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Lucius EtruscusPREDATOR SENZA GLORIA

~Una fan fiction

~Questi personaggi non mi appartengono, ma sono

proprietà di20th Century Fox e Dark Horse Comics

Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo dilucro

In fondo al testo riporto tutte le fonti che houtilizzato per la stesura

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CreditiQuesta storia è apparsa a puntate sul forum

Alien e Predator Italia ogni venerdì, dal 23giugno al 22 ottobre 2017.

Parallelamente è apparsa a puntate, ogniweekend:- sul blog 30 anni di ALIENS dal 24 giugno al 23ottobre 2017.- sul sito EFP Fan Fiction dal 23 giugno al 22ottobre 2017- sul sito FanFiction Zone dal 23 giugno al 22ottobre 2017

~Prima edizione in eBook: ottobre 2017

~In copertina: illustrazione di Raymond

Swanland per la copertina del quarto numero dellasaga “Predator” (Dark Horse Comics, gennaio2010)

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IndiceCreditiLa tramaL'autorePREDATOR SENZA GLORIA

Premessa123456789101112131415

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16Note e Fonti

Altre opere di Lucius Etruscus

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La tramaLibera reinterpretazione del mitico film “I

sette samurai” (1954) di Akira Kurosawa - erelativa fotocopia americana “I magnifici sette”(1960) di John Sturges - ma con i Predator al postodei samurai. Una storia inedita ma con personaggiche strizzano l'occhio ai Predator visti in film efumetti.

Un pianeta sperduto, una colonia umanaaggredita da spietati Bad Blood. L'unica speranzaper gli umani: sette guerrieri senza onore...

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L'autoreLucius Etruscus è vice-curatore di

ThrillerMagazine e redattore diSherlockMagazine, gestore del database “GliArchivi di Uruk” e di vari altri blog, come“Fumetti Etruschi” (recensioni di fumetti di ognigenere), “Il Zinefilo” (dedicato al cinema di serieZ), “30 anni di ALIENS” (dedicato all’universodegli alieni FOX), il “CitaScacchi” (citazioniscacchistiche da ogni forma di comunicazione) edaltri ancora. Scrive saggi su riviste on line, hapartecipato (sia come giuria che come autore) alromanzo corale “Chi ha ucciso Carlo Lucarelli?”(Bacchilega Editore) e su ThrillerMagazine haraccontato le indagini del detective bibliofiloMarlowe... non “quel” Marlowe, i cui retroscena(ed altro ancora) sono narrati nel blog“NonQuelMarlowe”.

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PREDATORSENZA GLORIA

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Questi personaggi non mi appartengono, ma sonoproprietà di

20th Century Fox e Dark Horse ComicsQuesta fan fiction è stata scritta senza alcuno

scopo di lucroIn fondo al testo riporto tutte le fonti che ho

utilizzato per la stesura

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PremessaNel terzo episodio della saga Aliens vs Boyka

ho immaginato che la Casata Yutani e gli Yautjaavessero stretto un’antica alleanza e che le duerazze vivessero a stretto contatto. L’idea nasceovviamente dalla scena finale del film Alien vsPredator: Requiem, con la “Signora Yutani” cherecupera un’arma appartenuta ad un Predator.

In questo universo narrativo, in cui su alcunipianeti gli umani e i Predator convivono più omeno pacificamente, cosa succede quando deiguerrieri Yautja invece di distinguersi inbattaglia... si macchiano di disonore? Scacciati daipropri clan o costretti ad allontanarsene per nonessere perseguitati, si ritroverebbero costretti avivere fra gli umani, con tutti i problemi che neconseguirebbero.

Dove non espressamente specificato, tutti idialoghi del racconto sono da intendersi in linguaYautja.

Alla fine del testo riporterò tutte le fonti

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utilizzate, ma tengo a precisare che malgrado iltitolo “tarantiniano” il racconto è in realtà unalibera reinterpretazione del film I sette samurai(1954) di Akira Kurosawa – e quindi della suafotocopia americana I magnifici sette (1960) diJohn Sturges: in fondo il codice d’onore deisamurai è in pratica lo stesso dei Predator!

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1Pianeta LV-617Colonia Weyland-YutaniStazione mineraria “Shimada’s Hope”

Quando l’astronave yautja atterrò dolcementesulla superficie del piccolo pianeta, nessuno deicoloni se ne accorse: la mimetizzazione Predatorera eccellente quanto la strumentazione dellacolonia era fatiscente e non perfettamentecalibrata. “Shimada’s Hope” era un ferro vecchio,e ormai i coloni umani si erano abituati ad unlivello di vita a bassa tecnologia. Le miniere sistavano esaurendo e la Compagnia aveva persointeresse nella colonia: tutti gli abitanti eranosicuri che nel giro di qualche anno avrebberodovuto cercarsi un’altra casa.

Quando l’imponente Yautja scese dallapasserella, indossando con scioltezza l’ingentepeso di un’armatura strapiena di trofei, si assicuròdi annusare l’aria: adorava assaporare l’odore di

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un pianeta prima che sapesse tutto di morte.I suoi guerrieri uscirono rapidamente e

cominciarono ad allestire il campo base. Nonc’era fretta di calare sulla colonia dove vivevanole vittime umane: avevano tutto il tempo del mondoper “giocare” con loro.

Mentre l’imponente Yautja studiava una mappadell’insediamento, così da organizzare i prossimi“giochi”, un suo guerriero gli si presentòstringendo fra le mani un animale: solo all’ultimoistante si rese conto che era un umano. Un cucciolodi uomo, per la precisione, che li stava spiando dadietro un cespuglio. Probabilmente si trovava lìper caso quando erano atterrati, perché eradifficile che gli umani fossero così vigliacchi damandare i loro cuccioli in avanscoperta.

Il Predator fissò dall’alto il bambino tremantenegli occhi, poi gli accarezzò dolcemente la testa.«Sei perfetto», gli disse gracchiando con voceprofonda, senza che il cucciolo d’uomo potessecapirlo. «Ho giusto uno spazio vuoto nella cinturadella dimensione della tua testa.»

L’orrore era appena arrivato a “Shimada’s

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Hope”.

Pianeta LV-2230Anderson City

Il Predator ormai si era abituato adattraversare le piccole porte dei piccoli edificiumani, non sbatteva più la testa come i primitempi. Ma le sedie erano ancora un incubo, ed eraincredibile quanto si seccassero gli umani quandolo invitavano a sedersi e lui gliele rompeva.Perché non si procuravano sedie più grandi?

Quando entrò nell’ufficio di collocamentosapeva che lì avrebbe potuto contare su una grandesedia fatta di legno di quercia, perfetta per il pesoe per l’anatomia yautja. Sicuramente era statoqualche Predator a costruirla, perché gli umani nonavevano quella considerazione: anche i locali cheaccettavano Yautja come clienti non sipreoccupavano minimamente di fornire sedieresistenti, preferendo infuriarsi una volta rottequelle che avevano.

«Accomodati», disse la donna alla scrivania.

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Il Predator era entrato goffamente nella stanza,perché aggirarsi fra le strutture umane era terribile,ma finalmente poteva sedersi comodamentesull’ampia e resistente sedia di legno. Ne avrebbevoluta una uguale per casa propria, se avesseavuto una vera casa.

«Ho qualcosa per te», iniziò la donna, «madevi assicurarmi che stai facendo il bravo.»

Lo Yautja annuì abbassando lo sguardo. Eraterribile dover subire ramanzine dagli umani,eppure quelli che vendevano alcol ai Predator nonsi facevano problemi a prendere i loro soldi:quando poi si ritrovavano con bestioni di duemetri ubriachi e violenti ecco che iniziavano lelamentele e le denunce.

«Mi servi pulito», continuò la donna, «perchél’occasione è buona. Conosci i campi di meloni diMr. Majestyk, subito fuori la città? A quanto parehanno avuto problemi di personale e devonosbrigarsi a raccogliere i meloni prima che vadanoa male. Pensaci», la donna sorrise, «un bel lavoroall’aria aperta, senza smog e rumori molesti dellemaledette città umane. Tu adori il sole, no? Certo

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che l’adori, sei uno Yautja, quindi pensa cheopportunità: ti sgranchisci le ossa sotto il sole,respiri aria buona, ti tieni in forma e ti paganopure!»

«Detta così non sembra neanche una merdatotale.»

La donna sbuffò. «Che cosa vuoi che ti dica?Sto cercando di venirti incontro, provaci anchetu.»

Il Predator cambiò posizione sulla sedia, per ilnervosismo. «Non c’è qualche lavoro al chiuso?Possibilmente senza umani intorno?»

La donna lo fissò. «Certo che c’è, ed èesattamente il lavoro da cui ti hanno licenziato!» Ilsuo tono era duro ma a quanto pareva c’erabisogno di una ramanzina. «Non sai quanti riesco asistemare come guardiano notturno, perché appenac’è un cartello “Locale protetto da Yautja” itentativi di rapina o anche solo di vandalismopraticamente si azzerano. Gli umani adoranoaffidare ai Predator lavori notturni, che così glioperai di giorno non si innervosiscono, però...» Losguardo della donna era spietato. «Quando la

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mattina trovano l’ufficio distrutto e uno Yautjaubriaco a terra, reagiscono male.»

Il Predator scosse la testa e gracchiò a bassavoce. «È stato solo un incidente...»

«No, è stata una idiozia. Per essere rimborsatidei danni hanno dovuto sporgere denuncia, ed èstato solo perché ho pregato in ginocchio non sopiù quanta gente che non sei finito dietro le sbarre.Gli umani vanno fuori di testa quando si ubriacauno Yautja: se al tuo capufficio staccavi la testaforse sarebbe stato meno grave.» Il Predatorbofonchiò, ma la donna continuò senza starlo adascoltare. «Con una denuncia nel tuo fascicolopuoi scordarti qualsiasi lavoro di responsabilità:sono obbligata per legge ad avvertire i datori dilavoro della tua fedina pernale, e puoi immaginareche non facciano salti di gioia. Ci sono tante coseche posso far finta di dimenticare o possomascherare dietro linguaggio burocratico, ma unadenuncia per danni dovuti ad ubriachezza nonposso farla sparire, e questo ti costringe adaccettare solo lavori non di responsabilità. Lavoriduri e sgradevoli, che gli altri Predator non sempre

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accettano.»Lo Yautja continuava a stare con la testa bassa,

come un bambinone sorpreso a rubare lamarmellata e sgridato dalla maestra. La donnasospirò. «So che non è facile, credimi: conosci lamia storia, sai che...»

«Grazie», disse d’un tratto il Predator. Ladonna non se l’aspettava e rimase in silenzio,stupefatta. Dopo qualche secondo di silenzio loYautja continuò, sempre guardando in terra.«Grazie per non avermi scacciato dall’agenzia eaver continuato a cercarmi un lavoro. Dopo lafigura che ti ho fatto fare...»

La donna arrossì per quelle parole. «Non mihai fatto fare nessuna figura», disse con tonoaffettuoso. «Tutti sanno quanto sia difficile la vitaper un guerriero senza onore...»

Il silenzio cadde pesante nella stanza, finché ladonna continuò con tono amichevole. «So che èsgradevole, ma devo ricordartelo. Se decidi diucciderti, ricorda di lasciare ben scritto il clan dacui provieni, così da poterlo informare. Lo dico atutti perché è capitato ad alcuni miei clienti:

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quando finalmente hanno trovato la forza di fare lacosa giusta, non hanno lasciato scritto nullacosì...»

«La cosa giusta....» ripeté il Predator con un fildi voce.

«Sì, la cosa giusta. Lo sai tu come lo so io:l’unico modo per riacquistare parte dell’onore ètogliersi la vita. Solo così il clan potrà tornare adinserire il tuo nome fra i propri membri. Ticonsiglio quello che dico a tutti i miei clienti: nonaspettare l’ultimo momento, scrivi il tuo clan daqualche parte e portati l’appunto sempre indosso,così se un giorno finalmente trovi la forza...»

Lo Yautja alzò lentamente la testa e mostrò alladonna due occhi tremendamente tristi. «Se avessila forza di fare “la cosa giusta”, l’avrei fatta tempofa. Perché pensi che abbia cercato sollievo nelvostro alcol?»

«Non esiste sollievo», replicò la donna, senzaalcun tono di rimprovero. Gli occhi dei due siguardarono con pena reciproca, finché la donnanon sbatté una mano sul tavolo. «Ok, questa cosaci sta sfuggendo di mano. La ramanzina te l’ho fatta

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e ti ho detto quello che ti dovevi dire: ora basta»,e un sorriso le si aprì sul volto. «Oggi è venerdì equindi c’è tempo per decidere se accetti il lavorodi raccogli-meloni. Stasera mi vedo con degliamici per una serata rilassante: perché non vienianche tu? Mi sa che ne hai bisogno...»

Il Predator la guardò allibito. «Amici?»La donna rise. «Tranquillo: niente umani. Ho

detto “rilassante”.»I due risero e lo Yautja accettò. «Torno

stasera, allora», disse alzandosi. «Grazie per tuttoquello che fai per noi», disse prima di uscire.«Grazie, Machiko.»

La donna sorrise, salutandolo.

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2Anderson CityLocale “Big Game Pub”

Il pugno crollò sul suo muso come un’auto incorsa, e l’incontro era in pratica chiuso.

Lo stesso lo Yautja si rialzò e, ricoperto disangue verde, continuava a gracchiare alla voltadell’avversario. L’aveva stuzzicato perché eradavvero convinto di essere più forte di lui. Disolito chi sceglieva un nome altisonante era inrealtà scarso, perché i veri guerrieri vivevano neiclan d’appartenenza, sul loro pianeta natale o acaccia per l’universo: non nella cantina di unalurida bettola alla periferia della città.

Il suo avversario aveva un nome che definirealtisonante era proco: Berserker. Che tracotanza!L’avrebbe mandato a tappeto in un attimo. Cosìquando si era ritrovato sotto un fuoco di pugnipotenti era rimasto spiazzato: che fosse il primocampione che corrispondeva al proprio nome di

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battaglia?Berserker era snello e scattante, aveva muscoli

allungati che gli consentivano più prestanzarispetto alla granitica montagnositàdell’avversario: riusciva a dare due pugni neltempo che l’altro impiegava per prepararne unosolo, quindi in pochi secondi l’incontro era giàscontato, tanto che gli scommettitori cominciaronogià a pagare le quote, così da portarsi avanti con illavoro.

Il Predator ricoperto di sangue gridò e lanciò ilsuo ultimo attacco, quello che nella sua mentedoveva essere la tecnica fenomenale che ribaltaval’esito dell’incontro: nessuno poté vedere a qualetecnica pensava, perché mentre ancora apriva labocca per gridare già Berserker gli avevaassestato una combinazione di pugni che lo sbatté aterra senza fiato.

«Ah», gracchiò un enorme Yautja seduto intribuna d’onore. «Il tuo Berserker è un fottutofuoriclasse: ormai scommettere su di lui è comeandare a ritirare soldi in banca.»

Accanto a lui uno Yautja più snello scoppiò a

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ridere. «Banca? Possibile che ci siamo“umanizzati” così tanto da parlare di banche?»

Il primo rise, con la sua voce gutturale efacendo ballare il petto pieno di cicatrici. «Che civuoi fare, Achab? Ormai sono un uomo d’affari, egli affari nell’universo si fanno con gli umani.»Mandò giù il contenuto che gli rimaneva nelbicchiere. «Quando ti allei con qualcuno devirispettare il suo dio, e il dio umano è la Banca: checi vuoi fare?»

Achab gli batté una mano sulla spalla. «Tiricordi, Celtic, quando a questi umani strappavamola spina dorsale?» I due risero. «Quelli sì cheerano tempi, amico mio: ti ricordi quantostrillavano?»

Celtic cominciò ad agitare le mani in aria,ridendo. «Ti prego, così mi farai piangere: nonricordare a un assetato quant’è buona l’acqua.»

«Ora parli pure per proverbi! Mi staidiventando un vero uomo...» E i due sbottarono inuna risata ancora più fragorosa.

«Altri tempi davvero, amico mio», disseCeltic, stavolta con un riso amaro. «Sapessi quanto

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è difficile fare affari con quegli insetti: vedessiche facce da duri fanno, quando pensano che cosìfacendo abbiamo paura di loro. Però ormai adappendermi i loro crani alla cintura si commettereato, e tocca giocare alle loro regole. Sai oracosa porto alla cintura?» Il Predator spostò ilmantello che lo avvolgeva e mostrò la cinturaall’amico, che si mise a ridere forte. «Esatto: unazampa di coniglio! Pare che fra gli umani siasocialmente accettato questo trofeo. Il giorno checomincerò a fare affari con i conigli, mi procureròun braccio umano da appendere alla cintura.»

I due risero ed Achab ordinò ancora da bere.«Devi passare più spesso a trovarmi, Celtic.Questo posto comincia ad essere frequentato datroppi falliti tristi e piagnucolosi: neanche se liricordano più i bei tempi in cui eravamo grandicacciatori.»

«Se non sbaglio qualcuno – cioè io – ti dissedi lasciar stare l’idea di gestire un locale perYautja e di metterti in affari con me.» Celtic miseuna mano sulla spalla dell’amico. «Io ti conosco,so quanto vali: se mollassi tutto e venissi via con

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me non solo guadagneresti molto di più...» Sisporse verso Achab. «Ma potresti averel’occasione di tornare a cacciare come ai vecchitempi... A cacciare umani!» Ormai Celtic stavabisbigliando, poi cambiò posizione e tornò aparlare con voce normale. «Le scommesseclandestine sono un buon affare e i combattimentiillegali in fetide cantine sono divertenti, non lonego, ma io ti conosco: tu non sei come uno diquesti falliti alcolizzati, tu sei un cacciatore. Puoiaver perso l’onore secondo quanto dice il codice,ma sono parole: tu sei nato Blooded Warrior e nonsarà certo un vecchio codice stantio a dire ilcontrario.»

Quando arrivò da bere, Achab mandò giù ilsuo drink tutto d’un fiato. «Mi rimangio tutto: sedevi mettermi in testa queste idee... forse è meglioche non passi così spesso.» I due risero, ma poiAchab tornò serio, sebbene l’alcol cominciasse ascioglierlo. «Tu mi conosci, è vero, ma io conoscote, Celtic, e sei l’unico che considero uncacciatore migliore di me.» L’amico inchinò ilcapo in segno di riconoscenza. «Ma quello che non

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mi piace... be’, diciamo che l’unico tuo difetto èche ti circondi di gente non proprio simpatica.»

«Mai piaciuta la gente simpatica», risposesorridendo Celtic.

Achab lo fissò a lungo. «Hai capito cosaintendo: tu gestisci Bad Blood, Celtic. Tu vendi iservizi di assassini spietati a chi ti paga di più.Con te non ho problemi perché ti rispetto, ma coiBad Blood... io non voglio averci nulla a chefare.»

«Andiamo», lo esortò l’amico. «Non ti sembradi esagerare? Come ti dicevo, sono clausole di uncodice d’onore vecchio e sorpassato: nonriconosco chi mi chiama “intoccabile” perché hoperso l’onore, così come non riconosco l’etichettadi Bad Blood per i miei uomini. Io offro unservizio a pagamento, esattamente come te: non misembra che ti crei dei problemi riempire di alcoldei falliti che poi usciranno ed andranno a faredanni in giro.»

Achab fissò il proprio bicchiere. «Non hodetto che io sia migliore, solo che non voglioavere a che fare coi Bad Blood.»

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I due si guardarono e una sola occhiata feceesplodere nella mente di entrambi un ricordolontano. Un ricordo doloroso. Il ricordo diun’astronave Bad Blood che il loro gruppoavrebbe dovuto assaltare e neutralizzare. Il ricordodi un’azione studiata male da un capo appenapromosso sul campo e non ancora capace diintuito: un capo di nome Achab. Il ricordo di comeun capo non preparato avesse mandato al massacroi propri guerrieri per colpa di un piano studiatomale, il ricordo dei Bad Blood che maciullavanofior fiore di guerrieri, un pezzo alla volta percolpa di Achab. Il ricordo di un capo che,paralizzato dal terrore, assisteva impotente allamorte dei propri sottoposti, finché Celtic nonl’aveva preso e l’aveva trascinato verso lasalvezza. Verso un futuro di ignominia e disonore.Solo loro due si erano salvati, ma il loro clan liignorò: scrissero canzoni per ricordare quellatragica battaglia e in esse si parlava di “nessunsopravvissuto”.

Per il loro clan, per la loro famiglia, per i loroamici, Achab e Celtic erano morti, e solamente

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quando lo sarebbero stati per davvero alloraavrebbero avuto l’onore di essere compresi nellacanzone: nessun sopravvissuto.

Celtic scosse la testa. «Devi lasciarti ilpassato alle spalle, Achab, devi fare come ho fattoio. Non puoi continuare a torturarti, dopo tuttoquesto tempo. Tu sei migliore di quello che pensi,e lo dimostra il fatto che al contrario di moltinostri compagni hai messo su un’attività chefunziona, hai un locale avviato con molteiniziative, non tutte legali ma tutte lucrose. Eppurelo stesso sono sicuro che sei ancora un guerrierofenomenale: ti continui ad allenare?»

Achab scosse la testa. «Un po’. Mi tocca farlodi nascosto, lo sai: il primo stronzo umano che mivede usare un’arma mi denuncia e sono fregato.Così approfitto di quando il locale è vuoto e usol’arena sotterranea. Ma è poca cosa....»

Celtic si sporse e abbracciò il collodell’amico con il suo enorme braccio. «Io ti offroaria aperta, caccia alla luce del sole e tutta lalibertà che questi umani non ti daranno mai.» Dinuovo stava bisbigliando. «L’universo è grande

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Achab, smettila di marcire in questo buco e torna abattere territori di caccia vasti e incontaminati.»

Achab stringeva il suo bicchiere fino a farsimale alle dita. «Sai benissimo che mipiacerebbe...»

«E allora? Che ci fai ancora qui? Preferisci lacantina del tuo locale all’universo?»

Achab girò la testa e fissò l’amico a lungo.«Tu mi conosci come nessuno, sei più d’un fratelloper me, quindi posso dirtelo...» Esitò ancora primadi continuare a parlare. «Essere circondato dafalliti è l’unica soluzione, per me... perché cosìnon mi sento un fallito io.»

Celtic tolse lentamente il braccio dal collo diAchab e mandò giù il suo drink. «Cazzo, fratello,stai messo davvero male.»

Posato pesantemente il bicchiere, l’enormeYautja si alzò, parlando all’amico dall’alto.«Taglierei la testa a chiunque osasse darti delfallito... ma il problema è che sei tu stesso afarlo.» Gli batté una mano sulla spalla. «Quandosmetterai di considerarti tale, sai dove trovarmi.»

E se ne andò.

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Quando Berserker raggiunse Achab,quest’ultimo stava ancora fissando il propriobicchiere vuoto. «Ehi, capo, hai visto come l’homandato giù? Come ti sono sembrato?»

«Quasi bravo», mugugnò Achab senzaguardarlo.

Il lottatore, ancora su di giri, si sedette dove unattimo prima c’era stato Celtic. «Cosa? Perché“quasi” bravo?»

Achab girò la testa lentamente fino a fissarel’altro Yautja. «Perché se tu fossi stato veramentebravo, all’epoca avresti salvato i tuoi compagniguerrieri, invece di fingerti morto per salvarti ilculo per poi scappare come un verme.»

La voce era impastata, l’alcol cominciava aprendere il controllo di Achab e Berserker losapeva. Sbuffò e si alzò. «Ogni volta che il tuoamico viene a trovarti diventi sgradevole: perchéqualche volta non vai tu da lui?» E se ne andò.

~

Quando la donna entrò nel locale, tutti gli

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Yautja si voltarono a fissarla, immobilizzandosi.Erano abituati a dover sopportare gli umani tutto ilgiorno, a stare attenti a non offenderli o ferirli,anche involontariamente, dovevano subire i lororimbrotti e le loro stupide leggi “civili” ogni oradella loro vita: quando entravano nel locale diAchab, era per allontanarsi da quel mondo. Nessunumano era il benvenuto, lì.

L’elettricità si poteva avvertire nel locale,finché una voce tuonò. «Machiko, amica mia, tistavo aspettando.»

Achab andò incontro alla piccola donna el’abbracciò sollevandola di alcuni metri da terra.Machiko era abituata a quella rozza manifestazioned’affetto e irrigidiva i muscoli per resistere aquell’abbraccio.

Quando la rimise a terra, Achab gongolava.«Avevo davvero bisogno di rivederti, come te lapassi?» E d’un tratto si rese conto dello Yautja cheera entrato con lei: si limitò a fissarlo con sguardointerrogativo.

«Ciao Achab, anch’io non vedevo l’ora dimollare quegli stupidi umani per venire qui.»

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«Chi è lui?» Il tono di Achab era curioso: sefosse stato un uomo si sarebbe potuto dire chedalla sua voce traspariva gelosia, ma eraovviamente impossibile.

«Oh lui», disse gesticolando Machiko. «L’hoinvitato io. Vedi, lui...»

«Ce l’hai la voce, ragazzo?» chiese Achab alnuovo venuto. «Puoi anche presentarti da solo.»Ad Achab non piacevano i volti nuovi, soprattuttonel locale dove metà delle attività che gestivaerano illegali.

Il Predator si guardava intorno, per nulla a suoagio, e parlò a voce bassa. «Io mi chiamo...»

«Me ne frego di come ti chiami», lo interruppebruscamente Achab. «Voglio sapere come tichiamano gli altri. Il nome che ti hanno dato i tuoigenitori ormai è sepolto insieme al tuo onore: ciòche qui conta è tutto ciò che rimane della nostragloria. Il nostro nome di battaglia.»

«Achab...» cercò di intervenire Machiko, masenza speranza. Era chiaro che il suo amico avessebevuto e non volesse estranei in casa.

«Io non ho un nome da battaglia», disse

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lentamente lo Yautja.«Cosa?» esclamò Achab con tono di voce più

alto del dovuto. «Che cazzo vuol dire? Te nedanno uno subito dopo il rito del First Blood, o iltuo stupido clan aveva regole diverse?»

Machiko cercava di frapporsi fra i due, ma ilgiovane Yautja non gliene diede il tempo.«Guidavo l’astronave che portava me e i mieicompagni al First Blood, ma subito dopo lapartenza ho fatto un casino e la nave si èschiantata. Sono tutti morti fra le fiamme... sonotutti morti Unblooded... sono tutti morti senza unnome da battaglia da ricordare nelle canzoni.»

I due Predator si guardarono, finché Achabsibilò: «Cazzo, amico, oggi è la giornata dei bruttiricordi.» Gli assestò una potente manata sullaspalla: Machiko ringraziò che non la diede a lei,altrimenti l’avrebbe fatta volare per la stanza.«Non ci pensare, ragazzo, qui sei fra amici: quisiamo tutti pieni di merda, quindi nessuno tigiudica. Vieni, che ti offro da bere.»

«No!» scattò Machiko. «Ehm, cioè, sarebbemeglio di no...»

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Achab la fissò. «Non dirmi che hai portato unalcolizzato nel mio bar», e sbottò in una sonorarisata. «Sei troppo crudele, anche per uno Yautja!»

«Non ho portato un alcolizzato», si sbrigò aspecificare la donna. «Ho portato un amico che habisogno di conforto. Voglio fargli conoscere altriche vivono la sua stessa condizione ma hannotrovato il sistema per non torturarsi. Ecco, guardaAchab», ed indicò il gestore del locale al suoamico Yautja, «non si è mai lasciato abbattere edora gestisce un’attività di successo. Non lo troviun esempio illuminante?»

Achab scoppiò a ridere. «Momento sbagliato,Yautja sbagliato, Machiko: per come mi sentostasera mi sa che mi taglio la gola primadell’alba.» Cominciò a tastarsi addosso. «Dove homesso il foglio con su scritto il mio clan?»

Alcuni clienti intorno a lui sghignazzarono.«Scherza», disse Machiko al suo amico, mostrandoun sorriso teso. «Vive una vita piena esoddisfacente... vero?»

«Puoi scommetterci la testa, amico», disseAchab ridendo alla volta del nuovo venuto. «Così

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perdi la scommessa, perdi la testa e anche il tuonome riacquista un po’ d’onore. Machiko te l’hadetto di girare sempre con un appunto indosso consu scritto il nome del tuo clan?»

Il Predator annuì, a testa china.Achab lo guardò. Era davvero una pessima

serata. Allungò un braccio e prese il drink di unodei suoi clienti. Lo bevve d’un fiato e mentreancora inghiottiva fece calare il bicchiere sullatesta del nuovo venuto.

Mentre Machiko gridava e gli altri clientitrattenevano il fiato, il nuovo venuto fissò allibitoAchab... ma non mosse un solo muscolo, anche sesentiva il sangue caldo scorrergli sul volto ericoprirgli la testa.

Achab lo fissò e si ripulì la mano sporca divetro e sangue sul petto. «Questo è il tuo FirstBlood, ragazzo, ed ora hai un nome di battaglia:Scar. Come la ferita che ti ho appena inferto.»

Il giovane Yautja lo fissò sgomento, poi parlòcon voce calma. «E non potevi chiamarmi Scar ebasta, senza ferirmi davvero?»

Achab scosse le spalle. «Sarebbe stato

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sarcastico: così invece è un nome vero.»

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3«Ta-ta-ta-ta-ta-ta.»Tutti ridevano sempre quando Jungle si esibiva

nella sua imitazione di una mitragliatrice a pienoregime, forse perché la maggior parte degliascoltatori non ne aveva mai vista una umanarivolta verso di loro.

«Centinaia di colpi in rapida sequenza, laforesta fu inondata di piombo: quei coglioni peròstavano sparando dalla parte sbagliata!» Tuttirisero, emettendo suoni gracchianti e dandosipacche sulle spalle. Una reazione esagerata, vistoche non era certo la prima volta che Jungleraccontava quella storia.

«Io ero lì che mi godevo lo spettacolo, e midomandavo come avessero fatto gli umani asopravvivere alla propria stupidità.» Mentreparlava, curava il maialino che si arrostivalentamente sullo spiedo. «Ad un certo punto, giuro,mi sono chiesto se avesse senso continuare lacaccia: era come appostarsi per schiacciare una

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formica. Che onore c’era?»Mentre tutti annuivano, Jungle continuava a

cucinare con mosse sapienti il piatto per cui erafamoso: maialino arrosto. La cucina yautja era diuna semplicità totale, e non c’è niente di piùdifficile di un piatto semplice. «Insomma ero lì chesghignazzavo mentre questi beoti davano fondoalle loro munizioni sparando alle foglie, e devoessermi graffiato con qualche ramo, perché holasciato qualche goccia di sangue in giro. Il piùstupido degli umani vede quel sangue e, con unafaccia da scemo e due occhi sgranati, aspetta checali il silenzio per dire la frase della sua vita: “Sepuò sanguinare, può essere ucciso”.»

Tutti nel locale avevano già sentito almeno unavolta quella storia, eppure scoppiarono lo stessoin una fragorosa risata. In fondo erano tutti lì perdimenticare la propria vita e tirarsi su di morale:poco importava la qualità dell’intrattenimento.

Mentre Jungle gongolava e continuava arosolare il suo maialino, Machiko si sporse versoAchab. «Come mai ogni volta che racconta questastoria si dimentica di dire che gli “stupidi umani”

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l’hanno battuto? Che ha dovuto inscenare la suamorte con una esplosione per darsela a gambe allachetichella...»

Achab grugnì e agitò una mano in aria. «Cimancherebbe solo quello, così ci deprimiamotutti.»

Machiko approfittò di quel momento in cuinessuno badava a loro. Erano tutti seduti rivoltiverso il maialino che si arrostiva – uno spettacoloche ha sempre il suo fascino – così la donna sisporse ancora di più verso il suo amico. «Sonocontento che hai... ehm... battezzato quel giovane:è un bravo ragazzo ma ha bisogno di aiuto.» Achabgrugnì, ma Machiko non gli diede modo dirispondere. «Non è ancora riuscito a trovare unsuo equilibrio con gli umani, avrebbe bisogno diuna figura autoritaria che gli desse forza, che loguidasse...»

«Machiko», esclamò Achab voltandosi afissarla, «stai per caso chiedendomi diassumerlo?»

La donna si era preparata un discorso moltopiù lungo, ma a questo punto era costretta a

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giungere a conclusione. «Ti ringrazio, sapevo dipoter contare su di te.»

«Mi ringrazi di cosa? Non ho alcuna intenzionedi assumere un tizio problematico, ex (forse)alcolizzato: non solo gestisco un bar, e già questosarebbe un problema con lui, ma un sacco di robache deve rimanere segreta. Non posso mettermi incasa il primo che passa.»

«Garantisco io per lui», tentò ancora la donna.Achab la fissò, poi fece passare il suo grande

braccio attorno al corpo della donna, premendotroppo sul suo fisico umano. «Machiko, non puoisalvarli tutti... Anzi, non puoi salvarci tutti, vistoche considero più Yautja te che tanti miei simili.Ho grande stima per il tuo lavoro e se un giorno cisarà la rivoluzione saresti l’unico essere umano acui non strapperei la spina dorsale, e proprio innome di questa grande stima te lo ripeto: non puoisalvarli tutti, soprattutto se non vogliono esseresalvati.»

Erano tutti discorsi che Machiko aveva giàsentito, visto che lei stessa se li ripeteva in testada anni. Non aveva una risposta ragionevole da

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opporre a questo ragionamento. «Se riuscissi afarlo passare per suicidio, sparerei loro in testa,così smetterebbero di soffrire e riavrebbero il loroonore.»

Achab esplose in una sonora risata, che Junglepensò generata dal suo racconto. «Questa èun’idea geniale, Machiko: invece di un ufficio dicollocamento dovresti aprire un ufficio di omicidid’onore!»

Mentre lo Yautja gongolava e rideva,stritolandola nel suo abbraccio, la donna aveva unsorriso amaro sul volto. «Quindi lo lasciamo alsuo destino?»

Achab la guardò. «Chi?»«Quello che hai appena battezzato Scar.»Lo Yautja agitò una mano in aria. «Quello che

riconosco agli umani è di essere tenaci: se nonriuscite ad affrontare una montagna, la sgretolate aforza di rimbrotti scoccianti.»

Machiko sorrise e diede dei pugni fra lecostole dell’amico: aveva scoperto che era presocome un gesto confidenziale, visto che i suoipugnetti non facevano neanche il solletico al

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muscoloso costato dello Yautja. «E quello chericonosco a voi Yautja è di avere un cuore piùgrande del vostro brutto muso: fate le facce durema siete dei teneroni.»

Achab gracchiò. «Tenerone? Io? Quest’offesate la farò lavare col sangue!» E sollevò la donnafingendo di strozzarla. Mentre i due si divertivanoa mimare una lotta inter-specie, gli altri Yautja dellocale li guardavano con occhi torvi. Non eradignitoso il comportamento di Achab, visto chestava facendo per finta qualcosa che avrebbedovuto fare sul serio – cioè uccidere umani a maninude – ma alla fine quelle strane effusionivenivano prese come se lo Yautja stesse giocandocon un animale domestico.

«Piantatela, voi due», gracchiò Jungle, «edatemi una mano con i piatti: la cena è pronta.»

Achab e Machiko si separarono e si alzarono.«Tanto non mi hai convinto», bofonchiò lo Yautja.

La tavolata era rozza e i partecipanti erano piùdel previsto. All’inizio doveva essere una seratafra amici, qualcosa per pochi intimi, poi la voce siera sparsa e si erano presentati gli amici degli

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amici. A Jungle piaceva cucinare – o almeno quelpoco che per la sua cultura era considerato“cucinare” – e non aveva problemi a rimediare piùprovviste del preventivato. Da anni lavorava in ungrande mattatoio, dove poteva continuare aprovare l’emozione di uccidere esseri viventi, edera molto apprezzato dai proprietari umani: spessogli lasciavano portar via un paio di animali, come“premio di produzione”. Jungle poi usava isotterranei del locale di Achab per trattarli eorganizzava cenette fra amici.

Stavolta l’ampia sala del locale era piena diYautja, molti dei quali non aveva mai visto prima,ma poco importava: di carne ce n’era e laconfusione avrebbe aiutato a distrarsi.

Achab non era contentissimo di questa“invasione”, soprattutto perché essendo una cenatra amici nessuno pagava, ma con il combattimentodi quella sera Berserker gli aveva fatto guadagnareparecchio e quindi stavolta poteva lasciarlapassare: la prossima volta però si sarebbero fattiinviti precisi.

Una volta che ognuno ebbe preso posto ad un

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tavolo – erano troppi per un’unica tavolata – tuttisi rivolsero al proprietario: toccava a lui l’onoredel brindisi.

Achab alzò il suo calice come fecero gli altri,compreso Scar che in realtà stava già per iniziarea bere quando Machiko gli fece un brusco segno:doveva aspettare il brindisi. Achab fissò la paretedietro il bancone del suo bar, la parete che tuttinella sala potevano vedere, e dove tutti quelli checonoscevano l’usanza del locale avevano avutoaccesso. Sin dal primo giorno Achab infatti avevachiesto agli Yautja che aveva conosciuto discrivere sulla parete il nome del loro vecchio clan,e da allora tanti avevano tenuto fede allaconsuetudine: ora la parete era un unico, enormeaffresco di nomi di clan, centinaia e centinaia dinomi provenienti da ogni angolo della galassia.

«A tutti i nostri clan», disse Achab con vocetuonante. «E a tutti i guerrieri che abbiamo fattomorire per la nostra vigliaccheria...» E, dopoqualche attimo di silenzio tesissimo, finì: «che ungiorno possano tutti perdonarci.» E mandò giùd’un sorso il contenuto del bicchiere, seguito da

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tutti gli altri.Qualcuno spezzò il momento di tristezza con

una voce sgradevole. Quando gli venne chiesto diripetere, lo Yautja gracchiò: «Perché quell’umanaha brindato con noi? Questo è il nostro brindisi,che c’entra lei?»

Ecco qual era il problema ad organizzare unafesta “aperta” agli amici degli amici. Achab sivoltò verso chi aveva parlato e continuò ad usarela stessa voce potente di un attimo prima, agitandoil bicchiere vuoto in aria. «Machiko Noguchi èun’umana solamente nella forma, perché lei èYautja a tutti gli effetti. Ha avuto il suo FirstBlood, ha affrontato una Regina Aliena, hacombattuto al fianco del maestro Dachande e da luiin persona ha ricevuto il marchio che porta sullafronte.» Ed indicò il simbolo del clan che la donnaaveva inciso sulla pelle grazie al sangue acidod’alieno. «Machiko è una guerriera più valorosa dimolti in questa stanza, quindi non voglio piùsentire una sola parola in proposito. Se non vipiace dividere il vostro pasto con un’umana, sieteliberi di andarvene: nessuno vi tratterrà.»

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Il silenziò che seguì nascondeva una domandache tutti i nuovi del locale si stavano ponendo, unadomanda con cui Machiko aveva da tempo fatto iconti e trovato un equilibrio. Così si alzò e parlò avoce chiara. «Per due volte mi sono unita aiBlooded Warrior Yautja in una missione contro glixenomorfi e per due volte... ho scelto diparteggiare per la mia razza. La prima volta sonostata perdonata da un Elder perché ero necessariain una missione di vitale importanza, ma laseconda ha significato per me il disonore el’allontanamento.» Si guardò in giro con sguardofiero. «Vorrei vedere in faccia uno di voi cheparteggiasse per una razza diversa dalla propria:solo lui potrebbe criticare la mia scelta. Per ilresto, io non provo alcun disonore né vergogna:sono stata marchiata da Dachande, il migliorguerriero Yautja della sua generazione, e tanto mibasta a sentirmi una Blooded Warrior, al di là chenon sia riconosciuto a livello ufficiale.»

Machiko fece un cenno al giovane Yautjaaccanto a lui. «Oggi il mio amico Scar è statomarchiato da un altro grande guerriero, Achab, e

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spero che anche lui abbia capito quanto questo siaimportante.»

«Se avete finito di blaterare», intervenneJungle, «qui la cena si sta freddando.»

Tutti risero e iniziarono a mangiare, salvandoil giovane Scar dal problema di gestire isentimenti che stava provando: quello era il giornopiù felice da quando era stato scacciato dal suoclan, ricoperto di vergogna, e questo non è mai unabuona cosa, per un ex alcolizzato... Perché oraaveva una dannata voglia di festeggiare condell’alcol...

~

Scar si svegliò di colpo, tirando su di scatto latesta dal piatto dov’era appoggiata. La carne erastata ottima ma l’alcol era davvero roba dozzinale:probabilmente Achab aveva offerto il peggio dellasua cantina.

La testa gli doleva, e non solo per la feritaancora fresca. Aveva bevuto quel minimoindispensabile perché fosse inutile, da avere cioè

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solo gli aspetti negativi dell’alcol, senza potergodere di quelli positivi. Si girò attorno e tutti glialtri invitati dormivano chini sui tavoli ostravaccati da qualche parte. Non era stata unafesta così divertente, ma il pessimo alcol l’avevafatta finire presto.

Scar si alzò lentamente e da un rapido sguardocapì che mancavano solo Achab e Machiko: sel’aspettava. Quei due se la intendevano troppo,altro che semplici amici... Meglio per lui, perchécosì erano tutti distratti: era il momento giusto percercare qualcosa di buono da bere. Ora aveva unnome di battaglia, cazzo: era Scar, e questomeritava una bevuta. Una buona bevuta.

Non conosceva il locale, quindi lentamenteiniziò ad esplorarlo senza fare rumore. Altriguerrieri avevano imparato la furtività sul terrenodi caccia: lui l’aveva imparata a forza di rubarequa e là. Così come aveva imparato a muoversirapidamente nei posti sconosciuti.

In poco tempo trovò l’accesso ai sotterranei,dove sicuramente Achab conservava la “robabuona”, e scese in silenzio. Si aggirò per qualche

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secondo prima di vedere una luce che provenivada dietro l’angolo di una porta. La curiosità loportò ad avvicinarsi, finché Scar si appoggiò allaparete per ascoltare di nascosto le voci che sentivaprovenire dalla stanza: bastò poco perriconoscerle.

«Oggi posso usare la spada vera?» stavadicendo Achab. «Ne ho davvero bisogno: è statauna di quelle giornate che...»

«Non mi importa», lo fermò bruscamenteMachiko. «Quando siamo sul dojo non esistono“giornate” né altro: devi svuotare la mente. Ti hogià parlato del mushin, della “mente vuota”.»

Scar cedette alla curiosità e si affacciòlentamente. Vide un’ampia sala vuota, con alcentro Achab e Machiko accucciati sulle proprieginocchia, uno di fronte all’altro. Davanti a loro,in terra, quelli che sembravano due bastoni dilegno.

«Va bene, va bene», stava dicendo Achab.«Però se potessi sfogarmi un po’ riuscirei moltomeglio a svuotarmi la mente.»

Machiko scosse la testa. «Non sei qua per

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“sfogarti”, sei qui per meditare. E per annullarti.Non è in fondo il nostro sogno, l’annullamentototale?»

«Veramente io speravo di riuscire ad impararel’uso della katana», sbuffò lo Yautja. «E finora latua neanche l’ho mai vista: figuriamoci impararead usarla.»

La donna lo fissava molto seria. «La mia spadanon è adatta allo studio. La sua lama è quella cheha aperto la gola di mio padre, quando si èsuicidato dopo un crollo in borsa: il suo gesto hasalvato la famiglia dal disonore e dalla vergogna.Quando quella lama uscirà dal fodero... sarà peraprire la mia, di gola, e riportare l’onore nella miafamiglia. In tutte le mie famiglie. Solo allora saròricordata come l’allieva di Dachande...»

Achab chinò il capo. «Cazzo, anche qui sifinisce sempre a parlare...»

La donna scattò con velocità incredibile e,afferrando il bastone davanti a lei, si alzòleggermente: mise un piede davanti a sé e mentrela pianta del piede batteva in terra incontemporanea il bastone calava sulla testa di

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Achab. Il grido di battaglia di Machiko si fuse conil grido di dolore di Achab.

«Ma sei scema?» gridò lo Yautja.«Sii sempre pronto», rispose lei. «Mentre

pensavi alla vergogna passata, ecco che ne èarrivata una fresca.»

«Ma io...»Un’altra bastonata rapidissima colpì lo Yautja

al fianco. «Stai ancora pensando, Achab: svuota latua mente.»

«Ringrazia che sei mia amica, perché se no...»Un’altra bastonata. «Stai ancora pensando con

la testa: devi lasciare al tuo corpo il compito dipensare.»

Machiko caricò un altro colpo che partì congrande velocità, ma stavolta con altrettantavelocità Achab raccolse il suo bastone e lo parò inaria. Il potente schiocco del legno contro il legnorimbombò per tutta la sala, mentre i due rimaseroimmobili a fissarsi.

La donna sorrise. «Vedi? Il tuo corpo sapensare bene: sta a te ascoltarlo ed assecondarlo.»

Mentre li spiava, Scar si ritrovò a pensare al

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fatto che invece il suo corpo pensava male, e luinon sapeva opporgli resistenza. Il suo corpovoleva alcol e non aveva la forza di arginarequella sete profonda.

«Sei fortunata che sono mezzo ubriaco eassonnato», stava dicendo Achab. «Altrimenti tifarei vedere io...»

La donna rise. «A questo servono gliallenamenti: ad essere pronti quando non si èpronti. Se ti capitasse di dover affrontare unnemico quando sei in forma, nel pieno delle forzee concentrato, non ci sarebbero problemi.Purtroppo non capita quasi mai...»

Scar si allontanò lentamente, perché era tempodi continuare a cercare da bere. «Quando senti chestai per cedere, quello è il momento in cuicomincia il tuo allenamento.» La voce della donnalo raggiunse vividamente e per un attimo pensò chesi stesse rivolgendo a lui.

Il Predator rimase fermo, nel buio della sala.Davanti a lui una fioca luce stava lasciandoscorgere una serie di bottiglie. Era sul punto dicedere e quindi, stando alla frase di Machiko, era

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esattamente in quel momento che avrebbe dovutoiniziare il suo allenamento, era esattamente in quelmomento che doveva imporsi di resistere... Ma fuin quel momento che Scar capì di non avere alcunasperanza di resistere a se stesso... Non è facileessere uno Yautja senza onore in un mondo umano,continuava a ripetersi mentre si annullava.

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4Stazione mineraria “Shimada’s Hope”

L’uomo urlava a squarciagola ed agitavascompostamente braccia e gambe, mentreattraversava in volo la parabola che l’avrebbeportato a sfracellarsi nella radura circostante. Labuona notizia era che se fosse sopravvissutosarebbe stato libero di scappare: la cattiva notiziaera che sopravvivere forse non era auspicabile.

Lo shock gli impedì di provare dolore, mamentre roteava in aria l’occhio gli cadde sullapropria gamba, che dopo un’accecante scaricaluminosa cominciava a volarsene via, da sola.Mentre cadeva in terra l’uomo si disperavadell’arto che aveva appena perso, e pregò di nonsopravvivere all’impatto. Cadendo di testa su unterreno sassoso, fu accontentato.

Il grande Predator abbassò l’enorme fucilelaser, ghignando. «Questa roba va calibrata ma èpotente: avevo mirato alla testa e invece ho preso

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la gamba, ma va bene uguale.»Lo Yautja accanto a lui annuì. «Vuoi provare

ancora?»Il grande Predator si passò distrattamente una

mano sulla cicatrice che gli attraversava la fronte.Se la sentiva pulsare, segno che era infiammato,eccitato. «Sì», gracchiò con voce profonda. «Mastavolta aumentiamo la difficoltà, che vogliostudiare quest’arma: lancia dei bambini, che sonopiù difficili da prendere al volo.»

~

Locale “Big Game Pub”

Il sole era alto quando Machiko si presentònell’ampio salone. Rimaneva spesso a dormire nellocale, tanto che Achab le aveva riservato unadelle stanze che usava per ospitare gli amici dipassaggio. Di solito con “amici” intendeva Yautjache lavoravano per lui in varie attività, più o menolegali, ma per la donna intendeva il termine nelvero senso.

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Machiko non aveva mai rimpianto di averscelto la razza umana, anche perché durantel’ultima missione rimanere con gli Yautjasignificava rinunciare all’uomo che amava. Erastata una storia seria, quella, finché era durata:l’amarezza della donna e l’umiliazione di averperso un onore conquistato con enormi sacrificinon avevano certo aiutato la vita di coppia. OraMachiko preferiva la vicinanza con gli Yautja, concui almeno poteva condividere il dolore.

«Buongiorno», disse alla volta di Achab, chetrovò seduto a fare colazione. «Se sono già andativia tutti con le proprie gambe, vuol dire che haiservito poco alcol, ieri sera.»

La battuta della donna, riferita al fatto che tuttii partecipanti del banchetto della sera precedenteerano scomparsi, si scontrò con il volto serio ecrucciato di Achab. «Buongiorno», disse con vocerauca. «A proposito di alcol, ti ricordi il tizio chevolevi farmi assumere qui al bar?»

Solo allora Machiko fece mente locale: chefine aveva fatto Scar? Erano arrivati insieme eaveva dato per scontato che sarebbe rimasto a

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dormire in una delle stanze di Achab, ma se ne eracompletamente dimenticata e non pensava a luidalla sera precedente. Cominciò a guardarsiintorno velocemente, finché in un angolo lontanovide un Predator malamente accasciato su unasedia, appoggiato alla parete nel suo pesantesonno. «Cazzo...» bisbigliò la donna.

«L’hanno trovato i miei inservienti», disselentamente Achab. «Era sdraiato nella mia cantinadi vini pregiati, quelli che tengo per i clientiimportanti a cui spillare soldi. Meglio che non tidica quanto mi è costata la sua sbronza...»

«Mi spiace Achab, sono mortificata»,cominciò a bisbigliare Machiko, afferrandosi ilvolto fra le mani. «Sembrava che stesse meglio,che avesse superato... Giuro che ti ripagheròtutto...»

«Non è colpa tua, Machiko», la interruppesenza astio il proprietario del locale. «Facciamofinta che le bottiglie mi siano cadute in terra, non èquello il problema. La vera questione è quella cheti dicevo ieri sera: non puoi salvarli tutti.»

La donna cadde pesantemente su una sedia lì

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accanto, contorcendosi le mani. «A me basterebbegià salvarne uno...» Dopo qualche attimo disilenzio carico di tensione riprese a parlare abassa voce. «Quelli in gamba si salvano da soli,non hanno bisogno di me: il mio lavoro consistenell’aiutare chi non sa farcela da solo... e misembra chiaro che ho fallito miseramente.»

«Non dire così, la tua agenzia aiuta tantiYautja, non puoi fartene una colpa se non riesci asalvare qualcuno che è impossibile salvare.»

«Dica? Dica?»Achab e Machiko si voltarono di scatto verso

il Predator che aveva gridato: era Jungle che,mettendo a posto la cucina, si era affacciato estava gridando contro qualcuno. «Che cerca?»

«Con chi ce l’hai?» chiese Achab alla voltadell’amico.

Jungle si limitò a guardarlo con occhistrabuzzati e ad alzare una mano: stava indicandoqualcuno, che in quel momento entrò nel localefino a farsi vedere dal proprietario. Era un umano.

«Cazzo, ci mancava anche questa», sibilòAchab. Poi si alzò e cercò di parlare nella

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migliore lingua umana di cui era capace. «Midispiace, umano, per il rumore di ieri sera. Noncapiterà più.»

Achab sapeva per esperienza quanto possanoessere pericolosi i vicini che si lamentano per ilrumore, quando sei un mostro di due metriguardato male dalle autorità. Se arrivava un’altradenuncia rischiava di dover chiudere il locale.

L’uomo lo fissò con sguardo vacuo, e asorpresa rispose in lingua Yautja: «Non sonoumano, e conosco la vostra lingua.»

Achab aprì la bocca dalla sorpresa. «Che vuoldire che non sei umano?»

L’uomo parlò senza espressione. «Sono unandroide modello D, conosco tutte le lingue chepossano tornare utili ai miei padroni: lo Yautja èuna di queste.»

Machiko fissava la scena quasi con i sensiappannati, perché la mente era occupata daldispiacere ricevuto da Scar, ma riuscì lo stesso astuzzicare l’amico. «Parla lo Yautja meglio diquanto tu parli umano.»

Achab non la sentì, e iniziò ad avvicinarsi

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lentamente al nuovo venuto. «Credo che tu abbiasbagliato locale, androide. Qui siamo tutti Yautja,non sappiamo niente di robotica o che altro.»

L’androide accennò un sorriso, che sul suoviso risultò inquietante. «Allora sono nel postogiusto: ho chiesto a molti dove poter trovare deiguerrieri Yautja in città e mi è stato indicatoquesto locale.»

La parola “guerrieri” fu come un colpo difucile sparato nella stanza: a tutti ora fischiavanole orecchie. «Se sei venuto a sfottere...» cominciòa grugnire Jungle, ma Achab lo fermò con un gestodella mano.

«Sei stato male informato», disse all’androide.«Qui abbiamo tutti perso il grado di “guerrieri”:ora siamo cittadini pacifici...» Non gli venne inmente altro da dire, tanto quelle parole facevanomale a pronunciarle.

«Io non cerco Yautja con il grado diguerrieri», rispose calmo il sintetico. «Io cercoguerrieri Yautja.»

Jungle stava perdendo la pazienza ecominciava ad avvicinarsi alle sue pentole: stava

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provando il forte desiderio di smontare quelsintetico.

«Si può sapere a cosa ti servono dei guerrieriYautja?» chiese d’un tratto Machiko.

L’androide si rivolse alla donna. «I mieipadroni mi hanno fatto partire di nascosto da LV-617 con il preciso ordine di trovare guerrieriYautja in grado di aiutarli. Non ho avuto alcunaspecifica di controllare il “grado” di questiguerrieri.»

«Aiutarli in cosa?» chiese Achab, ormaiarrivato accanto all’androide.

«I miei padroni sono vittima dell’attacco diBad Blood, un gruppo di Yautja particolarmentespietati che le risorse umane della colonia“Shimada’s Hope” impediscono di fronteggiare.Quando sono stato lanciato nello spazio tramiteuna scialuppa di salvataggio sopravvissuta alladistruzione, i Bad Blood avevano preso solamenteuno degli edifici della città mineraria: le gridaumane che si sono sollevate da esso non fannosperare in eventuali superstiti.»

«Brutto affare», bisbigliò Machiko, che mentre

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l’androide parlava si era avvicinata ad Achab.«Anni fa, quando lavoravo per la Weyland-Yutani,ho sentito parlare di LV-617: è un sasso sperdutonella galassia, la Compagnia non sprecherà risorsea correre in aiuto.»

«Esatto», rispose il sintetico. «I miei padronihanno inviato un SOS ma dubitano fortemente chela Weyland-Yutani lo prenderà in considerazione.Le risorse minerarie si stanno esaurendovelocemente e da anni non riceviamo supportodalla Compagnia. Secondo il regolamento che ècontenuto nel mio database interno, poi, un’azionemilitare contro degli Yautja, anche se violentiassassini fuorilegge, va concordata con il GovernoYautja. I miei padroni dicono che è una situazionetalmente spinosa a livello politico chedifficilmente la Weyland-Yutani vi si imbarcherà,per salvare un gruppo di minatori sperduti che nonle servono più a niente.»

«Mi spiace per i tuoi padroni», disse Achabscuotendo la testa. «I Bad Blood sono bruttebestie, vivono esclusivamente per torturare euccidere: mentre stiamo parlando probabilmente

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gli umani di quel pianeta sono già tutti morti.»«Se sono fortunati», intervenne Jungle. «Forti

dell’impunità, probabilmente “giocheranno” con leloro prede il più a lungo possibile.»

Il silenzio cadde pesante nella stanza, ma nonaveva lo stesso significato per tutti. Machikorabbrividiva al pensiero degli umani in balìa dimostri, mentre i due Yautja invidiavano quellatotale libertà a cui loro avevano dovuto rinunciare.

«Proprio questo fornisce tempo per agire»,intervenne l’androide. «Sono atterrato qui solodieci ore fa, è improbabile che i Bad Bloodabbiano già ucciso tutti. La popolazione èrelativamente numerosa e la città è grande:plausibilmente gli assassini impiegheranno giornia trovare tutti gli umani che si sono asserragliatinegli edifici, così come è plausibile pensare chenon sentano alcuna urgenza di sbrigarsi.»

«Va bene», tagliò corto Achab, agitando unamano in aria. «Senti, un mio vecchio amico sioccupa di queste cose, e so che è ancora in città.Lo chiamo e ti faccio parlare con lui: vedrai che tifornirà i guerrieri Yautja che cerchi. Solo che non

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lo farà gratis.»«Io non ho potuto portare denaro con me, ma su

LV-617 sono sicuro che i miei padroni troverannoil modo di ricompensare questo tuo amico. Inoltreil capo dei Bad Blood è un noto ricercato, èprobabile che basterà la taglia sulla sua testa comerisarcimento.»

Achab e Jungle si fissarono d’un tratto negliocchi. «Uno Yautja ricercato talmente noto daessere riconosciuto da umani sperduti nel nulla?»

L’androide estrasse un tablet dalla tasca.«Quando ancora il mio database interno ricevevaaggiornamenti dalla Compagnia, venivanosegnalati i criminali che giravano per la galassia:la grande cicatrice sul volto rende quello Yautjaben riconoscibile.»

Achab, Jungle e Machiko si avvicinarono nonappena il tablet si accese, e quando apparve lafoto scattata su LV-617 tutti trattennero a stentoun’esclamazione.

«Stando alle informazioni in mio possesso,sebbene non aggiornate», disse placidamentel’androide, «il nome di questo leader Bad Blood

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è...»«Wolf», lo interruppe Achab.«Esatto», commentò il sintetico. «Quindi mi

confermate che è un criminale noto, con una tagliasulla testa.»

Nessuno rispose.Il sintetico si guardò intorno, passando da uno

all’altro dei suoi interlocutori in attesa chequalcuno prendesse la parola, ma erano tutti comerapiti a fissare la foto nel tablet. «Dal vostrocomportamento arguisco che conosciate già questocriminale.»

«Cazzo, Wolf...» bisbigliò Jungle, ignorando ladomanda dell’androide. «Se passi questainformazione al tuo amico Celtic, gli farai il piùbel regalo della vita.» Scuotendo la testa lo Yautjasi appoggiò al bancone. «Acchiappare quel mostrolo ricoprirà di gloria per sempre: tornerà subitoBlooded Warrior...» Jungle smise di parlarequando si vide addosso gli sguardi di Machiko edAchab. «Che ho detto? Perché mi guardate così?»

«E se lo prendessimo noi?» bisbigliò Achab.Jungle cominciò a passare lo sguardo

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dall’amico con gli occhi di fuoco alla donna,bianca in volto. «Cosa? Stai scherzando, spero... Amalapena qui ammazziamo un maialino permangiarlo, e vuoi dare la caccia al più pericolosocriminale Yautja della galassia?»

Achab scosse la testa, con il corpoimmobilizzato dall’emozione e dall’eccitazione.«Wolf non l’ha mai preso nessuno perché nessunosa dove sia», cominciò a parlare con la vocevibrante di agitazione. «Piomba su avampostiumani sperduti, massacra tutti e se ne va: alGoverno Yautja non interessa perdere tempo aprenderlo, visto che ammazza solo umani, e allaWeyland-Yutani non va di impelagarsi nellaquestione, perché ammazza solo poveracci supianeti ormai inutili. Questa è l’unica forza diWolf: essere sfuggente. Ma ora noi sappiamodov’è... e dove rimarrà per dei giorni...»

Jungle si portò le mani alla testa, sempre piùagitato. «Non puoi parlare sul serio, non... nonposso credere di averti sentito dire certe cose.» Sicominciò a muovere accanto al bancone, quasi inpreda a convulsioni. «Siamo l’ombra dei guerrieri

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che eravamo, Achab, e già allora non eravamochissà che. Siamo dei falliti, lo sai tu come lo soio: quand’è stata l’ultima volta che hai partecipatoad una missione sul campo? Hai il culo a forma disedia, Achab, come ti viene in mente anche solo dipensare di poter acchiappare Wolf?»

«È l’idea migliore che abbia mai sentito inquesto buco di posto.»

Tutti si voltarono e si resero conto cheBerserker era in piedi accanto a loro,probabilmente da abbastanza tempo per averascoltato i loro discorsi. «Riuscire nell’impresa èl’aspetto minore», continuò il lottatore. «Già soloil gesto di provarci ci riempirà di gloria.»

«Ci?» chiese sarcastico Achab. «Vuoi dire chenel caso faresti parte del gruppo?»

Berserker agitò una mano in aria. «Dove vai tuvado io, lo sai. E finalmente potrò zittirti quandocomincerai a rinfacciarmi la mia passatavigliaccheria.» Alzò le mani ad indicare i suoiascoltatori. «Non lo capite? Questo ci ripuliràtutti...»

«Ah», gridò Jungle. «Parla bene, lui: è

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allenato, fa a botte con chiunque ed è giovane, cioèun coglione che si butta a occhi chiusi su qualsiasicosa. Vuoi andare a farti ammazzare? Hai la miabenedizione. Ma tu, Achab, stai sbagliando digrosso.»

«Sbagliando in cosa?» sbottò l’amico. «Nelpensare come un guerriero dopo tanti anni passatia fare l’umano? Tu non sei stanco di sentirti unamerda ogni maledetto giorno della nostra vita?»

«Io non mi sento una merda, io sono sceso apatti con la mia nuova vita, ho un lavoro e sonorispettato...» Il silenzio che seguì fu più cheeloquente. Jungle si mise una mano sugli occhi.«Cazzo, suonava meglio nella mia testa...»

Achab mise una mano sulla spalla dell’amico.«Da anni cerchiamo giustificazioni per essere ciòche non siamo, ora invece possiamo finalmentetornare alla nostra vera natura. Siamo cacciatori, eabbiamo avuto la fortuna di sapere dove si trovauna preda ambita: è il momento di smettere dipensare come un umano e cominciare a pensarecome uno Yautja.» Achab alzò lentamente unbraccio e indicò Scar addormentato sulla sedia.

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«Lo vedi quell’ubriacone? Quanto pensi che civorrà prima che diventi anch’io come lui? Mi haivisto bere, no? Hai visto che sto aumentando ladose di giorno in giorno.» Afferrò il volto diJungle fra le mani. «Non voglio arrivare a quelpunto... non ora che la fortuna ci ha fatto questoregalo.»

Jungle lo fissava serissimo. «Come fai asapere che al momento giusto non ci faremoprendere dal panico e dalla vigliaccheria?»chiese. «Viviamo in questo inferno perché nessunodi noi è riuscito ad essere un guerriero, quandoeravamo giovani e forti: secondo te riusciremo adesserlo ora, dopo anni di inattività?»

Achab scosse il capo. «Non lo so, forse no,forse sì. So solo che da giovani avevamo un limiteche ora non abbiamo più.»

«Che limite?»Achab sorrise, amaramente. «Avevamo il

terrore di perdere l’onore, ed ora non l’abbiamopiù. Né il terrore... né l’onore. Quando non hai piùonore, niente ti può spaventare.»

Jungle grugnì. «Non è con queste belle frasi

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che cattureremo Wolf.»Achab e Berserker esultarono. «Quindi sei dei

nostri.» Non era una domanda.Jungle alzò le mani. «Non ho detto questo, ma

voglio sapere che piano hai: voglio assicurarmiche tu non ti faccia spingere dall’entusiasmo ebasta...»

Achab scosse le spalle. «Piano? Ho saputo diWolf due minuti fa, che piano vuoi che abbia?Dovrai aiutarmi tu a studiarne uno: mica vorrai checi pensi Berserker!»

«Ehi!», sbottò ridendo il lottatore.«Sicuramente ci serve altra gente.»Tutti abbassarono lo sguardo verso Machiko,

che aveva parlato. L’espressione degli Yautja eradi stupore. «Ci serve?» chiese Berserker.

«Non provateci neanche», disse la donnadecisa. «Io sono con voi, e questo non si discute.Di gloria ce ne sarà per tutti, quindi anche perme.»

«Ma la tua amica sa di chi stiamo parlando?»chiese Jungle ad Achab, indicando la donna.

«Sì, la sua amica lo sa!» rispose Machiko,

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seccata. «Con il mio clan anni fa ci siamo scontraticon alcuni Bad Blood della sua banda, mapurtroppo Wolf non c’era.»

«Ah, ma questo cambia tutto: ti rende perfettaad affrontarlo», disse sarcastico Jungle.

«Ora basta», intervenne Achab, «Machiko èuna dei nostri e se vuole venire è libera di farlo:non sarò certo io a impedire ad un guerriero dicercare l’onore perduto. E poi fra di noi è la piùallenata con le armi, che non guasta di certo.»

«Scusate», intervenne il sintetico. «Da questidiscorsi evinco che accettiate l’incarico? Lochiedo perché in caso contrario devo continuare acercare.»

Achab lo guardò serio. «Hai un nome,robottino?»

Il sintetico sorrise. «Mi chiamo Bishop 3.Sono stato progettato da...»

Achab calò il suo potente braccio sulla spalladell’androide, che smise di parlare, e sorridendogli disse: «Bishop 3... puoi scommettere il tuo culorobotico che accettiamo.»

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5Mentre Jungle chiudeva a chiave la porta del

locale, Achab e Berserker sgomberarono edunirono dei tavoli a formare un’unica grandesuperficie d’appoggio. Tutto per dare all’androidela possibilità di proiettare la piantina digitaledella città mineraria di Shimada’s Hope.

«Proiettare?» chiese dubbioso Bishop 3. «Nonsono dotato di un proiettore: credevo che voi neaveste uno da utilizzare.»

Gli Yautja si guardarono in faccia, prima cheAchab rispondesse. «Hai visto in che locale sei?Secondo te qua dentro ci sono proiettori?»

«Non c’è problema», tagliò corto il sintetico.«La città mineraria è stata progettata con unastruttura semplice e lineare», poi prese unabottiglia e la mise al centro del tavolo. «Questo èl’edificio centrale», poi prese un tovagliolo eglielo mise vicino. «Questo è un edificioadiacente», poi prese un altro tovagliolo, «questoè un altro edificio adiacente», poi prese un altro

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tovagliolo...«Ci sta prendendo in giro?» chiese agli altri

Jungle.Achab fissava allibito l’androide. «Amico, non

ci serve un modellino in scala della città fatto coitovaglioli, puoi anche smettere.» Si passò unamano sulla faccia. «Cominciamo bene, nonabbiamo neanche una mappa...»

«Non credo che sia un problema», intervenneMachiko. «Nel mio ufficio posso accedere a tuttele cartine che voglio: la posso trovare io unamappa di LV-617 aggiornata... o comunque piùprecisa di questa roba. Il problema è come poterlautilizzare, visto che nessuno di noi ha un computerda polso.»

«Andiamo», disse Achab a tutti, anche se stavarispondendo alla donna. «Ai vecchi tempi nonavevamo computer né altra tecnologia: si cacciavacon le mani e con il coraggio.»

Jungle scosse la testa. «Parli di tempimitologici, Achab. Se devi raggiungere un altropianeta ti serve tecnologia a quintali. Prima di tuttoserve un’astronave, poi serve qualcuno che sappia

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guidarla, poi serve il carburante, poi servonomappe per raggiungere LV-617. E una volta lìservono armi e strumenti con cui possiamocomunicare e sincronizzarci. Ti rendi conto che cimanca ogni elemento di questa lista?»

«Una cosa alla volta, risolviamo tutto», disseAchab con un tono di voce leggermente disperato.«Nessuno ha mai detto che sarebbe statosemplice.»

«Abbiamo superato la soglia del “nonsemplice”, amico mio», continuò imperterritoJungle. «Siamo nel campo dell’impossibile.»

«Perché invece di essere così negativo non ciproponi qualche idea?» intervenne Berserker.«Sappiamo tutti cosa ci manca, perché nonparliamo di come procurarcelo?»

L’androide voltava lo sguardo da uno Yautjaall’altro. «Siete dunque guerrieri senza armi esenza possibilità di lasciare questo pianeta, hocapito bene?» Seguì un attimo di silenzio. «Forse èil caso che continui la mia ricerca...»

«No!» lo trattenne Achab. «Non ci lasceremosfuggire la fortuna fra le mani: rasségnati ad avere

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noi, perché altrimenti dovrò staccarti la testa perimpedirti di rivelare ad altri la posizione diWolf.»

Minacciare un androide era quanto di piùinutile ci fosse, Achab lo sapeva benissimo ma erastato più forte di lui. Inoltre era per mettere le cosein chiaro: era disposto a tutto pur di sfruttare quelregalo del Fato.

«Io conoscevo delle persone alla Compagnia»,intervenne Machiko, «ma è passato del tempo... edubito fortemente che mi regalerebberoun’astronave.»

«Io conosco un sacco di gente che viaggia perlo spazio», disse Achab. «Il problema è che sonotutti molto poco raccomandabili: genteinaffidabile, che ci taglierebbe la gola un secondodopo la partenza.»

«Capite ora che la questione è troppo piùgrande di noi?» intervenne implacabile Jungle.«Già viaggiare fino a LV-617 è un problemainsormontabile, figuriamoci affrontare uno dei piùspietati criminali della galassia senza armi e senzaalcun tipo di tecnologia.» Gli altri avrebbero

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voluto zittirlo ma non avevano argomenti. «Cosavogliamo fare, come gli antichi? Faremo trappolecoi rami e foglie? O il nostro Berserker finirà apugni un gigante come Wolf?»

Achab calò il suo pugno sul tavolo, facendocadere la bottiglia sistemata dall’androide. «Cidev’essere un cazzo di modo...» sibilòrabbiosamente.

«Vi ci porto io, su quel pianeta...»Nel silenzio che seguì tutti alzarono la testa a

guardarsi: chi aveva parlato? Dopo qualchesecondo la risposta era tanto ovvia quantosorprendente. Quindi si girarono tutti verso Scar,che era ancora seduto e cercava di sopportare ilsuo mal di testa da dopo-sbornia. Lo guardaronostirarsi e massaggiarsi la testa, finché Achabchiese: «Stai parlando con noi?»

Scar li guardò con gli occhi semichiusi daldolore alla testa. «Sì. Se mi fate partecipare allamissione vi risolvo tutti i problemi.»

Seguirono altri momenti di silenzio, in cui tuttisi guardarono. «Mi sa che è ancora ubriaco»,sussurrò Jungle.

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Machiko lo guardava con occhi sofferenti:Scar era stato una tremenda delusione per lei,eppure ancora provava pena per lui. «Non sei incondizione di... Insomma, ci hai dato sottoparecchio, ieri notte.»

Scar annuì. «Mi spiace di averti deluso ancora,Machiko, ma ormai è inutile prenderci in giro: nonsarò mai altro che un fallito ubriacone... qui.»D’un tratto fissò gli altri con sguardo deciso. «Perquesto devo andarmene, prima di morire in modoancora meno dignitoso di come ho vissuto. Equesta è l’occasione giusta: affrontare Wolf sarà ilriscatto della mia vita, in qualunque modo vada afinire.»

«Quindi hai sentito tutto...» borbottò Achab,passando poi a fissare Machiko. «Un altro dannatoproblema...» Il sottinteso era chiaro ed era lostesso che valeva per l’androide: si doveva esseredisposti a tutto per impedire che le informazioniuscissero da quella stanza.

«Al contrario», disse Scar alzandosistancamente dalla sedia. «Non sono un problema,bensì la soluzione ai vostri problemi.» Si avvicinò

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massaggiandosi la schiena, poi estrasse qualcosada una tasca e la gettò sul tavolo. «Mi hai ospitatoa casa tua, Achab, mi hai dato un nome dabattaglia... e io ti ho svuotato la cantina», disse convoce neutra. «Questo è il minimo che possa fareper sdebitarmi.»

Nessuno parlava e tutti guardavano il montarozzo di piccoli oggetti che Scar aveva gettato sultavolo. Achab non capiva. «Che diavolo sono?Carte?»

«Chiavi digitali sprotette», spiegò Scar,iniziando a parlare a tutti i presenti. «Machiko vipotrà confermare che il guardiano notturno è illavoro più richiesto per gli Yautja, perché unbestione nell’edificio tiene lontani i ladruncoli.Però né Machiko né gli altri umani hanno pensatoche i ladri... potremmo essere proprio noi.» Ladonna lo fissò strabuzzando gli occhi. «Quellesono solo un mazzo delle tante chiavi che hoduplicato durante i miei lavori di guardia notturna:ho prestato servizio nei magazzini di mezza città,stanotte stessa potremmo andare a fare il pieno ditutta la tecnologia che volete. Anche se la metà di

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quelle chiavi non dovesse più funzionare, vigarantisco un equipaggiamento come non ne avetemai avuto, neanche da Blooded Warrior.»

Mentre tutti fissavano allibiti le chiavi,Machiko pensava all’ulteriore delusione subita.«Quindi mentre io cercavo di riabilitarti...»

Scar non la fece finire. «Io sono un ubriacone esono riuscito a fare ben poca cosa. Ma ho amiciche mediante questi lavoretti hanno fatto molto dipiù. Se mi fate entrare nel gruppo, vi porto da unmio caro amico... che può fornirvi un’astronave.»

Dopo attimi di silenzio teso, Jungle esplosealla volta di Achab. «A questo siamo arrivati? Adare ascolto ad un ubriacone? Guarda caso hasottomano un’astronave... Solo io trovo ridicolotutto questo?»

«Il mio amico fa il guardiano notturno in unhangar della Weyland-Yutani: roba di bassoprofilo: commerciale, non militare. Niente soldati,niente armi. Quando una nave arriva l’equipaggiova ad ubriacarsi e affida la custodia al mioamico... Vi offro di entrare in un’astronave senzaneanche dover forzare la porta.»

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Achab lo fissava. «Non mi sembri il ragazzoimpacciato che è entrato nel mio locale ierisera...»

Scar rise. «Perché mi riesce male fare il bravoYautja amico degli umani: ora sto parlando comeun Predator in cerca di gloria, che vuoleallontanarsi il più possibile da questi insetti...» Sivoltò di scatto verso Machiko. «Te esclusa,ovviamente.» La donna scosse la testa. «Portatemicon voi e non vi deluderò... O meglio...» agitò lemani in aria. «Probabilmente vi deluderò, maalmeno non lo farò per debolezza.»

«Tanto non ci sarà alcol in questa missione»,disse sorridendo Berserker.

«Se quello che hai detto è vero...» Achab lofissò per eterni secondi. «Allora per me sei dellapartita.» E gli allungò la mano stretta a pugno.

Scar sorrise e rispose al pugno con il suopugno. «Sarà un onore morire insieme a voi.»

Il gelo si stampò sul volto di tutti.

~

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Mentre gli altri parlottavano e stilavano pianid’azione, Machiko afferrò Scar per una mano e lotrasse in disparte. «Quindi è questo che facevimentre io cercavo di aiutarti? Rubavi nei posti dilavoro che ti procuravo?»

Scar agitò le mani. «Tecnicamente non horubato nulla: ho solo fatto duplicati di chiavi estudiato l’interno dei vari magazzini, proprio invista di un’occasione come questa. Sapevo che ungiorno avrei raggiunto il fondo e volevo avere lapossibilità di fare qualcosa, prima di ubriacarmi amorte.»

«E ovviamente quando mi vedevi ammattire acercarti un lavoro, dopo che ne perdevi uno dietrol’altro, non hai pensato di rincuorarmi, dicendomiche lo facevi apposta: consolandomi dicendo chenon ero io incapace di aiutarti ma eri tu un fottutocospiratore.»

Machiko si afferrò il volto con una mano,mentre Scar rispose con tono pacato. «Lo senticome parli? Ti sembra che avrei mai potuto dirtiuna cosa del genere? “Cospiratore”... chissà,magari se non mi piacesse ubriacarmi lo sarei

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diventato sul serio.» Afferrò dolcemente la donnaper le spalle. «Tu sei una di noi e sono il primo adirlo... ma sei un’umana. Sono sicuro che certecose le capisci con la testa, ma credo che non lesenti di pancia: io sono straniero in terra straniera,con un nugolo di insetti umani che ronzano intornoa me e che mi fanno paternali. Non puoi chiamarmi“cospiratore” se cerco di studiare un modo perallontanarmi da questo inferno.»

Machiko si tormentava e cercavadisperatamente qualcosa da opporre allo Yautja:doveva giustificare la sua indignazione, ma erainutile. Scar aveva ragione, non avrebbe maipermesso che proseguisse il suo operato, avrebbefatto di tutto per ostacolarlo: forse non sarebbemai arrivata a denunciarlo, ma di sicuro avrebbeinventato mille sistemi.

D’un tratto le venne in mente una carta facileda giocare. Machiko alzò lo sguardo sofferenteverso il suo amico. «Sai cosa vuol dire essereumana ed aiutare gli Yautja in disgrazia? Che glialtri umani mi considerano peggio di voi. Cosìsono una Yautja per gli umani e un’umana per gli

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Yautja, e poi scopro che uno dei pochi a cui tengomi ha mentito e ha complottato alle mie spalle..»

Scar non rispose, ma si intromise Achab. «Orabasta rimbrotti, Scar ne ha avuti anche troppi.Ormai siamo tutti compagni di caccia, e fra di noinon si fanno paternali.»

D’un tratto arrivò la voce di Jungle. «Invece diblaterare, perché non state studiando un pianorazionale? O pensate di far fuori Wolf stordendolodi chiacchiere?»

Achab sbuffò e Machiko si ritrovò a sorridere.«Niente paternali, va bene... ma qualcuno lo dicaanche a Jungle.»

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6«Dài, muoviti più veloce!»Berserker riusciva a gridare i suoi ordini senza

mostrare il minimo accenno di fiatone, mentreinvece Scar non riusciva neanche a respirare:figuriamoci a parlare.

«Non muoverti sempre nella stessa direzione,sei prevedibile. Gira, cambia, muoviti.»

Bisognava aspettare la sera per iniziare adentrare nei magazzini di nascosto e rimediarequanta più attrezzatura possibile, e tutti si eranodivisi dei compiti così da ottimizzare i tempi.Berserker era il più in forma di tutti e si offrì difare alcune sessioni di allenamento, “per togliereun po’ di ragnatele dai muscoli” aveva detto.Jungle e Achab avevano subito rifiutato: quellepoche energie che rimanevano loro non era il casodi sprecarle in allenamento. Non avrebbero avutoil tempo di ritrovarle. Scar invece accettò: non erastato mai allenato, e un minimo era sempre megliodi zero.

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Seguì Berserker nell’arena sotterranea dellocale e si ritrovò a tenere le mani strette a pugnodavanti alla propria bocca. «È una tecnica del tuovecchio clan?» chiese.

L’altro gli sferrò un pugno leggero che siinfranse contro le mani di Scar. «Serve aproteggere il volto dai pugni», disse il lottatore.«Non è una tecnica Yautja, l’ho imparato dagliumani: non tutto della loro cultura è da buttar via.Avendo la testa debole si sono inventati questomodo per proteggerla, ed essendo ignoto agli altriYautja è un vantaggio: nessuno si aspetta che ioadotti una tecnica di combattimento umano, cosìprendo tutti alla sprovvista.»

D’un tratto mimò alcuni pugni potenti che perònon portò fino alla fine. Per lo spavento Scarcontrasse le braccia e in pratica si picchiò da solocon i propri pugni. «Ovviamente è una tecnica cheva studiata», rise Berserker.

«Pensi che entro stasera sapròpadroneggiarla?»

Il lottatore rise. «Ovviamente no. Mi interessadi più vedere se hai fiato. Non so se arriveremo

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allo scontro fisico, ma di sicuro dovremocamminare e correre, con del peso sulle spalle:per questo ti sto facendo saltellare, voglio vederese hai fiato abbastanza anche solo per avvicinarciai Bad Blood.»

Era chiaro che non ne aveva.

~

Il peso era un problema per tutti: nessuno diloro era così allenato da riuscire a marciare conl’equipaggiamento al completo, a cui andavaaggiunto cibo ed acqua. Non sapevano seavrebbero trovato un avamposto dove soggiornaree dove lasciare i bagagli, quindi dovevano partiredall’idea di doversi portare tutto addosso. Ancheammettendo di riuscire ad arrivare con l’astronaveil più vicino possibile all’accampamento dei BadBlood – ed era tutt’altro che scontato – lo stessoavrebbero dovuto marciare e c’era anche il seriorischio che prima o poi avrebbero dovuto correre.E probabilmente questo li avrebbe uccisi prima diqualsiasi scontro con Wolf.

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Jungle aveva sottolineato ogni problematicapiù e più volte, mentre con Achab preparava ibagagli. Avevano fatto scorta di tutto il cibo adattoalla situazione, dividendolo in razioni che ognunosi sarebbe portato appresso, trovando il giustoequilibrio fra il peso e il fabbisogno alimentare. Ilvero problema era però l’acqua: le borracce atracolla non ne portavano tanta da coprire unalunga missione in territorio nemico. Se nonavessero trovato scorte a “Shimada’s Hope”,allora avrebbero dovuto fare in modo di sbrigarsiad affrontare i Bad Blood prima di rimanere asecco.

Mentre preparava i kit di primo soccorso pertutti, Achab borbottava. «Dovremmo passarequesto tempo ad affilare lame e a caricare i fucili,e invece sto arrotolando bende...»

Jungle sbuffò. «Sono passati i tempi in cui ci sigettava nella mischia ad occhi chiusi: ora la verabattaglia si organizza a tavolino.» Indicò una delleborracce. «Arrivare davanti a Wolf con unprincipio di disidratazione non aiuterebbe dicerto.»

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«Visto che siamo già pesanti così, io direi dilasciare a casa il kit per sbiancare le ossa e farnetrofei.»

Jungle scattò a fissarlo, indignato. «Ma cheYautja sei diventato? Ora non esageriamo: con itrofei non si scherza, quindi quel kit lo portiamoeccome.»

~

Machiko aveva presentato Bishop 3 comel’androide di un importante dirigente della società,così da giustificare la sua presenza. Già era stranoche la donna si presentasse di sabato negli uffici, evisto che era accompagnata da un estraneo lavigilanza fece storie: appena sentirono un nomeimportante aprirono tutte le porte alla coppia.

Dal suo terminale Machiko scaricò ognicartina esistente di LV-617, scoprendo che eranotutt’altro che aggiornate. Sembrava che da qualcheanno la Weyland-Yutani avesse dimenticato quellacolonia umana. «La Compagnia è una madrecrudele», disse la donna quasi fra sé e sé.

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«Appena i figli non sono più produttivi, vengonodimenticati per strada.»

Bishop annuì, seguendo un comportamento pre-impostato che si era rivelato sempre eccellente: inassenza di risposte da dare, era sempre ottimaleannuire. Agli umani piaceva molto.

Machiko scaricò nella memoria interna delsintetico ogni cartina che riuscì a trovare di“Shimada’s Hope” insieme a qualunque datoriuscisse a raggiungere. Era tutto molto pericolosoma ne avevano parlato ed era un rischio calcolato.

Tutti quei movimenti di Machiko sarebberostati registrati e quando sarebbero iniziate leindagini la Compagnia avrebbe impiegato unattimo a scoprire che fine avessero fatto la donna ealcuni altri Predator scomparsi nel nulla.Contavano di partire l’indomani, domenica, equesto voleva dire che ci sarebbero voluti almenodue o tre giorni perché le varie assenzeingiustificate avrebbero destato la curiosità diqualcuno. Sicuramente l’assenza di Machikosarebbe stata la prima ad essere notata, ma eradifficile che questo mettesse in guardia qualcuno:

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ne spariva tanta di gente, ogni giorno. Quando peròle denunce di scomparsa di alcuni Predatorsarebbero state analizzate, scoprendo che eranotutti legati in qualche modo a Machiko, la quale ilsabato precedente aveva scaricato mappe di unacolonia su un altro pianeta, la situazione sarebbecambiata: c’era anche la seria eventualità che laWeyland-Yutani mandasse dei Colonial Marinessu LV-617 per scoprire il motivo diquell’interesse improvviso. Non era raro chequalcuno scoprisse risorse nascoste a cui laCompagnia non aveva fatto caso, quindi le indaginisarebbero scattate immediatamente.

Quindi Achab e gli altri avevano pochi giorniper la loro missione, ma vedendola da un altropunto di vista... avevano tutto il tempo del mondo.Perché nessuno di loro aveva un addestramentotale da sopravvivere tutti quei giorni in territorionemico. In un territorio gestito da uno dei piùpericolosi criminali Yautja della galassia.

Se mai un giorno la Compagnia avrebbeindagato su LV-617, avrebbe trovato solamenteuna città fantasma piena di cadaveri. Alcuni dei

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quali Yautja.Machiko rabbrividì, si scosse da questi

pensieri e staccò il cavo di collegamento delsintetico. «Forza, andiamocene da qui.»

~

La giornata era stata dura per tutti e con il buioera scesa anche la stanchezza. E loscoraggiamento. Come potevano affrontare unmostro come Wolf se già una giornata movimentatali aveva fiaccati tutti? Cercarono di non pensarci,anche perché c’era un problema a distrarli.

«Lo ammetto», disse Scar dopo l’ennesimorimbrotto. «Avrei dovuto scrivere sulle chiavi ilmagazzino a cui erano collegate.»

Era il quarto magazzino che stavano forzando,e il morale era basso. Dopo un deposito digiocattoli, uno di suppellettili e uno di libricominciavano ad essere dubbiosi che quella serasarebbero riusciti a trovare delle armi o qualsiasialtro equipaggiamento utile. E non avevano altrotempo, visto che il giorno dopo dovevano partire.

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«Se è un altro deposito di giocattoli, stavoltame ne prendo qualcuno», rise Berserker. «Mipiace sorprendere gli avversari: ve l’immaginatela faccia di Wolf quando gli tireremo addosso deimattoncini Lego?»

«Beato te che hai la forza di scherzare», dissesbuffando Jungle. «Io non sento più le gambe.»

Achab grugnì. «Nel tuo caso non dovresti piùsentire la lingua: hai mosso solo quella, per tutto ilgiorno.»

Prima che la discussione degenerasse, Scarriuscì ad aprire la porta: anche quel magazzino nonaveva cambiato il codice di sicurezza. Avevascoperto che lo facevano raramente econtrovoglia: cambiare tutte le carte d’accesso eranoioso e dispendioso, quindi se non c’erano motividi sicurezza per farlo di solito il codice rimanevalo stesso. Questo però poteva essere un cattivosegno: un magazzino di giocattoli non sentivaminacce alla propria sicurezza, quindi se anchequella chiave aveva funzionato...

Scar entrò per primo, seguito in silenzio daglialtri. Cercò di ricordare quando aveva lavorato in

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quel magazzino ma era davvero difficile ricordarsitutti i posti in cui era stato. Oltre al fatto che dinotte tendevano ad essere tutti dannatamenteuguali.

«Dove dobbiamo andare?» bisbigliò Achab.Scar rimase in silenzio. Quel luogo sembrava

familiare ma non riusciva a ricordare...«Andiamo di qua?» chiese Berserker

muovendosi verso una vetrata. Affacciandosi,imprecò fra i denti.

«Che succede?» chiese preoccupato Achab.«Macchine!» sibilò il lottatore. «È un fottuto

deposito di automobili», specificò indicando lavetrata, dalla quale si poteva ammirare un enormeparco macchine scintillanti.

Tutti si voltarono verso Scar, che solo in quelmomento si riscosse dal suo torpore. «Oraricordo!» Indicò la vetrata: «quelle auto sonomesse lì come copertura, perché eventuali ladri levedano subito e si concentrino su di loro.Ignorando questa porta...»

Si avvicinò ad una porta e cominciò a provarele varie chiavi per cercare di aprirla.

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«È un bagno», disse sconsolato Jungle. «Lovedi quel simbolo? Lo si trova in tutti i bagniumani.»

«Sì, è una copertura perfetta», disse Scarmentre continuava ad armeggiare per trovare lachiave giusta per aprire la porta. Dentro di sé simalediceva per essere stato così stupido da nonannotare la provenienza di ogni chiave, ma era ilprimo ad ammettere che l’essere un ubriaconerovinava parecchio la sua astuzia.

«Stiamo perdendo tempo prezioso», sussurròJungle ad Achab.

«Se hai idee migliori sono tutt’orecchi», glirispose l’amico.

«Ecco!» gridò Scar, nel momento in cui riuscìad aprire la porta. Un secondo dopo l’attraversòmentre tutti si ritrovarono ad inseguirlo di corsa,chiedendosi perché mai ora si dovesse correre.

Un secondo dopo Scar era in fondo allascalinata ed aveva accesso la luce. Gli altriscesero di corsa e non fecero in tempo a chiedergliil motivo di quel comportamento, perché rimaserosenza fiato.

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«La compra-vendita di auto di lusso è solo unacopertura», stava dicendo Scar con un sorriso sulvolto. «Il proprietario di questo magazzino trafficain armi.» Davanti ai loro occhi c’era un magazzinopieno di armi da fuoco di ogni calibro. «È tuttaroba di basso profilo, così che la Compagnia fafinta di non vedere, ma a noi va più che bene.»

«Scar», lo chiamò Achab.«Sì?»«Sono armi umane.»Lo Yautja rimase un attimo interdetto. «Lo so.

E allora?»«Che cazzo ci facciamo?» gridò Achab. «Le

nostre dita sono troppo grandi per i grilletti!»Il sorriso scomparve dalla faccia di Scar.

«Davvero? Ma sei sicuro?» Cominciò abalbettare. «Io... io non ne ho mai imbracciata unama credevo... Non possono essere così piccoli igrilletti...»

Mentre Achab si prendeva la faccia tra le manie ripassava ogni bestemmia che conosceva, Junglesi era fatto avanti in un silenzio che non era da lui.«Forse non è stato del tutto inutile», disse d’un

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tratto, in tono pacato.Si mise ad accarezzare lentamente un’arma su

cui gli erano caduti gli occhi. Un’arma potente.Un’arma gigantesca. Un’arma che andava beneanche per la taglia di uno Yautja.

Una enorme mitragliatrice portatile M134Minigun.

Jungle la ammirò quasi in estasi. E bisbigliòqualcosa che gli altri non sentirono. Qualcosa chegli si era impressa a fuoco nella mente quandol’aveva sentita, molti anni prima. Qualcosapronunciata dall’uomo folle che gli avevascaricato addosso la mitragliatrice.

«Yeah baby, havin’ some fun tonight...»

~

Quando uscirono dal magazzino erano tuttiappesantiti, quasi al limite delle forze. Ognunoaveva agguantato quante più armi potesse,scegliendo fra quelle con il grilletto più largopossibile. Nessuno era soddisfatto, quelle armierano frutto di millenni di tecnologia umana: con

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gli Yautja non avevano nulla a che vedere. Nonerano armi con cui si sentivano a proprio agio. Einoltre erano quelle con cui gli umani li avevanoaffrontati da sempre: erano le spregevoli armi diun odiato nemico, usarle non faceva piacere anessuno.

Ad eccezione di Machiko, che invece nondisdegnava il fucile che si era messa a tracolla e ledue Glock che si era infilata in tasca. Non avevasenso appesantirsi con grandi calibri, impossibilipoi da usare per la sua corporatura: con armipiccole ma precise avrebbe ottenuto molto di più.

«Non mi è mai capitato di armarmi per unabattaglia senza neanche un laser», stavaborbottando Achab.

«Per come stanno andando le cose, ringrazia dinon dover usare bastoni di legno», bofonchiòJungle, che stava ansimando a trasportare lapesantissima mitragliatrice.

«Sei un pazzo a portarti dietro quel macigno»,intervenne Berserker. «Sarai a pezzi prima di faredieci metri.»

«I giovani! Non hanno rispetto per i vecchi

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guerrieri...»Era ovvio che non era fattibile portarsi dietro

quella mitragliatrice, ma Achab per ora non volevadeludere l’amico. Anche perché c’era unaquestione che gli ronzava in testa. «Scar, spiegamiuna cosa», chiese, «quando ti hanno licenziato daguardia notturna di questo posto, hanno assuntoqualcun altro?»

«Credo di sì», rispose con il fiatone ilgiovane, che chiudeva la fila.

«E come mai non abbiamo incontrato nessuno aguardia del magazzino?» chiese Achab... e poi siritrovò a terra. Senza capire cosa l’avesse colpitoné rendendosi conto anche solo d’essere statocolpito.

Prima che gli altri avessero il tempo di capirecosa stesse succedendo, un altro colpo mandò aterra Berserker. In modo rapido e preciso.

«Fermo! Sono io, mi riconosci?» gridò Scar.Ci vollero lunghi, eterni attimi agli altri per

rendersi conto che qualcuno aveva colpito i lorodue amici, e che ora quel qualcuno si stavamaterializzando davanti a loro. Era uno Yautja

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corpulento ed armato di tutto punto, che li fissavaattraverso la sua maschera, e che nascondeva ilbraccio dietro la schiena per non far vederel’assenza della mano sinistra.

«Compagni», disse quasi con enfasi Scar, «hol’onore di presentarvi un mio amicoparticolarmente agguerrito: City Hunter.»

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7«Forse ho capito male: voi... vorreste andare

ad affrontare Wolf?» In quel “voi” c’era così tantodisprezzo misto a stupore che ci volle qualchesecondo di silenzio per smaltire tutta quellanegatività.

Scar aveva dovuto spiegare all’amico CityHunter il motivo di quel furto serale, e vista laquantità di armi che tutti avevano addosso eradifficile trovare altre giustificazioni se non la puraverità. Così gli raccontò della missione e dei BadBloods su LV-617, mentre Achab e Berserkerlentamente riprendevano conoscenza.

«E pensate che con quelle stupide armi umanepossiate affrontare un nemico di quella stazza?»

«Se hai finito le domande, amico», intervenneJungle, «potresti magari indicarci dove potremmotrovare qualche bel laser, di quelli buoni.» Alzò lamano ad indicare la spalla dell’interlocutore. «Tune hai uno niente male: hai un permesso specialeper portarlo?»

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Lo Yautja, che nel frattempo si era tolto lamaschera, strabuzzò gli occhi. «Diciamo che è unpatto che ho stretto con i miei capi: con il laserposso garantire una protezione migliore, e lorofanno finta di non sapere che giro armato.»

Scar gli diede una pacca sulla spalla e poi sirivolse agli altri. «Ci serve uno così: dobbiamoportarlo con noi.»

Machiko e Jungle alzarono le mani. «Devichiederlo ad Achab, è lui il capo.»

Tutti si voltarono a guardare Achab a terra, chesi massaggiava il collo. «Si può sapere che cazzoè successo?» stava borbottando.

«Il nostro nuovo compagno di missione ti haappena dimostrato quanto vale», disse Scaraiutando l’altro ad alzarsi. «Inoltre venendo connoi ci assicura armi di alto livello, vistal’attrezzatura che si porterà dietro.»

City Hunter grugnì. «Non ho mica detto cheverrò con voi.»

Anche Achab grugnì. «Nessuno te l’ha chiesto,infatti.»

«Andiamo», tornò all’attacco Scar. «Deve

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venire con noi, guarda quanta roba ha addosso! Epoi è allenatissimo, ti ha messo fuoricombattimento con un soffio: ci serve uno così.»

«Scar, vuoi darti una calmata?» gridò Achab.«Scar? Da quando ti chiami così?» chiese City

Hunter.Il giovane Yautja lo guardò sorridendo poi

mise un braccio sulla spalla di Achab. «Mi habattezzato lui, proprio ieri», e mostrò orgogliosola ferita sulla testa. «Ora anch’io ho un nome dabattaglia.»

L’amico fissò stupito Achab per alcunisecondi. «Perché hai fatto una cosa del genere? Èun grande onore... che non so se lui merita.»

Scar incassò male la frase: il sorrisoscomparve dalla sua faccia lasciando spazio ad unbroncio seccato.

«Ancora non lo conoscevo», rispose Achab,sempre massaggiandosi il collo. «Ora vorreiferirlo di nuovo, ma per motivi diversi dalbattesimo...»

City Hunter sorrise. «In questa città non èfacile trovare gentilezza o anche solo amicizia,

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specie fra di noi. L’amarezza della nostracondizione ci rende spesso astiosi gli uni con glialtri. Non parliamo poi di chi è come me...» elentamente mostrò a tutti il proprio braccio privodi mano. «Essere senza onore e senza integritàfisica... è qualcosa che tiene lontani molti Yautja.Solo un sognatore come... come Scar, può esserecosì pazzo da proporre una missione pericolosa aduno sciancato come me.»

«Ridicolo», disse sferzante Berserker,dolorante. «Ci hai atterrati entrambi prima chepotessimo renderci conto di qualsiasi cosa: a mesembri in piena forma.»

«Già», disse Achab. «Per cui a questo puntorinnovo l’invito di Scar, visto che ora tiene ilbroncio e non può rinnovarlo lui: vuoi venire connoi? Ci serve dannatamente qualcuno in forma... econ armi Yautja.»

I due si guardarono per un lungo momento, poiCity Hunter sorrise. «Cosa mi impedisce di farviarrestare tutti per furto e andare da solo aricoprirmi di gloria contro Wolf?»

Una ventata di nervosismo calò

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all’improvviso, ma Achab mantenne lo sguardo.«Perché da solo, e senza una mano, andresti solo afarti ammazzare come un cane. Insieme...» scrollòle spalle. «Insieme, qualcuno potrebbe anchetornare vivo.»

City Hunter ed Achab si fissarono per qualchesecondo, poi il primo allungò la mano destra apugno alla volta dell’altro. «Sono dei vostri. Espero di essere fra quelli che torneranno vivi.»

Nessuno apprezzò la battuta. Se era unabattuta...

~

«Scordatelo, due nomi sono troppi: io tichiamo City e basta.»

«Ma non ha senso, io mi chiamo City Hunterperché da sempre il mio terreno di caccia è lacittà.»

«Appunto, quindi City ti si addice allaperfezione.»

«Ma non sono una città, sono un cacciatore dicittà...»

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L’attesa si stava facendo snervante e i bisticcifra Achab e City Hunter non sembravano più cosìdivertenti come all’inizio.

La domenica era passata velocemente, fra gliultimi preparativi, un lungo sonno ristoratore e unpasto d’addio al pub di Achab. Nessuno lo disseapertamente, ma tutti sapevano che in qualsiasimodo fosse andata la missione... non c’era ritorno.Non lì, almeno. Non in quel mondo umano.

Per chi fosse sopravvissuto c’era il ritorno nelclan d’origine a reclamare l’onore perduto – unsogno che elettrizzava tutti – mentre per gli altri...Be’, una morte onorevole era mille volte meglioche quella vita umiliante. Alla fine ne convenneanche Jungle, anche se non lo disse: da sempliceosservatore d’un tratto si considerò parte fondantedella missione senza avvertire nessuno. Macellareanimali lo divertiva, ma tornare a combattere esoprattutto tornare ad essere un Blooded Warrior...questo lo divertiva molto di più.

La cena fu veloce e tutti cercarono di nonparlare dell’impegno che li attendeva. Solamenteall’inizio Achab propose un brindisi: «Quando

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racconteranno la nostra impresa... che il nome ditutti noi venga scandito con orgoglio.» Era il sognodi ogni Yautja. Soprattutto di quelli senza piùonore.

Avevano lasciato il locale tutti fomentati maanche timorosi: un universo di pericoli si aprivadavanti a loro, ed era difficile separarel’eccitazione dalla paura. Achab chiusevelocemente la porta dietro di sé e seguì gli altrisenza voltarsi indietro. Non l’avrebbe maiammesso, ma gli straziava il cuore abbandonareper sempre il suo locale, che aveva rappresentatola sua intera vita per così tanti anni. Laconsapevolezza che sarebbe stata la sua bara,imbottita di umiliazione e vergogna, nonstemperava il dolore di lasciare qualcosa che siconsidera la propria casa. Se si fosse voltatoavrebbe vacillato, perciò andrò dritto e deciso.

Dopo una vita senza onore, era tornato a capodi un manipolo di guerrieri, anche se di livello benmisero. Stavolta Achab non era più un ragazzoardimentoso, non era più un guerriero acerbo.Stavolta era senza energia, senza speranza e senza

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onore: la morte non aveva più alcun potere su dilui...

~

Una lunga attesa era davvero l’ultima cosa chetutti si sarebbero aspettati, come primo atto dellamissione.

Raggiunsero il porto camminando per le stradepiù isolate e buie, perché nessuno si accorgesse diloro e li segnalasse alle autorità prima del tempo.Aggirarsi per la città con borse piene a tracollanon era solo faticoso: era umiliante. «Anche aivostri tempi i guerrieri si portavano la borsa?»chiese Berserker, sghignazzando.

«Abbiamo capito», sibilò Jungle. «Tu seigiovane e noi siamo vecchi: possiamo considerarechiusa la questione?»

Girare per la città con armi in vista non eraaffatto una buona idea, così optarono per borsenere che si nascondessero nel buio: ci sarebbestato tempo su LV-617 per “truccarsi” da guerrieri.

Arrivare al porto fu più faticoso del previsto,

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semplicemente perché rivelò a tutti il propriogrado di allenamento. Berserker e City Huntererano quelli in forma migliore, oltre Machiko cheperò aveva un carico più leggero. Jungle, Achab eScar avevano il fiato corto. Il che era davvero unbrutto segno. «E abbiamo camminato su comodestrade asfaltate», sottolineò Jungle fra un respiropesante e l’altro.

«Forza, chiama il tuo amico», tagliò cortoAchab.

Scar indicò in alto. «Credo ci abbia già visti.»Tutti alzarono di scatto lo sguardo e videro un

oggetto che volava sopra di loro. «Un drone!»esclamò City Hunter. «A noi è vietato utilizzarli:sicuro che sia il tuo amico?»

Scar sorrise. «Anche portare un laser da spallaè vietato, eppure tu ieri sera ne avevi uno.» L’altronon rispose. «Quando lavori per loro, gli umanidiventano d’un tratto molto elastici con le regole,se hanno un vantaggio.»

~

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L’attesa era snervante. Avevano dato perscontato che in porto ci fosse almeno una nave,invece era tutto vuoto: per fortuna era previsto unarrivo, quella notte, ma c’era da aspettare. E perun gruppo di Yautja disposti a rischiare la vita inuna missione impossibile... aspettare era unatortura.

«Ha un’autonomia che mi permette disorvolare l’intero porto». Achab non sopportavapiù il blaterare dell’amico di Scar, il custode cheda tempo infinito stava parlando del suo drone.Achab si sentiva però costretto ad ascoltarefingendosi interessato, per farsi perdonare la suarisata...

«Falconer.»Achab non voleva credere al nome che il

guardiano notturno gli aveva dato. «Puoi ripetere,scusa?» aveva chiesto.

«Mi chiamo Falconer.»Era dannatamente serio nel pronunciare il suo

nome, fu così impossibile per Achab nonscoppiargli a ridere in faccia. Nel suo clan quelliche controllavano la zona con strumenti volanti

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erano considerati il livello sociale più basso: nonc’era un briciolo d’onore nello spiare il nemico dinascosto, nella sicurezza di un apparecchio adistanza. E così sin da giovane aveva semprederiso i tracker, proprio come facevano tutti i suoicompagni. E il vizio gli era rimasto, anche in unasituazione in cui nessuno aveva più un briciolod’onore: non c’era nulla da prendere in giro,eppure la risata sgorgò spontanea.

Falconer capì benissimo cosa stessesuccedendo, non era certo la prima volta che glicapitava, ma non disse nulla. Dopo aver cercato dimascherare la risata con un colpo di tosse, fuAchab stesso a dire: «Ehm, sono molto curioso: mispiegheresti come fai a manovrare quel drone adistanza?»

Era una misera scusa ma Falconer tacitamenteaccettò quelle specie di scuse e cominciò atorturare il nuovo venuto con lunghe descrizionidei suoi apparecchi. Bisognava aspettare la nave,e non c’era altro da fare.

~

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«Non hai altro da fare che fissarmi?»Il tono di Machiko era seccato, teso, anche se

non c’era cattiveria. Non ce l’aveva con Jungle,ma sentirsi i suoi occhi addosso cominciava atrovarlo insopportabile.

«Posso farti una domanda?»Machiko non si aspettava questa richiesta, né

che Jungle continuasse ancora a fissarla. «Forza,ma poi mettiti a fissare qualcun altro.»

«Che cazzo ci fai qui, con noi?»Machiko lo fissò a lungo. «Sarebbe questa la

domanda?»«È una grande domanda.»«Lo so, ma speravo in qualcosa di più preciso.

Tipo perché ho scelto due pistole dal calibrotroppo piccolo per far del male ad uno Yautja,qualcosa del genere.»

«Quello è tutto sottoposto alla domandaprincipale: che cazzo ci fai in una missionedisperata e quasi senza speranza?»

Machiko cambiò posizione sulla sedia: maquanto ci metteva quella nave ad arrivare?

«Sono qui perché sono stufa di ricevere

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domande del genere.»Jungle rimase in silenzio per qualche secondo.

«La tua risposta è vaga per vendicarti della miadomanda generica?»

Le labbra di Machiko si arricciarono in unsorriso amaro. «Se io fossi una Yautja non mifaresti questa domanda, quindi il problema è chedovunque io mi trovi... appartengo alla razzasbagliata. Sono stanca di cercare di accontentaretutti, di dimostrare che Yautja ed umani possonoconvivere felicemente: non possono, èimpossibile. Quindi ho scelto: nel mio cuore sonouna Blooded Warrior e voglio comportarmi cometale.»

«Ci sono altri modi...»«No, non ci sono. A meno che non mi ritiri da

sola su un pianeta disabitato, per cacciare con unclan devo riconquistare l’onore, e questa missioneè il modo perfetto.» Fissò Jungle per qualcheattimo. «Dovresti saperlo che sono già stata solasu un pianeta disabitato, quindi non ho altrealternative.»

Jungle non era convinto, lo si capiva

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benissimo. «Mi lusinga che tu abbia scelto lanostra specie, ma in fondo se l’alternativa è viverecome gli insetti umani... davvero non avevi altrascelta.»

Machiko d’un tratto non riuscì più a mantenerelo sguardo serio e iniziò a sorridere, trascinandoanche lo Yautja. «Ora, per favore, smetti difissarmi?» chiese sorridendo.

L’altro scosse la testa. «Guarda che non stavofissando te, ma la spada che porti sulle spalle, atracolla. Sei più simile ad una Blooded Warrior diquanto pensi...»

Machiko era colpita del pensiero, e pensò chenon valesse la pena ricordare all’amico cheprobabilmente aveva partecipato a più missioni leidi lui, che si era ricoperta di grande onore, primadi cadere. Incassò il complimento in silenzio e silimitò a sorridere.

«Ti ringrazio. La mia lama ha proprio bisognodi incontrare di nuovo il sangue...»

~

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«Eccola!» gridò Falconer indicando unoschermo. Premette qualcosa e d’un tratto loschermo si riempì dell’immagine di un’astronaveche faceva manovra in porto.

Il silenzio cadde improvviso. Era arrivato ilmomento. Era giunta l’ora. Non era più la pazzaidea di un weekend agitato: ora era una missionevera. Una missione pericolosissima e forse senzaritorno. Era il momento di dimostrarsi coraggiosi.Di dimostrarsi guerrieri.

«A nome dei miei padroni, ho l’onore di dirvi:grazie per l’aiuto.»

Tutti si voltarono di scatto a guardare Bishop3: nessuno lo considerava, quindi si erano quasidimenticati della sua presenza. Achab si alzò epose un braccio sulla spalla del sintetico. «Siamonoi che ringraziamo te e i tuoi padroni. Ci avetedato quello che nessuno, di nessuna razza, ci hamai offerto: la possibilità di riscattarci.»

Il sintetico annuì, con un sorriso sincero quantopuò esserlo un software robotico.

«Forza, prepariamoci», incitò Achab e tuttiiniziarono a raccogliere i bagagli che avevano

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posato in giro durante la lunga attesa.«Calma ragazzi», intervenne Falconer,

«dobbiamo aspettare che attracchino e che tuttol’equipaggio abbandoni la nave. Non ci vorràmolto ma non sarà neanche rapido: tornate pure amettervi comodi.»

La delusione fu tangibile, e tutti tornarono aipropri posti: aspettare ancora era una torturaignobile.

Solo allora Achab si rese conto che nonavevano parlato del ruolo di Falconer: perchéstava facendo tutto quello? Per semplice amiciziacon Scar? Quando l’indomani avrebbero scopertoche mancava una nave, se la sarebbe vista brutta.Sarebbe stato interrogato, torchiato... ed era sicuroche avrebbe raccontato tutto alla Compagnia.Questo riduceva drasticamente il tempo adisposizione per la missione, quindi c’era un’unicacosa da fare.

«Tu lo sai che fai parte della missione, vero?»disse di getto Achab alla volta di Falconer.

Lo Yautja si voltò e presentò un sorrisoradioso. «Sarà un onore far parte del vostro

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gruppo.» Lo dava per scontato, ma sentirselospecificare gli faceva decisamente piacere. «I mieidroni vi permetteranno di studiare il nemico senzaessere visti: vedrete che vi sarò utilissimo.» Cifurono alcuni cenni di assenso. «Avete già unpilota o posso esservi utile anche in quello?»

Achab si voltò di scatto verso gli altri.«Avevamo pensato ad un pilota?» chiese con vocetremante.

Machiko alzò la mano. «Davo per scontato cheavrei guidato io, quando lavoravo per laCompagnia ho imparato a guidare molti veicolidiversi.»

«E quando è stato?» chiese City Hunter.La donna era stupita della domanda.

«Qualche... cioè, diversi anni fa.»«Quindi non sai se puoi guidare questa nave.»«Tranquilli, tranquilli», intervenne Falconer.

«La so guidare io, non c’è problema. Qui al portoc’è sempre bisogno di qualcuno che sappiamanovrare e da tempo me l’hanno insegnato.»

Achab cercò di riprendere il controllo: era unaparvenza di problema e già stava lasciandosi

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prendere dal panico. Cosa sarebbe successo unavolta arrivati i problemi veri?

«Sarà una missione gloriosa», continuòFalconer, sempre più entusiasta. «La nostra storiasarà raccontata per tutto l’universo: la storia deimagnifici sei Yautja che sconfissero Wolf!»

Nessuno si sentì così spavaldo da condividerequell’entusiasmo, ma dopo un colpo di tosseMachiko alzò una mano. «Veramente... ci sareianch’io.»

Falconer si voltò verso la donna. «Oh», dissevistosamente deluso. «Va bene, sarà la storia deimagnifici sette... però così non è più un titolo adeffetto.»

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8Stazione mineraria “Shimada’s Hope”

L’uomo correva a perdifiato lungo la strada.La stessa strada che aveva percorso ogni giornonegli ultimi anni, la strada che portava alla minieradove lavorava. Aveva lasciato la Terra con la suafamiglia per iniziare una nuova vita lontano dallaciviltà spietata, in un paesino di frontiera dovetutto era più semplice: niente però si era rivelatosemplice. La miniera aveva voltato le spalle alpaese e così aveva fatto la Compagnia: ed oraerano giunti quei mostri ad ammazzare tutti,perfetti diavoli di quell’inferno.

L’uomo correva perché se avesse raggiunto laminiera avrebbe avuto salva la vita, o almeno cosìgli aveva promesso quel Predator, parlando in unastentata lingua umana. Tutti sapevano che gliYautja seguono un ferreo codice morale, e unapromessa è sacra, quindi se avesse raggiunto laminiera c’era la concreta speranza di

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sopravvivere, e di riabbracciare sua moglie e suafi...

Una nuvola rossa avvolse la sua testa. Inrealtà, una nuvola rossa fu d’un tratto tutto ciò cherimaneva della sua testa. Un’esplosione senzarumore, secca, istantanea, così improvvisa che ilcorpo dell’uomo continuò a correre per qualchemetro, prima di accasciarsi scompostamente aterra. A pochi metri dalla miniera.

«Perfetto», gracchiò compiaciuto Wolf,ammirando il fucile che stringeva fra le mani. «Orasì che è calibrato.» Illudere le sue vittime era ilsuo gioco preferito. Aveva imparato la linguadegli umani lo stretto necessario per promettereloro salva la vita se avessero corso indenni fino adun certo punto, contando sul fatto che quegli idioticredevano che il codice Yautja valesse anche conle altre razze: per Wolf una promessa fatta ad uninsetto non aveva alcun valore, era solo un gioco.E la parte migliore era uccidere le vittime a pochipassi dalla “salvezza”, assaporando tutto queltempo in cui lo stupido umano aveva sperato dipoter sopravvivere.

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Wolf fece un cenno allo Yautja che gli eraaccanto. «Portamene un altro.»

«Guarda che sono quasi finiti», bisbigliòl’altro.

«Di già?» esclamò sorpreso Wolf. «Sieteriusciti a stanare quelli nell’edificio centrale?»

L’altro Yautja scosse la testa. «Quelle murasono le più resistenti che abbiamo mai incontrato.Di solito in queste colonie periferiche troviamocase che vengono giù con un soffio, maquell’edificio è impenetrabile, a meno di nonconoscere il codice d’accesso.»

«E l’avete “chiesto” a qualcuno di quegliinsetti, il codice?»

«Per interrogare un umano tocca andarci giùpesante, e così poi diventa inservibile per i tuoigiochi.»

Wolf fissò lo Yautja seccato. «E va bene,prendetene un paio e interrogateli a dovere. Con ilcodice avrò accesso a molti altri umani con cuigiocare.»

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Nello spazio

Abbandonare il porto di Anderson City erastato meno facile del previsto. Per fortuna era unanottata tranquilla e non c’era traffico, ma lo stessola guardia portuale continuava a cercare dimettersi in contatto con la nave, chiedendo ilmotivo di quella partenza non programmata, subitodopo essere arrivati.

Achab e gli altri erano saliti a bordovelocemente e Falconer era ripartito subito,rispondendo ai messaggio radio con scaricheelettrostatiche. «Capita a volte che i mercantisiano già ubriachi, quando entrano in porto»,spiegò il pilota, «e si mettono a fare dei giretti nonautorizzati, tanto per divertirsi. Rispondendo aimessaggi radio con semplici scariche facciovedere che sto tentando di rispondere senzariuscirci, così che la guardia portuale pensi più adun idiota ubriaco che ad un ladro.»

«Stai improvvisando o avevi già questo pianoda parte?» chiese Achab.

Falconer sorrise. «Faccio parte di quegli

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Yautja che si tenevano sempre pronti, in attesa delmomento giusto per tornare in azione.»

Usciti dal porto era stato tutto più facile: eraimprobabile che la guardia portuale mettesse inmoto un’operazione di inseguimento solo per unaminuscola nave mercantile, il cui pilotasicuramente era troppo ubriaco per comunicare ilcambio di programma.

«Ancora ad aspettare...» borbottava CityHunter, intollerante come tutti gli altri all’attesainevitabile. Prese la sua borraccia e fece per bereun sorso, quando fu fermato bruscamente daJungle.

«Che fai, sei pazzo? Vuoi consumare la tuaacqua già da ora?»

City Hunter lo guardò allibito. «Rilassati,amico, quando arriveremo faremo il pieno.»

«Nei sei sicuro?» continuò seccato Jungle.«Hai studiato la mappa del pianeta? Sei sicuro cisiano sorgenti di acqua a volontà e sei sicuro cheatterreremo in prossimità di una di queste? Quellache hai nella borraccia è l’unica acqua sicura cheavrai per i prossimi giorni: se vuoi finirtela ora,

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che sei fresco e riposato, fai pure, ma poi nonvenire a chiederci la nostra acqua.»

City Hunter, seccato, ripose la borraccia congesti nervosi. «Sì, papà...» mormorò fra i denti.

«Idiota», gli rispose Jungle.«Compagni, sento un po’ di tensione nell’aria»

cominciò a dire Berserker. «Che ne dite di un po’di allenamento per scaricare i nervi?»

«No», intervenne Achab. «Dobbiamoconservare le energie, ne avremo bisogno piùdell’acqua. Tanto nel tempo del viaggio non è chediventeremo più forti o più atletici. Ehi,Falconer...», dovette fare una pausa: ancora gliveniva da ridere a pronunciare quel nome, «se haigià impostato il pilota automatico vieni qui, chefacciamo un piano d’azione.»

«Piano d’azione?» chiese deluso Berserker.«Arriviamo e ammazziamo tutti i Bad Blood, eccopronto il piano d’azione.»

Achab mise una mano sulla spalla dell’amico.«Tu sei un combattente, Berserker, e anche bravo.Quando affronti un avversario metti in pratica unpiano d’azione che hai studiato prima, anche se

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magari non te ne rendi conto. Per questo ti alleniprima di un incontro: ogni tecnica che lanci avuoto in palestra è un piano d’azione per quandoaffronterai un vero avversario.»

«Non è una gran che, come metafora», borbottòJungle alle spalle dei due.

«E va bene», rispose Achab a voce alta.«Faremo un piano d’azione perché ne abbiamobisogno e perché lo dico io! Dovrò discutere cosìtanto per ogni decisione futura?»

Tutti fecero “sì” con la testa, mentre passavanodavanti ad Achab per andare a sedersi nella salagrande vicino al ponte di comando.

«Che fatica», borbottò Achab, ma in realtàsapeva che non era più il giovane e aitante capo diguerrieri ardimentosi: le sue parole non sarebberopiù state considerate ordini da eseguire alla cieca.

Tutti si sedettero intorno al grande tavololuminoso, una piacevole sorpresa trovata sullanave. Machiko e Bishop 3 si erano subito messi alavoro per trasferire tutti i dati disponibili nellamemoria del grande tablet che formava la tavolaluminosa. Tutti gli Yautja si disposero lungo i lati

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del tavolo.Achab si schiarì la voce solo per dire: «Lascio

dunque la parola a Machiko.»«E perché?» chiese stupito City Hunter.Sarebbe stato gradito che quelli che

conoscevano la donna lo avessero zittito, ma cosìnon fu, quindi Achab chinò il capo e parlò convoce seccata. «Farò questo discorso una voltasola, quindi vi prego di ascoltare bene. Tu, CityHunter, eri un cacciatore solitario di città, tuJungle di montagna, tu Falconer...», un attimo dipausa, «non so bene che facevi ma di sicurolavoravi da solo.» Lo Yautja cercò di prendere laparola ma Achab non glielo permise. «Berserkereseguiva degli ordini e Scar non è arrivatoneanche a quello. Infine io, che alla primamissione importante ho mandato i miei uomini almassacro.» Un altro secondo di silenzio pesante.«Secondo voi c’è qualcuno qui che sappiaorganizzare una spedizione di sette guerrieri interritorio nemico? Ebbene sì, c’è: Machiko. Comeallieva del grande Dachande ha partecipato amissioni di grande importanza e ha fatto parte di

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squadre Yautja che si sono ricoperte di gloria.Mentre voi perdevate tempo a litigare e astuzzicarvi lei ha studiato il territorio, ed essendoinfine l’unica di noi ad aver portato a termine consuccesso missioni strategiche con più uomini, nonvoglio sentire una sola obiezione al fatto che saràlei a impostare la strategia di questa missione.»Alzò lentamente una mano ad indicare Machiko.«Ogni volta che pensate a lei come a una donnaumana... guardate l’onorevole segno che portasulla fronte, e pensate a lei come a una Yautja.»

La donna era rimasta tutto il tempo con gliocchi bassi sullo schermo. Adorava quandol’amico Achab la onorava con quei discorsi, ma inquel momento poteva essere molto pericoloso:quelli che aveva intorno non erano più miserifantasmi di guerrieri, privi di dignità, ma Yautjaormai disposti a tutto pur di dimostrare di essereancora combattenti. E questo rendeva loro piùinsopportabile prendere anche solo consigli da unadonna umana: figuriamoci ordini.

«A te la parola, Machiko», disse infine Achab,mentre tutti voltavano i loro sguardi tesi sulla

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donna.Machiko prese la parola cercando di essere

più diplomatica possibile. «Mi limito araccontarvi quello che ho scoperto», come a direche non stava dando ordini ma sempliciinformazioni.

Fece apparire una grande mappa sul tavolo,che prendesse l’intera superficie. «Questa è“Shimada’s Hope”, una colonia fondata in unavallata: e questo è il primo problema. Nienteboschi, niente alberi, niente montagne: già saràdifficile avvicinarsi a piedi senza essere visti...figuriamoci atterrare nei paraggi. Wolfsicuramente è tranquillo e non si aspetta visitatori,quindi è plausibile pensare che non abbia lasciatosentinelle ai bordi della valle e che non abbia deiradar attivi, ma non possiamo rischiare. La nostrarisorsa più grande, anzi oserei dire l’unica nostrarisorsa è l’effetto sorpresa: questo vuol dire chedovremo atterrare lontano dalla colonia, peressere sicuri che non ci sentano arrivare.»

«Lontano quanto?» chiese preoccupato Jungle.Machiko fece scorrere la mappa sul grande

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schermo. «LV-617 è un pianeta poco rigoglioso e anoi serve acqua e cibo. Perciò ho pensato che ilpunto migliore dove atterrare sia qui», ed indicòun punto sulla mappa. «C’è un fiume dove farerifornimento d’acqua e plausibilmente ci sarà dellafauna da cacciare. È una delle poche oasi delpianeta: scegliere un punto più vicino alla coloniasignifica arrivare davanti a Wolf assetati eaffamati.»

«Di quanta distanza stiamo parlando?» chieseAchab.

Machiko lo fissò, poi girò la testa verso tuttigli altri. «Non ho strumenti per darvi la cifraesatta, ma parliamo di circa... una trentina dichilometri.»

«Cazzo!» sibilò qualcuno.«Lo so, detta così sembra tanto», continuò la

donna, «ma è una distanza che si può coprire in unsolo giorno di cammino e saremo più che sicuriche nessuno potrà averci visto atterrare.»

«Quando parli di un giorno di cammino»,intervenne Achab, «hai considerato che siamofuori allenamento e appesantiti dal carico?»

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Machiko annuì. «E qui arriva una bella notizia.Ho consultato il database di questa navemercantile per vedere se ci fosse qualcosa di utile,e c’è: nella stiva risulta esserci un piccolo veicolofuoristrada. Potremo usarlo per trasportare tutto ilcarico pesante e a turno potremo riposarci mentresi procede. Così facendo potremo affrontarel’intera distanza senza mai fermarci.»

Tutti annuirono silenziosamente.«E per il problema della vallata?» chiese

Achab. «Come ci avviciniamo?»Machiko fece scorrere la mappa. «Non ci

dirigeremo direttamente alla colonia maarriveremo qui», ed indicò un punto, «cioèall’uscita di emergenza della miniera locale.Entreremo da lì e percorreremo la miniera finoall’entrata principale, che affaccia sull’abitatodove probabilmente si sono accampati Wolf e isuoi: dal buio della miniera potremo spiarli eorganizzare un piano d’azione.»

Nessuno si sarebbe azzardato a fare icomplimenti a Machiko, ma tutti non poterono cheessere d’accordo con quel piano. Achab annuì

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soddisfatto. «Mi piace. Sarà dura ma è un buonpiano.» D’un tratto si rivolse a Bishop 3, che disolito ignorava. «Allora, che ne pensi del piano diMachiko per raggiungere i tuoi padroni?»

Il sintetico sorrise e si rivolse alla donna.«Non male, per un’umana.»

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9LV-617

Di nuovo, la lancia colpì l’acqua senza alcunrisultato.

Jungle si stava deprimendo sempre di più,eppure l’atterraggio su LV-617 era statoabbastanza tranquillo, con giusto qualcheruzzolamento in cabina dovuto al fatto che nessunoaveva pensato ad infilarsi le cinture di sicurezza.Secondo i piani erano atterrati nei pressi diun’oasi in cui avevano potuto fare il pienod’acqua, ma il problema del cibo aveva spintoJungle ad un insano proposito: pescare comefaceva un tempo, cioè infilzando i pesci con unbastone di legno.

«Sicuro che sia possibile farlo?» chiedevasarcastico City Hunter, che beveva di gustodavanti al compagno per il semplice gusto dellapolemica. Non aveva più sete, ma visto che l’altrolo aveva rimproverato di sprecare acqua, ora, che

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di acqua ce n’era a bizzeffe, gli piaceva ostentareun inutile spreco.

«Lo facevo sempre, durante le mie stagioni dicaccia su altri pianeti», borbottava Jungle,sapendo che non avrebbe dovuto cedere allaprovocazione ma era troppo forte la voglia, anzil’esigenza di mettere in chiaro che era stato ungrande cacciatore. «Solo che sono passati anni eforse ho perso un po’ di pratica.»

Non esisteva alcun “forse”: più Junglemancava clamorosamente i pesci nel ruscello, piùera evidente che nemmeno assomigliava alguerriero che era stato un tempo. Né i suoi riflessiné la sua vista lo aiutavano, ed era unaconsapevolezza amara da acquisire, soprattuttoall’inizio della missione più pericolosa della suavita. Una missione che avrebbe esitato ad accettaregià quando era in piena forma. Va bene dare lacaccia agli insetti umani, che fanno tanto rumore epoco altro, ma aggredire un proprio simile, per dipiù un noto criminale spietato e in piena forma...No, non doveva pensarci: ormai non si potevatornare indietro e quindi riflettere troppo era

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inutile.Nel successivo colpo Jungle mise tutta la forza

che aveva, schizzando acqua ovunque. Senzaovviamente alcun successo.

«Però!» disse divertito City Hunter. «Questa sìche è una tecnica nuova: prendere pesci facendolimorire di paura.»

~

«Ecco il fumo: vai qui.»Achab si stava infervorando e premeva il dito

sullo schermo del computer come se questopotesse servire a qualcosa. E pensare che soloqualche minuto prima aveva cercato un luogoappartato per riposarsi dallo stress del viaggio.Ufficialmente avevano concordato qualche ora diriposo all’oasi per fare rifornimento di acqua ecibo prima di partire per la missione, ma in realtàsognava di chiudere gli occhi qualche minuto perscaricare la tensione. Quando Machiko l’avevatrovato e svegliato discretamente – facendoapposta rumore nelle vicinanze così da non

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doverlo svegliarlo di persona – dicendogli chec’erano novità che doveva vedere, tutto lo stress ela tensione erano tornati. Più forti di prima.

Falconer manovrava con maestria il suojoystick mentre il suo drone volava fra gli alberialti di LV-617. Era stata Machiko a consigliarglidi rimanere vicino ai rami, anche se c’era ilconcreto pericolo che il drone rimanesseincastrato: era peggiore il pericolo che, volandoda solo nel cielo, qualche sentinella o radar Yautjapotesse individuarlo. Si era rivelato un timore piùche fondato.

Mentre il drone si avvicinava al punto indicatoda Achab, la situazione si faceva sempre piùchiara. Il fumo che Falconer aveva scorto inlontananza si era rivelato essere proprio quelloche era più scontato che fosse: il fuoco di unbivacco.

«Magari sono coloni in campeggio che nonhanno saputo dell’aggressione di Wolf.»

Falconer snocciolava ipotesi a raffica perspiegare quel bivacco, mentre Achab e Machikorimanevano in silenzio: era inutile arrovellarsi

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prima di saperne di più.«Magari sono...»«Magari potremmo aspettare che il tuo

giocattolo si avvicini di più, che ne dici?» lointerruppe seccato Achab.

Falconer mandò giù il boccone amaro econtinuò a manovrare il suo drone con un bronciostampato sul viso. La telecamera si avvicinavalentamente per non dare nell’occhio, ma era ormaichiaro costa stesse riprendendo: la snellaastronave che giaceva dietro il bivacco nonlasciava dubbi sulla razza dei “campeggiatori”.Erano Yautja.

«Magari sono sentinelle di Wolf», bofonchiòAchab, che non si rese conto dell’occhiataccia chericevette da Falconer: quindi ora si possono fareipotesi?, sembravano chiedere i suoi occhi.

«A trenta chilometri dalla colonia? Nedubito», rispose Machiko.

«Magari è una pattuglia in ricognizione chebatte le vicinanze per scoprire se ci sono altrecolonie umane.»

Le immagini, sempre più ravvicinate e

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dettagliate, mostravano uno Yautja davanti alfuoco, plausibilmente a cucinare della selvaggina,e altri due che discorrevano animatamente. Era unascena molto familiare a tutti: quando si cacciava ingruppo, c’era sempre il momento in cui siraccontava come si era acciuffata una preda, e disolito era anche il momento in cui si abbellivaparecchio la propria impresa.

«Non sembrano dei criminali spaziali»,azzardò Falconer, per il solo gusto di riprendere ilfiume delle sue ipotesi.

«E se fossero altri “noi”?» chiese d’un trattoMachiko. «Cioè altri guerrieri che voglionoricoprirsi di gloria affrontando Wolf?»

Quella era decisamente l’ipotesi peggiore:arrivare così vicino alla redenzione e alla gloria...per lasciarsela sfuggire sotto il naso... Bisognavafare qualcosa, e anche in fretta.

«Non mi importa chi sono», disse Achab d’untratto serio, alzandosi in piedi e fissando ilmonitor con sguardo minaccioso. «In ogni casodovremo farli fuori.»

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«Non sembri più l’oste di Anderson City,esperto di vini e risse da bar.»

Jungle stava stuzzicando l’amico Achabsemplicemente per non dover ammettere di sentiremontare la paura dentro di sé: ammazzare altriYautja era un passo decisamente grande, e rendevamaledettamente reale la missione. Quella missioneche finora stava vivendo quasi come un sogno.

«Grazie al drone ne abbiamo visti tre», stavadicendo Achab con voce tonante alla volta deicompagni raccolti intorno all’entratadell’astronave. «Ma non escludo che ce nepossano essere altri dentro l’astronave. Stanno permangiare e in circa mezz’ora di cammino, almassimo un’ora, dovremmo raggiungerli: è unacoincidenza troppo perfetta per non approfittarne.»Guardò gli altri negli occhi. «So che avrestevoluto riposarvi di più e che non abbiamo trovatomolte scorte di cibo», al che Jungle abbassò losguardo, sentendosi in colpa per non aver pescatoneanche un pesce, «ma dobbiamo metterci in

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marcia subito così da piombare su di loro mentrestanno mangiando o meglio ancora mentre stannodigerendo.» Poi si rivolse a City Hunter. «Comestiamo con i bagagli?»

Lo Yautja annuì. «Tutti caricati su quella...com’è che si chiama?» chiese rivolto a Machiko.

«Jeep», rispose la donna.«Tutti caricati sulla jeep», riprese City Hunter

alla volta di Achab. «Non è che abbiamo poimolto da portarci appresso.»

«Bene, perché avvicinarci con la jeep è tropporischioso: quell’affare fa un rumore d’inferno, lauseremo solo fino a metà strada poi dovremoportare le armi in spalla. Non abbiamo a che farecon una banda criminale che si sente al sicuro ed èdistratta: questi sono plausibilmente Yautja inmissione, quindi ben attenti a ciò che li circonda.Solo avvicinandoci in assoluto silenzio potremoprenderli di sorpresa e...» Achab si prese unapausa e guardò in faccia tutti i compagni. «Efaremo una prova prima dello scontro con Wolf.Da anni nessuno di noi combatte sul serio, sulcampo, quindi uccidere questi Yautja sarà un test

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per capire se siamo ancora in grado diassomigliare a dei guerrieri.»

«E se non lo siamo?» si ritrovò a chiedereScar.

Tutti si voltarono a fulminarlo con gli occhi.Achab, dopo qualche attimo d’esitazione, risposecon tono grave. «Allora siamo già morti.»

~

Avvicinarsi in silenzio al bivacco Yautja fudecisamente più impegnativo di quanto ognunopensasse. Muoversi in silenzio nella foresta era inpratica impossibile: sembrava che già l’atto stessodi respirare facesse muovere foglie e cespuglifacendo rumori che qualsiasi cacciatore avrebbenotato.

Per fortuna al loro arrivo gli Yautja stavanoancora mangiando intorno al fuoco, quindipotevano contare su un minimo di distrazione.Erano rimasti in tre, notò Achab, quindiprobabilmente la fortuna del guerriero gli erafavorevole.

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Giunti nelle vicinanze, secondo il piano cheMachiko aveva illustrato loro, i sette si separaronoin gruppi per poter accerchiare l’accampamento.Era una mossa rischiosa, perché era più alta lapossibilità di fare rumore e attirare l’attenzionedei nemici, ma era necessario per poter sferrareattacchi da più punti.

Scar si rese conto che sebbene nella propriatesta si sentisse pronto, nella realtà non lo eraaffatto. Era più facile che mettesse il piede nelpunto sbagliato, dove cioè facesse più rumorepossibile. Per questo fu affiancato a Jungle, chealmeno non aveva perso la capacità di muoversisilenziosamente nella foresta. Lui cercava diguidare il giovane indicando in silenzio i puntigiusti dove posare i piedi, ma Scar aveva unaesasperante mancanza di capacità mobile: sembranaturalmente portato per i movimenti più sbagliati.

I due girarono intorno alla radura dove gliYautja si erano accampati e Jungle non sinascondeva il fatto che portarsi dietro quelproduttore naturale di rumori molesti significavadi sicuro attirare l’attenzione dei cacciatori, ma in

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fondo era questo il compito di loro due: farerumore per nascondere i propri compagni prontiall’attacco.

Ad un certo punto, mentre entrambi fissavanotesi i tre Yautja che mangiavano echiacchieravano, da un cespuglio esplose fuori uncinghiale. In realtà solo dopo Jungle si rese contoche era un cinghiale, perché in quelle frazioni disecondo che seguirono il violento ed assordanterugliare dell’animale si vide solo un’ombra che simuoveva veloce come un fulmine. Ma anchel’istinto di Jungle era veloce, malgrado il suocorpo fosse fuori forma: prima ancora di capirecosa stesse succedendo, ogni muscolo del suocorpo si contrasse, ogni nervo e ogni tendinericordò il passato glorioso e le sue potenti bracciascattarono: afferrò il cinghiale per il collo e glielospezzò con un solo gesto delle mani. I suoi muscolidovettero attingere ad ogni briciolo di forzarimasto in corpo, ma quando Jungle capì cosaaveva fatto d’istinto, rimase piacevolmentecolpito: forse non era poi messo così male comepensava...

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L’urlo del cinghiale fece quello che avrebberodovuto fare Jungle e Scar: attirare l’attenzione deitre Yautja. Questi infatti si erano immobilizzati edora guardavano nella loro direzione. Dopo qualcheattimo uno prese il fucile che aveva posato difianco, si alzò e lentamente fece per avvicinarsialla postazione dove rimanevano nascosti Jungle eScar, che iniziarono a pregare che il piano diMachiko funzionasse. Quando lo Yautja si fermò einiziò a mirare con il proprio fucile verso la lorodirezione, i dubbi sulla funzionalità del piano sifecero pressanti.

Jungle stava per ordinare a Scar la fuga quandoun colpo secco, indistinguibile dai tanti ramispezzati dai piedi del giovane Predator, mise fineal pericolo: la testa dello Yautja con il fucileesplose, lasciando solo la mascella a penzolare,mentre il corpo ci mise qualche istante a iniziare larovinosa caduta. Uno dei fucili che avevano sceltonel magazzino di Anderson City era un’arma dacecchini, che Machiko sapeva usare molto bene: aquella distanza ravvicinata un qualsiasi fucilesarebbe andato bene, ma così era anche meglio

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perché la donna poteva tenersi più riparata persparare.

Gli altri due Yautja scattarono in piedi ecercarono di raggiungere l’astronave,probabilmente per afferrare le proprie armipesanti, ma City Hunter e Berserker piombarono sudi loro ad impedirglielo. I due erano scattati fuoridai cespugli nel momento esatto dello sparo, cosìero potuti piombare sui due Yautja mentre ancoraquesti erano distratti. La mano monca di CityHunter non era assolutamente un impedimento,quando con quella buona imbracciava un lungocoltello dalla lama a doppia punta, utile quandoera necessario non fare troppo rumore: sgusciòalle spalle della sua vittima e fece scattare la sualama a tagliarne la gola, e per impedire un qualcheultimo gesto di aggressione afferrò il collo con ilbraccio monco mentre con l’altra mano continuò apugnalare lo Yautja ai reni, per spezzare ognipossibilità di reazione in attesa della morte.

La gola fu il bersaglio anche di Berserker, mal’ardimento del giovane lo portò a colpire lavittima con un pugno potentissimo, che impedì

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all’avversario di urlare o anche solo di respirare.Dopo altre due tecniche al volto, per creareconfusione e spiazzamento, Berserker si portò allespalle della vittima, che non riusciva più arespirare, si avvinghiò al suo collo e premettefinché non lo sentì cedere con un crack secco.

Secondo quanto si erano ripromessi, nessunrumore molesto si alzò dal campo. Se ci fosserostati altri Yautja in giro, molto probabilmente nonsi sarebbero resi conto di nulla.

Intanto Achab e Falconer si erano avvicinativelocemente all’entrata dell’astronave. Secondo ilpiano, il tracker fece entrare il suo drone così dascoprire quanti altri Yautja ci fossero dentro,sperando non fossero troppi. Achab stringeva unfucile umano di cui non era proprio sicuroconoscesse il funzionamento: nel caso avrebbepreferito affrontare a mani nude uno o due Yautja,contando sull’aiuto degli altri compagni. Nei primisecondi concitati il drone non mostrò nulla,facendo sperare nella fortuna del guerriero:l’astronave sembrava vuota. D’un tratto però ilsegnale si interruppe.

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«Cazzo!» sibilò Falconer.«Che succede?» sussurrò Achab.«Forse ha sbattuto su qualche paratia...»

Falconer scosse la testa, «ma molto piùprobabilmente il drone è stato intercettato daqualcuno.»

I due si guardarono con apprensione... quandouna voce gelò loro il sangue.

«E tu che cazzo ci fai qui, Achab?»E dal buio dell’astronave fuoriuscì Celtic.

~

Achab fissava allibito l’amico. «Celtic?» Nonriuscì a trovare altro da dire.

Il grande Yautja si guardò in giro e vide subitoi cadaveri dei tre suoi uomini. «Sei stato tu?»chiese all’amico. Achab rimase in silenzio, cosìCeltic continuò. «Hai ucciso tre Bad Bloodaddestrati senza provocare il minimo rumore...» Ilsuo viso si contorse in un largo sorriso. «Cazzo,questo è l’Achab che conosco!»

D’improvviso abbracciò l’amico, mentre

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quest’ultimo rimaneva immobile nel suo stupore.Intanto gli altri cominciarono ad avvicinarsititubanti, cercando di capire perché quelpericoloso Yautja stesse abbracciando Achabinvece di cercare di ucciderlo.

«Ce ne hai messo per tornare in campo»,continuava a dire sorridendo Celtic. «E questisono i tuoi uomini?» Si voltò a guardare gli altriche si stavano avvicinando. E il sorriso si smorzò.«Questi sono i tuoi uomini?» Il cambio di tono nonlasciava dubbi sul calo della stima. Quando videMachiko il sorriso ormai era scomparso. «Maquella... è una donna umana? Achab, fattelo dire:il tuo gusto è peggiorato.»

Achab cominciò ad agitare le mani ma nonriusciva a trovare niente da dire.

«Non fa niente», continuò Celtic dandoglipacche sulle spalle. «L’importante è che ci sia tu.Ho bisogno di uomini in gamba come te e in effetti,ora che ci penso, aver organizzato un’azione diquesto tipo con... be’, con guerrieri di questo tipo,è segno che sei un grande condottiero.»

«Veramente il piano è mio», disse Machiko,

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imbracciando in modo spavaldo il fucile dacecchino.

«Ah, la donna umana parla pure la nostralingua. Splendido...», disse con disgusto Celtic,guardando sprezzante la donna. La ignorò e tornò arivolgersi ad Achab. «Forza, andiamo, che Wolf ciaspetta: vedrai, ti adorerà. È sempre alla ricercadi validi guerrieri come te.»

Il gelo attraversò le schiene di tutti, efinalmente Achab – fattosi subito scuro in volto –riuscì a parlare all’amico. «Che vuoi dire cheWolf aspetta? Tu... tu conosci Wolf?»

Celtic cadde dalle nuvole. «Perché sei cosìstupito? Quanti anni sono che ci conosciamo?Gestisco Bad Blood da anni: secondo te posso nonconoscere il più famoso di loro?»

«Quindi non sei qui per... per ucciderlo.»Celtic era sempre più confuso. «Perché mai

dovrei ucciderlo?»Achab già sapeva che quanto stava per dire era

oltremodo stupido, in quella situazione, ma lodisse ugualmente. «Per l’onore...»

Celtic scoppiò in una sonora risata, ed

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abbracciò l’amico. «Non so che strani discorsi tisei fatto nella mente, Achab, ma non ricordo piùcosa sia l’onore, da tanto tempo. Wolf ed io siamoamici da sempre, da...» agitò le mani come acercar di ricordare, «da quella volta, come sichiamava quel pianeta...? Dài, ti ricordi quellamissione...?»

Achab non mosse un muscolo. Avrebbe dovutosaperlo da sempre, o per lo meno avrebbe dovutosospettarlo, e forse era questo che d’un tratto glispezzò il cuore: l’essere stato così stupito da nonaverlo capito prima. Parlò quindi con vocetagliente. «Da quella volta che ci vendesti tutti perfare un favore a Wolf.»

Il silenzio crollò pesante fra i due. Ogni voltache Achab pensava a quando aveva perso l’onore,in quella missione in cui aveva guidato i propriuomini al massacro, si focalizzava solo sui proprierrori... non aveva mai, neanche per un attimo,pensato che la missione era stata sabotata daCeltic. Dal suo amico fraterno. Da un BloodedWarrior come lui.

«La missione non aveva speranza, Achab»

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disse Celtic sulla difensiva. «Che senso avevamorire inutilmente? Lo ammetto, avvertii Wolfcosì da avere salva la vita... io e te.»

«Lo fai sembrare come un gesto d’amicizia»,disse gelido Achab.

«Lo era. Ti ho sempre considerato mio amico,e così ti presenterò a Wolf: come un amico.»

«E se invece io volessi ucciderlo, Wolf?»Celtic guardò per qualche istante l’amico,

come a cercar di capire se stesse parlandoseriamente. «Tu insieme a chi altri? Magari aquesti quattro catorci? Sii serio, amico mio.»

«Non sono tuo amico.» Nella voce di Achabstava montando la furia di tutti i compagni uccisi,torturati, massacrati perché Celtic aveva sabotatola missione. E c’era anche tutto il tempo in cuiAchab si era sentito una nullità per il senso dicolpa. «Come immagino non fossero tuoi amiciquei tre guerrieri che abbiamo ucciso.»

«Che c’entrano loro? Ovvio che non fosseromiei amici, semplicemente lavoravano per me.»

«Eppure non sembri seccato per la loro morte:questo la dice lunga su quanto tu stimi la vita

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altrui.»Celtic agitò la mano in aria. «Da quando sei

diventato così mollaccione? Cosa dovrei fare,piangere per tre guerrieri morti?»

«Certo che no», sibilò Achab. «Visto che nonhai avuto problemi a vendere i tuoi fratelli,figuriamoci quanto te ne freghi di tre guerrierianonimi.»

Celtic agitò una mano in aria con faresprezzante. «Anche sentimentale, ora... Gli umaniti hanno contagiato con i loro sentimenti, ma conme e Wolf tornerai lo splendido guerriero che eriun tempo. Molla questi vecchi arnesi e vieni conme...»

Achab cedette alla rabbia che sentivaesplodergli dentro e all’improvviso fece cadere ilfucile a terra ed aggredì il vecchio amico. Loafferrò velocemente alla gola con entrambe lemani, spingendo con tutto il corpo in avanti perfarlo retrocedere... ma Celtic non si scomposeminimamente.

Se non fosse diventato cieco di rabbia, Achabavrebbe valutato meglio la situazione. Celtic

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aveva una stazza superiore alla sua, e soprattuttonon aveva passato gli ultimi anni a bere in un bar:il suo corpo non si mosse di un millimetro allaspinta che cercava di farlo indietreggiare, e il suomassiccio collo a malapena sentiva le mani checercavano di stringerlo. Proprio a dimostrarequanto inutile fosse quell’attacco, Celtic parlò convoce normale, per nulla disturbata dal tentativo distrangolamento: «Mi stai deludendo, Achab.»

La dimostrazione di quanto il suo sforzo fosseinutile fece impazzire di rabbia Achab, che iniziò asferrare pugni sul volto del vecchio amico, cheincassò come se fossero punture di zanzara.

Gli altri cominciarono a guardarsi con occhigravi: era uno spettacolo terribilmente umiliante,ma era impossibile intervenire. «Forsedovremmo...» bisbigliò Scar ma Jungle lo zittìprontamente. «Non possiamo fare niente»,bisbigliò. «Intervenire sarebbe ancora piùumiliante per Achab.»

Mentre incassava pugni senza battere ciglio,Celtic fissava il vecchio amico con sguardo grave.«Temo che vivere con gli umani ti abbia fiaccato

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più di quanto immaginassi. Ormai sei il fantasmadel guerriero che ho conosciuto anni fa.»

Achab finalmente si fermò, sfiancato e con ilfiatone. Teneva il viso basso mentre ansimava, efinalmente fra un respiro pesante e l’altro tornò aparlare. «Ti ringrazio, Celtic...» Parlavavistosamente a fatica. «Il mio piano, una voltadavanti a Wolf, era di ucciderlo a mani nude cosìda guadagnare più onore.» Deglutì e alzò il viso aguardare gli occhi dell’altro. «Ora so che mi èimpossibile, e grazie a te l’ho scoperto pertempo.» Infilò una mano nella tasca posterioredella sua cintura e la piccola lama tagliente che neestrasse brillò per un secondo alla luce delgiorno... prima di affondare nella gola di Celtic.

Il gesto di Achab fu rapido e fluido, perché glianni passati nei bar se da una parte gli avevanofiaccato il fisico, da un’altra gli avevano insegnatocome uscire vivo da scontri con avversari moltopiù forti di lui. La stazza e i muscoli non possononulla contro la fragilità della gola, e una lamaaffilata poteva risolvere anche la situazione piùdifficile. Non era un soluzione onorevole, era roba

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da taverna e non certo da guerrieri, ma il problemaormai non si poneva: Achab non era più unguerriero da tanto tempo.

Malgrado l’espressione stupefatta degli occhidi Celtic, il grande Yautja rimase in piedi a lungocercando di respirare, e soprattutto di parlare,senza riuscirci.

«Mi spiace d’averti deluso, ma sapessi quantotu hai deluso me», gli disse Achab senza piùrabbia nella voce. «Io non sono né sarò mai unBad Blood, perché io non tradisco i miei fratelli.»

Celtic morì in piedi e in modo composto, comeun guerriero. E gli altri assistettero in silenzio insegno di rispetto.

Solo quando il corpo del vecchio amico siaccasciò a terra e smise di tremare, allora Achabsi voltò verso gli altri, che in quel momentocercarono di assumere facce neutre e nonmortalmente dispiaciute per aver assistito ad unascena così umiliante per il loro capo.

Achab li guardò serio ma poi sorrise, teso.«Questa, casomai, nella ballata delle nostraimpresa non la inseriamo.»

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10Wolf masticava con un’espressione

visibilmente schifata. Era un guerriero, sempre inmissione nelle colonie umane più povere dellagalassia, ma raramente aveva trovato del cibopeggiore, dovuto probabilmente all’estremapovertà ed abbandono della colonia. «Non vedol’ora di andarmene da questa fogna», continuava aripetere, «così da fare un pasto decente.»

Lui e un altro Yautja avevano preso possessodella prima casa umana che avevano trovato, nonessendo particolarmente interessati néall’accoglienza né alla spaziosità: un qualsiasiriparo andava bene. Il suo aiutante mangiava senzalamentarsi ma era chiaro che neanche luiapprezzava il cibo. «E se mandassimo qualcuno acaccia? Nei boschi sicuramente c’è qualcheanimale migliore di... qualunque cosa sia stata invita questa carne.»

Wolf scosse la testa. «Non voglio distrazioniper i miei uomini, che poi si divertono ad andare a

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caccia e chissà quando tornano. Invece appenaarriva Celtic molliamo questo buco. A proposito,hai avuto messaggi da lui?»

«Nella sua ultima comunicazione ha detto chestava per atterrare, ed in effetti avrebbe già dovutoessere qua.»

Wolf scoppiò in una grassa risata.«Quell’idiota non fa che sbagliare a leggere le miecoordinate: niente di più facile che sia atterrato aqualche chilometro da qui. Fa niente, aspetteremoun po’ di più.»

In quel momento entrò un altro Yautja, cherimase sulla porta in attesa che Wolf gli facessesegno che poteva parlare. Quando lo ricevette,disse con tono neutro: «Dopo varie prove,finalmente abbiamo trovato il modo di torturare gliumani senza che ci morissero tra le mani. Peròsembra che davvero non sappiano il codice peraccedere al palazzo centrale. Cosa devo fare?»

Wolf masticò a lungo, poi si rivolse al suoaiutante. «Puzza anche a te?»

L’altro annuì. «Nelle colonie che Celtic cisegnala troviamo sempre catapecchie e gente che

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si difende con bastoni di legno, qui invece c’èaddirittura un palazzo impenetrabile e ogni casa haun’armeria.» E con la mano indicò una pareteaccanto a lui. «Un’armeria vuota. Il che significache ci sono umani armati in giro che stannoaspettando di agire. Molti saranno incapaci e moltili abbiamo già fatti fuori, ma non è una delle solitesituazioni tranquille. E poi...»

Wolf deglutì a fatica. «E poi?»L’aiutante lo fissò. «So che lo conosci da

sempre e ti fidi di lui... ma Celtic non si è ancoravisto. Probabilmente ha sbagliato ad atterrare... mase invece ci avesse fregati? Sono giorni che gliumani sono chiusi in quel palazzo, dovesicuramente ci sarà una radio: a quest’ora magariil cielo è pieno di navi militari.»

Wolf sbuffò. «Assurdo, Celtic non lo farebbemai.»

«Cosa, non farebbe mai? Tradire un amico?»Wolf lo fissò. Non amava che gli si parlasse in

modo così diretto, ma dall’aiutante lo accettava,perché così facendo lo spronava a pensare.Rimase immobile poi si accorse che l’altro Yautja

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era ancora sulla porta. «Sei ancora qui, tu?»L’altro chinò la testa in segno di scusa.

«Vorrei sapere se devo continuare a torturare gliumani.»

Wolf agitò una mano. «A che serve, ormai?Magari in quel dannato palazzo hanno armi potentipronte a tenerci a bada. No, basta così. Appenaarriva Celtic ce ne andiamo...» Deglutìrumorosamente. «Intanto mi divertirò con gli ultimiumani rimasti: portameli.»

«Ah, dimenticavo», prese la parola il nuovoarrivato. «Prima di morire uno di loro ha detto checi sono altri umani nascosti nella miniera. Nessunodegli altri ne ha fatto menzione, forse quell’umanoha mentito per farci cadere in qualche trappola...»

«Se fosse una trappola l’avrebbero già usata alnostro arrivo», rispose Wolf. «Manda qualcuno acontrollare e digli di stare attento. Se trova altriumani li voglio vivi: visto che dobbiamoandarcene senza alcun bottino, voglio almenodivertirmi il più possibile.»

~

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Percorrere la trentina di chilometri che liseparava dalla colonia fu più penoso di quantoavessero immaginato, anche se alla fineimpiegarono meno tempo del previsto.

Non era passato neanche un giorno masembrava già lontano il ricordo del cinghialearrosto mangiato all’accampamento di Celtic,sfruttando il fuoco già acceso e l’avere giàdisponibile un cinghiale appena ucciso. Junglefece il meglio che poté ma fu lo stesso una cenaamara: nessuno parlò di quanto era successo fraAchab e il suo vecchio amico, e anzi si cercò dirimanere in silenzio.

Quando iniziarono la camminata, dopo qualcheora di sonno, la situazione inizialmente non sembròmigliorare. Su consiglio di Machiko noncamminarono uno appresso all’altro ma siallargarono il più possibile, così che se uno diloro fosse caduto in qualche trappola gli altri nesarebbero rimasti fuori. Achab non disse nulla elasciò che la donna desse consigli e indicazioni:quel silenzio fu interpretato da tutti come larinuncia a guidare il gruppo.

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Ognuno rimuginava sulla propria prestazione,durante quella prima missione su LV-617. Jungleancora si stupiva di avere i riflessi pronti, CityHunter si compiaceva della capacità di uccidereche aveva conservato e lo stesso faceva Berserker,che sapeva di essere in forma ma non era sicuroche, all’atto pratico, avrebbe avuto la forza diuccidere un proprio simile. Falconer era occupatoa guidare il suo drone qualche metro avanti a loro,per controllare che la strada fosse sgombra: nonera facile camminare e guardare il suo schermo,quindi non aveva tempo di pensare a quanto erasuccesso. Scar era semplicemente contento diessere ancora vivo e di non aver fatto troppicasini.

Tutti in fondo erano sollevati dalla propriariuscita sul campo, tranne ovviamente Achab.L’aver vendicato i propri compagni massacrati el’aver scoperto di non aver avuto alcuna colpanella loro morte era una sensazione liberatoria, mafortemente annacquata dall’amara constatazione diessere finito, come guerriero. Era un Predator dataverna, era un guerriero da bar. Niente di più.

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«Tu non ci crederai, ma quanto è successo èstato un bene.»

Achab si voltò di scatto a fissare Machiko.«Da dove sbuchi, tu? Non stavi camminando làdietro?»

La donna sorrise. «Lo prendo come uncomplimento: vuol dire che so ancora muovermisilenziosamente.»

Achab non sorrise. «So che è stato un bene»,disse tornando a guardare avanti e a cercare dicalibrare il respiro per non far vedere che aveva ilfiatone. «L’ho detto anche a Celtic: mi ha fattocapire le mie forze prima che fosse troppo tardi.Con Wolf non avrei avuto scampo...»

«Non solo per quello», disse Machiko. «Tiimmagini cosa voglia dire essere una donna umanain un gruppo di enormi Yautja muscolosi? Se tu inquesto momento ti senti debole, figurati come misono sentita io, anni fa, quando ho dovutoaffrontare i combattimenti con i miei compagni diclan.»

«Sento che sta per arrivare la morale...»La donna lo ignorò e continuò a parlare. «Dissi

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al maestro Dachande che era impossibile per meaffrontare avversari così troppo più forti di me,tanto più che in breve tempo tutti nel clan miodiavano e facevano di tutto per mandarmi via. Esai lui cosa mi rispose?»

Achab sentiva aumentare il fiatone, mentre sifaceva strada fra i cespugli stando attento a dovemetteva i piedi. «Non ne ho idea», disse in modosecco.

«Mi disse che sentirsi deboli è la più grandeforza di un guerriero, perché lo spinge a nonfermarsi mai, a studiare se steso e gli avversari: loporta a migliorare sempre, e questo lo rende unguerriero onorevole. Non è la forza a farlo, bensìla debolezza...»

«Sono contento che mi snoccioli i buoniprecetti del maestro», rispose Achab seccato, «maproprio non mi aiutano.»

«Così io accettai le sfide dei miei compagni diclan», continuò imperterrita Machiko. «E non fufacile evitare pugni che mi avrebbero spaccato latesta. Seguii il consiglio di Dachande e studiai siame che gli avversari, scoprendo i loro punti

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deboli: uno dei quali era essere convinti dipotermi abbattere con una tecnica potente. A forzadi tirarmi pugni micidiali, che andavano a vuoto, sisfiancavano velocemente mentre io rimanevofresca, così che mi bastavano poche leve persbatterli a terra.»

«Apprezzo il gesto, Machiko, davvero, ma nonmi stai aiutando. Non conosco leve né ho il tempodi impararle. Non conosco altro che la tecnica cheho imparato da ragazzo, e ho appena scoperto chenon serve a niente.» Achab si fermò e fissò conocchi di fuoco la donna. «Celtic l’ho fregato conquel coltello, ma dubito che possa succedere conWolf. Ti rendi conto che sono appena diventato ilmembro più inutile della squadra? Io... che avreidovuto guidarla?»

Ripreso a camminare, a testa bassa, Machikocontinuò a seguirlo e a parlare. «Non esistonomica solo strategie di combattimento corpo acorpo, esiste anche la strategia in generale. Adessosai che affrontare di petto Wolf non è una buonaidea, quindi dobbiamo studiare un modo percolpirlo a distanza.»

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«Sei brava con quel fucile», disse Achab.«Dimentichiamoci l’onore e arriviamo abbastanzavicini da piantargli una pallottola nella testa. I suoiuomini dopo non saranno più un problema.»

«Vedi? Già è un buon piano. Non un pianodefinitivo ma un buon inizio. Ti ricordo infatti cheio non sono un cecchino, e la mia mira funzionasolo ad una certa distanza: se mi avvicino cosìtanto da poterlo colpire... allora sono troppovicina a Wolf.»

~

«Maledizione, io cedo: ehi, Bishop, ti vengo afare compagnia.»

Jungle aveva resistito per molte ore perché nonvoleva essere il primo a salire sulla jeep perriposarsi, dimostrando così di avere menoresistenza degli altri. Sebbene si fossero portatidietro quel piccolo automezzo rumoroso anche perconcedere riposo a turno durante il cammino,avevano lasciato che fosse guidato dall’androideperché nessuno voleva mostrarsi “bisognoso di

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riposo”. Jungle aveva sopportato il dolore allegambe e ai piedi finché aveva potuto, ma oratemeva che il sopraggiungere di vesciche e piaghel’avrebbe reso inservibile: meglio mandar giùl’orgoglio e riposare i suoi poveri stanchi piedi.

Zoppicando si avvicinò alla jeep, che BishopIII aveva fermato vicino a lui. «Siete tutti in formamigliore di quanto immaginavate», disse ilsintetico con voce neutra.

Jungle sedette pesantemente al suo fianco,sbuffando. «Credevo che gli androidi nonmentissero mai.»

«Sono programmato per essere positivo eproattivo.»

Jungle calò una mano sulla spalla del sintetico,che miracolosamente non andò in mille pezzi.«Parti, “proattivo”, invece di dire stronzate.»

«Aspettate!» Bishop si voltò di scatto e fermòl’automezzo. Scar salì al volo nel portabagaglidella jeep. «Non mi va che Jungle faccia la figuradell’unico che si è stancato, così gli facciocompagnia.»

«Ecco un altro “onesto”», ringhiò Jungle.

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«Ragazzo, come fai ad essere stanco? Io alla tuaetà... bah, mi sa che neanche l’ho mai avuta la tuaetà.»

Il sintetico mise in moto e la jeep procedettelentamente, sia perché appesantita dall’eccesivocarico sia per non superare gli altri checamminavano.

«Visto?» disse Machiko alla volta di Achab,indicando l’automezzo. «Scar si è reso conto chenon ce la faceva ad affrontare un impegno chesembrava fattibile, ed ha cambiato strategia.»

Achab era sfiancato. «Machiko, non è che oradevi farmi mille esempi: ho capito quello che mistai dicendo, il problema è che mi sento di merdalo stesso. E guardare quella jeep non mi aiuta.»

«E perché?»«Perché mi ricorda che tutto questo è un tuo

piano, che sei un capo migliore di me e saiorganizzare una missione come io non avraineanche immaginato. Non mi sarei mai portatoappresso una stupida macchina umana, invece èdannatamente comoda, altrimenti ora non avremmosperanza di riposo e dovremmo portarci a spalla

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chili di armi. Capisci? Tutto questo mi ricordaquanto io non valga niente né come guerriero nécome stratega.»

Machiko sbuffò. «È solo questioned’esperienza. Tu hai fatto solo una missione,quand’eri giovane, io invece ho passato anni in unclan Yautja in veste di Blooded Warrior. Pensi cheio sia nata così? Ho imparato, guardando i migliorie facendo i miei sbagli. Così come tu staiimparando guardando chi ti è migliore... cioèguardando me!»

La donna esplose in una sonora risata.

~

City Hunter sbuffò al sentire Machiko ridere.«Un tempo mi piaceva imitare il riso delle donne,per attirare uomini in trappola.»

Berserker si avvicinò a lui. «A proposito,complimenti per come hai fatto fuori quel BadBlood. Per me era il primo, che uccidevo, maqualcosa mi dice che ne hai fatte, tu, di stagioni dicaccia.»

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Lo Yautja agitò una mano in aria. «Bei tempiandati. È stato divertente passare le notti in queimagazzini di Anderson City, girando vestito comeun guerriero: mi faceva sentire potente, ma laverità è che mi mancano dannatamente i tempi incui andavo a caccia per la città. Tempi in cuibazzicavo i bassifondi in cerca di teppisti dasventrare.» Ghignò.

«Be’, qui è parecchio diverso da una città,eppure te la sei cavata bene. Mi sa che toccherà anoi il grosso del lavoro, eh?»

«In che senso?» chiese City Hunter senzavoltarsi.

«Be’», disse Berserker camminando agilmentefra i cespugli, «siamo quelli più in forma delgruppo e probabilmente dovremo affrontare noi ilgrosso dei Bad Blood.»

City Hunter si voltò a fulminarlo con gli occhi.«Ragazzo, io ho sempre combattuto da solo, senzachiedere l’aiuto di nessuno... ed ho ottenutoquesto», e mostrò il suo braccio monco. «Seavessi avuto qualcuno a coprirmi le spalle sareiancora un guerriero onorevole. Per cui ti ricordo

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lo spirito di questa missione: si va tutti insieme, sicombatte tutti insieme, e nel caso... si muore tuttiinsieme. Chiaro?»

Berserker alzò le braccia. «Chiaro, chiaro, nonti scaldare. Era solo per chiacchierare.» Eaumentò il passo andando più avanti.

«I giovani d’oggi...» borbottò City Hunter.

~

«Ecco, quella è l’entrata della miniera», disseFalconer mostrando il monitor ad Achab.Quest’ultimo gradì molto il gesto, come se il suocompagno gli avesse testimoniato che loconsiderava ancora un capo, ma non poté fare altroche chiamare Machiko.

«Perfetto», disse la donna fissando il monitorlegato al braccio di Falconer. «Non ci sonosentinelle né strutture che chiudano l’entrata. Infondo è un pianeta disabitato quindi i coloni nonavevano motivo di usare porte con serrature.»Machiko si voltò verso Achab. «Io dico di entrarcisubito e lì riposare qualche ora, per riprendere un

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po’ di energie. Abbiamo ancora un po’ d’acqua ecibo, appresso: non conviene sprecare energie acacciare, ora.»

Achab annuì, con la grave consapevolezza distar semplicemente salvando la faccia: il suoassenso non aveva importanza, visto che la suaamica era perfettamente in grado di guidare ilgruppo da sola. «Forza ragazzi, un ultimo sforzopoi potremo riposare», disse Achab a gran voce,guardando Machiko: i suoi occhi la ringraziaronoper averlo spalleggiato.

Arrampicarsi sulla collina per raggiungerel’entrata della miniera fu più dura del previsto: eraun pendenza leggerissima ma la stanchezza ormaifiaccava il corpo di tutti. Anche se più riposati, fudura anche per Jungle e Scar. Per il momento lajeep doveva fermarsi, sia perché la tendenza nonpermetteva di utilizzarla sia perché faceva unrumore tale che si rischiava di essere sentiti dallacolonia, dall’altra parte della collina. A Bishop fudato l’ordine di trasportare le pesanti armi finoalla miniera: visto che avevano un androide, era ilcaso di sfruttarlo a pieno.

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Alla fine il primo ad arrivare fu Falconer, cherisultò più in forma degli altri. Si guardò in giropoi si voltò verso gli altri, che dal basso stavanosalendo. «Via libera!» gridò... prima chestramazzasse al suolo.

«Che cazzo...!» gridò Berserker, che era ormaiquasi in cima, poi capì che il rumore che avevasentito era uno sparo e si gettò a terra, mentreproiettili cominciarono a sibilare sopra di lui. «Cisparano addosso!» gridò Berserker.

Tutti d’istinto si chinarono e cercarono di nonperdere l’equilibrio ruzzolando giù.«Disperdetevi!» gridò Achab, mentre Machikoafferrò in fretta il fucile che aveva a tracolla e,sdraiata a terra, iniziò a mirare in cerca diobiettivi.

Gli spari sembravano provenire dagli alberiintorno all’entrata della miniera ma non si vedevanessuno, così Machiko iniziò a sparare alla ciecada dove le sembrava provenissero i lampi.

«Io scendo a prendere le armi», gridò Jungle,cercando di scivolare giù senza scorticarsi lapelle.

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Nella confusione generale una voce si alzòpotente. «Cessate il fuoco!» Era Bishop III che,atteso il silenzio che seguì, continuò. «SonoBishop e questi sono i valorosi guerrieri che hannoaccettato di salvarvi.» Poi si rivolse ad Achab eagli altri. «Permettetemi di presentarvi i mieipadroni.»

In quel momento dagli alberi iniziarono aspuntare i volti di alcuni coloni.

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11«Scusate se vi abbiamo sparato contro: non

immaginavamo che...»L’umano parlava vistosamente imbarazzato,

balbettando, ed Achab capiva a malapena quelloche stava dicendo. Aveva sempre ridotto alminimo i suoi contatti con gli umani quindi la suaconoscenza della lingua era zoppicante. Così unavolta ancora dovette sospendere la sua “autorità” efare segno a Machiko: ci parlasse lei con quel suosimile che non sembrava riuscire ad esprimersisenza balbettare.

«Dice che non volevano spararci addosso»,disse la donna ad Achab. I due si voltarono aguardare Falconer che, seduto ed imbronciato, sistava lasciando curare da Jungle il braccio ferito.«Che faccio?» continuò Machiko abbassando lavoce. «Glielo dico che non deve preoccuparsi, chein fondo ha solo ferito Falconer?»

I due scoppiarono a ridere. «Sei perfida»,sussurrò Achab. «Hai preso il peggio da entrambe

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le razze.»Sghignazzando la donna si rivolse al colono

che li guardava senza capire. «Non vipreoccupate», gli disse, «avremmo dovutoavvertirvi ma potete immaginare che non ciaspettavamo di trovarvi qui.»

L’uomo apparve molto sollevato dal sentire ladonna parlare la sua lingua, ed era palesementestupito di vederla vestita come un Predator. Non siazzardò però a fare domande sull’abbigliamentoche rischiavano di essere imbarazzanti.«All’arrivo di quei mostri eravamo in miniera alavorare. Abbiamo capito subito che era inutilecercare di metterci in salvo fuori e siamo rimastiqui.» Gli occhi si fecero tristi. «So che nonsembra molto “eroico”, che avremmo dovutocercare di aiutare gli altri, ma contro ...» indicòAchab e gli altri, «... contro “quelli” noi chepotevamo fare? Così abbiamo mandato il nostrosintetico verso una delle navicelle d’emergenza,sempre pronte a partire, perché cercasse aiuto.»

«Ed eccoci qua», concluse Machikoallargando le mani, ad indicare se stessa e gli altri

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del suo gruppo.L’uomo tentennò e ci fu qualche secondo di

silenzio imbarazzato. «Non... non traduci perloro?»

Machiko sorrise. «Sì, appena mi diraiqualcosa che valga la pena tradurre.» L’uomoaccusò il colpo. «Per esempio quanti coloni sonorimasti, se lo sapete, quanti Bad Blood ci sono intotale, dove sono accampati, se ci sono arminella colonia e dove sono...» Cominciò ad agitareuna mano in aria. «Insomma, più informazioni cidarete più sarà facile liberare al zona senzatroppi morti.»

«“Troppi”?» chiese l’altro, deglutendo.Machiko annuì. «Immagino che vi rendiate

conto della gravità della situazione: non saràfacile far fuori quei “mostri” senza chereagiscano con violenza. E se hanno umani adisposizione...» Lasciò che l’altro immaginasse lafine del discorso.

Intanto dal buio dell’entrata della miniera sivedevano facce umane affacciarsi timorose, e voltiinterdetti sbucavano anche dai cespugli nelle

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vicinanze. Nessuno sembrava fidarsi poi troppo diquesti mostri venuti in aiuto, sebbene l’idea diingaggiarli fosse stata loro: vederli lì, in carne,ossa e muscoli, così imponenti e così troppo piùgrandi del più grande degli uomini... alla fin finenon faceva stare tranquilli come sperato.

Dal canto loro neanche gli Yautja fecero unsolo passo avanti verso gli umani. Avevanopassato molti anni a subire le angherie di quellarazza, l’umiliazione di dover eseguire ordinilanciati da quegli insetti fastidiosi, il ritrovarsischiavi degli stessi esseri a cui prima davano lacaccia. Non erano lì per loro, erano lì perrecuperare l’onore perduto: qualsiasi gestod’amicizia o anche solo di non belligeranza neiconfronti degli umani era fuori discussione.

«Allora, tu o i tuoi amici siete in grado dirispondere a qualcuna delle domande che ti hoappena fatto?» pressò Machiko. Non era tempoper la diplomazia, e l’essere tornata a vestire ipanni da Predator le stava facendo velocementedefluire ogni tolleranza nei confronti del genereumano.

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Il colono si passò una mano sulla fronte.«Allora, vuoi sapere quanti sono quei mostri,no?»

La donna sbuffò. «Insieme a tante altre cose,sì. Qualsiasi informazione riusciate a darci saràun grande aiuto.»

L’uomo si voltò verso i suoi compagni che sene rimanevano nascosti. «Qualcuno di voi ha ideadi quanti siano quei mostri?»

Achab si avvicinò a Machiko, che nelfrattempo si era presa il volto fra le mani. «Chesuccede? Perché il tizio sta urlando?»

La donna rispose con tono disperato. «Daquesti idioti non avremo alcuna informazione.Potrei dire che sono impauriti ma temo che sianosemplicemente...» scosse le spalle, «umani», dissecon disprezzo.

Achab sghignazzò. «Noto con piacere chediventi sempre più Yautja ogni giorno che passa.»

«Sono sempre stata una Yautja, anche quandotrattavo con questi insetti umani.»

Mentre i coloni si rimbalzavano numeri sunumeri – dimostrando quindi di non avere idea di

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quanti Bad Blood li avessero aggrediti – CityHunter si avvicinò ad Achab e Machiko. «Fatesapere qualcosa anche a noi? Perché continuiamo astare su questa scomoda salita? Non dovevamoriposare nella miniera?»

Berserker apparve all’improvviso. «Perchéperdiamo tempo con questi umani? Ormai sono insalvo, dovremmo cominciare a studiare comearrivare a Wolf.»

Achab non era del tutto sicuro che questedomande le stessero ponendo a lui: si trovavavicino a Machiko e probabilmente erano tutterivolte a lei. «Sì, è inutile rimanere qui,all’aperto», prese d’un tratto l’iniziativa.«Entriamo nella miniera così Falconer puòcominciare a spiare con il suo drone cosa ci siadall’altra parte.»

Era un rischio dare quest’ordine, Achab se nerendeva conto. Perché se Machiko l’avessecontraddetto sarebbe stata la fine totale di ogni sualeadership, ma per fortuna la donna annuì ecominciò a dirigersi verso l’entrata della miniera,senza più neanche guardare il colono con cui stava

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parlando. Nulla di utile sarebbe arrivato da lui enon valeva la pena perdere altro tempo in ritiumani di cortesia.

«Forza, saliamo», disse Jungle aiutandoFalconer a rialzarsi. In realtà quest’ultimo stavabenissimo, ma gli piaceva fare un po’ la vittima: infondo era stato il primo del gruppo ad esserecolpito in azione, quindi un po’ sentiva il diritto dizoppicare. Anche se era stato ferito al braccio.

Scar fece di tutto per rimanere invisibile,perché l’avvicinarsi dell’azione vera stavaacuendo ogni suo dubbio: trovarsi obiettivo difuoco nemico – o supposto tale – aveva fiaccatoparecchio le sue gambe e tutto il coraggio chefingeva di avere iniziava seriamente a traballare.

Distratto da questi pensieri, non si reseneanche conto del primo strillo umano.

~

Anni prima avevano scoperto che la rete eral’unico modo per catturare vivi gli umani. Era unarazza particolarmente agitata e battagliera, quindi

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qualsiasi altro sistema avrebbe finito per ucciderlio ferirli così seriamente che poi non andavano piùbene per i giochi di Wolf, quindi i suoi Bad Bloodandavano sempre a caccia con abbondante dose dilancia-reti.

Erano entrati lentamente nella miniera, in modotanto furtivo che le due sole sentinelle di guardianon avevano potuto fare altro che morire senzaaccorgersene. L’ordine era di prendere vivi gliumani, se ce n’erano, ma era troppo alto ilpericolo che quelle due sentinelle avvertissero glialtri.

Percorsa la miniera in cauta esplorazione, ilgruppo di Bad Blood si ritrovò ad osservare gliumani che erano tutti affacciati fuori: non erachiaro il motivo, ma non importava, visto che eraun’occasione perfetta per catturarne tanti insieme. Iguerrieri si appostarono silenziosamente elanciarono tutti insieme le loro reti, catturando inun colpo solo quasi tutti gli umani che sporgevanodall’entrata della miniera. Le urla furonoimmediate e potenti, ed era musica per i BadBlood, che con il tempo avevano imparato che

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quando un umano urlava voleva dire che non avevapossibilità di fare altro.

Non rimaneva che catturare i restanti umani,che erano usciti dalla miniera e cercavano dinascondersi fra i cespugli. Fu subito chiaro cheacchiapparli uno per uno sarebbe stata una faticatache rischiava di non dare alcun frutto, così uno deiBad Blood si affacciò dalla miniera e cominciò asparare agli umani. Non c’era bisogno di prenderetroppo la mira, il fucile era così potente che aquella distanza otteneva il suo effetto in ogni caso.

Dopo il secondo colpo il Bad Blood si girò edalzò il braccio a chiamare i compagni: che sidessero da fare pure loro. Ancora agitava il suobraccio, dopo che un fascio luminoso gliel’avevaportato via.

~

City Hunter era l’unico che avesse con sé armidi alto livello, e non aveva esitato ad usare il suocannoncino da spalla appena aveva visto il BadBlood sparare sugli umani. Poco gli importava del

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destino dei coloni, ma uccidere un Bad Blood cosìvigliacco da sparare su umani disarmati eraqualcosa a cui non poteva resistere. Prima glimoncò un braccio, per sfregio, e poi con unsecondo colpo del suo cannoncino gli perforò ilpetto: il corpo senza vita dello Yautja volò via,verso l’interno della caverna. «E il primo èandato», gracchiò City Hunter, pienamentesoddisfatto.

«Bravo!» lo sferzò acida Machikoraggiungendolo velocemente. «Ora i suoicompagni rimarranno rintanati nella caverna emagari andranno ad avvertire Wolf: hai appenainfranto l’effetto sorpresa, idiota, cioè la nostraunica arma.»

City Hunter sentì il volto andargli a fuoco:come osava quella piccola umana permettersi diparlargli così? Giocare a fare la Yautja non leconsentiva tale confidenza: era seriamente tentatodi spazzar via quell’insetto una volta per tutte...

«Via da qui», stava intanto sussurrando Jungleagli altri. «Tutti nei cespugli!»

Machiko e City Hunter si stavano fissando in

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modo teso, ed era uno spettacolo incredibile: ladonna arrivava alla vita del Predator, superandoladi poco, quindi l’espressione infuriata nonsembrava avere molta ragion d’essere. Stava perdire qualcosa ancora, quando sentirono una vocefamiliare dire qualcosa che apparentemente nonaveva senso.

«Amici, perdonate il mio stupido compagno. Siè fatto prendere dal panico ed ha aperto il fuoco:sarà punito come merita. Siamo i Bad Blood diCeltic: siamo vostri amici.»

Tutti si voltarono a fissare Achab, che con lemani in alto si era avvicinato all’entrata dellaminiera. Continuava a gridare verso l’interno.«C’è stato un terribile errore, e Celtic sapràricompensare Wolf del guerriero perso.»

«Ma che diavolo sta dicendo?» chiese CityHunter.

Machiko lo zittì. «Sta rimediando allastronzata che hai fatto tu.»

Achab afferrò un umano che si ritrovò fra ipiedi e lo sollevò alla volta della miniera. «Perfarci perdonare vi aiutiamo a raccogliere questi

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insetti.»Machiko sentì gli uomini gridare che erano

caduti in trappola, che erano stati stupidi a crederequei mostri i loro salvatori. Non era certo quello ilmomento per spiegare loro la situazione.

Un Bad Blood uscì dalla caverna titubante, conun fucile puntato alla testa di Achab. «Se davveroconosci Celtic», gracchiò, «cosa porta sempre allacintura?»

Achab ghignò. «Una zampa di coniglio. Ma luipreferirebbe un braccio umano.»

Il Bad Blood abbassò l’arma. «Cazzo, amico,siete troppo nervosi, voi altri. Prima aprite ilfuoco e poi salutate?» E fece segno ai suoicompagni di uscire. «A forza di avere a che farecon gli umani in effetti ci siamo disabituati adaffrontare nemici seri.»

Achab rise in modo esagerato, girando la testae guardando nel punto dove sapeva essereMachiko: vide la donna annidata fra i cespugli,con il suo fucile in mano, pronta al fuoco.«Inoltre», disse alla volta dei guerrieri chelentamente uscivano dal buio, «a forza di bazzicare

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pianeti fetenti come questo vi state perdendo lenuove armi che sono state inventate.»

Tre Bad Blood ora erano in piedi davantiall’entrata della caverna, a fissare Achab.«Davvero? E che armi sono?»

Achab alzò lentamente la mano, piegò le dita emise pollice ed indice a forma di pistola,puntandola alla testa di uno di loro. «Armi tipoquesta.» E mosse il pollice come a premere unimmaginario grilletto.

La testa di uno dei Bad Blood esplose.Malgrado fosse tutto improvvisato, Machiko

aveva capito cosa stava facendo Achab – in fondoera stata lei anni prima a far vedere all’amico unvecchio film umano dove mostravano quel trucco –e subito era stata al gioco.

Prima che gli altri due Bad Blood potesserocapire cosa stesse succedendo, Achab ne afferròuno per il collo lo strinse forte a sé: ne voleva unovivo, per interrogarlo ed ottenere informazioniAll’altro pensò Berserker, che sbucò velocementedai cespugli. Era sguisciato fin lì approfittandodella confusione che stavano facendo gli umani,

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così che nessuno badasse a lui, ed ora cominciavaa riempire di pugni allo stomaco il guerrieronemico, prima di gettarlo in terra.

Gli altri uscirono dai loro rifugi e siavvicinarono lentamente.

«Ascoltate», gridò Berserker. «Ho il diritto disfidare a duello mortale questo Bad Blood: sevincerà, avrà salva la vita.»

«Che cazzo stai dicendo?» gracchiò Achab.«Non siamo mica nel nostro locale, questo non èun campionato di lotta clandestina.»

Berserker non volle ascoltare ragione e fecesegno al Bad Blood di alzarsi. «Uno contro uno,amico: se mi batti, sei libero di andare.»

«Non essere ridicolo, figliolo», gracchiòJungle, ma il guerriero a terra iniziò lentamente – eminacciosamente – ad alzarsi, senza dire unaparola: un leggero cenno della testa fu il segnaleche accettava il ridicolo patto di Berserker.

«Non abbiamo tempo per questo», gridò CityHunter.

Berserker agitò una mano in aria. «Ne abbiamouno vivo per interrogarlo, se questo lo ammazzo di

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botte non è un problema.»Tutti si guardarono, colpiti dall’assurdità della

richiesta, ma non ci fu tempo per altre discussioni:il Bad Blood scattò e colpì Berserker al ventre.Questi incassò con un sorriso e poi alzò le mani inuna guardia umana: la sua tecnica preferita, perchéadorava vedere lo stupore negli occhi dei suoiavversari Yautja. Il Bad Blood era tutto tranne chestupito.

Sferrò un pugno laterale che Berserker amalapena riuscì a parare, e mentre si chiedevacome potesse la sua guardia risultare così pocoefficace già un altro pugno al petto gli stavatogliendo ogni briciolo di respiro.

Intanto Achab si era distratto a guardare ilcombattimento e il Bad Blood che teneva per ilcollo lo agguantò per una caviglia, lo sollevò inaria e lo fece crollare pesantemente a terra. Junglee City Hunter furono subito addosso allo Yautja ecercarono in qualche modo di immobilizzarlo. Nonera così facile, vista la sua forza... e la lorodebolezza.

Intanto Berserker provò una delle sue celebri

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tecniche di pugno che tanti incontri gli avevanofatto vincere, ma appena dato il primo colpol’altro rispose limitandosi a proteggersi con ilbraccio: così facendo lasciò che il pugnoavversario si infrangesse contro il gomito. QuandoBerserker ritirò il braccio sentiva qualcosa distrano, e un colpo d’occhio gli mandò un’immagineche non riuscì a capire: perché le sue dita avevanoora quell’aspetto strano? Ci mise eterni secondi acapire che si era appena rotto la mano contro ilpossente gomito dell’avversario. Non era giusto:aveva partecipato a centinaia di combattimenti, eaveva sempre vinto...

La consapevolezza che combattere controubriaconi falliti nelle cantine dei bar di AndersonCity non faceva di lui un campione non arrivò mai,perché nel frattempo il Bad Blood lo avevaafferrato per la vita e per il collo: sollevatoagevolmente in aria, lo aveva lanciato contro unalbero lì vicino. La testa di Berserker sbatté cosìforte che la corteccia si sgretolò. Mentre ancora ilsuo corpo era in aria, l’avversario si eraavvicinato, raccogliendo qualcosa da terra.

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Solamente il suono raccapricciante che risuonònell’aria fece capire che con una grossa pietra ilguerriero aveva appena spiaccicato la testa diBerserker.

I suoi compagni erano troppo impegnati atenere a bada l’altro Bad Blood per poter sentirealcun rumore, ed ogni sforzo era vano. Jungle eratroppo spompato e City Hunter aveva una mano inmeno, mentre Achab stava ancora cercando ditornare a respirare. In tre non riuscivano a tenerefermo un solo Bad Blood.

Scar e Falconer stavano fissando allibiti lospettacolo del loro compagno massacrato.Berserker non era loro amico, non ricordavanoneanche se avesse mai rivolto loro la parola:averlo perso non era un problema. A terrorizzarliera stato la velocità e la spietatezza con cui tutto siera svolto: la pratica era decisamente più orribiledella teoria. E loro erano guerrieri solo in teoria.

Quando il Bad Blood si voltò verso di lororimasero paralizzati. I tre si guardarono per lunghisecondi. Lo Yautja nemico guardò il braccio feritodi Falconer e spostò lo sguardo verso Scar: alzò

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un braccio e lo indicò. Il prossimo era lui.Scar non mosse un muscolo, immobile nel suo

terrore, ma si limitò a sollevare il braccio...lentamente... e a mettere la mano a forma dipistola, puntata alla tempia dell’avversario.«Bum», disse con un filo di voce, muovendo ilpollice come aveva fatto Achab.

Il Bad Blood lo fissò, stupefatto. «Tu sei ilgenio del gruppo, vero?» chiese.

«Mi sa che è scarica», disse Scar con un filodi voce.

Il guerriero nemico iniziò ad avvicinarsi a lui,e fu allora che qualcosa lo colpì. Pesantemente.

Falconer aveva fatto salire in volo il suo droneper controllare che non ci fossero altri Bad Bloodnelle vicinanze, ed ora l’aveva mandato inpicchiata contro lo Yautja che avevano di fronte.Non poteva certo ferirlo seriamente, mal’apparecchio lo colpì a massima velocitàscendendo da almeno dieci metri di altezza.L’impatto fu potente e il guerriero caddepesantemente.

Mentre il Bad Blood rantolava a terra,

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tenendosi la testa fra le mani, Scar estrasse il suocoltello, si chinò su di lui e lentamente, quasi sefosse un altro a guidare la sua mano, lo infilò nellasua gola. Non era una morte misericordiosa, néonorevole, ma era l’unica che Scar poteva dare aquell’assassino. Aspettò che il Bad Blood morisseasfissiato, accucciato sopra di lui mentre premevala lama nella sua gola, agitandola lentamente perlacerare la carne. Il tutto in estremo silenzio. Soloquando il nemico si rilasciò e smise di tremareScar si rimise in piedi, tenendo in mano il coltellogrondante di sangue.

«Questo invece è sempre carico.»Scar fece scattare la testa alla volta di

Machiko, che aveva parlato. «Cosa?»La donna, che gli si era avvicinata lentamente,

gli sorrise in modo triste. «Avevi appena detto cheil tuo dito-pistola era scarico, quindi ora mentregli piantavi una lama in gola dovevi dirgli che ilcoltello invece era sempre carico. Devi imparare adire frasi ad effetto, se vuoi essere un veroguerriero.»

Scar non trovò divertente la cosa. «Perché non

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gli hai sparato prima che uccidesse Berserker?»,disse come se fosse un rimprovero. Era in realtàun cruccio.

«Perché era suo diritto morire da coglione:l’ha voluto e l’ha ottenuto. Non era mio compitospiegargli la stupidità di ciò che riteneva giusto.»

«E perché non hai sparato quando ho fatto ildito-pistola come Achab?»

«Perché ho cercato di darti la possibilità didimostrare quanto vali. Anzi», indicò Falconer.«Quanto valete. Insieme magari riuscite a fare unbuon guerriero.» Sorrise, amaramente.

Falconer si avventò sul suo drone,pesantemente ammaccato. «Se sparavi, però, erameglio: guarda come ho dovuto ridurre il mioapparecchio.»

Machiko scosse la testa. «Sparo solo quandoormai non c’è altra soluzione.»

Detto questo, si voltò, imbracciò velocementeil suo fucile e sparò nel mucchio di membra Yautjache si stava rotolando all’entrata della miniera.Nessuno dei suoi tre compagni riusciva ad avere lameglio sul Bad Blood, che stava ormai per

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liberarsi. Si era appena alzato, quando il colpo diMachiko gli trapassò la coscia, facendolo caderepesantemente in terra. Gli anni che aveva passatoad accompagnare i ricconi umani a caccia, quandoera stata cacciata dal clan la prima volta,finalmente le tornavano utili.

«Ehi!» gridò City Hunter cercando di rialzarsicon dignità. «Potevi colpire noi!»

«Non c’era pericolo», gridò la donna. «Già cistate pensando da soli ad ammazzarvi.»

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12Il Bad Blood gridava, ma non era a causa della

ferita alla gamba o perché Achab, Jungle e CityHunter stavano tentando di trascinarlo verso unalbero, per legarlo. Stava urlando di frustrazione.

«Battuto da dei buffoni!» digrignava fra i denti,e per sottolineare il concetto tirò a sé il braccioche i tre stavano tirando per trascinarlo via: li fececadere tutti e tre.

«Stai buono amico, o ti apro un buco anchenell’altra gamba.» Machiko lo teneva sotto mirama in realtà non costituiva alcuna minaccia per ilprigioniero.

«Una donna umana», stava ringhiando loYautja. «Colpito da una donna umana con un’armaumana: un’umiliazione maggiore non potevaesistere.» Achab lo afferrò al collo per trascinarlovia di peso, ma il prigioniero lo colpì con unpugno al viso, così potente da farlo cadere a terradi peso.

Machiko era tentata di sparare di nuovo ma

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non voleva sprecare un proiettile per unasituazione di pericolo, soprattutto perché non erasicura che nella jeep ci fossero altre munizioni perquel fucile. Non aveva preventivato di usare cosìspesso quell’arma e non si era assicurata che cifossero scorte adeguate di munizioni. Era inutileanche minacciare lo Yautja, visto che era un BadBlood, un criminale che si era macchiato con cosìtanto sangue... che nulla di ciò che la donna potevadirgli l’avrebbe spaventato.

Jungle cedette alla frustrazione, raccolse ungrosso ramo dai cespugli e con rapido gesto localò sulla testa del prigioniero... che a malapena siaccorse del gesto. Mentre lo osservava,imbambolato in piedi davanti a lui, Jungle non sirese conto che il prigioniero gli aveva afferrato lacaviglia con la mano: si ritrovò anche lui a terra inun attimo, mentre lo Yautja con un rapido gesto loimmobilizzò afferrandolo al collo.

Machiko si avvicinò ancora di più, poggiandola canna del fucile sulla testa dello Yautja.«Mollalo.» Era inutile aggiungere altro: sarebberostate solo minacce vuote.

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Il prigioniero alzò lo sguardo a fissare gliocchi della donna. Lasciò la presa ed anzi alzò lemani, in un gesto sarcastico accompagnato da unsorriso. Aspettò che gli altri si fossero rimessi inpiedi prima di parlare a tutti. «Mi dispiace di averucciso il vostro amico», disse, aspettando qualchesecondo prima di allargare il sorriso e continuare.«Perché regalandogli una morte veloce gli hoevitato la lunga agonia che toccherà a voi.» Riseforte. «Wolf farà scempio dei vostri corpi, equando sarà stanco vi lascerà vivi, ad agonizzare:carne tremante che chiederà solo di essere uccisaper smettere di soffrire.» Rise, ma stavolta in tonopiù basso, più sinistro. «Il mio unico rimpianto èdi non potermi godere lo spettacolo...» Con lamano destra si afferrò la fronte e con la sinistra lamascella: con uno scatto potente e un rumore seccosi spezzò il collo, accasciandosi a terra.

Il silenzio che seguì al rumore del collo rottofu pesante e mortale. «Ma... perché l’ha fatto?»chiese Scar, visibilmente scioccato. «Aveva paurache lo torturassimo?»

«No», rispose in tono basso Achab. «Si

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sarebbe fatto grasse risate a vederci provare atorturarlo. No, il problema è Wolf: non accettaferiti, sono solo una perdita di tempo, e con quelbuco nella gamba non c’era speranza di tornare unguerriero attivo. Se fosse tornato da Wolf questil’avrebbe ucciso, magari non in modo così veloce,quindi ha semplicemente anticipato l’inevitabile.»

Nessuno parlò, ma lo svolgimento di quellaazione inaspettata aveva reso chiara la situazione:la morte d’un tratto sembrava davvero il minimoche poteva accadere loro.

~

«Sei sicuro?»Wolf stava in piedi, in mezzo alla strada

principale della colonia, e fissava in direzionedell’entrata della miniera.

«Assolutamente», rispose il suo assistente lìvicino. «Solamente due dei quattro colpi di fucileche si sono sentiti erano dei nostri, gli altri duepotevano assomigliarci ma sono sicuroprovenissero da altre armi.»

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Wolf stringeva i pugni per il nervoso. Queldannato pianetino schifoso gli stava dando piùgrattacapi del previsto, e mai nella sua attività dicriminale aveva avuto così tanti dubbi sullasituazione. «Magari quei coloni si sono davveroandati a nascondere nella miniera e si sono portatidietro delle armi.»

«Sì, può darsi», rispose velocementel’aiutante. «Però i nostri non stanno tornando, enon posso pensare che degli insetti umani abbianopotuto avere la meglio su quattro Bad Blood dilunga esperienza. Magari questi coloni sono piùduri del previsto, ma allora perché non ci hannoaffrontato prima? Se hanno armi così potenti,perché finora non le hanno usate?»

Wolf odiava quando le sue certezze venivanosgretolate, ma sapeva che era necessario avere chigli suggerisse sempre il peggio: era così che dopotanti anni poteva ancora scorrazzare perl’universo. «Pensi che si tratti dei soldati dellaCompagnia?»

L’aiutante annuì. «Sicuramente mi sbaglio, mapensaci. Celtic ancora non si è visto e non lo si

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può certo definire uno che rispetta sempre gliaccordi. E se avesse fatto un accordo con laWeyland-Yutani? Se ci avesse mandato su questopianetino su consiglio loro? Hai visto quellastruttura in cui gli umani si sono chiusi dentro?Non è roba da minatori: questo pianeta ècontrollato strettamente dalla Compagnia e Celticci ha mandati in una trappola.»

Wolf non poteva crederci. Sapeva benissimoche Celtic era un serpente velenoso ma il lorosodalizio era troppo solido e di lunga data... comepoteva prendere in considerazione quell’ipotesi?«Va bene», disse dopo lunghi attimi pensosi. «Neldubbio, filiamocela. Avremo tempo di indagare e,nel caso, vendicarci di quell’infame di Celtic.»

«Do l’ordine di smontare tutto e di prepararsia partire», disse l’aiutante, accennando un inchinodel capo e andandosene, lasciando Wolf solo.

Il possente Yautja fissava sempre più nervosol’entrata della miniera. Pensò che si stava facendovecchio, perché altrimenti avrebbe dovutoprevedere dal primo giorno che se si fossepreparato un attacco contro di lui... è dall’ingresso

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della miniera che sarebbe arrivato.

~

«Si stanno preparando a partire», disseMachiko senza togliere gli occhi dal suocannocchiale. Era sdraiata da parecchio sullimitare dell’entrata della miniera, e sperava diriuscire a farsi un’idea di quanti Bad Blood cifossero, senza purtroppo riuscirci.

Gli altri erano tutti stretti in prossimitàdell’entrata, ma cercavano di appiattirsi controqualche parete, per non far vedere ombre omovimenti da fuori. Erano distanti dalla colonia eavevano il sole alle spalle, quindi teoricamenteerano invisibili, ma quando Wolf si mise a fissarenella loro direzione non poterono reprimere unbrivido.

Malgrado la lontananza, la visione del potenteBad Blood li aveva terrorizzati, anche perché ilmorale di tutti era talmente a terra da essereparticolarmente sensibile.

«Pensi che si sentano minacciati?» chiese

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Achab.«Forse hanno sentito i miei spari e hanno

capito che non provenivano da una loro arma»,disse Machiko. Non era stata una mossa saggia,sparare, ma non si rimproverava: vista lamanifesta incapacità degli altri era l’unica sceltapossibile.

Da quando erano entrati nella miniera tuttipensavano solamente a come sferrare l’attaccofinale. Tutto, pur di non pensare a Berserker.

Nessuno avrebbe mai avuto il coraggio di dirload alta voce, ma era stato un bene che il loroamico avesse fatto l’idiota, sfidando il Bad Blooda combattere: così facendo aveva reso menospaventosa la sua morte. Bastava non sfidarenessuno, e quel tipo di morte si poteva evitare. Eraun pensiero irrazionale, ma attraversava le mentidi tutti.

In un’altra occasione Achab si sarebbestraziato il cuore a vedere il proprio amicomaciullato a sassate, ma ora c’era un pericolotalmente grande che cancellava tutto il resto. Eforse era un bene: non avrebbe avuto tempo di

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soffrire per la fine di Berserker.Le minacce del prigioniero poi avevano gelato

il sangue a tutti, ed era meglio non pensareall’eventualità di finire vivi nelle mani di Wolf.Sapevano tutti chi era quel criminale e di cosa eracapace, ma fino al giorno prima la missione avevai contorni del sogno: ora invece eramaledettamente reale e metteva maledettamentepaura.

«Dobbiamo agire in fretta, altrimenti sarà statotutto inutile», spezzò il silenzio City Hunter.

«Agire come?» scattò rabbioso Jungle. «In trenon siamo riusciti a tenere fermo uno solo di loro,che cazzo di speranze abbiamo?» Tutti sivoltarono a fissarlo stupiti: non era il solito tonodi voce brontolone di Jungle. Era il tono delladisperazione, come se non ce la facesse più acontenere la pressione di quell’esperienza piùtraumatica del previsto. «È finita, ci siamodivertiti a fingerci guerrieri ma ora il gioco èarrivato alla conclusione. Siamo un manipolo diinetti che un tempo si credevano Blooded Warrior:esiste un solo piano d’azione, per noi...»

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Dopo un silenzio pesante di qualche secondo,Achab prese la parola. «Si può sapere di che staiparlando, amico?»

Jungle guardò tutti con occhi durissimi. «Non èpiù tempo di bei discorsi, ora è il tempo dellaverità. Siamo venuti qui per morire da guerrieri...quindi è arrivato il momento di farlo.» Dopo unsecondo di gelido silenzio continuò. «Ci buttiamoaddosso a tutto ciò che si muove e ne portiamo viacon noi il più possibile...»

Mentre Scar e Falconer rimanevano indisparte, sperando che il buio della miniera che liavvolgeva li nascondesse anche agli altricompagni, City Hunter rispose seccato. «C’èsempre tempo per morire, non sarebbe meglioprovare prima a far fuori qualche Bad Blood insicurezza?»

«E come?» quasi urlò Jungle. «Siamospompati, fiacchi, non abbiamo più un briciolo diforza. Non siamo riusciti a tenerne fermo unoferito, come pensi di avere la meglio su quellilaggiù?»

«Con l’inganno», rispose d’un tratto Machiko,

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che abbandonò il posto d’osservazione perrimettersi in piedi, riparata dal buio. «Wolf haguardato da questa parte a lungo e sicuramente hadato l’ordine di partire: si aspetta un attacco dallaminiera, e noi faremo come i nazisti.»

«Come cosa?»Machiko non rispose ma chiamò uno dei

coloni, che si avvicinò titubante. «So che lavorarein miniera significa anche usare la dinamite: neavete una scorta, qui?»

L’uomo annuì. «Non proprio una scorta,dovevamo rifornirci quando sono arrivati imostri. Se non ricordo male è rimasto giustoqualche candelotto.»

«Perfetto» esultò la donna, tornando daicompagni. Prima che gli ponessero altre domandeiniziò subito a parlare. «I nazisti erano dei grancattivoni che, nel passato del mio pianeta,tentarono di invadere un territorio molto grande. Iloro nemici sapevano benissimo cosa stavano perfare e si prepararono ad affrontarli nel punto doveera più ovvio che attaccassero. I nazisti infattiattaccarono da lì, ma fu solo un trucco: solo una

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minima parte delle loro forze fu impegnata nelpunto “ovvio”, il resto se ne andò da un’altra partee penetrò in profondità nel territorio nemico. Inpratica i nazisti conquistarono un enorme territoriocon relativamente poco sforzo. Così dobbiamofare noi: Wolf si aspetta un attacco dalla miniera enoi glielo daremo, ma in realtà saranno i coloni afarlo: noi faremo il giro ed attaccheremo dall’altraparte della colonia. Beccheremo Wolf e i suoi allespalle, mentre sparano ad una miniera vuota.»

Tutti si guardarono, finché Achab prese laparola. «Quanto sono riusciti a mantenere la lorovittoria, quei nazisti?»

Machiko non se l’aspettava, come domanda.«L’ho detto all’inizio, erano cattivoni quindi allafine hanno perso, ma a noi non interessa: quellavittoria è stata la più grandiosa e inaspettata delperiodo, e noi dobbiamo seguirne la tecnica. Faicredere all’avversario di aver capito cosa farai,così che non si metta a guardare da un’altra parte:così che cioè non si accorga che in realtà staifacendo tutt’altro.»

«Pensi che gli umani ci aiuteranno?» chiese

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Falconer.Machiko si voltò a guardarli, mentre

rimanevano in fondo alla miniera, sorrise loro epoi tornò a guardare i suoi compagni. «Dovrannoper forza, altrimenti legheremo la dinamite ai lorocorpi e li manderemo fuori dalla miniera.»

Mentre gli altri la fissavano, Machiko siinchinò verso Jungle, che rimaneva seduto afissarla con occhi spiritati. «Uno dei libri sacridegli umani dice: c’è un tempo per vivere e untempo per morire», sussurrò la donna afferrandotra le mani la testa di Jungle. «Non è ancora tempodi morire, amico mio: è tempo di uccidere.»

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13L’esplosione del primo candelotto di dinamite

fu il segnale che tutto era giunto a compimento.Non c’era più tempo per i ripensamenti e iragionamenti, per i pianti e per i rimpianti.L’attacco finale era appena iniziato e al di là dicome sarebbe finito, ciò che importava era proprioquesto: che tutto sarebbe finito. Quel suonoesplosivo significava che erano tutti tornatiBlooded Warrior, guerrieri onorevoli, in quantostavano per affrontare con coraggio e sprezzo delpericolo un nemico palesemente superiore in ogniaspetto.

Erano belle parole da rigirarsi nella mente, manon potevano nulla contro il terrore più nero.

Machiko aveva spiegato con calma e pazienzaai coloni che ad un tempo prestabilito avrebberodovuto accendere quei candelotti di dinamite einiziare a lanciarli ad intervalli crescenti: primadieci secondi, poi trenta, poi un minuto e via così.Serviva a destabilizzare il nemico, per non far

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capire quando sarebbe arrivata la prossimaesplosione, creando momenti di panicopreziosissimi per poter intervenire di sorpresa.

C’erano pochissimi candelotti, l’attacco fintonon sarebbe durato molto, ma era più chesufficiente per sferrare un attacco mortale ai BadBlood.

Achab guidò la silenziosa camminata perarginare la colonia, così da attaccare dalla parteopposta da dove sarebbero arrivate le esplosioni eprendere i Bad Blood alle spalle. Non se la sentìperò di dare ordini: ognuno sapeva già cheavrebbe dovuto sgattaiolare il più silenziosamentepossibile alle spalle dei nemici distratti per poiucciderli, possibilmente in modo veloce: seperdevano l’effetto sorpresa o riuscivano solo aferire il nemico di turno, erano in pratica già morti.

Erano passati dalla jeep per fare il carico diarmi. Nessuno credeva che sarebbero vissuti cosìtanto da tornare indietro a ricaricare, quindicercarono tutti di dotarsi il più possibile. SoloCity Hunter non prese nulla. «Ho già addosso tuttoquello che mi serve», disse. «Armi Yautja che mi

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hanno accompagnato per tutta la vita: non hobisogno d’altro.»

Machiko si tenne a tracolla il fucile che avevausato finora, sebbene con rassegnazione avessenotato che non c’erano altre munizioni: lerimaneva un colpo, ma era sempre un colpo in piùrispetto allo zero. Si infilò le due piccole pistoleGlock dietro la cintura e prese un fucile M16. Unclassico, nella caccia al Predator: non era maiservito, ma solo perché chi lo aveva usato nonsapeva dove colpire.

«Tu non prendi niente?» chiese la donnarivolta a Scar, che se ne rimaneva immobile afissare il magro arsenale.

«Non so usare le armi Yautja, figuriamociquelle umane», bisbigliò Scar, dal volto scuro.«L’unica arma che finora ho saputo usare èquesta», e mostrò il suo lungo coltello. «Tante valecontinuare ad usarla.»

Finito di armarsi, tutti procedettero in silenzioe rapidamente, non avendo molto tempo primadell’inizio dell’operazione. Falconer avrebbevoluto assicurarsi che la strada fosse libera ma

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ormai il suo drone era inservibile: prese unKalashnikov più per scena che per altro. Il suocuore si era fermato quando aveva dovutoabbandonare il suo amato e inseparabile drone, delresto ormai gli importava poco. Aveva approfittatodell’occasione di tornare un guerriero onorevolesenza molto sforzo e l’aveva presa: l’unicoimpegno che gli si richiedeva era morire, e per farquesto un’arma o un’altra poco importava.

Il gruppo entrò guardingo nella coloniastupendosi che non ci fossero sentinelle. In fondo iBad Blood non si aspettavano visite ed anzi sistavano preparando a partire, quindi in fondo eralogico che l’accesso fosse sguarnito.

Machiko aveva dato l’ordine di separarsi eprocedere ognuno in una direzione diversa, così darisultare più difficile dare nell’occhio: dovevanotrovare Bad Blood isolati e, appena iniziate leesplosioni, ucciderli. Uno per uno. Detta cosìsembrava facile...

Si addentrarono nella colonia in silenzio,infilandosi fra la vegetazione e le case,muovendosi lentamente e guardando ovunque.

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Sembrava una città fantasma ma l’importante eraassicurarsi di procedere senza lasciarsi nemicialle spalle. Machiko chiudeva il gruppo, come aivecchi tempi. Ai tempi in cui andava a caccia conil Maestro Dachande. Ai tempi in cui era unaguerriera onorevole. Quella sensazione diadrenalina e sangue gli era maledettamentemancata...

La donna guardava l’orologio che avevasincronizzato con il colono: mancavano pochisecondi all’inizio della fine. Quando finalmente lasua inutile e umiliante vita umana sarebbe finita...e sarebbe iniziata la sua fama Yautja...

«E tu chi cazzo sei?»Il sangue le si gelò nelle vene. Nel momento

più importante della sua vita... si era distratta...Non aveva visto nessuno in giro e per quegli

ultimi secondi era rimasta allo scoperto, aguardare la colonia e a pensare alla sua famaYautja. E da un cespuglio alla sua destra erafuoriuscito un Bad Blood: forse era una sentinelladistratta o qualcos’altro, poco importava.Importava che mancavano ancora quattro secondi

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all’inizio del piano e non poteva attirarel’attenzione prima del tempo..

quattro secondiMachiko lanciò il suo M16 addosso allo

Yautja che, sorpreso e confuso, lo afferrò, come aparare un colpo.

Era proprio quello su cui contava la donna, chescattò in avanti.

tre secondiSi lanciò verso il Bad Blood prima che questi,

con le mani ancora occupate dall’arma, potessereagire. Con mosse rapide si arrampicò sul bustodello Yautja fino a stringergli i fianchi con lecosce, in una tecnica che non proveniva certo dalMaestro Dachande bensì dallo studio delle artimarziali asiatiche terrestri.

due secondiIl Bad Blood lasciò cadere l’M16 e si

preparava a strapparsi di dosso la donna, maMachiko aveva già estratto le Glock e le avevaposizionate ai due lati del collo del Predatorproprio sotto la mandibola. Schiacciò il grillettodi entrambe le pistole.

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un secondoLa dura pelle dello Yautja e la sua massa

cerebrale fecero da silenziatore alle Glock, mentrei rispettivi proiettili squarciavano il cranio delBad Blood. Un doppio tonfo sordo fu tutto ciò chesi udì, e Machiko sperò che gli altri fossero troppolontani per averlo notato.

La prima esplosione dalla miniera cancellòogni altra esitazione.

~

Caso volle che Wolf stesse guardando indirezione della miniera quando avvenne la primaesplosione. Non aveva altro da fare, mentre i suoiuomini preparavano la nave per il ritorno.

Guardo quella deflagrazione, quella fiamma equel fumo con uno stupore profondo: ogni dubbiofinalmente lo abbandonò. Non sapeva se ci fosseCeltic, dietro, ma ora alla fine l’attacco temuto eraarrivato aveva finalmente modo di entrare inazione. E Wolf amava l’azione.

Imperversava da molti anni per l’universo,

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depredando pianetini poveri ma pieni di occasioniper divertirsi. Ne aveva di esperienza, così tantada sapere che i Colonial Marines non lancianobombe a caso, quando attaccano: chiunque ci fossein quella miniera, era talmente più debole di lui dadover fare la “voce grossa” con ridicoleesplosioni fuori portata.

«Guardatevi le spalle!» gridò il grosso Yautjaai suoi uomini, sparsi per la colonia.

~

Dopo il fragore dell’esplosione Achab sentì inlontananza una voce potente cominciare adimpartire ordini: sicuramente era Wolf, e unascarica di adrenalina mista a terrore gli irrorò ogniganglio nervoso.

Si spinse in avanti più velocemente, visto chefinora quella parte di colonia sembrava deserta.Girato l’angolo di una casa vide la schiena di unBad Blood che stava fermo in mezzo alla strada, afissare in direzione della miniera lontana: il pianodi Machiko funziona, pensò Achab.

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Si avvicinò lentamente sentendo tremare ognicentimetro del suo corpo, finché reputò che nonsarebbe riuscito ad andare oltre senza fare rumore,alzò il corto fucile che aveva scelto, lo puntò allanuca dello Yautja e sparò. Aveva scelto il fucile apompa perché le sue munizioni erano racchiuse incartucciere di cuoio da tenere a tracolla, non certoperché conoscesse la forza dell’arma. Quandovide la testa del nemico aprirsi in due, sventratadall’esplosione ravvicinata, il terrore sembròdiminuire di molto: se fosse stato sempre cosìfacile, c’era addirittura la possibilità di uscire vivida quella missione.

~

Jungle non aveva più aperto bocca da quandoerano nella miniera: il terrore glielo impediva. Unterrore che l’aveva gettato nello sconforto e nelpanico, anche se non voleva darlo a vedere ai suoicompagni. Avrebbe scommesso sarebbero statialtri a cedere prima di lui, vista la sua esperienzamaggiore, e invece gli altri andavano avanti mentre

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lui era finito. Continuava a camminare e siatteneva al piano, ma sapeva benissimo di nonavere più il controllo di sé: si muoveva inautomatico in attesa della morte.

La vegetazione che aveva davanti gli sisovrapponeva al ricordo della giungla in cui unostupido umano aveva avuto la meglio su di lui.Ritornò il terrore, ritornò lo sconforto di averperso, l’umiliazione, la vergogna, la sconcia pauradella morte, volgare per definizione. Avevanascosto tutto dentro, aveva fatto finta di niente pertutti quegli anni ma era tutto lì: ed ora era salito agalla.

Jungle stringeva uno dei fucili rubati ai BadBlood di Celtic ma neanche se ne rendeva conto, esi aggirava fra le case dei coloni alla ricerca di ununico obiettivo: trovare chi finalmente mettessefine a quel dolore. Il dolore di aver fallitomiseramente la ricerca di gloria e onore, il doloredi aver voglia di scappare e di non farlounicamente perché non aveva alcun mezzo persottrarsi al suo destino. Il dolore di vergognarsicosì tanto di se stesso.

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Quando si ritrovò d’improvviso faccia a facciauno Yautja, sorpreso, una strana calma avvolseJungle. Finalmente era finita.

Il Bad Blood era confuso, sentiva delleesplosioni lontane e si aspettava l’arrivo di umani,coloni o militari: invece davanti a lui c’era unoYautja. Non lo conosceva, ma non poteva essereuna nemico. O sì? Attimi preziosi di esitazione chepermisero a Jungle di alzare il fucile e sparare.

Non lo fece convinto, in fondo addiritturavoleva mancarlo perché così il Bad Blood louccidesse e tutta questa orribile vicenda sarebbefinita. Infatti il colpo non fece altro che ferire ilbraccio del nemico.

Un fiotto di sangue verde acceso fuoriuscìdalla ferita ma il Bad Blood sembrò addiritturanon accorgersene. Jungle guardò gli occhi furiosidel nemico mentre questi prendeva lo slancio, erimase inerme aspettando la morte, che sperò fosseveloce. Almeno un’ultima grazia alla fine di quellaferita vergognosa che era stata la sua vita.

Il Bad Blood era già saltato quando una lamane bloccò lo slancio: la lama di Scar che si

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conficcò nel ventre del nemico distratto.Quest’ultimo incespicò ed urlò dal dolore. «Forza,aiutami!» gridò Scar a Jungle.

Quest’ultimo era raggelato a guardare ilgiovane amico che, inchinato, premeva con forzala sua lama nel ventre del Bad Blood, checominciava a spillare sangue fosforescenteovunque. Il nemico gridava, non era un’azionepulita ed altri avrebbero sentito tutto: non ceratempo di riflettere. Jungle alzò il fucile e lo puntòalla testa del Bad Blood. Fece fuoco e questascomparve, lasciando membra sconquassate daconvulsioni. E sangue verde dappertutto.

Crollato il corpo a terra, Scar estrasse la lamae la pulì sul cadavere. «Non un bel lavoro maalmeno è uno in meno, no?» disse rialzandosi esorridendo. Ma ciò che vide fu solo Jungle con gliocchi fissi nel vuoto. «Ehi, che hai? Sei ferito?»

Jungle, con il volto ricoperto di sangue, roteòlentamente gli occhi e li fermò guardando Scar.«Ho... capito...» bisbigliò.

«Come? Cosa hai detto...?»Ma ormai Jungle non c’era più: aveva iniziato

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una corsa disperata e scomposta fuori dallacolonia.

~

Falconer sentiva rumori strani e terribili.Rumori di morte.

Avanzava lentamente tenendo puntata davanti asé la sua arma, senza in realtà sapere molto del suofunzionamento. Procedeva quasi come unsonnambulo finché non vide in lontananza un paiodi Bad Blood: prima di avere l’istinto dinascondersi per avvicinarsi di più, non visto,quelli si girarono verso di lui. Era finita. Tantovaleva premere il grilletto.

Partì una rumorosissima raffica di proiettiliche cominciò a colpire qualsiasi cosa nellevicinanze, e dopo qualche secondo Falconer capìche il Kalashnikov non era un’arma di precisione eche gli era impossibile controllarlo.

Il suo corpo tremava ed ondeggiava, mentre laforza dell’arma a ripetizione lo scuoteva con forza,finché d’un tratto tutto si placò. Il suo corpo non

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fremette più. Né toccava più terra.Come in un sogno, Falconer vide davanti a sé

il mondo sfrigolare mentre sentiva il suo collostringersi. Avvicinatosi con attiva la propriainvisibilità, ora Wolf gli si materializzò davantiagli occhi, mentre lo teneva sollevato da terra.L’imponente Yautja aveva indosso la maschera mabastava il fiammeggiare dei suoi occhi per incutereterrore.

Wolf afferrò la mano di Falconer che teneval’arma e la strinse. La strinse lentamente mainesorabilmente finché non fu completamentemaciullata.

Falconer non poteva gridare, aveva il collosaldamente stretto dalle possenti mani di Wolf,quindi poteva limitarsi a mugolare disperatamente.

Wolf si avvicinò al suo volto. «Possodistruggerti ogni osso del corpo o posso darti unamorte rapida, tutto dipende se rispondi a questadomanda: quanti guerrieri siete?»

Falconer aveva dato più di quanto fosse ingrado di dare, quindi non aveva senso continuare.«Cinque» gorgogliò.

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Wolf annuì soddisfatto, e rispose: «No...quattro.» E spezzò il collo a Falconer. In altreoccasioni non sarebbe stato così magnanimo, né sisarebbe sentito in dovere di mantenere un pattocon una vittima, ma non aveva tempo.

L’ultimo pensiero di Falconer prima di morirefu di soddisfazione per la risposta data. Gli avevafornito il numero dei guerrieri... non il numerototale.

~

Machiko non riusciva a ritrovare laconcentrazione: come aveva potuto distrarsi così?Proprio nel momento più importante della sua...

Un fruscio violento la fece voltare di scatto estava già per sparare, quando riconobbe all’ultimosecondo Jungle. «Dove cazzo vai?» gli gridòdietro, ma lo Yautja era ormai già lontano: avevaabbandonato la colonia.

Non stava andando come sperato, si disse ladonna.

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~

«Ho finito, ho lanciato l’ultimo candelotto.Ora non ci resta che pregare.»

I coloni si stringevano fra di loro mentrelanciavano idee sul da farsi. «Che bisogno c’eradi stuzzicare quei mostri? Avete visto, stavanopartendo, bastava aspettare.»

«Proprio così ci siamo messi nei guai:abbiamo aspettato e a momenti facevamo la finedi quegli altri. Non ti bastano tutti i morti cheabbiamo avuto?»

«Ora che si fa?»«Ovvio, aspettiamo che si ammazzino fra di

loro poi raggiungiamo la nostra nave e ce lafiliamo.»

«Ma se...» tutti iniziarono a gridare allavisione di uno Yautja che li raggiungeva correndo.

«Calmi, calmi, è uno dei nostri», litranquillizzò Bishop.

Jungle si avvicinò proprio al sintetico, gli battéuna mano sulla spalla e gli gridò: «Tu, vieni conme.»

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Lo trascinò fuori dalla miniera e lo portò allajeep. «Ho visto che guidi bene, sai farloaumentando la velocità?»

«Aumentandola quanto?»«Sai cosa vuol dire fottere?»Il sintetico lo guardò fisso. «In senso letterale

o metaforico?»Jungle gli calò di nuovo la mano sulla spalla.

«Devi guidare questo giocattolo in modofottutamente veloce, come se avessi qualcuno allespalle che vuole fotterti.»

«Penso di poterlo fare», rispose Bishop senzaespressione.

Jungle girò intorno alla jeep e cominciò adarmeggiare con degli attrezzi, velocemente ma inmodo preciso, mentre continuava a bofonchiare«Ci ho messo anni... ci ho messo una vita... mafinalmente... ho capito...»

Bishop prese posto alla guida e rimaseimmobile. Solo quando Jungle finì di armeggiarealle sue spalle l’androide piegò leggermente latesta. «Posso chiedere cos’è che avresti capito,dopo tutto questo tempo?»

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Con uno strappo secco Jungle scoprì lamitragliatrice che aveva appena montato su untreppiede nel retro della jeep, e gorgogliòprofondamente: «Se può sanguinare... può essereucciso!»

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14City Hunter era in piena frenesia.Il suo ambiente era sempre stata la città, dopo

il suo battesimo del sangue non era più tornato inun territorio boschivo o anche solo di campagna,ma scopriva che il piacere della caccia non nerisentiva.

Forse avrebbe dovuto rivelare ai suoicompagni che la sua attrezzatura gli permetteval’invisibilità, ma non aveva molta autonomia ec’era il rischio che quella donna gli impartisseordini di avanscoperta. Perché sprecare quellapossibilità nella semplice esplorazione, ora chepoteva aggirarsi non visto in mezzo al panico? Sì,il panico dei Bad Blood che si sentivano sottoattacco senza riuscire a capire da dove arrivasse ilpericolo, e da chi. La confusione delle prede era ilpiacere preferito di City Hunter, durante unacaccia.

Gli tornarono alla mente i criminali esagitatinelle strade della sua città, quando era lui il re

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indiscusso e quegli insetti umani giocavano aspararsi l’un l’altro tutto il giorno. Amavaavvicinarsi non visto e schiacciarli uno per uno:non erano trofei onorevoli, ma con così tantevittime poteva concedersi il lusso di fare“pulizia”.

Quando girò l’angolo, invisibile, e videl’astronave dei Bad Blood da cui fuoriuscivanoguerrieri armati: troppi di più di quanto avesseroimmaginato, troppi per affrontarli a viso aperto.Ma perfetti per lui.

City Hunter, in preda ad un’euforia che lo fecetornare giovane, cominciò velocemente a passarein mezzo ai Bad Blood agitati, che gridavano e siagitavano cercando di capire il da farsi.Quell’adrenalina era come tornare ad unadipendenza ormai dimenticata, era come una drogache da anni non si assumeva più. C’erano modidecisamente peggiori di chiudere la propria vita,pensò City Hunter.

~

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Machiko non riusciva a scrollarsi dal pettol’oppressione per essersi fatta sorprendere comel’ultima delle reclute, lei che era stata addestratain uno dei migliori clan Yautja: che davvero l’etàfosse diventato un problema insormontabile?Aveva cercato di ovviare studiando un piano cautoe strategico, eppure sembrava andare tutto a rotoli.

Da quando erano arrivati sul pianeta niente eraandato come previsto ed ora si ritrovavano inschiacciante inferiorità numerica senza neanchepiù l’arma della sorpresa: quanti Bad Blood eranoriusciti a far fuori attaccando quando e dove menose l’aspettavano? Davvero pochi, in confronto aquanti ora ne vedeva in lontananza. Stavanouscendo dalla loro nave. Stavano uscendo in tanti.In troppi.

La sorpresa era finita, ora non avevano piùarmi se non quelle ridicole che stringevano fra lemani: roba che non sarebbe bastata per degliumani, figuriamoci per dei Predator addestrati.

Machiko avanzò stringendo il suo M16,sparando qualche colpo giusto per tenere adistanza i nemici: per uccidere uno Yautja con

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quell’arma avrebbe avuto bisogno diavvicinarglisi, e quello poteva davvero esserefatale, per lei.

Sentiva echi di grida e di spari, la battagliadoveva essere iniziata molto prima di quantoavesse immaginato: sperava che sarebbero riuscitiad uccidere di nascosto molti più nemici prima diuno scontro aperto. Ma ormai tutto era precipitato.

D’un tratto vide Achab correre all’incontrario,allontanandosi da un gruppo di nemici che stavanosparando tutti insieme: era un miracolo che nonl’avessero ancora preso. Machiko si spostò di latoed aprì il fuoco per coprire la ritirata delcompagno. Forse colpì qualche Bad Blood ma nelcaso si trattava di ferite superficiali: giusto perfermare la loro avanzata.

Achab la vide e la raggiunse. Entrambi siripararono dietro la parete di una delle case. Nonera assolutamente un riparo sicuro, in pochisecondi sarebbero stati loro addosso... ma forsetrovare un altro riparo non aveva più senso.

«Perdonami», disse Machiko con voceaffranta. «Non sono riuscita ad ideare un piano

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migliore: mi sono atteggiata a stratega invece...»«Piantala!» la interruppe Achab, che si teneva

un braccio ferito, probabilmente da uno dei colpidei Bad Blood. «Se tu non ci fossi stata saremmomorti molto prima. E male. Almeno così siamoarrivati alla battaglia e possiamo morire cononore.»

«Hai visto qualcuno degli altri?»Achab scosse la testa. «Non so dove siano ma

spero che stiano portandosi dietro più guerrieripossibile.»

«Temo che non stia andando così.» Quandovide che Achab la fissava, Machiko continuò contono grave. «Ho visto Jungle scappare via,ricoperto di sangue e con gli occhi spiritati...»

Achab incassò male il colpo. Non avevabattuto ciglio per la stupida morte di Berserker,malgrado fossero amici da anni, ma la fuga diJungle... questo faceva maledettamente male.

I rumori dei passi dei nemici erano ormaivicinissimi. Era tempo di cambiare riparo... olasciarsi andare...

«È stato un onore combattere al tuo fianco»,

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disse Machiko, stringendo il braccio di Achab, chenon rispose. Si limitò a girare lo sguardo e afissare gli occhi sul Bad Blood che si eraaffacciato: prima che quest’ultimo potesse alzarela sua arma, Achab aveva allungato il braccio e gliaveva sparato a breve distanza in direzione delpetto, facendogli esplodere il cuore.

«Mi spiace averti trascinato in questa follia»,bisbigliò Achab, «ma morire combattendo è unsogno che non speravo più di poter realizzare.»

Machiko non si alzò, aveva capito che nonaveva più senso cercare riparo davanti aquell’ondata di nemici inarrestabili. Sapeva cheerano dietro l’angolo, in attesa di stanarli, così silimitò a sporgere il braccio e a sparare alla cieca.«Almeno assicuriamoci di avere buona compagnia,all’inferno.»

Premette il grilletto... ma il rumore noncorrispondeva al fuoco dell’M16. D’un trattol’intera vallata si riempì di un rumore potente...che voleva solamente dire morte...

~

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Wolf aveva dato l’ordine di guardarsi le spallee nessuno prestava più attenzione all’entrata dellaminiera, visto poi che le esplosioni erano finite.Così nessun Bad Blood si accorse che qualcosa neera sfrecciata fuori, qualcosa che si era avvicinataalla colonia a grandissima velocità, qualcosa cheora stava raggiungendo alle spalle gli Yautjaimpegnati a stanare i nemici che li avevanoattaccati, proprio alle spalle.

L’unica traccia che qualcosa stesse andandomale era uno strano rumore, continuo e rutilanteche sembrava provocare altro rumore. E le paretidelle case cominciavano ad eruttare. E il terrenoeruttava. E i Bad Blood si guardarono l’un l’altrostupiti... mentre loro stessi eruttavano.

Tutta la colonia stava esplodendo... sotto icolpi della mitragliatrice di Jungle.

Mentre Bishop guidava la jeep con espressioneneutra, dietro di lui Jungle in piedi azionava lapotente minigun agitandola a destra e a sinistra,vomitando piombo bollente ovunque con unrumore che avrebbe distrutto i timpani del pilota,se quella jeep fosse stata pilotata da un umano. Se

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lo Yautja avesse avuto ancora un minimo digiudizio avrebbe pensato che così metteva inpericolo i suoi stessi compagni, rischiando dicolpirli lui stesso, ma il Jungle di una volta –quello che pensava bene prima di agire – nonesisteva più. Si era semplicemente spento. Al suoposto c’era uno Yautja che urlava con ogni gocciadi fiato i suoi polmoni riuscissero a distillare.

Se qualcuno avesse ascoltato bene, nel delirioche fuoriusciva dalla sua bocca avrebbe potutoriconoscere la frase «Ha tutto ciò che rende felicezio Jungle...»

~

Quando Scar vide in lontananza la jeep,impiegò poco a capire cosa fosse quel rumore e sigettò a terra. I potenti proiettili sparati dallamitragliatrice colpivano ovunque ma se non altroin orizzontale, non in verticale. Sembrava chel’intera colonia stesse esplodendo, sotto i colpi diJungle.

Da sdraiato, Scar si guardò attorno in cerca di

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un riparo migliore, ma la velocità con cui la jeepprocedeva non lasciava speranze che esistessedavvero un riparo a quel fiume di piombo. Se nonaltro stava già dando i suoi frutti: anche da terraScar poteva vedere i Bad Blood cadere a rafficasventagliati dai colpi potenti, così potenti cheall’apparenza ne bastava uno per uccidere unoYautja. E ne stavano volando a centinaia.

Scar non sapeva quanti Bad Blood ci fosseroin totale in quella colonia, ma di sicuro il loronumero si stava riducendo drasticamente. Quellacontinua sventagliata di piombo li aveva colti disorpresa ed essendo un’arma umana nonsembravano in grado di capire come ripararsi. Ocomunque il tempo che impiegavano a capire chetipo di arma fosse non bastava a rimanere in vita.

Strisciando velocemente, Scar si andò aproteggere dietro il muro di una casa, disposta inmodo tale che la jeep non sarebbe mai arrivatalaggiù. Era un ottimo posto per nascondersi... einfatti era già occupato.

Quando Scar vide dei piedi davanti a sé, nonebbe tempo per far altro che tentare di alzarsi

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velocemente: una mano possente lo afferrò al colloe lo trascinò lentamente in alto.

Scar fissò terrorizzato gli occhi fiammeggiantidello Yautja che aveva di fronte. Non potevasapere che era il braccio destro di Wolf. «Chicazzo siete, voi?» gli domandò con voceminacciosa lo Yautja.

Scar emise solamente un balbettio. «Siamoguerrieri... venuti a fermarvi...»

Lo Yautja d’un tratto scoppiò a ridere. «No,siete solo pidocchi, e come tale verreteschiacciati.» Detto questo sbatté la testa di Scarcontro la parete. «In quanti siete? Mi hai sentito,pidocchio? In quanti...»

Solo allora lo Yautja si focalizzò con il doloreche iniziò a provare. Solo allora si rese conto chenon riusciva più a tenere in alto la sua vittima.Solo allora spostò lo sguardo e vide che dalla suaascella destra fuoriusciva il manico di un coltello.Mentre lo sbatteva contro il muro, quel pidocchiol’aveva pugnalato.

Quando lo Yautja gridò non fu di dolore, bensìdi rabbia. E voglia di massacrare quell’inutile

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pidocchio.

~

Machiko non aveva riconosciuto lamitragliatrice di Jungle ma non serviva: avevacapito che c’era qualche distrazione “importante”ed andava sfruttata. Non poteva essere sicura che iBad Blood che stavano dietro la parete della casaaspettando che lei ed Achab uscissero fossero oratutti distratti dal nuovo rumore, ma a quel puntobisognava giocare il tutto per tutto.

La donna si slanciò in avanti buttandosi a terra,in modo da uscire dalla parete dove si stavariparando cercando di prendere di sorpresaeventuali Yautja rivolti nella sua direzione: perfortuna non ce n’erano. Rimanendo a terra, usò ilsuo M16 sparando sventagliate ad ampio spettro.Quel tipo d’arma, a corta distanza, non avevabisogno di perdite di tempo come mirare: bastavalasciare andare le braccia e le vibrazioni delpotente mitragliatore facevano il resto, agitandosida una parte all’altra e ricoprendo di piombo tutto

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ciò che aveva davanti.Dal basso Machiko inondò di proiettili i Bad

Blood che stavano per aggredirli, seguita subito daAchab che invece si sporse mettendosi in piedi, ecominciò a sparare con il suo fucile senza staretroppo a mirare. Il tempo di svuotare il suocaricatore e non c’era più alcuno Yautja in piedi.

Machiko si alzò di scatto. «Un altro minuto divita conquistato», disse sorridendo. Achab non lerispose, né la guardò: il suo sguardo era fisso inlontananza... verso l’amico d’un tempo, checorreva verso la morte.

~

«Ferma qui!» gridò Jungle a Bishop. Aveva lagola in fiamme, a forza di gridare e di lasciareandare tutta l’energia che per anni aveva tenutocompressa.

Non sapeva quante munizioni gli rimanessero,ma non era importante: ruotò la mitragliatrice e lapuntò verso il punto che aveva raggiunto dallaminiera. La jeep infatti era sfrecciata in direzione

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dell’astronave di Wolf.«Siamo alla fine della corsa, Bishop», disse

Jungle. «Ma prima assicuriamoci che Wolf nonpossa andarsene.» Ed aprì il fuoco control’astronave.

Il rumore di ferraglia contorta si fece stridente.Jungle non conosceva quel modello di nave e nonsapeva bene dove fosse il deposito di carburante,così nel dubbio sparava ad ampio spettro: e laminigun faceva il resto, devastando tutto.

Jungle riprese ad urlare, sfogando il suofurore... finché non si sentì il fiato spezzare ingola. Un’espressione di stupore infastidito glicontrasse il volto: quello dunque significavamorire? Resistette e non lasciò la presa dalgrilletto... almeno finché Wolf, alle sue spalle, nonlo strappò via di peso...

~

Achab vide tutto, e appena notò la lucesfrigolante dietro la jeep cominciò a correre.Aveva già capito che qualche Yautja si era

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avvicinato invisibile ed ora stava tornandovisibile. E visto che gli altri non stavano usandoquella tecnica, di sicuro doveva essere Wolf. Lovide apparire alle spalle di Jungle così come videapparire la lancia che stringeva fra le mani. Lanciache terminava nella schiena di Jungle.

Urlando di rabbia, la corsa di Achab si fecefrenetica, ma dovette interrompersi bruscamentedavanti ad uno Yautja che gli era spuntato davanti.Uno Yautja ricoperto di sangue che trascinavaScar per il collo.

Il potente Yautja emise un profondo grugnito elanciò qualcosa contro Achab, che non riuscivapiù a pensare lucidamente: dovette impiegarediversi secondi per rendersi conto che ciò che gliera stato tirato addosso era il corpo senza vita diScar.

Achab si ritrovò il suo giovane compagno frale mani, mentre lentamente iniziava a scivolarescompostamente sul terreno. Il volto di Scar erauna maschera di sangue, ma era ancora visibile lacicatrice con cui Achab l’aveva “battezzato”.

«E ora tocca a te», sentì grugnire lo Yautja.

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«Mi sembri più in gamba di quel ragazzino, con tesarà un combattimento più interessante. Come tichiami? Io sono Hornhead.»

Achab perse ogni controllo, e scattò gettandosicontro lo Yautja.

~

Vedere il corpo di Scar afflosciarsi al suolospezzò il cuore di Machiko, ma non ne rallentò iriflessi. Era orgogliosa che quel giovane Yautjasenza speranza, votato all’autodistruzione, avessecoronato il suo desiderio: non era morto ubriaco inqualche angolo di una città straniera, ricoperto divomito, ma combattendo da guerriero onorevole,affrontando con coraggio un nemico più forte.Questo però non voleva dire che facesse menomale...

Rapidamente afferrò il fucile a lunga gittatache teneva a tracolla, perché anche lei inlontananza aveva visto Wolf. Da quella distanzanon sarebbe stato facile colpirlo, ma eraun’occasione troppo perfetta per non provarci.

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Si mise in ginocchio, roteò il braccio destrofino a stringere saldamente la tracolla dell’armacosì da tenerla immobile in posizione. Non potevaperdere troppo tempo e aveva un proiettile solo...Ma appena inquadrato Wolf nel mirino, proprionella stessa traiettoria vide Achab avventarsi sulloYautja che aveva ucciso Scar...

D’un tratto non era più così scontatol’obiettivo del suo ultimo colpo...

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15Il mondo vibrò e tremò, e mantenere

l’equilibrio fu all’improvviso dannatamentedifficile. Questo fu l’effetto del primo pugno cheHornhead fece crollare sul volto di Achab.

Lo Yautja non era imponente come Wolf, nésembrava particolarmente muscoloso, ma eranosottigliezze: quand’anche fosse stato un suo pari,Achab lo stesso sarebbe stato in difficoltà. Echiaramente era molto più di un suo pari. Lodimostrò con la velocità con cui tornò a colpirel’avversario, prendendolo ad un fianco espezzandogli completamente il fiato. Achab nonriusciva a ritrovare l’equilibrio ma di una cosa eraassolutamente conscio: non sarebbe sopravvissutoad un terzo pugno.

Hornhead avrebbe velocemente atterratol’avversario ma proprio per questo non avevaalcun interesse a farlo. Aveva il braccio destrogravemente ferito, per la pugnalata di Scar, eppureera chiaro che poteva batterlo con una mano sola:

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perché sbrigarsi? Si limitò a sghignazzareguardando Achab. «Tu saresti il migliore delgruppo?» chiese gracchiando. «Com’è possibileche a voi insetti sia venuto in mente di aggredirci?Sapete contro chi vi siete messi?»

Non erano vere domande, ma più Hornheadparlava meno colpiva, così Achab decise distuzzicarlo. «E voi? Voi sapete con chi avete a chefare?»

Hornhead lo fissò per qualche secondo,interdetto. Che avesse sottovalutato il suoavversario? Mostrarsi deboli è una tipica tecnicadi chi invece è forte... o degli idioti che si credonoforti. Poi però Achab alzò lentamente le braccia ele mise davanti al proprio corpo con i pugnichiusi, al che Hornhead non poté fare a meno discoppiare in una risata: il suo avversarioapparteneva sicuramente alla seconda categoria.Sferrò un blando pugno per divertirsi a ferirloancora un po’, ma a sorpresa il pugno andò avuoto...

Achab aveva assunto una posa dacombattimento umano, che gli Yautja di solito non

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conoscevano: Berserker era stato un arrogantecoglione, ma non diceva cose sbagliate. MentreHornhead colpiva dritto, incanalando la suaenergia dritto davanti a sé, Achab senza alcunosforzo ruotò leggermente il busto, così che il suocorpo non si trovasse più parallelo al nemico maperpendicolare. Così che il suo corpo offrisse laminor superficie possibile da colpire, così chebastò scansarsi di pochi millimetri per evitare ilpugno, approfittandone per colpire il nemico infaccia.

Un pugno fiacco, senza energia, Achab ormaiera allo stremo delle forze, ma anche solo quelridicolo pugno fu bruciante per Hornhead: il piùdebole dei suoi avversari l’aveva appena fregato.Ritrovandoselo alla sua sinistra, ed avendo ormaisolo il braccio sinistro buono, lo roteò nella suadirezione per cercare di spazzarlo. Una tecnicabanale, scontata, che Achab poté evitareanticipandola ed abbassandosi: si ritrovò in unattimo davanti all’avversario e gli assestò altri duepugni, in rapida sequenza. Nessun danno, solo ungesto di puro sfregio per far perdere la

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concentrazione.Hornhead cominciava a vedere rosso di

rabbia: il suo avversario non gli faceva neanche ilsolletico eppure si permetteva di prenderlo in girosgusciando dai suoi colpi. Lo Yautja aumentò laforza nei propri pugni ma proprio per questodivenne ancora più lento nei movimenti, perchéogni volta doveva caricarli al massimo: Achab,che non poteva mettere alcuna energia nelle suetecniche, poteva muoversi più veloce e scansaretutti i colpi. Il suo ultimo combattimento nonsarebbe stato onorevole, a meno di non lodare unguerriero che schernisce un avversario più forte.

~

Ogni secondo in cui Machiko non sparava, eraun secondo che rendeva più facile sbagliare colpo.Non era un cecchino, non era stata addestrata amantenere una posizione di tiro rimanendoimmobile in una situazione concitata. Quandoaccompagnava i ricconi a caccia poteva sdraiarsisu rocce calde o in posti comodi, e quando le

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capitava di sparare – perché magari i ricchi nonerano capaci ma non volevano andar via senza untrofeo, così gliene commissionavano uno – sitrattava di colpire ad una distanza media deglianimali molto grandi e di solito fermi.

Ora la donna da troppi secondi era accucciataa terra su un ginocchio, con i muscoli contratti atenere fermo il suo fucile di precisione, così dacapire a chi dovesse sparare: ad Hornhead, piùvicino ma con il rischio di colpire Achab, o Wolf,molto più lontano e meno facile da centrare. Ilcapo dei Bad Blood stava sgrullando il cadaveredi Jungle dalla propria lancia, lentamente, e intantosi gustava il suo fido braccio destro che affrontavail capo di quegli strani assalitori. Ormai nellacolonia si respirava solo aria di morte, quindi nonc’era alcuna fretta.

Machiko mirava a ripetizione prima uno poil’altro: chi colpire? Con chi utilizzare l’ultimocolpo rimasto? Fermo restando che c’era solo unapallida possibilità che quest’ultimo colpo andassea segno.

Fissò in lontananza Wolf che, tronfio, ripuliva

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la propria lancia sul corpo inerte di Jungle, e larabbia montò. Era lui il bersaglio da provare acolpire: avevano fatto tutta quella strada e avevanoversato tutto quel sangue proprio per quello,avevano votato la loro vita all’eliminazione diWolf quindi non c’erano altre scelte da fare. Poiperò diede un’ultima occhiata allo scontro fraAchab ed Hornhead, giusto in tempo per vederequest’ultimo afferrare l’avversario al collo. Dopovarie tecniche andate a vuoto finalmente avevasmesso di colpire ed era passato ad afferrare: oraaveva agguantato Achab per il collo, l’aveva fattogirare e lo stava strangolando. Mentre entrambiguardavano proprio in direzione di Machiko.

Le mani della donna non riuscivano più atenere fermo il fucile, ogni istante era un passoavanti verso lo sbagliare mira. Il sudore le rigavail volto e il cuore le si fece pesante... quandoattraverso il mirino dell’arma vide che Achab lestava parlando... Vide che lo Yautja con cui avevacondiviso la dura vita ad Anderson City stavamuovendo la bocca formando un’espressioneinequivocabile: «Spara».

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Ma a chi? Voleva che Machiko colpisseHornhead... o voleva che mettesse fine in modorapido alle sue sofferenze?

I nervi cedettero, non c’era più tempo peraspettare, non c’era più tempo per pensare: c’erasolo un ultimo istante per sparare. E Machikopremette il grilletto...

~

Non gli era mai piaciuto Jungle, faceva troppolo spiritoso e non lo trattava con il rispetto chemeritava, ma vederlo morire fu lo stesso doloroso.

Nascosto dalla sua invisibilità, City Hunter sitrovava vicino all’astronave dei Bad Blood equindi vicino anche a Wolf: assistette a tutta lascena del ripulimento della lancia dal sangue diJungle. Non gli rimaneva ancora molta energia, amomenti avrebbe iniziato a tornare visibile e nonaveva speranza contro Wolf... perciò decise cheun’ultima soddisfazione voleva togliersela. Ecominciò a convogliare l’energia rimasta...

Wolf era tranquillo, stava guardando in

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lontananza qualcosa che City Hunter non vedeva,né gli importava: avere il capo dei Bad Blooddistratto, lì a due passi, era un’occasione troppoperfetta per lasciarsela sfuggire. Era il modomigliore di andarsene. Andarsene con il botto...

Il suo cannone da spalla era carico, ognibriciolo di energia che rimaneva alla sua armaturaera pronta ad esplodere... e con un brivido dipiacere City Hunter la liberò.

Dal suo cannone da spalla fuoriuscì un fiotto diplasma molto più intenso di quanto mai CityHunter avesse visto. Un’enorme dose di plasmache piombò addosso a Wolf, che distrattamenteaveva alzato la lancia: quell’esile arma non bastòa proteggerlo.

Il grande Yautja fu investito sulla spalla da unaquantità di plasma che avrebbe polverizzato unumano, ma per un Predator della sua stazza nonrappresentava un pericolo mortale. Lo stesso peròl’ustione fu devastante e lo Yautja cominciò adurlare, mentre il plasma gli mangiava il braccio, laspalla e almeno metà della faccia: Wolf nonsarebbe morto, ma avrebbe sofferto tanto. E a

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lungo. Quasi quanto avrebbe fatto soffrire pervendetta chi l’aveva colpito...

~

L’esplosione provocata da City Hunter fupotente, e la sentì anche Hornhead, capendo subitoche qualcosa non andava. Quei pidocchi liavevano aggrediti con armi rudimentali, comepoteva essere quello il rumore di un’arma Yautjadi alto livello? Bastò questa domanda a far voltareHornhead, anche se non di molto. Bastò quelrumore a spostare il bersaglio... e a far fallire ilcolpo di Machiko.

Hornhead non aveva sentito lo sparo delladonna... ma sentì il colpo. Sentì il proiettile che glitrapassava il collo, così come sentì il liquido chefuoriusciva dalla voragine che la pallottola si eralasciata dietro. Sentì l’aria che gli usciva dalcollo... o da quel punto in cui prima c’era il suocollo.

Achab invece aveva sentito lo sparo, perché loaspettava e lo aveva riconosciuto. Quindi capì

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subito cosa stava accadendo e si liberò dalla presadell’avversario: nella rigidità della morte, c’era ilrischio che lo Yautja gli stringesse ancora di più ilcollo. Liberatosi, per rabbia colpì Hornhead alvolto, e quasi gli staccò la testa, visto che questa siteneva in equilibrio solo su deboli lembi di carneresidua. Il corpo dello Yautja crollò a terralentamente, con un grande tonfo.

«Achab!» gridò Machiko, correndo aperdifiato verso di lui. «Stai bene?»

Lui le sorrise. «Sì. Sapevo che non avrestisbagliato mira.» Sorrise e scosse la testa. «Omeglio, più che saperlo ci speravo.»

Machiko non riuscì a rispondere al sorriso,malgrado fosse felice che l’amico fosse ancoravivo. Perché l’attenzione fu attirata da Wolf chepiù avanti si stava contorcendo dal dolore,gridando e chiamando a raccolta i suoi uominirimasti. E ce n’erano ancora, in vita, di Bad Bloodche pian piano si avvicinavano. Si erano protettidentro l’astronave, ed ora che la battagliasembrava finita stavano uscendo.

«Ci siamo», disse Achab, alzandosi in piedi e

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massaggiandosi il collo dolorante.«Sì, un ultimo sforzo ed è finita», rispose

Machiko incamminandosi.Una mano sulla spalla la fermò. «No», le disse

Achab, «tu no: la tua caccia finisce qui.» La donnalo fissò senza capire, e lui continuò. «Hai fatto piùdi quanto ci si possa aspettare da un’umana... mache dico? Più di quanto ci si possa aspettare dauno Yautja. Hai portato una banda di vecchi fallitia colpire al cuore uno dei più pericolosi criminalidella galassia: solo tu potevi riuscire a farciarrivare vivi fin qui e a ricoprirci d’onore. Ma orabasta, Machiko: sei già tornata ad essere unaBlooded Warrior, non hai bisogno di morireinutilmente. Non hai che qualche arma inutile eWolf, anche se ferito, è fuori dalla tua portata,senza dimenticare che non è da solo.» I due sivoltarono velocemente a vedere i Bad Blood cheuscivano dall’astronave: non era no molti, ma disicuro erano troppi.

Machiko fissò Achab. «Quindi ce neandiamo?» Sapeva che non era così, ma avevavoluto provare.

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«No», sorrise lui. «Tu te ne vai. Io vado daWolf. Io sono alla fine della pista, come hai vistosono un peso morto: morire affrontando Wolf è unonore che mai avrei potuto sperare di avere. Tuinvece...» e fece una pausa silenziosa di qualcheattimo, «tu devi vivere, e raccontare la nostrastoria. Wolf non sa che c’è anche un’umana connoi, sono sicuro che non se lo aspetterebbe mai,quindi non ti cercherà. Segui loro e vivi.»

Achab indicò un punto e Machiko seguì il ditocon lo sguardo. In lontananza vide i coloni chefuggivano in una direzione: tutti direttiall’astronave della colonia, evidentemente nondanneggiata dai Bad Blood. Approfittando dellabattaglia i coloni evidentemente avevano deciso didarsela a gambe, di nascosto e velocemente, mac’era qualcosa di più. Non erano solo i coloni chesi erano nascosti nella miniera: della gente stavauscendo da un edificio che sembrava blindato.«Mentre noi tenevamo a bada i pirati», disseMachiko, «i topi abbandonavano la nave...»

«I topi?»«Lascia stare, è un modo di dire terrestre. Dici

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quindi che dovrei andare con loro?»Achab annuì. «Fatti lasciare in qualche porto

sicuro e poi raggiungi i nostri clan. Racconta a tuttila nostra avventura, la nostra storia: il tuo nome ènoto, a te daranno ascolto. Racconta di queiguerrieri senza gloria che un giorno hanno decisodi alzare la testa... e morire con onore.» Indicò poia terra il cadavere di Scar. «E porta lui con te. Miha confidato che è partito per la missioneinfilandosi in una tasca un appunto con il nome delsuo clan, seguendo il nostro consiglio. Riportalo acasa e riabilita il suo nome: che ci sia anche lui,nelle leggende che scriveranno sui sette Yautjasenza gloria...»

Machiko era impossibilitata a parlare, perchése avesse aperto bocca sarebbe scoppiata apiangere... e l’ultima cosa che voleva era farsivedere in quello stato da Achab. Il loro ultimosaluto se l’erano già dato, non c’era bisogno diaggiungere altro.

La donna annuì, si inchinò, afferrò il corpo diScar e cominciò a trascinarlo. Achab si voltòsenza aggiungere altro e si diresse verso Wolf.

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«Achab», cedette Machiko, riuscendo acontrollare il tono della voce. Lui si voltò aguardarla, con occhi tristi. «Ho avuto il privilegiodi combattere al fianco di splendidi guerrieri,felicitandomi ogni volta della loro morteonorevole... Tu sei il primo per cui invece provodolore...» Lui annuì ma lei continuò subito.«Prima, quando ho sparato, in realtà stavomirando...»

«Non mi importa», la interruppe Achab. «Achiunque stessi mirando... hai fatto la sceltagiusta.» Si voltò ma continuò a parlare, senzamostrare il volto. «Un giorno, un guerriero Yautjapotrebbe provare amore per una donna umana...Quel giorno... non sarà la prima volta che questoaccade.» E scattò in avanti, verso il suo destino.

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16L’urlo di Wolf proveniva da ogni anfratto del

suo corpo. Non era un urlo di dolore: era un urlodi rabbia e umiliazione. Era il signore dellagalassia, da tempo immemore scorazzava in lungoe in largo senza che nessuno avesse mai osatocontrastarlo. E ora... Ora dei vecchi buffonimalandati erano stati così pazzi da aggredirlo... eferirlo.

Agitava il braccio ferito come a tentar dispegnerne il fuoco, come se davvero ci fosserodelle fiamme che lo stessero lambendo: il fuoco inrealtà era dentro, e lo stava divorando. Ciò cherimaneva del suo braccio destro non era altro cheuna protuberanza di carne martoriata e fumante.

Metà del suo volto aveva perso completamentesembianze riconoscibili, ma non era quello ilproblema: l’ustione penetrava sempre di più inprofondità e il dolore cresceva a livelloesponenziale. Non era così che aveva sognatosarebbe finita la sua caccia...

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City Hunter non aveva tempo di contare quantialtri Bad Blood fossero usciti dall’astronave diWolf: non erano tanti ma lo stesso eraun’informazione ininfluente. Era morto, questo erachiaro, rimaneva solo da assicurarsi un ulterioreultimo colpo. Afferrò il lungo pugnale che portavaalla cintura e in pochi rapidi passi raggiunse Wolf,per conficcarglielo completamente nel fiancoustionato. City Hunter avrebbe voluto provare lasensazione della lama che penetrava nella carnedel suo nemico, del sangue verde che ne sarebbesprizzato fuori, ma non poté farlo: riuscì solo adare il comando al suo braccio di pugnalare Wolf,e un attimo dopo i Bad Blood aprirono il fuoco sudi lui. Tutti insieme.

L’urlo di Wolf fu potente, primordiale, caricodi ogni briciolo di potenza Yautja nascosta nellesue cellule. Il più infame dei suoi nemici, quelloche gli aveva provocato il dolore che lo stavadivorando, se l’era cavata: era morto in un lampo,crivellato da decine di colpi, ed ora il suo corpostraziato giaceva a terra. Quel cane era crepatosenza un lamento, mentre lui, il capo incontrastato

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dei Bad Blood, il più grande criminale chel’universo avesse mai conosciuto, stava gridandocome una quella bestia ferita che in effetti era.

Nel suo agitarsi Wolf cominciò a pestare ilcadavere di City Hunter, ricoperto di sangue: larabbia impotente lo spingeva comunque a farescempio del suo nemico. Almeno finché non nearrivò un altro. Uno vivo...

Achab era arrivato alle spalle di Wolf e avevaraccolto da terra la lancia che il criminale avevausato per trapassare Jungle: era il modo perfettoper vendicarsi. Premette la lancia nella schiena delBad Blood con ogni singolo briciolo di forza chegli era rimasta nei muscoli. Cioè niente.

Nell’oceano di dolore in cui Wolf stavarantolando non fu neanche notato quelloproveniente dal fianco in cui si era appenaconficcata la lama della lancia: una ferita del tuttoininfluente, in mezzo alle altre che stavanotorturando il criminale. Si girò più per istinto cheper altro, e così facendo spinse via la lancia dallemani di Achab, visto che la lama rimanevaconficcata nel fianco dov’era penetrata solo in

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parte.Nel delirio gorgheggiante che fuoriusciva dalla

gola di Wolf si riuscirono a distinguere soloalcune parole. «Ti stavo aspettando.» Agitò lamano sinistra alla volta dei suoi Bad Blood. «Nonsparate: questo è mio... Sconterà lui per tutti glialtri...»

~

Trasportare il cadavere di Scar sull’astronavenon era stato affatto facile, e per fortuna era ungiovane Yautja molto più piccolo rispetto ai suoicompagni. Nessuno dei coloni che le erano passatidavanti aveva aiutato Machiko, ma lei non sel’aspettava di certo.

La nave era appena partita e la donna fissavala parete davanti a lei. Era totalmente annientata eogni pensiero le faceva male, ogni ricordo era unafitta dolorosa. Stava usando la forza rimastale perimpedirsi di pensare. Di pensare che la suamissione di raccontare la storia dei sette guerrierisembrava più una fuga. Una delle tante della sua

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vita. Fissava il vuoto sperando che il vuotoentrasse dentro di lei e le concedesse un po’ dipace da ogni pensiero.

«Certo però che potevate aspettarci, cazzo»,stava urlando un colono rivolto all’altro, seduti apochi metri da Machiko. «Invece vi siete subitochiusi dentro e noi siamo rimasti nella miniera afare i topi in trappola.»

«Sapevate benissimo qual era la procedura, sefosse toccato a voi non ci avreste aspettato, quindivediamo di non fare i santarellini.»

«Abbiamo visto Wolf con largo anticipo:avevate tutto il tempo di farci entrare nel rifugio, einvece no. Sapete quanti sono morti? Sapete quantine hanno torturati?»

La concentrazione di Machiko non riusciva adisolarsi. Che vuol dire che hanno visto Wolf inanticipo? cominciava a chiedersi, ma non volevapensarci.

«Stavolta la Compagnia non se la cavafacilmente: eravamo tutti d’accordo a fare da escaa quel mostro, ma non a costo di vedere i nostriamici e parenti massacrati come animali.»

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Non voleva badarci, non voleva pensare,eppure Machiko si voltò di scatto. «Che cosa vuoldire che avete fatto da esca?» chiese di getto a chistava parlando.

I due uomini si voltarono di scatto, come sesolo in quel momento si fossero accorti dellapresenza della donna, vestita come una guerrieraYautja. Ci fu un attimo di esitazione e uno degliuomini si stava già girando di nuovo, intenzionatoa non rispondere, mentre l’altro – il più agitato –parlò a voce alta. «Siamo una colonia finita, cosìla Compagnia ci ha usato per creare un incidentediplomatico con gli Yautja amici della Yutani.Dovevamo lamentare la distruzione della minieraper riscuotere l’assicurazione e risollevarci, poi laWeyland avrebbe avuto la scusa per accusare laYutani di connivenza con un pericoloso nemico, oche so io: qualche impiccio politico del genere.Però non ci sono stati solo danni fisici», continuòrivolto all’altro uomo, «ci sono stati massacrivergognosi.»

«Perché stai raccontando tutto a unasconosciuta? E se ora quella va a denunciarci alla

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Yutani?»Machiko aveva smesso di ascoltare. Troppo

schifo, troppa merda. Troppa umanità.La parete non bastava più, doveva scacciare

ogni umanità dal proprio essere, per non doversivergognare così tanto di una razza infame. Così sichinò sul corpo di Scar e cercò l’appunto con ilnome del suo clan. Voleva pensare a cose Yautja,voleva pensare all’altra sua natura, quella vera,quella che non voleva più tradire. Ora era unaBlooded Warrior di nuovo e stavolta avrebbepreferito vivere sola su un pianeta deserto cheperdere questo rango per colpa degli umani.

Machiko frugò nelle tasche di Scar e trovòl’appunto. Un piccolo foglio, proprio come leiconsigliava ai suoi clienti: sicuramente i cadaveridegli Yautja sarebbero stati trovati da umaniquindi avrebbero dovuto usare il loro sistema discrittura, per farsi riportare in seno al proprioclan. La donna aprì il foglietto e lesse il nome delclan di Scar.

C’era una sola scritta.C’era un solo nome.

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«Machiko.»Tutto si smorzò intorno alla donna. Tutto

tacque.Scar aveva rinunciato per sempre ad essere

riabilitato. Il suo vero nome non l’avrebbe mairicordato nessuno e il suo nome di battagliasarebbe rimasto ignoto per sempre. Avevarinunciato all’onore. Aveva rinunciato alla gloria.Aveva rinunciato alla memoria. Tutto pur didimostrare la sua appartenenza a Machiko.All’unico essere vivente che aveva avuto cura diun Predator senza onore...

Arriva un momento in cui tutto finisce.Ma arriva anche un momento in cui tutto inizia.E tutto inizia con il sangue.«Mi sa che il mio amico ha parlato troppo»,

stava dicendo un colono. «Capisci che nonpossiamo lasciarti andare in giro a rivelare certiparticolari, visto che non sappiamo chi sei.»

I due uomini si stavano avvicinando maMachiko non sembrava accorgersi di loro.

«Niente di personale, ma capisci che c’ètroppo in ballo per metterlo a rischio. Quindi

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facciamo che fra tante vittime... ce n’è una più...»Solo allora Machiko si girò e, accucciata per

terra vicino a Scar, guardò i due uomini dal basso.«Una in più? Facciamo due...»

Prima che i due uomini potessero rendersiconto di quello che stava accadendo, Machikoaveva afferrato il manico della spada che portavalegata sulla schiena sin dall’inizio della missione ela lama snudata aveva già tagliato le ginocchia dientrambi i coloni. Probabilmente cadderogridando, ma la donna non se ne accorse.

«Nel passato, sulla Terra, il mio popolo si ètrovato aggredito da un nemico superiore,enormemente superiore», cominciò a parlareMachiko, con voce alta ma neutra, alzandosilentamente e cominciando a camminare. «Sipreparavano a morire, perché non in grado diaffrontare quel nemico, finché accadde qualcosa diinaspettato.» La donna procedeva mentre i colonigridavano accanto a lei. «Un forte vento si alzò sulmare e le navi del nemico vennero spazzate via.Così» e Machiko con rapido gesto tagliò la testa diun colono che si era avvicinato per aggredirla.

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Mentre il corpo cadeva e tutti gridavano, ladonna continuava a camminare e a parlare, alzandola voce perché tutti sentissero. «Da allora il miopopolo ha spesso affrontato nemici di gran lungasuperiori, e ogni volta ha invocato l’aiuto di quelvento sacro che tutto vince.» Raggiunta la cabinadi pilotaggio, usò il manico della spada perbussare, mentre intorno a lei uomini e donne lafissavano urlanti. «Sapete come chiamavano i mieiavi, nella loro lingua, quel potente vento sacro?»

Uno dei piloti aprì la porta... e Machiko lodecapitò.

«Kamikaze.»

~

Perdere l’occhio non fu doloroso come sisarebbe aspettato. In realtà lo shock che dominavail fisico di Achab gli evitava per il momentotroppe sollecitazioni nervose, sicuramente ildolore sarebbe arrivato dopo, e potente. Se fossestato fortunato non ci sarebbe stato alcun “dopo”,ma Wolf era troppo intenzionato a torturarlo per

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lasciarlo morire in fretta.Il potente criminale gridava, non riusciva più a

star zitto, anche se ormai si limitava a gorgogliarevisto che le corde vocali erano lese dall’ustione edallo sforzo.

«Questo è solo l’inizio», sibilò ad Achab,mentre continuava a picchiarlo con l’unica manobuona rimastagli.

«Capo», disse uno dei Bad Blood.Wolf si voltò indispettito. «Che vuoi? Avete

riparato la nave?»«Ancora no», si scusò lo Yautja. «Ma a

proposito di navi, ce n’è una che ci viene contro.»Wolf fissò il Bad Blood per qualche secondo.

«Che cazzo vuol dire?»«Che c’è una nave che ci sta venendo contro»,

disse l’altro senza emozione.«Non ti ho chiesto di ripetere, idiota, ti ho

chiesto di spiegare.»Lo Yautja pensò per qualche secondo, poi

rispose sempre con lo stesso tono: «Non trovo unaltro modo per avvertirti che c’è una nave che civiene contro.»

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Wolf gli fu addosso e lo afferrò al collo. «Tirendi conto che siamo a terra? Non stiamo volandonello spazio: mi spieghi esattamente come può unanave venirci contro?»

Lo Yautja, rantolando, alzò una mano adindicare un punto alle spalle di Wolf. «Così...»

Il criminale si voltò lentamente... e rimasealcuni istanti a fissare, con l’unico occhiorimastogli, il cielo che cadeva. Con la gola infiamme, riuscì solo a bisbigliare: «Ma chi cazzo èquesta gente?»

~

L’astronave della colonia non era grande, eraun vecchio cargo adattato al trasporto di merci epersone per tratti medi, ma lo stesso quando arrivòa volo radente sulla colonia il mondo cominciò adesplodere.

Gli anni passati nella Compagnia avevanoinsegnato a Machiko come guidare molti tipi diveicoli, e per fortuna quella nave era abbastanzavecchia da essere semplice da pilotare. Entrata

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nella cabina di comando, neutralizzati i piloti esigillata la porta, la donna aveva viratoviolentemente ed era tornata giù per la stessastrada seguita finora. Si abbassò di quota fino apassare radente sui tetti delle case, diretta versol’astronave Yautja.

Tutta la colonia iniziò ad esplodere alpassaggio della nave, facendole perdere solamenteuna piccola percentuale della velocità acquisita,una velocità che comunque impedì agli Yautjaqualsiasi movimento. Il tempo di capire cosastesse accadendo... e la nave arrivò a destinazione.

I danni provocati dai tetti delle case furonoingenti, ma tanto non era previsto alcun ritorno: eraun viaggio di sola andata verso l’inferno. Sin dalprimo danno la nave cominciò a perderecarburante che subito prese fuoco, inondando lacolonia di fiamme liquide che avrebbero a brevefatto esplodere tutto ciò che poteva esplodere. Eraquestione di secondi prima che “Shimada’s Hope”diventasse una gigantesca palla di fuoco.

Gli Yautja rimasero fermi, sia perché nonebbero il tempo di comprendere a pieno cosa

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stesse accadendo – nella loro lunga carriera maiavevano trovato un umano disposto ad unsacrificio così devastante – sia perché non avevapiù senso muoversi: se non li avesse uccisil’impatto, li avrebbe uccisi l’esplosionesuccessiva. O le fiamme liquide che stavanoinondando tutto a gran velocità. I più fortunatifurono quelli che vennero schiacciati dallo scontrofra l’astronave dei coloni e quella Yautja.

L’impatto dell’enorme massa ricoperta dicombustibile ardente fu devastante, e un secondodopo tutto esplose, spazzando via qualsiasi formadi vita nei paraggi, inondando di fuoco liquidodecine di metri circostanti. In pochi secondi nonc’era più alcuna colonia umana, non c’era piùalcuna astronave Yautja, non c’era più alcun BadBlood. Non c’erano neanche più i cadaveri deiPredator senza gloria che avevano osato sfidare ilgigante...

Sopito il boato rombante che aveva riempitol’aria, ora rimaneva solo il crepitio delle fiamme...e l’urlo di Wolf.

L’enorme Yautja uscì dalla piccola costruzione

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in cui all’ultimo secondo era riuscito a ripararsi,una piccola struttura a pochi metri che, lontanadall’impatto, era riuscita a proteggerlodall’inondazione di carburante liquido. Il suoscatto era stato dettato più da un istinto sviluppatoin decenni di cacce piuttosto che ad un pensierorazionale. E anche essere stato un torturatore percosì tanto tempo gli aveva sviluppato una certaprontezza di riflessi: insieme a sé, al riparo, si eraportato Achab. Un torturatore non concede mai allapropria vittima una morte veloce e pietosa.

«Ti sarebbe piaciuto morire in fretta, eh?»stava rantolando Wolf alla volta di Achab, gettatoa terra in un piccolo spazio fra le fiamme cheormai avvolgevano tutto. «Lo ammetto, vi hosottovalutato, ma ormai è finita. Ora siamo solo tued io, con a disposizione solo il poco tempo che ciresta da vivere: vediamo di sfruttarlo bene.» Agitòil proprio braccio, ridotto ormai ad un moncherinofumante, davanti alla propria vittima. «Ti faròscontare tutto il dolore che ho subìto, e ti faròrimpiangere quello che mi avete fatto al braccio.»

Achab lo guardava rimanendo sdraiato a terra,

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completamente privo di forze anche per colpa delsangue che stava perdendo dalle ferite infertegli.Fissò Wolf... poi rispose con uno strano sorrisosul volto. «Quale braccio?»

Come poteva scherzare in un momento comequello? Wolf si infuriò ancora di più, finché con lacoda dell’occhio vide qualcosa volare via.Qualcosa di strano eppure di familiare. Qualcosache... Possibile che quello fosse il suo braccioustionato? Era maciullato eppure potevariconoscerlo, lo stesso la sua mente non riusciva acapire: perché ora il suo braccio stava volandovia?

Girò leggermente la testa e vide fiotti di sangueverde spillare dalla propria spalla, dove primac’era il suo braccio. Ancora non riusciva a capire,non riusciva a focalizzare, i suoi pensierischizzavano in ogni direzione senza riuscire atrovare un filo da seguire. La sua mente eraappannata, e cominciò a ritrovare un minimo dichiarezza quando si voltò ancora di più... e videMachiko a pochi passi da lui. Con la spadaimpugnata.

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Wolf la guardò e se da una parte riuscì acapire che era stata lei a tagliargli via il braccio,lo stesso la situazione non era chiara: perchéquella femmina umana stava lì? Perché era vestitaquasi fosse uno Yautja? Perché lo stava sfidando?

«Chi... cazzo... sei... tu?»La donna rispose con tono neutro. «Sono la

fine di questa storia.»

~

Machiko era ricoperta di sangue e sotto ilsangue era ricoperta di liquidi. L’astronave era unmodello vecchio e soprattutto non era pensata perviaggi spaziali, bensì per spostamentiinterplanetari. Sarebbe stato un problemaraggiungere un altro pianeta – visto che la naveserviva solo per superare l’atmosfera eraggiungere una nave più grande – ma non era statoun problema farla schiantare sulla colonia edistruggere tutto. E poi essendo una naveprevalentemente terrestre aveva qualcosa diinsperato: un sistema di eiezione per i piloti.

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Subito dopo la prima esplosione, Machiko si eralegata al sedile e si era espulsa, volando fin suglialberi ai lati della colonia: un piccolo paracaduteaveva attutito la caduta ma lo stesso si eraprovocata molte ferite.

La donna comunque non sentiva alcun dolore,la sua concentrazione era totale e ora l’unicaemozione che provava era di totale fusione con lapropria spada. No, in realtà non era una fusione:era un annullamento. Un guerriero non usa lapropria spada, un guerriero si annulla in essa: unguerriero è la propria spada.

La paura, lo sconforto e il dolore di primasarebbero stati un impedimento, le sarebbe statoimpossibile sfoderare la propria katana in quellecondizioni. La madre le aveva insegnato chequando un guerriero estrae la spada, in quel gestoè già presente il destino proprio e del suoavversario: se non si è nella giusta disposizioned’animo, se non si è disposti ad accettare queldestino, è molto meglio non snudare la lama. OraMachiko era pronta, ora aveva superato ognisentimento ed emozione: ora era nulla, quindi

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poteva lasciare la propria spada libera di agire.Era immobile, davanti a Wolf, e gli indicava

qualcosa. Il Bad Blood capì che stava indicando lasua cintura: lo stava incitando ad estrarre anche luila spada che portava legata al fianco. Wolf nongirava mai disarmato, ma certo quelle lame leteneva più per ornamento che per altro. In ognicaso fissò stranito la donna. «Vuoi davverosfidarmi? Pensi che se anche afferro la mia spadasaremo ad armi pari?»

Machiko lo fissava senza alcuna espressione,tenendo la sua katana puntata verso di lui. «Nonuccido chi è disarmato: sono una guerriera, non unBad Blood.» Non era questione di razza umana oYautja: l’onore era insito nell’essere guerrieri.Gliel’aveva insegnato sua madre, discendente dinobili donne guerriere, che da tempo immemoreavevano combattuto con onore. Quando Machikoaveva conosciuto il codice Yautja, in realtà avevaritrovato qualcosa a lei molto familiare.

Wolf non poté fare a meno di sghignazzare.«Tu non sei niente, anzi peggio: sei un’umana.Come osi chiamarti guerriera?» Machiko non

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mosse un ciglio. «Sono tre volte più grande di te, edieci volte più potente, anche da ferito: pensi cheio abbia bisogno di una spada... o di due bracciaper ucciderti? Vuoi sfidarmi? E allora mi basteràil mio braccio sinistro per massacrarti.»

Non aspettò la risposta e Wolf partì con unpugno in direzione di Machiko, un colpo aspazzare che sarebbe stato in grado di staccarle latesta se l’avesse presa. Se l’avesse presa. Machikonon dovette muoversi molto, le bastò scansarsi diun passo dalla traiettoria e lasciare che la katanaparlasse per lei: la spada sguisciò agile e si aprì lasua strada nella carne dello Yautja. Altro sangueverde ricoprì il terreno, mentre Wolf caracollava:la lama di Machiko gli aveva appena leso untendine del ginocchio sinistro. Il dolore eraaccecante, ma quel che peggio era che ora nonaveva più il controllo della gamba.

«Afferra la tua spada», urlò Machiko, «odovrò smantellarti una fetta alla volta.»

Wolf zoppicava sull’unica gamba rimastagli,mentre fissava la donna che lo stava minacciando:sebbene ricoperta di sangue, i suoi occhi

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fiammeggiavano. «Chi l’avrebbe mai detto?»gracchiò il Bad Blood, «che alla fine della corsasarei stato battuto da un insetto umano. E femmina,per lo più.»

Machiko non cadde nella provocazione, nonreagì come avrebbe fatto in un’altra occasione: eraun patetico tentativo dello Yautja morente di farleperdere il controllo. Non ci sarebbe riuscito. Nonora, che la donna era tutt’uno con la propria spada.

Wolf grugnì, ormai provava così tanto dolorein ogni parte del corpo che stava per perdere isensi. Almeno questa umiliazione volle evitarsela.Ma non prese la spada che portava al fianco:fissando negli occhi la sfidante, afferrò lospunzone di lancia che ancora gli fuoriusciva dalfianco, dove l’aveva infilata Achab. Estrasselentamente la lama – tanto ormai in mezzo a queldolore non distingueva più quello nuovo da quellovecchio – e alla fine impugnò la lama ricoperta disangue verde. Apparteneva ad una grande lanciaYautja, quindi solo la lama era grande quanto unapiccola spada. E con essa si gettò contro Machiko.Era palesemente un tentativo fasullo, il cui unico

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scopo era mettere fine a quella situazione. Metterefine al dolore.

Wolf non meritava alcuna pietà, ma Machikoera una guerriera, non un macellaio. La sua katanavibrò e scattò, parando il colpo dello Yautja perpuro rispetto nei confronti di un guerriero cheaveva accettato il combattimento pur sapendo cheavrebbe perso. Il suo destino era già scritto sullalama di Machiko, sul sangue verde che già in partela ricopriva e sul sangue rosso delle mani che laimpugnavano. Wolf aveva l’occasione di morire inazione, con l’onore di un guerriero, anche se era unonore che non meritava vista la sua vita criminale.Era una concessione che non proveniva daMachiko: proveniva dalla katana.

Lo Yautja calò dei colpi potenti che la donnapoté agilmente schivare, perché pesando tre voltedi meno dell’avversario era facile svicolargli. E lalama la proteggeva sempre. Bastava impugnarlacome la sua famiglia le aveva insegnato, bastavatrattarla con il rispetto che le era dovuto e la forzache bisognava dimostrarle: mai mostrarsi debolicon la propria katana. Glielo ricordava sempre suo

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padre, che non l’aveva mai considerata unaguerriera, piuttosto una ragazzina che giocava con igiocattoli dei maschi. Aveva sofferto a lungo e siera allenata duramente per riuscire a dimostrare alpadre quanto valeva, che nelle proprie venescorreva il sangue delle onna-bugeisha, le donneguerriere da cui discendeva la madre. La morte delpadre aveva reso impossibile fargli cambiare idea,gettando Machiko nella disperazione: sarebberimasta per sempre una ragazzina. La madre noncercò di consolarla, si limitò a dirle che tuttoquesto apparteneva alla storia della katana:doveva lasciare quel dolore imprigionato nella sualama e sigillarne il fodero. Quando un giornol’avrebbe snudata, la lama avrebbe ricordato tuttoquel dolore, tutta quella frustrazione e tutte quellelacrime... e le avrebbe tramutate in sangue.

Rantolando, Wolf sferrò un nuovo potentecolpo... e la katana di Machiko decise che eratempo di compiere il proprio destino. Con uncolpo recise la mano armata del Bad Blood e poi,penetrando nelle carni agilmente, come se nontrovasse alcuna resistenza, lo decapitò. La testa

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rimase qualche attimo in bilico sul collo, primache il rilassamento dei tessuti fece crollare Wolf aterra come fosse un sacco di carne tremolante.

Machiko rimase immobile a fissare il proprioavversario. Questo era il momento peggiore perogni guerriero: il momento in cui la fine dellamissione lascia un vuoto bruciante dentro di sé.L’obiettivo di un guerriero è la morte: la vittoria èsolo una tappa amara e solitaria.

~

«Ce ne hai messo di tempo.»Achab era divertito e soprattutto era contento

di poter vedere di nuovo Machiko. Questo noncambiava il fatto che non riusciva più ad alzarsi.Troppe ferite, troppo dolore, troppo di tutto.

La donna si sedette per terra, al suo fianco,incrociando le gambe e posando la sua katana condolcezza al suo fianco. L’aveva riposta nel fodero,perché assorbisse in sé il sangue che avevaversato e il dolore che aveva acquisito.

«Sai che è la prima volta, in tanti anni, che ti

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vedo tirar fuori quella lama dal fodero?» disseAchab.

Machiko annuì. «Te l’ho detto, la lama dellapropria katana si snuda solo per farle bere sangue.Estrarla senza la giusta condizione dell’animo è unsacrilegio, oltre che inutile: serve solo a farsiammazzare.» Guardò la spada. «È molto antica,molto più di noi e di questa colonia e forse dellaCompagnia stessa: è stato un onore per Wolfessere ucciso da una lama del genere. Un onoreche non meritava.»

«E io?» chiese d’un tratto Achab. «Io meritoquesto onore?»

Machiko scattò a fissarlo, stupita. Era l’ovviaconseguenza, quasi scontata. Aveva concesso aquella bestia criminale di Wolf di morirerapidamente e con onore... Non poteva negarlo adAchab... «Ti prego, non dirlo neanche per scherzo.Abbiamo ben due astronavi con cui andarcene,quella di Celtic e la nostra, entrambe perfettamentefunzionanti.»

«Sono troppo lontane, per me, lo sai...»«Ho trascinato il peso morto del cadavere di

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Scar: posso trascinare il tuo, vivo.»«Machiko...»Il silenzio calò fra di loro. Achab, sempre

sdraiato immobile, continuò. «Hai fatto proprio unbell’incendio, solo che quando si estingueràarriverà il freddo...»

«Facciamo così», disse la donna. «Rimaniamoqui ancora per un po’... e vediamo che succede.»

Machiko si sistemò a guardare l’incendio chedivorava la colonia, con le fiamme che avevano uninnegabile effetto rilassante, e i due rimasero insilenzio per un po’. Finché Achab non riprese laparola. «Machiko... stai sanguinando...»

La donna, che fissava il fuoco fra le lacrime,silenziosamente cominciò a ridere. Finché nonrispose. «Non ho tempo di sanguinare...»

FINE

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Note e FontiQuesta fan fiction è una storia originale che

utilizza però personaggi e situazioni pre-esistenti,estratti da varie fonti: ecco la specifica delmateriale a cui ho attinto per la stesura diPredator senza gloria.

~

Il titolo di questa fan fiction è un omaggioincrociato a più film e più titoli. La storiaparte come ispirata dal giapponese I settesamurai (1954) di Akira Kurosawa erelativa fotocopia americana I magnificisette (1960) di John Sturges, ma anche adun altro “sette”, forse meno famoso deiprecedenti: il britannico I 7 senza gloria(Play Dirty, 1969) di André De Toth. Setteè un “numero magico” per una missionesuicida, lo dimostra Dago di Robin Wood,che raccoglie sei mercenari e sbandati perl’intensa e straziante missione raccontata

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nella saga Roxana (raccolta in“Euracomix” n. 63, dicembre 1993, EuraEditoriale).

Giappone, 1587. Un tempo erano nobiliguerrieri, rispettati e anche temuti: oggisono sette straccioni, che vivono diespedienti e fanno piccoli lavoretti umiliper guadagnare un pasto. Quando deimiseri contadini, più poveri di loro, liingaggiano per difenderli da una banda dicriminali, offrendo un pugno di riso comepagamento – mentre i contadini si limitanoa mangiare il miglio – Shimada ed altri seironin accettano, ma non certo per il“compenso”. Accettano perché sonoguerrieri, e i guerrieri combattono.L’alternativa è spaccare legna per qualcosada mangiare o saltare direttamente il pasto.

Sono partito da questo spunto, conl’idea di divertirmi a sovrapporresemplicemente dei Predator ai samurai del

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film – visto che in fondo condividono ilcodice di comportamento – però poi ipersonaggi hanno preso il sopravvento e iomi sono fatto indietro: mi sono limitato ascrivere ciò che loro volevano...

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Achab e gli altri - Al momento di iniziare ascrivere è nato un bel problema: non sonomica la S.D. Perry, non ho alcunaintenzione di inventarmi di sana pianta deinomi di Predator! Sia perché non ne sonocapace sia perché è un’idea che non mipiace: non è più divertente usare nomi chegià esistono? Così ho utilizzato nomignolipiù o meno ufficiali di veri Predatorapparsi nei film: Jungle da Predator(1987), City Hunter da Predator 2 (1990),Scar e Celtic da Alien vs Predator (2004),Wolf da Aliens vs Predator: Requiem(2007), Berserker e Falconer da Predators(2010). A parte Jungle e City Hunter, che

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fanno chiaro riferimento alle vicendefilmiche, gli altri sono semplici nomi cheho preso in prestito a mo’ di citazione: levicende che ho raccontato non hanno nullaa che vedere con i relativi Predator vistinei film. Però il “capo” volevo fossediverso: doveva venire dai fumetti.

Ahab nasce nell’ottobre 2014all’interno del vasto universo a fumettichiamato “Fire and Stone”, ed èprotagonista della saga Predator: Fire andStone di Joshua Williamson. (Appare disfuggita anche nella parallela Alien vsPredator: Fire and Stone ma è proprio unacomparsata.) È nel bel mezzo di una cacciasolitaria contro un Ingegnere ed è aiutatodal mercenario Galgo, ben poco disposto:è proprio quest’ultimo che, alla fine dellasaga (gennaio 2015) lo battezza Ahab,perché ha dato la caccia all’Ingegnerecome “l’altro” Ahab l’ha data alla balenabianca. Un momento, ma perché qui ho

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scritto Ahab se per tutta la storia l’hochiamato Achab?

Il nome è ovviamente un omaggio alcapitano del romanzo Moby Dick (1851) diHerman Melville, che al suo arrivo inItalia è stato stampato da più case editrici,seguendo filosofie di traduzione spessodistanti: il nome del capitano dunque haconosciuto più versioni. Dall’Acab sceltoda Cesarina Melandri Minoli perl’edizione UTET nel 1958 alla storicatraduzione di Cesare Pavese perFrassinelli nel 1932, ristampataampiamente ancora oggi. Quest’ultimaversione usa Achab, che è come l’hosempre chiamato e quindi l’ho preferita adaltre traduzioni. In tempi recenti ha presosempre più piede la moda di tradurre ilmeno possibile, ma trattandosi di unclassico quella “c” è entrata più a fondonell’immaginario collettivo. È come la “g”dell’ispettore Callaghan: agli italiani non

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importa che per tutto il mondo siaCallahan, a noi piace quella “g” aggiuntadal doppiaggio italiano e ce la teniamostretta.

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Machiko Noguchi - Il personaggio nasce a fumettinel giugno del 1990 all’interno dellostorico Aliens vs Predator (Dark HorseComics 1990 / PlayPress 1992) di RandyStradley. Lo stesso autore negli annisuccessi è tornato a raccontare le vicendedi Machiko – brevemente citate all’internodi questa fan fiction – mentre la romanzieraS.D. Perry trasformava i vari fumetti inromanzi (noiosetti). Su di lei stopreparando uno speciale con tutta la storiadi uno dei migliori personaggidell’universo alieno espanso.

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Hornhead è un Predator “nuovo”, nel senso che ilnome è stato inventato dalla NECAnell’estate del 2017 presentando uno deisuoi nuovi modelli di Predator, in uscitanell’ottobre successivo, ispirato ad unpersonaggio apparso brevemente nelfumetto Alien vs Predator: Life and Death(2016). Ha l’onore della copertina delnumero 3 ma lo vediamo in azionesolamente nel numero 2 (gennaio 2017),quando sfida ad un duello mortale proprioAchab.

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Dachande / Broken Tusk - Il Predator “buono”che aiuta Machiko a combattere tanto glialieni quanto gli altri Yautja, e chemorendo le incide sulla fronte il simbolodel suo clan, nasce nel 1990 come co-protagonista del fumetto Aliens vsPredator, anche se appare già nelleanteprime del 1989 su “Dark Horse

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Presents”. Il suo nome Broken Tusk,dovuto ad un dente spezzato, è a malapenacitato. Quando poi S.D. Perry nel 1994trasforma il fumetto nel romanzo Aliens vsPredator: Prey cambia il nome in BrokenFang (non si sa perché) ma inventa anche ilsuo nome proprio in lingua Yautja:Dachande, che vuol dire appunto “dentespezzato”.

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Yautja - Quando nel 1994 la romanziera S.D.Perry, figlia del celebre Steve, si ritrovò adover trasformare in romanzo il celebrefumetto Aliens vs Predator (Dark HorseComics 1990 / PlayPress 1992), si reseconto che sarebbe stato molto difficiledescrivere i Predator. Gli xenomorfipoteva chiamarli bugs o vari altri sinonimianimaleschi, ma i Predator? Il semplicesinonimo hunters non bastava, così decisedi pensare in grande: si inventò di sana

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pianta un’intera cultura e una intera lingua.Nacque così il termine Yautja come nomeproprio della razza dei Predator.

A parte qualche fan sfegatato, nessunoha mai utilizzato questo nome negli anni avenire: viene tuttora ignorato dalla Fox peri film e dalla Dark Horse per i fumetti,rimanendo puro e semplice fun stuff, robada fan. Poi è arrivata Wikipedia e d’untratto tutti pensano che Yautja sia il nome“ufficiale” dei Predator, quando invece èusato solo ed esclusivamente per un paio dilibri della Perry. Così nel 2015 l’hainiziato ad usare Tim Lebbon per la suatrilogia di romanzi “Rage War” (TitanBooks) e nel 2016 anche la Dark Horse siè arresa e ha usato il termine nella sagaPredator vs Judge Dredd vs Aliens:Splice and Dice.

Avendolo ignorato per circa 25 anni, ilnome Yautja non mi ha mai conquistato ma

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è innegabile che scrivere un racconto condei Predator rende indispensabile unqualche sinonimo per loro, a meno di nonusare nomi propri singoli: così mi sonoritrovato a farne largo uso.

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Lingua Yautja - I Predator si sono sempreespressi a gesti, al massimo hannocomunicato con gli umani ripetendostorpiandole alcune frasi di questi ultimi.Poi, come dicevo, la Perry si è inventata disana pianta la loro lingua e da quel 1994 iPredator hanno cominciato a parlare fra diloro.

I film ignorano la loro lingua mentre laDark Horse ne ha fatto un accennoall’inizio della saga Alien vs Predator:Fire and Stone (2014) di ChristopherSebela. Visto che in Aliens vs Boyka hoimmaginato i Predator come alleati della

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Casata Yutani, cioè di umani, mi è piaciutodare per scontato che le due razze si sianoanche parlate, studiando le rispettivelingue.

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Shimada’s Hope - Il nome della colonia umana,costruito sull’esempio della “Hadley’sHope” di Aliens (1986), omaggia KambeiShimada, il protagonista del film I settesamurai (1954) di Akira Kurosawa nonchéleader dei “magnifici sette” eroi: l’attoreche lo impersona è il titanico TakashiShimura, fedele di Kurosawa. Shimada sipresenta definendosi ronin, ma essendo iltermine entrato tardi nella cultura popolareitaliana il doppiaggio nostrano ha preferitola sua corretta traduzione «samurai senzapadrone».

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«Conosci i campi di meloni di Mr. Majestyk?» -Piccolo omaggio al film A muso duro (Mr.Majestyk, 1974) di Richard Fleischer,scritto dal romanziere Elmore Leonard.Qui il protagonista Mr. Majestyk -interpretato da uno Charles Bronson inpieno fulgore - non cede ai ricatti dellamalavita locale perché deve raccogliere isuoi meloni, e la farà pagare cara achiunque glielo impedirà.

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«Yeah baby, havin’ some fun tonight » - Branodalla canzone Long Tall Sally (1956) diLittle Richard, utilizzata all’inizio del filmPredator (1987). Questa strofa inparticolare viene sbiascicata da Mac (BillDuke), in preda all’esaltazione, mentresvuota il caricatore della sua mitragliatriceaddosso al Predator, mancandolo. Persaperne di più su questa sequenza, rimandoal mio speciale Long Tall Duke.

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«Se può sanguinare...» - Quando nel filmPredator (1987) Anna (Elpidia Carrillo)avverte che sulle foglie c’è il sangue dellacreatura che sta uccidendo i protagonisti,Dutch (Arnold Schwarzenegger) lancia unadelle sue storiche frasi ad effetto: «If itbleeds, we can kill it» (“Se sanguina,possiamo ucciderlo”). Una frase entrata dapoco nell’universo espanso alieno conl’antologia If It Bleeds (Titan Books,ottobre 2017) a cura di Bryan ThomasSchmidt.

Il doppiaggio italiano del film, a curadi Alberto Toschi, rende la frase con «Sepuò essere ferito, può essere ucciso», unapprezzabile gioco di parole con “puòessere” ripetuto, gioco assentenell’originale quindi intrigante, però mancala parte “sanguinante”. Così per la mia fanfiction ho preferito fare una media delle

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due frasi: «Se può sanguinare, può essereucciso».

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«Piegò le dita e mise pollice ed indice a forma dipistola» - Citazione dal film The Losers(id., 2010) di Sylvain White, ispirato allasaga a fumetti omonima (Vertigo 2003-2006) del britannico Andy Diggle. Lascena del “dito a pistola che spara sulserio” viene ricopiata pressoché identicadue anni dopo ne I mercenari 2 (TheExpendables 2, 2012) di SylvesterStallone, e ancora in Explorer(Arrowhead, 2016), scritto e diretto daJesse O’Brien. Per saperne di più, rimandoal mio speciale Finger Guns: dita chesparano.

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«I nazisti conquistarono un enorme territorio

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con relativamente poco sforzo» -Machiko racconta la strategia adottata daHitler per invadere la Francia durante laSeconda guerra mondiale, adottata in realtàper caso ma che riuscì nell’intento perchéera un modo troppo “moderno” di fare laguerra. L’evento finale di quella strategia èprotagonista del film Dunkirk (2017): sulfilm e sulla storia della strategia nazistaparlo in questo speciale de La Storia e laFinzione.

~

«Uno dei libri sacri degli umani dice: c’è untempo per vivere e un tempo per morire»- Pseudo-citazione dall’Ecclesiaste, testodisincantato dell’Antico Testamento: inrealtà nel terzo capitolo si legge «C’è untempo per nascere e un tempo per morire».La citazione infatti si rifà al romanzoTempo di vivere, tempo di morire (Zeitzu leben und Zeit zu sterben, 1954) di

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Erich Maria Remarque, che appunto“manomette” quel passo dell’Ecclesiaste.

~

«Rimaniamo qui ancora per un po’... e vediamoche succede.» - Spero di cuore si sia coltala citazione dal film La Cosa (The Thing,1982) del Maestro John Carpenter. Gliunici due sopravvissuti, soli e dispersi fra ighiacci polari, hanno un dialogo che sin daragazzino mi è entrato nel cuore.

Childs: «Gli incendi hanno rialzato latemperatura: non durerà a lungo.» Mac:«Nemmeno noi.» Childs: «Be’... chefacciamo?» Mac: «Perché non aspettiamoqui ancora un po’... e vediamo chesuccede?»

Parte la musica di Ennio Morricone... escatta l’applauso.

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~

«Non ho tempo di sanguinare...» - Ultimacitazione dal film Predator (1987).Quando Poncho fa notare a Blain che stasanguinando («You’re bleedin’, man »),Jesse Ventura sfoggia la sua “frasemaschia”: «Non ho tempo di sanguinare» (Iain’t got time to bleed).

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Altre opere di LuciusEtruscus

~True Marlowe e il Re in Giallo

Un’indagine di Marloweseguendo il re dei libri senza valore

~La realtà nasce sempre dalla fantasia, e quando

l’investigatore bibliofilo Marlowe è testimone diun delitto troppo “citazionista”, decide di battersiperché la verità venga a galla: un innocente è statoaccusato di omicidio semplicemente perché... unacitazione non è stata capita! Inizia un’indagine cheporterà Marlowe a visitare le stelle nere delcollezionismo librario, dove per completare unacollezione si può anche uccidere, seguendo la sciadi un libro che solo lui considera la chiave persciogliere l’enigma: Il Re in Giallo di Robert W.Chambers.

~

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Le mani di MadianIl romanzo di Marlowe(non “quel” Marlowe)

~Il misterioso scrittore di successo che si firma

solo Madian organizza un’intervista esclusiva conl’indagatore dell’occulto Daniele Arena, durantela quale gli mostra la propria mano destra erivela... che quella non è la sua mano.

Inizia una storia oscura in cui ci sono mani checreano, come quelle di uno scrittore, e mani chedistruggono, come quelle dell’assassino che(forse) sta colpendo delle donne che hanno un solopunto in comune: hanno tutte partecipato ad unatraduzione misteriosa.

Ci sono mani che traducono e mani chesfogliano libri alla ricerca della finzione piùgrande di tutte: la verità. Sono le manidell’investigatore bibliofilo Marlowe (no, non“quel” Marlowe), che viene ingaggiato perchésolo chi studia la finzione letteraria potrà capirerealtà.

Per la prima volta il personaggio nato sulle

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pagine di ThrillerMagazine appare in un romanzo,alla ricerca di una verità che giace sanguinante...nelle mani di Madian.

~La notte dei risorti viventi

(Giona Sei-Colpi 1)L’assedio di Roma

secondo il Risorgimento di Tenebra~

Roma, 1849. La neonata Repubblica Romanadi Mazzini ha le ore contate: dal suo esilio a Gaetapapa Pio IX ha chiesto aiuto alla Francia el’esercito del generale Oudinot sta per iniziare unassedio per espugnare il colle Gianicolo. Perchéchi controlla il Gianicolo, controlla Roma. Questoè quanto ci dicono i libri di storia, ma quello chenessuno sa è che gli insorti romani non hannodovuto affrontare solamente i soldati francesi...Questa è la storia, mai raccontata, dell’ultima nottedella Repubblica Romana: quando gli insortiaffrontarono... i “risorti”.

Questo racconto rientra nel progetto discrittura collettiva “Risorgimento di Tenebra”,

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ideato dal gruppo Moon Base.~

Fratelli di fuoco(Giona Sei-Colpi 2)

La seconda missione di Giona Sei-Colpinel Risorgimento di Tenebra

~Dopo l’assedio raccontato ne La notte dei

risorti viventi, Roma è in mano ai francesi delgenerale Oudinot. Per dimostrare la gratitudinenell’aiuto a debellare la Repubblica Romana degliinsorti e a liberare la città dai seguaci di Mazzini eGaribaldi, lo Stato Pontificio organizza perdomenica 15 luglio 1849 una messa solenne nellaBasilica di San Pietro in onore di Oudinot, a cui ilgenerale parteciperà di persona: chi vogliaorganizzare un attentato per colpire al cuore tantola Chiesa quanto la Francia non avrà occasionemigliore. Giona Sei-Colpi e la sua nuova amica, laSfregiata che durante l’assedio di Roma ha saputotener testa a orde di morti viventi, dovrannoassicurare l’incolumità dell’odiato generale, in unacittà ostile e con il costante pericolo di invasioni

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di morti viventi: è il momento per Giona Hex direclutare altro personale, è il momento di farsiaiutare da altri... fratelli di fuoco.

Questo racconto rientra nel progetto discrittura collettiva “Risorgimento di Tenebra”,ideato dal gruppo Moon Base.

~Fuoco e Fnago

(Giona Sei-Colpi 2½)Il braccio sinistro della vendetta

per Giona Sei-Colpi~

Dopo lo scontro a piazza San Pietro, visto inFratelli di fuoco, Giona Sei-Copi e i suoi uominitornano alla base per organizzare la prossimamissione: nel frattempo un brigante locale ha lamalaugurata idea di rapire La Sfregiata e CarloPisacane. La furia di Giona sarà di quelle chelasciano molti cadaveri in giro, anche perché oraha trovato un validissimo alleato: il suo nuovo...braccio sinistro!

Questo racconto rientra nel progetto discrittura collettiva “Risorgimento di Tenebra”,

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ideato dal gruppo Moon Base.~

Anita Nera(Giona Sei-Colpi 3)

Non c’è furia all’infernocome una donna “risorta”

~Primi di agosto del 1849. Dopo La notte dei

risorti viventi e Fratelli di fuoco, è ormai chiaroche nell’Italia del Risorgimento di Tenebra nonsolamente il cardinale Lambruschini ha trovato ilsistema di riportare in vita i defunti: qualcunodella Repubblica Romana ha deciso di utilizzare laterribile arma dei morti viventi contro la Francia eil Papato. Ma chi? Giona Sei-Colpi, detto GionaHex, e i suoi “fratelli di fuoco” devonoassolutamente fermare chi vuole distruggerel’Italia.

Intanto il 4 agosto 1849 muore AnitaGaribaldi, la giovane brasiliana che ha seguito pertutta la sua vita il generale nizzardo da unabattaglia all’altra. Malgrado i libri di storia non loriportino, la sua non è stata una morte

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“tranquilla”... e quando torna sulla terra, portal’inferno con sé...

~Voglio la testa di Garibaldi (Anita Nera 2)

La vendetta più pulp dell’800~

«Voglio la testa di Garibaldi»: così sichiudeva Anita Nera, terza avventura del cicloGiona Sei-Colpi ambientato in un’Italiaottocentesca dove gli insorti incontrano i risorti.Nel Risorgimento di Tenebra i morti difficilmenterimangono sotto terra, e questo accade ad AnitaGaribaldi: morta ufficialmente il 4 agosto 1849 aMandriole ma in realtà cavia di un terribileesperimento. Ora è tornata con la furia dell’infernodentro di sé, pronta a scatenare la propria vendettacontro il generale Garibaldi in persona. Come segià tutti gli eserciti d’Italia non lo volessero morto.

Preparatevi ad un breve viaggio che abbracciatutti i dettami dell’Italian Pulp inseriti nellacornice Italian Weird Western del Risorgimentodi Tenebra, progetto di scrittura collettiva ideatodal gruppo Moon Base.

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Questo è uno spin-off del ciclo di Giona Sei-Colpi, in quanto protagonista della vicenda è lasola Anita Nera, la moglie di Garibaldi tornata invita con poteri misteriosi e pronta ad una“discussione accesa” con l’ex marito.

~Chi muore per primo, muore due volte

(Giona Sei-Colpi 4)La quarta missione di Giona Sei-Colpi

nel Risorgimento di Tenebra~

Il segreto per riportare in vita i morti non è piùun segreto: qualcuno ha approfittato degli scontrifra lo Stato Pontificio e la Repubblica Romana percarpirlo e farlo suo. Ma chi? Giona Sei-Colpi e laSfregiata hanno seguito le orme della fuga diGaribaldi per scoprirlo, ed ora sono arrivatiall’antico e misterioso monastero di Pietrarubbia,dove forse tutto è iniziato... e dove sicuramentetutto finirà.

Le rivoltelle di Giona e la picca dellaSfregiata stavolta forse non serviranno contro leforze antiche e misteriose che dormono sotto il

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monastero, mentre dovranno vedersela anche con imonaci di un Ordine antico, capeggiati da fra’Girola. Lo scontro finale è arrivato, e il problemanon sarà morire... ma morire una volta sola!

Questo racconto rientra nel progetto discrittura collettiva “Risorgimento di Tenebra”,ideato dal gruppo Moon Base.

~Malanotte

Un’indagine di Marlowedove la letteratura diventa realtà

~Malanotte è un paese misterioso, e ancor più

misteriose sono le riunioni che la medium notacome Madame Blavaschi tiene fra le mura del suocastello: tutto ciò che si sa... è che riguarda deilibri. L’indagatore dell’occulto Daniele Arena sitroverà quindi costretto ad un gesto arduo ecoraggioso: chiedere aiuto all’investigatorebibliofilo Marlowe. No... non quel Marlowe.Inizia un viaggio nel mistero di Malanotte... dovela letteratura diventa realtà.

~

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La variante di MarloweUn’indagine di Marlowe:

quando gli scacchi uccidono~

Alcuni strani omicidi a Roma sembrano essereaccomunati dal mondo degli scacchi, ma visto chel’unico elemento certo è che tutte le vittimeavevano la stessa copia di un libro sull’argomento,la polizia è costretta a consultare l’investigatorebibliofilo Cristoforo Marlowe. Per venire a capodel mistero e per fermare l’assassino, Marlowestavolta dovrà impegnarsi in qualcosa diincredibile... spacciarsi cioè per Maestro discacchi.

~De Marlowe Mysteriis(Mistero Marlowe 1)Un libro impossibile

per il TG Mistero~

La squadra del “TG Mistero” si imbatte in unanotizia sensazionale: un collezionista harecuperato una copia del De Vermis Mysteriis , un

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libro misterioso che semplicemente non dovrebbeesistere. Per organizzare un buon reportageservirebbe il parere di un esperto di libri, magariun investigatore bibliofilo: e in questa professionec’è solo un uomo disponibile... per sfortuna del“TG Mistero”.

Inizia una joint venture fra i personaggi de Iltreno di Moebius di Alessandro Girola el’investigatore bibliofilo Marlowe (non quelMarlowe) di Lucius Etruscus per storie ai confinidella realtà libraria: ecco il primo numero dellaserie “Mistero Marlowe”.

~La caduta degli Uscieri(Mistero Marlowe 2)Un palazzo stregatoper il TG Mistero

~Torna il “TG Mistero” nato dal libro Il treno

di Moebius di Alessandro Girola: stavolta con unservizio esplosivo su un antico palazzo chefinalmente viene aperto al pubblico. L’edificio,appartenente alla antica famiglia degli Uscieri, ha

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fama di essere una vera e propria “casamaledetta”: sarà vero? Di sicuro il giornodell’inaugurazione avvengono strani fenomeni...come per esempio la presenza fra i visitatoridell’investigatore bibliofilo Cristoforo Marlowe.Non è che l’inizio dei problemi.

~Alla conquista del Monte Athos

L’incredibile ma vera storiadi 400 anni di caccia al libro

~Sin dal Quattrocento l’Europa è stata

attraversata da un mito senza fondamento, che cioègli antichi monasteri del Monte Athos in Greciasiano pieni di libri preziosissimi e manoscrittirari, dimenticati e a rischio di distruzione a causadell’ignoranza dei monaci. È un’ideaassolutamente campata in aria, ma per quattrosecoli ardimentosi esploratori di tutta Europa sonopartiti entusiasti e fiduciosi... alla conquista delMonte Athos. Dopo secoli di fallimenti nel trovareun qualsiasi testo di valore sul Monte Tracio(come lo chiamava Omero), nel 1837 giunge il

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turno di un tipo diverso di esploratore edavventuriero: quella misteriosa figura che sin dalQuattrocento tutta Europa chiama conun’espressione italiana, «Cacciatore di libri».

Questa è la storia vera e documentatadell’incredibile avventura del britannico RobertCurzon, cacciatore di libri per passione, che partìalla conquista del Monte Athos per salvaredall’oblio dei suoi monasteri e riportare inInghilterra preziosi manoscritti greci e latini,scoprendo che nulla era come l’Europa credeva.

Per la prima volta un saggio tira le fila diquattrocento anni di “caccia al libro” con l’Athosprotagonista, per la prima volta è raccontata initaliano l’avventura di Robert Curzon e per laprima volta vengono presentati i molti “strani”ritrovamenti fatti dopo di lui, alcuni in odore difalso e di truffa: quando Curzon mette piede sulMonte Sacro, non sa di essere l’ultimo “innocente”che prova a conquistarlo.

~Notovitch e la vita segreta di Gesù

(Storie da non credere 1)

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La nascita del mitodi Gesù in India

~Da esattamente 120 anni molti sono convinti

che Gesù Cristo passò l’infanzia in India, o checomunque i suoi insegnamenti arrivarono subito inquesta terra grazie ai mercanti che “sparsero lavoce”. Chi crede questo, in buona o cattiva fede,di solito non si rende conto che l’idea circolaappunto da soli 120 anni: nei secoli precedentialla data del 1894 non si pensava affatto a questa“ipotesi indiana”. Cosa è successo in quella data?Perché da quel momento la tesi di Gesù in India èargomento di discussione, visto che è totalmentecampata in aria? Semplicemente nel 1894 apparvel’opera di un fantomatico giornalista russo cheraccontava una storia incredibile... nel senso che èda non credere.

La collana “Storie da non credere” si occupadi truffe librarie o comunque di vicende legate afenomenali ritrovamenti accompagnati da storiepiù attinenti alla sfera della fiction che alla realtà.Da secoli libri incredibili sono accompagnati da

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storie incredibili... che spesso sono appunto danon credere.

~Petronio e la Cena di Trimalchione

(Storie da non credere 2)La nascita del mito

del Satyricon completo~

Uno dei più apprezzati e basilari autori latini èin realtà noto all’Occidente da poco tempo,ritrovato per caso e rimasto frammentario fino adoggi. E se esistesse una copia completa delSatyricon di Petronio? Guarda caso, esiste... omeglio, ne esistono diverse: bisogna però capirequale sia vera. Nel Seicento sono avvenuti diversiritrovamenti “misteriosi” dell’opera di Petronio,tutti inerenti la celebre Cena di Trimalchione, edogni ritrovamento si è presentato con la sua storiaincredibile... cioè da non credere: ecco le piùsorprendenti di queste storie.

La collana “Storie da non credere” si occupadi truffe librarie o comunque di vicende legate afenomenali ritrovamenti accompagnati da storie

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più attinenti alla sfera della fiction che alla realtà.Da secoli libri incredibili sono accompagnati dastorie incredibili... che spesso sono appunto danon credere.

~Arpe e il Trattato dei Tre Impostori

(Storie da non credere 3)Il mito del “vero” esemplaretrovato in Europa nel ’700

~Dalla fine del Cinquecento fino ai nostri giorni

l’Europa è attraversata da un mito irresistibile:l’esistenza di un Trattato sovversivo che osascagliarsi contro i tre profeti delle principalireligioni monoteistiche (Mosè, Gesù e Maometto)accusandoli di essere tre “impostori”. Dopo più diun secolo di bisbigli e sotterfugi, di avvistamenti efraintendimenti, finalmente agli inizi del Settecentoqualcuno afferma a gran voce di averlo trovato, maprima di presentarlo al giudizio degli espertiracconta l’immancabile roboante storia del suoritrovamento, una storia incredibile... una storiacioè da non credere.

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La collana “Storie da non credere” si occupadi truffe librarie o comunque di vicende legate afenomenali ritrovamenti accompagnati da storiepiù attinenti alla sfera della fiction che alla realtà.Da secoli libri incredibili sono accompagnati dastorie incredibili... che spesso sono appunto danon credere.

~Ireland, il ragazzo che fu Shakespeare

(Storie da non credere 4)Il mito delle carte legali

e di un’opera inedita~

Il 1° aprile del 1796 il dramma “Vortigernand Rowena” viene programmato al Drury LaneTheatre, il celebre teatro londinese da pocorestaurato ed ampliato: visto che alcuni autorevolicritici hanno sollevato un polverone gridando alfalso, sottolineando cioè che quel dramma diWilliam Shakespeare miracolosamente ritrovatonella soffitta di un gentiluomo misterioso sollevapiù dubbi che certezze, si preferisce spostare laprima al successivo 2 aprile. Mettere in scena

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un’opera dal forte odore di falso proprio il giornosimbolo dello scherzo e della burla sarebbe statol'apoteosi della beffa: il risultato però non cambia.Per circa due anni, alla fine del Settecento, Londraha creduto ciecamente a William Henry Ireland: ilragazzo di 17 anni che fu Shakespeare. Questa è lasua incredibile storia.

La collana “Storie da non credere” si occupadi truffe librarie o comunque di vicende legate afenomenali ritrovamenti accompagnati da storiepiù attinenti alla sfera della fiction che alla realtà.Da secoli libri incredibili sono accompagnati dastorie incredibili... che spesso sono appunto danon credere.

~Platone, lo schiavo filosofo

Commedia breve in quattro attidi quando i libri non si leggevano

~Un aneddoto riportato da alcuni storici

dell'antichità ci racconta di un incidente occorso alcelebre filosofo Platone, che avendo fatto infuriareil tiranno Dionigi come punizione venne venduto

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come schiavo. La storia (semmai sia vera) siconclude velocemente con la liberazione delpensatore ma... e se invece chi doveva salvarlonon l'avesse riconosciuto? Cosa sarebbe successose Platone fosse rimasto uno schiavo?

Questo breve testo teatrale si diverte aprendere elementi storici rigorosamente reali –personaggi, libri, eventi, idee – e a giocare conessi immaginando di quali eventi sarebbe statoprotagonista Platone, lo schiavo filosofo.

In appendice una nota al testo che spiega i fattisalienti riportati e indica le fonti storiche.

~Ninja

Storia di un mitocine-letterario

~Gli eventi “caldi” degli anni Cinquanta

giapponesi spingono alcuni autori a rispolverareuna figura storica poco apprezzata, e anche pocostudiata, per trasformarla e distorcerla fino acreare un personaggio immaginario totalmenteslegato da quello storico. Il successo

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dell’operazione, dichiaratamente faziosa, esplodee in pochissimo tempo il fenomeno sfugge di manoagli stessi autori: nasce così quello che noi ancoraoggi chiamiamo ninja, del tutto alieno a ciò chenei più di mille anni precedenti è stato per lecronache storiche. Contagiando i media di USA,Cina e sud-est asiatico, e quindi anche l’Europa, ilfenomeno in pochi anni ha conquistato il mondo eancora oggi la parola “ninja” ha acquisitosignificato internazionale.

Questo saggio, assolutamente unico nel suogenere, ripercorre dati alla mano il contagiodell’idea nata fra un ristretto gruppo di scrittori edesplosa in ogni forma di comunicazione – dalla TVai fumetti, dai libri ai videogiochi, masoffermandosi in maniera particolareggiata sulcinema, grande veicolo di contagio in questo caso– sottolineando ovviamente le differenze che haassunto in ogni Paese in cui è arrivata. Per portareluce su un fenomeno ancora oggi pressoché ignotoper cui una spia ed assassino del Giapponemedievale è diventato un eroe moderno emondiale.

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Il saggio è completato da una Guida al cinemaninja internazionale, una luce nell’ombra chericopre un genere pluridecennale.

~Gynoid: a forma di donna

Duecento annidi donne artificiali

~Nel 1815 E.T.A. Hoffmann scrive di getto la

bozza di un racconto destinato a fama imperitura,in cui dà vita alla più inquietante delle donneartificiali: Olympia, la bambola di legno che irridechi ancora non ha capito che il Romanticismo èfinito e siamo tutti nell’Era della Macchina. Dopocento anni Thea Von Harbou crea la sua Mariameccanica proprio mentre l’invenzione dellacatena di montaggio sta trasformando gli uomini inrobot, e da allora le Donne Artificiali sono statepiegate ad ogni tipo di preconcetto maschile, neltentativo di neutralizzare la loro potenza.

Bambole, manichini, ballerine, robot, mogli,amanti, assassine... Molti i ruoli assunti dalleginoidi, esseri “a forma di donna” creati dagli

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uomini per dare sfogo alla propria contortacreatività: ecco un breve viaggio... che duraduecento anni.

~21 grammi

L’insostenibile (e fumosa)leggerezza dell’anima

~21 grammi è una famosa misura dell’“anima”

umana: leggenda vuole che quando una personamuore il suo corpo, subito dopo l’ultimo respiro,si alleggerisce di 21 grammi. Il peso dell’animache abbandona il corpo. Ecco la storia delnebuloso esperimento che ha portato a questorisultato e dei vari millenni di cultura umana in cuiè esistita un’idea di “pesatura spirituale”: peccatoche a seconda delle culture... il peso cambia.L’unica costante è una operazione matematica:togliete ciò che resta a quel che era ed avrete ciòche manca. Peccato però che i risultati sianosempre diversi...

~Da Samarra a Samarcanda

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La storia della Morte inevitabilenella sua versione corretta e ampliata

~La storia la conosciamo tutti. Un uomo si

accorge che la Morte lo sta fissando con occhicattivi e chiede un cavallo veloce per sfuggirle;cavalca tutta la notte per arrivare in un luogolontano, solo per scoprire che la Nera Signora eraproprio lì che lo aspettava. È una storia molto notae tutti hanno la convinzione sia di origine persianao araba, comunque mediorientale: la verità è chetutti hanno sentito questo racconto citato da unoccidentale, non da un mediorientale. E se la storiadella Morte inevitabile fosse molto più europea emoderna di quanto pensiamo?

~Mangiare libri

La più antica forma di lettura~

Dopo aver dato un rotolo scritto ad Ezechiele,l’ordine di Dio è inequivocabile: mangialo! Sindall’antichità è esistito un rapporto strettissimo traleggere un testo e divorarlo (non solo

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metaforicamente), e tracce di quest’idea siritrovano nei punti più disparati e impensabili:ecco un piccolo viaggio biblo-gastronomico allaricerca di uno dei personaggi più influenti e menostudiati del mondo letterario: il mangialibri.

~L’apprendista stregone

(La Parola Creatrice parlata)Viaggio fra le varie versioni

di una storia antica~

Siamo noi che creiamo le parole o sonopiuttosto le parole a creare il mondo che cicirconda? La nostra cultura è nata dalle parole che,pronunciate a voce alta, hanno creato oggetti econcetti che sopravvivono tutt’oggi, come peresempio la celebre storia dell’ApprendistaStregone: nata duemila anni fa e più viva che mai.

Ecco un viaggio nelle varie versioni di unastessa storia, sul sentiero tracciato dalla parolacreatrice.

~Geremia, il Golem e Ruby Sparks

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(La Parola Creatrice scritta)Un viaggio dal dito di Dio

al Word Processor degli Dei~

N e L’apprendista stregione abbiamoconosciuto la Parola Creatrice nella sua accezioneorale, ma nella storia occidentale un grande pesoha avuto ad un certo punto anche quella scritta.Sebbene i grandi profeti e maestri di pensiero nonl’abbiano amata, la parola scritta ha in brevetempo conquistato l’immaginario collettivoandando a scalzare il predominio di quella orale.Partiamo dunque per un viaggio dal dito di Dio...fino al Word Processor degli dei.

~Dieci contro mille

Il grande cinema di assedio~

Esiste un genere particolare di film, nato quasicento anni fa, che si potrebbe chiamare tanto“d’assedio” quanto “di barricate”, ed indica unastoria che veda alcuni personaggi costretti in unsingolo luogo da un nemico che li circonda: le

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storie di questo genere non si focalizzano sulnemico esterno bensì sui problemi interni algruppo di protagonisti. Questi infatti si ritrovanoimpegnati non già a resistere agli attacchi delnemico esterno, bensì a fronteggiare il nemicointerno: problemi di razza, religione, politica,estrazione sociale e mille altre questioni, unite allapaura e alla convivenza forzata, creano unasituazione esplosiva.

Ecco un viaggio fra i migliori film cheaffrontano l’argomento.

~La Falsa Novella

Viaggio tra i falsi vangeliinventati dai romanzieri

~Falsi profeti dotati di falsi vangeli sono esistiti

da sempre, in ogni dove, ma nella metà delNovecento la riscoperta di antichissimi vangeliritenuti apocrifi (nonché persi per sempre) hainfiammato la fantasia degli scrittori più disparati,che hanno cominciato ad inventare storie daromanzo con protagonisti vangeli inventati. È uno

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stratagemma che ha permesso agli autori distuzzicare tanto la curiosità dei lettori quanto lapazienza della Chiesa, magari togliendosi anchequalche soddisfazione personale.

Ecco un viaggio fra questi vangeli palesementeinventati che fanno il verso a quelli verissimi masemplicemente non riconosciuti dalla Chiesa. Nonsempre le intenzioni sono meramente letterarie, equesto renderà il viaggio più interessante.

~Tradurre l’incubo

Da Shakespeare a Goethe~

C’è stato un momento ben preciso, a metàOttocento, in cui gli italiani si ritrovarono a dovertradurre il termine “nightmare”, scoprendo chequel termine antico era poco chiaro anche agliinglesi. Inizia dunque un viaggio alle radicidell’incubo per scoprire cosa esso sia veramente...e come si possa tradurlo nella nostra lingua.

~Lupin contro Holmes

Le origini del personaggio

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che osò farsi beffe di Sherlock Holmes,facendo infuriare Conan Doyle ma dando vita al

noir francese~

«Perché non provi a scrivere un racconto sulgenere di Sherlock Holmes?» Questa propostaindecente dell'editore Pierre Lafitte al giovaneMaurice Leblanc dà vita al personaggio di ArsèneLupin, nato sulle pagine della rivista “Je sais tout”il 15 luglio 1905.

Quello che all'inizio è una divertita parodia diHolmes, si attira ben presto le ire di Arthur ConanDoyle quando il suo segugio si ritrova nelle storiedi Leblanc e nasce così una doppia sfida: ConanDoyle diffida Leblanc ad utilizzare ancoraSherlock Holmes nelle sue storie... e Lupin inpersona sfida il segugio inglese a batterlo.

Ecco la storia di uno scontro letterario epico.~

Spaghetti MarzialiQuando gli italiani inventarono

il kung fu western~

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In un breve lasso di tempo, agli inizi degli anniSettanta, registi e produttori italiani decisero dimettere in atto qualcosa di completamente inedito:utilizzare attori e tematiche cinesi, un argomentomolto “caldo” dell’epoca, e fonderli con i piùclassici schemi del genere western, anch’esso digrande attualità.

Qualcuno chiama il genere “soja western”, mavisto che si parla di un prodotto completamenteitaliano che fondeva l’autorevole spaghettiwestern con la passione per i film marziali asiatici(dai samurai giapponesi al kung fu di Hong Kong),ho ribattezzato il genere spaghetti marziali.

Ecco un viaggio inedito in un genere troppopoco noto al grande pubblico.

~Vergine, Violenza, Vendetta

(I Libri del Zinefilo 1)Una storia di vendetta

dal Medioevo al Duemila~

Le figlie di Pehr Tyrsson si svegliarono tardi,quella domenica lontana nel tempo, e si sbrigarono

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ad andare a messa: purtroppo non arrivarono mai.Dei briganti le aggredirono e le uccisero, per poivendere i loro vestiti ad una famiglia... senzasapere che era proprio quella di Pehr Tyrsson. Lavendetta del padre fu spietata e nel punto dove èstato versato il sangue delle fanciulle è sorta unachiesa attiva ancora oggi.

Nel corso dei secoli questa leggenda svedeseha mutato forma ed è servita di ispirazione aballate, poemi ma soprattutto come base per uncelebre film di Ingmar Bergman: La fontana dellavergine. Ricopiando la sceneggiatura da Bergman,altri quattro film racconteranno la stessa storia diorigine medievale: una storia di Vergine, Violenzae Vendetta.

~La partita della morte(I Libri del Zinefilo 2)

Tre sfide di calcio contro i nazistiin fuga per il plagio

~Kiev, domenica 9 agosto 1942: nel cuore della

Seconda guerra mondiale. La squadra di calcio

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Flakelf (composta da tedeschi ed ungheresi) deverifarsi della cocente sconfitta di tre giorni primacon la squadra locale Start (composta in gran parteda giocatori provenienti dall’associazione DynamoKiev). Lo stadio è aperto anche al pubblicoucraino in occasione dell’anniversario della sua“liberazione dai bolscevichi”. Davanti a loro, ipropri giocatori si battono da paladini dell’UnioneSovietica e sconfiggono i nazisti invasori per 5 a3, malgrado le molte minacce di cui sono stati fattioggetto. Pochi giorni dopo i giocatori della Start siritrovano accusati di vari reati e, in breve tempo,sono tutti fucilati: il 6 dicembre 1942 il quotidiano“Izvestiia” chiama quella partita «La partita dellamorte».

Questa storia infiamma tutta l’Unione Sovieticaper i successivi cinquant’anni, pompata edampliata a dovere, fino a diventare un filmsovietico, un film ungherese e un plagioamericano. Nel 1992 un’indagine giornalisticaridimensionerà drasticamente le vicende,scoprendo che i giocatori del 1942 non sonoaffatto morti come vuole la storia, ma ormai i film

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sono molto più importanti della verità: rimarràimmortale la leggenda della Partita della Morte,che qui viene raccontata in modo completo per laprima volta in italiano.

~Per un pugno di piombo e sangue

(I Libri del Zinefilo 3)Un romanzo, un film, un plagio

un remake e copie varie~

Nel novembre 1927 inizia la lunga vita di unastoria d’effetto e destinata a grande scalpore: lacelebre rivista “Black Mask” inizia a presentareun romanzo di Dashiell Hammett che sarà dacontesa ispirazione di più opere future. Una storiacomplessa di criminalità con protagonista ilcelebre eroe senza nome dell’autore, che se neinventa uno ogni volta che qualcuno gli chiede diqualificarsi. Sarà lui ad operare una variopinta econtorta giustizia in città e, tra i vari sistemi cheadopererà, ce n’è uno che ha riscosso grandeinteresse: usare l’odio di due famiglie rivali perfarle scannare a vicenda.

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Un elemento secondario del romanzo diHammett diventa protagonista assoluto di film chesolo in seguito hanno dichiarato una fantomaticaparentela con Piombo e sangue, per mascherareinvece un semplicissimo scopiazzamento. La storiainfatti ha visto plagi e remake, strizzate d’occhio econtaminazioni: ecco un viaggio in questo contortomondo.

~Mistero Shakespeare

Analisi ineditadi un mistero inestricabile

~William Shakespeare è probabilmente il più

noto autore di lingua inglese mai esistito, quindinessuno biografo serio si azzarderebbe a fare unadomanda all’apparenza semplice: quali proveconcrete abbiamo che un drammaturgo di nomeShakespeare sia realmente esistito? La rispostanon è rassicurante: a dispetto della grande famadel personaggio, le prove della sua reale esistenzasono pochissime e molto nebulose.

Questo saggio non darà risposte su questioni su

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cui è impossibile darne: si prefigge solamente dioffrire una panoramica quanto più “inedita” dellaquestione shakespeariana, cioè studiandolaattraverso quello specchio deformante che spessodice il vero, percorrendo quel territorio cheraramente viene preso in considerazione: laletteratura, la più vera delle menzogne.

In appendice, un’intervista con JohnUnderwood – pseudonimo di Gene Ayres edautore del controverso Il libro segreto diShakespeare – e l’imperdibile saggio L’uomo chefu Shakespeare di Chiara Prezzavento, bloggerintrigante oltre che grande appassionata dellanarrativa che circonda il Mistero Shakespeare, chenon solo ci fornisce delle indispensabilicoordinate per capire il mondo elisabettianodell’epoca, ma ci guida anche in una panoramicafrizzante e precisa sulla narrativa che si occupadell’argomento: visto che si tratta di romanziinediti in Italia, è un’occasione imperdibile.