là siamo sommersi di gente.»

Mi aggrappai al diversivo.«Non c'è problema, Brandon.»«D'accordo. Hai bisogno di qualcos'altro?»«No, sono a posto.»Brandon diede una rapida occhiata a Garrick e poi si chinò

un po' più verso di me.«Sei sicura?»«Siamo sicuri,» aggiunse bruscamente Garrick prima di

porgergli alcune banconote. «Tieni il resto.»

Brandon controllò un'altra coppia a qualche tavolo di distanza e poi si diresse di nuovo verso il bancone. Quando fu abbastanza lontano da non sentirci, mi voltai verso Garrick. Mi accorsi che il suo braccio aveva trovato la strada verso lo schienale della mia sedia.

«Sei un tipo geloso, Garrick?»«Non proprio.»Inarcai un sopracciglio e lui sorrise sfacciatamente.Disse, «Forse questa discussione su Otello mi ha fatto un po'

scaldare.»«Allora parliamo di qualcos'altro. Il fabbro a che ora ha

detto che sarebbe arrivato a casa tua?»Diede una rapida occhiata all'orologio e io colsi al volo

l'occasione per guardare le sue incredibili braccia. «Dovrebbe arrivare tra poco.»

«Devi andare ad aspettarlo?» Era difficile definire con precisione che cosa volessi esattamente in quel momento. Di certo lui mi piaceva e di certo volevo che mi baciasse, ma ero abituata a sabotare questo genere di situazioni in modo che non si spingessero troppo oltre. Ero sempre alla ricerca di una via d'uscita, di una scappatoia.

«Stai cercando di liberarti di me?»Inspirai a fondo. Non potevo tirarmi indietro. Questa volta,

non c'erano vie d'uscita. Mi morsi il labbro e lo guardai. Sperai che non riuscisse a scorgere la paura che si agitava dietro alla mia facciata sicura. Dissi, «Immagino potremmo andare ad aspettarlo insieme.»

Guardò di nuovo le mie labbra. Morivo... Morivo dalla voglia che mi baciasse.

«Molto meglio.»Si alzò e mi offrì il braccio. «Mia signora?»«Non vuoi finire di bere, prima?»Prese la mia mano e premette le labbra sulla parte interna

del polso. «Sono già ebbro.»

Risi, perché era una risposta ridicola (e perché non volevo ammettere che stava funzionando).

Fece un largo sorriso. «È troppo? Cosa posso dire... il Bardo tira fuori la mia attitudine per il teatro.»

«Cerchiamo di essere realistici, invece.»Disse, «Penso di riuscirci.»Avevo fatto a malapena in tempo ad analizzare le sue parole

che mi fece alzare dalla sedia e appoggiò la bocca sulla mia. Fui sopraffatta dal suo profumo: agrumi, cuoio e qualcos'altro che mi fece venire l'acquolina. Troppo scioccata per reagire, ero profondamente consapevole del fatto che mi stesse baciando nel bel mezzo di un pub, finché mi mordicchiò il labbro inferiore. Allora mi dimenticai di tutto, tranne che di lui. Tremavo e mi sembrava che il cuore stesse scendendo verso lo stomaco, come se la forza di gravità fosse raddoppiata. Avevo la mente annebbiata, ma non mi importava. Aprii la bocca e la sua lingua entrò immediatamente, con irruenza, prendendo il controllo. Le mie mani si aggrapparono alla sua schiena e lui reagì attirandomi ancora di più a sé. Il suo bacio passava da lento a veloce, da delicato a irruento. Eravamo abbracciati così stretti che riuscivo a sentire ogni parte del suo corpo, ma volevo essergli ancora più vicina. Fece scivolare la mano sotto la mia canottiera, lungo la schiena: dita calde che premevano sulla mia pelle già surriscaldata. Il contatto così intimo mi fece scappare un gemito. Me ne pentii all'istante, perché il suono sembrò schiarirgli la mente e si allontanò.

Non potei impedire alle mie labbra di seguirlo, ma lui rimase fuori dalla portata dei miei baci. Invece, emise un gemito, piegò la testa e mi diede un eccitante bacio sul collo.

A quel punto il mio cervello si spense definitivamente. Ero solo corpo e, accidenti, stavo bene. Ero solo la somma delle mie terminazioni nervose, che stavano impazzendo. Espirò con forza, facendomi bruciare la pelle. Quando parlò, la sua voce era roca, «Scusa. Mi sono lasciato prendere.»

Erano proprio le parole giuste. Prendere. Non mi ero mai sentita così presa da nessun altro prima. Non ero mai stata cosi... fuori controllo. La cosa mi eccitava e mi terrorizzava allo stesso tempo.

Il suo viso tornò all'altezza del mio e io cercai di mantenere un'espressione neutrale. La sua mano scivolò fuori dalla canottiera e io rabbrividii, mentre la mia pelle già si struggeva per la perdita.

Fece un passo indietro. «D'accordo. Potrebbe essere il caso di metterci un po' più di ragione e un po' meno passione.»

Risi, ma dentro di me stavo facendo il dito medio alla ragione: mi aveva controllato per troppo tempo.

Capitolo tre

«Mi stai prendendo in giro, vero?»Lo fissai, chiedendomi se il mio lato maniaco del controllo

potesse gestire questa cosa.Mi accarezzò sulla guancia. «Ti prometto che andrò piano.»Scossi la testa e la sua mano si abbassò. «Non credo di

farcela.»«Devi solo stare attaccata a me. Ti prometto che... ti

divertirai.»«Garrick...»«Bliss, fidati di me e basta.»Feci un respiro profondo. Potevo farcela. Dovevo solo

spegnere il cervello, come aveva detto Kelsey.«Va bene, ma muoviamoci... prima che cambi idea.»Sul volto gli si aprì un sorriso e mi diede un rapido bacio

sulla tempia. «Bravissima.»Poi mi sistemò con cura il casco in testa, fece passare una

gamba sulla moto e mi porse la mano. Ricacciai indietro le mie riserve e feci scivolare la mano nella sua. La sella era inclinata, perciò, anche se cercai di sedermi a qualche centimetro di distanza da lui, scivolai finché il mio corpo fu schiacciato contro il suo.

Mi appoggiò la mano sul ginocchio e le sue dita si chiusero fino a solleticare la parte sensibile dietro alla gamba.

«Tieniti stretta a me.»Feci come mi aveva detto e, quando sentii la forma dei suoi

addominali scolpiti attraverso la camicia, quasi mi venne un coccolone. All'improvviso divenni iper-consapevole del rotolino di grasso appoggiato ai miei jeans. Garrick avrebbe

dato un'occhiata al mio corpo e avrebbe pensato che non ero abbastanza bella per lui. Accidenti, probabilmente sentiva il rotolino contro la schiena e si stava già pentendo. Poi la mano intorno al ginocchio mi diede un piccolo strattone e, anche se pensavo non fosse possibile, ci avvicinammo ancora di più.

Non ero solo schiacciata contro di lui, ero proprio appiccicata.

Il mio bacino era così attaccato a lui che fui colta da un attacco di vertigini. Nello stesso istante, decollammo. Affondai le mani nei suoi fianchi e lui fece un balzo, mentre la moto si inclinava su un lato.

Urlai. Be', più che altro mi misi a strillare, proprio nel suo orecchio.

Lui raddrizzò la moto e poi rallentò, per fermarsi a uno stop.«Tutto bene?»Con il viso nascosto contro la sua spalla, riuscii a squittire

un «Sì.»«Mi dispiace, tesoro, è solo che soffro un tantino il

solletico.»«Oh.» Allentai la presa delle dita, che gli stavano

praticamente bucando i fianchi. Grazie a Dio in quel momento non poteva vedere la mia faccia: il rosso non mi donava.

Prese le mie mani e le tirò in modo che con gli avambracci circondassi i suoi fianchi e le mie braccia Io avvolgessero completamente.

«Così va meglio. Riproviamo.»Questa volta, quando partì, non urlai. Aumentò la velocità a

poco a poco e io tenni gli occhi chiusi e la guancia schiacciata contro la sua schiena.

Dato che Shakespeare mi era rimasto in testa dalla nostra conversazione di prima, mi misi a recitare tutto quello che mi veniva in mente, per tenermi occupata. Cominciai dal soliloquio di Amleto. Poi passai al discorso del giorno di San Crispino dall'Enrico V. Stavo per completare il monologo del

domani, e poi domani, e poi domani di Macbeth, quando Garrick mi interruppe.

«Il Bardo ti piace davvero un sacco.»L'umiliazione stava diventando un'emozione standard per

me. Immagino che non stessi recitando quelle parti solo nella mia mente come avevo pensato.

«Oh, io... ehm, è solo che memorizzo le cose con facilità.»Con la guancia ancora contro la sua schiena, cercai di

calmare il mio cuore, che batteva all'impazzata. Ora che la moto non si muoveva, il mio cervello era libero di temere quell'altra cosa a cui, volontariamente, non avevo pensato fino a quel momento.

Il sesso.Stavo per fare sesso.Con un ragazzo.Un ragazzo davvero attraente.Un ragazzo davvero attraente e inglese.O forse stavo per vomitare.E se vomitavo sull'attraente ragazzo inglese?E se vomitavo sull'attraente ragazzo inglese proprio mentre

stavamo facendo sesso?«Bliss?»Sobbalzai all'indietro inorridita, domandandomi se per

sbaglio avessi parlato di nuovo a voce alta. «Sì?»«Possiamo scendere dalla moto adesso.»«Oh.» Tirai indietro le braccia così velocemente che quasi

mi sbilanciai, rischiando di cadere. Per fortuna, facendo solo un piccolo squittio, riuscii a recuperare l'equilibrio e a scivolare giù dalla moto lentamente.

In quel momento il mio polpaccio sfiorò il tubo sul lato della moto, e ricominciai a urlare.

Era bollente, dannatamente bollente. E ora la pelle bruciava.«Bliss?»Quando Garrick mi raggiunse, mi ero già allontanata di

qualche metro dalla moto, zoppicando. Nonostante stringessi i pugni e mi mordessi le labbra per sopportare il dolore, dai miei occhi sgorgarono le lacrime.

Per prima cosa, le sue mani mi incorniciarono il viso, poi abbassò lo sguardo sulla mia gamba, dove brillava una chiazza rossa, pochi centimetri al di sotto dell'orlo dei pantaloni.

«Oh, cazzo.»Non essendo sicura di riuscire ad aprire la bocca senza

mettermi a urlare, tenevo le labbra serrate. Garrick mi fece scivolare un braccio intorno alla vita e io gliene buttai uno sulle spalle.

«Dai, tesoro. Speriamo che il fabbro sia già arrivato.»Per la prima volta, mi guardai intorno e mi accorsi di dove

fossimo.Eravamo nel complesso di case dove abitavo io.Abitavamo nello stesso complesso!Lottai con me stessa per decidere se dovessi dire qualcosa

mentre mi guidava verso il suo appartamento. Quasi lo accennai quando passammo accanto alla mia auto, ma poi mi ripetei che doveva essere la storia di una notte. Abitavamo a un edificio di distanza. Grazie a Dio. E se avesse abitato proprio accanto a me e avessi dovuto incontrarlo tutti i giorni dopo l'esperienza di sesso, senza dubbio orrenda, che stavo cercando di avere con lui?

Arrivammo alla sua porta d'ingresso.Nessuna traccia del fabbro.La pelle del polpaccio era bollente, come se fossi stata in

piedi accanto a un fuoco acceso.Mi diede un rapido sguardo, con aria preoccupata, poi tirò

fuori il cellulare.Premette due volte il tasto per avviare la chiamata,

ricomponendo l'ultimo numero che aveva fatto.Per parlare si allontanò da me e io mi appoggiai

pesantemente al muro accanto alla porta. Evidentemente, non

era destino che facessi sesso. Era Dio che mi diceva che era destino che mi facessi suora. Vattene in un convento, va', e tutta quella roba lì.

Vaneggiavo così tanto da confondere Dio e Shakespeare.Garrick ritornò. Anche la sua espressione corrucciata era

stupenda.«Cattive notizie. Il fabbro è bloccato da qualche parte e non

sarà qui prima di un'altra ora.»Cercai di non trasalire, ma non ci riuscii.Si inginocchiò e con le dita mi accarezzò lo stinco,

fermandosi qualche centimetro a destra della scottatura. Fortunatamente mi ero depilata. Inspirò a fondo ed espirò lentamente dal naso. Chiuse gli occhi per un istante e poi annuì.

«D'accordo. Be', in tal caso, forse dovremmo andare al pronto soccorso.»

«Come? No!»Che cosa avrebbe detto Kelsey? Ero uscita con l'obiettivo di

fare sesso e invece finivo al pronto soccorso. Che vita di merda.

«Bliss, la bruciatura non è troppo brutta, ma se non la curi subito ti farà un male cane.»

Rovesciai la testa all'indietro contro il muro e soffiai via dei capelli dal viso. «Io non abito molto lontano. Possiamo andare da me e basta.»

«Oh, va bene.»Sul suo volto tornò un cauto sorriso e per un millesimo di

secondo fui troppo sopraffatta da altri sentimenti per ricordarmi del dolore che provavo. Continuò, «Dovremo fare attenzione quando risali sulla moto. Non è il caso che ti scotti di nuovo.»

Mi morsi il labbro inferiore. «A dire il vero non c'è bisogno di risalire sulla moto.»

Inarcò un sopracciglio, con grazia.«Quando ho detto che non abito molto lontano, intendevo

che vivo nel prossimo gruppo di case.»A quel punto inarcò entrambi i sopraccigli. La sua sorpresa

durò solo un secondo, prima che un'espressione diversa gli attraversasse il viso: un'espressione più difficile da definire, che portò le farfalle nel mio stomaco a prendere il sopravvento.

«Allora andiamo nel tuo appartamento... vicina.»Sentivo cedere le ginocchia, e non solo a causa del dolore.Deglutii, ma la gola rimase secca. Non mi circondò di

nuovo con il braccio, ma le sue dita toccarono delicatamente la mia schiena e poi, mentre camminavamo, si fermarono lì. Arrivammo al mio appartamento in meno di un minuto. Mentre frugavo alla ricerca delle chiavi, la sua mano si spostò verso il basso e, per un attimo, mi dimenticai cosa stessi cercando.

Le chiavi. Del mio appartamento.Nel quale lui stava per entrare.Con me.Da soli.Per fare sesso.Sesso.Sesso.Sesso.Sembrava che le dita non mi funzionassero mentre cercavo,

senza riuscirci, di infilare la chiave nella serratura. Non disse una parola né, per fortuna, mi prese le chiavi di mano, perché altrimenti mi avrebbe fatto incazzare sul serio. Potevo anche essere esaurita, mentalmente, emotivamente e fisicamente, ma non avevo certo bisogno di un ragazzo che girasse una chiave al posto mio. La sua mano rimase tranquilla, delicata e paziente sulla mia schiena, finché obbligai la porta ad aprirsi.

Quando feci un passo avanti nel corridoio buio, la sua mano non mi seguì. Mi voltai a guardarlo, in piedi nel mio portico, le mani ora infilate con naturalezza nelle tasche. Aveva un sorriso sbilenco, tenero e così stupendo da togliere il fiato. Ma sembrava non avere nessuna intenzione di entrare. Ecco, aveva

cambiato idea. Perché io ero un casino totale. Perché non avrebbe dovuto?

Inspirai, ripetendomi che ero fantastica. Che non ero insicura o timida. Che ero solo vergine. Una cosa da poco. E che, se volevo non essere più vergine, dovevo fare sesso. Tempo di diventare uomini, cioè... donne!

«Stai aspettando un invito?» domandai guardandolo rimanere fuori dalla porta, indeciso. «E' il momento in cui mi dici che sei un vampiro?»

Ridacchiò. «No, giuro che il pallore dipende solo dal fatto che sono inglese.»

«E allora che cosa stai aspettando? Che cos'è successo al ragazzo che mi ha fatto sedere con lui per scoprire quale fosse il suo nome e che mi ha detto senza mezzi termini che non voleva tornassi dalla mia amica?» Cosa ne era stato di quella sfacciataggine che io potevo solo fingere di avere?

Fece un passo avanti, fermandosi nel vano della porta, e si appoggiò allo stipite. «Quel ragazzo sta cercando di comportarsi da gentiluomo, perché per quanto desiderasse farti tornare a casa con lui e per quanto abbia voglia di baciarti... ti sei fatta male e ho paura che tu non mi voglia davvero qui.»

«Intendi, che 'ha paura'.» «Eh?»«Stavi parlando in terza persona e poi sei passato alla

prima...» Farneticavo.«Sì, è vero.» Stava ancora sorridendo. Che cosa significava?

«È stato un piacere conoscerti, Bliss.»Questa sarebbe stata la soluzione più semplice se non avessi

voluto andare avanti. Se avessi voluto che la mia verginità vedesse la luce del giorno... un'altra volta. Se ne stava andando. Dovevo solo lasciarlo andare.

«Aspetta!»Fece un sorrisino, a fior di labbra, e sollevò di nuovo quel

sopracciglio.Superando la paura riuscii a mormorare, «Se sta cercando di

comportarsi da gentiluomo, non dovrebbe forse rimanere e cercare di aiutare la ragazza ferita che non sa nulla di come si curano le bruciature da moto?»

Staccò gli occhi dai miei per guardare il mio polpaccio e, quando li sollevò di nuovo, li fermò sulle mie labbra.

«La ragazza ferita ha ragione. Sarebbe la cosa più galante da fare.»

Poi entrò nell'appartamento e chiuse la porta.La luce che proveniva della strada scomparve e ci

ritrovammo al buio, perché la lampadina del corridoio si era bruciata settimane prima e non l'avevo ancora sostituita.

Quando fece un altro passo verso di me, riuscii a sentire il calore che sprigionava. La sua mano si appoggiò di nuovo sulla parte bassa della mia schiena e lui mi sussurrò nel buio, «Fammi strada, tesoro.»

Capitolo quattro

Ero in piedi nel baglio, in canottiera e mutandine, con i pantaloni abbassati all'altezza delle ginocchia, quasi in iperventilazione. Garrick, fuori dalla porta, era come una calamita: il cuore continuava a cercare di saltarmi fuori dal petto per raggiungerlo. Mi aveva detto di togliere i jeans e che per un po' di tempo non avrei dovuto indossare abiti stretti sulla ferita. Si era offerto di aiutarmi a togliere i pantaloni, ma mi ero sentita di nuovo come se fossi stata sul punto di vomitare. Quindi avevo cominciato a sfilarli, provando, senza riuscirci, a fare in modo che il tessuto non toccasse la pelle bruciata.

Abbassai ancora un po' i pantaloni, mordendomi le labbra per cercare di silenziare un gemito.

«Bliss?» Garrick bussò delicatamente alla porta. «Tutto bene?»

«Benissimo» risposi.Ritirai su i pantaloni e rantolai.«Bliss, lascia che ti aiuti. Mi stai facendo preoccupare.»Chiusi gli occhi, cercando di pensare a un modo per uscire

da quella situazione. Arrancando goffamente con i jeans intorno alle ginocchia, trovai una gonna con la vita elasticizzata nel cesto della biancheria. Me la infilai da sopra la testa e la tirai giù per coprire le mutandine, poi mi sedetti sul gabinetto.

Mi toccai le guance, certa che fossero di una mortificante sfumatura di rosso. Non potevo farci niente adesso. «Va bene. Entra.»

La porta si aprì lentamente e la testa di Garrick fece capolino, seguita dal resto del suo corpo. Diede un'occhiata alla mia gonna sgualcita e ai jeans arricciati intorno alle ginocchia.

Poi scoppiò a ridere. A ridere di gusto, a dire il vero.«È così umiliante.» Come avrei potuto fare sesso con lui

adesso?Strinse le labbra per cercare di non ridere, ma nei suoi occhi

balenava ancora il divertimento.«Mi dispiace. Lo so che ti fa male. E' solo che sei così...»«Ridicola?»«Bella.»Lo gelai con lo sguardo.«Ridicolmente bella.»Il suo sorriso era inebriante e non potei fare a meno di

sorridere a denti stretti.«D'accordo. Adesso che ti sei fatto una bella risata, aiutami

a togliere i pantaloni,» dissi con lo stesso sarcasmo su cui avevo fatto affidamento da quando era entrato.

O non colse il sarcasmo o non ci fece caso e basta, perché mi fissò con uno sguardo che potevo descrivere solo come assolutamente da predatore. All'improvviso, non bruciava più solo la gamba.

Mi fissò per un istante prima di abbassare gli occhi e schiarirsi la gola. In ginocchio accanto a me, prese la mia gamba tra le mani.

Avevo già cominciato ad abbassare i pantaloni, perciò al momento la bruciatura era coperta. Avvicinò la mano alla cerniera dei jeans, che ora si trovava all'altezza delle mie cosce. Si schiarì la gola di nuovo e poi fece scivolare la mano all'interno della gamba dei pantaloni.

Un attacco... Un attacco di cuore.Ero quasi certa di averne uno.Usando l'altra mano tirò i jeans più giù che potè, appena al

di sopra delle mie ginocchia. Alzò lo sguardo verso di me, si schiarì la gola di nuovo e disse, «Posso prendere in prestito la tua mano?»

Non riuscivo a parlare, ma allungai in avanti la mano destra,

il cui palmo era sudato in modo imbarazzante. La prese tirandola all'interno della gamba dei pantaloni finché raggiunse la sua.

«Tienila qui e stacca il più possibile il tessuto dalla gamba. Io farò la stessa cosa dal fondo e cercheremo di sfilarti i pantaloni senza toccare la bruciatura.»

Annuii, con la mano dieci volte più salda del cuore.La sua mano scivolò verso l'alto e verso l'esterno e il suo

tocco leggero mi fece fremere. Fece come aveva detto, sollevando dal basso il tessuto perché non toccasse la pelle, e poi insieme cercammo di sfilare i pantaloni.

Non fu la missione più riuscita del mondo. I jeans, grazie a Kelsey, erano indecentemente attillati e di tanto in tanto il tessuto urtava la pelle e io sussultavo.

«Scusa,» si scusava ogni volta, come se fosse stata colpa sua. Avrei voluto correggerlo, ma adoravo troppo il modo in cui diceva «Scuuu-sa» perciò mi trattenni.

Dopo un paio di minuti di lente e caute manovre, i jeans caddero sul pavimento.

Scoppiammo a ridere entrambi, come scoppiano a ridere le persone nei film, subito dopo che hanno disinnescato una bomba. Quando smisi di ridere, mi accorsi che le sue mani erano ancora sulla mia gamba. Una intorno alla caviglia, l'altra mi accarezzava delicatamente la pelle vicino alla bruciatura.

Se avesse continuato a toccarmi in quel modo, mi sarei sciolta sul pavimento di fronte a lui.

«Ehm, grazie.»Sembrò rendersi conto solo in quel momento di cosa stesse

facendo. Spostò velocemente lo sguardo sulle sue mani ma, invece di tirarle subito indietro, fece un largo sorriso, mi sfiorò tutta la gamba verso il basso e poi la lasciò andare.

«Non c'è problema. Adesso dobbiamo raffreddarla. Possiamo metterla sotto l'acqua.» Mi vidi con la gamba sollevata nel lavandino, o mentre cercavamo entrambi di

girarci nella vasca da bagno. La mia espressione doveva averlo rivelato perché aggiunse, «Oppure va bene anche una pezza bagnata.»

Gli allungai un asciugamano da un cesto alle mie spalle e lui aprì il rubinetto del lavandino e aspettò che l'acqua si raffreddasse prima di bagnarlo.

Inspirai rumorosamente quando me lo appoggiò sulla bruciatura, ma il freddo mi fece bene e, per la prima volta da quando eravamo entrati nel mio appartamento, riuscii a rilassarmi.

«Meglio?»Annuii, «Decisamente. Non indosserò mai più jeans così

attillati.»Sorrise malizioso. «Quello sì che sarebbe un vero peccato.»Se avesse continuato a dire cose del genere, avrei avuto

bisogno di un ventaglio per farmi aria.«Senti,» cominciò. «Mi dispiace per quello che è successo.

Non avrei mai dovuto forzarti a salire su quella moto.»«Non è colpa tua se io di moto non so niente e non ho

realizzato che il tubo sarebbe stato bollente.»«Non ci credo che non eri mai stata su una moto.»«Sì, be', ci sono un sacco di cose che non ho mai fatto.»Inarcò un sopracciglio. «Per esempio?»«Be'...» Giuro che i battiti del mio cuore, che mi

rimbombavano nelle orecchie, sembravano dire scema, scema, scema.

«Ehm, fino a oggi non avevo mai conosciuto un inglese.»Rise, passandosi inconsciamente le dita tra i capelli. Mi fece

venire voglia di passargli le mie di dita tra i capelli.Disse, «E' per questo che mi hai baciato, vero? Voi ragazze

americane sembrate andare matte per gli accenti.»Ricacciai indietro un sorriso e dissi, «Mi pare che sia stato

tu a baciare me.»Si alzò e i capelli biondi in disordine gli ricaddero sulla

fronte, incorniciandogli quei diabolici occhi. «Sì, sono stato io.»

Mise di nuovo l'asciugamano sotto l'acqua per raffreddarlo, ma il mio corpo era troppo surriscaldato per notare davvero la differenza quando me lo appoggiò sulla pelle. L'altra sua mano si fermò ancora intorno alla mia caviglia.

Cercai di controllare il respiro il più possibile e dissi, «Tocca a te.» «Eh?»

«Dimmi qualcosa che non hai mai fatto.»«Be', non ho mai abbordato una ragazza in un pub prima di

stasera.»Spalancai la bocca per lo stupore. «Davvero?» Com'era

possibile? Lui era stupendo! Forse le ragazze gli si gettavano ai piedi prima ancora che riuscisse a metterci piede, nei locali, quindi non doveva neppure prendersi il disturbo di entrare.

Alzò le spalle e, con quel gesto, il suo pollice cominciò a muoversi in su e in giù sul collo del piede.

«So che è in contraddizione con lo stereotipo dell'inglese, ma non sono mai stato il tipo da uscire a sbronzarsi, cioè ubriacarsi, spesso.»

«Neanch'io,» dissi. Ed ero sincera, anche se avevo ancora la testa leggermente confusa da tutta quella tequila. «Quindi che cos'ha portato questo britannico non-convenzionale in Texas?»

Alzò le spalle. «Sono negli Stati Uniti da un po'. Sono venuto qui per studiare e non me sono mai andato. Anche se sono appena tornato in Texas dopo qualche anno di lontananza.»

«Anch'io. Sono tornata qui qualche anno fa.»Ero cresciuta in Texas ma ci eravamo trasferiti in Minnesota

all'inizio delle superiori. Avevo sempre avuto l'intenzione di tornare qui per il college.

Bagnò un'altra volta l'asciugamano e rimanemmo lì seduti a parlare. Mi raccontò dell'infanzia in Inghilterra e di quanto fosse diverso vivere negli Stati Uniti.

«La prima volta che un tipo, guardando le mie gambe, mi ha detto che gli piacevano i miei pants, rimasi così scioccato che pensai di essere uscito di casa dimenticando qualcosa di fondamentale.»

«I pantaloni? Non capisco.»«È come chiamiamo la biancheria intima, tesoro.»«Oh,» risi. «Buono a sapersi.»«E quella volta che ho chiesto in prestito a un compagno di

classe una gomma per cancellare chiamandola rubber**, scoppiarono tutti a ridere così forte che stavo per prendere il primo volo per tornare dritto a Londra.»

Cercai di trattenermi dallo scoppiare a ridere, senza riuscirci. Immaginavo che se lo meritasse dopo aver riso dei miei pants, o meglio dei miei jeans, come l'esperienza insegna.

«Dev'essere stato orribile.»Si allungò verso la garza che avevo tirato fuori

dall'armadietto in precedenza e la mise con cura sulla bruciatura, abbassandone i bordi mentre parlava.

«Ci si fa l'abitudine. Ormai sono qui da talmente tanto tempo che di solito me la cavo abbastanza bene. Di tanto in tanto, quando vado a Londra e poi torno, ho qualche difficoltà ad abituarmi, ma nel complesso direi che sono piuttosto americanizzato.»

«Tranne che per l'accento.»Sorrise. «Non posso liberarmi dell'accento ora, no? Poi

come farei ad attirare l'attenzione di bellezze come te?»«Leggendo Shakespeare in un pub, ovviamente.»Scoppiò a ridere e il suono della sua risata si diffuse in tutto

il mio corpo, allentando parte della tensione che provavo.«Sei bella,» disse.Roteai gli occhi. «Sì... ma in modo ridicolo, come abbiamo

stabilito prima.»** Negli Stati Uniti, termine colloquiale per «preservativo». (N.d.T.)

«Ti sentiresti meglio se ti dicessi che sei ridicolmente sexy?»

Di botto, la calma che avevo provato prima scomparve e cominciai ad avere il fiato corto. Non avevo una risposta. Che cosa avrei potuto rispondere?

«Che cos'è quella faccia?» domandò.Non avevo idea di quale tra quella moltitudine di emozioni

si fosse manifestata sul mio viso, perciò alzai le spalle.«Ti comporti come se nessuno ti avesse mai detto prima che

sei sexy.» Forse perché davvero non me l'aveva mai detto nessuno. «E so che non può essere vero, non quando sei com'eri stasera. Riuscivo a malapena a trattenermi dal toccarti e ci eravamo appena conosciuti. Sarei stato in imbarazzo se non mi fosse piaciuto tanto.»

Ecco. Potevo anche non aver mai fatto sesso, ma ne sapevo abbastanza da capire quando un ragazzo ci provava con me. E, incredibile, non mi importava. L'unica cosa che mi interessava era il fatto che fosse seduto così vicino a me e che mi stesse facendo impazzire. Con la mano, mi stava ancora accarezzando dolcemente la caviglia e se non mi avesse baciato di nuovo, subito, avrei preso fuoco. «Guardami, anche adesso non riesco a tenere le mani lontane da te.»

Deglutii, ma provai la stessa sensazione che avrei provato mandando giù una manciata di sabbia.

Si mise in ginocchio e la sua mano passò dalla caviglia alla parte esterna del polpaccio non ferito. Rimasi seduta sul gabinetto, sbalordita, con i suoi fianchi a qualche centimetro dalle mie ginocchia.

«Dimmi che non sono matto,» disse.Non ci riuscivo. Al momento non ero neppure lontanamente

nazionale a sufficienza da poter dare consigli a nessuno.«Dimmi che posso baciarti.»Quello... quello ero in grado di farlo!«Puoi bacia...»

Non feci neppure in tempo a finire la frase che le sue labbra si appoggiarono sulle mie e mi dimenticai completamente della bruciatura.

Capitolo cinque

Il bacio finì troppo presto.Senza che potessi evitarlo, dalla bocca mi uscì un

imbarazzante gemito di disappunto. Fortunatamente Garrick non era ancora stufo. Si alzò e mi tirò su prendendomi per i gomiti. Mi attirò verso di sé finché i nostri corpi si incastrarono come non sarebbe stato possibile quando ero seduta.

«Così va meglio,» disse.Non mi preoccupai di dargli ragione. Mi alzai in punta di

piedi e lo baciai.In confronto al bacio di prima, questo fu lento, esplorativo,

ed ebbe lo stesso effetto che hanno i ramoscelli su una fiamma. Mi mise una mano dietro al collo, mentre con il pollice premeva delicatamente sulla clavicola. L'altra mano passava dai capelli alla schiena, fino al fianco, e poi tornava indietro.

Per una volta nella vita, mi concentrai semplicemente sulla sensazione che provavo sentendo il corpo di un ragazzo attaccato al mio, il tocco lieve della sua lingua sulla mia, la sensazione pungente di calore dove le sue dita premevano sulla mia pelle. Non pensavo a nulla, né al mio respiro, né che le mie mani fossero o meno al posto giusto, né a cosa si aspettasse da me. Mi persi completamente in lui.

Le mie mani erano rimaste ferme sui suoi fianchi e anche a me venne voglia di esplorare un po'. Le alzai e le portai sulla sua pancia, tra di noi. Quando mi mossi, premette un po' di più le labbra sulle mie. La sua lingua si spinse un po' più in fondo. Feci scivolare ancora le mani verso l'alto, sentendo la forma scolpita del suo corpo sotto il tessuto della camicia. Quando la mia esplorazione raggiunse il petto, con la mano che mi teneva

sul fianco mi attirò a sé e la mia pancia fu schiacciata contro di lui.

Riuscivo a sentire quanto mi desiderasse e un senso di ansia cominciò a fluire dalla mia spina dorsale. Poi cominciò a baciarmi con più vigore e più velocemente e io faticavo a stargli dietro e dovetti ignorare il mio nervosismo.

Lasciai una mano sul suo petto e con l'altra gli cinsi il collo, e mi alzai ancora di più sulla punta dei piedi, in modo che i miei fianchi fossero alla stessa altezza dei suoi.

Garrick interruppe il bacio espirando forte sulle mie labbra. L'azzurro brillante che gli avevo visto prima negli occhi era quasi del tutto nascosto dal nero delle pupille. Mise una mano sulla mia guancia, passandomi il pollice sul labbro inferiore. Per alcuni lunghi secondi, mi studiò e basta.

«Tu sei ridicolmente sexy, sai.»Riappoggiai i talloni per terra, i polpacci mi bruciavano

troppo per continuare a rimanere in punta di piedi. Non riuscivo più a guardarlo negli occhi. Ogni volta che avevo quasi spento del tutto il cervello, lui diceva qualcosa che lo riaccendeva. Dissi, «Sai che non avevi bisogno di dirlo. Ti stavo già baciando.»

«E che bacio!» Con il pollice mi sfiorò di nuovo il labbro e poi mi fece alzare ancora il viso verso di lui. «Mi piacerebbe rifarlo in un posto che non sia il bagno.»

«Oh, d'accordo.» Mi stava chiedendo di andare in camera da letto? Ero quasi certa che mi stesse chiedendo di andare in camera.

Armeggiai con il pomello per qualche secondo prima che la mia mente annebbiata riuscisse ad aprire la porta. Uscimmo di nuovo nel corridoio buio e la sua mano ritrovò ancora una volta la mia schiena.

«Mi dispiace, la lampadina del corridoio è bruciata e non ho ancora avuto modo di cambiarla.»

Quando mi rispose, le sue labbra erano proprio dietro al mio

orecchio, «Il buio non è un problema.»Mi venne la pelle d'oca.Entrammo in soggiorno e accesi una luce, che stranamente

funzionava. Il mio appartamento era un loft, un open space su un unico piano. Due muri erano in mattoni, gli altri erano dipinti di un bel color prugna. Il soffitto era alto e attraversato da tubi a vista che si incrociavano sopra di noi. La camera da letto era spostata sulla destra e, dato che non c'era una porta, era separata dal soggiorno solo da una tenda color lavanda.

«Be', questo è il soggiorno.» Feci un cenno con la mano, incerta se si aspettasse di fare un giro o se dovessi saltarlo e andare dritta in camera. Non l'avevo mai fatto prima, quindi non sapevo proprio se fossero necessari i tradizionali gesti di cortesia. Mentre lui faceva il giro della stanza, osservando un quadro qui e un gingillo là, il mio cuore correva all'impazzata.

«È carino. Ti si addice, credo.»Mi illuminai. Adoravo il mio appartamento; mi faceva

sempre sentire come in un episodio di Friends.«Mi vergogno a dire che da me ci sono ancora un sacco di

scatoloni. Non sarebbe stato l'ideale per un'interessante visita guidata.»

Accidenti, come avrei voluto essere nel suo appartamento, così avrebbe avuto lui il controllo della situazione. Odiavo non sapere che cosa dovessi fare dopo.

Il suo sguardo si spostò sulla tenda che conduceva alla mia camera da letto. Fu questione di un attimo, poi i suoi occhi tornarono quasi immediatamente alla lampada che aveva accanto. Ma ebbi lo stesso il tempo di accorgermene.

Ecco. Stavo per fare sesso.Dovevo dirglielo che ero vergine? Sì, dovevo dirglielo.Dovevo dirglielo ora? O subito prima?Mi ricordai del consiglio di Kelsey e mi obbligai a mettere a

tacere le mie paure. Abbassai così tanto il volume da riuscire a fare finta di non pensare per niente.

Prima di potermi tirare indietro, mi avvicinai a lui e gli porsi la mano. La prese immediatamente e io lo condussi oltre la tenda, nella mia camera da letto. Non c'era alcun lampadario, quindi accesi una lampada sulla mia destra e poi mi allontanai per accenderne un'altra accanto al letto.

Quando mi voltai verso di lui, aveva in mano la minigonna indecentemente corta che Kelsey mi aveva fatto provare prima.

I nostri occhi si incontrarono e il suo largo sorriso mi diede l'impressione che i miei polmoni stessero per collassare. Gli strappai la gonna dalle mani, tirai su gli altri vestiti che erano ancora sul letto e buttai tutto nell'armadio.

«Mi dispiace.»«Non mi pare di essermi lamentato.»Sollevai un sopracciglio e dissi, «Scordatelo. Non mi vedrai

mai con quella gonna addosso.»«Mai? È una sfida, tesoro?»«E' una promessa.»Girò intorno all'angolo del letto per raggiungermi nello

spazio tra il letto e il muro. «Mi farebbe davvero piacere aiutarti a infrangere quella promessa.»

Mi mise una mano sulla spalla, infilando l'indice sotto la spallina della mia canottiera.

«Sono certa che ti farebbe piacere aiutarmi a fare molte cose.»

La sua mano strinse la spalla e i suoi occhi si abbassarono sulle mie labbra.

«Sì, hai ragione.»Poi mi baciò.Questa volta non si preoccupò di essere delicato e dolce. Nel

suo bacio c'era una disperazione famelica che mi fece ansimare nella sua bocca. Con i denti mi tirò il labbro inferiore, come aveva fatto prima con il pollice, e in risposta tutto il mio corpo fremette. Si piegò leggermente in avanti e mi circondò la vita con un braccio, tirandomi verso di sé e sollevandomi in modo

che i nostri corpi fossero perfettamente allineati.I miei piedi toccavano a malapena il pavimento, ma non

importava: ci pensava lui a tenermi su. Affondai le mani nei suoi riccioli scomposti e mi immersi nel bacio. Fece qualche passo all'indietro e si sedette sul bordo del letto. D'istinto, misi le gambe a cavalcioni su di lui. La mano che era stata intorno alla mia vita si spostò sul sedere e lui mi attirò a sé.

Se avevo avuto qualche dubbio su dove saremmo arrivati, a quel punto scomparve. Mi attirò ancora di più verso di sé, inclinando allo stesso tempo le anche, e io interruppi il bacio, ansimando. La sua bocca scivolò lungo la mia mandibola. Poi le sue labbra indugiarono nell'incavo del collo, dove la sua lingua sfiorò la mia pelle sensibile. Continuò a scendere lungo la clavicola, fino al punto in cui la canottiera gli impediva di andare avanti. Pensavo si sarebbe fermato, invece fece scivolare giù la spallina della canottiera e le sue labbra non si staccarono mai dalla mia pelle. L'altra mano s'intrufolò sotto la canottiera dal basso, stuzzicando la pelle intorno alla cintura della gonna.

Avevo ancora le mani intrecciate ai suoi capelli, strinsi la presa e tirai di nuovo il suo viso verso il mio. Mentre ci baciavamo, la sua mano cominciò a sfiorarmi più in alto, fermandosi sulle costole; sentivo bruciare la pelle lungo il percorso. Quando con la mano mi strinse il seno, mi piegai verso di lui e lui gemette. La gonna che mi ero infilata prima si era sollevata intorno alle cosce e tra di noi non c'era quasi niente. Inclinai di nuovo il bacino in avanti e, questa volta, fui io a gemere. Quando la sua mano trovò il fondo della canottiera, lo sollevò e me lo fece passare sopra la testa.

Interrompemmo il bacio per lasciar passare la stoffa tra di noi. Quando mi percorse con lo sguardo, resistetti alla tentazione di coprirmi. Fortunatamente, potevo ringraziare Kelsey che aveva insistito perché mi mettessi un bel completino. Ne avevo scelto uno di pizzo nero e bianco.

Quando mi guardò, lo fece mostrando un desiderio così evidente che capii che non gli importava nulla del rotolino di ciccia che mi aveva angustiato prima. Mentre con la mano destra mi palpava delicatamente il seno, con la sinistra trovò il mio collo. Attirò il mio viso al suo. Pensavo mi avrebbe baciato di nuovo, ma all'ultimo si spostò e premette la guancia contro la mia. Mi diede un bacio sulla parte finale della mandibola, proprio sotto l'orecchio. Accidenti, fu davvero incredibile. Fu solo un piccolo bacio innocente, ma io reagii stringendogli i capelli e spingendo le anche contro le sue. Le sue labbra mi sfiorarono l'orecchio quando sussurrò, «Ho detto ridicolmente sexy? Intendevo incredibilmente sexy.»

Ero incredibilmente eccitata.Mi baciò di nuovo e poi si girò e mi stese sul letto. Si fermò

per togliere la camicia sfilandola dalla testa e, per la prima volta, riuscii a vedere le forme scolpite che mi avevano affascinato prima. Mentre avevo ancora le gambe intorno ai suoi fianchi, si sollevò sulle ginocchia e si fermò di nuovo per studiarmi.

Era questo il momento in cui dovevo dirglielo. Dovevo dirlo e basta. Sputare il rospo.

Sono vergine.Solo due parole.Niente di così difficile, no?Deglutii e mi schiarii la voce.In quel momento abbassò la testa, mi premette le labbra

sulla pancia e tutti i miei pensieri scomparvero.

Capitolo sei

Era possibile che non arrivassi a fare sesso con lui. Da come percorreva il mio corpo con le labbra, sarei morta per autocombustione prima ancora di arrivare al punto.

Le sue dita scivolarono lungo le mie cosce, poi mi accarezzarono sul fianco, subito sotto l'elastico delle mutandine. Nel mio cervello ci fu un'esplosione e fui pervasa dal panico.

Avrei fatto schifo... probabilmente sarei stata la persona peggiore con cui fosse mai stato. E poi non avrebbe più voluto vedermi (mentre io volevo davvero rivederlo). Probabilmente sarei rimasta traumatizzata e non avrei mai più voluto fare sesso, il che avrebbe significato che ogni relazione della mia vita sarebbe stata destinata al fallimento e io sarei finita sola e infelice con nove gatti e un furetto.

Non volevo finire sola e infelice con nove gatti e un furetto.Con una mano mi scostò le mutandine e io mi sentii

tutt'altro che infelice.Mi si stava annebbiando la vista, tutte le sensazioni del mio

corpo sembravano convergere nel punto in cui mi toccava, era da infarto, meraviglioso. Le sue dita dentro di me raggiunsero un punto che mi fece inarcare verso di lui. Abbassò la testa e cominciò a baciarmi sul petto.

Le mie mani erano diventate autonome mentre gli stringevano la schiena, poi scivolarono sulla pancia, dove gli aprii il bottone dei jeans. Emise un suono roco e le sue labbra crollarono sulle mie. Mi baciò appassionatamente, schiacciandomi sul materasso. I baci si fecero più intensi e veloci, e io avevo bisogno di qualcosa di più. Feci scivolare la

mano sulla pelle tesa della sua pancia, fino al davanti dei jeans. Poi le sue labbra si separarono dalle mie con un gemito. Non si tirò indietro ma tenne le labbra a qualche millimetro dalle mie. Aveva il respiro accelerato.

«Oddio, Bliss...»Mi diede un ultimo lungo bacio sulle labbra e poi si tirò su

fino a trovarsi in ginocchio sopra di me. Sentii il tintinnio metallico della sua cerniera e, mentre armeggiava con i vestiti, tenni gli occhi fissi sulla forma delle sue spalle. Si alzò per qualche secondo e io fissai il soffitto. Volevo farlo. Terribilmente.

Stavo per ripetere un'altra volta il mio mantra, quando le sue labbra e le sue mani arrivarono di nuovo su di me, concitate, quasi disperate.

Sentivo la pressione crescere dentro di me e ogni muscolo delle mie gambe era teso mentre aspettavo quello che sapevo sarebbe arrivato.

Mi abbassò le mutandine e sistemò il suo corpo tra le mie cosce, poi fu come se mi avessero appena coperto di ghiaccio.

Stavo per fare sesso.Con un ragazzo che avevo appena conosciuto, di cui non

sapevo assolutamente nulla.E lui non sapeva niente di me... compreso il fatto che ero

vergine.Accidenti, volevo andare fino in fondo. Ero stufa di essere

vergine e lui era incredibilmente sexy, ma quella non ero io.Non potevo farlo. Non con lui.Io... non potevo.Mi bloccai sotto di lui, ma la sua bocca continuò a indugiare

nel punto di congiunzione tra il collo e la spalla.Avrei dovuto dirgli che ero vergine, o che non ero pronta.

Non sarebbe stato bello né facile, ma almeno avrebbe capito... probabilmente.

Invece i miei occhi si fermarono sulla biscottiera in

porcellana a forma di gatto che avevo ereditato dalla mia bisnonna e il mio cervello elaborò una scusa ridicola usando la prima cosa che mi venne in mente.

«Fermo! I gatti! Fermo...»Cosa diavolo stavo dicendo?Gli appoggiai le mani sulle spalle e lo sollevai leggermente.Lui si tirò indietro, gli occhi scuri, i capelli in disordine e le

labbra gonfie per i baci. A quel punto quasi cambiai idea. Aveva un aspetto quasi irresistibile. Quasi.

«Scusa, tesoro. Hai detto 'i gatti'?»«Sì, non posso farlo... adesso. Perché... ho un gatto. Sì, ho

un gatto che devo... ehm, andare a prendere. Occuparmene! Devo occuparmi del mio gatto! Quindi non posso farlo.» Indicai noi due, confidando in Dio perché non gli sembrassi pazza come lo sembravo a me. Improbabile.

Non ce l'ho neanche, un gatto!

Non so quali sinapsi si fossero inceppate nel mio cervello, ma avevo voglia di prendermi a calci. Avevo voglia di prendermi a pugni in faccia finché non fossi svenuta. In quel momento, sarei probabilmente riuscita a buttarmi in una vasca di acido cloridrico senza neppure il bisogno di un discorso di incoraggiamento.

La sua mente doveva essere annebbiata quanto la mia, perché si fermò per qualche secondo, analizzando la situazione, poi si guardò intorno.

«Non vedo nessun gatto.»Mi si stava seccando la gola, come mi succede sempre

quando mento. Ero una pessima bugiarda, come io stessa stavo dimostrando piuttosto apertamente.

«Perché... non è qui. Sì. Il gatto di mia proprietà non è qui perché... Devo andare a prenderla. Mi sono dimenticata che dovevo andare a prenderla.»

Diede un'occhiata all'orologio, che segnava mezzanotte e venti minuti.

«Devi andare a prenderla adesso?»

Lo allontanai di nuovo e, questa volta, rotolò via da me spostandosi agilmente di lato. Lui era completamente nudo mentre io ero in reggiseno e gonna, con le mutandine ancora attorno a una caviglia.

«Sì... è dal veterinario! E' un... ehm, veterinario aperto ventiquattr'ore su ventiquattro...»

«Un veterinario aperto ventiquattr'ore su ventiquattro?»«Uh, sì. Ce ne sono qui... in America. Ecco.» Quell'acido

cloridrico sembrava incredibilmente attraente adesso. «Sarei dovuta andare a prenderla ore fa.»

«Non puoi andare domattina?»Cercai di rimettere le mutandine nell'altra gamba e caddi

all'indietro, finendo di culo sul parquet.«Oddio, Bliss!»Saltò giù dal letto e si inginocchiò accanto a me, cosa che

mi agitò ancora di più considerato che lui era ancora nudo e ancora... pronto.

«Sto bene, giuro. Sto bene. E' solo che se... se non vado a prenderla stasera, dovrò pagare un sovrapprezzo, e non posso permettermelo.»

«Be', lascia che mi vesta e venga con te.»«No! Ehm... no, non ce n'è bisogno. Il tuo fabbro non

dovrebbe stare per arrivare?» Finii facendo un sorriso che speravo dicesse «è una cosa da poco,» ma sono certa che sembrasse più un Sono pazza, scappa finché sei in tempo!

Diede un'occhiata all'orologio, il viso stupendo segnato da un'espressione corrucciata.

«Immagino di sì.»«Fantastico. Devo... Devo scappare. Tu puoi... ehm, uscire

quando sei...» I miei occhi vagarono di nuovo sul suo corpo e mi sentii come se fossi stata lì lì per sciogliermi in una pozza di stupidità, mortificazione ed eccitazione. «Quando sei... ehm, pronto. Ehm, quando hai finito. Ehm, quando ti pare.»

Poi scappai via, superando la tenda che riparava la camera

da letto dal resto dell'appartamento, e me la diedi a gambe dalla porta, ignorandolo mentre urlava il mio nome.

Fu solo quando arrivai a metà del parcheggio che mi accorsi:

1 Che ero senza scarpe. E senza canottiera.2 Che non avevo preso le chiavi. Né nient'altro, a dire il

vero.3 Che avevo appena lasciato un perfetto estraneo nel mio

appartamento. Nudo.Chiunque dicesse che le avventure di una notte sono

semplici e senza conseguenze, di certo non aveva mai incontrato un disastro come me.

Capitolo sette

Quattro.È il numero di persone che mi videro mentre mi nascondevo

dietro l'angolo di casa, con addosso solo una gonna e il reggiseno.

Undici.È il numero di punture di formica che mi ritrovai sui piedi

scalzi.Ventisette.E' il numero di volte che fui tentata di farmi del male fisico

per essere una vera cretina.Uno.È il numero di volte che cercai di non piangere, fallendo

miseramente.Dopo che me ne fui andata, Garrick rimase nel mio

appartamento per dieci minuti abbondanti. Per tutto il tempo, il mio cervello fu come quello di un bambino di cinque anni che ha appena bevuto una damigiana di bevanda energetica. Che cosa stava facendo dentro? Si stava solo vestendo mooooolto lentamente? Stava rovistando tra le mie cose? Stava distruggendo casa mia perché ero scappata via lasciandolo lì come il più cretino dei sostenitori di Kanye West agli MTV Video Music Awards del 2009?

Quando finalmente uscì, lo vidi chiudere la porta e poi fermarsi. Osservò il numero metallico dell'appartamento, inchiodato al muro, e rimase lì a fissarlo per un po'. Poi scosse la testa e si avviò verso casa sua.

Aspettai finché non lo vidi più, poi aspettai altri cinque minuti solo per essere sicura (altri sei punture di formica, un

passante e quattro volte l'idea di farmi del male più tardi).Non appena rientrai, mi raggomitolai sul letto. Lo stesso

letto dove avevo quasi fatto sesso. Lo stesso letto dove avevo desiderato fare sesso... più o meno. Lo stesso letto che aveva ospitato un ragazzo inglese incredibilmente sexy e incredibilmente nudo. Forse avevo fatto un salto a pie' pari nel mondo della pazzia, ma avrei giurato che il piumone fosse ancora caldo nel punto in cui si era appoggiato il suo corpo. Come una vera psicopatica, affondai il viso nel cuscino e inspirai, come fanno sempre le ragazze nei libri e nei film per vedere se riescono ancora a sentire il suo profumo.

Non ci riuscivo. E mi sentii raccapricciante.In quel letto non sarei riuscita a dormire senza diventare

pazza.Portai il cuscino sul divano, dove mi sedetti apatica,

probabilmente sotto shock. Quantomeno, mi rassicurava sapere che si trattava solo di un'umiliazione privata. Nessun altro avrebbe dovuto sapere quanto fossi patetica e, dopo la dimostrazione di schizofrenia borderline di prima, ero piuttosto sicura che lui avrebbe cercato di evitarmi con la stessa determinazione con cui io avevo intenzione di evitare lui. Potevamo anche vivere nello stesso complesso residenziale ma, per quanto mi riguardava, non avremmo dovuto vederci mai più.

La mattina arrivò troppo in fretta e mi svegliai irrigidita per aver dormito tutta la notte su quel divano schifoso. Inoltre, sentivo la testa martellare, come se la notte prima mi fossi davvero presa a pugni in faccia com'ero stata tentata di fare.

Stupida tequila.Mi alzai svogliatamente, trascinandomi dentro e fuori dalla

doccia a un ritmo molto più lento del solito. Quando sentii bussare alla porta, avevo ancora i capelli bagnati. Aprii e Kelsey praticamente mi cadde addosso, perché stava cercando

di spiare dal buco della serratura.Senza fare rumore, sorrise e mimò con le labbra, «È ancora

qui?»Sospirai e dissi, «No, Kels, è andato via.» Mi voltai

dall'altra parte, tenendo la testa tra le mani per cercare di fermare il senso di vertigine che provavo. Lasciai la porta aperta e mi allontanai, tanto sapevo che sarebbe entrata, che la invitassi o meno.

«Qualcuno ha la faccia di un campeggiatore inacidito stamattina. Che cosa c'è? E' stato terribile? Era... minuscolo?»

«Non era minuscolo!» Non che avessi granché con cui confrontarlo, ma ero piuttosto certa che non lo fosse.

«Oh, allora non era bravo e basta?»Avrei dovuto dirle che non ero arrivata fino in fondo, ma mi

martellava la testa e avevo lo stomaco sottosopra e, soprattutto, non volevo essere obbligata a uscire di nuovo quella sera per il tentativo numero due.

Perciò mentii.«È stato ok. Sono solo i postumi della sbornia.»«Ok? Ok? Andiamo, quel ragazzo era stupendo! Per favore,

fai almeno finta che ti sia piaciuto!»«Mi è piaciuto!» Se stavamo parlando della più grande

pomiciata della mia vita. «Lui mi piace.»Quelle parole mi scapparono dalla bocca prima che avessi

pensato davvero alle conseguenze.«Oh, no!» Esclamò Kelsey. «No, non ti piace! So che è stato

il tuo primo ragazzo eccetera eccetera, ma questo non significa che tu debba buttarti in una storia d'amore a prima vista. E' stata una cosa puramente fisica. Se pensi di fare qualcosa di stupido come sposare questo ragazzo, verrò personalmente a trascinarti via dall'altare mentre scalci e urli.»

«No! Hai ragione, ovviamente.» Alzai le spalle, come se fosse una cosa da poco, ma la mia gola si stava seccando e sentivo che mi si stavano arrossendo le guance e il collo. Sperai

pensasse che fossi solo imbarazzata, perché normalmente riusciva a capire quando mentivo come nessun altro. «Giuro che è una cosa da niente. Non sono innamorata di lui. Non sto per sposarlo. In realtà, mi ricordo a malapena della maggior parte di quello che è successo.» E con «mi ricordo a malapena» intendevo «la maggior parte di quello che pensi, non è nemmeno successo». Il resto, invece... era impresso nel mio cervello. Neppure l'onnipotente tequila avrebbe potuto cancellare quei ricordi. Avrei solo voluto che cancellasse il ricordo di come era finita.

«Be', che sfiga. Ma è andato tutto bene, giusto?»«Sì,» feci un sorriso forzato, «Va tutto bene.»Kelsey mi abbracciò e sembrava uno di quei momenti in cui

si suppone che due persone siano vicine o in sintonia o pensino la stessa cosa ma, dato che per quanto mi riguardava era tutta una bugia, mi limitai ad abbracciarla e cercai di fingere che mi stesse consolando per la mia goffaggine.

«D'accordo, adesso muovi il culo. Se non prendo un caffè prima di andare a lezione, muoio. Il mio ciclo del sonno è ancora sballato dalle vacanze di Natale e mi sento come un maledetto zombi.» «Zombi» per Kelsey significava essere a un livello sei, anziché dieci, sulla scala della vivacità.

Avevo sempre pensato di essere estroversa, finché non ero diventata una studentessa di teatro. Allora avevo capito che semplicemente non mi piaceva il silenzio. Quando mi ero ritrovata in mezzo a un mucchio di persone che cercavano di mostrarsi interessanti, avevo scoperto che preferivo di gran lunga limitarmi a osservare.

Lo Starbucks del campus era invaso da un'orda di studenti- zombi privati del sonno. Quando finalmente ottenni il mio caramel macchiato, ero già quasi del tutto sveglia e saremmo sicuramente arrivate in ritardo alla prima lezione dell'ultimo semestre del nostro ultimo anno di college.

Andammo in fretta verso l'edificio di Belle Arti,

oltrepassando con disinvoltura quegli alternativi degli studenti di Arte, che fumavano fuori dalle porte. Percorremmo il corridoio di corsa per scoprire, come previsto, che le porte del piccolo teatro sperimentale, dove avevamo il corso di recitazione, erano già chiuse.

«Shipoopi,» disse Kelsey.Poi, dato che eravamo studentesse di teatro, cominciammo a

cantare la canzone di The Music Man, perché ogni tanto la vita ha solo bisogno di un po' di musica. Ma lo facemmo a voce bassa e con l'avanti veloce, perché comunque continuavamo a essere in ritardo per la lezione.

Non c'era modo di entrare in quel teatro senza fare un'assurda quantità di rumore. Le porte cigolavano e sbattevano sempre, qualunque cosa cercassi di fare. Aprimmo una delle due porte e sentimmo immediatamente Eric Barnes, il responsabile del Dipartimento, dire, «Siete in ritardo!»

Rispondemmo automaticamente, «Scusi, Eric!»Facendo attenzione a non rovesciare i caffè, ci aprimmo un

passaggio tra le tende che circondavano il bordo della sala e occupammo i primi posti vuoti sulle gradinate.

Appoggiai il caffè e cominciai a sistemare le mie cose, frugando nella borsa alla ricerca di una penna e della cartelletta.

«Come dicevo,» continuò Eric. «Ben Jackson avrebbe dovuto tenere questo corso.» Ben era di gran lunga il nostro insegnante preferito, ma gli avevano offerto una parte in un nuovo fantastico spettacolo di Broadway e sarebbe stato via per tutto il semestre. «Ma come tutti sapete, starà a New York per qualche mese. Per il momento, a sostituirlo c'è uno dei nostri ex studenti più dotati: Mr. Taylor.»

Avevo finalmente trovato una matita quasi senza punta in fondo alla borsa. Dovevo farmela andare bene. Kelsey scelse quell'istante per prendermi per il gomito e strattonarmi. Alzai lo sguardo verso di lei e poi verso la parte anteriore dell'aula,

dove stava guardando. In quel momento, la matita che avevo fatto così fatica a trovare mi cadde di mano e rotolò via, persa negli abissi sotto le gradinate.

Il nuovo professore mi stava fissando, anche se tutti applaudivano e probabilmente avrebbe dovuto fare un cenno di saluto, o quantomeno sorridere. I nostri occhi si incontrarono e all'improvviso fui molto felice di avere già appoggiato il caffè.

Perché il nuovo professore era stato nudo nel mio letto solo otto ore prima.

Garrick era il mio insegnante.

Capitolo otto

Sembrarono essere passate ore quando distolse lo sguardo da me. Poi rivolse alla classe un sorriso imbarazzato e si sistemò distrattamente la cravatta che aveva al collo.

«Grazie, Eric. Ma, per piacere, chiamatemi tutti Garrick.»Mi sembrò di percepire distintamente gli ormoni rilasciati

nell'aria quando le altre ragazze nell'aula sentirono il suo accento. Sentivo che Kelsey mi guardava, ma io tenevo lo sguardo fisso verso l'alto, su una delle luci di scena, e cercavo di ricondurre alla ragione il cuore che batteva all'impazzata. Era una cosa terribile. Era una cosa davvero terribile.

«Come ha detto Eric, mi sono laureato qui e poi nel maggio scorso ho finito il corso di specializzazione in recitazione alla Tempie University di Philadelphia. Quando Eric mi ha chiamato, chiedendomi se fossi interessato a questo posto temporaneo, stavo lavorando in teatro da circa sei mesi.»

Lo guardai con la coda dell'occhio, mentre mi aspettavo, ma allo stesso tempo temevo, anche solo il pensiero di un contatto visivo con lui. Non mi guardava. A dire il vero, teneva il corpo rivolto verso gli studenti sull'altro lato dell'aula, ignorando quasi tutta la sezione in cui ero seduta io. Oltre al fatto che stava apertamente ignorando un lato dell'aula, non c'era alcun segno che fosse in qualche modo preoccupato o teso; io, invece, sentivo le guance in fiamme e, quando strinsi le mani tra le ginocchia, le sentii tremare.

«Ho amato i miei quattro anni qui e, ehm...»Mi guardò e io non potei fare altro che guardarlo a mia

volta, con gli occhi spalancati e pietrificata. Si schiarì la gola e rivolse nuovamente lo sguardo verso l'altro lato dell'aula.

«Sono davvero emozionato di essere di nuovo qui.»Volevo strisciare in un buco e morire.Volevo strisciare in un buco in fondo a un burrone, essere

sotterrata da una valanga e poi morire.Volevo... piangere.Eric salutò e andò via, per darci modo di conoscere il nostro

nuovo insegnante. Avrei voluto poter andare via anch'io, perché si dava il caso che lo conoscessi già molto bene.

«D'accordo, allora,» cominciò Garrick. «Mi rendo conto che non ho molti anni più di voi.» Un'altra occhiata verso di me. Deglutire stava diventando quasi impossibile.

«Ma il mio compito qui è quello di darvi un'idea di quale sarà il prossimo passo del vostro viaggio, dal punto di vista di qualcuno che non è così lontano da voi. A tutti noi piacciono molto Eric, Ben, Kate e il resto della facoltà ma, ammettiamolo, non è che siano proprio dei ragazzini qui dentro.» Tutta la classe scoppiò a ridere. Io ero troppo impegnata a concentrarmi per non vomitare. «Quello in cui hanno iniziato le loro carriere era un mondo diverso. Quando ero seduto al vostro posto, questo corso si chiamava Preparazione teatrale avanzata; credo che adesso si chiami Laboratorio di teatro. Durante il corso ci occuperemo di tutto, dai provini alle possibilità di carriera, all'Actor's Equity. Dedicheremo anche un po' di tempo a parlare di cose più astratte, perché mi dispiace dovervelo dire ragazzi, ma la parte più difficile di questo lavoro non è aggiudicarsi una parte o sbarcare il lunario, anche se sono cose difficili. La cosa più difficile è tenere alto il morale, e innanzitutto ricordarvi del perché avete scelto questo mestiere.»

Non doveva fare molta fatica per cercare di spaventarci a proposito del nostro futuro: per tutti era già scattato un livello di allarme arancione. Già dall'inizio dell'anno avevamo avuto conversazioni a tarda notte (da sbronzi, ovviamente) in cui ci eravamo fatti profondi esami di coscienza.

«Ora, se non vi dispiace, mi piacerebbe sapere qualcosa di più su di voi. Perché non mi dite il vostro nome e che cosa vorreste fare una volta laureati?»

Nell'aula eravamo più o meno in venti. I primi otto circa recitarono tutti il loro nome, seguito dall'obbligatorio, «Andrò a New York.»

Quando sei un attore, andare a New York è il sogno praticamente di tutti. Quelli che sono fortunati possono realizzare davvero questo progetto. Alcuni di noi, invece, devono pensare in modo un po' più realistico.

Cade, il mio migliore amico oltre a Kelsey, disse, «Cade Winston. Al momento sono un po' combattuto tra fare un corso di specializzazione e lanciarmi direttamente a fare provini. Non riesco a capire se voglio davvero fare un corso di specializzazione o se ho paura e basta.»

Garrick sorrise e, anche se stavo per dare i numeri, sorrisi anch'io: era esattamente così che mi sentivo a proposito di molte cose della mia vita, non solo il fatto di recitare.

Disse, «Bene. È onesto da parte tua, Cade. E più riuscirai a essere onesto con te stesso, meglio sarà. Le speranze e i sogni sono una gran bella cosa, ma vanno in frantumi molto più facilmente di un solido progetto. Durante il corso, cercheremo di scoprire insieme che cosa volete esattamente.»

A quel punto, fu come se tutti si fossero sentiti tranquilli nel dire ciò che pensavano veramente anziché quello che ci si aspettava da noi.

Trascorrevamo così tanto tempo a difendere la nostra scelta, che diventava difficile mostrarsi in qualche modo vulnerabili. Erano così tante le volte in cui dovevamo gestire qualcuno che ci chiedeva quale fosse il piano B in caso le cose non fossero andate bene, che cominciavamo a pensare che forse il piano B sarebbe dovuto diventare l'unico progetto.

Ogni tanto avrei voluto essere un po' più come Kelsey, che di paure praticamente non ne aveva. Anche se immagino sia

facile essere più o meno senza paure quando la tua famiglia non ha problemi.

«Kelsey Summers. Mi prenderò un anno per viaggiare ed esplorare nuovi orizzonti prima di decidere che cosa voglio fare. La gente dice sempre che gli attori più interessanti sono persone interessanti, perciò credo sia un buon investimento dedicare del tempo per diventare ancora più affascinante di quanto io non sia già.»

«Primadonna,» mormorai tra i denti.Spalancò gli occhi e rispose dandomi un rapido pizzicotto

dietro al braccio. Guaii e quasi caddi dalla sedia nello stesso momento in cui Garrick rivolse lo sguardo verso di me e disse, «E tu?»

Massaggiandomi il braccio, dovetti allontanare gli occhi dai suoi prima di riuscire a rispondere.

«Bliss Edwards. Sono un po' combattuta tra la recitazione e la direzione artistica. Dato che non esistono corsi di specializzazione in cui si possano fare entrambe le cose, credo che andrò semplicemente avanti ed entrerò... ehm, nel mondo del lavoro o qualcosa del genere.»

Lo guardai di nuovo, ma il suo sguardo si era già spostato su Dom, che era seduto nella fila davanti alla mia.

Chiusi gli occhi e inspirai a fondo. La mano di Kelsey trovò la mia e me la strinse.

Per finire il giro di presentazioni ci vollero altri venti minuti circa perché, be', eravamo gente di teatro, amavamo il suono della nostra voce.

Mancavano solo cinque minuti alla fine della lezione, quando Garrick disse, «Ottimo. Sembra che tutti abbiate fatto almeno un pensiero su quale sarà il vostro prossimo passo. Mercoledì voglio che veniate a lezione con il vostro curriculum e una foto del viso, e che siate pronti per fare un provino.»

«Fare cosa?» chiese Dom. «È la prima settimana di lezione. Non ci saranno provini ancora per qualche settimana.» Dom

amava il suono della propria voce molto più della maggior parte di noi.

«Non importa.» rispose Garrick. «Nel mondo reale possono capitarti dieci provini in un solo giorno. Per prepararti puoi avere settimane o un'ora soltanto. Il tuo lavoro diventa recitare quando ti aggiudichi la parte, fino a quel momento il tuo lavoro consiste nel fare provini, perciò è meglio che tu sia bravo a farlo. La lezione è finita. Ci vediamo mercoledì.»

Fece un largo sorriso. Non metteva soggezione come i sorrisi della notte prima, ma era comunque sufficiente a farmi vacillare mentre scendevo dalle gradinate.

Ero arrivata alle tende, a pochi metri dalla porta, quando sentii, «Bliss, posso parlarti un momento?»

L'espressione di Kelsey era una via di mezzo tra la compassione e la gioia. Per la prima volta nelle ultime dodici ore, mi venne voglia di prendere a pugni qualcun altro oltre a me stessa.

«Pranziamo insieme a mezzogiorno?» mi chiese Kelsey. Annuii, anche se non ero certa che sarei sopravvissuta fino a mezzogiorno. Accidenti, non ero certa neppure di riuscire ad andare alla lezione successiva.

Andai verso di lui con calma, aspettando che il resto dell'aula si svuotasse. In quel momento Dom stava bombardando Garrick di domande, così mi presi un attimo per distrarmi con Cade. Mentre Kelsey era l'amica che mi trascinava in giro per locali e incoraggiava i comportamenti stupidi, Cade era l'amico che sapeva sempre quale fosse la cosa giusta da dire.

Le sue prime parole furono: «Su una scala da uno a una malignità infinita, a che punto sono i postumi?»

Sollevai l'angolo della bocca in un sorriso. Fu l'unica cosa che riuscii a fare considerato il mio vortice di emozioni, ma si trattava comunque di un sorriso. «Dipende... adesso? Un bel sette. Se Dom cerca di parlarmi... ci servirà una scala più

grande.»Scoppiò a ridere e qualcosa fece sì che mi domandassi come

sarebbe andata la notte precedente se avessi rivelato a lui il mio segreto, anziché a Kelsey. Per qualche motivo dubitavo che le cose sarebbero andate allo stesso modo.

«Devo scappare. Scienze politiche.» Fece una smorfia e io mi trovai d'accordo con lui: per fortuna me n'ero liberata l'anno prima. «Facciamo qualcosa stasera, va bene?»

«D'accordo.» Questa volta sorrisi, perché Cade era bravissimo a trovare il modo di distrarmi, ed era ciò di cui al momento avevo più bisogno.

Mi diede un bacio sulla guancia e poi se ne andò per la sua strada.

Mi voltai e vidi Garrick che mi guardava, con gli occhi scuri e socchiusi. Dom se n'era andato da un pezzo. Doveva essere uscito dalle porte sull'altro lato dell'aula. Rimanemmo così, imbarazzati per diversi secondi. Lui teneva le mani affondate nelle tasche, mentre le mie non smettevano di agitarsi sui manici della borsa che avevo sulla spalla.

Alla fine, si schiarì la gola.«Come va la gamba?»Deglutii e abbassai lo sguardo verso le mie gambe. Quel

giorno avevo messo una gonna per lasciarle scoperte. Inclinai la gamba perché potesse vedere la fasciatura. «Bene. L'ho rifasciata stamattina. C'è una vescica ma, da quello che ne so, o meglio da quello che dicono su internet, è normale.»

Sollevai lo sguardo, ma i suoi occhi erano ancora sulle mie gambe.

Mi irrigidii. Accidenti, era così imbarazzante.Si schiarì la gola di nuovo.«E così... vai al college.»«E così... tu no.»Rimase un altro secondo in silenzio, poi all'improvviso si

voltò di lato e si allontanò di qualche metro da me, alla fine

tornò indietro. Si passò frustrato le dita tra i capelli e l'unica cosa a cui riuscii a pensare furono le mie, di dita, tra i suoi capelli incredibilmente morbidi.

«Pensavo...» Cominciò. «Be', a dire il vero non mi sono fermato a pensare per niente. Ma tu non hai l'aspetto di una che va al college. Ho detto che avevo studiato qui e che ero appena tornato e tu hai detto 'Anch'io', perciò ho immaginato che avessi fatto la stessa cosa.»

Continuavo ad avere questo irrazionale bisogno di battere gli occhi. Non che mi venisse da piangere o qualcosa del genere, solo non riuscivo a smettere. Dissi, «Ho vissuto in Texas quando ero molto piccola. Intendevo dire che sono tornata qui per studiare.»

Annuì una volta, poi continuò ad annuire. Quindi, lui annuiva e io battevo gli occhi e nessuno dei due diceva quello che davvero andava detto.

E dato che non riuscivo a sopportare il silenzio, fui io la prima a romperlo.

«Non lo dirò a nessuno.» Le sue sopracciglia si sollevarono, ma non avrei saputo dire se per lo stupore, per il tono che avevo usato, o se fosse stato solo un tic. «Cioè, non che ci sia niente... non che noi... cioè noi a dire il vero non abbiamo... ehm, giocato alla bestia con due schiene e quella roba lì.»

Oh. Mio. Dio.Uccidimiorauccidimiorauccidimiorauccidimioraaaaa.La bestia con due schiene? Davvero?Avevo ventidue anni e piuttosto che sputar fuori la parola

«sesso», avevo usato una citazione di Shakespeare! Una citazione di Shakespeare davvero imbarazzante.

E lui stava sorridendo! E il suo sorriso ebbe uno strano effetto sulle mie viscere e mi fece pensare alla notte precedente, che non era assolutamente una cosa a cui pensare in quel momento. Nessuna bestia. Nessuna schiena. Nessuna notte scorsa.

Distolsi lo sguardo, cercando di stare calma. Feci un respiro profondo e, il più tranquillamente possibile, dissi, «Non deve diventare un affare di stato.»

Ci mise un momento a rispondere, mentre mi chiedevo se stesse aspettando che lo guardassi. In tal caso, avrebbe aspettato a lungo.

«Hai ragione. Siamo entrambi adulti. Possiamo semplicemente dimenticarci che è successo.»

Non sarei mai riuscita a dimenticarlo, ma potevo fare finta.Potevo recitare.«D'accordo,» dissi annuendo.Mi voltai per andarmene, ma la sua voce mi fermò.«Come sta il tuo gatto?»«Quale gatto? Ah, il mio gatto! Il gatto... mio. Oh, lei sta...»

Avevo detto che era una femmina, giusto? «Lei sta bene. Tutta miagolii e fusa e altre cose da gatto.»

Perché la porta doveva essere così lontana, accidenti?Continuai ad allontanarmi, dicendo le ultime parole già

quasi completamente voltata dall'altra parte.«Devo andare a lezione. Ci vediamo mercoledì, immagino,

va bene, ciao!»Quasi corsi fuori dalla porta, lungo il corridoio sino all'ala di

Arte, oltre le aule di ceramica e fin dentro il bagno per i disabili che non usava mai nessuno. Poi crollai sulle ginocchia, sul pavimento di un bagno! Chiaramente ero sconvolta perché... che schifo!

Mi concentrai per cercare di non andare in iperventilazione. Solo io potevo avere una storia con un insegnante, per sbaglio! Di una cosa ero certa: in nessunissimo caso sarei andata alla lezione successiva.

Capitolo nove

«Giuro che c'era così tanto imbarazzo nell'aria, che quasi lo si poteva toccare.»

Nell'aula studenti, mentre Kelsey cercava di rimpinzarmi con patatine fritte e altri splendidi carboidrati, io tenevo la faccia schiacciata contro il tavolo.

Poco convinta, mi diede una pacca sulla schiena. Kelsey non aveva proprio niente di vagamente materno, ma almeno ci stava provando. «Stai esagerando, Bliss. L'unica cosa che si sentiva nell'aria era la tensione sessuale. Cioè, non ti guardava spesso, ma quando lo faceva... Ciao! Da svenire!»

«Non sopravviverò mai un semestre in quel corso.»«È ridicolo. Sei un'attrice. Gli attori vanno a letto tra di loro

in continuazione e poi passano oltre. Caspita... non ti ricordi di quando, al primo anno, non volevi limonare con Dom in quella scena ed Eric vi ha mandato in un'altra aula e vi ha detto di baciarvi finché non vi foste sentiti a vostro agio?»

«Perché devi ricordarmi quello che, fino a oggi, è il secondo momento più mortificante della mia vita?»

Roteò gli occhi. «Perché l'hai superato.»«Non supererò mai il ricordo della lingua di Dom infilata in

gola. Ne sento ancora il sapore spregevole.»«Andrà tutto bene, Bliss. Sono solo cinque mesi. E devi

vederlo solo per tre ore alla settimana. Sarà finita prima che tu te ne accorga. Poi potrai saltargli addosso un'altra volta prima di venire con me in giro per il mondo.»

«Nella tua frase ci sono così tante stupidaggini che non so neppure da dove cominciare.»

«Comincia mangiando qualcosa, o arriveremo tardi a regia.»

Borbottando, mi infilai qualche patatina in bocca per farla contenta.

Rovistò in borsa cercando il cellulare, ma le sue mani si chiusero intorno a qualcos'altro. «Oh, dimenticavo. Ho degli antidolorifici... ne vuoi uno?»

Deglutii e dissi, «Perché dovrei?»Piegò la testa di lato, «Non hai male dopo... sai... la serata di

ieri?»Stupida Bliss. Maledetta stupida.«Oh! Oh, giusto. No, no, sto bene. Ne ho presi un paio

stamattina. Sono a posto, grazie.»«Brava.»Arrivai alla fine della giornata con il pilota automatico,

pronta per andare a casa e strisciare nel mio bozzolo di oblio, il sonno. Prima di buttarmi sul letto non mi presi neanche il disturbo di togliermi i vestiti.

Il telefono mi svegliò qualche ora dopo. Era Cade.«Ehi piccola... pronta per uscire?»Scrutai con la vista annebbiata l'orologio: segnava solo le

sette di sera.Sbadigliai. «Sì, certo. Che cos'hai in mente?»«Be', pensavo...»«Niente alcol,» lo interruppi. «Non sono in grado di

reggerne dell'altro.»Scoppiò a ridere. «Niente richiamino per mandare via i

postumi? D'accordo... Stasera Lindsay canta al Grind. Cosa ne dici di un caffè?»

Sbadigliai di nuovo. Lindsay era una compagna del corso di teatro, al nostro stesso anno. Una serata ad ascoltare la sua musica sarebbe stata semplice e rilassante. Esattamente ciò di cui avevo bisogno. «Il caffè va benissimo.»

Quando uscii, venti minuti più tardi, la mia testa si muoveva da una parte all'altra per la paranoia di incontrare Garrick. Quando fui certa che non ci fosse nessuno intorno, corsi nel

parcheggio e salii su quel rottame che era la vecchia Honda di Cade.

Lui mi accolse con un sorriso. Resistetti alla tentazione di guardare indietro nella direzione dell'appartamento di Garrick.

«Prima mi sono dimenticato di dirti che oggi stavi benissimo. Cioè, a parte quell'aria da doposbronza. Non metti mai la gonna a lezione.»

Avrei voluto dirgli, «Pensa a guidare e basta!» Ma sarebbe sembrato troppo folle anche per me, perciò risposi, «Oh, è che mi sono bruciata la gamba e non posso indossare vestiti stretti sulla ferita.»

«Davvero?» Chiese. «Che cosa è successo?»Non potevo dirgli come avevo fatto esattamente, perché poi

avrebbe voluto sapere di chi fosse la moto e perché fossi con lui, eccetera eccetera.

«Oh, mi sono scottata con la piastra per i capelli.»«Ti sei scottata la gamba con la piastra per i capelli? Che

peli hai sulle gambe?»Si potrebbe pensare che dopo tutte le bugie che avevo

raccontato nelle ultime ventiquattro ore, io fossi diventata leggermente più brava a mentire, ma non era così.

«Ah, ah. Che ridere!» Feci una smorfia. «L'ho presa dentro, è caduta dal ripiano e mi è finita sulla gamba, scemo.»

Mi misi a trafficare con la bocchetta dell'aria condizionata, anche se in quel rottame di auto funzionava a malapena.

«Dopo stai attenta a non rovesciarti il caffè addosso. O, meglio ancora, prendi un caffè ghiacciato.»

«Agli ordini, capitano.»Il Grind era una bella casetta a un'estremità del campus che,

pochi anni prima, era stata trasformata in una caffetteria. All'interno si ordinava da bere e all'esterno c'era una veranda dove, la maggior parte delle sere, c'era musica dal vivo. Dentro era strapieno di gente. Mandai Cade fuori a cercare dei posti e gli dissi che avrei preso io da bere. Presi un caffelatte

ghiacciato con cacao per me e un frappé per Cade. A lui il caffè non piaceva neanche, ma veniva qui per me.

Rimasi in coda per dieci-quindici minuti, perciò quando mi diressi fuori, non avevo idea di dove fosse Cade. Mi aggirai tra i tavoli, salutando le persone che conoscevo ed evitando il contatto visivo con quelli che non conoscevo. Incrociai lo sguardo di Lindsay, che si stava preparando sul palco, e lei mi fece un largo sorriso.

Alla fine individuai Cade in piedi accanto a un tavolo quasi in prima fila. Considerato quanto era pieno il locale, era una posizione fantastica.

Arrivai dietro di lui e gli diedi una piccola gomitata sulla schiena.

«Accidenti, Cade, pensavo che non sarei mai riuscita a trovarti qui fuori. Non potevi mandarmi un messaggio, almeno?»

Cade voltò la testa di lato per guardarmi, poi mi mise un braccio intorno alle spalle e prese il frappè dalla mia mano sinistra.

«Mi dispiace, piccola, stavo parlando e mi sono distratto.Guarda chi c'è!»Mi spinse in avanti e apparve Garrick.Questa volta non fui abbastanza fortunata da aver già

appoggiato il caffè. Perciò, quando vidi Garrick, mi scivolò di mano e mi si rovesciò tutto sui piedi.

Cade, con i suoi riflessi superveloci, lo schivò per un pelo, evitando di ritrovarselo sulle Toms.

«Cazzarola, Bliss. Stavo scherzando quando ti ho detto di prendere un caffè ghiacciato, ma sono felice che tu mi abbia dato retta. Giuro che una volta non eri così imbranata.»

Non riuscivo ancora a parlare. Avevo i piedi freddi e appiccicosi e mi sentivo il viso decisamente bollente.

«Qui,» disse Cade. «Siediti, Mr. Taylor ha detto che possiamo sederci al suo tavolo.»

«Chiamami Garrick, Cade.» Ero certa che glielo avesse già detto più o meno una decina di volte.

Cade lo ignorò e si girò verso di me. «Faccio una scappata dentro e ti prendo dei tovaglioli. Vuoi un altro caffè?»

«No, no. Sono a posto, Cade. Stai qui. Vado io a pulirmi.»«Scordatelo. La musica di Lindsay piace molto più a te che

a me, con tutti quei 'sii il cambiamento' e 'girl power'. Non voglio che te la perda. Siediti.» Questa volta, le sue mani si appoggiarono sulle mie spalle e mi spinsero giù finché il mio sedere non toccò la sedia. Poi lui se ne andò e io rimasi di nuovo da sola con Garrick.

«Che cosa ci fai qui?» La domanda venne fuori con rabbia.Al contrario, lui era dolce e calmo e forse un po' triste. «Nel

mio appartamento non c'è ancora la connessione internet e avevo bisogno di controllare la posta. Posso andarmene, se preferisci.» Sì.

«No,» sospirai. «Non ti sto cacciando. Ma avrei preferito che non ci avessi invitato a sedere al tuo tavolo.»

«Be', Cade non mi aveva detto che era qui con te. Stavo solo cercando di essere gentile.»

«Mi dispiace... È solo che io... è imbarazzante. Cade non sa che...»

«...non glielo dirò, se è questo che ti preoccupa. Vorrei non perdere questo lavoro e, inoltre, la tua vita privata non mi riguarda. Quello che c'è stato tra di noi è un capitolo chiuso.»

Mentre parlava, il suo tono divenne brusco. Un capitolo chiuso? Perché mi sembrava di aver ricevuto un pugno nello stomaco? Lui strinse i denti e il mio sguardo fu attratto dal profilo forte e liscio della sua mandibola.

«Hai tagliato la barba,» dissi. Era evidente: non avevo filtri.La sua mandibola si rilassò e lui mi guardò confuso. «Uh, sì,

è vero.»Sedevamo in silenzio e io non riuscivo proprio a smettere di

guardarlo. I suoi occhi erano blu oceano e senza quell'accenno

di barba sembrava più giovane, meno virilità sexy e più fascino da ragazzo-della-porta-accanto.

Il suo sguardo scese sulla mia bocca e io mi accorsi che mi stavo mordendo il labbro inferiore. Avevo voglia di baciarlo di nuovo, accidenti.

Mi alzai di scatto dalla sedia, «È una pessima idea. Me ne vado. Di' a Cade che non stavo bene o qualcosa del genere.»

Si alzò anche lui. «No, Bliss, aspetta. Mi dispiace. Non te ne andare. Io farò... Merda, non lo so cosa farò. Starò qui seduto tranquillo e voi due potrete ignorarmi completamente. Giuro.»

In quel momento Lindsay fece un passo indietro sul palco di fortuna, si accesero le luci e la gente cominciò ad applaudire.

Se volevo andarmene, dovevo farlo adesso. Se mi fossi alzata a metà dell'esibizione, Lindsay mi avrebbe visto e se la sarebbe presa.

Perciò, ignorando il buon senso, mi risedetti.Garrick mantenne la promessa e non staccò gli occhi dallo

schermo del suo computer. Mentre Lindsay faceva il sound check, rimasi seduta tranquilla, con il collo saldamente teso per resistere alla tentazione di guardarlo.

Cade ritornò proprio mentre Lindsay si stava presentando.«Ehi.» Bisbigliò. «Randy stava pulendo i tavoli e mi ha

lasciato prendere in prestito uno straccio. Immagino sia meglio di una manciata di tovaglioli.»

Poi sollevò uno dei miei piedi appiccicosi appoggiandoselo in grembo, mi tolse la scarpa e cominciò a pulirmi la gamba con il panno umido. Ridacchiai quando passò su un punto particolarmente sensibile al solletico.

Sentii che Garrick aveva smesso di scrivere.D'istinto, lo guardai, ma lui stava guardando Cade... e le mie

gambe. Mi schiarii la gola e tirai giù il piede. Presi il panno dalle mani di Cade e dissi, «Grazie, penso di riuscire a farlo io. Non mi fido anche se dici che non mi farai il solletico.»

Garrick tornò al suo computer, Cade si concentrò su Lindsay

e io piegai la testa per osservare da vicino i miei piedi. Quando fui sicura che nessuno mi stesse guardando, strinsi gli occhi e lanciai un grido silenzioso. Un grido vero mi avrebbe fatto sentire meglio, ma dovevo accontentarmi.

Avendola già sentita cantare diverse volte, sia sul palco sia dietro le quinte, durante le prove e tra una lezione e l'altra, riconobbi le prime canzoni di Lindsay. Aveva questo stile naturale, bello, acustico, e le sue canzoni erano sempre una sorta di testimonianza sociale, che rimproverava alla gente le cazzate che faceva. Ecco perché, quando si chinò sul microfono e introdusse la canzone successiva, rimasi incredibilmente sorpresa.

«La prossima è un po' diversa dalle mie. L'adorabile proprietario di questo posto,» Fece segno indicando di lato. «Saluta, Kenny.» Sembrava l'avessero costretto, ma fece un segno di saluto. «Ad ogni modo... Kenny ha richiesto che suonassi almeno una canzone non... come hai detto, Kenny? Amara o politica, credo sia questo quello che ha detto. E dato che non sono capace di scrivere qualcosa del genere, canterò una canzone scritta da un mio amico che desidera rimanere anonimo. Si intitola... Resistiamo.»

La canzone iniziò dolcemente, con una semplice sequenza di accordi, simile al solito stile di Lindsay. Poi cambiò, diventando triste, appassionata, quasi disperata. Lei cantava... e io avrei voluto essermene andata quando ne avevo avuto l'occasione.

Anche quando sei vicina, sei sempre troppo lontana.I miei occhi vanno dovunque vada tu.

Le conversazioni in sottofondo cessarono. Era un cambiamento così radicale che tutti gli occhi erano fissi su di lei. Ma avrei giurato di sentire un paio di occhi su di me.

Sono stufo di come entrambi fingiamo.Di desiderarti sempre e non arrendermi mai.Lo sento sulla pelle, lo vedo nel tuo sorriso.Siamo di più. Lo siamo sempre stati.

Pensa a tutto quello che ci siamo persi.Ogni tocco e ogni bacio.Perché entrambi insistiamo.Resistiamo.

Il suo sguardo era un peso fisico che sentivo sulla pelle. Il mio cuore faceva un rumore sordo nel petto e il mio respiro si fece più corto. Non volevo resistere. Non potevo evitarlo. Lo guardai.

Trattieni il fiato e chiudi gli occhi.Distraiti con qualcun altro.Non mi meraviglio, quando sospiri sconfitta.Non sei stanca delle bugie?

Ma lui non mi stava guardando. Non scriveva, ma aveva gli occhi fissi sul suo computer e sembrava... inconsapevole. Ero solo io? Stavo immaginando tutto?

Pensa a tutto quello che ci siamo persi.Ogni tocco e ogni bacio.Perché entrambi insistiamo.Resistiamo.

Anche quando sei vicina, sei sempre troppo lontana.I miei occhi vanno dovunque vada tu.

All'improvviso avrei voluto non essere più lì. Non riuscivo a stargli così vicina. Stavo impazzendo. Era stupido, anche più

stupido di quanto sarebbe stata stupida l'avventura di una notte, ma lui mi piaceva. Non gli piaceva Shakespeare e guidava una moto ed era il mio insegnante ma... mi piaceva.

Sono sfinito. Non lo ignorerò. Non farò più finta, né resisterò. Voglio di più.

Capitolo dieci

Lindsay completò gli ultimi accordi, poi si fermò e disse, «Bleah. Contento, Kenny?»

Cade rise e lanciò un forte urlo di incitamento. La folla cominciò a battere le mani e fischiare. Cercai di sollevare le mani per unirmi agli altri ma, sul mio grembo, erano come piombo.

Mi voltai verso Garrick, che questa volta mi stava guardando. I suoi occhi erano scuri e, quando i nostri sguardi si incontrarono, non fece alcun tentativo di guardare da un'altra parte. Forse prima non mi ero immaginata che mi stesse fissando. Continuammo a guardarci mentre l'applauso si spegneva e, per la prima volta in vita mia, capii davvero cosa significa quando si dice che il cuore «sembra saltar fuori dal petto», perché dentro di me sembrava ci fosse qualcosa che cercava disperatamente di uscire.

Prima di impazzire, allontanai di scatto gli occhi, mi alzai e tirai Cade per il gomito.

«Ehi, che succede?» Lui mi capiva benissimo e vidi che il suo sguardo passava dal divertito al preoccupato. «Va tutto bene?»

«Sì, certo. Sono solo stanca. Puoi portarmi a casa?»«Certo, senz'altro.» Mi appoggiò una mano sulla guancia

come avrebbe fatto mia madre per sentire se avevo la febbre. Mi staccò a malapena gli occhi di dosso quando disse, «Grazie per aver condiviso il tavolo con noi, Mr. Taylor. A mercoledì.»

«Chiamami Garrick, Cade, per favore. Buonanotte a entrambi.»

Mentre parlava, Garrick guardò solo Cade, e probabilmente

fu meglio così. Lasciai che il mio amico mi portasse fuori tenendomi un braccio intorno alle spalle, attraversammo un porticato e uscimmo dal lato che conduceva direttamente al parcheggio.

Non ero mai stata così felice di salire su un'auto arrugginita che puzzava vagamente di benzina e formaggio. Cade si sedette accanto a me. «Sei sicura di star bene?»

«Sì, giuro, sono solo stanca.»«Va bene.» Non sembrava convinto. «Allora ti porto a

casa.»Girò la chiave, e non successe niente. Niente al motore, né

alle luci, niente di niente.«Oh... merda.»«Che cosa succede?» chiesi. «Che c'è?»«C'è che la mia macchina fa cagare.»Girò la chiave di nuovo e, quando non successe nulla, diede

una manata al volante. Tirai su le gambe mettendo i piedi sul sedile e appoggiai la testa sulle ginocchia.

«Aspetta un attimo.» Cade saltò giù dalla macchina e aprì il cofano. Io rimasi raggomitolata sul sedile cercando di cancellare dalla mia mente le ultime ventiquattro ore. Non saprei dire quando ma, mentre studiavo ogni sguardo che Garrick mi aveva rivolto quella sera e passavo alla pianificazione di cosa avrei detto e di come mi sarei comportata durante la lezione successiva, mi addormentai.

La prima cosa di cui mi resi conto fu che Cade mi stava scuotendo per svegliarmi; la macchina era ancora spenta.

Mi sfregai gli occhi e scesi dall'auto.«Mi dispiace, immagino fossi molto più stanca di quanto

pensassi.»«Senti, non riusciamo a far partire la macchina e abbiamo

già provato a fare tutto quello che ci veniva in mente.»Il mio cervello non colse il plurale finché il cofano non

cominciò a chiudersi, mentre Cade era ancora in piedi accanto

a me.Ovviamente, comparve di nuovo Garrick. Perché la vita non

poteva essere mai facile.«Abbiamo anche cercato di farla partire con i cavi, usando

la moto di Mr. Taylor.»«Te l'ho detto, Cade, chiamami Garrick.»«Sì, sì, lo so. In ogni caso, dato che io abito non lontano da

qui...»Oh, Signore. No. Per favore, no. Cade era il referente in uno

dei dormitori, il che significava che poteva tornare a casa a piedi, io, al contrario, abitavo a qualche chilometro dal campus.

«Ho chiesto a Mr. Taylor, e ha detto che può darti un passaggio a casa. È anche venuto fuori che voi due abitate nello stesso complesso di appartamenti.»

«Non mi dire.» Cercai di rilassare la mandibola tesa per fare un sorriso. «È gentile da parte sua, ma posso anche chiamare Kelsey e farmi venire a prendere. Non è un problema.»

«Ma tanto andate nello stesso posto...» La confusione di Cade suscitava tenerezza, ma io avevo più che altro voglia di prenderlo a calci sugli stinchi.

Si, ma...«Bliss,» mi interruppe Garrick. Accidenti, non mi sarei mai

stancata di sentirgli dire il mio nome con quel suo accento delizioso. «Va bene. Davvero. Non c'è problema, e ti porterò a casa in un attimo. Giuro.»

Mi guardava come se fosse stata la cosa più naturale del mondo. Come se non fosse assolutamente un problema abbracciarlo mentre guidava. Come se non avessi ancora la gamba fasciata dall'ultima volta che ero salita su quella moto.

Cade sbadigliò. Sembrava stanco quanto me. Sapevo che se avessi insistito e avessi voluto aspettare Kelsey, avrebbe aspettato con me.

Mi sfregai gli occhi e feci un respiro profondo.Non fu abbastanza profondo.

«Va bene, d'accordo. Grazie... Mr. Taylor. Ci vediamo domani, Cade.»

Cade sorrise, ignaro del mio tormento, e disse, «Fantastico!»Mi diede un rapido bacio sulla fronte e augurò la buonanotte

a entrambi, poi attraversò veloce la strada ed entrò nel campus.Questa volta non mi presi neppure il disturbo di calmare il

respiro. Sapevo che non sarebbe stato d'aiuto. Raddrizzai le spalle e mi voltai per mettermi di fronte a lui.

Mi guardò per un secondo, accigliato, e poi disse, «Non puoi chiamarmi 'Mr. Taylor.'»

Nonostante la tensione che c'era tra di noi, scoppiai a ridere. Tutto considerato, era una situazione davvero ridicola. «Va bene... Garrick.»

Non c'era un modo giusto per farlo, perciò mi porse il casco e basta, e salì sulla moto. Non doveva dirmi di fare attenzione al tubo di scappamento mentre salivo, ma lo fece lo stesso.

Quella sera indossava una giacca leggera, perché si era appena alzato un vento freddo, be', per quanto un vento possa essere freddo in Texas. Mi tenni stretta alla giacca anziché a lui e, con quell'appiglio così poco solido, il viaggio fu anche più spaventoso, ma mi rifiutai di abbracciarlo. Principalmente perché non ero sicura che, se l'avessi fatto, poi avrei avuto la forza di volontà necessaria per staccarmi.

Quando arrivammo, in pochi secondi scesi dalla moto. Penso di aver salutato. Onestamente, ero così nel panico che fuggii via e basta. E lui mi lasciò fuggire. Quando scivolai all'interno dell'appartamento, mi arrischiai a guardare indietro. Lui era ancora sulla moto e, dopo un secondo, cominciò a fare retromarcia e schizzò via. Lo guardai andarsene, lottando contro il folle desiderio di seguirlo.

Non importava che cosa provassi... tra di noi non poteva esserci niente.

Mercoledì attesi dietro le quinte fino all'ultimo secondo, in modo che al mio ingresso l'aula fosse già piena. Avevo con me

una foto del viso e il curriculum, come ci aveva chiesto Garrick, e presi posto accanto a Cade, sulla fila più esterna, in modo che ci fossero più o meno una decina di persone tra Garrick e me.

Circa un minuto dopo le nove, Garrick richiamò all'ordine la classe.

«Bene, allora... Come ho detto lunedì, non abbiamo tempo da perdere. Salteremo direttamente nel bel mezzo dell'azione. Oggi simuleremo dei provini usando una scena improvvisata da Un tram che si chiama desiderio di Tennessee Williams. Se non l'avete letto, forse dovreste mettere in discussione subito la vostra specializzazione. Vi ho suddiviso in coppie. L'elenco delle coppie, così come le parti che leggerete, sono sul tavolo alla mia sinistra. Vi manderò fuori e avrete dieci minuti di tempo per prepararvi poi chiamerò dentro i primi. Noterete che la scena che ho scelto è quella che precede il momento cruciale in cui Stanley violenta Bianche, la sorella di sua moglie.»

«Fantastico, la violenta?» Quello era Dom, ovviamente uno di quelli che avrebbero dovuto riconsiderare la loro specializzazione.

«Sì, Dom. Ora, la difficoltà dei provini è che spesso dovete rappresentare i momenti cruciali senza il beneficio di avere un'intera interpretazione che vi porti a quel punto. Vi ritrovate emotivamente ciechi. Gli istanti prima di un provino sono estremamente importanti. Avete dieci minuti per trovare un feeling con il vostro partner e con il vostro personaggio. Buona fortuna!»

Si spostò di lato e poi tutto divenne come il primo giorno di saldi da Walmart: gli attori si precipitarono verso il tavolo, cercando di agguantare un copione e di trovare il loro partner. Non ero dell'umore giusto per buttarmi nella mischia, ma Kelsey mi afferrò per il gomito e non mi lasciò molta scelta.

Agguantai il copione, riconoscendo la scena. Garrick non aveva scherzato quando aveva detto che si cominciava

direttamente dal climax. Bianche è già piuttosto fuori di testa. Diedi un'occhiata al foglio delle parti e, manco a dirlo, ero in coppia con Dom.

Mi portai una mano alla fronte, mentre sopra l'occhio sinistro cominciavo a sentire una leggera pulsazione. Un istante dopo, Dom mi fece piombare un braccio sulle spalle.

«Chi l'avrebbe mai detto, Bliss, siamo di nuovo insieme.»Mi scrollai di dosso il suo braccio e mi avviai verso la porta.

«Facciamolo e non pensiamoci più, Dominic.»Quando uscii dal teatro, le varie coppie erano già accampate

lungo tutto il corridoio. L'unico punto libero rimasto era esattamente di fronte alle porte del teatro, cosa che praticamente ci garantiva di essere richiamati per primi. Ciò significava che saremmo stati meno preparati di qualsiasi altra coppia. Bastò il pensiero a farmi sentire come se stessi per essere colpita da un attacco di orticaria, ma chiaramente quel giorno il mondo ce l'aveva con me. Pazienza, almeno avrei finito presto la lezione.

«Va bene, Dom, vediamo cosa abbiamo qui.»Trascorsi la maggior parte dei dieci minuti spiegandogli il

dramma e la scena. Dom era uno di quei ragazzi di bell'aspetto, davvero bravi a recitare la parte dell'imbecille troppo sicuro di sé (soprattutto perché lui era un imbecille troppo sicuro di sé), ma niente di più.

«Quindi il mio tipo è sbronzo, giusto?»«Sì, Dom.»«Bello. E tu sei pazza?»Sospirai. «Be', più o meno. Mi illudo facilmente e tu

distruggi quelle illusioni.»«Ottimo. Poi ti aggredisco.»Roteai gli occhi. Che senso aveva?«Sì, certo. Ad ogni modo, io comincio sedendomi sulla

sedia e poi tu entri da sinistra, va bene? Immagino che non ci faccia fare tutta la scena perché è piuttosto lunga.»

Fu tutto quello che riuscimmo a preparare, perché poi la porta si aprì e gli occhi di Garrick caddero su di me. «Bliss, Dom, siete pronti?»

Dom mi fece alzare contro la mia volontà e disse, «Certo, Garrick.»

Pronta era l'esatto opposto di come mi sentivo. Odiavo essere impreparata.

Garrick prese le nostre foto e i nostri curriculum e li guardò in silenzio per un minuto circa. Presi una sedia, la spostai al centro della stanza e mi sedetti. Piegai il copione in modo che il foglio non fosse troppo grande e difficile da maneggiare. Poi Garrick ci fece presentare come se non l'avessimo mai incontrato prima e poi ci diede l'autorizzazione per cominciare.

La scena si apriva con Bianche che parla con spasimanti immaginari a una festa immaginaria, con indosso i suoi abiti migliori, compreso un diadema.

Mi ci volle qualche secondo per entrare nella parte, perché il timore e il disagio che provavo erano l'esatto opposto della felice inconsapevolezza di Bianche. Ma una volta che ci riuscii, fu facile lasciare da parte l'aula intorno a me e perdermi nella sua risata, nei suoi sogni e nelle sue delusioni. Quando Dom entrò spavaldo nello spazio scenico, dovetti ammetterlo, era uno Stanley magnifico. Nonostante non sapesse assolutamente niente del dramma, emanava il carisma di Stanley, il suo assoluto disprezzo per Bianche.

Utilizzai il disagio che provavo per la situazione con Garrick, lasciandolo filtrare e dirigendolo verso Dom. Dopo un'altra mezza pagina, Garrick ci fermò.

«Bene, bene. Bliss, hai cominciato un po' incerta, ma alla fine eri perfetta. Dom, credo che tu abbia afferrato molto bene il personaggio di Stanley.» Resistetti alla tentazione di roteare gli occhi. «Ma da parte tua non vedo lo stesso feeling che vedo in Bliss. Lei è sempre consapevole di te, aggiusta i suoi movimenti ai tuoi. Ho bisogno di vederti reagire un po' di più.

Facciamo un salto in avanti, fino al punto subito prima di quello in cui tu rientri dal bagno. Cominciate da Bianche che chiama la Western Union e vediamo se davvero non riusciamo ad armonizzarvi.»

Annuii, spostandomi sul lato opposto dello spazio scenico, dove avevo pensato di mettere il telefono immaginario. Garrick aveva probabilmente scelto la parte più difficile da cui potessi cominciare. Eravamo saltati direttamente al momento in cui Stanley faceva a pezzi il bel mondo perfetto che avevo sognato per me stessa, e io dovevo trasmettere la stessa paura e la stessa paranoia.

Chiusi gli occhi e feci un respiro profondo.Paura. Paranoia. Come mi sarei sentita se qualcuno avesse

scoperto di Garrick e me? O se lui avesse scoperto che ero vergine? Accidenti... come mi ero sentita subito prima di impedirci di fare sesso. Quelle erano paura e paranoia allo stato puro.

Un po' più sicura di me, aprii gli occhi e mimai di afferrare il telefono. Dato che dovevo reggere il copione, dovetti astenermi dal mimare la cornetta e fare solo finta di parlare nel ricevitore. Ansimai nel telefono, chiedendo di un operatore.

La paura era così reale che mi spuntarono le lacrime agli occhi senza che facessi alcuna sforzo. Farfugliavo, mentre il panico aumentava e strozzava le mie parole.

La mia voce si incrinò mentre chiedevo aiuto. La sensazione di essere intrappolata arrivò con troppa facilità. Era soffocante.

Sentii Dom che mi si avvicinava da dietro e mi bloccai. Indietreggiai e lui si mise tra me e la porta immaginaria. Mi guardò in modo lascivo e io non dovetti fingere il senso di repulsione che provavo.

Cercai di allontanarmi e lui mi si piazzò davanti. Gli chiesi di lasciarmi passare, ma lui non si mosse. Ridendo, cominciò a muoversi lento verso di me e io sentii il battito del mio cuore aumentare leggermente.

Scivolai fuori dal personaggio giusto il tempo necessario per pensare che stavamo facendo davvero un buon lavoro. Di gran lunga migliore di quello che avevo immaginato. Poi la faccia sorridente di Dom entrò nel mio campo visivo e io rientrai completamente nella parte.

Cercai di sfuggirgli, ma lui continuò ad avanzare, sempre sorridendo. Poi le sue mani si chiusero intorno ai miei avambracci, tirandomi verso l'alto e contro di lui.

Lottai, contorcendo tutto il corpo per cercare di spingerlo via.

Mi tirò contro di sé, stringendo più forte, forte abbastanza da farmi male sul serio, e un piccolo brivido di disagio mi percorse la schiena.

Il suo viso era esattamente sopra il mio, perciò sentivo il calore del suo fiato sulla faccia. Sarei dovuta crollare, sconfitta, e lui avrebbe dovuto portarmi fuori per la scena dello stupro, ma le cose non andarono così.

Dom lasciò cadere il suo copione, mi afferrò per il collo e mi tirò a sé, baciandomi.

Scioccata, lo spinsi via con la mano libera, ma lui continuò a baciarmi, senza capire che ero io a protestare, non Bianche. Spingevo e mi contorcevo, ma lui era troppo forte e le sue labbra erano così schiacciate contro le mie che non riuscivo a dire niente per fermarlo. Mi stavo preparando per la mia ultima mossa di protesta, una rapida ginocchiata in mezzo alle gambe, quando Dom mi fu strappato di dosso.

Ricominciai a respirare e vidi Garrick, fremente di rabbia, lasciare una delle braccia di Dom che gli aveva rigirato dietro la schiena.

«Dov'è, esattamente, che vedi scritta nel copione questa specifica didascalia, Dominic?» chiese Garrick, con un tono di una calma letale.

Ma io non avevo tempo da perdere con le questioni logiche. Mi scagliai su Dom, dandogli uno spintone.

«Che cazzo stavi facendo, Dom? La scena dello stupro avviene fuori scena, deficiente!»

Quando cercai di spingerlo di nuovo, mi afferrò il polso.«Ehi, stavo cercando di trovare un feeling. Improvvisavo. È

quello che fanno gli attori!»La mano di Garrick si avventò sul braccio di Dom,

stringendolo probabilmente un po' più forte di quanto non fosse appropriato. Dom lasciò il mio polso immediatamente e io indietreggiai.

«Anche se fosse così,» cominciò Garrick. «Gli attori si rispettano a vicenda. A meno che tu non voglia essere accusato di aggressione, una cosa del genere la concordi con il tuo partner in anticipo.» Vidi la facciata calma di Garrick incrinarsi. «Adesso vai. La lezione per te è finita.»

Vidi che Dom era furioso. Mi guardò con ferocia e aprì le porte con tanta violenza che sbatterono contro il muro. Quella settimana non avevo davvero un attimo di tregua. Il mondo rovesciava merda addosso a tutti o ero l'unica?

Sentii un tocco leggero come una piuma sul braccio, poi Garrick si mise di fronte a me, tenendomi delicatamente il braccio tra le mani. Nel punto in cui Dom mi aveva afferrato durante il provino mi stava già venendo un livido. Garrick si passò una mano sul viso e poi mi guardò, dicendo, «Probabilmente avrei potuto gestire meglio la situazione.»

Non realizzai quanto mi sentissi martellare la testa finché non scoppiai a ridere e il movimento fece rimbalzare il dolore tra le mie tempie. D'istinto chiusi gli occhi. Le dita di Garrick mi sfiorarono la guancia, producendo sulla mia pelle un terremoto di brividi, che partiva dal punto in cui ci toccavamo. Tenni gli occhi chiusi, perché fintanto che erano chiusi non stavo facendo niente di male, giusto? Ma se li avessi aperti e avessi guardato il suo viso stupendo e avessi visto quelle labbra... sarei entrata in un territorio completamente diverso, che era senz'altro sbagliato, sbagliato, sbagliato.

Un sussurrato, «Bliss...» fu tutto il preavviso che mi diede prima di appoggiare le labbra sulle mie.

Capitolo undici

Per tre secondi esatti pensai a quanto quel bacio fosse una pessima idea, poi di botto smisi del tutto di pensare. La sua lingua scivolò nella mia bocca, in esplorazione, impetuosa, esigente. Era passione allo stato puro. Quando i registi parlavano di come gli attori dovessero essere una cosa sola sul palco, avevo sempre fatto finta di capire cosa significasse avere del feeling, ma ora lo capii davvero. Qualsiasi cosa accadesse quando mi toccava, era come una reazione chimica: molecole che cambiavano, si spostavano, emettevano calore.

Accidenti, c'era così tanto calore.Una sonora risata, che riconobbi essere di Kelsey, si fece

strada attraverso la nebbia che avevo nella mente e io mi separai da Garrick. Fuori c'erano altri studenti che aspettavano di entrare. Da quanto tempo ero lì da sola con lui?

Fece un passo in avanti per seguirmi e io sollevai una mano.«Fermo! Fermo! Non puoi fare così! Ci eravamo detti che

ce ne saremmo dimenticati! Tu l'hai detto, a dire il vero! Non puoi dire così e poi fare cosà!»

«Mi dispiace.»Non aveva un'aria dispiaciuta. Aveva l'aria di volerlo rifare.Scossi la testa e mi spostai verso la porta.«Aspetta, Bliss, mi dispiace. Non succederà più, va bene?»«Va bene.» Risposi così, ma mi sentivo tutt'altro che bene.

Insomma, si comportava come se io non avessi voluto quel bacio quanto lui! Lui aveva tanto da perdere quanto me! Perché ero l'unica che si preoccupava delle conseguenze?

Uscii appena in tempo per sentire Dom fare commenti con alcuni dei ragazzi che si erano raccolti vicino alle porte.

«Quello è davvero un cretino. Si è comportato come se avessi cercato di stuprarla o qualcosa del genere. Era solo un bacio. Non che non l'avessimo già fatto prima.»

Roteai gli occhi. «E in qualche modo questa volta è stato anche peggio della volta precedente. Con il tempo non dovresti migliorare, Dom?» I suoi amici scoppiarono a ridere, ma riuscii comunque a sentire Dom che mi dava della stronza.

Continuai a camminare. Prima della lezione successiva, avevo tempo a sufficienza per prendermi la tazza di caffè più grande che avessi trovato.

Per il resto della settimana, fortunatamente, non successe nulla. Garrick mantenne le distanze e io ebbi tante cose da fare che mi tennero occupata. Ci avevano assegnato i nostri compiti al corso di regia, il che significava che era ora di mettersi sotto a leggere per cercare una scena. Venerdì, al corso di preparazione teatrale, parlammo dei nostri provini e Garrick ci diede da leggere dei materiali sull'Actor's Equity Association. Perciò, trascorsi gran parte del fine settimana a esaminare ogni opera teatrale in mio possesso (e la maggior parte di quelle di Cade) e a leggere la descrizione dell'AEA più noiosa del mondo.

La settimana successiva bisognava iscriversi al primo provino del semestre, il penultimo della mia vita al college. Se venerdì non fosse andata bene, avrei avuto solo un'ultima possibilità di recitare in uno spettacolo prima della laurea. Avevo recitato nel primo spettacolo dell'anno ed ero stata il direttore artistico di un altro, ma poi non avevo fatto più niente. Mi avevano già offerto di fare il direttore artistico dell'ultimo spettacolo, in caso non avessi ottenuto una parte in questo, ma avevo avuto troppa paura per accettare subito. Accidenti, stavo davvero cominciando a preoccuparmi. Stavo per laurearmi e la mia vita non era per niente come me l'ero immaginata. Quando avevo cominciato il corso tre anni e mezzo prima, pensavo che arrivata a questo punto avrei avuto un progetto. Pensavo che avrei saputo con certezza che cosa avrei voluto fare e dove

sarei andata e, a essere onesti, pensavo che avrei incontrato il ragazzo che ora sarei stata sul punto di sposare. Cioè, ogni coppia sposata di mia conoscenza si era conosciuta al college e a me mancava solo qualche mese e l'idea del matrimonio mi sembrava assurda.

Il fatto che la mamma, ogni volta che ci sentivamo, mi chiedesse immediatamente, «Hai conosciuto qualcuno?» non era certo d'aiuto. Mi domandai velocemente come avrebbe reagito se, la prossima volta che me lo avesse chiesto, le avessi raccontato dello stato attuale della mia vita sentimentale. Magari avrebbe perso la testa. Magari mi avrebbe chiesto quando avessimo intenzione di sposarci... Ogni tanto, con la mamma era difficile prevedere come si sarebbe comportata.

Come fanno le persone a decidere a questa età con chi vogliono trascorrere il resto della loro vita? Io non riuscivo neppure a decidere che cosa mangiare per cena! Non riuscivo a decidere se volevo recitare, anche se avevo già ottenuto un prestito per studenti da trentacinquemila dollari, che mi diceva che avrei fatto meglio a decidere di essere un'attrice.

Alla fine della settimana dei provini, la cosa con Garrick aveva cominciato a sembrarmi quella «cosa da niente» che continuavo a ripetermi fosse. Entravo in aula all'ultimo secondo e di solito ero la prima a uscire. Mantenendo quanto mi aveva promesso, a lezione era professionale, cosa che semplicemente significava che interagivamo solo il minimo indispensabile. Non lo rividi mai al Grind, anche se ci andammo un sacco di volte.

Avrebbe assistito ai provini, così come ogni altro membro della facoltà, ma neppure la sua presenza avrebbe potuto smorzare l'eccitazione che provavo per quello spettacolo. Come attrice, ero sempre stata più portata per le parti classiche che non per quelle contemporanee (da cui l'ossessione per Shakespeare) e finalmente avremmo rappresentato un testo greco (be'... se non altro, la traduzione di un testo greco).

Fedra non sarebbe stata la mia prima scelta, considerato che era tutto incentrato su un amore proibito, non proprio ciò di cui avevo bisogno al momento. Ma all'ultimo, durante il provino, entrai perfettamente in sintonia con il personaggio. Certo, Fedra concupiva il suo figliastro, non il suo professore, ma i sentimenti erano gli stessi.

Era da tempo che non desideravo così tanto una parte.Quando fu il mio turno di entrare nel teatro per il provino,

mi sentivo bene, sicura di me. Conoscevo le battute. Conoscevo il mio personaggio. Sapevo cosa volesse dire desiderare qualcuno che non potevi avere. E più di ogni altra cosa, sapevo cosa volesse dire desiderare qualcosa e allo stesso tempo non desiderarla. In quell'interpretazione di un minuto e mezzo, riversai ogni grammo di lussuria, di paura, di dubbio e di vergogna. Mi costrinsi ad aprirmi come non facevo mai nella vita reale, perché lì... lì potevo sfogarmi e gestire la cosa e fingere che non si trattasse di me, fingere che si trattasse di Fedra. Fui più sincera sotto il calore di quelle luci di quanto non lo fossi mai alla luce del giorno.

In un paio di minuti era tutto finito e io tornai nei camerini, a chiedermi se avessi dato abbastanza.

Dopo i provini, uscimmo tutti insieme a festeggiare. Avremmo saputo solo la mattina dopo i nomi delle persone richiamate, e sarebbe stata tutta un'altra fonte di preoccupazione, ma per il momento le cose non erano più nelle nostre mani.

Tutti insieme, per la maggior parte studenti del terzo e del quarto anno, occupammo un'intera sala dello Stumble Inn. Anche se eravamo in tavoli diversi, ci parlavamo da una parte all'altra del locale in modo riprovevole e non ce ne importava niente di quante persone stessimo disturbando.

Cominciammo con degli shot di tequila, in un modo che era sinistramente un po' troppo simile alla serata con Garrick, ma non diedi peso alla cosa. Ero lì con amici, lasciarmi andare e

divertirmi un po' mi avrebbe fatto bene.Naturalmente ero seduta a un tavolo con Cade e Kelsey.

C'erano anche Lindsay e Jeremy, un ragazzo carino del secondo anno con cui l'anno prima avevo limonato da ubriaca. Da quel momento mi era stato dietro parecchio, ma ero quasi certa che sapesse che tra di noi non sarebbe successo niente. In quei giorni era perdutamente innamorato della nostra bellezza locale ossessionata dal sesso: Kelsey. Poi c'era Victoria, che avrebbe potuto tranquillamente passare per la figlia illegittima di Kelsey e Lindsay: aveva le tette di Kelsey e la sua sfacciataggine, ma l'atteggiamento odio-tutti-e-tutto di Lindsay. A completare il tavolo c'era Rusty, che era, chi l'avrebbe mai detto, il re della risata e dell'imprevisto.

Jeremy era l'unico troppo piccolo per bere, ma la cameriera non si prese neppure il disturbo di chiedere i documenti a tutto il tavolo. Guardò la carta d'identità di Cade e poi diede giusto un'occhiata alle altre. Ordinammo da bere, da mangiare e poi di nuovo da bere.

Quando il discorso arrivò ai provini, mi sentivo piuttosto bene.

Fu Rusty a rompere il ghiaccio. «Allora... che cosa ne pensate di questo spettacolo sull'incesto?»

Roteai gli occhi. «Non è un incesto, Rusty. Non sono parenti di sangue.»

«Non importa,» rispose alzando le spalle. «Io ho una matrigna e me la farei addosso, se ci provasse con me.»

Kelsey scoppiò a ridere, «Probabilmente perché sei gay.»«L'ho vista la tua matrigna. Con me può provarci quando

vuole,» disse Cade.Se fossimo stati un altro genere di persone, Rusty si sarebbe

offeso, magari avrebbe tirato un pugno a Cade sul braccio, o in faccia. Invece, si diedero il cinque.

«Davvero, sono serio, a voi come è andata?» chiese Rusty. «Io ho fatto schifo. Se sono fortunato, mi fanno fare il soldato

numero due o il servo.»Kelsey si intromise, «Ucciderei per la parte di Afrodite.

Cioè, chi altri ha le tette giuste?»Victoria alzò una mano, «Ehm, scusa... Sei cieca?» Si indicò

il petto.«Andiamo, vuoi ancora la parte di Afrodite?»«Assolutamente no» disse Victoria. «Ma questo non

significa che le mie tette non se la prendano, se le ignori.»Con gli occhi sgranati, Jeremy disse, «Io non ignorerei mai

le tue tette.»Risero tutti. Di solito, quando eravamo fuori insieme,

Jeremy stava piuttosto in disparte. Immagino fosse difficile starci dietro, considerato che negli ultimi quattro anni avevamo trascorso ogni momento della giornata insieme, mentre lui era la new entry del gruppo.

«E tu, Bliss?» chiese Lindsay. «Sappiamo tutti che ti bagni solo a pensarci.»

Se le mie guance non fossero già state in fiamme per l'alcol, sarei arrossita.

«Penso che sia andato bene. È solo che io... capisco Fedra molto bene, sai?»

Kelsey scoppiò a ridere e io le tirai un calcio sotto il tavolo.Cade mi sorrise, «Come? Vorresti concupire un membro

della tua famiglia che non ho mai incontrato?»Gli diedi una spintarella sulla spalla e lui rise,

abbracciandomi e tirandomi a sé.«Sto scherzando, piccola.»«E' solo che io... capisco cosa significa volere qualcosa e

allo stesso tempo obbligarsi a credere che non la si vuole. Non deve per forza avere a che fare con l'amore. Può riguardare anche il volere qualcosa che non puoi avere o qualcosa che pensi di non meritarti. Accidenti, vogliamo per noi le parti che vengono date ai nostri amici, anche se sono i nostri amici e dovremmo essere felici per loro. Sediamo tra il pubblico e

pensiamo a come avremmo recitato noi in quella parte. Vogliamo quello che non possiamo avere. È la natura umana.»

Dovevo essermi fatta prendere un po' troppo la mano. Quando finii, il tavolo rimase in silenzio. Finché Rusty disse, «È chiaro che non sei ancora abbastanza ubriaca!» Perciò bevemmo ancora e poi arrivò il cibo, che a veva un aspetto unto e magnifico.

«Ragazzi, vi rendete conto che non abbiamo ancora parlato di un argomento fondamentale?» Victoria sollevò un sopracciglio e continuò.

«Il professor Sono-il-sesso-in-persona-e-probabilmente-potrei-metterti-incinta-anche-solo-guardandoti.»

La maggior parte dei ragazzi al tavolo (tranne Rusty) brontolò qualcosa, mentre la maggior parte delle ragazze (tranne me) più Rusty emise diverse tonalità di «Oh, sì!»

Victoria cominciò a farsi aria. «Davvero, il primo giorno, quando ha parlato, penso che solo l'accento mi abbia quasi fatto avere un orgasmo.»

Io rimasi in silenzio e anche Kelsey, che mi guardò con aria interrogativa.

Potevo scusarmi e andare in bagno. Sarebbe sembrato strano? Non che non avessi bevuto un sacco.

«Kelsey, come mai non mi stai supportando?» Chiese Victoria. «Posso invocare il diritto di prelazione per l'istante in cui saremo laureate?»

Cercai di mantenere un'espressione neutrale.Kelsey sorrise, «Oh, sì, è carino. Ma è un po' troppo perbene

e formale per me. Mi piacciono i ragazzi un po' più pericolosi.» Fece l'occhiolino a Jeremy e sono certa che lui se avesse spalancato ancora un po' la bocca, gli si sarebbe staccata la mandibola.

«Come? La sua moto non è abbastanza pericolosa per te?» chiese Cade.

«Ha una moto? Non lo sapevo!» Mi lanciò uno sguardo

d'accusa, come se l'avessi tradita non riferendole questa informazione.

«Che cos'è successo tra lui e Dom?» mi chiese Lindsay. «Dom si sta ancora lagnando del fatto che l'ha trattato male durante il provino.»

Cade fece scivolare una mano giù dallo schienale dietro di noi e, circondandomi le spalle, mi diede un rapido abbraccio.

«Dom è solo un cretino. Mr. Taylor me l'ha tirato via di dosso, e basta.»

Rusty sorrise e indicò Cade e me, «Voi due siete così carini. 'Oh Mr. Taylor di qui e Mr. Taylor di là.' Credo che siate rimasti gli unici a trattarlo come un insegnante anziché come un pezzo di carne.»

Roteai gli occhi. Non lo chiamavo mai Mr. Taylor quando eravamo soli, ma mi sentivo strana a parlare di lui con altre persone chiamandolo Garrick. Mi sembrava che sarebbero state in grado di leggermi in faccia ogni segreto e avrebbero saputo esattamente quanto lo considerassi un non-insegnante.

Forse, dopotutto, avevo davvero bisogno di quella pausa-bagno. Diedi un colpetto con il gomito a Cade, che scivolò fuori dal divanetto, lasciandomi passare. A ogni passo lontano da quel tavolo, la mia ansia diminuiva. Sarei stata via per qualche minuto, poi sarei tornata e loro sarebbero stati impegnati in una conversazione completamente diversa, e sarebbe stato tutto a posto.

Stavo passando davanti al bancone, quando sentii il mio nome.

«Bliss!»Mi voltai, ma non vidi nessuno.«Bliss!»La voce era più vicina e, questa volta, quando guardai

dall'altro lato del bancone, lo vidi: il Barista.Sorrisi e cercai di sembrare felice di vederlo, ma

onestamente... non ricordavo neppure il suo nome. C'erano fin

troppe cose che avevano richiesto la mia concentrazione quella sera. Come sempre quando pensavo a Garrick, mi si capovolse lo stomaco e dovetti concentrarmi per non perdermi nei ricordi.

Quando ci trovammo uno di fronte all'altra, separati dal bancone, il Barista disse, «Ehi... Spero che non sia inquietante il fatto che mi ricordi il tuo nome.»

Lo era, un pochino.«Giuro di non spaventarmi, se mi perdoni perché non mi

ricordo il tuo.»Le sue labbra si corrugarono all'ingiù per un istante prima

che sorridesse e dicesse, «Brandon.»«Giusto, Brandon. Naturalmente. Mi dispiace. È stata una

lunga settimana.»«Be', lascia che cerchi di migliorarla un po'.» Tirò fuori un

bicchiere e mi versò uno shot di tequila. «Offre la casa.»Mi sentivo in imbarazzo a bere lo shot da sola, ma non

potevo neppure rifiutarlo. Perciò, lo ringraziai, alzai le spalle e lo mandai giù in un'unica sorsata.

Risi, non perché ci fosse qualcosa di divertente, ma solo perché sembrava la cosa giusta da fare.

«Senti,» cominciò Brandon. «Non vorrei provarci in modo troppo diretto, ma ti andrebbe di uscire qualche volta?»

Volevo uscire con lui? E, soprattutto, volevo andare a letto con lui? Nonostante tutta la pazzia con Garrick, ero ancora vergine. E desideravo ancora non esserlo. Avevo un'altra opportunità per risolvere la faccenda... che non comportava dover infrangere le regole della scuola e rischiare l'espulsione. Lo guardai. Kelsey aveva ragione: era carino. E senza dubbio era interessato.

Provai a immaginare come potesse essere andare a letto con lui. Provai a immaginare che ci spogliavamo, le sue mani sulla mia pelle, le sue labbra sulle mie. Ci provai, ma in ogni immagine c'era Garrick a fare quelle cose, non Brandon.

Accidenti, perché non potevo solo schioccare le dita e non

essere più vergine? Perché doveva c'entrare il sesso? E perché, se l'unica cosa a cui riuscivo a pensare era Garrick, mi ero tirata indietro anche con lui, al momento di fare sesso?

Perché il mio cervello si rifiutava categoricamente di essere ragionevole?

Brandon si diede una risposta da solo, «Immagino che probabilmente sia un no. Di solito lo è, se serve così tanto tempo per rispondere.»

Feci un sorrisino a labbra strette. «Mi dispiace. Sei davvero carino, è solo che non sono interessata... al momento.» Accidenti, lo facevo sempre. Non ero proprio capace di confrontarmi con qualcuno, perciò aggiungevo sempre espressioni come «al momento».

Brandon annuì, «Tranquilla. Non ti preoccupare. Io, ehm, è meglio che mi rimetta a lavorare.»

Non aspettò la mia risposta prima di allontanarsi in fretta dietro il bancone per servire un cliente all'altra estremità. Sospirando, mi avviai verso il bagno, dove mi sciacquai la faccia.

Non mi servì a ridurre il caos che avevo in testa, ma mi resi conto dell'alcol che mi pungeva lo stomaco e, almeno quello, mi fece sentire a posto nonostante il caos.

Ritornai al tavolo, dove mi stavano aspettando altri due shot, per gentile concessione di Cade; fortunatamente la conversazione si era spostata su qualche altro pettegolezzo che non riguardava Garrick. Quando arrivò il momento di fare un altro giro, la mia pelle sembrava un manto caldo e mi faceva male la gola da quanto avevo riso per cose che non erano state necessariamente divertenti.

Eravamo tutti abbastanza su di giri da far sì che la nostra conversazione si fosse trasformata in una serie di frasi a metà, battute che avremmo colto solo noi e risate.

«Sono così ubriaco,» cominciò Rusty, «che l'unica cosa che ho voglia di fare è sedermi nella mia auto e suonare la

fisarmonica finché torno sobrio.»Scoppiai a ridere in modo imbarazzante. «Hai una

fisarmonica?»«Certo, accidenti! Vuoi sentirmi suonare?»«Ovvio!»Lasciai il portafoglio a Cade, in modo che potesse pagare

per me. Come ricompensa gli diedi un tenero bacio sulla guancia.

«Oh! Anch'io! Anch'io!» urlò Kelsey. Lasciò anche lei il portafoglio a Cade, dandogli una pacchetta sulla testa anziché un bacio, poi Rusty si mise tra di noi e ci abbracciò.

«Prendete nota, ragazzi! Le signore adorano sempre un uomo in grado di suonare uno strumento!»

Lindsay rise sbuffando, «Al tuo strumento le ragazze non piacciono neanche, Rusty!»

«Ciò non significa che lui non piaccia a loro!»Sono certa che il volume nel pub si dimezzò quando ce ne

andammo, ma io non ero in grado di notare la differenza. Nella mia testa era ancora alto. Dopo qualche minuto, il resto del gruppo ci raggiunse fuori, intorno al cofano della macchina di Rusty, dove lui stava suonando la fisarmonica e cantava una canzone che, secondo lui, era in francese, ma sono quasi certa che in realtà fosse in una lingua inventata.

A dire il vero non ci importava. Dopo qualche minuto, conoscevamo abbastanza quella lingua da accompagnarlo. Alle due facemmo una serenata ai clienti del pub che vagavano in cerca delle loro auto. Cantammo in inglese e in quella lingua inventata. Cantammo Britney Spears e Madonna e Il Fantasma dell'Opera. Cade improvvisò qualche ridicolo rap dove forse inventò delle rime con «scabbia». E noi continuammo a fare serenate finché se ne furono andati tutti, e il proprietario venne fuori a dirci di andarcene.

Eravamo ancora troppo ubriachi per guidare, tranne Jeremy forse, ma nessuna delle nostre auto era grande abbastanza da

farci salire tutti.Mi venne il ghiribizzo di dire, «Andiamo da me. È a quasi

un chilometro da qui, ma sono praticamente certa di avere della vodka nel congelatore.»

Così, al grido di «Vodka!», ce ne andammo. In seguito mi sarei pentita di quella notte, ma in quel momento avrei solo voluto che non finisse mai.

Capitolo dodici

Da qualche parte tra il pub e il mio appartamento, mi ritrovai a piedi nudi. Le mie scarpe avevano i tacchi bassi, ma mi stavano distruggendo i piedi lo stesso. Perciò, semplicemente mi chinai in avanti e le tolsi.

«Aspetta, piccola, che cosa stai facendo?»Crollai su Cade, ridacchiando. Prima avevo pensato di

essere ubriaca, ma ora che era passato un po' di tempo... era arrivata la botta. Probabilmente non ero mai stata così fuori. «Le scarpe sono stupide. Perché le persone le portano?»

Rise, «Per non calpestare un chiodo e non prendere il tetano, ecco perché.»

«Scarpe. Stupide. Scarpe. Le S sono ssstrane.»Lui rise, perciò risi anch'io, anche se non avevo idea di cosa

ci fosse di divertente.«Sei adorabile. Vieni qui. Ti porto in spalla fino a casa per

mettere in salvo i tuoi piedi.»«Olè!»Si accovacciò e io gli saltai sulla schiena. Con le mie scarpe

nelle sue mani, barcollammo lungo la strada. Quando arrivammo nel mio parcheggio, stavo cantando una canzone inventata che più o meno faceva, «Cade è il mio paladino! Il paladino è un cretino!»

«In che senso un cretino? Non sono un cretino!»«Cade è il mio migliore amico! Un giorno andremo nel West

End e sarà proprio fico! La sua auto puzza di formaggio! Ora lo stringo e mi faccio coraggio!»

Rusty urlò, «Stringilo in privato!»«E Rusty è un citrullo! E il vento tra i capelli fa la puzza di

un frullo!»Cade rise, «Non intendevi fa il rumore?»«Che rumore?»«Non importa,» ridacchiò.Vidi comparire il mio appartamento.«Oh, merda. Ho dimenticato la borsa.»«Ce l'ho io, piccola.»«Ce l'hai tu? Sei il migliore!»Gli schioccai un forte bacio. Avevo mirato alla guancia, ma

penso finì da qualche parte sul collo.Più o meno in quel momento, sentii Jeremy gridare, «Ehi!

Mr. T! Come va?»«C'è un wrestler?» chiesi.«No, è Mr. Taylor.»Squittii, lasciai le spalle di Cade e mi sporsi all'indietro per

cercarlo. Nel farlo, feci perdere l'equilibrio a Cade e ci rovesciammo entrambi a terra, lui sopra di me.

Gemetti.«Merda! Cade pesa come uno schiacciasassi. Molto più di

quanto pensassi!» frignai cantando.Ero disorientata, il mondo ondeggiava come se fossi stata in

mare aperto.Cade disse, «Salve, Mr. Taylor.»«Ciao, Cade. Stai bene?»«Certamente.» Si tirò su sulle ginocchia e poi si alzò.

Quando cercò di far alzare anche me, guardai per bene Garrick che mi fissava dall'alto. I suoi capelli erano proprio sexy e il suo sorriso era davvero stupendo.

Non era giusto che fosse così bello.Gemetti e mi coprii gli occhi.«Perché il mondo mi odia?»Risero entrambi, ma non era divertente. Seriamente. Perché

il mondo mi odiava?«Andiamo, piccola.» Cade cercò di tirarmi su, ma il mio

corpo sembrava non rispondere.«Non credo di riuscire a stare in piedi,» gli dissi. «Mi sento

come uno spaghetto scotto.»«Chi l'avrebbe mai detto!» l'espressione divertita di Cade si

allontanò da me e i miei occhi cominciarono a chiudersi. «Le spiace, Mr. Taylor?»

La cosa successiva di cui mi resi conto fu che mi trovavo per aria e volavo. Mi piegai verso sinistra e c'era il profilo di Garrick. Era proprio un bel profilo! Avevo un braccio intorno alle sue spalle, lui e Cade mi stavano portando. Garrick mi sostenne da solo mentre Cade, accovacciato, scavava nella mia borsa alla ricerca delle chiavi.

Appoggiai la testa al petto di Garrick.«Hai un profumo così buono. Perché profumi sempre così?»Cade rise, «Oook. A questa battuta dobbiamo lasciar andare

via il professore.»Mollai Garrick e il braccio di Cade mi circondò in vita.«Mi dispiace, Mr. Taylor.»«Non c'è problema.»«Senta, se sapesse che l'ha vista in questo stato sarebbe

sconvolta. Giuro che di solito non è così. È solo che per qualche ragione ultimamente è molto stressata.»

«Va bene, Cade. Giuro. Buonanotte, Bliss.»Mi tirai su e agguantai la manica della sua camicia. «No,

rimani.»Poi spuntò Rusty, con la fisarmonica ancora tra le mani. «Sì,

Garrick, rimani. La piccola Bliss ha della vodka.»Garrick mi fece un sorrisetto. «Credo che la piccola Bliss

abbia bevuto abbastanza. Grazie per l'offerta, ma ci sono ancora dei limiti che non dovrei superare.» I suoi occhi incontrarono i miei e seppi che non stava parlando solo della festa. Ciò mi fece smaltire un po' la sbornia, non molto ma abbastanza da sapere che stavo facendo la figura dell'idiota.

«Ragazzi, state attenti. Divertitevi.»

Poi se ne andò e Cade mi aiutò a entrare e a sedermi sul divano.

I ragazzi andarono a saccheggiare il mio frigorifero, mentre Kelsey si sedette accanto a me sul divano e si distese sulle mie gambe.

«Quindi... il tuo amante stasera era davvero fantastico.»«Kelsey! Stai zitta!»«Che c'è? Non mi ha sentito nessuno.»Mi guardai intorno. Aveva ragione. I ragazzi stavano

rubando delle patatine dalla dispensa. Lindsay e Victoria versavano della vodka in alcuni bicchieri pieni di succo d'arancia. Quando fui certa che nessuno stesse facendo caso a noi, guardai di nuovo Kelsey.

«È sempre bello. Non so per quanto riuscirò a gestire la situazione. Un giorno andrò in autocombustione da sesso e gli salterò addosso nel bel mezzo della lezione.»

Rise, «Anche se sarebbe davvero interessante, sai che è una pessima idea. Inoltre... l'hai già avuto. A quanto pare, è stato abbastanza bravo da far sì che tu lo desideri ancora, ma lui ormai non è più un mistero che muori dalla voglia di svelare. Hai solo bisogno di distrarti.»

Annuii incerta, anche se ero quasi sicura che niente potesse distrarmi dal desiderare Garrick. Quello che Kelsey non sapeva, era che lui per me era ancora un mistero. E, accidenti, io volevo proprio giocare a fare l'investigatrice come Nancy Drew.

A Kelsey brillarono gli occhi, si sollevò e poi si alzò dalle mie gambe.

«Sapete a che gioco non ho mai giocato?» Chiese a voce alta. «Al gioco della bottiglia!»

Victoria la guardò scettica. «Non hai mai giocato al gioco della bottiglia? Davvero?»

Kelsey alzò le spalle, poi si voltò a osservarmi da sopra una spalla e mi fece l'occhiolino. «Cosa posso dire?» Continuò.

«Sono fiorita tardi. Quando queste signorine sono uscite,» fece un cenno verso le sue tette enormi, «La gente aveva smesso di aver bisogno di usare un gioco come scusa per limonare.»

Cade sollevò un sopracciglio guardandola. «E noi abbiamo bisogno di una scusa adesso?»

Lei balzò giù dal divano e si sistemò per terra a gambe incrociate, afferrando una bottiglia d'acqua mezza piena dal tavolino. «Certo che no. Ma è il gioco in sé a essere eccitante.»

Mi afferrò per il braccio e mi strattonò. Caddi sul pavimento come un sacco di patate, ridendo in modo isterico.

«Vedi?» disse Kelsey. «Bliss si sta già divertendo. Vic, porta la vodka! Lo renderemo un po' più interessante. E' il gioco della bottiglia per maggiorenni. Il che significa niente bacetti sulle labbra. Voglio vedere la lingua.»

«Giuro, Kelsey, sei più depravata della maggior parte dei ragazzi che conosco.» Disse Lindsay.

«Grazie! Ora, non sono così irragionevole: potete scegliere di dare anche un bacetto... ma dovrete farvi uno shot per punizione.»

La maggior parte dei ragazzi sembrò sollevata. Rusty sembrò deluso.

«Qui ci sono molte più ragazze che ragazzi,» fece notare Lindsay.

Victoria fece un largo sorriso, «Forse potremmo andare a cercare Garrick e farlo giocare con noi.»

Impallidii, «No! Assolutamente no!»«Accidenti, Bliss, sei così moralista.»Kelsey mi rivolse un sorriso d'intesa. Avevo chiaramente

bisogno di quella distrazione. Mi allungai in avanti e feci girare la bottiglia.

Si fermò su Rusty e non gli lasciai neppure la possibilità di rinunciare al bacio. Mi chinai verso il centro del cerchio, lo afferrai per il colletto e lo tirai verso di me. Ero abbastanza ubriaca da far sì che il bacio fosse un po' sdolcinato, ma

eravamo tutti ubriachi, perciò cosa importava? Lo baciai per diversi secondi prima di rimetterlo giù e scivolare indietro al mio posto.

Rusty fischiò, «Maledetta ragazza. Se non fossi gay al centodieci per cento, ti chiederei di uscire immediatamente.»

Buttai la testa all'indietro e scoppiai a ridere. Era bello lasciarsi andare.

Poi fu il turno di Rusty e il povero Jeremy fu la vittima successiva. Afferrò la bottiglia di vodka e disse, «Senza offesa, Rusty, ma non sei il mio tipo.» Rise, diede una bella sorsata e poi piazzò un bacetto fulmineo sulle labbra di Rusty.

Facemmo tutti «Oooh» come dei ragazzini delle medie.Si sentì bussare alla porta, Kelsey balzò su e saltellò

all'ingresso. Tornò con altre dieci persone del nostro dipartimento.

«Non è un problema, vero?» Mi chiese. Era proprio da Kelsey invitare prima e poi chiedere il permesso. In ogni caso scossi la testa, non mi importava.

«Ottimo, signore e signori prendete posto. È il momento della dissolutezza.»

Non esisteva un termine migliore. Qualche minuto dopo, non avevo mai visto così tanti amici limonare con altri amici, a prescindere dal fatto che si piacessero, che si facessero impazzire o che considerassero l'altro come un fratello. Per una notte mettemmo tutto da parte e lasciammo che fosse una bottiglia di Aquafina a determinare le nostre vite.

Quando la bottiglia si fermò di nuovo su di me, l'aveva fatta girare una ragazza. Tutti i ragazzi fischiarono quando scegliemmo entrambe lo shot di punizione, ma esultarono ugualmente per il nostro bacetto. Ridendo, feci girare di nuovo la bottiglia, che si fermò su Cade.

Cade aveva l'aspetto del bravo ragazzo della porta accanto, compreso il sorrisone infantile con cui mi stava fissando. Alzai le spalle e andai a gattoni verso di lui. In ginocchio davanti a

lui, misi le mani sulle sue spalle e mi chinai.Il bacio all'inizio fu proprio come ogni altro bacio... e poi

all'improvviso non lo fu più. Una mano di Cade mi prese dietro la testa, mentre l'altra mi tirò in vita. Le sue labbra si muovevano sulle mie febbrilmente, disperate, come se il mondo stesse per finire e questa fosse la sua ultima occasione per essere felice.

Il bacio fu intenso abbastanza da far sì che mi si sprigionasse una sensazione di calore nello stomaco, ma dolce abbastanza da farmi sentire adorata. Per un istante, mi dimenticai di dove fossi e con chi, e godetti del calore, del piacere.

Poi qualcuno fischiò e, pezzo dopo pezzo, il mondo mi ritornò alla mente. Aprii gli occhi e fissai il mio amico, che mi aveva baciato come se avesse voluto essere tutt'altro che un amico.

Ritornai dalla mia parte del cerchio, ignorando i commenti degli altri sul bacio. Stupefatta e ben più che confusa, mi ritirai in me stessa per qualche turno.

Sentivo degli occhi puntati su di me. Sicuramente quelli di Cade, e forse anche quelli di Kelsey. Ma la mia mente era troppo concentrata a rimanere tutta intera, perché mi mancava poco per disintegrarmi.

Eravamo ubriachi. Probabilmente non significava nulla. E io ero così sottosopra per Garrick da volere disperatamente un contatto con qualcuno. Ecco.

Non significava nulla.Eravamo ancora amici. Cade e io saremmo sempre stati

amici.Rimasi lì ancora qualche minuto, finché la mia testa

cominciò a girare troppo per poter ignorare la cosa. Avevo anche un po' di nausea.

Mi alzai e mi scusai, dicendo a tutti di rimanere quanto volevano. Dissi loro dove trovare coperte e cuscini extra se si

fossero voluti fermare a dormire e poi mi ritirai nella mia stanza, strisciando sotto le coperte e abbandonando il sorriso forzato.

Mi dissi che la mattina dopo le cose sarebbero andate meglio.

Capitolo tredici

Al mattino, Kelsey era svenuta nel letto accanto a me, c'erano altre cinque persone in soggiorno e una nella vasca da baglio. Sorrisi per mezzo secondo, prima che i postumi della sbronza mi ricordassero, non troppo gentilmente, quanto odiassi il mondo.

Prima di tornare in camera, mi lavai i denti e mi sciacquai la faccia. Sentii la porta d'ingresso che si apriva e si richiudeva piano, sbirciai attraverso la tenda per vedere chi fosse.

Cade era tornato con una grassa colazione che sarebbe bastata per tutti.

Feci un respiro profondo ed entrai nella stanza.«Mi stai salvando la vita!» bisbigliai.Alzò lo sguardo, sorridendo, e mi porse un enorme burrito

con pancetta, uova e formaggio.«Come ti senti?»Mi accigliai. «Come se fossi stata presa in pieno da un

pullman. Bello pesante, pieno di lottatori di sumo.»Balzai sul ripiano e, quando mi girò la testa, me ne pentii

per una decina di secondi. Lui si sedette su uno sgabello davanti a me.

Il burrito era perfetto: una tortilla spessa e soffice, uova calde e una salsa deliziosa.

«Amo questo burrito. Lo sposerei, se non avessi così tanta voglia di mangiarlo.»

«La tragedia del vero amore,» bisbigliò Cade.Feci una specie di sorriso e lui fece una specie di sorriso e,

per la prima volta in molti anni, mi sentii in imbarazzo con Cade. Distolsi lo sguardo e mi concentrai sulle persone

disseminate per il soggiorno.«Che cos'è successo dopo che sono andata a letto?»«Niente di che. Jeremy ha perso definitivamente la testa per

Kelsey. Victoria ha lasciato mezzo pacchetto di mozziconi di sigaretta per terra nel portico. E Rusty è stato malissimo in bagno.»

Arricciai il naso.«Tranquilla. E' tutto pulito. Sapevo che ti sarebbe venuto un

infarto se ti fossi svegliata trovandolo in quello stato.»Deglutii, sentendo crescere il peso sullo stomaco.«Sei troppo buono con me, Cade.»Si limitò ad alzare le spalle. Era sempre stato troppo buono

con me.«Senti,» cominciai. «A proposito della notte scorsa...»Si grattò la nuca e sulla sua bocca si fece strada un sorriso

incerto.«Sì, immagino che dovremmo parlarne, eh?»Appoggiò le mani sul ripiano di fianco a me, come se avesse

avuto bisogno di prepararsi per quello che stava per succedere. Mi schiarii la gola, ma non servì ad aiutarmi a parlare. «Perciò, tu...?»

Strinse le mani finché le nocche non diventarono bianche. Poi, tutto d'un colpo, le rilassò e rispose, «Sì, è così. Sono... da un po'.»

Alzai lo sguardo, ma il suo viso era indecifrabile.«Perché non mi hai mai detto niente?»«Perché... avevo paura. Sei la mia migliore amica. E non

esci quasi mai con nessuno... Pensavo solo che non saresti stata interessata.»

Ero interessata? Sentivo che delle lacrime irrazionali si stavano accumulando negli angoli degli occhi, perciò battei le palpebre per cacciarle. Cade era un ragazzo fantastico. E io adoravo passare il tempo con lui. E il bacio era stato decisamente bello. Aveva senso che mi piacesse. Avrei voluto

che mi piacesse, ma... Garrick era il «ma». Sarei riuscita a smettere di pensare a Garrick? A smettere di volerlo?

Sentii Cade sospirare. «Non sei interessata, giusto?»Accidenti, i suoi occhi dovevano essere per forza così

espressivi? Riuscivo a leggerci tutta la sua delusione, tutta la sua insicurezza. Gli volevo molto bene, quello era certo. E pensavo che un giorno avrei potuto essere innamorata di lui, ma prima avrei dovuto liberarmi dei miei sentimenti per Garrick. Se fosse successo il semestre precedente, sarei stata combattuta?

«Onestamente, Cade? Non lo so. 'Forse' è una risposta così pessima?»

Ci pensò un istante e io non riuscii a sopportare quel silenzio.

«Non è che non mi piaci. In realtà penso che tu sia quasi perfetto. E' solo che... sei anche il mio migliore amico e io non sono sicura. Ho bisogno di essere sicura.»

«Anch'io voglio che tu sia sicura.» Fece un respiro profondo e sorrise. Era un bel sorriso, ma non luminoso come quelli che ero abituata a ricevere da lui. «Un 'forse' mi sta bene.»

Quando arrivai in teatro lunedì mattina, la lista delle persone richiamate era già stata appesa.

La lista del cast (e dei richiamati) è già in sé una mostruosità. È solo un semplice foglio di carta su un muro ma aggiungiamoci delle persone che lo circondano e che conoscono già il tuo destino, ed ecco che sembra di andare verso il patibolo. Tutti gli occhi si voltarono verso di me. Cercai di valutare le reazioni. Mi guardavano con pena? Stavano solo nascondendo l'eccitazione? Eravamo a mezzo metro di distanza e io mi trovavo in un mondo completamente diverso dal loro, da quello delle persone che avevano già letto quel foglio di carta. Quando le avrei raggiunte, la tensione non sarebbe scemata. Davanti alla lista, non potevi mostrare alcuna

emozione. Non potevi piangere per una parte che non era tua o lamentarti di chi l'aveva ottenuta. Non potevi metterti a urlare per la gioia o per la rabbia. Dovevi solo leggere e non mostrare alcuna emozione. Potrebbe sembrare una cosa non così difficile, tranne per il fatto che eravamo attori. Emozionarci era il nostro lavoro.

Incontrai Cade a pochi metri di distanza.«L'hai già guardata?»Scosse la testa. «No, ti stavo aspettando.»C'era ancora dell'imbarazzo da quando avevamo parlato il

giorno prima. Non avevamo ancora capito bene cosa significasse per noi quell'importantissimo «forse». Ma in quel momento, non importava. Eravamo due attori sul punto di fare i conti con un rifiuto o con un'altra sfida. Eravamo colmi di ansia, anche se cercavamo di non darla a vedere, e in quel momento non c'era posto per la moltitudine di emozioni che stavano nascendo tra di noi.

Mi prese per mano e io non stetti a preoccuparmi di cosa potesse significare. Avevo bisogno di quel conforto. Avevo bisogno di lui per mantenermi in equilibrio. Ed ero quasi certa che lui ne avesse altrettanto bisogno.

Facemmo in fretta gli ultimi passi verso la lista e la folla si spostò per lasciarci passare.

Ippolito, il figliastro, era il primo della lista.C'erano sette ragazzi richiamati e Cade e Jeremy erano tra

questi.Alzai lo sguardo verso Cade, che rimase del tutto

impassibile. Il suo viso non mostrò nulla. Né eccitazione, né nervosismo. Sette significava che il regista non era sicuro. Significava che non aveva ancora visto quello che voleva vedere. Significava che la parte era ancora in gioco per tutti, per chiunque si fosse dimostrato all'altezza nel corso del secondo provino.

Strinsi la mano di Cade e immediatamente me la strinse

anche lui.So che la gente parla in continuazione del cuore che batte

all'impazzata, al punto che non sembra neanche più qualcosa di speciale. Ma mentre tornavo a guardare la lista, il mio cuore batteva come se la mia vita intera fosse dipesa da quell'ultima riga. Nelle orecchie sentivo rumori confusi, la vista si era ristretta e mi sentivo come in bilico, sull'orlo di qualcosa di terrificante e magnifico, che poteva voler dire volare o cadere, avere successo o fare fiasco.

I miei occhi trovarono la parola «FEDRA», in grassetto, subito sotto.

Poi vidi il mio nome, come la luce alla fine del tunnel. Fu meglio che superare qualsiasi traguardo. Fu come respirare per la prima volta mentre ero certa che sarei annegata, che sarei morta. Soffocai il sollievo e la gioia, perché la gente mi stava guardando e perché si trattava solo di una lista dei richiamati. Significava solo che non mi avevano ancora escluso.

L'altra mano di Cade aveva raggiunto le nostre mani già unite, coprendo completamente la mia.

I miei occhi continuarono a leggere verso il basso. «TESEO»Doveva esserci un errore. Teseo era un personaggio. I miei

occhi tornarono su, alla ricerca di quello che avevo saltato. C'erano i sette nomi sotto Ippolito. E lì, sotto Fedra, c'era solo il mio.

Non stavano richiamando nessuno.C'ero solo io.Avevo avuto la parte.Poi, infrangendo tutte le regole della lista, urlai. Cade

scoppiò a ridere e mi sollevò per la vita, facendomi ruotare. Le persone intorno a noi battevano le mani e io, dal modo in cui ci guardavano, capii che qualcuno aveva sentito delle voci sul nostro bacio. Ma per un istante, per un meraviglioso istante, nulla di tutto ciò ebbe alcuna importanza.

La parte era mia.

Capitolo quattordici

Andai al corso di preparazione teatrale in uno stato di confusione.

Richiamavano sempre qualcuno. Anche se erano quasi certi di sapere chi volessero, era un'occasione per essere più sicuri, per vedere un'altra volta il migliore.

Ma mi avevano scritturato direttamente, il che significava che erano già sicuri.

Mi si gonfiò qualcosa nel petto e, prima che potessi evitarlo, mi vennero le lacrime agli occhi. Prima di entrare a lezione, mi fermai un secondo dietro alle tende.

Cercai di respirare profondamente, ma non servì a rilasciare le emozioni accumulate nel petto. Perciò, feci la cosa più logica.

Ballai.Ballai senza musica. Urlai senza suono. Festeggiai in

silenzio, al buio, dietro le tende dove nessuno poteva vedermi.Se la fortuna avesse voluto così. Invece qualcuno vide tutto.«Immagino che tu abbia visto la lista.»Mi bloccai, il sedere ancora inclinato verso sinistra

dall'ultimo ancheggiamento celebrativo. Lentamente, mi raddrizzai, mi voltai e dissi, «Ciao, Garrick.»

Aveva le labbra contratte e gli occhi spalancati e sapevo che stava facendo una gran fatica per non ridere. «Ciao, Bliss. Congratulazioni.»

Avevo i capelli in disordine a causa del suddetto ballo, perciò li infilai alla bell'e meglio dietro le orecchie. «Grazie. Sono, ehm, piuttosto contenta.»

«Fai bene. Il tuo provino...» Si avvicinò e, come sempre, la

sua presenza strappò via l'imbarazzo e ogni altra emozione, e li sostituì con il calore, con il desiderio. «Il tuo provino è stato fantastico. Non hai avuto rivali.»

Deglutii, ma il nodo in gola rimase. Il mio grazie uscì come un sussurro.

«Ma venerdì notte...»«Oh, caspita...»«Anche se eri ridicolmente bella, per favore non ubriacarti

più in quel modo. Eric avrà bisogno che tu sia nella tua forma migliore per questa parte.»

«Naturalmente,» annuii, pietrificata. «Assolutamente. Giuro.»

«E poi... Ero anche preoccupato per te.»«Ah.»Il suo sguardo si mosse sul mio viso, guizzando dai miei

capelli, senza dubbio da pazza, agli occhi e alle labbra, poi scese velocemente alla mia gamba, dove la scottatura era guarita e aveva lasciato una cicatrice rosa scuro. «Non mi piace essere preoccupato per te.»

Sembrava che il mio cuore sarebbe scappato dal petto se non avessi fatto subito qualcosa. Era un territorio pericoloso. Dentro di me stava nascendo qualcosa, che andava al di là dell'attrazione, al di là dell'ossessione per il suo aspetto e per il suo corpo e per il suo accento... qualcosa di pericoloso. Le sue dita toccarono un ricciolo vicino alla mia guancia e la vicinanza della sua pelle mi fece sentire come se fossi stata sul punto di esplodere.

Sorrisi e cercai di alleggerire la situazione. «Probabilmente dovresti preoccuparti di più per te stesso: se mi dici ancora che sono bella, potresti ritrovarti ferito, probabilmente menomato a vita.»

Fece un altro passo verso di me e fu come se il mondo si fosse stretto intorno a noi due. La mano tra i miei capelli scivolò più vicino, le nocche mi sfiorarono la guancia. Abbassò

la voce e disse, «Dato che qui non posso dirti altro, 'bella' dovrà andare bene, per il momento.» La mia mente tornò all'improvviso alla prima volta che mi aveva detto che ero ridicolmente bella. Avevo i pantaloni bloccati intorno alle ginocchia. Poi mi aveva definito ridicolmente sexy e mi aveva aiutato a toglierli.

Chiaramente, dovevo imparare a non dire la prima cosa che mi saltava in mente. Ma non potevo pensarci ora, perché la mia mente era bloccata sulle ultime tre parole che aveva detto: per il momento, per il momento, per il momento.

Si schiarì la gola e fece un passo indietro, lasciando cadere il ricciolo che aveva incastrato tra le dita. «Perché non vai a sederti per la lezione?»

Annuii, aggirandolo e scivolando al di là delle tende.Kelsey e Cade mi avevano tenuto un posto tra di loro e

sfoggiavano entrambi lo stesso sorrisone enorme. Sorrisi, scrollando via l'incontro con Garrick per crogiolarmi ancora una volta nella mia gioia. Quando mi sedetti, Kelsey si chinò ad abbracciarmi e mi sussurrò nell'orecchio, «Suppongo che la tua attrazione per l'insegnante ti abbia aiutato davvero a entrare nel personaggio. Sono proprio orgogliosa di te, cara.»

La guardai poco convinta, ma annuii per ringraziarla. Poi mi voltai verso Cade.

Prima ci eravamo tenuti per mano e, quando avevo letto la lista, ci eravamo abbracciati, ma non ero sicura di quale fosse adesso il protocollo. Vivere nel mondo del forse era... complicato.

Prima, tra Cade e me era tutto semplice. Essere con lui era rilassante come essere da sola. Ora all'improvviso c'era questa tensione in tutto quello che facevamo e in tutto quello che dicevamo. Come se la mia vita fosse stata messa sotto i riflettori.

Quando ci toccavamo, lo notavo. Quando non ci toccavamo, lo notavo. E all'improvviso non riuscivo a trovare nessuna via

di mezzo. Nessun forse.Perciò mi bloccai.Stavamo aspettando entrambi, bloccati in quella zona a metà

strada tra l'azione e il rifiuto. Non eravamo niente. Eravamo inattività. Poi Garrick richiamò la classe all'ordine e l'imbarazzo fu rinviato ancora per un po'.

Lo sapevo. Sapevo che alla fine avremmo dovuto superarlo... trovare un modo per coesistere di nuovo. Puoi posticipare solo per un po', poi il casino scoppia. Ma sicuramente potevo aspettare ancora un pochino. Oggi era un giorno meraviglioso, non c'era alcuna ragione per fare la guastafeste.

Quando la lezione finì, Eric mi stava aspettando fuori.«Buongiorno, Bliss. Posso parlarti un momento?»Battei gli occhi, colta di sorpresa.«Certo.»Aprì la porta del teatro e mi fece segno di rientrare. Lo

seguii attraverso le tende e lui mi indicò un posto proprio accanto a Garrick. Mi appollaiai con cautela sul sedile e diedi un'occhiata a entrambi, incerta di cosa stesse succedendo. Poi mi venne in mente.

L'aveva scoperto.Altrimenti, perché avrebbe dovuto voler parlare con me e

Garrick?Oh mio Dio. Che cosa mi sarebbe successo?Mi avrebbero buttato fuori dal dipartimento? Fuori dalla

scuola? Come minimo, probabilmente avrei perso la borsa di studio.

Come avrei fatto poi a pagare la retta?Sentivo un rombo nelle orecchie e la forza di gravità

sembrava così forte che pensavo sarei sprofondata attraverso il pavimento. Garrick probabilmente avrebbe perso il lavoro. Che cosa avrebbe fatto poi? Sarebbe tornato a Philadelphia, o a Londra, o da qualche altra parte e io non l'avrei rivisto mai più?

Mi voltai verso di lui, cercando di comunicare il mio rimorso con lo sguardo, ma lui... sorrideva?

«Bliss,» disse Eric, «Devo ammettere che sono sorpreso.»L'aria mi uscì di botto dai polmoni. «P-professore, sono

così...»«Gli scorsi anni hai certamente lavorato bene, ma non avevo

idea del fatto che fossi capace di un'interpretazione come quella dei provini.»

Stavo ancora stringendo i denti e trattenendo il respiro per sopportare l'imminente vergogna, perciò mi ci volle un momento per capire che, dopotutto, non era così imminente.

«Sei sempre stata un po' troppo nella tua testa, immagino. Controllata. Attenta. Meccanica, potrebbe essere il termine giusto. Ma in quei provini... hai vissuto l'attimo. Sentivi anziché pensare. Ho visto sfumature di molte emozioni in te... forza e vulnerabilità, desiderio e repulsione, speranza e vergogna... Erano, molto semplicemente, accattivanti. Non so cosa tu stia facendo o cosa tu abbia fatto, ma per favore continua. Sei molto meglio quando fai scelte coraggiose.»

Spontaneamente, il mio sguardo incrociò quello di Garrick. Lo sapeva? Aveva immaginato che era stato lui? Quella cosa tra di noi mi aveva fatto provare sensazioni che non avevo mai provato e mi aveva fatto correre rischi da cui mi sarei tirata indietro non molto tempo prima. La notte con lui probabilmente era l'unica cosa impulsiva che avessi mai fatto.

«Grazie, professore.»«Ma figurati. Non vedo davvero l'ora di lavorare con te. A

proposito, vorrei che tu venissi al secondo provino di mercoledì. Vorremmo che tu leggessi alcune scene con Ippolito per farci un'idea precisa del feeling e di come siete sul palco.»

«Certo, ci sarò.»«Ottimo, ci sarà anche Garrick, per rispondere a ogni tua

domanda. In questa produzione sarà l'aiuto regista, perciò se hai bisogno di qualcosa puoi rivolgerti a uno dei due.»

Mi diede una pacchetta sulla spalla e se ne andò. Rimasi da sola con Garrick. Il mio cuore batteva ancora con impazienza, perché avevo avuto paura che ci avessero scoperto o solo perché ero seduta accanto all'unico ragazzo che volevo ma che non potevo avere.

«Non mi ricordo se te l'ho già detto, ma sono davvero orgoglioso di te,» disse Garrick.

«Grazie. Penso di essere ancora sotto shock.» Ero ancora sotto shock per tutto.

«Be', abituati. Da quel che ho visto, non credo dovrai preoccuparti di fare il direttore artistico, a meno che tu non voglia farlo. Sei un'attrice, Bliss, che tu ci creda o meno.»

Annuii, archiviando quel pensiero.«Ci hai pensato un po'? Che cosa vorresti fare dopo esserti

laureata?»Cominciai a giocare con dei fili lisi dei jeans, sul ginocchio.«Non proprio...»«Be', se vuoi parlarne, sai che puoi sempre venire da me.»Inarcai un sopracciglio nella sua direzione, incapace di

esprimere a parole quanto fosse assurda quell'idea.Disse, «Sono serio. Ti comporti come se non potessimo

essere amici.»Se possibile, il mio sopracciglio si inarcò ancora di più. Il

pensiero che diventassimo amici... andava al di là dell'immaginazione. Non pensavo a com'erano i miei amici sotto i vestiti. Non mi biasimavo per non essere andata a letto con i miei amici.

Rise tra sé e sé e scosse la testa. «D'accordo, d'accordo. Forse amici è correre troppo, ma spero davvero che tu venga da me se hai bisogno di qualcosa... di qualsiasi cosa.»

L'attrazione che provai allora nei suoi confronti era diversa da ogni altro sentimento che avevo provato per lui fino a quel momento. Il desiderio di stare con lui era ancora lì, ma ora volevo di più. Volevo raggomitolarmi tra le sue braccia solo per

appoggiare la testa su di lui, solo per sentire il suo conforto.Che mi venisse un colpo, volevo che il mio professore

diventasse il mio fidanzato.

Capitolo quindici

Quando mercoledì entrai nell'auditorium, Eric stava rovistando tra le sue carte alla ricerca di qualcosa. «Oh, Bliss, sei in anticipo come sempre. Fantastico. Faccio una scappata di sopra, nel mio ufficio, a quanto pare ho perso i miei appunti. Siediti con Garrick e rilassati un momento.»

Nonostante avessi già ottenuto la parte, avevo i nervi a fior di pelle per quel secondo provino. E se tutti si aspettavano che fossi perfetta? E se il primo provino fosse stato solo un colpo di fortuna? Guardai Eric che se ne andava dalla porta dietro le quinte e mi chiesi... E se avesse cambiato idea?

Mi sedetti nella fila davanti a quella di Garrick, mentre avrei voluto essere andata ad ammazzare il tempo nei camerini, con gli attori che aspettavano e si preparavano per il secondo round di provini. Quando si chinò in avanti verso di me, dissi, «Ehi... amico.»

Avevo rinunciato a cercare di non essere impacciata e mi limitavo ad accettare la cosa.

Rise, e ipotizzai fosse un bene. Di certo poteva andare peggio. Disse, «Non molto credibile, ma ti dò un dieci per lo sforzo.»

«Qualcuno è di manica larga, a dare i voti.»«Qualcuno ha un debole nei tuoi confronti.» Era piegato in

avanti verso di me e, anche se il suo viso era a quasi mezzo metro, giuro che sentii quelle parole come se me le avesse bisbigliate nell'orecchio. «Scusa,» rispose quasi immediatamente. «Ogni tanto me ne dimentico.»

«Anch'io,» dissi. Ma era una bugia. Non me ne dimenticavo mai del tutto. Avrei voluto. Speravo di riuscire a dimenticare la

distanza che ci separava e stare lì, a solo mezzo metro, ma non ce la facevo. Si schiarì la gola e, questa volta, non me lo stavo immaginando che fosse così vicino: era a qualche centimetro dal mio orecchio.

«Devo chiederti una cosa.»«Dimmi,» fu la mia risposta ansimante.«Cade.»Mi voltai, confusa, e immediatamente mi riappoggiai allo

schienale, perché girandomi le nostre facce si erano ritrovate troppo vicine.

«Non è una domanda.»«Stai ancora insieme a lui?»«Insieme a lui?»«Io... non so. In classe vi sedete ancora vicini, ma adesso

siete diversi. Perciò pensavo che magari avevate rotto.»Pensava che Cade e io uscissimo insieme? Ero solo io a non

rendermi conto di niente? A quanto pareva, tutto il mondo si era accorto di quello che il mio migliore amico provava per me. Altro che Nancy Drew, in questo scenario ero chiaramente Shaggy e Scooby Doo messi insieme.

«Non c'era niente da rompere,» gli dissi.«Come?»«Sì! Cade e io non stiamo insieme. Non lo siamo mai stati.»

Aveva gli occhi sgranati e la sua testa inclinata mi diceva che non mi credeva. «È questo che hai pensato per tutto questo tempo? Che gli avessi messo le corna con te?»

Accidenti. Il ragazzo di cui potevo essermi più o meno innamorata pensava che fossi una sgualdrina. Le cose avrebbero potuto essere più incasinate di così?

Scuoteva la testa, ma non sapevo se fosse un no o se stesse solo cercando di mettere insieme i pezzi. «Non so cosa avessi pensato. Siete sempre insieme e lui ti tocca, ti tocca in continuazione. Credi mi, me ne sono accorto. Avevo solo immaginato che fosse quello il motivo per cui... be', per cui sei

corsa via quella notte.»«Non sono corsa via per Cade. Dovevo andare a prendere il

gatto...»«Bliss, non sono così scemo.»Accidenti. In qualche modo, pensavo di essermela cavata

con quella scusa orribile. Cioè, era ovvio che non l'avesse scoraggia to del tutto come avevo pensato originariamente. Lui aveva solo immaginato il motivo sbagliato, ma aveva sempre saputo che era una scusa. Non potevo dirgli quale fosse il vero motivo, non in quel momento, non lì in quel teatro dove dovevamo comportarci in modo professionale (anche se sono quasi certa che la professionalità fosse già andata a farsi benedire).

«Io ho un gatto! Ce l'ho!» Dannazione... perché non riusci vo neppure a ricordarmi il sesso del mio gatto immaginario? «Hmm... è grigia e adorabile e si chiama...» dissi la prima cosa che mi venne in mente, «Amleto.»

Ero un genio. Non riuscivo neppure a inventarmi una gatta femmina con un nome da femmina. Come se nel mio cervello c i fosse stato un ponte tra il razionale e l'assurdo e io in qualche modo gli avessi dato fuoco.

«Hai una gatta che si chiama Amleto?»«Sì.» Uccidimi ora. «Certo, certo che ce l'ho.»Ecco. Adesso avrei dovuto procurarmi una gatta.«D'accordo. Allora, se non esci con Cade, che cosa sta

succedendo tra voi due?»Sentivo il calore sulla pelle risalirmi dal collo. «Niente.»«Sei una pessima bugiarda.»Ero davvero una pessima bugiarda. Probabilmente le mie

orecchie sembravano il risultato di un'ora di lettino abbronzante. «Non è niente. E' solo per una cosa successa venerdì quando ero... come dite voi inglesi? Fradicia? Sbronza?»

Riappoggiò la schiena all'indietro, allontanandosi da me, ma

lasciò le mani strette sullo schienale della mia poltrona. «Sei andata a letto con lui?»

«Come? No!»Non si piegò di nuovo verso di me, ma le mani sulla

poltrona si rilassarono. Una delle sue nocche mi sfiorò il braccio. «Bene.»

«Garrick...» Stava entrando in quel territorio in cui non dovevamo entrare.

Sorrise sfacciatamente. «Che c'è? Il fatto che io non possa averti subito non significa che mi stia bene che ti abbia lui.»

Il mio cervello inciampò di nuovo in quel subito, ma allontanai con la forza i miei pensieri da quella parola. «Farò finta che tu non abbia appena parlato di me come di qualcosa da possedere.»

«Non possiamo possederci a vicenda?»Se i cervelli potessero avere un orgasmo, sono quasi certa

che proverebbero quello che stavo provando io. Non avrebbe dovuto piacermi, ma nelle sue parole c'era un desiderio di possesso che si rifletteva nei suoi occhi scuri, provocandomi dei brividi lungo tutta la schiena, e le mie dita si paralizzarono davanti al suo sguardo vacuo. Non potevo rispondere alla sua domanda, quindi gliene feci una io. «Che cosa ti è preso? Pensavo mi avessi promesso che non l'avremmo rifatto.»

Si passò le mani tra i capelli e i suoi riccioli risaltavano tra le dita in modo così adorabile che il mio stomaco fece una capriola.

«Non lo so. È solo che io... sono diventato matto pensando a voi due insieme.»

«Ci siamo baciati. Nient'altro.»Sussultò, come se gli avessi detto che Cade e io ci saremmo

sposati e avremmo avuto una casa piena di bambini. Non riuscivo a guardarlo in faccia. Mi faceva venire voglia di fare qualche pazzia. Ripetei a me stessa, «È stato solo un bacio. Non significa niente.»

«Non voglio che qualcun altro ti baci.»«Garrick...» Stavo cominciando a odiare il tono minaccioso

della mia voce. Se avesse continuato a farmi pressione in quel modo, non sarei stata in grado di dire di no ancora per molto. Stavo per lanciarmi su di lui, anche se era estremamente probabile che Eric sarebbe rientrato proprio in quel momento.

«Lo so che non mi sto comportando in modo corretto. A dire il vero, sto facendo proprio lo stronzo. Continuo a ripetermi di lasciarti in pace, ma la verità è che... non sono sicuro di riuscirci. E adesso che so che non stai con Cade...»

«Che cosa stai dicendo?»La porta del retro palco cigolò e io mi accorsi di quanto

fossimo vicini. Con il cuore che strimpellava come la corda di una chitarra, mi allontanai di qualche posto pochi secondi prima che Eric rientrasse sul palco.

Sollevò con aria trionfante il taccuino. «Trovato! E ho portato giù un vero copione per te, Bliss, così non devi usare i fogli dei provini.»

Quando Eric mi porse il testo, lottai per calmare il mio cuore.

Non guardare Garrick. Non guardarlo.

Non cambiava nulla... Ero iper-consapevole della sua presenza. Anche se mi fossi spostata di diverse file, allontanandomi da lui, ero certa che mi sarei accorta di ogni suo movimento o respiro, o di ogni sguardo verso di me.

Avere il libretto tra le mani era piacevole, era ancora tiepido da quando l'aveva tenuto Eric e dovetti resistere alla tentazione di cominciare a scorrere le parole in quello stesso istante per distrarmi da Garrick. La direttrice artistica, Alyssa, che aveva un anno meno di me, entrò nella sala per annunciare che eravamo pronti a cominciare non appena fosse stato pronto Eric.

Lui le diede il via con un cenno dei capo e poi si voltò verso di me. «Bliss, cominceremo da Ippolito. Farò recitare ancora una volta i monologhi, poi ti farò salire sul palco. Continua con

il lavoro che hai cominciato. Pensa all'obiettivo: tu lo vuoi, ma la tua vergogna, la tua paura, sono il tuo ostacolo.»

Diedi un'occhiata a Garrick. Avrebbe dovuto essere abbastanza semplice.

Alyssa tornò dentro, con Jeremy che la seguiva tranquillo. Lei si sedette al tavolo della regia e lui si mise al centro del palco, le spalle dritte e il mento in fuori.

Si presentava bene. Gli sorrisi orgogliosa. Il nostro piccolo studente del secondo anno.

«Ciao, Jeremy. Vorrei sentire un'altra volta il tuo monologo, giusto per cominciare. Poi vedremo come va con Bliss.»

Jeremy si schiarì la gola. Si fermò un istante.Amavo quel momento. Era il culmine dell'attesa e della

speranza. Era come tuffarsi da una scogliera sapendo che poi sarebbe successo qualcosa di spaventoso, magnifico, il senso della vita. Quel momento... dava dipendenza.

Mi sono spinto, vedo, troppo avanti.Ceduto ha la ragione alla violenza.

Quando cominciò, nell'interpretazione di Jeremy la disperazione c'era, ma la sua voce dava l'idea che fosse giovane. Sembrava giovane. Quando parlò, le sue parole e le sue emozioni uscirono di corsa. Come se una volta cominciata la confessione del proprio amore per Aricia, non potesse fermare lo sfogo.

Finalmente è piegato Quest'animo superboSono quasi sei mesi che recandoDovunque, vergognoso e disperato,Il dardo che mi lacera,Contro voi, contro me Mi metto a prova invano...

Fino a quel momento, non mi ero resa conto che sia Ippolito che Fedra erano innamorati e si vergognavano: Fedra a causa

della persona che amava, Ippolito del fatto stesso di amare. Nell'interpretazione di Jeremy vedevo la vergogna, che lo tormentava, e mi chiesi se avevo dato quella stessa impressione nel mio provino... se davo quell'impressione ogni volta che pensavo a Garrick.

Voi presente, vi fuggo; Voi assente, vi trovo;

Garrick teneva gli occhi fissi su Jeremy e di tanto in tanto li spostava sul taccuino che aveva sulle gambe, sul quale stava prendendo appunti. L'ultimo verso echeggiava nella mia testa come una musica, un ritornello che ti rimane in mente e non ti dà tregua.

Lui presente, lo fuggivo. Ma non importava quale fosse la distanza tra di noi, continuavo a tornare da lui. Tutto continuava a tornare da lui.

Eric si alzò e disse, «Bene. Bene. Vediamo come va con Bliss.»

Staccai gli occhi da Garrick e annaspai alla ricerca del copione. Andai verso il palco con le ginocchia deboli e i piedi addormentati.

Per quanto Jeremy mi piacesse, nel giro di qualche minuto mi fu chiaro che Ippolito non era lui. Innanzitutto, non era il giovane eroico e bello che poteva stravolgere il cuore di Fedra. Era più un ragazzino. Aveva la passione giusta, ma a tratti anche quella non era sufficiente.

Poi fu il turno di altri due ragazzi ai quali mancava la stessa cosa: la sicurezza di sé. Quei provini furono rapidi.

Quindi venne il turno di Cade.Avevo sempre pensato che la risorsa migliore di Cade fosse

la voce. Sul palco, assumeva un rimbombo basso che, a prescindere dal volume, era potente. In uno spettacolo che dipendeva così tanto dal testo e dalla liricità delle battute, la sua voce era perfetta. Era sempre difficile leggere qualcosa sul volto di Eric, ma senza dubbio sembrava più soddisfatto di

Cade di quanto non lo fosse stato dei due provini precedenti.Ma quando Cade e io ci trovammo sul palco insieme, le cose

precipitarono. Stavamo provando la scena in cui Fedra rivela per la prima volta i propri sentimenti a Ippolito. Stavano parlando della morte di Teseo, marito di Fedra e padre di Ippolito. A Ippolito la sua matrigna non era mai piaciuta. Non sapeva che lei l'aveva trattato male per riuscire a mantenere più facilmente le distanze, dato che già lo amava prima che Teseo fosse creduto morto.

Andammo bene nel pezzo sulla morte di Teseo, ma ero appena a metà del monologo in cui dichiaravo i miei sentimenti, quando Eric si alzò dalla platea e salì sul palco.

«Stop, stop. Cade, che cosa stai facendo?»Cade aveva l'aria sbalordita, e sembrava stesse per vomitare.

«Come, scusi?»«Tu la disprezzi. Quando ti confessa i suoi sentimenti,

dovresti essere inorridito, disgustato, anche arrabbiato.»«Certo, professore.»«E allora perché hai l'aspetto di un cucciolo che soffre per

amore e che ricambia i suoi sentimenti?»Come se non stessi già accumulando abbastanza senso di

colpa per l'interpretazione, sentii che si aggiungeva il peso del mio, di senso di colpa. Era colpa mia. Non era per lo spettacolo. Era per me. Aveva tenuto nascosti i suoi sentimenti per così tanto tempo e io non me n'ero mai accorta prima dalla festa, quando l'avevo baciato, ma da allora era diventato tutto più chiaro. Indossava le sue speranze come un cappotto invernale, uno strato che lo ricopriva completamente.

Non lo guardai mentre lui ed Eric parlavano, perché non ero sicura di riuscire a non mostrare la pena che provavo, e Cade avrebbe odiato vederla. Invece, guardai Garrick. Aveva il viso tirato. Anche se era a qualche metro da me, mi sembrava di vederlo da molto più lontano. Mi guardò solo per un istante, prima che il suo sguardo si spostasse su Cade e che si

accigliasse ancora di più. Dopo qualche secondo, mi guardò di nuovo negli occhi, tenendomi ferma con lo sguardo. Ora nei suoi occhi c'era qualcosa di diverso, era cambiato qualcosa, qualcosa che mi fece battere più forte il cuore e mi fece venire la pelle d'oca.

Cade e io finimmo la nostra scena senza altri incidenti. Non fu l'interpretazione migliore che potesse fare, ma pensai che comunque era stata la migliore che avesse mai fatto. Anche se ero di parte, immagino. Avrei dovuto essere felice del fatto che il mio amico avesse dei problemi anche solo a fingere di essere schifato da me. Ma in un angolino della mia mente germogliò un pensiero e, nonostante i miei tentativi di strapparlo via, le sue radici si spinsero in profondità: se avesse saputo qual era la vera ragione per cui avevo detto «forse», se avesse saputo che cosa ci stava tenendo lontani, probabilmente non avrebbe avuto nessun problema a disprezzarmi.

Durante il provino successivo fui un po' distratta. Abbastanza perché Eric decidesse che era giunto il momento di farmi fare una pausa. Avevo bisogno di aria fresca, perciò scivolai fuori dall'uscita di emergenza (il cui allarme non suonava mai) e, prima ancora di sentire il cigolio della porta che si riapriva, sapevo che Garrick mi avrebbe seguito.

«Stai andando bene,» disse.Feci un piccolo sospiro. Avrebbe potuto essere una risata, se

avessi avuto più energie. «Sì, è per questo che sei qui fuori a cercare di farmi sentire meglio.»

«Le ragioni per cui sono qui sono puramente egoistiche.»Continuavo a pensare che mi sarei abituata a sentirgli dire

cose come quella, alla sua schiettezza.Ma non succedeva.«Avevi ragione. Ti stai comportando da vero stronzo.»Quel po' di rabbia che c'era nelle mie parole se ne andò

quando lui fece un largo sorriso.Mi passò accanto superandomi e si mise a fissare un punto

lontano nel campus. «Continuo a pensare che questo spettacolo sia un segno. Ci assomiglia così tanto.»

«In questa situazione, la madre lussuriosa sarei io, o sei tu?»I suoi occhi tornarono su di me, scendendo ed esaminando

le curve e le linee del mio corpo. «Oh, senza dubbio sono io,» rispose. «Fedra continua a ripetere che si sta comportando da egoista. Che si odia per questo, ma lo fa comunque. Non può negare a se stessa quello che vuole, anche se ciò porta alla sua rovina e a quella di lui.»

«E' hai imparato qualcosa dal nostro paragone letterario?»«Non proprio. Continuo a pensare che lei rifarebbe tutto di

nuovo se ci fosse una possibilità... una possibilità che le cose possano andare bene. Anche se novantanove volte su cento la storia finisce male, vale la pena provarci se finisce bene anche solo una volta.»

«Ascolta, Garrick, anche se questo paragone che stai abbozzando è adorabile, specialmente con quell'accento, sono un po' stufa delle metafore e di essere paragonata a storie d'amore destinate al fallimento. Dì quello che vuoi dire e basta. Ho trascorso tutta la notte a scervellarmi su testi antichi. Non voglio dover decifrare anche te.»

«Sto dicendo che mi sbagliavo.» Fece un passo verso di me e la mia spossatezza scomparve, sostituita da una scarica elettrica sotto la pelle. «Sto dicendo che mi piaci. Sto dicendo che non me ne importa un accidente se sono il tuo insegnante.»

Poi mi baciò.Lo allontanai prima che il mio cuore e la mia mente

venissero spazzati via. Il piacere mi colpì quando il bacio era già finito, perciò sembrò un'eco. E anche se ero stata io ad allontanarlo, mi mancava.

«Garrick, è una follia.»«Amo la follia.»La domanda era: e io? Era la cosa più folle che avessi mai

fatto e mi terrorizzava ed eccitava allo stesso tempo.

Indietreggiai, avevo bisogno della distanza per pensare, per mettere il mio cervello al riparo dalla pazzia. Poteva andare male in così tanti modi. Ma di nuovo, per la prima volta, trovavo che la mia vita fosse più interessante della storia di un personaggio su una pagina stampata. E, accidenti, volevo sapere come sarebbe andata a finire.

Eric non aveva forse detto che ero migliore quando facevo scelte coraggiose? Aveva parlato della recitazione, ma non era valido anche per la vita reale?

La mano di Garrick mi sfiorò la fronte e poi si spinse tra i miei capelli.

«Pensaci e basta.»Oh, ci avrei pensato. Probabilmente sarebbe stata l'unica

cosa a cui avrei potuto pensare.Mi diede un rapido bacio sulla fronte, quasi impercettibile, e

mi lasciò lì fuori, con i pensieri alla rinfusa e il cuore in subbuglio.

Capitolo sedici

«Perché mai dovresti volere un gatto?» mi chiese Kelsey mentre uscivamo dalla lezione di regia il giorno dopo.

«Lo voglio e basta, d'accordo? Vuoi venire o no?»Alzò le spalle. «Non posso, mi dispiace. Devo lavorare.

Porta Cade.»Come se fosse stato convocato, Cade spuntò tra noi due e io

mi chiesi da quanto tempo ascoltasse la nostra conversazione.«Portarmi dove?»Dissi, «Sto andando al rifugio per animali a prendere un

gatto.»«Oh, figo,» disse annuendo. «Vorrei non vivere nei

dormitori. Mi piacerebbe un sacco avere un cane.»Mi accorsi dello spazio che cautamente lasciava tra di noi e

del fatto che continuasse a dondolare la testa, come se annuire lo tenesse impegnato e non volesse smettere.

Kelsey si tirò giù gli occhiali da sole dalla testa, anche se eravamo ancora al chiuso. «Bene, per quanto siate simpatici, devo schizzare via. Voi due divertitevi al rifugio. Non tornare a casa trasformata in una vecchia gattara, Bliss.» Kelsey era ignara dello sguardo che le avevo lanciato in preda al panico. Cade e io non eravamo più rimasti davvero da soli da quel discorso pieno di forse. Lui spostò la borsa a tracolla sull'altra spalla, senza smettere di muoversi, come faceva sempre quando era nervoso.

«Se vuoi andare da sola... tranquilla.»«No, no. Puoi venire.» Dovevamo superare la cosa e vedevo

solo due modi per farlo: insieme o niente. L'attesa avrebbe distrutto il nostro rapporto (che era già piuttosto menomato). Se

dovevamo affrontare questo discorso, un posto pieno di teneri animali sarebbe stato probabilmente l'alternativa migliore.

«D'accordo. Figo,» disse.Figo... sì.Ero contenta di essere io a guidare: mi dava modo di tenere

occupati il corpo e la mente. Era la mia macchina, perciò potevo alzare quanto volevo il volume della musica. Quello che non avevo considerato era che Cade, nella mia auto, si sentiva abbastanza a casa da abbassarlo.

«Quindi, che cosa ti ha fatto decidere di prendere un gatto?»Oh, sai com'è, ho quasi avuto un'avventura di una notte con

il nostro professore, ma sono scappata via usando come scusa il mio gatto immaginario e adesso lui vorrebbe che uscissimo insieme, anche se è la peggiore idea di sempre, ma diciamo che non me ne importa niente neanche a me, perché il mio corpo, e probabilmente anche il mio cuore, mi dicono che è la migliore idea di sempre. Perciò adesso ho bisogno di un gatto così non capirà che avevo mentito perché sono vergine e mi sono tirata indietro dal fare sesso con lui per la paura.

«Lo voglio e basta,» fu quello che risposi in realtà.«Oh. Figo.»Se avesse detto «figo» un'altra volta, mi sarei messa a

urlare.Entrai nel parcheggio del rifugio e mi fermai; avrei voluto

aver detto a Cade che, dopotutto, preferivo andare da sola.Avevo bisogno di avere qualcosa di peloso e adorabile tra le

mani, al più presto.Entrammo e ci ritrovammo circondati da quell'odore di

medicinali tipico dei canili e degli ambulatori veterinari. Anche la signora alla reception aveva un aspetto vagamente felino, come se lavorare lì fosse stato nel suo DNA. Aveva il viso leggermente appuntito, gli occhi obliqui e i capelli corti e lanuginosi.

«Buongiorno! Come posso aiutarvi?»

«Salve,» dissi. «Sono interessata ad adottare un gatto.»Batté le piccole mani che io immaginai essere zampe. «È

fantastico. Abbiamo un mucchio di candidati perfetti. Perché non andiamo nella stanza dei gatti in modo che possiate dare un'occhiata?»

Attraversammo l'ingresso dietro di lei e l'odore di disinfettante si fece più forte, senza dubbio serviva a coprire l'odore di un mucchio di animali ospitati tutti insieme.

«Eccoci qui.»La stanza era piena di gabbie e non saprei dire se il coro di

miao cominciò quando entrammo o se fosse sempre così, ma eravamo circondati da quel suono.

«Vi lascio soli. L'unica cosa che chiediamo, è che tiriate fuori un animale alla volta.» Con un largo sorriso da Stregatto e un cenno della mano, se ne andò.

In silenzio, sbirciai nelle gabbie, sentendomi persa.I gatti mi piacevano, ma non ero sicura di volerne davvero

uno. Che cosa ne avrei fatto una volta che mi fossi laureata? Ne valeva la pena, per un ragazzo? Ne valeva la pena solo per fare sesso? Cioè, non è che non ci fossero altri modi per perdere la verginità.

Guardai Cade che, con le dita infilate in una gabbia vicino, accarezzava un gatto nero come la notte.

A essere onesta, non si trattava solo di fare sesso, anche se era cominciata in quel modo. Per quanto desiderassi Garrick, ero quasi certa che se avessi cercato di nuovo di andare a letto con lui, sarebbe stata la replica della mia prima imbarazzante performance.

«Sai che c'è?» dissi a voce alta. «Forse non sono pronta per un gatto.»

Mi voltai per andarmene, ma Cade mi si piazzò davanti.«Aspetta. Un momento vuoi un gatto e quello dopo no? Non

ne hai preso in braccio neanche uno. Dagli una possibilità.»Aprì la gabbia del gatto nero e lo prese in braccio. Lo portò

verso di me, strofinandogli il mento. Avevo gli occhi alla stessa altezza di quelli della palla di pelo e riuscivo a sentire il rombo delle sue fusa.

Feci un passo all'indietro e cercai di spiegarmi senza spiegare davvero. «Non è che i gatti non mi piacciano. Davvero, credo che mi piacerebbe... avere un gatto. Ma se... prendo un gatto prima di essere pronta? E se scelgo il gatto sbagliato? E se invece faccio schifo... a occuparmi di un gatto, intendo.»

Accidenti, quanto sarebbe stato tutto più facile se avessi potuto dire quello che realmente pensavo!

Cade roteò gli occhi e mi ficcò l'animale tra le braccia. «Bliss, non faresti schifo, se solo ci provassi.»

Però potevo fare schifo a fare sesso. Conoscendo il mio cervello iperattivo e nevrotico... potevo essere proprio terribile.

Il gatto si allungò e sfregò la testa contro il mio mento. Era davvero adorabile. Cade mi guardava raggiante e io pensai, Magari Cade sarebbe la scelta migliore. Il sesso mi avrebbe terrorizzato tanto, se l'avessi fatto con Cade?

Quel pensiero mi fece venire la tremarella alle gambe, mi fece sentire instabile.

Gli rimisi il gatto tra le braccia, ero ancora insicura ma mi sentivo un po' più tranquilla. Mi avvicinai alla fila di gabbie e cercai una gatta grigia che potesse passare per Amleto. Quando la trovai, il Fato probabilmente stava ridendo di me. Era accucciata sul fondo della gabbia, i grandi occhi verdi pieni di diffidenza. Aprii la porta della gabbia e lei rispose con un ringhio gutturale.

Ovviamente, avrei preso il gatto spaventato.Alle mie spalle, Cade disse, «Stai scherzando.»Magari. Ma avevo detto a Garrick che Amleto era grigia.«Ogni tanto, nella vita, sono le cose spaventose quelle che

vale più la pena di vivere.» gli dissi. Ero piuttosto sicura di averlo letto una volta in un biscotto della fortuna. Quindi era

una cosa saggia, giusto?Allungai le mani nella gabbia, pronta al fatto che mi

mordesse o graffiasse o mi saltasse addosso, ma mentre presi la bestiola per la vita, lei reagì solo con un debole gemito.

Cade scosse la testa, confuso. «Perché non vuoi questo?» Tirò su il gatto nero avvicinandolo al viso. «E' così dolce!»

La gatta tra le mie braccia, invece, stava all'erta, con le zampe tese e gli occhi spalancati. Avevo la sensazione che se l'avessi avvicinata di più, mi avrebbe sbranata. La appoggiai sul pavimento e lei schizzò via, nascondendosi sotto una panca lì vicino.

Sapevo che Cade stava parlando solo del gatto, ma io sentii un'altra domanda. Che lui non aveva fatto, quantomeno non oggi. Cade era dolce e il pensiero di andare con lui non mi lasciava paralizzata dalla paura. A dire il vero, il pensiero di andare con lui non mi suscitava nessuna emozione travolgente.

Fu in quel momento che capii...«Cade... Ho bisogno di ritirare il mio 'forse.'»Giuro che anche i gatti smisero di miagolare. Immaginavo il

loro silenzio attonito. Mi chiesi come si dicesse in gattese Oh, no, non può farlo.

«Ah...»Speravo che reagisse. Urla, insulti, qualsiasi cosa. Mi

aspettavo che si ritraesse come quella gatta, artigli di fuori, denti scoperti. Invece, si allontanò con calma e rimise con cura il gatto nero nella gabbia, probabilmente perché così non avremmo tenuto fuori più di un gatto alla volta, come aveva detto la signora. Cade era così, pensava sempre alle regole. Anch'io ero sempre stata così, ma stavo cominciando a pensare che non era più così che volevo essere.

I suoi movimenti furono meccanici, semplici, precisi. Chiuse lo sportello della gabbia e girò il chiavistello con uno scatto deciso. Quando mi parlò, rimase voltato di spalle.

«Sono autorizzato a chiederti perché?»

Espirai. Glielo dovevo, ma come potevo spiegarglielo? Non poteva sapere. Se stavo per fare questa cosa con Garrick - chi volevo prendere in giro? Era molto probabile che stessi per farla - nessuno poteva saperlo. Neppure i miei migliori amici.

«Io... potrebbe esserci qualcun altro.»«Potrebbe esserci?»Era terribile come tenere la mano in un frullatore acceso.

Non mi avrebbe guardato e nel mio petto il cuore mi sembrava sottile come un pezzo di carta, un pezzo di carta velina, e ciò significava che, facendo questo al mio migliore amico, ero maledettamente vicina a ritrovarmi con il cuore lacerato.

«Le cose sono ancora un po'... complicate. Ma lui mi piace, un sacco. Volevo aspettare che passasse, vedere se i sentimenti sparivano, così magari io e te avremmo potuto...» Abbassai la voce, non volevo esprimere a parole quello che avevo pensato. Non aveva senso. «Ma, Cade, non riesco a sopportare le cose così come sono. È meno di una settimana e mi sento come se stessi per morire. Odio dovermi interrogare su ogni cosa che faccio con te, chiedermi se va bene, chiedermi se supera un limite, chiedermi se ti sto facendo del male. Mi manca il mio migliore amico, anche quando ti sono accanto. Perciò... dovevo prendere una decisione. E nella mia vita ho troppo bisogno di te per rovinare tutto quello che c'è tra di noi. Se ti avessi detto di sì e poi i miei sentimenti per lui non fossero scomparsi... non potevo farlo. Ti prego, dimmi che non ho già rovinato tutto. Ti prego, ti prego.»

Poi si voltò e io sobbalzai per l'espressione di dolore che gli vidi. Il viso di Cade accigliato sembrava quello di un estraneo. «Vorrei dirti che tra di noi è tutto a posto, Bliss. Anch'io ho bisogno di te. Ma non posso fare finta che non stessi sperando che noi saremmo stati qualcosa di diverso. Non so se ci riesco. La verità è che... mi stai facendo del male. Non di proposito, lo so. Ma io ti amo e ogni secondo in cui non ricambi il mio amore... fa male.»

«Cade...» mi allungai verso di lui.«No, per favore. Non ce la faccio.»L'odore di medicinale del rifugio all'improvviso mi risultò

opprimente, nauseante.Chiesi, «Non ce la fai a fare cosa? A essere mio amico?»«Non lo so, Bliss. Non lo so e basta. Forse.» La traccia di

amarezza nel suo tono fu leggera, ma mi colpì lo stesso come uno schiaffo in pieno viso. Uscì dalla porta e io sprofondai sulla panca, ero provata, scottata e ferita. Il mio cuore di carta velina era ridotto a brandelli.

Rimasi lì seduta, cercando di pensare a un modo migliore in cui avrei potuto farlo. C'era qualche strada che avrei potuto prendere e che non avrebbe mandato tutto a quel paese? Sarebbe stato meglio non dirglielo apertamente? Avrei dovuto aspettare la fine dell'anno, finché Garrick non se ne fosse andato, e poi cercare di creare qualcosa con Cade?

Una volta, da piccola, quando un'amicizia era andata in pezzi, mia madre mi aveva detto che alcune relazioni finiscono e basta. Come una stella, bruciano luminose e brillanti e poi, senza che niente in particolare vada storto, arrivano alla fine. Si spengono.

Non riuscivo a immaginare che la mia amicizia con Cade fosse finita.

Qualcosa mi diede un colpetto sul polpaccio e poi tra le mie gambe spuntò la testa della gatta grigia. Strusciandosi contro di me, spinse tutto il corpo nello spazio tra le mie gambe. Fece un giro su se stessa e premette la testa contro il mio stinco. Allungai una mano verso il basso e lei si bloccò, appiattendosi contro il pavimento per la paura. Più lentamente, mi mossi finché la mia mano si appoggiò sulla sua schiena, scivolando lungo il suo pelo, lisciandolo dolcemente. Il suo corpo si rilassò e io la accarezzai di nuovo.

Mi accomodai sul pavimento accanto a lei. Si ritrasse ancora, ma non scappò via. Quando fui certa che fosse a suo

agio con me, la presi in braccio. Appoggiai il viso contro il suo pelo, assorbendo un conforto che lei non si rendeva conto di darmi.

«Facciamo un patto, Amleto. Io ti aiuterò ad avere meno paura, se anche tu mi aiuterai.»

Capitolo diciassette

Quando ebbi finito di riempire le scartoffie necessarie e sistemato Amleto in un economico trasportino in cartone, erano trascorsi circa trenta minuti da quando Cade era uscito ed era tornato alla mia auto. Nel parcheggio, non riuscii a trovarlo da nessuna parte.

Tirai fuori il cellulare, non c'erano messaggi.Guardai sul parabrezza, non c'erano bigliettini.Lo chiamai sul cellulare, non mi rispose.Lo richiamai, partì direttamente la segreteria telefonica.Al bip, stavo piangendo.«Cade, mi dispiace. Mi dispiace tanto. Non so come

migliorare le cose. Voglio solo che torniamo come siamo sempre stati. Accidenti, è così stupido. Lo so che non è possibile. Lo so che le cose non possono tornare come erano prima, ma... Non lo so. Non importa. Fammi solo sapere che stai bene. Non sei in macchina e non so come hai fatto a tornare a casa, se sei tornato a casa. Chiamami e basta. Per favore. Parliamone.»

Qualche minuto dopo, mentre ero seduta per terra accanto alla macchina, con i jeans tutti impolverati, ricevetti un sms.

Sto bene.

Provai di nuovo a chiamarlo, e di nuovo partì direttamente la segreteria telefonica.

Per quanto cercassi di sentirmi in un altro modo, per quanto cercassi di sperare che l'avremmo superata... Mi sentivo già così. Spenta.

Forse era il dolore. Forse alla fine ero impazzita e basta. Forse non avevo nessun altro posto dove andare. Ma quando

tornai a casa, non andai da me.Con Amleto in mano, andai da Garrick.Non so che aspetto avessi quando aprì. A dire il vero, non

voglio proprio saperlo. Spalancò la porta quasi all'istante, facendomi segno di entrare senza chiedermi niente.

Non ero mai stata nel suo appartamento. Avrei dovuto mostrare interesse o chiedergli di farmelo vedere. Avrei dovuto dire qualcosa, ma l'unica cosa che avevo sulla punta della lingua era un singhiozzo e mi ci volle tutta la mia forza di volontà, tutta la mia concentrazione, per trattenerlo.

Ma, quando con le dita mi sollevò il mento, non furono comunque sufficienti. Pronunciò il mio nome e io vidi il suo sguardo preoccupato. Le lacrime cominciarono a sgorgare dai miei occhi come da una tazza piena fino all'orlo, e non riuscivo a controllarle, non riuscivo a respirare, non riuscivo a spiegare.

Mi tolse dalle mani la scatola con Amleto e mi strinse un braccio intorno alle spalle. Mi guidò lungo un corridoio pressoché identico al mio, fino a un soggiorno che era completamente diverso. Era pieno di libri, alcuni sugli scaffali, altri impilati sul pavimento. L'arredamento era semplice, leggermente moderno ma non così tanto da farmi esitare prima di sprofondare su un divano nero e arraffare un cuscino bianco che abbracciai al petto. Poi Garrick si mise accanto a me, mi sfilò il morbido cuscino dalle mani e sostituì quel conforto con sé stesso. Mi strinse a sé e mi cullò come una bambina, asciugandomi le lacrime, tirandomi indietro i capelli e massaggiandomi la schiena.

«Mi odia,» riuscii a dire alla fine. Non aveva chiesto niente, ma la sua preoccupazione mi spinse lo stesso a farlo, mi cavò fuori le parole di bocca.

«Chi, tesoro?»Dalle mie labbra uscivano respiri corti e veloci, piccoli

piagnucolii che sembrava non fossi in grado di controllare.«C-Cade.»

«Cade non potrebbe mai odiarti,» disse.«Sì, invece. Se n'è andato. Non mi parlerà neanche.» Mi

sciolsi in un'altra crisi di pianto e lui si limitò a stringermi ancora di più, tenendo la mia testa sotto il mento, contro il suo petto.

Mi lasciò piangere, mormorando tutto il tempo. Andrà tutto bene, tesoro. Le cose si sistemeranno. Calmati. Respira, Bliss. Sono qui. Si sistemerà tutto. Di qualunque cosa si tratti, la sistemeremo. Va tutto bene, tesoro.

Doveva aver sussurrato un migliaio di varianti. Ma continuò a cercare di consolarmi, indipendentemente dal fatto che non lo stessi ascoltando. Quando smisi di piangere, ero troppo stanca per fare qualsiasi altra cosa. Rimasi appoggiata a lui, senza forze, senza fare nient'altro che inspirare ed espirare. E lui continuò a stringermi in silenzio. Alla fine, un rumore fece capolino dalla nebbia. Un lamento basso, infastidito.

Amleto. Avevo lasciato Amleto rinchiusa nella scatola per tutto quel tempo.

Piena di buoni propositi, mi raddrizzai, con la mente di nuovo lucida, per il momento.

«Mi dispiace, devo portarla a casa.» Ero in piedi e stavo per andare verso la scatola, quando Garrick mi prese per i gomiti.

«Resta qui, tesoro. Sei sconvolta. Mi occuperò io della gatta.»

No. Non potevo farlo fare a lui, perché altrimenti avrebbe visto che tutte le cose per gatti che avevo comprato la sera prima erano ancora nuove di zecca e non erano mai state usate.

«No, non c'è problema. Devo andare, davvero. Sto bene, adesso. Grazie.»

«Bliss, per favore, parlami.»Il mio corpo si stava spingendo verso di lui contro la mia

volontà, sentiva di nuovo la mancanza del suo conforto, ma io non avevo ancora preso una decisione.

«Non lo so...»

«Facciamo così: tu vai a casa e ti occupi della gatta e, tra un po', ti porto la cena. Possiamo parlare o anche guardare un film o fare quello che hai bisogno di fare. È solo che... se te ne vai così, diventerò matto per la preoccupazione.»

Dopo un istante, annuii.«D'accordo.»«Davvero?»«Sì, dammi giusto un'ora, d'accordo?»Lui sorrise, e io capii che ero nei guai.

Ero piuttosto certa che la mia nuova gatta mi odiasse.Non che la biasimassi, dopo averla lasciata nella scatola per

tutto quel tempo.A prescindere da cosa facessi, emetteva quel ringhio a bocca

chiusa ogni volta che le passavo vicino. Le misi del cibo in cucina, che ignorò. Preparai la lettiera e la misi nel ripostiglio. La presi in braccio e la portai alla cassetta, mettendocela dentro in modo che sapesse dove trovarla. Soffiò una volta e poi scappò, sollevando la sabbia al suo passaggio. Scomparve sotto il divano, si vedevano solo gli occhi brillanti e malvagi nell'oscurità.

Perché non avevo detto a Garrick che avevo una gatta che si chiamava Lady Macbeth? Sarebbe stato molto più appropriato.

Per il resto del tempo, rimasi da sola con i miei pensieri, che erano piacevoli quasi come il virus ebola. Sistemai il soggiorno, poi pensai di fuggire via. Sistemai la camera da letto, poi corsi in bagno, certa di essere sul punto di vomitare. Ma non lo feci. Avrei quasi voluto farlo, così avrei potuto dire che non stavo bene.

Prima di avere la possibilità di convincermi o di farmi cambiare idea, bussarono alla porta.

Sembrava che qualcuno stesse usando il mio cuore come un trampolino elastico. Feci un respiro profondo. Non gli avevo promesso niente. Aveva detto che potevamo parlare. O

guardare un film. O fare qualunque cosa volessi. Non avrebbe dovuto essere un grosso problema.

Quando aprii la porta, Garrick aveva un'aria così felice che fu difficile continuare a temere la sua presenza.

«Mi sono dimenticato di chiederti cosa volessi, perciò ho preso della pizza, un hamburger e un'insalata.» Teneva tutti e tre in equilibrio tra le mani e all'improvviso fui sopraffatta da quanto mi piacesse. Non solo in modo romantico. In generale. Era davvero meraviglioso.

Sorrisi, «La pizza va bene.»Indietreggiai e lui entrò nel mio appartamento. Per quanto

prima avessi dato di matto, mi sembrava naturale che fosse lì. Non che non fossi più nervosa, solo... sembrava che ne facesse parte.

Ci dirigemmo nella mia cucina/soggiorno e lui mise il cibo sulla piccola penisola tonda che sporgeva dal ripiano della cucina. Mi tenni occupata prendendo bicchieri e piatti per entrambi e quando non ci fu nient'altro con cui potevo distrarmi, tirai fuori uno sgabello da sotto la penisola del bancone e mi sedetti accanto a lui. Misi una fetta di pizza nel mio piatto e lui aprì l'insalata.

Lo guardai a occhi sgranati.«Non avrai davvero intenzione di startene lì seduto a

mangiare un'insalata mentre io mio rimpinzo di schifezze, vero?»

Versò del condimento sulla lattuga e sorrise. «Oh, mangerò anche l'hamburger. E della pizza, se me ne lasci un po'.»

Roteai gli occhi. Che rottura i ragazzi!Parlammo. Di niente di importante, a dire il vero. Inorridì

quando intinsi la pizza nella salsa ranch. Quando gliela feci provare, arricciò le labbra come se gli avesse fatto schifo ma, quando mi alzai a riempire il bicchiere, lo vidi intingere un'altra fetta. Solo quando fui così piena da sentirmi scoppiare, portò il discorso sul mio crollo di prima.

«Allora, adesso puoi dirmi che cos'è successo con Cade?»Presi il salame piccante dalla fetta di pizza, mangiata a metà,

che avevo nel piatto.«Abbiamo litigato, immagino. Penso. Non ne sono sicura.

Non avevamo mai litigato davvero prima.»«Per cosa?»Buttai fuori l'aria che stavo trattenendo nei polmoni,

cominciai a rimettere le cose nel frigorifero e a sistemare i piatti nel lavandino.

«Per il bacio.»Riuscii a immaginare la reazione di Garrick anche senza

vederlo, perciò decisi di andare avanti e lavare i piatti... a mano, anche se avevo la lavastoviglie.

«Gli piaccio,» continuai. «Me l'ha detto dopo il bacio e abbiamo cercato di comportarci come se non fosse cambiato nulla, ma era orribile e io mi sono stancata di fingere che fosse tutto normale.»

Comparve accanto a me, prese un piatto e lo asciugò al mio posto. Ormai doveva aver capito che per me era più facile parlare quando non ci guardavamo, perché mantenne lo sguardo fisso sul piatto per molto tempo anche quando ormai era asciutto.

«Quindi, che cosa hai fatto?»«Gli ho detto che pensavo non sarebbe successo niente.»«Non eri interessata neppure un po'?» chiese Garrick.Non pensavo che Garrick volesse davvero sentirlo, ma

avrebbe avuto una risposta. Avevo bisogno di qualcuno con cui sfogarmi.

«Ci ho pensato. Cade è dolce e mi piace stare in sua compagnia, ma non mi fa provare davvero qualcosa.»

Smise di fissare il piatto e si voltò a guardarmi, appoggiando il fianco accanto a me, contro il ripiano.

«E io, ti faccio provare qualcosa?»Gli diedi un'occhiata che durò giusto il tempo di capire se

stesse scherzando. Non scherzava. Distolsi lo sguardo.«È una domanda stupida.»«Dici? Sei più difficile da capire di quanto tu creda.»Mi asciugai le mani con uno strofinaccio e mi spostai sul

divano, sistemandomi in un angolo e portandomi un cuscino in grembo.

«Sono serio,» continuò Garrick. «Ogni tanto reagisci... be', come voglio che tu reagisca. Ma poi altre volte, durante i provini per esempio, mi spingi via come se non fossi coinvolta da me nel modo in cui io lo sono da te.»

Strinsi più forte il cuscino contro il petto.«Sono coinvolta, Garrick. È solo che sono anche confusa. E

preoccupata. E non capisco come mai non lo sia anche tu.»Si sedette dalla parte opposta, c'era tutta la parte centrale del

divano a separarci.«Io penso di non fare altro che preoccuparmi,» disse.«E pensi ancora che sia una cosa intelligente?»Scosse la testa, ridendo. «Oh, non è per niente intelligente.

Lo so. Devo essere onesto, Bliss? Qui sono infelice. È fantastico avere un lavoro sicuro e mi piace insegnare, ma qui non ho più amici. Vado al lavoro e poi torno nel mio appartamento. E penso a te, perché non riesco a evitarlo e non c'è niente che mi distragga. Soprattutto quando so che sei solo a un edificio di distanza. La sera che ci siamo conosciuti... Bliss, io di solito non faccio quel genere di cose. Ma venendo qui ho messo in dubbio tutta la mia vita, e tu eri tutto quello di cui avevo bisogno. Non so quante volte ho dovuto impedirmi di venire qui a bussare alla tua porta. E sì, vederti con Cade mi ha senz'altro motivato, ma soprattutto... mi piaci, Bliss. Te lo dico come insegnante. Come persona. Come uomo.»

Era difficile continuare a respirare in modo regolare, difficile continuare a impedire al desiderio di mostrarsi sul mio viso, difficile trattenermi dall'allungarmi verso di lui.

«Quindi, adesso?» gli chiesi.

«Non ne ho la più pallida idea.»Io di idee ne avevo un sacco. Il problema era quello.«Se lo facciamo...» cominciai, e poi mi fermai. Tutto il suo

corpo si muoveva in modo diverso e lo vedevo riflettersi nel mio. Stavamo per superare un limite, e lo sapevamo entrambi. «Se lo facciamo, dobbiamo stare attenti.» Annuì, gli occhi fissi su di me. «E io penso che dovremmo fare le cose con calma. Se ci lasciamo trascinare troppo in fretta, faremo un gran casino.» E io avevo bisogno di più tempo per pensarci, per pensare al sesso con lui e se fosse una cosa che volevo fare davvero.

Non ero sicura che saremmo riusciti a fare con calma, ma era l'unico modo in cui potevo farlo senza dare di matto. Chi volevo prendere in giro? Avrei dato di matto in ogni caso. La differenza stava nel dare di matto mi-sa-che-sto-per-vomitare o dare di matto mi-chiudo-in-casa-per-una-settimana.

«D'accordo,» Garrick scivolò più vicino a me, al centro del divano. «So fare le cose con attenzione... e con calma.»

Quando allungò una mano verso di me, sentii la pelle d'oca su tutto il corpo. Mi concessi di sentirmi spaventata per un istante, ma poi il bisogno di toccarlo vinse anche la paura. Spinsi via il cuscino che avevo in grembo e scivolai verso di lui. Misi la mano nella sua e lui se la portò alle labbra. Chiuse gli occhi e quel semplice tocco, assorbito dal mio corpo, bastò a placare l'ansia che provavo.

Come una chiave nella serratura, il mio corpo si sistemò accanto al suo, adattandosi perfettamente. Con la testa sul suo petto e il suo braccio intorno alle spalle, feci un respiro profondo e capii che non sarei potuta tornare indietro.

Capitolo diciotto

Il venerdì mattina, la semplicità della sera prima era evaporata. Cade di per sé non era arrabbiato, ma a dire il vero non era... niente. Non mi rivolse la parola nei camerini, né si sedette vicino a me a lezione. Quando mi univo a una conversazione, lui se ne andava. Io ero una dipendenza e sembrava che lui stesse uscendo da una crisi di astinenza.

Al corso di preparazione teatrale, il sorriso gentile di Garrick fu di aiuto. Quel giorno, ci eravamo appropriati dei computer del laboratorio di design, per fare delle ricerche per il post-laurea. Alcuni cercavano scuole di specializzazione, altri si davano da fare per trovare degli stage. Kelsey cercava biglietti aerei e ostelli in città sparse per il mondo.

Io guardavo la pagina iniziale del motore di ricerca.Due mani si appoggiarono allo schienale della mia sedia e il

corpo di Garrick si piegò in avanti vicino al mio. La vicinanza mi distrasse del tutto.

«A cosa pensi, Bliss?»Avrei dovuto dire, A te. Nudo. L'avrebbe scioccato. Non che

stessi davvero pensando a lui nudo... be', ora che l'avevo accennato, lo stavo facendo... dannazione.

Come dicevo, mi distraeva.Scossi la testa, perché non avevo una risposta, quantomeno

non avevo una risposta che si potesse dare a voce alta. Mi girò attorno e si appoggiò al tavolo, guardandomi.

«Recitazione o direzione artistica?» Mi fissava con uno sguardo che mi sembrava troppo personale in quella stanza piena di compagni di corso, anche se nessuno di loro stava guardando, be', a parte Kelsey. Lei ci osservava praticamente

tutte le volte che Garrick mi parlava, il che mi ricordava che dovevamo stare attenti.

«Non lo so,» borbottai.«D'accordo, be', cosa ne dici di una città? Puoi cominciare a

dare un'occhiata agli appartamenti. E' sicuramente una cosa a cui devi pensare, soprattutto se pensi di andare a New York.»

Fissai la barra del motore di ricerca. Rideva di me.«Non posso permettermi New York,» gli dissi.«Non c'è problema. La maggior parte della gente non può.

Ci sono un mucchio di mercati regionali da prendere in considerazione. Philadelphia.» Mi voltai di scatto a guardarlo. Mi stava dicendo di guardare Philadelphia? La città in cui viveva lui? Stava cercando di dirmi qualcosa, o stavo leggendo troppo tra le righe? Quando continuò, il suo viso era inespressivo, «Dallas e Houston offrono entrambe una discreta quantità di lavoro. Chicago. Seattle. Boston. Washington. A dire il vero, ce n'è un mucchio tra cui scegliere.» Mi voltai di nuovo verso il computer, con il cuore che batteva ancora un po' troppo veloce. Stavo senz'altro leggendo tra le righe. La nostra non era una cosa così seria. Avevamo trascorso la serata accoccolati sul mio divano. Non significava che stessimo insieme o che fossi pronta a trasferirmi quasi dall'altra parte del paese con lui.

«Fai un po' di ricerche. Dai un'occhiata,» disse prima di allontanarsi per continuare a girare per l'aula.

Appoggiai le dita sulla tastiera, ma sembravano di piombo, troppo pesanti per muoverle. Fissai il tasto con la lettera «P.» Con la coda dell'occhio, vedevo Kelsey che mi guardava e, curiosa com'ero a proposito di Philadelphia, scrissi «stage in direzione artistica» nel motore di ricerca.

Poi vagai da una pagina all'altra, guardando l'orologio nell'angolo dello schermo, sperando che i minuti scorressero più velocemente.

Quando la lezione finì, il mio sollievo fu di breve durata.

La lista del cast era stata affissa.Io ero sempre Fedra, il che era un bene. Quanto sarebbe

stato imbarazzante se Eric avesse cambiato idea? Kelsey aveva ottenuto la parte di Afrodite come voleva. Rusty aveva avuto davvero la parte di un soldato, proprio come aveva previsto.

E Cade era Ippolito.

Quella sera andai a bussare alla porta di Garrick, nervosa nonostante il nostro accordo di fare le cose con calma. A dire il vero non avevamo deciso di fare niente quella sera e, malgrado la nostra tenue relazione, non ci eravamo ancora scambiati i numeri. Perciò, speravo di non sembrare bisognosa di affetto cercandolo per la seconda sera di seguito. Amleto, sicuramente, era felice che fossi fuori casa. Avevamo ancora qualche problema a coesistere.

La mia preoccupazione si placò quando lui aprì la porta e disse, «Grazie al Cielo. È un'ora che penso di venire da te, ma avevo paura di bussare alla porta e che avessi ospiti, o qualcosa del genere.»

Scoppiai a ridere.«A dire il vero, forse dovremmo scambiarci i numeri.»Disse, «Mi registrerai sul cellulare sotto un nome in codice,

in modo che nessuno sappia chi sono quando ti mando messaggi sconci?»

Spalancai gli occhi. «Hai intenzione di mandarmi messaggi sconci?»

I suoi occhi brillavano per il divertimento e sul viso era ricomparso quel suo sorriso abbagliante. «Non lo escludo.»

Oh. Oh. Avevo i nervi a fior di pelle.Mi prese per mano e mi portò in soggiorno, dove c'era un

libro aperto sul divano. Era di poesia, ovviamente, perché lui era perfetto e tristemente fuori dalla mia portata. Segnò la pagina e mise la raccolta in cima a una pila di libri all'estremità del divano.

Allungò la mano e intrecciò le nostre dita nello spazio tra di noi. Avrei voluto appoggiarmi a lui, stringerlo e non andarmene dalle sue braccia finché non avessi dovuto farlo, ma mi sentivo ancora in imbarazzo. Eravamo già al punto in cui potevamo farlo e basta? O dovevamo ancora lavorarci?

«Allora... La lista del cast?» Chiese.Gemetti e appoggiai la testa all'indietro contro il divano.«Non è così terribile, no?»«Dipende se Cade mi parlerà o meno prima che inizino le

prove, tra due settimane.»Non dovetti preoccuparmi di come sistemarmi, perché

Garrick non si fece scrupoli a tirarmi verso di sé. La mia testa si adattò perfettamente alla curva della sua spalla.

«Mi sembra che Cade sia un ragazzo ragionevole. Sono certo che tra un po', quando avrà elaborato la cosa, starà meglio.»

Annuii, sperando che avesse ragione, ma senza esserne troppo sicura. Cade era ragionevole. Il problema era che probabilmente la ragione gli diceva di starmi alla larga se non voleva che il suo cuore venisse calpestato. E forse era meglio così.

Si meritava una persona migliore.«Va bene,» disse Garrick. «Non parliamone più. Non mi

piace quell'espressione triste. Sfortunatamente, dato che in realtà non possiamo andare da nessuna parte, le nostre opzioni per la serata sono limitate. Che cosa ne dici di un film?»

Sorrisi e, quando mi sorrise anche lui, fu meno difficile continuare a farlo. «Un film mi sembra una buona idea.»

Scelse qualcosa di divertente, probabilmente nel tentativo di tirarmi su il morale. Poi spense le luci e mi raggiunse di nuovo sul divano. Mentre cominciavano i titoli di testa, si sdraiò, tirando giù anche me. Si spaparanzò sulla schiena, mentre io mi sdraiai sul fianco, stretta tra lui e lo schienale del divano. Prima di appoggiargli la testa sul petto, esitai un istante.

Cercai di guardare il film, ci provai davvero, ma era difficile concentrarsi mentre il suo respiro regolare e uniforme mi scompigliava i capelli e la sua mano saliva e scendeva lungo la mia schiena. L'effetto era una via di mezzo tra il solletico e il seducente. Ero iper-consapevole del modo in cui ogni tanto il suo dito si spingeva un po' più in basso lungo la schiena, fino a sfiorare la striscia di pelle tra l'orlo della camicetta e la cintura dei pantaloncini. Rimaneva lì solo per pochissimi secondi prima di tornare su lungo la schiena. Poi il suo dito cominciò a vagare sulla pelle sensibile dietro il collo e io dovetti trattenere un gemito. Guardai fugacemente Garrick, ma lui era concentrato sul film, completamente inconsapevole della follia a cui mi stava conducendo.

Alla fine, decisi che era tempo che anche lui ricevesse una dose di quello che provavo io. Allargai la mano che era rimasta chiusa sul suo petto, premendo molto delicatamente con la punta delle dita. Cominciai a percorrere il motivo astratto sulla sua maglietta, penso fosse qualcosa di un gruppo musicale. Arrivata alla fine del disegno, continuai a trascinare la mano sul suo petto, sulla curva dei pettorali, fin sotto lo sterno, fino all'addome scolpito e poi indietro sul petto fino ai muscoli che si allungavano dalla spalla al bicipite. Quando ricominciai a muovere la mano, sfiorando appena l'orlo della maglietta, la mano che percorreva la mia schiena si fermò.

In qualche modo, la sua immobilità mi rendeva ancora più nervosa.

Trovando un po' più di coraggio, tornai indietro fino all'orlo della maglietta e spinsi le dita sotto, facendogli sentire sulla pelle il tocco leggerissimo delle mie unghie. La sua mano sulla schiena si spostò, scivolando verso l'alto, oltre il collo, tra i capelli. Appiattii la mano, premendo il palmo sulla sua pelle calda. Le dita tra i miei capelli si strinsero, non abbastanza da farmi male, ma abbastanza perché potesse farmi piegare leggermente all'indietro la testa.

Mi fissò, senza alcuna traccia del sorriso malizioso, e nella stanza in penombra i suoi occhi azzurri sembravano neri. Danzavano in giro per il mio viso, guizzando soprattutto dagli occhi alle labbra. L'attesa mi stava uccidendo e affondai le dita nella sua pelle. Il suo respiro non era più così regolare, ma continuava a guardarmi e basta. Mi leccai le labbra e il suo sguardo si fermò lì più a lungo, così a lungo che il calore si stava accumulando tra le mie gambe solo per l'attesa, e mi contorsi cercando di alleviare la pressione.

Quando sollevai una gamba, avvinghiandola alla sua, finalmente agì.

La mano tra i miei capelli mi tirò in avanti e lui mi venne incontro a metà strada.

Tutta le aspettative degli ultimi dieci minuti si concentrarono dove si incontrarono le nostre labbra. Il punto di contatto era troppo piccolo perché nella mia mente scoppiassero i fuochi artificiali, ma la sensazione era simile, come l'eccitazione nel tenere in mano una stellina scintillante... l'ebbrezza nel sentire le scintille che si avvicinano sempre più alla mano.

La sua bocca rimase chiusa e, anche se avevo già provato il suo sapore diverse volte, il mistero mi stava uccidendo.

Sembrava un primo bacio.Si tirò indietro e appoggiò la fronte alla mia.«Grazie,» disse.Grazie? Era un Grazie, ma no grazie? Grazie, ma sto

guardando un film, lasciami in pace?«Per?»«Per avermi dato questa possibilità. So che eri, che

probabilmente sei, spaventata. Ma sei già riuscita a migliorare immensamente la mia vita.»

Non so se fosse il fatto di essere un attore a renderlo così sincero, privo della paura di essere vulnerabile, o se fosse così e basta. Avrei voluto saper fare lo stesso, ma io non ero fatta

così.«Posso farti una domanda?»La sua mano tra i miei capelli scivolò lungo la mandibola.«Certo,» rispose.«Perché hai accettato questo lavoro? Non che non sia

contenta che tu sia qui, ma hai detto tu stesso che sei infelice.»«Lo ero... non lo sono più.» Si chinò di nuovo in avanti e mi

baciò ancora, mormorando mentre premeva le labbra sulle mie. Il fatto che non avesse risposto alla domanda non mi sfuggì, ma non ero interessata alla risposta al punto da smettere di baciarlo, soprattutto quando finalmente la sua bocca si aprì e io sentii un sapore dolce e di menta, e il suo respiro mischiato al mio.

Fece scivolare la lingua sulla mia e la mia mano sotto alla maglietta ritornò in vita, si avvinghiò al fianco e lo avvicinò, finché il mio bacino non fu schiacciato contro il suo. Il bacio era dolce e straordinario, ma troppo, troppo, davvero troppo lento.

Volevo qualcosa di più. Volevo che i nostri corpi prendessero fuoco, volevo che le nostre labbra si scontrassero, non che si stuzzicassero dolcemente. Non volevo perdere il contatto con la sua pelle, ma volevo prendere il controllo. Avevo l'altra mano intrappolata sotto il corpo, a sorreggermi sul fianco. Perciò feci scivolare la mano fuori dalla sua maglietta e gliela appoggiai sul viso. Lo avvicinai a me, cercando di cambiare il ritmo.

Me lo consentì per un istante, le nostre labbra si mossero più velocemente, entrambi emettemmo un sospiro quando le nostre teste si inclinarono e le nostre bocche s'incontrarono con più violenza. Accidenti, se era bello. Continuai a muovermi, non ancora soddisfatta, non abbastanza vicina, finché lui si sollevò e rotolò su un fianco per mettersi di fronte a me. Mi scappò un sospiro compiaciuto, ma poi lui prese la mano che gli tenevo sul viso e la spinse via, via fino a intrappolarla dietro di me, la

bloccò lì, con la sua, me la tenne schiacciata contro la parte bassa della schiena.

Poi si appoggiò di nuovo all'indietro, cambiando il ritmo, sfiorando le mie labbra, lentamente, con dolcezza. Era esasperante. Cercai di appoggiarmi a lui, ma mi teneva stretta, immobilizzandomi, prendendosi il suo tempo. Gemetti per la frustrazione.

E lui sorrise.«Che cosa c'è, tesoro?»Dalla bocca mi sarebbero potute uscire molte parole, alcune

incoerenti, la maggior parte non molto carine. Fortunatamente, quelle che riuscii a dire esprimevano esattamente ciò che intendevo.

«Troppo lento,» gemetti.A dire il vero, stavo proprio gemendo.«Te l'avevo detto che potevo fare con calma,» disse.«Cretino.» Quella era una delle parole più carine che mi

passavano per la testa. Non aveva neppure la decenza di essere preoccupato. Rideva e basta. Mi dimenai, cercando di liberare il braccio e lui mi tranquillizzò con un bacio, questa volta un po' meno dolce, un po' più soddisfacente dell'ultimo. E proprio quando mi stavo dimenticando del perché prima mi fossi sentita così frustrata, lui si tirò indietro di nuovo.

Era assurdo, ma avevo davvero voglia di urlare. Le sue labbra seguirono la mia mandibola fino a quel punto sotto l'orecchio che era in grado di rilassare ogni muscolo teso del mio corpo.

«Non sto cercando di fare il furbo,» mi sussurrò. «Sto cercando di darti quello che vuoi. È difficile quando mi lascio andare, quando ti bacio come voglio. Perché l'unica cosa a cui riesco a pensare in quel momento è al sapore della tua pelle e alla voglia che ho di sentirlo di nuovo.» La sua bocca bruciava sul mio collo. I suoi denti mi sfiorarono e, d'istinto, i miei fianchi scattarono in avanti, riuscendo a malapena a toccarlo.

Reagì con un gemito e i suoi sussurri si fecero rochi, persero la loro tenerezza. «Ricordo il peso del tuo seno nella mia mano e come rispondevi quando le mie dita erano dentro di te.» Mi morsi il labbro per ricacciare indietro il piagnucolio che mi stava nascendo in gola. Volevo sentire le sue mani su di me. Volevo che ci spogliassimo. «Immagino il tuo corpo sotto il mio. Immagino di essere dentro di te. Immagino queste cose, e mi consumano. Andare con calma è l'ultima cosa che vorrei fare.»

Persi il controllo. Non riuscii a trattenere il piagnucolio e sentii che anche solo le sue parole sarebbero bastate a farmi crollare.

«Perciò, devo baciarti lentamente. A meno che tu non abbia cambiato idea. Hai cambiato idea?»

Sì! Accidenti, sì, ti prego.Era una specie di tortura.Ma in un angolo della mia mente la ragione si fece strada,

prendendo il controllo, riportandomi con i piedi per terra. E se avessimo cercato di fare sesso e io mi fossi tirata indietro di nuovo per la paura e avessi rovinato tutto?

«No, non ho cambiato idea,» dissi. Poi aggiunsi, «Cretino,» perché quella era davvero una tortura e lui, a giudicare dal sorriso che aveva in faccia, lo sapeva.

«Hmm... allora vada per la calma.»

Capitolo diciannove

Quando quella sera Garrick mi riaccompagnò a casa, ero ancora un po' arrabbiata, ma nel momento in cui, sulla porta di casa, mi chiese che cosa avrei fatto il giorno dopo, non lo ero abbastanza da dargli buca. Cade non mi parlava e non avevo sentito Kelsey, perciò gli dissi che ero libera e ci accordammo per cenare da me.

Dormii fino a mezzogiorno: il letto era troppo comodo per trascinarmene fuori prima. Poi mi distrassi con una doccia extralunga, seguita dai compiti, poi da un libro. Quando guardai l'orologio, erano solo le tre.

Presi il computer e cercai, «Philadelphia teatro.»Trovai il sito di un'associazione che dava informazioni su un

mucchio di teatri in città, così come di annunci di lavoro e provini. Passai da una pagina all'altra, guardando quali spettacoli fossero in cartellone e dove, leggendo annunci di lavoro e salvando alcune pagine tra i preferiti.

Il mio cellulare cominciò a suonare, ma sembrava lontano. Cercai di seguire il suono nel soggiorno, ma smise di squillare prima che riuscissi a restringere il campo di ricerca. Fortunatamente, chiunque mi stesse chiamando era ostinato e riprovò dopo qualche istante. Era sicuramente da qualche parte vicino al divano. Spostai i cuscini, ma non lo trovai. Guardai sotto ai fogli e ai libri, ancora niente. Alla fine mi abbassai e sbirciai sotto al divano.

Eccolo là, che illuminava l'oscurità polverosa sotto ai miei mobili. E proprio accanto, gli occhi fissi su di me, Amleto.

Quel breve intermezzo di dolcezza che mi aveva mostrato al rifugio non si era più fatto vedere. Ero certa che in qualche

modo fosse stata lei a trascinare il mio telefono lì sotto, per farmi un dispetto.

«Senti un po', gatta, non so perché mi odi così tanto, ma devi esserti persa qualcosa. Io ti ho salvata.» Sdraiata sulla pancia, mi infilai sotto al divano per raggiungere il telefono. «Tu devi essermi riconoscente.»

Quando la mia mano le si avvicinò, emise l'ormai familiare ringhio gutturale.

«Sì, sì, stai zitta.»Per raggiungere il telefono dovetti spingere metà del corpo

nella fessura tra il mobile e il pavimento e uscire fu ancora più scomodo che entrare.

2 chiamate perse da MAMMA.Gemetti. Avrei dovuto lasciarlo sotto al divano. In quel

momento, ricominciò a suonare, per la terza volta. Risposi, «Ciao, mamma.»

«Perché non hai risposto le prime due volte? Va tutto bene?»«Sto bene, mamma. È solo che non riuscivo a trovare il

telefono.»«Oh, be', dovresti proprio avere un posto dove metterlo ogni

volta che torni a casa, così sapresti sempre dov'è.»«Me ne ricorderò, mamma.»«La tua disorganizzazione non è una novità. Per il resto,

come va?» Giuro che mia madre era l'unica persona al mondo che non pensava fossi una nevrotica maniaca del controllo, perché lei era infinitamente peggio. Fece l'inevitabile domanda, «Hai conosciuto qualcuno?»

Roteai gli occhi, cosa che non avrei mai potuto fare davanti a lei senza pagarne le conseguenze.

«Sono piuttosto occupata con i corsi, mamma. A dire il vero, sono appena stata scelta per la parte principale di uno spettacolo.»

«Oh, che bello,» disse tanto per essere gentile. Pensava che entrare nel mondo del teatro fosse uno spreco della mia

intelligenza.«E' una cosa davvero importante.»«Certo che lo è, cara. È solo che sai quanto ci preoccupiamo

tuo padre ed io. Saremmo decisamente più tranquilli se sapessimo che c'è qualcuno che si occupa di te finanziariamente.»

Bussarono alla porta e andai ad aprire con il telefono in mano. «Innanzitutto, la sicurezza economica non è una ragione sufficiente per sposarsi, mamma, anche se farebbe sentire meglio te. Seconda cosa, non ho bisogno di un ragazzo che si prenda cura di me. So prendermi cura di me stessa.» Dall'altro lato della porta, con quasi un'ora di anticipo, c'era Garrick, che aveva sentito l'ultima parte del mio discorso. Sollevò un sopracciglio sorridendo e, se avessi potuto attraversare il telefono per strangolare mia madre, l'avrei fatto. «Comunque, mamma, devo andare. Ho visite.»

«È una visita maschile?»Gemetti e dissi, «A presto.»Riattaccare fu bellissimo. Fui tentata di richiamarla per farlo

una seconda volta.Garrick sorrise, «Tua mamma assomiglia molto alla mia.»Lo gelai con lo sguardo. «Sei in anticipo.» La mattina mi

ero limitata a raccogliere i capelli bagnati in una coda. Avevo in mente di stirarli prima che lui arrivasse, ma adesso avevo un'aria a dir poco trasandata. E dopo aver strisciato sotto al divano, ero anche piena di polvere.

«È un problema?»Probabilmente sarebbe stato maleducato dirgli di tornare a

casa e ritornare dopo un'ora.«No, va bene. Guarda la TV, fai quello che vuoi. Mi serve

solo un secondo.» Gli feci cenno di andare in soggiorno e sparii in camera da letto, chiedendomi quali miglioramenti potessi apportare in cinque minuti.

Mi tolsi l'elastico e guardai la massa ondulata e umida su cui

dovevo lavorare. Non c'era tempo per asciugare i capelli e stirarli. E se li avessi asciugati senza stirarli, mi sarei ritrovata con una palla di pelo in testa. Usai le mani per metterli un po' più in disordine, accartocciandoli, nella speranza che il look mosso andasse bene. Ci misi un po' di spuma per i capelli, ma fu tutto quello che ebbi il tempo di fare. Misi uno strato veloce di mascara e del burro di cacao, nella speranza che il look al naturale gli piacesse.

Quando uscii dalla camera, lui era allungato sul mio divano a guardare la TV, mentre Amleto era raggomitolata in una piccola palla sul suo petto. Rimasi lì in piedi sotto shock, certa di stare sognando.

Lui si voltò e vide che li guardavo. «Ehi, hai i capelli mossi.» Annuii. Li stiravo praticamente sempre. Disse, «Mi piacciono.»

Ero ancora scioccata dal fatto che la mia gatta fosse felicemente arrampicata sul suo petto e... faceva le fusa! Lui aveva dei poteri magici. Era l'unica risposta possibile.

«Vieni qui,» disse, sedendosi e facendosi scivolare Amleto sulle gambe. Mi sedetti, con cautela, a un metro di distanza.

Indicai Amleto e dissi, «Come hai fatto?»«A fare cosa?»«A convincerla a farsi prendere.»«È una gatta?» chiese.«Sì, e odia chiunque. Soprattutto me.»«La tua gatta ti odia?»«Stiamo cercando di risolvere i nostri problemi.»Rise. «Magari è offesa perché le hai dato un nome

maschile.»Allungai una mano per accarezzarla e, come sempre,

ricevetti un ringhio per il disturbo. Garrick trovava comico l'odio che Amleto provava nei miei confronti. E continuava a tenerla in braccio, il che significava che ero relegata dalla parte opposta del divano perché la gatta mi aveva rubato il mio...

quello che era.Uff. Era una cosa a cui non volevo pensare. Cioè,

ovviamente era una relazione segreta, perciò non è che avessimo necessariamente bisogno di etichette, ma io ero curiosa. Che cosa sarebbe successo alla fine dell'anno? Sarebbe durata così tanto?

Mi alzai a preparare la cena per distrarmi.Feci gli spaghetti perché, quando ero nervosa, era l'unica

cosa che ero sicura non avrei rovinato. E quando si trattava di Garrick, ero sempre nervosa. A quanto pareva, invece, su Amleto aveva l'effetto opposto: dormiva profondamente sulle sue gambe.

Vidi l'opportunità di fare quello di cui smaniavo da quando era arrivato.

Lasciai il cibo a cuocere sui fornelli e mi avviai verso il divano. Per paura di svegliare la lunatica, non mi sedetti, ma gli misi una mano sulla spalla e mi abbassai per baciarlo. Dato che le sue mani erano bloccate sotto Amleto, controllai io il bacio. Le mie mani trovarono i suoi capelli, che davano dipendenza ed erano morbidi come sempre, e il bacio si fece più intenso. Lo baciai con passione, perché potevo farlo, e lui non fece alcun tentativo di fermarmi. Era il bacio che avrei voluto la sera prima, quello che si era rifiutato di darmi.

Non avrei voluto spostarmi, ma avevo la cena sul fuoco. Quando ci separammo, i suoi occhi erano scuri. «Penso che tu sia un po' perfida,» disse.

Risi. «Sì, avevo progettato tutto. Anche Amleto faceva parte del piano.»

«Baciami di nuovo.»Non dovette chiedermelo una seconda volta.Ogni volta che ci baciavamo, la mia sicurezza aumentava.

Più lo conoscevo, più diventavo coraggiosa. Questa cosa mi piaceva... quasi quanto mi piaceva lui.

Qualcuno bussò alla porta, tre colpi forti seguiti da altri tre

qualche secondo dopo. Avevamo ancora il fiato corto per il bacio e non sapevo se il battito troppo veloce del mio cuore dipendesse da Garrick o dallo spavento.

«Aspettavi qualcuno?» bisbigliò.Scossi la testa.Altri tre colpi e poi Kelsey gridò dall'altro lato della porta,

«So che ci sei, Bliss! Aprimi!»«Merda.»Quando sollevai Amleto dalle gambe di Garrick e la lasciai

cadere sul divano, non feci alcuno sforzo per essere gentile. Quasi non notai il ringhio, ormai era scontato.

Afferrai Garrick e lo tirai in piedi. Non avevo idea di dove metterlo, ma decisi che il bagno probabilmente era meglio della camera da letto, dato che almeno aveva una porta.

Lo spinsi dentro con un rapido, «Mi dispiace. Mi libererò di lei, giuro.»

Se solo fossimo andati da lui!Mi strofinai le labbra, sperando che non fossero gonfie

come sembravano. Mi passai una mano sui capelli e quando fui certa che non ci fosse niente di evidentemente fuori posto, aprii la porta.

Kelsey mi passò davanti con disinvoltura, «Ce ne hai messo di tempo. Che cosa stavi facendo?»

Feci finta di sbadigliare.«Oh, niente di che, cincischiavo.»Roteò gli occhi e mi guardò come se quella frustrante fossi

io.«Quindi è un bene che sia venuta. Non ho intenzione di

lasciarti stare in casa di sabato sera a deprimerti per quello che è successo con Cade.»

Mi agguantò per il polso e mi trascinò in camera. Dunque il bagno era stata la scelta giusta.

«Non sono qui a deprimermi!» dissi. «E come fai a sapere di quello che è successo con Cade?»

«Perché lo sanno tutti, cara. Tra l'altro, sono offesa perché non mi hai detto della tragedia che c'era in corso.»

Ottimo.«Non è che sia questa gran tragedia. Sistemeremo tutto in

fretta, ne sono certa,» dissi.«Oh cara, non lo sai? Cade stava per rifiutare la parte in

Fedra. Grazie a Dio, non l'ha fatto. Rusty l'ha convinto a non farlo. Ma non direi proprio che 'non è questa gran tragedia.'»

Sprofondai sul letto, avevo le viscere annodate come uno straccio strizzato. Cade era così sconvolto? Avrebbe rinunciato a quella parte fantastica solo per non dovermi stare vicino?

La voce di Kelsey mi arrivò da dentro l'armadio e io ebbi un déjà-vu della sera in cui era cominciato tutto. Si mise a tirare fuori magliette e gonne e io chiesi, «Che cosa stai facendo?»

«Stiamo uscendo. Devi ricordati che c'è un mondo fuori dal tuo appartamento.»

«No, Kelsey, preferirei proprio di no.» pensai a Garrick nel bagno e mi chiesi se ci sentisse.

«Fatti tuoi, non te lo sto chiedendo. È un sacco di tempo che non vado a ballare e ho proprio bisogno di qualcuno che mi faccia da spalla.»

Gemetti e mi ributtai sul letto. Mi lanciò una gonna in faccia.

«Vestiti.»Poi mi venne in mente la scusa perfetta, «Non posso. Ho la

cena sul fuoco.»«Ottimo. Sto morendo di fame. Che cosa si mangia?»Ogni tanto pensavo che la mia vita sarebbe stata più

semplice se non avessi avuto amici.Ritornai in cucina e lei mi seguì. Avevo lasciato il sugo sul

fuoco un po' troppo a lungo e si era bruciato sui bordi. Ma non abbastanza da rovinare gli spaghetti.

«Oh Signore, ragazza, pensavi di risolvere i tuoi problemi mangiando? Ce n'è abbastanza per tre persone!» Mi limitai ad

alzare le spalle. Non sapevo come spiegare perché stavo cucinando per due persone (di cui una con un grande appetito).

Misi degli spaghetti nei piatti, cercando di lasciarne un po' per Garrick, anche se non avevo idea di quando avrebbe potuto mangiarli.

Mangiai in fretta, lasciando che Kelsey gestisse la conversazione, incentrata sul fatto che era passato molto tempo da quando aveva fatto per l'ultima volta del buon sesso con qualcuno. Ogni tanto annuivo, ridendo nei momenti giusti, mentre continuavo a infilarmi il cibo in bocca a palate. Ripulii il piatto prima che lei avesse il tempo anche solo di toccare il suo. Misi il mio piatto nel lavandino e poi andai verso il corridoio.

«Dove stai andando?» chiese Kelsey.«In bagno!» Gridai senza voltarmi, e continuai a camminare.Quando arrivai alla porta, diedi un'occhiata alle mie spalle,

felice di vedere che Kelsey era impegnata con gli spaghetti, e scivolai dentro il bagno.

«È andata via?» chiese Garrick.«Sss!» Era appoggiato al lavandino e io mi allungai oltre di

lui per aprire l'acqua, in modo che il rumore coprisse i nostri sussurri. «No, mi dispiace. A dire il vero, si sta mangiando i nostri spaghetti.»

Arricciò le labbra e io mi chinai in avanti, soffocando una risata sul suo petto.

«Sta per andarsene?»Sbirciai verso di lui, senza staccarmi.«No. Pensa che sia depressa per Cade ed è determinata a

obbligarmi a uscire.»Mi attirò a sé e premette il viso nel punto in cui il mio collo

si incurvava nella spalla. Fece un ringhio che stranamente ricordava quello di Amleto.

Lo strinsi tra le braccia, altrettanto delusa. «Lo so. E' una rottura.»

Come se con il mio gesto l'avessi incoraggiato a farlo, le sue labbra si appoggiarono al mio collo, succhiando dolcemente. Risi e lo spinsi via.

«Garrick, è proprio qui fuori.»Come se le avessi dato un segnale, Kelsey bussò alla porta.«Hai tirato in lungo abbastanza, chical Ho scelto il tuo

look!» Il pomello della porta cominciò a girare e io mi affrettai a bloccarla.

Misi il piede davanti alla porta, in modo che si formasse uno spiraglio sottile.

Dissi, «Non sto tirando in lungo, mi sto solo preparando. Passami i vestiti, così mi cambio.»

Guardò con sospetto la mia finta eccitazione. Non ero mai contenta quando mi trascinava fuori in quel modo. Continuai a sorridere, come se non avessi più le forze per combattere e avessi ceduto.

Mi passò i vestiti e, prima che avesse modo di replicare, riaccostai la porta e la chiusi a chiave, facendo il minor rumore possibile.

Quando mi voltai, Garrick era abbandonato sul gabinetto. Accesi la radio, alzando il volume al massimo, e chiusi l'acqua.

«Mi dispiace, Garrick.»Da seduto, la sua testa mi arrivava al petto e lui mi appoggiò

le mani sui fianchi, tirandomi in avanti.«Non c'è problema, tesoro. Prima o poi doveva succedere.»«Vorrei che potessi venire con me.»«Anch'io, tesoro. Ma non c'è problema. Ceneremo insieme

un'altra volta. Dovresti cambiarti. Prima esci da qui, meno possibilità avremo di essere beccati.»

Annuii. Quando mi portai i vestiti al petto, mi tremavano leggermente le mani.

Disse, «Chiuderò gli occhi.» E io gli schioccai un veloce bacio di ringraziamento sulla guancia.

Sorridendo, chiuse gli occhi, poi appoggiò i gomiti alle

ginocchia e si strinse il viso tra le mani. Mi tolsi la camicetta e sfilai i pantaloncini il più in fretta possibile. Mi misi una canottiera nera e poi presi la gonna.

Mi si strinse lo stomaco.Era quell'orrenda minigonna spaventosamente corta.

Dovevo aver fatto un verso perché Garrick alzò la testa. Tenendo gli occhi chiusi, chiese, «Tutto bene?»

Dissi, «Sì.»Anche se stavo pensando No, cazzo.Mi infilai la gonna ed era corta esattamente come me la

ricordavo. Sospirai. Non potevo proprio metterla.Toccai Garrick su una spalla, con l'intenzione di dirgli che

sarei uscita a cercare qualcos'altro, ma quando aprì gli occhi, mi fissò le gambe, che all'improvviso divennero molli, come se fossero fatte di stoffa e non di muscoli, carne e ossa.

Mi fece il solletico dietro al ginocchio e io dovetti appoggiargli una mano sulla spalla per evitare di svenire.

«Stai cercando di uccidermi, vero?» Disse con voce soffocata. «Questa non è la gonna che mi avevi detto che non avresti mai messo?»

«E non la metterò stasera. Sto tornando in camera a cercare qualcos'altro.»

Mi voltai e l'altra sua mano mi toccò la coscia. «Aspetta.»Le sue mani seguirono l'orlo indecentemente corto lungo le

mie cosce, a qualche centimetro dalla curva del sedere.«Tu. Sei. Incredibilmente. Sexy.» La sua voce era così bassa

da sembrare un brontolio e io ne sentii le vibrazioni che mi entravano nella pelle. Si chinò in avanti e sottolineò ogni parola con un casto bacio sul lato della mia coscia. Per come mi stava controllando, avrei potuto essere argilla tra le sue mani. Se ci avesse provato, avrei potuto rinunciare alla mia verginità là nel bagno, senza troppe storie.

Ma un pugno di Kelsey contro la porta mi fece riprendere dal mio desiderio.

«Dannazione, Bliss. Vuoi darti una mossa o no?»Con le sue parole, ritornò la paura. Certo, lui ora pensava

che fossi sexy, ma le ragazze vergini erano, quasi, la cosa meno sexy del mondo. Avrebbe cambiato idea quando l'avrebbe scoperto?

«Devo andare. Mi dispiace. Probabilmente sono rimasti degli spaghetti, se vuoi mangiarne un po' quando usciamo. Ti... ti chiamo, d'accordo?»

Annuì, i suoi occhi erano ancora scuri, decisi.Ruzzolai fuori nel corridoio, un caos di ormoni ed emozioni.

Ero così distratta che mi ricordai che avevo intenzione di cambiarmi solo quando ero già con la cintura allacciata nella macchina di Kelsey, sulla strada per la discoteca.

Capitolo venti

Quando entrammo nella discoteca, Estasi, era buia e nebbiosa. Il ritmo della musica rimbombava nei muri e nel pavimento, penetrandomi nella pelle, facendomi innervosire. Non era per niente il mio ambiente, ma Kelsey lo adorava. Immaginavo che avrei solo dovuto passare un po' di tempo al bancone e magari chiacchierare con un paio di ragazzi, in modo che lei mi si levasse di dosso. Poi probabilmente sarebbe tornata a casa con un ragazzo, lasciando a me la macchina. Di solito le cose andavano così.

Quello che non avevo previsto era che il mio cambiamento di look avrebbe modificato il solito piano. Eravamo entrate da neanche un minuto, quando un ragazzo mi invitò a ballare. Rifiutai, guadagnandomi un'occhiataccia di Kelsey.

«Che cosa c'è?» gridai sopra la musica. «Avevi detto che dovevo venire, non che dovevo ballare!»

Eravamo in piedi al bancone e stavo cercando di fermare un barista, quando mi strigliò per bene.

«Sei la persona più irritante che abbia mai conosciuto! Stasera sei davvero uno schianto ma non farai altro che startene seduta qui con il broncio come fai sempre!»

«E allora forse dovevi lasciarmi stare a casa con il broncio!»

Un ragazzo mi diede un colpetto sulla spalla e io non aspettai neppure che mi invitasse prima di dire, «NO!»

Kelsey si piazzò le mani sui fianchi e, per essere una sosia di Barbie, era ancora piuttosto minacciosa. «Capisco che sei sconvolta e che hai avuto un sacco di cose a cui pensare. Sto cercando di essere comprensiva, ma che problema hai?»

«Non ho nessun problema, Kelsey. Solo non mi piace che pensi di potermi trascinare in giro senza preoccuparti minimamente di quello che voglio io!»

«D'accordo! Non importa! Ci rinuncio! Resta qui seduta con il broncio! Io vado a ballare!»

Si girò e si fece largo tra la folla, rovesciando diversi cocktail e colpendo le persone sul suo cammino.

Barbie Spaventosa.Salii su uno sgabello, conscia del fatto che, a causa della

gonna corta, le mie gambe nude erano incollate alla plastica. Non sarei stata sorpresa di scoprire che avevo il culo di fuori, ma al momento ero troppo infuriata per curarmene. Ordinai un Jack e cola e rimasi lì, a fremere di rabbia mentre aspettavo. Sapevo che aveva buone intenzioni, ma uscire a divertirsi non era la soluzione per tutti i problemi del mondo. Avevo sempre saputo che eravamo persone molto diverse, ma non avevo mai realizzato quanto poco mi capisse.

«Posso offrirti da bere?» Chiese una voce alle mie spalle.Sollevai il mio bicchiere pieno e lo ignorai.Il ragazzo si sedette lo stesso accanto a me. Si chinò per

chiedermi qualcos'altro e io scattai, «Non sono interessata!»Poi una voce familiare rispose. «Sono felice di sentirlo.»Quando colsi l'accento, quasi caddi dallo sgabello.«Garrick!»Il ragazzo seduto accanto a me era Garrick, con un cappello

calcato bene in testa fin sopra gli occhi, a coprire i suoi stupendi capelli biondi.

Quando aveva parlato la prima volta, non sembrava Garrick. «Sembravi...»

Questa volta, quando rispose il suo accento era scomparso e sembrava americano. Senza nessuna inflessione particolare, solo... normale. «Sono un attore, Bliss. So come nascondere il mio accento.»

Ancora sotto shock, chiesi, «Che cosa ci fai qui? E se ti vede

qualcuno?»«Sono in incognito, più o meno. E se ci vede qualcuno, dirò

che ci siamo incontrati qui per caso. Sono un professore. Non ho fatto voto di non avere una vita sociale.»

«Ma, perché?»«Perché non riuscivo a sopportare il pensiero che ballassi

con qualcun altro con quella gonna addosso.» La sua mano mi sfiorò la coscia e tutto il calore ritornò di botto.

«Garrick, fermo! Ci vedrà qualcuno! E se torna Kelsey?»«Considerando lo show che avete fatto prima, non credo

succederà tanto presto.»Mi vergognai. Forse ero stata un po' cattiva.«Vieni.» Si alzò e mi porse la mano. Mi guardai attorno,

spaventata all'idea di prenderla. Era così buio. Se ci fosse stato qualcuno che conoscevamo, non avremmo avuto modo di saperlo a meno che non ci fossimo ritrovati faccia a faccia. Era un'occasione da non perdere.

«Smettila di pensare così tanto,» mi disse, facendomi passare un braccio intorno alla vita per farmi scivolare giù dallo sgabello. La pelle nuda delle cosce scricchiolò in modo imbarazzante sulla plastica, ma lui non sembrò farci caso o dargli importanza. Intrecciò le nostre dita e mi tirò tra la folla.

Tenevo la testa bassa, concentrandomi sul mettere i piedi dove aveva appena messo i suoi. Mi fece scendere alcuni gradini fino a un piano più in basso, dove in qualche modo era ancora più buio e dove i corpi erano ancora più schiacciati l'uno all'altro. Non riuscivo a vedere nessuno, se non le persone proprio accanto a me. Zigzagò e si fece largo finché non arrivammo nell'angolo più lontano, poi mi tirò tra sé e il muro. Lui dava le spalle al resto della sala e, grazie alla sua altezza, mi copriva completamente.

Il suo respiro mi solleticò l'orecchio, quando sussurrò, «Meglio?»

Annuii. Andava meglio. Cioè, eravamo ancora in una

discoteca e avrei preferito essere a casa da sola, ma questa era comunque la migliore esperienza che avessi mai avuto in una discoteca.

Anche sapendo cosa provava per me, ero troppo nervosa per ballare con lui uno di fronte all'altra. Perciò mi girai, dandogli le spalle, e gli appiccicai la schiena addosso. Mi mise immediatamente le mani sui fianchi, tirandomi verso di sé. La sensazione che provai mi fece uscire tutta l'aria dai polmoni.

Chiusi gli occhi, in modo da non dover fissare il muro, e cercai di lasciar entrare la musica dentro di me. Lentamente, i suoi fianchi si inclinarono in avanti e io lo assecondai, spingendo all'indietro verso di lui. Espirò vicino al mio orecchio, e io fremetti. Fece scivolare una mano dal mio fianco alla pancia. Allargò le dita e il suo pollice si fermò a pochi centimetri dal reggiseno, mentre il mignolo seguì la cintura della gonna. Usò quella stessa mano per tirarmi contro di sé mentre muoveva i fianchi.

Delle stelle danzavano dietro alle mie palpebre chiuse e il battito del mio cuore andava di pari passo con quello regolare della musica. Il suo corpo contro il mio sembrava amplificare il calore della sala e sentii che il sudore cominciava a inumidirmi il collo. I suoi fianchi continuavano a muoversi con la musica, in modo lento e sensuale, ma di tanto in tanto, accompagnati da un battito più forte, spingevano di più contro di me. Con le labbra mi toccava la pelle del collo e io mi sentivo precipitare, precipitare, precipitare nel coinvolgimento.

Non era ancora abbastanza. Ne avrei mai avuto abbastanza, di lui? Sollevai le mani sopra la testa e all'indietro, intrappolandole nei suoi capelli, e lui mormorò in segno di approvazione. La mano sulla pancia avanzò, passando con leggerezza dal braccio alzato al fianco. Sfiorò lateralmente il seno e quel tocco mi procurò dei brividi in tutto il corpo, che si amplificarono quando le sue dita superarono la gonna indecente e si strinsero intorno alla mia coscia.

La canzone cambiò, ma noi no. Le sue mani continuavano a farmi impazzire. I nostri corpi rimanevano saldamente attaccati insieme. Ero ancora così eccitata che mi girava la testa dal desiderio. Il mondo intero girava e solo noi eravamo fermi. O forse eravamo noi a girare. L'unica cosa che sapevo era che c'erano tutti gli altri e poi c'eravamo noi, e non avrei mai voluto che le cose fossero diverse.

Trovò quel punto sotto il mio orecchio e io gemetti, lieta che la musica attutisse il suono. Mi mordicchiò sul collo e io reagii affondandogli le unghie nella nuca.

«Oddio, Bliss, hai una vaga idea di quanto ti desideri?»I nostri fianchi ondeggiarono di nuovo e io fui certa di aver

avuto un'ottima idea.La canzone finì e io avevo avuto tutto quello che potevo

avere. Sfilai il cellulare dal reggiseno dove l'avevo infilato per comodità. Garrick gemette e riavvicinò i nostri fianchi, ma io ero concentrata sul telefono. Mi tremavano le mani, ma riuscii comunque a mandare un messaggio a Kelsey.

Ho conosciuto una xsona. Vado. Scusa xprima. Ti chiamo doma?

Non aspettai una risposta prima di trascinare Garrick verso l'uscita.

Per una volta, non mi importava quanto andasse veloce sulla moto. Mi tenni stretta, nella speranza che bastasse a farci arrivare a casa più velocemente.

Sentii le sue labbra sul collo prima ancora di aver infilato la chiave nella serratura. Il mio respiro era così pesante che poteva essere considerato solo un ansimare. Quando finalmente riuscii ad aprire la porta, la spinsi così forte che sbatté contro il muro. Il giorno dopo avrei dovuto assicurarmi di non aver fatto un buco nella parete. Non appena la porta si chiuse, cominciammo a baciarci.

Tra la moto e la porta di casa, mi ero sfilata le scarpe e ora, senza tacchi, lui era troppo lontano. Dovevamo aver pensato la stessa cosa contemporaneamente, perché le sue mani lasciarono le mie cosce e si strinsero intorno al mio sedere, sollevandomi,

e io fui costretta ad avvinghiare le gambe intorno alla sua vita.La mia schiena sbatté contro la porta e io ansimai. La sua

lingua serpeggiava nella mia bocca, entrava e usciva, rapida e aggressiva: esattamente come piaceva a me.

«Letto,» ansimai tra un bacio e l'altro.Si tirò all'indietro giusto per il tempo di dire, «Sei sicura?»

Poi ci stavamo baciando di nuovo e il suo ritmo era seducente e ipnotizzante, proprio come lo era stata la musica in discoteca. Mi chiese di nuovo, «Bliss, sei sicura?»

Ero sicura? Perché me lo chiedeva? Aveva capito che volevo solo baciarlo? Volevo baciarlo finché il resto del mondo non fosse scomparso.

«Letto,» dissi di nuovo.«Non è una risposta.» Andò comunque verso la camera da

letto.Mi aggrappai saldamente a lui, spostando i baci prima sulla

mandibola e poi sul collo, in modo che lui potesse guardare dove andava.

Non so come, ma riuscii a rimanere bloccata nella tenda.Letteralmente bloccata.L'orecchino si era impigliato nel tessuto velato e non me ne

accorsi finché non si rimise a camminare. Il dolore mi trafisse l'orecchio e metà testa. Cominciai a strillare.

«Cosa c'è? Scusa! Cosa c'è che non va? Cosa ho fatto?»«Orecchio.» Evidentemente ero ridotta a frasi di una parola.«Dannazione. Stai ferma.»Cercò di usare entrambe le mani per liberare l'orecchino, ma

alla fine perdemmo l'equilibrio e sbattemmo entrambi sul lato del comò che si trovava proprio all'entrata della camera.

A giudicare dal male che provavo al gomito, il giorno dopo avrei avuto un livido enorme.

Quando il dolore diminuì, risi, perché come al solito la mia vita era ridicola. E come volle la sorte, fu uno di quegli ibridi tra una risata e un grugnito. Ridemmo entrambi, ansimando

alla ricerca di aria, adesso per una ragione completamente diversa. Mi faceva male il fianco dove avevamo colpito il comò. Il mio orecchino era sempre attaccato alla tenda e avevo ancora le gambe intorno alla sua vita. Tra le risate, Garrick mi diede un dolce bacio sulla fronte.

Forse essere ridicoli non era poi così male.«D'accordo, cerchiamo di liberarti. Ti metto giù, ok?»Mi appoggiò delicatamente a terra e i miei battiti impazziti

cominciarono a rallentare. Cercò per qualche minuto di liberarmi, ma aveva le dita grandi e impacciate. Alla fine, dissi, «Toglimi l'orecchino e basta. Lo tirerò fuori dalla tenda domani.»

Ridendo, fece come gli avevo chiesto.Mentre prima, durante il bacio, mi ero sentita bruciare, ora il

calore diffuso in tutto il mio corpo era diverso, più dolce. Come il lume di una candela anziché un fuoco acceso.

Si massaggiò la spalla che aveva sbattuto contro il comò e disse, «Siamo una specie di casino.»

Avvicinai pollice e indice e dissi, «Un pochino.»Mi mise una mano intorno al collo e mi tirò in avanti,

dandomi un altro bacio sulla fronte. Chiusi gli occhi, pensando che doveva essere questa quella che chiamavano perfezione.

«Penso che forse la tenda ci ha fatto un favore. Le tue gambe in quella minigonna hanno messo completamente ko il mio autocontrollo.»

Sorrisi. «Te l'avevo detto che non avrei mai dovuto indossarla.»

«Oh, sono contentissimo che tu l'abbia indossata. È un ricordo che conserverò per molto tempo.» Gli diedi una manata sul braccio, senza fare caso al suo sorriso sfacciato. Disse, «Probabilmente adesso dovrei andare, prima che tu mi faccia perdere la testa di nuovo.»

Lo lasciai andare, anche se gran parte di me stava gridando per protesta. E quando se ne fu andato, festeggiai nello stesso

modo in cui avevo festeggiato quando avevo scoperto di essere stata scritturata come Fedra.

Ballai.Perché, finalmente, le cose andavano bene.

Capitolo ventuno

Le cose andavano così male.La prima lettura preliminare di Fedra fu un disastro di

proporzioni epiche. Anche dopo due settimane, Cade non mi rivolse la parola prima di cominciare e, a giudicare dalle occhiatacce che ricevevo, sembrava che nel cast fossero tutti dalla sua parte. Anche se le letture preliminari tendevano sempre a essere un po' stantie, dato che eravamo tutti seduti intorno a un tavolo, questa fu peggio di una pizza vecchia di una settimana.

Di tanto in tanto Eric scuoteva la testa e io praticamente leggevo nei suoi pensieri, Che cos'è successo alle persone che ho scritturato la settimana scorsa?

Ogni scena andava peggio della precedente, come un chiodo che entra con l'angolazione sbagliata, ma continuavamo ad andare avanti, cercando di far funzionare qualcosa che chiaramente non avrebbe funzionato.

Quando finimmo, ero demoralizzata. Ero stata così eccitata per quello spettacolo. Aspettavo una cosa del genere dal primo anno di corso e, adesso che era successa, era insopportabile.

Eric finse di essere ottimista, dicendo che le cose sarebbero andate meglio sul palco. Penso che nessuno gli credette.

E se qualcuno lo fece, quella speranza mal riposta scemò quando facemmo la prima prova sul palco: se possibile, andò anche peggio. Il disagio tra me e Cade sembrava permeare l'intero cast, al punto che tutti divennero rigidi e tesi.

Le lezioni non andavano molto meglio.Cade rimaneva lontanissimo da me e Kelsey era ancora

arrabbiata: stavo decisamente confutando il detto secondo cui

nessun uomo è un'isola. Ero completamente sola.Fatta eccezione per Garrick.Ero terrorizzata dalla profondità dei sentimenti che provavo

nei suoi confronti. Le cose andavano troppo bene. Nella vita niente era così meraviglioso, quantomeno non nella mia. Mercoledì mattina, dopo il corso di preparazione teatrale, mi fermò «Bliss, aspetta un secondo.»

Mi presi del tempo per mettere via le mie cose, nell'attesa che tutti gli altri lasciassero il laboratorio di informatica. Quando fummo soli, chiesi, «Che cosa c'è?»

Sorrise, «Niente.»Poi mi spinse contro il tavolo del computer alle mie spalle e

mi baciò.Ansimai per lo shock, mentre la sua lingua prendeva

d'assalto la mia bocca. Non feci nulla, se non battere gli occhi, e poi lui mi sollevò sul tavolo, i suoi fianchi in mezzo alle mie cosce e la bocca che bruciava sulla mia.

In quel bacio non c'era niente di lento. Era un momento concitato, rubato e io avevo le vertigini per il desiderio. Mi avvinghiai a lui, certa che sarei andata in frantumi tra le sue braccia, poi lui si tirò indietro.

Prima che mi venisse in mente di infuriarmi, dovetti concentrarmi per alcuni lunghi secondi sul mio respiro. Gli diedi un colpo secco sul braccio, «Sei pazzo? Che cosa pensavi? E se fosse entrato qualcuno?» Lo allontanai di un paio di metri e balzai giù dal tavolo, le mie gambe malferme sul pavimento.

«Pensavo che sei davvero troppo sexy ed è solo mattina.»Indurii lo sguardo, «Sono seria, Garrick.»«Anch'io,» disse. Mi prese per il gomito e mi spinse

nell'angolo più lontano della stanza, dove non avrebbero potuto vederci dalla porta e dove ci saremmo accorti se fosse entrato qualcuno. «Quando si tratta di te, Bliss, sono molto serio.»

Stava suggerendo quello che pensavo stesse suggerendo? Lo

sguardo nei suoi occhi era pericoloso. Quando era così vicino, non riuscivo a pensare coerentemente. Cercò di coinvolgermi in un altro bacio ma, anche lontani dalla porta, ero troppo impaurita, troppo spaventata. Sembrava di nuovo tutto come quella prima notte insieme sul mio letto. Ero io? Ero pronta per una cosa come quella?

Girai la testa e le sue labbra trovarono il mio collo.Era tutto così confuso.Come facevo a volere così tanto una cosa e allo stesso

tempo a non volerla?Una parte di me voleva stringerlo tra le braccia e pregare

che le sue labbra non si staccassero mai dalla mia pelle. Un'altra voleva scappare urlando dalla parte opposta.

Prevalse la seconda.Scivolai fuori dal suo abbraccio e alzai una mano per

impedirgli di seguirmi. «Non ce la faccio. Devo andare. Voglio cercare Cade prima delle prove di stasera, per provare a risolvere le cose.»

Poi fuggii dal laboratorio, con la pelle che ancora bruciava perché mi aveva toccato.

Quando arrivai nei camerini, Cade se n'era già andato e, per tutto il resto della giornata, non riuscii mai a trovarlo da solo. Avevo pensato di chiedergli di parlare prima delle prove, ma intorno a noi c'era un sacco di gente che ci fissava e, onestamente, non ebbi l'energia necessaria per farlo.

In questo modo, però, le prove cominciarono male come le prime due volte.

Eric, che non aveva idea del dramma che stava avvenendo fuori scena, non riusciva a capire. Però penso capisse che tutto derivava da me e Cade, ecco perché ci mandò via. Disse che voleva passare del tempo con il coro, ma voleva anche che noi riuscissimo a lavorare. Perciò, ci mandò in un laboratorio più piccolo a lavorare da soli... con Garrick.

Doveva essere un segno dell'Apocalisse. Cose così orrende

succedono solo quando la fine del mondo è vicina.Invidiai il self-control di Garrick. Non lasciava trapelare

nulla.Io, al contrario, ero un disastro ferroviario dalle sembianze

umane.Ripetemmo due volte la nostra prima scena insieme. Cade

era inerte, mentre io facevo pietà.Non importava quante volte Garrick mormorasse tra una

battuta e l'altra «Sveglia!» o «Intensità!» o «Impegnatevi!» Facevamo schifo comunque.

Garrick, che sapeva di cosa fossimo capaci entrambi, divenne sempre più frustrato. Non si curava neppure di fingere dell'ottimismo.

«Prendetevi cinque minuti.»Io andai in baglio e mi sciacquai la faccia. Dovevamo

finirla. Se potevo recitare con Dom, di certo potevo recitare con Cade, a prescindere da quanto lui fosse sconvolto. Era il mio migliore amico ma, se volevo essere un'attrice, dovevo imparare a lasciare da parte le mie emozioni e pensare a lui come a qualsiasi altra persona.

Sentendomi un po' più tranquilla, mi avviai verso la classe.Cade e Garrick erano già dentro e stavano parlando.«So che tra di voi sta succedendo qualcosa di personale, ma

dovete superarlo,» disse Garrick.«Ci sto provando. Non è così semplice.»Garrick era di spalle, ma riuscivo a vedere il viso di Cade,

che era pallido e segnato dal dolore, come un foglio accartocciato. Rimasi senza parole, mentre desideravo che fosse tutto finito o che non fosse mai cominciato.

«Non ci stai provando abbastanza. E poi, lei non ricambia i tuoi sentimenti. E' la vita.» Spalancai la bocca per lo stupore. Come poteva essere così insensibile? Garrick, che era stato così dolce e comprensivo quando ero andata da lui proprio per quel litigio? «Succede. Devi crescere. Sei un attore o no? Non puoi

lasciare che i sentimenti che provi per lei controllino la tua vita.»

Mi si seccò la bocca e mi si formò un grosso nodo in gola.Aprii del tutto la porta e dissi, «Smettila.» Il calore nel tono

della mia voce mi sorprese, ma non avrebbe dovuto. Odiavo veder soffrire Cade e finalmente non ero solo io a causargli del dolore. Le parole di Garrick mi erano entrate sotto la pelle, inasprendosi, e le mani mi tremavano per la rabbia.

Cade sembrò sconvolto nel vedermi.Garrick non sembrava sentirsi in colpa, per niente, cosa che

fece aumentare ulteriormente la mia collera. Camminai fino a trovarmi tra di loro, dando le spalle a Cade.

«Non sono affari tuoi,» dissi a Garrick.Lui si voltò verso di me e, quando si accigliò, tutto il suo

viso sembrò andare in pezzi. «Se entrambi portate i vostri problemi personali alle prove, diventano affari miei.»

Lo sapevo, razionalmente sapevo che aveva ragione. E sapevo che era il mio insegnante e che questo era il suo lavoro, ma il suo tono severo mi ferì lo stesso.

E volevo ferirlo anch'io.«Probabilmente hai ragione,» dissi. «Forse i rapporti

personali qui non c'entrano nulla. E' una pessima idea mischiare le cose, non credi?»

Lui era calmissimo e la cosa mi fece venire voglia di scuoterlo. Avrei voluto prenderlo per la spalle, scuoterlo e spingerlo via.

«Bliss, ti stai comportando in modo poco professionale.»«Sarei io, quella poco professionale? Oh, è davvero

divertente, detto da te!»«Io e te possiamo parlarne più tardi.» Mi toccò un gomito e

odiai il fatto che il suo tocco riuscisse a farmi cedere le ginocchia anche mentre ero così arrabbiata. Mi allontanai.

«lo non voglio parlarne più tardi. Voglio che ti limiti a dirigere le prove. Voglio che tu stia fuori dai miei problemi con

Cade. Mi hai sentito? Hai capito? Restane fuori. È l'unica cosa che voglio da te.»

Alla fine, nella sua espressione calma qualcosa s'incrinò. La sua mandibola si contrasse e per un secondo chiuse gli occhi, stringendoli. Vederlo ferito non fu bello come avevo pensato. E avrei già voluto rimangiarmi tutto.

«D'accordo.» Alzò le mani e ripetè, «D'accordo. Come regista, dico che dovete risolvervi i vostri cazzi prima della prossima prova, a meno che non vogliate che cominciamo a cercare dei sostituti. Potete andare.»

La porta sbatté dietro di lui e io continuai a sentirne l'eco nella testa, ancora, e ancora. Ero così stupida. Tutto questo era così stupido.

Mi ero quasi completamente dimenticata che Cade fosse lì, quando disse, «Cazzo, Bliss. È lui il ragazzo?»

Avrei potuto negarlo. Avrei potuto raccontargli tutta la storia. Sarei potuta correre via. Ma mi sentivo troppo svuotata per muovermi. Crollai sulle ginocchia, stringendomi le braccia intorno al corpo, come se quel gesto potesse in qualche modo tenermi insieme, come se, stringendo forte a sufficienza, il dolore non avrebbe potuto insinuarsi dentro di me.

Ma non servì.E gli spazi vuoti nel mio corpo furono all'improvviso pieni

delle parole di cui ero pentita, della mia vergogna e dell'assenza di Garrick. L'unica cosa che potevo fare era piangere.

Il pianto sgorgò lento e senza interruzione, come l'alta marea, lavando via tutto quello che avevo amato del nostro tempo insieme.

Una mano mi toccò la spalla e io mi voltai, speranzosa.Era Cade.Si inginocchiò accanto a me, lento e insicuro, e mi prese tra

le braccia. Esitai per un istante, sapendo come si sentiva, sapendo quanto dovesse essere difficile per lui, sapendo che,

come al solito, era troppo buono con me.Poi non riuscii più a resistere. Ero già egoista, quindi che

male c'era?Mi rifugiai tra le sue braccia e mi lasciai andare. Era il

pianto più brutto del mondo, ma non mi importava. Perché la mia capacità di rovinare le cose belle non conosceva limiti.

«Va tutto bene,» mi disse Cade. «Non è successo niente.»«Non è successo niente?» mi sfregai gli occhi e le mani

tornarono giù striate di nero. «Forse in confronto all'olocausto. Ma rompere in questo modo, credo sia stato piuttosto brutto.»

Si irrigidì. «Stavate insieme? Cioè, davvero, insieme?»«Tecnicamente, da un paio di settimane, prima che io

rovinassi tutto.» Accidenti, non c'era da meravigliarsi che fossi vergine.

Nella mia vita precedente dovevo aver rotto un numero infinito di specchi.

Contro ogni probabilità, gli ero piaciuta. Nonostante il fatto che fossi scappata via con una pessima scusa mentre facevamo sesso. Nonostante il fatto che non fossi ancora andata a letto con lui. Nonostante fossi dannatamente e terribilmente impedita. Gli piacevo. Singhiozzai di nuovo, perché non era giusto.

«Ti piace un sacco, eh?»Facendo fatica a respirare, annuii. «Sì. So che è una follia.

So che è stupido. Ma, ma... ci siamo conosciuti prima che fosse il nostro professore e non sono riuscita a lasciar perdere tutto. Ci ho provato. Ci abbiamo provato. Immagino che adesso io debba lasciar perdere tutto per forza.»

Cade mi cullava avanti e indietro e, anche se era bello, mi fece sentire piccola e immatura. Poco professionale, esattamente come aveva detto Garrick.

«Ti perdonerà,» disse Cade. «Come me.»Avrei voluto chiedergli se significava che mi stava

perdonando in quel momento, ma avevo troppa paura. Perciò

rimasi tra le sue braccia, a piangere in silenzio, in caso quella fosse solo una tregua temporanea, in caso fosse tutto quello che avrei potuto avere.

Quando lasciammo il laboratorio, le prove erano finite e se ne erano andati tutti. Mi accompagnò alla macchina e io cominciai a sperare... a sperare che magari le cose si sarebbero sistemate. Non mi diede un bacio sulla guancia come avrebbe fatto prima. Mi appoggiò una mano sulla spalla. Anche se era diverso, era abbastanza.

«Si sistemerà tutto,» disse. Io sperai che stesse parlando proprio di tutto: di noi, di Garrick, della vita.

Avevo bisogno che si sistemasse tutto.

Capitolo ventidue

Pensai di andare da lui appena arrivai a casa, ma la verità era che avevo paura. Ed era molto più facile restare lì a compatirmi. Nel congelatore avevo una vaschetta di gelato al biscotto con i pezzi di cioccolato, in serbo proprio per occasioni come quella. Sarebbe stato bello dividerla con Kelsey, ma non potevo permettermi di condividere il mio segreto con un'altra persona, e non mi sentivo abbastanza egoista da rendere di nuovo Cade testimone della mia orgia di autocommiserazione. Mi aveva promesso che non l'avrebbe detto a nessuno e io gli credevo.

Mi sedetti a un'estremità del divano, osservando Amleto allungata dall'altra parte. Mi chiesi se avrebbe potuto darmi un po' di conforto. Era stata gentile con me solo in un altro momento triste, quindi magari avevo una possibilità. Mi allungai verso di lei, che reagì non solo ringhiando come al solito, ma anche soffiando.

Stava chiaramente dalla parte di Garrick.Pensai di andare da lui mille volte, forse mille e una. Ma

dovevo affrontare la realtà: era stato al di fuori della mia portata fin dall'inizio. Alla fine si sarebbe stufato di me, una volta che il fattore «proibito» fosse scomparso. E io non riuscivo neppure a prendere in considerazione che cosa sarebbe potuto succedere se ci avessero beccato. Anche solo il pensiero mi fece partire una scarica di adrenalina in tutto il corpo, come quando mi aveva baciato nel laboratorio, dove chiunque avrebbe potuto vederci.

Forse stavo facendo un favore a me stessa rompendo ogni legame ora. Cioè, faceva malissimo lo stesso, ma dopo più

tempo sarebbe stato anche peggio.Nel mio appartamento buio e silenzioso, nello stordimento

prodotto dal gelato, potevo ammettere che mi ero innamorata di lui. La nostra relazione davvero-così-breve era stata come un giorno alla luce del sole dopo aver trascorso tutta la vita sottoterra (il mio io precedente era l'Uomo Talpa della storia). Forse era tutto quello che si poteva avere da relazioni del genere: lampi di luce solare. Forse era troppo luminosa per poterla sopportare per un periodo di tempo prolungato. Forse avrei dovuto sentirmi grata.

Non mi sentivo grata. Mi sentivo infelice (e piena di gelato).Mercoledì andammo di nuovo nel laboratorio di informatica

e lui rimase sempre ad almeno un metro dalla mia postazione. Quella sera, alle prove, si sedette nella fila più alta a prendere appunti e non disse neppure una parola.

Il giovedì e il venerdì andarono allo stesso modo. Anche se le prove andavano meglio, ora che io e Cade avevamo sistemato le cose (più o meno). Non eravamo tornati proprio amici. Non ci vedevo a uscire tranquillamente da soli in futuro, ma almeno riuscivamo a parlarci senza fare grandi danni, e le nostre menti si erano schiarite abbastanza da riuscire a concentrarci sullo spettacolo.

Nel fine settimana ritornai al mio stato di Uomo Talpa: non lasciai mai il mio appartamento e mi feci la doccia solo quando fu assolutamente necessario. In qualsiasi altro fine settimana, Kelsey mi avrebbe obbligato a uscire, ma era ancora un po' incavolata per il mio comportamento in discoteca.

Perciò, ero praticamente sola.Non avevo nessuno, tranne Amleto, che mi odiava con tutte

le sue forze.Passai una settimana intera in uno stato di totale solitudine,

poi trovai il coraggio di agire.Troppo spaventata per confrontarmi con lui a casa o dopo le

lezioni, passai nel suo ufficio. Quando mi avvicinai alla porta,

stava parlando al telefono.«Lo so,» annuiva, sorridendo. «Lo so. Sarò a casa prima che

tu te ne renda conto. Cosa sono, solo altri tre mesi?»Mi bloccai. Mi schiacciai contro il muro fuori dalla porta,

con i polmoni che sembravano vuoti a prescindere da quante volte inspirassi.

«Quella? No, è finita. A dire il vero non era neppure da cominciare... solo un inconveniente.»

Dentro di me andò in pezzi qualcosa, qualcosa che era già vulnerabile e debole, ma che ora si stava sgretolando.

«Avrei dovuto saperlo. Lo so, ma ora è finita e non me ne importa più niente, sai? Sì, sì. Troverò un altro posto in cui lavorare. Non ne vale la pena.»

Non ne vale la pena?Penso che fino a quel momento avessi ancora sperato, anche

se avevo cercato di convincermi del contrario.La speranza... era una grandissima stronza.Non avrei pianto. Per lui era finita. Avevo bisogno che lo

fosse anche per me. E dovevo assicurarmi che lo sapesse. Se stava pensando di andarsene per starmi lontano, dovevo mettere le cose in chiaro. Non sarei stata la ragione per cui se ne andava.

Prima di poter cambiare idea, mi allungai, bussai sullo stipite e mi misi davanti alla porta aperta.

Lui alzò gli occhi e cominciò a balbettare. Mi fissò per un istante, dimenticandosi del telefono che aveva in mano.

Poi, alla fine, batté gli occhi e tornò alla sua conversazione.«Ehi, devo andare. Ti chiamo dopo, d'accordo?»Odiai chiunque fosse dall'altro lato del telefono. Era una

ragazza? Aveva lasciato una ragazza a Philadelphia? Per lui ero stata solo un'avventura, solo sesso (be', quasi sesso)? Chiunque fosse parlò per altri venti secondi, mentre lui diceva «Sì,» e «D'accordo,» e annuiva.

Quando riattaccò, io non avevo ancora idea di cosa gli avrei

detto.Per un momento mi guardò e basta, poi disse, «Cosa posso

fare per te, Bliss?»Il suo tono formale mi diede la nausea, ma cercai di copiarlo

come meglio riuscivo. «Volevo solo scusarmi per come mi sono comportata durante le prove insieme. Io e Cade abbiamo sistemato tutto...»

Mi interruppe, «L'ho notato.»I miei pensieri si bloccarono, per il momento si dileguarono.

«Perciò... Io, ehm, giuro che non succederà di nuovo. In futuro, manterrò un atteggiamento professionale. Non porterò la mia vita personale alle prove o nelle tue lezioni.»

Mise giù la penna con cui stava giocherellando e fece per alzarsi. «Bliss...»

Qualunque cosa stesse per dire, non potevo sentirla. Se avessi dovuto ascoltarlo mentre cercava di indorare la pillola (quando sapevo che non gli importava), avrei finito per piangere e fare la figura dell'idiota. Così lo interruppi.

«Non c'è problema. E' finita. Non era niente di importante, giusto?»

Si fermò e io fui certa che sapesse che stavo mentendo, certa che riuscisse a vedere, nel mio stomaco sottosopra, il mio cuore che si torceva. Sperai che mi credesse.

Sto bene. È finita. Sto bene. Bene. Bene.«D'accordo,» disse alla fine.Inspirai avidamente.«Ottimo. Grazie di avermi dedicato del tempo. Buona

giornata!» Poi uscii dalla porta e cominciai a correre, a correre, a correre giù per le scale e fuori all'aria aperta, dove potei deglutire e riempirmi i polmoni finché non mi venne più da piangere.

Da quel momento in avanti, intorno a me costruii dei muri fatti di sorrisi e mi isolai dietro le risate. Feci pace con Kelsey, promettendole che sarei andata a ballare quando avesse voluto.

Mi buttai a capofitto nelle prove, imparando a memoria tutte le mie battute una settimana prima del necessario. Mi costrinsi ad arrivare a marzo come un soldato, andando avanti, rifiutando di guardarmi indietro. Durante le prove, Eric lodò il mio lavoro dicendo che riusciva a sentire la mia vergogna, l'odio per me stessa in ogni parola, che li vedeva persino nella mia postura. Sorrisi e feci finta di essere felice di sentirlo.

Il mio obiettivo diventò arrivare alla laurea, quando me ne sarei andata chissà dove. Magari avrei speso tutti i soldi di una carta di credito e sarei andata in viaggio con Kelsey. Magari sarei tornata a casa dai miei e avrei lavorato per risparmiare un po'. La mamma sarebbe stata felicissima. Magari sarei rimasta qui e avrei trovato un lavoro da Target o qualcosa del genere. Dovevo solo arrivare alla fine. Poi le cose sarebbero diventate più semplici. Poi... l'avrei affrontato. Avrei raccontato tutto a Kelsey e avremmo cacciato via il dolore uscendo a divertirci. Poi.

Non vedevo l'ora che arrivasse il Poi.Sembrava possibile. Sembrava fattibile.Finché l'Adesso non rovinò tutto.Mancava una settimana alle vacanze di Pasqua... delle

vacanze di cui avevo davvero bisogno. Il venerdì pomeriggio ci vide tutti riuniti nel teatro sperimentale, per cominciare i laboratori di direzione scenica. L'intero dipartimento era raccolto nel teatro: i registi del terzo anno impietriti, tutti gli altri presi da stati d'animo simili, che andavano dall'annoiato alla gioia sadica.

Io stavo solo tenendo duro, desiderando che il tempo passasse, finché Rusty non si alzò in piedi per fare un annuncio, prima che iniziassero le rappresentazioni.

Si schiarì la gola, una cosa insolitamente seria per Rusty. «Allora... Ieri sono stato dal dottore...»

«E sei incinta?» Gridò qualcuno dalle ultime file.«No,» sorrise, anche se senza troppa convinzione. «A dire il

vero... Ho la mononucleosi.»Ci volle un attimo prima che la cosa venisse recepita.«Il dottore ha detto che il periodo di incubazione va dalle

quattro alle otto settimane, il che significa che potevo averla già a gennaio o febbraio. Perciò... magari volete pensarci due volte prima di bere dallo stesso bicchiere di qualcun altro e... cose così.»

Gennaio o febbraio. La festa. Avevo baciato Rusty, alla festa. Ci eravamo baciati... tutti.

D'istinto, i miei occhi andarono a cercare gli altri partecipanti a quel gioco della bottiglia. Le loro espressioni erano ansiose e spaventate quanto la mia. Se Rusty era già contagioso a quell'epoca, significava che ce l'avevo anch'io, così come Cade, e Kelsey, e Victoria, e ogni altra persona a quella festa.

E Garrick.

Dannazione.

Capitolo ventitré

Lo raggiunsi non appena si conclusero le varie rappresentazioni. Gli attori girovagavano ancora con i costumi addosso. I professori si congratulavano con gli studenti e ognuno gravitava verso il proprio gruppo, facendo progetti per il fine settimana. Tutti quanti sembravano tranquilli e felici e io mi sentivo come se la fine del mondo fosse stata vicina. Camminare verso Garrick fu come entrare in una stanza piena di antrace.

Ma lo feci comunque.Fortunatamente, non stava parlando con nessuno, stava solo

controllando qualcosa sul suo cellulare. Rimasi dietro di lui per qualche istante. Anche solo questo tipo di vicinanza mi turbava. Era davvero come un veleno. Inspirai il suo profumo e lo sentii abbattere i muri di protezione che mi ero costruita.

Non so se feci rumore o se lui sentì la mia presenza, ma si voltò e mi guardò. Per una frazione di secondo, pensai che avrebbe sorriso. Poi la sua espressione cambiò e divenne sospettosa, come se non si fidasse di me. Alla fine il suo viso si fece inespressivo.

Tutte le emozioni e tutti i ricordi spingevano contro le mie barricate, cercando di fuoriuscire. Sembrava che a lui non importasse nulla.

Avrei voluto sputare il rospo e scappare, ma sapevo che sarebbe stata una pessima idea. Non è esattamente una cosa normale avvisare il tuo professore che potresti avergli attaccato la mononucleosi.

«Possiamo parlare... in privato?» Chiesi.Si guardò attorno e immaginai dove stessero andando i suoi

occhi. Probabilmente su Eric. Forse su Cade. O Dom. Qualunque cosa stesse guardando, continuò a fissarla quando disse, «Non penso che sia una buona idea, Bliss.»

Sì, le buone idee le avevo finite da un pezzo.«Non ci vorrà molto,» promisi.Finalmente, mi guardò. Credetti di vedere della tenerezza

nei suoi occhi, ma potevo anche averla immaginata. Lo facevo in continuazione. Mi bastava chiudere gli occhi e riuscivo a vederlo che si avvicinava a me, le sue labbra a pochi millimetri dalle mie. Ma ogni volta... ogni volta riaprivo gli occhi e non era vero.

Una mano mi afferrò per la spalla e mi tirò in un abbraccio. Era Eric. Cominciò a parlare delle prove e dei costumi e delle vacanze di Pasqua e di tutte quelle cose per le quali non c'era posto nella mia mente.

Guardai Garrick, che sorrideva al suo capo. Aveva un sorriso tirato, a labbra strette. Quando era stata l'ultima volta che avevo visto il suo sorriso meraviglioso?

Magari non c'era bisogno che glielo dicessi. Insomma, non stavo neppure male.

Lui non aveva limonato con nessun altro dei presenti a quella festa, speravo. E se io non mi fossi ammalata, non avrebbe mai dovuto saperlo. Inoltre, era evidente che voleva solo dimenticarsi della nostra piccola avventura. Accidenti, aveva addirittura parlato di cambiare lavoro. Da quel momento, avevo fatto attenzione a non guardarlo troppo a lungo, o a non stargli troppo vicino, o a non dargli alcuna indicazione del fatto che per me non era una storia chiusa come lo era per lui. Perché per quanto le cose andassero male, sarebbero andate infinitamente peggio se lui se ne fosse andato.

Sì. Glielo avrei detto solo se avessi dovuto farlo. Non c'era alcun bisogno di sollevare la questione se non fosse diventato davvero un problema.

Mi scusai e salutai sia Eric che Garrick. Poi tornai a fingere.

Quantomeno i miei studi mi servivano a qualcosa, anche se non avessi dovuto usarli mai più in altro modo. Mi avevano insegnato a mentire.

L'ultimo giorno di lezione prima delle vacanze di Pasqua, mi svegliai esausta ed ero così infreddolita che durante la lezione di Garrick indossai un maglione, anche se in Texas era primavera. Era abbastanza evidente, o avrebbe dovuto esserlo, ma ero così preoccupata di riuscire a sopravvivere a quella giornata e arrivare alle vacanze, che misi da parte il mio malessere.

Garrick ci lasciò liberi presto, ma non prima di dire, «Ragazzi, mi dispiace dovervi dare dei compiti durante le vacanze ma, quando tornate, voglio che abbiate un progetto definitivo per il ventitré maggio che, per chi non guarda l'agenda, è il giorno dopo la vostra laurea.»

Dietro di me, Dom fece una risatina, «Essere ancora ubriachi dalla notte prima vale come progetto definitivo?»

Non ebbi neppure la forza di roteare gli occhi.«Con alcuni di voi, ci vedremo stasera alle prove. A tutti gli

altri... buone vacanze di Pasqua! Cercate di non farvi arrestare, non sposatevi, né fate niente del genere! Buona giornata.»

Penso che qualcuno applaudì, ma avevo la mente un po' confusa. Raccolsi le mie cose e decisi che quel giorno non per forza avrei dovuto andare alle altre lezioni. Potevo andare a casa a fare un sonnellino. Un sonnellino sembrava una buona idea. Mi sarei sentita meglio dopo aver dormito ancora un po'.

Mentre andavo vacillando verso la porta, mi girava la testa.Non mi accorsi che erano andati via tutti finché Garrick e io

non rimanemmo soli e lui mi chiese, «Stai bene, Bliss?»Annuii. La mia testa sembrava piena di ovatta.«Sono solo stanca,» gli dissi. Fui abbastanza in me da

assicurarmi che la mia risposta fosse attentamente neutrale: non bisognosa di affetto né acida. «Grazie lo stesso, buone

vacanze!» La mia voce sembrava venire da lontano e mi servì tutta la concentrazione per riuscire a uscire e arrivare alla macchina.

Il viaggio verso casa fu un mistero. Di sicuro dovevo aver guidato, ma non riuscii a ricordarmi che strada feci e, a dire il vero, neppure di aver girato il volante. Ma poi ero di fronte al mio appartamento, così vicino al mio letto.

Avrei voluto buttarmici sopra e basta, ma il mio bisogno nevrotico di avere un calendario proprio di fianco al letto mi fece ricordare che quella sera avevo le prove. Impostai una sveglia alle cinque del pomeriggio, in modo da avere il tempo di preparare la cena prima di andare, e ne impostai un'altra alle cinque e cinque, solo in caso avessi spento la prima per sbaglio. Poi il letto collassò intorno a me e io mi buttai a capofitto nell'oblio.

Qualche minuto dopo il mondo strillava, così forte che cercai di schiacciarmi le mani sulle orecchie, ma erano morte, prive di vita lungo i miei fianchi. Deglutii e la lingua mi sembrò tagliente, mentre la gola mi bruciava, come le labbra screpolate.

Girarmi di lato fu come spostare una montagna.L'orologio segnava le sei meno un quarto.Sbattei gli occhi e lo guardai di nuovo.Le sei meno un quarto.Il mondo stava ancora strillando e finalmente, finalmente

riuscii a sollevare le mani e a schiacciare la sveglia, finché il rumore si fermò.

Deglutii di nuovo, ma la lingua mi sembrava troppo grossa e la saliva, scendendo, aveva un sapore acido.

Stupefatta, guardai di nuovo l'orologio. Ero in ritardo. Le prove sarebbero cominciate dopo un quarto d'ora. In qualche modo, davvero non so come, mi tirai fuori dal letto. Le gambe mi tremavano come se il pavimento fosse stato una nave in mezzo al mare. Avevo delle cose da fare... Lo sapevo, ma

riuscivo a pensare solo all'opprimente sensazione che ci fosse qualcosa che mi sfuggiva. Faceva così freddo, dov'era il mio cappotto? Mi serviva il cappotto.

Avvolta negli abiti più caldi che riuscii a trovare, barcollai fuori, verso la macchina. Il mondo girò per un istante, come un bambino che si rifiuta di stare seduto fermo. Allungai una mano per tenermi in equilibrio, ma non trovai niente a cui aggrapparmi. Mi inclinai di lato. Non caddi, ma riuscii a stento ad appoggiarmi a qualcosa. Fissai il suolo: ero stanchissima. Sarei stata così male lì, per terra?

Anche se faceva tanto freddo. Sarei proprio dovuta andare dentro, se volevo sdraiarmi, o in macchina. Avevo tempo per fare un pisolino in macchina?

Scossi la testa, cercando di diradare la nebbia, e qualcosa di terribile sbatacchiò nel mio cranio. Faceva male. Accidenti, se faceva male. Mi presi la testa tra le mani, cercando di capire perché, e deglutii di nuovo, ma anche quello faceva male. Mi faceva male tutto. Tutto.

Non riuscivo più a stare in piedi. Stare in piedi era troppo difficile. Ero quasi per terra, avevo quasi raggiunto il suolo, stavo pensando che l'asfalto sarebbe stato caldo contro la mia guancia, quando qualcosa mi agganciò da dietro.

Continuai a cercare di raggiungerlo, ma qualcosa mi tratteneva, come un amo con un pesce.

Cominciai a piangere, perché sentivo la testa che martellava e avevo la gola stretta come da una morsa di ferro. Volevo ancora il cappotto, e non volevo essere un pesce, e volevo dormire.

Dormire.Qualcuno mi stava dicendo che andava tutto bene. L'amo

non c'era più e il mio cuscino mi reggeva di nuovo, dovevo aver sognato. Dormire.

Dormire, chissà se per sognare.

Qualcosa ronzava. Pensai fossero api. Stavo volando insieme alle api.

«...Tutto bene. Non so quanto male, ma di certo ha la febbre. È in uno stato di confusione totale. Sì, la mononucleosi. Dovrei portarla in ospedale? Sei sicuro? Sei sicuro. D'accordo. Sì. Ciao.»

Allungai una mano. C'erano troppe parole. Le api non dovrebbero parlare. Non aveva senso. Dove mi trovavo?

«Dove?» Gemetti, poi «Ahi,» perché mi faceva ancora male tutto, anche dopo aver dormito. La mia mano toccò qualcosa. O qualcosa toccò la mia mano. Era una cosa calda. E io stavo congelando. Sospirai. Il calore toccò la mia guancia e io mi ci spinsi contro, ne volevo ancora.

«Tanto freddo,» dissi al calore.E poi il calore rispose, a voce bassa e dolcemente, «Non so

cosa fare.»Strinsi forte il calore che mi teneva il viso e chiesi,

«Ancora.»Poi il calore se ne andò, anche se cercai di trattenerlo. Un

soffio d'aria mi passò accanto, mentre io tremavo, tremavo, tremavo. Piangevo e le lacrime sembravano fiumi di ghiaccio.

«Freddo,» dissi. Deglutii, ma invece di andare meglio andò peggio. Odiavo tutta quella situazione. Volevo che finisse. Per favore. Per favore.

Per favore.«Per favore.»«Sono qui, tesoro. Resisti.»Il mondo cadde, si piegò di lato, rotto. E cominciò a

cullarmi, prendendomi con sé. Invece di morire, caddi nel calore, che era solido e vigoroso. Mi ci aggrappai, volevo entrarci, fermare il tremore, fermare tutto.

Era il sole e mi stringeva tra le sue braccia, chiamandomi, toccandomi dalla testa alla punta dei piedi. Mi addormentai cullata in cielo, tra le braccia di una stella.

Quando mi risvegliai, avevo la mente abbastanza lucida da capire che ero ammalata. Dovevo respirare con il naso perché avevo la gola troppo gonfia, troppo sensibile per reggere il passaggio dell'aria. Mi facevano male i muscoli e mi sentivo un buco nello stomaco. Avevo ancora freddo, ma non ero più un blocco di ghiaccio. Scongelata. Il sonno mi chiamò di nuovo. Ero ancora stanchissima.

Ma sapevo, sapevo che cosa significava.Alla fine avevo preso la mononucleosi.Il che significava che avrei dovuto dirlo a Garrick. Ma

potevo aspettare finché la testa avesse smesso di scoppiare, la gola di bruciare, e finché i polmoni fossero sembrati pieni. Una volta passata la febbre, l'avrei chiamato.

Mi spostai, desiderando che le mie ginocchia, e i gomiti, e le spalle cessassero di esistere, perché in quel momento non erano nient'altro che dolore. Poi seppi che stavo sognando, che la febbre aveva ripreso il controllo del mio cervello, perché Garrick era lì, sotto di me, il suo petto nudo mi faceva da cuscino. Era crudele, questa febbre. Ma sapevo che dipendeva solo dal fatto che avevo pensato a lui. Probabilmente stavo ancora sognando.

Aveva gli occhi aperti, mi fissava, senza parlare, mi fissava e basta. Non poteva essere vero.

«Vorrei che fosse vero,» piagnucolai, prima di arrendermi di nuovo.

Dormire.Dormire.

Quando mi risvegliai, il freddo non c'era più ed ero sola. Anche se sapevo che era stato un sogno, premetti la faccia sul cuscino desiderando che non fosse così.

Fino a quel momento non me n'ero accorta, o forse non avevo voluto ammetterlo, ma ero ancora innamorata di Garrick.

Forse non avevo mai smesso di esserlo. Ogni ricordo e ogni fantasia mi spingeva a desiderarlo di più. Anche se mi sentivo ancora esausta, questa volta dovetti faticare per riuscire a riaddormentarmi.

«Bliss, svegliati.»Non era passato neanche un po' di tempo. Doveva essere un

sogno.«Devi bere qualcosa. Svegliati.»Cercai di girarmi dall'altra parte, di strisciare in un sonno

più profondo, ma qualcosa mi strattonò e mi ritrovai seduta contro la mia volontà. Mi sorreggeva dietro la schiena, rifiutandosi di lasciarmi sdraiare, perciò mi appoggiai di lato.

La mia testa incontrò qualcosa di solido. Non ero proprio sdraiata, ma era una posizione abbastanza simile. Chiusi gli occhi.

«Oh, no, aspetta. Bevi prima. Poi puoi dormire.»Stavo dormendo. O almeno, lo pensavo. Doveva essere così

perché dal nulla mi spuntò una tazza tra le mani. Era calda, quasi quanto le mani che si strinsero intorno alle mie.

Aveva un ottimo profumo e lasciai che mi avvicinassero la tazza alle labbra.

Minestra.Pastina e brodo di pollo, forse. Era saporita e calda, ma

deglutire era troppo difficile. Spinsi via la tazza.«Per favore, tesoro. Sono preoccupato per te. Non mi piace

essere preoccupato per te.»Conoscevo quelle parole e il mio subconscio era crudele a

ripeterle a pappagallo, adesso, quando ormai lui non si preoccupava più. Alzai gli occhi e c'era lui, che nel mio stato onirico forse era ancora più perfetto di quanto non lo fosse nella vita reale. Era lui il sole. Era sempre stato il sole: splendente e brillante.

Era troppo. Sentivo male dentro e fuori.«Mi manchi,» dissi al mio sole. «Sono stata così stupida. E

adesso ho perso la mia luce.»Non mi disse che anch'io gli mancavo. Non disse nessuna

delle cose che avrei voluto sentire da lui. Mi disse, «Bevi, Bliss. Parleremo quando starai meglio.»

Feci come mi chiedeva, perché ero troppo stanca per lottare, troppo stanca per costringermi ad affrontare una chimera. Lentamente, sorseggiai, rovesciando la testa all'indietro e lasciando che il liquido mi scivolasse in gola, in modo da non dover fare troppa fatica a mandarlo giù. A metà della tazza, non riuscii a berne altro. La spinsi via e lui mi lasciò.

«Adesso puoi dormire. Dormi, tesoro.»Ricaddi all'indietro sui cuscini, ma fui presa da

qualcos'altro, dalla paura. Avevo paura di perdere quello... quello stato onirico tra i due mondi, dove non avevo rovinato niente. Forse poi sarebbe arrivato Cade, e poi anche Kelsey. Per un po' di tempo, la mia vita sarebbe stata di nuovo semplice.

Sogno-Garrick mi passò una mano sulla fronte. «Credo che la febbre sia quasi andata via. Bene. Domattina starai molto meglio»

Mi accigliai. «Allora dovrò chiamarti subito.» «Chiamarmi?»

«Per dirti che anche tu potresti ammalarti.» Piegò la testa di lato. Perché non capiva? «Non credi che lo sappia già?» «Non tu. Tu non sei vero.» «No?»

«Il vero Garrick non sarebbe qui.» Mi rannicchiai sul cuscino, desiderando che questo sogno finisse.

Non era più bello. Non era reale. Noi non eravamo niente l'uno per l'altra... non più.

Ma Sogno-Garrick rimase lì, con la mano tra i miei capelli, e io mi concessi di crederci, ancora per un po'.

Capitolo ventiquattro

Intorno alle quattro del mattino, mi svegliai in un bagno di sudore, il corpo appiccicato alle lenzuola e la faccia incollata al letto.

Immagino che la febbre fosse passata del tutto.Appoggiai le mani sul letto per tirarmi su, ma il mio senso

dell'equilibrio doveva essere fuori uso: il letto mi sembrava storto. Mi allungai all'indietro, brancolando alla ricerca della lampada, e accesi la luce. Poi, pensando che forse avevo le visioni, la spensi e la riaccesi. Mi diedi un pizzicotto. Mi diedi un pizzicotto bello forte. Ma non cambiò nulla.

Garrick era davvero addormentato nel mio letto.Merda.Merda.Quali parti del sogno causato dalla febbre erano reali?

Potevo dire con sicurezza che aver volato come un'ape non era stato reale, non più reale degli animali mitologici che giuravo di aver visto. Poi ero stata sul sole con gli alieni.

Ma Garrick era nel mio letto. Di certo era stato nei miei sogni, ma non poteva essere stato tutto vero. Ogni tanto volava, la maggior parte del tempo era nudo. E mi era apparso una decina di altre volte, alcune confuse, altre molto nitide. Dov'era la linea di confine? Quali cose erano successe davvero? Accidenti, anche questo, era reale? Magari stavo solo sognando che la febbre fosse passata. Stavo per dare di matto e, prima di avere il buonsenso di ideare un piano, lo scossi per svegliarlo.

Quando si svegliò, aveva lo sguardo offuscato ed era bellissimo. Per un istante fui colpita dal fatto che stesse dormendo sul mio cuscino.

Era nel mio letto. Con me.Dormiva.Stavamo dormendo insieme!«Sei sveglia.» Accidenti, da quando era possibile essere

intontiti e allo stesso tempo stupendi? Non avendo pensato a cosa dire dopo averlo svegliato, annuii con gli occhi spalancati.

«Come ti senti?»A quello sapevo rispondere.«Una merda. Mi fa male tutto. La cosa peggiore è la gola.»Si allungò e mi mise una mano sulla coscia. Come se fosse

normale. Come se in ogni momento ci mettessimo le mani sulle cosce a vicenda.

«È normale, credo,» disse. La cosa della coscia? No, no... la mia gola. Continuò, «Hai bisogno di qualcosa?»

Scossi la testa. Che cosa diamine era successo mentre ero fuori di me?

Si sedette e il lenzuolo gli scivolò intorno alla vita, rivelando ai miei occhi tutta la parte superiore del suo corpo. Il lenzuolo gli si fermò intorno ai fianchi, attirando il mio sguardo sui muscoli che scomparivano nei boxer. Accidenti. Mi mise una mano tra i capelli, quei capelli che mi stavano schiacciati e unti sulla faccia, in forte contrasto con quanto era bello lui in quel momento. Non sembrò farci caso.

Ribadisco, cosa diamine stava succedendo?«Sono felice che tu stia bene,» disse.Annuii. Annuire era l'unica cosa che riuscivo a fare, l'unica

cosa che capivo. Annuire, quantomeno, aveva ancora un senso.«Dovresti tornare a dormire. Hai ancora bisogno di riposare.

A meno che tu non abbia fame...»Scossi la testa.«Allora dormi.»Mi diede un colpetto e io mi abbassai lentamente, certa che

nell'istante in cui la mia testa avesse toccato il cuscino quell'universo parallelo avrebbe cessato di esistere.

Non accadde.Lui tirò su le coperte e poi scivolò fuori dal letto.«Te ne vai?» chiesi.Si fermò e in rapida successione lo vidi prima rendersi conto

di dove fossimo e poi di quanto poco fosse vestito. Esitò, incerto. Un'espressione così strana, che gli avevo visto raramente. «Vuoi che me ne vada?» Avrei voluto mettere in pausa quel momento, studiarlo, analizzare l'istante in cui quel ragazzo coraggioso era stato preso dall'insicurezza. Naturalmente non volevo che se ne andasse! Non avrei mai voluto che se ne andasse!

Scossi la testa, lieta del fatto che la spossatezza riuscisse in qualche modo a tenermi tranquilla.

Fece un sorriso così grande da farmi dimenticare che quell'insicurezza fosse mai esistita. «Allora non me ne vado. Sto andando solo a bere un po' d'acqua. Torna a dormire.»

Se ne andò e io mi girai sul fianco, titubante. Sentii il rubinetto che si apriva e si richiudeva. Cercai di immaginare cosa stesse facendo. Il pavimento non scricchiolava, perciò non stava tornando indietro. Era fermo a bere davanti al lavandino? O non sentivo alcuno scricchiolio perché la mia allucinazione era finita e lui non sarebbe tornato? Il pavimento aveva scricchiolato mentre andava verso il lavandino? Non riuscivo a ricordarmelo. Cominciai ad andare nel panico. Forse dovevo alzarmi, raggiungerlo. Assicurarmi che fosse reale.

Poi il letto si abbassò, sentii un calore alle mie spalle e un braccio mi circondò in vita. All'inizio mi irrigidii, poi mi rilassai così all'improvviso che praticamente ricaddi su di lui. Era così caldo che mi sentii come se mi fosse tornata di nuovo la febbre.

Spinse i miei capelli verso l'alto sul cuscino, in modo che il mio collo restasse scoperto. Poi sentii qualcosa, forse la punta del suo naso, che mi sfiorava delicatamente la pelle, e il soffio del suo respiro.

«Garrick?»Il braccio mi strinse di più, il suo corpo era curvo contro il

mio, anche le nostre cosce erano attaccate.«Domani, Bliss. Dormi ora.»Dormire? L'idea mi sembrava impossibile, ma quando il suo

respiro si regolarizzò e io mi abituai al contatto con lui, capii che ero ancora stanca. Avrei voluto analizzare cosa era successo, cosa mi ricordavo e cosa no, ma dormire sembrava più importante.

Garrick aveva ragione. Potevo aspettare fino a domani. Lui sarebbe stato qui. Aveva detto che non se ne sarebbe andato. Per sicurezza, appoggiai una mano sulla sua, che era adagiata sulla mia pancia. Avevo pensato che stesse già dormendo, invece era sveglio abbastanza da reagire intrecciando le nostre dita.

Quando fui certa che fosse reale e che non se ne stesse andando, quando il dubbio se ne andò, mi addormentai.

Mi svegliai molte ore più tardi. La luce che entrava dai finestroni inondava la stanza e avevo la pelle scivolosa per il sudore. Per un momento, pensai di avere ancora la febbre. Mi sedetti e il braccio di Garrick scivolò giù dalla mia vita. Lui gemette.

Aveva le sopracciglia aggrottate e il viso costellato di perle di sudore. Gli appoggiai una mano sulla fronte e, come previsto, scottava. Aveva un aspetto terribile, ma immaginai che il mio fosse anche peggio. Avevo la pelle e i vestiti umidi di sudore, il suo e il mio. Sembrava che avessi sulla pelle uno spesso strato di sporco e malattia.

Facendo attenzione, scivolai fuori dalla portata di Garrick e appoggiai i piedi sul parquet freddo. Quando mi alzai, sentii male a tutte le ossa, come se fossero state rotte e ricomposte nel modo sbagliato e fosse necessario romperle un'altra volta per ricomporle nel modo giusto. A ogni passo sembrava che una sparachiodi mi colpisse i talloni, le ginocchia, i fianchi.

Appoggiai una mano contro il muro per riuscire a stare dritta. Il viaggio verso il bagno fu una camminata di passi lenti e trascinati, trenta invece dei soliti dieci. Quando ci arrivai, avevo il fiato corto ed ero pronta per un altro sonnellino.

Nella mente frastornata dal dolore, per prima cosa mi sembrava molto importante lavarmi. Aprii il rubinetto della doccia, lasciando il miscelatore dalla parte dell'acqua fredda anziché spostarlo automaticamente su quella calda, come facevo di solito. Mi sfilai i vestiti, lamentandomi ogni volta che toglievo qualcosa e sotto scoprivo un altro strato. Quando arrivai al reggiseno, stavo per arrendermi.

Finalmente ero libera, ma non avevo più le forze necessarie per stare in piedi e fare la doccia che avrei voluto. Come un bambino che sta imparando a camminare, strisciai nella vasca, appoggiandomi all'indietro e lasciando che l'acqua mi colpisse la pelle. La pancia, soprattutto, era così sensibile che l'impatto con ogni goccia mi trafiggeva, come se qualcuno stesse lasciando cadere dall'alto dei missili minuscoli. Ma anche così, era bello e piacevole e io mi persi in quella sensazione.

Rimasi lì distesa a lungo, entrando e uscendo dal sonno. Quando cominciai a respirare regolarmente e il dolore ai muscoli si attenuò, mi tirai su, lasciando che l'acqua mi bagnasse i capelli e mi corresse giù per il viso.

Lo shampoo fece la parte del cattivo della storia, bruciandomi gli occhi e logorandomi mentre lo frizionavo e lo sciacquavo via. Quando l'acqua scese chiara abbastanza da aprire gli occhi senza sentirli bruciare, mi sembrava che fossero passate ore. Poi non riuscii a trovare la forza per rifare tutto con il balsamo.

Chiusi il rubinetto e mi appoggiai di nuovo all'indietro, sentendo l'acqua che gocciolava sotto di me. Più tenevo gli occhi chiusi, più il corpo diventava pesante. Le piccole pozze bagnate sulla mia pelle si asciugarono lentamente e, per un momento, fu bello sentirmi vuota, rimanere immobile.

Poi mi ricordai di Garrick e capii che ero stata egoista a sufficienza.

La parete della vasca avrebbe potuto benissimo essere un parapetto. Mi servì tutta la mia forza per scavalcarla. Vestirmi era fuori discussione. Avvolsi i capelli in un asciugamano e indossai un accappatoio. Presi degli asciugamani piccoli, li inzuppai di acqua fredda e li strizzai in modo che non gocciolassero.

Ora mi sentivo un po' più attiva e riuscii a camminare senza dovermi appoggiare al muro. Il male c'era, in un angolino della mia mente e a ogni passo, ma era gestibile. Anche così, fu un sollievo sprofondare nel letto accanto a Garrick.

Gli tolsi di nuovo le coperte e lui si spostò, senza svegliarsi. Gli misi un asciugamano sulla fronte, poi ne aprii un altro e glielo distesi sul petto. Usai l'ultimo per tamponargli le braccia e le gambe. Ma anche quei movimenti divennero troppo difficili, perciò lo arrotolai e glielo feci scivolare sotto il collo.

Poi mi sdraiai accanto a lui e mi addormentai.La volta dopo, ci svegliammo insieme. Aveva ancora la

febbre, ma lo convinsi a bere dell'acqua. Fu solo quando bevvi anch'io che mi resi conto di quanta sete avessi. Lo aiutai a mandare giù un bicchiere intero, poi ne inghiottii due a mia volta. Trovai la forza necessaria per levarmi il pesante accappatoio e sostituirlo con un pigiama largo. Misi un nuovo asciugamano sulla fronte di Garrick e lui sospirò.

«Grazie,» biascicò.Non sapevo quanto fosse in sé. Di certo sapeva che ero lì,

dato che aveva detto il mio nome un po' di volte da quando si era svegliato. E sapeva di essere ammalato, ma non sapevo di cos'altro fosse consapevole.

«Prego. Ma a essere onesti, sei stato tu a prenderti cura di me per primo.»

Aveva gli occhi chiusi, ma sorrise. «Tu sei più brava.»«Non importa,» dissi. «Era comunque bello non essere da

sola.»Cercò di girarsi su un fianco per mettersi di fronte a me, ma

alla fine riuscì solo ad allungare le braccia, con il corpo ancora sdraiato sulla schiena. Gli circondai il petto con un braccio e tirai; si strinse a me e tirò anche lui, perciò alla fine si ritrovò sul fianco e molto più vicino a me.

Quando si fu sistemato, espirò, esausto per quel piccolo sforzo. Disse, «Mi dispiace.»

«Per cosa?»Perché aveva bisogno di aiuto? Sembrava molto più forte di

me e che fosse in condizioni migliori di quanto non fossi stata io.

«Per averti lasciato completamente sola. Per essermi messo tra te e Cade. Per essere troppo testardo per dirti che mi mancavi. Mi dispiace.»

Ero confusa, le tessere del puzzle non si incastravano alla perfezione. Ma avevo sentito quello che importava, lui era dispiaciuto, e lo ero anch'io. Inoltre, avevo la mente troppo annebbiata per ricordare tutti i dettagli del perché non sarebbe dovuto succedere. Lo tirai verso di me e la sua testa cadde nell'incavo del mio collo. Inspirai profondamente per quella che sembrava la prima volta da mesi. Avrei voluto chiedergli della telefonata, del litigio, di tutto. Ma lui, sul mio collo, continuava a mormorare «scusami,» e sapere non era poi così importante.

Lo strinsi più forte e insieme sconfiggemmo la malattia e il sonno.

Capitolo venticinque

Trascorremmo alcuni giorni in questo modo, stretti l'uno all'altra, entrando e ascendo dal sonno, mangiando e facendo la doccia quando sentivamo di riuscirci. Era strano pensare alla malattia come a un'oasi, ma era così. Da quando i nostri bisogni fisici avevano trionfato sui nostri cervelli, non avevamo bisogno di parlare, né della nostra relazione né di quello che l'aveva guastata. Non avevamo bisogno di risolvere nulla, né di darci delle spiegazioni. Io non avevo neppure bisogno di preoccuparmi del fatto che fossi vergine, né dell'idea di fare sesso con lui.

Ci cullammo a vicenda e trovammo il modo di guarire nella quiete, sotto le coperte, lontano dal mondo. Sabato stavamo bene abbastanza da trascorrere più tempo fuori dal letto, mangiare cibo vero, guardare la TV... parlare.

Eravamo sdraiati sul divano, avevo la schiena contro il suo petto e lui mi stringeva con un braccio. Avremmo dovuto guardare la TV, ma la sua fronte era schiacciata contro il mio collo e io gli stavo facendo il terzo grado sui primi giorni in cui ero stata ammalata.

«Che cosa ha detto Eric quando l'hai chiamato?»«Non era sconvolto, se è quello che stai chiedendo. Credo

che metà del cast sia ammalato, al momento.»Fantastico. Il nostro spettacolo avrebbe fatto davvero schifo

se fossimo stati ancora tutti esausti. Potevamo definirlo una pièce sperimentale: Fedra letargica.

Gli feci un'altra domanda. «E cos'ha detto del fatto che ci fossi tu a prenderti cura di me?»

La sua fronte si sollevò dal mio collo. «Non lo sa. Mi ha

detto di metterti a letto e che saresti stata meglio. Mi ha suggerito di usare il tuo cellulare per chiamare tua mamma.»

Quella sì che sarebbe stata una cosa raccapricciante. Conoscendo mia madre, gli avrebbe chiesto quando pensava di farmi la proposta di matrimonio non appena avesse scoperto il suo nome.

«Ma sei rimasto.»«Non potevo lasciarti qui e basta. Ho detto a Eric che

anch'io non mi sentivo molto bene e sono rimasto con te.»«Ma perché?»«Hai davvero bisogno di chiedermelo?»«Sì.» Settimane prima avevo sentito quella telefonata,

l'avevo sentito dire che non gli importava, che io ero solo un inconveniente. Qualunque fosse la ragione per cui era rimasto... avevo bisogno di sentirla.

Disse, «Be' allora, se devo farlo, lo farò come si deve.»Cercò di mettersi a sedere dietro di me, ma sul divano

stavamo stretti e nessuno dei due era ancora molto in forma. Perciò ci ritrovammo incastrati, con lui praticamente sopra di me. Io ero ancora bloccata sul fianco, schiacciata sotto di lui. Cercò di divincolarsi, ma sembrava una tartaruga rovesciata sul guscio. Alla fine, rinunciò, si sollevò quel tanto che bastava per farmi girare sulla schiena e poi si riabbassò più delicatamente sopra di me.

Sebbene avessimo dormito nello stesso letto per una settimana, questo gesto fu ancora intimo, eccitante, terrorizzante. Cercava di tenersi su il più possibile, appoggiandosi sui gomiti, ma era debole e il suo peso mi schiacciava comunque.

Mi piaceva.«Allora, che cosa stavo dicendo?» Chiese. «Oh, giusto, che

forse mi sto innamorando di te.»Battei gli occhi. Poi li battei di nuovo.Battendo-battendo-battendo nel giro di qualche secondo mi

feci strada in una moltitudine di emozioni: shock, scetticismo, eccitazione, paura, desiderio, incertezza e alla fine decisi per... qualcosa troppo grande per dargli un nome. Dentro di me c'era un universo: complesso e infinito e miracoloso e fragile. Al centro c'era il mio sole. Garrick. L'amore. Ora le due cose per me erano come sinonimi. Si stava innamorando di me? Di me?

Il tocco lieve della sua mano mi trascinò fuori da quell'universo, riportandomi a quel momento. «Potresti far impazzire un uomo, con silenzi del genere.»

«Anch'io ti amo.» dissi. Poi mi ricordai che lui non aveva detto proprio quelle due parole. Aveva detto che si stava innamorando di me. E in mezzo c'era stato un forse. Merda. «Cioè... quello che avrei dovuto dire era che anch'io sento la stessa cosa. Anch'io mi sto solo innamorando. Perché essere già innamorata di te è correre troppo. Sarebbe una follia. E troppo, giusto? È troppo. È correre troppo. Perciò... Non sono innamorata di te. No, non lo sono. Non che tu non sia adorabile, è solo che c'è una differenza tra innamorarsi ed essere innamorati. E noi siamo la prima cosa e non la seconda, non ancora. Perciò, può essere che anch'io mi stia innamorando di te. Ecco quello che volevo dire. Tutto quello che volevo dire.» Stavo crollando. I suoi occhi erano lucidi, immutabili e non rivelavano nulla, perciò continuai a blaterare il mio discorso sconnesso. Alla fine, mi diede un rapido bacio, che ebbe lo stesso effetto di un punto, come se finalmente potessi stare zitta.

Sospirai, «Devi farlo prima che io cominci a straparlare.»Rise e mi baciò di nuovo, questa volta un po' più a lungo.«Mi piace quando straparli. Meglio ancora, amo quando

straparli. È deciso. Non mi sto più innamorando. Sono sicuramente innamorato di te. Non è troppo, no?» Il suo largo sorriso era accecante, e così beffardo che gli diedi un rapido pizzicotto sul braccio.

Non ebbe neppure la decenza di sembrare sofferente. Mi

baciò e basta, schiacciandomi con tutto il suo peso, e quello fu il miglior genere di «troppo».

Avevo sempre pensato troppo, ero troppo nella mia testa, come diceva Eric. Ma da quando avevo incontrato Garrick, avevo la fastidiosa tendenza a smettere di pensare del tutto. Il risultato era che le cose che mi uscivano dalla bocca erano quasi sempre imbarazzanti, ma ogni tanto... funzionava. Ogni tanto, dire la prima cosa che mi veniva in mente andava bene. Ogni tanto, semplice e sincera era meglio.

Sperai che fosse uno di quei momenti.«Sono vergine,» gli dissi. «Ecco perché sono scappata la

notte che ci siamo conosciuti. Non avevo un gatto. Non stavo con Cade. Avevo paura e basta.»

Si interruppe nel bel mezzo di un bacio sul collo. Poi, con la stessa lentezza dello scivolamento delle placche tettoniche, sollevò la testa. Mi guardò, dentro, attraverso. Resistetti alla tentazione di nascondere il viso, di correre via urlando, di inventare una scusa ridicola con qualche altro animale. Sussurrai, «Potresti far impazzire una ragazza, con silenzi del genere.»

La sua reazione fu quasi impercettibile: corrugò appena le sopracciglia.

«Fammi capire bene... non avevi un gatto? Hai preso un gatto solo per non dovermi dire che eri vergine?»

Strinsi le labbra per evitare che tremassero. Annuii. L'espressione che aveva sul viso era una via di mezzo tra lo shock e il divertimento. Era allibito. Quella era la parola giusta.

«Hai detto che ami la mia pazzia,» gli ricordai.«Sì. Ti amo. È solo che... onestamente? Sono sollevato.»«Sei sollevato perché sono vergine? Pensavi che fossi una

ragazza facile?»«Non avrei mai potuto pensare che fossi una ragazza facile.»

Era del tutto inopportuno trovare adorabile il modo in cui diceva 'ragazza facile'? «Ma sapevo che mi stavi nascondendo

qualcosa. Ero preoccupato che ci fosse qualche altro motivo per cui non volessi stare con me. E' da mesi che sono in paranoia per questa cosa.»

«Sei in paranoia? Ho sentito quella telefonata in cui hai detto che io ero un inconveniente. Avevi intenzione di cambiare lavoro a causa mia. Ero pietrificata all'idea che se ti avessi anche solo guardato troppo a lungo, o che se ti avessi rivelato quanto mi mancavi, tu avresti inscatolato tutto e saresti partito.»

«Di cosa stai parlando? Non ho mai avuto intenzione di andarmene.»

«Ti ho sentito. Quel giorno che sono passata nel tuo ufficio. Eri al telefono con qualcuno di Philadelphia e hai detto che tra di noi era finita, che era stato solo un inconveniente...»

Sollevò una mano e me la portò alle labbra, «Bliss, ora non ti lascerò straparlare. Nonostante la nostra situazione sia tutt'altro che opportuna, tu per me non sei mai stata un inconveniente. E non me ne sarei andato anche se mi avessero licenziato. Ero davvero troppo innamorato di te.» Resistetti alla tentazione di correggere l'uso del passato. Era ancora innamorato di me. Mi amava.

Accidenti, era proprio bello. Così bello che avrei potuto farmelo tatuare da qualche parte sul corpo.

Espirò e le ciocche bionde sulla sua fronte si misero a danzare. «La telefonata, a dire il vero, riguardava qualcosa che è successo prima che lasciassi Philadelphia. È parte del perché ho lasciato Philadelphia.»

Mi ricordai di quel giorno, ormai lontano, in cui gli avevo chiesto perché avesse lasciato Philadelphia e lui aveva cambiato argomento piuttosto abilmente, baciandomi. Allora non ci avevo fatto caso. Se l'avessi fatto, forse le cose sarebbero andate in modo diverso. Si spostò e si mise di nuovo sul fianco, accanto a me. Mentre parlava, mi guardava a malapena, «Avevo un'amica, Jenna. Avevamo un rapporto

molto simile a quello fra te e Cade. Eravamo diventati amici all'università e, anche se sapevo che non era una buona idea, cercammo di diventare qualcos'altro. A lei ci tenevo, ma come amica, niente di più. Quando misi fine alla relazione... be', fu un disastro. Stavamo lavorando insieme in uno spettacolo. Lavoravamo spesso negli stessi teatri e, proprio come nelle prime prove di Fedra, riuscivamo a rovinare tutto quello che facevamo insieme. Il risultato fu che io facevo fatica a trovare lavoro e la maggior parte dei nostri amici si era messa dalla parte di Jen. Perciò quando Eric mi ha offerto una via d'uscita, sono scappato. All'inizio me ne vergognavo molto. Avevo mollato. Mi ero arreso. E nel mentre avevo perso una cara amica. La telefonata che hai sentito era a proposito di Jen. E' con lei che avevo chiuso. Ed è per quello che sono stato così duro con te e Cade. Ero terrorizzato all'idea che andassi con lui, anche se sapevo che eravate solo amici. Avevo paura che facessi lo stesso errore che avevo fatto io. Mi dispiace. Ho gestito tutto malissimo. Se te l'avessi detto quando me lo hai chiesto, avresti potuto capire...»

Ora toccava a me fermarlo con un bacio. Mi girai sul fianco e lo tirai verso di me. In quel bacio riversai ogni emozione mal riposta: l'incertezza che avevo provato nei confronti dei suoi sentimenti, la paura della mia verginità, il rimorso per tutto il tempo che avevamo sprecato. Lasciai perdere tutte quelle cose, le mandai via con un bacio.

«Ora capisco,» gli dissi. «È questo che conta.»«Ti amo,» disse. Non mi sarei mai stancata di sentirlo.«Ti amo anch'io.»Disse, «Puoi dirlo un'altra volta? Così sarò certo che non è

la malattia che mi confonde il cervello?»Lo baciai, dolcemente. Nel nostro stato attuale, dolcemente

era l'unico modo in cui potevamo farlo.«Ti amo, Garrick.»Era scioccante vedere quanto non fossi spaventata.

Non più.

Capitolo ventisei

La collana che avevo al collo era vistosa e pesante. Avevo i capelli pieni di boccoli e gioielli e il mio vestito, pur essendo ampio e semplice, era pesante e seducente. Mi stavo fissando nello specchio dei camerini, seduta, mentre la parrucchiera dava gli ultimi ritocchi ai miei capelli e io completavo l'applicazione del trucco di scena. Era il giorno della prima e, nonostante il costume pesante e i gioielli, mi sentivo come se fossi stata sul punto di andare alla deriva.

Nelle mie vene l'eccitazione sfrecciava più veloce del sangue.

Ceravamo, finalmente. La prima era stata posticipata di una settimana a causa dell'epidemia, ma anche così, pensavo che lo spettacolo fosse venuto bene, davvero bene. E non ero l'unica.

Kelsey entrò nella stanza ancheggiando, vestita da Afrodite e bella da morire. «Lo so, lo so. Non serve che resti imbambolata. So di essere meravigliosa.»

Sorrisi, felice di riaverla al mio fianco. Tra i miei amici più stretti, era stata l'unica a evitare la temuta mononucleosi, il che era incredibilmente ingiusto considerato che il gioco della bottiglia era stata una sua idea.

Si era presentata da me l'ultimo giorno delle vacanze di Pasqua per dirmi «Smettiamola di fare le ragazzine perbene e facciamo subito pace,» ma si era trovata davanti me e Garrick, raggomitolati a letto insieme. Aveva collegato piuttosto in fretta il fatto che non ero voluta andare a ballare quella sera e, con un largo sorriso, era uscita indietreggiando dalla camera dicendo, «Non fate caso a me. Non ho visto niente. Ho le labbra cucite.» All'inizio Garrick aveva perso completamente la testa, ma lei

da quel momento in poi era diventata senza ombra di dubbio una preziosa alleata.

Sorrise a Megan, la parrucchiera, che stava finendo di sistemarmi i capelli e disse, «È magnifica, Meg! Sei fantastica! Anche se penso che Alyssa avesse bisogno di te per qualcosa, forse è meglio che tu finisca in fretta.»

Megan annuì e, prima di scappare via dai camerini, mi diede l'ultimo tocco: mezza bomboletta di lacca.

Kelsey si gettò su una sedia accanto a me, «Prego. Innanzitutto, sei stupenda. Sono un po' invidiosa: Afrodite non dovrebbe avere un vestito più bello del tuo?»

Roteai gli occhi.«Va bene, d'accordo. Non importa. Seconda cosa, stasera

sarai bravissima, davvero. Del genere, datele subito il Tony Award. Terza cosa, in bocca al lupo.» Si chinò in avanti e mi leccò un lato del viso, una strana tradizione pre-spettacolo che aveva sempre avuto da quando ci eravamo conosciute. «E per finire, qui fuori c'è qualcun altro che aspetta di farti gli auguri per lo spettacolo. Avete cinque minuti prima del riscaldamento. Posso garantirvi di rimanere soli per tre, perciò è meglio che ne approfittiate, finché potete.»

Mi diede un rapido bacio volante sulla guancia, saltellò verso la porta e la richiuse dietro di sé dopo che Garrick scivolò dentro.

«Ciao,» disse.«Ehi.»Fece qualche passo in avanti e io mi alzai. Vedermi in una

decina di specchi sparsi in giro per la stanza era sconcertante, perciò mi concentrai su di lui, una cosa non particolarmente difficile. Come sempre, era stupendo.

«Sei...» Si interruppe, studiando il mio elaborato costume blu notte.

«Se dici bella, ti scuoio vivo.»Sorrise e mi attirò a sé. Stando attendo a non rovinare il

trucco, mi diede un bacio sul collo, poi scese e appoggiò le sue labbra sul mio cuore, subito sopra lo scolio dell'abito. Gli strinsi forte le spalle, sentendomi in preda alle vertigini per il suo tocco.

Disse, «Stavo per dire che sei incredibilmente sexy. Sono felice che tu non sia la mia matrigna.»

Risi, «Non sono sicura che essere una tua studentessa sia molto meglio.»

Trascinò le labbra sul mio collo e poi avvicinò il viso al mio. I suoi occhi erano quasi dello stesso blu del mio vestito, scuro e decadente.

«Un mese,» disse. Mancava solo un mese perché lui non fosse più il mio insegnante e io non fossi più una studentessa del college. Un mese perché non importasse più cosa provassimo e chi sapesse di noi. Un mese perché arrivasse il momento stabilito per fare sesso.

Quando eravamo rintanati nel mio appartamento, ammalati, ci era sembrato un piano ragionevole. Mi avrebbe dato il tempo di cui avevo bisogno per gestire l'ansia e aveva anche un senso, perché non saremmo più potuti finire nei guai. Ma più lui mi guardava in quel modo, come mi stava guardando ora, con uno sguardo pieno di amore, meno aspettare sembrava importante.

«Vorrei poterti baciare davvero,» disse fissando malinconico le mie labbra, che erano piene e rosse grazie ai vari strati del trucco di scena.

«Stasera,» gli dissi. «Dopo la festa. Da me?»Si chinò in avanti, allontanandosi all'ultimo momento dalle

labbra e baciandomi invece su quel punto sotto l'orecchio che sapeva mi faceva cedere le ginocchia.

«Sarà sempre troppo tardi. 'Ho ogni furia d'amore.'« Disse citando una delle mie battute e ricordandomi che probabilmente il tempo a nostra disposizione stava per finire.

«È meglio che tu vada, prima che rientrino tutti gli altri. Ringrazi Kelsey, mentre esci?»

«Oh, certo. E' la miglior cosa che mi sia mai capitata... quella ragazza che scopre di noi.»

Mi girai di nuovo verso lo specchio, assicurandomi che il trucco e i capelli fossero ancora perfetti. «Farò finta che tu non abbia detto che la mia migliore amica è la miglior cosa che ti sia mai capitata.»

Anche se doveva andare via, tornò di fretta accanto a me e mi abbracciò da dietro. Mi baciò un'ultima volta sul collo e disse, «Ti amo.» Lo guardai attraverso lo specchio. Stavamo bene insieme: lui in un completo, io in un elaborato abito dell'Antica Grecia. Questa cosa tra di noi aveva ancora dell'incredibile. «Ti amo anch'io,» dissi.

Quando se ne andò, rimasi a fissarmi nello specchio, pensando che avevo un aspetto diverso. Non solo per il costume, i capelli e il trucco: proprio io, sembravo... felice.

Sentii la chiamata di Alyssa per il riscaldamento, feci un respiro profondo, cercando di calmare il cuore che correva all'impazzata.

Era un gran giorno.Il giorno della prima di Fedra.La mia ultima prima al college.E se le cose fossero andate come volevo, la notte in cui avrei

perso la verginità.

Nel teatro ci sono momenti in cui tutto funziona nel migliore dei modi, proprio come dovrebbe andare. I costumi e il set sono perfetti, il pubblico è rapito e coinvolto e la recitazione è spontanea.

Era una di quelle sere.Tutti gli attori furono eccezionali.E io, in quelle due ore sul palco, vissi un'altra vita. Vissi la

vergogna, che ormai per me era un'emozione familiare. Vissi la speranza quando giunse la notizia della morte di mio marito. Sognai che forse... forse Ippolito poteva essere mio. Provai

orrore quando i miei sentimenti non furono ricambiati e quando scoprii che mio marito non era morto davvero. Vissi il dolore del rimorso quando Ippolito fu ucciso a causa delle mie accuse false. Alla fine, provai un senso di rassegnazione, di liberazione nell'ammettere i miei crimini, e quasi riuscii anche a sentire il veleno preso da Fedra che mi scorreva nel sangue, arrivando al cuore. Fu solo quando crollai a terra, dopo che le ultime battute di Teseo furono pronunciate e dopo che le luci si spensero, che ne uscii davvero.

L'applauso cominciò quando era ancora tutto buio e il respiro mi si bloccò in gola. Ricacciai indietro le lacrime, che giunsero per aver sperimentato qualcosa di così perfetto e intenso come l'esibizione appena finita. Il teatro era quello, quel genere di esperienza. Non saremmo mai stati in grado di ricrearla. Solo le persone che erano lì quella sera avrebbero saputo com'era stato quello spettacolo.

Il teatro è solo una volta nella vita... ogni volta.Fu come se le stelle si fossero allineate, perché

all'improvviso nella mia vita molte altre cose divennero ovvie. Cose che fino a quel momento mi erano sfuggite si dispiegarono in modo palese nella mia mente. Divenne tutto chiaro e io non vidi l'ora di vedere Garrick. Quando lasciammo il palco dopo gli ultimi inchini finali, dietro le quinte ci fu un tumulto. Gli amici e i famigliari riempivano i corridoi tra la porta del palco e i camerini. Eric era là, che ci sorrideva, orgoglioso dello spettacolo che aveva messo insieme. Fu il primo che abbracciai, grata del fatto che mi avesse dato questa possibilità e che non mi avesse scaricato in quella prima settimana in cui ero stata un disastro.

«Il miglior lavoro che ti abbia mai visto fare, Bliss. Dovresti esserne orgogliosa.»

Lo ero, accidenti se lo ero. Mi sembrava che la faccia mi si fosse spaccata in due da quanto sorridevo.

Dietro di lui c'era Garrick e, anche se era rischioso,

abbracciai anche lui. Non mi tenne stretta a lungo, giusto il tempo di sussurrarmi nell'orecchio, «Splendida.»

Poi mi persi nella folla.Ero scivolosa per il sudore e il vestito pesava come se avessi

avuto addosso una persona, ma mi godetti gli abbracci e i complimenti che piovevano da tutte le parti.

E quando fui di nuovo nel camerino...Ballai.Ballammo tutti. Kelsey accese il suo iPod e festeggiammo,

mentre toglievamo i costumi uno strato dopo l'altro. Il camerino era invaso di fiori, il che aiutava a mascherare l'odore del sudore. Una volta messo tutto a posto, indossati i vestiti veri, tolto il trucco di scena e riapplicato il trucco vero, andammo a festeggiare da un'altra parte. Eravamo diretti al SideBar, l'unico locale vicino al campus che facesse entrare i minori di ventun anni, un obbligo quando si riuniva tutto il cast.

Quando uscimmo, fui sorpresa di trovare Cade che aspettava fuori dal camerino. Mi venne incontro. «Ehi, posso darti un passaggio al SideBar?»

Fu una cosa inaspettata, ma sicuramente mi fece piacere.Gli dissi, «Sarebbe fantastico, ma avevo intenzione di

andare via presto. Sono piuttosto stanca.»«Oh,» annuì. «Be', allora ti scoccia se vengo con te? Poi

troverò qualcun altro che mi riaccompagni a casa.»«Assolutamente no, non c'è problema.»Andammo verso la macchina in silenzio, mentre io facevo

tintinnare le chiavi per riempire quello spazio con un po' di rumore. Misi in moto e abbassai immediatamente il volume della radio. «Allora, che cosa c'è, Cade?»

Continuava a tirare nervosamente la cintura di sicurezza. Era agitato. Non rispose alla domanda e invece mi chiese, «Come vanno le cose con Garrick?»

Accigliata, uscii dal parcheggio, guardandolo con la coda

dell'occhio. «Perché?»«Scusa. È così strano? Non volevo che fosse strano, stavo

solo cercando di essere amichevole.» Sembrava davvero a disagio. Come avevamo fatto a ridurci così?

Dissi, «Non è strano, Cade. Mi dispiace. È solo che sono... un po' cauta, tutto qui. A dire il vero, le cose vanno a meraviglia.»

Lui annuì, «Bene. È fantastico.»Dopo aver trascorso così tanto tempo con Garrick, mi ero

dimenticata di cosa volesse dire avere a che fare con i ragazzi che non dicono direttamente quello che pensano.

«Dimmi di cosa vuoi parlarmi e basta, Cade. Qualunque cosa sia, va bene.»

Fece un respiro profondo. Era ancora nervoso, ma non si agitava più. «Devo farti una domanda, ma sono quasi certo che sia indiscreta e non voglio superare nessun limite.»

«Cade, so che le cose sono state difficili. Ma ti considero ancora uno dei miei migliori amici. Voglio che tu sia di nuovo uno dei miei migliori amici. Chiedimi quello che vuoi.»

«Starete insieme anche dopo la laurea?»Istintivamente risposi, «Sì.» Anche se ancora non ne

avevamo parlato, non esplicitamente. Certo, era implicito in tutta quella storia del «mese», ma non avevamo affrontato l'argomento con serietà.

«Rimarrete qui? O andrete a Philadelphia? O da qualche altra parte?»

Entrai nel parcheggio e, con la scusa di trovare un posto libero, ne approfittai per riordinare le idee. Quella era una cosa di cui proprio non avevamo parlato, a prescindere da quanto ci avessi pensato.

«Perché me lo chiedi?»Si arruffò i capelli e io resistetti alla tentazione di dirgli,

«Sputa il rospo, una buona volta!»«Be'... Qualche mese fa, ho fatto domanda per un corso di

specializzazione, prima... be'... prima di tutto. Non pensavo che ci sarei andato sul serio, ma mi hanno preso, e ora penso che mi piacerebbe.»

«Davvero? È fantastico, Cade!»«È la Tempie, a Philadelphia.»«Ah.» Era la facoltà dove aveva studiato Garrick.«E non sapevo se voi due sareste andati a Philadelphia e se

magari avresti pensato che fosse strano ritrovarmi là. E se per te non fosse strano, pensavo che forse potremmo ancora... sai, uscire. Se a Garrick sta bene.»

Nella mia mente cominciò a formarsi un'immagine di come avrebbe potuto essere quella vita. Era un pensiero davvero fantastico.

«Non so se andremo a Philadelphia o meno. Ma se saremo lì... no, non sarà strano. E sì, usciremo insieme. E a Garrick può stare bene o no; non decide lui per me. Lo penso davvero, Cade. Voglio davvero che torniamo a essere amici.»

Lui sorrise e, finalmente, si rilassò sul sedile. «Anch'io.»

Capitolo ventisette

Cade non era l'unico a pensare al futuro. Al SideBar, tutti fecero la propria parte per festeggiare, bere e mangiare nel migliore dei modi, ma ben presto la conversazione divenne sentimentale. Condividemmo ricordi dei nostri primi spettacoli, dei corsi che avevamo seguito insieme, delle feste che erano andate terribilmente male. Rusty suggerì di passare un'altra serata a giocare al gioco della bottiglia e fu bombardato di tovagliolini e pezzi di carta e gli arrivò anche un panino intero.

Proprio come con il teatro, ogni tanto la vita riserva dei momenti perfetti in cui tutte le stelle sono allineate e ci si trova esattamente dove si vorrebbe essere, con delle persone fantastiche, e si fa esattamente quello che si vuole fare.

Finire il college sembrava impossibile.Non ero mai stata felice come nei quattro anni che avevo

trascorso lì. Guardai il resto della tavolata, dove gli altri ridevano e urlavano, e dove il volume era di un solo tipo: molto alto. Quelle persone erano la mia famiglia. Mi capivano e mi conoscevano come nessun altro.

Non riuscivo neppure a immaginare la mia vita senza di loro.

«Oh oh, lacrime in arrivo!» gridò Kelsey, «Bliss sta per mettersi a piagnucolare!»

Mi asciugai gli occhi imbarazzata, aveva ragione.«Stai zitta! È solo che vi voglio bene, d'accordo?»Prima furono le braccia di Kelsey a stringermi, poi quelle di

Rusty, poi quelle di Cade e poi persi il conto.Rusty disse, «Smettila di comportarti come se non avessimo

ancora un mese da passare insieme. Non so voi, ragazzi, ma io

ho una lista lunghissima di cose da fare al college e ho bisogno che mi aiutiate a realizzarle. Cominciando con il prendere una. sbronza coi fiocchi la sera della mia ultima prima. Perciò, mettiamoci subito all'opera.»

Mangiai e bevvi, ascoltando le storie e le conversazioni intorno a me, assorbendole tutte. La vita era bella e, se le cose fossero andate come volevo, stava per diventare ancora meglio.

Quando finimmo di mangiare, venire via fu più difficile di quanto avessi pensato. Non perché fossi nervosa per il programma che avevo in mente per la serata, a dire il vero per quello ero tranquilla, ma perché non avrei voluto lasciare i miei amici.

Era buffo sentire la mancanza di qualcuno prima ancora di essermene separata, ma era ciò che provavo in quel momento.

Un velo di malinconia mi accompagnò mentre uscivo dal pub e raggiungevo la macchina, ma non ci volle molto per farlo sparire pensando a dove stavo andando. Non mandai un messaggio a Garrick mentre ero per strada, come gli avevo detto, perché volevo avere un po' di tempo per preparare tutto.

Feci una doccia veloce e lasciai i capelli sciolti in modo che si asciugassero mossi, come piacevano a lui. Mi venne in mente la serata in discoteca e bastò il ricordo a farmi battere più forte il cuore.

In fondo al ripostiglio trovai il sacchetto di Victoria's Secret con il completino che avevo comprato appositamente per quella notte. Lo indossai, cercando di nuovo di immaginare esattamente cosa avrebbe potuto pensare o provare Garrick quando mi avesse visto.

Guardandomi allo specchio, mi sentii sexy come lui aveva sempre detto. Mi infilai di nuovo il vestito che avevo indossato dopo lo spettacolo, perché non volevo rivelare nulla prima del tempo. Sistemai la mia camera, assicurandomi che ci fossero dei preservativi nel comodino, e poi mi accomodai sul letto.

Stavo per farlo.

Stavo per farlo davvero.Stavo per fare sesso con Garrick... quella sera.Qualcosa cominciò a farsi strada nel mio petto. All'inizio

pensai fosse la tensione, poi la riconobbi. Era la stessa sensazione che avevo provato quando avevo scoperto per la prima volta che ero stata scritturata come Fedra, e poi di nuovo quando lo spettacolo era andato così bene. Andava al di là dell'eccitazione, era qualcosa di meglio.

Potevo farlo, perciò balzai sul letto e saltai. Fu così bello che lo feci di nuovo. Spalancai le braccia, perché mi sembrava giusto farlo, poi mi coprii la faccia con le mani e feci l'urlo più silenzioso di cui fui capace.

«Che cosa stai facendo?»Garrick era sulla porta della camera, con un sorrisone

divertito sul viso. Squittii e mi lasciai ricadere sul letto.«Che cosa ci fai qui?» chiesi.«Ho visto la tua macchina fuori e sono passato. Non avevo

capito che avevi già cominciato a festeggiare senza di me. Presumo che tu sia contenta per come è andato lo spettacolo stasera...»

Balzai giù dal letto con tutta la grazia possibile, ossia senza alcuna grazia. Mi sarei dovuta aspettare che accadesse una cosa del genere. Sembrava che fossi incapace di avere un momento di intimità con Garrick senza fare qualcosa di estremamente imbarazzante. Quantomeno, questa volta era successo all'inizio.

«Lo spettacolo è stato fantastico, ma sono felice di essere a casa.» Gli misi una mano sul petto e lui mi strinse tra le braccia.

«Stasera eri stupenda e ora finalmente sei tutta per me.»Non avevo ancora davvero pensato a quale sarebbe stato il

modo migliore per arrivare a quello che volevo fare. Avevo pensato all'intimo e ai preservativi, al dolore che probabilmente avrei sentito, ma non avevo preparato nessun discorso del tipo «Ehi, sono pronta a fare sesso.»

In fondo lui era un ragazzo, perciò dubitavo seriamente che gli sarebbe importato come glielo avessi detto, eppure... volevo che avvenisse nel modo giusto.

«Come sono andati i festeggiamenti?» chiese.«Bene, davvero bene. Mi mancheranno tutti dopo la laurea.

È pazzesco pensare che manca solo un mese.»«Un mese.» Sorrise e si chinò in avanti per baciarmi.Penso che volesse darmi solo un rapido bacio, ma a essere

onesti non gli lasciai molta possibilità di scelta. Gli avvinghiai le braccia intorno al collo, per tenerlo alla mia altezza, e premetti le labbra sulle sue con più decisione. Mormorò leggermente e le vibrazioni mi fecero formicolare le labbra. La sua mano mi strinse all'altezza delle costole e io volevo che andasse oltre, più in alto. Volevo che mi toccasse ovunque.

Quando cominciò a metterci troppo tempo, aprii la bocca e seguii la forma delle sue labbra con la lingua. Mi lasciò entrare e il suo sapore, come sempre, sembrava dare dipendenza. Ogni volta che la sua lingua sfiorava la mia, la mia sicurezza aumentava.

Tirai giù le braccia e gli feci scivolare una mano sotto alla camicia, premendo la punta delle dita sulla schiena. Le sue mani rimanevano in posti sicuri, sulle costole e sul collo, ma le sentii irrigidirsi e stringersi leggermente al contatto con la mia pelle.

Continuò a baciarmi, ma lentamente, in modo sicuro.Feci scivolare anche l'altra mano sotto la camicia, seguendo

la forma degli addominali, fino al petto. Sperai che cogliesse il suggerimento e muovesse le mani di conseguenza.

Non lo fece.Frustrata, lo feci spostare leggermente, finché il retro delle

sue ginocchia non arrivò a toccare il letto, e poi lo spinsi. Affondò nel letto e io, senza perdere tempo, gli salii in grembo, sedendomi su di lui come avevo fatto la prima notte in cui avevamo quasi fatto sesso.

«Bliss,» sussurrò. Era quasi un tono di avvertimento, ma non abbastanza deciso.

Probabilmente avrei dovuto dirgli quello che volevo, ma il modo in cui mi baciava, o meglio, il modo in cui non mi baciava, mi faceva sentire insicura, disperata. Mi voleva ancora. Me lo ripetei, credendoci davvero. Quasi. Avevo solo bisogno di un po' di rassicurazione.

Mi tirai indietro e aspettai che aprisse gli occhi, che mi guardasse. Quando i nostri sguardi si incontrarono, i suoi occhi erano un po' troppo chiari per i miei gusti, troppo a fuoco. Mi allungai e afferrai l'orlo del vestito. Quando cominciai a tirarlo su, emise un suono, ma io non mi fermai finché non lo ebbi alzato fin sopra la testa. All'inizio i suoi occhi rimasero fissi nei miei, ma quando mi chinai in avanti, curandomi di sfregare il petto contro il suo, abbassò lo sguardo.

Rimase senza fiato, esattamente come volevo.Il reggiseno nero senza spalline era talmente stretto che

probabilmente avevo il miglior décolleté di sempre. E le mutandine, be', si potevano a malapena definire così.

«Bliss,» Questa volta, il tono era sicuramente di avvertimento.

«Stai sopravvalutando il mio autocontrollo.»«Oh, sono quasi certa di averlo valutato perfettamente, il tuo

autocontrollo.»Mi chinai in avanti finché non fui schiacciata contro i suoi

fianchi. Aspettavo, con le labbra vicine alle sue, che fosse lui a baciarmi. Ero stufa di continuare ad attaccare, toccava a lui farsi avanti.

Come sempre, l'attesa era sufficiente a sfinirmi. Il suo sguardo guizzava dai miei occhi alla bocca e, ora che non indossavo altro che quel completino, le sue mani trovavano la mia pelle indipendentemente da dove le appoggiasse. In quel momento, una mi stava ustionando la parte bassa della schiena, l'altra era ferma tra i miei capelli. Dondolai i fianchi su di lui e

la mano tra i capelli si strinse.«Bliss.» Mi disse con la voce strozzata, come se stesse

soffrendo.Sorrisi. Era piuttosto divertente.«Garrick,» replicai con gli occhi spalancati e più innocenti

che riuscissi a fare.«Questo è tutto l'opposto di 'con calma'.»Espirai, ondeggiando in avanti in modo che il mio labbro

inferiore sfiorasse appena il suo. Mi sfregai contro di lui, il più piano possibile, e dissi, «Penso che siamo andati con calma a sufficienza.»

Il braccio dietro alla schiena mi strinse più forte, finché il mio petto non fu schiacciato contro il suo. Lui indossava ancora la camicia e io avrei voluto togliergliela.

«Che cosa significa?» Ecco lo sguardo che amavo: scuro, leggermente vacuo.

«Significa,» dissi mentre le mie mani trovavano l'orlo della sua camicia, «Che sono stufa di andare con calma.»

Tirai e le sue braccia si alzarono automaticamente, consentendomi di sfilargli la camicia dalla testa, e poi le sue mani tornarono subito nella posizione di prima. I nostri petti si toccarono, pelle contro pelle, e lui gemette. Disse, «Ho bisogno che tu mi dica molto chiaramente cosa intendi, Bliss.»

D'accordo, era il momento di dirlo e basta. Senza eufemismi tipo la bestia con due schiene o il tango orizzontale o qualcos'altro di ridicolo. Sesso. Se stavo per farlo, sicuro come l'oro che potevo dirlo. Mi chinai e lo baciai per prendere coraggio. Al diavolo che fosse lui a doversi fare avanti. Ci sarebbe voluto troppo tempo. Quando mi tirai indietro, le sue labbra cercarono di seguirmi. Lo tranquillizzai con un altro rapido bacio e dissi, «Fai l'amore con me?»

Lui si irrigidì completamente: le mani sul mio corpo, il viso stupendo e il corpo sotto di me.

«Bliss, non devi fare niente per me che tu non voglia fare.»

«Ti sembra che stasera mi sia sentita obbligata a fare qualcosa? In effetti, mi sento un po' come se fossi io a obbligare te.»

Le sue labbra crollarono sulle mie: denti, lingue e calore. Fu sufficiente a farmi fremere dal desiderio, poi finì subito.

Quando rispose, Garrick ansimava, «Non mi stai obbligando a fare niente. Voglio solo che tu sia sicura. Puoi fermarmi in ogni momento.» Le sue labbra si allargarono in un sorriso. «Non c'è bisogno che tiri fuori un altro animale.»

Quel sorriso... era così irritante e sexy allo stesso tempo.Gli appoggiai le mani sulle spalle e mi allontanai, alzandomi

in piedi. «Se pensi di continuare a cercare di farmi cambiare idea...»

Non avevo fatto in tempo neppure a fare un passo che mi afferrò, facendomi girare in modo che fosse la mia schiena ad atterrare sul materasso. Mi uscì di botto tutta l'aria dai polmoni, e vederlo che si faceva avanti mi fece sentire un piccolo fremito di eccitazione nella parte bassa della pancia.

«Non stavo cercando di farti cambiare idea su niente. Stavo cercando di comportarmi da gentiluomo.»

Hum. Aveva cercato di giocare la carta del gentiluomo anche quella prima notte. Era ancora sopra di me, ma si teneva sollevato, perciò infilai le dita nei passanti dei jeans e gli diedi uno strattone, finché non fu appoggiato su di me.

«Mi fai un favore? Puoi farlo domani, il gentiluomo?»Ero piuttosto certa che avesse detto, «Sì, signora,» ma poi

cominciò a baciarmi e non me ne importò più niente.

Capitolo ventotto

Mi baciò così intensamente e a lungo, che nella bocca sentivo più il suo sapore che il mio. Gli affondai le unghie nelle spalle, perché avevo imparato che ogni volta che lo facevo, lui premeva più forte i fianchi contro di me.

Se non avesse fatto attenzione, presto l'avrei fatto sanguinare.

Le sue mani seguirono la forma dei miei fianchi, facendomi fremere quando passò sui punti più sensibili. Alla fine, una mano si mosse lentamente verso la mia schiena, raggiungendo la chiusura del reggiseno.

Le sue labbra abbandonarono le mie per spostarsi nell'incavo del collo. Con il mento, di nuovo coperto da una barba corta, sfiorò la parte alta dei miei seni.

Mi inarcai verso di lui nello stesso momento in cui i gancetti del reggiseno si aprirono. L'aria fredda mi fece inturgidire i capezzoli e morivo dalla voglia che mi toccasse. Una volta aveva detto che potevamo possederci a vicenda e io in quel momento non desideravo altro. Garrick mi baciò più in basso, tra i seni, le sue guance che mi sfioravano la pelle tra un respiro e l'altro. Affondai di nuovo le unghie e i suoi fianchi premettero verso il basso nello stesso istante in cui lui strinse uno dei due seni con una mano, l'altro con la bocca. Qualcosa cominciò a fare scintille sotto la mia pelle e io gemetti, inarcandomi verso di lui.

Prese uno dei miei capezzoli tra le dita, mentre stringeva delicatamente l'altro tra i denti, e io sentii che il mio campo visivo si oscurava.

Dalla bocca mi sgorgò un fiume di parole, alcune familiari,

altre meno.Le ultime furono, «Ti amo.»Si sollevò da me con un largo sorriso. «Se avessi saputo che

era così semplice farti ammettere cosa provi, l'avrei fatto molto tempo fa.»

La mia mente era ben lontana dal riuscire a rispondere a parole. Le mie mani, invece, trovarono la sua cintura, la slacciai e poi gli aprii il bottone dei jeans.

Il suo sorriso sfacciato adesso era scomparso.Lentamente, aprii la cerniera e bastò quel suono a farmi

salire un gemito in gola. Gli abbassai i jeans e i boxer insieme. Quando lui si tirò indietro per sgusciare fuori del tutto dai pantaloni, colsi l'attimo per far scivolare giù le mutandine e toglierle e per prendere un preservativo nel cassetto.

Quando alzò lo sguardo, si bloccò per un secondo in stato di shock, come se solo in quel momento avesse capito quanto fossi seria. Poi si riprese e piombò giù per baciarmi.

«Sai che ti amo, vero?»«Sì.» gli dissi. Non credo che sarei riuscita a farlo se non

l'avessi saputo. Era quello di cui avevo bisogno, perché rendeva sopportabile la paura, il nervosismo.

Mi baciò di nuovo, facendo entrare le sue dita dentro di me. Ne fece scivolare dentro due, mentre la sua lingua trovava la mia. Cominciò lentamente, poi i suoi baci si fecero più veloci, insieme alle dita. Gli strinsi forte le spalle, graffiandolo leggermente, e in cambio le sue dita dentro di me si piegarono.

Gemetti, interrompendo il bacio.Le sue labbra tornarono di nuovo sul mio petto e cominciò a

darmi baci leggeri come piume ovunque arrivasse. Sentivo una pressione crescere dentro di me e gli alzai la testa perché fosse alla stessa altezza della mia. Appoggiò la fronte alla mia e le nostre labbra si toccarono, senza baciarsi, poi con il palmo premette verso il basso, contro di me, e dentro sentii un'esplosione. Il mio mondo esplose come una serie di fuochi

artificiali, scariche di luce e colore.Il mondo stava collassando e si stava sgretolando dietro i

miei occhi chiusi e la mia bocca era ancora aperta in un grido silenzioso. Sentii il suo bacio sotto l'orecchio e allungai le mani verso di lui, stringendogli le braccia intorno alla vita.

Si sdraiò sopra di me e tutto il mio corpo reagì con un fremito.

«Sei sicura?» mi chiese di nuovo.La mia mente in quel momento non era in grado di

ragionare con calma, perciò dissi, «Sì, ti prego.»Provai la stessa sensazione di un pizzicotto, non proprio

piacevole, ma tutto il resto del corpo era troppo rilassato per far caso al dolore. Mi baciò spingendosi dentro, poi si staccò con un gemito.

«Accidenti, Bliss.»Tutto il suo corpo era teso sopra di me. Vedevo le linee

pronunciate dei suoi muscoli contratti sulle spalle e sulle braccia che lo sorreggevano. Lo sentivo nel petto caldo schiacciato contro il mio. Mi distrassi dal dolore seguendo quelle linee con gli occhi e con le mani.

Dopo qualche istante, fece un respiro profondo e mi fissò. Mi diede conforto prima con le labbra e poi sussurrandomi «tesoro» e «bella» e «perfetta.»

Una volta dentro di me, rimase completamente immobile, schiacciando le labbra contro le mie. Le mie gambe sembravano di gelatina, perciò mi aggrappai a lui, stringendolo più forte che potei.

Si tirò fuori, solo un pochino, prima di spingersi dentro di nuovo.

Espirai bruscamente, mordendomi il labbro per sopportare la fitta di dolore.

Le labbra di Garrick intrappolarono quel labbro, con dolcezza, per rassicurarmi.

«Stai bene?» chiese.

Annuii, non ero certa di riuscire a parlare.«Vuoi che mi fermi?»Scossi la testa. Non era assolutamente quello che volevo.

Volevo che provasse anche lui ciò che io avevo provato prima. Volevo stringerlo mentre si disintegrava tra le mie braccia.

Lo fece di nuovo e, questa volta, più che dolore provai un fastidio.

«Continua,» sussurrai.Garrick ficcò la testa nell'incavo del mio collo, trascinando

la bocca sul punto dove si sentivano i miei battiti impazziti, mentre si spingeva di nuovo dentro e fuori. La volta successiva ero abbastanza in me da inclinare i fianchi verso l'alto per andargli incontro. Reagì con un gemito che io sentii in tutto il corpo, fino alla punta dei piedi.

Mentre cercavamo un ritmo nostro, con la bocca percorreva ogni centimetro di pelle sul mio collo e sulle spalle. Dentro di me qualcosa spingeva e tirava e, ogni volta che la nostra pelle si incontrava, sentivo la pressione aumentare un po' di più. La sua mano si strinse intorno al mio seno e io sentii il piacere serpeggiare dalla vita al punto in cui i nostri corpi si incontravano.

Gli strinsi le gambe intorno ai fianchi e lo tirai ancora di più dentro di me. Il suo ritmo s'interruppe per un istante, teneva gli occhi chiusi ed era stupendo mentre cercava di non lasciarsi andare.

Tutto il mio mondo si stava espandendo nello spazio delineato dalle sue braccia.

Dopo un istante, cominciò a muoversi di nuovo e questa volta allungò una mano tra di noi. Mi sarei preoccupata più tardi di come facesse a essere così bravo, per il momento ero troppo impegnata a godere dei benefici. Ero stretta a lui e avevo ogni muscolo saldamente teso. Affondai le unghie nella sua schiena un'ultima volta, il mio nuovo trucco preferito, e i suoi fianchi scattarono in avanti.

«Bliss,» riuscì a dire.Strinsi ancora di più le gambe intorno a lui e inclinai i

fianchi verso l'alto. Fece cadere la testa sul mio collo, sulla pelle il suo respiro scottava. Si spinse di nuovo in avanti con così tanta forza da spostare tutto il mio corpo e il piacere mi pervase così velocemente che mi si annebbiò la vista. Rimase immobile su di me, il viso sempre schiacciato sul collo, le sue braccia intorno a me. Gli sollevai il viso, guardando gli occhi serrati e la bocca ancora aperta, e tutto il suo corpo fremette sul mio.

Quando aprì gli occhi, erano ancora scuri, ma concentrati su di me. Mi diede un bacio sulla fronte, poi uno su ogni guancia e infine uno sulle labbra.

«Ti amo,» dicemmo nello stesso momento.Scivolò fuori e immediatamente mi allungai verso di lui,

sentendo la sua mancanza, la mancanza di come i nostri corpi combaciavano. Si sistemò accanto a me e mi strinse tra le braccia. Gli appoggiai la testa sul petto, ascoltando il battito del suo cuore.

Era accelerato quanto il mio. Lui intrecciò le nostre dita e mi appoggiò una guancia sulla testa.

Era perfetto.Tutto il giorno era stato pieno di momenti perfetti.Non sapevo se quello che stavo per dire l'avrebbe migliorato

o avrebbe rovinato tutto, ma avevo scoperto che non pensare troppo funzionava bene con Garrick. Quando il mio respiro si regolarizzò, dissi, «Ho guardato degli appartamenti a Philadelphia.»

«Davvero?»Annuii.«So che non ne abbiamo ancora parlato,» cominciai. «Ma io

ci ho pensato un po' e ho deciso che voglio concentrarmi sulla recitazione, non sulla direzione artistica, e dato che non posso permettermi New York, Philadelphia mi sembra un'alternativa

piuttosto valida. Cioè, non ho ancora nessun progetto definitivo. Ho solo fatto qualche ricerca. Sai, guardato qualche teatro, i prossimi provini, appartamenti e annunci di lavoro, quel genere di cose. Ma se pensi che non sia una buona idea, non devo per forza...»

«Smetti subito di straparlare.»Era stata una pessima idea. Avevo appena rovinato un

momento fantastico... come sempre. Seriamente, avrei inventato una specie di macchina che mi desse la scossa o mi prendesse a pugni in faccia ogni volta che facevo una cazzata del genere. Sarebbe stato una specie di condizionamento, forse così avrei imparato a tenere chiusa quella boccaccia. La sua mano trovò il mio mento e mi sollevò il viso verso il suo. Con il pollice mi sfiorò il labbro, mentre i suoi occhi erano fissi nei miei.

«Penso che Philadelphia ti piacerebbe un sacco,» mi disse.La luce splendeva di nuovo nel suo sorriso, e io mi rilassai

tra le sue braccia.«Non stare a preoccuparti di trovare un appartamento.

Mentre cerchi un posto dove andare, puoi stare da me.»La sua espressione era studiata con cura: i tratti rilassati, le

labbra chiuse e un sorriso appena accennato. Cercai di mandare giù il nodo che sentivo in gola e dissi, «Davvero?»

«E se non trovi un posto che ti piaccia, puoi sempre decidere di rimanere da me definitivamente.»

Mi sollevai e gli spostai i capelli dalla fronte per riuscire a vedere i suoi occhi. «Mi stai chiedendo di venire a vivere con te? Non riesco a capire. Di solito sei molto più diretto.»

Sorrise. «Stavo cercando di chiederti di venire a vivere con me senza farti scappare per lo spavento. Ha funzionato?»

Dissi, «Non sono spaventata.»Ed era vero.

Epilogo

Sei mesi dopoGarrickIn quella scena, i miei occhi erano sempre attratti da Bliss.

Era bella e raggiante e mi serviva tutta la concentrazione possibile per trattenermi dal correre da lei. La regista aveva scritto un adattamento del classico Orgoglio e pregiudizio e avevo molti dubbi sul fatto che avrebbe approvato un mio personale adattamento nel quale Elizabeth finiva con Bingley anziché con quel burbero di Mr. Darcy. Gli occhi di Bliss incontrarono i miei e, anche se io avrei dovuto essere ossequioso con la sorella del suo personaggio, l'ultima cosa a cui pensavo era la mia parte. Ci disponemmo per il ballo, nel quale ci muovevamo e volteggiavamo senza sosta. Ogni volta che Bliss e io ci incrociavamo, i nostri occhi si incontravano e le nostre mani si sfioravano, e io maledicevo il direttore del casting che non mi aveva assegnato la parte di Darcy. Sarei stato un burbero perfetto.

Subito dopo la chiamata alla ribalta, la cercai dietro le quinte e la attirai tra le mie braccia. «Garrick,» sospirò nel mio abbraccio. Le parole vibrarono contro il mio petto e la strinsi più forte.

Le sussurrai nell'orecchio, «Lascia che ti dica quanto ardentemente ti ammiro e ti amo.»

Rise. «Me lo dici tutte le sere dopo lo spettacolo.»Mi tirai indietro e la mia guancia sfiorò la sua. I boccoli

intorno al suo viso mi solleticarono la fronte. «Cosa posso dire? Sono ostinato.»

A labbra strette, mormorò, «Ostinato? Piuttosto direi privo

di immaginazione. Quantomeno potresti trovare una battuta tua.»

Passai le dita sulla sua schiena. Riuscivo a sentire le stecche del corsetto che indossava. Accidenti, mi sarebbe piaciuto vederla con quel corsetto addosso. Solo quello.

«Vuoi qualcosa di originale, tesoro?»«Sì. Domani, voglio la sua miglior battuta, Mr. Taylor. Ma

adesso, devo andare a vestirmi.»Si staccò da me e andò verso il camerino delle donne. Mi

guardò da sopra la spalla e io sentii quello sguardo entrarmi dentro. La mia mente fu attraversata da parecchie cose originali, nessuna delle quali poteva essere detta a voce alta. Il suo largo sorriso sembrava dire che sapeva esattamente cosa stessi pensando.

«Sbrigati,» dissi.«La pazienza è una virtù, Mr. Taylor.»Sapeva che chiamandomi così mi mandava fuori di testa. Mi

faceva sentire di nuovo il suo insegnante, una cosa irritante e allo stesso tempo incredibilmente sexy. Stavo per rispondere a tono, ma lei se l'era già filata nei camerini.

Mi presi un momento per respirare e schiarirmi le idee.Quella sera. Il mio progetto cominciava quella sera. Se non

l'avessi fatto, probabilmente avrei finito per parlargliene d'impulso, senza darle nessun tipo di preavviso. E con la tendenza di Bliss a farsi prendere dal panico, non era sicuramente quello il modo giusto per farlo.

Mi sfilai il costume il più in fretta possibile e lo appesi per gli addetti alla lavanderia. Il giorno dopo non lavoravamo, il che significava che era giorno di bucato. Un'ottima cosa, perché il mio costume aveva senz'altro visto tempi migliori. Alcuni colleghi ci invitarono fuori a bere, ma io rifiutai. Sperai che Bliss facesse altrettanto. Quella sera la volevo tutta per me.

Mi vestii e, a tempo di record, andai ad aspettare Bliss. Quando uscì la prima ragazza, rise e scosse la testa. Si affacciò

di nuovo nei camerini e disse, «Bliss, il tuo ragazzo è qua fuori e sta praticamente sbavando.»

Il suo ragazzo. Non mi ero ancora abituato del tutto. Anche dopo che Bliss si era laureata, era imbarazzante quando le persone ci vedevano insieme. Era bello che a Philadelphia avessimo dato inizio a qualcosa di nuovo. Non avevamo bisogno di nasconderci.

Ogni ragazza che usciva mi faceva un sorrisetto d'intesa, ma Bliss si stava prendendo il suo tempo, anche più del solito.

«Bliss!» La chiamai attraverso la porta. «Stai cercando di torturarmi?»

La porta si aprì di nuovo, un'altra ragazza con un sorrisetto compiaciuto, ma non c'era traccia di Bliss. Sospirai. La ragazza disse, «Sono quasi sicura di sì.»

Gemetti, appoggiando la faccia contro il muro. La porta si aprì ancora, ma non mi presi neppure il disturbo di guardare.

«Entra, Casanova. Ero l'ultima rimasta.» Mi voltai per scoprire Alice, l'attrice più anziana che faceva la parte di Mrs. Bennett. Sorrisi e andai verso la porta. Alice scoppiò a ridere, «Buona fortuna!»

Non feci caso alla sua risposta finché non entrai nel camerino.

Santo Cielo.Bliss indossava ancora il corsetto e, seduta su una sedia, mi

fissava attraverso lo specchio. I suoi seni sporgevano verso l'alto e in fuori e, quando mi guardò, i suoi occhi erano scuri. Sollevò una mano e cominciò a togliersi le forcine dai capelli, che iniziarono a ricaderle sulle spalle, mentre a me si seccava la bocca.

Era stupenda.«Mi sembrava di averti detto di avere pazienza.»Obbligai i miei piedi a muoversi e andai dietro di lei.

Allungai le mani e la aiutai con le forcine. Accidenti, amavo i suoi capelli. Mi avvolsi un boccolo intorno al dito e dissi,

«Sono bravo ad avere pazienza. Solo che non sono bravo a starti lontano. Di sicuro te ne sarai accorta, ormai.»

Fece un largo sorriso e piegò la testa all'indietro, tra le mie mani. «Penso che sia stato ovvio fin dall'inizio.»

Feci scivolare le mani dai suoi capelli al collo e cominciai a premere con i pollici, massaggiandola delicatamente. I suoi occhi chiusi tremavano, le labbra si separarono. Non aveva idea di quanto fosse sexy. In quel corsetto, sembrava una pin-up degli anni Cinquanta.

Mi abbassai e le premetti le labbra nell'incavo del collo. In qualche modo, nonostante fosse rimasta parecchie ore sul palco, sotto il calore delle luci, aveva ancora un profumo straordinario. Trascinai la bocca lungo il suo collo, fino a quel punto sotto l'orecchio che la faceva impazzire.

Espirò come se il mio bacio le avesse fatto uscire tutta l'aria dai polmoni. La sua mano si strinse dietro al mio collo, avvicinandomi a lei. Sorrisi appoggiato sulla sua pelle.

Disse, «Mi avete stregato.»Ridacchiai e con un dito percorsi le ossa sottili delle

clavicole. Avrei potuto seguire l'architettura del suo corpo per giorni, senza mai stancarmi.

«Anima e corpo?» dissi, citando le parole dello spettacolo.Aprii la bocca e assaporai la sua pelle. Era deliziosa quasi

quanto il gemito che seguì.«Certamente,» disse.«Chi è che non è originale, adesso?»Un colpo alla porta ruppe l'incantesimo tra di noi. Benji, il

direttore artistico, mise dentro la testa. Mi voltai in modo da impedirgli di vedere Bliss e quel corsetto indecente.

«Ragazzi, siete pronti? Sto per chiudere.»«Scusa, Ben. Usciamo tra un secondo.» Aveva

un'espressione scettica. «Giuro. Due minuti.»Non appena la porta si chiuse, Bliss si alzò in piedi. Dovetti

chiudere gli occhi per trattenermi dal toccarla. Quel corsetto...

Accidenti! Non aprii gli occhi, perché era l'unico modo per uscire in due minuti. Anche così, sentire che si cambiava fu una tortura. Ogni fruscio del tessuto e ogni cerniera che si chiudeva creava un'immagine vivida nella mia mente. Anche senza vederla, sentivo la sua presenza, soprattutto quando si mise di fronte a me.

Mi mise una mano dietro al collo, abbassandomi la testa. Tenni gli occhi chiusi, ma il calore del suo respiro mi accarezzò il viso.

«Andiamo a casa, Mr. Taylor.»Quel nome. Aprii gli occhi e sul suo viso c'era un sorrisetto.

Era un gioco da fare in due. «Oh, Miss Edwards, penso che lei debba essere tenuta d'occhio.»

Socchiuse gli occhi.«O forse si merita una piccola punizione.»Provai un piacere immenso nel vedere le sue guance tingersi

di rosso.«Non ci provare.»Anziché rispondere, mi chinai, l'afferrai per le gambe e la

tirai su, appoggiandola su una spalla. Squittì e si aggrappò alla mia schiena.

«Garrick!»«Silenzio, Miss Edwards. La sto portando a casa.»Benji aspettava impaziente vicino alla porta dietro le quinte.

Quando ci vide, si accigliò ancora di più. Disse, «Innanzitutto, ci avete messo tre minuti. Li ho contati. Seconda cosa, siete disgustosi. Mi sembra di vedere un film su Lifetime.»

Scoppiai a ridere e basta, augurandogli una buona notte. All'inizio Bliss si limitò a mettere il broncio ma, quando continuai a tenerla sulla spalla anche mentre lasciavamo l'edificio, cominciò ad agitarsi.

«Okay, Garrick, ti sei fatto capire.»«Non so di cosa stai parlando. Non c'è niente da capire. Mi

piace portarti e basta.»

«Bene, ti sei divertito abbastanza. Mettimi giù.»Mi fermai per un momento, facendo finta di pensare. Ne

approfittai per far scivolare una mano dietro alla sua coscia.Risposi, «Innanzitutto, credo che ci sia ancora molto da

divertirsi.»Ripartii e, o Bliss era paralizzata, o era davvero interessata a

vedere dove sarebbe andata a finire la mia mano, perché non si mosse più.

Quando cominciai a scendere le scale della metropolitana, iniziò a scalciare e mi diede un rapido pizzicotto di avvertimento sul fianco. «Garrick, mi rifiuto di lasciarmi portare così in metropolitana. Mettimi giù, subito.»

Riuscivo a immaginare il suo viso rosso per la rabbia e all'improvviso mi venne voglia di vederlo. Le guance arrossate, gli occhi socchiusi, le labbra contratte. Quando arrivai in fondo alle scale, la tirai giù, lasciando che il suo corpo scivolasse lungo il mio. Le tenni le mani sui fianchi per rallentare la discesa. Il movimento del suo corpo sul mio fu magnifico. Trattenne il respiro e quando il suo viso fu all'altezza del mio, i suoi occhi erano chiusi. Le labbra non erano contratte, ma stringeva il labbro inferiore tra i denti in un modo che mi fece seccare la bocca. Aveva le guance ancora arrossate, ma ebbi la sensazione che non fosse più per la rabbia.

«L'hai fatto apposta,» disse.Scoppiai a ridere e la risata uscì roca. Non era l'unica a

risentire della nostra vicinanza. «Certo che l'ho fatto apposta. A dire il vero, credo che dovremmo renderlo un rituale post-spettacolo.»

Scosse la testa e sorrise, ma non disse di no. Anche sotto la luce fioca della stazione della metropolitana, era raggiante. Non riuscivo ancora a credere di poterla toccare. Non c'era nessuno a separarci. Niente che potesse metterci nei guai. Fui tentato di dichiarare il mio amore per lei a tutti gli altri pendolari, ma non volevo rovinare quel momento. Mi piaceva

il modo tranquillo in cui mi guardava, i suoi occhi pieni di qualcosa che andava oltre il desiderio. Mi rendeva felice e speravo di vedere la stessa cosa in lei subito dopo. All'improvviso, fui eccitato all'idea di arrivare a casa e mettere in atto il mio piano.

Affondai le dita tra i suoi capelli e la attirai verso di me per un bacio. Le sue mani si strinsero sulle mie spalle, le unghie premevano nella pelle. Mentre aspettavamo il treno, mi gustai con calma il sapore della sua bocca, perdendomi.

Non appena arrivammo a casa, dissi a Bliss che avrei fatto una doccia. La domenica era giorno di doppio spettacolo, non c'erano dubbi che ne avessi bisogno. La lasciai andare in bagno per prima a lavare i denti. Aspettai che aprisse l'acqua e poi entrai subito in azione. Trovai il giochino piumato di Amleto (l'unica ragione per cui lei si avvicinava volentieri a Bliss), e lo ficcai sotto il letto. Poi andai verso l'armadio e cercai la tasca della giacca dove avevo nascosto l'anello. Aprii la scatolina per guardarlo un'altra volta.

Non era un granché. Dopotutto, ero solo un attore. Comunque Bliss non era una che portava grossi gioielli. L'anello era semplice e scintillante e speravo lo avrebbe amato tanto quanto io amavo lei. Una sensazione scoppiettante mi pervase lo stomaco, come quando mangiavo quelle stupide caramelle frizzanti che Bliss adorava.

E se le stavo facendo troppa pressione?No. No, ci avevo pensato bene. Era il modo migliore. Aprii

il primo cassetto del comodino e feci scivolare la scatolina verso il fondo. L'acqua in bagno smise di correre e io tornai verso l'armadio, sfilandomi la camicia. La gettai nel cesto della biancheria nello stesso momento in cui Bliss entrò nella stanza.

Arrivò dietro di me e mi mise una mano sulla schiena nuda. Mi diede un piccolo bacio sulla spalla e chiese, «Mi porti Amleto prima di andare a fare la doccia?»

Sorrisi e annuii.Bliss era così determinata a piacere ad Amleto che ogni sera,

prima di andare a letto, giocava almeno mezz'ora con lei. Amleto restava nei paraggi fintanto che Bliss agitava il gioco piumato per aria, ma nell'istante in cui cercava di toccarla, spariva.

Trovai Amleto in cucina, nascosta sotto il tavolo. Allungai una mano verso il basso e lei strusciò la testa contro le mie dita, facendo le fusa. La tirai su nello stesso istante in cui Bliss chiese, «Tesoro, hai visto il gioco del gatto?»

Entrai nella stanza e depositai Amleto sul letto. Lei si accovacciò e lanciò a Bliss un'occhiata diffidente.

«Dov'era l'ultima volta che l'hai visto?» le chiesi.«Mi sembrava di averlo lasciato sul comò, ma non riesco a

trovarlo.»Feci una carezza ad Amleto per tenerla calma, poi diedi a

Bliss un piccolo bacio sulla guancia.«Non lo so, piccola. Sei sicura di non averlo lasciato da

qualche altra parte?»Sospirò e cominciò a guardare in giro per la stanza. Mi

voltai per nascondere il sorriso mentre me ne andavo. Mi infilai in bagno e aprii l'acqua della doccia. Aspettai qualche secondo, poi tornai in corridoio.

«Bliss?» chiamai. «Sì?»«Guarda nei cassetti del comodino! Ci stava giocando la

notte scorsa e mi sembra di ricordare di averglielo tolto, ficcandolo lì.»

«D'accordo!»Attraverso la porta aperta, la guardai girare intorno al letto.

Camminai sul posto per qualche secondo, lasciando che i piedi facessero un po' più rumore del necessario, poi aprii e chiusi la porta come se fossi tornato in bagno. Invece mi nascosi tra la porta della camera e il muro, da dove riuscivo a vederla attraverso lo spazio tra i cardini. Aprì il primo cassetto, mentre

il mio cuore batteva come una grancassa. Non so quando avesse cominciato a battere così forte, ma ora era l'unica cosa che sentivo.

Non le stavo chiedendo di sposarmi subito. Conoscevo Bliss e sapevo che tendeva a farsi prendere dal panico. Le stavo dando un indizio enorme, estremamente ovvio, così avrebbe avuto il tempo di abituarsi prima che glielo chiedessi. Poi qualche mese dopo, quando avrei pensato che si fosse abituata all'idea, glielo avrei chiesto davvero.

Ad ogni modo, quello era il piano. Doveva essere semplice, irta sembrava... complicato. All'improvviso, pensai ai migliaia di modi in cui avrebbe potuto andare male. E se avesse dato di matto? E se fosse scappata come aveva fatto quella nostra prima notte insieme? Se fosse scappata, sarebbe tornata in Texas? O sarebbe andata da Cade che viveva a North Philadelphia? Lui sicuramente l'avrebbe lasciata rimanere finché avesse sistemato le cose, e se poi tra di loro fosse nato qualcosa?

E se mi avesse detto di no senza tanti complimenti? Adesso andava tutto bene. A dire il vero, era tutto perfetto. E se stavo rovinando tutto con questo gesto eclatante?

Ero così preso dalle mie previsioni apocalittiche che mi persi il momento in cui trovò la scatolina. Sentii che la apriva e la sentii espirare e dire, «Oh mio Dio.»

Mentre prima avevo la bocca secca, adesso non riuscivo a deglutire abbastanza in fretta. Le mani mi tremavano contro la porta. Lei era lì in piedi e mi dava le spalle. Non vedevo il suo viso. L'unica cosa che vedevo era la sua schiena tesa, dritta. Oscillò leggermente.

E se fosse svenuta? E se l'avessi spaventata così tanto da farle perdere conoscenza davvero? Cominciai a pensare a una qualche scusa per l'anello.

Lo stavo tenendo per un amico?Era un oggetto di scena per uno spettacolo?

Era... Era... merda, non mi veniva in mente niente.Potevo scusarmi e basta. Dirle che sapevo che era correre

troppo.Aspettai che facesse qualcosa, che gridasse, corresse via,

scoppiasse a piangere, perdesse i sensi. Qualsiasi cosa sarebbe stata meglio della sua immobilità. Avrei solo dovuto essere sincero con lei. Non ero bravo in questo genere di cose, ero abituato a dire quello che pensavo e basta, senza piani, senza maneggi.

Finalmente, quando pensavo che mi sarei sgretolato solo per la tensione, lei si voltò. Era di fronte al letto e vedevo solo il profilo, ma si stava mordendo il labbro. Che cosa significava? Stava pensando e basta? Pensava a un modo per uscirne?

Poi, lentamente, come il sole che all'alba fa capolino dall'orizzonte, sorrise.

Richiuse la scatoletta.Non gridò. Non corse via. Non perse i sensi.Forse pianse un po'.Ma soprattutto... ballò.Ancheggiò e saltò e sorrise come l'avevo vista fare quando

era stata affissa la lista del cast per Fedra. Si lasciò andare come aveva fatto quella sera dopo lo spettacolo, subito prima che facessimo l'amore per la prima volta.

Forse, dopotutto, non avrei dovuto aspettare qualche mese.Aveva detto che il giorno successivo, dopo lo spettacolo,

avrebbe voluto sentire la mia battuta migliore, e ora sapevo quale sarebbe stata.

Ringraziamenti

Scrivere questo libro è stato un vero tornado. Quando mi è venuta l'idea, sapevo che era diversa da tutto quello che avevo scritto prima. Mia sorella mi ha incoraggiato a scriverla e, nel giro di qualche settimana, avevo buttato giù una prima bozza. La decisione di autopubblicarlo è stata altrettanto rapida e caotica. Questo lavoro ha coinvolto un gran numero di persone, che devo ringraziare.

Innanzitutto, mia madre, che mi ha instillato l'amore per i libri. Grazie di essere un'insegnante e un'amica. Grazie di revisionare quasi tutto quello che scrivo. Grazie di aver sempre creduto che avessi il talento necessario a trasformare i miei sogni in realtà. A mio padre, so che le mie scelte ti stressano, ne abbiamo discusso spesso, ma quando ho bisogno di te, ci sei sempre! E questa volta non è stata diversa dalle altre, perciò, grazie! Alle mie sorelle, grazie di condividere il mio amore per i libri, di ascoltarmi quando blatero delle mie idee, di essere entusiaste del mio lavoro quando io sono insicura e di sopportare questa girandola impazzita. Vi voglio bene.

Grazie a Lindsay e Michelle, le mie prime lettrici. Non credo che avrei mai finito questo libro se voi due non l'aveste amato come avete fatto. Grazie ad Ana che mi fa da sostenitrice. Sai che sono pronta a ricambiarti il favore in ogni momento. E grazie a Heather, per aver risposto alla mia pletora di domande sull'autopubblicazione.

E per ultimi, ma non per questo meno importanti, vorrei ringraziare voi lettori! Grazie ai blogger che mi hanno aiutato a spargere la voce, in particolare alle ragazze della YA Sisterhood. Grazie, grazie, mille volte grazie!