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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PARMA FACOLTÀ DI PSICOLOGIA CORSO DI LAUREA IN PSICOLOGIA FLUENZA SEMANTICA ED INTEGRAZIONE DEGLI ALUNNI STRANIERI: L’APPLICAZIONE DELLE NUOVE TECNOLOGIE. Relatore: Chiar.ma Prof.ssa SILVIA PERINI Correlatore: Chiar.ma Dott.ssa FRANCESCA CAVALLINI Laureando TESTI ALESSIO

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PARMA

FACOLTÀ DI PSICOLOGIA

CORSO DI LAUREA IN PSICOLOGIA

FLUENZA SEMANTICA ED INTEGRAZIONE DEGLI ALUNNI

STRANIERI:L’APPLICAZIONE DELLE NUOVE

TECNOLOGIE.

Relatore:Chiar.ma Prof.ssa SILVIA PERINICorrelatore:Chiar.ma Dott.ssa FRANCESCA CAVALLINI

LaureandoTESTI ALESSIOmatricola 184443

Anno Accademico: 2007/2008

Grazie a mia madre Enrica e a mio padre Catullo;

ai miei nonni Angelo e Carlae al Sarino.

INDICE

INTRODUZIONE pag. 9

PARTE 1: TEORIA

Capitolo I PRECISION TEACHING » 11

1. Intro » 11

2. Principi fondamentali » 13

3. Fluenza come obiettivo

» 17

3.1 Retention » 19

3.2 Stability » 20

3.3 Endurance »

20

3.4 Application » 21

4. Precision Teaching come metodo di istruzione » 23

5. Precision Teaching come strumento di misura » 27

Capitolo II APPLICAZIONI DEL PRECISION TEACHING NELLA SCUOLA » 35

1. Intro » 35

2. Lettura » 36

3. Naming » 44

4. Scrittura » 47

5. Matematica » 52

Capitolo III CONTRIBUTI METODOLOGICI » 54

1. Disegni sperimentali a soggetto singolo » 54

Capitolo IV ANALISI » 60

1. Analisi grafica » 60

2. Standard Celeration Chart » 64

PARTE 2: CONTRIBUTI SPERIMENTALI

PARTE PRIMA

Capitolo V » 70

1 Soggetto: “N” » 70

2 Obiettivi ed Ipotesi » 71

3 Materiali e Metodi » 73

4 Procedura » 75

5 Analisi dei Risultati

» 81

6 Discussione » 95

PARTE SECONDA

Capitolo VI » 96

1 Soggetti: “W” e “M” » 96

2 Realtà demografica » 97

3 Obiettivi ed Ipotesi

» 100

4 Materiali e Metodi » 101

5 Procedura » 102

6 Analisi dei Risultati » 105

7 Discussione » 114

PARTE TERZA

Capitolo VII » 115

1 Soggetti: “O”, “F” ed “I” » 115

2 Obiettivi ed Ipotesi » 117

3 Materiali e Metodi » 118

4 Procedura » 119

5 Analisi dei Risultati » 121

6 Discussione » 124

CONCLUSIONI » 125

BIBLIOGRAFIA » 127

Introduzione

Il seguente lavoro prende spunto dalla constatazione che, ancor oggi, il più comune metodo utilizzato nella misurazione del tasso di apprendimento in ambito scolastico consiste nel conteggio delle risposte corrette in relazione al numero totale di risposte - ossia la percentuale di risposte corrette (Kubina e Morrison, 2000). Negli anni molti analisti comportamentali hanno costatato che tale parametro di misura dell’apprendimento non è sufficientemente efficace ed efficiente, in quanto non include l’elemento temporale (Johnson e Pennypacker, 1993). L’analisi della temporalità, lungo la quale ogni comportamento si sviluppa, consente all’insegnante di ricavare importanti informazioni in relazione alla natura degli errori commessi dai suoi alunni e di rimediarvi (West, Young e Spooner, 1990). Se all’analisi della dimensione temporale affianchiamo un training specifico che abbia per obiettivo il raggiungimento della fluenza (accuratezza + velocità) siamo

finalmente in grado di portare il trainer alla true mastery, ossia alla vera ed oggettiva padronanza nel compito. Il Precision Teaching rappresenta lo strumento per antonomasia con cui tendere a tale obiettivo; per sua natura questo insieme di procedure rappresenta sia un metodo di istruzione di indiscutibile efficacia, sia uno strumento di misura di facile utilizzo in campo didattico. Tale elaborato prende spunto quindi dal desiderio, nato e cresciuto in me, di sperimentare sul campo, provando ad applicare le conoscenze acquisite in anni di studi, le potenzialità di tale procedura ancora scarsamente utilizzata in ambito scolastico. L’elaborato prende l’avvio con una trattazione di quelli che sono gli aspetti imprescindibili del Precision Teaching ed i principi fondamentali su cui si basa (cap.1); il secondo capitolo consiste nell’analisi della letteratura inerente i contributi sperimentali più recenti che si sono avvalsi di tale metodologia, allo scopo di costruire una sorta di compendio delle molteplici e differenti applicazioni didattiche del Precision Teaching; il capitolo terzo rappresenta una trattazione degli aspetti metodologici coinvolti nel lavoro sperimentale con un occhio di riguardo per i disegni sperimentali a soggetto singolo in quanto rappresentano il disegno sperimentale maggiormente utilizzato nel lavoro con il Precision Teaching; nel quarto capitolo viene analizzata una metodologia di analisi dei risultati, facilmente implementabile in ambito didattico, nota come analisi grafica o visiva; nello stesso capitolo viene inoltre descritto lo strumento di cui si avvale il PT per attuare tale analisi di tipo grafico, ovvero la Standard Celeration Chart. Nel sesto e settimo ed ottavo capito sono

descritti ed analizzati i contributi sperimentali mutuati nel corso di un lavoro durato due mesi circa in una scuola elementare del territorio; gli aspetti presi in considerazione descrivono caratteristiche idiosincratiche della ricerca sperimentale quali: i soggetti, gli obietti e l’ipotesi, i materiali ed i metodi, la procedura, l’analisi, i risultati e la discussione dei risultati stessi.

CAPITOLO I

PRECISION TEACHING

1. INTRO

Il Precision Teaching rappresenta una metodologia, un set di procedure, descritta e sviluppata per la prima volta da Ogden Lindsley e dai suoi collaboratori dell’Università del Kansas a partire dagli anni ’70. Lindsley decise di chiamare questo nuovo strumento Precision Teaching perché “ciò che era veramente nuovo nella nostra procedura era la precisione dell’insegnamento” (Lindsley,1972, pag. 9). Trova le sue radici nella psicologia dell’apprendimento ed in particolare nei lavori di Pressey (1926), di Skinner (1954) e di Keller (1968) sulle Learning Machines, l’Istruzione Programmata e il Sistema Personalizzato di Istruzione. Il Precision Teaching possiede una duplice natura: da un lato può essere considerato, alla luce della letteratura ormai tutt’ altro che esigua, (Hughes, Beverley e Whitehead, 2007; Tosolin, 2004; Errico, 2004; Binder, 2003; Lindsley, 1996; Kubina, 2002; Bell, Young, Salzberg e West, 1991;) un metodo di formazione-addestramento estremamente efficace basato sulla velocità oltre che sulla accuratezza dell’apprendimento applicabile ad ogni livello di complessità e a diversi e molteplici ambiti di intervento. E’ ormai nota l’efficacia del Precision Teaching in diversi campi applicativi, dall’apprendimento delle abilità accademiche di base, alla riabilitazione con soggetti con differenti tipologie di disabilità, al recupero motorio, all’apprendimento di contenuti specifici in ambito di lavoro-organizzazione (Kubina, 2005; Cohen, 2004; Kubina & Morrison, 2000); dall’altro rappresenta uno strumento di misura del comportamento e dell’apprendimento di estrema importanza ed utilità nella pianificazione e nella verifica in iter del programma di “trattamento” in termini di efficacia(White,

2000; Kubina & Cooper, 2000). Rappresenta infatti un set di metodi e procedure pratiche che promuovono una valutazione precisa e sistematica di istruzioni e curricula.

2. PRINCIPI FONDAMENTALI

Il Precision Teaching promuove, oltre all’accuratezza, anche la velocità dell’apprendimento (Lindsley, 1990,1991,1992,1995). Il soggetto che apprende deve rispondere, per pochi minuti al giorno, a numerosi item che gli vengono proposti in maniera incalzante ed ogni item è seguito da un feedback opportuno. La procedura su cui è basato viene definita “free operant”: l’ ”insegnante” consente allo studente di avere il controllo in merito alla presentazione del successivo stimolo istruttivo e ciò consente di rimuove il ritardo associato al comportamento dell'insegnante di presentazione degli stimoli istruttivi permettendo così un aumento enorme della frequenza di risposta (Fester, 1953). L’allievo è così messo nella condizione di poter imparare al suo proprio ritmo individuale, a “suo modo”, secondo un suo percorso e con estrema rapidità. Inoltre in ogni seduta, il soggetto ottiene il punteggio in una particolare forma grafica (Standard Celeration Chart) che evidenzia le risposte esatte e la velocità di esecuzione. L’aspetto critico dell’intervento è definito dal monitoraggio costante dell’apprendimento (Perini, 1997).I principi guida su cui si basa sono (Lindsley, 1990b; West & Young, 1992; White, 1986) :

Attenzione al comportamento direttamente osservabile Frequenza come misura della performance La Standard Celeration Chart “The Learner Knows Best”

Attenzione al comportamento direttamente osservabile

Per evitare ogni tipo di ambiguità, il Precision Teaching richiede la traduzione degli obiettivi di apprendimento in comportamenti concreti e direttamente osservabili che possano essere contati e registrati. Le strade percorribili secondo McGreevy (1983) sono due: obiettivi di apprendimento che siano “movimenti fisici” oppure un'altra alternativa è contare un prodotto tangibile di qualche cosa che è stato fatto. In caso di comportamento “privato” la soluzione consiste nella conversione dello stesso in abilità più esplicite, facilmente osservabili e quantificabili (White, 1986). Altra cosa da evitare è contare “ciò che non si sta facendo”; in questo caso la soluzione è seguire la “regola dell’uomo morto”: se un uomo morto lo può fare, o sembra che lo stia svolgendo, allora non siamo di fronte ad un comportamento (White, 1986).

Frequenza come misura della performance

La frequenza è una grandezza che concerne fenomeni periodici o processi ripetitivi e viene calcolata fissando un intervallo di tempo, contando il numero di occorrenze dell'evento che si ripete in tale intervallo di tempo ed, infine, dividendo il risultato di questo conteggio per la ampiezza dell'intervallo di tempo. La frequenza è un parametro di misura più efficace rispetto alla

percentuale di risposte corrette in quanto si è rivelata maggiormente utile in termini di apprendimento. Il lavoro a fluenza (accuratezza + velocità di esecuzione), di cui la frequenza come misura di performance è condizione “sine qua non”, infatti comporta una serie di vantaggi tutt’altro che secondari (retention, endurance, stability, application)(Fabrizio, 2007; Fabrizio e Moors, 2003, 2004). Un secondo vantaggio dei dati di frequenza è che offrono un rendiconto più completo di come un programma istruttivo stia funzionando (Kubina, 2000; White, 2000).

La Standard Celeration Chart (SCC)

La Standard Celeration Chart è una scala semi-logaritmica ideata da Lindsley. E’ uno strumento di estrema utilità perché permette una analisi visiva immediata dei progressi di apprendimento (Binder e Watkins, 1990; Maloney, 1998), anche per periodi molto lungi, in termini di “celerazione” ossia del tasso di cambiamento del comportamento oggetto di analisi in termini di frequenza. Il termine celerazione rappresenta la radice dei termini “accelerazione” e “decelerazione” che rispettivamente indicano le due possibili modalità di cambiamento di un comportamento nel tempo. Inoltre la SCC permette agli insegnanti, e non solo, di scambiarsi in modo più agevole i dati relativi alle frequenze del comportamento. L’asse delle Y rappresenta una scala logaritmica su cui indicare la frequenza di emissione di un comportamento in un range che va da un comportamento al giorno fino a 1000 comportamenti

per minuto. Sull’asse delle X invece sono indicati 140 giorni di calendario equivalenti a circa un semestre scolastico. Così, comportamenti frequenti ed infrequenti possono essere disegnati sullo stesso grafico ed essere esposti per un semestre intero.

“The Learner Knows Best”

Quello che può essere considerato il manifesto del Precision Teaching sottolinea come sia lo studente stesso a rappresentare il fulcro del processo di apprendimento. Gli studenti sono partecipanti attivi e tengono conto delle loro performance su una base quotidiana e le registrano sulla Celeration Chart (White, 2000). Se i progressi si accordano alle previsioni di apprendimento il programma è corretto ed efficace per quello studente, altrimenti difetta e bisogna cambiarlo in qualche modo; la rappresentazione grafica consente agli studenti di “vedere” il proprio iter di apprendimento in relazione alla meta; questa è la base su cui l'insegnante e lo studente decidono come proseguire. Lo studente conosce meglio! E’ “l’immagine dell’apprendimento dello studente che determina la strategia di insegnamento corretta” (Lindsley). Lindsley (1990a, p.11) nota cinque vantaggi di studenti che hanno questo ruolo attivo:

costi ridotti produzione di resoconti e registrazioni più valide ed

affidabili

apprendimento più rapido ed efficace aumento del senso di autoefficacia sviluppo di abilità di autogestione

3. FLUENZA COME OBIETTIVO

La fluenza è definita come la “combinazione di accuratezza plus velocità di risposta che consente agli individui di funzionare efficientemente ed efficacemente nei loro ambienti naturali” (Binder, Haughton e Bateman, 2002; Binder, 1993). “E’ la capacità di pensare, parlare o agire correttamente e senza esitazioni” (Binder, 2003). Anche intuitivamente è facile comprendere cosa si intenda con il termine fluenza: fare la cosa giusta senza esitazioni (Binder, 1988), cioè rapidamente. Evidenze sperimentali hanno dimostrato come un programma di

apprendimento basato sulla fluenza consenta ai “learners” di ritenere e mantenere quanto imparato più a lungo (Fabrizio e Moors, 2004; Bucklin, Dickinson e Brethower, 2000; Binder, 1996; Shirley e Pennypacker, 1994), rimanere sul compito per un tempo maggiore, resistere meglio alle distrazioni (Fabrizio e Moors, 2004; Berens, Boyce, Berens, Doney e Kenzer, 2003; McDowell e Keenan, 2001; Binder, Haughton e Van Eyk, 1990), applicare, adattare e combinare quanto imparato anche in altri contesti senza esplicite istruzioni (Fabrizio e Moors, 2004; Fabrizio, Moors e Schirmer, 2003; King, Moors, e Fabrizio, 2003; Bucklin, Dickinson e Brethower, 2000). Inoltre i ricercatori hanno trovato che la fluenza promuove parecchi risultati collaterali oltre che un efficace apprendimento: entusiasmo, fiducia, interesse (Bloom, 1986), divertimento e consapevolezza (Lindsley, 1995). Binder (1976) definisce come “true mastery”, dominio o padronanza vera e reale, il raggiungimento della fluenza in relazione ad una determinata categoria di comportamento. Per una descrizione completa del comportamento non può quindi essere trascurata la dimensione temporale; ogni comportamento infatti si produce e dispiega lungo una dimensione temporale che lo caratterizza e lo completa (Binder, 2003; Johnson e Pennypacker, 1993). La dimensione temporale è definita in realtà da due diverse variabili individuate da Howell e Lorson-Howell (1990) : la prima definita come latenza rappresenta il tempo che intercorre tra il momento in cui al soggetto viene presentato il compito e l’inizio della sua esecuzione; la seconda è la durata cioè il tempo necessario per terminare il compito.

Entrambe diminuiscono all’aumentare della padronanza. L’introduzione di questo nuovo paradigma fa si che venga riempito quel vuoto che i curricula tradizionali di insegnamento lasciano e non sfruttano: il miglioramento e l’apprendimento sono possibili anche oltre al 100% di risposte corrette, e pertanto questa soglia non viene più considerata come il più alto livello di performance raggiungibile. Concetti molto simili al concetto di fluenza sono quelli di “overlearning” e “automaticity” che sottolineano come la pratica continuativa, anche dopo che il 100% di accuratezza è stato raggiunto, fa si che per la memorizzazione del materiale appreso vengano utilizzati gli stessi meccanismi neurali che sono alla base di comportamenti parzialmente automatici, come nuotare o andare in bicicletta (Tosolin, 2004). Questo consente un recupero del materiale appreso estremamente rapido ed efficace. Tutto ciò porta ad un cambiamento metodologico tale da avere ripercussioni eccezionali nella comprensione della performance, permettendo inoltre di considerare ed offrire nuove opportunità di apprendimento personalizzato. Accuratezza e fluenza sono pertanto due livelli di performance ben distinti: passare dalla prima ad una vera e reale padronanza, alla “true mastery”, del materiale da apprendere è possibile solo con la pratica e l’ergonomia, le quali fanno la differenza. (Binder, 2003). L’ergonomia altro non è che la scienza che si occupa dello studio dell'interazione tra individui e tecnologie, con lo scopo di migliorare la soddisfazione dell’utente e l’insieme delle prestazioni della tecnologia stessa. Ancora una volta “The Learner Knows Best”! Ciò nonostante in

campo educativo, come afferma Binder, “viviamo ancora in un mondo che valuta in base alla percentuale di risposte corrette” (Binder, 2003). “Il metodo più comune di misura di un apprendimento è il numero di risposte corrette in relazione al di numero totale di risposte date, cioè la percentuale di risposte corrette (Kubina e Morrison, 2000). Togliendo il “ceiling”, ovvero il tetto-soglia rappresentato dal 100% di risposte corrette, ed introducendo la frequenza come parametro di base e forte per la misurazione della performance, gli unici limiti all’apprendimento sarebbero ambientali e fisiologici, cioè di natura strutturale (Binder, 2003) e non più metodologica. Il più grande ostacolo è rappresentato proprio dalle procedure educative tradizionali le quali fornendo esigue possibilità di esercitazione impediscono l’ acquisizione di comportamenti fluenti. Inoltre l’utilizzo della sola accuratezza come parametro ha un ulteriore punto debole: non offre alcuna informazione sulla natura di errori commessi e perciò non dà ad educatori e “learners” le informazioni necessarie per rimediare agli errori. Skinner stesso proclamò essere la frequenza la più importante misura di comportamento in relazione al processo di apprendimento (Skinner 1959).Johnson e Laying (1996), identificano quattro indici predittivi della fluenza: la Retention, la Stability, l’Endurance e l’Application.

3.1 RETENTION

La retention (ritenzione o ricordo) si riferisce all'abilità dello studente di eseguire performance fluenti anche dopo che è trascorso un periodo di tempo in cui il soggetto non ha potuto esercitarsi nel comportamento in questione (Binder, et al., 2002; Oddsson, 1989). Per garantire una ritenzione opportuna gli educatori devono fornire agli studenti una quantità di esercizio sufficiente al raggiungimento della fluenza in quanto ricordo e numero di esercizi svolti fanno parte di una relazione causale quindi un contenuto superappreso viene mantenuto più a lungo e rievocato più facilmente anche dopo lunghi intervalli di tempo (Craig, Sternthal e Olshan, 1972; Driskell, Willis e Cooper, 1992). Una mole consistente di studi hanno dimostrato tale relazione critica tra retention e procedure di apprendimento basate sulla fluenza (Fabrizio, 2004; Fabrizio e Moors, 2003,2004; Bucklin, Dickinson e Brethower, 2000; Binder, 1996; Shirley e Pennypacker, 1994; Bullara, Kimball e Cooper, 1993; Kelly, 1995; Olander, Collins, McArthur, Watts e McDade, 1986; Ritseman, Malanga, Seevers e Cooper, 1996; Johnson e Layng, 1992).

3.2 STABILITY

La stability si ha quando lo studente compie l'abilità qualificata, alla frequenza realizzata in sessione di pratica, anche dopo che distrazioni sono presentate all'ambiente di lavoro. E’ la capacità di mantenere una particolare frequenza di performance in un’abilità nonostante la presenza di stimoli o condizioni distraenti (Johnson e Layng, 1992, 1994, 1996).

3.3 ENDURANCE

L’endurance consiste nella “capacità di mantenere un livello determinato di performance, senza la disgregazione o diminuzione della frequenza di emissione, per un periodo sostanziale di tempo maggiore” rispetto alle fasi di training (Binder, 2005; Fabrizio e Moors, 2004; Berens, Boyce, Berens, Doney e Kenzer, 2003; McDowell e Keenan, 2001; Binder, Haughton e Van Eyk, 1990).Tale definizione rimanda al concetto skinneriano di "forza di risposta". L’ endurance porta con sé numerosi effetti positivi, primo tra i quali la stability di cui sopra; un ulteriore effetto consiste nella diminuzione degli errori commessi e delle emozioni negative che normalmente li accompagnano (Binder et al., 1990). La procedura maggiormente efficace per promuovere l’endurance consiste nell’utilizzare degli “sprints“ [Haughton, 1980] cioè brevi intervalli di tempo (ad esempio 6 o 10 secondi). Così facendo gli studenti ottengono buoni esiti alle loro prestazioni sugli sprint, per poi aumentare, gradualmente, la lunghezza dell’unità temporale [Bourie, 1982; Desjardins e Slocum, 1993].

3.4 APPLICATION

L’application descrive l'abilità dello studente di portare a termine nuovi

compiti “compositi” dopo avere imparato le abilità “componenti” ad una

certa frequenza (Binder 1996; Binder et al., 2002; Kubina e Morrison,

2000; Lin e Kubina, 2005). Accade l'adduction quando le abilità di livello

più basse sono insegnate a livello di fluenza e ciò fa sì che livelli più alti

di abilità “composte” emergano senza l'addestramento solito e specifico

richiesto (Johnson e Layng, 1996; Berens, Boyce, Berens, Doney, e

Kenzer, 2003; Kubina, Young e Kilwein, 2004; McDowell e Keenan,

2001, 2002; McDowell, Keenan e Kerr, 2002; McDowell, McIntyre, Bones

e Keenan, 2002; McIntyre, Test, Cooke e Beattie, 1991; Smyth e

Keenan, 2002). Percui per abbinare abilità semplici di base all’interno di

un repertorio comportamentale più complesso, è necessario garantire il

raggiungimento della fluenza a partire da livelli preliminari, dai contenuti

elementari. Questo porta ad una generalizzazione del contenuto appreso

anche a contesti di apprendimento diversi da quello iniziale. Un’analogia,

ad opera di Haughton (1982), che chiarisce il concetto di application è la

seguente: come gli atomi hanno bisogno di una certa valenza per

combinarsi, anche gli elementi comportamentali hanno bisogno di una

certa frequenza per formare classi di risposta complesse. Binder (1989,

1990a) elaborò anche una lista dei fluency blockers e dei fluency

builders, riferendosi, col primo termine, agli elementi che impediscono lo

sviluppo della fluenza, col secondo agli elementi che ne favoriscono

l’incremento.

Possiamo facilmente notare come gli elementi “facilitatori di fluenza” siano tutti presenti, in veste di obiettivi o di postulati, all’interno della metodologia di Ogden Lindsley: il Precision Teaching.

4. PRECISION TEACHING COME METODO DIISTRUZIONE

“La scuola e le imprese italiane si trovano davanti alla necessità di introdurre le Nuove Tecnologie per l’Apprendimento nella

programmazione; le ragioni di questo sviluppo annunciato sono tanto tecniche, quanto economiche” (Tosolin, Truzoli e Orlandi, 2005). Il governo federale degli Stati Uniti ha finanziato con 600 milioni di dollari un colossale progetto di ricerca (Project Follow-Through) che ha messo a confronto tra loro tutte le diverse metodologie didattiche conosciute. In particolare, una combinazione di due strategie didattiche, Precision Teaching e Direct Instruction, ha dimostrato di essere la più efficace al vaglio sperimentale. La Direct Instruction è una modalità di insegnamento basata su lezioni sviluppate ed attentamente progettate intorno a chiare ed operazionalizzate richieste e a piccoli e progressivi incrementi di apprendimento (Becker e Engelman, 1976, 1978). Essendo consapevoli che l’apprendimento è funzione del numero di conseguenze ottenute dall’allievo nell’unità di tempo ed essendo il raggiungimento della fluenza l’obiettivo primario di apprendimento, per le ragioni di cui sopra, allora il Precision Teaching diviene lo strumento per antonomasia con cui pervenire a tale obiettivo. Uno dei maggiori vantaggi dovuti all’alta standardizzazione di questa procedura è la conseguente uniformità nell’approccio al controllo ed alla progettazione del programma di apprendimento (White, 2000c).L’apprendimento mediante Precision Teaching nella pratica si realizza in 3 “stages” consecutivi (Binder, 2003): acquisizione di un nuovo comportamento, pratica dei componenti in termini di fluenza e resistenza, applicare e combinare i comportamenti componenti in comportamenti complessi. Molti programmi di apprendimento falliscono proprio perché saltano o minimizzano

il secondo stadio e prematuramente immergono i “learners” nel terzo, prima che essi abbiano performance fluenti nelle abilità “componenti” (Binder, 2003). McGreevy (1983) ha individuato e descritto il Precision Teaching come processo composto da 5 passi:

Pinpoint: individuazione del comportamento oggetto di analisi il quale: deve essere contabile; deve avere un periodo di conteggio giornaliero costante (dovrebbe avere una durata tale da permettere l’osservazione di almeno 8-10 comportamenti target); deve poter essere discriminata la forma comportamentale corretta da quella scorretta; necessita della specificazione del canale di apprendimento utilizzato sia in termini di input sia di output; infine deve essere sufficientemente difficile.

Aim: per aim si intende il livello di performance finale desiderato, l’obiettivo o scopo del programma di apprendimento, generalmente caratterizzato da un’alta frequenza di emissione del comportamento ritenuto corretto e una frequenza assimilabile a zero degli errori. Per determinare l’aim, l'insegnante potrebbe chiedere ad una persona abile di effettuare l'operazione per la durata del periodo di conteggio (Mercer, Mercer e Evans, 2000); la frequenza ottenuta da quella persona allora sarebbe usata come aim per l'allievo.

Contare ed insegnare: di quale comportamento specifico andare ad individuare la frequenza dipende ovviamente dallo scopo del programma di insegnamento; la componente didattica del Precision Teaching rimane

invece invariata e consiste nel controllo di quattro fattori fondamentali (McGreevy, 1983; White e Haring, 1980): gli antecedenti, le conseguenze di un comportamento corretto, le conseguenze di un comportamento errato e come l’insegnate si esercita nel comportamento con l’allievo (“I do, we do, you do”).

Sviluppare una immagine dell’apprendimento: l’immagine dell’apprendimento è data dall’inserimento nella Standard Celeration Chart del numero di comportamenti corretti ed errori emessi dal learners nel periodo di conteggio analizzati settimanalmente.

Decidere cosa fare: le decisioni in merito al programma d'istruzione sono basate sulla figura dell'immagine d'apprendimento che emerge dalla Standard Celeration Chart.

Su questo ultimo punto torneremo in seguito in quanto merita di essere affrontato in maniera più approfondita.Il Precision Teaching “è stato usato come strumento per l’insegnamento a “ learners” che variano da individui con severi handicap a studenti universitari, dai giovanissimi agli anziani, sempre con grandissimo successo" (White, 1986).Uno degli studi maggiormente citati in merito all’efficacia del PT fu condotto a Great Falls, in Montana, agli inizi degli anni ’70 (Beck, citato in Binder e Watkins, 1990). Durante 4 anni gli insegnanti della scuola elementare Sacajawea aggiunsero al curriculum scolastico, per il resto identico alle altre scuole del distretto, dai 20 ai 30 minuti al giorno di Precision Teaching. I loro studenti, valutati al Test Iowa sulle Abilità Base,

avanzarono di 19-40 punti percentili rispetto agli studenti del distretto il cui curricula non prevedeva il PT. Risultati impressionanti inoltre sono stati segnalati anche dall'accademia di Morningside, una scuola in cui il PT riveste un ruolo importante. La Morningside School è talmente sicura dell’efficacia dei propri curricula da garantire il rimborso totale delle tasse scolastiche in caso di mancato raggiungimento degli obiettivi di apprendimento prestabiliti. Del resto mai è stata costretta a farlo! (Johnson e Layng, 1994). Anche alla Georgia Tech University gli studenti di ingegneria apprendono da molti anni l’intero curriculum sull’elettromagnetismo tramite sistemi elettronici di Precision Teaching con tempi e costi enormemente ridimensionati (Tosolin, 2004). Concludendo possiamo affermare l’efficacia maggiore del Precision Teaching come strumento di insegnamento rispetto ai tradizionali metodi che sono basati sulla sola accuratezza come obiettivo di apprendimento (Brook Wheetley, B.S, The effect of rate of responding on retention, endurance, stability and application of performance on a match-to-sample task, 2005).

5. PRECISION TEACHING COME STRUMENTO DI

MISURA

Il Precision Teaching primariamente “non è un metodo di insegnamento. Piuttosto è una metodologia generale per determinare se un programma didattico sta realizzando gli obiettivi che si era preposto” (Chiesa e Robertson, 2000, p.300). I metodi didattici basati su fluenza e padronanza necessitano che gli insegnanti intraprendano determinate azione per accertare l’efficacia dei loro metodi di insegnamento e per testare la padronanza raggiunta dai “learners” in iter. Al contrario i metodi tradizionali solitamente valutano i “learners” solamente ogni qualche mese, addirittura una sola volta l’anno, e tra queste infrequenti valutazioni i programmi di insegnamento continuano ad essere generalmente condotti

senza essere modificati in nessun modo (White, 2000). Il metodo scientifico alla base del Precision Teaching costituisce l'alternativa a congetture di padronanza di tipo filosofico ed ipotetico in merito alla padronanza raggiunta (Kubina, 2000). Disponendo di un'unità di misura standard, quale la frequenza, e di una rappresentazione grafica standard, quale quella resa possibile dalla Standard Celeration Chart, il Precision Teaching consente una valutazione dell’apprendimento e della prestazione che permette di raccogliere informazioni precise, standardizzate, esplicative e valutabili che sarebbero impossibili da ottenere con una valutazione unicamente basata sulle percentuale di risposte corrette (Kubina e Morris, 2000). Come Johnson e Layng (1996) precisano: “Per muoverci oltre un uso principalmente metaforico del termine “fluenza”, dobbiamo specificare i risultati che indicano la prestazione fluente e determinare le frequenze a cui le dimensioni comportamentali possono essere considerate come fluenti (P. 285).Anni di misure ripetute e dirette di frequenza rappresentate graficamente sulla SCC hanno aperto la strada alla determinazione di campioni o “ranges” di frequenza normativi attraverso cui il formatore è ora in grado di valutare empiricamente la prestazione. Inoltre abbiamo visto (White, 2000; Kubina, 2000) come sia proprio in funzione dell’immagine dell’apprendimento risultante dalla Standard Celeration Chart che gli insegnanti devono decidere cosa fare: la Standard Celeration Chart rappresenta la cartina tornasole dell’efficacia del programma di insegnamento. Cambiamenti nel programma didattico sono necessari quando:

il comportamento target ha raggiunto la frequenza di aim e gli errori sono assenti per due periodi di conteggio consecutivi; ciò starebbe ad indicare che la performance richiesta all’allievo non è più sufficientemente difficile, e quindi scarsamente motivante (McGreevey, 1983).

l’allievo sta avanzando troppo lentamente o per nulla; come esempio da seguire potremmo portare quello della Morningside School in cui un programma di apprendimento è ritenuto efficace, e pertanto non cambiato in linea di massima, se gli allievi effettuano un raddoppiamento della frequenza di prestazione alla settimana (Johnson e Layng, 1992).

Se ci dovessimo accorgere della eccessiva difficoltà del programma, e del conseguente ridotto incremento nelle frequenze del comportamento meta, possiamo agire su 4 variabili:

cambiare il comportamento meta (White e Haring, 1980); cambiare, aumentando o diminuendo, la durata del

periodo di conteggio (Binder, 1990); cambiare l’aim (utilizzando degli aim provvisori) (White,

2000); cambiare il metodo di insegnamento (McGreevy, 1983,

White e Haring, 1980).

Il cambiamento del comportamento meta può essere operato in due modi:

lo “slide back” consiste nella suddivisione del comportamento-meta complesso nella serie di “steps”, passi, che lo compongono; una volta scomposto il comportamento si predisporranno tanti mini-programmi di apprendimento consecutivi per ognuno degli steps individuati. White e Haring (1980) raccomandano tale procedura quando "la percentuale di errori è maggiore di quella delle risposte corrette ed entrambe aumentano, oppure quando la percentuale di risposte corrette è di poco più alta di quella degli errori ma non aumenta o diminuisce mentre quella degli errori aumenta".

lo “step back” è auspicato nei casi più difficili e consiste nell’individuare e portare a fluenza i prerequisiti al comportamento-meta. White e Haring (1980) raccomandano tale procedura quando ”la percentuale di errori accelera o rimane costatante ed è più alta di quella delle risposte corrette mentre queste rimangono costanti o decrescono”.

Un esempio può forse chiarire la differenza tra le due strategie: nel caso in cui il comportamento-meta fosse scrivere un tema con una procedura di “slide back” scomporrei tale comportamento ed andrei ad insegnare come fare l’introduzione, poi lo svolgimento ed infine la conclusione al tema stesso; nel caso di una procedure “step back” invece l’insegnamento verterebbe ad esempio sulla grammatica, prerequisito alla scrittura di un tema.

L'esigenza di un cambiamento del programma dovrebbe pertanto essere ovvia nel caso l’allievo non stia realizzando alcun progresso. Se invece sta realizzando certi progressi, tuttavia, può a volte essere comunque difficile decidere se l’allievo sta progredendo abbastanza velocemente da raggiungere il suo scopo di prestazione nei limiti del tempo a disposizione. Uno standard di progresso accettabile deve quindi essere individuato. Il modo più semplice e più utile di individuare tale standard è quello di disegnare quella che Liberty (1972) ha denominato la “linea di minima celerazione” (White, 2000). Tale line viene tracciata sulla SCC unendo due punti: lo “start mark”, rappresentato graficamente dalla prestazione mediana tra le prime tre prestazioni di un training,

Celerazione lenta o assente

Aim raggiunto, errori assenti

Passara ad un nuovo programma,insegnare

nuove abilità

Cambiare comportamento

meta

Cambiare durata periodo conteggio

Cambiare aim

Cambiare metodo di insegnamento

Step back

Slide back

e lo “aim star”, che rappresenta invece l’obiettivo individuato sulla SCC nel punto di intersezione tra il valore di performance e la data entro la quale lo si vuole ottenere (White, 2000). Una seconda linea di celerazione minima andrebbe successivamente tracciata in riferimento alla decelerazione prevista della frequenza degli errori.

A: individuare l’”Aim star” nell’intersezione tra l’obiettivo in termini di frequenza e la data-obiettivo entro cui raggiungerlo.B: individuare lo “Start mark” nell’intersezione tra il secondo dei primi tre giorni di training e la frequenza mediana ottenuta.C: Unire “Aim star” e “Start mark” per trovare la “Linea di minima

Data

Frequenza

“Aim star” Secondo giorno

Frequenza mediana

“Start mark”

“Linea di minima celerazione”

Prestazioni di 3 giorni consecutivi sotto la linea

celerazione.D: Un cambiamento nel programma è consigliato quando le prestazioni di tre giorni consecutivi cadono sotto la linea. Se ciò accade le probabilità di raggiungere l’aim entro la data specificata senza cambiamenti nel programma sono inferiori al 6% (c.f., Liberty, 1972; White and Liberty, 1976).

Infine un discorso a parte merita il Washington Decision Rules (Fall, 2003), il quale rappresenta lo strumento maggiormente utile ed efficace nel coadiuvare decisioni in merito al cambiamento di un programma di apprendimento in funzione della rappresentazione grafica delle prestazioni ottenute nel tempo. Consiste sostanzialmente in un diagramma di flusso con un ingresso e sette uscite le quali costituiscono valutazioni qualitative in merito al programma in opera e suggeriscono quale potrebbe essere l’anello debole che non consente il raggiungimento dell’aim nei tempi previsti. In particolare il programma può:

Essere un successo Funzionare Prevedere step di apprendimento troppo difficili Essere caratterizzato da problemi di compliance Essere caratterizzato da problemi nella costruzioni di

performance fluenti Essere caratterizzato da problemi inerenti l’acquisizione

del comportamento meta

Essere caratterizzato da problemi di format

Oltre a fornire una plausibile spiegazione ai problemi di apprendimento riscontrati inoltre il Washington Decision Rules propone anche una serie di possibili soluzioni specifiche.

Forse oggi possiamo finalmente rispondere alla domanda posta da Sidney Bijou ormai più di 25 anni fa: "What Psychology has to offer Education-now?": la psicologia oggi può offrire alla educazione il Precision Teaching. Il PT infatti costituisce un importante strumento nelle mani degli insegnanti in grado di rappresentare sia un’ ottima metodologia, attraverso cui “fare” didattica efficace ed economica, sia un indispensabile strumento attraverso cui “valutare” l’efficacia del programma didattico stesso.

CAPITOLO II

APPLICAZIONI DEL PRECISION TEACHING NELLA SCUOLA

1.INTRO

Le applicazioni scolastiche del Precision Teaching sono riconducibili ad una moltitudine di ambiti tra cui possiamo annoverare lettura, scrittura, naming, componente fonologica, calcolo, ragionamento, lingue straniere e study skills. Il PT infatti si è dimostrato efficace nella riabilitazione di pazienti afasici (Bardin Ayre, Potter e McDearmon 1975), nel recupero di soggetti con difficoltà di scrittura (Towle, 1978), nell’insegnamento dei concetti di discriminazione e generalizzazione (Fox e Grezzi, 2003) e nell’insegnamento della matematica (DuVall, McLaughlin e Sederstrom, 2003; Chiesa e Robertson, 2000; Lindsley, 1990; Mortenson, 2001).

2.LETTURA

La lettura è considerata generalmente come l’abilità maggiormente critica per il successo scolastico. Come il Consiglio di Ricerca Nazionale USA (1998) ha ammesso: “la lettura è essenziale per avere successo nella nostra società”. Secondo Sloat, Beswick e Willms (2007) gli allievi che non imparano leggere durante i primi anni di scuola primaria probabilmente non saranno mai buoni lettori. Ancora, gli allievi con basse abilità di lettura hanno meno accesso al programma di studi normale, carente motivazione, bassa stima di sé e maggiori difficoltà comportamentali (Sloat et al, 2007). Le conseguenze a lungo termine dell'istruzione inadeguata nella lettura hanno implicazioni nazionali. Attualmente, 25% degli adulti negli Stati Uniti sono dal punto di vista funzionale analfabeti, incapaci di leggere le prescrizioni sulla confezione di un medicinale o una nota dalla scuola sul diario del loro bambino (Fuchs ed altri, 2001). Le buone notizie dalla comunità scientifica di ricerca sono che le conoscenze necessarie ad insegnare ai bambini a leggere bene esistono (Kubina e Starlin, 2003). I trattamenti che sono risultati più efficaci ed efficienti nel promuovere la padronanza di lettura sono quelli che

puntano all'automatizzazione del rapporto tra sillabe e corrispondenze fonologiche (Archer, Gleason, Vachon, 2003). Tra questi il Precision Teaching si è rivelato il più efficace nell’aiutare gli insegnanti a definire e misurare al meglio il comportamento di lettura, grazie all’applicazione dei concetti base della behaviour analysis, “impedendo agli esperti di prendere le decisioni in modo soggettivo, evitando le misure quantitative ed ignorando i risultati di ricerca” (Carnine, 2000). In tale direzione nel 2002 il Congresso delle Nazioni Unite ha emesso un decreto legislativo il quale richiede alle pratiche di insegnamento della lettura di essere basate sulle evidenze empiriche della ricerca scientifica (No Child Left Behind, 2002). In particolare la letteratura possiede due grandi zone di abilità cui applicare tali principi: decodifica e comprensione (Carnine, Silbert, e Kame’enui, 1997; Huges, Beverley e Whitehead, 2007; Pikulski e Chard, 2005). [Gough e Tunmer (1986) esprimono la lettura come una equazione: Lettura =Decodifica x Comprensione]. Il processo di decodifica, chiamata anche “ricodificazione fonologica”, consiste nella traduzione delle lettere alfabetiche scritte nei suoni corrispondenti e nell’integrazione dei suoni nella pronuncia di una parola (Daneman, 1991) mentre per comprensione si intende lo stato psicologico, a partire dalla relazione con un oggetto o una persona, che rende capaci di formulare pensieri circa quella persona od oggetto ed utilizzare concetti per trattare adeguatamente con quella cosa o persona. Partendo da tali presupposti è facile prevedere che per raggiungere la fluenza nella lettura si debba agire su entrambi i

termini dell’equazione di lettura: deficit nell’uno o nell’altro dei termini che la compongono porteranno inevitabilmente a performance deficitarie (Therrien, Wickstrom, e Jones, 2006; Hudson, Lane e Pullen, 2005). A titolo esplicativo, bambini con carenti abilità di decodifica non riescono a: (Kame'enui, Simmons, 1999)• raggruppare le parole con suoni simili o dissimili (ramo, rana, lana)• unire e dividere le sillabe (me-la; gat-to)• fondere i suoni in parole (a_p_e)• segmentare una parola come una sequenza di suoni (esempio: cane è composto da quattro fonemi, /c/, /a/, /n/, /e/)• individuare e manipolare i suoni all’interno delle parole (ad esempio, cambiare la N con la S, e trasformare caNe in caSe)Abilità di decodifica fluenti permettono invece all’allievo di rivolgere maggiore attenzione al significato di ciò che legge, incrementando così il secondo termine dell’equazione della lettura: la comprensione (Pikulski e Chard, 2005; Stahl e Kuhn, 2003; Stanovich e Nathan, 1991); al contrario scarse abilità di comprensione fanno sì che i lettori possano leggere correttamente le parole ma non riuscire a collegarle in un discorso da cui estrapolare un significato (Rasinski, Blachowicz e Lems, 2006). Peter e Lloyd (1983) stimano che ben il 40% degli studenti abbiano deficit nella capacita di comprensione. La ricerca ha indicato che la “fluenza nella lettura”, o ORF (Oral Reading Fluency), è la misura migliore della competenza nell’abilità di lettura (Fuchs, Fuchs, Hosp e Jenkins 2001).

Rasinski (2004) ritiene che l’accuratezza nella decodifica delle parole, l’automatismo nell’elaborazione e la lettura prosodica siano le tre più importanti dimensioni che definiscono la fluenza nella lettura. Tale fluenza è valutabile semplicemente registrare il numero delle parole lette ad alta voce, correttamente ed in modo errato, al minuto. Una mancanza di padronanza nella lettura comporta conseguenze disadattive in ambito scolastico: Alber-Morgan, Glazer, Ramp, Anderson e Martin (2007) hanno dimostrato come che gli allievi con lettura non fluente tendano ad evitare le attività di lettura ed inoltre sia caratterizzati da problemi di riconoscimento delle parole, di comprensione e di motivazione (Chard, Vaughn e Tyler, 2002; Mastropieri, Leinart e Scruggs, 1999; Stanovich, 1986).Le tappe che portano ad una lettura fluente possono essere così sintetizzate (U.S. Department of Education, National Center for Education Statistics. National Assessment of Educational Progress (NAEP), 2002 Oral Reading Study):

Livello 1 Lettura parola-per-parola. Occasionalmente frasi di due o tre parole possono essere lette ma sono infrequenti e/o non conservano la sintassi espressiva.

Livello 2 Lettura di gruppi di due parole consecutive (occasionalmente tre o quattro). I raggruppamenti non sono funzionali e sono indipendenti dal più grande

contesto della frase o del passaggio. E’ ancora presente lettura parola-per-parola.

Livello 3 Lettura in gruppi di tre o quattro parole consecutive. Alcuni più piccoli raggruppamenti possono essere ancora presenti. Tuttavia, la maggior parte delle frasi sono appropriate e conservano la sintassi dell'autore. Poca o nessuna interpretazione espressiva è presente.

Livello 4 Lettura in frasi lunghe e significative. Anche se alcune regressioni, ripetizioni e deviazioni da testo possono essere ancora presenti, queste non sembrano ridurre la struttura generale della storia. Conservazione della sintassi dell’autore costante. La maggior parte della storia è letta con l'interpretazione espressiva.

Interessante notare il rapporto esistente tra livello raggiunto, accuratezza e numero di parole lette al minuto: Livello 1 Livello 2 Livello 3 Livello4 Accuratezza <90% 90-94% 95-96% 97-100%Parole lette al <80 80-104 105-125 130-162% minutoL’obiettivo didattico è rappresentato dalla “Performance Standards” ossia una frequenza di performance empiricamente associata a retention, endurance ed application (Binder, 1996;

Haughton, 1984). Uno strumento che ha dimostrato di essere efficace nel coadiuvare il raggiungimento della Performance Standard è il Precision Reading (Freeze,1989; 1998); consiste nel far leggere al soggetto lo stesso brano, registrando le risposte giuste ed errate, sino al raggiungimento di velocità e accuratezza [Updike, Freeze, 2002]. La performance ritenuta standard di fluenza per la lettura consiste nella capacità di leggere correttamente ad alta voce 150 – 250 parole al minuto con solo 0 – 2 errori (Haughton, 1980; Mercer, Mercer e Evans, 1982; Starlin, 1979). Questi standard di verifica di performance sono usati indipendentemente dalla lingua madre, complessità del materiale, età o livello scolastico (Haughton, 1982; Starlin, 1979).Gli insegnanti dovrebbero essere informati dell' esistenza di un certo numero di strategie didattiche in grado di implementare le abilità di riconoscimento e di comprensione, in grado cioè di portare l’allievo ad una lettura fluente; tra queste strategie sono annoverabili, ad esempio, l’ampliamento del vocabolario e la lettura espressiva (Carnine, et al, 1997). Una tra le tecniche didattiche più efficaci nell’incrementare la fluenza di lettura è sicuramente la “Direct Repeated Practice” (Bloom, 1986; National Reading Panel, 2000): consiste nella pianificazione dei curricula didattici in modo tale da consentire agli studenti di mettere in pratica direttamente le abilità richieste, ritagliando loro maggior tempo per fare pratica di lettura. Questo fa sì che gli studenti possano produrre un numero maggiore di risposte, variabile causalmente connessa ad apprendimenti più rapidi ed efficaci (National Reading Panel, 2000).

Il Center on Teaching and Learning (CTL), dell’Università dell’Oregon, ha sviluppato un set standardizzato, denominato DIBELS (Dynamic Indicators of Basic Early Literacy Skills ), in grado di consentire un monitoraggio regolare dello sviluppo delle abilità di pre-lettura e delle fasi iniziali della lettura. La base teorico-metodologica del DIBELS è rintracciabile nelle cinque Big Ideas in Beginning Reading (BIBR) studiate e descritte dall’IDEA (Institute for the Development of Educational Achievement), del College of Education , University of Oregon. Le cinque “grandi idee nelle fasi iniziali della lettura” sono:

1. Consapevolezza Fonemica: la capacità di sentire e combinare

i suoni in parole. 2. Principi Alfabetici: l’abilità di associare i suoni con le lettere

(corrispondenza grafema-fonema), e usare questi suoni per formare parole.

3. Fluenza nel Testo: l’abilità di leggere le parole in un testo automaticamente e senza sforzo.

4. Vocabolario: l’abilità di comprendere (ricezione) e usare (espressione) le parole per acquisire e trasmettere significato.

5. Comprensione: il processo cognitivo che coinvolge l’interazione intenzionale tra il lettore e il testo per trasmettere significato.

Il DIBELS pertanto rappresenta un importante strumento di assessment in grado sia di individuare i punti di debolezza o di forza dello studente, sia di offrire un considerevole aiuto nella

pianificazione di “trattamenti” didattici creati ad hoc (Neumann, Ross e Slaboch, 2008; Schilling, Carlisle, Scott e Zeng, 2007). Molti importanti analisti del comportamento hanno offerto indipendenti, ma correlati, contributi alla definizione di un nuovo ed efficace modello didattico per l’insegnamento dell’abilità di lettura. Questi contributi includono l’analisi del contenuto didattico di Tiemann e Markle (Markle e Droege, 1980; Tiemann e Markle, 1990); l’analisi del programma di studi e d'istruzione di Engelmann e Carnine (Carnine e Engelmann, 1982; Carnine, 1991); sistemi personalizzati di istruzione di Keller e Sherman (Keller, 1968; Sherman, Ruskin e Semb, 1982); metodologia di misura della celerazione e Precision Teaching di Lindsley (1972, 1990, 1991); concetti di fluenza, “aim”, “tool skill” e “channel set” di Haughton (1972, 1980); analisi delle contingenze non lineari di Goldiamond (1975, 1979, 1984); procedure per stabilire il livello di precisione e sintesi di Direct Instruction, Precision Teaching e delle tecnologie per la costruzione della fluenza di Johnson (1991, 1992b); analisi dell'uso delle regole per diminuire la variabilità di risposta di Chase ( Chase e Danforth, 1991; Joyce e Chase, 1990); principio di “resurgence ” di Epstein e Skinner (Epstein, 1983; Epstein e Skinner, 1980); “generativity theory” di Epstein (Epstein, 1985, 1990, 1991; Epstein, Kirshnit, Lanza e Rubin, 1984; Medali e Epstein, 1983); formulazione del concetto di “adduction” di Andronis e Layng (Andronis, 1983; Andronis et al 1983; Andronis e Layng, 1984); guida di riferimento fornita da Markle (1964, 1969, 1991) e da altri per le sequenze didattiche

empiricamente convalidate e altamente interattive ( Engelmann e Carnine, 1982; Gilbert, 1962, 1978; Holland, Soloman, Doran e Frezza, 1976); le tecnologie di esercitazione del gioco e della simulazione per accertare l’application e per promuovere l’adduction degli elementi separati del repertorio in nuove forme e sequenze ricombinate di Thiagarajan (1990) et al (Thiagarajan e Stolovitch, 1980; Stolovitch e Thiagarajan, 1978).Due programmi, uno iniziato nel 1980 alla Morningside Accademy di Seattle, Washington, e l’altro lanciato nel 1991 al College Malcom X di Chiacago, Illinois, illustrano l’efficacia del nuovo paradigma didattico sulla cui base è stato progettato il Precision Teaching e sfociato nel modello di “Generative Instruction” della Morningside Accademy per bambini ed adulti. Tale metodo che combina materiale didattico ben progettato, ritmo di presentazione incalzante e focus sulla pratica della fluenza (Johnson e Layng, 1994) e basato su 4 caratteristiche principali (Johnson e Street, 2004) :

Strumenti di verifica dell’apprendimento incorporati nei curricula.

Quantità significativa di tempo assegnato ad esercitazioni, basate sulla fluenza e sulla celerazione.

I bambini imparano a pensare, ragionare, ricercare, trovare soluzione a problemi e abilità di apprendimento cooperativo.

I bambini partecipano a diversi ambienti di apprendimento indipendenti in cui applicano il ragionamento, la ricerca e le abilità cooperative per l’apprendimento degli studi

sociali, delle scienza e della letteratura, secondo i loro interessi.

Bambini diagnosticati con disabilità nell’apprendimento, che ogni anno non avevano mai appreso più di metà delle abilità previste nel curricula didattico annuale, con l’ausilio di tale nuovo metodo furono in grado di raggiungere ogni anno scolastico livelli di abilità solitamente appresi in due/tre anni accademici, al ritmo di un anno ogni 20 ore di istruzione, senza la richiesta di compiti a casa (Johnson e Layng, 1992; Snyder, 1992). Risultati ugualmente efficaci sono stati raggiunti con studenti universitari i quali hanno così ottenuto valutazioni migliori in un tempo estremamente ridotto (Johnson e Layng,1992; Johnson, Layng e Jackson, 1993; Snyder, 1992).

3.NAMING

Con il termine Naming (tradotto "Chiamare" o "nominare") si intende definire il processo di assegnazione di un nome o una frase ad un determinato oggetto o ad una proprietà. Il livello di abilità raggiunto in tale processo ha profonde ripercussioni su molteplici altre abilità didattiche e sul successo scolastico dei bambini (Perfetti, 1992; LaBerge e Samuels, 1974; Samuels,

1997; Snow et al., 1998). Il naming, ad esempio, è in grado di predire efficacemente il grado di sviluppo dell’abilità di lettura (Wagner et al., 1999; Wolf et al., 2000, Huff, Sorenson e Dancer, 2002; Manis, Seidenberg e Doi, 1999; Wolf e Bowers, 1999) indipendentemente dagli effetti esercitati dalle abilità fonologiche quali consapevolezza fonologica e la memoria di lavoro verbale (Compton, 2000; De Jong e Van der Leij, 1999; Manis, et al., 1999; Wagner, et al., 1997). Inoltre inabilità di lettura accompagnano spesso deficit di naming indipendentemente dall'ortografia della lingua in cui i bambini imparano leggere (Denckla e Rudel, 1976; De Jong e Van der Leij, 2003; Felton e Brown, 1990; Ho e Lai, 1999; Wimmer, 1993; Wolf, Bally e Morris, 1986). L'interesse crescente per tale abilità potrebbe anche essere dovuto alla facilità di valutazione, che richiede soltanto uno o due minuti: solitamente si parla di RAN (Rapid Automatic Naming) e per valutarlo basta chiedere al bambino di nominare in un tempo prestabilito il maggior numero di oggetti appartenenti ad una categoria di nostro interesse, come ad esempio numeri, piuttosto che lettere, etc..Per renderci conto dell’importanza del RAN nel percorso scolastico torniamo per un attimo all’equazione della lettura = decodifica + comprensione. La ricerca suggerisce che per la maggior parte dei bambini, ci siano due motori che determinano lo sviluppo di abilità fluenti di decodifica (Lovett, Steinbach e Frijters, 2000): affinchè i bambini sviluppino buone abilità di decodifica, idealmente dovrebbero possedere buone abilità di elaborazione fonologica (Wagner, Torgesen e Rashotte, 1994; Gottardo, Stanovich e Siegel, 1997;

Shankweiler, Crain, Katz, Fowler, Liberman, Brady, Thornton, Lundquist, Dreyer, Fletcher, Stuebing, Shaywitz e Shaywitz, 1995) ma dovrebbero anche poter procedere molto velocemente ad identificare le informazioni visive. Questa seconda abilità descrive proprio il processo denominato Rapid Automatic Naming (Torgesen, Wagner, Rashotte, Burgess e Hecht, 1997). Pertanto essere lento nel processo di identificazione delle informazioni visive mette alcuni allievi in leggero svantaggio nella lettura (Lovett, Steinbach e Frijters, 2000). In un secondo di lettura un lettore veloce è in grado di identificare visivamente 5 parole, cioè 300 parole al minuto. Un lettore con un RAN attestato su valori modesti legge invece solo 230 parole al minuto! Questo inoltre fa sì che i bambini “veloci” si divertano di più e dedichino più tempo a leggere rispetto ai loro pari che tendono a identificare più lentamente le informazioni visive (Wren, 2005).

Deficit nell’abilità di lettura sono quindi imputabili a:

In caso di “double-deficit hypothesis” ( Wolf e Greig Bowers, 1999), ossia di deficit di codifica coinvolge sia aspetti fonologici che aspetti inerenti i processi di identificazione, la condizione si

Deficit nel processo di Decodifica

2) Deficit nel processo di

Comprensione

Deficit nel processo di Elaborazione

Fonologica

Deficit nel processo di RAN

configura come particolarmente disadattiva ed impegnativa in termini didattici. Questi studi suffragano l’ipotesi, ripetutamente proposta negli ultimi anni, secondo cui i disturbi di lettura sono imputabili, almeno in alcuni casi, ad un deficit della capacità di automatizzare un compito (Wolf e Bowers, 1999). Il Precision teaching si propone quindi come strumento ideale per implementare una prestazione accurata (corretta) ma che manca di fluenza (lenta).

4.SCRITTURA

La scrittura è la rappresentazione grafica della lingua per mezzo di lettere o altri segni (grafemi). Nella maggior parte delle civiltà letterate, i bambini cominciano a scrivere attorno ai 6 anni, cioè molto dopo aver iniziato a parlare, camminare o perfino a suonare uno strumento musicale (Van Galen, 1991). Diversamente dall’idea, diffusa, che imparare a scrivere sia relativamente semplice, la scrittura costituisce un apprendimento complesso che dipende dalla maturazione e dall’integrazione di numerose competenze appartenenti ad ambiti funzionali distinti, quali le capacità visive, motorie, visuomotorie e linguistiche (Blason, Borean, Bravar e Zoia, 2004; Bonny, 1992; Reisman, 1993). Se il problema della povertà nell’abilità di lettura al giorno d’oggi è molto avvertito, quello relativo alle carenze nell’abilità di scrittura è invece misconosciuto (Garcia, Meyer, Walsh, 2002). L’idea che l’apprendimento della scrittura sia un aspetto complementare all’acquisizione delle abilità strumentali di lettura rappresenta un assioma che ha guidato gran parte della ricerca italiana dell’ultimo ventennio (Vio e Tressoldi, 1998; De Beni et al., 2001) Lettura e scrittura sono quindi abilità strettamente interdipendenti. Studi hanno dimostrato che i buoni lettori sono

anche buoni scrittori, e i cattivi scrittori sono anche cattivi lettori (Lenski, Wham, Johns, 1999). La scrittura (handwriting) in realtà si configura come una capacità di base fondamentale (tool skill) per ogni materia scolastica (Farris, 1991; Phelps, Stempel e Speck, 1985; Tseng e Hsueh, 1997; Scardamalia et al., 1982); pertanto eventuali problemi di scrittura presentati dovrebbero essere rimediati il prima possibile onde evitare curricula scolastici disastrosi (Huges, Morea e Williams, 2004). Molti allievi presentano scarse abilità di scrittura come conseguenza di varie condizioni educative e socioeconomiche. I ricercatori hanno indicato che i problemi possibili comprendono la mancanza di motivazione dell'allievo verso scrittura (Kear, Coffman, McKenna e Ambrosia, 2000), standard statali troppo elevati (Taylor e Adelman, 1999) e valutazioni carenti ed inefficaci (Wolf e White, 2000; Johns and Lenski, 2000). Altre cause possono essere una mancanza di abilità di base (Townsend e Fu, 1999), differenze di lingua e valoriali in ambito domestico e scolastico (Manzo, 1999). Lo sforzo cognitivo necessario all’acquisizione di tale abilità si fa manifesto proprio nei casi in cui l’apprendimento si mostra lacunoso e non permette al bambino di rispondere in modo adeguato alle richieste che la scuola gli pone (De Beni, Cisotto e Carretti, 2001). In questi ultimi 25 anni l’insegnamento della scrittura nella scuola elementare ha compiuto passi da gigante (Johns and Lenski, 2000) grazie al numero sempre crescente di ricerche condotte sul processo di scrittura. La valutazione obiettiva delle abilità di scrittura è un passo che inevitabilmente ed obbligatoriamente deve precede ogni

trattamento volto all’incremento di tale abilità. Tale valutazione non può che iniziare dai prerequisiti per una scrittura fluente, intendendo per prerequisito le competenze cognitive e motorie che partecipano all’apprendimento di una abilità complessa come la scrittura. Sono diversi i testi che hanno dedicato spazio a questo argomento (Fratelli, 1995; Giovanardi Rossi e Malaguti, 1994; Tretti, Terreni e Corcella, 2002), così come è possibile trovare materiale didattico pratico costruito proprio per aiutare il bambino a maturare tali competenze. Si tratta di materiale “carta e matita”, come ad esempio le schede PRCR-2 realizzate da Cornoldi e il gruppo MT (1992) e di programmi computerizzati, come, ad esempio, Analisi visiva dei grafemi (Riccardi, Ripamonti e Crip, 2003).

Tra i prerequisiti alla scrittura possiamo annoverare 4 differenti tipologie di abilità (Blason, Borean, Bravar e Zoia, 2004):

Abilità fonologiche: scrivere richiede primariamente la capacità di scomporre una parola nei suoi fonemi distintivi, ordinati nel tempo.

Abilità visuopercettive: rientrano in questa categoria una serie di abilità più specifiche quali la discriminazione visiva (l’abilità di distinguere una configurazione visiva da un’altra), il completamento visivo (l’abilità di percepire una configurazione intera quando ne viene mostrata solo una parte) e la percezione dei rapporti spaziali. Una volta compreso il legame esistente tra linguaggio orale e

scrittura, il bambino si trova quindi ad affrontare il problema di memorizzare la corrispondenza tra ciascun fonema e il segno grafico che lo rappresenta. A complicare questo compito la presenza di ben 4 sistemi grafici diversi: stampatello minuscolo e maiuscolo, corsivo minuscolo e maiuscolo. Per ogni fonema esistono quindi 4 forme grafiche alternative, dette grafemi.

Abilità motorie: il bambino per riuscire a scrivere deve imparare a riprodurre graficamente i grafemi a mano. Ciò è possibile solo rispettando alcuni criteri quali l’ordine di esecuzione e la direzionalità dei tratti. Per scrivere sono necessari atti motori molto rapidi e precisi; i principali movimenti coinvolti sono (Blason, Borean, Bravar e Zoia, 2004) quelli di incisione, iscrizione e progressione. I primi due permettono di realizzare ogni singola lettera con movimenti armonici delle dita e della mano, mentre il terzo permette di progredire nella produzione di parole e frasi con movimenti di scorrimento orizzontale, che richiedono la coordinazione tra movimenti fini, avanzamento del polso, dell’avambraccio e della spalla (Benbow, 2006; Biancardi, Gorrini, Ioghà, Brunati e Cristiani, 2002). Le abilità motorie richieste nel corsivo sono ancora più complesse (Bertelli, Bilancia, Durante, Porello, Battistini e Profumo, 2001). Inoltre la scrittura necessita di un buon grado di controllo del tronco e di stabilità delle spalle . Un tronco forte e stabile e spalle stabili sono supporti fondamentale per poter eseguire quei fini e delicati movimenti necessari alla scrittura. Se il

bambino appoggia le braccia o il corpo al tavolo e la testa su una mano, questi sono i segni di un debole controllo del tronco.

Abilità visuospaziali: la conoscenza dei grafemi e dei movimenti necessari per riprodurli costituisce, però, solamente una parte degli apprendimenti necessari alla costruzione della scrittura. Il bambino infatti nello scrivere deve rispettare delle regole riguardanti: la dimensione e le proporzioni delle lettere, gli spazi, le distanze tra le lettere e tra le parole e le zone all’interno della pagina che possono essere occupate o meno dalla scrittura. La qualità del prodotto scritto è legata anche al rispetto di tali convenzioni (Hamstra-Bletz e Blote, 1993).

Il Precision Teaching è in grado di aiutare gli studenti a raggiungere la padronanza degli aspetti meccanici della scrittura (Freeman e Haughton, 1993): rende i bambini capaci di scrivere lettere e numeri, rapidamente e correttamente, porta alla riduzione del tempo necessario per svolgere i compiti e ad un miglioramento in compiti più complessi (Cavallini, Fontanesi e Perini, 2007). La mancanza di fluenza negli aspetti meccanici della scrittura implica infatti difficoltà nella composizione di temi, fatica nel rispondere in modo esauriente a questionari di verifica e persino problemi nell’esecuzione di operazioni matematiche (Bashore e McLaughlin, 1995). Se le risorse attentive e cognitive sono concentrate sulla formazione delle lettere e sulla loro sequenza, non possono essere dedicate alla pianificazione del pensiero e alla generazione di testi (Binder,

Haughton e Van Eyk, 1990; Cavallini, 2006). Negli ultimi anni si è assistito ad uno spostamento dell’attenzione dalla scrittura intesa come prodotto, alla scrittura intesa come processo (Cavallini, Fontanesi e Perini, 2007); il focus dell’attenzione è passato infatti dall’aspetto puramente meccanico della produzione di segni grafici, al processo cognitivo implicato nella pianificazione, generazione e revisione di testi. In questa ottica Haughton (1993) ritiene che l’applicazione del precision teaching all’handwriting comporti la definizione di una serie di aims da raggiungere per arrivare ad emettere una scrittura fluente. Tali aims vanno dalla capacità di tracciare 300 simboli lineari al minuto, all’abilità di scrivere, in maniera indipendente, 120 lettere (all’interno di frasi) al minuto. La procedura di valutazione delle abilità di scrittura ci dirà se l’intervento di rieducazione dovrà iniziare dal livello dei segni, piuttosto che dalla postura o dalla prensione della penna. Se queste abilità sono carenti l’intervento dovrà obbligatoriamente iniziare da qui, se invece sono già sufficientemente sviluppate si prosegue valutando la fluenza nelle lettere, nelle parole e nelle frasi. In particolare, per la valutazione della formazione delle singole lettere si dovrebbe chiedere al bambino di scrivere, senza tempo, le lettere dell’alfabeto sia in stampatello che in corsivo, in questo modo possiamo capire quali lettere necessitano del lavoro sulla fluenza; infine, la valutazione prevede la copiatura di un breve brano che contenga tutte le lettere dell’alfabeto. E’ importante valutare l’accuratezza delle singole lettere e il tempo impiegato per terminare il lavoro di copying, perché

questi saranno gli stessi aspetti da verificare al termine del trattamento tramite precision teaching.

5. MATEMATICA

La mancanza di successo in matematica degli scolari negli ultimi anni ha destato forte preoccupazione negli educatori (Bateman, 1995; Flockton e Crooks, 1998; Stein, Silbert e Carnine, 1997). I fattori extra scolastici ritenuti possibile causa di tali deficit sono molteplici tra cui (Berlin e Sum, 1988): esperienze prescolastiche carenti, basso livello linguistico e deprivata condizione socioeconomica e culturale. Tra i fattori didattici individuati casualmente connessi alla formazione di una buona competenza matematica sono annoverabili: l’identificazione puntuale delle abilità prerequisite (Carnine, 1980), la chiarezza delle istruzioni (Carnine, Jitendra e Silbert, 1997; Silbert, Carnine e Stein, 1981), la selezione degli esempi (Trafton, 1984) e l’opportunità di raggiungere la fluenza nelle nuove abilità apprese (Lindsley, 1992). Un metodo facilmente realizzabile nelle aule scolastiche e redditizio, in termini di tempi e costi, per l’insegnamento delle abilità matematiche esiste ed, ancora una volta, si tratta del precision teaching (White, 2007). Gli elementi che il PT porta implementa al curricula sono (Chiesa e Robertson, 2000): l’analisi dell’abilità matematica “composta” e delle relative abilità “componenti”, l’addestramento alla fluenza, l’uso della

SCC e l’individuazione di materiali didattici adatti. La sviluppo delle abilità prerequisite e della accuratezza permette ai bambini di progredire in termini di abilità matematica (White, 2007). Haughton (1972, citato da Binder, 1996), ad esempio, trovò che gli allievi che non potevano leggere e scrivere le cifre ad una frequenza di circa 100 al minuto, non potevano progredire nella padronanza dell'aritmetica. McDowell e Keenan (2001) hanno dimostrato come le difficoltà nell’apprendimento delle abilità didattiche, inclusa la matematica, siano spesso dovute proprio alla mancanza di padronanza e fluenza dei prerequisiti. Inoltre esiste una correlazione significativa tra le diverse abilità curriculari come, ad esempio, tra scrittura e matematica: bambini con difficoltà nella scrittura facilmente presenteranno deficit anche nelle abilità matematiche (Eaton e Hansin, 1978, citati in Mercer, Mercer e Evans, 2000).Gli studi che si sono riproposti di sondare l’efficacia del Precision Teaching nell’incrementare le abilità matematiche e nel ridurre il gap creato dai metodi didattici tradizionali sono molteplici: Chiesa e Robertson (2000); White (2007); Johnson e Layng (1994); Le Grige, Bonny, Mabin, Tony, Graham e Sue (1999); Concari (2007); Lin e Kubina (2005).I risultati di tali studi dimostrano definitivamente l’efficacia del PT nell’incrementare la fluenza nelle abilità matematiche e la facilità di una sua implementazione in ambito scolastico (White, 2007).Questi studi forniscono conferma all’ipotesi che vede il Precision Teaching come un efficace metodo di costruzione delle abilità curriculari che può determinare rapidi miglioramenti negli

allievi; è pertanto auspicabile un inserimento di tale metodologia nelle scuole in quanto tutti gli allievi ne trarrebbero beneficio e non solo, come spesso si pensa, coloro i quali presentino deficit (Cheisa and Robertson, 2000).

CAPITOLO III

CONTRIBUTI METODOLOGICI

1. DISEGNI SPERIMENTALI A SOGGETTO SINGOLO

La ricerca sperimentale in ambito educativo può essere definita come il

tentativo di controllare in maniera rigorosa gli effetti delle innovazioni

educative (Bondioli e Ferrari, 2004). E’ una scienza che mira a

sottoporre a controllo sistematico l’intervento educativo e la sua efficacia

utilizzando procedure sperimentali (Bondioli, 2006). Essa si colloca tra

(Bondioli e Ferrari, 2004): la ricerca descrittivo-ricognitiva (indagine sul

campo di fenomeni educativi concreti) e la prassi innovativa

(innovazione) definita come “ogni trasformazione apportata

intenzionalmente e sistematicamente ad un sistema educativo in vista di

rivedere gli obiettivi di tale sistema o di conseguire in maniera migliore gli

obiettivi già assegnati” (De Landsheere, 1985). L’ esperimento è la più

efficace metodologia di ricerca quando si tratta di controllare gli effetti di

un intervento in campo educativo e quando sia possibile esercitare un

certo controllo sulla situazione in cui ha luogo la ricerca (Bondioli e

Ferrari, 2004). Il piano di esecuzione dell’esperimento, architettato in

modo tale da neutralizzare in anticipo le variabili che possono mettere a

rischio la sia validità interna ed esterna, viene definito disegno

sperimentale. Pertanto con disegno sperimentale (o piano sperimentale)

si intende un piano metodologico particolareggiato che indica le ipotesi

della ricerca, le variabili dipendenti ed indipendenti utilizzate, il soggetto,

le fasi sperimentali, il materiale e la procedura utilizzati, i parametri di

misura e le modalità di analisi dei dati (Truzoli e Hurle, 2000), con lo

scopo di ridurre o eliminare il rischio di ipotesi alternative che minacciano

la validità delle conclusioni della propria indagine (Visalberghi, Corda

Costa e Vertecchi, 1975). Il disegno di ricerca costituisce l'ossatura

stessa di un'indagine empirica e fonda l'affidabilità dei risultati (Pedon,

1995). In genere, i piani di ricerca vengono distinti in disegni pre-

sperimentali, sperimentali e quasi-sperimentali. I pre-esperimenti

consistono in disegni molto maneggevoli utilizzati esclusivamente per fini

esplorativi. I veri esperimenti consentono allo studioso di avere un

controllo completo su tutte le variabili della ricerca. Per questo alto livello

di controllo, il loro grado di costrizione è molto elevato. I quasi-

esperimenti, invece, non controllano tutte le condizioni, perché i soggetti

possono essere sottoposti ai vari trattamenti sperimentali solo in ragione

di raggruppamenti già costituiti. Un tipo particolare di disegno quasi-

sperimentale è divenuto negli ultimi anni molto popolare e sempre più

ritenuto una accettabile soluzione per condurre ricerche in ambito

didattico, e non solo (Barger-Anderson, Domaracki, Kearney-Vakulick e

Kubina, 2004; Birnbrauer, Peterson e Solnick, 1974; Gay e Airasian,

2000; Neuman e McCormick, 1995; Richards, Taylor, Ramasamy e

Richards, 1999) anche se in Italia tende ad essere sotto-utilizzato

(Caracciolo, 1986): il disegno sperimentale a soggetto singolo. La ricerca

su singoli soggetti possiede una lunga tradizione, che risale addirittura a

Gustav Fechner (1801-1887), ed è normalmente utilizzata per valutare

gli effetti di uno o più trattamenti su di una singola entità osservata

ripetutamente prima, durante e dopo la manipolazione di una o più

variabili indipendenti (Onghena e Van den Noortgate, 2007). In ambito

didattico i disegni a soggetto singolo offrono la preziosa opportunità agli

insegnanti di condurre ricerche in ambito scolastico, ambito nel quale

disegni sperimentali su gruppi sono difficilmente pianificabili per motivi

pratici e strutturali (Wolery e Gast, 2000; Gay e Airasian, 2000). Tale

metodologia di ricerca consente altresì (McBurney, 2001; Perini e Rollo,

1996):

maggior precisione nella valutazione della prestazione individuale rispetto a modalità che la inferiscono dalle medie del gruppo; ogni volta che si considera una media dei dati per molti soggetti vi è la possibilità che il quadro generale dia una rappresentazione distorta del comportamento dei singoli individui.

gode di maggior flessibilità sul piano sperimentale: gli esperimenti che coinvolgono gruppi presuppongono medesime esperienze per ogni individuo cosicché sia possibile la comparazione; questo fa sì che il disegno non possa essere modificato istantaneamente in modo differenziale per un individuo, in termini di antecedenti o conseguenze, cosa possibile, invece, nei disegni a soggetto singolo.

mette in maggiore evidenza gli effetti principali di un intervento per il maggior controllo esercitato sulle cause della variabilità del comportamento; è meno probabile scoprire l’effetto di una variabile poco importante e lo sperimentatore non è pertanto distratto da effetti poco appariscenti.

Per contro tali disegni non sono in grado di evidenziare effetti sperimentali tipicamente intersoggettivi e richiedono, a livello metodologico, il rispetto di specifiche condizioni, che garantiscano un rigoroso controllo delle fonti di variabilità (Larcan, Oliva e Cuzzocrea, 2005).

Questo rigore metodologico viene raggiunto grazie all’utilizzo di due forme di controllo (McBurney, 2001): 1. Controllo preventivo, che comprende:

a) la costanza del setting sperimentale; b) l’accuratezza delle osservazioni;

c) l’introduzione di una variabile indipendente per volta; d) l’alternanza delle fasi sperimentali.

2. Controllo a posteriori, che si concretizza tramite l’analisi statistica dei dati in serie temporali.

Se, il controllo preventivo, serve per non creare confusione nella relazione causa-effetto tra le variabili, quello a posteriori garantisce la generalizzabilità dei risultati.l disegno sperimentale a soggetto singolo maggiormente utilizzato nella ricerca-intervento in ambito didattico, coadiuvata dalla metodologia del Precision teaching, è sicuramente il disegno “con linee di base multiple” (Kucera e Axelrod, 1995; Van den Noortgate e Onghena, 2007; Barger-Anderson, Domaracki, Kearney-Vakulick e Kubina, 2004). A conferma di tale tendenza una analisi condotta da Swanson e Sachse-Lee (2000) ha rilevato che su 85 studi a soggetto singolo ben il 62% era condotto tramite disegno con basi multiple; gli autori ritengono che ciò sia dovuto alla flessibilità superiore che questo specifico disegno offre in un contesto scolastico.Il disegno con linee di base multiple consiste sostanzialmente nell’introdurre il trattamento in tempi diversi per ciascuno dei diversi comportamenti, al fine di vedere se l’insorgenza della modificazione del comportamento coincida con il trattamento stesso. Le linee di base separate possono essere (Barger-Anderson, Domaracki, Kearney-Vakulick e Kubina, 2004; Cooper, Heron e Heward, 1987; Gay, 1987; Gay e Airasian,

2000; Hersen e Barlow, 1984; Kazdin e Kopel, 1975; McReynold e Keams, 1983; Neuman e McCormick, 1995): comportamenti diversi nello stesso individuo, gli stessi comportamenti in individui diversi oppure lo stesso comportamento nello stesso individuo ma in situazioni diverse. E’ un disegno solitamente utilizzato quando non è possibile, o desiderabile, per i soggetti un ritorno alla condizione originaria di baseline (Hersen e Barlow, 1984; Gay 1987; Gay e Airasian, 2000; McReynolds e Kearns, 1983). I disegni a soggetto singolo con linee di base multiple, nonostante la flessibilità e l’estrema utilità applicativa nel campo didattico, devono comunque rispettare e garantire standard scientifici quali (Barger-Anderson, Domaracki, Kearney-Vakulick e Kubina, 2004):

Validità: quando i cambiamenti che accadono sono attribuibili agli effetti causati dell’introduzione della variabile indipendente lo studio ha validità interna (Poling & Grossett, 1986). La validità esterna si riferisce al grado al quale i risultati di uno studio possono essere generalizzati ad altri individui o ad altre situazioni (Gay e Airasian, 2000).

Controllo: “la diretta manipolazione di almeno una variabile indipendente da parte del ricercatore è la caratteristica principale che differenzia la ricerca sperimentale da altri tipi di ricerca. Il controllo si riferisce alla costante tendenza del ricercatore all’eliminazione di qualunque variabile estranea (esclusa la variabile indipendente) che potrebbe portare modifiche alla variabile dipendente” (Gay e Airasian, 2000).

Replicabilità: la replicazione è importante in tutti i settori scientifici in due sensi: in primo luogo, per stabilire l’affidabilità dei risultati precedenti ed in secondo luogo, per determinare la possibilità di generalizzare i risultati a differenti soggetti ed ambiti (Hersen e Barlow, 1976).

Relazione causale: la ricerca sperimentale è l’unica forma di ricerca che può stabilire la presenza di relazioni di causa-effetto (Creswell, 1994; Gay e Airasian, 2000).

Presupposti etici: eticamente il disegno a basi multiple è impeccabile in quanto non preveder alcun ritiro di trattamento.

Grazie anche alla facilità di una loro implementazione in setting scolastico i disegni sperimentali a soggetto singolo rappresentano importanti strumenti che la ricerca ha messo nelle mani degli insegnanti (Good, 2000). A fronte delle molteplici tipologie di disegni di ricerca a soggetto singolo impiegabili (Bimbrauer et al, 1974; Gay, 1987; Gay e Airasian, 2000; Neuman e McCormick, 1995), ed accomodabili alle varie e molteplici strategie didattiche (Swanson e Sachse-Lee, 2000), il disegno con linee di base multiple si è dimostrato il maggiormente efficace in ambito didattico (Barger-Anderson, Domaracki, Kearney-Vakulick e Kubina, 2004).

CAPITOLO IV

ANALISI

1.ANALISI GRAFICA

E’ stata ampiamente evidenziata l’utilità, per l’insegnante, di una impostazione scientifica della sua attività didattica, non soltanto per garantire una maggiore oggettività alla valutazione, ma anche per poter usufruire di tempestivi feedback sul proprio operato e, soprattutto, per avere un monitoraggio costante e attendibile dei progressi o delle eventuali difficoltà dei propri allievi (Larcan e Cuzzocrea, 2006). In un insegnamento non sorretto da una corretta impostazione metodologica, i rischi di errore sono molto elevati (Larcan, Oliva e Cuzzocrea, 2005). Pertanto misurare costantemente il comportamento, provvedere ad una descrizione sistematica delle condizioni entro le quali il comportamento è stato monitorato e valutare correttamente gli eventuali cambiamenti (Michael, 1974) sono condizioni sine qua non di una impostazione scientifica dell’attività didattica. Questa sequenza

di operazioni consente agli insegnanti di individuare ed isolare i fattori che condizionano certi comportamenti degli studenti e il loro processo di apprendimento. Spesso però la mole dei dati raccolti è tale da non consentire una immediata lettura. Si rende necessaria, perciò, una sintesi che ne faciliti la descrizione e l’interpretazione (Larcan, Oliva e Cuzzocrea, 2005). Il passaggio più semplice e più opportuno consiste quindi nella costruzione di un grafico e nella successiva analisi visiva dei dati riportati. Esistono ormai numerosi software di facile utilizzo, come ad esempio il programma Excel di Office, che, dopo che sono stati inseriti opportunamente i dati, con un semplice click, li riproduce graficamente in qualsiasi forma si desideri (istogramma, grafico lineare o a torta, ecc). La sintesi grafica, come è noto a qualsiasi ricercatore, facilita notevolmente la valutazione dei risultati, in quanto consente un’immediata individuazione della relazione fra la variabile indipendente (nel nostro caso l’intervento didattico) e la variabile dipendente (effetti sull’allievo o sulla classe), e soprattutto rende più attendibili e condivisibili le decisioni, le valutazioni e le conclusioni cui si perviene (Larcan, Oliva e Cuzzocrea, 2005). Per questi motivi l’analisi di tipo grafico è la procedura predominante di analisi nei disegni sperimentali a soggetto singolo (Kratochwill e Brody, 1978; Busk e Marascuilo, 1992; Baer, 1977; Michael, 1974; Parsonson e Baer, 1978, 1986). Tra l’altro, i grafici non solo hanno il grosso pregio di dare un senso ai numeri, ma possono essere considerati, come affermano Wainer e Velleman (2001), espressione di un “linguaggio universale”. La capacità comunicativa di un grafico

è proporzionale alla chiarezza, semplicità e accuratezza con cui fornisce le informazioni al lettore (Parsonson e Baer, 1986). Gli elementi fondamentali su cui è opportuno focalizzare l’attenzione quando si procede ad una analisi visiva dei dati sono (Neauman e McCormick, 1995; Larcan, Oliva e Cuzzocrea, 2005):

la lunghezza di ciascuna condizione, ovvero il numero dei punti segnati entro una condizione: è sempre preferibile prevedere almeno tre sessioni di osservazione distinte, possibilmente consecutive, per assicurarsi la possibilità di verificare il livello di stabilità e il trend dei dati.

il livello di stabilità e il cambiamento di livello entro e tra le condizioni quando l’intervento viene interrotto o modificato: verificare il livello di stabilità è rilevante soprattutto quando si analizzano i dati relativi al base-line e alle fasi di controllo (sospensione dell’intervento, follow-up), mentre, ovviamente, ci si aspetta che nelle fasi di intervento i dati esprimano un andamento (crescente o decrescente) prima di stabilizzarsi.

la direzione e la stabilità del trend: osservando un grafico lineare, l’inclinazione della curva ci indicherà l’esistenza o meno di un trend. In particolare, si può verificare un trend crescente (aumento dei valori delle ordinate nel tempo), o un trend decrescente (diminuzione dei valori delle ordinate nel tempo).

i cambiamenti di trend entro e tra le condizioni

la latenza del cambiamento in seguito ad una modificazione nelle condizioni di rilevazione.

Ciò nonostante le critiche ad una analisi grafica dei risultati provengono da molteplici fronti: scarso accordo tra analisi grafica ed analisi statistica (Normand e Bailey, 2006; Ottenbacher, 1990), scarsa accuratezza (Richards, Taylor e Ramasamy, 1997), eccessiva influenza di valutazioni soggettive (Matyas e Greenwood, 1990) e dipendenza dal livello di preparazione del valutatore e dalla pendenza di celerazione (Tindal e Deno, 1983; Harbst et al., 1991). Tali conclusioni sono tuttavia criticabili in quanto risultato di un approccio idiosincratico all’analisi dei dati che non tiene conto del contesto reale in cui tali dati sono inseriti e della complessità del processo decisionale basato sulla analisi grafica (Furlong e Wampold, 1982; Rojahn e Schulze, 1985; Atkisson, Wampold e Furlong, 1981). Per contro molti studi hanno invece beneficiato di tale tipologia di analisi, considerandola maggiormente efficace ed efficiente, seppur non sostitutiva, di una analisi statistica: Al-Hilawani, 2003; Lockhart e Law, 1994; Thomas, 2004; Anderson-Butcher, Newsome e Nay, 2003.Dobbiamo sempre e comunque ricordare l’eminente finalità pragmatica, con cui analizziamo le differenti tipologie di analisi dei risultati, della nostra ricerca: la valutazione qualitativa positiva espressa in relazione all’analisi grafica è da riferirsi principalmente ad un contesto scolastico nel quale, per motivi

logistici e pratici, sarebbe impensabile procedere con una analisi statistica quotidiana dei progressi. Tra le molteplici tipologie di rappresentazione grafica, i grafici di tipo lineare sono forse quelli più conosciuti e utilizzati, anche se, come sostengono alcuni studiosi, non sempre consentono al lettore di interpretare con facilità i cambiamenti di livello e di trend, tra una fase e quella successiva, dei dati che rappresentano (Morales, Dominguez e Jurado, 2001). Ciò nonostante è indubbio che tale modalità grafica presenta numerosi vantaggi: è semplice da costruire e permette all’insegnante-ricercatore di valutare l’effetto di un intervento sulla variabile osservata, facilitando così la sua decisione di mantenere o modificare il tipo di attività intrapresa (Larcan, Oliva e Cuzzocrea, 2005).

2.STANDARD CELERATION CHART

Uno strumento grafico specifico, assimilabile alle rappresentazioni lineari di cui sopra, è particolarmente noto ed utilizzato da coloro i quali fanno propria la metodologia del Precision Teaching: la Standard Celeration Chart. Sviluppata per la prima volta nel 1965 da Lindsley, prese inizialmente il nome di Standard Behaviour Chart; l’utilizzo di questo utile strumento grafico riduce enormemente il tempo impiegato dagli insegnanti per lo scambio di informazioni relative alle frequenze di comportamento dei loro allievi: invece di 20-30 minuti, necessari quando venivano utilizzate scale con unità di misura differenti, con l’ausilio della SCC bastano anche solo 2 o 3 minuti (Lindsley, 1971). Dalla nascita ai giorni nostri gli studi che si sono avvalsi dell’ausilio di tale strumento sono numerosi e fanno riferimento a svariati ambiti di ricerca: movimento fetale (Calkin, 1983), emozioni (Cobane e Keenan, 2002; Kostewicz, Kubina e Cooper, 2000; Kubina, Haertel e Cooper, 1994), attività sportiva (McGreevy, 1983), scrittura (Albrecht, 1981), matematica (Stromberg e Chappell, 1990), anatomia (Miller e Calkin, 1980), dipendenza da sostanze (Abba e McLaughlin, 1995), lettura (Malanga, 2003; Sweeney, Sweeney e Malanga, 2001) e risposte a domande (Zambolin, Fabrizio e Isley, 2004).

Tale tabella grafica è definita standard in quanto descrive sempre il tasso di cambiamento senza riferimento alla frequenza iniziale del comportamento (Calkin, 2005; Kubina, Eshleman e Morgenstern, 2000).

Sull’asse delle ascisse abbiamo quella che viene comunemente definita “day lines”:

Tale scala lineare consente una registrazione del comportamento momento per momento, per un tempo massimo di 140 giorni.

Sempre sull’asse delle ascisse, ma nella parte superiore del grafico, sono presenti le “calendar coordination”:

Consistono in caselle in cui bisogna indicare la data di ogni domenica partendo da quella immediatamente precedente l’inizio del trattamento.

Sull’asse delle ordinate abbiamo quella che comunemente viene definita “frequency lines”:

Tale scala, a differenza della “day lines” è di natura logaritmica; tale scelta fu operata per due ordine di motivi:

consente di registrare una gamma vastissima di frequenze di comportamento in un unico grafico: si può infatti

spaziare da una frequenza di 1000 comportamenti al minuto, a una frequenza di un comportamento al giorno (Lindsley, 1992).

Lindsley e i suoi collaboratori si accorsero l’utilizzo di una scala logaritmica trasformava le curve d’apprendimento in trend proiettabili in linee rette, consentendo così il calcolo della celerazione, misura che quantifica l’indice di cambiamento di una frequenza (Koenig, 1972; Tukey,1977). Questo consente di visualizzare in modo chiaro sia i cambiamenti nell’andamento della performance (“frequencies”), grazie alla rappresentazione delle risposte corrette e degli errori, sia i cambiamenti nella velocità di apprendimento (“celerations”) (Lindsley, 1996). L’immagine dell’apprendimento (learning picture) quindi si sviluppa dall’incontro tra ascissa ed ordinata, lungo le quali sono collocati il tempo e la frequenza.

Lo spazio al di sotto della Standard Celeration Chart aiuta a identificare le persone che lavorano al programma e i comportamenti bersaglio da modificare. Le specifiche informazioni, riservate a questo spazio, di cui la chart è provvista, possono essere diverse a seconda della versione della chart stessa, ma fondamentalmente includono:Performer: il nome della persona il cui comportamento è misurato.Counted: in questo spazio viene descritto il comportamento bersaglio

dell’intervento utilizzando i canali di apprendimento coinvolti e il tipo di compito.

Supervisor: chi supervisiona il lavoro, una volta al mese, se non c’è

nessuno che assolve questa funzione si può barrare lo spazio.Advisor: la persona che da un supporto specifico al manager del

programma, una volta alla settimana, se non c’è nessuno che

assolve questa funzione si può barrare lo spazio.Manager: la persona che giornalmente lavora sul comportamento, un maestro è spesso un manager. Se nessuno oltre a che emette il comportamento ha contatto con la chart si può barrare anche questo spazio.Timer: la persona che prende il tempo.Counter: la persona che conta.Charter: la persona che inserisce i dati sulla chart (In molti casi timer, counter e charter sono la stessa persona).

Per “chartare” qualunque comportamento si utilizzano 3 tipologie di simboli:

• comportamenti corretti X errori

- tempo di conteggio

ES.

Ai fini dell’utilizzo come strumento di analisi grafica la SCC risulta particolarmente utile in quanto è in grado di esprimere l’indice di apprendimento in modo molto intuitivo: esso è rappresentato dalla pendenza della linea che meglio sia adatta alla distribuzione dei valori registrati. Inoltre ogni SCC è stata costruita in modo tale che la linea tracciata a partire dall’angolo in basso a sinistra sino a quella in alto a destra, rappresenti un raddoppio, settimanale, nelle frequenze di emissione dei comportamenti (Abigail, 2005). L’incontro tra ascissa ed ordinata, lungo le quali sono collocate rispettivamente il tempo e la frequenza, specifica la distintiva immagine di apprendimento e questa permette di rendere immediatamente visibile all’occhio di qualunque osservatore l’andamento del progresso individuale nel tempo, grazie all’impiego di un linguaggio grafico semplice e diretto (Lindsley, 2001). Tale rappresentazione grafica del trend di apprendimento consente una valutazione quotidiana dell’efficacia del trattamento e degli eventuali cambiamenti apportati (Michael, 1974) andando a

Giorno: Giovedì

24 risposte corrette

4 errori

In 1 minuto

conferire un’impostazione scientifica all’attività didattica ritenuta sempre più caratteristica imprescindibile (No Child Left Behind, 2002).

Per concludere questo breve excursus sull’utilità, per l’insegnante-ricercatore, di rappresentare graficamente i dati ottenuti nel corso delle sue rilevazioni, corre l’obbligo di ricordare che, se l’analisi grafica è certamente un modo oggettivo ed utile per descrivere e valutare criticamente il proprio lavoro, sul piano scientifico il lavoro del ricercatore solitamente non finisce qui. All’analisi visiva segue solitamente un approfondito esame che fa ricorso a procedure di tipo statistico che indicano con sufficiente precisione la significatività e il livello di generalizzabilità dei risultati ottenuti (Larcan, Oliva e Cuzzocrea, 2005); tale esame dovrebbe obbligatoriamente essere implementato in almeno 3 casi: quando la baseline non è stabile, quando gli effetti del trattamento non sono prevedibili e quando agiamo in ambienti naturali in cui agiscono fattori non controllabili o prevedibili (Kazdin, 1982).

CAPITOLO V

CONTRIBUTI SPERIMENTALI: PARTE PRIMA

“N”

1. SOGGETTO: “N”

Il soggetto della ricerca è un bambino di 10 anni, che indicheremo con la sigla N. Il pre-test, effettuato mediante test criteriali (CBM, Deno, 1985) in data 01/04/2008, evidenzia ritardo nello sviluppo delle abilità di lettura e scrittura. Nello specifico N. evidenzia gravi difficoltà di apprendimento, sottolineate sia dalle insegnanti che dalle valutazioni preliminari, unite ad una situazione famigliare e sociale decisamente svantaggiata che ha ritardato l’intervento di riabilitazione. La ricerca, della durata complessiva di 2 mesi, si è svolta presso la scuola elementare statale D’Annunzio di Salsomaggiore Terme (PR), nei giorni martedì (h.8-12), mercoledì (h.14-17) e giovedì (h.8-12), sulla base di un progetto concordato con la Preside, le insegnanti, i famigliari e supervisionato dall’Università degli Studi di Parma in veste della Dott.ssa Cavallini e della Dott.ssa Perini. Il disegno sperimentale è stato programmato e condotto secondo un piano sperimentale a soggetto singolo ABA (Kazdin, 1998).

N. arriva a Salsomagiore a Gennaio, causa trasferimento famigliare da Portici (NA), viene inserito in classe quarta, nonostante la mancanza di documentazione inerente l’anno accademico precedentemente svolto a Portici, ma presenta da subito difficoltà nella lingua italiana parlata con una forte tendenza all’utilizzo del dialetto napoletano.

2. OBIETTIVI ed IPOTESI

L’ipotesi sperimentale dello studio consiste nel dimostrare l’efficacia del Precision Teaching, applicato ad un curriculum di lettura sub lessicale, come strumento utile per sviluppare una lettura fluente. In specifico si ipotizza che portando a fluenza le abilità di lettura sub lessicale (CV, CCV, CVC, VC, CVCV, CVCVCV, VCCV), attraverso l’utilizzo di procedure di Precision Teaching, il soggetto migliori in modo significativo la lettura di testi appropriati all’età. Tale ipotesi se confermata rappresenterebbe ulteriore riprova della veridicità di uno dei quattro indici che Johnson e Laying (1996) ritengono predittivi di fluenza: l’Application. Tale indice si riferisce all’abilità del soggetto di portare a termine nuovi compiti “compositi” dopo avere imparato le abilità “componenti” ad una certa frequenza (Binder 1996; Binder et al., 2002; Kubina e Morrison, 2000; Lin e Kubina, 2005). Nel nostro caso l’abilità “componente” è la lettura sub lessicale e quella “composta” è rappresentata dalla lettura di brani appropriati all’età di N.Altre valutazioni, meno specifiche, riguardano inoltre gli effetti positivi di una pratica frequente e personalizzata in grado di

favorire l’automonitoraggio (Linsdey, 1990; Binder, 1996; Reid, 1996; Johnson e Layng, 1992; Brent, 1977; Maag, Reid e DiGangi, 1993; Lovitt e Fantasia, 1983; Boyce e Najdowski, 2003; Kingery, 1990).La rappresentazione grafica, ottenuta tramite SCC, è infatti in grado di favorisce una sfida con sé stessi indirizzata al superarmento dell’ultimo record individuale, indipendentemente dagli altri, sviluppando e raffinando la pratica di autovalutazione. L’automonitoraggio crea vantaggi di gran lunga superiori rispetto al metodo tradizionale di valutazione perché produce un aumento significativo del tempo che i soggetti trascorrono impegnati nel compito (Reid, 1996) e permette, a ogni studente, di aggiornare le conoscenze personali sul proprio operato in modo fedele e progressivo, indicando il cambiamento della prestazione nel tempo e il livello raggiunto quel giorno (Cavallini, Fontanesi e Perini, 2007). Linsdey (1990); Binder (1996); Reid (1996); Johnson e Layng (1992); Brent (1977); Maag, Reid e DiGangi (1993); Lovitt e Fantasia (1983); Boyce e Najdowski (2003); Kingery (1990).

3.MATERIALE e METODI

Il metodo attraverso cui è stata condotta la ricerca, che rappresenta inoltre la base teorico-metodologica del processo di training stesso, consiste nella procedura di Precision Teaching. L'innovazione principale, legata alla prassi operativa, della metodologia precision teaching consiste nell'introduzione del timer, uno strumento che l'operatore imposta, prima dell'inizio della sessione, con la durata prevista per l'esercizio. Prima di attivare il conto alla rovescia, l'operatore si assicura che il soggetto sia pronto ad emettere il comportamento (ad esempio: sei pronta a leggere? Con il dito sul punto di inizio), dopo il suggerimento

verbale (pronta, attenti, via!) il discente inizia ad emettere l'operante, in questo istante viene attivato il cronometro. Durante la sessione il trainer esorta il discente a emettere il maggior numero di operanti nell’unità di tempo. Al termine della sessione, in corrispondenza del suono del timer, il soggetto è istruito a interrompere il comportamento; a questo punto vengono contate e registrate il numero di risposte corrette e scorrette prodotte dal discente durante la sessione. Durante il training è stata associata alla metodologia precision teaching una token economy: il soggetto viene premiato (mediante un token simbolico) ogni volta che supera la frequenza ottenuta nella sessione precedente. I punti raccolti vengono trasformati in economici premi o in attività gradite al discente. A livello strumentale sono stati utilizzati due tipologie differenti di materiali: fogli e flash card; entrambi hanno la funzione di potenziare la decodifica delle sillabe più frequenti nella lingua italiana (cv, vc, ccv, cvc, cvcv, cvcvcv, vccv). I fogli, che vengono creati appositamente per la sperimentazione in formato a4, contengono ciascuno un numero variabile di sillabe specifiche (nel foglio delle cv ci sono esclusivamente cv) riprodotte in stampatello minuscolo, carattere arial. Le flash card, della dimensione di cm 8 per 5, invece contengono ciascuna una sola sillaba. In questo caso sta al trainer, o al discente stesso, passare alla carta immediatamente successiva il più rapidamente possibile dopo l’emissione dell’operante da parte del discente.

4. PROCEDURA

La sperimentazione è stata pianificata e condotta secondo un disegno sperimentale a soggetto singolo ABA (Kazdin, 1998).

A: in data 01/04/2008 è stata condotta la fase di valutazione iniziale attraverso la somministrazione di test criteriali, carta matita, sulla base delle procedure del Curriculum Based Measurement (Deno, 2000). Il Curriculum Based Measurement (CBM) è un metodo per monitorare il progresso degli studenti valutando direttamente le abilità scolastiche (lettura, scrittura e calcolo). Quando si somministrano prove CBM l'insegnante da un tempo breve allo studente che esegue la prova utilizzando materiale che proviene dal suo curriculum di studi (il libro di lettura ad esempio). Le prove cbm vengono somministrate in condizioni standardizzate: l'insegnante da sempre la stessa consegna, sempre lo stesso tempo e la correzione avviene con procedure standard. La performance dell'allievo è valutata rispetto a due dimensioni: accuratezza e velocità. N. è stato sottoposto a:

1. una prova di lettura in cui l'insegnante si siede davanti all'allievo e gli chiede di leggere a voce alta per un minuto tre diversi brani appropriati all’età. I brani sono riprodotti in stampatello, carattere arial. Al termine di ogni prova l’insegnante prende nota del numero di sillabe lette; successivamente mette i risultati delle 3 prove dell’allievo in ordine crescente e seleziona il punteggio mediano.

2. una prova di lettura sub lessicale. Vengono in questa prova valutate l’abilità iniziali in relazione alla lettura di CV, VC, CCV e VCV in 3 sessioni da 15 secondi

cadauna. Le sillabe sono riprodotte in stampatello minuscolo, carattere arial. Vengono annotati, al termine di ogni sessione, il numero di sillabe lette correttamente e il numero di errori.

3. due prove di copiatura dalla lavagna. Nella prima delle due prove il discente deve copiare un brano, appropriato all’età ed estratto da una testo didattico in uso nella classe quarta, precedentemente scritto alla lavagna dall’insegnante in corsivo. La sessione è una sola della durata di 3 minuti. Al termine della sessione l’insegnante conta ed annota il numero di sillabe copiate correttamente ed il numero di errori commessi. La seconda prova è composta da sue sessioni sperimentali, da 15 secondi ognuna, le quali richiedono al discente la copiatura di una frase (“Oggi in classe ho mangiato una caramella molto buona! Peccato ne avessi solo una.”) precedentemente scritta dall’insegnante alla lavagna in corsivo. Al termine delle due sessioni l’insegnante conta e annota il numero di sillabe copiate correttamente in ognuna delle 2 prove.

4. una prova di scrittura creativa. L’insegnante legge la traccia del tema: “Un giorno lavoravo nel mio laboratorio ed ho scoperto che…”; al termine della lettura l’insegnante lascia un minuto all’allievo per pensare e successivamente 3 minuti per scrivere. Al termine della prova segue una valutazione del grado di comprensione della traccia da parte del discente e

della conseguente inerenza dell’elaborato alla traccia stessa.

B: la fase sperimentale, iniziata in data 02/04/2008, si è protratta per 2 mesi durante i quali N. ha lavorato con la procedura di Precision Teaching con una frequenza di 3 incontri settimanali, (martedì mattina, mercoledì pomeriggio e giovedì mattina) per una durata di circa 30 minuti ad incontro. Il trattamento è stato corretto ed implementato più volte in funzione dei progressi di N:

1. in data 02/04 è iniziato il training di lettura sub lessicale per le sillabe VC (Vocale-Consonante; es: al), CVCV (Consonante-Vocale-Consonante-Vocale; es: nave), CV (Consonante-Vocale; es: ta). Le sillabe sono riprodotte in stampatello minuscolo, carattere arial. Le sessioni sperimentali per ogni incontro erano 4 della durata di 15 secondi ognuna. Al termine di ogni sessione il trainer procedeva alla annotazione del numero di sillabe lette correttamente e del numero di errori. Ad ogni nuova sessione inoltre il trainer incitava il discente a battere il proprio precedente record, a ridurre il numero di errori commessi e ad una lettura il più possibile veloce. Inoltre in ogni sessione successiva l'insegnante si preoccupa di far iniziare la lettura da un punto diverso per evitare gli effetti della memorizzazione del materiale. Al termine delle 3 sessioni giornaliere, per ogni sillaba esercitata, il

trainer registrava sulla SCC la prestazione migliore con il rispettivo numero di errori.

2. in data 16/04 il trattamento, visti i progressi, ha subito l’aggiunta di sessioni sperimentali inerenti le nuove sillabe CCV (Consonante-Consonante-Vocale; es: tra) e CVC (Consonante-Vocale-Consonante; es: per). Le sillabe sono riprodotte in stampatello minuscolo, carattere arial. Anche in questo caso le sessioni erano 4 ad incontro della durata di 15 secondi ognuna. Al termine di ogni sessione il trainer procedeva alla annotazione del numero di sillabe lette correttamente ed il numero di errori. Ad ogni nuova sessione inoltre il trainer incitava il discente a battere il proprio precedente record, a ridurre il numero di errori commessi e ad una lettura il più possibile veloce. Inoltre in ogni sessione successiva l'insegnante si preoccupa di far iniziare la lettura da un punto diverso per evitare gli effetti della memorizzazione del materiale. Al termine delle 3 sessioni giornaliere, per ogni sillaba esercitata, il trainer registrava sulla SCC la prestazione migliore con il rispettivo numero di errori.

3. in data 07/05 il trattamento ha subito una ulteriore implementazione con l’aggiunte dei gruppi sillabici CVCVCV (Consonante-Vocale-Consonante-Vocale-Consonante-Vocale; es: banana) e VCCV (Vocale-Consonante-Consonante-Vocale; es: arco). Le

sillabe sono riprodotte in stampatello minuscolo, carattere arial. Anche in questo caso le sessioni erano 4 ad incontro della durata di 15 secondi ognuna. Al termine di ogni sessione il trainer procedeva alla annotazione del numero di sillabe lette correttamente ed il numero di errori. Ad ogni nuova sessione inoltre il trainer incitava il discente a battere il proprio precedente record, a ridurre il numero di errori commessi e ad una lettura il più possibile veloce. Inoltre in ogni sessione successiva l'insegnante si preoccupa di far iniziare la lettura da un punto diverso per evitare gli effetti della memorizzazione del materiale. Al termine delle 3 sessioni giornaliere, per ogni gruppo sillabico esercitato, il trainer registrava sulla SCC la prestazione migliore con il rispettivo numero di errori.

4. in data 28/05 il trattamento ha visto l’aggiunta dell’utilizzo delle flash card per tutte le sillabe ed i gruppi sillabici .

Il trattamento in iter ha altresì portato all’attenzione alcune lacune presentate da N. che hanno determinato cambiamenti ed aggiunte. Nello specifico è stato aggiunto:

1. in data 09/04 è stato aggiunto un training specifico per favorire la discriminazione di alcune sillabe che N. leggeva in modo errato. Nello specifico le sillabe ge, gi, ga, go, gu. Fino in data 22/04 il training consisteva in 4 prove

giornaliere da 20 learning units cadauna fino al raggiungimento dell’accuratezza (20 su 20 corrette). Dal 07/05 il training è passato a fluenza con le classiche 3 prove giornaliere da 15 secondi l’una utilizzando flash card. Al termine di ogni sessione il trainer procedeva alla annotazione del numero di sillabe lette correttamente ed il numero di errori. Ad ogni nuova sessione inoltre il trainer incitava il discente a battere il proprio precedente record, a ridurre il numero di errori commessi e ad una lettura il più possibile veloce. Inoltre al termine di ogni sessione il trainer mischiava casualmente le carte per evitare la memorizzazione della sequenza da parte del discente. Al termine delle 3 sessioni giornaliere, per ogni sillaba esercitata, il trainer registrava sulla SCC la prestazione migliore con il rispettivo numero di errori.

2. in data 17/04 è stato aggiunto un ulteriore training specifico per favorire la discriminazione di alcune lettere che N., in stampatello minuscolo, confondeva tra loro. Nello specifico confondeva la “b” con “d”, la “n” con la “m” e l’”r” con la “t”. L’accuratezza era già in partenza raggiunta ma la discriminazione di tali lettere impegnava eccessivamente N. non permettendo così il lavoro a fluenza. Il training di fluenza comprendeva 3 prove giornaliere da 15 secondi l’una. Al termine di ogni sessione il trainer procedeva alla annotazione del numero di sillabe lette correttamente ed il numero di errori. Ad ogni nuova sessione inoltre il trainer incitava il discente a battere il proprio precedente record, a ridurre il numero di errori

commessi e ad una lettura il più possibile veloce. Inoltre in ogni sessione successiva l'insegnante si preoccupa di far iniziare la lettura da un punto diverso per evitare gli effetti della memorizzazione del materiale. Al termine delle 3 sessioni giornaliere, per ogni sillaba esercitata, il trainer registrava sulla SCC la prestazione migliore con il rispettivo numero di errori.

C: Al termine della fase sperimentale N. è stato valutato nuovamente mediante test criteriali carta matita per confermare l’efficacia del trattamento. Nello specifico, in data 05/06/2008, sono state ri-somministrate le 4 prove derivate dal CBM, di cui sopra.

5. ANALISI DEI RISULTATI

CV: la frequenza iniziale di lettura è di 44 sillabe al minuto, la frequenza finale è di 124 sillabe al minuto; rispetto a questo task l'allievo ha svolto 68 sessioni di pratica da 15 secondi cadauna per un tempo totale di training di 17 minuti. La celeration risultante è nell’ordine del x1.2 nel periodo di trattamento compreso tra lo 02/04 e il 20/04, del x1.3 tra lo 04/05 e il 25/05 e del x1.2 dopo l’introduzione delle nuove schede. Nel corso del trattamento sono state rilevate celerazioni settimanali anche del x2.

VC: la frequenza iniziale di lettura è di 16 sillabe al minuto, la frequenza finale è di 108 sillabe al minuto; rispetto a questo task l'allievo ha svolto 68 sessioni di pratica da 15 secondi cadauna per un tempo totale di training di 17 minuti. La celeration complessiva overall è nell’ordine di x1.25.

CVCV: la frequenza iniziale di lettura è di 20 sillabe al minuto, la frequenza finale è di 72 sillabe al minuto; rispetto a questo task l'allievo ha svolto 68 sessioni di pratica da 15 secondi cadauna per un tempo totale di training di 17 minuti. La celeration risultante è nell’ordine del x1.4 nel periodo di trattamento compreso tra lo 02/04 e il 20/04, del x1.6 tra lo 04/05 e il 25/05 e del x1.2 dopo l’introduzione delle nuove schede.

CCV: la frequenza iniziale di lettura è di 28 sillabe al minuto, la frequenza finale è di 80 sillabe al minuto; rispetto a questo task l'allievo ha svolto 60 sessioni di pratica da 15 secondi cadauna per un tempo totale di training di 15 minuti. La celeration complessiva overall è nell’ordine del x1.2.

CVC: la frequenza iniziale di lettura è di 28 sillabe al minuto, la frequenza finale è di 84 sillabe al minuto; rispetto a questo task l'allievo ha svolto 60 sessioni di pratica da 15 secondi cadauna per un tempo totale di training di 15 minuti. La celeration complessiva overall è nell’ordine del x1.3.

CVCVCV: la frequenza iniziale di lettura è di 20 sillabe al minuto, la frequenza finale è di 52 sillabe al minuto; rispetto a questo task l'allievo ha svolto 48 sessioni di pratica da 15 secondi cadauna per un tempo totale di training di 12 minuti. La celeration risultante è nell’ordine del x1.5 nel periodo di trattamento compreso tra il 04/05 e il 25/05 e del x1.18 dopo l’introduzione delle nuove schede.

VCCV: la frequenza iniziale di lettura è di 32 sillabe al minuto, la frequenza finale è di 60 sillabe al minuto; rispetto a questo task l'allievo ha svolto 48 sessioni di pratica da 15 secondi cadauna per un tempo totale di training di 12 minuti. La celeration risultante è nell’ordine del x1.2 nel periodo di trattamento compreso tra il 04/05 e il 25/05 e del x1.1 dopo l’introduzione delle nuove schede.

GE-GI-GA-GU-GO: la frequenza iniziale di lettura, al termine delle 22 sessioni di training ad accuratezza, è di 64 sillabe al minuto, la frequenza finale è di 108 sillabe al minuto; rispetto a questo task l'allievo ha svolto 48 sessioni di pratica da 15 secondi cadauna per un tempo totale di training di 12 minuti. La

celeration complessiva overall è nell’ordine del x1.18 ma con celerazioni settimanali nell’ordine del x1.8.

“M”-“N”: la frequenza iniziale di lettura, al termine delle 4 sessioni di training ad accuratezza, è di 60 sillabe al minuto, la frequenza finale è di 116 sillabe al minuto; rispetto a questo

task l'allievo ha svolto 52 sessioni di pratica da 15 secondi cadauna per un tempo totale di training di 13 minuti. La celeration complessiva è nell’ordine del x1.2 con un jump down coincidente con l’introduzione delle nuove schede e relativo turn up nella settimana successiva di trattamento.

Nuove schede

“R”-“T”: la frequenza iniziale di lettura, al termine delle 4 sessioni di training ad accuratezza, è di 72 sillabe al minuto, la frequenza finale è di 120 sillabe al minuto; rispetto a questo task l'allievo ha svolto 52 sessioni di pratica da 15 secondi cadauna per un tempo totale di training di 13 minuti. La celeration complessiva overall è nell’ordine del x1.18 con celerazioni settimanali del x1.3 e x1.4.

“B”-“D”: la frequenza iniziale di lettura, al termine delle 4 sessioni di training ad accuratezza, è di 32 sillabe al minuto, la frequenza finale è di 108 sillabe al minuto; rispetto a questo task l'allievo ha svolto sessioni di pratica da 15 secondi cadauna per un tempo totale di training di 13 minuti. La celeration complessiva overall è nell’ordine di x1.2 associata ad una decelerazione degli errori commessi nell’ordine del :1.2.

Pre–Post con prove CBM:

Prova di lettura brano:

Nel Pre-Test, svolto in data 01/04/08, N legge, come valore mediano delle 3 prove di lettura, 21 sillabe al minuto mentre il gruppo di controllo, formato da 5 bambini extracomunitari di pari età, ne legge mediamente 110. Abbiamo utilizzato un gruppo di controllo, seppur non equivalente, in quanto unico modo soddisfacente per evitare minacce alla validità dello studio (es. recupero spontaneo, regressione statistica, effetto placebo ed effetto “Hawthorne”). Un più marcato miglioramento dei soggetti trattati, rispetto a quelli del gruppo di controllo, in uno studio così strutturato, costituirebbe una

dimostrazione più forte dell’ipotesi che il miglioramento è dovuto al trattamento e non ad incontrollati artefatti. Il disegno con gruppo di controllo non equivalente, nello specifico, si basa su due coppie di rilevazioni puntuali. Nel Post-Test, dopo i 2 mesi di training di lettura sub lessicale, N legge 62 sillabe al minuto mentre il gruppo di controllo ne legge mediamente 113.

Nel caso di N l’incremento è stato del 200%, ottenuto con un tempo totale di trattamento pari a 156 minuti, mentre nel gruppo di controllo solo del 2%.

Prova di lettura sub lessicale:

Nel caso di N gli incrementi sono rispettivamente nell’ordine del: 162.5% per le sillabe VC; 85.7% per le sillabe CV; 111.1% per le sillabe CCV; 116.6% per le sillabe VCV.Nel gruppo di controllo gli incrementi mediani sono rispettivamente del: 22.7% per le sillabe VC; 14.8% per le sillabe CV; 20% per le sillabe CCV; 29.4% per le sillabe VCV.

Prove di copiaturaNella prima delle due prove, quella da 3 minuti, N scrive correttamente nel pre-test 43 sillabe mentre nel post test 76 con un incremento del 76.7%.Nella seconda prova di copiatura, da 15 secondi, N scrive correttamente, sia nel pre-test che nel post test, 9 sillabe.

Prova di scrittura creativa

VC CCVCV VCV

N nella sessione di pre-test dimostra di non aver compreso la traccia e, pertanto, l’elaborato risulta totalmente non inerente. Nella sessione di post-test N evidenzia una comprensione maggiore della traccia che gli consente di produrre un elaborato attinente e qualitativamente sufficiente.

6. DISCUSSIONE

La ricerca, seppur nei limiti procedurali e metodologici palesati, ha dimostrato l’ efficacia della metodologia di Precision Teaching in riferimento all’ipotesi sperimentale teorizzata secondo cui portando a fluenza le abilità di lettura sub lessicale (CV, CCV, CVC, VC, CVCV, CVCVCV, VCCV) il soggetto migliori in modo significativo anche la lettura di testi appropriati all’età. “N” in soli 156 minuti di training specifico sublessicale ha dimostrato un miglioramento nel compito di lettura di brani

nell’ordine del 200%, passando da 21 sillabe lette al minuto a 61. Come previsto pertanto anche abilità non direttamente interessante dal training hanno beneficiato del trattamento, per effetto del principio di Application. Inoltre l’automonitoraggio, implementato grazie all’utilizzo della Standard Celeration Chart, ha aumentato fortemente la motivazione al lavoro di “N” ed ha attivato, nello stesso, una adattiva competitività che ha permesso sessioni di lavoro sempre più efficienti e raramente interrotte da comportamenti disaddattivi. L’incremento della fluenza di lettura ha infine determinato un considerevole miglioramento della comprensione del testo scritto da parte di “N” che ha causato, a sua volta, la nascita di un “amore per la lettura” precedentemente assente.

CAPITOLO VI

CONTRIBUTI SPERIMENTALI: PARTE SECONDA

“W”e”M”

1. SOGGETTI: “W”e”M”

I soggetti in questo caso sono due che indicheremo con le sigle W e M.W è un bambino di 10 anni di origine polacca. Arriva in Italia con i genitori ed una sorella nel agosto 2007 ed inizia regolarmente la scuola a settembre in una classe quarta. Presenta gravi difficoltà nella comprensione e nella produzione della lingua italiana parlata e scritta. La condizione familiare e socioculturale è comunque buona ed il bambino è seguito nel suo iter scolastico da genitori attenti e disponibili. Nel contesto domestico W utilizza come prima lingua il polacco.M è un bambino di 11 anni di origine marocchina. Arriva in Italia con i genitori e le due sorelle nell’estate 2007 ed inizia regolarmente la scuola a settembre in una classe quarta. Presenta difficoltà minori rispetto a W nella comprensione e nella produzione della lingua italiana specialmente se facciamo riferimento alla lingua parlata. La condizione famigliare e socioculturale è decisamente svantaggiata. Nel contesto famigliare M utilizza come unica lingua l’arabo.

2. REALTA’ DEMOGRAFICA

La crescita del fenomeno migratorio è stata particolarmente rilevante nel nostro paese come nel resto delle nazioni dell'Unione Europea. Secondo lo studio “L'integrazione scolastica dei bambini immigrati in Europa”, condotto da Eurydice, rete d'informazione sull'istruzione in Europa, nella maggior parte dei paesi dell'UE la percentuale della popolazione scolastica straniera varia dal 2,5 al 9%. Nel caso dell'Italia, il valore si attesta intorno al 4% (anno 2003). Secondo i dati pubblicati dal MIUR (Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca), nell'anno scolastico 1992-1993 nelle scuole italiane erano presenti circa 30.000 alunni stranieri, mentre nel 2002-2003 le presenze avevano superato le 280.000 unità, in termini percentuali il 3.5%. Nell'Anno 2004-2005, nelle scuole del Lazio, un alunno su 22 è straniero. A Roma, (secondo un rapporto della CARITAS dibattuto domenica 21 maggio 2006 a Piazza San Giovanni, nel corso della Festa dei Popoli ) il 10% dei 500.000 studenti tra i 3 e gli 8 anni non sono italiani: per il 59,3% europei (diquesti i comunitari sono il 49,8%), per il 15,9% asiatici, per il 15% americani e per il 9,6% africani. Da una tabella redatta dall’ufficio scolastico regionale per l’Emilia Romagna, relativa ai finanziamenti del 2005-2006 per le misure incentivanti per progetti relativi alle aree a rischio, a forte processo immigratorio e contro l'emarginazione scolastica , possiamo estrapolare questi dati:

La stima fatta da Tuttoscuola News, basandosi sui dati dell'Istat relativi alla popolazione italiana al primo gennaio 2006, dice che se attualmente l'incidenza degli alunni stranieri sulla popolazione scolastica è del 5%, tra quattro anni, stante gli attuali flussi migratori, gli alunni stranieri in prima classe alla scuola primaria saranno il 10% degli alunni. In Veneto e Emilia Romagna, l'incidenza degli alunni stranieri sarà addirittura del 16%: in queste regioni, fra quattro anni, sui banchi di prima almeno un alunno su sei sarà straniero. Inoltre un ulteriore fattore accomuna l’Italia con altri Paesi Europei: il divario costante, all’interno dei diversi ordini di scuola, tra gli esiti degli allievi di origine straniera e i nativi. Dall’osservazione dell’esito scolastico degli alunni italiani a confronto con quello degli alunni stranieri, si rileva come sia costante il minore successo scolastico degli allievi stranieri, nei diversi ordini di scuola. Questa realtà costituisce, per gli insegnanti che si trovano a

dover assolvere il difficile compito di essere «agenti» di integrazione e favorire lo sviluppo di un’adeguata educazione, un vero e proprio problema, accentuato dal fatto che le difficoltà scolastiche degli studenti stranieri appaiono spesso complesse e difficilmente interpretabili, inserendosi in un quadro di svantaggio linguistico, problemi emotivo-motivazionali, differente atteggiamento verso l’istituzione scolastica, eventuali deficit più generali. Questo quadro complesso può talora indurre erroneamente l’idea che lo studente straniero presenti difficoltà d’apprendimento e di sviluppo cognitivo molto più estese e generali di quanto esse non siano.

3. OBIETTIVO ed IPOTESI

L’ipotesi sperimentale della ricerca è la seguente: si presume che un aumento del vocabolario italiano dei bambini stranieri W e M, ottenuto grazie a metodologie di Precision Teaching, porterà ad un aumento delle interazioni iniziate dai medesimi in lingua italiana e ad una diminuzione delle interazioni iniziate a gesti. L’aumento del vocabolario è ottenuto tramite una procedura di naming che rappresenta il processo di assegnazione di un nome o una frase ad un determinato oggetto o ad una proprietà. Il livello di abilità raggiunto in tale processo ha profonde ripercussioni su molteplici altre abilità didattiche e non, oltre che sul successo scolastico dei bambini (Perfetti, 1992; LaBerge e Samuels, 1974; Samuels, 1997; Snow et al., 1998).

4. MATERIALI e METODI

A livello metodologico la ricerca è stata condotta ancora una volta con l’ausilio della procedura di Precision Teaching di cui sopra.Il materiale utilizzato è rappresentato da 4 tipologie differenti di fogli formato a4:

1. Fogli in cui sono rappresentati in modo figurativo (bianco e nero) un numero variabile di verbi (es. il verbo “correre” è rappresentato attraverso un bambino che corre).

2. Fogli in cui sono rappresentati in modo figurativo (bianco e nero) un numero variabili di sostantivi (es. cane, forchetta, libro, etc..).

3. Fogli in cui sono rappresentati in modo figurativo (bianco e nero) un numero variabile di aggettivi contrapposti (es. gli aggettivi “alto” e “basso” sono rappresentati per il tramite di due bambini l’uno alto, l’atro basso).

4. Fogli in cui sono rappresentati in modo figurativo (bianco e nero) sostantivi, aggettivi e verbi.

5. PROCEDURA

La ricerca è stata pianificata e condotta attraverso un disegno sperimentale a soggetto singolo ABA.

A: in data 01/04/2008 è stata condotta la fase di valutazione iniziale attraverso la somministrazione di un test criteriale, carta matita, sulla base delle procedure del Curriculum Based Measurement (Deno, 2000). Le prove sono le medesime 4 utilizzate anche per N (vedi sopra). In aggiunta:

in data 03/04 e 08/04, si è cercato di valutare la ricchezza di vocabolario attraverso la richiesta fatta a W e M di dire tutti gli oggetti che gli venissero in mente, appartenenti a determinate categorie discrete (es. animali, parti del corpo, oggetti che si possono trovare in cucina, etc..), in 15 secondi.

in data 03/04 si è provveduto alla valutazione iniziale inerente il numero di interazioni iniziate da W e M, in italiano e a gesti, in 5 minuti.

B: la fase sperimentale, iniziata in data 03/04/2008, si è protratta per 2 mesi durante i quali W e M hanno lavorato con la procedura di Precision Teaching con una frequenza di 2 incontri settimanali, (martedì e giovedì mattina) per una durata di circa 30 minuti ogni incontro. Il trattamento comprende:

per i primi 3 fogli (verbi, aggettivi e sostantivi) le sessioni giornaliere previste erano 3, da 15 secondi ognuna. La richiesta fatta a W e M era quella di decodificare e nominare il maggior numero possibile di verbi alla terza persona singolare, aggettivi contrapposti o sostantivi senza l’articolo nell’unità di tempo. Al termine di ogni sessione il trainer procedeva alla annotazione del numero di verbi, aggettivi o sostantivi nominati correttamente e del numero di errori commessi. Ad ogni nuova sessione inoltre il trainer incitava il discente a battere il proprio precedente record, a ridurre il numero di errori

commessi e ad una lettura il più possibile veloce. Inoltre in ogni sessione successiva l'insegnante si preoccupa di far iniziare la prova da un punto diverso per evitare gli effetti della memorizzazione del materiale. Al termine delle 3 sessioni giornaliere, per ogni foglio, il trainer registrava sulla SCC la prestazione migliore con il rispettivo numero di errori.

per il foglio che possiamo definire “misto” (aggettivi più sostantivi, più verbi) le sessioni previste erano sempre 3 ma organizzate ognuna in 20 “discrete trias”. In questo caso il trainer nomina un aggettivo, un sostantivo o un verbo e la consegna per il bambino consiste nell’individuare ed indicare l’aggettivo, il sostantivo o il verbo nominato dal trainer nel minor tempo possibile. In questo caso ai bambini sono concessi un massimo di 3 secondi per l’emissione dell’operante. Durante ogni sessione, dopo ogni learning units il trainer annotazione la correttezza o meno dell’operante emesso dal discente. Ad ogni nuova sessione inoltre il trainer incitava il discente a battere il proprio precedente record e a ridurre il numero di errori commessi. Al termine delle 3 sessioni giornaliere il trainer registrava sulla SCC la prestazione migliore con il rispettivo numero di errori.

C: al termine della fase sperimentale W e M sono stati valutati nuovamente mediante test criteriali carta matita. Nello

specifico, in data 05/06/2008, sono state ri-somministrate le 4 prove derivate dal CBM, di cui sopra.Inoltre:

la valutazione della ricchezza del vocabolario attraverso la richiesta fatta a W e M di dire tutti gli oggetti che gli venissero in mente, appartenenti a determinate categorie discrete (es. animali, parti del corpo, oggetti che si possono trovare in cucina, etc..), in 15 secondi è stata ripetuta in data 08/05 e al termine della fase sperimentale in data 03/06.

la valutazione del numero di interazioni iniziate, in italiano e a gesti in 5 minuti, è stata ripetuta in ogni sessione sperimentale e in orari ogni volta differenti; questo è stato fatto per evitare eventuali effetti dovuti alla stanchezza piuttosto che alla sonnolenza dei bambini.

6. ANALISI DEI RISULTATI

Parole appartenenti a categorie discrete: le prove, distribuite nei 2 mesi, sono state 4 della durata di 15 secondi ognuna.

CHART W M 03/04/08 4 6 08/04/08 3 5 08/05/08 6 10 03/06/08 8 12 Incremento 100% 100%

Verbi: la frequenza iniziale di naming è di 7 verbi al minuto sia per W che per M; la frequenza finale è di 18 verbi al minuto per W e di 20 per M; rispetto a questo task gli allievi hanno svolto 27 sessioni di pratica da 15 secondi cadauna per un tempo totale di training di 9 minuti. La celeration complessiva è nell’ordine del x1.2 per “W” e del 1.3 per “M”.

“W” verbi:

“M” verbi:

Aggettivi: la frequenza iniziale di naming è di 3 aggettivi al minuto per W e di 4 per M; la frequenza finale è di 22 aggettivi al minuto per W e di 21 per M; rispetto a questo task gli allievi hanno svolto 27 sessioni di pratica da 15 secondi cadauna per un tempo totale di training di 9 minuti. La celeration complessiva è nell’ordine del 1.5 per “W” e del 1.3 per “M”.

“W” aggettivi:

“M” aggettivi:

Sostantivi: la frequenza iniziale di naming è di 8 sostantivi al minuto per W e di 7 per M; la frequenza finale è di 18 sostantivi al minuto per W e di 19 per M; rispetto a questo task gli allievi hanno svolto 27 sessioni di pratica da 15 secondi cadauna per un tempo totale di training di 9 minuti. La celeration complessiva è nell’ordine del 1.1 per “W” e del 1.2 per “M”.

“W” sostantivi:

“M” sostantivi:

Interazioni: tale parametro valutativo (var.dip.) non ha previsto alcun training specifico. Le rilevazioni individuali della durata di 5 minuti ognuna, nel corso dei 2 mesi, sono state effettuate con una frequenza di 2 volte a sessione sperimentale (quindi 4 volte a settimana) in orari random nel corso della mattinata. Durante le rilevazioni erano solitamente presenti, oltre a W e M, altri 4 bambini di pari età. Le rilevazioni vennero effettuate in orari random onde evitare l’influenza di effetti non controllabili o prevedibili quali sonnolenza (nelle prime ore del mattino) o stanchezza (nelle ultime ore). Le rilevazioni individuali consistono in 5 minuti durante i quali il trainer rileva e prende nota di ogni interazione iniziata a gesti o in italiano da solo uno dei due bambini; al termine dei 5 minuti il trainer ripete la rilevazione per l’altro bambino. Ciò consente di prestare la dovuta attenzione ad ogni tipologia di interazione iniziata da ognuno dei due bambini.

“M” numero di interazioni iniziate a gesti:

“W” numero di interazioni iniziate a gesti:

“M” numero di interazioni iniziate in italiano:

“W” numero di interazioni iniziate in italiano:

“W” interazioni a confronto:

“M” interazioni a confronto:

7. DISCUSSIONE

La ricerca, seppur nei limiti procedurali e metodologici palesati, ha dimostrato l’efficacia della metodologia di Precision Teaching in riferimento all’ipotesi sperimentale teorizzata secondo cui un aumento del vocabolario italiano in bambini stranieri porterà ad un aumento delle interazioni iniziate dai medesimi in lingua italiana e ad una diminuzione delle interazioni iniziate a gesti. “W” e “M” in soli 27 minuti di training specifico sul naming hanno dimostrato un aumento del vocabolario italiano posseduto pari al 100% che ha portato ad un aumento del numero di interazioni iniziate in italiano nell’ordine del 300% per “W”, passando da 1 a 4 interazioni al minuto, e del 150% per “M”, passando da 2 a 5 interazioni al minuto. Per le interzioni iniziate a gesti abbiamo assistito ad un decremento del 45,5% per “W”, con un passaggio da 11 a 6 interazioni al minuto, e del 44,4% per “M”, passando da 9 a 5 interazioni al minuto. Pertanto anche in questo caso, come previsto, abilità non direttamente interessante dal training hanno beneficiato del trattamento, per effetto del principio di Application dimostrando ancora una volta l’efficacia metodologica dello strumento “Precision Teaching”. Inoltre le sessioni sperimentali hanno coadiuvato la nascita di una profonda amicizia tra “W”

ed “M” vissuta anche, e soprattutto, in ambito extra-scolastico. Questo ha fatto sì che i bambini fossero “costretti” ad utilizzare la lingua italiana, come unico strumento utile alla trasmissione reciproca di messaggi, anche al di fuori del contesto strettamente scolastico moltiplicando così il tempo e le opportunità di apprendimento.

CAPITOLO VII

CONTRIBUTI SPERIMENTALI:SPUNTI DI RICERCA

1. SOGGETTI: “O”, “F” e “I”

I soggetti in questo caso sono tre che indicheremo con le sigle “O”, “F” e “I”.“O” è un bambino di 10 anni di origine albanese. Arriva in Italia con la madre ed una sorella maggiore nel settembre 2007 ed inizia regolarmente la scuola a settembre in una classe quarta. Presenta lievi difficoltà nella comprensione e nella produzione della lingua italiana scritta. La condizione familiare e socioculturale è relativamente adeguata ed il bambino è seguito nel suo iter scolastico da una madre attenta e

disponibile. Nel contesto domestico “O” utilizza come prima lingua l’albanese.“F” è un bambino di 11 anni di origine albanese. Arriva in Italia con la madre e due sorelle maggiori nel maggio 2007; viene immediatamente inserito in una classe terza. Presenta lievi difficoltà nella comprensione e nella produzione della lingua italiana scritta. La condizione familiare e socioculturale è adeguata ed il bambino è seguito nel suo iter scolastico da una madre e da sorelle attente e disponibili.“I” è una bambina di 10 anni di origine marocchina. Arriva in italia presumibilmente nel 2006 con padre, madre, tre sorelle e due fratelli. Presenta lievi difficoltà nella sola produzione della lingua italiana scritta. La condizione familiare e socioculturale risulta deprivata ma dignitosa. La bambina non risulta sufficientemente seguita nel suo iter scolastico dalla famiglia.

2. OBIETTIVI ed IPOTESI

In questo caso la ricerca non è partita propriamente da una ipotesi sperimentale specifica ma, al contrario, è stata caratterizzata da un approccio di natura maggiormente esplorativa rivolto primariamente al raggiungimento di obiettivi didattici specifici. In particolare si è provveduto ad insegnare, tramite una procedura di naming coadiuvata e supportata dalla metodologia di Precision Teaching, sostantivi, verbi ed aggettivi in lingua inglese presupponendo ripercussioni sulla vita scolastica dei bambini stessi. Partendo dai risultati riportati nella letteratura sul naming, ossia il processo di assegnazione di un nome o una frase ad un determinato oggetto o ad una

proprietà, sappiamo infatti che il livello di abilità raggiunto nel processo di naming ha profonde ripercussioni su molteplici altre abilità didattiche e non, oltre che sul successo scolastico dei bambini (Perfetti, 1992; LaBerge e Samuels, 1974; Samuels, 1997; Snow et al., 1998). La ricerca ha avuto come principale obiettivo proprio quello di rilevare eventuali ripercussioni prestazionali e/o comportamentali positive causate dall’aumento del vocabolario inglese posseduto dai bambini.

3. MATERIALE e METODI

A livello metodologico la ricerca è stata condotta ancora una volta con l’ausilio della procedura di Precision Teaching di cui sopra. Il materiale utilizzato è rappresentato da fogli “misti” in formato a4 su cui sono rappresentati in modo figurativo (bianco e nero) sostantivi, aggettivi e verbi.

4. PROCEDURA

Il trattamento si è avvalso dei fogli a4 ma utilizzati in due differenti modalità:

4. Nel primo caso le sessioni giornaliere previste erano 3 organizzate ognuna in 20 “discrete trias”. Il trainer nomina in lingua inglese un aggettivo, un sostantivo o un verbo, e la consegna per il bambino consiste nell’individuare ed indicare l’aggettivo, il sostantivo o il verbo nominato dal

trainer nel minor tempo possibile. In questo caso ai bambini sono concessi un massimo di 3 secondi per l’emissione dell’operante. Durante ogni sessione, dopo ogni discrete trial il trainer annotazione la correttezza o meno dell’operante emesso dal discente. Ad ogni nuova sessione inoltre il trainer incitava il discente a battere il proprio precedente record e a ridurre il numero di errori commessi. Al termine delle 3 sessioni giornaliere il trainer registrava sulla SCC la prestazione migliore con il rispettivo numero di errori.

5. Nella seconda modalità il compito del discente consiste nel nominare in inglese il maggior numero di sostantivi, verbi e aggettivi in un tempo prestabilito. I verbi, gli aggettivi ed i sostantivi, 30 per foglio, sono rappresentati in modo figurativo, in bianco e nero. Le sessioni sperimentali per ogni incontro erano 3 della durata di 15 secondi ognuna. Al termine di ogni sessione il trainer procedeva alla annotazione del numero di aggettivi, sostantivi e verbi nominati correttamente e del numero di errori. Ad ogni nuova sessione inoltre il trainer incitava il discente a battere il proprio precedente record, a ridurre il numero di errori commessi ed ad un naming il più possibile veloce. Inoltre in ogni sessione successiva l'insegnante si preoccupa di far iniziare la lettura da un punto diverso per evitare gli effetti della memorizzazione del materiale. Al termine delle 3 sessioni giornaliere il trainer registrava sulla SCC la prestazione migliore con il rispettivo numero di errori.

5. ANALISI DEI RISULTATI

Sente-tocca: la percentuale iniziale è di 11 su 20 aggettivi, sostantivi e verbi indicati correttamente per “I”, 14 su 20 per “F” e di 15 su 20 per “O”; la percentuale finale è di 20 su 20 aggettivi, sostantivi e verbi indicati correttamente per “O” e “F” e di 18 su 20 per “I”. Rispetto a questo task gli allievi hanno svolto 9 sessioni di pratica da 20 discrete trials cadauna per un numero totale di 180 operanti emessi da ogni bambino. L’incremento complessivo è nell’ordine del 63,6% per “I”, del 42,8 per “F” e del 33,3 per “O”.

Naming: la frequenza iniziale di naming è di 6 aggettivi, sostantivi e verbi in 15 secondi per “I” con 2 errori, di 9 per “O” con 2 errori e di 7 con 2 errori per “F”. La frequenza finale è di 16 con 0 errori per “I”, di 20 con 2 errori per “O” e di 19 con 0 errori per “F”; rispetto a questo task gli allievi hanno svolto 24 sessioni di pratica da 15 secondi cadauna per un tempo totale di training di 8 minuti. La celeration complessiva è nell’ordine del 1.2 per “I”, del 1.1 per “O” e del 1.15 per “F”.

Naming: “I”

Naming: “O”

Naming: “F”

6. DISCUSSIONE

La ricerca, seppur di carattere esplorativo e nei limiti procedurali e metodologici di cui siamo consapevoli, ha dimostrato ancora una volta l’efficacia della metodologia di Precision Teaching come utile, valido e fruttuoso strumento didattico. Il training ha inoltre portato ripercussioni positive nella vita scolastica dei bambini in merito ad un aumento competitività intra soggettiva adattiva e della motivazione al lavoro, grazie anche alla token economy introdotta. Questi risultati hanno fatto sì che il comportamento disadattivo scomparisse nelle sedute di training con un conseguente aumento significativo del tempo utile all’insegnamento. Quello che può essere considerato il risultato più importante emerso,

consiste però, nella constatazione dell’ utilità eminentemente pratica dell’ampliamento del vocabolario di lingua inglese nei bambini. Questi, infatti, hanno utilizzato tale vocabolario come vero e proprio strumento sociale utile nel caso di incomprensioni in lingua italiana: provenendo da contesti linguistici e culturali differenti l’inglese ha rappresentato per questi bambini un ulteriore ed importante punto di incontro e scambio da affiancare ed integrare all’italiano.

CONCLUSIONI

L’obiettivo da cui ha preso l’avvio la ricerca sperimentale, che ha originato l’elaborato, è stato rappresentato dal desiderio di testare ed utilizzare in un contesto scolastico reale la nuova tecnologie didattica conosciuta come Precision Teaching. I risultati ottenuti caratterizzano questa metodologia come uno strumento valido nel trattamento delle difficoltà di letto-scrittura ed utile nel coadiuvare l’incremento di abilità socio-comunicative quali il numero di interazioni iniziate in lingua

italiana; inoltre, per “effetto cascata”, anche una serie di abilità non direttamente interessate da training specifico, quali l’automonitoraggio, la motivazione, l’autoefficacia e l’autostima, hanno beneficiato di tale metodologia didattica. Il lavoro non ha la pretesa di essere un compendio esaustivo relativo al Precision Teaching ma è nato dal desiderio di fornire, in un contesto scolastico in forte evoluzione e povero di ricerche e statistiche dettagliate utili ad indirizzare gli sforzi degli insegnanti, alcune linee guida di provata efficacia. I dati riportati nei capitoli inerenti la ricerca sperimentale, seppur parziali, e i numerosi contributi rintracciabili in letteratura, rappresentano comunque un campanello di allarme che non dovrebbe essere ignorato: la metodologia didattica tradizionale utilizza il tempo scolastico in modo poco efficiente! I risultati dimostrano infatti che è possibile, con l’ausilio di tecnologie didattiche quali il Precision Teaching, insegnare più efficacemente, più velocemente e, soprattutto, rendendo i discenti stessi fautori ed arbitri dello loro sviluppo andando così ad incrementare il benessere e la motivazione allo studio. Nella consapevolezza che i tempi ed i mezzi a disposizione di insegnanti e dirigenti scolastici non consentiranno, in tempi brevi, il cambiamento paradigmatico auspicato permane nota la necessità del cambiamento.

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