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Alcuni studiosi, per mettere in evidenza il valore opzionale dei passaggi che hanno condotto la comunicazione al prestigio odierno, facendone una chiave di volta per la lettura dei fenomeni sociali, hanno parlato di «invenzione della comunicazione».

Un’invenzione

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Quest’ipotesi chiama in causa le fonti d’ispirazione e i limiti del processo, favorendo una lettura più approfondita della «istituzionalizzazione» del «sapere comunicativo», ma anche più complessa.

Un’invenzione

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Verso la comunicazione

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• Forme semplici e complesse

(diretta e mediata)

• Rituale e procedurale

• Comunitaria e individuale

• Espressiva e descrittiva

• Libera o regolata

• Broadcast e narrowcast

• Prescrizione e dialogo

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Comprensibilità e spendibilità sociale

Originalità e innovazione

Soggettivo vs. oggettivo

Espressione vs. prestazione

Dislivello di potere influenza direzionale e reciprocità

Fonte volontà obiettivo

Canale Strumenti adattabilità efficacia

Messaggio referenzialità oggettivazione

Codice Regole schemi sociali prestazione

Ricevente Ricezione domanda usi sociali

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Fonte ricchezza competenza

Canale disponibilità percorribilità scorrevolezza

Messaggio appropriato corretto

Codice povero ricco semplice complesso

Ricevente disponibile bendisposto

Da dove viene?

Educazione cultura mentalità constraints sociali, istituzioni

Di cosa è fatta?

Dove va e a che cosa serve?

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Importanza della comunicazione

• Cause

• Fattori specifici

• Avanzamento materiale

• Idee pregresse

• Trasformazioni

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Cause

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L’importanza assegnata alla comunicazione nel mondo contemporaneo ha ovviamente molte cause. Alcune di queste sono da considerare «cause remote», cioè motivazioni che affondano le loro radici nel tempo, nei tratti antropologici più resistenti, in alcuni caratteri strutturali del vivere umano che attraversano epoche e mentalità.

Motivi remoti

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Altre cause hanno una dimensione storica che le connette a circostanze più «precise», come la trasformazione del mondo occidentale nel passaggio alla modernità. Una di queste è l’abbandono di una dimensione sociale «chiusa», sorretta da strutture immobili, conoscenze stabili, appartenenze rigide, conservazione del passato, principio di autorità.

La società aperta

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Quella moderna secondo una fortunata definizione di Popper (1942), è una «società aperta» (opposta alla società «magica o tribale o collettivista»), tollerante e trasparente in politica, partecipativa e flessibile al cambiamento, che nega l’autoritarismo e favorisce la libertà di espressione.

La società aperta

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Nel corso dell’Ottocento, il carattere «inclusivo» della società borghese in espansione (basato sulla richiesta di prestazioni e sulla concessione di diritti) avalla nuove forme di organizzazione sociale e di cooperazione che alimenta una febbrile vocazione al «collegamento» e stabilisce la «necessità» dei processi comunicativi.

La società aperta

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L’idea di progresso

Questo processo si regge su un equilibrio dinamico che coniuga il mantenimento della coesione sociale con lo sviluppo industriale, la crescita economica e il «benessere», all’insegna di una mitologia del progresso che ingloba anche la comunicazione.

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Un’ulteriore causa del proliferare massiccio della comunicazione è il processo di mondializzazione innervato dall’espansione dalle reti commerciali e dall’epopea delle scoperte geografiche, che si sposa con un rapace imperialismo sorretto dalla volontà di dominio quanto dalla curiosità etnografica.

Mondializzazione Guerra italo turca, 1912

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Il fenomeno si traduce sul piano geo-politico in una sorta di «febbre comunicativa» che mescola passioni esotiche e spirito d’avventura, colonialismo e fame di notizie, nuove linee ferroviarie, rotte oceaniche e adorazione per l’elettricità.

Mondializzazione

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Globalizzazione Le grandi comunicazioni formano il reticolo della futura globalizzazione, prima in senso fisico e poi anche spirituale, scardinando differenze etnografiche e culturali, mescolando popoli, razze e religioni, favorendo il «consumo culturale» e lo scambio di informazioni, causando un deciso ripensamento antropologico e perfino un riposizionamento del concetto di humanitas.

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È indicativo a questo proposito il percorso della antropologia culturale, che dalla ottocentesca credenza nella superiorità dell’uomo bianco giunge in un secolo ad abbattere ogni ordine gerarchico fra le culture umane.

Globalizzazione

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L’emergere della società di massa «fissa» infine la presenza di importanti strutture comunicative come mediatori della mobilitazione e dell’organizzazione sociale.

Massificazione

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Le spinte macrosociali liberate dall’approdo alla «modernità» stimolano e avvalorano una forte presenza sociale della comunicazione, incidendo soprattutto sulla fisionomia generale del concetto, inteso essenzialmente come veicolo materiale di progresso e libertà.

Integrazione delle masse

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Ma è l’evoluzione concreta dei fenomeni a determinare gli indirizzi di sviluppo e declinare i tratti specifici del concetto. È il radicamento di nuove «consuetudini comunicative» (peraltro sempre più friendly e articolate) nel tessuto comunitario e nella vita quotidiana (folkways), che definisce modalità e strutture peculiari e, in modo lento e complesso ma profondo, incidere sulla natura e l’articolazione materiale dei legami sociali.

Quantità e qualità

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La base è fornita da un’organizzazione sociale che, sorretta dallo scientismo positivista, allarga impetuosamente le sue sfere di azione, assumendo forme «totalizzanti» sempre più capillari (burocrazia, censimento, ecc.) che, pur privilegiando la dimensione orizzontale a scapito della profondità, comunque accrescono notevolmente l’«attivismo» comunicativo e l’apertura di nuovi «canali».

Organizzazione sociale

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Questo sviluppo «materiale» impatta su una società già notevolmente complessa, che apre ampi spazi alla mediazione, rendendo manifesto il ruolo strategico della comunicazione nella costruzione della sfera pubblica e nella gestione dei processi di riproduzione sociale.

Sfera pubblica

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La proliferazione delle attività comunicative nell’ambito della mediazione sociale consente l’impianto di reti stabili per la diffusione delle informazioni, la gestione del consenso e la produzione industriale di beni culturali confortato dall’affermazione di nuovi ambiti professionali e da mirabolanti prospettive di sviluppo tecnologico.

Nuovi spazi di mediazione

Vignetta del 1898 su Pulitzer e Hearst

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quello che le concrete forme comunicative guadagnano in importanza e utilità viene restituito sotto forma di opportunità sempre più vaste e interessanti, dilatando ancor di più la sfera della partecipazione sociale, la diffusione delle idee, il mercato dei beni materiali.

La società aperta

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In un panorama di tale effervescenza, emergono strutture e funzioni comunicative, come la propaganda, la pubblicità e l’industria culturale, che sollecitano vigorosamente l’attenzione degli osservatori, inducendo ad attribuire valore e importanza alla comunicazione in modo ancor più peculiare e diretto.

Motivi prossimi

Mr. Ipocrita respinge un

amico invadente (1888)

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Progresso materiale

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La funzione mediatrice dei fenomeni comunicativi investe tanto i meccanismi di gestione della società quanto i rapporti sociali minimi, tanto la formazione delle conoscenze quanto l’orientamento al diletto e allo svago e viene pertanto esaltata soprattutto nelle sfere politica, commerciale e culturale.

Integrazione delle masse

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La competizione dialettica cui è soggetto il «reclutamento» delle nuove classi dirigenti, le procedure assembleari della formazione delle decisioni, la pubblicità della amministrazione dello Stato e dello stesso «stile di governo» attivano pratiche inedite, sempre più legate alla cattura e alla gestione del «consenso», che mettono in evidenza il crescente valore delle attività comunicative.

Politica

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La possibilità di comunicare in maniera ampia e continua stimola in vari modi la politica a tentare con più convinzione, e meno scrupoli, l’assalto all’«opinione» e gli intellettuali a riconoscersi come gruppo attraverso la presenza nel dibattito pubblico.

Politica

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Emerge l’importanza del circuito di diffusione delle informazioni, tracimato dall’originario incubatore economico-politico e letterario per insediarsi sempre più stabilmente in un tessuto sociale molto più largo e soggetto a numerose contaminazioni nello stile, nei contenuti e nelle funzioni.

Circolazione dell’informazione

Ralph Waldo Emerson,1882 ca.

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Si sviluppano così i grandi giornali quotidiani, la pubblicità e un’editoria popolare già quasi di massa e poi grandi mezzi di comunicazione che forniscono intrattenimento a prezzo conveniente.

Circolazione dell’informazione

1906

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Questa nuova area comunicativa impone il suo timbro «mediocre» alla circolazione della conoscenza in generale e inizia a intrecciarsi in modo sempre più ambiguo con l’ambito dell’acculturazione e della formazione, lasciando spesso capire di poterne surrogare i compiti in modo più sbrigativo e superficiale, ma anche più amichevole e accattivante.

Industria culturale

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Lo stesso tipo d’ibridazione lambisce il territorio della diffusione della cultura, contribuendo alla veloce erosione della sua essenza, del suo valore e della sua funzione sociale. La popolarizzazione dei contenuti e dei linguaggi si allarga a macchia d’olio e, mentre apre una frattura insanabile con l’elaborazione di indirizzi culturali complessi, inizia a manifestare prospettive interessanti nel controllo e nella riproduzione sociale.

Industria culturale

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Gli scrittori scoprono la carriera giornalistica e l’esistenza di un «grande pubblico» cui affidare la propria fortuna, come del resto iniziano a fare anche gli artisti. Editori e impresari fiutare nuove opportunità di guadagno, mentre gli osservatori più astuto iniziano a chiedersi se nel nuovo contesto non si possano vendere anche le idee, esattamente come le merci.

Industria culturale

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L’organizzazione stessa del sistema industriale stimola l’aumento della circolazione di informazioni nell’area produttiva e finanziaria, nonché nel circuito commerciale, stringendo un legame sempre più stretto fra merce e comunicazione.

Pubblicità

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Insieme a questo valore circolatorio e connettivo emerge anche la potenza mitopoietica del linguaggio, confinata al mondo dell’arte e della poesia, riservata all’acume intellettuale di pochi. Nella volgarizzazione espressiva non si perde la potenza e si vede che un sapiente uso della comunicazione attraverso certe parole ottiene effetti potenti, anche se si collegano ancora alla forza dei concetti (patria, nazione, solidarietà, rivoluzione, comunismo, ecc.)

Valore simbolico

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L’impatto con un pubblico ancora vergine esalta il valore persuasivo della comunicazione, nel linguaggio e poi nell’immagine.

Valore persuasivo

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Caratteri regressivi

• Strumento di penetrazione conoscitiva

• Creazione di legami profondi

• Comprensione e assimilazione

• Sincerità espressiva

• Dialogo

• Ermeneutica

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Trasformazioni

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Idee

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A partire dagli anni Ottanta dell’Ottocento, la spettacolare avanzata della comunicazioni suscita l’interesse degli studiosi intenti a scrutare, nel caos del cambiamento, i tratti distintivi del nuovo ordine sociale: economisti, sociologi, psicologi, politologi e filosofi iniziano a designare come «comunicazione» il complesso di processi psicologici e sociali che regolano le nuove reti di relazioni.

Tönnies, Spencer, Cooley

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Ma il percorso è molto lento. Almeno fino agli anni Trenta del Novecento, il concetto nelle scienze umane non andrà oltre la veste di una vaga intuizione, intessuta di considerazioni filosofiche e variamente dispersa nei campi più disparati del sapere.

Primi studi

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Sarah Snook in Predestination (2014)

La base di partenza, alla fine del secolo, è un disegno che proietta gli sviluppi materiali dei trasporti e della diffusione della stampa, spalmato su diversi ambiti, impregnato dell’energia positiva emanata dalle idee di libertà e di progresso che, in un contesto pigramente «organicista», viene unanimemente visto come una specie di collante sociale universale.

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Anzi, la consapevolezza che la comunicazione sia ormai un imprescindibile fattore di integrazione materiale e culturale delle società umane è l’unico cemento della serie di associazioni contigue che formano quest’insieme nebuloso.

Affermazione semantica

Stanley e Livingstone a Ujiji (Tanzania), 1871

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Il cocktail borghese di sviluppo tecnico, partecipazione politica e scambio di merci illimitato ha infatti ancora il valore tonico dell’aver visto nel progresso della comunicazione un’incredibile chance per i processi di acculturazione e per l’accrescimento delle facoltà umane, tanto da far credere che l’emancipazione dell’uomo promessa dagli ideali illuministi fosse finalmente a portata di mano.

Comunicazione come chance

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Le prime idee sulla comunicazione s’incanalano quindi sul versante sociologico entro una cornice di marca positivista, invaghita del nuovo, che ne incoraggia una lettura superficialmente materialista, come potenziamento «meccanico» delle facoltà umane, come utile strumento per l’acculturazione e il progresso.

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Così, anche quando si allenta la presa del Positivismo e vengono revocate le facili associazioni e le metafore celebrative che uniscono la comunicazione al progresso, all’emancipazione e alla libertà, in una società in cui gli scambi simbolici sembrano correre impazziti dietro la proliferazione di quelli materiali l’ancoraggio sociale delle attività connesse al «trasferimento di segni» resta ben solido e pare anzi destinato a rafforzarsi.

Fine positivismo

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Anche se sul piano della valutazione dei fenomeni e su quello concettuale la situazione è un po’ diversa, la visibilità dei fenomeni comunicativi (che investe in modo sottile parti sempre più significative della sfera sociale), resta ancora legata alla loro forte presenza nella parte più esteriore e meccanica della vita.

Presenza materiale

1905

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E comunque già la sola estensione di questa presenza instaura un modo nuovo di pensare la comunicazione, più dilatato e comprensivo, che pesca da molti settori in rapido sviluppo gli elementi più interessanti senza coincidere con nessuna delle tracce che sostenevano le singole aree: dagli studi sul linguaggio alle teorie economiche, dai dogmi del liberismo alle riflessioni sociologiche sulla natura dei legami comunitari.

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L’ampiezza dei nuovi fenomeni, forte dell’attenzione per gli aspetti materiali della vita, si giova dalla progressiva rimozione dei blocchi religiosi e metafisici, fonti di fissità e dogmatismo e dei nuovi spazi che essa ha contribuito ad aprire.

Ampiezza

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Il paradigma organicista di matrice bio-sociale getta la spugna di fronte alla complessità dei nascenti fenomeni comunicativi di massa e tramonta anche l’«ontologismo» (l’idea che il valore degli atti comunicativi fosse legato in ultima analisi al significato, in genere dato a priori) tradizionalmente associato al linguaggio e per metonimia a tutta la comunicazione.

Fine dell’ontologismo

Francesco Hayez, L’imperatore

Ferdinando I d’Austria (1840)

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Sarah Snook in Predestination (2014)

L’atmosfera di disagio partorita dall’approdo al nuovo secolo non spezza il glamour della comunicazione ma introduce comunque, soprattutto in Europa, toni di grigio e chiaroscuri, ispirando uno sguardo più penetrante sugli aspetti fenomenici, un aggancio più stretto fra le costruzioni teoriche e l’indagine della realtà, un ampliamento delle aree di confronto e di riflessione.

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Per chiarire meglio sia il perdurante appeal della comunicazione che le prime contrapposizioni sul suo valore, occorre soffermarsi sul carattere di «genericità» che ne contraddistingue il concetto fin dal suo primo albeggiare perché esso costituisce, come detto un forte motivo di indipendenza e di originalità, poiché da un lato sfilaccia i paradigmi ottocenteschi che esercitavano un patronato ormai inutile e dall’altro impedisce la precoce colonizzazione fa parte di qualche scienza sociale rampante e a caccia di annessioni.

Genericità 1

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Ma la stessa superficialità che ne fa un oggetto sfuggente, invisibile per la sua stessa eccessiva visibilità, è anche causa di impaccio profondo. La tentazione dei primi osservatori è infatti quella di infilare tutto nello stesso sacco, telegrafo e arte popolare, educazione delle masse e spettacolo, diffusione delle merci e opinione pubblica, sviluppando una tendenza alla genericità da cui ci si affrancherà solo col tempo e con molta fatica.

Genericità 2

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Costa infatti un grande sforzo sia costringere le relazioni sociali, soprattutto a quelle più «pregiate», a infilarsi in un concetto generico come quello di comunicazione (ancora peraltro molto vago e inconsueto), sia definire un contesto teorico adeguato per le attività più intrinsecamente comunicative che ricadono quasi tutte nell’ambito triviale dell’incipiente comunicazione di massa.

Concetto vago

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Il termine comunicazione, quasi appena estratto dall’ambito dei trasporti, è una parola ancora priva di precise specificazioni di scala (e lo rimarrà a lungo) che può essere quindi applicata all’educazione di massa come a un colloquio fra persone.

E nessuno perciò pensa ancora di collegare cose che appaiono molto distanti fra loro come il servizio offerto dalle agenzie di pubbliche relazioni ai committenti e le lettere dei contadini polacchi emigrati negli States.

Concetto vago

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In questo contesto ancora piuttosto confuso, il termine comunicazione, pur non avendo un profilo semantico preciso, riesce a preservare il suo valore «progressivo» perché oppone alla sofferenza delle forme di espressione «verticale», malferme nei loro appoggi e in preda a una de-sacralizzazione strisciante, una nuova fioritura di forme comunicative «orizzontali», appariscenti e chiassose, immediate, dirette, poco pensate e che poco fanno pensare.

Verticale e orizzontale

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I giornali popolari e illustrati si affiancano alla stampa tradizionale e la costringono col tempo a rinnovare il suo format, la pubblicità si fa invadente, il cinema è un «divertimento da iloti», gli spazi creati dall’alfabetizzazione sono subito riempiti dalla letteratura popolare. La «libertà comunicativa» insomma tende ad allargarsi, anche se pagando un salato pedaggio al gusto greve delle moltitudini.

Libertà comunicativa

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La sua genericità, virata al futile, prende quindi le sembianze di un aspetto bagatellare che, almeno per il momento, divide le opinioni dei primi che se ne interessano tra i pochi che ne tessono le lodi e i molti che le inveiscono contro. Le idee su ciò che si vede (o s’intravvede) nell’impatto dell’iceberg comunicazione sulla società moderna assumono pertanto pieghe diverse a seconda delle opzioni culturali di fondo che le guidano e delle aree geografiche in cui maturano.

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Nel momento in cui la crisi del Positivismo attenua l’entusiasmo per la circolazione delle idee, il dominio sulla materia e sullo spazio, l’ampiezza dell’organizzazione sociale, riemerge ad esempio il vago timore degli ambienti conservatori per la profondità delle fratture e lo sconvolgimento degli equilibri tradizionali.

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Con l’avanzare della società di massa, la riflessione sui punti critici dei nuovi assetti sociali si è arricchisce di una nuova attenzione per gli strumenti linguistici, di un’accanita riflessione sulla natura dei legami comunitari, dell’ansia di esprimere efficacemente la «modernità» da un lato e, dall’altro, delle riflessioni amare degli intellettuali sulle possibilità di allargare decentemente il raggio di condivisione della cultura.

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Si addensa cioè, nelle zone marginali del «concetto», una variante «pessimista», sorretta dall’ostilità del mondo della cultura e ispirata dal timore che la comunicazione dilagante possa eccitare le masse, fomentare un accesso indiscriminato alla sfera pubblica e demolire i significati e i valori condivisi, confondendo sotto una schiuma di superficialità le gerarchie tradizionali e lo stesso ordine sociale.

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Società industriale e comunicazione

Tuttavia l’evoluzione parallela del pensiero sociologico (che pone ancora l’integrazione e l’interclassismo alla base del progresso sociale) e l’ascesa della comunicazione sul piano materiale e simbolico favorisce la conservazione di un timbro speranzoso e ottimista.

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Ma la distanza fra l’attenzione euforica per i benefici sociali arrecati dalla comunicazione, prevalentemente coltivata su un piano pragmatico-empirico dagli «addetti ai lavori», e la tetragona diffidenza dell’aristocrazia intellettuale è destinata a permanere e i tentativi di alleanza euristica dovranno sempre pagare un pedaggio in termini di astrattezza che, in un settore dominato alla fine dalla pratica empirica, li condannerà a restare pochi e poco attraenti.

Versante pratico

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L’attenzione per la comunicazione si traduce però nel complesso in uno sviluppo scientifico disarmonico in cui, per una serie di circostanze, solo la parte ispirata al metodo nomotetico delle Naturwissenschaften trova la forza per emanciparsi e diventare un nuovo campo disciplinare, grazie soprattutto all’ottimismo pragmatico americano e alla fiducia nella capacità della sociologia di fornire conoscenza efficace per la gestione della società e per imbrigliare le poderose forze scatenate dalle nuove possibilità comunicative.

Divaricazione

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Tematizzare sotto l’etichetta comunicazione le attività strutturate dei grandi apparati di informazione e di intrattenimento è indubbiamente molto più facile e questa infatti è stata la strada maestra percorsa dalla ricerca, ma la visione standardizzata, quasi meccanica, del processo di scambio che è stata così coltivata ha divaricato l’ambito degli studi, quasi ancora prima che nascessero.

Divaricazione

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Da una parte gli studiosi di mass communication si sono concentrati sempre di più sui particolari e sulle metodologie, rifiutando come una complicazione generosamente ottusa ogni tentativo di allargare la visuale a linee interpretative di tipo più generale, gli studiosi più attenti ai risvolti semantici o spirituali dello scambio comunicativo hanno sempre avuto difficoltà a leggere gli scambi di significato in modo strettamente procedurale e mostrato spesso un’istintiva, radicale repulsione per i fenomeni in qualche modo connessi alla comunicazione o alla cultura di massa.

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Questa contrapposizione, che anticipa quella che eco definirà tra apocalittici e integrati, caratterizza bene le differenze fra la concezione della comunicazione in Europa, spesso sofferta, legata a molte asperità filosofiche, e la fabbrica di ricerche impiantata in America sempre pronta a sfornare dadi e bulloni (?)

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Queste considerazioni valgono nelle grandi linee per tutto il pensiero occidentale, ma è abbastanza evidente che sulle due sponde dell’Atlantico si possano instaurare percorsi non perfettamente sincronici, non esenti da dissonanze o che semplicemente assumono sfumature diverse.

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In Europa, dove è più forte il rimpianto per la società non ancora massificata che comunicava cum grano salis, è maggiore l’attenzione per gli aspetti «critici» delle questioni. Negli Stati Uniti vige ancora l’ottimismo incontaminato per la potenza sociale della comunicazione, si considera la società di massa un’opportunità più che un problema, ci si affida volentieri alle soluzioni empiriche e dietro le impostazioni troppo cervellotiche si fiuta ogni sorta d’imbroglio.

Divaricazione

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«Nell’Europa che si confronta con l’americanismo c’è un’altra utopia che inizia a entrare in crisi: il progetto pedagogico di illuminazione generale degli spiriti ereditata dall’età dei Lumi. L’ideale della democrazia per estensione progressiva dei valori della grande cultura viene sfidato dal progetto di democratizzazione di massa per mezzo dei prodotti culturali inseriti nelle dinamiche tecnologiche di mercato».

Fine illuminismo

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Ma la tendenza alla genericità svolge anche un ruolo molto favorevole nel mantenere alla comunicazione un elevato tasso di compatibilità con gli sviluppi più avanzati dell’epistemologia delle scienze umane.

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Contemporaneamente gli studi antropologici, etnografici e linguistici stanno trasformando radicalmente le nozioni di cultura e di linguaggio - che vengono depurate dal carattere elitario, dai giudizi di valore e dalle classificazioni gerarchiche – prefigurando una loro considerazione come insiemi simbolici sottoposti a regole di permutazione e scambio (sistemi autoreferenziali sebbene edificati da uomini, e svincolati dalla rete dei significati e dal riferimento all’oggetto reale) e coltivando i concetti di «sistema», di «funzione» e «struttura» che diventeranno moneta corrente negli anni Trenta del Novecento.

Insiemi simbolici

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Sul piano teorico, a cavallo fra i due secoli, diventa evidente la superficialità delle interconnessioni stabilite tra i vari aspetti della comunicazione, e si innesca una tendenza a forzare le categorie disciplinari, a lavorare tra le ambiguità semantiche del concetto, a ragionare sulla comunicazione in termini più astratti e complessi.

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In questa direzione del resto spinge l’ansia epistemologica che affiora dal «riflusso» dell’onda positivista, unita alle angoscianti scoperte dell’instabilità dei significati (non più dati a priori ma costruiti nell’interazione sociale), della sofferenza dei processi d’inculturazione, della precarietà di un controllo sociale sottoposto a formidabili tensioni centrifughe.

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Studiosi di varia estrazione, grandi artisti e scrittori vengono indotti dall’indebolirsi delle fondazioni ontologiche a cercare proprio nelle interazioni sociali (e perciò nelle dinamiche relazionali e comunicative) i presupposti della costruzione dell’ambiente culturale, della psiche individuale e della stessa struttura sociale.

De Saussure, Peirce, Cooley, Freud

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Semiologi, sociologi e psicologi immaginano, a partire dai fermenti nelle basi degli studi linguistici, una formalizzazione dei processi comunicativi che possa viaggiare indipendentemente dalla gabbia dei significati, dai canoni estetici della critica letteraria e dalla determinazione della verità degli enunciati.

De Saussure, Peirce, Cooley, Freud

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La fondazione della semiotica, con le riflessioni di Peirce e De Saussure, con l’introduzione del concetto di «segno», tende a inseguire una specie di «globalizzazione concettuale» che scardina le fondamenta etnico-storiche e territoriali delle culture e delle lingue che le esprimono, triturandole in un insieme di sintagmi permutabili tenuti insieme non dall’appartenenza e dalla storia ma da strutture arcane e universali, molto al di sopra del controllo degli individui.

Semiotica

Charles Sanders Peirce (1839 -1914)

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L’antropologia, la semiotica, la sociologia interazionista e poi lo studio della comunicazione di massa (che associa al principio della «libertà di espressione» apparati strumentali sempre più imponenti) predicano la produzione di significati mediante lo scambio dei segni, remando in qualche modo nella stessa direzione del relativismo gnoseologico e dell’anarchia culturale imperante nella società di massa.

Interazionismo e segni

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Sul versante filosofico-linguistico, l’avanzare di un’idea generalista di comunicazione, esaltante e vischiosa, riporta in auge l’ipotesi «riduzionista» di poter finalmente disciplinare la vaghezza della comunicazione naturale.

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Riemerge l’ipotesi di una lingua universale come l’esperanto (1872-1887), viene introdotto il concetto di «segno» (1916), si afferma la logica matematica (1900-1925) come prototipo di comunicazione «assoluta», formando una miscela che prefigura molti aspetti dell’attuale società dell’informazione.

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«L’interdipendenza fra pensiero e linguaggio rende chiaro che le lingue non sono tanto un mezzo per esprimere una verità che è stata già stabilita, quanto un mezzo per scoprire una verità che era in precedenza sconosciuta. La loro diversità non è una diversità di suono e di segni, ma di modi di guardare il mondo».

(Karl Kerényi, Dioniso. Archetipo della vita indistruttibile, 1976 (postumo), Adelphi, Milano 1992)

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L’ipotesi di Sapir-Whorf o «ipotesi della relatività linguistica», sostiene che lo sviluppo cognitivo di ciascun essere umano è influenzato dalla lingua che parla. Nella sua forma più estrema, questa ipotesi assume che il modo di esprimersi determini il modo di pensare.

Language: an Introduction to the Study of Speech, 1921 (Il linguaggio. Introduzione alla linguistica, Einaudi, Torino 1969)

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I temi in evidenza sono l’importanza assunta dalla comunicazione nella vita sociale e nella formazione delle idee e delle opinioni, l’effetto dei cambiamenti tecnologici sui fenomeni culturali, i meccanismi di aggregazione dei nuovi pubblici. In Europa studiosi come Tönnies e Tarde si chiedono in particolare quali siano i riflessi delle nuove forme di comunicazione di massa sull’evoluzione della struttura sociale.

Mezzi di democrazia

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Mezzi di democrazia

Negli Stati Uniti dell’Età del Progresso (1890-1929) Charles Horton Cooley, Mary Follett e poi John Dewey e George Herbert Mead, in un panorama più vivace, riflettono sui vari aspetti del fenomeno (dalla comunicazione face-to-face alle relazioni sociali, dalla comunicazione organizzativa a quella di massa), evidenziando perlopiù le sue relazioni con i concetti di democrazia e le sue prospettive come veicolo di riforma e progresso sociale.

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Nel 1909 il sociologo americano Charles Horton Cooley affida alla comunicazione un ruolo decisivo nello studio delle relazioni sociali, definendola «il meccanismo attraverso cui le relazioni umane esistono e si sviluppano, con tutti i simboli della mente umana e i modi di convogliarli nello spazio e preservarli nel tempo».

Cooley

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«La comunicazione deve essere completa e veloce per rendere possibile quello scambio rapido di impressioni da cui dipende l’unità morale (...) Se non è possibile trasformare il pensiero e il sentimento in un insieme mediante lo scambio reciproco, l’unità del gruppo non può essere che inerte e inumana».

Cooley

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«Devono inoltre esserci forme e consuetudini di organizzazione razionale attraverso le quali la natura umana possa esprimersi in maniera ordinata ed efficace (...) È mediante la comunicazione che raggiungiamo il nostro massimo sviluppo (...) Il sistema di comunicazione è quindi uno strumento, un’invenzione progressiva il cui perfezionamento reagisce sull’umanità e modifica la vita di ogni individuo e di ogni istituzione».

C.H. Cooley, L'organizzazione sociale (1909), Milano 1963.

Cooley

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Egli afferma pure che la comunicazione moderna favorisce la capacità produttiva dello spirito individuale «funzionale» (non quello isolato, che infatti soccombe alla superficialità e alla tensione nella massa); i fattori dell’efficienza della comunicazione sono: la capacità di espressione, la permanenza nel tempo di quanto trasmesso, la velocità con cui essa raggiunge spazi lontani, la diffusione come accessibilità a tutti.

Cooley

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Cooley sostiene la complementarietà di individui e società: l’identità individuale (o Sé) ha origine sociale e si forma nelle relazioni faccia-a-faccia all’interno dei gruppi primari; il Sé si basa sulla reazione a ciò che l’Io ritiene essere la sua immagine per gli altri, in quanto elementi costitutivi della realtà sociale. Se la struttura materiale del rapporto organismo biologico-ambiente naturale è il presupposto dei processi di costituzione del senso e del soggetto, la società umana è soprattutto un fenomeno di comunicazione mediante forme simboliche codificate dell’agire che garantiscono l’interazione umana.

Cooley