Premessa a "Luigi Paoli, cantastorie di Terra d'Otranto"

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Premessa a Luigi Paoli, cantastorie di Terra d’Otranto* Il rapporto fra la Terra d’Otranto e le proprie tradizioni è sempre stato controverso, forse a causa delle tante e di- verse influenze subite, non es- sendo stata solo terra di passaggio, ma anche, in parti- colare nella seconda metà del Novecento, di ritorno. Tali influenze, è inutile ne- garlo, hanno avuto ripercus- sioni importanti sul modo di approcciarsi allo studio delle cose popolari, da parte dell’in- tellighenzia locale: da una parte c’era chi, fino a pochi decenni ad- dietro, considerava le proprie origini provinciali, da non prendere in considerazione o vergognarsene –Tito Schipa si conosce più per la notorietà internazionale che per ciò che ha dato al territorio (fu sua, nel 1921, la prima incisione di un brano generalmente consi- derato salentino, Quandu te llài la facce), mentre gli anni Ottanta sono stati totalmente cancellati– e, dall’altra, chi, di recente, in- ventando ex-novo una identità locale, ha creato sul folk un busi- ness non indifferente. Nel mezzo ci sono i dati di fatto che, pur non rappresentando una verità assoluta, raccontano una storia diversa da quella che, penso in maniera forzosa, viene divulgata. Tanti sono i protagonisti, spesso misconosciuti, che hanno con- tribuito a creare quella che mi piace considerare una vera e propria

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Premessa al libro di Antonio Contaldo "Luigi Paoli, cantastorie di Terra d'Otranto" (Capone Editore, 2011)

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Premessa a Luigi Paoli,

cantastorie di Terra

d’Otranto*

Il rapporto fra la Terrad’Otranto e le proprie tradizioniè sempre stato controverso,forse a causa delle tante e di-verse influenze subite, non es-sendo stata solo terra dipassaggio, ma anche, in parti-colare nella seconda metà delNovecento, di ritorno.

Tali influenze, è inutile ne-garlo, hanno avuto ripercus-sioni importanti sul modo diapprocciarsi allo studio dellecose popolari, da parte dell’in-tellighenzia locale: da una parte c’era chi, fino a pochi decenni ad-dietro, considerava le proprie origini provinciali, da non prenderein considerazione o vergognarsene –Tito Schipa si conosce più perla notorietà internazionale che per ciò che ha dato al territorio (fusua, nel 1921, la prima incisione di un brano generalmente consi-derato salentino, Quandu te llài la facce), mentre gli anni Ottantasono stati totalmente cancellati– e, dall’altra, chi, di recente, in-ventando ex-novo una identità locale, ha creato sul folk un busi-ness non indifferente.

Nel mezzo ci sono i dati di fatto che, pur non rappresentandouna verità assoluta, raccontano una storia diversa da quella che,penso in maniera forzosa, viene divulgata.

Tanti sono i protagonisti, spesso misconosciuti, che hanno con-tribuito a creare quella che mi piace considerare una vera e propria

civiltà musicale, non necessariamente legata ad un contesto rurale,fra questi Luigi Paoli, meglio noto come Gigetto da Noha.

Le vicende della sua vita coincidono, in larga parte, con quelledel popolo salentino del secondo dopoguerra, costretto a cercarefortuna lontano dalla propria terra. Gli emigranti non intraprende-vano lunghi e improbabili viaggi solo per sfuggire alla fame, alleangherie o ai soprusi, piuttosto credo che il loro fosse un viaggioalla ricerca di una dignità che qui né lo Stato (se mai c’è stato), néi padroni hanno mai inteso riconoscere. Al ritorno, con i risparmidel lavoro all’estero, magari, avrebbero anche potuto costruire unacasa e metter su famiglia.

Nella quotidianità da emigrante, il legame con le origini, si raf-forzava: le tradizioni non solo rimanevano vive ma mutavano, perricontestualizzarsi ed adattarsi a nuove condizioni che non eranoquelle contadine del Salento.

In questo costante e orgoglioso richiamarsi alla terra madre, unruolo fondamentale lo svolge il dialetto: utilizzato in ambienti in-timi, come poteva essere il nucleo familiare, o ristretti, per megliocomprendersi con i paesani quasi a non volersi sentire totalmentealieni in un mondo che non apparteneva loro (e, forse, non li rico-nosceva se non come manodopera da sfruttare).

È in questo quadro che si inserisce il cantastorie Luigi Paoli che,con uno stile personale a metà strada fra urbano e rurale –uno deglianelli di congiunzione, l’avrebbe definito Darwin–, canta le storiedi tutti (quei) giorni. Fatti di lontananze, di amori, di santi e ma-donne, di speranze perdute ma anche di denunce e di sberleffiverso i potenti (o presunti tali), come ben si potrà notare leggendoi testi, alcuni dei quali trascritti in spartito dall’autore del libro An-tonio Contaldo, maestro di musica e compositore di formazioneclassica che, egregiamente, si è confrontato, con brani inizialmenteideati e sviluppati da Paoli con modalità compositive decisamentecomplesse, eterodosse e non per essere fissati. Questo ad ulterioredimostrazione della passione con la quale Contaldo ha voluto ren-

dere omaggio ad un personaggio rilevante del nostro folklore.Quello che ne vien fuori, è uno scritto appassionato, una biogra-

fia antropologica proposta al lettore in maniera efficace che, purnascendo senza pretese etnomusicologiche, diviene, nel com-plesso, un documento importante per far conoscere quella salen-tinità altra che non può essere immolata in nome del business.

federico capone

*tratta da Antonio Contaldo, Luigi Paoli, cantastorie di Terrad’Otranto, Capone Editore, 2011