Arturo Paoli. “Ne valeva la pena" di Silvia Pettiti - Estratto

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Silvia Pettiti Prefazione di Walter Veltroni Arturo Paoli «Ne valeva la pena»

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La biografia di fratel Arturo Paoli, missionario e “Giusto fra le Nazioni”. Vicino alla Teologia della liberazione, si attirò le antipatie dei generali argentini e scampò più volte alla morte. La sua è stata una vita dedicata agli ultimi; nei poveri e negli oppressi egli vedeva la tangibile presenza di Cristo e per essi si è battuto.

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Silvia Pettiti

Prefazione di Walter Veltroni

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«Tu non sai badare a te stesso», mi aveva ripetuto tante volte

mia madre riferendosi alle mie scarse attitudini pratiche. «Per

questo ti devi sposare, hai bisogno di una donna».

Invece ho scelto il sacerdozio. Sentivo mia la definizione che

diede un professore di filosofia all’Università: «Arturo Paoli è un

uomo cosmico». Parlava di Hegel, spiegava che ci sono persone

abitate dalla storia, che abitano la storia.

Posso dire che l’incontro fondamentale nella vita di ogni uomo

sia quello con l’ingiustizia. Essere veri oggi, tempo nel quale il

mondo ha urgente bisogno di etica, vuol dire mantenere chiara

la differenza sostanziale tra quella che la Chiesa definisce ca-

rità, e laicamente si chiama beneficenza, e la giustizia.

Arturo Paoli

SILVIA PETTITI (Fossano 1965), laureata in Giu-risprudenza, ha lavorato per Slow Food Editore,per il sito internet dell’“Agenzia romana per il Giu-bileo”, per l’associazione “Ore undici onlus” cu-rando il periodico mensile omonimo. Dal 2001 al2005 è stata la segretaria personale di Arturo Paoli,che ha seguito nei suoi viaggi in Brasile e in Italia,e per il quale ha curato la redazione di alcuni libri:La gioia di essere liberi (Padova, Messaggero,2002), Prendete e mangiate (Molfetta, La Meri-diana, 2005), Le beatitudini. Uno stile di vita (As-sisi, Cittadella, 2007), Il difficile amore (Assisi,Cittadella, 2008). Dopo quindici anni vissuti aRoma, risiede ora a Lucca nei pressi della CasaBeato Charles de Foucauld in cui vive fratel ArturoPaoli. Collabora come giornalista con il settima-nale Il nostro tempo di Torino ed è responsabile diredazione del mensile Ore undici.

Foto di copertina:Davide Dutto

TEMPI E FIGURERiprende vigore ai nostri giorni l’interesse per la biografia, le-game tra passato e presente, tra individuo e società. Nella collanavengono presentate figure che hanno contribuito a un progetto re-ligioso e cristiano in favore dell’uomo.

6. Storia di san Domenico, H. Vicaire, 3a ed.11. Martin Buber, P. Vermes13. Gandhi, Vinoba17. De Gasperi, E. Arnoulx De Pirey, 2a ed.24. Obbedientissimo in Cristo... Lettere di don Primo Mazzolari

al suo vescovo (1917-1959), L. Bedeschi, 2a ed.25. Schuster. Un monaco prestato a Milano, L. Crivelli27. Giorgio La Pira. L’eterno nel tempo, l’utopia del Regno per

trasformare la storia, L. Piva29. Aurelio Ambrogio. Un magistrato vescovo a Milano, L. Cri-

velli30. Paolo VI. Il papa che baciò la terra, A. Acerbi, 2a ed.34. Chiara Lubich. Dialogo e profezia, J. Gallagher, 2a ed.35. San Giovanni Calabria, M. Gadili, 2a ed.36. Nuovi martiri. 393 storie cristiane nell’Italia di oggi, L. Ac -

cattoli, 2a ed.37. Chiara. Una donna tra silenzio e memoria, M. Bartoli, 2a ed.38. Il papa sconosciuto. Benedetto XV (1914-1922) e la ricerca

della pace, J. F. Pollard39. Ero di sentinella. La lettera di Benedetta nascosta in un libro,

C. Bianchi Porro41. San Francesco d’Assisi. Editio maior, R. Manselli42. Tommaso Moro. L’uomo completo del Rinascimento, É.-M.

Ganne44. Pio XII. Diplomatico e pastore, P. Chenaux45. San Domenico. Contro la leggenda nera, M. Roquebert46. Giovanni Paolo. La prima biografia completa, L. Accattoli47. Pio XI. Il papa dei Patti Lateranensi e dell’opposizione ai to-

talitarismi, Y. Chiron48. Sant’Agostino. L’avventura della grazia e della carità, G. Vi-

gini, 2a ed.49. Benedetto XVI. L’ultimo papa europeo, B. Lecomte50. Mia madre la Chiesa. Vita di san Josemaría Escrivá, M. Dolz51. Il profeta di Nomadelfia. Don Zeno Saltini, R. Rinaldi52. Paolo VI. Il coraggio della modernità, G. Adornato, 2a ed.53. Ho sentito battere il cuore del mondo. Conversazioni con Ber-

nard Lecomte, R. Etchegaray 54. San Filippo Neri. La nascita dell’Oratorio e lo sviluppo del-

l’arte cristiana al tempo della Riforma, F. Danieli55. Don Giussani. La sua esperienza dell’uomo e di Dio, M. Ca-

misasca, 2a ed.56. Frère Roger. Il fondatore di Taizé, Y. Chiron57. Al cuore della fede. Le tappe di una vita, W. Kasper, D. De -

ckers58. Madre Teresa. Tutto iniziò nella mia terra. Con lettere inedite

alla famiglia, C. Siccardi, 2a ed.59. Un amore scritto in Cielo. Zelia Guérin e Luigi Martin; geni-

tori di Teresa di Lisieux, G. P. Di Nicola, A. Danese 60. Solženicyn, L. Saraskina61. Arturo Paoli. «Ne valeva la pena», S. Pettiti, 2a ed.62. Giovanni Paolo II. La biografia, A. Riccardi, 4a ed.

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Silvia Pettiti

ARTURO PAOLI

«Ne valeva la pena»

SAN PAOLO

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L’autrice devolve un terzo dei diritti d’autore a favore di progetti di promozione umanae sociale, rivolti ai giovani e alle donne.

Seconda edizione 2011

© EDIZIONI SAN PAOLO s.r.l., 2010Piazza Soncino, 5 - 20092 Cinisello Balsamo (Milano)www.edizionisanpaolo.itDistribuzione: Diffusione San Paolo s.r.l.Corso Regina Margherita, 2 - 10153 Torino

ISBN 978-88-215-6808-4

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Agli amici di Arturo,in ogni angolo di mondo,

e al suo Progetto,affidato a tutti noi.

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PREFAZIONE

Poche persone hanno l’umanità immensa di Arturo Paoli.Ben pochi hanno saputo cercare con tanta intensità Dio nel-

l’altro. Nel povero, nell’emarginato, nel perseguitato.Una ricerca del divino nella fragilità dell’uomo che lo ha

spinto a solcare gli oceani per portare soccorso alle vittime del-le più grandi tragedie del secolo scorso. Dapprima a Lucca, afianco della Resistenza dove, accanto a Giorgio Nissim, aiutòtanti ebrei a fuggire la persecuzione e lo sterminio nazifasci-sta; nel primo dopoguerra, impegnato ai vertici dell’AzioneCattolica per difendere il confine tra politica e religione; dal1954, per tre anni nel deserto algerino, all’alba della sanguino-sa e tristissima guerra di indipendenza dalla Francia; dal 1960in Argentina, Venezuela e Brasile, nell’occhio del ciclone au-toritario di regimi fatti e disfatti al prezzo di migliaia di vitti-me; negli anni Duemila, infine, di ritorno in Italia, ambascia-tore di una fede sussurrata, raro tesoro tra gli urlati fanatismidel presente.

Un capitale insostituibile che questa bella biografia di SilviaPettiti mette ora nero su bianco, per affidarla a giovani e me-no giovani.

Arturo, con la sua ricerca di Dio nel prossimo, è la testimo-nianza vivente di quella spiritualità cristiana che tanto ha pe-sato nella nascita e nello sviluppo della democrazia. Di quan-

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to la fede, concepita come risorsa universale, sia un linguaggioche unisce, che esalta la condivisione, e che non può in alcunmodo dividere. Chi, poi, a novantotto anni spesi in giro per ilmondo, può capire meglio di lui le lacerazioni della società glo-bale, il prezzo pagato per uno sviluppo che produce enormi di-seguaglianze? Chi meglio di lui, perciò, poteva sostenere conla benevolenza di un maestro, i progetti di rinnovamento e dicomunione tra laici e cattolici in nome di un nuovo umanesimo?

La nostra amicizia, ovviamente, non è nata al chiuso di qual-che stanza o in un incontro ufficiale, ma per strada, in Brasi-le, in mezzo ai bambini di una favela di Foz do Iguaçu. In unadi quelle infinite missioni dove le sue convinzioni religiose sitrasformavano in miracoloso impegno sociale a soccorso deipiù deboli. Con infinita umiltà di fronte all’altro, come fosse alcospetto di Dio.

WALTER VELTRONI

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INTRODUZIONE

«Scrivere è viaggiare senza il peso delle valigie», disse Emi-lio Salgari.

Ho viaggiato, senza il peso delle valigie, per circa dodici me-si: numerosi gli incontri con Arturo Paoli e con tanti testimo-ni che hanno condiviso le sue esperienze dalla sua giovinezzaad oggi.

Ho cercato di tessere insieme ricordi, letture, immagini, pa-role, tra le migliori vergate da Arturo stesso nel corso della sualunghissima vita. Le pagine che ne sono scaturite compongo-no un puzzle dal quale emerge l’intreccio delle storie con laStoria, la freschezza del pensiero, l’originalità dell’uomo e del-la sua fede.

Il libro ha la forma del racconto a due voci: Arturo narrain prima persona ricordi ed eventi, espone le sue opinioni sul-la società, sulla politica, sulla Chiesa, confida la sua ricerca spi-rituale e umana di uomo sempre in cammino; la voce narran-te srotola il filo degli avvenimenti dentro cui si è svolta la vi-ta di Arturo, attraverso un secolo di storia, durante il quale ècambiato più volte il mondo, e attraverso due continenti, l’Eu-ropa e l’America Latina.

Le parole di Arturo provengono da fonti diverse, richia-mate nelle note bibliografiche. Ho omesso il riferimento quan-do sono tratte dalle mie interviste o da episodi da lui raccon-tati in situazioni informali. Molte citazioni non sono letterali,

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mi sono permessa alcuni adattamenti per rendere coerente lanarrazione.

Man mano che il lavoro procedeva, cresceva in me la con-sapevolezza dell’ardua impresa di “far stare l’oceano in un bic-chiere”. Allora, scusandomi sinceramente con le tante perso-ne importanti per la vita di Arturo che non sono nominate, peri tanti luoghi da lui amati e visitati che non ho potuto ricorda-re, per i tanti fatti che ho dovuto omettere o raccontare con ec-cessiva rapidità, voglio sperare che queste pagine possanocostruire ancora legami di amicizia ed essere occasione di in-contro tra quanti hanno a cuore il senso del vivere.

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1 Gli acquarelli di Vincenzo Barsotti: 1876-1963. Storia, costume, mondo del lavoro,a cura di Silvestra Bietoletti, Lucca, Archivio di Stato, 2007, pp. 22-25.

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SANGUE INNOCENTE

Sono diventato grande nelle brevi ore di un pomeriggio d’in-verno. Avevo compiuto otto anni quattordici giorni prima. Inquel dicembre, quando il buio scendeva presto ad impadro-nirsi dei nostri giochi, mamma ci permetteva di radunarci congli amici in piazza San Michele. Bastavano centocinquanta pas-si per raggiungerla dal portone di casa in via Santa Lucia nu-mero 5.Al ritorno li feci di corsa, con le gambe tremanti e il cuo-re gonfio di paura. Era il 14 dicembre 1920.

Alle diciassette di quel giorno era atteso un comizio del Par-tito socialista per protestare contro l’aumento del costo del pa-ne stabilito dal governo Giolitti1. Lucca era frequente scena-rio di scontri tra i fascisti e i loro oppositori politici, popolarie socialisti. L’onorevole socialista Ventavoli avrebbe dovutotenere il suo discorso sotto la loggia di Palazzo Pretorio, pro-prio a fianco di piazza San Michele. Invece vi trovò schieratauna squadra di camicie nere che aveva preso possesso dellaloggia, indisturbata. Ventavoli non si fece intimorire e non ri-nunziò ad iniziare il suo discorso, ma subito i fascisti alle suespalle cominciarono a denigrarlo e a disturbare.

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Bastarono pochi minuti per far degenerare la situazione, inrapida sequenza vidi uomini che si spintonavano, manganelliche colpivano la folla radunata e poi improvviso il tuono di unosparo. Gran confusione, urla, eccitazione e altri spari. Due uo-mini erano distesi a terra, immobili. Un attimo prima li avevovisti in piedi, vivi. Rimasi paralizzato, sconvolto dal sangue chevedevo scorrere sulla piazza fino a quel momento vergine. Poicorsi a casa, dove gli echi della morte erano già giunti.Trovai lebraccia di mia madre e il suo sguardo allo stesso tempo teneroe serio.

Nei giorni seguenti mia madre tornò a parlarmi di quell’e-pisodio. Ho sempre ricordato le sue parole, il senso di quelloche volle dirmi, perché mi hanno accompagnato per tutta la miavita: grazie a lei quel sangue innocente è diventato il punto d’i-nizio della mia vocazione umana prima ancora che religiosa.«Quello che è successo ieri è molto grave. Delle persone hannoucciso altre persone. E sai perché questo accade? Perché gli uo-mini non si vogliono bene. Non sanno vivere in pace gli uni congli altri. Litigano, si scontrano, si picchiano e alla fine persino siuccidono. Noi dobbiamo impegnarci perché nel mondo ci siapiù amore, perché le persone imparino a volersi bene».

Mia madre era una donna religiosa senza essere esagerata-mente praticante. Soltanto negli ultimi anni della sua vita pre-se l’abitudine di partecipare alla messa quotidiana, quando ar-rivò in città don Giovanni Rossi, il futuro fondatore della ProCivitate Christiana, che diede un grande impulso al fervore re-ligioso. Fino ad allora si limitava alla messa domenicale, cui uni-va una feriale e fedele frequentazione dell’ospizio per anzianidove prestava servizi domestici di volontariato. Mi ci portò ilpomeriggio della domenica in cui feci la mia Prima Comunio-ne. Al mattino, dopo la messa, il parroco ci aveva radunati nel-la sala della parrocchia dove ci aveva offerto una deliziosa cioc-colata calda. Un modo semplice per fare festa, per distinguerequel giorno dagli altri, per imprimere nella nostra mente, for-se, la dolcezza della presenza di Gesù. «Oggi pomeriggio an-

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diamo a restituire la visita a Gesù», mi disse mia mamma men-tre terminavamo il pranzo, e andammo all’ospizio.

È sorprendente con quale profondità avesse capito il mes-saggio di Gesù e con quale semplicità riuscisse a trasmetterloa me. Tutta la teologia fondata sull’amore pietoso verso il Cro-cifisso, tutte le preghiere e le ore di adorazione da rivolgere aLui per consolarlo e compiacerlo, ma soprattutto per “salvarela nostra anima” e guadagnarci un posto in paradiso, tutta que-sta impalcatura di pensiero e di comportamenti lei li capovol-geva con i gesti semplici della vita, senza cercare giustificazio-ni teoriche, senza pensare che fosse necessaria una spiegazione.

Erano insegnamenti che, a sua insaputa, ricalcavano le paro-le di un grande scienziato e teologo gesuita della prima metà delventesimo secolo,Teilhard de Chardin: amorizer le monde, amo-rizzare il mondo.

Ho raccontato tante volte l’episodio di piazza San Michele,del quale, prima di trovare conferma grazie al lavoro deglistorici, qualche volta ho dubitato fosse invenzione della mia fan-tasia. Lo racconto soprattutto ai giovani, perché voglio renderechiaro che la sofferenza e anche la morte sono parte della vita,ci colpiscono quando meno ce le aspettiamo, ma da lì inizia lanostra responsabilità di scegliere come “abitare il mondo”, perusare un’espressione del filosofo Salvatore Natoli2, che sulla co-pertina del suo libro dedicato a questo tema ha posto due piedinudi appoggiati sulla terra nuda. È necessario partire dai piedi,umili servitori del nostro corpo e della nostra esistenza, per far-ci responsabili concreti del mondo. Un mondo, il nostro, che in-vece ha reso astratto il cristianesimo. L’inculturazione nel pen-siero greco ne ha fatto una dottrina, un sistema di idee, una fi-losofia privandolo della dimensione di testimonianza al progettodel Regno da attuare qui nel mondo.

2 S. NATOLI, Stare al mondo. Escursioni nel tempo presente, Milano, Feltrinelli, 2002.

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Poi la vita riprese a scorrere ordinaria, al mio ritmo di bam-bino. Vivevamo in una casa che a me pareva molto grande,anche perché la porta d’ingresso era sempre aperta e la tavolaspesso si allungava ad ospitare parenti, amici, compagni di scuo-la miei o dei miei fratelli.

A casa nostra entravano anche i perseguitati politici. Eranogli anni del fascismo e Lucca, conservatrice per storia e per tra-dizione, vi aveva aderito in grande maggioranza ma, come ognifortezza, aveva i suoi passaggi segreti, qualche dissidente chesi opponeva al regime e lo faceva al rischio della propria vita.La mia famiglia non era impegnata attivamente nella vita po-litica, ma soprattutto mia madre era attenta al clima che si re-spirava, era istintivamente attratta dalla libertà e per essa siimpegnava nella sua vita ordinaria di donna, madre di famiglia,padrona di casa. Ho imparato molto da lei, credo di averne ere-ditato il carattere e l’attitudine ad occuparmi degli altri, a con-siderare la casa un luogo di partenza e di apertura verso ilmondo.

Eravamo tre figli: Tommaso, Arturo e Anna Maria. Tomma-so aveva due anni più di me, fece l’istituto industriale ed è sta-to uno scrittore mancato, capace di guidare la penna con abilitàe garbo. Le lettere che mi scrisse durante i lunghi anni che hovissuto in America Latina esprimevano tutto l’affetto che le pa-role non sapevano trasmettere quando ci incontravamo di per-sona.Anna Maria fece l’istituto magistrale, era una ragazza dav-vero bella e altrettanto intelligente. La sua morte, recente, è sta-ta quella che vorrei per me: si è addormentata circondata daifigli, dai nipoti e dai bisnipoti, accompagnata amorevolmentedalle loro cure e dai loro sguardi sereni.

Il più appassionato agli studi ero io, contagiato dall’ammira-zione per mio padre che era un gran lettore dei romanzieri clas-sici, da Tolstoj a Proust, da Dostoevskij a Manzoni. Fu il non-no paterno, un uomo di origini umili ma di indole aristocrati-ca, a iscrivermi alla selezione per il ginnasio quando compii

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quattordici anni. L’ho sempre visto con la giacca nera e la cra-vatta, ogni sabato andavo a ritirare il suo colletto inamidato dal-la stireria. Ero il suo nipote preferito e la sua scelta fu indovi-nata. Frequentai il liceo classico Niccolò Machiavelli e fui con-quistato dalla passione per l’insegnamento. Due professori inparticolare mi hanno trasmesso la vocazione per la formazio-ne dei giovani. Uno era il professor Sequi, insegnante di greco,sardo “doc”, tanto rigoroso ed esigente in classe quanto spon-taneo e amichevole al di fuori dell’orario scolastico. Era ap-passionato di montagna, conosceva tutti i sentieri che penetra-no le Alpi Apuane e spesso la domenica ci portava, insieme aisuoi figli, a fare una gita. Con lui vivevamo il piacere di stare in-sieme. La seconda ottima pedagoga che ebbi fu l’insegnante dimatematica, la professoressa Mencarini Fabrizi. È curioso, per-ché non ho mai avuto predisposizione per i numeri, al contra-rio: mi sembra di vedere i sorrisi ironici delle persone che han-no dovuto rimediare, nel corso della mia vita, a questo mio ir-reparabile difetto. Però l’arte di trasmettere il sapere è altra cosada ciò che si insegna, viene prima, è l’humus che fa crescere leintelligenze e le competenze. In me ha fatto crescere l’interesseper la filosofia e il gusto di diffondere le idee che apprendevo,conversare con i giovani, formare le coscienze.

Studiavo con profitto. Nei pomeriggi, dopo la scuola, spessoci incontravamo tra compagni per leggere i filosofi tedeschi:Nietzsche, Hegel, Leibniz, Kant.

La memoria più precisa di quegli incontri è merito della fi-glia di un grande amico di gioventù di Arturo Paoli, Carlo DelBianco, morto tragicamente nel 1943 per sfuggire all’arrestodei fascisti. «Ragionavamo tra noi, nella casa di Arturo o nellasacrestia di San Frediano o nel pianterreno del decanato o inuno dei baluardi delle Mura. […] Arturo, poiché le sue paroleerano caute e la profondità del suo cuore rimaneva sempre in-sondabile, concludeva per un ascetismo cristiano. […] Tra noicompagni, la consuetudine di lavoro, di studio e di pensiero, fa-

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ceva sì che la pur liberissima diversità delle idee si compones-se in un’armonia totale, insieme spontanea e necessaria. E tut-tavia ci salvavano dalla tentazione di una segregazione setta-ria la chiara, lucida potenza d’apostolato di Arturo e quel ru-de, barbaro cristianesimo che Carlo diffondeva intorno a sé»3.

Giuliana Del Bianco ha ritrovato questo racconto nel libroGli amici di Lucchesia, opera di un altro amico del liceo, NinoRusso Perez. Grazie a lei la memoria di suo padre, “il profes-sore partigiano”, e della Resistenza antifascista viene rinno-vata ogni anno dagli studenti della III B del liceo Machiavellidi Lucca, lo stesso che Carlo e Arturo avevano frequentato in-sieme.

Partecipavamo ai circoli dell’Azione Cattolica, strettamenteispirati alle volontà ecclesiali anche se affidati alla guida dilaici impegnati. Essi rappresentavano la sola alternativa al fa-scismo sotto il profilo dell’impegno sociale e politico. Ho personella memoria il nome dell’avvocato con cui studiavamo un ca-techismo per ragazzi e organizzavamo delle rappresentazioniteatrali nella piccola chiesa di San Matteo.

Lucca era una città molto cattolica, aveva un clero influentecapace di imprimere nella vita dei lucchesi la religione, la mo-rale, la prudenza e persino la parsimonia. Non sono stato esen-te da alcuna di queste pratiche radicate nella tradizione di cuianch’io sono stato figlio. Alcune le ho poi abbandonate, o permeglio dire sublimate in una forma più libera, altre permango-no, in toni più leggeri, come vecchie fotografie di famiglia chescolorano con il tempo. In quel mondo non avevo incontratopersone particolarmente illuminate, ma un gran numero diuomini e donne di buona volontà, di validi sacerdoti, di perso-ne buone.

Il 1° ottobre 1933, insieme ad altri compagni universitari, fon-

3 Il Professore Partigiano. Narrazione a più voci, a cura di Giuliana Del Bianco,Lucca, Provincia di Lucca, 2009, p. 6.

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dammo la Società di San Vincenzo de’ Paoli, un sodalizio distudenti che contemplava due attività fondamentali: visitare ipoveri e pregare4. La sede era in via del Giardino Botanico 2,nei locali dell’ex seminario vescovile. Con noi c’era anche DelBianco. Mi impressionava che Carlino presenziasse alla messanel più mattutino convento della città e subito dopo, talvolta nonc’era ancora la luce, andasse a visitare i poveri. «Che penseran-no i poveri a vederti così presto?», gli chiesi un giorno, e lui mirispose: «Ecco della gente che ha le pulci nel letto come noi enon può dormire». Così, con un sorriso, calava sulla terra tut-to quello che la retorica avrebbe potuto sollevare in cielo5.

Io lo pensavo sacerdote, ma lui aveva paura dell’abito e delsublime della Chiesa.Aveva paura di isolarsi dagli uomini men-tre desiderava innestare tutto se stesso nell’umanità. «Mi dico-no di disinteressarmi di politica perché ho famiglia: proprio perquesto me ne interesso! Ho da dare un avvenire ai miei figliolie non solo l’avvenire del pane e della professione, ma anchequello della libertà, della pace vera», ha continuato a dirmi ne-gli anni a seguire, nel pieno della guerra e della resistenza an-tifascista.

Nel 1935 Carlo e Arturo diventarono rispettivamente vicePresidente e Presidente della Conferenza di San Vincenzo, co-me registra il verbale della riunione del 10 gennaio: «Il conteSardi, sollecitato dai confratelli, non tenendo conto della mo-destia di Arturo Paoli, lo nominò, seduta stante, Presidente,al posto del dimissionario professor Pietro Pacini, e Carlo DelBianco vice Presidente»6.

4 Il Professore, op. cit., p. 14.5 In memoria di Carlo Del Bianco, a cura del Comitato di Liberazione Nazionale,

Lucca, Scuola Tipografica Artigianelli, 1945, p. 22 (nell’ambito del progetto Impara-re a ricordare, III B Liceo Classico N. Machiavelli di Lucca, Anno scolastico 2002-2003).

6 Il Professore, op. cit., p. 15.

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Durante gli studi universitari, ho frequentato assiduamentePisa, dove ho trovato motivi di crisi ma anche sani stimoli cri-tici.Avevo scelto la Facoltà di Lettere e Filosofia e nel confrontocon il professor Attilio Momigliano, ebreo, e con altri docentinon credenti scoprivo la presenza di quei valori umani ed eticiche andavo inseguendo. Erano capaci di coniugarli con il sen-so della storia e l’impegno per il progredire degli uomini7. Ap-partenevo alla Fuci, la federazione degli universitari cattolici,che proponeva seminari di studio sui maggiori teologi della Chie-sa cattolica.

Una volta mi fu affidata l’organizzazione di una lezione susan Tommaso, consigliandomi di contattare un giovane profes-sore meridionale da poco trasferitosi a Firenze, Giorgio La Pi-ra.Andai a Firenze e lo invitai. La conferenza fu un mezzo fia-sco, perché il ragionare tomista per sillogismi che lui snoccio-lava era quanto mai lontano dalla nostra formazione e dallanostra cultura.

Mia madre aveva voluto ospitarlo a casa nostra. La Pira sitrattenne diversi giorni, diventammo amici, dialogavamo di fi-losofia e di religione passeggiando lungo le mura della città. Miabbeveravo alle sue parole ma soprattutto alla serenità del suoanimo, tanto attraente per me che stavo attraversando un pe-riodo di crisi che mi rendeva inquieto e irrisolto. Ero incurio-sito da una sua abitudine mattutina, quella di alzarsi presto etrattenersi in silenzio nell’attendere il farsi del giorno. Mi dice-va che era quella pausa a generare la serenità del suo animo.È stato lui ad introdurmi ad una visione mistica della religione,che mi portò a leggere la grande Teresa d’Avila.

La Pira godeva dell’«aureola di uomo senza potere e oltre ilpotere», ha scritto Mario Vittorio Rossi, presidente della Gio-ventù di Azione Cattolica dopo Carlo Carretto, intimo amico

7 A. PAOLI, «Vivo sotto la tenda». Lettere ad Adele Toscano, a cura di Pier GiorgioCamaiani e Paola Paterni, Cinisello Balsamo, San Paolo, 2006, p. 513.

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di Arturo. «La sua vita personale portava il segno dell’eremi-taggio: una stanzetta di convento o d’ospedale, poco cibo, nien-te soldi, alcuni libri biblici o moderni rivelavano un gusto soli-tario dell’abbandono in cui era assente la donna, e la societàveniva vista attraverso quella solitudine. […] La sua visionedella fede e insieme di una società utopica-ideale prestava aogni uomo qualche cosa che stimolava la revisione della con-suetudine, trasferendo i desideri nelle possibilità future. […]era il simbolo di un andare oltre la logica per rompere la noiadella borghesia e della civiltà di massa e lasciar passare l’ir-ruenza e l’invenzione come una gioia eccitante dell’infanzia»8.

La morte di mia madre arrivò improvvisa. Avevo ventidueanni e tutti i colori nitidi della giovinezza si mescolarono inun vortice oscuro di sofferenza e smarrimento. Era la prima vol-ta che il dolore si presentava davanti a me, in una sfida perso-nale che non avevo preparato né ero sicuro di saper accogliere.Tralascio i particolari di un evento intimo che non desidero spo-gliare ma che certamente ha rifratto i suoi effetti nelle mie scel-te successive. «Tu non sai badare a te stesso», mi aveva ripetutotante volte mia madre riferendosi alle mie scarse attitudini pra-tiche, «per questo ti devi sposare, hai bisogno di una donna».Quella che avevo incontrato era una ragazza bella, la Magna-ni, che nutriva un grande interesse per la politica, la religione,la fede. Forse avrebbe potuto essere lei la mia compagna di vi-ta. Poi un giorno, senza preavviso e senza ragione, un’infezio-ne incurabile spezzò la sua giovane esistenza.

Ero travolto da questi eventi mentre il clima del nostro Pae-se si faceva sempre più pesante. Il fascismo aveva ormai i con-notati del regime dittatoriale, si insinuava nei nostri interessi digiovani che ci stavamo preparando a diventare protagonisti delfuturo. Si insinuava come un virus che voleva contagiarci ma,

8 M.V. ROSSI, I giorni dell’onnipotenza. Memoria di un’esperienza cattolica, Roma,Coines, 1975, pp. 106-107.

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grazie a Dio, eravamo attrezzati abbastanza per riconoscerloe respingerlo fermamente. Vivevamo la storia del nostro tem-po come storia di libertà, secondo l’insegnamento di Hegel, e lalibertà che cercavamo era il senso del nostro vivere.

Nelle vocazioni c’è molto mistero, qualcosa che istintivamenteporta lì. Un convergere di forze, di eventi, di passioni verso uncentro comune.

Avevo maturato il desiderio di partecipare alla vita politicadel mio tempo non come un concorrente ma come animatore eformatore. Pensavo che la politica avesse bisogno di un sup-plemento di gratuità e di spiritualità per liberarsi dai lacci delpotere e del fanatismo che la stavano soffocando.

Aspiravo ad immettere la linfa vitale della criticità in un mon-do che mi pareva imbrigliato nello spirito dell’adolescente che,contestando la realtà, si rifiuta di crescere.

Avevo sofferto enormemente per la perdita di mia madre, dicui serbavo profondo l’esempio di generosità e dedizione cheavevo appreso in famiglia soprattutto grazie a lei. Insegnavogreco al liceo classico Machiavelli, lo stesso dove ero stato stu-dente, svolgevo un ruolo di guida verso i miei alunni, non mol-to più giovani di me.A casa era arrivato il tempo di mostrare alnonno divenuto disabile la mia gratitudine per quanto mi ave-va donato. Per la prima volta gli vidi i piedi nudi quando am-malato dovette affidarsi alle mie cure, lui così aristocratico e ri-servato. Anche mia sorella Anna Maria, sei anni più giovanedi me, aveva bisogno di attenzioni e di essere seguita negli stu-di, che non amava affatto. Cercai di fare la mia parte anche ver-so di lei, non sicuro di esserci riuscito nel migliore dei modi. Miofratello Tommaso aveva preso parte alla campagna militare inEtiopia, che lo trattenne lontano da casa per otto anni; era làquando nostra madre morì. Mio padre lavorava duro per man-tenere la casa e la famiglia, con il cuore amareggiato e sconfor-tato dalla scomparsa della compagna della sua vita, madre deisuoi figli.

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Questo insieme di cose sono soltanto indizi per intendere co-me decisi di entrare in Seminario. Era il 1937, avevo venticin-que anni e mi ero da poco laureato discutendo una tesi su “Me-dioevo e romanticismo nella poesia di Giosuè Carducci”. Nonera stato il Carducci poeta ad affascinarmi particolarmente,quanto la sua vasta e poliedrica cultura che penetrava nella let-teratura di tutta Europa, con particolare attenzione a quella fran-cese e tedesca. C’era nella sua produzione poetica una vena ro-mantica che mi era parsa molto chiara e che avevo voluto di-mostrare nella mia tesi. Grazie al Carducci anch’io ho compiutoun lungo excursus nelle principali letterature europee e nei lo-ro più autorevoli esponenti.

Poi, la scelta del sacerdozio. La certifica il verbale del 2 di-cembre di quell’anno relativo ad una riunione della Societàdi San Vincenzo: «Con visibile emozione, il confratello Sestiannunziava: il nostro beneamato presidente A. Paoli nei pros-simi giorni lascerà ogni sua attività per entrare in Seminario eper prepararsi al Sacerdozio, ma continuerà a seguire le con-ferenze con la preghiera, le offerte e l’affettuosa amicizia»9.

9 Il Professore, op. cit., p. 15.

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