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Strumenti per il recupero 1 volume A sezione 1 unità 2 Natalia Ginzburg IL MIO MESTIERE Le piccole virtù, 1962 Natalia Ginzburg, una grande scrittrice italiana del Novecento scomparsa nel 1991, autrice di romanzi e di racconti, continuò a scrivere per tutta la vita, una vita intensa e impegnata sul piano intellettuale e civile. In questa pagina parla del suo «mestiere» di scrittrice e ricorda i suoi primi tentativi di dedicarsi alla scrittura. Il mio mestiere è scrivere delle storie, cose inventate o cose che ricordo della mia vita ma comunque storie, cose dove non c’entra la cultura ma sol- tanto la memoria e la fantasia. Questo è il mio mestiere, e io lo farò fino alla morte. Sono molto contenta di questo mestiere e non lo cambierei per niente al mondo. Ho capito che era il mio mestiere molto tempo fa. Tra i cinque e i dieci anni ne dubitavo ancora, e un po’ mi immaginavo di poter dipingere, un po’ di conquistare dei paesi a cavallo e un po’ d’inventare delle nuove mac- chine molto importanti. Ma dopo i dieci anni l’ho saputo sempre, e mi sono arrabattata 1 come potevo con romanzi e poesie. Ho ancora quelle poesie. Le prime sono goffe 2 e coi versi sbagliati, ma abbastanza divertenti: e invece a mano a mano che passava il tempo facevo delle poesie sempre meno goffe ma sempre più noiose e idiote. […] Però non pensavo mai che avrei scritto poesie tutta la vita, volevo scrivere dei romanzi presto o tardi. Ne ho scritti tre o quattro in quegli anni. Ce n’era uno intitolato Marion o la zingarella, e un altro intitolato Molly e Dolly (umo- ristico e poliziesco) e un altro intitolato Una donna e poi uno molto lungo e complicato, con storie terribili di ragazze rapite e di carrozze 3 , avevo perfino paura a scriverlo quando ero sola in casa: non mi ricordo niente, mi ricordo soltanto che c’era una frase che mi piaceva moltissimo e mi son venute le la- grime agli occhi quando l’ho scritta: «Egli disse: ah! parte Isabella.» Ma dei miei romanzi non ero tanto sicura come delle poesie. Rileggendoli ci scoprivo sempre un lato debole 4 , qualcosa di sbagliato che sciupava tutto e che mi era impossibile modificare. […] La prima cosa seria che ho scritto è stato un racconto. Un racconto breve, di cinque o sei pagine: m’è venuto fuori come per miracolo, in una sera, e quando poi sono andata a dormire ero stanca, stordita e stupefatta 5 . Avevo l’impressione che fosse una cosa seria, la prima che avessi mai fatto: le poesie e i romanzi con le ragazze e le carrozze mi parevano a un tratto molto lontani, in un’epoca scomparsa 10 20 1.    arrabattata: arrangiata. 2.    goffe: impacciate e un po’ ridicole. 3.    Ce n’era uno… ragazze rapite e di carrozze: la scrittrice ricorda che i suoi primi racconti erano storie d’avventura e d’amore ambienta- te nel passato e lontane dalla vita reale, tipiche della narrativa di evasione della prima metà del Novecento. 4.    un lato debole: qualcosa che non andava. 5.    stordita e stupefatta: colpita, quasi intontita, e stupita. VERIFICA PER IL RECUPERO NARRATIVA 1.2.R .................................................... .................................................... ....................... ............................... cognome nome classe data

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Strumenti per il recupero 1 volume A sezione 1 unità 2

Natalia Ginzburg

IL MIO MESTIERELe piccole virtù, 1962

Natalia Ginzburg, una grande scrittrice italiana del Novecento scomparsa nel 1991, autrice di romanzi e di racconti, continuò a scrivere per tutta la vita, una vita intensa e impegnata sul piano intellettuale e civile. In questa pagina parla del suo «mestiere» di scrittrice e ricorda i suoi primi tentativi di dedicarsi alla scrittura.

Il mio mestiere è scrivere delle storie, cose inventate o cose che ricordo della mia vita ma comunque storie, cose dove non c’entra la cultura ma sol-tanto la memoria e la fantasia. Questo è il mio mestiere, e io lo farò fino alla morte. Sono molto contenta di questo mestiere e non lo cambierei per niente al mondo. Ho capito che era il mio mestiere molto tempo fa. Tra i cinque e i dieci anni ne dubitavo ancora, e un po’ mi immaginavo di poter dipingere, un po’ di conquistare dei paesi a cavallo e un po’ d’inventare delle nuove mac-chine molto importanti. Ma dopo i dieci anni l’ho saputo sempre, e mi sono arrabattata1 come potevo con romanzi e poesie. Ho ancora quelle poesie. Le prime sono goffe2 e coi versi sbagliati, ma abbastanza divertenti: e invece a mano a mano che passava il tempo facevo delle poesie sempre meno goffe ma sempre più noiose e idiote. […]

Però non pensavo mai che avrei scritto poesie tutta la vita, volevo scrivere dei romanzi presto o tardi. Ne ho scritti tre o quattro in quegli anni. Ce n’era uno intitolato Marion o la zingarella, e un altro intitolato Molly e Dolly (umo-ristico e poliziesco) e un altro intitolato Una donna e poi uno molto lungo e complicato, con storie terribili di ragazze rapite e di carrozze3, avevo perfino paura a scriverlo quando ero sola in casa: non mi ricordo niente, mi ricordo soltanto che c’era una frase che mi piaceva moltissimo e mi son venute le la-grime agli occhi quando l’ho scritta: «Egli disse: ah! parte Isabella.» Ma dei miei romanzi non ero tanto sicura come delle poesie.

Rileggendoli ci scoprivo sempre un lato debole4, qualcosa di sbagliato che sciupava tutto e che mi era impossibile modificare. […] La prima cosa seria che ho scritto è stato un racconto. Un racconto breve, di cinque o sei pagine: m’è venuto fuori come per miracolo, in una sera, e quando poi sono andata a dormire ero stanca, stordita e stupefatta5. Avevo l’impressione che fosse una cosa seria, la prima che avessi mai fatto: le poesie e i romanzi con le ragazze e le carrozze mi parevano a un tratto molto lontani, in un’epoca scomparsa

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1.   arrabattata: arrangiata.2.   goffe: impacciate e un po’ ridicole.3.   Ce n’era uno… ragazze rapite e di carrozze:

la scrittrice ricorda che i suoi primi racconti erano storie d’avventura e d’amore ambienta-te nel passato e lontane dalla vita reale, tipiche

della narrativa di evasione della prima metà del Novecento.

4.   un lato debole: qualcosa che non andava.5.   stordita e stupefatta: colpita, quasi intontita,

e stupita.

verifica Per iL recUPerO narrativa 1.2.r

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Strumenti per il recupero 2 volume A sezione 1 unità 2

per sempre, creature ingenue e ridicole di un’altra età. Quel racconto mi sem-brava bello da qualunque parte io lo guardavo: non c’era nessuno sbaglio: tutto succedeva a tempo, nel momento giusto. Adesso mi sembrava che avrei potuto scrivere milioni di racconti.

N. Ginzburg, Le piccole virtù, Einaudi, Torino 1979

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verificare le competenze

analizzare e comprendere

1. �Natalia�Ginzburg�afferma�che�«il�suo�mestiere»�è�scrivere�delle�storie:�si�tratta�di�storie�di�invenzione�o�di�storie�tratte�dalla�realtà?

2. Come�vive�la�Ginzburg�il�proprio�«mestiere»�di�scrittrice?

3. Da�che�cosa�nascono�le�storie,�secondo�la�scrittrice?

4. In�quale�momento�della�sua�vita�la�Ginzburg�si�rese�conto�di�voler�scrivere?

•� Che�cosa,�in�particolare,�voleva�scrivere?

5.�Che�cosa�ricorda�di�avere�provato�la�Ginzburg�dopo�aver�scritto�il�suo�primo�racconto�vero?

riflettere

6.�Con�quale�stato�d’animo�la�Ginzburg�ricorda�in�questa�pagina�le�sue�prime�esperienze�con�la�scrittura?

7.� Che�tipo�di�bambina�era�Natalia�Ginzburg?�Indica�due�opzioni.� timida� creativa� ribelle� fantasiosa� triste� annoiata

8.�La�scrittrice�afferma�che�nelle�storie�che�scrive�non c’entra la cultura.�Che�cosa�intende�dire?

� La�cultura�per�lei�non�è�importante

� Per�uno�scrittore�la�cultura�non�conta

� Per�scrivere�storie�la�preparazione�culturale�non�è�la�cosa�più�importante

� Per�gli�scrittori�contano�solo�l’immaginazione�e�la�capacità�di�inventare

Scrivere

9.�Scrivi�un�testo�espositivo�di�almeno�100�parole�dal�titolo:�«Il “mestiere” di inventare storie».

Strumenti per il recupero 3 volume A sezione 1 unità 3

GLI ANTICHI ROMANI AMMETTEvANO IL dIvORzIO?«Storica. National Geographic», marzo 2009

Il testo è inserito nella rubrica «I quesiti dei lettori» di una rivista divulgativa di storia.È un testo espositivo; infatti non si limita a dare una semplice risposta affermativa alla domanda, ma spiega con una serie di informazioni e con esempi la procedura per divorziare e le cause dell’alto numero di divorzi nell’antica Roma.Il testo è semplice, sia per le informazioni scelte sia per il linguaggio usato. È quindi adatto a un lettore curioso o appassionato di storia antica, che non necessariamente è un esperto in materia.

Risposte dalla storia - A cura della redazioneIl divorzio fu introdotto nell’antica Roma intorno al II secolo a.C. A diffe-

renza di quanto avviene oggi, era molto facile da ottenere. Era sufficiente la dichiarazione della coppia, rilasciata davanti a sette testimoni, di non voler più continuare a vivere insieme. Non era necessario esibire prove, per esem-pio di maltrattamenti o adulterii1. La sposa riceveva indietro l’intera dote2 e tornava sotto la patria potestas, la protezione paterna. Se prima del ma-trimonio era invece una donna libera, tornava libera. I divorzi erano molto frequenti, non solo per questo motivo, ma anche perché i matrimoni erano spesso combinati3 dalle famiglie quando le donne erano ancora giovanissi-me. L’età legale4 per il matrimonio era di 12 anni, e la maggior parte delle ra-gazze prendeva marito a circa 14 anni. È esemplare il caso di Tullia (c. 79-45 a.C.), la figlia di Cicerone5. Si sposò a 16 anni, rimase vedova a 22, si risposò a 23, divorziò a 28, si sposò nuovamente a 29, divorziò ancora una volta a 33 e mori di parto all’età di 34 anni.

«Storica. National Geographic», marzo 2009

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1.   adulterii: l’adulterio è la violazione dell’obbli-go di fedeltà nell’ambito del matrimonio. In Italia fino al 1968/69 era considerato un reato.

2.   dote: insieme di beni dati dai genitori alla fi-glia al momento del matrimonio.

3.   combinati: concordati.4.   legale: consentita dalla legge.5.   Cicerone: intellettuale, scrittore e uomo po-

litico vissuto nell’antica Roma (106-43 a.C.).

verifica Per iL recUPerO narrativa 1.3.r

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Strumenti per il recupero 4 volume A sezione 1 unità 3

verificare le competenze

comprendere

1.� Perché�nell’antica�Roma�era�facile�ottenere�il�divorzio?

•� Quale�è�la�differenza�più�evidente�rispetto�alla�procedura�attuale?

2.�Elenca�i�motivi�per�cui�i�divorzi�erano�frequenti.

3.�Analizza�il�lessico:�è�denotativo�o�connotativo?•� Ci�sono�parole�di�sottocodice?•� Quante�parole�di�quelle�spiegate�nelle�note�conoscevi�già?

riflettere

4.�Nel�testo�sono�presenti�due�esempi.�Ritieni�che�siano�utili�per�spiegare�i�fatti�ai�quali�si�riferiscono?•� Pensi�che�siano�indispensabili�o�che�possano�essere�tolti?

5.�Ti�sembra�che�il�testo�risponda�in�modo�esauriente�alla�domanda�posta?

6.�Quali�informazioni�sulla�condizione�femminile�a�Roma�è�possibile�ricavare�dal�testo?

Scrivere

7.� �Scrivi�un�breve�testo�espositivo,�massimo�100�parole,�spiegando�i�motivi�per�cui�nell’antica�Romail�divorzio�era�frequente�e�facile�da�ottenere.

Strumenti per il recupero 5 volume A sezione 2 unità 1

Raphael Aloysius Lafferty

vELOCITà dI LETTURAL’istruzione elementare dei Camiroi, 1966

Un racconto di fantascienza invita a riflettere in modo insolito su come si possa imparare a leggere meglio. Cinque scienziati terre stri, durante un’inchiesta indagine sul sistema di istruzione elementare in vigore nel pianeta dei Camiroi, scoprono che quanto viene insegnato ai bambini di quel mondo ci può dare da pensare.

INTERvISTE CASUALI1:«Qual è la tua velocità di lettura?» chiese la signorina Hanks ad una bam-

binetta.«Centoventi parole al minuto» rispose lei.«Sulla Terra alcune delle nostre studentesse sono capaci di leggere a un rit-

mo di cinquecento parole al minuto» disse con orgoglio la signorina Hanks.«All’inizio del corso di lettura disciplinata leggevo al ritmo di quattromi-

la parole al minuto» spiegò la bimba. «Hanno dovuto faticare non poco per correggermi. Mi è toccato fare gli esami di riparazione, e i miei genitori mori-vano di vergogna. Ma adesso ho imparato a leggere con sufficiente lentezza.»

«Non capisco» disse la signorina Hanks.«dove sono i loro campi-gioco?» chiese la signorina Hanks a Talarium.«Oh, il mondo intero. I bambini possono scorrazzare dappertutto. Orga-

nizzare specifici campi-gioco sarebbe come allestire piccoli acquari nelle pro-fondità dell’oceano. Non avrebbe senso.»

SIMPOSIO2:Noi quattro delegati della Terra, e specificamente di dubuque (Iowa3), ci

riunimmo in dibattito coi cinque membri del C.I.G.4 Camiroi. […]«Cos’è quella faccenda della lettura lenta?» intervenne la signorina Hanks:

«Non sono assolutamente in grado di capire.»«Le spiegherò con un esempio: solo qualche giorno fa c’era un bambino di

terza che si ostinava nella lettura rapida» disse Philoxenus5. «Bene, gli venne impartita una lezione oggettiva: vale a dire, gli diedero un libro di media difficoltà, col compito di leggerlo. Il soggetto lo lesse con l’abituale rapidità. Poi doveva rimetter via il libro e ripetere ciò che aveva letto. Lo sapete che nelle prime trenta pagine ha saltato ben quattro parole? Nella parte centrale del libro, poi, c’era un’intera frase che aveva capito male, e centinaia di pagine riusciva a ripeterle parola per parola solo con una certa difficoltà. Se era cosi

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1.   Interviste casuali: durante la loro inchiesta i visitatori terrestri pongono delle domande a studenti e insegnanti.

2.   simposio: convegno; è un altro momento dell’inchiesta.

3.   Iowa: uno degli Stati degli usa.4.   C.I.G.: Comitato Insegnanti Genitori.5.   Philoxenus: un abitante di Camiroi che è stato

anche presidente del pianeta per una settimana.

verifica Per iL recUPerO narrativa 2.1.r

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Strumenti per il recupero 6 volume A sezione 2 unità 1

incerto sul materiale che aveva appena letto, pensate con quale imperfezione se ne sarebbe ricordato quarant’anni dopo!»

«Intende dire che i bambini Camiroi sono addestrati ad imparare a memo-ria tutto quel che leggono?»

«Qui a Camiroi tutti quanti, bambini e adulti, ricorderanno per tutta la vita ogni dettaglio di quel che hanno letto, visto o udito. Noi Camiroi siamo solo di poco più intelligenti di voi terrestri. Non possiamo permetterci il lusso di sprecare tempo a dimenticare o ripassare, o eseguire le cose con una super-ficialità che comporta un eventuale riesame a posteriori.»

R. A. Lafferty, L’istruzione elementare dei Camiroi,trad. I. Tron, in I. Asimov (a cura di), Storie di giovani alieni,

Mondadori Superjunior, Milano 1998 (riduzione)

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verificare le competenze

analizzare e comprendere

1.� Che�cosa�devono�imparare�i�bambini�Camiroi�per�quanto�riguarda�la�lettura?

•� Quali�sono�gli�errori�compiuti�dai�piccoli�studenti�Camiroi�che�vengono�citati�da�Philoxenus?

•� Qual�è�la�causa�di�tali�errori?

2.�Qual�è�lo�scopo�del�particolare�addestramento�alla�lettura�dei�Camiroi?

3.� �Quale�approccio�alla�lettura�e�all’insegnamento�della�lettura�è�implicitamente�criticato�dall’autore�di�que­sto�racconto?

4.�Sottolinea�nel�testo�le�parole�che�evidenziano�l’importanza�di�una�lettura�efficace.

5.� �Scrivi�un�testo�espositivo�di�circa�150�parole�che�ricolleghi�l’analisi�di�questo�brano�ai�contenuti�che�hai�imparato�in�questa�Unità�a�proposito�del�lavoro�del�lettore�e�del�modo�in�cui,�con�una�lettura�attenta,�un�lettore�può�conoscere�il�mondo�di�uno�scrittore,�degli�scrittori.

Strumenti per il recupero 7 volume A sezione 2 unità 3

Melania Mazzucco

vITA Vita, 2003

Leggi il seguente brano tratto dal romanzo Vita, di Melania Mazzucco, che rievoca la storia di un gruppo di emigranti italiani nell’America dei primi anni del Novecento. Vita e Diamante sono due bambini che si trovano in una New York sconosciuta e totalmente diversa da Tufo di Minturno, il paesino in provincia di Caserta dal quale provengono.Fai attenzione alla dimensione temporale del testo e rispondi alle domande.

Camminavano rasentando i muri, per passare inosservati. Ma non passa-vano inosservati sulla Broadway alla Trentaquattresima strada1 un ragazzino con un abito di cotone liso, un berretto e la federa di un cuscino a righe sulla spalla, e una bambina scalza coi capelli neri e un vestito a fiori più lurido del marciapiede. Ormai si trascinavano. Avevano i piedi in fiamme, e la città non finiva mai. A tratti si interrompeva – per un po’ costeggiavano un prato, o l’ennesima voragine, dove operai stavano costruendo le fondamenta di un pa-lazzo – ma poi ricominciava, più imponente, bella e lussuosa di prima. Erano già le cinque del pomeriggio. vita incollò il naso alla vetrina di un negozio. In verità non era un negozio. Alto sei piani, lungo trecento metri, immenso, occupava un intero isolato. Nella vetrina, il manichino di una donna slanciata, sportiva, ostentava un braccio nudo: la sua mano impugnava un attrezzo enig-matico2, simile a una racchetta da neve. La donna sorrideva. Era una donna finta, ma tutte le donne qui – anche quelle vere – sembravano finte. Non erano vestite di nero. Non portavano la tovaglia in testa. Né il corpetto ricamato né le sottane. Erano altissime, magrissime, biondissime. Avevano sorrisi radio-si – come la donna del cartellone, al cimitero – denti bianchi, fianchi stretti, piedi grandi. vita non aveva mai visto donne simili, ed era affascinata. Forse al sole di questa città, anche lei sarebbe diventata così – da grande.

dobbiamo andarcene – disse diamante, tirandola per un lembo del vesti-to. Ci guardano tutti storto. […]

– Che ce ne importa? rispose vita, estasiata davanti al manichino. Chi nun ce po’ vede’ gli occhi se cava. Eppure tutti li guardavano come se avessero appena rubato una gallina. E già verso di loro veniva un poliziotto. Il man-ganello gli sbatteva contro la coscia. «Hey, kids!» Il poliziotto era giallo di capelli, con la pelle bianca come la carne della sogliola. «Hey, come here!» diamante e vita non avevano simpatia per le guardie. Non portavano mai buone notizie. Quando, tutte impennacchiate, le autorità – fossero guardie, carabinieri, sindaci, politici o borghesi di Minturno – si azzardavano a venire verso il paese, i ragazzini di Tufo li bersagliavano di sassate. Per dimostrare la loro profonda simpatia. vita spinse la porta e se lo tirò dietro. Passarono sotto un arco con la scritta MACY’S3 ed entrarono nel regno della luce.

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1.   sulla Broadway alla Trentaquattresima: incrocio nel centro di New York, lontano dalla zona in cui abitavano gli immigrati.

2.   attrezzo enigmatico: è una racchetta da tennis, oggetto mi-sterioso per la bambina.

3.   MACY’S: i celebri grandi magazzini di New York, fondati nel 1858.

verifica Per iL recUPerO narrativa 2.3.r

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Strumenti per il recupero 8 volume A sezione 2 unità 3

4.   Presa d’Africa… Menelik: le recite scolastiche celebravano la prima guerra coloniale italiana: nel 1895 il Regno d’Italia at-taccò l’Eritrea, territorio dell’Impero d’Etiopia, su cui regna-va il negus, cioè il re-imperatore Menelik. Nell’ottobre 1896

si giunse alla firma del trattato di pace di Addis Abeba, con cui il negus riconosceva la sovranità italiana sull’Eritrea, ma in cambio il governo italiano rinunciava a qualsiasi ingerenza nella politica dell’Impero etiope.

vita non aveva mai visto un luogo simile, né lo avrebbe visto negli anni successivi. Non avrebbe più varcato il confine di Houston Street. Ma quel po-meriggio rimase indelebile nella sua memoria – con la vivida immediatezza di un sogno. Fu una visita rapida, accelerata – tutto durò non più di tre minu-ti. Non aveva il tempo di fermarsi da nessuna parte, diamante la trascinava di qua e di là, e poi si misero a correre, perché anche il poliziotto era entrato nel grande magazzino, aveva portato un fischietto alle labbra, li inseguiva e dei commessi biondi larghi come armadi avanzavano minacciosi da tutte le dire-zioni. Attraversarono correndo un locale più vasto di una cattedrale, eppure anche correndo lei non poteva non vedere le piramidi di cappelli e guanti, le montagne di sciarpe e foulard colorati, i mucchi di forcine e pettini di tarta-ruga, le calze di seta e di cotone bianco – e tutto era bello, di una bellezza me-ravigliosa e accattivante, e diamante correva, vita inciampava, il poliziotto urlava: «Stop those kids!» tutti si voltavano a guardarli – finché si infilarono in una stanza con le pareti trasparenti. Era una trappola, perché un uomo in divisa, che piantonava una bottoniera d’ottone, premette un pulsante e le porte si chiusero, imprigionandoli. Eppure quell’uomo non era un poliziotto: solo un negro ossuto e lucido di sudore che, impercettibilmente, sorrise.

diamante non aveva mai visto un uomo con la pelle così scura: solo nelle recite per la Presa d’Africa del 1896, che tutti gli anni si replicava a Porta-nuova – ma in quel caso i soldati dell’esercito di Menelik4 erano neri perché truccati col catrame e in realtà erano scolari di Minturno, bianchi come lui. Alcuni negri veri li aveva visti nelle vignette degli almanacchi popolari, dove però portavano un osso fra i capelli e scodelle nelle labbra e non una divisa con i bottoni d’oro. Erano selvaggi e cannibali, mentre quest’uomo elegantis-simo e impeccabile pareva importante.

M. Mazzucco, Vita, Rizzoli, Milano 2003

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verificare le competenze

analizzare e comprendere 1. Qual�è�il�fatto�narrato?

•� Qual�è�la�sua�durata?

2. Quali�sono�i�due�riferimenti�al�passato�presenti�nel�testo?

3. �Come�si�chiama�la�tecnica�narrativa�con�cui�il�narratore�introduce�nella�storia�fatti�che�appartengono�a�un�tempo�anteriore�a�quello�dei�fatti�narrati?

4. Individua�e�indica�la�breve�anticipazione�presente�nel�brano.

riflettere5. �La�rievocazione�di�momenti�del�passato�vissuto�nel�paesino�campano�si�intreccia�alla�narrazione�di�quello�

che�avviene�a�Vita�e�Diamante�nelle�strade�di�New�York:�quale�effetto�ha�ottenuto�l’autrice�con�questa�rappresentazione�del�tempo�e�dei�fatti?

Scrivere 6.� �Scrivi�un�testo�espositivo�di�circa�150�parole�dal�titolo:�«Passato e presente nella mente di Vita e Diaman-

te, due bambini italiani, immigrati nella New York del 1903».

Strumenti per il recupero 9 volume A sezione 2 unità 4

Leonardo Sciascia

OMICIdIO ALLA FERMATAIl giorno della civetta, 1961

Il brano costituisce l’inizio del romanzo Il giorno della civetta, uno dei romanzi più famosi di Leonardo Sciascia, da cui il regista Damiano Damiani ha tratto un film (1968). La storia prende le mosse da un omicidio, avvenuto in un paesino vicino Siracusa ed è l’occasione per una denuncia contro la mafia, nei cui confronti lo scrittore si batté tutta la vita, e contro le protezioni, anche politiche, di cui essa si è sempre giovata.Un uomo è ucciso alla fermata dell’autobus: il capitano dei carabinieri si trova sin dalle prime battute dell’indagine a dover combattere contro l’omertà dei cittadini.La scrittura di Sciascia è asciutta e lineare, quasi volesse contrapporsi all’oscuro intreccio della vicenda, la cui soluzione appare difficile se non impossibile.

L’autobus stava per partire, rombava sordo con improvvisi raschi e singulti. La piazza era silenziosa nel grigio dell’alba, sfilacce di nebbia ai campanili della Ma-trice1: solo il rombo dell’autobus e la voce del venditore di panelle2, panelle calde panelle, implorante ed ironica. Il bigliettaio chiuse lo sportello, l’autobus si mosse con un rumore di sfasciume. L’ultima occhiata che il bigliettaio girò sulla piaz-za, colse l’uomo vestito di scuro che veniva correndo; il bigliettaio disse all’auti-sta – un momento – e aprì lo sportello mentre l’autobus ancora si muoveva. Si sentirono due colpi squarciati: l’uomo vestito di scuro, che stava per saltare sul predellino, restò per un attimo sospeso, come tirato su per i capelli da una mano invisibile; gli cadde la cartella di mano e sulla cartella lentamente si afflosciò.

Il bigliettaio bestemmiò: la faccia gli era diventata colore di zolfo, trema-va. Il venditore di panelle, che era a tre metri dall’uomo caduto, muovendo-si come un granchio cominciò ad allontanarsi verso la porta della chiesa. Nell’autobus nessuno si mosse, l’autista era come impietrito, la destra sulla leva del freno e la sinistra sul volante. Il bigliettaio guardò tutte quelle facce che sembravano facce di ciechi, senza sguardo; disse – l’hanno ammazzato – si levò il berretto e freneticamente cominciò a passarsi la mano tra i capelli; bestemmiò ancora.

– I carabinieri – disse l’autista – bisogna chiamare i carabinieri.Si alzò ed aprì l’altro sportello – ci vado – disse al bigliettaio.Il bigliettaio guardava il morto e poi i viaggiatori. C’erano anche donne

sull’autobus, vecchie che ogni mattina portavano sacchi di tela bianca, pesan-tissimi, e ceste piene di uova; le loro vesti stingevano3 odore di trigonella, di stallatico, di legna bruciata; di solito lastimavano4 e imprecavano, ora stava-no in silenzio, le facce come dissepolte da un silenzio di secoli.

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1.   Matrice: la cattedrale; la chiesa «madre».2.   panelle: frittelle di farina di ceci.3.   stingevano: spandevano odore di stalla, di ciò

che è legato al loro lavoro in campagna; trigo-nella: fieno greco, pianta che fa parte dell’ali-mentazione del bestiame; stallatico: letame

degli animali allevati in stalla e utilizzato come concime.

4.   lastimavano: si lamentavano, piagnucolavano; è una forma dialettale, deriva dal latino volgare lastima che significa «compassione», «pietà».

verifica Per iL recUPerO narrativa 2.4.r

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cognome nome classe data

Strumenti per il recupero 10 volume A sezione 2 unità 4

5.   estro: fantasia.6.   indolenza: calma.7.   raggera: serie di linee che si dipartono da un

punto in forma circolare, come dei raggi; la forma corretta è raggiera.

8.   trascinare… ore: le chiacchiere sull’omicidio avrebbe riempito il vuoto delle ore di lavoro; il

narratore sottolinea così anche il fatto che gli operai hanno poco da fare.

  9.   schermirsi  da  un  complimento: sottrarsi a un complimento, per modestia.

10.   pretore: magistrato che si occupa di reati minori.

– Chi è? – domandò il bigliettaio indicando il morto.Nessuno rispose. Il bigliettaio bestemmiò, era un bestemmiatore di fama

tra i viaggiatori di quella autolinea, bestemmiava con estro5: già gli avevano minacciato licenziamento, ché tale era il suo vizio alla bestemmia da non far caso alla presenza di preti e monache sull’autobus. Era della provincia di Sira-cusa, in fatto di morti ammazzati aveva poca pratica: una stupida provincia, quella di Siracusa; perciò con più furore del solito bestemmiava.

vennero i carabinieri, il maresciallo nero di barba e di sonno. L’apparire dei carabinieri squillò come allarme nel letargo dei viaggiatori: e dietro al biglietta-io, dall’altro sportello che l’autista aveva lasciato aperto, cominciarono a scen-dere. In apparente indolenza6, voltandosi indietro come a cercare la distanza giusta per ammirare i campanili, si allontanavano verso i margini della piazza e, dopo un ultimo sguardo, svicolavano. di quella lenta raggera7 di fuga il ma-resciallo e i carabinieri non si accorgevano. Intorno al morto stavano ora una cinquantina di persone, gli operai di un cantiere-scuola ai quali non pareva vero di aver trovato un argomento così grosso da trascinare nell’ozio delle otto ore8. Il maresciallo ordinò ai carabinieri di fare sgombrare la piazza e di far ri-salire i viaggiatori sull’autobus: e i carabinieri cominciarono a spingere i curiosi verso le strade che intorno alla piazza si aprivano, spingevano e chiedevano ai viaggiatori di andare a riprendere il loro posto sull’autobus. Quando la piazza fu vuota, vuoto era anche l’autobus; solo l’autista e il bigliettaio restavano.

– E che – domandò il maresciallo all’autista – non viaggiava nessuno oggi?– Qualcuno c’era – rispose l’autista con faccia smemorata.– Qualcuno – disse il maresciallo – vuol dire quattro cinque sei persone:

io non ho mai visto questo autobus partire, che ci fosse un solo posto vuoto.– Non so – disse l’autista, tutto spremuto nello sforzo di ricordare – non

so: qualcuno, dico, così per dire; certo non erano cinque o sei, erano di più, forse l’autobus era pieno… Io non guardo mai la gente che c’è: mi infilo al mio posto e via… Solo la strada guardo, mi pagano per guardare la strada.

Il maresciallo si passò sulla faccia una mano stirata dai nervi. – Ho capito – disse – tu guardi solo la strada; ma tu – e si voltò inferocito verso il bigliettaio – tu stacchi i biglietti, prendi i soldi, dài il resto: conti le persone e le guardi in faccia… E se non vuoi che te ne faccia ricordare in camera di sicurezza, devi dirmi subito chi c’era sull’autobus, almeno dieci nomi devi dirmeli… da tre anni che fai questa linea, da tre anni ti vedo ogni sera al caffè Italia: il paese lo conosci meglio di me…

– Meglio di lei il paese non può conoscerlo nessuno – disse il bigliettaio sorridendo, come a schermirsi da un complimento9.

– E va bene – disse il maresciallo sogghignando – prima io e poi tu: va bene… Ma io sull’autobus non c’ero, ché ricorderei uno per uno i viaggiatori che c’erano: dunque tocca a te, almeno dieci devi nominarmeli.

– Non mi ricordo – disse il bigliettaio – sull’anima di mia madre, non mi ricordo; in questo momento di niente mi ricordo, mi pare che sto sognando.

– Ti sveglio io ti sveglio – s’infuriò il maresciallo – con un paio d’anni di galera ti sveglio… – ma s’interruppe per andare incontro al pretore10 che veniva. E mentre al pretore riferiva sulla identità del morto e la fuga dei viag-giatori, guardando l’autobus, ebbe il senso che qualcosa stesse fuori posto

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Strumenti per il recupero 11 volume A sezione 2 unità 4

11.   panellaro: venditore di panelle.

o mancasse: come quando una cosa viene improvvisamente a mancare alle nostre abitudini, una cosa che per uso o consuetudine si ferma ai nostri sensi e più non arriva alla mente, ma la sua assenza genera un piccolo vuoto smar-rimento, come una intermittenza di luce che ci esaspera: finché la cosa che cerchiamo di colpo nella mente si rapprende.

– Manca qualcosa – disse il maresciallo al carabiniere Sposito che, col di-ploma di ragioniere che aveva, era la colonna della Stazione Carabinieri di S. – manca qualcosa, o qualcuno…

– Il panellaro11 – disse il carabiniere Sposito.– Perdio: il panellaro – esultò il maresciallo, e pensò delle scuole patrie

«non lo dànno al primo venuto, il diploma di ragioniere». Un carabiniere fu mandato di corsa ad acchiappare il panellaro: sapeva

dove trovarlo, ché di solito, dopo la partenza del primo autobus, andava a vendere le panelle calde nell’atrio delle scuole elementari. dieci minuti dopo il maresciallo aveva davanti il venditore di panelle: la faccia di un uomo sor-preso nel sonno più innocente.

– C’era? – domandò il maresciallo al bigliettaio, indicando il panellaro.– C’era – disse il bigliettaio guardandosi una scarpa.– dunque – disse con paterna dolcezza il maresciallo – tu stamattina, come

al solito, sei venuto a vendere panelle qui: il primo autobus per Palermo, come al solito…

– Ho la licenza – disse il panellaro.– Lo so – disse il maresciallo alzando al cielo occhi che invocavano pazien-

za – lo so e non me ne importa della licenza; voglio sapere una cosa sola, me la dici e ti lascio subito andare a vendere le panelle ai ragazzi: chi ha sparato?

– Perché – domandò il panellaro, meravigliato e curioso – hanno sparato?L. Sciascia, Il giorno della civetta, Einaudi, Torino 1961

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verificare le competenze

analizzare e comprendere

1. Individua�e�trascrivi�in�una�scaletta�narrativa�i�fatti�che�costituiscono�l’episodio�con�cui�inizia�il�romanzo.

2. Chi�è�l’autore�e�chi�è�il�narratore�della�storia?

3. �La�focalizzazione�usata�è�zero.�Individua�tutti�gli�elementi�che�rimandano�a�questo�tipo�di�focalizzazione�e�trascrivili�in�una�tabella.

4. Individua�con�quali�tecniche�sono�riportati�parole�e�pensieri�dei�personaggi.

riflettere

5. Quale�aspetto�della�vicenda�viene�sottolineato�dal�narratore?

•� Trascrivi�parole�ed�espressioni�che�comprovano�la�tua�risposta.

Scrivere

6. �Riscrivi�le�ultime�otto�righe�del�testo,�che�riportano�il�colloquio�tra�il�maresciallo�e�il�panellaro,�utilizzando�il�discorso�indiretto.

Strumenti per il recupero 12 volume A sezione 2 unità 5

Jerome David Salinger

LA vECCHIA PHOEBEIl giovane Holden, 1951 Lingua originale inglese

Holden Caulfield è un ragazzo di sedici anni; espulso dalla scuola, ha deciso di non tornare subito a casa. Gira per New York, la città in cui vive, e decide di andare a dormire per qualche giorno in albergo; ma la solitudine si fa sentire e per combatterla pensa di telefonare alla sorellina Phoebe. La storia è narrata in prima persona dallo stesso Holden.

Mentre mi cambiavo la camicia, però, per un pelo non telefonai alla mia sorellina Phoebe. Avevo una gran voglia di parlare al telefono con lei. Una persona piena di buonsenso e via discorrendo. Ma non potevo arrischiarmi di chiamarla, perché era soltanto una ragazzina e senza dubbio non era in pie-di né tanto meno vicino al telefono. Pensai che magari potevo riattaccare se rispondevano i miei genitori, ma non avrebbe funzionato nemmeno questo. Avrebbero capito che ero io. Mia madre sa sempre che sono io. È ultrasensibi-le. Ma francamente non mi sarebbe dispiaciuto di far quattro chiacchiere con la vecchia Phoebe. dovreste vederla. Garantito che in tutta la vostra vita non avete mai visto una ragazzetta tanto carina e sveglia. È veramente sveglia. vo-glio dire, da quando va a scuola ha sempre preso tutti dieci. In realtà, io sono l’unico deficiente della famiglia. Mio fratello d.B. è uno scrittore e via discor-rendo, e mio fratello Allie, quello1 che è morto e di cui vi ho parlato, era un fenomeno. Io sono proprio l’unico deficiente. Ma dovreste vedere la vecchia Phoebe. Ha quel certo tipo di capelli rossi, un po’ come quelli di Allie, che d’estate sono cortissimi. d’estate se li tira dietro le orecchie. Ha due orecchie molto carine, piuttosto piccole. d’inverno però li porta molto lunghi. A volte mia madre le fa le trecce e a volte no. Sono proprio belli, sapete. Ha soltan-to dieci anni, Phoebe. È magra magra, come me, però magra carina. Magra come un pàttino. Una volta la guardavo dalla finestra mentre attraversava la Quinta Avenue2 per andare al parco, ed è proprio così, magra come un pàtti-no. vi piacerebbe. voglio dire che se raccontate qualcosa alla vecchia Phoebe, lei sa perfettamente di che diavolo state parlando. Potete perfino portarvela dietro dovunque, voglio dire. Se la portate a un film stupido, per esempio, lei sa che è un film stupido. Se la portate a un film decente, lei capisce che è un film decente. d.B. ed io l’abbiamo portata a quel film francese con Raimu La moglie del fornaio3. Non stava più nella pelle. La sua passione però è Il club dei trentanove4, con Robert donat. Lo sa a memoria dal principio alla fine, quel dannato film, perché ce l’ho portata almeno dieci volte. Quando il vecchio donat arriva alla fattoria dello scozzese, per esempio, mentre sta scappando

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1.   quello: Holden ha due fratelli, di cui uno, Allie, è morto di leucemia.

2.   la Quinta Avenue: strada elegante del centro di New York a Manhattan; affianca Central Park, il grande parco nel cuore della città.

3.  �La� moglie� del� fornaio: film francese di Marcel Pagnol del 1838; Raimu è lo pseudonimo di Jules Auguste Muraire, l’atto-re che nel film interpreta il personaggio del fornaio.

4.  �Il�club�dei�trentanove: film di Alfred Hitchcock del 1935, più noto con il titolo I trentanove scalini.

verifica Per iL recUPerO narrativa 2.5.r

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cognome nome classe data

Strumenti per il recupero 13 volume A sezione 2 unità 5

dagli sbirri e compagnia bella, ecco che Phoebe in pieno cinema dice forte – proprio nello stesso momento in cui lo dice nel film quel tizio scozzese – «Può mangiare l’aringa?». Sa tutto il dialogo a memoria. E quando nel film il professore, che in realtà è una spia tedesca, alza il dito mignolo per farlo vedere a Robert donat, e gli manca un pezzo della seconda falange, la vecchia Phoebe lo batte in velocità – là al buio, mi mette il suo mignolo proprio sotto il naso. È in gamba. vi piacerebbe. L’unico guaio è che certe volte è troppo affettuosa. È molto emotiva, per essere una bambina. davvero.

J. d. Salinger, Il giovane Holden, trad. A. Motti, Einaudi, Torino 1961

verificare le competenze

analizzare e comprendere

1.� Costruisci�una�tabella�a�quattro�colonne�sul�modello�di�quella�indicata.

tratti fisici tratti anagrafici e biografici

tratti comportamentali e aspetti del carattere

•� Individua�i�tratti�fisici,�anagrafici�e�biografici�e�inseriscili�nella�tabella.•� Individua�i�tratti�relativi�al�comportamento�e�indica�quali�tratti�del�carattere�di�Phoebe�rivela�ciascuno.�

Inserisci�nella�tabella�i�risultati�della�tua�analisi.

3.�Che�tipo�di�presentazione�viene�utilizzata�dal�narratore?

� Diretta,�perch�� Indiretta,�perch�

•� Si�può�dire�che�si�tratta�di�una�presentazione�«a�tutto�tondo»?

� � Sì,�perché�…� � No,�perché�…

riflettere

4.�Che�cosa�fa�di�Phoebe�una�bambina�particolare?

5.�Quali�sono�i�sentimenti�di�Holden�nei�confronti�della�sorella?

•� Perché�la�chiama�«la�vecchia�Phoebe»?

Scrivere

6.�Scrivi�un�testo�espositivo�di�100�parole�sul�seguente�argomento:�«La vecchia Phoebe, una sorella ideale».

Strumenti per il recupero 14 volume A sezione 2 unità 6

Alessandro Manzoni

IL CASTELLO dELL’INNOMINATOI promessi sposi, 1840

L’innominato è uno dei personaggi più significativi del romanzo di Manzoni: l’entrata in scena dell’uomo potente e tenebroso, che ha un ruolo centrale nella vicenda dei Promessi sposi, è preceduta dalla descri-zione della sua dimora. Isolato, temibile, tetro e a suo modo affascinante, il castello suggerisce i tratti della personalità dell’uomo potente e crudele che ci vive.

Il castello dell’innominato era a cavaliere a una valle angusta e uggiosa1, sulla cima d’un poggio che sporge in fuori da un’aspra giogaia di monti2, ed è, non si saprebbe dir bene, se congiunto ad essa o separatone, da un mucchio di massi e di dirupi, e da un andirivieni di tane e di precipizi3 che si prolungano anche dalle due parti. Quella che guarda la valle è la sola pra-ticabile; un pendìo piuttosto erto4, ma uguale e continuato; a prati in alto; nelle falde a campi, sparsi qua e là di casucce. Il fondo è un letto di ciottoloni, dove scorre un rigagnolo o torrentaccio5, secondo la stagione: allora serviva di confine ai due stati. I gioghi opposti, che formano, per dir così, l’altra parete della valle, hanno anch’essi un po’ di falda coltivata; il resto è schegge e macigni, erte ripide, senza strada e nude, meno qualche cespuglio ne’ fessi e sui ciglioni.

dall’alto del castellaccio, come l’aquila dal suo nido insanguinato, il sel-vaggio signore dominava all’intorno tutto lo spazio dove piede d’uomo potes-se posarsi, e non vedeva mai nessuno al di sopra di sé, né più in alto. dando un’occhiata in giro, scorreva tutto quel recinto, i pendìi, il fondo, le strade praticate là dentro. Quella che, a gomiti e a giravolte, saliva al terribile do-micilio, si spiegava davanti a chi guardasse di lassù, come un nastro serpeg-giante: dalle finestre, dalle feritoie6, poteva il signore contare a suo bell’agio7 i passi di chi veniva, e spianargli l’arme contro, cento volte. E anche d’una grossa compagnia, avrebbe potuto, con quella guarnigione di bravi8 che te-neva lassù, stenderne sul sentiero, o farne ruzzolare al fondo parecchi, prima che uno arrivasse a toccar la cima. del resto, non che lassù, ma neppure nella valle, e neppur di passaggio, non ardiva metter piede nessuno che non fosse

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1.   a  cavaliere a una valle angusta e uggiosa: a cavallo di una valle molto stretta e cupa, triste.

2.   poggio…  aspra  giogaia  di  monti: colle che sporge da una catena montuosa, alta e rocciosa.

3.   se  congiunto…  precipizi: il castello è situa-to in cima a un colle un po’ staccato da una cresta montuosa; in mezzo ci sono precipizi, burroni, rocce in salita e in discesa, che fisica-mente uniscono i due punti del paesaggio, ma rendono difficile passare dall’uno all’altro, e quindi li separano.

4.   erto: ripido.

5.   rigagnolo o torrentaccio: corso d’acqua irre-golare. Il peggiorativo torrentaccio rafforza il senso tenebroso dei luoghi.

6.   feritoie: strette aperture ricavate nelle mura dei castelli per permettere di osservare il ter-ritorio circostante e di lanciare o sparare pro-iettili contro eventuali assalitori.

7.   a suo bell’agio: comodamente.8.   guarnigione  di  bravi: gruppo di soldati pri-

vati al servizio del signorotto e posto a difesa del castello.

verifica Per iL recUPerO narrativa 2.6.r

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cognome nome classe data

Strumenti per il recupero 15 volume A sezione 2 unità 6

ben visto dal padrone del castello. Il birro9 poi che vi si fosse lasciato vedere, sarebbe stato trattato come una spia nemica che venga colta in un accampa-mento. Si raccontavano le storie tragiche degli ultimi che avevano voluto ten-tar l’impresa; ma eran già storie antiche; e nessuno de’ giovani si rammentava d’aver veduto nella valle uno di quella razza, né vivo, né morto.

A. Manzoni, I promessi sposi, Edizioni il capitello, Torino 2003

9.   birro: sbirro, soldato.

verificare le competenze

analizzare e comprendere

1.� Individua�gli�elementi�costitutivi�del�luogo�descritto.

•� Nella�descrizione�prevalgono�gli�elementi�naturali�o�quelli�relativi�all’edificio,�all’opera�costruita�dal­l’uomo?

•� Individua�gli�elementi�qualitativi�del�luogo�descritto.

2.�Nella�descrizione�prevalgono�gli�elementi�costitutivi�o�quelli�qualitativi?

3.� Il�narratore�indica�il�nome�del�castello�o�della�località�in�cui�esso�si�trova?

riflettere

4.�La�descrizione�è�oggettiva�o�soggettiva?�Motiva�la�risposta.

5.�Definisci�il�castello�dell’innominato�con�alcuni�aggettivi�non�presenti�nel�testo.

6.�Che�idea�dell’innominato�si�fa�il�lettore�leggendo�la�descrizione�del�castello?•� Quale�funzione�ha�la�descrizione�del�castello?

Scrivere

7.� �Scrivi�una�descrizione�oggettiva�del�castello�dell’innominato.�Ti�saranno�utili�le�risposte�che�hai�dato�agli�esercizi�1,�2,�3.

Strumenti per il recupero 16 volume A sezione 4 unità 3

verifica Per iL recUPerO narrativa 4.3.r

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cognome nome classe data

verificare le competenze

analizzare e comprendere

1.� �Individua�in�quali�dei�testi�indicati�sono�presenti�gli�elementi�elencati�nella�colonna�di�sinistra.

Le pagine bianche di suor Teodora

La posizione ideale per leggere

L’avventura di due sposi

L’avventura di uno sciatore

Partigiani Sugli alberi, ma nella società

Il�paesaggio�ligure

Aspetti�fiabeschi

I�diversi�aspetti�della�società�italiana

Il�valore�civile�della�partecipazione

I�sentimenti

Il�caos�e�l’ordine

La�lettura�e�la�scrittura

2.�Quale/quali�tra�gli�elementi�che�hai�indicato�è/sono�in�rapporto�con�la�biografia�dello�scrittore?

riflettere

3.� �Quale�dei�personaggi�inventati�da�Calvino,�fra�quelli�che�conosci,�ti�sembra�più�interessante?�Motiva�la�tua�risposta.

4.��Quale�delle�storie�che�hai�letto�fra�quelle�narrate�da�Calvino�ti�è�sembrata�più�vicina�alla�rappresentazione�della�realtà�in�cui�vivi?�Motiva�la�tua�risposta.

Scrivere

5.� �Scrivi�un�testo�espositivo�di�almeno�150�parole�su�uno�degli�aspetti�dell’opera�di�Calvino�che�hai�individua­to.�Dai�un�titolo�al�tuo�testo.