Premessa - Emilio Renzi · 9 Enzo Paci, Tempo e verità nella fenomenologia di Husserl, Laterza,...

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Emilio Renzi “I migliori anni della nostra vita (1958-1967). In memoria di Guido Davide Neri” (da: “Materiali di Estetica”, 11/2004, pp. 11 36. Numero dedicato a Guido D. Neri, 1935-2001, a cura di Simona Chiodo) Premessa Negli anni della formazione uno scarto anche solo di due o tre anni può contare molto. Arrivato alla Facoltà di Filosofia di Milano Statale nel novembre del 1958 vidi per la prima volta Guido Davide Neri nell’aula di Enzo Paci, al suo fianco come assistente volontario. Tra i banchi di quell’aula feci la conoscenza di Giovanni Piana, Andrea Bonomi, altri di cui poi dirò. Loro erano “matricole”, io avevo già fatto due anni a Padova dunque ero un “terz’anno”. La differenza di piani di studi tra le due Università faceva sì che io mi trovassi a frequentare in altre aule corsi di anni diversi, con altri compagni ancora. Quanto a Guido, si era laureato un anno prima, a Pavia 1 . Io ero dunque più piccolo di lui di ben due anni anagrafici e lui più grande di me di tre o cinque anni di studi filosofici completati e di conoscenze universitarie e milanesi. Così apparve a me in quei giorni secondo una prospettiva che sostanzialmente non cambiò nei pur mutati rapporti di sopravvenuta crescita. Il garbo di Guido, la sua bella maniera di rispondere al saluto, alle domande, sempre con un suo intento sorriso, facevano superare ogni distacco ma nessuno dei due appartenne realmente alle rispettive cerchie degli amici stretti e intimi. Non ho esclusivi ricordi su di lui. E tuttavia ne scrivo perché più tardi intuii - e ora capisco del tutto - che fu una delle figure forti ancorché sommesse della crescita di quel gruppo di ragazzi che eravamo, e di un’intera stagione della Facoltà nella cornice di un 1 Nota biografica su Guido Davide Neri a cura di Chiara Zamboni e bibliografia dei suoi scritti a cura di Alessandra Pantano in Guido D. Neri, Il sensibile, la storia, l’arte. Scritti 1957-2001, prefazione di Dino Formaggio, Ombre Corte, Verona 2003. Altra bibliografia degli scritti di Neri in “aut aut” n. 304 (luglio-agosto 2001), pp. 161-164. Testimonianze di vari autori in Quando tra noi muore un filosofo. Ricordo di Guido D. Neri, Tipografia Viciguerra, Cremona 2002. Si vedano Amedeo Vigorelli, Con gli occhi di Guido, in “Rivista di storia della filosofia” (di prossima pubblicazione nel 2004, versione preliminare intitolata Ricordando Guido Davide Neri, in “Chora”, IV, 8, genn. 2004, pp. 88-91); Fulvio Papi, Una vita filosofica, XXX? 1

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Emilio Renzi “I migliori anni della nostra vita (1958-1967). In memoria di GuidoDavide Neri”

(da: “Materiali di Estetica”, 11/2004, pp. 11 36. Numero dedicato a GuidoD. Neri, 1935-2001, a cura di Simona Chiodo)

Premessa

Negli anni della formazione uno scarto anche solo di due o treanni può contare molto. Arrivato alla Facoltà di Filosofia di MilanoStatale nel novembre del 1958 vidi per la prima volta Guido DavideNeri nell’aula di Enzo Paci, al suo fianco come assistente volontario.Tra i banchi di quell’aula feci la conoscenza di Giovanni Piana,Andrea Bonomi, altri di cui poi dirò. Loro erano “matricole”, io avevogià fatto due anni a Padova dunque ero un “terz’anno”. La differenzadi piani di studi tra le due Università faceva sì che io mi trovassi afrequentare in altre aule corsi di anni diversi, con altri compagniancora. Quanto a Guido, si era laureato un anno prima, a Pavia1.

Io ero dunque più piccolo di lui di ben due anni anagrafici e luipiù grande di me di tre o cinque anni di studi filosofici completati e diconoscenze universitarie e milanesi. Così apparve a me in quei giornisecondo una prospettiva che sostanzialmente non cambiò nei purmutati rapporti di sopravvenuta crescita. Il garbo di Guido, la sua bellamaniera di rispondere al saluto, alle domande, sempre con un suointento sorriso, facevano superare ogni distacco ma nessuno dei dueappartenne realmente alle rispettive cerchie degli amici stretti e intimi.Non ho esclusivi ricordi su di lui. E tuttavia ne scrivo perché più tardiintuii - e ora capisco del tutto - che fu una delle figure fortiancorché sommesse della crescita di quel gruppo di ragazzi cheeravamo, e di un’intera stagione della Facoltà nella cornice di un

1 Nota biografica su Guido Davide Neri a cura di Chiara Zamboni e bibliografia dei suoiscritti a cura di Alessandra Pantano in Guido D. Neri, Il sensibile, la storia, l’arte. Scritti1957-2001, prefazione di Dino Formaggio, Ombre Corte, Verona 2003. Altra bibliografiadegli scritti di Neri in “aut aut” n. 304 (luglio-agosto 2001), pp. 161-164. Testimonianze divari autori in Quando tra noi muore un filosofo. Ricordo di Guido D. Neri, TipografiaViciguerra, Cremona 2002. Si vedano Amedeo Vigorelli, Con gli occhi di Guido, in “Rivistadi storia della filosofia” (di prossima pubblicazione nel 2004, versione preliminare intitolataRicordando Guido Davide Neri, in “Chora”, IV, 8, genn. 2004, pp. 88-91); Fulvio Papi, Unavita filosofica, XXX?

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decennio di vita culturale della città di Milano2.

I maestri e l’assistente

Enzo Paci era in quel periodo intensamente impegnato arifondare l’esistenzialismo e il relazionismo sulla fenomenologiahusserliana. Le sue lezioni erano seminali, la rivista “aut aut” eraattesa di numero in numero, la fine della lezione non era unabbandono dell’aula bensì un addensamento intorno alla cattedra digiovani (e magari anche di belle signore), la cui voglia di chiedere, disapere, non si riteneva soddisfatta. Il pensiero vivente di Paci sidispiegava secondo il duplice e convergente movimento di lettura deitesti inediti di Husserl e di correzione dei suoi proprii studi giovanili edell’interpretazione che ne aveva Antonio Banfi, il suo maestro.

Questo era - e restò - un altro punto di differenza tra queigiovani: lo “scarto” tra gli anni (pochi) e gli eventi intervenuti (molti).Banfi era morto nel 1957, Neri l’aveva sentito insegnare, parlare allaCasa della Cultura, l’aveva letto in presa diretta. Viceversa per me, pernoi, Banfi era il volto rappresentato dalla fotografia in apertura delnumero speciale di “aut aut” apparso all’inizio del 1958 e dedicato aBanfi; ed era certamente i saggi di Paci, il denso libro di Fulvio Papi.Ma è fatto noto e accertato che i racconti a voce tra gli studenticorrono più veloci e spesso più schietti, quindi più incisivi. Così possodire che fu la voce del più contiguo assistente Neri a far conoscereBanfi, a dire chi fosse stato, quale l’importanza del suo pensiero3.

Allo stesso modo è stato Neri più tardi a far capire dall’internoe con assoluta rettitudine le difficoltà, le aporie del Banfi deldopoguerra, divenuto cattedratico illustre e senatore del PCI. Neririlegge e invita a ripensare l’”edito e l’inedito”, facendo pubblicare ecommentando lo straordinario dialogo tra Banfi e Paci, perché sipotesse comprendere l’umana e politica curvatura del rapporto tramaestro e allievo. Per un verso, “l’immagine del Banfi ideologo finì

2 Nelle note bibliografiche ho privilegiato gli scritti che avessero valore di testimonianzasulle persone e sul periodo. Lo studioso troverà tuttavia le indicazioni essenziali perapprofondire la ricerca nella direzione delle idee filosofiche e della storia culturale nelle operedi Papi, Rambaldi, Vigorelli, Cambi e Minazzi indicate nelle note successive.3 Si vedano i fascicoli di “aut aut” n. 43-44 (genn.-marzo 1968) e n. 54 (nov. 1959, in cui èuna nota di Neri a presentare un inedito di Banfi. Cfr. il saggio di Amedeo Vigorelli, GuidoDavide Neri. L’inizio, XXX e il saggio di Amedeo Vigorelli, Una rivista milanese di filosofiae cultura: “aut aut” di Enzo Paci (1951-1972), in “Rivista di storia della filosofia”, 3/1995,pp. 645-655.

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per sovrapporsi a quella del filosofo problematico”; per l’altro, unPaci reduce dal lager, deciso a “vivere nell’immanenza portando consé il senso della trascendenza, a conservarsi libero dalla storia cioèdall’attualità dominante”4. L’assistente continuò insomma per moltianni ad assistere l’ex studente che sta ora cercando di scrivere dellanon terminabile storia dei rapporti tra iniziazione allo studio dellafilosofia e radicalismo fenomenologico.

Nell’Anno accademico 1958-1959 Paci tenne il corsomonografico sulle Meditazioni Cartesiane. L’opera di Husserl eraaccessibile solo nella versione francese di M.lle Gabrielle Peiffer e M.Emmanuel Lévinas, un’edizione Vrin del 1953 in porosa cartadopoguerra. Le dispense erano fogli dattiloscritti su carta velina.Bisognava poi saper commentare il Sofista e riferire sui capitoli diDall’esistenzialismo al relazionismo dedicati alla fenomenologia delmito. L’anno successivo l’argomento fu la concezione del tempo inHusserl5.

È su questo terreno che si intrecciano le radici di dueimportanti pubblicazioni del 1960: la prefazione a Brand, Mondo, io etempo nei manoscritti inediti di Husserl e la raccolta di saggi intitolataOmaggio a Husserl. In esso appare il primo importante contributofilosofico di Neri: La filosofia come ontologia universale e leobiezioni del relativismo scettico in Husserl6.

Dunque i primi saggi di Neri investono insieme Banfi eHusserl. Le recensioni negli ’”aut aut” di quegli anni alle opere primedi Giovanni Piana e di Guido Pedroli tengono ferma l’intenzionalitàcome “coscienza di” contro le interpretazioni opposte di coscienza delbisogno e di coscienza del soggetto idealisticamente inteso7.

4 Guido D. Neri, 1945: un confronto teologico-politico tra Paci e Banfi, in “aut aut”, n. 214-215 (luglio-ottobre 1986), pp. 57-71, che precede Enzo Paci, Colloqui con Banfi, pp. 72-77(ora in Guido D. Neri, Il sensibile..., cit., pp. 198-212, con il titolo: 1945: una discussionefilosofica sul comunismo. La citazione circa Banfi è a p. 71 (=208), quella relativa a Paci a p.58 (= 198).5 Alfredo Civita, Bibliografia degli scritti di Enzo Paci, La Nuova Italia editrice, Firenze1983. Contiene anche l’elenco delle tesi di laurea svolte con Paci a Pavia e a Milano.6 Ora in Guido D. Neri, Il sensibile..., cit., pp. 25-33. Omaggio a Husserl, a cura di Enzo Paci,saggi di A. Banfi, E. Filippini, G. Guzzoni, L. Lugarini, E. Melandri, G. D. Neri. E. Paci, G.Pedroli, R. Pucci, G. Semerari, S. Vanni-Rovighi, era apparso per i tipi de il Saggiatore nelgennaio del 1960; Mondo, Io e tempo nel manoscritti inediti di Husserl, introduzione di EnzoPaci, trad. di Enrico Filippini, nella collana “Idee nuove” dell’editore Bompiani, nel febbraiodello stesso anno. 7 Un’opera italiana sulla fenomenologia di Husserl, “aut aut”, n. 54 (nov. 1959), pp. 419-422e Congetture sull’intenzionalità, “aut aut”, n. 99 (maggio 1967), pp. 41-48, dedicate

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Stringendoli in una parola: “conoscenza”. Tanto più rafforzatadall’incontro con Merleau-Ponty: traduzione de La struttura delcomportamento, saggi. Uno studio che si sarebbe anch’esso continuatonegli anni, come è dimostrato dalla curatela di un fascicolo di “autaut” dedicato a Merleau-Ponty. E quanto a un’altra stella polare diNeri, Karel Kosik, è importante notare con Amedeo Vigorelli che ilprimo scritto di Kosik apparso in Italia era stato pubblicato in francesein “aut aut” nel 1961 “per iniziativa di Neri”8.

In quello stesso 1961 viene stampato il libro in cui Paciraccoglie a comun denominatore la sua rilettura e proposta dellafenomenologia come “orizzonte filosofico e culturale del nostrotempo”: Tempo e verità nella fenomenologia di Husserl9. Esso èdedicato ai “giovani amici dell’Università di Milano”. Quei giovani simuovevano tra via Festa del Perdono, via Scarlatti dove allora abitavaPaci, e via Sirtori, ove Giairo Daghini e la moglie Erica avevanoaffittato un appartamento, allegramente accessibile la sera, le notti, aicompagni di Facoltà, a letterati e architetti, a musicisti ed editoriali. Eci andava il professor Enzo Paci.

“I giovani amici”

Le “comuni” erano una solidarietà e una convivialità ideal-culturale quanto un assetto di sopravvivenza giovanile. La più famosaera quella di via Sirtori ma ve ne furono anche in via Solferino, in viaBandello. In quegli anni i Navigli erano ancora come erano natidecenni addietro ossia un grezzo manufatto industrial-trasportistico.Meglio Brera, in cui l’influenza dell’Accademia si faceva avvertirecon la presenza degli studi e delle gallerie d’arte. Il bar Giamaica eradei pittori e dei giocatori di carte proprio come negli scatti in bianco enero di Ugo Mulas10. Si mangiava in economia dalle sorelle Pirovini ein una trattoria sita in via Fiorichiari che si chiamava Angelo, oracommutata in Angolo (ben più considerevolmente sono staticommutati qualità e prezzi).

rispettivamente a Guido Pedroli, La fenomenologia di Husserl, Taylor, Torino 1958, e aGiovanni Piana, I problemi della fenomenologia, Mondadori, Milano 1966 (quest’ultima orane Il sensibile..., cit., pp. 34-39).8 Amedeo Vigorelli, L’inizio, cit. - Si veda Karel Kosik, Dialectique du concret, “aut aut”, n.63 (maggio 1961), pp. 203-213.9 Enzo Paci, Tempo e verità nella fenomenologia di Husserl, Laterza, Bari 1961. 10 Una fotografia di Ugo Mulas intitolata Il bar Giamaica a Milano, 1963, è riprodotta nelvolume Lombardia della Storia d’Italia Einaudi, a cura di Duccio Bigazzi e Marco Meriggi,Torino 2001.

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Di una protocomune in viale Maino ha scritto Enrico Filippini,che tutti chiamavano Nanni. In un suo alquanto malandrino Ricordo diEnzo Paci11 Filippini ha colto bene l’atmosfera di intensità di rapportiumani e di fervore culturale di quel giro d’anni che, a riguardarli ora,furono assai pochi: nel ‘62, nel ‘63, erano già cambiati e non vogliodire in peggio. Semplicemente avevamo cominciato a laurearci e acercare di lavorare: scrivere, tradurre.

Nanni Filippini aveva una capacità di stare alla macchina perscrivere e di immaginare, parlare, che era sbalorditiva. Le suetraduzioni da Husserl (Ideen I e II, la Crisi...), da Uwe Johnson e dagrandi letterati e saggisti tedeschi (suo il Panofski prefato da Neri), sicombinavano e convivevano con viaggi, progetti di libri,conversazioni accanite a “tirar mattina”. Fu editoriale alla Feltrinelli egiornalista culturale a “Repubblica”, brillante in ambedue i ruoli. Contutto il rispetto, continuo a vederlo circonfuso di colori: il giallo opacodelle Gauloises papier mais, il blu scuro dei pacchetti di Boyard, ilrosso squillante di quelli delle Marocaine, l’azzurro chiaro delleCeltique12.

Filippini, Daghini e Pedroli erano tutti e tre ticinesi. Non sipotrebbero immaginare personalità più diverse. Estroverso e vitalistail primo, generoso e politico-operaista il secondo, introverso eprosatore asciutto l’ultimo. Confortante smentita di tanti luoghicomuni.

L’altro assistente volontario di Paci, Paolo Caruso, alto, ossutoe di carattere allegro, era stato inviato da Paci a studiare a Parigi.Stava traducendo la Critique de la raison dialectique e ci avevasbalorditi intervistando Sartre (e più tardi Lévi-Strauss). Era la sua

11 Il Ricordo di Paci (in “Nuovi Argomenti”, luglio-settembre 1986, pp. 114-124) è tal puntopoco ortodosso rispetto al “genere” rammemorativo e accademico, da esser stato lasciatocader fuori dalle bibliografie scientifiche. Viceversa Neri gli ha dato un leale riconoscimentonella n. 11 del saggio Paci e Merleau-Ponty. Una testimonianza e qualche riflessione, già in“Chiasmi internazionali”, n. s., n. 2, 2000, p. 39-43, ora ne Il sensibile... cit., p. 170.12 Un inviato poco speciale si intitola la generosa testimonianza di Umberto Eco in aperturadella raccolta postuma di interviste di Enrico Filippini, La verità del gatto, Einaudi, Torino1990, pp. VII-XIII. Segnalo anche il singolare contrasto tra il primo (che è l’ultimo in ordinedi tempo) dei racconti raccolti ne L’ultimo viaggio (Feltrinelli, Milano, 1991) e i susseguentitre (che sono i primi in ordine di scrittura in quanto appartengono alla fase sperimentale). Siveda infine l’intervento di Filippini alla tavola rotonda sull’editoria milanese negli anniSessanta, pp. 123-144 de Gli anni ‘60: intellettuali e editoria. Atti del Convegno, Milano 7 e8 maggio 1984, a cura di Franco Brioschi, prefazione di Cesare Segre, Fondazione Arnoldo eAlberto Mondadori, Milano 1987.

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strada, cominciò presto a contare nella Mondadori e a collaborare conle pagine culturali dei giornali.

Pochi anni appresso saremmo diventati assistenti di Paci CarloSini, Franco Bosio, e, poco dopo, Giovanni Piana e io e AndreaBonomi.

Il Sini di quegli anni apparteneva piuttosto al filone deglistudiosi puri. Aveva seguito le lezioni dell’altro grande professore difilosofia della Statale di solo qualche anno prima, Giovanni EmanueleBarié, antagonista a quanto si raccontava acerrimo e sarcastico diBanfi13. Aveva poi completato con Paci la tesi sulla Fenomenologiadello spirito. - Franco Bosio, non ricordo una volta che si facessedistrarre dalla concentrazione studiosa.

Ora voglio appuntare dei nomi di studenti di quel giro d’annisenza preoccupazione di completezza, gerarchie e svolgimentibiografici, perché ognuno di essi è un volto che ha visto Guido, è unapersona che lo ascoltò, è una voce che ha parlato con lui, che leggeva isuoi scritti: Armando De Vidovich, Carlo Mainoldi, Paolo Gambazzi,Donatella Zazzi, Giorgio Guzzoni che studiava Heidegger inGermania, Augusta Uccelli, Arrigo Pacchi14, Luca Cafiero, EnricoRambaldi, Gianni Micheli, Guido Jesurum, Riccardo Steiner chesarebbe divenuto storico della psicoanalisi a Londra, Marco Macciò,Dina Vallino, Laurana Laiolo, Giovanni Anceschi, Alfredo Marini chetra Pavia e Friburgo transitava in Facoltà ad ascoltare Paci, FelicinoMondella che era dottore medico, Giorgio Lanaro, Mavi Predaval.Aggiungo degli studenti di Lettere: Mario Caronna allievo di FrancoCatalano, Sergio Bologna che si laureò sulla “Chiesa Confessante” inGermania, Silvia Giacomoni, Giogi Gronda, Emanuele Ronchetti,Mario Geymonat. Ho già nominato Giovanni Piana e Andrea Bonomi;nominerò in seguito Michele Pacifico e Adriano Carugo.

Giovanni Piana era una di quelle persone che lavorano nelpieno della notte. Cominciava a studiare molto tardi nella sera,l’indomani non era visibile prima dell’una, le due. I biondi ciuffettiarruffati, appariva finalmente vestito di girocollo, golf o maglioni,amorosamente e competentemente tessuti dalla sua Marina. Marina

13 Testimonianza su Barié in Carlo Sini, Remo Cantoni. Filosofia a misura della vita, a curadi Carlo Montaleone e Carlo Sini, Guerini Studio, Milano 1993, pp. 197-200.14 Si veda Mario Dal Pra, La morte di Arrigo Pacchi, ne “La rivista di storia della filosofia”,n.s., XLIV, I (genn. 1989), pp. I-IV.

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aveva testa perspicace, era affettuosa, chiaccherina e gran cuocaospitale. La sua cucina schietta e saporita riscaldò più d’una volta noiimmigrati ma anche molti compagni milanesi. La loro casa in viaGuerrazzi era uno dei posti in cui era gradevole ritrovarsi a discuteredi filosofia, di musica, di politica. Nell’estate del ‘61 Giovanni andò aFriburgo a studiare manoscritti di Husserl sul colore.

Andrea Bonomi vestiva belle giacche, annodava cravatteappropriate. Studiava con spirito analitico e molto gusto per ilparticolare, talché quando cominciò a disvelarsi filosofo dellinguaggio e innamorato di Proust non ci stupimmo più di tanto.

Tutti eravamo traduttori. Una macchina per scrivere Olivetti, ela sua ticchettante compagnia, erano l’inevitabile arredo e colonnasonora delle nostre stanze e stanzette. Uno studioso ha potuto parlaredi “anni dell’entusiasmo” nella lunga storia dell’editoria milanese15.

Neri esegu ì due difficili traduzioni, importanti per la suaformazione di studioso: La struttura del comportamento di Merleau-Ponty, nel 1963, e, nel 1966, Logica formale e trascendentale diHusserl. Bonomi curò i suoi Merleau-Ponty e Lévi-Strauss, Piana leRicerche logiche di Husserl (per le quali, fatto inaudito!, ebbe dalSaggiatore un contratto di compenso mensile) e anche Storia ecoscienza di classe di Lukács, io tradussi Della interpretazione.Saggio su Freud di Paul Ricoeur. Ho già detto di Nanni Filippini e dipiù bisognerebbe dire (Brand, Biswanger). Anche questo è un elencoincompleto, soggettivo. Il senso è di una stagione di partecipazione aun processo di crescita culturale in cui Università (milanesi) eindustria culturale (milanese, già Einaudi stava lontana, a Torino...) sichiamavano a darsi reciprocamente le loro persone migliori,chiedevano e davano “schede di letture”, piani editoriali, verifiche diculture extranazionali16.

È la stagione che è stata detta dei “letterati editori”,

15 Bruno Pischedda, Editoria a Milano: 1945-1970. Gli anni dell’entusiasmo, pp. 125-140 deLa città dell’editoria. Dal libro tipografico all’opera digitale (1880-2020), a cura di GiorgioMontecchi, catalogo della mostra tenuta al Castello Sforzesco di Milano, 2 febbraio - 16aprile 2001, Skira editore, Milano 2001.16 Si vedano nel citato Gli anni ‘60: intellettuali e editoria, il Ricordo di Alberto Mondadori,Enzo Paci, Giacomo Debenedetti, di Giulio Carlo Argan, pp. 25-34, Editoria e università nelrinnovamento della linguistica di Cesare Segre, pp. 43-50, Cultura scientifica e filosofia dellascienza negli anni ‘60 di Giulio Giorello, pp. 61-68. Si veda anche la rara testimonianza diLuciano Foà sulla nascita del 1962 della Casa editrice Adelphi, che con l’intrapresa del “tuttoNietzsche filologicamente” sarebbe stata una delle scaturagini della svolta filosofico-culturaledegli anni Settanta-Ottanta (pp. 135-137).

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dell’”industria culturale come progetto”. I manager stavano negliuffici tecnici (tipografia, distribuzione)17.

Noi che studiavamo con Paci, con Geymonat, con Dal Pra,eravamo fortunati. Paci voleva dire il Saggiatore che AlbertoMondadori aveva fondato nel 195818; Geymonat aveva dato avviopresso Feltrinelli alla collana “Filosofia della “Scienza” cui sarebbeseguita la Storia del pensiero filosofico e scientifico presso Garzanti;Dal Pra aveva rapporti con gli editori scolastici.

La prima libreria Feltrinelli era stata aperta con unainnovazione che apparve strabiliante, i libri esposti sugli scaffali dicopertina e non di costola. La Milano Libri era stata appena inaugurataed era risultata più sciolta e amichevole di quel susseguioso sanctasanctorum che era la Einaudi in galleria Manzoni, anche se era là cheera possibile vedere tutti, ma proprio tutti gli autori, i letterati, gliartisti, i critici. Da Valentino Bompiani a Giansiro Ferrata, da ElioVittorini a Mario Spinella, da Vittorio Sereni a Oreste Del Buono.Come in una sequenza de La notte di Michelangelo Antonioni. Tirareun tardo pomeriggio facendo il giro delle gallerie d’arte in via Senato,via Brera, via Ciovassino, e delle librerie, incontrare quelli che sierano conosciuti nelle Case editrici, era facile e piacevole. Vi era unredattore della Bompiani che faceva aprire al sorriso quando lo siincrociava perché incontenibile parlatore divertente che ne sapeva unasu ogni cosa, dalla filosofia medioevale ai più polpettosi romanzonidell’Ottocento ai “miti d’oggi” (s’intende, di allora). Ci eravamodivertiti con una sua storia della filosofia in versi, dai contenuti percarità ineccepibili, che circolava nella forma di un libriccino in telablu edito da Taylor, la casa editrice torinese di Nicola Abbagnano. “Ahl’Umberto Eco - era il giudizio corrente - gran bravo, ma se non sidecide a scegliere una specializzazione e a starci dentro non arriveràda nessuna parte”. Quanto può essere fallace un’opinione condivisa datutti gli intellettuali su piazza.

Altri maestri, altri assistenti. E una Milano in bianco e nero

17 Alberto Cadioli, Letterati editori. L’industria editoriale come progetto, Net-il Saggiatore,Milano 2003. Per quanto riguarda il secondo Novecento. Cadioli esamina Luigi Rusca, ilfondatore della Bur, Giacomino Debenedetti fine critico letterario e direttore letterario delSaggiatore, Italo Calvino definito “editore narratologo”. 18 Su Enzo Paci direttore di collana ho reso testimonianza ne Gli anni del “Saggiatore”, “autaut”, 214-215 (luglio-ottobre 1986), pp. 45-50.

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Eravamo poche persone. Sini rammenta che le matricole delsuo anno erano cinque19, io ricordo in quaranta il numero di tutti glistudenti del corso di laurea in Filosofia nei miei anni. I laureati inFilosofia passarono da quattordici nell’A.a. 1958-’59 a nove nel‘61-’62 a ventuno nel ‘67-’68.

Insegnamenti e cattedre coincidevano. L’ordinamento deglistudi era ancora interamente quello statuito da Giovanni Gentile. Gliesami si dividevano in fondamentali (biennali) e complementari, cheera possibile mettere a piano come si preferiva. Con gli assistenti sifacevano durante l’anno le “esercitazioni”, vere e proprie tesine scritteda illustrare in classe. Gli studenti di Lettere dovevano passare laversione dall’italiano in latino da cui quelli di filosofia erano esentati;in compenso costoro dovevano passare la prova scritta di storia dellafilosofia. Il controllo delle frequenze era affidato alla firma deldocente sul libretto, minimo rito di nessun vaglio spesso lasciatosbrigare al bidello della sala professori. C’era così anche il tempo diassistere a lezioni che non erano nel proprio piano annuale e talvoltanemmeno della propria Facoltà; Festa del Perdono ospitava ai pianisuperiori la Facoltà di Giurisprudenza e chi aveva interessi e curiositàpolitiche vi accedeva tranquillamente.

Nell’Istituto di Filosofia intitolato, quanto appropriatamente!, aPiero Martinetti20, troneggiava la professoressa Maria Assunta DelTorre, da tutti affettuosamente chiamata “la signorina Del Torre”. Perla precisione era fidata collaboratrice di Mario Dal Pra, ma per noiragazzi era l’emblema stesso del radicamento dell’istituzione al di làdi venti e marette, nonché del buon andamento organizzativo dellaSezione lombarda della Società filosofica italiana. È morta poco dopoaver lasciato per pensionamento l’Istituto, nel frattempo diventatoDipartimento21.

Mario Dal Pra insegnava Storia della Filosofia, MarioUntersteiner Storia della Filosofia antica, Ludovico GeymonatFilosofia della scienza. Personalità talmente ben ricordate e studiate da19 In Remo Cantoni. Filosofia a misura della vita, a cura di Carlo Montaleone e Carlo Sini,Guerini Studio, Milano 1993.20 Si veda Norberto Bobbio, Ricordo di Piero Martinetti, “Rivista di filosofia”, LV, 1 (genn.-marzo 1964), pp. 54-71. - Degno di nota che l’ultima opera di Martinetti, Gesù Cristo e ilCristianesimo (1934 e, postumo, 1949) fu riedita nel febbraio 1964 proprio nella collana “LaCultura” del Saggiatore (introduzione di Giacomo Zanga). 21 Cfr. Mario Dal Pra e i cinquant’anni della “Rivista di storia della filosofia”, a cura diMaria Assunta Del Torre, FrancoAngeli, Milano 1998. Si veda la commemorazione di EnricoI. Rambaldi in “Rivista di storia della filosofia”, n. s., LVIII, 1/2003, pp. 5-11.

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allievi, estimatori ed esegeti, che non è in me aggiungere nulla; se nonche erano professori che facevano studiare e che dibattevano idee.Detto così, sembra poco; ma temo che, oggi, sia assai più che poco.Però è vero che attualmente gli studenti dell’intera Facoltà si aggiranosulle quattro migliaia, e fa differenza.

Mario Dal Pra era quanto mai rigoroso nella valutazione delcompito scritto di Storia della filosofia e nelle interrogazioni suimponenti corsi monografici dedicati a Hobbes, Hume, Marx.“Rigoroso” sta per acribioso, severo e giusto a un tempo22.

Ludovico Geymonat aveva inaugurato la prima cattedra diFilosofia della Scienza nell’Università italiana e stava dando inizio aquel lavoro sistematico di approfondimento disciplinare e diorganizzazione del sapere che si sarebbe espresso tra le altre cose nelleintraprese editoriali presso Feltrinelli e Garzanti che ho ricordato. Tra isuoi collaboratori, Ettore Casari e Corrado Mangione riempivano lalavagna di segni che non erano solo quelli matematici e algebrici cheavevamo appreso al Liceo, insomma tenevano le lezioni di Logica, leprime, credo, in aule italiane di Filosofia dai perduti tempi di quandol’idealismo non aveva ancora soppiantato il positivismo23.

Con Geymonat lavorava all’edizione critica dei Discorsi edimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze di Galilei24 unneolaureato piccolo e intento che si chiamava Adriano Carugo, la cuiintelligenza molti tra cui me stimavano una delle sicure teste di seriedella Facoltà. Unito a lui in questa previsione, lo studente MichelePacifico (neri capelli crespi, eloquio intenso e pungente), che avevainiziato a tradurre per la collana geymonattiana il Manuale di logica diQuine. E nella couche predittiva di quella fine anni Cinquanta venivacollocato anche Piana, cui mi ero legato di amicizia e solidarietà.

Di Mario Untersteiner e Cesare Musatti in quanto allora

22 Si vedano Mario Dal Pra - Fabio Minazzi, Ragione e storia. Mezzo secolo di filosofiaitaliana, Rusconi, Milano 1992, e Luigi Meneghello, Fiori italiani, Rizzoli, Milano 1976, p.74.23 Cfr. Paradossi e rivoluzioni. Intervista su scienza e politica, a cura di Giulio Giorello eMarco Mondadori, il Saggiatore, Milano 1979, cap. V Incubi. Il ventennio democristiano1948-1968, pp. 77-103; Fabio Minazzi, L’insegnamento di L. Geymonat tra razionalismo ematerialismo, “Lineamenti”, n. 9, nov. 1985, pp. 122-128; L. Geymonat, Mezzo secolo di unfilosofo, intervista autobiografica a cura di Mario Quaranta, “Iride”, n. s., 1990, 4-5, pp. 105-153; Corrado Mangione, Introduzione ad AA.VV., Omaggio a Ludovico Geymonat, francomuzzio editore, Padova 1992, pp. 3-7.24 Edito da Boringhieri, Torino 1958.

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docenti rispettivamente di Storia della filosofia antica e di Psicologianon posso dir nulla di preciso perché i rispettivi esami li avevasostenuti a Padova. Né ho frequentato Renato Treves che insegnavaFilosofia del diritto. Con Musatti studiavano Enzo Funari e DarioRomano.

Ho conosciuto invece Leo Lugarini. Allievo di Barié, eraconfluito nell’area paciana e aveva l’incarico di Filosofia dellereligioni. Mi prese con sé quando una casella di assistente volontariopresso la cattedra di Paci non era burocraticamente libera. Mi fecetenere un corso organico di esercitazioni, in piena libertà di scelta econ assoluta fiducia. Era uno studioso di Kant, di Cassirer, diAristotele, di Husserl, che più scrupoloso non si sarebbe potuto essere.La mia esperienza al suo fianco per quei brevi anni, prima che luiandasse a L’Aquila e a Roma, me lo fa ricordare come un docentemolto serio25.

Aldo Visalberghi insegnava Pedagogia, era laico econseguentemente si studiava tanto Dewey. La sua assistente era EgleBecchi.

Paolo Rossi aveva l’incarico di Filosofia della storia, che perlui significava storia delle idee: etico-politiche (seguii un corso suCroce) e della scienza. A fine lezione si affollavano intorno a lui, cheaveva carattere sorridente e battute buone, Enrico Rambaldi, GianniMicheli, Achille Occhetto. Clelia Pighetti era la sua assistente.

Vi erano anche i corsi di professori la cui ricerca non avevaquasi paragoni fuori di Milano: Ferruccio Rossi-Landi, Silvio Ceccato.Rossi-Landi aveva tradotto Gylbert Ryle e scritto su Charles Morris, ilcui Segni, linguaggi e comportamento era stato tradotto da Ceccato.

Rossi-Landi, bell’uomo che era stato a Oxford, parlava difilosofia del linguaggio, di semantica, di semiotica, facendo leggerecartonati volumi di Readings di elegante complicatezza26.

Ceccato e il suo Centro di Cibernetica e di Attività

25 Logica e storia: scritti in onore di Leo Lugarini, a cura di Franco Bianco e LivioSichirollo, FrancoAngeli, Milano 1992.26 Cfr. Readings su Ferruccio Rossi-Landi, Semiosi come pratica sociale, a cura di JeffBernard, Massimo A. Bonfantini, Janos Kelemem, Augusto Ponzio, Edizioni ScientificheItaliane, Napoli 1994, in particolare la Introduzione. Ferruccio Rossi-Landi: senso eprospettive di Massimo A. Bonfantini e Augusto Ponzio, pp. 5- 16.

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Linguistiche ufficialmente istituito presso l’Università erano per ilvero confinati in una stanzetta un po’ appartata, ma lui non sembravasoffrirne eccessivamente. La sua alta figura dalla capigliatura a ciuffoe dal gran naso arcuato solcava l’atrio e i corridoi con un costanteseguito di scienziati, ammiratrici, metodologi spesso stranieri27. Era unbel match tra lui e Musatti a chi avesse il naso più prominente, losguardo più divertito.

Tra i docenti di materie letterarie cito solo Mario Fubini diLetteratura Italiana e Ignazio Cazzaniga di Letteratura italiana28.

Fubini sembrava una statuina di avorio, tanto era minuto,pallido, monocorde nel parlare; ma le sue lezioni su Foscolo, sugliilluministi italiani, erano capolavori che si apprezzavano più tardi, acasa29. Faceva singolare contrasto con il suo assistente di allora, SergioAntonielli, uomo alto e bello, bruno, inseparabile dalla sua pipa, cheera stato per anni prigioniero di guerra in India ed era critico militantedi poesia.

Cazzaniga era un gran barone come ci si immaginava cheesistessero nell’Ottocento. Noi studenti di Filosofia dovevamo pursempre portare Tacito ad apertura di libro, ma è anche vero è chevenivamo ogni tanto “graziati” con un gesto da grand seigneur:stancamente la mano reclinava sul piano del tavolo, in direzione dellaporta.

Voglio invece concludere questa sommaria rievocazione conun nome di un docente in via di generale oblio e viceversa degno diessere riportato in primo piano e non solo nella storia di quegli anni:Umberto Segre.

Le sue lezioni di Filosofia Morale vertevano sul rapporto tragiudizio morale e giudizio storico. Esaminava e faceva leggere Kant eFichte, Hegel e Marx, Dilthey e Weber, Meinecke e Croce.Apparentemente impassibile, trasmetteva un sommesso ma penetrante27 Si veda Silvio Ceccato, Carlo Oliva, Il linguista inverosimile: una passeggiata fraesperienze ed esperimenti della parola, Mursia, Milano 1988. Cfr. Felice Accame, Inmemoria di Silvio Ceccato (commemorazione tenuta a Montecchio Maggiore il 4 aprile1998), in F. Accame, E. von Glasersfeld, V. Somenzi, R. Beltrame, M. Panetta, C.E. Menga,G. Benedetti, Studi in memoria di Silvio Ceccato, Roma 1999. Cfr. anchewww.methodologia.it. 28 “Egnatius”, nelle edizioni critiche di Catullo e dei Carmina Priapea.29 Su Fubini e altri professori una testimonianza di Achille Occhetto, Secondo me, Piemme,Casale Monferrato 2000, pp. 69- 70.

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insegnamento di onestà e finezza di analisi nei confronti dei testi, deiproblemi.

Segre scriveva sul “Giorno” una “colonnina”, breve nel taglioe chiara nello stile, di analisi della situazione politica corrente (interna,in genere); in altre riviste, soprattutto ne “Il Ponte”, l’analisi potevadistendersi. Si guardava dal far citazioni dotte cos ì come daquell’amalgama che in gergo si chiama “pastone”. Nell’impostazionee nei passaggi si avvertiva invece la filatura del ragionar colto, ilrifiuto della predica, l’amor di verità, per quanto parziale e“momentanea” essa finisca coll’essere. Come ha ricordato MichelePacifico, si sentiva “la filosofia in presa diretta”. La corazzatagiornalistico-politica di allora era il “Corriere della Sera” di MarioMissiroli, plumbeo baluardo della destra confindustriale e per questocontrastato dal recente, vivace e modernamente impaginato “Giorno”,voluto da Enrico Mattei e diretto da Gaetano Baldacci. Il giornale sioccupava come nessun’altra testata della scuola e dei giovani e delladinamica di quella fase politica che si chiamava “apertura a sinistra” eche avrebbe preluso all’incontro tra cattolici e socialisti nel centro-sinistra (organico, riformatore e col “trattino”, nel lessico dei suoisimpatizzanti di allora e studiosi di oggi).

La combinazione di lotte accademiche tra i docenti di Letteredeterminati a mettere a posto un certo loro candidato, lacollaborazione al “Giorno” addebitata come lucroso vantaggio dallaposizione di docente, il fatto che Segre fosse arrivato “per comando”(era di ruolo nei Licei), fecero sì che il Consiglio di Facoltà lo facessefuori non rinnovandogli l’incarico, che allora era annuale.L’operazione fu persino ammantata come un atto di moralizzazionepubblica. Bisogna aggiungere che in Consiglio non ci fu una strenuaresistenza da parte dei molti rappresentanti della sinistra comunista eprocomunista30.

Per fortuna a succedergli fu la più degna delle persone: Remo

30 Umberto Segre, Etico e politico. Scritti filosofici, a cura di Vera Segre e Paolo Magnano,La Nuova Italia, Firenze 1991 (contiene inediti che corrispondono alle lezioni dall’A.a.1957-’58 al ‘62-63). Introvabili le pubblicazioni di raccolte di saggi e articoli di Segre: Veritàe politica. Verità della politica, a cura di Vera Segre e Paolo Mugnano, introduzione di RenatoTreves, Edizioni di Comunità, Milano 1979; Dissenso politico e violenza. Scritti sullacontestazione giovanile, a cura di Vera Segre e Paolo Mugnano, prefazione di GuidoMartinotti (che scrive: “intellettuale impegnato ma non inserito”), Marsilio, Venezia 1980. Sivedano le testimonianze di Virgilio Dagnino ed Enzo Forcella ne “Il Giorno” del 14 gennaio1970, p. 5, e soprattutto Michele Pacifico, Umberto Segre: la filosofia in presa diretta, in“altreragioni”, n., 1 (1992), pp. 109-112 (Pacifico ne era diventato l’assistente volontario).

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Cantoni, allievo di Banfi, proveniente da Pavia. Ma siamo già nel ‘66,‘67 e su Cantoni non ho una particolare testimonianza intra moenia.Nelle conferenze, negli scorci nelle librerie, il suo elegante sorrisoaleggiava nell’aria anche a dibattito concluso31.

Il nome di Cantoni e la riapparizione di quello di Banfipermettono di scrivere che il fatto che Cantoni sino a quell’epoca,Giulio Preti, Luciano Anceschi, Dino Formaggio, Luigi Rognoni,Giovanni Bertin - insomma “la scuola di Milano” secondo la feliceespressione di Fulvio Papi32 - non insegnassero in Facoltà, o comeVittorio Sereni operassero nell’editoria, non significava affatto che noistudenti di allora non li avessimo ben presenti, non li leggessimo, o,come nel caso di Preti, non li discutessimo animatamente33. E neancheche non si seguissero regolarmente le uscite de “Il Verri” fondato ediretto da Luciano Anceschi, o le vivaci battaglie letterarie del Gruppo63, i cui sperimentalismi cercavamo di leggere nella rivista“Marcatre”34.

La lontananza, se non l’estraneità o l’ostilità ideologica, eranoinvece riservate con giovanil baldanza ai crociani napoletani, aigentiliani romani, ai clericali veneti e ai metafisici genovesi, aisuperciliosi torinesi, ai toscani superbi, agli italostoricisti pisani eromani. E all’altra struttura universitaria milanese: la Cattolica del S.Cuore. Se arrivavano notizie di scomuniche, radiazioni, lamenti perl’obbligatorietà dell’esame di Teologia, espulsioni e autodafè, lascrollata di spalle era facile: cosa si aspettano da un’Università che sichiama come quella? (Ma qualcuno aveva attentamente letto il saggiosull’intenzionalità di Sofia Vanni-Rovighi nell’Omaggio a Husserl; ela sagoma da alpino in forza del volto rubizzo incorniciato da unpizzetto grigioferro di Gustavo Bontadini sfrecciante in bicicletta perle vie di Milano non assomigliava affatto al saio penitenziale del“medioevale” padre Agostino Gemelli.)

31 Marco Lancellotti, Una rilettura e un ricordo, in Remo Cantoni. Filosofia a misura dellavita, cit., pp. 197-200.32 Fulvio Papi, Vita e filosofia. La scuola di Milano: Banfi, Cantoni, Paci, Preti, Guerini eAssociati, Milano 1990. Cfr. Gabriele Scaramuzza, Crisi come rinnovamento. Scrittisull’estetica della scuola di Milano, Unicopli, Milano 2000. 33 Si veda Fulvio Papi, Un libro, un tempo: Praxis ed empirismo di Giulio Preti, ne “IlProtagora”, XXXII, genn.-giugno 2004, quinta serie, n. 3, pp. 7-20 e, prima, Fabio Minazzi,L’onesto mestiere del filosofare. Studi sul pensiero di Giulio Preti, FrancoAngeli, Milano1994. 34 Renato Barilli, La neoavanguardia italiana: dalla nascita del Verri alla fine del Quindici,Il Mulino, Bologna 1995.

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“Nel corso degli anni ‘40 - ha scritto lo studioso FrancoCambi - Milano viene ad assumere il ruolo quasi di ‘capitalefilosofica’ italiana’”, per ragioni storiche (“lo scontro politico eculturale, e quindi anche filosofico, tra le forze cattoliche e laico-socialiste che determinerà il volto e le uscite del dopoguerra”) e nelsenso di una successione di egemonie così periodizzabili: Napoli eFirenze dall’inizio del secolo alla Grande Guerra, quindi Torino(Gramsci, Gobetti, Augusto Monti, Franco Antonicelli, il giovaneGeymonat) e Roma (Gentile e, dopo il Concordato del ‘29, Bottai eOrestano)35. La tesi di Cambi è anche più specifica: Milano (Statale)capitale del razionalismo italiano?

Mirella Pasini e Daniele Rolando hanno ricostruito le vicendedel “neoilluminismo italiano” tra i primi Cinquanta e i primi Sessantanei programmi del Centro Studi Metodologici e negli incontripromossi da Abbagnano, Bobbio, Ceccato, Scarpelli, Geymonat (chesi era trasferito a Pavia e poi a Milano), Preti, Paci, Dal Pra, Santucci,Pasquinelli, Matteucci. Si può dire che fosse attivo un quadrilaterolaico Torino-Milano-Bologna-Pavia 36.

Colpisce in queste ricostruzioni storiografiche che AntonioBanfi sia presente nella prima e abbia disdegnato di partecipare allaseconda. (Colpisce anche che nelle centinaia di pagine della sua Storiadella cultura in Italia Alberto Asor Rosa riesca a non nominare maiBanfi.)37 - La storiografia successiva sembra aver abbandonatoqueste definizioni distintive a favore di una maggior duttilità di giudiziin cui le periodizzazioni sono meno scandite, i singoli itinerarifilosofici più importanti, lunghi e inquieti, la dialettica tra personalitàforti e “scuole” più mossa sino (successivamente) a riletture ancheforti38.

Resta che il quesito su perché quegli anni nella Facoltà di

35 Franco Cambi, Razionalismo e prassi a Milano (1945-1954), Cisalpino-Goliardica,Milano 1983 (si vedano però le osservazioni di Fabio Minazzi ne L’onesto mestiere delfilosofare. Studi sul pensiero di Giulio Preti, cit., p. 106 sgg.).36 Mirella Pasini e Daniele Rolando, Il neoilluminismo italiano. Cronache di filosofia (1953-1962), il Saggiatore, Milano 1991.37 Storia d’Italia Einaudi, IV, 2, Torino 1975. 38 AA.VV., La filosofia italiana dal dopoguerra a oggi, Laterza, Roma-Bari 1985; C.A.Viano, Il carattere della filosofia italiana contemporanea ne La cultura filosofica italiana dal1945 al 1980 nelle sue relazioni con altri campi del sapere, Atti del Convegno di Anacapri(giugno 1981), Guida, Napoli 1988; AA.VV., Filosofia italiana e filosofie straniere neldopoguerra, a cura di Pietro Rossi e Carlo Augusto Viano, Il Mulino, Bologna 1991, inparticolare Stefano Zecchi, La fenomenologia in Italia: diffusione e interpretazioni, pp. 16-33.

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Milano Statale (e in tutta Milano) siano stati così fecondi è ricorrente,perché esso riaffiori continuamente negli scritti e ancora più nellerammemorazioni serali, individuali o tra piccoli gruppi.

In quegli anni la “scuola di Milano” generata da PieroMartinetti e Antonio Banfi diede, ognuno individualmente, il megliodi sé39; e per loro e per gli altri il terreno di giunzione fu rappresentatoda un orizzonte di riferimenti europei che spaziavano dallaFrancoforte di Goethe allo Hegel jenense, da Vienna a Parigi(Sorbona, Collège e café Flore), passando per le università inglesi (ela belga Lovanio); assai meno per quelle tedesche (fatta salva Friburgopur nella dicotomia Husserl/Heidegger, con Fink a se stante). Il rifiutodei tardohegeliani Croce e Gentile era anche la riproposizione di unagenealogia che il trionfo dell’idealismo aveva messo in ombra: PieroMartinetti, Antonio Banfi, Rodolfo Mondolfo. La Facoltà - o“Filosofia della Statale”, come si usava dire in città - era interamentelaica. La regolarità e selettività dell’istituzione ebbero moltaimportanza. La contiguità con l’editoria libraria fece il resto. Lastagione del benessere, della distensione internazionale e della“coesistenza pacifica” fu una importante cornice, per quanto“alienazione” fosse una delle parole chiave del periodo (e in filosofiail rifiuto dell’obbiettivazione naturalistica e della tecnica). Soprattuttovi era nell’aria una palpabile per quanto non facilmente definibileatmosfera di libertà: libertà da vincoli e dogmatismi, la sensazione,forse fallace!, di esser parte di un cosmopolitismo europeo estatunitense, la possibilità di una ricerca di uno stile di vita che fossepersonale e sociale insieme. Erano anni in cui si poteva credere neldetto secondo cui “la grande città rende liberi”, o attraversare Milanoripetendo Baudelaire: fourmillante cité, cité pleine de rêves40.

Neri era uno che amava la sua città di Milano41. Credo di poteraffermare che la Milano degli studi di quegli anni sia indisgiungibiledalle immagini rappresentate dal tipo di restauro scelto dagli architettiLiliana Grassi e Piero Portaluppi per la nostra storica sede di via Festadel Perdono edificata dal Filarete e distrutta dai bombardamenti

39 Enrico I. Rambaldi. La cultura filosofica, in Storia di Milano, Istituto della EnciclopediaItaliana, Roma, vol. XVIII, Il Novecento/2, pp. 799-833: “... scuola di Milano, espressioneche vale ad indicare che talliscono da un comune ceppo banfiano, ma non implicaconcordanza, se non lata, tra loro”.40 “Brulicante città, città piena di sogni”, I sette vecchioni, ne I fiori del male, trad. it. diGiovanni Raboni, in Charles Baudelaire, Poesie e prose, con introduzione di GiovanniMacchia, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1973, p. 175.41 Ricordo di Luigi Marelli, pp. 30-31 di Quando tra noi muore un filosofo, cit.

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nell’agosto del ‘43. Dalla risistemazione interna di Palazzo Sormanisede della Biblioteca comunale; dall’arredo disegnato da FrancoAlbini, Franca Helg e Antonio Piva per la linea 1 della Metropolitanascavata in quegli anni, e dalla sua grafica che si deve a Bob Noorda;dal profilo della Torre Velasca quale si occhieggia da largo Richini(1956-58, Studio BBPR: Lodovico Belgiojoso, Enrico Peressutti,Ernesto Nathan Rogers)42.

“Nel piazzale, al lato destro di chi esce dalla stazione, - scrive Paci nel Diariofenomenologico, in data 31 marzo 1958 - ad una distanza sufficiente perché risalti la suamole, costruiscono un grattacielo. È passato ormai un anno da quando son state gettate leprofonde fondamenta. Il grattacielo è ormai arrivato al ventiseiesimo piano. Ad ogni pianoraggiunto vien posto un grosso cartello in bianco e nero, illuminato la notte, con il numero delpiano, così che lo sguardo può misurare tutti i numeri dal basso all’alto e dall’alto al basso”43.

È il grattacielo Pirelli, di Gio Ponti: lo stesso la cuiinquadratura in bianco e nero apre La notte di MichelangeloAntonioni, che andammo a vedere nel ‘6044. Una scena di Rocco e isuoi fratelli l’avevo vista girare un anno prima, ai piedi del Duomolato Arcivescovado, mentre andavo a lezione. Era una gelida mattinad’inverno, Luchino Visconti indossava un paletot di cammello ed eraavvolto in una sciarpa di cachemire, i più ampi e soffici e intepidenticapi d’abito che abbia mai revé nella mia vita.

Alla proiezione la sequenza non la rividi, dovevano averlatagliata.

Il filo rosso della prassi e della filosofia

Neri approfondiva la sua personale ricognizione, andava allaricerca di una verifica che fosse anche esterna al mondo accademico,al contrasto talvolta stridente tra passione e ritualità dei ruoli. (Iprofessori danno voti, gli studenti - e gli assistenti - esprimonogiudizi.)

42 Negli anni Cinquanta Enzo Paci scrisse vari saggi sull’architettura, poi raccolti inRelazioni e significati, vol. III - Critica e dialettica, Lampugnani Nigri editore, Milano, 1966 ,pp. 132-207, e la prefazione a La città di Max Weber apparso nel 1950 nella collana “Ideenuove” dell’editore Bompiani. 43 Enzo Paci, Diario fenomenologico, il Saggiatore, Milano 1961, pp. 51-52.44 Cfr. Roberto Escobar, La metropoli assente. Immagini milanesi nel cinema italiano, in G.Bertelli, S. Bonfiglioli, P. Dalmartello, R. Escobar, A. Negri, Emilio Renzi, G. Rosso DelBrenna, O. Selvafolta, R. Spagnolo, V. Vercelloni, F. Zanni, Milano percorsi del progetto, acura di Paolo Caputo, In/Arch e Guerini, Milano, 1991, pp. 329-360.

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Nell’aprile del 1963 apparve il primo numero de “Il FiloRosso”. Con Neri l’avevano fondato Gian Piero Brega, Gian FrancoVené, A. Massimo Calderazzi. Formato quaderno, steinerianol’impaginato, Feltrinelli l’editore (Brega vi lavorava e nei loro annipiù difficili ne avrebbe retto la direzione generale). Si presentavacome un discorso molto razionale: le rubriche, le partizioni, la grafica.Mi abbonai perché mi parve uno strumento che univa una letturaculturale della realtà in divenire a indicazioni di comportamentopolitico. Come dire, univa “conoscenza” e “prassi” 45.

L’impronta di Neri è riconoscibile da un esame anche solosuperficiale. Non vi è numero de “Il filo rosso” che non abbia almenoun articolo dedicato ai problemi dell’Est europeo. È solo dopo che aRoma si è formato il primo governo di centro-sinistra organico e diconseguenza la sinistra socialista è uscita dal PSI, che i problemiitaliani acquistano peso. Il giudizio della rivista sulla scissione e sullaformazione dello PSIUP è positivo. Alla guida del nuovo partito vi èanche Lelio Basso. Si saluta la nascita di “Classe operaia” da“Quaderni rossi”. Ma vi è anche un contributo di Roberto Guiducci,che nel 1956 in “Ragionamenti” aveva pubblicato un manifesto dicondanna dell’intervento dei carri armati russi a Budapest che Neriaveva sottoscritto, mentre Banfi aveva condiviso la condanna ufficialedel PCI di Togliatti46.

Sono di Neri sia la scelta e la postfazione dei Pensieri proibitidi Stanislav Jerzy Lec, straordinaria satira del regime comunistapolacco, sia la traduzione e postfazione del Lenin di György Lukács (èil Lukács degli anni dei Consigli)47.

Nella rivista Neri fa apparire un saggio di Karel Kosik dalcontenuto non filosofico nel senso tecnico del termine: Hasek contro

45 “Il filo rosso. Mensile d’intervento politico-culturale” apparirà per dieci numeri sino alfebbraio del ‘65. - L’”intervento” era affidato a brevi testi in colonna intitolati Diario,Politica, Cronaca, Cultura e a una griglia di rubriche fisse: Un concetto da chiarire, Un libroda scrivere, Un uomo da capire. I saggi di apertura erano sempre dedicati a temiinternazionale, anzi lo scenario mondiale della dialettica distensione/competizione tra i dueblocchi domina il primo tempo della rivista.46 Guido D. Neri, Crisi e costruzione della storia. Sviluppi del pensiero di Antonio Banfi,Bibliopolis, Napoli 1988 (prima edizione Libreria Editrice Universitaria, Verona 1984), pp.139-141 (Neri si rifà ad Antonio Banfi, Risposta a otto domande sullo Stato guida, inchiestadi “Nuovi Argomenti”, 1957, ora in SM? XXX pp. 213 sgg. - Si vedano “Ragionamenti”.Ristampa anastatica 1955-1957, a cura di Maria Chiara Fugazza, Gulliver, Milano 1980, maanche Fulvio Papi, Il secondo viaggio di Antonio Banfi: Resistenza e filosofia a Milano, ne “IlProtagora”, XXXI, genn.-dic. 2003, quinta serie, n. 1-2, pp. 181-188.47 Nel 1970 in volume presso Einaudi.

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il “Grande meccanismo”. È una apologia della satira del buonvecchio soldato Schweyck contro la burocrazia di ogni tempo e diogni luogo; è a dire, in quel tempo e quel luogo, gli stalinisti diCecoslovacchia. Tanto più che vi si parla di un autore praticamenteproibito: Franz Kafka. E nell’ultimo numero (febbraio del ‘65), Neriaveva pubblicato il suo Karel Kosik: interpretazione della prassi. Inquello stesso anno appariva in volume Dialettica del concreto, l’operafondamentale di Karel Kosik da Neri così amata, così apprezzata48.

La sottolineatura del nome di Lelio Basso si deve allarammemorazione del prestigio che il suo profilo culturale primaancora che politico esercitava in quegli anni su molti giovani in città ein regione (analoghe attrazioni erano esercitate da Rossana Rossandaalla Casa della Cultura e Riccardo Lombardi nei circoli di ispirazionesocialista autonomista, ma Lombardi viveva a Roma). La biblioteca diBasso in corso Venezia 24 era un luogo di meraviglie per ognibibliofilo e per gli studiosi del movimento democratico e operaio.Pezzo forte erano i giornali e i libri della Rivoluzione francese, delgiacobinismo europeo, della cultura italiana. Per dire, era appenagiunto in libreria il volume cartonato in cui Einaudi aveva pubblicato itesti di “Lacerba” e de “La Voce” e quando io entrai nello studio diBasso lui aveva sul tavolo le edizioni originali! Nella redazione dellarivista “Problemi del socialismo” che aveva fondato nel 1958militavano molti giovani milanesi che studiavano e scrivevanoappassionatamente: Silvia Boba, Bona Oxilia, Francesco Indovina,Pino Tagliazucchi, Giovan Battista Zorzoli, Lidia Lonzi, Paola Forti eSergio Spazzali (che con Giovanni Pirelli avrebbero fondato il CentroFranz Fanon), il torinese Vittorio Rieser49.

Lo scaffale delle riviste era fitto, in quegli anni. “Il filo rosso”apparve in mezzo a riviste storiche (“Il Ponte”, “Comunità”, “CriticaSociale”, “Tempo presente”), a esperienze appena concluse(“Movimento operaio” prima e seconda serie, “Discussioni”,“Ragionamenti”) e a concorrenti diversi: “Il Paradosso” (1956,“rivista giovanile di cultura”; dal 1961, “rivista di discussione ericerca”), la “Rivista storica del socialismo” (1958, direttori LuigiCortesi e Stefano Merli), “Economia e Lavoro” (1960, EmanueleTortoreto), l’irriverente e combattivo “Quaderni Piacentini” fondato

48 Amedeo Vigorelli sostiene che Neri la preferiva a Funzione delle scienze e significatodell’uomo, L’inizio, XXX49 La sintesi del pensiero di Basso può essere rappresentato dall’opera postuma Socialismo erivoluzione, Feltrinelli, Milano 1980, in cui si vedano la nota dei curatori Fiorella Ajmone eCarlo Basso e, al termine, la cronologia della vita.

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nel 1962 da Piergiorgio Bellocchio e Grazia Cherchi50.

Sullo sfondo di ogni discussione, revisione, dibattito eriproposta politica e culturale, stavano i tre grandi eventi del 1956: ilrapporto Kruscev e la destalinizzazione, la repressione a Budapest, lafine a Suez delle politiche di potenza dei vecchi imperi inglese efrancese e l’inizio della decolonizzazione. La guerra d’Algeria, letragedie a Parigi, furono per la mia generazione quello che il Vietnamsarebbe stato per i giovani di fine Sessanta/primi Settanta:l’apprendistato, tanto più brutale in quanto apparentemente lontano, aicomplessi rapporti tra diritti e violenza nella storia. Non eraimpossibile conoscere in case private di Milano giovani francesi chevi si erano rifugiati per il rifiuto di prestar servizio nell’Armée inAlgeria. Nella redazione del Saggiatore, in via Bianca di Savoia,lavoravano a compilare un grosso volume sul tema due giovani donnefrancesi, una delle quali per far perdere le tracce alle autorità del suopaese aveva assunto il cognome di Cacheux51.

In Italia le discussioni vertevano sulle grandi trasformazioniche stava attraversando il paese: lo sbilanciamento dall’agricolturaall’industria, la tumultuosa emigrazione interna, l’economia e iconsumi e gli stili di vita all’insegna del “miracolo economico”. Chiavrebbe guidato la trasformazione? e, preliminarmente, di crescita sitrattava o non piuttosto di integrazione nel “neocapitalismo”, comeallora si diceva52?

Ma Neri slargava il discorso, lo portava in alto. Lasignificatività del titolo del suo primo libro pieno - Prassi econoscenza - consiste appunto nello sforzo di far reagire il marxismo(la filosofia della “prassi”) nelle sue espressioni sia occidentale(Lukács, Adorno, Tran-Duc-Thao, Marcuse, Naville) sia est-europeasotto i regimi dei partiti comunisti di osservanza post-staliniana(Schaff, Kosik), rispetto alla forma di conoscenza eminentemente anti-ideologica e anti-naturalistica: la fenomenologia della riduzione alsoggetto concreto, al “mondo della vita”.

50 Per questi dati e per molte altre informazioni sul periodo si veda AA.VV., Milano com’è.La cultura nelle sue strutture dal 1945 a oggi, Feltrinelli, Milano 1962. Cfr. anche Casa dellacultura. Quarant’anni 1946-1986, con uno scritto di C. Musatti, Milano, Angeli 1986. - Neln. 36 (1968) dei Quaderni piacentini Neri pubblicherà L’esperienza cecoslovacca, pp. 11-46.51 Janine Cahen e Micheline Pouteau, Una resistenza incompiuta. La guerra d’Algeria e glianticolonialisti francesi 1954-1962, traduzione di Bruno Maffi, il Saggiatore, Milano 1962.52 Sintomatico, fra mille esempi possibili, un saggio di Lelio Basso nel n. 5 de “Il filo rosso”:Integrazione operaia e strategia socialista.

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È un lungo e paziente esercizio di riflessione su Marx e suimarxismi ipotizzati e “realizzati” e dissidenti... a partire dalla loroautodefinizione, dalle dorsali della stessa “coscienza infelice”. Unacritica quindi che attraversava la cronaca senza farsene contaminarema illuminandola con una visione profonda.

Nel 1963 Paci aveva pubblicato Funzione delle scienze esignificato dell’uomo e Neri aveva fatto in modo che parlasseall’Accademia delle scienze di Praga, il 24 ottobre 1962, su Ilsignificato dell’uomo in Marx e Husserl53. Nella Terza parte diFunzione delle scienze Paci poneva all’ordine del giorno l’intreccio trafenomenologia e marxismo (marxismo marxiano, gramsciano esartriano), in una prassi strettamente intrecciata a una teoresi vivente eanti-ideologica, alla dialettica del concreto e dell’astratto.

Il Paci di quegli anni si muoveva in modi complessi, cheavrebbero preparato il suo riconoscersi nel Sessantotto e,successivamente, in un “oltre” veritativo, sempre più alto e vibrante.Rammemora Massimo Bonfantini:

“era capace di venire alle Cantine astigiane e ascoltarci fino a tarda ora a discutere in“seminario” informale Il capitale. Senza interromperci mai. Solo alla fine, sommessamente ebreve, veniva un consiglio o una suggestione. Doveva essere l’inverno 1963-64. Non era un“marxista della cattedra”. Non ebbe mai arrogante furore leaderistico. Ma la sua fortegentilezza di “esistenzialista positivo” nutrì instancabilmente la sua voce in quegli anni”54.

Altri studenti erano infatti giunti in Facoltà, e come prima linomino senza ordine né completezza: Marco Lancellotti, SalvatoreVeca e Pier Aldo Rovatti allora indivisibili, Fabrizio Mondadori, CarloMontaleone, Miti Gardella, Stefano Zecchi, Marisa Dalla Chiara,Giulio Giorello, Annabella Lampugnani Nigri il cui fratello Arrigo sisarebbe fatto editore di “aut aut” e della rivista “Questo e altro> e diuna collana diretta da Rovatti e Veca che avrebbe raccolto i saggisparsi di Paci, Tran Duc Thao ecc., Erica Carloni, Giuseppe Magni,Marina Piazza, Francesco Dagrada, Marcella Pogatschnig, ClaudioMartelli55, Giovanna Silvestri, Dina Vallino, Donatella Zazzi, Silvio

53 Saggio apparso nel n. 73 (gennaio 1963) di “aut aut”, pp. 10-21. Funzione delle scienze fuedito dal Saggiatore nel settembre del 1963. 54 Massimo A. Bonfantini, Paci o dell’intenzionalità: dialogo con il ricordo di Paci, inAA.VV., Vita e verità. Interpretazione del pensiero di Enzo Paci, a cura di Stefano Zecchi,Bompiani, Milano 1991, pp.181-187.55 Testimonianza sulla Facoltà in Walter Veltroni, Il sogno degli Anni ‘60, Feltrinelli, Milano1991, pp. 135-138.

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Paschi, Gianna Sidoni dai grandi occhi neri, Arrigo Cappelletti, MarcoWeiss, Marco Mondadori56. - Tra gli studenti di Lettere: IreneBignardi dai grandi occhi verdi, Bruna Bianchi germanista; tra quellidi storia, Enrico Decleva e Luigi Ganapini.

Il 1967 - i migliori anni?

Neri era viceversa sempre più esterno alla Facoltà, che dalcanto suo non volle o non seppe riconoscerlo entro le sue dinamiche dicontinuità e troncamenti. L’Est e i problemi culturali, politici, umaniche l’Est continuava a porre a una persona pensante e sensibile, inquanto dramma per la concrezione di un discorso che avrebbe dovutoriguardare l’umanità intera (e che anni dopo avrebbe trovatonell’Europa un ulteriore e concreto banco di prova), ecco ciò che lointeressava, lo attirava. Leggo in un mio appunto dell’epoca: “Guido aPraga, non si capisce bene a cosa fare”. Più tardi, ora, devo appuntare:ero io che non avevo capito.

Il secondo libro, apparso nel 1980, proseguirà sul tema della“filosofia della prassi”, portando in luce le “aporie” del “socialismoreale”. I nomi chiave saranno Kosik e più ancora Patočka,fenomenologo represso dal regime, e Bloch, Arendt57. Il terzo (1984)rileggerà Banfi con la forza della maturità, andando cioè alla ricercadelle forme della fenomenologia della cultura. È un libro di attenzionee non di devozione58. - Ma siamo oltre il 1967 e dunque mi arresto allimite che mi sono posto.

Nel ‘67 Neri era stato per un anno docente alla Penn StateUniversity, in America. A raggio più corto, io ero entrato nellaredazione dei Saggiatore, quando Alberto aveva deciso di prendere lemisure rispetto al padre Arnoldo e di creare la Casa editrice cheavrebbe fatto i libri per far pensare negli anni e nei decennisuccessivi59.

56 Si vedano gli scritti in sua memoria in Logica e politica. Per Marco Mondadori, a cura diMarcello D’Agostino, Giulio Giorello, Salvatore Veca, il Saggiatore/Fondazione Arnoldo eAlberto Mondadori, Milano 2001, in particolare Luca Formenton e Aurelio Pino, MarcoMondadori intellettuale editore, pp. 513-518. 57 Guido D. Neri, Aporie della realizzazione. Filosofia e ideologia del socialismo reale,Feltrinelli, Milano 1980.58 Guido D. Neri, Crisi e costruzione della storia. Sviluppi del pensiero di A. Banfi,Bibliopolis, Napoli 1988 (prima edizione Libreria Editrice Universitaria, Verona 1984).59 Cfr. Alberto Cadioli, Sono un esploratore, mi piace navigare nel tempo. Breve storia delSaggiatore dal 1958 a oggi, il Saggiatore, Milano 1993.

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Altra e di ben maggior gittata era la messa in movimento che sistava producendo in quello scorcio d’anni. Nuovi autori dalla Franciaprendono la scena: Foucault, Lacan, Derrida, Lyotard. Appaiono nel1967 le traduzioni di Herbert Marcuse: Eros e civiltà, L’uomo a unadimensione. Nei giornali, una notizia dalla Bolivia: ucciso CheGuevara. “Fuochi di guerriglia” nel Terzo Mondo; nei campusamericani, le parole d’ordine della protesta contro la guerra inVietnam e della “controcultura” si mischiano in una miscela chesarebbe diventata un modello per la contestazione giovanile che inItalia si alimentava del rifiuto di una proposta di legge, “la 2314”, delministro della Pubblica istruzione Luigi Gui per la riformadell’Università60. Dalla nebulosa cattolica erano arrivate duepubblicazioni scritte in solitario da un sacerdote e professore, LorenzoMilani: Lettere a una professoressa (1967), L’obbedienza non è piùuna virtù (1965). Due brevi libri a miccia molto, molto lunga. Undecennio stava per cedere la parola a un altro e sarebbe stata unaparola altra.

Il 1968 iniziò bene per Neri: Dino Formaggio lo volle con sécome docente di estetica a Verona, che allora dipendeva da Padova. Fucos ì che finimmo per vederci sempre meno, salvo che a noncalcolabili intervalli sul tram 23: lui verso Porta Vittoria, io versoPorta Venezia. Sorridendo lui chiedeva di me prima e più di quanto ioriuscissi a chiedere di lui.

Così ora, riflettendo, non sono affatto sicuro che quelli tra il1958 e il 1967 siano stati “i migliori anni della sua vita” - espressioneperaltro che si sa dover essere assunta passabilmente con ironia eautoironia. Anzi è con ammirazione e rispetto che si leggono le suepagine dedicate ai bambini, agli adolescenti, scritte da lui con l’animodel genitore e dell’educatore. Ancora una volta l’esperienza vissuta inprima persona e la forma mentis del filosofo teoretico si fecondano avicenda. Tra le sue pagine sono quelle che più convocano emozioni echiamano riguardo61.

60 Gli iscritti alle Università italiane erano 210mila nel 1955-’56, 268mila nel ‘60-’61,403mila nel ‘65-’66, 642mila nel ‘69-70 (dati Istat, in Fare gli italiani. Scuola e culturanell’Italia contemporanea, a cura di Simonetta Soldani e Gabriele Turi, Il Mulino, Bologna1993, p. 148). - Sul clima della Facoltà negli anni Settanta, una testimonianza di FabioMinazzi in Mario Dal Pra - Fabio Minazzi, Ragione e storia. p. 327 nota, in cui si ricordaanche una testimonianza di Giulio Giorello nel “Corriere della Sera” dell’8 dic. 1990, La viamilanese alla filosofia.61 Metafisica dei bambini paragonata a quella degli adulti (1999), ne Il sensibile..., cit., p.152-155.

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Cos ì il più gentile tra tutti noi non è più tra noi né piùsentiremo la sua festosa e rispettosa capacità di prendere in giro adestra e a sinistra, mimando come lo vidi fare una sera, tra amici ecompagni, parole d’ordine grandi e meno grandi: “lotta dura /senzapaura / per le riforme / di struttura” - e anche “dansons / dansons laCarmagnole!”.

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