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11 Cappella Ovetari C erte ore induriscono come pietra, resistono e non passano. Nella chiesa dei frati Eremitani a Padova l’orologio è fermo al- l’11 marzo 1944. Qualcuno ha conservato poche fotografie ingiallite in una piccola bacheca. Basta accostarsi, negli spazi nudi e splendi- di di questo gotico risorto, e scorrere i numeri di un mattino di pri- mavera sotto le bombe: centoundici B17 (le fortezze volanti che de- collavano dalle basi inglesi e infestavano i cieli della Seconda Guer- ra), 313,5 tonnellate di ordigni da 500 libbre. Gli obiettivi erano il distretto militare e il comando tedesco sulla linea ideale che da Cam- po di Marte arriva alla stazione. Fu un danno collaterale. Uno scatto di lancetta, e la chiesa tornò polvere. Le braccia energiche dell’Italia del dopoguerra la risollevarono, i vecchi presero a raccontare gli affreschi perduti e nel 1951 la chiesa era di nuovo in piedi. Al suo interno, la Cappella Ovetari, scrigno di capolavori a destra dell’altare maggiore: il destino (per alcuni), l’umidità (per altri) avevano messo in salvo l’affresco absidale del- l’Assunta e le scene del Martirio e del Trasporto di San Cristoforo della parete Sud, opere di Mantegna che al momento del bombarda- mento erano al sicuro in un rifugio. Degli altri affreschi conservati in Cappella rimasero frammenti, 82 mila briciole colorate riposte poi in decine di casse e spedite all’Istituto centrale di restauro di Roma, dove furono sottoposte a un primo intervento sotto la direzione di Cesare Brandi. Sessant’anni dopo, il lavoro è stato ripreso dal labora- torio «Progetto Mantegna», frutto della collaborazione tra Universi- tà, Soprintendenza e Curia, finanziato dalla Fondazione Cassa di Ri- sparmio di Padova e Rovigo. «E oggi la Cappella Ovetari affrescata tra 1448 e 1457 è un capitolo finalmente restituito alla storia della formazione dell’artista — spiega Alberta De Nicolò Salmazo, docen- te di Storia dell’Arte moderna all'Università di Padova e curatrice della Mostra «Mantegna e Padova-1445/1460» —. Il restauro ha pro- dotto risultati importanti, come la restituzione della maniera pittori- ca di Nicolò Pizolo, l’opportunità di confrontare l’evolversi del lin- guaggio di Mantegna con le coeve pitture su tavola e tela prodotte a Padova; la conoscenza di Giovanni d’Alemagna e Antonio Vivarini nella veste di pittori di affreschi, la possibilità di abbinare opere do- cumentate ai nomi di Ansuino da Forlì e Bono da Ferrara». Quanto al restauro architettonico, il direttore dei lavori Claudio Rebeschini lo definisce «una rivoluzione copernicana, che ha riavvi- cinato la Cappella alla struttura originaria». Diversa, quindi, da quel- la riemersa nel dopoguerra? «Per gli affreschi non potevano bastare le dimensioni della parete che abbiamo trovato. Nel 2004 abbiamo avviato i rilievi, i mesi passa vano, il mistero si infittiva». La scena del delitto, indizi pochi, nessuna prova. «Negli scambi con la Soprinten- denza saltò fuori un foglietto con appunti di cantiere di Ferdinando Forlati, datato 1931. Era il tassello mancante. La Cappella aveva già subito aggiustamenti di quota e Forlati era tornato a modificarla, rin- novando la pavimentazione e spostando in avanti l’altare del Pizolo per rendere meglio visibile l’Assunta. Abbiamo riabbassato il lastri- cato e fatto arretrare l’altare». Nel ’51 Forlati fu sostituito in Soprin- tendenza dall’architetto Gino Pavan: «Rivedere oggi la Cappella mi emoziona, anche se non concordo sull’abbassamento, occorreva mantenere almeno un gradino». «Come insegna Alois Riegl — prose- gue Rebeschini — accostarsi a un’opera artistica significa lavorare su più livelli. Giò Pomodoro accarezzava le sculture, per sentirne l’anima». Cosa cambia quando l’opera è una chiesa? «Nulla. Ciò di cui non si può non tener conto è il messaggio degli uomini: le imma- gini filtrano verità che un concilio ha reso dogma e deciso di traman- dare. Non credo alla casa di Dio edificata. La casa di Dio, dice San- t’Agostino, è la comunità dei fedeli in cammino. Alla Cappella mi sono avvicinato, per dirla con de Saint-Exupéry, con gli occhi del cuore e ho riscoperto la genialità di un Mantegna sapiente manipo- latore degli spazi, capace di trasformare la pittura in architettura». Alla prima fase di riposizionamento dei frammenti pittorici, cura- ta dal Dipartimento di Fisica dell’Università di Padova attraverso la sofisticata tecnica dell’anastilosi informatica, ha fatto seguito la rea- lizzazione dei pannelli da applicare alle pareti, condotta dai profes- sori Gianluigi Colalucci, Carlo Giantomassi e Michela Gottardo. Per Colalucci è stato un ritorno. «Tra i compiti assegnati ai giovani stu- denti dell’Istituto centrale nel dopoguerra c’era la catalogazione dei frammenti Ovetari. Dirigeva Brandi, uno degli allievi ero io. Quel la- voro mi ha formato.Ancora oggi di fronte a decisioni importanti, mi chiedo cosa avrebbe fatto Brandi al mio posto». Il professor Gianto- massi ha partecipato ai restauri della Basilica di Assisi danneggiata dal terremoto di otto anni fa, quali differenze? «Ad Assisi i lavori so- no stati interamente seguiti dai restauratori, a Padova il riposiziona- mento informatico è stato effettuato da fisici e ingegneri. Le foto lì erano a colori, qui avevamo solo gli scatti Alinari in bianco e nero di primo Novecento. Siamo partiti in aprile, l’impresa pareva impossi- bile e invece...». Il lavoro continua. Resta la parete Nord, sulla quale in mostra saranno proiettate gigantografie degli affreschi mancanti, e anche per la Sud potrebbero spuntare nuovi frammenti. Da casse dimenticate? «Dalle case dei padovani — risponde Colalucci —. Do- po il bombardamento molti portarono via un pezzetto di chiesa». Maria Serena Natale Il restauro architettonico ha ripristinato la quota originale del pavimento (il lastricato è stato abbassato di 52 centimetri), riportato indietro l’altare con la pala del Pizolo (spostato in avanti dall’architetto Forlati nel 1931 e ricostruito nel 1945) e reso visibile la fascia di antica muratura tra Cappella Ovetari e anticappella. Non si è potuti intervenire sulla volta, che per l’architetto Rebeschini andava alzata. San Giacomo battezza Ermogene: foto Alinari, parete Nord, distrutto (il sottostante pannello del Martirio sarà esposto ai Musei Eremitani) Le fasi dei lavori Un’immagine d’archivio dei resti della chiesa degli Eremitani a Padova, distrutta dalle bombe sganciate dai B17 Alleati sabato 11 marzo 1944 Una restauratrice al lavoro sulle scene del Martirio e Trasporto di San Cristoforo, parete Sud della Cappella Ovetari (Foto Michela Gobbi) Dettaglio di un affresco di Ansuino da Forlì, parete Sud: restauro guidato da ricomposizione virtuale (Michela Gobbi) Diretto da Domenico Toniolo, Alberta De Nicolò Salmazo e Anna Maria Spiazzi, il «Progetto Mantegna» punta su un approccio interdisciplinare al restauro della Cappella. Per il riposizionamento dei frammenti degli affreschi ci si è avvalsi dell’anastilosi informatica, messa a punto da Toniolo e Fornasier (Università di Padova) nei primi anni Novanta: attraverso il sistema delle «armoniche circolari» i computer hanno individuato l’«orientamento» dei tasselli I frammenti ripuliti e riportati a un unico spessore sono collocati su stampe fotografiche a grandezza naturale fornite dal laboratorio informatico. Negli spazi tra un frammento e l’altro, colmati con intonaco bianco, sono riprodotte ad acquarello e a tratteggio verticale le parti mancanti. I frammenti sono poi trasferiti su supporti in Aerolam (nido d’ape d’alluminio tra due fogli di vetroresina) (nella foto in alto, ghirlande di frutti e foglie, dettaglio) Pavimento Prima del bombardamento L A S FIDA I MPOSSIBILE Le bombe Alleate «sbriciolarono» un capolavoro. Che un restauro tenta di ricreare Il giorno drammatico Il difficile recupero Predica di San Cristoforo Anastilosi Riposizionamento L’ antica palma di Goe- the nell’Orto Botani- co, ma anche l’aula ma- gna del Teatro Anatomico creato da Gerolamo Fabri- zio d’Acquapendente, so- no due fra i luoghi segreti cari a me, padovano doc e ai Solisti Veneti che ho fondato e guido. Il Teatro anatomico, costruito nel 1594, è il primo del genere al mondo. È a pianta ellittica con sei ordini di balconate che convergono sul tavo- lo centrale. Un unicum do- vuto alla liberalità della Serenissima che protegge- va gli studiosi dalle perse- cuzioni dell’Inquisizione cattolica. È un simbolo della lotta contro l’oscurantismo ma a chi vuol vedere l’altra Padova, consiglio anche la Specola e l’annesso Ca- stello dei Carraresi. Una puntatina all’Orto Botani- co è da fare ma anche una passeggiata lungo gli argi- ni del Bacchiglione verso Volta Barozzo consente di ritrovarsi, all’improvvi- so, in aperta campagna pur essendo ancora in cit- tà. Questi sono alcuni dei tanti posti che ritengo af- fascinanti in città, ma an- che le vie segrete, via San- t’Eufemia e la zona di via San Massimo sono da esplorare. Per ristorarsi, infine, in- dico un locale caro ai mu- sicisti, visto che si trova a due passi dal Teatro Ver- di: è l’Antico Brolo, di Mario di Natale, un per- sonaggio che vale da so- lo la visita. Dalle ceneri alla rinascita D A G OETHE AL T EATRO A NATOMICO IL MIO ITINERARIO DI CLAUDIO SCIMONE

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Cappella Ovetari

C erte ore induriscono come pietra, resistono e non passano.Nella chiesa dei frati Eremitani a Padova l’orologio è fermo al-

l’11 marzo 1944. Qualcuno ha conservato poche fotografie ingiallitein una piccola bacheca. Basta accostarsi, negli spazi nudi e splendi-di di questo gotico risorto, e scorrere i numeri di un mattino di pri-mavera sotto le bombe: centoundici B17 (le fortezze volanti che de-collavano dalle basi inglesi e infestavano i cieli della Seconda Guer-ra), 313,5 tonnellate di ordigni da 500 libbre. Gli obiettivi erano ildistretto militare e il comando tedesco sulla linea ideale che da Cam-po di Marte arriva alla stazione. Fu un danno collaterale. Uno scattodi lancetta, e la chiesa tornò polvere.

Le braccia energiche dell’Italia del dopoguerra la risollevarono, ivecchi presero a raccontare gli affreschi perduti e nel 1951 la chiesaera di nuovo in piedi. Al suo interno, la Cappella Ovetari, scrigno dicapolavori a destra dell’altare maggiore: il destino (per alcuni),l’umidità (per altri) avevano messo in salvo l’affresco absidale del-l’Assunta e le scene del Martirio e del Trasporto di San Cristoforodella parete Sud, opere di Mantegna che al momento del bombarda-mento erano al sicuro in un rifugio. Degli altri affreschi conservati inCappella rimasero frammenti, 82 mila briciole colorate riposte poiin decine di casse e spedite all’Istituto centrale di restauro di Roma,dove furono sottoposte a un primo intervento sotto la direzione diCesare Brandi. Sessant’anni dopo, il lavoro è stato ripreso dal labora-torio «Progetto Mantegna», frutto della collaborazione tra Universi-tà, Soprintendenza e Curia, finanziato dalla Fondazione Cassa di Ri-sparmio di Padova e Rovigo. «E oggi la Cappella Ovetari affrescatatra 1448 e 1457 è un capitolo finalmente restituito alla storia dellaformazione dell’artista — spiega Alberta De Nicolò Salmazo, docen-te di Storia dell’Arte moderna all'Università di Padova e curatricedella Mostra «Mantegna e Padova-1445/1460» —. Il restauro ha pro-dotto risultati importanti, come la restituzione della maniera pittori-ca di Nicolò Pizolo, l’opportunità di confrontare l’evolversi del lin-guaggio di Mantegna con le coeve pitture su tavola e tela prodotte aPadova; la conoscenza di Giovanni d’Alemagna e Antonio Vivarininella veste di pittori di affreschi, la possibilità di abbinare opere do-cumentate ai nomi di Ansuino da Forlì e Bono da Ferrara».

Quanto al restauro architettonico, il direttore dei lavori ClaudioRebeschini lo definisce «una rivoluzione copernicana, che ha riavvi-cinato la Cappella alla struttura originaria». Diversa, quindi, da quel-la riemersa nel dopoguerra? «Per gli affreschi non potevano bastarele dimensioni della parete che abbiamo trovato. Nel 2004 abbiamoavviato i rilievi, i mesi passa vano, il mistero si infittiva». La scena deldelitto, indizi pochi, nessuna prova. «Negli scambi con la Soprinten-denza saltò fuori un foglietto con appunti di cantiere di FerdinandoForlati, datato 1931. Era il tassello mancante. La Cappella aveva giàsubito aggiustamenti di quota e Forlati era tornato a modificarla, rin-novando la pavimentazione e spostando in avanti l’altare del Pizoloper rendere meglio visibile l’Assunta. Abbiamo riabbassato il lastri-cato e fatto arretrare l’altare». Nel ’51 Forlati fu sostituito in Soprin-tendenza dall’architetto Gino Pavan: «Rivedere oggi la Cappella miemoziona, anche se non concordo sull’abbassamento, occorrevamantenere almeno un gradino». «Come insegna Alois Riegl — prose-gue Rebeschini — accostarsi a un’opera artistica significa lavoraresu più livelli. Giò Pomodoro accarezzava le sculture, per sentirnel’anima». Cosa cambia quando l’opera è una chiesa? «Nulla. Ciò dicui non si può non tener conto è il messaggio degli uomini: le imma-gini filtrano verità che un concilio ha reso dogma e deciso di traman-dare. Non credo alla casa di Dio edificata. La casa di Dio, dice San-

t’Agostino, è la comunità dei fedeli in cammino. Alla Cappella misono avvicinato, per dirla con de Saint-Exupéry, con gli occhi delcuore e ho riscoperto la genialità di un Mantegna sapiente manipo-latore degli spazi, capace di trasformare la pittura in architettura».

Alla prima fase di riposizionamento dei frammenti pittorici, cura-ta dal Dipartimento di Fisica dell’Università di Padova attraverso lasofisticata tecnica dell’anastilosi informatica, ha fatto seguito la rea-lizzazione dei pannelli da applicare alle pareti, condotta dai profes-sori Gianluigi Colalucci, Carlo Giantomassi e Michela Gottardo. PerColalucci è stato un ritorno. «Tra i compiti assegnati ai giovani stu-denti dell’Istituto centrale nel dopoguerra c’era la catalogazione deiframmenti Ovetari. Dirigeva Brandi, uno degli allievi ero io. Quel la-voro mi ha formato.Ancora oggi di fronte a decisioni importanti, mi

chiedo cosa avrebbe fatto Brandi al mio posto». Il professor Gianto-massi ha partecipato ai restauri della Basilica di Assisi danneggiatadal terremoto di otto anni fa, quali differenze? «Ad Assisi i lavori so-no stati interamente seguiti dai restauratori, a Padova il riposiziona-mento informatico è stato effettuato da fisici e ingegneri. Le foto lìerano a colori, qui avevamo solo gli scatti Alinari in bianco e nero diprimo Novecento. Siamo partiti in aprile, l’impresa pareva impossi-bile e invece...». Il lavoro continua. Resta la parete Nord, sulla qualein mostra saranno proiettate gigantografie degli affreschi mancanti,e anche per la Sud potrebbero spuntare nuovi frammenti. Da cassedimenticate? «Dalle case dei padovani — risponde Colalucci —. Do-po il bombardamento molti portarono via un pezzetto di chiesa».

Maria Serena Natale

Il restauro architettonicoha ripristinato la quotaoriginale del pavimento(il lastricato è statoabbassato di 52 centimetri),riportato indietro l’altarecon la pala del Pizolo(spostato in avantidall’architetto Forlati nel1931 e ricostruito nel 1945)e reso visibile la fascia diantica muratura traCappella Ovetari eanticappella. Non si èpotuti intervenire sullavolta, che per l’architettoRebeschini andava alzata.

San Giacomo battezza Ermogene: foto Alinari, parete Nord, distrutto(il sottostante pannello del Martirio sarà esposto ai Musei Eremitani)

Le fasi dei lavori

Un’immagine d’archivio dei resti della chiesa degli Eremitani a Padova,distrutta dalle bombe sganciate dai B17 Alleati sabato 11 marzo 1944

Una restauratrice al lavoro sulle scene del Martirio e Trasporto di SanCristoforo, parete Sud della Cappella Ovetari (Foto Michela Gobbi)

Dettaglio di un affresco di Ansuino da Forlì, parete Sud: restauro guidato da ricomposizione virtuale (Michela Gobbi)

Diretto da DomenicoToniolo, Alberta De NicolòSalmazo e Anna MariaSpiazzi, il «ProgettoMantegna» punta su unapproccio interdisciplinareal restauro della Cappella.Per il riposizionamento deiframmenti degli affreschi cisi è avvalsi dell’anastilosiinformatica, messa a puntoda Toniolo e Fornasier(Università di Padova)nei primi anni Novanta:attraverso il sistema delle«armoniche circolari» icomputer hanno individuatol’«orientamento» dei tasselli

I frammenti ripulitie riportati a un unicospessore sono collocati sustampe fotografiche agrandezza naturale fornitedal laboratorio informatico.Negli spazi tra unframmento e l’altro, colmaticon intonaco bianco, sonoriprodotte ad acquarello ea tratteggio verticale leparti mancanti. I frammentisono poi trasferiti susupporti in Aerolam (nidod’ape d’alluminio tra duefogli di vetroresina)(nella foto in alto, ghirlandedi frutti e foglie, dettaglio)

Pavimento

Prima del bombardamento

LA SFIDA IMPOSSIBILELe bombe Alleate«sbriciolarono»un capolavoro.

Che un restaurotenta di ricreare

Il giorno drammatico Il difficile recupero

Predica di San Cristoforo

Anastilosi

Riposizionamento

L’ antica palma di Goe-the nell’Orto Botani-

co, ma anche l’aula ma-gna del Teatro Anatomicocreato da Gerolamo Fabri-zio d’Acquapendente, so-no due fra i luoghi segreticari a me, padovano doc eai Solisti Veneti che hofondato e guido. Il Teatroanatomico, costruito nel1594, è il primo del genereal mondo.

È a pianta ellittica consei ordini di balconateche convergono sul tavo-lo centrale. Un unicum do-

vuto alla liberalità dellaSerenissima che protegge-va gli studiosi dalle perse-cuzioni dell’Inquisizionecattolica.

È un simbolo della lottacontro l’oscurantismo maa chi vuol vedere l’altraPadova, consiglio anchela Specola e l’annesso Ca-stello dei Carraresi. Unapuntatina all’Orto Botani-co è da fare ma anche unapasseggiata lungo gli argi-ni del Bacchiglione versoVolta Barozzo consentedi ritrovarsi, all’improvvi-

so, in aperta campagnapur essendo ancora in cit-tà. Questi sono alcuni deitanti posti che ritengo af-fascinanti in città, ma an-che le vie segrete, via San-t’Eufemia e la zona di viaSan Massimo sono daesplorare.

Per ristorarsi, infine, in-dico un locale caro ai mu-sicisti, visto che si trova adue passi dal Teatro Ver-di: è l’Antico Brolo, diMario di Natale, un per-sonaggio che vale da so-lo la visita.

Dalle ceneri alla rinascita

DA GOETHEAL TEATROANATOMICO

ILMIO ITINERARIO

DI CLAUDIO SCIMONE