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PRESENTANO PROLEGOMENI DI MAIEUTICA PRATICA DI UN NUOVO APPROCCIO ALL’INTERESSE PER I TRUSTS Ovvero delle ragioni a motivo delle quali un imprenditore oculato dovrebbe considerare il trust quale strumento lecito da impiegare per dare un assetto efficace, efficiente e conveniente al proprio patrimonio nonché per fare impresa meglio e con più sicurezza Luxembourg Lugano, settembre 2013 www.responsa.ch - www.mfd-geie.org 1 RESPONSA S.A. Società elvetica di consulenza aziendale e patrimoniale con sede in Lugano www.responsa.ch PALISI & COLFERAI LAW FIRM Studio legale internazionale

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PRESENTANO

PROLEGOMENI DI MAIEUTICA PRATICA DI UN NUOVO APPROCCIO ALL’INTERESSE PER I TRUSTS

Ovvero delle ragioni a motivo delle quali un imprenditore oculato dovrebbe considerare il trust quale strumento lecito da impiegare per dare un assetto

efficace, efficiente e conveniente al proprio patrimonio nonché per fare impresa meglio e con più sicurezza

Luxembourg – Lugano, settembre 2013

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RESPONSA S.A.

Società elvetica di consulenza aziendale e patrimoniale con sede in Lugano

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<Les choses capitales qui ont été dites à l’humanité ont toujours été des choses

simples> Charles de Gaulle

Président de la République Française

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Fabio Colferai Luxembourg and Milan

Fabio Palisi Lugano and Bologna

Chief legal officer and chief operations officer at RESPONSA S.A.

Equity Partner and Lawyer at “Palisi & Colferai Law Firm”

Founder – Chairman and Chief executive officer at RESPONSA s.a. Managing Partner and Lawyer at

“Palisi & Colferai Law Firm”

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Luxembourg – Lugano, 09 2013

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La concretezza della tematica della protezione patrimoniale con alcuni esempi comprovanti l’alea di cui è

potenzialmente foriero ogni istante della vita • Presso il Meno Uno di Lugano, durante un vernissage, uno sfortunato giornalista che stava

indietreggiando per fare spazio ad alcuni visitatori, manda in frantumi una delle più importanti opere d’arte dello scultore Luciano Fabro, uno dei maggiori maestri dell’avanguardia dell’arte povera, dal valore inestimabile non solo per il pregio storico ma soprattutto per quello economico.

• Dal 2012, uno dei maggiori nosocomi meneghini (caso però certo non isolato) non rinnova il premio dell’assicurazione con ogni conseguenza per i sanitari ivi operanti visto che, come noto, le recenti aperture giurisprudenziali in ordine alla dilatazione della responsabilità da malpractice medica (in uno alle ipotesi in cui la copertura dell’assicurazione individuale non funge allo scopo) rendono oggi altamente rischiosa, sotto il profilo delle conseguenze risarcitorie, l’esercizio dell’arte medica.

• Non si cita il numero, ed il peso economico alla luce delle cifre delle responsabilità, dei casi di sindaci di società chiamati a rispondere delle conseguenze di un controllo omesso od impreciso.

• Non si cita il numero – in quanto piuttosto icasticamente noto – dei casi in cui il fideiussore di una propria società è chiamato a rispondere per debiti, spesso improvvisi, a cagione, magari, dell’aumento esponenziale ed improvviso delle passività conseguenze di fatture non pagate dai debitori.

Si potrebbe andare avanti all’infinito enucleando il novero di situazioni in cui capita repentinamente un fulmine a ciel sereno che può far perdere tutto quello che si è costruito. Ogni persona avveduta e responsabile comprende di doversi tutelare.

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Inquadramento generale del tema: la genesi dell’interesse alla protezione patrimoniale

Per l’imprenditore in bonis, è difficile comprendere che, in generale, tutti i traffici economici espongono a rischi che chiedono di mettere in sicurezza il patrimonio, oppure, specificamente ed in concreto, che tutti hanno necessità di “securizzare” quel patrimonio che decidono d’impiegare per dare un incarico per il compimento di un certo risultato (es.: si pensi alla costruzione di un immobile e ai rischi d’insolvenza dell’affidatario dell’incarico).

È molto più frequente constare una ricca casistica in cui l’imprenditore considera, a giochi oramai fatti, che di un mezzo di messa in sicurezza del patrimonio avrebbe avuta necessità in passato, prima che occorresse il crac.

Al di là della mera protezione, nondimeno, l’imprenditore ha anche necessità, con il proprio patrimonio, di fare impresa; la ricerca, dunque, non può essere solo quella di blindare la propria ricchezza dovendo coevamente chiedersi se vi siano strumenti capaci, per esempio, non solo di proteggere il patrimonio ma soprattutto d’intervenire per fare ottenere più celermente un finanziamento, per consentire che il passaggio generazionale dell’impresa avvenga senza problemi, per assicurare che il patto parasociale abbia una tutela in caso di violazione delle regole di voto stabilite tra i sindacanti, che il momento del divorzio sia gestito con la massima efficienza, … .

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Proprio questo è il punto: occorre comprendere che i trusts, diversamente da quanto si è indotti a credere in virtù

d’informazioni errate, non servono solo a proteggere il patrimonio ma anche e soprattutto a fare – meglio – impresa

L’utilità del trust è spesso compromessa dall’immediatezza di un binomio certo ricco d’immediata carica evocativa ma fortemente gravido di equivoci perniciosi: la parola trust, nella lettura comune, grazie a deviazioni del tutto indebite, pare quasi essere diventata la palingenesi elegante di una “blindatura del patrimonio” che, mediante l’elusione e l’occultamento, pretermette la soddisfazione delle ragioni dei creditori.

Nulla di tutto ciò. Come vedremo, questa opinione non solo impedisce agli operatori di valutare con lucidità l’impatto del trust sulla vita dell’impresa (con conseguenze nefaste sotto il profilo della mancata acquisizione di vantaggi invece possibili). Quel che è più grave, tuttavia, è che la sottolineatura del binomio impedisce di far emergere la vera anima del trust: non si tratta solo di uno strumento per la tutela del patrimonio ma, prima ancora, di un mezzo per potere fare meglio impresa potendo, per esempio, ottenere con maggiore facilità un finanziamento per realizzare un certo progetto.

Con questo lavoro, vorremmo appunto comprendere per quale ragione non solo è del tutto fallace il dubbio circa la legittimità del ricorso ai trusts; ancor più, vorremmo che l’imprenditore comprendesse il numero di situazioni in cui potrebbe conseguire dei concreti vantaggi operativi nel poter gestire più efficacemente il proprio business.

Ovviamente, per potere comprendere questo proposito, occorre una mutazione radicale dell’approccio all’istituto postulando la comprensione dei trusts l’integrale superamento degli eventuali pregiudizi a favore di una valutazione sistematica, necessariamente casistica, in cui l’impatto dello strumento sia misurato nella trincea onde poterne concretamente delibare i pregi rispetto alle necessità (lecite e legittime) comunemente avvertite.

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Avvertenza generale: il nostro approccio al trust; alla maggiore utilità operativa del cliente

Il trust, all’uopo ricevendo un imprimatur giurisprudenziale in modo oramai sistematico, è sempre più frequentemente impiegato nell’ordinamento come strumento giuridico che supplisce alle rigidità e all’inefficienza del diritto italiano consentendo la realizzazione di assetti d’interessi che, sia pure ineccepibili sotto il profilo della meritevolezza di tutela, sarebbero destinati a rimanere frustrati, non potendo essere realizzati o potendolo essere solo con gravi limitazioni rispetto alla volontà privata. Non è un caso se, incipiando, si è voluto fare riferimento all’avallo pretorio all’utilizzo dell’istituto; le considerazioni che spingono ad interessarsi ai trusts, infatti, potrebbero certamente essere innumerevoli ma crediamo che la più icastica, anche ad una delibazione epidermica, sia necessariamente la constatazione della rivendicazione fatta dalla giurisprudenza circa le possibilità insite nello strumento a servizio di finalità particolarmente importanti a fini anche pubblici. E non è un caso se, in Italia, l’istituto ha trovato il proprio più frequente albergo nella tutela dei soggetti diversamente vantaggiati e al servizio della famiglia di fatto.

Nella consapevolezza delle potenzialità dell’istituto, e dell’impatto che lo stesso può avere, laddove usato con oculatezza, sulla vita dell’impresa, lo scopo di questo contributo è quello avvicinare ai trusts il cliente onde chiarire almeno qualcuno dei dubbi che, generalmente, il neofita si pone quando si approccia all’argomento in commento.

Ci accostiamo alla dissertazione sull’argomento, si badi, non solo muovendo dalla premessa della potenzialità dell’istituto ma, parimenti, dalla cognizione del grado di confusione imperante in ordine alle possibilità d’impiego dei trusts in Italia (anche a motivo d’informazioni non sempre rassicuranti che certuni diffondono). In tutto questo, ovviamente, vorremmo il più possibile guardare alla trincea onde il lettore possa tradurre quanto leggerà in modo proficuo rispetto alla considerazione della casistica concreta. Giacché ogni fattispecie, in quanto irripetibile, ha la sua soluzione, evidentemente l’illustrazione degli aspetti positivi e negativi dei trust non può essere la premessa maggiore di alcun sillogismo particolare. Ne consegue che l’unico scopo che ci prefiggiamo è semplicemente quello di permettere a ciascun interessato di potere adottare decisioni coscientemente informate avendo qualche nozione teorica in più che, speriamo, che possa condurre a prendere in considerazione anche i trusts nella ricerca di soluzioni efficienti ed efficaci tra tutti gli strumenti possibilmente impiegabili. Va da sé che la mole dell’intervento, necessariamente laconica e limitata all’essenziale, consente un approfondimento solamente superficiale postulando scelte di taglio operativo incompatibili con una dissertazione dogmatica non pretesa e non voluta.

L’auspicio è che, fugati alcuni equivoci entusiastici ed inopportuni, il trust possa emergere per quello che ha: una grandissima possibilità al servizio dell’imprenditore che, proprio per il grado di utilità che può offrire, va maneggiato con attenzione nella consapevolezza che si tratta di un istituto certamente duttile e dalle enormi potenzialità ma parimenti di grande rigore e serietà.

Speriamo che, dalla lettura, ci si faccia convinti che sarebbe un peccato rifuggire per principio una grande possibilità.

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Conseguenze dell’instaurazione di un approccio operativo di questo tipo

L’approccio instaurato, come è ovvio, è foriero di conseguenze operative immediate andando ad incidere, professionalmente, nell’impostazione del dialogo tra consulente e cliente.

Segnatamente:

A. Al trust occorre avvicinarsi senza preconcetti, ovvero, più precisamente, con la necessaria coscienza delle possibilità offerte dagli strumenti giuridici tradizionali (senza dunque pletoriche doglianze e senza che si giustifichino attese messianiche che in diritto non hanno mai alcun diritto di cittadinanza) ma al contempo con l’umiltà di credere che si possa ancora apprendere (rigettando le varie tesi di coloro che pensano che il nostro sia un ordinamento perfetto come se ne potessero esistere).

B. Il trust va necessariamente discusso all’interno del contesto in cui il singolo si muove; non ha senso, ovvero, anzi, sarebbe pericoloso, un trust che non cerchi di preconizzare gli epiloghi complessivi dell’intero contesto in cui il singolo si muove.

C. Giacché sarebbe assurdo pensare che l’ordinamento possa tollerare il contrario, l’approccio di chi si avvicina al trust deve sempre essere casistico, considerando l’utilità nella specifica fattispecie, giammai potendo pretendere di conseguire vantaggi illeciti che l’ordinamento non può tollerare.

D. La costituzione di un trust può essere gravida di svariati vantaggi; nondimeno nessuno di essi (si prenda il possibile risparmio fiscale ipoteticamente anche significativo) può essere concepito come una monade isolata. Ne consegue che l’approccio deve sempre essere globale, mirare alla considerazione e alla tutela della globalità della singola situazione.

E. La costituzione di un trust merita di essere studiata con tempo ragionevole dovendo postulare l’assunzione di decisioni che non possono essere immediate.

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Limitazioni del nostro intervento: ci occuperemo solo di valutazioni operative

Questa non vuole essere, si badi, una dissertazione sui trusts ma, piuttosto, la proposizione di alcune risposte operative, che traggono stura dalla trincea, ad alcune osservazioni ricorrenti che, nella pratica professionale, spesso si vedono angustiare IMMOTIVATAMENTE il cliente.

In particolare, con questo intervento vorremmo da un lato “calmierare” entusiasmi eccessivi, che non hanno alcuna ragione giuridica d’essere, DIMOSTRANDO PERCHÉ I TRUSTS NON OFFRANO NULLA DI QUELLO CHE TRADIZIONALMENTE IL CLIENTE RICERCA QUANDO SI AVVICINA ALL’ISTITUTO (intendiamo quando l’obiettivo del preteso disponente è quello di ottenere vantaggi non leciti) ma, al contempo, vorremmo fugare delle preoccupazioni che spesso si riscontrano ma che davvero non hanno motivo di esistere essendo frutto dell’ignoranza indotta e di disamine superficiali spesso suggerite in malafede.

Precisiamo altresì che l’obiettivo operativo di questa trattazione concerna, come è necessario che sia visto l’obiettivo, il solo trust costituito in paesi che non conoscano una legge sul trust (come nel caso italiano); nondimeno, pure essendo questo il compasso del nostro interesse, qualche considerazione di teoria generale andrà pure fatta per contestualizzare il trust in generale.

Il nostro obiettivo, comunque, rimane quello di capire perché l’operatore italiano dovrebbe porsi l’interrogativo se possa o meno essergli conveniente studiare se dare vita ad un trust per beni che sono destinati a essere amministrati e situati in un Paese che non abbia una legge regolatrice sul trust. In dottrina, a questo proposito, si parla di un cd. "trust interno”. Ricorre tale figura, secondo la dottrina: “in presenza di elementi soggettivi e obiettivi legati a un ordinamento che non qualifica lo specifico rapporto come "trust", nel senso accolto dalla Convenzione de L'Aja del 1 luglio 1985, mentre esso è regolato da una legge straniera che gli attribuisce quella qualificazione” (Lupoi).

Ovviamente la domanda cui vorremmo rispondere è: perché (non?) costituire un trust in Italia?

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Cos’è il trust? Un angelo custode.

“Le trust est l’ange-guardien de l’anglo-saxon. Impassible, il le suit depuis son berceau jusqu’à sa tombe”,

“Il trust è l’angelo custode dell’anglosassone. Impassibile, lo segue dalla culla alla tomba”,

Pierre Lepaulle, Avocat à la Cour de Paris

La brillante definizione di Maître Lepaulle non ha alcunché di retorico: il trust, effettivamente, può essere utilmente concepito, per comprenderne l’importanza ed il ruolo nell’economia anglosassone, come un angelo custode, dalle funzioni eterogenee e proteiformi, che accompagna ogni manifestazione della vita con funzione protettiva d’interessi meritevoli di tutela.

Questa è la funzione che può svolgere, se ben usato, anche in Italia.

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Perché, con l’avallo della giurisprudenza, si è imposto anche in Italia il ricorso al trust per regolare fattispecie prive di collegamenti con

giurisdizioni che hanno una legge regolatrice?

Perché la vita è incerta e si vuole affrontarla prevenendo i problemi anziché risolvendoli;

Perché non si può o non si vuole occuparsi di un certo incarico e si vuole trovare uno strumento che assicuri una gestione efficiente tutelata non solo da meccanismi di responsabilità ben chiara e coercibile ma, soprattutto, perché, quale che sia il grado di fiducia per il soggetto incaricato, si vuole avere un ampio grado di tutela;

Per realizzare una funzione "protettiva" del proprio patrimonio attraverso la segregazione dei beni affidati al Trustee;

Perché è uno strumento che, in certune condizioni, spesso consente di raggiungere una pianificazione fiscale con risultati che altrimenti sarebbero impensabili;

Per assicurare che i beni siano destinati effettivamente e soltanto allo scopo in vista del quale il trust è stato istituito con buona pace delle ingerenze illecite del soggetto nominato;

Perché si tratta di uno strumento duttile e agile che si adatta alle esigenze specifiche senza eccessivi formalismi;

Perché, nell'ambito dell'autonomia privata, pure non potendo produrre effetti contrari a quelli voluti da norme imperative italiane consentono di privilegiare un interesse rispetto ad un altro, riconoscendogli una più forte tutela;

Perché, da un punto di vista di statistica quotidiana, nella prassi degli affari i trust selezionano interessi meritevoli di tutela e li proteggono meglio di quanto facciano o possano fare gli strumenti giuridici previsti dal nostro ordinamento;

Perché l’imprenditore vorrebbe esercitare la professione con quella sicurezza che, senza trust, non ha sapendo che, in caso di crac, almeno la famiglia sarà salva.

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Nel mosaico dell’apparenza, UN IMPRESSIONANTE COACERVO DI LUOGHI COMUNI, invero PRIVI DI QUALSIASI

FONDAMENTO, prima facie RENDE quello sul trust un dibattito areofilo www.responsa.ch - www.mfd-geie.org 12

APPARENTEMENTE MANCA UNA LEGGE ITALIANA APPLICABILE ALLA DISCIPLINA DEI TRUSTS : E ALLORA NON SI Può COSTITUIRE UN TRUST

ITALIANO PER BENI IN ITALIA?

NON È UNO STRUMENTO TIPICO DEL DIRITTO

INGLESE? Che c’entra con noi?

IL TRUST ATTIRA L’ATTENZIONE DELL’AGENZIA

DELLE ENTRATE

TRUST VUOL DIRE FIDUCIA: MA COME FACCIO A FIDARMI?

COME FACCIO A SCEGLIERE IL TRUSTEE?

Il trust costa parecchio.

IL TRUST È MOTIVO PER INCORRERE

IN RESPONSABIL

ITÀ PENALE IL TRUST SERVE PER FRODARE I

CREDITORI

IL TRUST EVITA IL FALLIMENTO?

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Quelli appena presi in considerazione sono solo alcuni degli interrogativi ricorrenti che, di solito, l’interessato al trust si pone quando pensa all’istituto. Si comprende che vi sono dei vantaggi (anche per la giusta importanza dei benefici concessi, in alcuni casi molto noti grazie all’esaltazione della stampa, come per esempio nel famoso trust costituito dal Presidente Mario Draghi appena divenuto Governatore della Banca d’Italia) ma si teme che ci siano delle incognite ancor maggiori. È con amarezza che si è costretti a registrare la frequente casistica in cui, pure a fronte della piena comprensione dei vantaggi, più forte è la tentazione di pensare che vi sia qualcosa d’illecito o, anche senza arrivare a ipotesi patologiche, che vi sia qualcosa che non torna, che spinga a lasciar perdere perché non si comprende cosa significhi, in fondo, istituire un trust.

Proprio in considerazione della frequenza con cui spesso l’interesse per i trusts è abortito dall’incapacità di venirne a capo (soventemente essendo l’interesse frustrato dal fatto che, non comprendendosi il funzionamento dell’istituto, se ne è allarmati tanto da rifiutarlo per paura dell’incomprensibile), nulla può avvicinare alla comprensione del fenomeno più efficacemente di quanto non possano fare alcuni esempi concreti, scelti per la frequenza statistica e la semplicità evocativa, in cui ciascuno può intuire quale sia, nella trincea degli affari, la versatilità dell’istituto.

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Alcuni usi particolarmente frequenti del trust in Italia

• Alla tutela dei soggetti svantaggiati soprattutto per la gestione del loro patrimonio quando saranno orfani;

• Come alternativa al fondo patrimoniale o all’impiego di una società fiduciaria; • Come forma di patto di sindacato (cd. voting trust); • Come alternativa alla fondazione o per istituire un TRUST ONLUS; • Al posto della caparra (funzione di garanzia); • Nella gestione della fase di separazione o divorzio; • Come alternativa alla donazione; • Per la gestione del passaggio generazionale dell’impresa alle nuove generazioni o a soggetto capace

di assicurare la continuità aziendale; • Nella multiproprietà; • Nella lottizzazione immobiliare; • Nella fase del fallimento; • Per un piano di stock option; • Per il project finance; • Come mutuo di scopo; • Trust a scopo di garanzia; • A garanzia di un prestito obbligazionario; • Nelle procedure concorsuali; • Come alternativa all’ipoteca. • Trust nel caso di titolari di cariche pubbliche (politiche) come forma per evitare il conflitto

d’interessi.

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Un esempio di trust per il passaggio generazionale dell’impresa

Caio, titolare di un pastificio, ha quattro figli: tre si disinteressano completamente dell’impresa di famiglia (ma non ai proventi da cui sono anzi particolarmente attratti), il primogenito ha invece manifestato da tempo di potere essere considerato il continuatore dell’azienda avendo le doti e le caratteristiche per subentrare al padre.

Considerando che il passaggio generazionale potrebbe avere conseguenze catastrofiche se ciascun figlio ricevesse una quota uguale, considerando però le conseguenze perniciose dei conflitti che si verrebbero a creare qualora dovesse esserci l’estromissione degli altri figli inetti, Caio istituisce un trust allo scopo di consentire che il passaggio generazionale avvenga nella quadratura del cerchio dei confliggenti interessi.

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Il figlio capace di ricevere il testimone è nominato

trustee in perfetta segregazione patrimoniale

con garanzia di tutti.

Caio si autonomina guardiano fino alla sua morte per

verificare che il subentro del figlio non arrechi danni ai

fratelli incapaci.

Caio si autonomina anche beneficiario fino alla sua morte

di una quota dei dividendi.

Tutti i figli ricevono una posizione beneficiaria con la conseguenza che si consegue la perfetta quadratura del cerchio tra la conservazione del valore aziendale (visto che sarà gestita dall’unico figlio capace di amministrarla) senza nondimeno che nessuno abbia interesse a contestare la situazione o a compromettere in qualche modo il lavoro dell’unico fratello capace.

Soprattutto, si ottiene il vantaggio della completa segregazione patrimoniale e conseguente perfetta tutela del patrimonio familiare.

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Un esempio di ricorso al trust nel diritto di famiglia

Mevia e Filano, ricchi imprenditori con un importante patrimonio mobiliare ed immobiliare, intendono tutelare la loro famiglia, e segnatamente il nipote Caietto, ascendente di primo grado della loro unica figlia Sempronia e di Tizio, notorio pregiudicato, prodigo crapulone e tossicodipendente, con il quale pare che la figlia Sempronia voglia contrarre matrimonio prossimamente (tenendo presente che, nell'ipotesi in cui il matrimonio dovesse essere celebrato, Tizio erediterebbe i beni dei suoceri nel caso di premorienza della moglie in quanto legittimario e in quanto non sussisterebbe alcuno strumento idoneo ad estrometterlo dall'asse ereditario).

Mevia e Filano istituiscono un trust; trustee è una trust company di emanazione bancaria.

Il risultato è lo stesso dell’apertura di un conto corrente solo che, al posto di conferire il denaro, conferiscono nel conto beni immobili, mobili registrati, e mobili.

L’accesso a questo conto avverrà secondo le esclusive necessità di Sempronia e di Caietto sotto il governo della trust company che, all’uopo, agirà secondo il programma stabilito dai nonni – disponenti senza pericoli per le eventuali intromissioni di Tizio.

I nonni possono passare a miglior vita nella certezza che, qualunque cosa succederà, i comportamenti di Tizio non inficeranno i beni e non li distrarranno dalle necessità di Caietto.

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Il Sig. Tizio, padre di due figli, Caio, normodotato, e Mevia, diversamente abile, preoccupato di non potersi più occupare della figlia, sapendo che questa è bisognosa di assistenza continua, crea un trust al fine di potere impedire che, dopo la sua morte, la stessa possa essere compromessa da atti di malagestio. In particolare Tizio vuole evitare che Caio possa confondere il patrimonio di Mevia con il proprio con la conseguenza che quanto destinato al mantenimento di Mevia possa essere, per esempio, pignorato dai creditori di Caio.

TRUST TESTAMENTARIO ISTITUTO DA TIZIO:

A) CAIO: TRUSTEE DI TUTTO IL PATRIMONIO DI TIZIO TOLTA LA QUOTA DI LEGITTIMA CHE GLI È DEVOLUTA PER PREVISIONE TESTAMENTARIA

B) MEVIA: BENEFICIARIA DI ½ DEL PATRIMONIO DEL PADRE

CAIO È NOMINATO TRUSTEE DI TUTTI I BENI ECCEDENTI LA

SUA QUOTA DI LEGITTIMA

ESSENDO TRUSTEE DOVRÀ AMMINISTRARE I BENI

FIDUCIARIAMENTE SECONDO IL PROGRAMMA

STABILITO DA TIZIO

MEVIA È ISTITUITA BENEFICIARIA DEL TRUST; NESSUN DEBITO DI CAIO POTRÀ RIVERBERARSI SUI

BENI

ALLA MORTE DI MEVIA IL PATRIMONIO NON SPESO A SUO VANTAGGIO ANDRÀ A

CAIO

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Per il cd. Project financing

La Banca Y è finanziatrice, in uno al Comune Corneliano, di un’operazione di project financing per la costituzione di un nosocomio cittadino.

La Banca, volendo evitare un finanziamento con pagamento a piè di lista, propone l’istituzione di un trust per pagare direttamente il trustee in virtù dell’effettivo stato di avanzamento dei lavori.

L’obiettivo è quello di stanziare i fondi necessari nel modo più efficiente possibile sotto il profilo della garanzia d’impiego e, una volta realizzato il progetto, procedere all’incasso dei proventi della gestione dell’opera successivamente distribuendoli tra promotori e finanziatori realizzando la perfetta segregazione con impossibilità di aggressione delle somme in trust da parte dei creditori del trustee o dei disponenti.

Come vedremo, quello del project financing è uno dei terreni di maggiore interesse applicativo per i trusts, probabilmente quello in cui le necessità private meglio si coniugano con quelle pubbliche.

Ed infatti sempre più numerosi sono i macroprogetti (es.: costruzione di una scuola) risolti a ministero di un trust.

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Come alternativa alla società fiduciaria

• È un caso di ricorso al trust un po’ particolare (sull’argomento torneremo comunque diffusamente in seguito dal momento che vi dedicheremo un capitolo specifico).

• Si ricorre al trust, per gli stessi fini del ricorso alla fiduciaria, con differenze importantissime, nondimeno, in termini di tutela visto che muta il titolo dominicale e, conseguentemente, il grado di protezione patrimoniale offerto.

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Trust: opinioni a confronto. Il cliente, nel caos imperante, si chiede chi erri tra chi gli esalta e chi

demonizza i trusts

Il trust, secondo certi consulenti, sono dipinti come panacea legalizzata per debitori e mafiosi.

Da certuni (magari trattandosi di professionisti tradizionalisti veterotestamentari adusi a non volere per principio cambiare mai le proprie tradizionali abitudini professionali giammai ritenendo di potere abbandonare le soluzioni più note e praticate anche in quanto hanno cessato da tempo lo studio di soluzioni innovative per la semplice ragione, per esempio, che non conoscono alcuna lingua straniera o non hanno mai studiato all’estero) il trust è dipinto come se si trattasse di uno strumento per sua natura concepito per frodare i creditori, tradizionalmente usato per potere intestare dei beni a dei prestanome e per sottrarre i beni all’esecuzione forzata o al fallimenti.

Cave a trust!

I trusts sono, da altri, responsabilmente presentati come possibile quadratura del cerchio di fisco e diritto; non un rimedio universale ma,

almeno, una chance da valutare quando non esista uno strumento tipico del tutto appagante.

Da cert’altri (che magari hanno investito in professionalità ricercando soluzioni innovative per il più corretto soddisfacimento dei propri clienti e, all’uopo, si sono magari specializzati con periodi di studio all’estero), il trust è proposto come uno strumento lecito che, se programmato correttamente, può condurre a risultati di pianificazione giuridica e fiscale pienamente legittimi ed estremamente vantaggiosi.

Il trust a realizzazione d’interessi meritevoli di tutela in quanto protettivi di beni costituzionalmente rilevanti!

Questo, a condizione che lo si utilizzi con prudenza, negli interstizi in cui non esiste uno strumento tipico previsto dall’ordinamento del tutto appagante per la soddisfazione degli obiettivi leciti che si pone l’imprenditore volendo dare un assetto alla propria ricchezza lecito ma al contempo sotto ogni profilo efficace.

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IN VIA INTERMEDIA STANNO ANCHE SOLUZIONI DELINQUENZIALI

I due orientamenti passati in rassegna sono gli antipodi di due approcci comunque metodologicamente informati da criteri professionali che non possono essere tacciati di malafede (salvo eccezioni nei casi in cui sia ravvisabile un interesse professionale a dipingere negativamente il trust).

In questa sede, ritenendo che siano soluzioni che si commentano da sole e che non necessitano certo di essere biasimate espressamente e analiticamente, non vogliamo entrare nel merito di altri indirizzi, come dimostreremo del tutto assurdi, che propongono il trust come mezzo per risolvere difficoltà di pagamento dei creditori o per distrarre beni al fallimento.

Questi, appunto, sono epiloghi delinquenziali, votati all’insuccesso pratico e a conseguenze di tipo penale, che purtroppo inficiano il dibattito con profili che non dovrebbero esistere.

Ovviamente noi ci occuperemo solamente di quello che facciamo nella professione: usare il trust al servizio dei leciti obiettivi dell’imprenditore per risolvere quelle situazioni che, impiegando gli istituti tradizionali, sarebbero votate a rimanere prive di tutela o, parimenti, ne riceverebbero una inefficiente, non consona e non efficace rispetto ai desideri dell’operatore.

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Il trust: una proposta innovativa ed efficiente per la quadratura del cerchio fiscale e giuridico oppure una gherminella fraudolenta latrice di responsabilità anche penale? Un commercialista “antitrust” contro un “avvocato trustista”.

Il Sig. Tizio, che vive in una piccola città di provincia, socio di maggioranza di Alpa s.r.l. e di Beta s.p.a., si reca dal proprio avvocato Filano, con studio in una grande metropoli e che ha uno studio molto ben organizzato, e dal proprio commercialista Mevio, con studio nella stessa città in cui vive Tizio, che non ha mai lavorato fuori dai confini della provincia e non conosce lingue straniere, perché vorrebbe programmare il passaggio generazionale a favore di uno solo dei figli in quanto uno solo è l’erede con l’interesse e la capacità di governare la società, il timone dell’impresa. Al contempo vorrebbe trovare una soluzione che soddisfi gli altri eredi. Avendo sentito parlare dei trusts, pone l’identica domanda ad entrambi; può essere conveniente il trust per programmare il passaggio?

A. Il dott. Mevio suggerisce al Sig. Tizio di non prendere in considerazione il trust in quanto si tratterebbe di uno strumento difficile da comprendere, che non ha una legge regolatrice in Italia e dunque difficilmente comprensibile, malvisto dall’Agenzia delle Entrate essendo un istituto torbido, tradizionalmente considerato come il paradiso degli evasori fiscali e lo demonizza poiché l’unico scopo sarebbe quello di potere fraudolentemente segregare i beni sottraendoli all’esecuzione dei creditori. Secondo Mevio, il Sig. Tizio potrebbe addirittura incorrere in reati istituendo il trust. Inoltre il trust costerebbe troppo e non sarebbe compreso dagli eredi. Per tutte queste considerazioni il Dott. Mevio spiega al cliente che l’unica soluzione consista nella creazione di una HOLDING FAMILIARE.

B. L’Avv. Filano, che ha studiato una parte della propria vita a Londra e che ha un da lungo tempo studiato i trusts, afferma che:

• In diritto non esistono soluzioni generali: occorre valutare caso per caso quale sia la soluzione più opportuna non potendosi per principio demonizzare alcun rimedio in quanto l’utilità va valutata in concreto;

• NON SI PUÒ AFFERMARE PER PRINCIPIO CHE IL TRUST SIA SEMPRE UTILE COME NON SI PUÒ ASSERIRE IL CONTRARIO;

• Il trust non è la panacea di ogni male ma la possibile soluzione di situazioni complesse che chiedono strumenti capaci non già di tutelare sacrificando posizioni (come i contratti) ma di creare un’utilità condivisa;

• Il trust, essendo un abito sartoriale capace di aderire specificamente alle necessità del cliente, potrebbe essere la quadratura del cerchio dei problemi familiari consentendo che il passaggio generazionale avvenga nel modo più efficiente possibile per la conservazione del valore e della produttività aziendale al contempo assicurando la capacità di garantire la posizione di ciascun erede.

• Il trust, però, richiede un percorso piuttosto impegnativo occorrendo capire come si possa istituire un trust che possa specificamente rispondere a tutte le necessità della famiglia del Sig. Tizio.

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IL DILEMMA IN CUI È MESSO IL SIG. TIZIO È PIÙ FREQUENTE DI QUANTO NON SI POSSA PENSARE

Ovviamente, nel caso del Sig. Tizio, la soluzione data dai due professionisti non può essere oggetto, ex se, di alcun biasimo visto che, del tutto legittimamente, ciascuno dei due professionisti può a buon diritto convincersi che il trust sia più o meno efficace nell’assicurare il passaggio generazionale dell’impresa.

Quello che invece sorprende, è la diversità di approccio; il commercialista ha sistematicamente escluso il trust dal novero delle possibilità a cui Tizio potrebbe fare ricorso e lo ha fatto per motivazioni mendaci, del tutto prive di riscontro oggettivo, frutto di una sua distorsione dello strumento.

Nessuno dei limiti paventati dal commercialista trova fondamento in un’opinione meno che inventata. In particolare, se il commercialista non ha compreso il trust, certo questo non può considerarsi un problema del cliente!

Si badi, per inciso, che l’avvocato non ha affermato la bontà del trust per principio semplicemente suggerendo al cliente l’opportunità di valutarlo come uno strumento tra gli altri al fine di trovare la soluzione meglio confacente alle caratteristiche precipue della fattispecie. E QUESTO DEVE ESSERE L’APPROCCIO: CONSENTIRE CHE IL CLIENTE SI FORMI UNA VOLONTÀ INFORMATA, SCEGLIENDO CONSAPEVOLMENTE ALL’INTERNO DEL PIÙ AMPIO SPETTRO POSSIBILE DEGLI STRUMENTI SUSCETTIBILI DI POTERE ESSERE UTILIZZATI.

Non v’è chi non veda, peraltro, che, se la domanda non fosse stata precisa, il commercialista non avrebbe mai sottoposto al cliente il ricorso al trust andando, per esempio, alla creazione della HOLDING FAMILIARE! Tra poco vedremo quali sarebbero le concrete conseguenze economiche della decisione del professionista di non consentire al Sig. Tizio di scegliere.

E AD ESSERE CENSURABILE NON È CERTO LA CONCRETA SOLUZIONE AL PROBLEMA POSTO DAL SIG. TIZIO MA IL FATTO CHE SI POSSA PENSARE CHE L’ERMETICA CHIUSURA AL NUOVO POSSA PASSARE SUGLI INTERESSI DI TIZIO.

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Proprio questo è il punto: È LEGITTIMO AVERE DELLE PERPLESSITÀ SUI TRUTS ma l’imprenditore deve poter scegliere tra tutte le alternative utilizzabili SECONDO

UN GIUDIZIO LIBERO SAPENDO QUALI SIANO I VANTAGGI E I RISCHI DI OGNI SCELTA FATTIBILE.

Il consulente non può mai diventare un dittatore delle scelte dell’imprenditore (magari per le specificità del suo percorso professionale) giungendo alla mortificazione del diritto discelta.

Nulla vieta di paventare delle obiezioni al ricorso al trust in un caso specifico; il punto è che, mentre l’avvocato del Sig. Tizio ha motivato con argomentazioni ragionevoli, il commercialista ha rassegnato argomenti assurdi che non hanno alcuna base giuridica derivando unicamente da luoghi comuni e dalla sua impreparazione.

L’errore del commercialista “antitrust” non è certo quello di non avere suggerito il trust; il punto è che il commercialista, per una sua opzione ideologica, non ha neppure esposto al cliente quali potevano essere gli aspetti d’interesse connessi al ricorso all’istituto. E qui, francamente, è difficile non interpretare violazione dei canoni che dovrebbero invece informare l’operato professionale.

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IL SIG. TIZIO NON SA A QUALE DEI DUE PROFESSIONISTI PRESTARE ASCOLTO

• Il conflitto di opinioni è spesso disorientante; perché, su uno stesso istituto, dovrebbero esistere voci tanto diverse?

• Da un lato per il Sig. Tizio è difficile poter non tenere conto del suggerimento del commercialista che lo segue da tempo, per cui ha fiducia, e che appartiene a una realtà che certo meglio conosce, quella locale.

• Nondimeno, potrebbe anche essere, pensa il Sig. Tizio, che vi sia un nesso causale tra professionista tradizionale (provinciale) – soluzione tradizionale.

• Ma allo stesso modo non vi sono forse sufficienti garanzie sul fatto che il professionista che si è avventurato in soluzioni nuove offra garanzie di specchiata credibilità quale il commercialista.

• Un dubbio insidioso.

Come si dovrebbe essere inteso, si è in presenza di un imprenditore perbene, che certamente non vuole correre rischi inutili; l’unico scopo avuto per fine dal Sig. Tizio è quello di consentire che il passaggio generazionale evitando conflitti familiari e, di tal guisa, evitando che il valore aziendale sia perso in inutili processi.

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Quali sarebbero le conseguenze del consiglio del commercialista “ANTITRUST” di costituire una holding

familiare? Abbiamo visto che il commercialista ha dato una soluzione certamente

ragionevole, piuttosto frequente nella prassi, assai diffusa in Italia: la holding familiare (utile appunto come cassaforte di famiglia durante la vita dell’imprenditore e anche al fine della pianificazione della successione).

L’effetto fiscale, nel caso in cui il suggerimento fosse seguito, potrebbe essere questo PRENDENDO IN CONSIDERAZIONE I SOCI QUALIFICATI:

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DIVIDENDI DISTRIBUITI DALLE CONTROLLATE

1.000.000,00

IMPONIBILE HOLDING (5%) 50.000,00

IRES HOLDING 13.750,00

DIVIDENDI DISTRIBUITI DALLE HOLDING 1.000.000,00 – 13.750,00 = 968.250,00

IMPONIBILE IRPEF SOCI (49,72%) 490.363,00

IRPEF SOCI (43%) 210.856,00

TOTALE IMPOSTE PAGARE TIZIO E FAM. 224.606,00

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Tassazione dei dividendi soci non qualificati seguendo la soluzione del commercialista

Prendendo a riferimento SEMPRE il dato simbolico di 1.000.000,00, i risultati sarebbero:

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DIVIDENDI DISTRIBUITI DA CONTROLLATE

€ 1.000.000,00

IMPONIBILE HOLDING (5%) € 50.000,00

IMPOSTA IRES HOLDING (27,5%) € 13.750,00

DIVIDENDO DISTRIBUITO HOLDING € 986.250,00

IMPONIBILE IRPEF SOCI € 986.250,00

IMPOSTA SOSTITUTIVA SOCI € 123.281,00

TOTALE HOLDING + SOCI € 137.031,00

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COSA SUCCEDEREBBE CON UN TRUST? (ovvero come cambierebbe la tassazione ascoltando

l’avvocato “trustista”)

A SEGUIRE I CONSIGLI DEL PROPRIO COMMERCIALISTA ANTITRUST, IL SIG. TIZIO E

FAMIGLIA PAGHERANNO – ALMENO – 123.281,00 € ALL’ANNO IN PIÙ.

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DIVIDENDI DA NON CONTROLLATE € 1.000.000,00

IMPONIBILE TRUST (5%) € 50.000,00

IRES TRUST B.I.*27,50% € 13.750,00

EROGAZIONE AI BENEFICARÎ € 1.000.000,00 – 13.750,00 = 986.250,00

IMPONIBILE IRPEF BENEFICARÎ € 0

IMPOSTA BENEFICARÎ € 0

TOTALE TRUST + TIZIO & CO. € 13.750,00

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Lo stesso caso, dando vita ad un trust trasparente

S’IMMAGINI LO STESSO CASO DI TIZIO MA ORA S’IMMAGINI DI DAR VITA AD UN TRUST TRASPARENTE (sulle differenze tra il trust opaco e quello trasparente si tornerà

approfonditamente in seguito).

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DIVIDENDI DISTRIBUITI DA CONTROLLATE

€ 1.000.000,00

IMPONIBILE TRUST € 50.000,00

IMPOSTA IRES TRUST € 0

EROGAZIONE AI BENEFICARÎ € 1.000.000,00

IMPONIBILE IRPEF BENEFICARÎ € 50.000,00

IMPOSTA BENEFICARÎ (43%) € 21.500,00

TOTALE TRUST + TIZIO & CO. € 21.500

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Poniamo poi il caso della tassazione di tassazione di plusvalenze da cessione di partecipazioni

Plusvalenze da capital-gain

Holding – Soci qualificati

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PLUSVALENZA DA CESSIONE DI PARTECIPAZIONI

SEMPRE € 1.000.000,00

IMPONIBILE HOLDING (5%) € 50.000,00

IRES HOLDING (B.I.*27,50%) € 13.750,00

DIVIDENDO DISTRIBUITO DA HOLDING € 1.000.000,00 – 13.750,00 = 986.250,00

IMPONIBILE IRPEF SOCI (B.I.: *49,72%) € 490.363,00

IMPOSTA IRPEF SOCI € 210.856,00

TOTALE IMPOSTE HOLDING + TIZIO & CO. € 224.606,00

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Il risultato a seguire il commercialista “antitrust” per soci non qualificati

CON POCHI ACCORGIMENTI, È IN BREVE CALCOLABILE COSA SAREBBE NEL CASO DI SOCI NON QUALIFICATI

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PLUSVALENZA DA CESSIONE DI PARTECIPAZIONI

€ 1.000.000,00

IMPONIBILE HOLDING (5%) € 50.000,00

IRES HOLDING (B.I. * 27,50%) € 13.750,00

DIVIDENDO DISTRIBUITO DALLA HOLDING

€ 1.000.000,00 – 13.750,00 = 986.250,00

IMPONIBILE IRPEF SOCI € 986.250,00

IMPOSTA SOSTITUIVA SOCI (12,50%) € 123.281,00

TOTALE IMPOSTE HOLDING + TIZIO & CO. € 137.031,00

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CONFRONTIAMO IL RISULTATO FATTO OTTENERE DAL COMMERCIALISTA CON UN TRUST

Cosa cambia rispetto alla tassazione dei dividendi nel caso della tassazione delle plusvalenze da capital gane?

CAMBIA CHE, NEL CASO DI PARTECIPAZIONI NON QUALIFICATE, L’IMPONIBILE IRES TRUST SI CALCOLA IN QUESTO MODO: 1.000.000 X 49,72% MENTRE, NEL CASO DEI DIVIDENDI V’È INVECE UN CALCOLO SUL 5%; NEL CASO DI PARTECIPAZIONI NON QUALIFICATE L’IMPOSTA SOSTITUTIVA TRUST (1.000.000 X 12,5%).

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SCELTA DI TIZIO QUALIFICATA NON QUALIFICATA

HOLDING € 224.606,00 € 137.031,00

TRUST TRASPARENTE € 213.796,00 € 125.000,00

TRUST OPACO € 136.730,00 € 125.000,00

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QUADRO SINOTTICO DI CONFRONTO

REDDITI SITUAZIONE IMPOSTA TOTALE IN %

DIVIDENDI QUALIFICATI

TRUST OPACO € 13.750,00 1.37%

DIVIDENDI NON QUALIFICATI

TRUST OPACO € 13.750,00 1.37%

PLUSVALENZE QUALIFICATE

TRUST OPACO € 136.730,00 13.67%

PLUSVALENZE NON QUALIFICATE

TRUST OPACO/TRUST TRASPARENTE

€ 125.000,00 12.50%

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Il Sig. Tizio comincia a riflettere e si chiede: chi, tra l’avvocato e il commercialista, fa i

miei interessi? In particolare il Sig. Tizio, che dapprincipio non comprende l’istituto del trust ed anzi ne è spaventato perché gli sembra troppo difficile da capire per lui che non ha rudimenti giuridici, si concentra su un singolo aspetto riferito dal

suo avvocato: i dividendi percepiti da un trust opaco, sia in caso di partecipazioni qualificate sia in ipotesi di partecipazioni non qualificate, sono esenti per il 95% del loro ammontare e la tassazione a cui sono soggetti é il 27,5% del 5% quindi l’1,375%. Tizio si chiede: perché il mio commercialista NON MI HA MAI NEPPURE INFORMATO dell’esistenza del trust benché da tempo gli chieda di riferirmi quali possono essere gli istituti utili da prendere in considerazione per il passaggio generazionale dell’impresa?

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TRUST?

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Il Sig. Tizio è fortemente tentato di dare ragione al proprio commercialista; ha già molte cose da fare e non ha voglia di mettersi a studiare i trusts. Inoltre, oltre a non avere tempo di studiare, fatica a comprenderli, non sa che trustee scegliere, gli sembra che sia un grande imbroglio, è spaventato dal sapere che non ha un legge italiana. E poi degli amici gli hanno detto che lo aggredirà la guardia di finanza, che non potrà che sembrare un evasore fiscale, che potranno intentargli una revocatoria.

INSOMMA, ALL’INIZIO, IL SIG. TIZIO NON HA NESSUNA VOGLIA DI DARE RETTA AL CONSIGLIO DELL’AVVOCATO DI VALUTARE SE UN TRUST POSSA FARE

AL CASO SUO.

NELLO STESSO TEMPO, TIZIO, È COLPITO DAL FATTO CHE:

a) È esterrefatto nell’apprendere che i dividendi di un trust sono tassati ai fini IRES unicamente nella misura dell’1,375%.

b) È colpito dall’approccio: mentre il commercialista è stato manicheo, l’avvocato ha suggerito un approccio certo più complesso (in quanto, per esempio, gli ha chiesto di vagliare un novero di varie ipotesi) ma apparentemente più idoneo a trovare una soluzione valida per tutti i membri della famiglia.

c) Si chiede se vi sia un nesso di causa effetto tra il fatto che il Dott. Mevio eserciti in una città di provincia e il suo giudizio sui trusts.

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Conflitto interno dell’imprenditore che sente parlare del trust

Da un lato l’imprenditore è spaventato da meccanismi estranei alla sua cultura e che fatica a comprendere trovando peraltro difficoltà a investire il proprio tempo nello studio dell’argomento. Inoltre, molto spesso non è aiutato da interpretazioni contrastanti che contribuiscono a generare inquietudine e confusione. Spesso, poi, l’imprenditore che si avvicini all’argomento non ha conoscenza di professionisti che abbiano avuto modo di studiare l’istituto e riceve, per l’effetto, risposte insoddisfacenti.

Nondimeno, la protezione del patrimonio, la molteplicità degli usi, la maggiore libertà, la

possibilità di trovare una soluzione complessiva aderente al caso specifico e i

vantaggi fiscali insiti nel trust costituiscono delle leve d’interesse che l’imprenditore

non può non considerare.

Ad un certo punto l’imprenditore supera l’idiosincrasia iniziale comprendendo le

potenzialità dell’istituto aiutato da professionisti che hanno studiato

l’argomento.

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L’argomento trust genera un interesse dibattuto misto di curiosità allettata e di timore

PER TANTE RAGIONI, IN UN PAESE COME L’ITALIA IN CUI V’È UNA CERTA PROPENSIONE ALLE SITUAZIONI POCO TRASPARENTI, IL TRUST SI È CREATO UNA SPECIOSA NOMEA COME SINONIMO DI FRODE E DI ELUSIONE

CONSIGLI DI PROFESSIONISTI CHE NON CONOSCONO IL TRUST CHE, SPESSO IN BUONA FEDE, NON HANNO PENSATO DI CAPIRE COSA SIA

FISIOLOGICO TIMORE PER UN ISTITUTO NUOVO CHE COLLIDE CON TUTTO QUELLO CHE SI È SEMPRE SAPUTO

IL CONTRIBUTO D’ILLUMINATA GIURISPRUDENZA, CIVILE E TRIBUTARIA, HA RISCATTATO LA NOMEA DEI TRUSTS FACENDONE ESALTARE LE POTENZIALITÀ COME STRUMENTO LECITO MERITEVOLE DI TUTELA AL SERVIZIO DI FINI SPESSO ALTRIMENTI FRUSTRATI DA INEFFICIENZE DELL’ORDINAMENTO

NECESSITÀ DI METTERE IN SICUREZZA IL PATRIMONIO

DIVIDENDI TASSATI ALL’1,365%

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L’imprenditore può essere spaventato da un istituto nuovo

oggetto di tanti pregiudizi In genere, nondimeno, nel conflitto generato dal timore (frutto dell’ignoranza) e la curiosità (suscitata dalla prospettazione dei vantaggi, per inciso, anche fiscali) prevale la seconda in quanto l’imprenditore comprende di non potere per principio rifiutare l’esame della novità solo per i dubbi che gli prospetta taluno.

In genere, l’iniziale idiosincrasia per lo studio del tema è ben presto superata tanto che, in concreto, nel dialogo con il professionista le prime ritrosie, le prime domande incerte, sono subito superate da una domanda spesso piccata; perché nessuno prima d’ora mi ha suggerito il trust?

Questa è una domanda a cui non sappiamo dare una risposta.

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Il cliente comprende un fatto banale: all’estero, prima, e oggi in Italia, il trust

funziona! Generalmente, un fattore decisivo per mutare l’approccio al trust gemina da una considerazione sociologica banale ma efficace; l’imprenditore, infatti, pone attenzione al fatto che, nella maggior parte delle migliori economie del mondo (tra cui Gran Bretagna e Stati Uniti), il trust è l’architrave dei sistemi economici tanto che, per esempio, con un trust è organizzata la previdenza inglese. Se davvero il trust fosse uno strumento per la frode dei creditori, è evidente che lo stesso non avrebbe la possibilità di albergare con successo in ordinamenti, quali quello inglese, che certo per tutto sono noti fuorché per il loro lassismo essendo anzi per antonomasia la patria della correttezza e della Giustizia. Certo, il fatto che il trust funzioni in Inghilterra non vuol dire automaticamente che debba funzionare anche in Italia. Parimenti importante, per il cliente, è dunque la constatazione del numero di precedenti giurisprudenziali (ed oramai è un numero alluvionale) che hanno statuito la legittimità del ricorso al trust quale strumento non solo lecito ma anzi meritevole della massima protezione da parte dell’ordinamento. Tutto questo con buona pace dei suggerimenti provinciali provenienti da suggeritori spesso abbastanza interessati a non compromettere il loro apogeo dal ricorso a strumenti che non sarebbero in grado di maneggiare.

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L’imprenditore riesce a superare le proprie difficoltà iniziali

Come è abbastanza normale che sia, dapprincipio l’operatore che si accosta al trust ha numerose difficoltà, innanzitutto, di tipo psicologico nel comprendere la logica dell’istituto. La componente fiscale non può avere un ruolo esclusivo: un trust non può essere fatto – solo – per le conseguenze fiscali. È nondimeno evidente che le stesse sono importanti. Proprio per questo, proprio le conseguenze fiscali sono spesso una componente decisiva per mutare le perplessità iniziali. Ne è un esempio il confronto che segue ottenuto, ovviamente, prendendo a riferimento identici parametri reddituali.

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STRUMENTO USATO TASSAZIONE CONSEGUENTE

HOLDING, SOCI QUALIFICATI € 224.606,00 HOLDING, SOCI NON QUALIFICATI € 137.031,00

TRUST TRASPARENTE € 21.500,00

TRUST OPACO € 13.750,00

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I “CAPRICCI” IDEOLOGIZZATI DEL COMMERCIALISTA

“ANTITRUST” COSTEREBBERO AL SIG. TIZIO 210.856,00 EURO

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CON QUESTO LAVORO VORREMMO COMPRENDERE, CONCRETAMENTE, COME LA VITA DELL’IMPRESA PUÒ ESSERE UTILMENTE BENEFICATA DALL’ISTITUZIONE DI

UN TRUST

In tempi difficili quali sono quelli attuali, piovono da ogni parte offerte, più o meno auto-refernenzialmente efficaci e lecite, per dare tutela alle problematiche connesse alla tutela del patrimonio; fenomeno fisiologico, questo della ricerca di mezzi per la tutela del patrimonio, all’evidenza connesso all’urgenza, spesso allarmata, che l’imprenditore ha di porre al riparo almeno una parte dei propri beni dalle insidie attuali o, anche senza troppa chiaroveggenza, preconizzabili come imminenti.

Tra queste soluzioni, spesso, l’offerta ha ad oggetto i trusts. Purtroppo, non sempre in buona fede, la presentazione dell’istituto è foriera di equivoci speciosi, arrivando taluno a suggerire l’idea che si tratti di una panacea per potere con agilità e legalità frodare i diritti dei creditori.

È ovvio che questo non può essere lo stato dell’arte; del resto, da queste “performanti” promesse derivano inquietati interrogativi di molti che credono che, dietro al ricorso al trust, debba, quasi per antonomasia, esserci la ricerca di fini illeciti, forieri dell’attenzione dell’autorità fiscale quando addirittura non di responsabilità penale.

Scopo di questo contribuito è il tentativo di fare chiarezza dimostrando perché i trusts sono uno strumento limpido, assolutamente lecito che, se utilizzati con oculatezza, possono utilmente impattare sulla vita dell’impresa consentendo innanzitutto di mettere il patrimonio e, coevamente, di condurre al risultato, drammaticamente cruciale per ogni imprenditore, di ottenere una conveniente pianificazione fiscale.

Concretamente, alla luce di una serie di considerazioni concrete, vorremmo conseguire il risultato di capire:

a) Perché qualunque imprenditore dovrebbe valutare l’impiego del trust;

b) Quali possano essere, sempre in concreto, le possibili conseguenze del ricorso al trust sotto il profilo squisitamente fiscale.

Resta inteso che non potremo, per ovvie ragioni, esaurire un argomento necessariamente più articolato di quanto condensabile in un singolo intervento. Un’idea delle straordinarie potenzialità del trust, però, dovrebbe essere possibile evincerla con sufficiente concretezza da delibarne l’utilità per le singole situazioni in cui ciascun lettore si trova.

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Avvertenza metodologica: il nostro approccio al trust

Ancorché diretta da un preclaro maestro in un’adamantina cornice, e magari cantata dalla più sublime delle interpreti, Tosca, se non partecipasse Cavaradossi alla rappresentazione, sarebbe un coacervo incomprensibili di grida; allo stesso modo, senza la comprensione della loro storia, i trusts sono un’intellegibile follia, parto di un’indecifrabile complicazione, una ghirmelleria inquietante. Come posso intestare i miei beni ad un trustee? E se questo scappa?

Per potere COMPRENDERE l’utilità del trust al servizio dell’impresa oggi, NON si può pretendere di omettere, per comodità e per mancanza di tempo, la comprensione delle origini.

Capire i trusts oggi in Italia implica la cognizione del percorso che ne ha condotto all’affermazione in Inghilterra.

Pretendere di capire l’impatto fiscale del trust senza capirne il significato più profondo, pretermettendo la comprensione del trust in Inghilterra, equivarrebbe a giudicare una sinfonia dal suono di un singolo strumento. Senza che se ne valuti la storia, è pacifico che ha ragione il commercialista Mevio; i trusts sono incomprensibili.

Ecco perché, nonostante il nostro scopo sia quello di verificare quale sia l’impatto che l’istituzione un trust ha sulla vita dell’impresa, con questo intervento non potremo procedere che da una ricostruzione storica solo di tal guisa potendo pensare di adempiere alla missione che ci siamo dati.

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La realizzazione della giustizia: chimera o realtà?

La posizione del diritto civile tradizionale (civil law):

speculazione e pura forma

L’evoluzione del diritto continentale europeo è la progressione in una speculazione intellettuale che ha abortito la ricerca dell’“equo” a favore del “formalmente ineccepibile”.

Conseguenza è che il giurista civilista, prigioniero delle sue forme e delle sue speculazioni alienate dalla vita, non può capire i trusts e li ridicolizza come qualcosa di metagiuridico o di inutile:

“I cannot understand that your trust!”, Otto Friedrich von Gierke

Il diritto inglese (common law) vota il diritto alla

Giustizia

Il giurista inglese, nel suo progredire empirico, certo non ha speculato come il suo omologo continentale ma per contro non ha mai rinunziato alla Giustizia e, dunque, non si sorprende affatto che l’equità sia una realtà cogente.

“There are more things in heaven and earth, Horatio,

than are dreamt of in your philosophy”,

Hamlet, Act I,

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I trusts: un u.f.o. per il diritto civile Otto von Gierke, uno dei più famosi giuristi tedeschi di ogni tempo, apprendendo dal padre della storia

del diritto inglese, Frederic William Maitland, la nozione di trust, ha lucidamente espresso la frustrata ed impotente condizione di ogni giurista di civil law dandoci una lezione accademica, e al contempo professionale, ad oggi insuperata in ordine a quale sia lo stato dell’arte del diritto civile continentale; con sdegno, infatti, professò che: “NON CAPIRÒ MAI QUESTO VOSTRO TRUST!”.

La condizione del più grande dei giuristi tedeschi che, a seconda dei punti di vista, o confessava, oppure più plausibilmente si vantava, di non comprendere il trust (disprezzandolo con l’aggettivo “your trust”), è perfettamente identica a quella in cui versa, purtroppo, la stragrande maggioranza degli imprenditori e dei professionisti italiani: per noi operatori continentali è estremamente difficile comprendere perché si dovrebbe dare luogo ad una moltiplicazione apparente di diritti e di posizioni sullo stesso bene.

All’uopo, si frappongono due problemi: La stella polare della nostra cultura civilistica di stampo napoleonico – romanistico è

adamantina nella scissione tra diritti reali e obbligazioni. Per noi non esistevano figure ibride: o un istituto afferisce alla proprietà o al diritto delle obbligazioni. Se si è proprietari, lo si è per se stessi; ci è difficile comprendere un istituto che non sta né da una parte (puro diritto di proprietà) né dall’altra (diritto delle obbligazioni).

Non siamo abituati a sentire invocato il concetto di fiducia. Non capiamo come sia possibile che un bene possa essere immesso nella proprietà di un terzo

al fine di un progetto o per l’utilità di qualcuno; non comprendiamo come sia possibile che possiamo pensare di affidare un nostro bene ad un terzo potendo confidare sul fatto che costui agirà effettivamente conformemente alle nostre decisioni. Non comprendiamo il fenomeno della segregazione patrimoniale rispetto ai diritti dei creditori quale forma di tutela del tutto legittima. Non riusciamo a non cogliere, in fondo, un’anima meno che elusiva nella costituzione del trust.

Il fatto è che, in Europa, abbiamo da molto tempo perso l’abitudine di cercare la Giustizia e, per questo, ci riesce estremamente difficile comprendere il trust.

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L’incapacità di comprendere i trusts è la stessa di capire la Giustizia

Indubbiamente la speculazione intellettuale, e la superfetazione anatomica di ogni istituto, hanno condotto il diritto civile europeo ad un grado di perfezione rigorosa, ignota alle principali scienze, oggetto di continui approfondimenti concettuali.

Lo comprova la Giurisprudenza italiana che, nella sua perpetua cangiante instabilità, ciclicamente riesce a mutare ogni propria posizione, in un circolo votato al continuo ripensamento; l’unica certezza è che non v’è certezza, che l’unica nomofilachia è la confutazione della stabilità apparente.

Non v’è periodo in cui, con argute tesi e contro tesi, la giurisprudenza non riesca a confutare, e dunque a distruggere, le raggiunte certezze.

Se ammettiamo che la Giustizia è il riconoscimento del “suo di ciascuno”, dobbiamo confessare di avere rinunciato alla ricerca dell’equo perché l’equità non tollera l’aporia in cui ogni tesi abbia libertà d’albergo.

Conseguenza: abbiamo innumerevoli istituti per potere fare quello che, con una sola figura giuridica, fanno i trusts.

Il diritto inglese non ha nulla della concettosa propensione alla speculazione; non ha moltiplicato gli istituti, non ha reso proteiforme quanto poteva essere semplificato mediante riduzione; laddove v’è possibilità di semplicità, di univocità, di unicità non v’è moltiplicazione, discussione, incertezza, proteiformità, polisemicità.

Il diritto inglese non ha mai preteso null’altro che l’attuazione della Giustizia; alla speculazione tesa all’approfondimento dogmatico ha sostituito l’aderenza della soluzione ricercata alla necessità sostanziale, all’immaginazione della possibilità del dover essere ha preferita l’osservazione del reale.

Tutto questo e molto altro vuol dire “trust”.

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Esempio concreto che ci fa capire la difficoltà a comprendere i trusts

Tizio, facoltoso imprenditore (ma che ha varie passività da liquidare), muore a Roma senza lasciare testamento. Le norme da considerare sono almeno una trentina, se si volesse compiutamente esaminare la fattispecie non basterebbero svariate decine di pagini postulando il caso la trattazione d’innumerevoli complessi istituti; l’ordinamento, per esempio, si è preoccupato di tutelare con varie previsioni gli eredi chiarendo in che misura possano essere chiamati a rispondere dei debiti e cosa debbano fare per potere evitare di rispondere in misura eccedente al lascito.

Caio, che si trova nelle stesse condizioni di Tizio, muore a Londra. Si apre un trust (necessariamente). Per capire cosa succede bastano queste parole; il trustee liquiderà i debiti, in perfetta autonomia patrimoniale, e devolverà il residuo agli eredi.

Siamo oramai talmente assuefatti alla complicazione che non ci è più possibile comprendere le soluzioni semplici e, anzi, ne siamo fortemente spaventati perché che ci pare che la mancanza di complicazione sia una debolezza.

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Il giurista civilista, dunque, di fronte al trust veste i panni di Horatio

Hamlet, di fronte allo stupore di Horatio, affermava che, per quanto la filosofia avesse progredito nella sua speculazione, la realtà sarebbe stata sempre più grande. Lo stesso vale nel caso del trust: per quanto il giurista civilista abbia teorizzato lungamente, i trusts dimostrano che i confini possono essere dilatatati, spalancati da qualcosa che è più grande di quanto non si pensasse di avere approfondito.

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Perché occuparsi, in Italia, dei trusts? • Prima di definire il concetto di trust, c’è una considerazione sociologico - giuridica da premettere necessariamente

in quanto indispensabile per motivare l’interesse per i trusts degli operatori italiani: c’è un nesso eziologico diretto tra il ricorso ai trusts e il successo del diritto anglo-americano quale stella polare dell’economia del mondo.

• Detto altrimenti, e più semplicemente, è storicamente inconfutabile che, senza i trusts, non esisterebbe l’economia degli Stati Uniti nella forma di evoluzione da noi tutti ben conosciuta. Parimenti, senza i trusts Londra non sarebbe la capitale finanziaria d’Europa, non potrebbe essere divenuta il baricentro della finanza del vecchio continente pure in assenza, come ognun può constatare, di una supremazia produttiva (si ponga per esempio al confronto con la Germania che, sicuramente, sotto il profilo produttivo ha capacità enormemente superiori a quelle inglesi ma non ha certamente una propensione marginale di attrazione finanziaria nemmeno lontanamente confrontabile).

• Per quanto non sia notoriamente evidente, è insomma patente il nesso causale tra i trusts e la supremazia finanziaria; se si preferisce, i trusts sono a tal punto importanti da avere permesso al mondo Anglo-americano di avere una leadership incontrasta e, conseguentemente, hanno condizionato anche la nostra storia. Senza avvedercene, infatti, quando parliamo di “anti-trust”, inconsciamente cristallizziamo un dato storico: almeno dal famoso “Trust Rockefeller”, da cui è geminata tutta la storia delle compagnie petrolifere statunitensi, i trusts stanno condizionando la storia e le caratteristiche del capitalismo mondiale.

• Nel diritto anglo-americano, in effetti, un composito novero di esigenze, praticamente impossibili da riassumere coincidendo di fatto con la quasi totalità delle situazioni della vita, è risolto dai trusts. L’uso dell’istituto è talmente proteiforme da rendere impossibile l’uso della parola “trust” dovendosi preferire l’impiego al plurale: tanti infatti sono gli schemi e gli impieghi che non ha molto senso ragionare del “trust” al singolare.

• Orbene, la poliedricità dell’istituto, e il fatto che si tratti dell’architrave portante del diritto delle maggiori economie del mondo, rende evidente la necessità, anche per l’imprenditore italiano, di comprendere di cosa si tratti. Ed infatti, se, come si è detto, si prende coscienza del fatto che i trusts sono responsabili della vittoria di un sistema Paese, chiaramente si ha per dimostrato perché abbia senso occuparsene anche in Italia: per valutare cosa possiamo emulare di un modello certamente vincente considerando i risultati.

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L’anima del trust in briciole Il trust (in italiano: fiducia) è un rapporto fiduciario in virtù del quale un soggetto, che

prende il nome di trustee, ha su determinati diritti o beni, la titolarità formale tipica di un vero e proprio proprietario, essendo tenuto a custodirli e/o amministrarli, e comunque a servirsene, nell’interesse di uno o più beneficiarî oppure per uno scopo prestabilito o un fine purché lecito e non contrario all’ordine pubblico.

Ne consegue che il trustee è sì il proprietario pro tempore dei beni ma non nell’interesse proprio avendo una proprietà che potremmo dire “funzionalizzata” all’attuazione del programma stabilito dal disponente nell’atto istitutivo del trust.

È anche possibile che il proprietario nomini trustee se stesso: in questo caso l’originario proprietario rimane amministratore dei beni ma non più nella veste precedente in quanto dovrà agire entro i limiti e secondo le finalità che egli stesso avrà impresso come programma del trust.

In buona sostanza, e a voler semplificare icasticamente la relazione sostanziale, il trust è assimilabile ad una specie di “cassaforte di famiglia” che offre la garanzia di proteggere i beni del disponente dalle vicende personali o dall’azione dei terzi.

Sono cardini dell’istituto: – La fiducia del disponente nel trustee (si ricordi che trust vuol dire “fiducia”);

– La segregazione patrimoniale (i beni non saranno più aggredibili).

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Abbecedario del trust: 3 pilastri costitutivi

Il trust ha infinite possibilità di declinazione, tante quante possono essere le peculiarità della vita ma, sostanzialmente ha tre elementi indefettibili:

I. Deve realizzare un doppio interesse meritevole di tutela nel senso che il trust deve essere conforme alla sua legge regolatrice (come vedremo necessariamente straniera liberamente scelta dal disponente, es.: legge dello stato del Delaware o di Malta) ma deve anche mirare a soddisfare una necessità sostanziale che merita tutela per l’ordinamento italiano; un trust che realizzi un assetto d’interessi, ancorché conforme alla sua legge straniera regolatrice, ma che contrario a una norma imperativa italiana o al nostro ordine pubblico sarebbe irriconoscibile dal nostro ordinamento;

II. Deve poggiare su un affidamento fiduciario di beni per la realizzazione di un programma; non c’è trust senza conferimento di beni ad un terzo, il trustee, per la realizzazione di uno scopo predeterminato dal disponente. La realizzazione del programma, poi, potrà essere affidata al trustee con il vincolo per questi di avere solo poteri fiduciari o potendo anche essere titolare di poteri personali. Inoltre, potrà essere prevista la figura di un “guardiano” che vigila sull’amministrazione che il trustee faccia dei beni e che delibi la coerenza degli atti compiuti rispetto al programma impresso dal disponente o, magari, che debba necessariamente esprimere il proprio consenso per la realizzazione di certuni atti di particolare momento (es.: dovendo autorizzare la vendita di alcuni beni in trust).

III. Deve prevedere la devoluzione finale dei beni, una volta realizzatosi il programma.

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Quattro atti necessari costitutivi della struttura del trust

Ogni trust postula, nel corso della sua durata, almeno, quattro necessarie azioni:

I. Deve esserci l’ATTO ISTITUTIVO; è l’atto con cui il disponente istituisce il trust, sceglie la legge regolatrice, detta il programma che deve essere realizzato dal trustee, nomina i beneficiarî, stabilisce i poteri/doveri/diritti. In generale è nell’atto istitutivo che il trustee trova il libretto d’istruzioni a cui deve attenersi. Ogni previsione che riguardi il funzionamento del trust e il programma è scritta dal disponente nell’atto istitutivo nel necessario rispetto della legge individuata come applicabile.

II. Deve esserci la DOTAZIONE DEL TRUST. Potrà, a seconda del caso, essere contestuale all’atto istitutivo o, come spesso accade, successiva. Non c’è trust senza beni: il conferimento è essenziale. Effetto della dotazione dei beni è che la proprietà, da quel momento, passa in capo al trustee che, per tutta la durata del trust, sarà proprietario dei beni che, nel caso in cui sia all’uopo autorizzato, potranno essere fatti oggetto di alienazione a terzi o di distribuzione anticipata ai beneficiarî. Questi beni, come si diceva, sono completamente segregati; nessuna vicenda del disponente, del trustee o di un beneficiario potrà avere effetti sui beni del fondo in trust.

III. Deve esserci la previsione della DURATA. Limitati ai casi di trust di pubblica utilità, ogni trust dovrà necessariamente essere determinato entro un certo lasso temporale.

IV. Al termine del trust ci sarà la DEVOLUZIONE FINALE DEI BENI DEL FONDO. Il trustee trasferisce i beni ai soggetti indicati nell’atto istitutivo. Non è un automatismo; occorre che sia concretamente posto in essere un atto di adempimento traslativo da parte del trustee verso i beneficiarî, titolari di un diritto di credito.

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Tanti tipi di trust quante le situazioni della vita

TRUST CD. “AUTODICHIARATO”:

il trustee coincide con il disponente che continuerà a detenere i beni ma con

una veste diversa da quella precedente in quanto dovrà rispettare il vincolo che egli

stesso ha creato.

TRUST DI SCOPO: il trasferimento al trustee è

funzionale alla realizzazione di un fine. Lo scopo potrà

poi essere funzionale ad un fine di pubblico interesse

(es.: costruzione di un ospedale) o per uno scopo

privato (es.: realizzare la garanzia di un credito o

liquidare un debito).

TRUST CON BENEFICIARÎ: sono il contrario dei trust di

scopo. Il trasferimento è funzionale all’utilità di certi

soggetti decisi dal disponente che, al termine

della durata del trust, riceveranno il fondo in trust

con diverse possibilità quanto alle utilità ritraibili durante la vita del trust.

I TRUST POSSONO ESSERE FISSI O DISCREZIONALI. Nel primo caso attribuisce ai beneficiarî diritti predeterminati e non

modificabili sul reddito del trust. Nel secondo caso spetta al trustee se attribuire

benefici e a chi.

TRUST PROTETTIVI: la posizione del beneficiario cambia nel caso in cui la sua posizione dovesse essere giuridicamente incisa da pretese di terzi.

In un trust protettivo il beneficio non potrà essere inciso dai creditori.

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Situazione della vita da cui trae stura il trust: la richiesta di realizzare qualcosa di giuridicamente rilevante

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Tizio vuole incaricare Caio della realizzazione di un certo compito (es.: mantenimento della propria figlia disabile dopo la sua morte, amministrazione della società in quanto vuole ritirarsi a vita privata, realizzazione di un certo progetto per finalità filantropiche, compito di pagarlo per adempiere un debito offrendo una garanzia, …). All’uopo, generalmente, ha necessità di trasmettergli una certa provvista a ministero della quale Caio potrà occuparsi di portare a compimento l’incarico ricevuto. Infinite possono poi essere le variabili quanto alle modalità d’incarico; Caio potrà avere o meno un compenso, potrà avere indicazioni e vincoli più o meno cogenti, potrà essere prevista la sostituzione del soggetto incaricato, la morte potrà avere o meno effetti, potrà esserci la possibilità che certi soggetti indicati da Tizio abbiano la possibilità di sindacare le decisioni di Caio, … .

Tizio non può gestire personalmente l’incarico (per esempio perché affida

un compito da gestire dopo la propria morte).

Tizio potrebbe benissimo occuparsi personalmente dell’incarico ma per qualsiasi ragione decide di affidarsi

ad un terzo.

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Dunque: dalla constatazione che, in fondo, dietro al trust siede il conferimento di un incarico per la realizzazione di

uno scopo, si evince che il trust risponde a un’esigenza socialmente avvertita in ogni ordinamento da sempre

• Occorre capire un concetto fondamentale senza intendere il quale sarebbe inutile proseguire: i trusts, diversamente da quanto si potrebbe immaginare e spesso si sente dire senza fondamento, non hanno alcunché di bizzarro o di anomalo dal momento che rispondono ad un’esigenza sostanziale che è avvertita in qualsiasi ordinamento in ogni tempo. Se si pensa al caso esemplificato, non v’è ordinamento che non si sia occupato di dare una disciplina alla rilevanza e alle conseguenze della decisione di Tizio di servirsi della collaborazione di Caio per la gestione di una certa sua situazione sostanziale.

• Ogni diritto ha sempre dovuto coniare un “tipo sociale” per un “modello sociale” quale quello rappresentato dalla volontà di dare incarico ad un terzo per la gestione di un certo scopo.

• Si pensi, solo per fare un esempio, al mandato: è del tutto evidente che il mandato ha un’anima in comune con il trust; in entrambi i casi c’è un soggetto che dà incarico ad un terzo di realizzare qualcosa.

• LA COMPRENSIONE DEI TRUSTS POSTULA UNA RIVOLUZIONE COPERNICANA: NON SI TRATTA DI UNO STRUMENTO STRANO MA DI UNA SOLUZIONE SORPRENDENTEMENTE EFFICIENTE CHE RISOLVE ESIGENZE DA SEMPRE AVVERTITE.

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La peculiarità è che il trust dà una disciplina originale, che non ha surrogati in alcun altro

istituto al mondo, per la realizzazione dell’incarico Si preda il caso poco fa profilato: Tizio dà a Caio 100.000,00 euro da destinare al mantenimento della figlia diversamente abile; questo patrimonio sarà liberamente aggredibile da parte dei creditori di Caio e, soprattutto, la figlia non avrebbe strumenti particolari di efficiente tutela in caso di malagestio.

Da quanto si andati osservando si comprende dunque che l’“anomalia” del trust non consiste certo nella situazione della vita che si preoccupa di tutelare (che invece è tipica di ogni tempo e di ogni ordinamento).

La peculiarità consiste nel grado di tutela assicurata alla concreta realizzazione dell’incarico mediante la previsione della segregazione delle posizioni:

I beni in trust sono separati dal patrimonio personale del trustee e non fanno parte del suo regime patrimoniale o della sua successione;

I creditori personali del trustee non possono aggredire i beni del fondo in trust;

Il trustee è investito del potere e onerato dell'obbligo, di cui deve rendere conto, di amministrare, gestire o disporre dei beni secondo i termini del trust e le norme particolari impostegli dalla legge;

I beni in trust, trasferiti dal disponente al trustee, costituiscono una massa distinta e non fanno parte del patrimonio del trustee;

I beni in trust sono intestati a nome del trustee o di altra persona per conto del trustee.

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PERCHÉ I TRUSTS HANNO UN’EFFICIENZA E OFFRONO GARANZIE IGNOTE AGLI ISTITUTI TRADIZIONALI?

L’architrave costitutiva dei trusts (che ne imprime l’anima SCOLPENDONE IL DNA COSTITUIVO) è ESTRINSECATA dal fatto che i beni attribuiti in proprietà al trustee sono “SEGREGATI" rispetto alle posizioni giuridiche di tutti gli altri soggetti coinvolti nell’istituto e dunque non sono oggetto delle pretese di: A. creditori personali del trustee, giacché non rientrano nel suo regime patrimoniale matrimoniale né in quello successori; B. creditori del disponente perché non fanno più parte del suo patrimonio (salva l'ipotesi di revocatoria ordinaria e fallimentare); C. creditori dei beneficiarî sino a che costoro non ricevono tali beni dal trustee.

Questa segregazione patrimoniale perfetta rende i trusts diversi da qualsiasi altro istituto!

A CONDIZIONE, PERÒ, CHE SI CAPISCA CHE QUESTA SEGREGAZIONE NON È UNA PERVERSIONE FUNZIONALE ALLA FRODE DEI DIRITTI DI QUALCUNO

MA UN MECCANISMO UTILE PER RAGGIUNGERE CON MAGGIORE EFFICACIA ED EFFICIENZA RISULTATI ALTRIMENTI NON CONSEGUIBILI

TUTELANDO IN MODO PIÙ SEMPLICE. Laddove, nel diritto civile, servirebbe un infinito numero di previsioni, si

sostituisce un solo istituto.

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MA COME SONO NATI I TRUSTS E PERCHÉ SONO DIVENUTI COSÌ

IMPORTANTI?

Le considerazioni precedenti ci hanno fatto comprendere che, diversamente dagli altri istituti giuridici tradizionali, i trusts assicurano più efficientemente la possibilità che un soggetto riesca a far realizzare un proprio obiettivo a ministero dell’affidamento all’opera di un terzo.

In particolare, si è visto che, diversamente tutti gli altri istituti, non assicurano la segregazione patrimoniale ovvero non escludono che i beni possano essere aggrediti dai creditori di chi affida l’incarico, di chi lo riceve e del destinatario dell’utilità realizzata.

Queste considerazioni, però, possono sembrare inquietanti se non si capisce perché, ad un certo punto della storia inglese, si sia potuta legittimamente affermare una segregazione patrimoniale apparentemente così frustrante per la tutela dei diritti, appunto di questi terzi.

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INCOMPRENSIBILE LA FISCALITÀ DEI TRUSTS SE

NON SE NE CAPISCONO LE ORIGINI STORICHE

• È del tutto evidente che questa non può essere la sede per la trattazione della genesi del trust; si tratterebbe di un argomento difficilmente sunteggiabile, nella laconicità necessaria di poche pagine, quand’anche volessimo occuparci solo del tema storico senza considerare, invece, la questione che ci deve occupare, ovvero l’impatto fiscale del trust.

• Nondimeno, come è fisiologico che sia, l’imprenditore che voglia capire se il trust possa fare al caso suo, vuole capire, innanzitutto, cosa sia il trust e per farlo non può limitarsi a considerare le circolari dell’Agenzia delle Entrate. Soprattutto, il cliente vuole capire quale sia la “logica” insita nell’azione di trasferire la proprietà al trustee. Secondo la nostra mentalità, infatti, il trust non ha alcun senso essendo anzi un inutile e pericoloso orpello.

• Per questo, prima di considerare i temi fiscali, occorre comprenderne la genesi storica.

Chi voglia capire l’impatto fiscale dei trusts senza comprenderne la natura e il funzionamento, nella migliore delle ipotesi incorrerebbe in equivoci, nella peggiore commetterebbe gravi errori.

Non è possibile capire il trust se non si va alle sue radici storiche: occorre capire che senso abbia, altrimenti non si riesce a darvi un significato logico.

Se non si va alla radice del fenomeno, e non si comprende bene come l’evoluzione nel tempo abbia creato dei meccanismi di tutela, si ha la sensazione di un istituto insicuro da cui guardarsi invece che confidarvi.

Segnatamente, non si comprende il trust senza lo studio delle regole petitorie del sistema feudale inglese.

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Per capire il trust oggi bisogna partire dall’Inghilterra medievale e dalle regole petitorie

Tutte le apparenti incongruità logiche insite nei trusts sono invero agilmente confutabili se si pone mente alla tipica scissione, insita in ogni diritto di proprietà durante il Medioevo inglese, tra diritti facenti capo a soggetti posti su una diversa scala della piramide sociale.

Segnatamente, è impossibile comprendere la nascita del trust se non si muove dalla distinzione tra proprietà regia (che fonda il “to own”) e la detenzione su concessione della piramide feudale (che origina il “to hold”); nel diritto inglese la proprietà non passa attraverso la mera manifestazione del consenso ma a ministero dell’investitura. E l’investitura avviene in virtù di un vincolo fiduciario: Tizio vuole che sia proprietario di quel bene Caio che, però, non lo detiene per se stesso-

Sullo stesso bene si stratificano, insomma, da un lato il dritto di proprietà, apparentante al Re in ultima istanza, a latere, dall’altro, del fascio di diritti attribuito all’interno della gerarchia feudale nella piramide progressivamente discendente.

L’origine dei trusts va appunto ricondotta a questa stratificazione di diritti che vertono tutti sullo stesso bene e sulla “fiducia” dell’affidamento della proprietà ad un soggetto che amministra il bene mai nell’interesse proprio.

Il conio dell’istituto afferisce, geneticamente, alla risoluzione delle problematiche delle successioni immobiliari nell’Inghilterra medioevale nonché alle necessità di consentire a gruppi ecclesiastici che avevano fatto voto di povertà di potere detenere indirettamente la proprietà dei beni.

In un contesto in cui la proprietà non è mai di chi ha il bene, occorre creare una tutela di situazioni di diritto che coevamente insistono.

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Trust vuol dire fiducia e la fiducia è il viatico dell’equità

Come si diceva NON è possibile affrontare gli aspetti fiscali del trust se non si capisce, una buona volta, che il trust, per sua natura, non solo non tollera di essere assimilato alla fenomenologia dell’elusione ma anzi, ontologicamente, nasce e si sviluppa in Inghilterra per dare soluzione ai “problemi di coscienza”, ovvero per potere superare, in virtù dell’equità, le deficienze e le lacune del diritto positivo.

La genesi del trust gemina appunto dalla necessità per la Corte del Cancelliere (che ha un fondamento religioso, e dunque etico, afferendo al Cancelliere che è anche confessore del Re) alle violazioni di obbligazioni fiduciarie da parte del destinatario di un’attribuzione causa fiduciae.

E allora, per dare stura ad una soluzione operativa, “l’equità” dà vita ad una nuova figura, appunto il trust, in cui un soggetto ha la proprietà di un bene ma non nell’interesse proprio ma, appunto, in quanto “fiduciario” di un terzo che è titolare di una posizione “beneficiaria” ovvero del potere di chiedere conto dell’amministrazione effettuata.

E proprio la codificazione dell’equità ha richiesto che la posizione “fiduciaria” fosse segregata espungendo il pericolo che i diritti di terzi potessero tangere esecutivamente i beni che questo nuovo proprietario ha in proprietà sia pure soggiacendo ad una serie di obbligazioni nell’interesse di un terzo.

Non v’è chi non veda che tutto questo non solo non sia funzionale all’elusione ma, appunto, sia connaturale alla realizzazione della Giustizia.

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I trusts sono nati per risolvere i problemi del loro tempo e si sono poi riusciti ad affermare nei secoli

Da un lato v’era il diritto comune (common law) su base casistica, fondanate i rights in law, caratterizzata da un forte formalismo del precedente che vota il giudice, che non ha poteri di adattamento della legge al caso concreto, ad esprimere una tutela inattuale. Il giudice si trova di fronte ad un caso concreto che deve avere preconfezionato nei precedenti un principio da applicare.

Problema: per esempio non esiste una tutela di fronte all’ingiustificato arricchimento; che fare, di fronte ad un caso in cui Tizio sia stato percettore di una ricchezza che non avrebbe dovuto avere, nell’assenza di una possibilità di tutela?

Per far fronte a questo vincolate formalismo della common law, si forma il sistema dell’equity che gemina dalla prassi dei privati che rimanevano privi di tutela nel diritto comune di rivolgere le loro istanze di giustizia direttamente al Re; queste sentenze di giustizia regia sono emesse dal Lord Chancellor (il confessore del re).

Attraverso l’equity nasce la possibilità di dare una tutela perfettamente cucita sulle esigenze specifiche.

Nel sistema di equity nasce il trust. www.responsa.ch - www.mfd-geie.org 62

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Esempio concreto del contesto in cui intervengono storicamente i trusts

Si pensi alla violazione, da parte di Caio, dell’obbligo di non alienare un certo bene comprato da Tizio.

Caio vende a Sempronio con la conseguenza che Tizio cita avanti al Giudice inglese il proprio compratore sostenendo di essere stato danneggiato dalla violazione del patto con cui era stata vietata l’alienazione.

Questo Giudice ha una risposta preconfezionata nei precedenti. Segnatamente, nel diritto delle Corti, il bene sarebbe di proprietà di Sempronio in quanto, dal suo punto di vista, la proprietà è correttamente passata. A questo punto, Tizio, che nel sistema di diritto civile non riceve tutela diversa dal mero risarcimento del danno, rivolge la sua domanda all’equity; la soluzione secondo equità è appunto quella di considerare Sempronio quale proprietario del bene ma con le stesse obbligazioni di destinazioni che sussistevano in capo a Caio in dipendenza dell’atto di trasferimento fiduciario posto in essere dal venditore.

L’equity tutela il tradimento della fiducia costituendo un trust: Sempronio sarà trustee di Tizio. Lo stesso esempio può valere nel caso del contratto annullabile; il contratto sarebbe stato perfetto sotto il profilo dalla validità formale ma ha un elemento che lo inficia. Anche in questo caso la proprietà del bene è passata ma, da un punto di vista equitativo, c’è il tradimento di una posizione fiduciaria. Anche in questo caso la soluzione è, sia pure ancora embrionale, la costruzione pretoria di un trust: chi è divenuto viziatamente proprietario lo sarà nell’interesse del titolare sostanziale.

È su queste basi che, generalizzando progressivamente questi prodromi, viene plasmandosi l’istituto dei trusts.

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Il trust nasce dalle regole di coscienza e si sviluppa come architrave dell’Equity: è la

risposta della Corte di Cancelliere, amministrata da un religioso con un chiaro fondamento etico di fondo come soluzione alternativa alla decisione che avrebbe dato il Giudice di

Diritto Civile. Il trust è il diritto reale che risponde a quelle situazioni, esempio tipico l’ingiustificato arricchimento, che il diritto civile non conosceva e che, in difetto del trust, sarebbero

rimaste prive di tutela. È importantissimo che, inviso a quello che sarebbe potuto essere storicamente, il trust non sia stato attratto nel novero dei contratti nascendo, e storicamente rimanendo, un

diritto reale; un contratto, infatti, per sua natura: a) Non tollera, o comunque lo consente entro limitazioni estremamente rigorose, che ci sia un intervento del Giudice per una più congrua definizione degli interessi delle parti; b) è informato dal principio della possibilità, per le parti contraenti, di disfarsi della loro originaria volontà. Ma il trust non può fare nulla di tutto questo per l'esistenza di una

posizione beneficiaria. Uno degli aspetti più interessati, e al contempo più difficili da comprendere per il giurista tradizionale, è che il trust non è un contratto; poteva benissimo esserlo o diventarlo, ma

così – felicemente – non è stato.

Ecco perché l’idea che il trust possa servire come strumento di frode è frutto di un equivoco maldestro che non ha alcun fondamento.

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Dall’Inghilterra medioevale alla Convenzione dell’Aja del 1/07/1995: il trust ha da tempo fatto ingresso anche in Italia

Ovviamente, nel corso dei secoli, il trust ha subito una progressiva evoluzione ad opera della giurisprudenza inglese; da strumento per consentire di superare le problematiche insite nella proprietà feudale, il trust è oggi l’arcitrave di un sistema di situazioni che permeano qualsiasi settore dell’economia e del diritto angloamericano.

L’evoluzione, nondimeno, non ha mai inciso modificando l’anima del trust che, oggi come allora, chiede di trovare la soluzione più giusta, e se vogliamo anche la più semplice, rispetto al caso specifico. Ed in effetti, come si è visto, la soluzione cui di fatto perviene l’equità inglese è estremamente più semplice (se si vuole quasi banale) rispetto alle invece complicatissime ed articolate soluzioni cui condurranno le codificazioni nella storia del diritto civile europeo.

Certo, nel corso della storia del diritto inglese, l’originaria necessità di rispondere al problema etico è stata irrobustita ed arricchita, a latere, dalla capacità dei trusts di risolvere le più disparate situazioni della vita tanto che, oggi, i trusts imperniano di fatto qualsiasi situazione.

Va da sé che, del diritto dei trusts, in quanto istituto proprio del diritto inglese, non vi sarebbe possibilità di occuparsi utilmente se non fosse che, dal 01/01/1992, ha vigore in Italia la Convenzione dell’Aja adottata da vari Paesi sulla legge applicabile ai trust e sul loro riconoscimento.

Si tratta di una Convenzione internazionale (l’Italia è stato il primo Paese europeo di diritto civile a ratificarla) di diritto internazionale privato che contiene un nucleo di norme uniformi che non disciplina la legge applicabile quanto piuttosto dettando una disciplina uniforme per tutti gli Stati aderenti in materia di effetti minimi di un trust che gli Stati si obbligano a riconoscere.

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Segue: da un trust inglese ai trusts del modello internazionale

Per quanto riguarda il ricorso al trust in Paesi, come l’Italia, privi di una legge sostanziale regolatrice, va posta attenzione al fatto che il trust interno parla sempre meno l’inglese d’Inghilterra essendo notoriamente diffuso il ricorso alle leggi del cd. “modello internazionale” ovvero di quei Paesi che hanno introdotto una loro legge sul trust.

In concreto, infatti, il ricorso ad un ordinamento, qual è quello inglese, fondato sui precedenti e privo di una legge organica, rende il ricorso al diritto inglese sempre più infrequente (salvo che in casi specifici in cui l’ordinamento inglese vada preferito per ragioni particolari) in quanto scarsamente comprensibile per il cliente di diritto civile e difficilmente impiegabile dal professionista di diritto civile con scarsa esperienza di trust.

Nella prassi, i consulenti italiani in particolare sono piuttosto adusi a suggerire il ricorso ad altri modelli (il cd. modello internazionale) i cui principî, in luogo che essere cristallizzati dai precedenti di origine pretoria, sono condensati in una legge applicabile (es.: legge di Guernsey o di Jersey). Tale tendenza, come si diceva, è certamente di notevole utilità pratica anche per la comprensione del cliente: tutto quello che c’è da sapere, infatti, è condensato in un testo agilmente reperibile e consultabile.

Va detto, peraltro, che le leggi del modello internazionale, con l’utilità di cui si dirà, tendono ad essere sempre più parche delle originarie limitazioni poste dall’ordinamento inglese (per esempio hanno la tendenza ad una certa compressione della posizione beneficiaria). Anche sotto questo profilo, dunque, il ricorso ad una legge diversa da quella dell’ordinamento inglese può rivelarsi come particolarmente utile per il fausto perseguimento degli obiettivi del disponente.

Peraltro, se è indubbia la tendenza alla competizione regolamentare per sfornare la legge potenzialmente più capace d’intercettare gli interessi finanziari internazionali, non va certo creduto che le leggi del modello internazionale siano sol per questo di scarsa serietà. V’è anzi una tendenza (si pensi alla legge sui trusts di San Marino o delle Isole del Caimano) all’introduzione di varie fattispecie foriere di responsabilità penale del trustee che non sono codificate nemmeno dal diritto inglese. Dunque il ricorso ad una legislazione del modello internazionale merita di essere effettuata con cura, solo laddove si presti a servire più efficacemente le volontà del disponente, non certo al servizio di intenti meno che leciti.

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In Italia non esiste una legge sui trusts ma esiste la libertà di scegliere la legge straniera preferita

La ratifica senza riserve della Convenzione internazionale sul riconoscimento dei trusts ha dato ingresso, anche in Italia, alla libertà d’istituire i trusts pure in assenza di elementi di collegamento con un ordinamento straniero (cd. trust interno).

Nondimeno, dal momento che non esiste una legge italiana di disciplina dell’istituto, chi voglia istituire un trust in Italia deve necessariamente scegliere quale legge applicabile quella di uno dei tantissimi ordinamenti che disciplinano il trust.

In buona sostanza, lo stato dell’arte fa sì che manchi una legge italiana ma che ciascuno abbia la piena libertà di dare al proprio trust, che nella maggior parte dei casi sarà istituto da cittadini italiani, avrà sede in Italia e avrà per beneficiarî cittadini italiani, la disciplina offerta dalla legge che pare meglio tutelare le necessità concretamente avute per iscopo nel singolo caso.

Peraltro, va stressata l’importanza del numero di leggi che possono essere scelte; negli ultimi anni, infatti, v’è stata un’importantissima fioritura, soprattutto in seno ai paesi del Commonwealth, di nuove leggi sui trust; ciascuna specificamente geminante dalla necessità di dare risposte a specifiche problematiche avvertite dagli operatori.

Moltissimi ordinamenti (si pensi ai Bailati delle Isole del Canale, Cipro, Malta, Belize, Isole Vergini Britanniche o Isola del Caimano), comprendendo l’importanza dei trusts, hanno dato vita ad una vera e propria “concorrenza regolamentare” onde attirare gli investimenti degli operatori internazionali; in buona sostanza, ciascun ordinamento ha compreso che l’istituzione di una legge sui trust costruita sul modello dei desiderata degli operatori poteva essere il viatico per la attirare capitali internazionali.

Storicamente, questa concorrenza a creare la “legge preferita” in quanto maggiormente rispondente alle necessità degli operatori ha comportato la mutazioni di destini nazionali: si pensi al cd. miracolo delle Isole del Canale che, proprio grazie all’istituzione di una delle più note leggi sui trusts hanno stravolto l’economia locale.

Si parla, in questo senso, di leggi “del modello internazionale” appunto per suggerire evocativamente una crasi tra l’originario modello dell’equity inglese in antitesi alle leggi “ad hoc”.

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A dispetto dell’assenza di una legge italiana che regoli la disciplina del trust, vi sono nondimeno varie fonti di diritto che se ne occupano

Il fatto che, ad oggi, (ancora) manchi una legge italiana sulla disciplina dei trusts, non deve far cadere nell’equivoco di credere, perché sarebbe un grave errore, che si tratti di un fenomeno sconosciuto al nostro ordinamento.

Al di là della legge di ratifica che ha dato ingresso all’istituto in Italia, infatti, svariate sono le fonti di diritto che si occupano di trust. In particolare, si evidenziano:

La legislazione tributaria: la legge finanziaria 2007, all’art. 1, commi 74-76, disciplina le imposte indirette introducendo una specifica normativa fiscale in tema di trust. Non v’è chi non veda che, ammesso che ne potessero ancora esistere, tutti i dubbi sull’ingresso di un trust puramente interno in assenza di collegamenti sostanziali con ordinamenti stranieri, sono oramai definitivamente abortiti dalla patente della legislazione fiscale;

Varie circolari dell’Agenzia delle entrate (di cui la più importante è la n. 48/E del 06 agosto 2007 ma ve ne sono di degne di note anche nel 2012);

La giurisprudenza: sin da subito, e con limitatissime eccezioni, la giurisprudenza di merito ha mostrato molto chiaramente una nettissima posizione di favore al trust in Italia. Dalla ratifica della Convenzione dell’Aja ad oggi, di fatto, non si contano più le sentenze che hanno superato tutti i dubbi paventati.

La giurisprudenza tributaria (ancor più significativa di quella civilistica); La dottrina che, salve sporadiche eccezioni, ha con netta prevalenza da subito compreso le enormi

potenzialità del trust in Italia; Gli studi dell’ABI che, sin dagli anni ‘90, si è dimostrata ben favorevole, per esempio, all’istituzione di conti

correnti a nome del trust o del trustee; Provvedimenti CONSOB; Studi del Notariato. Prassi notarile.

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L’assenza di una legge italiana è un ostacolo all’istituzione di un trust interno?

È piuttosto fisiologico che l’operatore italiano, di fronte all’assenza di una legge italiana, nutra ben più d’un’inquietudine; il ricorso ad una legislazione necessariamente straniera, infatti, pare costituire una complicazione foriera d’insidie. Del resto, come dicevano, nel dialogo con il professionista spesso il cliente non è confortato, sotto questo profilo, in quanto è proprio il consulente ad essere deficiente di conoscenze tanto da assumere la propria incompetente esperienza quale parametro per evincere una difficoltà che invece non dovrebbe esistere.

Vorremmo dunque stressare che:

a) Ciascun professionista avveduto non può concepire come problematico il ricorso ad una legge straniera per la semplice ragione che l’odierna internazionalizzazione dei traffici economici ha di fatto costretto da tempo al confronto con legislazioni di altri diritti. Quello della legge straniera, dunque, non può essere un problema.

b) In ogni caso, il necessario ricorso ad una legge straniera può, se del caso, essere un problema soggettivo connesso alle deficienze individuali del professionista e non certo essere una difficoltà oggettiva relativa all’istituto dei trusts.

c) Soprattutto, però, va correttamente inteso che la necessità di scegliere una delle innumerevoli leggi sui trusts, lungi da non essere un problema, è invero una delle ragioni di maggiore forza dei trusts. Ed infatti, proprio nella facilità di trovare una legislazione specificamente costruita per le necessità individuali consente di trovare soluzioni sempre più efficienti per i singoli casi.

Certo, va da sé che la moltiplicazioni delle leggi onera il consulente allo studio di un crescente numero di diritti con la conseguente chiamata ad un costante aggiornamento. Ancora una volta, però, questo è un fattore di potenzialità positiva e non certo una limitazione oggettiva.

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AVVERTENZA SULLE LEGGI OFFSHORE: IL FATTO CHE LA LEGGE APPLICABILE SIA DI UN PAESE OFFSHORE NON IMPORTA CHE LO SIA ANCHE IL TRUST

A proposito della libertà di scelta della legge applicabile, preme un’osservazione che nasce da alcuni equivoci che si sentono spesso citare.

Si è detto che, almeno dalla conclusione della Seconda Guerra mondiale, uno degli strumenti utilizzati da moltissimi ordinamenti del Commonwealth (es.: Bahamas, BVI, Isole del Caimano) è consistito nell’introduzione di una legislazione sul trust, progressivamente sempre più parca delle limitazioni originariamente previste dal diritto inglese, onde cercare di attirare investimenti stranieri. Ne è un preclaro esempio il caso delle Isole del Canale: la legge di Jersey è oramai una leading law.

Ne è derivata (con il beneplacito della Gran Bretagna che in questo modo poteva ridurre i propri costi per i contributi a queste economie), un’enorme concorrenza di legislazioni offshore per sfornare la legge preferita degli investitori espungendo tutti i tradizionali limiti propri del diritto inglese (es.: nel diritto inglese non era consentito il trust di scopo non caritatevole).

Orbene, come noto, in molti trusts interni italiani è spesso fatto ricorso a queste leggi (per esempio è soventemente fatto ricorso al Vista trust BVI). Questi trusts, diversamente da quanto spesso si crede, nella maggior parte dei casi, nondimeno, non hanno nulla di offshore nel senso che la legislazione offshore è assunta a legge regolatrice di un trust che, concretamente, avrà trustee italiano per beni in Italia. Dunque, a ben vedere non esiste alcun automatismo per potere qualificare come offshore un trust che sia regolato da una legge offshore.

In particolare, potrà essere scelta una legge, per esempio quella delle Isole del Caimano, per esempio perché si vogliono comprimere i diritti d’informazione della posizione beneficiaria, senza che il trust abbia alcunché di connesso alle notorie specificità di quell’ordinamento da un punto di vista fiscale.

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L’ampiezza della libertà di scelta rende evidente la responsabilità del consulente

Sulla questione della legge applicabile si è volontariamente inteso indugiare per stressare un concetto importantissimo; il consulente del disponente ha un ruolo particolarmente pruriginoso potendosi prestare a ogni tipo di risultato.

L’ampiezza della libertà nella scelta della legge applicabile, che si è visto potere spaziare tra svariate decine di possibilità, rende assolutamente evidente quanto è delicato il ruolo del consulente nel dovere di fornire al disponente gli elementi per la costituzione del trust più adatto alle specificità della fattispecie; la possibilità di scegliere il tipo di trust secondo modelli quanto mai diversi quanti per esempio sono, si pensi, i Paesi che conoscono il trust (con la specificazione che nel caso degli Stati Uniti la scelta potrebbe ricadere sulle offerte dei vari ordinamenti federali), dimostra che il consulente può articolare il trust in modo completamente diverso a seconda del caso.

Ovviamente questo postula che si giunga al grado di competenza necessario per potere maneggiare vari ordinamenti (ed oggettivamente non è un obiettivo di portata immediata postulando un’esperienza nella materia importante).

Va posta particolare attenzione in quanto talune legislazioni, per esempio quella del Caimano, come si diceva prevedo ipotesi di responsabilità penali nel caso in cui questa legge sia usata senza nominare un trustee autoctono; anche sotto questo profilo non v’è chi non veda la delicatezza del ruolo del consulente. Spesso, infatti, si pone con troppo entusiasmo l’accento su taluni vantaggi di una certa legge senza considerare adeguatamente tutte le potenzialità insite nella scelta.

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PRIME CONCLUSIONI: NESSUNA DIFFICOLTÀ AL TRUST INTERNO

Dunque, diversamente da quanto potrebbe dapprincipio apparire, non solo l’assenza di una legge regolatrice non costituisce un problema ma, paradossalmente, è una risorsa che rende i trusts financo più utili di quanto non siano nei Paesi di diritto inglese.

La libertà degli operatori in un Paese la cui legge non conosce il trust, infatti, è praticamente illimitata potendo sostanzialmente scegliere come plasmare l’assetto d’interessi da realizzare a ministero del trust in un ventaglio d’innumerevoli soluzioni possibili. E in questo senso le potenzialità dell’istituto sono enormemente valutate; le leggi del cd. modello internazionale, infatti, presa coscienza della potenzialità di attirare investimenti stranieri, hanno cercato di fornire modelli operativi particolarmente agili anche attraverso il superamento di quelle limitazioni imposte dal modello britannico.

Ne consegue che, oggi, molte delle regole dei trusts affermatesi nel diritto inglese saranno oggetto di possibile declinazione in concreto.

Per esempio, le leggi del modello internazionale tendono a comprimere notevolmente i diritti d’informazione spettanti ai beneficiarî (che invece, nel modello inglese, sono di fatto ben poco limitabili). Ma non v’è chi non veda che proprio la limitazione dell’informazione sia uno strumento per l’efficienza dei trusts. Si pensi, a mo’ di esempio, all’imprenditore, padre di un figlio minorenne, che voglia istituire un trust evitando che costui abbia notizia di essere beneficiario di un fondo milionario. S’immagini che il padre tema che, a cagione dell’eventuale notizia del fondo, appena raggiunta la maggiore età il figlio potrebbe non essere incentivato a crearsi una posizione. Ebbene proprio la limitazione ai diritti d’informazione, in questo caso, costituisce un viatico affinché il trust possa in concreto manifestare la propria efficienza. Tale risultato è appunto conseguibile scegliendo a legge applicabile, per esempio, la legge cipriota che postula appunto la libertà del disponente nel comprimere a suo piacimento i poteri d’informazione.

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Avvertenza metodologica: il trust opererà sempre in via sussidiaria per sopperire alle lacune del diritto italiano e nei limiti in cui i risultati raggiunti siano consentiti

dal nostro ordinamento

Le premesse non devono tuttavia trarre in inganno; il fatto che l’assenza di una normativa italiana non sia latrice di conseguenze pregiudizievoli al ricorso al trust, non supera l’ovvia constatazione del fatto che, in quanto istituto straniero, IL TRUST POTRÀ TROVARE INGRESSO IN ITALIA NEI SOLI CASI IN CUI, A MINISTERO DEL RICORSO AD UNO STRUMENTO TIPICO DISCIPLINATO DAL NOSTRO DIRITTO, O NON SIA POSSIBILE RAGGIUNGERE IL RISULTATO ASSICURATO DALL’USO DEL TRUST O, PARIMENTI, NON SIA POSSIBILE RISOLVERE LA SITUAZIONE CONCRETA CON LO STESSO GRADI DI EFFICIENZA.

Detto più concretamente, il ricorso al trust potrà avvenire solo nel caso in cui o si consegua un risultato

non altrimenti raggiungibile (nel senso che la legge italiana non prevede un istituto di pari efficienza pure se l’assetto di regolamentazione del rapporto sarebbe tutelabile dal nostro ordinamento);

legittimo secondo la legge straniera assunta come regolatrice del trust;

non in contrasto con i principî del nostro ordinamento.

Dunque non esiste ricorso al trust se esiste uno strumento di diritto italiano idoneo.

Alla luce del costante rapporto con una legge straniera, a ben vedere, non ha alcun senso l’affermazione, per il vero improvvida e puerile, per cui il trust potrebbe ledere i diritti dei creditori. Non v’è chi non veda, infatti, come nessun ordinamento possa compromettere i diritti dei creditori attraverso una specie di formula magica che possa frodare i legittimi diritti dei terzi. È anzi assolutamente evidente che, nella maggior parte dei casi, la scelta cade su ordinamenti, quali quello inglese, che notoriamente non sono noti per la loro blanda tutela dei diritti dei creditori.

Viepiù questo ragionamento vale se si considera che in nessun caso esiste un trust che potrebbe resistere, nel suo ordinamento autoctono, quando la pretesa del disponente sia quella di eludere delle norme di applicazione necessaria in materia, per esempio testamentaria.

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Concretamente, il requisito della sussidiarietà è spesso una mera esercitazione accademica

Il principio per cui i trusts possono trovare ingresso solo in via rigorosamente sussidiaria per coprire le lacune dell’ordinamento (detto altrimenti i trusts avranno ingresso perché servono e non perché piacciono), è correttissimo sotto il profilo formale ma, purtroppo, votato a tradursi in un’esercitazione meramente scolastica votata alla mera accademia. Infatti, in concreto, sarà ben difficile trovare un istituto tipico che disciplini quella certa situazione sostanziale con la stessa efficienza dei trusts. È oramai ius receptum che i trusts selezionano interessi meritevoli di tutela e che li proteggono meglio di quanto faccia o possa fare il nostro diritto interno; operativamente, sarà alquanto improbabile che si trovi uno strumento, tipico o atipico, che assicuri la tutela garantita da un trust.

Questa specie di codificazione a mo’ di teorizzazione generale, ovviamente, non esenta il consulente dalla dimostrazione, in concreto, di quale sia il vantaggio del trust sulle figure tipiche impiegabili in quanto funzionalmente compatibili.

La puntualità con cui il consulente adempierà a questo onere farà in modo che sia sempre vigile la consapevolezza del fatto che il ricorso al trust non avvenga mai per mero esotismo giuridico ma solo per il migliore efficienza nella tutela della situazione sostanziale.

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Un esempio in concreto della metodologia al trust secondo il principio della residualità

Ipotesi portata all’attenzione del consulente: i soci di una certa società intendono dare vita ad una regolamentazione dell’esercizio del diritto di voto.

Il consulente, in prima battuta, dovrà sottoporre all’esame dei soci la creazione di un patto parasociale. I soci non accolgono il suggerimento dal momento che la soluzione non li soddisfa: la mancanza di effetti reali e, per l’effetto, d’assenza di conseguenze in caso di violazione delle intese concertate, rende la soluzione inadatta rispetto alle esigenze dei soci.

A fronte della perplessità dei clienti, il disponente proporrà, per esempio, l’intestazione ad una società fiduciaria delle azioni sindacate; anche in questo caso, però, la soluzione non è gradita dai clienti; l’intestazione ad una fiduciaria consente pur sempre di ricondurre l’apparenza delle partecipazioni sociali all’effettivo titolare con l’effetto che le stesse potranno essere affettate dalle vicende debitorie del titolare effettivo. In particolare, i clienti non sono per nulla soddisfatti a motivo del fatto che l’esercizio del diritto di voto potrà subire le alterazioni conseguenza di eventuali procedure promosse dai creditori sulle partecipazioni sindacate piuttosto che delle misure penali a carico di soci sindacanti destinatari di provvedimenti di sequestro o confisca.

Compreso che tutte le soluzioni tradizionali sono foriere d’insidie, il consulente propone un voting trust. È la quadratura del cerchio rispetto a tutte le esigenze dei clienti; ma a questa soluzione favorevole all’istituzione di un trust si può aggiungere solo sappoiché se ne è dimostrata la scelta residuale, a fronte dell’inefficienza di tutte le soluzioni alternative impiegabili.

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Altro esempio d’operatività del trust (sempre volendo essere informati dal principio di residualità)

L’imprenditore Tizio espone al proprio avvocato d’intendere chiedere un mutuo al fine di potere costruire un nuovo capannone.

La soluzione tradizionale è, chiaramente, quella di dare vita ad un mutuo di scopo (per tale dovendosi intendere il finanziamento erogato in vista della realizzazione di un certo obiettivo da parte del mutuatario).

La Banca, in casi come questo, ha nondimeno un problema serio: la somma mutuata entra a far parte del patrimonio di Tizio con la conseguenza di potere essere liberamente aggredibile da parte dei suoi creditori.

Ecco soddisfatto il principio di sussidiarietà necessaria alla mancanza di una tutela tipica parimenti efficiente:

La Banca eroga il mutuo a Tizio nella qualità di trustee di un trust,;

La somma erogata, essendo distinta e non confondendosi con il patrimonio di Tizio, sarà impiegata dal trustee allo scopo programmato;

Una volta realizzato il capannone, lo stesso sarà dato in affitto a Tizio che e i canoni di affitto saranno impiegati dal trustee per pagare il mutuo;

Estinto il mutuo il trustee attribuirà, alla conclusione del trust, la proprietà del capannone a Tizio.

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CONCLUSIONI SULLA PRESUNTA NATURA ELUSIVA DEI TRUSTS

Le opinioni sul fatto che i trusts sarebbero mezzi di elusione sono delle stupidaggini senza senso, fatte circolare da soggetti che, evidentemente, mostrano NON solo di NON conoscere i trusts e, SOPRATTUTTO, di non essere nemmeno avveduti in generale; come si fa a credere che il ricorso ad uno strumento del diritto anglo-americano consenta di eludere le norme o i diritti dei creditori?

Sia pure questo argomento (piuttosto icastico ed anzi di plastica evidenza) dovrebbe essere già ampiamente sufficiente, in ogni caso valga la considerazione del fatto che, come si è detto, il giudizio di meritevolezza per l’ingresso in Italia di un trust deve sempre essere doppio: dovrà essere pienamente conforme alle prescrizioni della legge applicabile straniera e non dovrà essere foriero di conseguenze incompatibili con principî di ordine pubblico di diritto interno.

Orbene non v’è chi non veda che, quand’anche esistesse una legge che dovesse consentire legalmente la frode dei creditori (e non ne conosciamo), all’evidenza questo trust non sarebbe comunque riconoscibile.

Ne consegue che tutti i dubbi che sono stati ipotizzati contro i trusts non hanno alcun senso. Salvo, appunto, che in malafede non si vogliano sostenere, per interessi di bottega, tesi contrarie ai trusts.

Anche a tacere del fatto che il trust non sarebbe riconoscibile, non va inoltre dimenticato che i creditori avrebbero “facile” gioco ad esperire l’azione revocatoria se i loro diritti fossero stati compromessi.

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Nondimeno è evidente che, sia pure revocabili per natura, i trust reggono meglio le “contromisure” dei creditori: il

confronto con il fondo patrimoniale

L’argomento che andremmo ora ad esporre è cruciale; si è detto che il trust non si presta all’elusione dei diritti dei creditori in quanto quel trust sarebbe NON RICONOSCIBILE e, comunque, potrebbe essere fatto oggetto di AZIONE REVOCATORIA ORDINARIA O FALLIMENTARE.

Nondimeno è vero che, in concreto, al creditore sarà ben più facile vincere l’azione revocatoria promossa, per esempio, contro il fondo patrimoniale che contro un trust. Questa conseguenza, nondimeno, è del tutto connaturale al fatto che, diversamente da molti istituti “nostrani”, i trusts hanno un maggior grado di trasparenza, prediligono la corrispondenza dell’apparente all’essere in luogo degli artifici simulati, la presenza di un reale affidamento.

Segnatamente, ogni trust familiare, per esistere, ha un programma, un affidamento fiduciario, la presenza di un beneficiario. Nella stessa situazione un fondo patrimoniale non avrebbe, se non tutti e tre gli elementi, almeno certamente gli ultimi due. Certamente, infatti, il fondo patrimoniale non istituisce una posizione beneficiaria (il figlio non può chiamare i genitori a rendere conto della gestione dei beni in ipotesi destinati all’interesse della famiglia) e, soprattutto, non è foriero di poteri fiduciari in quanto nulla vieta ai coniugi, per esempio, di confondere la posizione dominicale con quella gestionale.

Orbene, dalle premesse, è evidente che sarà estremamente più semplice, a colui che abbia istituto un trust, motivare la propria decisione rispetto ha chi ha creato un fondo patrimoniale. Questo, insistiamo, però, è un portato della maggiore trasparenza dei trusts, non certo un effetto del fatto che siano uno strumento votato all’elusione o alla frode.

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I soggetti del trust: il disponente

Il primo dei soggetti da prendere in considerazione è ovviamente colui che dà vita al trust ovvero, e il suo nome è abbastanza evocativo della sostanza, il disponente.

a) Non ci sono limitazioni soggettive; chiunque può dare vita ad un trust (persona fisica o giuridica che sia).

b) Il disponente è colui che trasferisce un diritto al trustee; potrà essere il proprietario del diritto (come generalmente avviene) o anche solo colui che è legittimato a disporne (si pensi all’esecutore testamentario).

c) Entro i limiti della legge regolatrice da lui scelta, il disponente ha completa autonomia nella determinazione delle condizioni di vita del trust e nella determinazione di ogni previsione circa il suo funzionamento. Ovviamente, di solito, il disponente detta le sue condizioni al consulente che sarà incaricato di tradurre le volontà del cliente nella redazione di un atto istitutivo di trust con esame anche delle conseguenze fiscali di ogni scelta.

d) Nella generalità dei casi, soprattutto nei casi di maggiore complessità (es.: passaggio generazionale dell’impresa) il disponente è solito riservarsi delle prerogative; ne sono esempi:

Riserva di usufrutto a se stesso trasferendo la mera nuda proprietà al trustee; Il disponente si autonomina guardiano del trust; Il disponente si autonomina trustee (cd. Trust auto-dichiarato) del fondo in trust; Dispone di essere beneficiario dei frutti (sarebbe gravemente anomalo che il disponente si nomini

beneficiario anche del fondo, è una possibilità da sconsigliare fortemente); Prevede una propria facoltà d’intervento nell’atto istitutivo potendo apportare delle modifiche al

trust o riservandosi la nomina dei beneficiarî Invia al trustee le cd. “lettere dei desideri” ad esegesi dell’atto istitutivo (anche per potere rendere

sempre attuale il suo legame con il trust).

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I soggetti: il trustee Il trustee diviene proprietario, nell’interesse dello scopo del trust, del fondo in trust; il suo compito è

quello di amministrare i beni coerentemente rispetto al programma impresso dal disponente.

Il trustee è completamente estraneo all’atto volitivo che dà vita al trust; non è parte dell’atto istitutivo che, come detto, si risolve in un atto di dichiarazione unilaterale del disponente.

Nella scelta del trustee il disponente ha la massima discrezionalità; il trustee può essere infatti una persona fisica di fiducia, una fiduciaria o, come avviene sempre più spesso, una trust company.

L’atto istitutivo prevede poteri, diritti ed obblighi del trustee regolamentando anche la sua successione nell’ufficio e la sua durata.

Il compenso del trustee, se compenso c’è, è previsto e concretamente determinato nell’atto istitutivo.

I beni costituiti in trust:

• non sono aggredibili dai creditori personali del trustee;

• non concorrono alla formazione della massa ereditaria del defunto in caso di morte del trustee;

• non rientrano, ad alcun titolo, nel regime patrimoniale legale della famiglia del trustee, qualora, ovviamente, quest’ultimo sia coniugato;

• non sono legittimamente utilizzabili per finalità divergenti rispetto a quelle predeterminate nell’atto istitutivo del trust.

Il trustee sarà quindi tenuto ad amministrare, gestire e disporre i beni in trust a favore dei beneficiarî secondo le indicazioni dettate nell’atto istitutivo del trust, nel rispetto della legge ed in accordo con i “desideri” del disponente.

Il trustee deve, altresì, rendere conto della gestione e, spesso, in Italia si è diffusa l’abitudine che di chiedergli di annotare nel cd. “libro degli eventi” certi atti/fatti salienti per la vita del trust.

A seconda delle previsioni dell’atto istitutivo e della legge applicabile, il trustee è onerato di poteri/doveri d’informazione dei beneficiarî e del guardiano.

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Posso fidarmi del trustee? Una domanda assurda. Solo per tuziorismo, ci si pone questo problema che, invero, non ha alcun senso di esistere e che si affronta

unicamente per dare una risposta ad un’osservazione che spesso si sente fare senza alcun fondamento.

Sia pure comprensibili per il neofita, è del tutto evidente che i dubbi sulla possibilità di confidare nel trustee non abbiano alcun senso. La mancanza di fiducia nel trust è un ossimoro: non esiste trust senza fiducia.

Concretamente, che quello in commento sia un interrogativo del tutto assurdo si ha presto per provato considerando che:

a) Dapprincipio il trustee è liberamente scelto dal disponente; dunque non ha senso, in re ipsa, dubitare di un soggetto che si è scelto con piena discrezionalità. Certo è che, se si sceglie un trustee per vie fortunose indicando un soggetto privo di alcun rudimento di diritto dei trust, questo potrà commettere degli errori. Ma questo, s’insiste, non è un problema dei trust quanto piuttosto di usi assurdi dell’istituto.

b) In questa libertà il disponente ha la possibilità, a costi certamente modesti rispetto ai vantaggi, di scegliere un trustee professionale che offra garanzie di professionalità cristallizzate, peraltro, non solo dall’esperienza ma anche da polizze assicurative che rendono la gestione più sicura di quella che ci sarebbe se il disponente seguitasse ad avere la proprietà.

c) Ogni trust, se ben costruito, ha tutti gli strumenti, al proprio interno, per potere compiutamente affrontare qualsivoglia patologia. Dunque non sussiste, nel diritto materiale, problema di sorta.

d) La previsione di un guardiano, e magari la configurazione di un diritto di veto in suo capo, rende concretamente impossibile che possano esserci azioni del trustee.

e) Se si tratta di certe categorie di beni, i meccanismi di pubblicità (es.: la trascrizione immobiliare) impediscono, in rerum natura, il fausto compimento di certuni atti contrari al programma.

f) In ogni trust sono previste le ipotesi di revoca del trustee; se costui dovesse non comportarsi coerentemente con l’attuazione del programma sarebbe revocato.

g) L’azione di tracing prevista dalla legge applicabile, ovvero l’azione di recupero del bene, è la definitiva quadratura del cerchio comportando una completa blindatura a prova di qualunque atto illecito del trustee.

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I soggetti: il guardiano Quella del guardiano è una figura di preclara utilità (soprattutto psicologica), che non è necessaria ma

certamente molto diffusa nei trusts interni in quanto consente di esercitare un monitoraggio sul trustee spesso avvertita come indispensabile fonte di sicurezza dei rapporti, che si è imposta in quasi tutte le leggi del modello internazionale in quanto intercetta una domanda sostanziale degli operatori non adusi al trust.

In buona sostanza il guardiano è un soggetto nominato dal disponente, generalmente è un incarico gratuito in quanto ricoperto da un familiare o da un professionista di fiducia, che può avere diritto di veto in ordine a determinate decisioni del trustee oppure che può essere titolare del diritto di esprimere un parere (anche vincolante) in ordine alla necessità/opportunità del compimento di un certo atto. La nomina del guardiano risponde quindi all’esigenza di sorvegliare il trustee e, al tempo stesso, di aiutarlo nelle scelte operative onde le stesse siano più confacenti alla realizzazione del programma impresso da disponente.

Ovviamente il disponente deve prestare attenzione a non esagerare; la nomina del guardiano è certamente opportuna, come si diceva, in punto di diritto non meno che di fatto; la latitudine dei poteri, nondimeno, qualora dovesse mortificare la libertà del trustee, vi sarebbero problemi d’interposizione con conseguente esclusione dell’effetto segregativo.

Può essere previsto che sia titolare del potere di rimozione del trustee nelle ipotesi tipizzate dall’atto istitutivo. L’ufficio del guardiano, come quello del trustee, può essere svolto, da una persona, da più persone, da una

persona giuridica. Il guardiano è normalmente nominato dal disponente nell’atto istitutivo del trust o con atto separato

indirizzato al trustee; talvolta è nominato dai beneficiarî dopo la morte o le dimissioni del (primo) guardiano.

È d’uopo che, nell’atto istitutivo, siano previste clausole per ogni evenienza relativa all’ufficio, con particolare riferimento alle forme ed alle modalità di nomina, accettazione, revoca e successione del guardiano; la successione del guardiano è infatti uno degli aspetti più critici e delicati nella stesura dell’atto di trust.

Può essere titolare: del potere di dare un consenso vincolante, un parere obbligatorio ma non vincolante rispetto a scelte che implicano una particolare responsabilità del trustee, sempre del diritto di rendicontazione e d’informazione. Può infine essere demandato della soluzione di controversie tra trustee e beneficiarî.

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Le lettere dei desideri e il trust auto-dichiarato L’effetto di “spossessamento” insito nei trust, fondamento della segregazione patrimoniale che ne deriva, spesso

spaventa il disponente il quale, soventemente, non ha la maturità per prestare affidamento al trustee.

Due sono, tradizionalmente, i rimedi:

A. Creazione di un trust autodichiarato: il disponente, nominandosi trustee, ovviamente deve confidare in se stesso con il conseguente superamento di ogni inquietudine.

B. Lettere dei desideri: il disponente cerca di orientare l’operato del trustee.

Se delle due soluzioni è fatto un uso oculato, che non annichilisce la veste di trustee del nuovo proprietario, certamente si tratta di vie del tutto legittime di notevole utilità pratica. Segnatamente, soprattutto quando il disponente è imprenditore e istituisce un trust, magari, per la gestione delle quote societarie, il trust autodichiatato è un’ottima soluzione.

Tutto questo, nondimeno, a condizione che si comprenda un concetto cruciale: DOPO L’ISTITUZIONE DEL TRUST NULLA È PIÙ COME PRIMA. L’imprenditore che diventa trustee seguita ad essere il proprietario dei beni ma cambia veste; diventa titolare di una posizione fiduciaria che lo grava di amministrare i beni non per suo conto ma in vista dell’interesse di una controparte.

Proprio questo è il punto: ogni soluzione è adatta nella misura in cui non espunge l’effetto “controparte”, ovvero la posizione fiduciaria nell’interesse dei beneficiarî. Purtroppo, spesso si pensa invece di ricorrere all’autodichiarato, o alle lettere dei desideri, pensando, con apparente intelligenza di eliminare gli aspetti che, dei trusts, non piacciono.

Di tal guisa procedendo si ottiene un chiaro risultato: compromettere l’effetto segregativo dei beni. Ed infatti è del tutto pacifico il sillogismo: l’effetto segregativo deriva dalla creazione di una posizione beneficiaria. Come si è visto, la segregazione è l’assicurazione dell’efficienza di un risultato. Se però il risultato, che si ricorda essere la tutela della realizzazione di un programma, viene a mancare, ne consegue automaticamente che è necessariamente travolto anche l’effetto della protezione del patrimonio.

Dunque tali soluzioni non sono degli stratagemmi per rendere i trusts una rosa senza spine ma dei mezzi che, in una casistica precisa, possono avere un’utilità a condizione che se ne faccia buon uso.

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I soggetti: i beneficiarî Semanticamente, il termine beneficiario di un trust non vuol dire proprio nulla; la latitudine delle posizioni

soggettive ricomprese nel sintagma, infatti, è talmente ampia da non avere alcun significato.

Solo in via di prima approssimazione, e per mera comodità scolastica, possiamo dire che i beneficiarî sono coloro ai quali il trustee è obbligato o può fare ottenere dei vantaggi economici. Sono dunque titolari di un diritto o di aspettative verso il trustee (si parla, in questo senso, di beneficiarî vested o contingent). Non hanno comunque alcun diritto reale sul fondo in trust semmai avendo una proprietà fiduciaria nei confronti del trustee a tutela dei beni in trust; in questo senso, possono certamente agire contro il trustee che abbia confuso il fondo in trust con i propri beni ma non già per sentire dichiarata l’esistenza in loro vantaggio di un diritto di proprietà quanto per vedere obbligato il trustee al rispetto delle previsioni dell’atto istitutivo.

Le categorie concrete possono essere infinite: i diritti dei beneficiarî possono vertere solo sul reddito del fondo, solo sul fondo oppure su entrambi; di conseguenza, vi possono essere quindi i beneficiarî del reddito e i beneficiarî del fondo in trust e uno stesso soggetto può appartenere ad entrambe le categorie.

I beneficiarî del reddito sono quei soggetti a cui viene attribuito il reddito generato nel corso della vita del trust.

I beneficiarî finali del trust, invece, sono i soggetti ai quali viene attribuito il fondo in trust al termine della vita del trust.

I beneficiarî possono essere individuati nell’atto istitutivo o in un secondo momento, direttamente dal disponente o da un terzo designato (guardiano); inoltre, possono essere designati nominativamente o quali appartenenti ad una determinata categoria.

Si precisa come, per ottenere l’aliquota del 4% e le franchigie concesse dalla legge sulle successioni e donazioni, è necessario individuare puntualmente i beneficiarî del fondo; in alternativa, come meglio vedremo occupandoci della parte fiscale, il pagamento è uno solo: l’8%.

POSSONO ESSERE MODIFICATI NEL CORSO DELLA VITA DEL TRUST PER DECISIONE DEL DISPONENTE O DEL TRUSTEE ALL’UOPO AUTORIZZATO DA ESPRESSA PREVISIONE DELL’ATTO ISTITUTIVO.

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Gli usi dei trusts e la dimostrazione della loro efficienza a confronto con i principali strumenti alternativi tipici

Ancora una volta senza alcuna pretesa di esaustività, di seguito procederemo al confronto con alcuni strumenti tipici per dimostrare, in concreto, come i trusts possano utilmente avere un utile impatto sulla vita dell’imprenditore.

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Il trust a confronto con il fondo patrimoniale: elementi in comune

La ricerca di mezzi di protezione del patrimonio ha rivitalizzato l’istituto del fondo patrimoniale quale mezzo di protezione dall’aggressione dei creditori. Ricerca che conferma che, da tempo, il fondo patrimoniale ha completamente perso, semmai ne abbia mai avute, tutte le ipotetiche velleità di protezione della famiglia, e della prole, dalla cattiva amministrazione dei genitori riducendosi a mero vincolo utile da frapporre all’esecuzione dei creditori. E del resto, che così stiano le cose, emerge chiaramente dalla mera considerazione che sarebbe affatto vana la ricerca della funzione economico sociale del fondo patrimoniale diversa da quella meramente funzionale alla segregazione rispetto alle ragioni dei creditori.

L’accostamento tra i trusts e il fondo patrimoniale ha per lungo tempo occupato la dottrina, quasi che fossero istituti fungibili. Invero, con il trascorrere del tempo, si è correttamente compreso che, nonostante le apparenze, si tratta di due istituti che hanno caratteristiche e natura completamente differenti. In particolare, e a tacere dal ricorso frequentemente patologico al fondo patrimoniale da parte dell’imprenditore in dissesto, è sempre più chiaro che i trusts abbiano effettivamente insita un’indefettibile programma, che concretamente tutela la famiglia, assolvendo ad una funzione cui il trust non può assolvere per i suoi limiti.

Sono comunque ravvisabili alcune analogie:

Entrambi danno vita a fenomeni di separazione patrimoniale caratterizzati dalla presenza di un vincolo di destinazione e dall’assenza di soggettività giuridica.

In entrambi i casi sono individuabili un negozio istitutivo (il quale contiene il programma di utilizzo dei beni che ne sono oggetto) ed un negozio dispositivo (che assoggetta i beni al vincolo di destinazione).

Così come è concepibile un trust auto-dichiarato, per la tesi dominante può configurarsi un atto costitutivo di fondo patrimoniale non implicante l’effetto traslativo del diritto del disponente ad entrambi i coniugi per effetto del quale il disponente conserva la titolarità del diritto reale limitandosi a creare un vincolo di destinazione.

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Perché, nonostante le apparenti contiguità, fondo patrimoniale e trusts sono fenomeni completamente diversi per natura, usi e fondamento

Come vedremo, innumerevoli sono le differenze, sotto ogni profilo operativo e funzionale, tra trust e fondo patrimoniale.

Quello che è cruciale stressare, nondimeno, è che, prima di ogni diversità d’uso o di disciplina, la differenza tra i due istituti è innanzitutto genetica: i trusts hanno innumerevoli impieghi e IL FINE DELLA PROTEZIONE DEL PATRIMONIO È UN MERO EFFETTO DI UN PROGRAMMA PIÙ COMPLESSO NON ESSENDONE IL DNA COSTITUTIVO. Come si è precedentemente visto, la segregazione patrimoniale è nata in Inghilterra per assicurare l’efficienza ad un risultato meritevole di tutela (ovvero l’esecuzione di un compito) e non come ghirmelleria per frodare i creditori; l’effetto d’impedire l’aggressione dei creditori è solo uno strumento per dare una garanzia assoluta ma non ha un senso intrinseco se non appunto in quanto funzionale all’assicurazione della realizzazione di un programma.

Il fondo patrimoniale, invece, nasce come mera forma di protezione del patrimonio senza avere un programma o una possibilità d’impiego ulteriore.

Tolto il fine di protezione dai creditori, il fondo patrimoniale non esisterebbe (diversamente dai trusts).

Specificamente, quello che è più importante considerare è che, senza il risultato della protezione dai creditori, il fondo patrimoniale non esisterebbe, non sarebbe ricercato, non avrebbe alcuna convenienza e, dunque, chi lo voglia contestare ha facile gioco potendogli bastare la verità; il fondo patrimoniale nasce dall’occultamento dei beni ai creditori e questo anche nella migliore delle ipotesi, ovvero quando sia costituito dai coniugi ancora in bonis.

Nei trust, al contrario, la protezione del patrimonio è una garanzia della loro efficienza ma non è la loro essenza tanto che potrebbero esistere anche in suo difetto.

Non v’è dunque da sorprendersi se, nella trincea, e soprattutto in caso di revocatoria, i trusts dimostrino una operatività che il fondo patrimoniale non può avere.

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Principali differenze tra trust e fondo patrimoniale IL FONDO PATRIMONIALE:

• Estremamente angusti i limiti in cui è libera di esprimersi la volontà privata; il fondo patrimoniale è una “briglia” che blocca il patrimonio in modo completamente asettico, impermeabile alle peculiarità del caso specifico.

• Protegge la famiglia fondata sul matrimonio cessando al suo scioglimento.

• Può avere ad oggetto solo certi tipi di beni (immobili, mobili registrati e titoli di credito nominativi).

• Non tutela post mortem (salvo in presenza di minorenni) e comunque non crea un “ente di gestione” nel senso che l’amministrazione spetterà ai coniugi senza alcuna garanzia in ordine alle loro capacità e alla buona fede del loro comportamento).

• Non realizza un assetto sostanziale effettivo d’interessi operativi e non concreta un progetto.

• Deve necessariamente essere costituito per atto pubblico con la conseguenza che non può esistere un fondo patrimoniale “segreto”.

• Non tutela i frutti (per esempio non potrebbe prevedersi una segregazione patrimoniale del canone di locazione di un appartamento).

• Non tollera definizione del novero soggettivo dei componenti della famiglia (nel senso che la nozione di famiglia rilevante è cristallizzata dal codice civile con assoluta irrilevanza della determinazione negoziale).

I TRUSTS: • Essenziale la volontà privata che regolamenta

ogni aspetto dell’istituto; è un abito su misura, cucito sulle specifiche esigenze sostanziali, che si adatta frattalmente alle contingenze e alle singole necessità.

• Sono affatto indipendenti dal matrimonio e hanno durata convenzionale liberamente decisa entro i limiti imposti dalla legge regolatrice.

• Possono avere ad oggetto qualsiasi tipo di bene senza alcun tipo di limitazione.

• La morte è irrilevante; la peculiarità è proprio quella di dare vita ad un soggetto autonomo gestorio scelto per le sue competenze e per le sue capacità. Ne consegue che “l’amministratore” non solo sarà scelto per le sue competenze ma, soprattutto, che lo stesso ha una posizione fiduciaria che lo investe di poteri ma anche di responsabilità in vista della più efficiente realizzazione dell’assetto sostanziale voluto dal disponente dando vita all’istituto.

• Attua un progetto di tutela sostanziale specifico. • Anche segreto (se previsto dalla natura dei beni

dovrà avere forma pubblica ma, per sua natura, non richiede limiti formali di sorta se non quello della forma pubblica a mero fine di prova).

• Può tutelare anche i frutti senza difficoltà. • Il novero dei beneficiarî è autonomamente

determinato dai disponenti che vi includono quanti loro benevisi essendo ammesse tutte le distinzioni possibili.

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Vantaggi, in concreto, dei trusts sul fondo patrimoniale Soggetti a vantaggio dei quali possono essere impiegati (molto limitati nel fondo patrimoniale); Natura giuridica della posizione beneficiaria (inesistente nel fondo patrimoniale); Forma del negozio istitutivo (libera nei trusts); Natura giuridica degli istituti; Oggetto del negozio (totale libertà solo nei trusts); Modalità di modifica del contenuto del negozio (ingessata nel fondo patrimoniale); Fenomeni della surrogazione reale e del reimpiego dei beni (solo nei trusts il vincolo perpetua la

propria efficacia); Amministrazione dei beni (liberamente concertabile nei trusts); Separazione patrimoniale creata dagli istituti (molto più limitata la segregazione di cui è foriero il

fondo patrimoniale); Aggredibilità dei beni vincolati da parte dei creditori (più limitata quella del f.p.); Effetti del decesso del gestore titolare dei beni vincolati (inesistente nei trusts); Attribuzione ai beneficiarî di beni oggetto del patrimonio separato; Cause di cessazione del vincolo (ingessate quelle del fondo patrimoniale); Modalità di pubblicazione del vincolo.

Le osservazioni schematiche precedenti possono essere agilmente tradotte con un esempio concreto. Non v’è chi non veda come le esigenze della famiglia possano richiedere, per esempio, l’alienazione della casa coniugale in vista di un trasferimento della famiglia in altro immobile. Ovviamente, in questo caso, uno strumento efficiente dovrebbe consentire che, anche sul rapporto di provvista geminato dalla compravendita, seguiti l’efficacia del vincolo permanendo l’esigenza sostanziale di destinazione alle necessità della famiglia. Invero, in questo caso, la segregazione dei beni subisce una caducazione nel senso che il denaro ricavato dall’alienazione immobiliare, in quanto di proprietà dei coniugi, sarebbe pienamente aggredibile e l’immobile di nuovo acquisto sarebbe segregato solo dal momento di soggezione al vincolo.

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Casistica d’impiego dei trusts nel diritto di famiglia in assenza di altri istituti tipici impiegabili

• Tutela della famiglia di fatto (soprattutto come forma di tutela delle relazioni extraconiugali per evitare conflitti con la famiglia legittima);

• Tutela dei figli non sposati;

• Tutela degli eredi per evitare che esposizioni debitorie degli stessi possano fagocitare la parte più significativa della devoluzione ereditaria (si pensi al caso in cui i genitori abbiano certezza che il figlio imprenditore navighi in acque perigliose e vogliano evitare che i beni, a babbo morto, siano immediatamente pignorati dai creditori del figlio);

• Tutela degli figli nati al di fuori del matrimonio e dei loro rapporti con quelli “legittimi”;

• Tutela dei genitori: il fondo patrimoniale non prevede una tutela dei genitori;

• Tutela dei nipotini: è frequente che i nonni, magari non propensi a condividere le scelte matrimoniali dei figli, si pongano il problema delle conseguenze di amministrazioni dissennate magari dei generi o delle nuore;

• Tutela nella fase di separazione e divorzio.

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Il trust nella fase di separazione o divorzio Nella gestione della fase di crisi della famiglia, il trust si presta certamente a rivelare la propria massima

utilità; ed infatti consente di evitare (o ridurre) la conflittualità tra i coniugi permettendo di trovare soluzioni concertate comunemente utili a tutti i soggetti coinvolti.

In particolare, l’istituzione di un trust, rendendo i beni avulsi dalla dalle vicende personali e familiari genera una separazione patrimoniale garantendo la certezza del mantenimento dei soggetti più deboli e, sotto questo profilo, la certezza dell’adempimento delle obbligazioni familiari. Segnatamente:

A. Il coniuge debitore ha la possibilità di sottoporre a vincolo di destinazione soltanto le risorse necessarie per adempiere a quanto è chiamato avendo la possibilità di tornare in possesso, al termine del trust, dell’eventuale esubero potendo al limite destinarlo altrimenti;

B. L’effetto segregativo generato dal trust rende il patrimonio destinato insensibile alle vicende economiche del coniuge disponente evitando il conflitto tra la famiglia e i creditori;

C. È praticamente impedita la possibilità d’inadempimento delle obbligazioni assunte con la conseguente non necessità di costose successive iniziative giudiziarie funzionali al pagamento delle somme necessarie.

D. Contrariamente a quanto potrebbe apparire, si badi che il trust non è solo uno strumento di tutela dei soggetti più deboli (ed in particolare non è funzionale solo all’interesse dei figli). Spesso, infatti, è proprio il coniuge economicamente più forte, si pensi al caso del genitore separando proprietario dell’immobile adibito a casa coniugale, ad essere il soggetto più beneficiato dal ricorso al trust. In questa fattispecie, infatti, da un lato il trust consente di mettere in sicurezza l’immobile destinato alla residenza della prole e, dall’altro, il genitore ha contezza di quando tornerà in proprietà del bene (qualora non intenda passarla ai figli).

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Segue: l’utilità del trust nell’assegnazione della casa coniugale in fase di separazione e divorzio

L’istituzione di un trust in fase di separazione/divorzio consente di risolvere le problematicità di uno degli aspetti tradizionalmente più spinosi nella gestione della crisi matrimoniale: l’assegnazione della casa coniugale (argomento su cui si concentrano sempre notevole conflittualità).

Tutte le soluzioni alternative sono intrinsecamente latrici di effetti che, nella maggior parte dei casi, sarebbero esattamente contrari ad almeno una delle volontà dei soggetti coinvolti nell’operazione; si pensi al classico caso del padre proprietario chiamato a lasciare la casa alla consorte e alla prole:

– assegnando la casa in godimento alla madre, genitore con cui la prove dovrebbe continuare a vivere, l’immobile rimarrebbe di proprietà del padre, suscettibile di aggressione da parte dei creditori e comunque suscettibile di rientrare nell’asse ereditario del padre stesso (mentre in genere il proprietario non vuole ciò). Con buona pace delle ragioni della prole nel caso in cui il padre dovesse essere oggetto di procedure esecutive.

– attribuendo la proprietà alla prole minorenne si correrebbe il rischio che, nel malaugurato caso di decesso della stessa, il bene perverrebbe in eredità ai genitori, nel frattempo probabilmente divorziati mentre il padre non vuole affatto che la moglie erediti dalla figlia;

– attribuendo la nuda proprietà alla prole e l’usufrutto alla madre, l’attribuzione in proprietà sarebbe avvenuta in un’epoca futura ed incerta, in concomitanza con il decesso della madre, epoca diversa da quella voluta dal padre.

Inoltre, in quanto trustee, il padre avrebbe INOLTRE la possibilità di beneficiare SENZA PROBLEMI delle agevolazioni fiscali allorquando si è reso acquirente di una nuova unità immobiliare da destinare a propria abitazione principale: la titolarità della proprietà della ex casa coniugale con il vincolo del trust non è stata di ostacolo all’ottenimento del beneficio fiscale proprio perché la destinazione ha prevalso sul titolo proprietario.

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TRUSTS PER SOGGETTI SVANTAGGIATI: una protezione che s’integra con le tutele tipiche o cha la sostituisce quale mezzo meno invasivo per la dignità

della persona Chi voglia attaccare l’uso dei trusts interni deve, prima di ogni altra cosa, prendere atto del fatto che, diversamente da

quanto si pensa, l’impiego probabilmente di maggior successo che è stato fatto nella prassi dei trusts ha riguardato la tutela dei soggetti diversamente abili.

La situazione tipica è quella che vede disponenti i genitori i quali, avvertendo le insidie che potranno purtroppo interessare il patrimonio dei figli diversamente abili dopo la loro morte, istituiscono un trust destinato a provvedere alle necessità della prole. In pratica si vincolano certuni beni affinché le utilità da essi ritraibili (es.: canoni pigione) siano destinate nell’esclusivo interesse della persona svantaggiata secondo le indicazioni del disponente. Ma ricorrente è anche il caso di un soggetto estraneo che istituisca un trust perché, magari, non ha completa fiducia dei fratelli o di altri familiari del soggetto da tutelare.

Effetti pratici:

I trust si sposano perfettamente con le tradizionali tutele (interdizione o amministrazione di sostegno). Nondimeno, un trust può essere strumento sufficiente che, pure concedendo tutta la tutela di cui il soggetto svantaggiato in concreto abbisogna, non lo mortifica con una procedura pubblica che lo vota ad essere perennemente bollato, per esempio nel campo lavorativo, come “minorato”.

I trusts hanno una capacità di adattamento, e di controllo, da parte dei soggetti più vicini al soggetto diversamente abile conseguentemente risolvendo il problema, notoriamente pernicioso nella materia che ci occupa, della tradizionale distanza che frappone il Tribunale al soggetto da tutelare.

S’immagini che il diversamente abile sia figlio di un ricco imprenditore o che, per qualunque ragione, sia destinatario di un’importante fortuna. Di fronte alla malagestio dell’amministratore di sostegno o del tutore incapiente non v’è alcuna tutela. I trusts, proprio in questo campo della diversa abilità, hanno possibilità d’impiego straordinarie idonei come sono a impedire che amministrazioni dissennate possano depauperare il patrimonio del pupillo.

Non occorre certo, comunque, che si sia necessariamente in presenza di grandi fortune. Le cronache giudiziarie sono soventemente occupate dall’attenzione di atti di responsabilità penale o civile per la distrazione fraudolenta dei fondi.

Va tenuto conto che il trust a favore dei diversamente abili gode di franchigie più elevate rispetto a quelle ordinarie.

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Un esempio concreto d’utilità del trust per disabili a fronte delle lacune del nostro ordinamento

Spesso, il genitore del diversamente abile incapace di provvedere a se stesso (ma che non è stato mai oggetto di un procedimento d’interdizione), vorrebbe destinare la propria ricchezza al miglior tenore di vita possibile del figlio con la previsione che il residuo, dopo la morte del medesimo, sia destinato alla cura di chi, negli anni, si prenderà cura del disabile stesso.

Orbene, pure essendo una situazione pienamente legittima sotto il profilo sostanziale, nondimeno è pacifica l’assenza di una tutela, da parte dell’ordinamento, delle volontà genitoriali indicate.

L’unica previsione apparentemente utile, infatti, è quella della sostituzione fedecommissaria al cui ministero un genitore, un ascendente in linea retta (nonno, bisnonno) o il coniuge di una persona interdetta istituisce quest’ultima erede testamentario, imponendole l’obbligo di conservare e restituire il bene, alla sua morte, alla persona, fisica o giuridica, che, sotto la vigilanza del tutore, si è presa cura della stessa.

Lo scopo è garantire che la persona con disabilità intellettiva grave riceva, successivamente al decesso del testatore, la cura e l’assistenza di chi si ritenga idoneo al compito. Ciò si ottiene stabilendo che colui il quale assiste, riceva, alla morte dell’interdetto, i beni oggetto del fedecommesso, escludendo, invece, dalla successione i parenti che avrebbero ereditato per legge dalla persona interdetta (essendo quest’ultima impossibilitata a redigere un proprio testamento).

Il punto è che codesta soluzione, per essere praticabile, postula che il figlio sia interdetto. Anche a tacere della scarsa tutela in concreto offerto dall’istituto (visto che la sostituzione fedecommissaria non assicura né la segregazione patrimoniale né la posizione fiduciaria creata dal trust), è del tutto evidente che un impressionante novero d’ipotesi concrete, pure se bisognose di tutela, rimangono prive di soluzione.

Segnatamente, i trusts consentiranno tutte le utilità dello strumento codicistico con la differenza, però, non solo di garantire la tutela che deriva dalla segregazione patrimoniale ma, soprattutto, con il risultato di assicurare l’efficienza di una gestione dinamica capace di essere costantemente rispondente rispetto alle esigenze nel tempo.

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Come cambia la tutela del soggetto svantaggiato ricorrendo al trust:

Solitamente, si ricorre al trust per:

Evitare la pubblicità; una procedura di amministrazione di sostegno, per esempio, se è vero che è nata proprio per essere il meno invasiva possibile nei confronti della dignità della persona, è comunque epilogo di un procedimento necessariamente pubblico capace di paralizzare, per esempio, l’utile conseguimento di un impiego. Per contro, il trust non ha alcuna notorietà;

Nominare una persona giuridica. Spesso, infatti, l’importanza del patrimonio o la delicatezza delle operazioni (si pensi al diversamente abile che riceva in eredità delle quote sociali) richiede delle competenze tecniche. Più in generale, varie possono essere le ragioni che rendono opportuno che a tutelare ci sia una persona giuridica. Il trust, sotto questo profilo, nella materia che ci occupa non ha rivali;

Provvedere all’assistenza di soggetti diversamente abili;

Tutelare soggetti tossicodipendenti, incapaci di provvedere al proprio mantenimento o alla gestione del patrimonio familiare

Provvedere all’assistenza di anziani o soggetti ricoverati presso appositi istituti;

Trust costituito da persona disabile

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Costante l’avallo giurisprudenziale della bontà dell’impiego dei trusts nella tutela dei diversamente vantaggiati

A conferma di quanto i trusts possano utilmente intervenire alla più efficiente tutela dei soggetti svantaggiati, va evidenziato come, da molti anni, sia particolarmente nutrita ed approfondita la disamina giurisprudenziale delle opportunità connesse all’impiego dei trusts a favore dei diversamente abili.

Non si contano, oramai, le sentenze che abbiano sottolineato i vantaggi del trust:

Nel garantire il più efficace equilibrio tra professionalità della gestione patrimoniale con il massimo delle garanzie possibili anzi attuando meccanismi di tutela che sarebbero completamente ignoti utilizzando gli strumenti tradizionali;

Nell’assicurare un’alternativa, o un’utile interazione, con le tutele tipiche.

Solo per considerare un esempio recente, basti considerare che, ad avvisto del Tribunale di Bologna: “in materia di amministrazione di sostegno, il Trust si qualifica come strumento che rafforza le autonomie del beneficiario ed è certamente ammissibile nell'ordinamento italiano con conferimento nel vincolo di beni del beneficiario, nomina di un trustee che dovrà consegnare annualmente all'amministratore di sostegno rendiconto della gestione e individuazione di un Guardiano con i compiti indicati nell'atto costitutivo”, Trib. Bologna, 12/06/2013 Sito Il caso.it, 2013.

Tali ed altri assunti nello stesso segno sono oramai non più conteggiabili: “può essere autorizzata l'attuazione della disposizione testamentaria che preveda l'istituzione di un trust in favore di uno dei figli del "de cuius", disabile, avente quale finalità l'amministrazione e l'impiego dei beni indicati nel testamento per far fronte al mantenimento, alla cura e all'assistenza del disabile” Trib. Milano Sez. IX, 05/03/2010.

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Un aspetto fiscale da non sottovalutare: l’ISEE dei soggetti svantaggiati

Come abbiamo sempre cercato di stigmatizzare, il trust non va concepito come uno strumento elusivo sotto alcun punto di vista, ivi compreso quello fiscale.

Nondimeno, nel caso dei soggetti svantaggiati, l’istituzione del trust è spesso l’unica possibilità per evitare che la proprietà di un bene immobile incida sugli indicatori ISEE del diversamente abile con la conseguenza, spesso parossistica ed aberrante, che per poche decine di euro il soggetto svantaggiato finisca per perdere dei vantaggi cui, invece, avrebbe diritto (si pensi alla possibilità di avere una certa agevolazione o di godere di un poso in una certa struttura pubblica ad un costo sostenibile).

Non v’è chi non veda come, a ben vedere, un impiego di questo tipo del trust, sia pure foriero di un’alterazione vantaggiosa, non abbia alcunché di elusivo essendo piuttosto un meccanismo correttivo che ripristina un’ingiustizia sostanziale ripristinando una condizione d’efficienza.

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Il trust a scopo di garanzia: un’alternativa all’ipoteca

Chiunque ben conosce che, in Italia, da lustri si assiste impotentemente ad un’erosione sempre più preoccupante della tutela del credito: se per recuperare la somma di 100 occorre attendere svariati anni e anticipare 100+10 tanto vale non incipiare proprio l’impresa di un recupero spesso foriero più di spese che di concreti rientri. Ne è derivata una proliferazione d’istituti: pegno irregolare, alienazioni fiduciarie, cessioni in garanzia, … . Ma ne è derivata anche la chiusura, sempre più ermetica, alla concessione dei mutui; sul fenomeno della restrizione della concessione del credito, infatti, è evidente che incide il costo e i tempi del recupero coattivo delle somme erogate.

L’impiego del trust come garanzia merita forse di essere esposto direttamente con un esempio ricorrente abbastanza efficace a chiarirne i principali aspetti operativi.

La banca X, in luogo di erogare un mutuo a Tizio per l’acquisto di un capannone, lo eroga al trustee Tizio che, in tale sua veste, acquista l’immobile da adibire ad attività produttiva. Debitore verso la Banca X è il trustee Tizio. I proventi dell’uso del capannone saranno impiegati per rimborsare la Banca delle rate del mutuo. Ovviamente l’esempio può essere utilmente oggetto di mutamenti valendo parimenti in tutte le alternative rispetto all’acquisto di qualsiasi altro bene produttivo di redditi (anche un appartamento da locare magari sempre a Tizio).

Indubbi i vantaggi:

Il trust produce un effetto segregativo dei redditi a qualunque titolo derivanti dall’immobile: i proventi dell’immobile saranno con certezza impiegati per pagare le rate del mutuo. La Banca crea un debitore ad hoc che non muore, che non si sposa, che non è oggetto di azioni esecutive, cautelari, reali, di confisca. Ne guadagna, dunque, chi eroga il mutuo.

Poniamo poi il caso che il progetto imprenditoriale naufraghi e che Tizio non possa pagare. Se non ci fosse un trust, e magari un’ipoteca, prima di venire a capo della situazione occorrerebbe un processo, spesso lungo, con costi che certamente andrebbero anticipati dal creditore con suo conseguente grave nocumento. Tutto questo è evitabile con una semplice clausola che, in caso d’impossibilità ad adempiere alle obbligazioni derivanti dal mutuo, obblighi Tizio alla vendita.

Ovviamente la segregazione tutela anche il debitore: infatti, l’impossibilità che i creditori aggrediscano il bene è innanzitutto una forma di tutela che assicura l’insensibilità dalle vicende del creditore. www.responsa.ch - www.mfd-geie.org 98

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La funzione di garanzia non deve necessariamente essere alternativa all’ipoteca: la perdita delle agevolazioni prima casa

Ovviamente la tutela dei trusts nel campo della garanzia non deve necessariamente concepirsi come mera alternativa all’ipoteca per l’acquisto di un certo immobile.

Ed infatti si pensi ad un altro caso, piuttosto frequente nella pratica professionale, in cui i vantaggi concorrenziali dei trusts rispetto agli strumenti tradizionali sono assolutamente preclari.

Tizio, che ha acquistato un immobile con le agevolazioni fiscali per la prima casa, vende lo stesso a Caio in quanto deve trasferirsi in altra città.

Caio, preoccupato perché l’Amministrazione finanziaria, al verificarsi di una delle cause di decadenza dalle agevolazioni prima casa, avrebbe il potere di richiedere al contribuente l’imposta in misura ordinaria, la sanzione amministrativa e gli interessi di mora, potrebbe far valere i propri diritti sull’immobile, chiede idonea garanzia.

Tizio istituisce un trust, mediante versamento di una somma di denaro, prevedendo come beneficiario se stesso oppure, per la sola ipotesi in cui l’Amministrazione finanziaria eserciti il privilegio, direttamente Caio.

Ovviamente il trust avrà la durata del tempo entro cui l’Amministrazione finanziaria potrebbe far vantare il proprio privilegio.

Concretamente, attraverso la soluzione rappresentata dal trust, si otterrebbe la quadratura del cerchio di tutte le problematiche connesse ai soggetti coinvolti.

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Il trust come alternativa per il passaggio generazionale dell’impresa

L’impiego del trust nella pianificazione del passaggio generazionale dell’impresa dà probabilmente luogo all’esempio più rilevante statisticamente e, soprattutto, al caso che più spicca per l’importanza dell’efficacia delle soluzioni raggiunte. Mai come in questo caso, infatti, il trust manifesta la propria vocazione a raggiungere un equilibrio attraverso la costruzione di una soluzione condivisa componendo interessi confliggenti.

I vantaggi sono talmente copiosi da essere stato oggetto di un’analitica trattazione monotematica cui necessariamente si rinvia non essendo condensabile in poche riflessioni.

In questa sede, ci basti novellare la consapevolezza del fatto che, anche su pressione della Commissione Europea (allarmata dalle percentuali d’insuccesso del passaggio generazionale), il legislatore italiano, con una relativamente recente riforma del codice civile, ha per la prima volta concesso all’imprenditore di potere programmare in vita il passaggio generazionale attraverso il trasferimento della proprietà a quello degli eredi ritenuto idoneo a ricevere il testimone al governo dell’impresa.

Si tratta del “patto di famiglia”. Se l’intenzione del legislatore merita di essere salutata con indubbio favore mirando a concedere all’imprenditore uno strumento per traghettare l’impresa al riparo da eventuali revocatorie, nondimeno è del tutto evidente che le gravi limitazioni imposte, tra cui quella di dovere scegliere necessariamente un figlio, hanno reso lo strumento piuttosto inefficiente. La complessità della tematica, nondimeno, ci obbliga a fare rinvio.

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In particolare: trusts e patto di famiglia PATTO DI FAMIGLIA:

a) Occorre il consenso unanime di tutti i legittimarî.

b) Vanno recuperate le risorse per liquidare i legittimari.

c) La designazione del continuatore dell’impresa può avere a destinatario solo un erede: dunque sono esclusi soggetti quali il coniuge, un affine, un genero, un nipote.

d) Conferibile è solo l’impresa.

e) Interrotto ogni rapporto tra la famiglia e l’azienda familiare.

f) L’imprenditore esce di scena.

g) L’imprenditore non ha alcuna possibilità di tutelare che la sua impronta carismatica rimanga impressa nell’azienda.

PASSAGGIO GEN. MEDIANTE TRUST:

a) È una decisione del capostipite che non necessita di concertazione.

b) I legittimarî potranno essere tutelati nel corso del tempo.

c) A continuare l’impresa può essere designato chiunque (libertà totale di scelta funzionale alla migliore scelta possibile).

d) Sono conferibili tutti i tipi di beni.

e) La famiglia seguita ad avere un rapporto con l’impresa tanto che non è escluso un successivo coinvolgimento dei famigliari dapprincipio esclusi.

f) L’imprenditore può seguitare ad avere il ruolo che gli aggrada.

g) L’imprenditore può seguitare ad imprimere la sua linea nel ruolo che si ricava nel trust.

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Trust e finanziamenti

Caio, volendo costruire un villaggio turistico, costituisce la società Corneliana s.r.l. e istituisce un trust nel quale conferisce le quote sociali nominando come trustee la Banca Credito X mutuataria del rapporto di provvista .

Caio trasferisce a Corneliana s.r.l. la proprietà dell’area su cui sorgerà il villaggio (si consideri che questa proprietà Caio l’ha avuta come contropartita di due appartamenti da costruire nel villaggio).

La banca concede un mutuo al trust erogando gli importi funzionali a sostenere ciascun stato di avanzamento dell’opera. La banca Credito X, in caso di mancata realizzazione dell’opera, ritrasferisce la proprietà del terreno a Caio ovvero l’equivalente in danaro prelevato dall’importo del mutuo e trattenendo quanto residua in trust.

Se il villaggio è portato a compimento Credito X trasferirà a Caio le unità immobiliari dedotte come contro-prestaizone.

Il terreno sarà trasferito a Corneliana s.r.l. controllata dal trust che fungerà da garanzia fino alla copertura del mutuo.

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Trust e multiproprietà

È difficile immaginare la frequenza delle problematicità emerse nell’esperienza giudiziaria in tema di multiproprietà (soprattutto nei frequentissimi casi di fallimento della società proprietaria dei residences).

Orbene il trust è certamente uno degli strumenti di maggior successo per prevenire le insidie tradizionalmente insite in questi contratti.

Si trasferiscono ad un trustee specializzato nella gestione d’immobili il complesso immobiliare che sarà gestito nell’interesse e per conto dei singoli acquienti-beneficiari.

Costoro godranno, in virtù dell’atto istitutivo, per la frazione temporale cui hanno diritto, delle singole unità immobiliari pure non essendo proprietari in senso proprio usufruendo, si badi, dei rimedi tradizionalmente propri del trust verso il trustee qualora non dovesse esserci una gestione adeguata.

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Il trust e il diritto fallimentare In questa sede è assolutamente impossibile tratteggiare un quadro preciso dell’utilità dei trusts nel

diritto fallimentare; il tema è a tal punto complesso che sarebbe difficile condensarlo in un intervento unitario quand’anche monotematico.

C’interessa stressare solamente due considerazioni:

Quando si parla di rapporto tra trusts e fallimento, si deve avere l’accortezza di precisare che il trust può insinuarsi, per gestire taluni passaggi della vicenda fallimentare, al fine della migliore realizzazione dei diritti dei creditori nell’interesse di costoro, del fallimento, e del fallito e NON CERTO COME FORMA DI SOTTRAZIONE DEI BENI AL FALLIMENTO. Tanto si deve precisare in quanto, spesso, ci si avvicina al trust proprio con il proposito di potere evitare le conseguenze del fallimento. Alla luce di quanto abbiamo osservato, nondimeno, dovrebbe oramai essere evidente che nulla di tutto ciò può essere.

Ci interessa dunque evidenziare che il ricorso al trust è funzionale unicamente alla necessità di assicurare una maggiore efficienza del processo di liquidazione dei creditori e non certo obiettivi illeciti (peraltro pericolosissimi vista la gravità dei reati in cui s’incorrerebbe).

Il trust, stante la natura dell’azione fallimentare, non è un surrogato degli strumenti tipici. Dunque le procedure codificate dalla legge fallimentare non possono certo essere espunte nella loro applicazione dal ricorso al trust. Semmai sono tutele che possono convivere nel senso che il trust può intervenire specificamente per risolvere alcune questioni specifiche.

Dunque, e per ribadire quello che ci preme evidenziare, il trust non può assolutamente essere pensato come alternativo al fallimento o come surrogato ai momenti e agli strumenti scanditi dalla legge fallimentare. Come noto, infatti, la procedura fallimentare non è contrattulizzabile.

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Il cd. “voting trust” (trust per un patto parasociale di voto onde risolvere il tradizionale problema della manca di efficacia reale dei patti tra sindacanti)

Come ogn’un sa, da quando l’ordinamento ha sancito, con varie patenti formali, la legittimità del fenomeno, il problema del patto parasociale per gestire il voto in assemblea non è più quello dell’ammissibilità ma, piuttosto, dell’opponibilità (nel senso che il patto di sindacato non ha efficacia reale avendo effetti meramente obbligatori). Tali patti, più precisamente, non potranno essere fatti valere contro la società con la conseguenza che in caso d’inadempimento da parte di uno dei soci sindacanti è meramente foriera di risarcimento del danno restando il voto espresso in violazione del patto perfettamente valido (e valida è la delibera assembleare ancorché il voto sia stato determinante per il successo della decisione).

Per risolvere le tradizionali problematicità di mancanza di conseguenza di patologia della violazione si ricorre al cd. “voting trust”: i soci danno vita ad un accordo (cd. voting trust agreeent) che prevede il trasferimento delle azioni ad un trustee allo scopo di attribuire a costui l’esercizio del diritto di voto in assemblea in ottemperanza alle condizioni dettate dai soci. Il trustee, quale intestario dei titoli (conseguentemente essendo iscritto nel libro dei soci e dunque essendo socio ad ogni effetto) è chiaramente legittimato all’esercizio del diritto di voto in assemblea (nonché all’esercizio di tutti gli altri diritti sociali).

Chiaramente, in questo fenomeno, non v’è alcunché di paragonabile alla situazione del soggetto che interviene in assemblea per delega del socio: nel caso del trustee, infatti, costui è socio a tutti gli effetti e non interviene per rappresentanza ma in virtù della sua iscrizione nel libro dei soci.

Di tal guisa sono superate le tradizionali problematicità dei patti parasociali: diventa coercibile quello che, in difetto, non sarebbe assicurato da tutela reale rimanendo un patto interno tra i soci sindacanti. Questo, segnatamente, in quanto è il trustee ad esercitare, nella sua nuova veste di unico titolare dei diritti trasferiti dai soci sindacanti, il voto rendendo impossibile il condizionamento da parte dei soci.

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I RAPPORTI TRA TRUSTS E SOCIETÀ FIDUCIARIE

Istintivamente, considerando l’insistenza con cui si è stressato il fatto che il trust dà luogo a una “posizione fiduciaria”, potrebbe essere del tutto scontato il collegamento tra trust, negozio fiduciario e società fiduciaria.

Per quanto comprensibile, il collegamento sarebbe erroneo essendo conseguenza di una mera assonanza linguistica privo di reale e pregnante contenuto sostanziale.

Nella consapevolezza che la questione desta parecchi equivoci interpretativi potenzialmente pericolosi, si rendono certamente opportune alcune spiegazioni e alcune comparazioni per dimostrare la vicendevole estraneità dei fenomeni in commento.

In particolare, chi pensi che i trusts siano qualcosa si simile alle società fiduciarie, deve subito comprendere ALMENO due punti essenziali:

Cambia completamente l’effetto segregativo (nel senso che mentre nei trusts l’effetto “protettivo” è integrale, nelle società fiduciarie è estremamente labile);

Cambia RADICALMENTE la valutazione dell’impatto fiscale essendo i trusts molto meno onerosi;

Soprattutto, cambia la tutela del proprietario nel senso che i trusts offrono meccanismi di tutela completamente assenti nell’intestazione fiduciaria.

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Innanzitutto: il negozio fiduciario Nelle pagine precedenti si è soventemente fatto riferimento al fatto che il cardine del trust è l’attribuzione al

trustee di una posizione fiduciaria. Perché non sorgano equivoci, e in particolare al fine di evitare che s’instauri una confusione tra questo “potere fiduciario” e il cd. “patto fiduciario”, è indispensabile, prima di entrare nel tema vivo del rapporto tra trusts e società fiduciarie, procedere dalla nozione di “negozio fiduciario”. Purtroppo, infatti, spesso il riferimento alla posizione fiduciaria che deriva dal trust è confusa, con gravissimi equivoci, con la questione delle “società fiduciarie”.

Il negozio fiduciario, che è piuttosto alieno al nostro diritto visto che il codice ne parla nel solo art. 627 c.c. in tema di “disposizione fiduciaria”, definisce il rapporto che s’instaura quando un soggetto, detto fiduciante, investe un altro soggetto, detto fiduciario, della proprietà (o di altro diritto reale) di un bene o di altra situazione di vantaggio imponendogli coevamente il vincolo, di natura obbligatoria, di trasferirgli in futuro quel diritto o di trasferirlo ad un terzo oppure, ancora, di farne un certo impiego. Si crea dunque una crasi: per i terzi il fiduciario è il pieno proprietario, all’interno delle relazioni vale il patto fiduciario.

Ecco chiarito il riferimento alla “fiducia”: il fiduciante ripone il suo affidamento sul fatto che il fiduciario si comporterà lealmente osservando l’obbligo stabilito nel “pactum fiduciae”.

Piuttosto icasticamente, un illustre autore (Santoro Passarelli) ha affermato che nella fiducia v'è un'eccedenza del mezzo rispetto allo scopo. Ciò nel senso che il risultato giuridico ottenuto mediante la conclusione del contratto eccede il reale intento delle parti, intento che viene raggiunto tramite pattuizioni di natura obbligatoria che normalmente "restringono" gli effetti dell'atto compiuto.

Siamo chiaramente in un ambito dove apparenza e realtà si compongono per dare vita ad un risultato estremamente prossimo alla simulazione: la differenza nel negozio fiduciario gli effetti dell'investitura reale sono effettivamente voluti dalle parti. Esse "correggono" con patti obbligatori la situazione creata dal negozio. Nel secondo gli effetti sono invece voluti al solo fine di creare un'apparenza per i terzi, di modo che si palesi una esteriorità difforme da quanto effettivamente voluto dalle parti.

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Riassumendo:

Nel modello di fiducia di tipo germanistico, caratterizzato dalla scissione tra titolarità del diritto di proprietà, spettante al fiduciante, e legittimazione all'esercizio di tale diritto, spettante al fiduciario, la fiducia può assumere due distinte forme, quella della fiducia c.d. statica, in cui il fiduciario non può compiere singoli atti di gestione del patrimonio in assenza di autorizzazione del fiduciante e caratterizzata dall'obbligo di restituzione dei medesimi titoli alla cessazione della gestione, e quella della fiducia c.d. dinamica, in cui il fiduciario è libero di compiere qualsiasi operazione sui diritti oggetto della fiducia senza previa autorizzazione del fiduciante, tenuto conto dell'obbligo di rimettere a quest'ultimo il solo risultato utile della gestione, in denaro o in titoli.

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Perché si ricorre al negozio fiduciario?

Il ricorso al negozio fiduciario gemina dalle ragioni più diverse, spesso lecite e del tutto meritevoli di tutela altre, invece, manifestamente fraudolente.

In generale, il fondamento di tutte le situazioni che fanno ricorso al negozio fiduciario deriva dalla volontà di spogliarsi solo formalmente di un bene.

Come si diceva vi sono moltissimi casi di un impiego lecito: si pensi, storicamente, all’uso che ne fu fatto durante il fascismo da parte degli italiani di Religione Ebraica per evitare gli effetti delle persecuzioni religiose.

Oggi, più frequentemente, vi si ricorre allo scopo di evitare un sequestro o una confisca, allo scopo di eludere la normativa fiscale, allo scopo di fornire al creditore /fiduciario una garanzia per l’adempimento del debito che ha nei suoi confronti il debitore/fiduciante ovvero, ancora, qualora si versi nell’impossibilità temporanea di amministrare un bene.

Ma frequente è anche il ricorso al negozio fiduciario per ottenere l’interposizione reale di persona per il superamento dei divieti a donare.

Come ogn’un vede, l’impiego dello strumento avviene spesso per ragioni di preclara legittimità sostanziale.

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Dovendo distinguere tra:

• Il trasferimento avviene per la realizzazione di un interesse del fiduciante (a scopo di amicizia, custodia, rapporti con i terzi).

• Di solito, è un negozio trae stura dalle qualità del fiduciario, dalla sua capacità di amministrare una certa situazione meglio di quanto non farebbe il titolare ma con l’intesa di seguire le istruzioni cristallizzate dal pactum fiduciae.

Fiducia cum

amico

• È un mezzo di garanzia; il fiuciario è un creditore del fiduciante oppure è un terzo comunque in presenza di un debito del fiduciante. Il bene tornerà al debitore quando costui adempierà.

• Ha la funzione di attribuire al creditore una tutela rafforzata, più incisiva del pegno o dell’ipoteca in quanto consente di evitare la procedura esecutiva avendo immediatamente il bene a sua disposizione.

Fiducia cum

creditore

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Il negozio fiduciario nel codice civile

Il codice civile si occupa del negozio fiuciario solo nell’art. 627 c.c. per stabilire che: “non è ammessa azione in giudizio per accertare che le disposizioni fatte a favore di persona dichiarata nel testamento sono soltanto apparenti e che in realtà riguardano altra persona, anche se espressioni del testamento possono indicare o far presumere che si tratta di persona interposta. Tuttavia la persona dichiarata nel testamento, se ha spontaneamente eseguito la disposizione fiduciaria trasferendo i beni alla persona voluta dal testatore, non può agire per la ripetizione, salvo che sia un incapace. Le disposizioni di questo articolo non si applicano al caso in cui l'istituzione o il legato sono impugnati come fatti per interposta persona a favore d'incapaci a ricevere”.

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Per comprendere le società fiduciarie occorre altresì distinguere tra:

Non si può passare all’esame delle società fiduciarie senza una considerazione esplicativa della tradizionale distinzione – di scuola – tra fiducia di tipo romano e fiducia di tipo germanico.

Nella fiducia di tipo romano, il fiduciario è investito di un potere giuridico dal punto di vista reale illimitato, circoscritto però dall’obbligo convenuto fra due soggetti, con il pactum fiduciae, per conseguire un fine più ristretto. Nel rispetto di tale obbligo, il fiduciario deve fare del diritto trasferitogli, di cui ha la titolarità assoluta, un determinato uso, oppure trasferirlo alla persona indicatagli dal fiduciante o al fiduciante stesso. In caso di violazione dell’obbligo, il fiduciante può agire solo per il risarcimento dei danni. Nei rapporti di fiducia di tipo romano si parla anche di interposizione reale di persona, nel senso che, con l’intestazione fiduciaria, l’interposto acquista effettivamente la titolarità del bene o diritto, ma, in virtù di un rapporto obbligatorio interno con l’interponente, è tenuto ad un determinato comportamento convenuto con il fiduciante ed a retrocedere i beni a quest’ultimo al verificarsi di una situazione determinante il venir meno della causa fiduciae.

Nella fiducia di tipo germanico, invece, secondo una prima elaborazione, al fiduciario viene trasferito un potere giuridico di disposizione illimitato condizionato risolutivamente; ogni uso contrario allo scopo convenuto determina un ritorno del bene al fiduciante, anche a danno del terzo acquirente. In una successiva elaborazione della figura in questione, invece, si è referito porre l’accento sulla separazione fra titolarità formale del diritto e legittimazione al suo esercizio. Questa impostazione deriva da una particolarità dell'ordinamento tedesco, il § 185 del BGB, che, introducendo una eccezione, anche all'interno di tale ordinamento, al principio che in linea generale esclude limitazioni al potere di disposizione dei diritti reali, in analogia con il nostro art. 1379 c.c., per cui, anche il non titolare può compiere validamente atti di disposizione sul bene se ottiene l'autorizzazione o il consenso del titolare, è stato interpretato nel senso di ritenere ammissibile una piena scissione tra titolarità ed esercizio del diritto.

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Chiarita la nozione di negozio fiduciario, veniamo a quella di società fiduciaria

L’attività fiduciaria trova varie fonti nell’ordinamento; oltre ad alcune previsioni del TUF si considerino almeno: la Legge 23 novembre 1939 n.1966 e il Decreto Ministero Industria del 16 gennaio 1995.

Cosa sono le “società fiduciarie”? Sono quelle società, comunque denominate, soggette alla Vigilanza del Ministero per lo Sviluppo Economico, ed iscritte in una sezione speciale dell’albo con soggezione alla vigilanza anche della Banca d’Italia ai fini anti-riciclaggio se hanno certi requisiti (es.: controllate da una banca o da un intermediario finanziario), che si propongono d’assumere l’amministrazione di beni per conto di terzi sotto forma d’impresa (art. 1, l. 19966/39).

Danno vita ad una fiducia cd. “di tipo germanistico” (in contrapposizione con la fiducia “romanistica”); s’intende che il trasferimento alla fiduciaria presuppone non già quello della piena titolarità di un diritto ma la mera legittimazione ad esercitare, in nome proprio, ancorché nell’interesse altrui, UN DIRITTO CHE RIMANE DI PROPRIETÀ DEL FIDUCIANTE.

Generalmente, quanto all’attività d’intermediazione mobiliare, a seguito della l. 1/1991 si distinguono due tipologie di amministrazioni fiduciarie. Quella cd. “statica” in cui la fiduciaria si obbliga a garantire la custodia e l’esercizio dei diritti inerenti i beni trasmessi dal fiduciante (in pratica la fiduciaria deve diligentemente gestire l’incarico di gestire i beni in relazione alle operazioni commissionate). In questo tipo di amministrazione il fiduciario acquista la legittimazione ma non l’obbligo di comportarsi secondo le istruzioni del fiduciante. Quella cd. “dinamica” in cui la fiduciaria s’impegna ad effettuare gli investimenti dei beni del fiduciante in modo professionale e competente effettuando attività di gestione dei portafogli. In questo tipo di amministrazione il fiduciario può compiere tutti gli atti che ritiene più opportuni con il solo obbligo di rendiconto al fiduciante.

Tipico caso di ricorso ad una fiduciaria: obiettivo di pianificazione fiscale. L’intestazione di un pacchetto societario in capo alla persona fisica non eccedente la soglia qualificata consente di trasferire le quote senza indicazione in dichiarazione dei redditi con applicazione dell’imposta sostitutiva al 20% garantendo la riservatezza del cedente e del cessionario.

Altro caso tipico è quello che si è visto per l’attuazione di un patto parasociale.

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Attività delle società fiduciarie

L’attività svolta dalle società fiduciarie può essere così sinteticamente riassunta:

- Amministrazione di beni e patrimoni per conto di terzi con o senza intestazione fiduciaria, modalità questa natura essenzialmente formale per consentire un più agevole e riservato adempimento dei compiti di amministrazione da parte della società fiduciaria.

- Rappresentanza di azionisti ed obbligazionisti.

- Organizzazione e revisione contabile di aziende.

- Gestione di patrimoni mobiliari individuali (riservata alle sole società fiduciarie-SIM, iscritte nella sezione speciale dell’albo delle società di intermediazione mobiliare, secondo quanto disposto dall’art. 60, co. 4, del d. lgs. 23 luglio 1996, n. 415 e dall’art. 199 del d. lgs. 24 febbraio 1998, n. 58).

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Fiduciarie per amministrazione di beni Tra le operazioni di amministrazione più interessanti si ricordano: • l’amministrazione di immobili, di beni mobili e patrimoni compositi, ivi comprese le eredità, le donazioni, i legati, i beni di fondazioni, i fondi

di quiescenza del personale dipendente, i fondi di previdenza di associazioni e di ordini professionali; • l’amministrazione in nome della fiduciaria, ma per conto dei propri fiducianti, di titoli e valori mobiliari in genere, specialmente al fine di

garantire la puntuale esecuzione di obbligazioni e transazioni, tutelando cosi i diritti personali e patrimoniali degli interessati e compiendo ogni atto di disposizione in conformità alle istruzioni impartitele, avvalendosi, se del caso, degli intermediari mobiliari autorizzati ad operare nei mercati regolamentati con espressa facoltà accordata dalla CONSOB con provvedimento 4 novembre 1998, di sottoscrivere a nome proprio (ma per conto di fiduciante) contratti di gestione individuale di patrimoni.

• la costituzione in pegno o a cauzione al nome della fiduciaria, ma per conto altrui, di titoli, libretti di risparmio e valori in genere, a garanzia di operazioni bancarie e finanziarie;

• la rappresentanza di azionisti che si ripropongono di esprimere in una determinata assemblea voto unitario; • la rappresentanza e la tutela dei diritti personali e patrimoniali di azionisti di risparmio e di obbligazionisti, sia in virtù di mandati individuali o

collettivi, sia in conformità alle norme di legge sulla nomina del rappresentante comune di siffatte categorie di portatori di titoli di credito; • l’espletamento di incarichi per conto delle società ed enti emittenti per depositi di azioni ed obbligazioni ai fini assembleari, per il pagamento

dei dividendi e delle cedole, per il rimborso di obbligazioni ai finì assembleari, nonché per ogni altra operazione disposta dall’emittente sui propri valori mobiliari;

• la tenuta del libro dei soci e/o degli obbligazionisti di società quotate in borsa o comunque aventi una larga base azionaria e dei conseguenti adempimenti di carattere civile, amministrativo e fiscale, con particolare riferimento alla convocazione ed allo svolgimento delle assemblee al pagamento dei dividendi o degli interessi, dei rimborsi, ovvero degli aumenti di capitale, all’emissione di obbligazioni, ai raggruppamenti e frazionamenti dei valori mobiliari emessi;

• la funzione di "trustee" ai sensi dell’art. 7 della convenzione sulla legge applicabile ai trusts e nel loro riconoscimento adattato a l’Aja il 1° luglio 1985 e ratificata con legge 16 ottobre 1989, n. 364;

• la funzione di protector in trusts comunque istituiti. • I rapporti di amministrazione intrattenuti con società fiduciarie, allorché hanno ad oggetto titoli, rientrano fra quelli per i quali il contribuente

può optare per il c.d. "regime del risparmio amministrato" di cui all’art. 6 del d. lgs. 21 novembre 1997, n. 461: in particolare, l’intestazione fiduciaria di quote di società a responsabilità limitata è l’unico strumento che legalmente consente ai legittimi proprietari la massima discrezione, pur usufruendo dei benefici fiscali del "risparmio amministrato".

• Particolare interesse - nel quadro delle più recenti norme che regolano le società commerciali e i possessi azionari di società creditizie ed assicurative - rivestono gli interventi delle società fiduciarie di amministrazione (ossia che non svolgono attività di "gestione fiduciaria") nelle seguenti aree:

• custodia dei valori mobiliari inclusi in sindacati di blocco di azioni, ossia interventi atti a garantire che nessuno degli azionisti riuniti in sindacato abbia a vendere le proprie azioni per un certo periodo, ovvero le venda, ma solo a certe condizioni, ad esempio, agli altri partecipanti al sindacato, ad un determinato prezzo, o anche, ad un prezzo da determinarsi anche a cura della stessa fiduciaria;

• attuazione dei sindacati di voto, ossia degli accordi che impegnano i soci a votare in un determinato modo nelle assemblee, agendo la fiduciaria quale comune mandatario irrevocabile per un certo periodo di tempo, con rappresentanza (e cioè in virtù di semplice girata per procura apposta sul titolo al mandante), o senza rappresentanza, ossia in forza di intestazione fiduciaria descritta al punto 3°.

Nelle ipotesi descritte, l’intervento della fiduciaria quale comune mandataria delle parti, garantisce la concreta sistemazione di interessi talvolta contrastanti, ma tutti coincidenti per quanto concerne la miglior gestione sociale, tra soci aventi responsabilità manageriali e soci finanziatori.

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Fiduciarie per attività di revisione

L’attività di Revisione ed Organizzazione Aziendale è volta ad offrire un qualificato servizio di consulenza esterna per studiare, affrontare e risolvere problematiche contabili ed amministrative, individuando le strutture e le dimensioni ottimali, anche sotto il profilo societario.

Tra i servizi più interessanti prestati nell’ambito di questa attività: a) studio ed assistenza per la costituzione e l’impianto delle strutture contabili ed amministrative di imprese, enti e

società di qualsiasi tipo; per operazioni sul capitale e per ogni altro atto della vita delle imprese, enti e società aventi implicazioni amministrative e contabili;

b) assistenza nella ristrutturazione della contabilità e dell’amministrazione di aziende in crisi, o in fase di sviluppo; c) revisione di conti e partite attive e passive; d) valutazioni di aziende e di patrimoni, anche in collaborazione con periti designati da terzi ed in particolare

dall’Autorità giudiziaria (ad esempio nelle ipotesi di conferimenti in società di beni in natura, ovvero di fusioni societarie comportanti il concambio di azioni);

e) esame e revisione privatistica dei bilanci ed altri rendiconti finanziari in relazione ad acquisizioni, concentrazioni e fusioni di società ed aziende, di concessioni di credito e finanziamenti, nonché in vista di cessioni, anche al pubblico, di pacchetti azionari;

f) studio ed assistenza nella realizzazione di particolari combinazioni aziendali e societarie (concentrazioni, scorpori, fusioni, scissioni, cessioni ed acquisizioni di aziende o di rami di attività) sotto il profilo organizzativo, amministrativo e contabile, provvedendo, se del caso, all’adempimento delle prescritte formalità, anche avvalendosi di professionisti particolarmente qualificati;

g) formazione ed aggiornamento professionale collettivo, sia attraverso gruppi di studio e di lavoro, sia con iniziative seminariale, quali incontri-dibattiti e giornate di studio.

E' opportuno notare che, per quanto riguarda le attività di amministrazione e di revisione e organizzazione contabile, lo stretto collegamento, anche operativo, esistente tra i due servizi rende possibile una serie di prestazioni integrate in campo fiduciario classico, che va dalla revisione ed organizzazione contabile alla organizzazione amministrativa e societaria, con un evidente effetto sinergico per la qualità dei risultati a tutto vantaggio dei fiducianti.

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Gestione di patrimonî

L'attività di gestione di patrimoni mediante operazioni in valori mobiliari - già regolata dall’art. 17 della legge 2 gennaio 1991, n. 1 - lo è ora dal T.U. in materia di intermediazione finanziaria (D.Lgs. n. 58 del 24 febbraio 1998). Tali norme consentono alle società fiduciarie, già autorizzate ai sensi della legge n. 1966/1939, di effettuare la gestione di patrimoni "con intestazione fiduciaria" come disposto dal T.U. stesso. Tali attività vengono svolte sotto la vigilanza di CONSOB e Banca d’Italia. Alle società fiduciarie di gestione la legge n. 1966/1939 più non si applica.

La legge dispone che le società fiduciarie di gestione, iscritte nella sezione speciale dell’albo SIM, esercitino l’attività di gestione con intestazione fiduciaria "in via esclusiva", previa integrazione della ragione sociale con l’indicazione di "società fiduciaria SIM".

Per i rapporti di gestione intrattenuti con società fiduciarie di gestione, il contribuente può optare per il c.d. "regime del risparmio gestito" di cui all’art. 7 del d. lgs. 21 novembre 1997, n. 461.

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Gli usi delle fiduciarie • Di fatto è preclusa l’intestazione d’immobili (a motivo del carico fiscale rappresentato

dalla sommatoria di IVA, imposta di registro e ipocatastali) e, sempre per ragioni fiscali, è esclusa di fatto pure l’intestazione di brevetti e mobili registrati;

• Si usa invece per: Acquisto/vendita di pacchetti di controllo di società commerciali; Acquisto/vendita di aziende, opere d’arte (anche concorrendo ad aste) a proprio nome e

per conto altrui con riserva di dichiarare l’effettivo proprietario ad affare concluso; Amministrazione d’immobili o universalità d’immobili anche in relazione ad incarichi di

organizzazione aziendale aventi ad oggetto le aziende amministrate; Incarichi di tenere il libro dei soci di società a larga base azionaria; Incarichi di ricevere in deposito, custodia e garanzia beni mobili di qualsiasi genere per

farne l’uso stabilito dalle istruzioni predisposte. Intestazione fiduciaria degli investimenti sul mercato Contratti di gestione Dossier titoli e c/c Polizze assicurative ( contraente e/o beneficiario ) Consolidato Patrimoniale Intestazione fiduciaria di partecipazioni in società di capitali sottoscrizione di aumenti di capitale acquisti da terzi Sottoscrizione di prestiti obbligazionari

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Cosa vuol dire che i beni sono di una fiduciaria?

A ministero dell’intestazione dei beni ad una fiduciaria si conseguono questi effetti: I beni sono formalmente intestati alla società fiduciaria ma seguitano ad essere di

proprietà del fiduciante che darà le istruzioni alla fiduciaria in ordine alle attività da svolgere sui beni.

La condotta della società fiduciaria sarà ispirata dalla corretta amministrazione dei beni dei quali è stata investita.

Il fiduciante consegue l’effetto della separazione dei beni affidati alla fiduciaria dai propri.

Il fiduciante può disporre dei beni anche senza previo ritrasferimento. Se si tratta di partecipazioni sociali, non c’è alcun trasferimento. La nuova regolamentazione ha stabilito solo per le società fiduciarie "di gestione" e non per

quelle "statiche": L’obbligo di inserimento nella denominazione sociale della espressione “società di

intermediazione mobiliare” Il divieto di svolgere servizi diversi dalla gestione di portafogli (a meno che non cessino di

operare mediante intestazione fiduciaria) L’obbligo di iscrizione all’albo ex art. 9 D. Lgs. 415/96 e sottoposizione alla regolamentazione

dello stesso Decreto, con la conseguente disapplicazione delle Leggi n. 1966 del 1939 e n. 430 del 1986.

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Elementi in comune con il trust

Nonostante, come si sia detto, la comunione tra società fiduciarie e trust sia più frutto dell’assonanza delle espressioni semantiche che la conseguenza di un’effettiva identità giuridica, il negozio fiduciario presenta in effetti alcune analogie con il trust.

In entrambi i casi la titolarità della proprietà in capo al fiduciario (o al trustee) è funzionale al perseguimento di uno scopo impresso dal fiduciante (o dal disponente).

Il perseguimento del fine ha un suo naturale fine; la fine della durata del trust da un lato e, nel caso della proprietà fiduciaria, ad un certo punto o il raggiungimento del fine o l’impossibilità del suo conseguimento danno stura alla nascita del diritto del fiduciante di potere rivendicare i beni fiduciati con conseguente estinzione della proprietà fiduciaria.

In buona sostanza, entrambi gli istituti hanno un fondamento comune che potremmo in entrambi i casi chiamare “causa fiduciae”.

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La causa fiduciae, però, ha effetti completamente differenti

Se è vero che alla base di entrambi gli istituti c’è una causa fiduciae, gli effetti, nondimeno, sono completamenti diversi in quanto cambiano completamente le situazioni giuridiche d cui sono investiti i soggetti del rapporto.

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Nel negozio fiduciario l’attribuzione proprietaria a favore del fiduciario è piena dal momento che i limiti del pactum fiduciae si risolvono in ordinari obblighi a carico dello stesso riguardo all’uso e alla disposizione dei beni trasferitigli.

• Conseguenza: la posizione del fiduciante/beneficiario è tutelata solo in via obbligatoria (risarcimento del danno); se il fiduciante viola il patto e cede il bene ad un terzo, il patto stesso non sarà opponibile al terzo quand’anche in buona fede. Nel caso di violazione del patto, non sarà esperibile alcuna tutela per il recupero della cosa.

La posizione giuridica del trustee è quella della titolarità di una proprietà funzionale; tanto che il beneficiario è titolare di un diritto di sequela che gli consente di recuperare il bene dal terzo che lo abbia acquistato dal trustee infedele ancorché sia in buona fede.

• Il beneficiario ha una tutela completamente diversa.

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Questo perché la causa fiduciae nasce in modo completamente diverso

Quanto si è appena visto è il portato di una considerazione molto semplice:

A. Effettivamente la causa fiduciae è presente tanto nel negozio fiduciario quanto nel trust. In entrambi i casi il terzo è scelto in virtù dell’affidamento riposto nel terzo (che prenderà il nome di trustee o di fiduciario).

B. La causa fiduciae, però, nel caso del negozio fiduciario è l’architrave costitutiva destinata a manifestare i propri effetti per tutta la vita del negozio tanto, appunto, da sorreggerne e sostenerne il funzionamento per tutta la sua durata. Nel caso del trust, invece, la fiducia attiene al mero momento genetico ma si estingue immediatamente non essendo destinata a riverberare le sue conseguenze dopo l’atto istitutivo dal momento che il disponente perde qualsiasi prerogativa nel momento in cui nasce il trust. L’abuso, considerato illecito, sarà tutelato dall’ordinamento con completa irrilevanza della fiducia.

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Soprattutto, quello che cambia è il tipo di segregazione patrimoniale

Ancora una volta, va constata come la completa autonomia patrimoniale postulata dal trust sia la cifra caratterizzante dell’istituto che non è dato ravvisare in nessun istituto alternativo.

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• Nel negozio fiduciario non c’è alcuna segregazione patrimoniale. La proprietà sostanziale rimane in capo al fiduciante con ogni conseguenza circa l’aggredibilità dei beni.

Nel negozio fiduciario non c’è alcuna segregazione; i beni sono

intestati al fiduciario ma non hanno alcuna delle tutele previste quali caratteristiche fondamentali della

proprietà del trustee.

• L’essenza del trust è la segregazione patrimoniale; i beni non sono aggredibili da nessuno, non si confondono con quelli del fiduciario, non cadono nella sua successione né in comunione.

Il trust si fonda sulla completa separazione patrimoniale per

cui i beni non potranno essere esecutati da alcun

nucleo di creditori.

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Conseguenze concrete: sono tutele completamente differenti

“Nell'ambito di un procedimento di sequestro presso terzi il creditore procedente - che cita in giudizio la società fiduciaria per accertare che la quota di una partecipazione al capitale di una società di cui essa è titolare è invece di effettiva titolarità del debitore - di fronte all'obbligo di riservatezza addotto dalla fiduciaria, tanto in ordine alla identità dei clienti, quanto al contenuto del contratto di mandato, ha l'onere di dimostrare l'esistenza e il contenuto del pactum fiduciae in base al quale le parti del negozio fiduciario avrebbero regolato i loro rapporti. La prova dell'intestazione fiduciaria, integrando una ipotesi di interposizione reale, non incontra i limiti della simulazione previsti dall'art. 1417 cod. civ., non è soggetta ai requisiti di forma e può essere data con ogni mezzo compresa la prova testimoniale”, Trib. Roma Sez. III, 17/05/2012.

“Il mandato fiduciario ai sensi della legge 23 novembre 1939, n. 1966, è "trasparente", nel senso che la titolarità dei beni fiduciariamente intestati al mandatario appartiene, in realtà, al mandante/fiduciante; conseguentemente, i beni intestati alla società fiduciaria possono essere aggrediti dal creditore del fiduciante, necessariamente attraverso le forme dell'espropriazione presso terzi, poiché il terzo è titolare di una situazione soggettiva idonea a limitare la libera disponibilità dei cespiti da parte del debitore”, Trib. Reggio Emilia, 11/04/2012.

“Nella disciplina delle società fiduciarie, la fattispecie va inquadrata nell'ambito della figura tipica del mandato senza rappresentanza. Nell'intestazione fiduciaria, infatti, il fiduciario è comunque un mandatario senza rappresentanza del fiduciante, che agisce in nome proprio per conto del fiduciante”, Trib. Modena Sez. I, 14/02/2008.

NON È DUNQUE POSSIBILE INSTAURARE ALCUN TIPO DI PARALLELISMO CON I TRUSTS PERCHÉ LE CONSEGUENZE OPERATIVE SONO COMPLETAMENTE DIFFERENTI.

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ADEMPIMENTI FISCALI DEL TRUST

Il punto 3.2 della circolare 48/2007 ha precisato che il trust deve: • presentare annualmente la dichiarazione dei redditi, anche se trasparente; • dotarsi di un proprio codice fiscale; • qualora eserciti attività commerciale, aprire la partita IVA. Tutti gli adempimenti tributari del trust sono assolti dal trustee. L’art. 1, co. 76 L. 296/2007 ha integrato l’art. 13 D.P.R. 600/1973 includendo anche il trust fra i soggetti obbligati

a tenere le scritture contabili. I trust che hanno per oggetto esclusivo l’esercizio di attività commerciali devono tenere le scritture contabili previste dall’art. 14, mentre i trust che esercitano attività commerciale in forma non esclusiva sono obbligati alla tenuta delle scritture contabili ex art. 20.

Infine, a seconda del tipo di attività svolta, il trust potrebbe essere soggetto all’IRAP. PRINCIPALI FONTI NORMATIVE IN MATERIA FISCALE

ART. 1, CO. 74-76, L. n. 296/2006 Ha introdotto per la prima volta nell’ordinamento tributario nazionale

disposizioni fiscali sistematiche in materia di TRUST interni. ART. 2, CO. 47-54, DL. n. 262/2006

Reintroduzione Imposta di successione e donazione (conv. con modif. nella L. n. 286/2006)

CIRCOLARE N. 48/E DEL 2007 Trust. Disciplina Fiscale rilevante ai fini delle Imposte sui Redditi e

delle Imposte Indirette CIRCOLARE N. 3/E DEL 2008

Successioni, donazioni, atti a titolo gratuito e costituzione di vincoli di destinazione

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Aspetti fiscali dei trusts A seguito della finanziaria 2007 i trusts hanno avuto il riconoscimento di un’autonoma soggettività tributaria; dovranno vedere attribuito un codice fiscale; nel quadro B va

indicata la denominazione, la natura giuridica, per il codice attività si ricorre alla finzione legando il codice attività a quella che potrebbe essere un’attività amministrativa del trust (con analogia, per esempio, all’amministratore di condominio piuttosto che all’assistenza

sociale per disabili.

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TASSAZIONE TRUSTS

INDIRETTA

(imposta di registro sulla costituzione dei vincoli di destinazione e imposta

sulle successioni donazioni con applicazione delle varie

franchigie )

DIRETTA

(il trust è soggetto passivo IRES).

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Le imposte indirette sui trust Secondo l’Agenzia delle Entrate, l’atto dispositivo al trust, che pone in essere un trasferimento di proprietà, integra

la fattispecie impositiva del tributo: imposta di successione e donazione (ma secondo la migliore dottrina solo i trust di tipo “liberale” possono

rientrare nell’ambito oggettivo di applicazione dell’imposta sulle successioni e donazioni, mentre i trust commerciali sono soggetti all’imposta di registro e/o all’Iva, in quanto privi di gratuità (se considerati nel loro complesso);

in caso di conferimento di immobili anche le imposte ipotecarie e catastali in misura proporzionale (2% + 1% tanto al momento del passaggio dei beni dal Disponente al Trustee quanto al momento della devoluzione finale ai beneficiarî nonché i trasferimenti eventualmente effettuati durante la vita del Trust). Secondo l’impostazione accolta dall’Amministrazione finanziaria nella C.M. n. 48/2007 e confermata nella C.M. n. 3/E del 22 gennaio 2008, infatti, l’atto di costituzione di un trust configurando un atto di costituzione di vincoli di destinazione, rientra nell’ambito di applicazione dell’imposta sulle successioni e donazioni, come reintrodotta dall’art. 2, commi da 47 a 53 del D.L. 3 ottobre 2006, n. 262 (convertito, con modificazioni, dalla L. 24 novembre 2006, n. 286).

Laddove l’atto istitutivo del trust non sia anche atto di dotazione patrimoniale, se redatto per atto pubblico o scrittura privata autenticata, è soggetto all’imposta di Registro in misura fissa, ai sensi dell’art. 11, Tariffa, parte I, perché privo di contenuto patrimoniale.

È fortemente dibattuto se l’imposta sulle donazioni/successioni sia dovuta nel primo passaggio dal disponente al trustee o nel passaggio finale dal trustee ai beneficiarî.

L’Agenzia delle Entrate ha chiarito nelle C.M. 48/E/2007 e C.M. 3/E/2008 che: • l’imposta è dovuta nel primo passaggio dal disponente al trustee; • ai fini della determinazione delle aliquote bisogna tenere conto del rapporto esistente tra il disponente e i

beneficiarî; • per beneficiare delle franchigie bisogna individuare i beneficiarî puntualmente e non per categorie; • se il trust risulta discrezionale in relazione alla nomina dei beneficiarî dei beni si applica l’imposta di donazione

nella misura massima dell’8%.

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Regole per l’applicazione delle imposte di successione/donazione

L’Agenzia delle Entrate ha chiarito nelle C.M. 48/E/2007 e C.M. 3/E/2008 che: • l’imposta è dovuta nel primo passaggio dal disponente al trustee; • ai fini della determinazione delle aliquote bisogna tenere conto del rapporto esistente tra il disponente e i beneficiarî; • per beneficiare delle franchigie bisogna individuare i beneficiarî puntualmente e non per categorie; • se il trust risulta discrezionale in relazione alla nomina dei beneficiarî dei beni si applica l’imposta di donazione nella misura

massima dell’8%. L’intervento dell’Amministrazione Finanziaria ad opera della C.M. 48/2007 ha fornito un’interpretazione particolare in quanto,

rivedendo implicitamente le posizioni espresse in sede di Telefisco, ha sostenuto che l’imposta di donazione è dovuta nel primo passaggio dal disponente al trustee, ma che l’imposta non è più dovuta nel passaggio successivo dal trustee al beneficiario.

La circolare ricorda inoltre che la Finanziaria 2007 ha integrato la disciplina dell’imposta in esame introducendo, tra l’altro, determinate franchigie in favore dei parenti in linea collaterale e dei portatori di handicap, nonché esenzioni per il trasferimento a favore dei discendenti, di aziende o rami di esse, di quote sociali o di azioni (articolo 1, commi da 77 a 79).

Si precisa come: • ai fini della determinazione delle aliquote, che si differenziano in dipendenza del rapporto di parentela e affinità occorre

guardare al rapporto intercorrente tra il disponente e il beneficiario anziché quello tra disponente e trustee. Di tali franchigie si dovrà tener conto in sede di disposizione dei beni in trust;

• ai fini dell’applicazione sia delle aliquote ridotte sia delle franchigie, il beneficiario deve poter essere identificato, in relazione al grado di parentela con il disponente, al momento della costituzione del vincolo.

Ad esempio, per poter applicare l’aliquota del 4% prevista tra parenti in linea retta, è sufficiente sapere che il beneficiario di un trust familiare sarà il primo nipote al conseguimento della maggiore età .

Se il beneficiario dei trasferimenti è una persona portatrice di handicap, riconosciuto grave ai sensi della legge 5 febbraio 1992, n. 104, l’imposta si applica esclusivamente sulla parte del valore della quota o del legato che supera l’ammontare di 1.500.000 euro.

La C.M. 48/2007 non ha chiarito in che misura vada applicata l’imposta di donazione se il trust è discrezionale, ossia se i beneficiarî dei beni sono nominati ad esempio dal trustee, in un momento successivo.

Con la C.M. 3/2008 è stato chiarito che la mancata individuazione dei beneficiarî, nemmeno per categoria, determina l’applicazione dell’imposta d donazione nella misura massima dell’8%.

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Nel caso di trasferimenti di aziende e partecipazioni sociali occorre tenere conto delle possibili esenzioni

L’art. 1, co. 78, lett. a), L. n. 296/2006 (Finanziaria 2007) ha inserito nell’art. 3 del TUS, il co. 4-ter, il quale stabilisce che “i trasferimenti effettuati anche tramite i patti di famiglia artt. 768 bis e ss del C.C. a favore dei discendenti, di aziende o rami di esse, di quote sociali e di azioni non sono soggette all’imposta. In caso di quote sociali e azioni di soggetti di cui all’art. 73, co. 1, lett. a) del TUIR, il beneficio spetta limitatamente alle partecipazioni mediante le quali è acquisito o integrato il controllo ex art. 2359, co. 1, numero 1, del c.c.”.

Il beneficio si applica a condizione che gli aventi causa: “proseguano l’esercizio dell’attività d’impresa o detengano il controllo per un periodo non inferiore a cinque anni dalla data del trasferimento rendendo alla presentazione della dichiarazione di successione o all’atto di donazione apposita dichiarazione in tale senso”.

L’art. 1, co. 31, L. n. 244/2007 (Finanziaria 2008) ha esteso l’agevolazione in questione anche nel caso di trasferimenti di aziende o rami di esse e cessioni di azioni o quote sociali in favore del coniuge del dante causa con decorrenza 01.01.2008.

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Fiscalmente i trusts possono essere, innanzitutto, distinti a seconda del collegamento territoriale

SI È DETTO CHE IL LEGISLATORE TRIBUTARIO È

INTERVENUTO IN MATERIA DI TRUSTS; A

SEGUITO DELLA NOVELLA DEL TUIR DEL

2007 ABBIAMO.

Tutti i trust hanno un codice fiscale.

RESIDENTI IN ITALIA

(E SONO SOGGETTI

PASSIVI IRES)

COMMERCIALI (invero piuttosto desueti ma che vanno tenuti a mente nel caso di trasformazione di

società in trust in quanto la costituzione di un trust commerciale potrebbe

essere più interessante di quanto non si possa

pensare).

NON COMMERCIALI e dunque senza partita iva (nettamente prevalenti nella prassi). Non sono, tautologicamente, enti commerciali.

Ai sensi dell’art. 4 lettera q) del D.Lgs 344 del 2003 gli utili percepiti dagli enti non commerciali concorrono alla formazione del reddito complessivo imponibile nel limite del 5%, indipendentemente dalla quota di partecipazione detenuta (qualificata o non qualificata) anche se conseguiti nell’esercizio di impresa.

NON RESIDENTI (E SARANNO SOGGETTI

PASSIVI IRES SOLO PER I REDDITI PRODOTTI IN

ITALIA)

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Quando un trust sarà residente in Italia

In generale, dunque non solo per i trusts, un soggetto IRES risiede in Italia al verificarsi di almeno una delle condizioni sotto indicate per la maggior parte del periodo di imposta:

sede legale nel territorio dello Stato;

sede dell’amministrazione nel territorio dello Stato;

oggetto principale dell’attività svolta nel territorio dello Stato.

La C.M. 48/2007, punto 3.1 ha chiarito che il criterio della sede legale è poco adeguato al trust per cui si dovranno considerare prevalentemente gli altri due presupposti.

La sede dell’amministrazione risulterà di facile individuazione per i trust che si avvalgono, nel perseguire il loro scopo, di un’apposita struttura organizzativa (dipendenti, locali, ecc.).

Generalmente, mancando questa struttura, la sede dell’amministrazione tenderà a coincidere con il domicilio fiscale del trustee. Per quanto riguarda il criterio successivo, la C.M. 48/2007 precisa che l’oggetto principale dell’attività del trust è collocato nello Stato in cui si trovano i beni del trust.

In realtà l’oggetto dell’attività del trustee è quello di amministrare i beni assegnati dal disponente, per cui lo stesso non dovrebbe necessariamente coincidere con l’ubicazione dei beni amministrati.

I beni in trust sono costituiti esclusivamente da un patrimonio immobiliare situato interamente in Italia. Secondo l’Agenzia, il trust è residente in Italia. Se i beni immobili sono situati in Stati diversi occorre fare riferimento al criterio della prevalenza.

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A seconda del rapporto con i beneficiarî, ed ai fini del pagamento delle imposte dirette, i trust possono

essere: OPACHI

Un trust è opaco nel caso in cui i beneficiarî del reddito non risultino identificati.

Il metodo di calcolo dipende dall’applicazione delle norme relative alla tipologia di ente di cui si tratta (commerciale residente, non commerciale residente, non residente).

Nei Trust senza beneficiarî individuati i redditi vengono tassati direttamente in capo al Trust (“opachi”) con aliquota IRES.

Nella determinazione del disponente occorre che il consulente presti particolare attenzione dal momento che va inteso come si intendano strutturare, anche sotto il profilo fiscale, le posizioni dei beneficarî.

Un trust opaco paga l’IRES al 27,5% in qualità di ente non commerciale.

Nel caso molto frequente che l’atto istitutivo preveda che parte del reddito sia accantonata a capitale e parte sia invece attribuita ai beneficiarî (configurazione mista), il reddito accantonato sarà tassato in capo al trust mentre quello attribuito ai beneficiarî sarà imputato a questi ultimi.

TRASPARENTI I Trust con beneficiarî individuati, i cui redditi,

qualificati come redditi di capitale, vengono imputati per trasparenza agli stessi ("trasparenti”) e tassati secondo le aliquote IRPEF personali del beneficiario.

I redditi prodotti dai trust trasparenti sono redditi di capitale (così li definisce l’art. 44, comma 1, TUIR, lettera g-sexies), tuttavia, vengono tassati in base non all’ordinario criterio di cassa ma al criterio della competenza (ex art. 73, comma 2, TUIR), stante il quale i redditi conseguiti dal trust sono imputati in ogni caso ai beneficiarî in proporzione alla quota di partecipazione individuata nell’atto di costituzione del trust.

Secondo quanto chiarito dall’Agenzia delle Entrate nella circ. n. 48/E del 2007, indica che i redditi del trust devono essere imputati ai beneficiarî anche ove non siano stati da essi effettivamente percepiti.

Non è chiaro, ai fini della trasparenza, se il beneficiario debba essere individuato in modo inequivocabile nell’atto di trust o se lo stesso possa essere nominato successivamente dal trustee.

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Delimitazione della nozione di trust opaco

Abbiamo detto che un trust è opaco quando ha un “beneficiario individuato”; per tale è da intendersi il beneficiario di “reddito individuato”, vale a dire il soggetto che esprime, rispetto a quel reddito, una capacità contributiva attuale.

È necessario, quindi:

• che il beneficiario non solo sia puntualmente individuato, ma che risulti titolare del diritto di pretendere dal trustee l’assegnazione di quella parte di reddito che gli viene imputata per trasparenza;

• il reddito sia immediatamente e originariamente riferibile ai beneficiarî. La riferibilità immediata dei redditi ai beneficiarî, quale presupposto della tassazione per trasparenza, esclude che vi sia discrezionalità alcuna in capo al trustee in ordine sia alla individuazione dei beneficiarî sia alla eventuale imputazione del reddito ai beneficiarî stessi.

In sostanza, il diritto all’assegnazione del reddito deve nascere ab origine a favore di determinati beneficiarî.

La circolare n. 61/E del 27 dicembre 2010 aggiunge inoltre che “se, dunque, nell’atto costitutivo è fatta espressa menzione nominativa dei beneficiarî dei trust, quest’ultimo assume ai fini delle imposte sui redditi la qualifica di soggetto trasparente “per natura”: in tal caso, infatti, il trust configura un soggetto trasparente ex se, non rendendosi necessaria alcuna opzione in proposito da parte dello stesso e dei relativi beneficiarî.”

Al contrario, se il trustee ha il potere di scegliere se, quando, in che misura o a chi attribuire il reddito del trust, tale discrezionalità fa venir meno l’automatismo che è il presupposto della imputazione per trasparenza, indipendentemente dalla effettiva percezione, in capo al beneficiario. Invero, se il trustee ha il potere di decidere l’attribuzione del reddito, vuole dire che egli ha un potere su quel reddito, potere che gli deriva dal possesso del reddito stesso.

Conseguentemente quel reddito è imputato al trust e non al beneficiario.

Inoltre, da quanto affermato dall’Agenzia, ai fini dell’imputazione per trasparenza, rilevano solamente i beneficiarî del reddito e non i beneficiarî del capitale.

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La tassazione dei dividendi in capo ad un trust opaco

Come detto i trust sono assimilati, da un punto di vista fiscale, ad enti non commerciali e sono tassati sulle varie categorie di reddito.

Un tema di particolare interesse, in considerazione del vantaggio fiscale che si può ottenere, è la tassazione dei dividendi in capo al trust.

Il trust opaco, come detto, sconta l’IRES al 27,5% in qualità di ente non commerciale . Passando ad analizzare la tassazione dei dividendi, va segnalato come precisi chiarimenti siano contenuti nel punto 3.7 della C.M. 26/2004.

In base alla citata circolare gli enti non commerciali sono stati provvisoriamente annoverati tra i soggetti cui si applica l’IRES, sia pure con criteri di determinazione della base imponibile differenti.

Per gli enti non commerciali, infatti, continuano a concorrere alla formazione della base imponibile i redditi fondiari, di capitale, di impresa e diversi, secondo le regole di determinazione contenute nel Titolo I del T.U.I.R. (v. artt. 143 e seguenti del T.U.I.R.).

Ciò nonostante, a norma dell’articolo 4, comma 1, lettera q), del decreto legislativo n. 344 del 2003, recante disposizioni di carattere transitorio, fino a quando non verrà attuato il principio della legge delega che prevede la loro inclusione tra i soggetti passivi dell’imposta sul reddito (IRE), gli utili percepiti dagli enti non commerciali nel limite del 95 per cento del relativo ammontare, non concorrono alla formazione del reddito complessivo imponibile; gli stessi sono esclusi anche se conseguiti nell’esercizio di impresa.

La stessa norma stabilisce, inoltre, che sul 5 per cento dell’ammontare degli utili, in qualunque forma corrisposti nel primo periodo d’imposta che inizia a decorrere dal 1° gennaio 2004, si applica una ritenuta alla fonte a titolo di acconto del 12,50 per cento.

Il descritto trattamento fiscale si applica agli utili derivanti sia da partecipazioni non qualificate che da partecipazioni qualificate.

In sintesi, i dividendi percepiti da un trust opaco, sia in caso di partecipazioni qualificate sia in ipotesi di partecipazioni non qualificate, sono esenti per il 95% del loro ammontare e la tassazione a cui sono soggetti é il 27,5% del 5% quindi l’1,375%.

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Tassazione dei dividendi in capo ad un trust trasparente

Un trust è trasparente quando i beneficiarî del reddito sono individuati; l’ultimo periodo inserito nell’art. 73 comma 2 stabilisce che i redditi conseguiti dal trust sono imputati, in ogni caso, a questi ultimi in proporzione alla quota di partecipazione individuata nell’atto di costituzione o in altri documenti successivi ovvero, in mancanza, in parti uguali.

La base imponibile dei dividendi, in presenza di trust trasparente o opaco, è la medesima. Sono infatti tassati sul 5% del loro ammontare; in questo caso, però, la base imponibile

sconterà la tassazione progressiva IRPEF di ciascuno dei beneficiarî. Quindi, sia per il trust trasparente sia per il trust opaco la tassazione dei dividenti è sul 5%

del loro ammontare. Se il trust è opaco, tale base imponibile sconta l’IRES del 27,5% mentre, se imputata ai

beneficiarî, la medesima base imponibile sconterà la tassazione progressiva Irpef di ciascuno di essi.

In ogni caso, tanto nel caso di trust trasparente che opaco, qualora il reddito prodotto dal trust (es. Rendite finanziarie) abbia scontato una tassazione a titolo di imposta o d’imposta sostitutiva in capo al trust che lo ha realizzato, tale reddito non concorre alla formazione della base imponibile ne’ in capo al trust opaco ne’, in caso d’imputazione per trasparenza, in capo in caso d’imputazione per trasparenza, in capo ai beneficiarî.

Ne consegue: i redditi conseguiti e correttamente tassati in capo al trust prima della individuazione dei beneficiarî (in caso di trust “opaco”) non possono scontare una nuova imposizione in capo a questi ultimi a seguito della loro distribuzione.

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Cessione di beni durante la vita del trust

Analizziamo ora il trattamento fiscale della cessione dei beni durante la vita del trust. Il trattamento fiscale della cessione dei beni durante la vita del trust non presenta particolari

problemi operativi, in quanto desumibile dalle ordinarie disposizioni che, ai fini delle imposte sui redditi, disciplinano detta operazione.

In particolare, • quando le cessioni sono poste in essere nell’esercizio di impresa, la relativa disciplina fiscale

varia in funzione della categoria di appartenenza del bene ceduto; • diversamente, nel caso di cessioni non effettuate nell’esercizio dell’impresa potranno realizzarsi,

ricorrendone i presupposti, le fattispecie reddituali previste dall’art. 67 del T.U.I.R. Per la determinazione delle plusvalenze dovrà farsi riferimento ai valori fiscalmente riconosciuti in

capo al disponente, fermo restando che il trasferimento dei beni dal disponente al trustee non interrompe il decorso del quinquennio di cui all’art. 67, mentre nel caso di cessioni di beni acquistati dal trust si farà riferimento al prezzo pagato.

In ipotesi di trust che non svolgono attività commerciali si applicano quindi le disposizioni stabilite dall’art. 67 del T.U.I.R e dall’art. 5 del D.lgs. n.461/1997.

Il citato articolo 5 prevede che i redditi di cui alle lettere da c-bis a c-quinquies del c.1 dell’art. 81 (ora art.67) sono soggetti ad imposta sostitutiva delle imposte sui redditi con aliquota del 12,5%.

Di conseguenza, in ipotesi di cessione di una partecipazione qualificata o non qualificata, la plusvalenza in capo al trust è tassata come se lo stesso fosse una persona fisica.

In ipotesi di cessione di una partecipazione qualificata, la plusvalenza sarà tassata sul 49,72% dell’ammontare; diversamente, in ipotesi di cessione di una partecipazione non qualificata la plusvalenza sarà soggetta ad un’imposta sostitutiva del 12,5%.

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Come cambia la vita di un imprenditore “medio” istituendo un trust: profili d’impatto giudico e fiscale

Benché si sia voluto mantenere un profilo necessariamente semplice, giunti a questo forse si sarà compreso, come vorremmo, che i trusts possono comportare una soluzione di enorme utilità sotto il profilo:

Della messa in sicurezza del patrimonio;

Della pianificazione anche ai fini fiscali.

Coerenti con la missione che ci siamo dati, che ripetiamo essere quella di voler calare nella trincea degli affari le nostre considerazioni, a mo’ di esempio utile, crediamo, in un novero piuttosto ampio d’ipotesi, vorremmo dimostrare concretamente con un caso concreto quale sia l’impatto del trust su una vicenda in cui crediamo in molti potranno riconoscersi per potere valutare, con tutte le informazioni del caso, il ricorso al trust.

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SITUAZIONE DEL SIG. TIZIO

• Il Sig. Tizio imprenditore, divorziato, titolare di vari beni, vorrebbe avvicinarsi al trust per gestire la sua situazione familiare un po’ complessa (ha una nova compagna e varie vicende particolari).

• È proprietario di un complesso piuttosto complesso per un valore totale di beni di 3.500.000,00 euro.

• Ha tre figli di cui uno diversamente abile. • Vorrebbe indicare in un trust tutti i figli. La presenza di un figlio svantaggiato già fa escludere che ci

sia il pagamento di imposte per successione donazione. • Ai fini del pagamento delle imposte indirette abbiamo già notevolmente ridotto il novero della

tassazione in quanto avremmo solo da pagare il 3% del valore catastale dei beni immobili al momento del conferimento dei beni in trust.

• I suoi beni sono: • 5 ville per valore catastale di 1.000.000,00 euro. • Danaro per 2.500.000,00 euro. • Una quota s.r.l. per complessivi 1.000.000,00 euro. • Nell’anno 2012, ha avuto redditi per: a) Canoni d’affitto: € 300.000,00 (con 85.000,00 di spese di manutenzione); b) Dividendi percepiti: € 1.000.000,00; c) Interessi: € 50.000,00. Orbene la sua base imponibile è stata di: a) Per i canoni d’affitto di 255.000,00 (300.000,00 – 15% del canone); b) Per i dividendi: 497.200,00 (1.000.000,00*49,72%); c) Gli interessi sono fiscalmente neutri in quanto già assoggettati alla ritenuta alla fonte.

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Senza trust e con un trust

IMMAGINIAMO TIZIO PRIMA DELL’ISTITUZIONE DEL TRUST:

BASE IMPONIBILE TOTALE:

IMMOBILIARE

255.000,00 (300.000,00 – 15% del canone);

DIVIDENDI

497.200,00 (1.000.000,00*49,72%);

Interessi fiscalmente neutri;

TOTALE:

(255.000,00 + 497.200,00) * 43%

TOTALE TASSAZIONE PAGATA DA TIZIO:

€ 323.446,00

TIZIO SI CHIEDE QUANTO AVREBBE PAGATO COSTITUENDO UN TRUST

OPACO:

BASE IMPONIBILE TOTALE:

IMMOBILIARE

255.000,00 (300.000,00 – 15% del canone);

DIVIDENDI

50.000,00 (1.000.000,00 * 5%)

Interessi fiscalmente neutri;

TOTALE:

(255.000,00 + 50.000,00) * 27,50%

TOTALE TASSAZIONE PAGATA CON UN TRUST OPACO:

€ 82.350,00

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Nei casi che avevamo visto in precedenza, l’impatto dei trusts era stato esaminato nel confronto con istituti più

o meno ontologicamente fungibili (es.: la holding). Il caso del Sig. Tizio è viepiù interessante se si considera che l’istituto del trust è posto al confronto con l’idea di

lasciare tutto così com’è. Una soluzione che produrrebbe differenze di peso

tributario per € 241.096,00. Nel caso di specie, peraltro, si è volontariamente preso

a riferimento un valore catastale altissimo, assolutamente esagerato. Ebbene non v’è chi non veda che, anche a pagare il 3% del valore catastale, il costo fiscale del trust sarebbe ammortizzabile facilmente in

pochi mesi. www.responsa.ch - www.mfd-geie.org 140

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consulenza in materia di trusts iscritta nel registro delle imprese di Lugano al n:

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