Premessa - uniroma1.it · 2019. 10. 9. · il ghana postcoloniale, con riferimento all’area akan...

28
raPPresenTazioni e PraTiChe del saCro 261 medIatorI deL Sacro e deL poLItIco tra memorIa e poStmodernItà Premessa la categoria di operatori del sacro evoca immediatamente la rappresentazione di sa- cerdoti, guaritori, veggenti e persino stregoni, comunque manipolatori di oggetti e/o parole sacre, impegnati in rituali pubblici o privati, all’interno di contesti in cui sono implicate entità spirituali sovraordinate rispetto agli umani. Tuttavia, la sfera politica, e non solo quella religiosa, ci offre figure di rilievo pubblico che in vari modi incar- nano, interpretano e manipolano il sacro, producendo a volte manifestazioni di ca- rattere prodigioso, figure di cui sia l’antropologia che la storia si sono molto occupate, dai re medievali che guarivano dalle scrofole imponendo le mani 1 , ai cosiddetti re di- vini o capri espiatori dell’africa 2 , alla regalità sacra dell’oceania 3 . l’accostamento di sacro e politico non è, dunque, insolito, ma il tema che vogliamo presentare qui presume che queste due categorie possano definirsi sulla base di una implicazione reciproca. intendiamo, cioè, porre il problema di come sacro e politico possano in- sieme dotarsi di senso e legittimarsi. Questo presuppone una prospettiva che non è tanto (o soltanto) quella della perpetuazione politicamente saliente di una funzione sacra della cosiddetta tradizione, ovvero quella della riscoperta della tradizione e della sua sacralità in una chiave politica, quanto piuttosto quella di una nuova dimensione sacra del politico e, insieme, di una inedita dimensione politica del sacro. Questa ope- razione di duplice valore, su cui vogliamo riflettere, è compiuta da personaggi di ri- levante caratura sociale e simbolica che si propongono come interpreti di un nuovo modo di declinare la sacralità tradizionale del politico e, al tempo stesso, l’ineludibile valenza politica del sacro. Costoro si dimostrano capaci di operare una costante me- diazione tra queste due sfere e incarnare, reinterpretandoli, processi storici di profonda trasformazione delle rispettive società. in questo contributo, ci limiteremo a introdurre il tema su cui stiamo lavorando e che riguarda alcuni particolari agenti sociali appartenenti a contesti molto diversi tra loro: il ghana postcoloniale, con riferimento all’area akan studiata da Mariano Pavanello, e i Pays d’Outre-Mer francesi in oceania, con riferimento alle isole della società (Polinesia francese), terreno di ricerca di Matteo aria. Questi agenti sociali sono, in ghana, i rappresentanti del potere tradizionale, la chieftaincy, investiti di funzioni ri- 1 vedi BloCh 1973, per non parlare dei sovrani di natura divina dell’antichità, o le figure simbolicamente regali protagoniste di rituali cruenti come il “re del bosco di nemi” (Frazer 1965 [1922]). 2 heusCh de 1972, id. 1982; MCCaskie 1995; Muller 1980; siMonse 1992; T ardiTs 1990. 3 vedi goldMan 1970; kirCh 2010; lindsTroM, WhiTe 1997; MarCus 1989; oliver 1974; ThoMas 1994; valeri 1985. Merita inoltre segnalare la recente analisi di kirch (kirCh 2010) sulla affermazione della regalità divina alle hawaii come elemento centrale che segnò il passaggio dal chiefdom allo stato arcaico. un insieme di condizioni demografiche, economiche, sociali e ideologiche permisero prima dell’arrivo degli europei la trasformazione di un sistema fondato sui capi, che all’apice di un clan conico rivendicavano di essere discendenti degli dei, a una regalità divina come classe endogamica separata.

Transcript of Premessa - uniroma1.it · 2019. 10. 9. · il ghana postcoloniale, con riferimento all’area akan...

  • raPPresenTazioni e PraTiChe del saCro 261

    medIatorI deL Sacro e deL poLItIco tra memorIa e poStmodernItà

    Premessala categoria di operatori del sacro evoca immediatamente la rappresentazione di sa-cerdoti, guaritori, veggenti e persino stregoni, comunque manipolatori di oggetti e/oparole sacre, impegnati in rituali pubblici o privati, all’interno di contesti in cui sonoimplicate entità spirituali sovraordinate rispetto agli umani. Tuttavia, la sfera politica,e non solo quella religiosa, ci offre figure di rilievo pubblico che in vari modi incar-nano, interpretano e manipolano il sacro, producendo a volte manifestazioni di ca-rattere prodigioso, figure di cui sia l’antropologia che la storia si sono molto occupate,dai re medievali che guarivano dalle scrofole imponendo le mani1, ai cosiddetti re di-vini o capri espiatori dell’africa2, alla regalità sacra dell’oceania3. l’accostamentodi sacro e politico non è, dunque, insolito, ma il tema che vogliamo presentare quipresume che queste due categorie possano definirsi sulla base di una implicazionereciproca. intendiamo, cioè, porre il problema di come sacro e politico possano in-sieme dotarsi di senso e legittimarsi. Questo presuppone una prospettiva che non ètanto (o soltanto) quella della perpetuazione politicamente saliente di una funzionesacra della cosiddetta tradizione, ovvero quella della riscoperta della tradizione e dellasua sacralità in una chiave politica, quanto piuttosto quella di una nuova dimensionesacra del politico e, insieme, di una inedita dimensione politica del sacro. Questa ope-razione di duplice valore, su cui vogliamo riflettere, è compiuta da personaggi di ri-levante caratura sociale e simbolica che si propongono come interpreti di un nuovomodo di declinare la sacralità tradizionale del politico e, al tempo stesso, l’ineludibilevalenza politica del sacro. Costoro si dimostrano capaci di operare una costante me-diazione tra queste due sfere e incarnare, reinterpretandoli, processi storici di profondatrasformazione delle rispettive società.in questo contributo, ci limiteremo a introdurre il tema su cui stiamo lavorando e cheriguarda alcuni particolari agenti sociali appartenenti a contesti molto diversi tra loro:il ghana postcoloniale, con riferimento all’area akan studiata da Mariano Pavanello,e i Pays d’Outre-Mer francesi in oceania, con riferimento alle isole della società(Polinesia francese), terreno di ricerca di Matteo aria. Questi agenti sociali sono, inghana, i rappresentanti del potere tradizionale, la chieftaincy, investiti di funzioni ri-

    1 vedi BloCh 1973, per non parlare dei sovrani di natura divina dell’antichità, o le figure simbolicamenteregali protagoniste di rituali cruenti come il “re del bosco di nemi” (Frazer 1965 [1922]).2 heusCh de 1972, id. 1982; MCCaskie 1995; Muller 1980; siMonse 1992; TardiTs 1990. 3 vedi goldMan 1970; kirCh 2010; lindsTroM, WhiTe 1997; MarCus 1989; oliver 1974; ThoMas1994; valeri 1985. Merita inoltre segnalare la recente analisi di kirch (kirCh 2010) sulla affermazionedella regalità divina alle hawaii come elemento centrale che segnò il passaggio dal chiefdom allo statoarcaico. un insieme di condizioni demografiche, economiche, sociali e ideologiche permisero primadell’arrivo degli europei la trasformazione di un sistema fondato sui capi, che all’apice di un clan conicorivendicavano di essere discendenti degli dei, a una regalità divina come classe endogamica separata.

    impaginato libro Nizzo_Layout 1 15/05/12 10.05 Pagina 261

  • 262 Pavanello - aria

    tuali e, al tempo stesso, fortemente proiettati nella dimensione politico-economicadello “sviluppo”; nella Polinesia francese, alcuni personaggi pubblicamente ricono-sciuti per la loro capacità di rielaborare la memoria culturale e la tradizione, e prota-gonisti delle rivendicazioni culturali e politiche che, a partire dagli anni ottanta, sisono diffuse in quelle isole del Pacifico meridionale. intendiamo quindi soffermarelo sguardo su due tipi di operatori molto particolari: da una parte i titolari di posizionidi autorità “tradizionale” che mantengono forti elementi di sacralità; dall’altra quegliattori locali impegnati a recuperare “tradizioni” ufficialmente perdute e reinterpre-tandole in contesti di rilevanti istanze politiche fortemente commiste di sacralità. en-trambi si caratterizzano per la capacità carismatica di mediare tra due dimensioni fortidella vita sociale, il politico e il sacro, e tra due condizioni della fruizione simbolicadella cultura: la memoria, come campo di gestione conflittuale della storia, del patri-monio e della terra, e la sua proiezione nel presente e nel futuro in una chiave deci-samente politica. si tratta di differenti capacità carismatiche in cui sono in gioco, neicapi tradizionali akan, un potere magico intrinseco al potere politico4; nei rielabora-tori polinesiani della tradizione, invece, un forte carisma politico capace di richiamarele arcaiche strutture magiche del potere. in entrambi i casi, l’abilità a muoversi tra ledue dimensioni mette in scena un potere carismatico che si avvicina molto alla cate-goria weberiana. nelle funzioni che questi mediatori svolgono − i primi per una sortadi mandato legato alla supposta legittimità della loro posizione di potere; i secondi,in virtù di particolarissime qualità che vengono loro riconosciute secondo specificiprocessi di costruzione politica dell’identità – si condensano “in una sola volta, e dicolpo”, usando la felice espressione maussiana del “fatto sociale totale”, autenticitàe inautenticità delle tradizioni che incarnano; verità e finzione del potere che eserci-tano; realtà e irrealtà del potere magico delle operazioni sacrali e simboliche che, soli,hanno il potere e il dovere di compiere; verità e non verità della memoria storica dicui sono depositari ufficiali e su cui si fonda la loro legittimità, mettendo chiaramentein evidenza il ruolo creativo e generativo della tradizione.

    Il Ghana: una repubblica di re quasi sacrila chieftaincy akan rappresenta un caso molto particolare nella vicenda storica deipoteri tradizionali in africa che, manipolati e disarticolati durante la fase coloniale,e poi combattuti dai movimenti di indipendenza e dai governi immediatamente po-stcoloniali, stanno vivendo dalla fine degli anni ’80 del novecento un periodo di re-viviscenza straordinaria in quasi tutta l’africa subsahariana5. in questo processo, lachieftaincy ghanese ha costituito una sorta di modello anche per altri contesti africani.

    4 la presenza di poteri occulti o soprannaturali in titolari di cariche politiche è un tema molto presentenella letteratura etnologica, e sul carisma connesso al potere magico-politico, vedi anche durkheiM2005 [1912].5 vedi PerroT, Fauvelle-ayMar 2003; valseCChi 2006.

    impaginato libro Nizzo_Layout 1 15/05/12 10.05 Pagina 262

  • raPPresenTazioni e PraTiChe del saCro 263

    Protagonista della politica coloniale di indirect rule, la chieftaincy ha sempre rappre-sentato uno degli elementi fondamentali del processo costituzionale del ghana mo-derno6, fin dalla Commissione Coussey che, negli anni ’50, preparò la base della cartacostituzionale per l’indipendenza della Gold Coast7. nella storia tardo-coloniale epostcoloniale della chieftaincy in ghana, la retorica del discorso politico ha mirato adare l’immagine del potere tradizionale come di una istituzione dotata di un caratteresacro e risalente al passato precoloniale, dunque un’istituzione puramente indigenache il colonialismo aveva corrotto. la volontà politica che traspariva da questa reto-rica, soprattutto all’inizio degli anni ’90 con l’adozione dell’ultima costituzione de-mocratica, era indirizzata a salvaguardare le prerogative e i presunti caratteriprecoloniali della chieftaincy, adottando tutte le necessarie misure a proteggerla dalleingerenze del governo, contrariamente al modello dominante durante il periodo co-loniale e nei primi anni del ghana indipendente, sotto il regime di nkrumah. si trattadi un discorso che affonda le proprie radici nell’esigenza di creare un passato perfet-tamente funzionale alla costruzione del presente. la salvaguardia della chieftaincy edella sua immagine precoloniale va certamente nella direzione del rafforzamento diuna duplice appartenenza nazionale, ghanese e africana, di cui le identità locali e par-ticolaristiche, che prima venivano bollate come tribalismi, non erano che strumenti ecomplementi. si comprende quindi come le scelte concretamente operate nel testocostituzionale, in termini di definizioni di principio, di procedure e funzioni, sianotutte orientate verso questa visione della chieftaincy in quanto “bed-rock of stabilityin our national life8”, secondo le parole dello storico e antropologo kwame arhin,membro dell’assemblea costituente e capo tradizionale egli stesso. l’idea di unachieftaincy al di sopra delle divisioni politiche incarnate dai partiti, e che dunque sipropone come un pilastro morale dell’unità nazionale (“the very fabric of the Gha-naian society9”), ben si combina con l’idea del suo carattere sacro. È per questi motiviche l’ultima Costituzione del ghana del 1992, nel cap. XXii, ribadisce il divieto aicapi tradizionali di essere candidati nelle elezioni sia politiche che amministrative.Tuttavia, i poteri e le prerogative che la Costituzione garantisce alle autorità tradi-zionali fanno della chieftaincy un corpo istituzionale autonomo e autoreferenziale,un quarto potere praticamente indipendente oltre i classici tre poteri del modernostato di diritto (legislativo, esecutivo e giudiziario). la chieftaincy dispone di propriorgani rappresentativi, le camere regionali e la camera nazionale dei Capi (Houses ofChiefs), esercita la giustizia consuetudinaria, ha giurisdizione sui casi relativi a disputeinterne alla chieftaincy stessa, ed esercita un diritto allodiale primario sulla maggiorparte del territorio del paese (le stool lands10). Queste caratteristiche costituzionali

    6 vedi odoTei, aWedoBa 2006; Pavanello 2003; id. 2007; raThBone 2000.7 il ghana ottenne l’indipendenza il 6 marzo 1957 come paese membro del Commonwealth dal qualeuscì nel 1960 trasformandosi in repubblica. le vicissitudini politiche e istituzionali del ghana viderosusseguirsi svariati regimi, sia militari che democratici, e ben quattro carte costituzionali di cui l’ultima,varata nel 1992, sancì la forma presidenziale della repubblica del ghana ed è tuttora in vigore. 8 Proceedings of the Consultative assembly, n. 77, col. 2671.9 Proceedings of the Consultative assembly, n. 76, col. 2564 (intervento di saM BoaTeng).10 vedi arhin 1985, id. 2002; Pavanello 2003; id. 2007.

    impaginato libro Nizzo_Layout 1 15/05/12 10.05 Pagina 263

  • 264 Pavanello - aria

    della chieftaincy impongono ai capi tradizionali un ruolo fondamentalmente ambiguo.non potendo, infatti, agire apertamente nell’agone politico, ma non potendo neppurelimitarsi alla sola performance dei rituali connessi alle antiche pratiche del potere,esprime le proprie potenzialità in forme che comunque organizzano e canalizzano ilconsenso11. sempre più spesso vengono scelti, per la successione ereditaria sui seggi,individui dotati di elevata istruzione e professionalmente impegnati in posizioni dirilevante interesse pubblico. gli amanhene12 sono generalmente selezionati tra i mem-bri dei lignaggi reali che occupano posti importanti nella dirigenza della pubblicaamministrazione o nell’economia. scendendo nella gerarchia del potere tradizionale,gli ahene e gli adikro13, subordinati agli amanhene, sono in numero crescente sele-zionati tra gli insegnanti e coloro che esercitano professioni liberali. le funzioni sta-tutarie obbligano i capi a sovraintendere a una serie di aspetti della vita pubblica delletraditional areas i cui sudditi14 maturano delle aspettative forti nei loro confronti, alpunto che molti capi tradizionali rischiano di vedersi sottoporre alla procedura delladestituzione, prevista dalla Costituzione e dalla legge, se non rispondono a questeaspettative in modo adeguato. le popolazioni si aspettano che i loro capi si adoperinoper favorire lo sviluppo economico delle aree rurali, il miglioramento e l’ammoder-namento delle infrastrutture e dei servizi, interagendo positivamente con i rappresen-tanti politici e governativi locali e nazionali. l’autorità dei capi tradizionali acquistacosì un valore morale molto forte che si accompagna alle loro prerogative sul pianocivile (controllo della terra) e rituale (controllo del tempo ciclico e del sapere storicolocale che si esercita nei grandi rituali pubblici).in un recente lavoro15, arhin e Pavanello hanno esaminato i casi di quattro amanhenedi altrettante importanti aree tradizionali per illustrare il coinvolgimento dei capi neiprocessi di sviluppo socio-economico del ghana. nel 2005, i due autori realizzarono

    11 “Political engineering by the colonial authorities and governments of independent Ghana has left theinstitution of chieftaincy with two sets of functions. the first one, defined in the first, second and thirdConstitutions of the Republic of Ghana, may be described as statutory and has to do with the settlementof chieftaincy disputes and the codification of customary laws in their various regions with a view totheir eventual unification. the second set of functions, which may be defined as non-statutory, is derivedfrom their customary authority. this is to fill in the space in socio-economic development left by thecentral and local government agencies. […] Non-statutory functions are those that are carried overfrom the past, most of them in modified forms. the first of these is political; through a traditional ruler,otherwise unrelated groups in a settlement or groups of settlements are united into an organized forcefor collective action.» (arhin, Pavanello 2006, pp. 6, 24).12 Plurale di ɔmanhene, capo supremo di un’area tradizionale (corrispondente generalmente al territoriodi un antico stato precoloniale).13 Plurale di ɔhene e di ɔdikro, rispettivamente capo di una divisione territoriale e capo di un villaggio.14 la Costituzione stessa del ghana stabilisce una sorta di equivalenza tra lo statuto di citizen, cittadinodello stato di diritto, e quello di subject, suddito di un Capo tradizionale: tutti i cittadini sono uguali da-vanti alla legge, ma quando si trovano ad agire all’interno della loro area tradizionale devono obbedienzaalle norme consuetudinarie che sono interpretate dall’autorità del Capo assumendo quindi la veste disudditi (v. arhin 1985, id. 2002; odoTei, aWedoBa 2006; Pavanello 2003, id. 2007; vedi anche MaM-dani 1996).15 arhin, Pavanello 2006.

    impaginato libro Nizzo_Layout 1 15/05/12 10.05 Pagina 264

  • raPPresenTazioni e PraTiChe del saCro 265

    lunghe interviste con nana otuo sereboɔ ii, capo supremo dell’area Juaben, nella re-gione ashanti16, osaagyefoɔ oseadeɛyo agyeman Badu ii, capo supremo dell’areadormaa, nella regione Brong ahafo17, nana Barima kwame nkyi Xii, capo supremodell’assin apimanim, nella regione Centrale18, e, infine, osaagyefoɔ amoatia oforiPanin capo supremo dell’akyem abuakwa, nella regione orientale19. nana otuo se-reboɔ ii ha sviluppato a Juaben un programma di sfruttamento delle terre nell’areatradizionale Juaben per la coltivazione della palma da olio (elaeis guineense), rea-lizzando un grande impianto industriale per l’estrazione dell’olio e stabilendo un ac-cordo con i coltivatori per l’acquisto del loro prodotto. egli ha così promossoun’agricoltura più razionale ed efficiente nel suo territorio, creando un importante eimmediato sbocco di mercato per il prodotto della coltivazione della palma riducendonotevolmente la dipendenza dei contadini locali da quella che era un tempo la mono-coltura del cacao. oseadeɛyo osaagyefoɔ agyeman Badu ii si è impegnato a dormaaahenkro nella rivitalizzazione di un’antica fabbrica per la manifattura dei mattoniper creare posti di lavoro per la sua gente, oltre che per facilitare la costruzione diabitazioni a costi inferiori in tutta l’area tradizionale e nelle aree circostanti. nanaBarima kwame nkyi Xii ha realizzato svariati progetti tra cui il più interessante èsenza dubbio un mausoleo della rotta schiavista in cui ha coinvolto la diaspora afri-cana, e particolarmente gli afroamericani degli stati uniti. la sua città, assin Manso,situata a qualche decina di chilometri a nord di Cape Coast, lungo la carrozzabile checollega questo importante centro costiero con kumasi, fu storicamente un importantepunto di sosta delle carovane di schiavi che venivano portate dal nord verso la costa.in questi spostamenti a piedi, gli schiavi dovevano trascorrere le notti, lavarsi e rifo-cillarsi al sicuro. la dinastia al potere ad assin Manso garantiva uno di questi luoghiche costituiva l’ultimo punto di sosta nell’itinerario verso Cape Coast. nel mausoleohanno trovato sepoltura finale anche i resti di due schiavi le cui spoglie furono ripor-tate in africa all’inizio degli anni ’9020. il luogo è diventato non solo meta di pelle-grinaggio soprattutto da parte degli afroamericani, oltre che di flussi turistici diimportante consistenza, ma si è anche trasformato in un simbolo della diaspora afri-cana e punto di riferimento di attività culturali, scientifiche e politiche capaci di at-trarre finanziamenti. infine, osaagyefoɔ amoatia ofori Panin è stato protagonista,insieme al Consiglio tradizionale dei suoi capi subordinati di un’importante battaglia

    16 Nana è il titolo che si usa per i capi tradizionali. Juaben è una delle aree tradizionali della regioneashanti (l’omonima città capitale dell’area conta circa 12.000 abitanti).1 Osaagyefoɔ, “vincitore in battaglia”, è un titolo che viene riconosciuto in ghana a coloro che si sonoparticolarmente distinti in grandi battaglie militari o civili. di questo titolo fu insignito kwame nkrumah.dormaa è una delle aree tradizionali della regione Brong ahafo ed è storicamente un insediamento ak-wamu (la capitale, dormaa ahenkro, conta circa 24.000 abitanti).18 assin Manso, capitale dell’assin apimanim (Central region), conta circa 2500 abitanti.19 kyebi, capitale dell’akyem abuakwa (eastern region), ha oltre 10.000 abitanti.20 la traslazione di queste due salme avvenne in occasione di un grande evento da cui ha preso le mossela celebrazione periodica a Cape Coast di un festival panafricano e del cosiddetto emancipation Day.

    impaginato libro Nizzo_Layout 1 15/05/12 10.05 Pagina 265

  • 266 Pavanello - aria

    per la protezione e la conservazione ambientale delle foreste dell’akyem abuakwa.nell’analisi delle attività di questi quattro capi tradizionali, i due autori hanno volutomettere in evidenza i processi di trasformazione nel ruolo dei capi e l’adattamentodell’istituzione della chieftaincy alle sfide della modernità. Ciò che, tuttavia, emergecon particolare rilievo, è la capacità di questi esponenti di spicco del potere tradizio-nale di realizzare una straordinaria opera di mediazione tra il carattere e i contenutisacrali della tradizione affidata alla loro custodia e i più diversi obiettivi di natura po-litica ed economica. È evidente che la trasformazione in senso democratico e la crescente secolarizzazionedella società ghanese avrebbero avuto un forte impatto negativo sull’istituzione dellachieftaincy, se questa non avesse saputo reinterpretare il proprio ruolo in modo ori-ginale. una manifestazione estremamente significativa si coglie nel vistoso processodi trasformazione dei festival che caratterizzano periodicamente le aree tradizionali.È un processo che risponde a logiche di coinvolgimento istituzionale delle autoritàtradizionali nei meccanismi politico-amministrativi dello stato post-coloniale21. Comesi armonizzi il divieto costituzionale per i capi di partecipazione alla lotta politicacon la loro generale attitudine a coinvolgersi pesantemente nei processi politico-eco-nomici dello sviluppo è forse spiegabile proprio attraverso la particolarissima posi-zione istituzionale della chieftaincy, e si rivela appieno nelle performance deifestival22. nel passato, questi erano visti come occasioni di comunione tra i viventi egli spiriti invisibili ritenuti i custodi del benessere della popolazione. la diffusionedel Cristianesimo e dell’islam, insieme al mutamento culturale ed economico conse-guente al colonialismo e all’indipendenza, hanno decisamente influenzato i festivaltradizionali che hanno progressivamente perduto il loro significato originario. Benchégli antichi rituali vengano tuttora celebrati, le grandi feste popolari si sono trasformatein strumenti di modernizzazione. gli amanhene, capi supremi delle comunità politichetradizionali, invitano sempre più spesso personalità governative, membri del Parla-mento, autorità amministrative locali, ambasciatori di paesi amici, insieme a impor-tanti cittadini stranieri, a partecipare ai momenti culminanti con lo scopo di attrarrefinanziamenti per le necessità e gli obiettivi di sviluppo delle loro aree. di solito, ifestival si concludono con grandi raduni pubblici (durbar) in cui le autorità tradizio-

    21 “annual festivals, old, revived and newly invented, have become public relations exercises. they bringtogether the «home boys», resident in other parts of the country and the world outside Ghana, localand central government officials, ambassadors, high commissioners, and representatives of develop-ment-inclined agencies. On these occasions, traditional rulers inform the assemblies of the facilitiesthey need for the development of the local community: water, schools, clinics or health posts, modernplaces of convenience, electricity and roads. a ruler who assiduously holds such meetings and succeedsin attracting support for development is acclaimed as a «progressive» ruler”. (arhin, Pavanello 2006,p. 24).22 nelle diverse aree tradizionali del ghana vengono realizzati complessivamente ogni anno oltre ottantafestival, molti dei quali sono versioni locali di una grande festa di capodanno che anticamente celebravail raccolto (particolarmente degli ignami) e l’inizio del nuovo ciclo agrario, tra cui le varie edizioni localidell’odwira, la grande festa ashanti, o il kundum degli ahanta e degli nzema (v. arhin, Pavanello2012). Per l’analisi dei caratteri della grande festa di capodanno, v. lanTernari 1959.

    impaginato libro Nizzo_Layout 1 15/05/12 10.05 Pagina 266

  • raPPresenTazioni e PraTiChe del saCro 267

    nali fanno grande sfoggio di sé in forme spesso assai attraenti sotto il profilo folklo-rico. Con l’occasione, gli ospiti vengono invitati a esprimersi sulle questioni chestanno a cuore ai capi tradizionali e alla loro gente. Così, i moderni festival si trasfor-mano in grandiosi esercizi di relazioni pubbliche e di lobbying in cui gli amanhene egli esponenti politici invitati discutono problemi di sviluppo sociale ed economico digrande rilevanza per le popolazioni interessate23. l’aspetto che, in particolare, qui ci interessa affrontare è la capacità di questi agentisociali, rappresentati dai capi tradizionali, di trasformare in potere politico la lorofunzione sacra, con il suo carico di relazione con gli antenati, la storia e la terra, e diricondurre il consenso politico così costruito al rafforzamento della condizione sacraledel loro status. Concluderemo questa parte, presentando il caso dell’ɔmanhene delJomoro (Western Nzema)24, awulae annor adjaye iii, che siede dal 1990 sul seggiogrande (ebia kpolε) di Beyin25. il kundum, o abisa, si svolge normalmente durantel’ultima settimana di ottobre e la testimonianza più antica di cui disponiamo è quelladel viaggiatore e commerciante olandese Willem Bosman26. il tempo del festival rap-presenta una sospensione delle regole normali: i tamburi parlanti, voce del potere,tacciono e il loro posto è preso dal grande tamburo del kundum e dagli altri tamburiche suonano la musica popolare che porta lo stesso nome del festival e danno il ritmodella danza. si tratta di un periodo di sovvertimento simbolico dell’ordine sociale:gli uomini si vestono da donna e viceversa; i bambini si improvvisano titolari di au-torità e comandano agli adulti; il re, ornato di un’umile corona di foglie, viene piùvolte simbolicamente dileggiato in pubblico dai suoi sudditi, in un contesto di grandeautenticità tradizionale (fig. 1). il kundum è un periodo in cui è possibile rinfacciarsireciprocamente e pubblicamente i torti, reali o presunti, subiti durante l’anno. il po-polo, in particolare, può rinfacciare al re tutti i misfatti da questi presuntamente com-piuti ai danni dei sudditi. il periodo festivo, caratterizzato ogni giorno da alcuniparticolari momenti rituali che qui non possiamo descrivere, si conclude il settimogiorno con una grande processione in cui il re viene innalzato di nuovo con tutti isuoi attributi regali nella celebrazione della rinascita del potere. il capo supremo ri-produce così simbolicamente le condizioni della vita sociale mediante la benedizionedella terra e del mare, attraverso l’uso di una medicina sacra, ed è successivamenteportato in trionfo nel luogo in cui viene celebrato il durbar, cioè il grande raduno dicapi subordinati, popolo e invitati. in questo festival, l’autorità tradizionale incarnail simbolo della perpetuazione della vita sociale attraverso il rapporto diretto con gli

    23 vedi arhin, Pavanello 2012.24 l’area propriamente nzema è divisa in due distretti (Jomoro a ovest, ed elemgbenle a est) corrispon-denti ai due regni nzema precoloniali che si divisero nel 1851 dopo la morte dell’ultimo re unitario,kaku aka. i due stati nzema hanno come capitali tradizionali (sedi dei due amanhene) rispettivamenteBeyin e atuabo, due villaggi costieri poco distanti tra loro.25 Mariano Pavanello ha svolto ricerca etnografica nell’area nzema dal 1989 al 2011 e ha stretto un rap-porto molto forte di amicizia e collaborazione con questo personaggio.26 vedi BosMan 1705 (la descrizione del festival si riferisce alla città di axim e si trova nella lettera X,alle pp. 158-159 dell’edizione anastatica del 1967).

    impaginato libro Nizzo_Layout 1 15/05/12 10.05 Pagina 267

  • 268 Pavanello - aria

    antenati, gli spiriti ancestrali e la terra, simbolicamente connessa a una figura divina(azɛlɛ, la terra, sorella e sposa di Nyamenle, il cielo). il re è il padrone della terra(azɛlɛ menle) che, purificato dal lavacro degli insulti dei suoi sudditi, riemerge conla potenza che gli conferiscono i suoi antenati e lo spirito del seggio (ebia bozonle).il luogo del durbar è un grande spiazzo tra il suakunlu (palazzo del capo, letteralmente“utero della città”) e l’edificio di Fort apollonia, piccolo fortilizio costruito dagli in-glesi nella seconda metà del settecento (v. fig. 2). Questo forte − che dagli anni ’60e fino al 2002 funzionò da guest house per i turisti e per gli etnologi italiani − è statooggetto di un programma di restauro e musealizzazione realizzato tra il 2008 e il2010. il progetto, promosso già dal 1998 da M. Pavanello, è stato realizzato con ilcontributo finanziario del Ministero degli esteri italiano e di altri donatori. l’inter-vento, coordinato da una organizzazione non governativa italiana (il Cospe di Fi-renze), si è concluso con l’inaugurazione, il 30 ottobre 2010, del museo allestito neilocali del restaurato Fort apollonia. il Fort apollonia Museum27 espone in massimaparte i risultati del lavoro cinquantennale della Missione etnologica italiana fondatada vinigi l. grottanelli negli anni ’50. l’ideazione e la progettazione del museo èstata condotta attraverso un costante collegamento con il potere tradizionale, cioè siacon il re che con i suoi capi subordinati, membri del traditional Council. si è trattato,in definitiva, di un esperimento di patrimonializzazione condivisa, o “partecipata”come forse è più corretto dire28. in questo processo, una delle questioni che si è postaè stata quella della storia. la documentazione di origine coloniale che riguarda l’areanzema ha riempito un certo spazio negli archivi europei (a londra, amsterdam e al-trove) e ghanesi (nell’archivio centrale di accra e in quello regionale di sekondi).sulla scorta di questa documentazione è stata realizzata una storiografia dellonzema29 che, nelle sue linee essenziali, coincide solo in parte con la memoria storicatrasmessa oralmente e, talora, custodita in resoconti scritti da esponenti passati delpotere tradizionale, conservati negli archivi privati delle famiglie dei seggi. una rag-guardevole massa di documenti, che risalgono al massimo alla prima metà del no-vecento, è infatti in possesso dei seggi, e soprattutto dei seggi principali, e risulta soloparzialmente utilizzabile a fini storiografici. Tra questi documenti, una categoria diparticolare interesse è costituita dai verbali delle sedute dei panel giudiziari nominatidai traditional Councils e incaricati di arbitrare le dispute interne alla chieftaincy(sui confini e sulla proprietà dei seggi). in questi verbali sono riportate le testimo-nianze di personaggi appartenenti alle famiglie dei vari seggi che espongono la me-moria storica trasmessa all’interno dei lignaggi, memoria che ha il valore di prova

    27 la denominazione completa è: Fort apollonia Museum of the Nzema Culture and History dedicatedto Osaagyefoɔ Dr. Kwame Nkrumah. la progettazione e l’allestimento di questo museo sono stati a curadella Missione etnologica italiana in ghana, diretta da M. Pavanello, con la partecipazione di M. aria,M. Cristofano e s. Maltese, insieme ad altri e, particolarmente, con la collaborazione di un importantegruppo di operatori locali.28 vedi aria, CrisToFano, MalTese 2011.29 vedi BaesJou 1988, id. 1998; valseCChi 2002.

    impaginato libro Nizzo_Layout 1 15/05/12 10.05 Pagina 268

  • raPPresenTazioni e PraTiChe del saCro 269

    giudiziaria. Questo patrimonio di conoscenza storica orale è essenziale per ricostruiresia la storia del popolamento dell’area, sia la storia dei singoli seggi, ma si tratta diun patrimonio mantenuto gelosamente segreto (cosa che ovviamente contrasta conla natura eminentemente pubblica dei documenti in questione30). le dispute sono,nella maggior parte, in atto da generazioni e non è possibile immaginare se e quandosaranno definitivamente chiuse31. in molti casi, anche in presenza di sentenze dellasuprema Corte della repubblica del ghana, molte liti sono riprese a livello di tradi-tional Council, cioè al primo e più elementare livello giurisdizionale, sulla scorta dielementi presuntamente nuovi. È attualmente in atto un contenzioso particolarmenterilevante che investe direttamente la legittimità dei poteri tradizionali dei due statinzema (Western nzema, Jomoro; eastern nzema, elemgbenle) sorti dopo la morte,nel 1851, dell’ultimo re unitario, kaku aka. un presunto discendente di quest’ultimoè stato recentemente intronizzato col nome di kaku aka ii pretendente allo storicoseggio del suo antenato. le possibilità giuridiche di costui di essere riconosciuto comeunico legittimo titolare del seggio unitario sono molto esili, ma i due attuali seggiprincipali di Beyin e atuabo sono fortemente impegnati in una battaglia legale controcolui che accusano di essere un impostore. l’attuale ɔmanhene di elemgbenle, intro-nizzato poco meno di due anni fa, ha assunto il nome rituale di amihyia kpanyinliii, implicitamente asserendo una discendenza lineare dal più famoso amihyia kpa-nyinli, il re che concesse agli inglesi nella seconda metà del Xviii secolo il terrenoper costruire Fort apollonia. È alquanto dubbio che si possa confermare il legamegenealogico tra i due, ma è evidente come questa scelta sia funzionale all’attuale lottaper il potere nell’area, in un momento in cui un potenziale rivale rivendica la sua di-scendenza dal re kaku aka vissuto nella prima metà del XiX secolo. Così come èstrumentale ai fini di questa battaglia legale, l’asserita comunione di carne e ossa(cioè di parentela matrilinea32) tra i due amanhene di Beyin e atuabo, finalizzata astabilirne la comune discendenza proprio dal mitico re amihyia kpanyinli, quandoancora nel ventesimo secolo i loro più recenti antenati si disputavano il confine tra idue regni in modi piuttosto cruenti, e ciascuno dei due rivendicava a sé la legittimitàdi entrambi i seggi. e, infine, c’è da osservare che, mentre i documenti europei atte-stano l’esistenza di questo re amihyia kpanyinli nel Xviii secolo, l’ɔmanhene diJomoro, annor adjaye i (prozio dell’attuale annor adjaye iii), in un libro da luiscritto e pubblicato a londra nel 1931 afferma che amihyia kpanyinli avrebbe re-gnato “nell’anno che gli uomini bianchi chiamano 1400”33. Questa curiosa afferma-zione, che pone il regno del personaggio più importante della memoria storica localeall’epoca delle prime esplorazioni portoghesi, ha favorito una straordinaria diffusione

    30 la difficoltà ad armonizzare la conoscenza storica occidentale con la memoria storica locale non hatuttora permesso di completare le parti del museo dedicate alla storia.31 vedi, per questo problema, Pavanello 2000.32 gli nzema, come quasi tutte le popolazioni akan, sono matrilineari.33 vedi adJaye 1931, p. 3. l’affermazione è priva di fondamento storico.

    impaginato libro Nizzo_Layout 1 15/05/12 10.05 Pagina 269

  • 270 Pavanello - aria

    di contaminazioni nella tradizione storica orale. Tutti i tradizionisti tendono oggi acollocare nell’anno 1400 l’atto fondativo di ogni comunità locale con l’arrivo degliantenati e l’incontro con il re amihyia kpanyinli. nelle dispute, questo elemento èormai presente e si arricchisce di particolari finalizzati a dimostrare la maggiore ve-ridicità di una versione a discapito di quelle degli antagonisti.la complessità determinata dal numero delle dispute in atto ha suggerito ai capi tra-dizionali di insistere perché il museo venisse realizzato soprattutto nella forma di unarchivio in cui potessero trovare posto tutti i documenti in possesso dei seggi, insiemea quelli in mano agli studiosi italiani (con implicito riferimento ai documenti reperibilinegli archivi pubblici europei e ghanesi). in questo modo si realizzerebbe un controllocongiunto di due autorità più simboliche che reali (il potere tradizionale – malgradole sue lacerazioni interne − e una supposta istituzione scientifica sovranazionale) sullefonti del sapere storico scritto. l’istanza avanzata da un numero consistente di capi(compresi i capi supremi riuniti in un consesso formale che raggruppa gli amanhenedi tutte le aree nzema e assimilate34) ha assunto il carattere di un vero e proprio pro-gramma politico finalizzato alla definizione delle dispute mediante la standardizza-zione di una versione storica concordata a livello della chieftaincy locale, e consacratadallo stigma della scienza occidentale. Questo obiettivo sembra però ancora lontano,anche perché fino al momento in cui sarà possibile risolvere il conflitto giudiziarioche oppone, da un lato, i due amanhene attualmente al potere nelle due aree tradizio-nali di Jomoro ed elemgbenle, e dall’altro il pretendente kaku aka ii, non si potràcostruire alcuna versione della storia che possa ricevere il crisma dell’autorità. sonoin gioco interessi fortissimi che riguardano sia l’insieme delle prerogative politiche,religiose e rituali delle famiglie dei seggi principali, sia il possesso e il controllo dellaterra (con i connessi diritti di concessione e sfruttamento). Tutto questo è rappresen-tato dalla relazione con gli antenati e con gli spiriti ancestrali dei luoghi, ed è connessoad un insieme di credenze, pratiche rituali e tabuiche che fornisce al potere tradizio-nale la capacità di esercitare quel carisma cui facevamo cenno nella premessa. in que-sto quadro, giocano anche dinamiche molto complesse in cui si muovono i capisubordinati e i loro alleati e antagonisti. la maggior parte delle dispute locali tra capisubordinati o, all’interno di uno stesso seggio, tra lignaggi avversari in competizioneper il potere, mette in gioco interessi che portano una o l’altra parte ad appoggiaregli amanhene in carica, ovvero il loro antagonista kaku aka ii. in questo quadro, laposizione dell’antropologo italiano che ha condotto ricerche etnografiche per oltrevent’anni (vedendosi riconoscere una legittimità anche in virtù di una continuità coni suoi maestri e predecessori che avevano calcato le stesse strade da trenta a cinquan-t’anni prima), e ha promosso il progetto del restauro e della musealizzazione del Fortapollonia, rischia di essere estremamente delicata.a questo punto è di grande interesse riferire le parole pronunciate (e registrate dallo

    34 si tratta dello Nzema Maanle Council, il consesso che raccoglie i capi supremi delle otto aree nzemaed evaloè, insieme all’area nzema aduvlé della Costa d’avorio.

    impaginato libro Nizzo_Layout 1 15/05/12 10.05 Pagina 270

  • raPPresenTazioni e PraTiChe del saCro 271

    scrivente) nel raduno pubblico a conclusione del kundum dal re annor adjaye iii il30 ottobre 2010. il re usciva da uno dei rituali del festival in cui il popolo lo avevapubblicamente insultato accusandolo, tra gli altri misfatti, di avere “venduto Fortapollonia agli italiani”. il popolo si riferiva agli eventi che si erano succeduti negliultimi anni in cui lo storico edificio, dopo essere stato affidato in esclusiva alla Mis-sione etnologica italiana35, era poi rimasto inagibile (a causa di infiltrazioni dal tetto)dal 2002, per essere infine affidato a un ente italiano per il restauro. alla conclusionerituale del festival, il re, ripristinato nella sua autorità e nel suo potere, riprese la parolae, in presenza dello scrivente, pronunciò il discorso di cui si riportano qui le frasi in-ziali:

    “il popolo mi ha accusato di avere venduto il castello agli uomini bianchi, ma cometutti sanno, quando io fui messo sul seggio, ormai venti anni or sono, cercai di attivarmiper trovare i mezzi per favorire lo sviluppo del mio paese. avevo già qualche espe-rienza di questo genere, ma fu in quel tempo che incontrai il Professor Mariano Pava-nello e con lui abbiamo iniziato a promuovere molte cose importanti. lui venne quimolte volte e con lui vennero molti suoi studenti e collaboratori. venivano sulle traccedel loro maestro grottanelli. avevano scritto molto su di noi. io stesso, in italia, hopotuto vedere gli appunti e i libri che sono stati realizzati. ho chiesto che venisserotradotti in una lingua che noi possiamo capire. Qualcosa è stato fatto e io sono moltolieto, anche perché noi dobbiamo poter leggere ciò che è stato scritto su di noi per ca-pire se corrisponde al vero oppure no. abbiamo affidato il castello agli italiani perchélo rinnovassero, e per questo io stesso ho partecipato, insieme al Professor MarianoPavanello, a molte riunioni con i signori del governo di accra. oggi, grazie al governoitaliano, il castello è tornato nelle nostre mani, nelle mani del popolo nzema, e sarà illuogo dove la nostra memoria verrà custodita per le future generazioni.”36.

    nel grande durbar che conclude il festival − e che per la maggior parte sembra unclassico convegno politico occidentale con i microfoni, la retorica dei discorsi degliesponenti politici invitati37 e degli applausi rituali che ne seguono − il re del Jomoropronuncia un infuocato discorso politico in cui si propone come il principale inter-mediario dello sviluppo culturale ed economico del suo territorio, passando con as-soluta noncuranza attraverso molteplici registri, dichiarandosi come il fondamentalemediatore tra la politica dei governi, le istituzioni scientifiche occidentali e la me-moria culturale trasmessa dagli antenati suoi e del suo popolo.

    35 Ciò era avvenuto a partire dal 1998 con un accordo formale siglato tra il direttore della Missione, M.Pavanello, e il Ghana Museum and Monuments Board.36 dal discorso pronunciato il 30 ottobre 2010 a Beyin dall’ɔmanhene annor adjaye iii, videoregistra-zione di M. Pavanello.37 erano presenti in quella occasione, oltre agli esponenti dei locali distretti, il Ministro della Cultura,l’ambasciatore d’italia, e samia nkrumah, membro del Parlamento per Jomoro, figlia di kwame nkru-mah.

    impaginato libro Nizzo_Layout 1 15/05/12 10.05 Pagina 271

  • le tradizioni dell’invenzione in Polinesiail rinnovato ruolo dei capi, icone indiscusse dell’antropologia oceaniana, è uno deitemi centrali dell’attuale dibattito sull’identità, sul potere e sulla sovranità38 nelle so-cietà melanesiane e polinesiane del Pacifico meridionale, coinvolte in processi di ri-vitalizzazione delle tradizioni, di rivendicazioni dei diritti dei popoli indigeni e dirafforzamento della chieftainship all’interno di nuovi stati postcoloniali. a diversi de-cenni dal raggiungimento di una “indipendenza tardiva” e dal fiorire della cosiddettaPacific renaissance39, molti paesi dell’oceania si distinguono oggi non solo per unsistema politico democratico con presidenti, ministri, membri del parlamento, ufficialigiudiziari e partiti politici, ma anche per la consistente presenza di istituzioni e leadertradizionali40. Questi ultimi, lontani dal rappresentare una reliquia del passato, hannospesso assunto, come simboli dell’ordine consuetudinario e come mediatori del sacroe del politico, una parte di prim’ordine nel foggiare le identità nazionali e nel gestirela direzione dello sviluppo politico ed economico. gli sforzi nel mantenere, reintro-durre o ricreare strumenti decisionali tradizionali si fondano su sistemi culturali benradicati e capaci di affrontare un nuovo insieme di problemi emersi con i processi diglobalizzazione41.gran parte della letteratura etnografica recente ha mostrato come in molti casi le isti-tuzioni politiche coloniali o moderne sono state incastonate in un’organizzazione po-liarchica alquanto complessa42, dove gli elementi interni preesistenti si sono connessie articolati con forme esterne attraverso processi di trasformazione sincretici e selet-tivi43. diversi studiosi delle isole del Pacifico44 sono stati così orientati a esaltare lacapacità delle culture locali di pensare e di addomesticare il nuovo (dal cristianesimoal neocapitalismo) a partire da istituzioni tradizionali dinamiche. Come afferma Fa-vole45, vivere nella contemporaneità significa spesso non scegliere la modernità o latradizione, la democrazia o il sistema dei capi, il codice civile o il sistema fondiariotradizionale, ma mantenere vive entrambe le possibilità. Ci sono tuttavia degli ele-menti strutturali vincolanti per le articolazioni culturali come la memoria condivisada cui attingere in maniera selettiva46, i tessuti connettivi della vita sociale47 e i legamiinscindibili con la terra e con gli antenati. le società oceaniane sembrano da questopunto di vista contraddistinguersi (parafrasando ancora Clifford) per le consolidate“tradizioni dell’invenzione” e per questa capacità di essere contemporaneamente ra-

    272 Pavanello - aria

    38 vedi gagnÉ, salaun 2010.39 vedi ChaPMan, duPon 1989.40 lindsTroM, WhiTe 1997.41 van MeiJl 2009.42 Favole 2010.43 CliFFord 2001.44 vedi tra gli altri oltre ai già citati Favole 2010 e CliFFord 2001, vedi sahlins 1993; van MeiJl 2009;TCherkÉzoFF 1998, id. 2000; FriedMan 2001. 45 Favole 2010.46 CliFFord 2003, p. 88.47 FriedMan 2001.

    impaginato libro Nizzo_Layout 1 15/05/12 10.05 Pagina 272

  • raPPresenTazioni e PraTiChe del saCro 273

    dicate e in trasformazione. le ricerche più recenti hanno posto inoltre particolare enfasi sui differenti sistemiche permettono ai capi di ottenere ed esercitare il potere, mantenendo, o condividendocon altre figure, il proprio ruolo di mediatori del sacro. Come sostiene Thomas48, unaparte consistente dell’antropologia contemporanea è sempre più critica nei confrontidi quelle visioni gerarchiche e centralizzate dei sistemi di potere oceaniani che, inlinea con sahlins49, privilegiano esclusivamente il ruolo dei capi nella gestione delpotere e occultano le forze complementari, antagoniste o in certi casi alternative. alcontrario molti autori tendono oggi a rigettare la netta separazione di stile funziona-lista tra il politico, l’economico e il religioso e la nozione stessa di gerarchia di du-mont, e a concepire il potere come diffuso, ossia segnato da una molteplicità diautorità (statali, tradizionali e religiose) che agiscono a vari livelli (nazionale, pro-vinciale e locale) e che mediano in modo assai diversificato tra le dimensioni delsacro e del politico50.la leadership in oceania viene così esercitata in diverse forme che corrispondonoalle differenti interazioni tra i sistemi tradizionali e le istituzioni moderne (dalla de-mocrazia alla religione cristiana); ed è quello della complessità delle interazioni unaspetto connotante della cosiddetta epoca postcoloniale delle isole del Pacifico. in questo scenario la Polinesia si contraddistingue da un lato per una chieftainshiptradizionalmente segnata dal ruolo centrale giocato dal rango e dalla presenza di unitàpolitiche organizzate intorno a strutture di potere gerarchico, fortemente connesseagli dei-antenati dai quali ricevono il mana e i diritti sulla terra51; dall’altro per una

    48 ThoMas 1994.49 sahlins 1963, introducendo i concetti di big men e chiefs, ha cementato la distinzione in senso evo-luzionistico e areale (in Melanesia i primi, in Polinesia i secondi) di due tipi sociologici distinti con dif-ferenti poteri, privilegi, diritti e doveri. Questo approccio dicotomico è stato ampiamente criticato e inparte superato (vedi douglas 1979; lindsTroM 1981; godelier, sTraThern 1991) proprio perché lerealtà etnografiche appaiono molto più complesse e sfaccettate.50 Come hanno mostrato alcuni recenti studi di antropologia storica, in Polinesia orientale al momentodel contatto con gli europei esisteva una marcata contrapposizione tra una varietà di mediatori del sacro(tauha) e le forze centralizzate della chieftanship. i tahua si presentavano come forme di autorità alter-native e talvolta conflittuali rispetto a quelle dei capi (ThoMas 1994, valeri 1985). le ricerche etno-storiche hanno messo in luce come nelle situazioni in cui il sistema politico gerarchico era indebolito sirafforzava il ruolo di questi personaggi capaci di stabilire un rapporto diretto con il mondo degli dei edegli antenati. Con l’evangelizzazione furono però sostituiti dai missionari che mediavano tra il popoloe la nuova divinità cristiana. il potere coloniale inoltre mise in primo piano i capi tradizionali, margina-lizzando i tahua che furono identificati come incarnazioni delle credenze pagane da eliminare. i capi,che pur basavano il loro potere in virtù di un rapporto con le divinità tradizionali, furono al contrariovisti dai missionari e dai funzionari coloniali come figure politiche adatte a svolgere un ruolo fonda-mentale nella diffusione del cristianesimo. Con la scomparsa dei tauha si è così rafforzata l’autorità deicapi e l’immagine cara agli antropologi di società fortemente stratificate e gerarchizzate (Favole 2001).51 alcuni autori come goldMan 1970; MarCus 1978 e van MeiJl 2009 hanno messo in evidenza cheinsieme all’ineguaglianza e al rango ereditario, l’autorità dei capi polinesiani debba anche essere ottenutaattraverso la competizione e grazie a specifiche qualità, e dunque che il potere non sia solo ascritto maanche in parte acquisito.

    impaginato libro Nizzo_Layout 1 15/05/12 10.05 Pagina 273

  • nuova sacralità della sfera del politico in cui si compenetrano, non senza tensioni eincongruenze52, il potere tradizionale, le chiese protestanti o cattoliche e i valori oc-cidentali53. a Tonga la struttura gerarchica dei capi si è evoluta in una monarchia cen-tralizzata con un apparato di nobili che guida lo stato, anche se sono sempre più fortii movimenti a favore di riforme democratiche e costituzionali54. a samoa la demo-crazia è stata vernacolarizzata55 in un’organizzazione dominata da un élite di mataiche esercita il potere a livello nazionale e locale56 in base sia a diritti ereditari, siaalle capacità di rappresentare i valori samoani57. in entrambe le isole i capi continuanoa incarnare il principio sacro originario rappresentato dal nome dell’antenato e dallaterra corrispondente. Manifestazioni divine della sorgente di luce58, essi incorporanola memoria genealogica del gruppo e di conseguenza sono i titolari dei diritti sulleterre. il contesto che è al centro della nostra riflessione − le isole della società della Poli-nesia Francese − pur discostandosi per molti aspetti da quanto fin’ora esposto, man-tiene alcuni elementi di continuità che risiedono proprio nel legame con la terra e congli antenati e nella capacità di connettere e di articolare questo nucleo tradizionalecon gli elementi giuridici, politici, religiosi e culturali provenienti dall’esterno59.del sistema politico tradizionale basato sulla gerarchia, sulla stratificazione e sullasolida classe aristocratica degli ari’i − discendenti diretti delle divinità ancestrali −non restano oggi altro che le isolate e, per molti versi, anacronistiche azioni di Join-ville Pomare, impegnato dai primi anni del XiX secolo a rivendicare la sua discen-denza dalla dinastia regale dei Pomare di Tahiti e a far risorgere il potere monarchicoscomparso da tempo60. la Polinesia Francese è infatti un Pays d’outre mer della re-pubblica francese dove i discendenti degli ari’i non hanno ereditato alcun status epotere, né svolgono dei ruoli ufficiali all’interno delle moderne istituzioni governa-tive. viceversa, la difesa dei valori e dei diritti fondiari tradizionali contro la giuri-sdizione dello stato è oggi al centro di una contesa politica che coinvolge gran partedella popolazione locale61. Come già accennato nella premessa, l’arrivo dei missionari protestanti all’inizio delXiX secolo e la successiva dominazione coloniale francese portarono a un insiemedi sconvolgimenti drammatici che, sancendo l’avvio della lunga stagione dell’obliodella cultura ancestrale62, decretarono anche la fine del potere tradizionale. va altresì

    274 Pavanello - aria

    52 huFFer, sChusTer 2000.53 MaCPherson 2000; TCherkÉzoFF 2000.54 JaMes 1994; lindsTroM, WhiTe 1997.55 sul concetto di vernacolarizzazione della democrazia vedi MiCheluTTi 2008.56 MaCPherson 1997, pp. 40-41.57 vedi iaTi 2000, p. 72; TCherkÉzoFF 2000, p. 117.58 TCherkÉzoFF 2007, p. 130.59 BaMBridge 2009.60 vedi saura 2008, pp. 437-456.61 vedi BaMBridge 2009.62 vedi aria 2007.

    impaginato libro Nizzo_Layout 1 15/05/12 10.05 Pagina 274

  • raPPresenTazioni e PraTiChe del saCro 275

    sottolineato che, ripercorrendo la storia polinesiana degli ultimi due secoli, si assistea una continua ridefinizione delle interazioni tra il sacro e il politico in cui si mostrano,insieme ai fenomeni di perdita, i vincoli strutturali e la creatività delle tradizioni. inun primo periodo, alcuni capi dei lignaggi più importanti delle isole della società inlotta con altri gruppi aristocratici si avvantaggiarono della relazione con gli europei,rafforzando il processo endogeno già in atto63 della centralizzazione del potere e del-l’affermazione di una regalità quasi divina64. Con la conversione di Pomare ii al cri-stianesimo (1819), il sistema politico fondato sulla sovranità degli ari’i e sulle antichedivinità fu sostituito dal connubio tra il nuovo dio dei cristiani e la prima monarchiama’ohi65. il cambiamento religioso e l’abbandono degli antenati e dei loro marae66

    se, da una parte, consolidò l’autorità dei capi di livello più alto che furono identificaticon le nuove credenze e consacrati attraverso nuovi importanti rituali, dall’altra minòle basi economiche e gerarchiche del loro potere, favorendo l’emergere di nuove au-torità locali di rango inferiore e il ruolo politico dei nuovi mediatori del sacro (i pastoriprotestanti67). la progressiva affermazione del dominio francese e la successiva an-nessione sancirono a loro volta la dipendenza politica, il declino definitivo degli ari’ia favore della nuova classe sociale dei demi − frutto dell’unione tra i polinesiani nonaristocratici e i francesi − e il trionfo dell’assimilazione culturale. il potere colonialeattaccò i fondamenti del sistema politico tradizionale, ossia il controllo della terra el’eredità dei titoli, attraverso l’introduzione di nuove regole in materia fondiaria (li-bertà di alienazione, censimento delle terre e registrazione dei proprietari) e l’elezionedei capi di distretto. all’inizio del novecento, ultimata la conquista delle isole, di-venne, infatti, necessario per la Francia sviluppare le proprie colonie e trasformaregli abitanti in entità produttive e funzionali all’economia globale, attraverso normegiuridiche che permettessero di gestire direttamente le terre. l’amministrazione fran-cese favorì la colonizzazione fondiaria europea e demi, introducendo la proprietà pri-vata e colpendo il sistema tradizionale dell’indivisione dei ma’ohi, che finirono spesso

    63le fonti etnostoriche sono concordi nel mostrare come alla fine Xviii secolo i capi più importantidelle isole della società fossero impegnati nel consolidare un processo di cambiamento religioso perl’affermazione del culto di oro a cui si accompagna una importante trasformazione politica. il rafforza-mento del sistema dei capi non fu determinato dall’arrivo degli europei, ma fu il frutto di un processoendogeno che aveva garantito solo a un ari’i per isola il diritto esclusivo di indossare la cintura di piumerosse (maro ‘ura), provenienti dall’immagine del dio oro attraverso una cerimonia precisa guidata daisacerdoti di opoa (isola di raiatea).64 vedi neWBury 1967; BaBadzan 1993; kirCh 201065 il termine ma’ohi, sinonimo di autoctono della Polinesia, è dei tre termini con cui gli abitanti di questeisole si definiscono – gli altri due sono polinesiano e tahitiano –, quello che trasmette un’immagine va-lorizzante della cultura ancestrale.66 in realtà il periodo precedente alla colonizzazione francese è segnato sia dagli sforzi per mantenere levecchie forme di potere sia dalle azioni per far posto alla nuova divinità. Pomare ii fu a lungo impegnatonell’utilizzare la sua posizione come capo della chiesa e dello stato costruendo al posto dei marae dellecappelle per le cerimonie, ricevendo tributi e espandendo i commerci, e cercando di esercitare la sua in-fluenza nelle isole vicine. newbury (neWBury 1967) sostiene che con la morte di Pomare ii nel 1821svanì una intelligente manipolazione dei metodi tradizionali e importati per elevare lo status degli ari’i. 67 vedi neWBury 1967; BarÈ 1985.

    impaginato libro Nizzo_Layout 1 15/05/12 10.05 Pagina 275

  • 276 Pavanello - aria

    per essere spossessati delle proprie terre, della propria memoria genealogica e del-l’unità del lignaggio. lo stato francese, rivendicando a sé il diritto eminente del suoloe costringendo i ma’ohi a trasformare il proprio diritto d’uso in diritto di proprietà,non colpì a morte solo il potere degli ari’i, ma, sostituendosi in pratica agli antenati,produsse una precisa opera di desacralizzazione del rapporto tra i ma’ohi e la terra.da allora una varietà di forme culturali, dall’educazione al Codice Civile, svolseroun ruolo sempre più importante nel garantire che i ma’ohi imparassero a pensare e acomportarsi come perfetti francesi, separandosi definitivamente dal passato barbaroe dalle pratiche tradizionali68. nonostante questo cupo scenario, in molte situazionila fine del potere politico tradizionale dei capi non determinò il venir meno della re-lazione stretta con gli antenati che segna ancora oggi il legame delle comunità localicon la terra. È proprio in particolare nel tentativo di “desacralizzazione fondiaria”che la civilizzazione francese mostra le sue crepe e la cultura ma’ohi evidenzia lapropria capacità di resistenza, di adattamento e soprattutto di elaborazione costantedi nuove forme tradizionali in grado di risemantizzare pratiche e istituzioni d’ispira-zione occidentale. se, soprattutto nelle zone urbane di Tahiti, la destrutturazione dellenorme tradizionali ebbe successo e la piena affermazione del Codice Civile portò allaperdita delle terre e della memoria, in molte altre isole l’indivisione persistette insiemeall’instaurarsi di un pluralismo giuridico e culturale nel quale coesistevano formefunzionanti secondo principi diversi e spesso opposti69. da allora, come fanno notareBarè70 e Bambridge71, la trasmissione del sapere orale relativo alle genealogie e alleterre è stata costantemente rielaborata per rappresentare oggi uno strumento compa-tibile e allo stesso tempo antitetico alla documentazione scritta e alla giurisdizionedello stato francese. un esempio ancora più evidente non solo del potere generativo della tradizione maanche dell’intima e dinamica relazione tra la sfera del sacro e del politico, è rappre-sentato infine dalla spettacolare rivalorizzazione della cultura ma’ohi iniziata a Tahitinegli anni settanta del novecento. Questa riscoperta, che si è sviluppata proprio inquei contesti urbani dove la perdita della terra e della memoria è stata più radicale, siè costruita intorno alla necessità di ristabilire un rapporto “autentico” con gli antenati.al contempo, il ritorno al sacro si è accompagnato alla definizione di un nuovo spaziodi azione politica. Privati della propria religione, dei propri capi, dei propri saperi edelle proprie terre, e assoggettati al giogo coloniale francese, i celebri senza memoriadi segalen72 hanno inaspettatamente patrimonializzato il passato perduto all’internodi un vasto movimento di rivendicazione identitaria impegnato a ottenere l’indipen-denza dalla Francia73.

    68 vedi aria 2007.69 vedi PanoFF 1970; ravaulT 1972; BarÈ 1985; BaMBridge 2009.70 BarÈ 1985.71 BaMBridge 2009.72 vedi segalen 2000.73 vedi saura 2008.

    impaginato libro Nizzo_Layout 1 15/05/12 10.05 Pagina 276

  • Protagonisti del cosiddetto “rinascimento ma’ohi” e di un nuovo modo di interpretarela sacralità del politico, attribuendo al contempo una particolare valenza politica alsacro, sono stati alcuni personaggi che, solo dopo aver abbandonato per un certo pe-riodo le proprie isole ed essersi confrontati con altre realtà, si sono dotati di quellevisioni e di quegli strumenti indispensabili per ricordare, e poter così ritornare, risve-gliando la memoria di quelli che sono rimasti. Questi personaggi sono assurti all’at-tenzione dell’opinione pubblica, a volte in un quadro di reviviscenza politica delletradizioni, altre volte in contesti più dichiaratamente folklorici e turistici. in tutti icasi, hanno rappresentato modalità innovative di recupero politico delle identità “di-menticate”.le molte possibilità offerte dal “cercare nel vuoto” hanno permesso a ciascuno diloro di riappropriarsi delle tradizioni attraverso nuovi modi di lavorare simbolica-mente sul corpo (ridando vita alle antiche pratiche del tatuaggio, della danza e dellamarcia sul fuoco), sugli antichi luoghi sacri (ristabilendo una relazione diretta con imarae), sulla parola, sulla lingua e sui miti. i limiti posti dalla perdita della memoriahanno reso invece necessario affermare il proprio carisma e legittimare la propria au-torità politica rivendicando una discendenza diretta con i lignaggi regali degli ari’i,sconfessando le pratiche degli avversari “concorrenti” nello stesso campo, difenden-dosi dagli attacchi degli anziani e confrontandosi, in modo spesso conflittuale, conle autorità politiche, religiose e culturali. non ultimo questi traghettatori di frammentidi culture e di memorie si qualificano non solo come detentori di un sapere oggetti-vabile, ma anche come autori creativi che costruiscono le loro rappresentazioni (delpolitico, del sacro, della storia, ecc.) in una continua dinamica di appropriazione, re-sistenza o manipolazione di tutta quella serie di esotismi positivi e negativi prodottie inventati nel tempo dal cosiddetto occidente. in questo senso, le loro azioni e leloro narrazioni rivolte al recupero di aspetti del passato appaiono così fortementeorientate verso la costruzione di pratiche e politiche innovative, inedite e impreviste. gli elementi di continuità culturale e le ripetute riarticolazioni delle tradizioni ma’ohi,che abbiamo visto dispiegarsi a più riprese nel corso di una storia coloniale non ancoraconclusa, si condensano in modo originale nella figura di Malona Teura (fig. 3), tor-nato ad abitare nella valle di Faaaha nell’isola di Taaha74 solo dopo aver trascorso di-ciotto anni nei reparti d’assalto della Marina militare francese. seguire il suo percorso

    raPPresenTazioni e PraTiChe del saCro 277

    74 Taaha è una delle nove isole sottovento che insieme alle sette isole sopravvento (tra cui Tahiti) co-stituiscono l’arcipelago delle isole della società, localizzato al centro della Polinesia Francese. la parteche segue su Malona Teura è frutto dei lunghi soggiorni di M. aria trascorsi nella casa di questo perso-naggio nella valle di Faaaha (in particolare tra il 2003 e il 2006), condividendo i lavori di ogni giornotra i cocchi, le piante di vaniglia e la foresta tropicale.75 le imprese epiche di hiro, grande navigatore e prode avventuriero, non solo occupano un posto cen-trale nelle mitologie e nei racconti degli abitanti delle isole della società, ma sono conosciute in tutta laPolinesia. a rorotonga il suo nome è iro; in nuova zelanda è conosciuto come Whiro, figlio del cielopadre e della terra madre e nemico di Tane, mentre alle hawaii si cantano le imprese di hilo. infine, neiracconti tradizionali di alcune isole Marchesi hiro rappresenta il dio dei ladri.

    impaginato libro Nizzo_Layout 1 15/05/12 10.05 Pagina 277

  • 278 Pavanello - aria

    di ri-radicamento alla terra natale e di riscoperta dei legami con le forze invisibili chevi dimorano permette di riflettere sull’intreccio tra il sacro e il politico in un contestosegnato dalla coesistenza tra la trasmissione orale delle genealogie, i tapu sulla storia,il sistema dell’indivisione, e la giurisdizione fondiaria statale scritta. esempio del-l’ossimoro cliffordiano di cosmopolitismo indigeno, Malona Teura nel 1993 ha“smesso di viaggiare per il mondo” per assistere la madre malata e succederle allaguida dell’opu fetii (famiglia allargata). È stato scelto in questo ruolo delicato di guar-diano delle terre e della memoria in pericolo, proprio perché il suo passato di militaree di viaggiatore e le sue capacità di padroneggiare molti aspetti della cultura occi-dentale gli conferiscono qualcosa in più rispetto ai membri della sua famiglia. a dif-ferenza dei suoi parenti, rimasti sempre nella valle senza ricordare più né il nome, lastoria e la suddivisione degli appezzamenti, né il modo per poter entrare in contattocon gli antenati e gli spiriti, Malona Teura ha ricevuto in eredità dalla madre i raccontidelle gesta epiche dell’eroe/antenato fondatore hiro75, e le genealogie e i tapu legatial marae ancestrale. Mentre imparava dalle sue parole, ha cominciato a avere “leprime connessioni con i sette spiriti guardiani” che proteggono “i sette livelli, le setteterre e i sette marae” in cui è divisa la valle. Progressivamente è poi “entrato in co-municazione” con gli spiriti dei parenti e degli antenati, fino ad acquisire la capacitàdi “chiamare i taura”76 − gli animali familiari legati a un luogo preciso che incarnanouna storia e un antenato più o meno mitici − per vendicare o colpire chi lo minaccia.in particolare ha riscoperto il potere di ricorrere a Mohiri, il taura della sua famigliamaterna e intimamente associato alle imprese e alla storia di hiro. immaginato e de-scritto come il potente maiale selvatico che sorveglia il fa’a’apu (campo coltivatoche permette il sostentamento) di hiro e che dalla grotta in cui vive protegge tutta lavalle di Faaaha, Mohiri rappresenta al contempo la regina, la nonna materna dell’eroeleggendario, colei che gli ha donato il mana indispensabile per realizzare i suoi epiciviaggi attraverso tutta la Polinesia. nel ristabilire questo legame con il sacro, MalonaTeura non ha messo in atto un ritorno a un passato precristiano ma, consapevole deirischi a cui andrebbe incontro, rivendica la necessità di rispettare le scelte dei suoiantenati continuando a praticare la connessione con gli spiriti senza smettere di fre-quentare la Chiesa protestante. ripudiare il cristianesimo e stabilire un rapporto di-retto con le divinità ma’ohi, come ritengono di aver fatto nei primi anni ottanta aTahiti alcuni protagonisti del rinascimento della cultura ancestrale77, significa perMalona tradire ciò che gli antenati avevano deciso, significa andare contro la tradi-zione, e ciò è molto pericoloso, perché “gli spiriti possono diventare troppo viventi epossono vendicarsi”. È qui che risiede “l’autenticità” del suo operare, proprio perchéha mantenuto, ridandogli forza e senso, un legame con ciò che altri hanno smarrito e

    75 il termine tāura ha molteplici significati: il Dizionario dell’accademia tahitiana lo traduce conl’espressione “dio tutelare, totem, protettore familiare”, ma letteralmente gli attribuisce il significato di“corda, filo, banda” e infine di “gruppo di animali”.77 vedi aria 2007.

    impaginato libro Nizzo_Layout 1 15/05/12 10.05 Pagina 278

  • raPPresenTazioni e PraTiChe del saCro 279

    cercano faticosamente di ritrovare: il legame con la terra, con i tāura e con gli antenatie con le loro scelte di far interagire insieme le pratiche del passato e i nuovi elementiprovenienti dall’esterno.allo stesso tempo assumendosi il compito di recuperare la memoria in pericolo haridato forza all’intreccio esistente tra i marae, le genealogie e i diritti fondiari. se-condo la tradizione, rivalorizzata e ri-praticata da Malona Teura, per essere ricono-sciuto come proprietario di una terra (e poter così godere dei diritti d’uso), ogniindividuo deve dimostrare di avere un legame genealogico con l’antenatofondatore/taura e con il suo marae, a cui sono collegate le terre rivendicate. Taaha,come la maggior parte delle isole della società, è, infatti, tradizionalmente suddivisain differenti unità territoriali. a ciascuna corrispondono uno o più gruppi familiari al-largati (opu, o opu fetii), che si collegano al proprio marae ancestrale (detto tupuna),dedicato alla relazione con gli dèi tutelari, e in special modo con l’avo fondatore de-tentore dei diritti fondiari. a ogni marae tupuna spetta, infatti, la proprietà esclusivadi un determinato territorio78. appartenere a una genealogia (e quindi a una famigliaunita intorno a un medesimo antenato-spirito tutelare) significa aver diritto alla terralegata al marae tupuna79. i tapù familiari e le genealogie, che ogni famiglia conser-vava gelosamente, rappresentano gli elementi essenziali per conoscere, attraversol’ordine imposto al passato, il proprio rango, il proprio posto nella gerarchia della so-cietà e poter così rivendicare i propri diritti fondiari. Tradizionalmente spettava aglii Haere po − gli instancabili “camminatori della notte”, “memoria vivente del popoloma’ohi” (segalen) che recitavano le genealogie come un poema mentre attraversa-vano di notte il proprio marae – il difficile compito della conservazione e della tra-smissione delle genealogie più importanti. sebbene ogni terra avesse i suoi guardianiinvisibili (indicati spesso come spiriti degli antenati), gli Haerepo, per proteggere daipossibili impostori la proprietà, il nome ereditario della famiglia – che permette dicollegare la genealogia al marae – e l’antenato divino a cui è dedicato il marae, ri-correvano a precisi tapu, la cui conoscenza veniva tramandata solo all’interno dellapropria famiglia. seguendo le loro orme, Malona Teura, per difendere i propri titolidi proprietà, si è riappropriato di queste pratiche tradizionali che gli consentono dimantenere segreti i nomi dei marae ancestrali e dei suoi antenati e parte della lorostoria. grazie a queste interdizioni alla parola può preservare i racconti genealogicidalle manipolazioni e dalle trasformazioni che favorirebbero i suoi rivali nelle disputeper la terra. Malona Teura si è fatto carico di sopportare il peso di custodirne i segretie di trasmetterne in parte la memoria anche a chi non è della famiglia oscillando con-

    78 vedi henry 1968; oliver 1974. 79 Come ha mostrato oliver 1974, analizzando le strutture dell’antica società tahitiana, i gruppi familiaricontigui, per un processo di complessità crescente, formavano delle congregazioni sempre più ampie(fenua-distretti), sottoposte all’autorità di un unico ari’i (discendente in linea diretta dell’antenato fon-datore) e radunate intorno al marae corrispondente. Tutti i marae di una valle, come tutti gli ari’i adessi collegati, erano uniti a un marae d’importanza superiore, dove si svolgevano le principali cerimoniedella comunità. i marae delle famiglie più importanti davano diritto a un determinato titolo che diventavail nome stesso della famiglia.

    impaginato libro Nizzo_Layout 1 15/05/12 10.05 Pagina 279

  • 280 Pavanello - aria

    tinuamente tra il nascondere e il mostrare gli ordini invisibili della realtà. vi sono,infatti, presentificazioni dell’invisibile (alcuni marae e certe parti della storia) chepossono essere trasmesse a chi non è della famiglia, o esposte al pubblico, ma ve nesono altre segrete e temibili che si configurano invece come dei privilegi riservati acerte persone o a certi momenti. in ogni caso il poter vedere, il poter dire e il poterascoltare sono segni di appartenenza, che conferiscono prestigio e autorità. simil-mente agli Haere po di un tempo, Malona Teura per seguire la volontà di mantenerevive le tradizioni ha continuato nella pratica del tramandare e innovare, mantenendosiin bilico tra la consapevolezza che i tapu sono minacciati e che devono essere tenutinascosti (“il tapu non può essere tolto, dobbiamo tenerlo per noi”) e la necessità d’im-pedire che le conoscenze tradizionali vadano irrimediabilmente perdute (“i tapu de-vono essere mantenuti vivi, qualcuno deve continuare a custodirli, visto che moltinon sanno più niente”).allo stesso tempo Malona Teura, proprio facendo appello all’arte della memoria degliHaere po, può intervenire sul passato per adattarlo alle esigenze attuali. nella societàtradizionale tahitiana ogni famiglia, per proteggersi contro gli impostori, non si limi-tava a tenere segreta la propria genealogia, ma, quando era necessario, metteva inatto anche altri sistemi difensivi. grazie alla pratica che consentiva agli ari’i di pos-sedere più nomi, uno stesso personaggio nelle genealogie collaterali poteva apparireintenzionalmente sotto un’altra denominazione. in modo analogo, a seconda dellenecessità politiche, la memoria poteva essere manipolata e ricostruita da ogni Haerepo. Queste modificazioni si sono intensificate nei primi decenni del XiX secolo, inseguito agli sconvolgimenti dell’ordine sociale provocati dall’arrivo degli europei ealla contemporanea messa per iscritto dei racconti genealogici, che hanno permessod’intervenire come non era mai stato fatto prima. riabilitando le pratiche dei suoiantenati, Malona Teura è così legittimato ad apportare le modifiche necessarie pervalorizzare alcuni aspetti del passato, continuando a fare della sua “reimmaginazione”un fondamento imprescindibile della costruzione del presente.nel rimpadronirsi della tradizione, Malona Teura non si è soltanto limitato a seguirele norme consuetudinarie, ma si è anche reso protagonista di importanti trasforma-zioni che segnano il passaggio dall’oralità alla scrittura e il consolidarsi di nuove stra-tegie per difendere il legame con la terra, attraverso l’appropriazione degli strumentigiuridici del Codice Civile francese. Così, nel momento in cui ha cominciato a pa-droneggiare i racconti genealogici segreti, ha anche intrapreso lunghe ricerche d’ar-chivio per ricostruire e mettere per iscritto le genealogie e per individuare i titoli diproprietà delle terre della valle. Tali documenti gli hanno permesso di rivendicare ipropri diritti fondiari, sia di fronte al Territorio (il governo della Polinesia Francese),sia rispetto alle famiglie rivali. nel far questo ha seguito un percorso già avviato dalnonno e ripreso dalla madre, che a tale scopo aveva iniziato negli anni settanta a ra-dunare i documenti scritti, sollecitando il figlio a fare altrettanto. una volta abban-donata la carriera militare e tornato a Taaha, Malona Teura, a partire dai nomi ricevutiin eredità e dalla possibilità di “mettersi in contatto con la testa degli antenati”, si èdedicato per otto anni a ricostruire e a scrivere le genealogie di quelle che definisce

    impaginato libro Nizzo_Layout 1 15/05/12 10.05 Pagina 280

  • raPPresenTazioni e PraTiChe del saCro 281

    come “le tre principesse dai cui discendo”, attraverso la raccolta degli atti di proprietàoriginali, delle dichiarazioni di successione, di nascita, di matrimonio e di morte ditutti i suoi avi fino alla madre. ha condotto le sue ricerche nelle isole vicine, ma so-prattutto a Tahiti, dove ha ingaggiato “un esperto francese”, per avere accesso a tuttii documenti presenti negli archivi. solo dopo aver terminato questo lungo e faticosolavoro, ed essersi così assicurato la certezza del diritto alla terra, ha cominciato a ri-costruire la casa sul marae école dove sono vissuti e sepolti i suoi genitori. Malona Teura padroneggia così molteplici linguaggi, mescolando e facendo interagirela sua capacità di comunicare con gli antenati, la forza della trasmissione orale e l’abi-lità di destreggiarsi nell’ampia e dettagliata documentazione scritta prodotta dall’am-ministrazione coloniale francese. Questa pluralità di fonti, che fonda il suo sapere,gli consente di essere considerato un’autorità a cui fare appello quando si verificanodelle dispute e delle contese sulle terre familiari, rappresentando al contempo unpunto di riferimento indispensabile per tutti quelli che hanno dimenticato e che perquesto rischiano di essere spossessati delle loro proprietà.

    ConclusioneConcludendo questa necessariamente rapida disamina dei due terreni di ricerca, rite-niamo di poter affermare che sia i capi tradizionali akan, sia i rielaboratori delle tra-dizioni in Polinesia agiscano come dei passeurs culturels (letteralmente “traghettatoridi culture”), espressione usata per la prima volta da Bénat Tachot e gruzinski (2001)nel descrivere processi di meticciato, di mescolamento e di pluriculturalismo. i pas-seurs sono intesi come gli agenti (motori o semplici vettori) di questi fenomeni com-plessi e lo scopo di quegli autori è di osservare come si verifichino questi passaggida un insieme complesso all’altro, soprattutto nel mondo coloniale ispanico. Comesegnalano anche studi più recenti81 i passeurs culturels sono descritti come coloroche gettano ponti, a volte espliciti, a volte furtivi, tra universi semiotici, mettendo incomunicazione le culture, le storie, le conoscenze e le loro rappresentazioni, attraversole loro traduzioni, conversioni e trasmissioni, caratterizzate anche da silenzi, distor-sioni, oblii e malintesi opportunamente costruiti. l’immagine dei passeurs culturels si adatta perfettamente sia ai capi tradizionali akansia a quei personaggi nella Polinesia francese assurti alla notorietà per la loro azionepolitico-culturale. Queste due particolarissime categorie di agenti sociali, al di là delladistanza geografica e culturale che le separa, possono essere viste come perfettamenteanaloghe e simmetriche, nel loro ruolo di mediazione del sacro e del politico. dimo-strano in egual misura di saper trasformare in interessi sociali condivisi, nella con-temporaneità, una serie di valori, saperi, poteri e pratiche che si situano nel contestodella tradizione e fanno parte di una dimensione duplice, cioè da un lato simbolica,se non dichiaratamente religiosa, e dall’altro esplicitamente politica. da un diverso

    80 BÉnaT TaChoT, gruzinski 2001.81 CiarCia 2011.

    impaginato libro Nizzo_Layout 1 15/05/12 10.05 Pagina 281

  • 282 Pavanello - aria

    punto di vista, però, queste due categorie possono essere viste come perfettamenteantitetiche, e la loro comparazione può apparire provocatoriamente paradossale. gliesponenti del potere tradizionale akan rappresentano una istituzione che, in ghana,gode di rilevanza costituzionale; i protagonisti delle rivendicazioni culturali in Poli-nesia si situano apparentemente al di fuori delle istituzioni. radicalmente autentici,i primi, nelle loro vesti di rappresentanti dell’istituzione politica ancestrale (“the mainbone of the society”, la spina dorsale della società, secondo un’espressione popolarein ghana), svolgono il ruolo di custodi della tradizione e della memoria storica sucui è fondata la relazione sacra degli antenati con la terra. allo stesso tempo, però,appaiono radicalmente inautentici nel “fingere” la condizione tradizionale e la propriaconnotazione sacrale e simbolica all’interno di un discorso in cui si propongono comecoprotagonisti della modernizzazione, pronti ai compromessi della costruzione poli-tica del consenso e degli interessi economici. l’altro terreno di analisi, la PolinesiaFrancese, il contesto dei celebri “senza memoria”, mette in evidenza un percorso in-verso: dall’inautentico all’autentico. È infatti un contesto segnato a partire dagli annisettanta del novecento dalla necessità di ristabilire e rivendicare un legame autenticocon gli antenati (sacro) e con un passato considerato per oltre 150 anni come irrever-sibilmente perduto a causa dei pervasivi processi di colonizzazione e modernizza-zione. uno scenario caratterizzato al contempo da nuove e spettacolari pratichetradizionali (che si possono definire autenticamente postmoderne), bollate da unaconsistente letteratura antropologica degli anni ottanta come palesemente inventate.Protagonisti di questo processo di riappropriazione e risemantizzazione della memoriaperduta (e delle connesse politiche indipendentiste) sono quei passeurs culturels chehanno ritrovato le proprie radici dopo aver per lungo tempo negato, ignorato, oscuratoo rimosso il proprio passato ma’ohi. Muovendosi agilmente fra più culture, manipo-landole, amalgamandole, tali figure si rivelano esperti nell’interpretare molteplici lin-guaggi, codici culturali e sistemi di valori, dimostrando contemporaneamente unaparticolare capacità di mediare il recupero del sacro con la sua riarticolazione all’in-terno di specifiche rivendicazioni politiche. i loro percorsi sono segnati spesso daepifanie, in cui gli antenati si sono manifestati. Tali momenti di trasformazione sonodiventati dei segni indelebili dell’autenticità delle loro riscoperte e dell’autorità deiloro saperi, soprattutto in quelle isole come Tahiti, dove la rottura dei legami con latradizione è percepita come più profonda e dove si è maggiormente indebolita la forzadella trasmissione orale. radicalmente inautentici, questi passeurs polinesiani, nel loro proporsi, senza alcunaapparente legittimità, come i possessori delle chiavi di lettura di una tradizione e diuna memoria culturale presuntamente scomparse; ma, allo stesso tempo, radicalmenteautentici nella loro capacità di incarnare, nella contemporaneità, le aspirazioni pro-fonde di ampi strati della popolazione locale. il percorso di questi personaggi va dal-l’inautentico all’autentico, dal sacro al politico nella ricerca di ristabilire un rapportocon gli antenati che ruota attorno al tapu, elemento cardine delle politiche e delle pra-tiche legate alla storia, e quest’ultima, a sua volta, centrale per le politiche che ri-guardano la terra e quindi gli antenati. in questo ambito, la figura centrale di cui aria

    impaginato libro Nizzo_Layout 1 15/05/12 10.05 Pagina 282

  • raPPresenTazioni e PraTiChe del saCro 283

    tratta già nel suo libro Cercando nel vuoto, è quella di Malona Teura, che, a differenzadi annor adjaye iii del contesto nzema, non è un re, non ha un ruolo istituzionale −non è nemmeno un capo villaggio (d’altronde siamo in un territoire d’Outre Merfrancese dove il potere tradizionale ha totalmente perso il suo ruolo) − ma si muovecostantemente tra sacro e politico in una dimensione più ristretta di famiglia allargatao comunità. Questa mediazione è strutturalmente legata alla terra (che è in parte an-cora inalienabile e in parte sottoposta alla moderna giurisdizione francese) attraversoil controllo dei tapu e della storia, oltre che di particolari luoghi sacri (i marae), maMalona conosce anche il linguaggio del codice civile francese e dell’ordinamentogiuridico e amministrativo moderno, e sa attraversare e padroneggiare questi diversilinguaggi.in entrambi i terreni, memoria culturale, memoria storica e poteri magico-religiosidefiniscono uno scenario di trasformazione politica in cui diverse declinazioni tradi-zionali del sacro entrano prepotentemente nel quadro della situazione postcoloniale.lo studio di questi contesti, in africa e in oceania, ci sta conducendo, infatti, a ri-considerare anche tutto il dibattito teorico sul “sacro”. Come sappiamo, questa no-zione è stata spesso visitata come categoria autonoma, fenomenologicamentepregnante, oppure come declinazione di, e quindi riduzione a, processi psicologici osociali, ovvero economici e politici. in questa sede non è stato possibile scendere neidettagli del dibattito, né si è potuto formulare ipotesi. È stato possibile unicamentepresentare una prima e ancora rudimentale esplorazione di diversi campi e funzionidel potere in cui si realizzano le pratiche e i processi di relazione con il sacro e diesercizio di poteri sacri, in rapporto alla costruzione della memoria culturale comecampo privilegiato di conflitto politico.

    MaTTeo aria, Mariano Pavanello82

    Sapienza Università di [email protected]

    [email protected]

    82 Matteo aria è autore esclusivo del paragrafo “la tradizione delle invenzioni in Polinesia”; MarianoPavanello è autore esclusivo del paragrafo “il ghana: una repubblica di re quasi sacri”; la premessa e laconclusione sono state scritte congiuntamente.

    impaginato libro Nizzo_Layout 1 15/05/12 10.05 Pagina 283

  • 284 Pavanello - aria

    BiBliograFia

    adJaye 1931: a. adJaye, Nzima land, london 1931.arhin 1985: k. arhin, traditional Rule in Ghana, accra 1985.arhin 2002: k. arhin, transformations in traditional Rule in Ghana 1951-1996, accra 2002.arhin, Pavanello 2006: nana arhin BreMPong (k. arhin), M. Pavanello, Chiefs in De-

    velopment in Ghana: Interviews with Four Paramount Chiefs In Ghana, legon 2006.arhin, Pavanello 2012: nana arhin BreMPong (k. arhin), M. Pavanello, “Chiefs in de-

    velopment: the significance of Modern Festivals in ghana”, in M. Pavanello (a curadi), Poteri locali, poteri tradizionali: decentramento, sviluppo e storia in africa,roma 2012.

    aria 2007: M. aria, Cercando nel vuoto. la memoria perduta e ritrovata in Polinesia francese,Pisa 2007.

    aria, CrisToFano, MalTese 2011: M. aria, M. CrisToFano, s. MalTese, “un patrimonio disimboli”, in testimonianze 475-476, 2011, pp. 135-143.

    BaBadzan 1993 : a. BaBadzan, les dépouilles des dieux. essai sur la religion tahitienne àl’époque de la découverte, Paris 1993.

    BaesJou 1988: r. BaesJou, “The historical evidence in old Maps and Charts of africa withspecial reference to West africa”, in History in africa 15, 1988, pp. 1-83.

    BaesJou 1998 : r. BaesJou, “Trade Conflicts in eighteen-Century Western gold Coast, andthe Formation of the nzema state”, in M. Pavanello (a cura di), Prospettive di studiakan. Saggi in memoria di V. l. Grottanelli, pp. 23-54, in Quaderni de l’Uomo 1,roma 1998.

    BaMBridge 2009: T. BaMBridge, la terre dans l’archipel des australes. Étude du pluralismejuridique et culturel en matière foncière, Tahiti 2009.

    BarÈ 1985: J. F. BarÈ, le malentendu pacifique, Paris 1985.BÉnaT TaChoT, gruzinski 2001: l. BÉnaT TaChoT, s. gruzinski, Passeurs culturels. Méca-

    nismes de métissage, Paris 2001.BloCh 1973: M. BloCh, I re taumaturghi, Torino 1973. BosMan 1705 : W. BosMan, a new and accurate description of the Coast of Guinea, divided

    into the Gold, the Slave, and the Ivory Coasts, london 1705.ChaPMan, duPon 1989: M. ChaPMan, J.-F. duPon (eds.), Renaissance in the Pacific, special

    issue of ethnies (nn. 8-9-10), Paris 1989.CiarCia 2011: g. CiarCia (ed.), ethnologues et passeurs de mémoires, miroirs de l’ethnologie,

    Paris 2011.CliFFord 2001: J. CliFFord, “indigenous articulation”, in the Contemporary Pacific 13 (2),

    2001 pp.468-490.CliFFord 2003: J. CliFFord, On the edge of anthropology, Chicago 2003 (trad. it., ai margini

    dell’antropologia, roma 2004).douglas 1979: B. douglas, “rank, Power, authority: a reassessment of Traditional lead-

    ership in south Pacific societies”, in Journal of Pacific History 14, 1979, pp. 2-27.durkheiM 2005: É. durkheiM, le forme elementari della vita religiosa, roma 2005 (ed.

    orig. 1912).Favole 2001: a. Favole, “sciamani, medium o profeti? un’analisi comparativa dei taula po-

    linesiani”, in e. CoMBa (ed.), Profeti e profezie. Un percorso attraverso culture e re-ligioni, Torino 2001, pp. 43-74.

    Favole 2010: a. Favole, Oceania. Isole di creatività culturale, Bari 2010.

    impaginato libro Nizzo_Layout 1 15/05/12 10.05 Pagina 284

  • raPPresenTazioni e PraTiChe del saCro 285

    Frazer 1965: J. g. Frazer, Il ramo d’oro, Torino 1965 (ed. orig. 1922).FriedMan 2001: J. FriedMan, “The iron Cage of Creativity: an exploration”, in J. lieP (ed.),

    locating Cultural Creativity, london 2001, pp. 46-61.gagnÉ, salaun 2010: n. gagnÉ, M. salaun, Visage de la souveraineté en Océanie, Paris

    2010.godelier, sTraThern 1991: M. godelier, M. sTraThern (eds.), Big Men and Great Men,

    Cambridge 1991.goldMan 1970: i. goldMan, ancient Polynesian Society, Chicago-london 1970.henry 1968 : T. henry, tahiti aux temps anciens, Paris 1968.heusCh de 1972: l. de heusCh, le roi ivre ou l’origine de l’État, Paris 1972.heusCh de 1982: l. de heusCh, Rois nés d’un cœur de vache, Paris 1982.huFFer, sChusTer 2000:iaTi 2000: i. iaTi, “The good governance agenda for civil society: implications for the fa’a

    samoa”, in e. huFFer, a. so’o (eds.), Governance in Samoa: Pulega I Samoa, Can-berra 2000, pp. 67-77.

    JaMes 1994: k., JaMes, “Tonga’s pro-democracy Movement”, in Pacific affairs 67 (2), 1994,pp. 242-263.

    kirCh 2010: P. kirCh, How Chiefs Became Kings. Divine Kingship and the Rise of archaicStates in ancient Hawai’i, Berkley 2010.

    lanTernari 1959: v. lanTernari, la grande festa, Milano 1959.lindsTroM 1981: l. lindsTroM, “Big Man: a short Terminological history”, in american

    anthropologist 83 (4), 1981, pp. 900-905. lindsTroM, WhiTe 1997: l. lindsTroM, g. WhiTe, (eds.) Chiefs today: traditional Pacific

    leadership and the Postcolonial State, stanford 1997.MaCPherson 1997: C. MaCPherson, “The persistence of chiefly authority in Western samoa”,

    in lindsTroM, WhiTe 1997, pp. 19-48.MaMdani 1996: M. MaMdani, Citizen and Subject. Contemporary africa and the legacy of

    late Colonialism, Princeton nJ 1996.MarCus 1978: g. MarCus, ‘status rivalry in a Polynesian steady-state society’, in ethos 6

    (4), 1978, pp. 242-269.MarCus 1989: g. MarCus, “Chieftainship”, in a. hoWard, r. BoroFsky (eds.), Develop-

    ments in Polynesian ethnology, honolulu 1989.MaCPherson 2000:MCCaskie 1995: Th. MCCaskie, State and Society in Pre-Colonial asante, Cambridge 1995.MiCheluTTi 2008: l. MiCheluTTi, the Vernacularisation of Democracy, london 2008.Mosko 1991: M., Mosko “great Men and Total systems: north Mekeo hereditary authority

    and social reproduction”, in godelier, sTraThern 1991, pp. 97-114.Muller 1980: J.-C. Muller, le roi bouc émissaire. Pouvoir et rituel chez les Rukuba du Ni-

    géria Central, Paris 1980.neWBury 1967: C. neWBury, “aspects of Cultural Change in French Polynesia: The decline

    of ari’i”, in the Journal of Polynesian Society 76 (1), 1967, pp. 7-26.odoTei, aWedoBa 2006: i. k. odoTei, a. k. aWedoBa (eds.), Chieftaincy in Ghana. Culture,

    Governance and Development, accra 2006.oliver 1974: d. oliver, ancient tahitian Society, honululu-Canberra 1974.PanoFF 1970: M. PanoFF, la terre et l’organisation sociale en Polynésie, Pa