Praticabilità ed effetti della moderazione salariale nell ... Ciccarone-Marchetti.pdf · medesimo...

38
Praticabilità ed effetti della moderazione salariale nell’unione monetaria europea Giuseppe Ciccarone - Enrico Marchetti* Università «La Sapienza», Roma 1. - Introduzione Ezio Tarantelli è stato probabilmente uno dei primi econo- misti al mondo a concepire l’esistenza di una relazione significa- tiva tra l’organizzazione delle relazioni industriali nel mercato del lavoro, sintetizzabile nell’espressione “grado di corporativismo”, e le performance dell’economia. Questa intuizione è stata successi- vamente elaborata e sviluppata da diversi autori, fino al fonda- mentale contributo di Calmfors e Driffill [10], i quali individua- vano una più spiccata tendenza alla moderazione salariale e ad elevati tassi di occupazione nelle economie caratterizzate da va- lori estremi (molto bassi e molto alti) nella centralizzazione del- la contrattazione salariale. Questo andamento è stato spiegato, nel * Giuseppe Ciccarone, Professore Associato di Politica Economica, presso il Dipartimento di Economia Pubblica e Enrico Marchetti, Assegnista di Ricerca nel medesimo Dipartimento, ringraziano per i commenti ricevuti N. Acocella, L. Ca- vallari, B. Chiarini, G. Di Bartolomeo, M. Giannini e C. Gnesutta. Il lavoro di G. Ciccarone è stato finanziato con fondi di Ateneo assegnati al progetto di ricerca Dinamiche dell’integrazione europea e scelte di politica economica; quello di E. Mar- chetti è stato finanziato con fondi di Ateneo assegnati al progetto di ricerca Il sin- dacato come soggetto di politica economica. Anche se l’articolo è il frutto di un la- voro comune, i paragrafi 2, 4, 6 e 8 sono stati scritti da G. Ciccarone e i para- grafi 1, 3, 5 e 7 da E. Marchetti. [Cod. JEL: J51, E24, E58, J58] Avvertenza: i numeri nelle parentesi quadre si riferiscono alla Bibliografia al- la fine del testo.

Transcript of Praticabilità ed effetti della moderazione salariale nell ... Ciccarone-Marchetti.pdf · medesimo...

Praticabilità ed effetti della moderazione salariale

nell’unione monetaria europea

Giuseppe Ciccarone - Enrico Marchetti*Università «La Sapienza», Roma

1. - Introduzione

Ezio Tarantelli è stato probabilmente uno dei primi econo-misti al mondo a concepire l’esistenza di una relazione significa-tiva tra l’organizzazione delle relazioni industriali nel mercato dellavoro, sintetizzabile nell’espressione “grado di corporativismo”, ele performance dell’economia. Questa intuizione è stata successi-vamente elaborata e sviluppata da diversi autori, fino al fonda-mentale contributo di Calmfors e Driffill [10], i quali individua-vano una più spiccata tendenza alla moderazione salariale e adelevati tassi di occupazione nelle economie caratterizzate da va-lori estremi (molto bassi e molto alti) nella centralizzazione del-la contrattazione salariale. Questo andamento è stato spiegato, nel

* Giuseppe Ciccarone, Professore Associato di Politica Economica, presso ilDipartimento di Economia Pubblica e Enrico Marchetti, Assegnista di Ricerca nelmedesimo Dipartimento, ringraziano per i commenti ricevuti N. Acocella, L. Ca-vallari, B. Chiarini, G. Di Bartolomeo, M. Giannini e C. Gnesutta. Il lavoro di G.Ciccarone è stato finanziato con fondi di Ateneo assegnati al progetto di ricercaDinamiche dell’integrazione europea e scelte di politica economica; quello di E. Mar-chetti è stato finanziato con fondi di Ateneo assegnati al progetto di ricerca Il sin-dacato come soggetto di politica economica. Anche se l’articolo è il frutto di un la-voro comune, i paragrafi 2, 4, 6 e 8 sono stati scritti da G. Ciccarone e i para-grafi 1, 3, 5 e 7 da E. Marchetti. [Cod. JEL: J51, E24, E58, J58]

Avvertenza: i numeri nelle parentesi quadre si riferiscono alla Bibliografia al-la fine del testo.

primo tratto estremo (a bassi livelli di centralizzazione), dall’ef-fetto calmieratore sui salari prodotto dalla concorrenza tra lavo-ratori e, nel secondo tratto estremo, dalla internalizzazione da par-te del sindacato dei costi derivanti da elevate richieste salariali. Alivelli intermedi (di industria) della centralizzazione entrambi que-sti elementi risultano invece più deboli.

La letteratura successiva ha prodotto contributi non conver-genti in argomento, alimentando un dibattito che ha recentementeportato alcuni autori ad associare il grado di indipendenza dellaBanca centrale al grado di centralizzazione della contrattazionesalariale nel tentativo di spiegare le differenze esistenti tra leperformance macroeconomiche delle economie mondiali (Hall eFranzese [19]). Anche in questo caso, tuttavia, l’evidenza disponi-bile non conduce a risultati univoci (Bleaney [7]).

In questo lavoro ci proponiamo di riconsiderare la propostadi moderazione salariale originariamente avanzata da Tarantelli,calandola però nell’ambito della nuova configurazione assunta dal-l’economia europea nel corso degli ultimi anni, caratterizzata dauna maggiore integrazione economica tra i paesi membri, dall’u-nione monetaria, da una maggiore dispersione sindacale sul ter-ritorio e da una elevata mobilità territoriale delle imprese. Le ul-time due caratteristiche differenziano in modo significativo l’at-tuale contesto economico-istituzionale rispetto a quello conosciu-to da Tarantelli, nel quale la presenza di pochi sindacati nazionalie la scarsa propensione esterna delle imprese generava un terre-no più favorevole alla concertazione tra i fattori della produzionee dove il governo nazionale poteva agire come soggetto di me-diazione tra le parti, anche attraverso lo strumento dello “scam-bio politico-economico” (una maggiore partecipazione del sinda-cato alle scelte di politica economica quale corrispettivo per la po-litica di moderazione salariale).

Al fine di incorporare nella nostra analisi anche la conside-razione del ruolo attribuibile al grado di avversione all’inflazionedella Banca centrale europea, svilupperemo il nostro ragiona-mento impiegando le metodologie proposte dai modelli di com-portamento microeconomico del sindacato, così come sono stateincorporate nella teoria dei giochi strategici applicati alla politica

220 Giuseppe Ciccarone - Enrico Marchetti

economica (policy games). In particolare, utilizziamo un giocononcooperativo tra autorità di politica economica e sindacati, svi-luppato in maggior dettaglio in Ciccarone e Marchetti [12], se-condo le indicazioni metodologiche offerte dalla letteratura sul-l’indipendenza della Banca Centrale e sull’interazione strategicanella formulazione della politica monetaria1. Gli interrogativi prin-cipali che in tal modo affrontiamo possono essere sintetizzati neiseguenti tre.

(i) Quali sono le modifiche che bisogna apportare all’appara-to teorico sottostante la proposta di Tarantelli per renderlo signi-ficativo nel nuovo assetto economico-istituzionale europeo?

(ii) Quali sono le possibilità di attuazione della proposta dimoderazione salariale in questo contesto analitico e quali sono ifattori che influenzano queste possibilità?

(iii) Come si lega tale proposta ad altri dibattiti correnti sul-la politica economica europea, come quello sul ruolo economicodel sindacato e sulla flessibilità del mercato del lavoro nell’unio-ne monetaria europea?

Il nostro principale contributo a riguardo si basa sull’indivi-duazione di una relazione generalmente sempre crescente tra gra-do di centralizzazione nella contrattazione salariale e performan-ce dell’economia. In presenza di rendimenti di scala possibilmen-te crescenti e di massimo decentramento nella determinazione sa-lariale, rileviamo inoltre un fenomeno finora assente nella lette-ratura in argomento. Partendo da una concezione di imprese“multinazionali” che si muovono nello spazio europeo alla ricer-ca dei “tipi” di lavoro da occupare nella produzione e di lavora-tori differenziati che si distribuiscono uniformemente tra i sinda-cati esistenti, raggiungeremo la conclusione che, in presenza disindacati “di mestiere” (ossia sindacati corporativi che tutelanociascuno un particolare “tipo” di lavoro), il salario contrattato puòprogressivamente diminuire, fino a cadere al di sotto di quello chegarantisce il pieno impiego del lavoro.

Questo fenomeno si verifica perché la competizione tra tantisindacati non coordinati tra loro genera una “guerra dei salari”

Praticabilità ed effetti della moderazione salariale, etc. 221

1 v., ad esempio, CUKIERMAN A. [13]; GYLFASON T. - LINDBECK A. [17].

che ricorda la “guerra dei prezzi” riscontrata in alcuni giochi traimprese oligopolistiche (Fudenberg e Tirole [15]). A questa ten-denza non si associano, come è intuitivo, ulteriori aumenti dellaproduzione. Anzi, il che è molto meno intuitivo, ai minori salarireali corrisponde un minor livello di occupazione. La competizio-ne tra un elevato numero di sindacati porta dunque ad un risul-tato finale particolarmente negativo per il benessere dei lavorato-ri. La sostituzione dei sindacati “di mestiere” con un solo sinda-cato europeo, rappresentante gli interessi di tutti i lavoratori, con-sente di migliorare sensibilmente la loro utilità.

Conseguenza di questo risultato è che, in una fase economi-ca caratterizzata da rendimenti crescenti nella produzione, i ten-tativi operati a livello europeo dai policy makers, e spesso soste-nuti dai sindacati, di rendere maggiormente mobili le imprese sulterritorio — attraverso una omogenizzazione delle infrastrutture,delle istituzioni e dei regimi fiscali che renda parimenti attraentii diversi territori — risultano miopi in assenza di coordinamentotra i sindacati europei, perché favoriscono il futuro emergere diuna possibile “guerra dei salari”. I diversi sindacati nazionali do-vrebbero dunque cercare di associare a queste riforme il massimogrado di coordinamento salariale a livello europeo. Una conclu-sione simile, anche se dai contorni meno netti, può essere avan-zata anche riguardo ad un ambiente economico caratterizzato darendimenti decrescenti. Infatti, l’individuazione di una relazionecrescente tra centralizzazione e performance macroeconomica spin-ge ad osservare che un maggior grado di coordinamento tra sin-dacati a livello europeo dovrebbe portare comunque a migliora-menti di benessere per i lavoratori.

Di fronte alla dispersione sindacale che stiamo attualmentesperimentando in Europa, questa conclusione ci appare come ilprerequisito necessario di qualsiasi tentativo di adattare la pro-posta Tarantelli al nuovo contesto in corso di consolidamento. Sol-tanto ricostruendo un ambiente economico-istituzionale nel qua-le il sindacato possa effettivamente coordinare le aspettative ed icomportamenti di un insieme significativo di lavoratori, dove siapossibile la concertazione tra le parti sociali, e dove il governopossa utilizzare gli strumenti della politica economica per svolge-

222 Giuseppe Ciccarone - Enrico Marchetti

re un ruolo di mediazione del conflitto distributivo sarà possibi-le immaginare un ruolo europeo per la moderazione salariale si-mile a quello prospettato da Tarantelli.

Attualmente, nell’unione monetaria europea la Banca centra-le unica coordina le aspettative inflazionistiche ed influenza l’ef-fettivo andamento dei prezzi, mentre la mobilità spaziale delle im-prese riduce le possibilità di concertazione tra le parti sociali e ilgoverno sovrannazionale possiede limitati spazi di mediazione. Inquesto contesto, la moderazione salariale può essere interpretatasoltanto come un atto unilaterale, una strategia ottimizzante per-seguita da sindacati dalla membership limitata. Questo tipo di po-litica sindacale è ovviamente distante dalla Proposta di Tarantelli,dove quella moderazione è soltanto uno dei molti tasselli di unprogetto di politica economica organico e articolato.

Il lavoro è strutturato in otto paragrafi. In quello che seguepresentiamo sinteticamente la Proposta di Tarantelli e discutiamole modifiche da apportare a questa Proposta per renderla signifi-cativa nel nuovo contesto europeo. Nel paragrafo 3 passiamo sin-teticamente in rassegna i più recenti contributi sul rapporto esi-stente tra struttura della contrattazione e performance macroeco-nomiche. Nei paragrafi 4 e 5 costruiamo il set-up macroeconomi-co, distinto tra lato della domanda e dell’offerta, rispettivamente,nel quale calare il gioco di politica economica tra Banca centralee sindacati che presentiamo nel paragrafo 6, dove ricaviamo an-che la soluzione di equilibrio di Nash e ne discutiamo le princi-pali implicazioni per la politica sindacale. Nel paragrafo 7 analiz-ziamo il caso di sindacati “di mestiere” e di rendimenti crescenti.Il paragrafo 8 offre una sintesi e alcune riflessioni conclusive.

2. - Moderazione salariale e nuovo contesto europeo

Semplificando il più possibile, la formulazione originaria del-la Proposta Tarantelli può essere riassunta come segue. Se: (i) inun’economia aperta operante in un sistema di cambi fissi le au-torità di politica economica ritengono necessario controllare stret-tamente il tasso di inflazione; (ii) la politica monetaria determi-

Praticabilità ed effetti della moderazione salariale, etc. 223

na autonomamente la quantità di moneta che, dato il saldo di par-te corrente, consente di rispettare il vincolo estero; (iii) il tasso divariazione dei prezzi dipende da quello dei salari e da quello del-la produttività; allora una politica concertata di moderazione sa-lariale (con i salari monetari determinati, ad esempio, sulla basedell’inflazione programmata per il futuro, piuttosto che dell’infla-zione sperimentata in passato) può garantire lo stesso reddito rea-le disponibile alle famiglie lavoratrici, una maggiore occupazionee una minore inflazione (e quindi un miglioramento paretiano nelbenessere complessivo) rispetto a ciò che si conseguirebbe in as-senza di tale politica.

I nessi logici essenziali del ragionamento possono essere co-sì sintetizzati: la moderazione salariale riduce le aspettative e dun-que l’inflazione effettiva, a parità di salario reale; migliora il sal-do di parte corrente; è possibile abbassare i tassi di interesse per-ché sono necessari minori afflussi di capitale estero; si riduconogli oneri sul debito pubblico ed aumentano gli investimenti e dun-que la produttività; l’occupazione aumenta, trainata dalla doman-da interna e dalle esportazioni; i risparmi nella spesa pubblica,insieme all’inasprimento della lotta all’evasione fiscale, consento-no di compensare eventuali riduzioni dei redditi reali dei lavora-tori con maggiori e migliori servizi di welfare.

La Proposta di Tarantelli prende originariamente forma in uncontesto diverso da quello che oggi caratterizza non solo l’Italia,ma tutte le principali economie europee. In quel contesto, l’esi-genza di mantenere bassa l’inflazione per garantire la competiti-vità dei prodotti nazionali si confrontava con i tentativi dei sin-dacati di fissare i salari nominali in modo da mantenere quanto-meno costanti i redditi reali dei lavoratori, e con quelli delle im-prese di determinare i prezzi dei beni in modo da garantirsi mar-gini di profitto compatibili con quelli dei concorrenti esteri. Ciòavveniva in una situazione in cui le banche centrali europee po-tevano agire con una qualche autonomia a livello nazionale (ri-guardo alle decisioni di politica monetaria e al controllo dell’in-flazione), pur rimanendo vincolate nella ricerca dell’equilibrioesterno dagli accordi, vigenti all’interno dello SME, sulle dinami-che consentite del tasso di cambio.

224 Giuseppe Ciccarone - Enrico Marchetti

In alcuni precedenti lavori (Acocella e Ciccarone [2] e [3]), laProposta di Tarantelli è stata analizzata con i moderni strumentianalitici menzionati nel precedente paragrafo. Le conclusioni prin-cipali di queste analisi confermavano la sostanziale validità del-l’intuizione originaria, quando calata in sistemi economici non dis-simili da quello preso in considerazione dal nostro autore. Al fi-ne di valutare l’attuale praticabilità della Proposta di Tarantelli oc-corre invece evidenziare le modifiche che il nuovo ambiente eco-nomico richiede di apportare alla formulazione originaria dellaProposta stessa, a partire dal fatto che la politica monetaria vie-ne decisa a livello sovranazionale dalla Banca centrale europea(BCE) e che le politiche salariali della molteplicità di sindacatiesistenti sembrano distanti dal configurare un significativo gradodi coordinamento.

Se, a una lettura superficiale, l’idea di fondo della Proposta— ossia la possibilità di uno scambio in termini di minore e piùstabile inflazione e pari o maggiore reddito reale dei lavoratori —sembra poter rimanere invariata, soprattutto per le piccole eco-nomie europee, già prima scarsamente autonome, occorre tenerconto di quattro ulteriori elementi essenziali che caratterizzano lasituazione odierna.

1) I problemi del cambio e della competitività si pongono og-gi tra l’economia europea e quelle di altre grandi aree economi-che (USA, Giappone), con le quali i rapporti commerciali e fi-nanziari si svolgono in un regime di cambi sostanzialmente fles-sibili (tra l’euro e le altre valute).

2) L’orientamento generale della BCE è quello, imposto dalsuo Statuto, di tendere al raggiungimento dell’obiettivo prioritariorappresentato dalla stabilità dei prezzi: gli obiettivi di occupazio-ne possono avere un peso rilevante soltanto se il loro persegui-mento non inficia la stabilità dei prezzi.

3) Il processo di integrazione economica, la creazione del mer-cato unico e la nascita della moneta unica hanno consentito alleimprese di accrescere la loro mobilità all’interno dell’unione mo-netaria e di scegliere con maggiore facilità le localizzazioni piùconvenienti dal punto di vista dei costi (soprattutto di quelli sa-lariali).

Praticabilità ed effetti della moderazione salariale, etc. 225

4) Si vanno sviluppando veri e propri progetti di marketingterritoriale, fondati su incentivi fiscali e/o salariali e sullo svilup-po delle infrastrutture e dei servizi, miranti ad attrarre impreseestere sui territori nazionali. Mentre la Proposta Tarantelli preve-deva maggiori/migliori servizi di welfare ed un eventuale scambio“politico-economico” in cambio della moderazione salariale, lamobilità territoriale delle imprese impone ora spesa pubblica ininfrastrutture e sgravi fiscali che incidono negativamente sulle ri-sorse da destinare ai servizi di welfare e che possono associarsialla richiesta di moderazione salariale proveniente dalle impresee dal governo.

Alla luce di questi elementi, diventa necessario comprendereil significato e la praticabilità della moderazione salariale per unamolteplicità di sindacati che fronteggiano le decisioni di una sin-gola autorità monetaria2 e che appaiono vincolati dalle scelte del-le imprese. Se queste hanno la possibilità di muoversi liberamen-te nell’area dell’euro, la tendenza a privilegiare i territori dove sisperimentano i costi più bassi rappresenterà un argine alle riven-dicazioni salariali di organizzazioni sindacali non coordinate e inconcorrenza tra loro per attrarre le imprese nei territori che sitrovano sotto la loro influenza. Al ridursi di quei fattori (lingua,cultura, ecc.) che continuano a rendere i vari tipi di lavoratori eu-ropei non perfettamente sostituibili per la produzione di tali im-prese mobili sul territorio, i sindacati si troveranno sempre più difronte ad un problema di coordinamento a livello europeo.

Di fronte a questo problema, un elemento chiave nella for-mulazione delle loro strategie dovrebbe essere costituito dal livel-lo della centralizzazione nella contrattazione salariale. I paesimembri dell’unione presentano però, sotto questo aspetto, una si-tuazione estremamente variegata. Mentre alcuni sistemi indu-striali, come quello britannico, si sono spostati, soprattutto nelcorso degli ultimi quindici anni, verso un assetto fortemente de-centrato, altri, come i paesi scandinavi, hanno mantenuto una for-

226 Giuseppe Ciccarone - Enrico Marchetti

2 Tale questione è ovviamente più complessa di quella volta a verificare la con-venienza per i sindacati europei di adottare una politica di moderazione salarialea fronte della stabilità dei prezzi assicurata dalla BCE.

te caratterizzazione centralistica, accoppiata alla tradizione cor-porativista che costituisce uno dei tratti distintivi di quelle eco-nomie. Molte altre nazioni, soprattutto continentali, manifestanoinvece gradi intermedi di centralizzazione delle relazioni indu-striali e della contrattazione.

3. - Struttura della contrattazione e performance macroeco-nomiche

La letteratura recente sugli effetti macroeconomici prodottida differenti strutture della contrattazione salariale è stata domi-nata dalla discussione sulla presunta relazione a «U» tra grado dicentralizzazione e indicatori della performance macroeconomicaevidenziata da Calmfors e Driffill [10] e da Calmfors [9]. In basea questa relazione, gli indicatori di benessere macroeconomico(occupazione e bassa inflazione soprattutto) risultano elevati siaa livelli molto alti, sia a livelli molto bassi di decentramento del-la contrattazione. Spostandosi verso gradi intermedi di centraliz-zazione, ossia verso sistemi caratterizzati da contrattazione setto-riale non coordinata a livello nazionale, gli indicatori macroeco-nomici peggiorano.

Questo andamento è stato usualmente spiegato in base all’in-ternalizzazione degli effetti che la contrattazione salariale produ-ce sulle variabili macroeconomiche. Nei sistemi fortemente de-centrati i meccanismi che favoriscono questo tipo di internaliz-zazione sarebbero forniti dalla competizione di mercato; in quel-li molto centralizzati dalla capacità del sindacato di valutare leconseguenze delle sue politiche salariali sul livello generale deiprezzi e quindi sul salario reale degli altri sindacati.

Alcuni contributi recenti calano la relazione di Calmfors-Drif-fill in un contesto analitico coerente con la teoria economica delsindacato e con le sue estensioni ai policy games (Cukierman eLippi [14]; Velasco e Guzzo [28]; Skott [24]). In particolare,Cukierman e Lippi [14] sviluppano un gioco di politica economi-ca tra una Banca centrale che fissa l’inflazione e una pluralità disindacati che stabiliscono i salari (in realtà il wage premium, os-

Praticabilità ed effetti della moderazione salariale, etc. 227

sia lo scarto tra salario effettivo medio e salario di equilibrio com-petitivo) dove è possibile analizzare, non solo la relazioneCalmfors-Driffill3 tra grado di centralizzazione (numero dei sin-dacati indipendenti) e performance macroeconomiche, ma anchequella tra la curva Calmfors-Driffill, da una parte, e il grado diavversione all’inflazione della Banca centrale e dei sindacati, dal-l’altra. Se i sindacati sono sufficientemente avversi all’inflazione,la relazione tra grado di centralizzazione e performance macroe-conomiche è simile a quella Calmfors-Driffill, ma se i sindacatinon si preoccupano dell’inflazione quella relazione è monotona ela situazione interamente decentrata risulta la migliore.

Questa conclusione è importante per il tema qui trattato per-ché consente di approfondire la rilevanza della centralizzazionedelle politiche salariali in un ambiente in cui un’unica istituzionecontrolla la politica monetaria4: il perseguimento di una politicasindacale di moderazione salariale, ricambiata da inflazione e di-soccupazione più basse, risulta condizionato dal grado di centra-lizzazione della contrattazione, espresso dal numero di sindacatipresenti nell’area monetaria considerata. La fattibilità della Pro-posta di Tarantelli dipenderebbe dunque dall’assetto delle relazio-ni industriali presente a livello europeo.

Ma il grado di centralizzazione è importante in questo con-testo anche perché un suo aumento innesca due effetti: (i) ridu-ce la pressione competitiva e quindi induce i sindacati ad au-mentare i salari, peggiorando la situazione aggregata; (ii) essen-do meno numerosi, i sindacati internalizzano più facilmente laminaccia della Banca centrale di aumentare l’inflazione a seguitodelle richieste salariali dei sindacati. Da ciò deriva che, se la Ban-ca centrale attribuisce un peso sufficientemente basso (alto) al-

228 Giuseppe Ciccarone - Enrico Marchetti

3 È opportuno precisare che l’effetto strategico di Calmfors e Driffill, i qualinon consideravano l’operare della Banca centrale, pur essendo presente anche nelmodello di CUKIERMAN A. - LIPPI F. [14], non risulta sufficientemente forte da ge-nerare, di per sé, la curva originaria. Ciononostante, essendo simile lo spirito del-le ipotesi fatte nei due contributi, è possibile denotare come «curva Calmfors-Drif-fill» anche la relazione ottenuta in quello più recente.

4 La parallela questione del rapporto tra centralizzazione della politica sala-riale e coordinamento delle politiche fiscali nazionali, in un ambiente con una mo-neta unica, rimane un terreno di analisi da approfondire. Contributi recenti sonoFUEST C. - HUBER B. [16] e ACOCELLA N. - DI BARTOLOMEO G. [4].

l’inflazione, l’aumento del grado di centralizzazione migliora (peg-giora) la performance macroeconomica.

Anche se questi risultati potrebbero fornire indicazioni im-portanti sul mix ottimale tra centralizzazione della contrattazionee grado di conservatorismo della Banca centrale perseguibile a li-vello comunitario, essi non possono considerarsi definitivi. In pri-mo luogo, il modo in cui le imprese formulano le domande di la-voro non è ben esplicitato. Ciò è particolarmente insoddisfacenteperché, in un contesto analogo, ma caratterizzato da ipotesi dif-ferenti, si possono ottenere risultati notevolmente diversi (Velascoe Guzzo [28]). Inoltre, le funzioni obiettivo utilizzate, che descri-vono il sindacato come un soggetto di policy, non sono pienamentecoerenti con la teoria microeconomica del sindacato5.

In terzo luogo, alcuni elementi importanti non sono presiesplicitamente in considerazione nei modelli qui considerati. Inparticolare, il lato della domanda macroeconomica appare scar-samente modellato; in genere si assume un contesto implicita-mente coerente con la teoria quantitativa della moneta. Inoltrenon si tiene conto del vincolo esterno che caratterizza l’area del-l’euro, composta da un insieme di paesi aperti al commercio in-ternazionale (anche se quello intraeuropeo è più significativo diquello extra-europeo). Eppure le ripercussioni dei comportamentiindividuali sulla competitività internazionale dovrebbero avere ef-fetti significativi sulle variabili obiettivo, sia dei sindacati che del-la Banca centrale, e quindi influire sulle loro politiche ottimali.L’assenza nei policy games qui discussi di un lato della domandadell’economia non esplicitamente modellato è dunque soltanto l’ul-timo di un insieme di elementi che spingono ad elaborare un gio-co più completo, maggiormente in grado di valutare l’odierna fat-tibilità di una proposta di moderazione salariale nell’unione mo-netaria europea.

Praticabilità ed effetti della moderazione salariale, etc. 229

5 In questi modelli vengono usualmente adottate funzioni obiettivo quadrati-che diverse da quelle utilitarista e di tipo Von Neumann-Morgenstern proposte del-la teoria microeconomica del sindacato, il quale ultimo viene generalmente ipo-tizzato avverso all’inflazione. Tale preferenza, che sarebbe giustificata dal ruolo diagente collettivo svolto dal sindacato, risulta però difficilmente riconducibile allepreferenze degli iscritti (ACOCELLA N. - CICCARONE G. [1]) e verrà dunque da noitrascurata.

4. - Il modello: il lato della domanda

Il modello sulla base del quale sviluppiamo il nostro ragio-namento è composto da due insiemi di elementi: la descrizionedel contesto macroeconomico nel quale si trovano ad operare leimprese e i sindacati dei lavoratori; la specificazione delle fun-zioni obiettivo che questi massimizzano sotto i vincoli imposti dal-l’ambiente economico. Il primo aspetto del problema si sostanzianell’individuazione di una curva di domanda aggregata e di unacurva di offerta aggregata, la cui intersezione fornisce l’equilibriomacroeconomico. Queste due relazioni sono l’oggetto del para-grafo presente e di quello successivo.

I prezzi interni si formano in maniera competitiva nel mer-cato dei beni, mentre i salari nominali sono fissati dai sindacati.Le relazioni macroeconomiche tengono conto del settore estero, equindi dei movimenti di capitali e del commercio internazionale.La bilancia dei pagamenti (a livello di unione europea) è posta inequilibrio dalle variazioni del tasso di cambio (il prezzo delle al-tre valute in termini di euro).

La descrizione del lato della domanda dell’economia è trattada Gylfason e Lindbeck [18]6:

(1) y = (1 + r) s + qx – (q + r) z

(2) s = g (y + p – c) + (1 – g) (m – c)

(3) c = bp + (1 – b) e

(4) x = h (e – p)

(5) z = s + c – p – t (e – p)

dove (tutte le variabili sono espresse in termini di logaritmi):y = domanda aggregata;

230 Giuseppe Ciccarone - Enrico Marchetti

6 Questa formulazione può essere giustificata sul piano microeconomico ap-pellandosi ai recenti modelli di optimizing IS-LM (MCCALLUM B. - NELSON E. [21]).

s = spesa;x = esportazioni;z = importazioni;p = deflatore implicito del PIL;c = indice dei prezzi al consumo (IPC);e = tasso di cambio incerto per certo;r = rapporto iniziale tra deficit commerciale e reddito;q = rapporto iniziale tra esportazioni e reddito7;g = elasticità del reddito alla spesa;(1 – g) = elasticità del reddito ai saldi monetari in termini reali;b = peso dei beni e servizi interni sul consumo interno;(1 – b) = peso dei beni e servizi esterni sul consumo interno;h = elasticità delle esportazioni al tasso di cambio reale;t = elasticità delle importazioni al tasso di cambio reale;m = quantità nominale di moneta.

Le equazioni (1)-(5) consentono di scrivere:

(6) y = a1 (m – p) + a2 (e – p)

dove8:

Il tasso di cambio si modifica in modo da garantire l’equili-brio della bilancia dei pagamenti; le decisioni della BCE in ma-teria di politica monetaria influenzano i tassi di interesse interni(in rapporto a quelli esteri) e quindi gli afflussi di capitale; i mo-vimenti di capitali, mk, sono pertanto sensibili alla quantità di mo-

aq gg gq

aqh q r t r b

g gq

1

2

1 11

0

1 11

= − −− +

>

= + + − + −− +

( )( )

( ) ( )( )

Praticabilità ed effetti della moderazione salariale, etc. 231

7 I rapporti espressi da r e da q devono essere introdotti nell’equazione delladomanda aggregata per passare dai livelli ai logaritmi.

8 Si noti che risulta a2 > 0 se la condizione estesa di Marshall-Lerner, comenoi assumiamo, è soddisfatta: qh + (q + r) t > (1 + r) (1 – b). Se r = 0 e q = (1 – b),questa condizione si riduce alla più nota disuguaglianza: h + m > 1.

neta e, denominando con k la loro elasticità all’offerta di mone-ta, è possibile scrivere:

(7) mk = –km dove k > 0

L’equilibrio della bilancia dei pagamenti, può essere dunquerappresentato come:

(8) –km + (p + x – e – z) = 0

Dalle equazioni (7) e (8) si deriva il valore del tasso di cam-bio di equilibrio, e*, espresso in funzione del livello dei prezzi in-terni p e della quantità di moneta m:

(9) e* = d1m + d2p

dove:

Un aumento della quantità di moneta, abbassando i tassi diinteresse, genera un deflusso di capitali, che potrà essere almenoin parte compensato (via partite correnti) tramite un aumento die. Ne consegue la plausibile ipotesi che d1 > 0. Un aumento deiprezzi interni determina invece due effetti di segno opposto: (i)una caduta di competitività che peggiora le partite correnti; (ii)a parità di m, una caduta nei saldi monetari reali che accresce itassi di interesse interni e quindi determina un afflusso di capi-tali. È dunque ragionevole assumere 0 < d2 ≤ 1, o anche d2 < 0: sel’effetto sull’afflusso di capitali è relativamente forte, come assu-miamo avvenga in assenza di barriere alla mobilità dei capitalitra Europa e resto del mondo, d2 può avere anche un segno ne-gativo.

dg r ga

h t ga

dh t g a a

h t ga

12

21 2

2

11

2 11

= − − −− − +

= − − + + −− − +

( )

232 Giuseppe Ciccarone - Enrico Marchetti

Dalla (6) e dalla (9) si ottiene:

(10) y = ψ1m – ψ2p

dove ψ1 = a1 + a2d1 > 0 e ψ2 = –a2d2 + a1 + a2 > 0. La (10) è una fun-zione di domanda compatibile con l’equilibrio esterno che, datele nostre ipotesi su d1 e d2, mostra l’usuale andamento negativorispetto ai prezzi e positivo rispetto alla quantità di moneta.

La condizione (9) consente di riformulare l’indice dei prezzial consumo, rendendolo coerente con l’equilibrio della bilancia deipagamenti:

(11) c = δ1p + δ2m

dove δ1 = b + (1 – b) d2 e δ2 = d1 (1 – b). Entrambi questi coefficientisono verosimilmente positivi, anche se δ2 è piuttosto piccolo quan-do la quota di consumo dei beni importati è limitata. Ciò conclu-de la descrizione del lato della domanda del sistema economico.

5. - Il lato dell’offerta e l’equilibrio macroeconomico

Il lato dell’offerta viene descritto assumendo che le imprese,operanti in condizioni di concorrenza perfetta sul mercato dei be-ni, possano scegliere liberamente la propria localizzazione produt-tiva e quindi si muovano sul territorio, senza sostenere costi, al fi-ne di impiegare quella forza lavoro, residente in una determinatanazione e concepita come poco mobile, che risulta per esse più pro-fittevole. Dal punto di vista modellistico, queste imprese vengonoconvenientemente rappresentate attraverso un operatore aggregato-rappresentativo (concepibile come una impresa «multinazionale»),che vende il suo output omogeneo nel mercato interno e in quellointernazionale e che per produrlo utilizza lavoro di diverso «tipo».

La specificità del lavoro può attenere a caratteristiche deter-minate dalla nazione in cui l’impresa sceglie di localizzare partedella sua attività produttiva, ma anche a qualche altra specificacaratteristica o abilità. Il lavoro è quindi imperfettamente sosti-

Praticabilità ed effetti della moderazione salariale, etc. 233

tuibile nella produzione, per motivi legati a specificità nazionaligenerali (la lingua, l’istruzione scolastica, ecc.), o a caratteristichespecifiche dei lavoratori (come l’abilità, la formazione, ecc.).

Un insieme di “tipi” di forza lavoro è organizzato e rappre-sentato da un’organizzazione sindacale. Le imprese consideranodato il salario nominale da erogare ai vari tipi di lavoro sindaca-lizzato e ogni sindacato fissa i salari nominali per tutti i “tipi” dilavoro da esso rappresentati, tenendo conto delle decisioni di oc-cupazione delle imprese.

La funzione di produzione aggregata viene espressa come:

(12)

dove Y rappresenta il livello dell’output, Lj il lavoro di “tipo” j, n ilnumero di «tipi» di lavoro, e dove si assume che 0 < α ≤ 1 (tutte levariabili sono nei livelli). Un sindacato può controllare un prefissa-to numero di tipi, per es. z con z ≤ n. La (12) implica che le im-prese, per produrre un output diverso da zero, devono impiegareuna quantità positiva di ogni “tipo” di lavoro. Se le specificità dellavoro sono legate ai luoghi-nazioni, vi deve essere in ogni paese oc-cupazione positiva, anche se eventualmente piccola. Riteniamo que-sta ipotesi estremamente plausibile a questo livello di generalità.

Se Lj = L—

∀ j, come in effetti dimostreremo avvenire in un equi-librio simmetrico, la (12) diventa una normale Cobb-Douglas:

(13) Y (L—

Il salario reale pagato a ogni “tipo” di lavoro è pari al salarionominale diviso l’indice dei prezzi al consumo (espresso nei li-velli)9: WjR = Wje

c. Dalla massimizzazione del profitto delle impre-

Y Lj

n

j

n= ∏

α

234 Giuseppe Ciccarone - Enrico Marchetti

9 Per poter adottare questa formulazione occorre fare la plausibile ipotesi chela quota dei beni interni prodotti dalle imprese europee sia uguale alla quota deibeni interni consumata nell’economia (espressa da b in termini logaritmici), men-tre la quota dei beni esportati dalle imprese europee sia pari alla quota dei beniesteri consumati nell’interno.

se è possibile ottenere una formulazione, espressa in termini lo-garitmici, della domanda di ogni “tipo” di lavoro10. Assumendoche la forza lavoro totale nell’unione monetaria sia data e pari neilivelli a eN, la domanda di lavoro (nei logaritmi) per il «tipo» jsarà:

(14)

dove: wR è pari al salario medio; il singolo wRj è il logaritmo delsalario reale del “tipo” j, ossia:

La domanda aggregata di lavoro per l’intera area è data dal-la somma delle varie lj

d:

(15)

Pur partendo da una concezione differente del sistema eco-nomico da rappresentare modellisticamente, le nostre ipotesi con-ducono così ad una struttura di offerta che risulta sostanzialmenteanaloga a quella proposta da Cukierman e Lippi [14]11. Questa si-militudine deriva, essenzialmente, dall’ipotesi da noi fatta sullamobilità delle imprese sul territorio europeo e dalla definizioneprescelta del salario reale.

Essendo la forza lavoro complessivamente offerta un dato, ilsalario reale che garantisce la domanda di lavoro di pieno impie-

l l wd

j

n

jd

R= ∑ = −γ β( )

w n w nn

Rj

n

Rj= ∑ = =−=

( / ) ; log( / ); .111

β α γα

l

nw w wj

dR Rj R= − − −γ β( ) ( )

Praticabilità ed effetti della moderazione salariale, etc. 235

10 Per la derivazione della domanda di lavoro, v. CICCARONE G. - MARCHETTI E.[12].

11 La nostra equazione (14) è uguale alla equazione (3) di CUKIERMAN A. - LIP-PI F. [14] divisa per N e con il salario medio anziché quello del j-esimo sindacatonel primo addendo; la nostra equazione (15) è uguale alla loro equazione (4) di-visa per N; v. anche LIPPI F. [20] e CAVALLARI L. [11].

go (un salario “competitivo” di riferimento), può essere ottenutoeguagliando l’offerta (definita con N e pari al logaritmo della for-za lavoro totale) alla domanda complessiva espressa dalla (15):

N = ld = γ (β – wR)

da cui risulta:

(16)

Utilizzando la (16) possiamo scrivere la (14) e la (15) nel se-guente modo:

(17) ld = N + γ (wRc – wR)

(18)

La (18) stabilisce che la domanda di lavoro per ogni singolo“tipo” di lavoro diminuisce all’aumentare dello scarto tra il sala-rio reale concorrenziale e quello medio per l’intera area e delloscarto tra il singolo salario reale e quello medio dell’economia.Questo effetto sulla domanda di lavoro è prodotto dal fatto che leimprese, libere di acquisire il “tipo” di lavoro per loro più conve-niente, si indirizzano verso quelli che offrono migliori condizionidi costo.

Prima di procedere oltre, definiamo l’inflazione all’interno del-l’area (in termini logaritmici) come π= p – p–1, dove p–1 è il (lo-garitmo del) livello dei prezzi del periodo precedente. Fissandoquest’ultimo livello parametricamente pari a zero e assumendoaspettative razionali, ne consegue che: E (π) = π= p.

L’equilibrio macroeconomico nell’area può essere espresso infunzione della quantità di moneta e dello scarto tra salario me-dio nominale e salario reale “competitivo”. Usando l’uguaglianzaE (π) = π= p e la funzione di produzione aggregata (13): y = αnl,

l

Nn n

w w w wjd

Rc

R jR R= + − − −γ( ) ( )

wN

Rc = −β

γ

236 Giuseppe Ciccarone - Enrico Marchetti

la domanda macroeconomica (10) può infatti essere posta in ter-mini di occupazione complessiva:

(19) ls = nl = f1m – f2π

dove: f1 = ψ1/α e f2 = ψ2/α. La (17) può a sua volta essere espressain termini delle variabili nominali; tenendo conto del fatto che wR

= w – c e che c = δ1π+ δ2m, si ottiene infatti:

(20) ld = γ (wRc – w) + γδ1π+ γδ2m + N

Eguagliando la (19) e la (20) si ricava il livello di inflazionedi equilibrio:

(21)

In base alla (21), un aumento dei salari nominali medi ri-spetto al salario reale “competitivo” fa crescere l’inflazione, a cau-sa della restrizione sull’offerta aggregata di beni indotta dai mag-giori salari pagati dalle imprese12. Inoltre, essendo il coefficienteδ2 verosimilmente piccolo, un aumento della quantità di monetaha chiari effetti inflattivi, anche se la variazione della quantità dimoneta non si scarica necessariamente per intero sui prezzi. Que-sto aspetto può essere meglio evidenziato esplicitando l’espressio-ne dell’occupazione di equilibrio macroeconomico:

(22)

Un aumento dei salari nominali produce gli usuali effetti ne-gativi sull’occupazione, mentre un aumento di N ha effetti positi-

l

ff

w wf

fN

f ff

meRc= −

+− +

++ +

+

2

2 1

2

2 1

1 1 2 2

2 1

γδ γ δ γ

γ δ δδ γ

( )( )

π γ

δ γ δ γγδδ γ

=+

− −+

+ −+

f

w wN

fff

mRc

2 1 2 1

1 2

2 1

( )

Praticabilità ed effetti della moderazione salariale, etc. 237

12 Il segno dell’effetto non cambia (per valori ragionevoli dei parametri) se siconsiderano scarti tra salario reale medio e salario reale competitivo.

vi, conseguentemente alla traslazione delle curve di offerta di la-voro e di beni. L’impatto della quantità di moneta sulle variabilireali è di segno positivo: un suo aumento ha un effetto espansivosull’occupazione, dovuto essenzialmente alla riduzione dei tassi diinteresse.

6. - Il gioco di politica economica

6.1 La Banca centrale

Rappresentiamo l’interazione strategica tra la Banca centralee i sindacati come un gioco non cooperativo uniperiodale che ri-solviamo in termini di equilibrio di Nash. La Banca centrale fis-sa dunque la quantità di moneta prendendo i salari nominali co-me un dato e ogni sindacato fissa i suoi salari nominali conside-rando costanti i salari di tutti gli altri sindacati e la quantità com-plessiva di moneta.

Così facendo, ci distacchiamo da quella parte della letteratu-ra sui giochi di politica monetaria che, seguendo l’impostazioneoriginaria di Barro e Gordon [5], ha privilegiato l’adozione di gio-chi sequenziali di Stackelberg a due periodi, in cui il settore pri-vato agisce come leader (i sindacati godono di un vantaggio stra-tegico, fissando per primi la loro variabile di controllo) e le au-torità come follower. Compiamo questa scelta perché, pur ricono-scendo che la divisione dei ruoli tra privati e autorità come lea-der e follower permette di mettere in luce alcuni fenomeni inte-ressanti (quali l’incoerenza dinamica), essa non ci sembra ade-guatamente giustificabile sul piano del realismo13. In mancanzadi argomenti sufficientemente robusti in favore dell’impostazione

238 Giuseppe Ciccarone - Enrico Marchetti

13 Se è vero che i contratti salariali hanno di solito una durata temporale piùlunga delle decisioni di politica monetaria, il che potrebbe indurre a ritenere chei wage setters desiderino cautelarsi da una possibile modificazione della politicaadottata dalla Banca centrale tenendo in considerazione la sua reazione alle loroscelte, la maggior durata dei contratti non sembra poter giustificare, di per sé, unarappresentazione in cui i wage setters muovono per primi e la Banca centrale siadegua alle loro decisioni. Anche una visione opposta, in cui il leader è la Bancacentrale, potrebbe trovare evidenti argomenti a suo favore.

Stackelberg, la scelta più neutra sul piano analitico appare a noi– e ad altri, come ad esempio Roemer [23] – quella di adottareuna struttura simultanea delle mosse dei giocatori14.

La Banca centrale viene descritta da una funzione di costotradizionale, dipendente negativamente dall’occupazione totale epositivamente dal tasso di inflazione:

(23)

dove I rappresenta il saggio marginale di sostituzione tra i dueobiettivi della Banca centrale (la sua avversione relativa all’infla-zione). Questo parametro viene comunemente definito il grado diconservatorismo (degree of conservativeness) delle autorità mone-tarie. Una Banca centrale che ha come solo obiettivo il pieno im-piego fissa I = 0; se invece questo obiettivo unico è un tasso di in-flazione nullo, allora I tende ad infinito.

La Banca centrale determina la quantità ottimale di monetada introdurre nell’economia attraverso la soluzione del problema:

minm

Γ

s.t. (18), (21), (22)

Notando che il vincolo rappresentato dalla (18) non è cogen-te, dalla condizione del primo ordine per un minimo si ottiene lacurva di reazione della Banca centrale15:

Γ = − +l

Ie

22π

Praticabilità ed effetti della moderazione salariale, etc. 239

14 Si noti, incidentalmente, che i risultati di CUKIERMAN A. - LIPPI F. [14] ri-sentono fortemente dell’ipotesi sulla struttura sequenziale da essi adottata. In par-ticolare, la relazione tra il wage permium (la differenza tra il salario reale fissatodai sindacati e quello che assicura la piena occupazione), che influenza la perfor-mance macroeconomica, e il grado di centralizzazione manifesta l’andamento ad“U” ipotizzato da Calmfors e Driffill solo se si assume che il settore privato (i sin-dacati) sia il leader del gioco Stackelberg. Se si adottasse una struttura simulta-nea, il wage premium si ridurrebbe monoticamente all’aumentare della decentra-lizzazione, mentre il grado di conservatorismo della Banca centrale non avrebbepiù effetto sulla disoccupazione, ma solo sull’inflazione.

15 Le condizioni del secondo ordine garantiscono che la soluzione individuaeffettivamente il minimo della funzione di costo se (come noi assumiamo) l’im-patto della quantità di moneta sull’inflazione è positivo; cioè se: f1 – γδ2 > 0.

(24)

Ricordando che wR = w – c, sostituendo questa espressionenella (24) e l’equazione risultante nella (21), si ottiene:

(25)

Infine, sostituendo la (25) nella (24) e ponendo w = wR + c,si ottiene la reazione della Banca centrale allo spread tra salarioreale effettivo e salario reale di pieno impiego (real wage pre-mium):

(26)

L’equazione (25) mette in luce quattro fenomeni fondamenta-li:

1) il meccanismo sottostante la Proposta di Tarantelli, ope-rante attraverso l’effetto calmieratore che la moderazione salaria-le ha sul tasso di inflazione (via mark-up sui costi), non risultapresente in questo contesto analitico, dove quel tasso è indipen-dente dalle decisioni salariali;

2) di conseguenza, scompare l’effetto strategico che contri-buisce a spiegare la relazione di Calmfors e Driffill in base allacapacità del sindacato di valutare le conseguenze delle sue politi-che salariali sul livello generale dei prezzi, e quindi sul salario rea-le degli altri sindacati; il meccanismo qui operante attiene inveceal legame esistente tra il salario fissato da ogni singolo sindaca-to, il salario medio e l’occupazione aggregata;

3) il tasso di inflazione tende a zero al crescere di I verso in-finito: se questo è il suo unico obiettivo, la Banca centrale puòottenere un tasso di inflazione nulla;

m

fw w

Nf

f f fI f fR R

c= − − + + +−

γ γ δ δδ γ1 1

1 1 2 2 2

1 2 1

( )( )

( )

π γ δ δ

δ γ* ( )

( )= +

−1 1 2 2

1 2

f fI f

m

fw w

Nf

f f f

I fRc= −

−− +

−+ + +

γδ γ δ γ

γ δ δ δ γδ γ1 2 1 2

1 1 2 2 2 2

1 22

( )( )( )

( )

240 Giuseppe Ciccarone - Enrico Marchetti

4) per n che tende ad infinito, π* assume valori negativi (neilogaritmi), ossia si possono verificare fenomeni di riduzione deiprezzi.

6.2 I sindacati dei lavoratori

Ciascun “tipo” di lavoro esprime una funzione di costo linea-re nel salario reale e quadratica nell’occupazione, dove A rappre-senta il saggio marginale di sostituzione tra i due obiettivi16:

(27)

Esistono H sindacati, l’i-esimo dei quali (per i = 1, ..., H) con-trolla un numero pari a z = n/H “tipi” di lavoro, esprime una fun-zione obiettivo data dalla somma delle utilità di ciascun “tipo”di lavoro da esso rappresentato, e determina il livello presceltodegli z salari nominali wj (per j = 1, ..., z) relativi ai gruppi di la-voratori da esso rappresentati attraverso la soluzione del pro-blema:

s.t. (18), (21), (22)

Notando che in tal caso è il vincolo rappresentato dalla (22)a non essere cogente e ricordando che wR = w – c e che c = δ1π+δ2m, la condizione del primo ordine per un minimo può esserescritta come17:

min , , w w

zj

z

jj

z

rjj

z

jd

z

U w ANn

l1 1 1 1K

Ω = ∑ = − ∑ + ∑ −

= = =

U w A

Nn

lj Rj jd= − + −

22

Praticabilità ed effetti della moderazione salariale, etc. 241

16 Risultati qualitativamente uguali verrebbero raggiunti utilizzando altre for-me funzionali comunemente adottate. Le motivazioni che inducono a preferire laforma espressa nella (27) sono esposte in ACOCELLA N. - CICCARONE G. [1].

17 Anche in questo caso le condizioni del secondo ordine garantiscono che lasoluzione individua effettivamente il minimo della funzione di costo.

(28)

In questa formulazione, dove A è uguale per tutti i gruppi dilavoratori, all’interno di ciascun sindacato i-esimo tutti i wj risul-teranno necessariamente uguali tra loro e quindi anche uguali alsalario medio: wj = wj. Ma dato che ciò vale per ogni sindacatopresente nell’economia, tutti i salari risultano uguali tra loro; i dueultimi addendi tra parentesi quadre sono quindi uguali a zero esi individua una sola funzione di reazione, uguale per ogni orga-nizzazione dei lavoratori, che può essere scritta come:

(29)

Questa curva di reazione indica che aumenti della forza la-voro presente nell’economia deprimono il salario nominale men-tre incrementi della quantità di moneta lo aumentano. Nel nostrocontesto, ritroviamo dunque le influenze sul salario nominaleusualmente individuate nella letteratura in argomento.

6.3 L’equilibrio di Nash

Per determinare l’equilibrio di Nash, uguagliamo le curve direazione (24) e (29), ricordando nuovamente che w = wR + c = wR

+ δ1π+ δ2m e che valgono le relazioni espresse dalle equazioni (25)

w w

n f z n fA z f n n z f f f

Nf f

fmR

c− + + − ++ − +

− + +[ ( ) ] ( )[ ( )( )]

( )2 1 12

2 1

2 2 1 2

1

2

1 1 2 2

2

δ γ δ γ δ γγ δ γ γ

δ δ δ

− − −−

+ − − − − + −

+

+ −+

⋅ − − − − +∑

n f zn f

An

w wn n

m w w

An n f n

zn

w wzn

zn

m z

Rc

j

Rc j

( )( )

( ) ( )

( )

( )

2 1 1

2 1

1 2

2

21

2 1

1 2

1

δ γ δ γδ γ

γ γδ π γδ

γ γ δδ γ

γ γδ π γδ == −

=1 0

z

jw

zw

242 Giuseppe Ciccarone - Enrico Marchetti

e (26). Effettuando le opportune sostituzioni, si ottiene la seguenteespressione del real wage premium:

(30)

Dalla (30) risulta immediatamente quanto segue.1) Escludendo (in quanto economicamente non significativo)

il caso n = 0, per avere φ = 0 deve essere: z = n (1+f2/δ1γ), ossia z >n, e dunque H < 1, una possibilità esclusa per definizione: il sa-lario effettivo non può mai essere uguale a quello di pieno im-piego;

2) se H = 1, allora z = n e φ = n2/Aγ2 > 0: in presenza di un so-lo sindacato, il salario reale effettivo è sempre maggiore di quel-lo di pieno impiego;

3) se H = n, allora z = 1 e:

ma anche:

il salario reale che si ottiene con la massima dispersione sindaca-le possibile è maggiore di quello generato da un solo sindacato;

4) la derivata di φ rispetto a z è negativa: al crescere di z, os-sia all’aumentare della centralizzazione salariale, il wage premiumdiminuisce monotonicamente. Si raggiunge in tal modo una con-clusione significativamente diversa da quella prodotta dalla tradi-zionale letteratura sul sindacato: il monopolio nella fissazione delsalario è elemento calmieratore delle rivendicazioni salariali.

Per valutare l’effetto di φ sull’occupazione, sostituiamo la (26)e la (21), calcolata in termini di wage premium reale, nella (22),così ottenendo la domanda aggregata di lavoro (17) espressa intermini del wage premium di equilibrio di Nash:

n n fA f n n f

n

A

22 1 1

2 2 1

2

21[ ( ) ]

[ ( )( )]+ −

+ − +>δ γ δ γ

γ γ δ γ γ

φ δ γ δ γ

γ γ δ γ= + −

+ − +>n n f

A f n n f

22 1 1

2 2 110

[ ( ) ][ ( )( )]

φ δ γ δ γ

γ γ δ γ= − = + −

+ − +w w

n n f zA z f n n z fR R

c2

2 1 1

2 2 1

[ ( ) ][ ( )( )]

Praticabilità ed effetti della moderazione salariale, etc. 243

(31) le = N – γφ

Essendo γ sempre positivo, al diminuire di z, ossia al ridursidel grado di centralizzazione delle decisioni salariali, φ cresce el’occupazione di equilibrio diminuisce monotonicamente. La cur-va Calmfors-Driffill lascia il posto ad una relazione sempre cre-scente tra centralizzazione delle politiche salariali e performancedell’economia.

La spiegazione di questo risultato deve essere rintracciata nel-la capacità di un piccolo numero di sindacati di internalizzare leconseguenze negative sul salario medio, e quindi sull’occupazionecomplessiva, di una politica salariale aggressiva. La competizionenel mercato del lavoro non fornisce invece i meccanismi neces-sari per eliminare l’esteralità negativa prodotta da ciascun sinda-cato su tutti i “tipi” di lavoro. Numerosi sindacati, ad esempiotante organizzazioni nazionali, che rappresentano un limitato in-sieme di lavoratori, cercheranno di stabilire i salari in modo daattrarre le imprese presenti nell’economia. Così facendo genere-ranno però, con le ipotizzate funzioni obiettivo, salari tra lorouguali, e dunque incapaci di incidere in modo discriminante sul-le scelte delle imprese. Al contempo, non prestando attenzione aglieffetti aggregati dei loro comportamenti individuali sulla doman-da complessiva di lavoro, si conseguirà un livello di occupazioneminore di quella che si otterrebbe con sindacati meno corporati-vi o, al limite, con un sindacato monopolista.

Si noti che, in questo contesto, una politica di moderazionesalariale non viene intrapresa dal sindacato, come invece pro-spettava Tarantelli, al fine di piegare le aspettative e quindi l’in-flazione effettiva, così da aumentare la competitività mantenendoinalterato il reddito reale, grazie anche a più significative politi-che di welfare rese possibili dai minori oneri per interessi sul de-bito che si accompagnano alla deflazione. Dato il grado di cen-tralizzazione delle scelte salariali, la moderazione salariale è quiil semplice risultato di un comportamento ottimizzante attuato dalsindacato, per così dire, in isolamento, ovvero in quanto operan-te in un contesto dove è la Banca centrale (cioè il suo grado diconservatorismo) a stabilire il tasso di inflazione del sistema.

244 Giuseppe Ciccarone - Enrico Marchetti

Elaborando su quanto il modello suggerisce per il contestoeuropeo, sembra di poter affermare che in un’unione monetariadove le imprese sono più mobili dei lavoratori, è la Banca cen-trale unica e non il sindacato a coordinare le aspettative inflazio-nistiche e l’effettivo andamento dei prezzi. Questa modificazione“istituzionale”, insieme alla frammentazione sindacale e alla con-seguente incapacità dei diversi livelli di governo di agire come sog-getto di mediazione in relazioni industriali dominate dalla mobi-lità territoriale delle imprese, lascia pochi spazi alla prospettiva diconcertazione ideata da Tarantelli. Inoltre, questo mutato conte-sto economico sembra riavvalorare, a scapito dell’ipotesi Clamfors-Driffil, le analisi degli anni ’80 (Newell e Symons [22]; Bean et Al.[6]; Bruno e Sachs [8]) che individuavano nel crescente grado dicentralizzazione (o corporativismo) della contrattazione il vero fat-tore cruciale del miglioramento delle prestazioni macroeconomi-che.

L’unico elemento che mantiene intatta la sua originaria rile-vanza ci sembra essere l’importanza attribuita da Tarantelli allacapacità del sindacato di proporsi come soggetto unificante ditutti i “tipi” di lavoro. Per continuare ad attribuire importanza aquesto aspetto, è però necessario sostituire l’effetto positivo sul-le aspettative di inflazione prodotto dalla contrattazione salaria-le centralizzata con il miglioramento da questa prodotto sulle op-portunità occupazionali aggregate. Questo ruolo positivo svoltoda un sindacato unitario risulta ancora più evidente in presenzadi una tecnologia produttiva a rendimenti possibilmente cre-scenti.

7. - Sindacati “di mestiere” e rendimenti crescenti: l’emer-gere del dumping salariale

7.1 Sindacati “di mestiere”

Si immagini ora che nell’economia esistano soltanto sindaca-ti “di mestiere”, ossia che il numero di sindacati sia pari al nu-

Praticabilità ed effetti della moderazione salariale, etc. 245

mero di “tipi” di lavoro. Come risulta evidente dalla (30), se z =1, il valore del wage premium risulta pari a:

(32)

Ricordando che γ = n/1 – α, è agevole verificare che, per n =1, φ = (1 – α)2/A > 0 e che, per n → ∞, φ →1 – α/A>0: al crescere din, il wage premium tende ad un asintoto positivo. E dato che (1– α)2/A < (1 – α)/A, ne consegue che il valore del wage premium chesi ottiene con un solo sindacato (con un solo “tipo” di lavoro) èminore di quello che si ottiene in presenza di una elevata decen-tralizzazione della contrattazione salariale. È anche agevole cal-colare la derivata di φ rispetto ad n:

(33)

dove: G = αf2 + n (f2 (1 – α) – δ1) + δ1n2. Per valori di n > 1 risulta

∂φ/∂n > 0. Il valore di φ è monotonicamente crescente in n, con laconcavità sempre rivolta verso il basso.

L’occupazione di equilibrio è data da le = N – γφ, con γ semprepositivo. Per n = 1 si ottiene: le = N – (1 – α)/A < N, mentre per n →∞ risulta: le = N – n/A. Nel secondo caso, l’occupazione tende a zeroe le perdite di benessere per i sindacati sono maggiori nel caso diforte decentramento che nel caso di centralizzazione totale. La con-clusione da trarre è che, in presenza di sindacati “di mestiere” e direndimenti decrescenti a livello aggregato, una maggiore dispersio-ne dei “tipi” di lavoro fornisce performance economiche peggiori diquelle associate alla soluzione con totale centralizzazione.

7.2 Rendimenti crescenti

Si assuma ora che la funzione di produzione mostri rendi-

∂φ∂

α α δ δ αn A

f n f

G= −

− + −1 2 12 1 1 22

[ ( )]

φ δ γ δ γ

γ γ δ γ= − = + −

+ − +w w

n n fA f n n fR R

c2

2 1 1

2 2 11[ ( ) ]

[ ( )( )]

246 Giuseppe Ciccarone - Enrico Marchetti

menti crescenti al di sopra di un dato valore di n, come avviene,ad esempio, con la seguente:

Se Lj = L—

∀ j, questa funzione diventa: Y = (L—n)α = (L

—)nα. In tal

caso, le funzioni di domanda di lavoro continuano ad essereespresse dalla (17) e dalla (18), e continua a valere la (32), ma ivalori dei parametri sono ora: β = log α; γ = n/1 – nα. Ne consegueche l’equazione del wage premium può essere scritta come:

(34)

Questo risultato ha conseguenze fondamentali per il nostroragionamento. Dato che, per n = 1, γ risulta pari al valore γ = 1/(1– α) e che, per n che tende ad infinito, γ tende al valore γ = –1/α< 0, si deriva immediatamente quanto segue: 1) n deve essere di-verso dai valori che annullano il denominatore: si richiede tra l’al-tro n ≠ 1/α; 2) per n = 1, il valore di φ è strettamente positivo, os-sia il salario reale fissato dall’unico sindacato esistente è maggio-re di quello “competitivo”; 3) escludendo il caso n = 0, il numera-tore della (34) si annulla con un valore di n =( f2 – δ1)/(af2 – δ1)>1;esiste dunque un valore di n per cui il salario reale effettivo è pa-ri a quello “competitivo”: la presenza di sindacati nell’economianon produce necessariamente equilibri di sottoccupazione; 4) altendere di n ad infinito, il wage premium tende a –∞. Nei livelli,ciò significa che il rapporto tra il salario sindacale e quello “com-petitivo” tende a zero.

In presenza di rendimenti crescenti, un piccolo numero di sin-dacati porta dunque il salario reale al di sopra di quello “compe-titivo”, ma la concorrenza tra un elevato numero di sindacati, vol-ta ad attrarre la domanda di lavoro delle imprese, porta a una

φ α δ

αα δ

= − = − − −

−+ − − +

w wn nf n n n

Ann

f n n n f n nR R

c [ ( ) ( )]

[ ( )( ( ) )]

2 1

2 2 1

1 1

11 1

Y L

j

n

j= ∏

α

Praticabilità ed effetti della moderazione salariale, etc. 247

“guerra dei salari” che può spingere il salario reale al di sotto diquello che garantisce il pieno impiego.

Per valutare l’effetto di ciò sull’occupazione, consideriamo nuo-vamente la domanda aggregata di lavoro (31) espressa in terminidel wage premium di equilibrio di Nash: le = N – γφ. Per valori posi-tivi di φ e di γ, l’occupazione effettiva di equilibrio le risulta minoredi N: aumenti del wage premium comportano maggiori tassi di di-soccupazione. Ciò può però accadere soltanto per valori n piuttostopiccoli. Al crescere di n, si ottiene il valore al quale corrisponde φ =0 e l’occupazione risulta pari al pieno impiego.

Man mano che n aumenta, a partire da un certo punto, il wa-ge premium diventa negativo e comincia a diminuire costante-mente. Una combinazione di γ e φ entrambi negativi18 indica chequando i sindacati, all’aumentare del loro numero, comprimonoprogressivamente i salari reali sotto il livello del pieno impiego (siscatena la guerra al ribasso dei salari) per attirare le imprese eottenere maggiore occupazione individuale, l’occupazione com-plessiva diminuisce al di sotto di quella massima possibile. Que-sto risultato richiede un breve approfondimento.

Si osservi innanzi tutto che la domanda di lavoro complessi-va (17) è influenzata da n: per n > 1/α la domanda di lavoro ag-gregata è inclinata positivamente, dato che per tali valori di n laproduttività del lavoro (aggregata) risulta crescente. Il comporta-mento dei singoli sindacati, derivante dalla soluzione del loro pro-blema di ottimizzazione individuale, risulta dunque ancora unavolta miope, perché essi non si curano della domanda di lavorocomplessiva, ma solo di quella relativa al loro gruppo di lavora-tori, che dipende anche dalla differenza tra il salario del singolosindacato e quello medio dell’economia e la cui derivata rispettoal primo risulta negativa anche per valori molto grandi di n:

(35)∂

∂γl

w n njd

Rj

= − − −

2

11

248 Giuseppe Ciccarone - Enrico Marchetti

18 Per un insieme molto limitato di valori di n, può verificarsi φ > 0 e γ < 0. Siotterrebbe in tal caso un salario maggiore di quello competitivo associato ad unvalore dell’occupazione pari ad N, ossia a quella massima possibile. Gli effetti chegenerano questo risultato inusuale sono quelli discussi più avanti nel testo.

È immediato verificare che per n → ∞ la (35) è pari a –1.Ciò configura, nuovamente, una rilevante esternalità negativa

tra i sindacati. Anche se a livello aggregato un aumento del sala-rio medio al disopra del livello competitivo potrebbe far aumen-tare il reddito garantendo il pieno impiego (nel caso di γ < 0), cia-scun sindacato cerca di abbassare il suo salario per attirare oc-cupazione; viene seguito dagli altri e così si abbassa il salario me-dio dell’economia. Questo effetto perverso è rafforzato dal fattoche, quando è γ < 0, il livello del salario competitivo wc

R è relati-vamente più alto, come evidente dalla (16), e quindi è meno one-roso per il singolo sindacato abbassare il proprio salario reale.Queste osservazioni spiegano perché, quando la produttività dellavoro è crescente a livello aggregato, il salario può scendere sot-to il livello wc

R ma l’occupazione risulta minore di quella di pienoimpiego, generando una rilevante perdita di benessere per i lavo-ratori.

È agevole dimostrare che, in questo contesto con rendimentipossibilmente crescenti, se i numerosi sindacati «di mestiere» ven-gono sostituiti da un unico sindacato che fissa i salari nominaliper tutti gli n gruppi di lavoratori, il loro benessere aumenta ine-quivocabilmente. Se, coerentemente con quanto fatto nel prece-dente paragrafo, assumiamo che questo sindacato minimizzi lasomma dei costi di ogni singolo gruppo di lavoratori, il suo pro-blema può essere scritto come:

s.t. (18), (21), (22)

Svolgendo gli usuali calcoli, si ottiene ovviamente:

(36)

Per n = 1 risulta φ = (1 – α)2/A, ma per n → ∞ il wage premium

φ α= − = − >w w

nAR R

c ( )10

2

min, w w j

n

jj

n

Rjj

n

jd

n

U w ANn

l1 1 1 1

2

2K

Ω = ∑ = − ∑ + ∑ −

= = =

Praticabilità ed effetti della moderazione salariale, etc. 249

tende ad infinito: al crescere dei «tipi» di lavoro il sindacato fis-sa un wage gap altissimo. E dato che, per elevati valori di n, γ ènegativo e φ è positivo, dalla (31) si ricava che l’occupazione ri-sulterà pari al pieno impiego. Questo accade perché, essendo lacurva di domanda positivamente inclinata (verticale), le impreseesprimeranno una domanda di lavoro sempre maggiore dell’offerta(per valori positivi di φ). E dato che l’occupazione totale può es-sere al massimo pari alla forza lavoro totale, la fissazione di unsalario estremamente alto da parte del sindacato assorbirà tutti iprofitti delle imprese.

La conclusione generale è che, nel nostro modello, la curvaCalmfors-Driffill lascia generalmente il posto ad una relazionesempre crescente tra grado di centralizzazione della politica sala-riale e performance dell’economia.

7.3 Implicazioni per la politica sindacale

Da quanto esposto sopra risulta evidente che la flessibilità delmercato del lavoro non garantisce, di per sé e in generale, esitipositivi per i lavoratori e per l’economia nel suo complesso, so-prattutto se essa viene concepita soltanto in termini di contratta-zione salariale decentrata. Ciò che occorre è un coordinamentotra le varie organizzazioni sindacali “di mestiere” che porti ad ungrado di centralizzazione “adeguato”, il che, a sua volta, richiededi aumentare l’omogeneità tra i diversi “tipi” di lavoro presenti inEuropa. Sarebbe infatti più facile diminuire la numerosità dei sin-dacati “di mestiere” se si riducessero le differenziazioni tra i varilavoratori prodotte da specificità locali e/o professionali, il chesuggerisce di favorire l’adozione di politiche volte a privilegiare,da un lato, l’acquisizione di un’istruzione di base omogenea a li-vello europeo e, dall’altro, un livellamento verso l’alto delle abilità(linguistiche, tecniche e organizzative) dei lavoratori.

I sindacati nazionali dovrebbero sostenere tutte quelle politi-che di riforma dei programmi e delle metodologie adottate ai di-versi livelli del sistema scolastico e di quello universitario che sia-no in grado di elevare l’uniformità nel livello di istruzione dei cit-

250 Giuseppe Ciccarone - Enrico Marchetti

tadini europei. Gli stessi sindacati dovrebbero però richiedere esostenere anche un’intensificazione di tutte le politiche attive nelmercato del lavoro, non soltanto di quelle di training, in grado direndere i lavoratori di diverse nazioni parimenti empoloyable nelmercato europeo.

All’intensificarsi delle politiche volte a rendere più omogeneae sostituibile la forza lavoro tra le varie nazioni europee si asso-cerebbe però una crescente mobilità delle imprese sul territoriodell’unione monetaria. Ciò renderebbe più probabile il verificarsidei risultati che scaturiscono dal nostro modello, in particolare la“guerra dei salari” causata dalle esternalità negative. Le politicheper l’istruzione e le politiche attive nel mercato del lavoro do-vrebbero essere dunque coniugate con uno sforzo volto a conse-guire un coordinamento efficace e permanente tra i vari sindaca-ti nazionali.

La distanza riscontrabile tra queste politiche e quelle attual-mente perseguite, sia a livello nazionale che a livello di unione,dalle organizzazioni dei lavoratori europei mette in luce il ritar-do esistente nella riflessione dei sindacati, ma evidenzia anche lamiopia di alcune scelte non accompagnate da adeguate politichedi sostegno. È pericoloso e potenzialmente dannoso per i lavora-tori cercare di omogeneizzare i diversi territori senza un simulta-neo intensificarsi del coordinamento sindacale a livello nazionalee sovranazionale perché la flessibilità dei salari potrebbe in tal ca-so tradursi in perdite di reddito reale e di occupazione.

8. - Sintesi e conclusioni

L’analisi svolta in questo lavoro ha consentito di valutare, nel-l’odierno contesto europeo caratterizzato da elevata mobilità ter-ritoriale delle imprese, l’attualità e l’attuabilità della proposta dimoderazione salariale originariamente avanzata da Tarantelli. Daquesto esercizio derivano numerose conclusioni, tutte basate sul-l’osservazione che, nell’economia da noi considerata, una politicadi moderazione salariale è il semplice risultato di un comporta-mento ottimizzante di sindacati operanti in un contesto dove è la

Praticabilità ed effetti della moderazione salariale, etc. 251

Banca centrale (o meglio il suo grado di conservatorismo) a sta-bilire il tasso di inflazione del sistema.

La moderazione salariale richiede, per definizione, un bassowage premium, ma questo dipende da un fondamentale fattorestrutturale: il grado di centralizzazione della contrattazione sala-riale esistente nell’economia, qui rappresentato dal parametro z.La possibilità stessa di una politica di moderazione salariale di-pende dunque dal grado di centralizzazione riscontrabile nel con-testo europeo.

L’andamento della funzione che esprime questa relazione tranumerosità sindacale e wage premium, nell’usuale caso di rendi-menti decrescenti, mostra che il salario effettivo risulta sempremaggiore di quello di pieno impiego e che il wage premium di-minuisce monotonicamente all’aumentare della centralizzazione.Si raggiunge in tal modo una conclusione significativamente di-versa da quella prodotta dalla tradizionale letteratura sul sinda-cato: il monopolio nella fissazione del salario è elemento calmie-ratore e non espansivo delle rivendicazioni salariali. Inoltre, l’oc-cupazione di equilibrio cresce monotonicamente all’aumentare delgrado di centralizzazione. La curva Calmfors-Driffill lascia dun-que il posto ad una relazione sempre crescente tra centralizza-zione e performance dell’economia.

Questo risultato è prodotto dalla capacità di un piccolo nu-mero di sindacati di internalizzare le conseguenze negative sul sa-lario medio, e quindi sull’occupazione complessiva, di una politi-ca salariale aggressiva. Numerosi sindacati, non prestando atten-zione agli effetti aggregati dei loro comportamenti individuali sul-la domanda complessiva di lavoro, non riescono invece ad elimi-nare l’esteralità negativa prodotta da ciascun sindacato su tutti glialtri.

In presenza di tanti “sindacati di mestiere” e di rendimentipossibilmente crescenti a livello aggregato, il nostro modello met-te in luce il fatto che, nuovamente, una struttura sindacale ec-cessivamente decentrata può dar luogo a significative esternalitànegative per i sindacati e per i lavoratori, con rilevanti perdite dibenessere prodotte da un fenomeno finora assente dalla lettera-tura in argomento e da noi definito come “guerra dei salari”, in

252 Giuseppe Ciccarone - Enrico Marchetti

linea con quello della “guerra dei prezzi” già noto alla letteraturasui mercati oligopolistici (Fudenberg e Tirole [15]). Da ciò conse-gue che, in presenza di una frammentazione eccessiva del mer-cato del lavoro a livello comunitario, si potrebbe spontaneamen-te verificare un eccesso di moderazione salariale, nel senso che iredditi reali dei lavoratori cadrebbero insieme all’occupazione.

In modo apparentemente paradossale, se il numero dei «me-stieri», e quindi dei sindacati, fosse tale da generare questo risul-tato, ai lavoratori converrebbe abbandonare del tutto la sindaca-lizzazione ed accettare un mercato del lavoro interamente libera-lizzato, dove il salario reale risulterebbe pari a quello competiti-vo e la disoccupazione sarebbe nulla. Soltanto se la dispersionedelle capacità lavorative fosse proprio quella che garantisce il rag-giungimento del salario di pieno impiego, si potrebbe ottenere mo-derazione salariale senza ricorrere alla “guerra dei salari”. Se l’oc-cupazione viene pesata più del reddito reale dei lavoratori, si po-trebbe individuare questo caso come “ottimale” per l’area dell’eu-ro. Infatti, per quell’insieme di (bassi) valori di n per cui il wagepremium risulta positivo e l’occupazione minore della forza lavo-ro, le perdite di benessere per i lavoratori dovute alla disoccupa-zione non vengono compensate dal maggior reddito reale, i cuiincrementi risultano relativamente modesti.

Se, sempre in presenza di rendimenti possibilmente crescen-ti, un unico sindacato sostituisce i tanti sindacati di “mestiere”, ilwage premium aumenta e l’occupazione risulta pari al pieno im-piego. Questo accade perché, essendo la curva di domanda posi-tivamente inclinata (verticale), le imprese esprimono una doman-da di lavoro sempre maggiore dell’offerta. E dato che l’occupa-zione totale può essere al massimo pari alla forza lavoro totale,la fissazione di un salario estremamente alto da parte del sinda-cato assorbe tutti i profitti delle imprese.

Nel contesto da noi analizzato, il benessere dei lavoratori ten-de dunque a migliorare al crescere del grado di centralizzazione.Questo risultato ci sembra compatibile con la Proposta di Taran-telli perché una dispersione sindacale minore di quella che stia-mo attualmente sperimentando in Europa è un prerequisito perla validità della proposta stessa. Soltanto ricostruendo un conte-

Praticabilità ed effetti della moderazione salariale, etc. 253

sto economico-istituzionale nel quale pochi sindacati coordinatitra loro possano rappresentare un elevato numero di lavoratori edove il governo possa utilizzare gli strumenti della politica eco-nomica per svolgere un ruolo di mediazione del conflitto distri-butivo sarà possibile immaginare, anche in un’unione monetariadove la Banca centrale influenza l’effettivo andamento dei prez-zi, un ruolo per la moderazione salariale simile a quello pro-spettato da Tarantelli.

254 Giuseppe Ciccarone - Enrico Marchetti

BIBLIOGRAFIA

[1] ACOCELLA N. - CICCARONE G., «Trade Unions, Nonneutrality and Stagflation»,Public Choice, vol. 91, 1997, pp. 161-78.

[2] — — - — —, «Moderazione salariale e “scambio politico”: un’analisi mi-crofondata», Rivista Italiana di Economia, n. 0, 1995, pp. 111-38.

[3] — — - — —, «Il sindacato da Tarantelli ai modelli microfondati», Quaderni diEconomia del Lavoro, n. 52, 1995, pp. 235-60.

[4] ACOCELLA N. - DI BARTOLOMEO G., Wage and Public Expenditure Setting in aMonetary Union, Roma, Università «La Sapienza», Dipartimento di EconomiaPubblica, mimeo, 2000.

[5] BARRO R.J. - GORDON D., «Rules, Discretion and Reputation in a Model of Mo-netary Policy», Journal of Monetary Economics, vol. 12, 1983, pp. 101-21.

[6] BEAN C. - LAYARD R. - NICKELL S., «The Rise in Unemployment: a Multicoun-try Study», Economica, vol. 53, supplemento 1986, pp. S1-S22.

[7] BLEANEY M., «Central Bank Independence, Wage Bargaining Structure andMacroeconomic Performance. A Survey», OECD Economic Studies, vol. 21,1996, pp. 20-38.

[8] BRUNO M. - SACHS J., The Economics of Worldwide Stagflation. Oxford, BasilBlackwell, 1985.

[9] CALMFORS L., «Centralisattion of Wage Bargaining and Macroeconomic Perfor-mance. A Survey», OECD Economic Studies, vol. 21, 1993, pp. 161-91.

[10] CALMFORS L. - DRIFFILL J., «Bargaining Structure, Corporatism and Macroe-conomic Performance», Economic Policy, vol. 6, 1988, pp. 14-61.

[11] CAVALLARI L., Inflation and Openess with non-Atomistic Wage Setters, Roma,Università «La Sapienza», Dipartimento di Economia Pubblica, mimeo, 1999.

[12] CICCARONE G. - MARCHETTI E., Wage Bargaining Externalities and Wage Dum-ping in a Monetary Union, Roma, Università «La Sapienza», Dipartimento diEconomia Pubblica, mimeo, 2000.

[13] CUKIERMAN A., Central Bank Strategy, Credibility and Independence: Theory andEvidence, Cambridge, MIT Press, 1992.

[14] CUKIERMAN A. - LIPPI F., «Central Bank Independence, Centralization of Wa-ge Bargaining and Unemployment: Theory and Some Evidence», EuropeanEconomic Review, vol. 43, 1999, pp. 1395-434.

[15] FUDENBERG D. - TIROLE J., «Understanding Rent Dissipation: On the Use ofGame Theory in Industrial Organization», Papers and Proceedings, AmericaEconomic Review, vol. 77, 1987, pp. 176-83.

[16] FUEST C. - HUBER B., «Tax Coordination and Unemployment», InternationalTax and Public Finance, vol. 6, 1999, pp. 7-26.

[17] GYLFASON T. - LINDBECK A., «The Interaction of Monetary Policy and Wages»,Public Choice, vol. 79, 1994, pp. 33-46.

[18] — — - — —, «Wages, Money and Exchange Rates with Endogenous Unionsand Governments», Journal of Policy Modeling, vol. 12, 1990, pp. 469-93.

[19] HALL P.A. - FRANZESE JR. R.J., The Mixed Blessing of Central Bank Indepen-dence and European Monetary Union, Cambridge (Mass.), MA., Harvard Uni-versity, mimeo, 1996.

[20] LIPPI F., «Strategic Monetary Union with non-Atomistic Wage Setters: a Casefor Non-Neutrality», CEPR Discussion Paper, n. 2218, 1999.

Praticabilità ed effetti della moderazione salariale, etc. 255

[21] MCCALLUM B. - NELSON E., «An Optimizing IS-LM Specification for MonetaryPolicy and Business Cycle Analysis», NBER Working Paper, n. 5875, 1997.

[22] NEWELL A. - SYMONS J., «Corporatism, Laissez-Faire and the Rise in Unem-ployment», European Economic Review, vol. 31, 1987, pp. 567-614.

[23] ROEMER J., «The Democratic Political Economy of Progressive Income Taxa-tion», Econometrica, vol. 67, 1999, pp. 1-19.

[24] SKOTT P., «Stagflation Consequences of Prudent Monetary Policy in a Unio-nised Economy», Oxford Economic Papers, vol. 49, 1997, pp. 609-22.

[25] TARANTELLI E., Il ruolo economico del sindacato, Bari, Laterza, 1978.[26] — —, Economia politica del lavoro, Torino, Utet, 1986.[27] — —, La forza delle idee, Bari, Laterza, 1995.[28] VELASCO A. - GUZZO V., «Monetary Policy Games and Coalitions in a Two Coun-

try Model with Unionised Wage Setting», European Economic Review, vol. 43,1999, pp. 1317-44.

256 Giuseppe Ciccarone - Enrico Marchetti