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“Fare della praticabilità delle nostre proposte l’elemento di radicalità estrema: non c’è nulla di più radicale di una soluzione concreta, applicabile, replicabile, in grado di rappresentare un’alternativa reale a quelle dominanti. Non c’è posizione più estrema e radicale di una posizione che sta in campo”.

(dal documento per il congresso nazionaledi Legambiente)

Bergamo 22 – 23 ottobre 2011

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INDICEQUESTA VOLTA PARTIAMO DA NOILa forza delle buone relazioniAlla ricerca delle generazioni prossime ventureVolontariato, con l’ambizione di cambiare il mondo

IL MONDO, LA LOMBARDIAL’ambientalismo del 21° secoloUn mondo che cambia, non necessariamente in peggio: a Sud dell’Europa, a Nord del MediterraneoNuovi lombardi dal mondoOltre la sussidiarietà: un modello logorato nella pratica del potereTra pubblico e privato: noi, catalizzatori di una diversa idea di sviluppo

I BENI E LE SFIDE COMUNILa sfida dell’acqua è ancora aperta: per proteggere il bene comune, dalla sorgente al mareFermare il consumo di suolo, per tornare a costruire la cittàAree dismesse industriali e terreni inquinatiLa Lombardia delle autostrade sbagliate ipoteca la green mobilityLe aree protette, dal desiderio al rilancioL’agricoltura lombarda: occorre una nuova rivoluzione verdeLa Lombardia, un grande cantiere pieno di energie intelligenti?La Green economy ha bisogno di legalità: sconfiggere le ecomafie e la criminalità ambientaleRifiuti: ridurre, prima di tutto

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Ebbene sì, questa volta ripartiamo proprio da noi, dalla nostra incontenibile voglia di fare ambientalismo e di essere associazione con, e per gli altri. Lo riconosciamo, siamo radicati nel territorio non solo per la presenza di quel fondamentale presidio locale che risponde al nome di Circolo Legambiente, ma anche perché sentiamo un legame forte con una terra, la Lombardia, che la storia ha voluto fosse riconosciuta, in Italia e nel mondo, per il suo sviluppo industriale e finanziario e che, oggi, deve saper leggere la crisi economica internazionale con nuovi occhi se vuole mantenere inalterato l’onere di un primato che purtroppo ha lasciato nell’ambiente qualche maceria di troppo. Parlando di noi e scavando nel vecchio baule degli anni ‘80, vengono fuori tante cose che hanno fatto nascere e crescere l’associazione - l’ambientalismo scientifico, la curiosità, il coraggio di cambiare, la lotta al nucleare, l’autonomia associativa - per citare solo alcuni dei tanti ingredienti con cui è stata pensata Legambiente e che rimangono ancora oggi delle pietre miliari su cui si fonda la nostra missione.A questo lievito madre va aggiunto oggi un altro componente importante: la capacità di mettere in gioco buone relazioni. Come una rete, abbiamo costruito nel tempo un intreccio di conoscenze che ci hanno permesso di utilizzare la forza dell’aggregazione per raggiungere gli obiettivi che avevamo

Questa volta partiamo da noi!!! La forza delle buone relazioni

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di volta in volta individuato. È stato così per le associazioni dell’Expo Giusto e poi per quelle del Comitato Referendario per fermare il Nucleare, per le associazioni ambientaliste con cui abbiamo unito le forze per modificare la nuova legge sui parchi e per i costruttori dell’ANCE a cui abbiamo sottoposto la nostra riflessione sul consumo di suolo e sulla città, per la sinergia con Comuni ed Enti per sviluppare nuove progettualità e per la politica dove il nostro credito è fatto dalla sostanza delle idee e dal rigore dei dati. E ancora oggi Legambiente, nonostante i tanti volti incontrati e i molti cambiamenti, rimane un luogo dove vale la pena di vivere un’esperienza di vita, di volontariato e di lavoro, dove il patrimonio di relazioni smuove le timidezze e le ritrosie di molti e fa scendere in campo anche il più impensabile tra noi a lottare per ciò in cui crede. Un patrimonio, questo, davvero inestimabile il cui valore supera, se possibile, quello degli obiettivi raggiunti e consegna, ad un’organizzazione ambientalista di successo come la nostra, un’autorevolezza ampiamente riconosciuta a tanti e diversi livelli.Come affrontare le sfide sempre più dure che la realtà ci pone? La stagione dell’incertezza che regna nel panorama politico internazionale, i tanti e troppi annunci di riforme mai realizzate in casa nostra, una politica istituzionale che ha messo la testa sotto la sabbia e, peggio ancora, ha smesso di assumere un ruolo forte nella gestione del bene pubblico, è lo scenario complesso in cui siamo costretti a muoverci, non solo nel breve periodo. E se è vero, come lo è, che il volontariato mette in campo un eroismo quotidiano, a noi toccherà la

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parte più difficile ma per certi versi più entusiasmante in qualità di propositori e attivatori di nuove strategie e sinergie per uscire da una crisi non solo economica, ma di identità. Per noi, il volontariato è la chiave di volta che fa crescere una società più libera ed autonoma, aperta e aggregante alle diversità e alle novità, che sfrutta nuovi strumenti di comunicazione per imporsi ma non ne è condizionata perchè, al centro, rimangono sempre e comunque le persone. Per questo saremo protagonisti assieme, faremo delle nostre sedi, a partire da quella regionale, un polo attrattivo, un luogo aperto in cui è possibile condividere l’impegno per costruire il futuro di quanti abbiano voglia di scommettere in un nuovo modello solidale e responsabile. Perché in un mondo che sembra aver chiuso le porte alla speranza di cambiamento, a noi, a Legambiente, tocca il compito di riaprirle, alimentando la prospettiva di futuro con la ricchezza della diversità, la forza delle idee e la voglia di fare insieme.Essere protagonisti dell’impegno nel volontariato, produrre un cambiamento anche grazie alle professionalizzazione dell’impegno, sono le due anime di Legambiente legate indissolubilmente, che, tra le altre cose, fanno crescere nuove persone all’interno dell’associazione e per l’associazione, con scelte di vita sorrette dalla passione e dalla voglia di cambiare il mondo.

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Una sfida? Un obiettivo? Un impegno? Tutto questo insieme. Perchè un fatto è certo, per noi la ricerca del futuro di una nuova generazione che farà Legambiente è cominciata. È una storia associativa importante, la nostra. Nata da un’idea di donne e uomini che ancora oggi continuano ad amare questo luogo, dalla loro intuizione di leggere un grande bisogno che nasceva nel Paese rispetto alla ricollocazione del tema ambientale nell’orizzonte industriale della ricca Lombardia. Dopo l’incidente di Seveso, i cronici casi di inquinamento delle acque degli anni ‘70, lo sviluppo nucleare, era importante muoversi per liberare la nostra regione dall’incoscienza e dalla non conoscenza della politica di allora. Nacque così quella Legambiente che conosciamo anche oggi: dal desiderio di creare un’associazione forte, libera e indipendente a cui l’aggiunta di una certa dose di imprenditorialità, ha originato ciò che potremmo definire una bozza di Green Economy in chiave associativa, un primo timido tentativo di inventarsi anche come impresa sociale. Quel modo di fare associazione inoltre ha fatto emergere una propensione al protagonismo che ha spinto i legambientini di ieri, così come quelli di oggi, a far leva sulla voglia di combattere battaglie contro le autostrade, gli inceneritori, il degrado delle città e il consumo di suolo, di lottare per la salvaguardia di un’area e dei parchi e, ancora una volta, cercare alleanze per vincere la sfida contro il nucleare. Uno spirito di adattamento a

Alla ricerca delle generazioni prossime venture

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nuove situazioni e una flessibilità di azione e di pensiero che rendono affascinante ed esclusiva, a volte persino troppo, l’appartenenza a Legambiente.È indubbio che la voglia di fare territorio continua ad essere una delle più grandi e importanti prerogative dell’associazione. L’impegno dei circoli ad essere protagonisti nella comunità in cui trovano casa rappresenta al meglio Legambiente, tra le poche associazioni a mantenere un sistema territoriale così articolato e radicato la cui forza complessiva è più evidente laddove esistono e sono in buona salute i coordinamenti provinciali territoriali. Una modalità, questa, che ha dato luogo ad una maggior condivisione delle problematiche, una diminuzione del senso di solitudine di molti circoli di fronte a vertenze importanti e allo sviluppo di pratiche associative e di rapporti relazionali anche oltre l’associazione. E nello stesso tempo, il coordinamento ha assunto la funzione di laboratorio di incontro, non sempre immediato, tra generazioni, e di elaborazione di idee, facendo emergere nuove figure e nuove assunzioni di responsabilità anche trasversali a tematiche precise. Non più e non solo un’assemblea che discute dei problemi del territorio ma anche sessioni tematiche che aiutino a tenere insieme gruppi eterogenei di persone, ad affinare competenze e a sfruttare professionalità specifiche. Anche questo è un modo per agevolare l’ingresso in associazione di nuovi soci e di fidelizzarne la presenza. Per

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questo, anche nei circoli, è fondamentale trovare una nuova dimensione di discussione che unisca il rispetto delle diversità alla condivisione degli spazi di impegno e che sappia mettere in circolo anche la passione per la buona politica e il buon governo della cosa pubblica. Un dato questo di enorme sofferenza per chi ha fatto la storia di questa associazione se si considera il contesto attuale, e che preoccupa perchè in Legambiente spesso, a rifuggire, ad essere catturati più dall’azione che dall’elaborazione, sono proprio quelli, tra noi, meno abituati alla pratica associativa. Occorre saper leggere il disegno lieve e tratteggiato del disincanto e agire perchè la sfida di costruire un mondo diverso sia il motore dei pensieri e delle azioni di chi decide di essere Legambiente. Essere sempre più poli attrattori di nuove energie interne ed esterne all’associazione, guardando anche a nuovi spazi e segmenti sociali, come quelli degli immigrati, divenuti italiani avendone acquisito una cittadinanza o per una permanenza anche solo temporanea, giocare fino in fondo la partita che vede in primo piano le grandi tematiche sui beni comuni, acqua e suolo, fare leva sul cambiamento degli stili di vita quale grimaldello per entrare nelle famiglie e modificarne le abitudini quotidiane partendo anche dalla straordinaria, quanto preoccupante, opportunità offerta dalla crisi economica, sono i temi che caratterizzano la nostra agenda per i prossimi anni. In questo, la dimensione regionale può e deve essere il luogo in cui costruire percorsi di sostenibilità, anche economica, per rendere più appetibili le

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idee e far emergere anche nuove professionalità. Una strada già tracciata da tempo con progettualità che coinvolgono sempre di più anche i circoli, che rendono Legambiente più indipendente ed autonoma agli occhi del mondo esterno e che, in tempi di crisi, permettono di tessere una rete di nuove relazioni e di consolidare le esistenti in uno scambio solidale con il mondo del Terzo Settore sempre più in difficoltà a sostenersi individualmente.

L’educazione alla sostenibilità è la chiave per parlare dei nostri temi (acqua, energia, mobilità, alimentazione, consumo di suolo), per tessere relazioni, accrescere la qualità culturale dei nostri territori, diffondere competenze e idee nuove, innescare il cambiamento. É una chiave che si trasforma nei tanti modi in cui siamo capaci in Lombardia di fare educazione: laboratori scientifici, progetti nelle scuole, campagne, le attività nei nostri Centri di Educazione Ambientale, nei parchi, nelle strade e nelle piazze. Sono le nuove generazioni, destinatarie della nostra azione e nello stesso tempo artefici, ad avere la responsabilità di saper gestire questa chiave e capire davvero il futuro per cambiare il presente. La scuola ma in generale tutta la società sta vivendo un periodo difficile da interpretare e da governare, sospesa tra tagli economici e incertezze. La fascia più colpita da questa crisi è soprattutto quella dei giovani e dei più piccoli che hanno la doppia condizione di vivere in un presente difficile ma necessariamente di sperare nel futuro ed

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essere concretamente protagonisti di questa speranza. Eppure i numeri della partecipazione delle scuole e dei giovani sono in aumento. I numeri degli studenti coinvolti nelle nostre campagne e iniziative parlano chiaro (con oltre 15.000 studenti coinvolti in Puliamo il mondo 2011, più di 100 classi per l’ambiente, oltre 200 soci formatori lombardi) cosi come il rinnovato interesse dei circoli e della scuola per le campagne storiche come “Festa dell’albero”, “Nontiscordardimè o “Cento strade per giocare”, per parlare dei problemi della scuola e proporre nuove soluzioni. Un esempio positivo di partecipazione giovanile lo si è avuto con il progetto “I Giovani cambiano il clima che cambia” che aveva come obiettivo la creazione di gruppi di giovani under 18 attivi in prima persona nel contrastare i cambiamenti climatici. Questi gruppi con l’aiuto dei circoli di Bergamo e Varese hanno proposto e dato vita a flash mob, guerrilla gardening, manifestazioni, laboratori sulle energie e giochi per i più piccoli in piazza. È stata un’esperienza importante anche perché ha mostrato quanto sia efficace per la nostra azione, riuscire a “fare rete” sul territorio e saper usare nuovi metodi di comunicazione.Non bisogna poi dimenticare il contributo fondamentale alla vittoria referendaria da parte dei nostri educatori e formatori di Legambiente che hanno spiegato le nostre ragioni nelle scuole a studenti ed insegnanti ma anche da parte dei tanti giovani che con banchetti e volantinaggi hanno avuto un ruolo fondamentale nell’informare i cittadini e coetanei. L’educazione alla sostenibilità proposta da Legambiente, dai Circoli, dai Cea, dal Regionale deve essere allora capace davvero di rispondere a queste richieste da parte dei più giovani: cittadinanza attiva,

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aumento delle competenze, esperienze formanti e, perché no, lavoro.Senza mai dimenticare che l’educazione non può ridursi a un discorso vago: l’educazione è tale quando è capace di generare opere. Diversamente è retorica.

Classi per l’Ambiente in Lombardia: 113 classiScuole Sostenibili: 3 scuoleOltre 500 classi aderenti alle campagne ed iniziative di Legambiente

Prendersi cura. Se c’è una cosa di cui in Italia dobbiamo andare fieri è il volontariato, con gli slanci di generosità che ci caratterizzano. Pensiamo agli “angeli del fango” di Firenze, al Friuli ed all’Irpinia, dove un allora quasi inesistente sistema di Protezione Civile fu sopperito dalla voglia di dare una mano di migliaia di persone. Pensiamo oggi alla cooperazione internazionale, alla solidarietà, all’assistenza. Pensiamo ai volontari dei nostri Circoli, ai campi di volontariato, al lavoro per rendere fruibili le nostre oasi. Ci sono molti modi di fare volontariato e Legambiente ha saputo interpretarne alcuni. Il limite, a volte, è quello di non saperci aprire o più semplicemente di non riuscire a trattenere i tanti volontari che incontrano per la prima volta l’associazione. Ci sono almeno due livelli di coinvolgimento: quello emotivo del

Volontariato, con l’ambizione di cambiare il mondo

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post emergenza e quello più articolato dell’impegno sociale. Entrambi validi, importanti. A 48 ore dal tragico terremoto dell’Aquila, l’ufficio volontariato di Legambiente Lombardia aveva ricevuto oltre 300 chiamate di persone pronte a partire. Nei sei mesi successivi circa la metà di queste persone si è recata in Abruzzo per una settimana per assistere la popolazione. Ci sono poi persone che si rivolgono a noi perché vogliono impegnarsi per cambiare il mondo. Non importa se questo cambiamento passa attraverso l’organizzazione di un convegno sulla biodiversità o il semplice salvataggio di un rospo. L’esperienza in Legambiente ha anche un valore di formazione spesso utile per altri impegni lavorativi. Non bisogna però perdere il senso della nostra storia, senso che passa attraverso migliaia di volontari che da cinque, dieci, trent’anni hanno fatto crescere e radicare Legambiente nei territori. Ci sono infine i luoghi dove riusciamo ad incontrare la gente: sono i parchi e le oasi dove i nostri volontari sfalciano prati, mettono a dimora piante, pitturano panchine; sono le case che gestiamo nelle foreste regionali, centri per l’ecologia del vivere dove è possibile misurarsi con stili di vita diversi da quelli della città; sono le sedi dei nostri Circoli che oltre ad essere archivi di una trentennale storia associativa, sono luoghi dove si costruisce il futuro. L’anno del nostro congresso regionale coincide con l’anno internazionale del volontariato. Celebrazione depotenziata da una voglia governativa di annichilire il mondo del volontariato, per lo meno quello come il nostro che ha sempre voglia di dire la sua e che soprattutto ci riesce. Ma non saranno certo balzelli fiscali e tagli di risorse

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che riusciranno a fermare la nostra voglia di cambiare il mondo. Quella sta nel nostro DNA e nessuno ce la può togliere.

30 campi di volontariato 450 volontari stranieri100 volontari italiani a supporto delle attività dei campi 40 tra responsabili e vice-responsabili di campo

4 progetti di volontari a media permanenza - MTV - o a lunga permanenza - SVE - ospitati per periodi di 3/10 mesi

Ed inoltreoltre 150 bimbi ospitati nei soggiorni estivi under 1810 soggiorni estivi per bambini e ragazzi 30 tra educatori, stagisti, cuochi e volontari

Grande successo per il Campo della Legalità di Libera e Legambiente a Lecco organizzato da un un gruppo di associazioni tra le quali Legambiente, Libera, Arci, CGIL che ha portato 15 volontari stranieri e attirato più di 2000 persone agli eventi organizzati nell’ambito della legalità.

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Il mondo sta cambiando, le doppie cifre dell’incremento di PIL della Cina (ma anche delle spese militari) fanno una certa impressione, d’altra parte i numeri cinesi sono impressionanti anche quando si tratta di energia - il consumo pro capite di energia in Cina è un terzo del nostro e un ottavo di quello americano - e di energie rinnovabili: attualmente la Cina produce circa 135 Gw dalle fonti rinnovabili, pari al 8% della sua produzione energetica e al 17% della produzione elettrica. Il 20% di energie rinnovabili secondo le stime del Worldwatch Institute sarà raggiunto in Cina per il 2020. Al banchetto energivoro contribuiscono ormai in maniera maggioritaria i paesi in via di sviluppo (60%) ma rimane il fatto che un cittadino americano (e sono 270 milioni) continua a consumare il doppio dell’energia di un europeo, il quale non pare privo di un adeguato livello di civilizzazione . L’obiettivo ambientale è quello di far convergere verso un consumo energetico accettabile i paesi super-sviluppati e quelli in via di sviluppo sapendo che l’Europa può giocare un ruolo fondamentale di esempio positivo, ma non molto più di questo: il rischio della marginalità sta nei numeri. L’Europa allargata non va oltre l’8% del totale dei consumi mondiali ed è una percentuale destinata a diminuire, quindi qualsiasi intervento virtuoso sposterà sempre meno a livello mondiale. Le emissioni globali massime di anidride carbonica per l’anno

Il mondo, la LombardiaL’ambientalismo del XXI secolo

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2020 dovrebbero essere inferiori a 32 miliardi di tonnellate: dovrebbero cioè aumentare di meno del 5% nei 10 anni che ci separano dal 2020, meno dell’aumento percentuale che c’è stato in un solo anno fra il 2009 ed il 2010. L’emissione di CO2 nei paesi industrializzati è di 10 tonnellate pro-capite per anno, la Cina è posizionata intorno alle 5,8 tonnellate e l’India intorno a 1,5 tonnellate pro-capite per anno. La consapevolezza di questa realtà non deve fermare il nostro sforzo per un ambiente più pulito e le attività meno inquinanti a qualsiasi latitudine, ma ci deve convincere che la partita è globale e sui tavoli internazionali questa volta veramente si rischia il futuro del pianeta. È in questa logica che incrocia sviluppo economico e sociale con i limiti della non perpetuabilità del modello fino ad ora perseguito, che si richiedono confronti a tutto campo ma anche disponibilità ad un riequilibrio delle crescita economica che di fatto sta già avvenendo (nel 2010: PIL europeo +1.7 % in Cina +10.3 e in Brasile +7.5). Si tratta di leggere in chiave ambientalista la crisi mondiale che sembra tornare a mordere, senza perdere di vista equità e democrazia. Questa partita se giocata con giudizio può essere l’inizio di una nuova era di prosperità, altrimenti il rischio è di affacciarsi ad un periodo con molte ombre.

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“Euromeditteranea”: è il nome dell’evento con cui ogni estate la Fondazione Alex Langer ripropone a Bolzano una visione del mondo che supera le divisioni, da un angolo di terra ben piantato in centro delle Alpi ma che vive proteso tra due culture, due lingue, due facce dello stesso continente. E che è attraversato dai flussi di persone e di merci che ogni giorno valicano le Alpi per raggiungere i mercati dell’Europa Centrale, dai porti atlantici e mediterranei, dal canale di Suez. Quello che sta succedendo nei paesi che si affacciano al Mediterraneo e non solo, comprese le scie di guerra e di conflitto civile in Libia e in Siria, ha sorpreso tutto il mondo occidentale e anche quello medio-orientale, al di là dei profughi che rimangono un problema, almeno per ora, più di propagando politica che di reali difficoltà. Come avvenne per la caduta del muro di Berlino, la cronaca della “primavera araba” alimenta molte speranze e conferma alcune verità: la democrazia non si esporta sulla canna del fucile, ma si afferma con la volontà di autodeterminazione dei popoli. Ovviamente il “riflusso” attuale, soprattutto in Egitto, sta fortemente mettendo a rischio il processo di liberazione dalla dicotomia integralismo/dittatura, ma il vento in quei paesi è certamente cambiato e noi non possiamo che prenderne positivamente atto.In tutto questo l’ambientalismo ha qualcosa da dire?

Un mondo che cambia non necessariamente in peggio: a Sud dell’Europa e a Nord del Mediterraneo

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Senza pretendere di leggere forzatamente in chiave ambientalista qualsiasi avvenimento di portata storica, è il caso di soffermarsi su un aspetto che queste nuove rivoluzioni hanno mostrato. In un contesto di arretratezza economica e sociale, i protagonisti di queste lotte nelle piazze si sono organizzati attraverso le vie informatiche, sfruttando al meglio ciò che la tecnologia moderna ha messo a loro disposizione eludendo la rozza repressione poliziesca. La forza e l’inarrestabilità dell’informazione, l’intrinseca democraticità della rete, hanno messo a disposizione strumenti innovativi che le nuove generazioni hanno saputo utilizzare. Tutto ciò ovviamente non basta né garantisce sugli esiti del cambiamento, ma senza dubbio la rete è stata una componente fondamentale nell’innescare i moti rivoluzionari di quest’ultimo periodo. Con sguardo ecologico, quello che ci aspettiamo è che il salto tecnologico nello sviluppo informatico avvenga anche nelle scelte energetiche e nei modelli di sviluppo da perseguire. E’ indubbio che la diffusione delle fonti energetiche rinnovabili e in particolare dell’energia solare, di cui il Mediterraneo beneficia, aiuta la democrazia specialmente in Paesi in cui l’esercizio del potere fino ad oggi è dipeso dal controllo sui giacimenti di petrolio e gas. Quello energetico e tecnologico è uno dei ponti, forse il più strategico, da stabilire tra l’Europa e i paesi del Nord Africa, e può vedere protagonista anche la Lombardia con le sue imprese e le reti di cooperazione e di solidarietà. Nella crisi attuale, che travolge economia, istituzioni politiche e finanziarie insieme a sistemi di valori più

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o meno positivi e consolidati, riportare la Lombardia alla sua proiezione mediterranea non è solo una suggestione da 150° anniversario dell’unificazione italiana. C’è il riconoscimento di un ruolo che deriva alla Lombardia dalla geografia fisica, e al capoluogo Milano, Mediolanum, città di mezzo, crocevia di comunicazione al centro della regione più popolosa dell’intera Europa mediterranea, ed al contempo della più meridionale delle grandi metropoli europee del nord: una porta che può aprirsi molto di più per accogliere, rielaborare, e propagare le intuizioni di maggior successo sviluppate dalle città e dalle reti di città della parte più dinamica del continente. Le politiche urbane e regionali per i sistemi di mobilità sostenibili, le smart city, gli ecoquartieri, le sfide per l’efficienza energetica e la diffusione delle rinnovabili possono passare dalla Lombardia e dilagare nel Mediterraneo. Se così non sarà, saranno altri i varchi meglio disposti ad accogliere questo scambio virtuoso: l’innovazione ambientale, che sempre più è riconosciuta come sfida necessaria, non si fermerà se la Lombardia si metterà di traverso, semplicemente passerà per altre vie lasciando Milano ai margini. Poco si può dire del futuro che ci aspetta in questo frangente di crisi, se non che quelle che apparivano certezze geopolitiche, rendite di posizione storicamente sedimentate, potrebbero essere vigorosamente rimescolate dall’emergere di nuove potenze o dal tracollo di vecchi giganti. Per molti anni il Nord Italia ha guardato ad Est, verso frontiere che, cadendo, mostravano una società fragile che offriva forza lavoro a basso costo.Ora, mentre le economie dell’Est guadagnano terreno, è

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tempo di tornare ad essere un solido punto di attacco tra continente e Mediterraneo, questa volta in modo responsabile verso il nostro mare e i popoli che lo abitano. Si tratta di offrire occasioni di crescita ecocompatibile senza scivolare in nuove forme di colonialismo che peraltro abbiamo visto non funzionare con buona pace di governanti occidentali rivelatisi poco evoluti, a cominciare da quello francese. Può apparire ardito attribuire alla Lombardia questo ruolo, in un momento in cui il dibattito pubblico della nostra regione è dominato dal tema del contrasto dell’immigrazione, ma le relazioni con i Paesi in via di sviluppo non possono essere eternamente orientati dalla paura dell’esodo epocale e dalla cieca difesa dei propri privilegi.

La spesa mondiale per armamenti nel 2010 è stata di 1630 miliardi di dollari; per avere una idea di cosa rappresenti questa cifra, basti pensare che con 44 miliardi di dollari si potrebbe sfamare l’intero pianeta. E’ paradossale che tutto ciò accada nel mezzo di una drammatica crisi economica mondiale; mentre si riducono i fondi per rispondere alle emergenze, ai cambiamenti climatici, alle carestie e alla disoccupazione, alla fame e alle pandemie. È giunto il tempo di tagliare e rivedere la nostra spesa militare. Non è solo un problema di coscienza, ma di utilità pubblica. L’Italia in particolare spende 24 miliardi di euro all’anno quando potrebbe essere possibile aumentare la sicurezza nazionale tagliando le spese militari e aumentando quelle civili; investendo sulla cooperazione, sulla diplomazia e sull’intelligence. Le spese

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militari devono essere messe sul tavolo della discussione al pari di tutte le altre spese dello Stato per arrivare a contenerle così come hanno fatto i più importanti Paesi occidentali. Ragionevolmente, si può partire dalla cancellazione del programma di acquisto dei 131 caccia bombardieri F 35 del costo complessivo di 20 miliardi di euro e procedere alla revisione degli investimenti per l’ammodernamento e riconfigurazione dei sistemi d’arma che ipotecano la nostra spesa militare fino al 2026.

Al di là degli auspici a medio-lungo termine, crisi climatica, consumo delle risorse naturali, grandi fenomeni migratori, disuguaglianze nella ricchezza, mancanza di diritti, inadeguatezza delle politiche sono grandi temi che, intessendosi tra loro, si influenzano l’un l’altro e provocano le grandi emergenze del mondo di oggi. Di ciò fanno le spese in modo più diretto ed immediato gli “ultimi”, i profughi climatici, coloro che patiscono la fame, le fasce sociali più deboli, gli immigrati. Diventa necessario, come prima risposta, ripensare i nostri modelli di vita e progettare le cittadinanze del futuro. È proprio nelle città che si manifestano con più evidenza gli effetti della crisi ambientale, perché proprio qui, ogni giorno, vediamo giungere “nuovi poveri” spinti dalla disperazione. Ma, allo stesso tempo, nelle città si può sperimentare una nuova società dell’accoglienza. Chi fugge dal proprio Paese cerca prima di tutto le condizioni minime

Nuovi lombardi dal mondo

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di sopravvivenza e d’inclusione. Gli strumenti primari di inclusione sociale che abbiamo a disposizione sono il lavoro e l’educazione. La Green economy è una grande opportunità di sviluppo, ma non possiamo costruire città sostenibili in cui permangono situazioni di marginalità sociale che non garantiscono né reale accesso alle opportunità né reale integrazione. Molte città europee e anche molti piccoli comuni hanno scelto la via della sostenibilità ambientale, iniziando una rivoluzione verde dal basso: una via di cambiamento da seguire anche per affrontare i fenomeni migratori, coniugandola anche con serie politiche di lungo periodo che abbandonino la tendenza delle soluzioni temporanee o emergenziali. Solo rimettendo al centro la persona, nella prospettiva di quel nuovo umanesimo che caratterizza la nostra azione, sarà possibile governare, nel loro insieme, le grandi trasformazioni di oggi con la speranza di giungere a soluzioni efficaci e durature. Se vogliamo città e cittadinanze sostenibili, dobbiamo iniziare col rendere sostenibile la vita dei cittadini. Con la conoscenza, con intelligenza, con lungimiranza, passione e coraggio.

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"...l’ecologia non vuol dire semplicemente non inquinare il mondo, vuol dire conoscere le risorse del mondo e sapere come si utilizzano e come si rispettano”(Laura Conti – Una voglia di vita - intervista su La Nuova Ecologia Aprile 1982)

La Lombardia in questi ultimi decenni ha vissuto una lunga stagione di stabilità della sua istituzione di governo. Una stabilità che però, sotto la superficie di una leadership autorevole, ha visto agitarsi guerre di posizione tra diverse anime: il popolo leghista, che ha affrontato una lunga marcia in salita, riuscendo a collocare uomini e donne in settori chiave, soprattutto negli enti territoriali; il fronte consociativo, con le prove di convergenza tra Compagnia delle Opere e cooperative; le lobby legate dell’accaparramento di rendite finanziarie e immobiliari, all’ombra delle quali hanno proliferato rilevanti fenomeni di malaffare e perfino di criminalità organizzata; il patto maggioranza-opposizione sulle grandi infrastrutture stradali e aeroportuali (molto più declamate che realizzate), i cui cantieri aperti e non finanziati costituiscono una seria ipoteca allo sviluppo di politiche di mobilità efficiente, per chiunque governerà la Lombardia del futuro. Per queste anime, nel bene e nel male, il profilo politico istituzionale del Formigoni-statista ha rappresentato un terreno di garanzia, una efficace risultante compensativa di forze confliggenti. Lo scotto da pagare è stato quello di una lunga fase di sviluppo economico rallentato (anche prima della attuale crisi): usando il parametro del PIL,

Oltre la sussidiarietà: un modello logorato nella pratica del potere

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per quanto limitato nella rappresentazione della realtà, la Lombardia è scesa dall’11° (1997) alla 37° (2008) posizione nella classifica delle regioni europee in termini di produzione di PIL pro-capite. Un rallentamento appesantito dal mantenimento di rendite parassitarie, accompagnato da un vistoso sfasamento tra indicatori di sviluppo e sacrificio di risorse naturali: il consumo di suolo nei primi anni 2000 è avvenuto a ritmi da anni ‘60, quando la crescita del PIL viaggiava oltre il 5% annuo, i consumi di combustibili fossili sono aumentati, ma non lo sono l’efficienza energetica nella produzione e nei trasporti, l’inquinamento delle acque superficiali e sotterranee non è stato arginato attraverso i necessari investimenti nel sistema di collettamento e depurazione: anche la messa in servizio dei depuratori di Milano è stata la realizzazione tardiva di investimenti per i quali le risorse erano accantonate da decenni. Questa lunga stagione politica ha visto anche emergere un pensiero e una pratica di governo dichiaratamente ispirata al principio di sussidiarietà orizzontale: principio fortemente rivendicato come esito di una riflessione di lungo corso relativamente alla liberazione delle forze sociali e imprenditoriali dalla invadenza oppressiva dei poteri pubblici che occupano ambiti che a loro non appartengono. Il principio di sussidiarietà non è una “esclusiva” intellettuale: esso trova forti riferimenti nel pensiero cattolico, ha le sue radici nel pensiero liberale ed è ispiratore della riforma dei poteri locali. Nel rito lombardo però, la sussidiarietà è stata brandita come arma più ideologica che sostanziale, contraddetta da eclatanti

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fenomeni di indebita invasione del pubblico in ambiti di mercato. È il caso della creazione del monopolio ferroviario regionale Trenord, o del controllo politico sugli utili di SEA, o del municipalismo attuato con il controllo del comune di Milano sui servizi di MM spa, o ancora degli “sconfinamenti” della SpA pubblica Infrastrutture Lombarde, delle elusioni della concorrenza per gli appalti su grandi opere come la BreBeMi, fino ad arrivare alle clientele ai confini della legalità, terreno fertile di sottoboschi malavitosi, come i business di cave e discariche, o le bonifiche di siti contaminati, in cui hanno gozzovigliato gli amici di tutti, gli intimi di Penati e i fedelissimi di Formigoni. Tutto ciò è avvenuto mentre dai pulpiti della politica si proclamava la necessità di una “ritirata” dello Stato perfino da funzioni che sono invece prerogative necessarie di presidio, controllo e regolazione, che allo Stato e alle sue articolazioni competono anche nelle versioni più spinte del pensiero liberale. Questa idea compostamente sovversiva della sussidiarietà è stata venefica per le politiche di tutela ambientale (ma anche, in molti casi per quelle di welfare, di equità sociale, di sviluppo economico) e, per converso, è stata brodo di coltura ottimale per il consolidamento del sistema delle ecomafie e copertura per l’ingresso del tarlo ‘ndranghetista nell’economia lombarda. Oggi la Lombardia accusa un pesante deficit nella dotazione e nei poteri reali dei servizi tecnici di controllo e prevenzione degli inquinamenti (ARPA e polizie ambientali in primo luogo), nell’infrastruttura di gestione e manutenzione del territorio (parchi, aree montane), è in ritardo sulla attuazione

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delle misure previste dalle direttive Seveso e colleziona inadempienze sull’intero spettro delle direttive comunitarie in materia ambientale, è priva di un piano territoriale degno di questo nome (il PTR, ottimo sotto il profilo dell’analisi e degli indirizzi, è completamente sguarnito di prescrizioni in materia di uso del suolo), non ha un programma regionale che stabilisca priorità di interesse collettivo in materia di trasporti e logistica, elude sistematicamente le regole che tutelano l’ingresso di operatori economici indipendenti nei grandi appalti pubblici. Compete a noi, ma non certo in via esclusiva, affermare che il re è nudo, che la sussidiarietà fai-da-te, nello scegliere sistematicamente la via più facile e profittevole tra intervento pubblico e mercato sregolato, tradisce il proprio stesso presupposto, determinando una carenza (o una sovrabbondanza, che è la stessa cosa, ma costa di più) di regole e istituzioni a presidio dell’interesse collettivo. Le conseguenze di ciò sono negli effetti delle politiche industriali, dei servizi, delle infrastrutture, che nel mercato sregolato e privo di priorità dichiarate finisce col massimizzare i benefici immediati o corporativi, e con essi le esternalità negative, ambientali e territoriali (ma anche sociali), a parità di (modesti o negativi) indicatori economici dell’occupazione e del benessere lombardo. Le autostrade volute e realizzate per interessi di collegio più che per un disegno organico fondato sull’analisi dei bisogni di mobilità, la sproporzione di investimenti a vantaggio di un aeroporto come Malpensa, nato e cresciuto nel posto sbagliato, l’abbandono dei

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territori marginali in aree montane e rurali, le politiche turistiche sistematicamente distolte da qualsiasi priorità di valorizzazione e presidio territoriale, in primo luogo nella montagna lombarda, il mancato accompagnamento dello sviluppo di distretti industriali capaci di innovazione, la scelta di non scegliere, non pianificare o non regolare la dotazione impiantistico-industriale di settori strategici, come il trattamento dei rifiuti o la produzione energetica da fonti tradizionali o rinnovabili, l’incontrollata espansione della grande distribuzione organizzata: tutti questi sono effetti di una ritirata scomposta dei poteri pubblici che ha aperto spazi alla speculazione e alla discrezionalità, ai danni dell’efficienza e della competitività, oltre che della sostenibilità, del sistema economico lombardo.

Se questa analisi è corretta, allora è chiaro che per il nostro ambientalismo si apre un orizzonte vastissimo di interlocuzioni, in mondi anche molto diversi dal nostro, che si alimentano della volontà di chiudere una fase storica e di tornare a puntare sulla cultura industriale e sulla responsabilità d’impresa, fattori costitutivi, anche in recenti fasi storiche, della crescita del profilo e dell’attrattività della locomotiva lombarda. In questi mondi è già presente la consapevolezza che la ricetta somministrata finora, se da un lato ha garantito la “tenuta” complessiva del sistema, dall’altro non ne ha migliorato le prestazioni di competitività

Tra pubblico e privato: noi, catalizzatori di una diversa idea di sviluppo

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nei confronti di altre regioni europee, perchè i parametri sono, nel frattempo, mutati. Quella di Legambiente non pretende di essere una ricetta di sviluppo, ma un ingrediente fondamentale di una traiettoria che incorpori ed enfatizzi le sensibilità e i valori ambientali non sacrificabili, a maggior ragione in una economia matura come quella lombarda. Valori che, con l’entrata in campo degli investimenti in green economy, sono usciti dall’ambito culturale e dal patrimonio immateriale per approdare a quello, concreto e quantificabile, dei beni di scambio. Aspiriamo ad essere catalizzatori di processi in cui il perseguimento di un obiettivo di benessere non entri in conflitto, ma anzi aiuti a sviluppare le sinergie tra le risorse ambientali, sociali ed imprenditoriali della Lombardia.Per fare questo occorre avere la misura delle risorse realmente disponibili, ma anche un orizzonte concreto verso cui dirigere ed organizzare le priorità. Vogliamo un Pubblico che faccia la sua parte, per stabilire regole e presidiare la traiettoria di sostenibilità che un simile percorso deve contenere, e che lo faccia solidalmente con la società, nella consapevolezza dei distinti ruoli ma anche dei molti terreni in cui i processi di decisione devono essere responsabilmente condivisi. Né Stato né società devono ritirarsi dalle rispettive prerogative, entrambi devono operare consapevoli che l’efficacia e l’autorevolezza delle istanze dell’uno rafforzano anche l’altro, aumentando le possibilità e, con esse, i gradi reali di libertà del sistema e delle sue parti: in modo non orizzontale né verticale, ma circolare.

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Non lo diciamo più solo noi...Che una Lombardia più competitiva passi per il rafforzamento di un sistema di mobilità più efficiente e meno inquinante dell’automobile privata, appartiene ad una visione perfino intuitiva della realtà della maggiore metropoli del Sud Europa.Che i legami economici e gli scambi di merci debbano cogliere l’opportunità del grande corridoio ferroviario transeuropeo di incipiente apertura attraverso il portale alpino del Gottardo, è un altro dato di fatto che solo una politica miope può fingere di non vedere, concentrata com’è su orticelli elettorali che vanno da Broni a Mortara o da Melzo a Travagliato.Che l’uso efficiente degli spazi, e il conseguente efficace contrasto ad ogni spreco di suolo, costituiscano una forzante irrinunciabile di una pianificazione territoriale virtuosa, è una necessità di riorganizzazione del presente, prima che una scelta imperativa per le future generazioni. Che il rispetto degli spazi rurali contempli una comprensione del ruolo non secondario del pilastro agricolo nel mix produttivo lombardo: non facciamo solo capi firmati e grattacieli, ma anche produzioni agricole e casearie di alta gamma e con vocazione all’esportazione.Che i grandi investimenti nel settore idrico-depurativo, in quello dell’edilizia, della bonifica dei suoli, nella efficienza e nella generazione energetica da fonti rinnovabili, tutti insieme formino un vastissimo campo di interventi di lungo o lunghissimo respiro che possono e devono avvantaggiarsi da un chiaro quadro di regole per essere sostenibili sotto il profilo finanziario

I beni e le sfide comuni

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...è una necessità riconosciuta, non può continuare ad essere una speranza.

La vittoria del referendum ha detto una parola chiara su quale sia la modalità che gli italiani desiderano: la gestione pubblica dei servizi idrici deve continuare ad essere la regola. Forse è proprio, paradossalmente, la scarsa fiducia nel pubblico ad aver giocato a favore di questo esito: gli italiani sono disillusi, con molte ragioni, sull’efficacia delle autorità pubbliche di garanzia e controllo del mercato (peraltro, in Italia manca un vero ente indipendente in grado di svolgere questa funzione). Gli esempi di malagestione e speculazione verificatisi nei casi in cui la gestione idrica è stata affidata a privati hanno confermato questo giudizio, e allora meglio che il pubblico non si limiti alla attività di controllo, ma metta lui, direttamente, le mani nei tubi e nelle valvole degli acquedotti, tenendo lontano dalle risorse idriche le pulsioni speculative di privati che rispondono solo alla loro compagine proprietaria. L’atteggiamento scioccamente intransigente del Governo ha sicuramente completato il quadro di sfiducia, motivando i cittadini a recarsi alle urne.Abbiamo gioito della grande prova di partecipazione democratica: ora, con il faro dell’esito referendario, dobbiamo mettere in primo piano i seri e urgenti problemi

La sfida dell’acqua è ancora aperta: per proteggere il bene comune, dalla sorgente al mare

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che la gestione idrica pone ad una regione, pur ricca d’acque, come la Lombardia. L’inquinamento di falde e acque superficiali, insieme ai ricorrenti fenomeni di carenza, rappresenta un’assoluta emergenza che la Lombardia non è ancora attrezzata ad affrontare. Le direttive comunitarie ci costringono (giustamente!) a bruciare le tappe nel realizzare le necessarie opere di collettamento e depurazione. E il deficit infrastrutturale si misura su cifre del valore di diversi miliardi di euro: stiamo parlando della più grande infrastruttura della Lombardia, da realizzare in tempi rapidi e con centinaia, migliaia di cantieri da aprire, per costruire depuratori e collettori, mettere mano a reti fognarie da cui colano liquami, separare le acque nere dalle acque bianche, gestire le piene. Una cantierizzazione diffusa del territorio e del sottosuolo, che richiede un governo e un sistema di controlli adeguato a prevenire l’ingresso della criminalità organizzata, come per tutte le grandi opere. Occorrono opere pubbliche, ma si aprono spazi anche per azioni private, da incentivare: per attrezzare le case, le fabbriche, le città affinché gli usi dell’acqua siano più efficienti, riducendo sprechi e impropri conferimenti in fogna, gestendo le acque di pioggia, rimuovendo inutili superfici impermeabili, riciclando le acque grigie. La gestione virtuosa delle risorse idriche deve trovare adeguati riconoscimenti politici, a partire dalla estensione, agli interventi di efficientamento idrico, dei medesimi incentivi previsti per gli investimenti privati nelle ristrutturazioni energetiche degli edifici.È evidente, gli investimenti idrici sono il secondo pilastro della

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green economy, affiancando quelli energetici. Per uscire dal dibattito e passare al “fare” occorrono due elementi: regole chiare e risorse economiche, che devono viaggiare insieme, perchè se le regole sono semplici, efficaci e condivise, allora è possibile garantire il flusso di risorse necessarie per rendere finanziariamente sostenibili gli investimenti. Ma dobbiamo parlarci chiaro, tra noi e con i cittadini: le direttive europee impongono che i servizi idrici per tutti gli usi - civili, industriali o agricoli - si reggano sul pieno recupero dei costi. Detto in altre parole: chi consuma, e inquina, paga.È fuori da questa logica il ricorso alla fiscalità generale, laddove si tratta invece di remunerare la produzione di un servizio. È un principio che condividiamo da sempre, prima ancora di trovarlo scritto in una direttiva comunitaria: i costi da pagare sono quelli della produzione del servizio, ma anche quelli di trattamento delle acque di scarico, così come i costi esterni, ambientali in primo luogo, che sono tanto più alti quanto meno si interviene sulle prime due voci. Le regole da fissare riguardano dunque anche e soprattutto i criteri per stabilire un sistema equo e adeguato, che assicuri un servizio di qualità a fronte delle risorse necessarie, garantendo in ogni caso l’accesso universale all’acqua come diritto indiscutibile (ma non per questo gratuito!). Per immediata conseguenza, occorre conferire adeguati poteri e competenze alle autorità pubbliche da chiamare a sovrintendere e monitorare la più efficiente e trasparente allocazione delle risorse generate dal sistema di tariffe, perchè non è scontato che se il pubblico fa l’idraulico, allora non serva una rigorosa autorità di controllo

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e garanzia: troppi esempi di inefficienza, corruzione e cattiva gestione pubblica ci dicono il contrario. I costi del servizio idrico in Lombardia sono più bassi che nelle altre regioni europee. In parte ciò è merito di oculate gestioni pubbliche, ma in larga misura ciò è possibile perchè le tariffe non coprono il fabbisogno di investimenti, e spesso neanche gli oneri di gestione. In una governance idrica tutto ancora da realizzare occorre tenere insieme la copertura dei costi, il miglioramento delle prestazioni del servizio, la lotta a sprechi e inquinamenti, la tutela delle fasce sociali deboli e dei territori meno avvantaggiati. Questo non significa aumentare l’onere economico per le famiglie, ma fornire un segnale che induca un cambiamento delle scelte di consumo. Ad esempio, non ha senso che le famiglie spendano per comprare inutile acqua in bottiglia tanto quanto, se non di più, che per la bolletta dell’acqua, trasformando i loro risparmi in profitti privati di imbottigliatori, che certo non sostengono gli investimenti pubblici necessari alla buona gestione delle risorse idriche. Anche questo è un fronte aperto nella battaglia per l’acqua pubblica, nel Paese che è campione di consumi dell’acqua più privata che c’è sul mercato: quella minerale in bottiglia.

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“A Seveso ho scoperto che non si può considerare il problema dell’ambiente senza considerare gli uomini e la loro cultura come elementi di quell’ambiente”(Laura Conti – Una voglia di vita - intervista su La Nuova Ecologia Aprile 1982)

Legambiente in Lombardia ha voluto portare al centro del dibattito e dell’agenda politica il tema del consumo del suolo. Si è trattato di affrontare una vera rivoluzione culturale sulla sostenibilità degli usi del suolo, nella regione dove la patologia è più conclamata, compiendo un forte scarto rispetto al modo in cui questo tema era stato affrontato finora. Abbiamo parlato di urbanistica, di paesaggio, di brutture architettoniche, di biodiversità, di perdita di superfici agricole. Ma, e qui sta la novità, abbiamo parlato di questi temi tenendoli insieme, con il suolo al centro, come di una risorsa naturale non rinnovabile e non sostituibile, come bene comune, connaturato alla comunità che abita un territorio e che rivendica la tutela del proprio habitat esistenziale, al popolo per il quale esso è base dell’autonomia alimentare, alla comunità del vivente che grazie ad esso può esprimersi nella sua diversità. Abbiamo in altre parole posto il tema del consumo di suolo nella sua accezione più appropriata e totalizzante, quella ambientale. Un percorso di ricerca diverso dal consueto, che ci ha costretto a misurarci con forti difficoltà, prima di tutte la completa mancanza di un ordinamento di tutela, a tutti i livelli: non ci sono leggi regionali o nazionali, nemmeno direttive comunitarie, che

Fermare il consumo di suolo, per tornare a costruire la città

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sviluppino norme minimamente confrontabili con quelle sulla tutela dell’acqua o dell’aria. Eppure il suolo è l’unico comparto ambientale per il quale è possibile il danno rappresentato dal consumo irreversibile della risorsa. Mentre per aria e acqua ogni consumo è normalmente compensato da una reintegrazione del bene attraverso cicli naturali, ciò non è possibile per il suolo. Modificare, attraverso trasformazioni urbanistiche, una superficie naturale significa cancellare la risorsa senza realistiche possibilità che questa possa riemergere in un qualsiasi altrove, dal momento che non esiste un “ciclo del suolo”. Al contrario, è il suolo la sede dei cicli biogeochimici che investono idrosfera e atmosfera, e ciò aumenta la necessità e l’urgenza di inserire la prevenzione del consumo di suolo tra i caposaldi di una moderna legislazione ambientale, perchè il suolo serve per avere acque più pulite, e per contrastare l’effetto serra: con questa premessa è nata la proposta di una legge di iniziativa popolare contro il consumo di suolo, a cui ci siamo dedicati con una campagna regionale permanente. Legambiente ha saputo offrire alla Lombardia una sfida politica ma anche un rilevante terreno di dibattito culturale, innovativo nel panorama europeo e consolidato dalla costituzione di un Centro per le Ricerche sul Consumo di Suolo (CRCS), fondato insieme all’Istituto Nazionale di Urbanistica e appoggiato dal Politecnico di Milano. I rapporti del CRCS hanno permesso di superare anche l’altro grande ostacolo: la mancanza di dati sul consumo di suolo in Lombardia e in Italia. Non si è trattato solo di uno sforzo astratto di ricerca scientifica: sappiamo

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bene che non è possibile fare politiche ambientali senza disporre di dati, aggiornati e attendibili, che permettano di monitorare gli effetti di scelte o norme più o meno virtuose.È la base del nostro ambientalismo scientifico, da sempre, ed è il filo conduttore anche del rapporto Ambiente Italia, che per la prima volta con l’edizione 2011 ha focalizzato l’attenzione su questo tema. La sfida di veder approvata, in Lombardia, la prima legge regionale di tutela del suolo è ancora aperta, il suo esito non è scontato, perchè dipende dalla volontà del Legislatore regionale, ma dipende anche da noi, da quanto sapremo mantenere viva l’attenzione su questo tema, con confronti, dibattiti e vertenze, prima di tutto sul territorio, il luogo in cui si forma il consenso. Ma attenzione: la nostra non è una battaglia appostata su posizioni di mera conservazione.La nostra è una sfida sul futuro delle città.Nel paesaggio europeo l’organizzazione degli spazi è legata agli organismi urbani - città, borghi e vie di comunicazione - sedi dei mercati di prodotti del contado rurale: un’organizzazione che si è mantenuta nell’arco di millenni. Dalla metà del secolo scorso l’aumento della gittata degli scambi commerciali, unita alla motorizzazione di massa, ha innestato sul fenomeno urbano un drammatico cambiamento, rendendone apparentemente meno necessaria la centralità, e del tutto voluttuaria la sua relazione privilegiata con il contado. È divenuto possibile concepire uno stile di vita delocalizzato, separando i luoghi della residenza, della produzione, del commercio, del tempo libero, della relazione culturale, affrancandosi dalla

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dipendenza dalla terra e dai suoi prodotti. I centri cittadini si sono svuotati di vita e di relazioni, degradandosi o terziarizzandosi, le piazze del mercato sono state sconfitte dall’avanzata di centri commerciali privati, del tutto estranei allo spazio pubblico della polis, perfino i luoghi della cultura e del tempo libero sono divenuti ostaggio di contenitori estemporanei, piastre, multisale accessibili solo da grandi arterie stradali. Nelle città e nella politica lo svuotamento di relazioni urbane ha spalancato la porta ad una sindrome di solitudine e ad una insicurezza, molto più percepita che reale, mentre la campagna ha perso la sua funzione affollandosi di aree suburbane: è il fenomeno che gli anglosassoni chiamano sprawl. Nella perdita del paesaggio urbano tutto si tiene: il danno ambientale con la disgregazione sociale, la crescita di traffico e smog con la crisi di identità di una comunità sempre meno capace di ritrovarsi e stabilire relazioni, tra i propri membri e in rapporto al territorio. Il fenomeno dello sprawl è oggi ovunque ad uno stadio molto avanzato, ma

non inarrestabile. Non abbiamo ancora consumato tutti i suoli disponibili, c’è ancora spazio per un ripensamento, per agire responsabilmente. Lo slogan “fermare il consumo di suolo” può essere declinato in una visione di futuro per la città, che recuperi le centralità urbane protagoniste dell’identità europea.

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La volontà di fermare il consumo di suolo non si riduce ad un intento di conservazione, non ci basta salvare la campagna dall’invasione del cemento. La sfida è tutta in positivo: fermiamo il consumo di suolo per tornare a costruire la città, come spazio di relazione, di economia, di coesione sociale e di produzione culturale. Una città che torni ad addensare relazioni, ricercando la qualità dello spazio costruito, migliori prestazioni energetiche, più benessere abitativo e servizi, primi fra tutti quelli di mobilità sostenibile: occorre tornare alla città come luogo attraente, dove vivere conviene.

La ricerca Green Life che Legambiente ha portato alla Triennale di Milano ha mostrato che la sfida della sostenibilità si vince nelle nostre città e nei nostri paesi. Le città del futuro in un paio di generazioni saranno “fossil free”. Non basta più costruire edifici ad energia ed emissioni “quasi zero”, come ormai deciso in Europa, perché l’attenzione è ormai proiettata sui nuovi quartieri a basse emissioni, senz’auto, attente agli spazi comuni, alla cura delle reti idriche, energetiche e alla trasformazione dei prodotti. La nostra proposta di “Ecoquartieri” si propone di recuperare aree dismesse e di degrado urbano, addensando sui nodi di trasporto pubblico edifici, funzioni ed abitazioni. Non basta rendere più difficile il consumo di nuovo suolo, dobbiamo rendere attraente, sostenibile e conveniente vivere in condominio.

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“Gli operai della bonifica continuavano a raschiare e lavare, però la diossina che tiravano via in un punto andava in un altro: il laboratorio continuava a fare le analisi, e continuava a trovarla di qua e di là.”(L.Conti – Una lepre con la faccia di bambina – 1978)

Legambiente ha profuso notevole impegno sul tema delle aree dismesse, e molto più ne occorrerà in futuro, anche perché questo tema incrocia la lotta al consumo suolo, alla luce del fatto che ormai, un po’ in tutta la Lombardia, molti tra i principali progetti immobiliari investono aree ex industriali, ex discariche, terreni con storie di inquinamento. È il caso, nell’area milanese, della raffineria di Pero-Rho, su cui si è insediata la Fiera di Milano, dei gasometri di Bovisa, dove sorge il nuovo Politecnico, della ex Pirelli, che ospita l’università Bicocca, Santa Giulia con i suoi nuovi quartieri residenziali e di terziario. Tutti i progetti di recupero di aree da bonificare sono affidati a imprese private. La ragione è semplice: l’attuale meccanismo di caratterizzazione e bonifica delle aree inquinate si ferma di fronte all’ostacolo dei fondi necessari al ripristino ambientale. Perciò ad essere attuate sono solo le bonifiche che prevedono partecipazione alle spese da parte di operatori immobiliari, il meccanismo funziona solo dove viene consentito un compenso volumetrico al privato, col risultato che la necessità di “compensare” le spese sostenute costringe l’Ente pubblico ad approvare progetti con scarse garanzie e spesso di natura speculativa, anche derogando agli strumenti urbanistici. L’alternativa oggi

Aree dismesse industriali e terreni inquinati

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prevista dalle norme è l’intervento diretto della Regione o dello Stato con erogazione di somme comunque insufficienti allo scopo, e risultati non soddisfacenti. Questo stato di fatto determina, in Italia, una situazione a macchia di leopardo: dove la pressione edilizia è forte, come in Lombardia, in qualche modo le bonifiche vengono attuate, anche se in misura insufficiente (qualche centinaio a fronte di più di 20.000 situazioni a rischio); altrove, non si fa nulla, o quasi. La risoluzione del problema non può che essere legata ad un meccanismo simile a quello adottato negli USA dove una legge federale del 1980, denominata CERCLA (Comprehensive Environmental Response, Compensation and Liability Act), ha consentito l’istituzione di un fondo ad hoc (il Superfund gestito dall’EPA) per individuare, caratterizzare e bonificare i siti inquinati. Il “superfund cleanup process” è complesso, comprende l’analisi del sito, la sua inclusione nella lista nazionale delle priorità, la possibilità per l’EPA di intervenire in emergenza, di rivalersi verso eventuali responsabili e di orientare gli utilizzi futuri delle aree recuperate. L’EPA inoltre ha il compito di assicurare la partecipazione dei cittadini interessati. CERCLA istituisce una tassa di scopo per le industrie chimiche e petrolifere; finora ha raccolto circa due miliardi di dollari e il meccanismo ha funzionato: negli USA decine di migliaia di siti sono stati indagati ed alcune migliaia recuperati. In Italia un meccanismo simile eliminerebbe due gravi problemi: la necessità di compensazioni finanziarie, pur senza escludere il riutilizzo delle aree bonificate, e la mancanza di interventi in tutti quei siti inquinati che non

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risultano “interessanti” per l’investitore privato: è il caso di Broni, dove il sito da bonificare è rimasto tale nonostante i conclamati danni alla salute dei cittadini. In questi tempi di crisi economica è divenuto forse impensabile che il Governo si impegni a votare una nuova tassa per le industrie inquinanti. Allora può essere interessante esplorare una seconda strada: se i privati trovano conveniente realizzare bonifiche a fronte di licenze edilizie, non può essere esclusa la possibilità di affidare allo Stato o alla Regione il compito di bonificare le aree, recuperando la spesa con la vendita del terreno ed escludendo così ogni discrezionalità e speculazione, oppure realizzando opere di interesse pubblico quali parchi, giardini o parchi solari. Ciò nulla toglie alla esigenza di recuperare fondi dai responsabili dell’inquinamento, ove gli Enti pubblici decidano sul serio di applicare il principio “chi inquina paga”.Finora le cause per il recupero dei danni ambientali sono intentate solo in casi estremi e portate avanti senza troppa convinzione, permettendo di recuperare somme misere, e l’impegno della stessa Avvocatura di Stato viene scoraggiato. Basti pensare al risarcimento quantificato per la Montedison di Porto Marghera, ammontante a più di cinquecento milioni secondo l’Avvocatura, e concordato in via amichevole con una manciata di milioni dal governo Berlusconi. Che l’attuale meccanismo debba essere modificato è reso evidente dai fallimenti disastrosi delle ultime bonifiche effettuate da privati. In Lombardia infatti si è determinato un intreccio diabolico fra speculatori e malavita ‘ndranghetista, che detiene ormai il monopolio del deposito e trasporto di terra e

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rifiuti (17 aziende movimento terra su 22 presenti i Lombardia hanno subito la sospensione del certificato antimafia).Il tutto sotto gli occhi distratti o, addirittura, compiacenti e corrotti, di amministratori di qualsiasi colore politico, come ci ricordano le cronache recenti.

Due milioni di metri quadrati alle porte di Milano, connessi alle autostrade e alla Fiera, l’area dismessa di Arese rappresenta un spina nel fianco di chiunque voglia pianificare lo sviluppo del Nord Ovest milanese. La vocazione industriale dell’area - negli anni ottanta c’erano 18 mila lavoratori - dovrebbe essere mantenuta, è il territorio che lo chiede. Ovviamente non è semplice fare un’operazione di re-industrializzazione. Due accordi di programma (1997 e 2002) hanno fallito in questo intento, e allora la Regione Lombardia che fa? Dopo aver annunciato l’insediamento nell’area del Polo della Mobilità Sostenibile si è adeguata a più miti consigli: mega centro commerciale e residenza (sigh!). Ecco il terzo accordo di programma che dietro la parola chiave multifunzionalità nasconde una scelta di basso profilo dove la vocazione industriale viene rinnegata e ci si affida alla grande distribuzione oltre che a un migliaio di nuovi appartamenti. Ma anche questo accordo di programma non ha avuto miglior sorte dei precedenti, in un rigurgito di raziocinio il Consiglio Comunale di Rho lo ha bocciato azzerando ancora una volta i progetti. Nonostante la Regione non abbia trovato di meglio che ribadire le intenzioni precedenti escludendo Rho dall’accordo di programma, la partita è ancora aperta e la speranza che l’area diventi il più grande insediamento di green economy lombarda non ci abbandona.

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I trasporti di merci e persone incidono per un terzo dell’inquinamento atmosferico e delle emissioni di gas serra. Da sempre l’istituzione regionale ha affrontato le questioni della mobilità in modo settoriale. La Lombardia, interessata da consistenti traffici generati localmente e da altrettanti di attraversamento sia nord-sud che est-ovest, necessita di un piano dei trasporti con chiari obiettivi di decongestionamento e di utilizzo delle capacità infrastrutturali residue di strade, ferrovie, aeroporti e scali merci. È evidente che solo questo genere di interventi potrebbe avere una ricaduta finalmente positiva sulla qualità dell’aria. L’amministrazione regionale ha invece puntato gran parte delle risorse su infrastrutture viabilistiche costose, ambientalmente insostenibili e generatrici di nuovo inquinamento. Nessuna parvenza di progetto è stata dedicata allo studio di vincoli e pedaggi selettivi per il trasporto delle merci in città e ai valichi di frontiera, nemmeno in vista dell’imminente apertura del Gottardo ferroviario che scaricherà migliaia di Tir al giorno tra Busto Arsizio, Como e Novara. È mancata un’efficace azione di programmazione e regolazione in tutti i settori dei trasporti capace di integrarne le funzioni e minimizzare i costi pubblici di gestione (attraverso l’introduzione di elementi di competizione) per aumentare le risorse da destinare al miglioramento del trasporto pubblico (autobus e treni) e agli interventi per i centri intermodali e gli scali merci ferroviari

La Lombardia delle autostrade sbagliate ipoteca la green mobility

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ormai in via di scomparsa: a Bergamo per esempio si è passati da 28 mila carri merci l’anno del 1990 ai 6000 del 2009, fino all’odierna chiusura dello scalo.La Regione si è invece concentrata da sempre particolarmente nel settore autostradale: Pedemontana, Brebemi, TEM, Broni-Mortara, Cremona-Mantova... il bluff delle grandi opere autostradali è stato mantenuto con previsioni di ritorni economici ottimistici e dispositivi finanziari creativi che rimandano nel tempo gli oneri, per eludere i vincoli di bilancio europei e del patto di stabilità: la Lombardia continua a puntare su opere civili ad alto consumo di suolo: un settore “maturo” ben presidiato dalla malavita organizzata. Logiche localistiche, di collegio elettorale più che di strategia della mobilità, servono da stampella a questa contrapposizione frontale con le prospettive della green economy, laddove il vero cambiamento richiederebbe innovazione, sperimentazione e applicazione di nuove tecnologie. Legambiente ha tenuto alto il più possibile il livello di contrasto ad una politica che drena risorse pubbliche con un ritmo micidiale e una pesante eredità in capo alle future generazioni, cercando di volta in volta alleati nei territori, per contrastare la lobby dell’asfalto che più d’ogni altra coltiva estimatori trasversalmente agli schieramenti politici. In un quadro europeo deludente, l’Italia brilla in negativo. Infatti, la quota di viaggiatori su rotaia (5,7%) è più bassa della media europea (7,1%) ed in particolare della Germania (8,1%) e della Francia (9,8%). Anche per ciò che riguarda la rete ferroviaria il nostro paese ha una dotazione pro-capite più bassa rispetto a Francia e Germania

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(283 km per milione di abitanti, contro rispettivamente 481 e 412). Abbandonata la via della competizione tra aziende ferroviarie, con il matrimonio FS-FN l’amministrazione regionale è diventata al tempo stesso programmatore, finanziatore e gestore del trasporto ferroviario muovendosi così in pieno conflitto di interessi, accentuato dall’assenza di una authority indipendente di regolazione pubblica. C’è un recupero (parziale) di passeggeri, a fronte di una crescita dell’offerta (ma senza miglioramenti su qualità di servizi, tempi di viaggio e comfort) ai danni del sistema della autolinee che ha “pagato” con un taglio di 38 milioni i maggiori costi ferroviari. In Lombardia si muovono ogni giorno 600 mila pendolari sui 1800 km di rete. L’obiettivo che proponiamo è quello di arrivare a un milione di passeggeri ferroviari entro il 2013. Non è un obiettivo irrealizzabile, si tratta di rendere competitivo il trasporto pubblico rispetto all’auto privata. Certo sarà difficile raggiungere un simile obiettivo a colpi di aumenti di tariffe: fino a poco tempo fa le tariffe ferroviarie italiane erano tra le più basse d’Europa, ormai abbiamo raggiunto il livello europeo (mentre i salari sono più bassi del 18% rispetto alla media), ma non sono certo ‘europei’ gli standard di servizi offerti.A Milano le proposte approvate con i referendum cittadini non devono far perdere di vista gli interventi fondamentali da realizzare

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nell’area metropolitana, senza i quali nessun ecopass da solo risolverà la grave situazione di inquinamento atmosferico e di congestione, e i cui caposaldi sono: la pianificazione dei servizi in area metropolitana; l’integrazione tariffaria vera per treni, autobus e metro; la regionalizzazione e ottimizzazione dei treni per Malpensa; la messa a gara dei servizi ora gestiti in monopolio da ATM, azienda che partecipa a gare all’estero, mentre a Milano le aziende concorrenti non possono entrare; un efficace regolamento per carico e scarico delle merci; nuove corsie preferenziali per mezzi pubblici e biciclette; una politica contro la sosta selvaggia.Nella nostra regione si muovono circa 400 milioni di tonnellate di merci l’anno sui TIR mentre il treno ne trasporta solo 24 milioni (6%): bastano questi dati per descrivere uno squilibrio inaccettabile. Anche sul fronte della logistica regna l’improvvisazione: eppure si tratta di un anello fondamentale per la competitività delle imprese di trasporto e l’interscambio con le ferrovie per la raccolta e distribuzione delle merci. Grazie alla pessima logistica il 40% dei TIR viaggia a vuoto, eppure gli enti locali fanno a gara ad assecondare speculazioni sui terreni per insediare enormi “poli logistici” monomodali che consumano superfici agricole senza produrre alcun differenziale di efficienza.Come non esiste un piano per la mobilità terrestre, non esiste nemmeno un piano di sviluppo del sistema aeroportuale lombardo. In questo settore in Europa il traffico è cresciuto negli ultimi 10 anni del 4% contro una lieve riduzione (0,1%) del trasporto stradale e (0,3%) del trasporto ferroviario.

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Allo stesso tempo però, i 4 aeroporti lombardi hanno una capacità (60 milioni di passeggeri) quasi doppia rispetto al traffico (36 milioni): dati che non giustificano in alcun modo interventi di ampliamento come quello, scellerato, della terza pista a Malpensa, a cui le stesse compagnie aeree si sono dichiarate contrarie. I piani di investimento dovrebbero invece concentrarsi sull’ottimizzazione dei movimenti a terra e in volo, sulla riduzione del rumore, sull’uso dei pontili per evitare eccessive movimentazioni bus e rullaggi sulle gateway, sull’uso di mezzi elettrici per i movimenti a terra. La crescita esponenziale di Bergamo, la terza pista di Malpensa e la cattedrale nel deserto dello scalo di Brescia sono la chiara evidenza di un vuoto di pianificazione e di disegno strategico. I progetti autostradali sono i simboli della contraddizione e dell’arretratezza lombarda. Oggi è difficile per Legambiente immaginare un terreno positivo su cui costruire vaste alleanze per il cambiamento necessario: le forze contrarie sono formidabili e pervasive, sostenute da enormi capitali speculativi e da sostegni governativi, che mantengono il calendario della Lombardia appuntato ai primi anni ‘60, l’epoca della grande motorizzazione di massa e delle autostrade “mediate” con gli interessi del singolo, potente, detentore di un collegio elettorale. La politica è impotente di fronte ai grandi monopoli e alle corporazioni che gozzovigliano sull’inefficienza del sistema e su imponenti e incontrollati volumi di sussidi pubblici, ed a sua volta è incapace persino di concepire potenziali di innovazione che guardino alle migliori esperienze europee. Le grandi distrazioni di risorse

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per realizzare nuove autostrade asservite ad interessi di collegio elettorale continueranno ad essere la zavorra di ogni politica di efficientamento della mobilità? È possibile, anzi probabile, che la nostra battaglia sia ancora lunga e faticosa. Ma questo non deve impedirci di mobilitare le nostre energie per la resistenza e la difesa dei territori: sono battaglie che portano i semi del cambiamento. Sono battaglie che pongono alla politica la domanda delle domande: quali sono le vere priorità?

I parchi regionali rappresentano uno strumento efficace di conservazione della biodiversità, di tutela del territorio e di gestione di beni comuni come l’acqua e il suolo. Dall’approvazione della legge regionale nell’ormai lontano 1983 sono cresciuti in capacità, relazioni con le comunità locali e impegno di cura dell’ambiente nel suo complesso. Rappresentano una vera e propria infrastruttura verde della Regione e senza di loro il nostro paesaggio sarebbe ulteriormente pregiudicato nella sua bellezza e identità. Purtroppo dopo l’entusiasmo iniziale e la forte mobilitazione popolare che ne ha stimolato la costituzione e la crescita - pensiamo al grande valore ambientale del Parco del Ticino, all’unicità del sistema agricolo e culturale del Parco Sud di Milano, all’importanza dei Parchi alpini, al sistema di conservazione dei Parchi fluviali e, infine, alla rete dei periurbani - assistiamo oggi a una evidente debolezza del sistema regionale.

Le aree protette, dal desiderio al rilancio

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La legge n. 86/83 conteneva un positivo piano di sviluppo che negli anni, seppur parzialmente, è stato attuato con successo; nonostante questo dal 2005 al 2010 sono stati numerosi i tentativi di modificare la legge quadro sulle aree protette da parte della Giunta regionale, e a ogni tentativo, Legambiente non ha mancato di fare sentire la sua voce, a volte in modo propositivo e collaborativo, altre volte, quando le proposte regionali erano irricevibili, in modo radicalmente critico. Le proposte di cambiamento della legge paradossalmente hanno cercato di limitare il sistema dei parchi, attaccando prima di tutto lo strumento di pianificazione territoriale sovracomunale e indebolendo l’autonomia di lavoro e di progettazione delle aree protette. È come se in fondo si volesse ridurre l’importanza del sistema di conservazione proprio quando il consumo di suolo nella Regione e la riduzione di biodiversità hanno toccato i loro livelli più elevati. Se da un lato le protezioni e la pianificazione sovra-comunale rappresentano una originalità della nostra Regione, tanto da anticipare e ispirare per alcune sue parti la legge nazionale 394/91, dall’altro la politica regionale e in molti casi l’azione di qualche Ente locale si ostinava a cercare di indebolire il sistema, attaccando gli strumenti di pianificazione con continue proposte di variante e modifica territoriale dei confini e delle tutele. Se uniamo a questo costante logoramento, l'azione della politica infrastrutturale regionale, che tende a colpire il territorio protetto pensandolo più come un ostacolo allo sviluppo che a un valore con il quale misurarsi per stabilire la qualità delle opere e dei servizi,

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allora comprendiamo come mai il sistema di protezione della natura e del territorio non è mai diventato un vero elemento di sviluppo regionale, rimanendo relegato ai margini delle politiche territoriali. Nell’agosto di quest’anno il Consiglio regionale ha approvato importanti modifiche alla L.R. 86/83 concernenti soprattutto la governance dei parchi. Con WWF e FAI ci siamo impegnati in una forte battaglia che ha contribuito a stralciare dalla proposta di legge le parti più pericolose per l’integrità territoriale delle aree protette, ma resta in noi la forte preoccupazione per le pesanti modifiche introdotte nelle forme di gestione. Non è ancora prevedibile, infatti, quale sarà l’impatto concreto della nuova architettura degli enti di gestione, e soprattutto non è per nulla garantito l’esito delle trasformazioni che, se non concluse entro il 2011, porteranno all’automatico commissariamento da parte della Giunta regionale, che pregiudicherebbe ulteriormente l’immagine e la sostanza dei parchi lombardi. La sofferenza e il ritardo con la quale è stata data una organizzazione ai parchi alpini, dopo anni di commissari, e l’impossibilità di costituire importanti parchi alpini, sino alla crisi ormai definitiva dell’unico Parco Nazionale sullo Stelvio, sono indicatori evidenti che la rete dei parchi regionali richiede un slancio originale, un rilancio, un impegno capace di ridisegnare la rete di conservazione e valorizzazione del territorio e della rete ecologica, specialmente nei territori più difficili e marginali, quelli della nostra montagna.Il cambiamento di rotta è necessario perché c’è voglia di

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Parchi e natura. Il sentimento popolare e il desiderio delle comunità è sempre più legato alle necessità di consolidare gli spazi aperti e di conservare il paesaggio. È naturale pensare alla propria casa e alla propria vita in un ambiente bello e accogliente, in un territorio dove esistono boschi e prati, dove è possibile riconoscersi. Legambiente incontra nei diversi territori questo bisogno popolare, alcune volte siamo stati capaci di sostenerlo nella realizzazione dei Parchi Locali di Interesse Sovracomunale, alcune volte ha ispirato le nostre proposte di sussidiarietà e di cura diretta come per il sistema Retenatura, oggi ci anima nella costituzione della rete dei Custodi del Territorio. Le Amministrazioni locali che hanno costituito i PLIS hanno migliorato il loro consenso politico e sociale e hanno dimostrato che il loro impegno può essere riconosciuto dai cittadini. Legambiente deve sconfiggere il luogo comune che vede i parchi come “lacci e lacciuoli”, le aree protette come limitazione allo sviluppo, la natura e l’agricoltura come segni di un passato di sofferenze, il paesaggio come icona per un dipinto. Questa voglia popolare attende solo di trovare strumenti e idee, di alimentare una stagione positiva che sviluppi l’esperienza dei parchi regionali, consolidi la nascita dei PLIS, completi il sistema di conservazione e la rete ecologica con ciò che oggi ancora manca: il Parco interregionale del Po, il Parco alpino

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del Disgrazia e Bernina, il Parco del Monte San Genesio nella Brianza Lecchese e delle Brughiere nel Comasco. Auspichiamo la fine dell’era delle varianti che riducono i confini e circondano i parchi di cemento: si apra il periodo degli allargamenti e dell’integrazione, della rete ecologica, della diffusione della pianificazione integrata per tutto il territorio della Regione, una pianificazione sempre più necessaria che esca dai confini dei parchi e diventi una buona pratica per la tutela del paesaggio e del territorio lombardo.Anche i parchi sono stati deboli, hanno perso spesso il contatto con il territorio, non hanno favorito i processi di sussidiarietà e di partenariato, sono rimasti isolati tra di loro, hanno subito impotenti le politiche infrastrutturali della Regione, dimostrando poca autonomia e una debolezza di fondo perfino nelle proposte di compensazione. Anche nei parchi si è avviato un processo di allontanamento dalle comunità locali e spesso anche dalle Amministrazioni. Molti comuni hanno perso lo slancio iniziale e non sono stati capaci di utilizzare il parco come strumento di sviluppo territoriale e di qualità ambientale. Naturalmente per cambiare servono anche risorse economiche e in un periodo di crisi è ancora più difficile ma necessario trovare nuove modalità di finanziamento, partenariato e modelli di gestione più efficienti. Senza una ridefinizione e un aumento delle risorse non sarà possibile far cresce i parchi come infrastruttura di sviluppo. L’agricoltura potrà interpretare un ruolo determinante per fornire le risorse necessarie ai parchi, la nuova politica comunitaria dovrà incentivare le

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capacità di servizio ambientale offerte dal mondo agricolo. Con gli agricoltori è possibile pensare a un miglioramento della biodiversità e del paesaggio nel complessivo territorio regionale. La nuova vocazione dell’agricoltura - più prossima ai bisogni dei consumatori e “coproduttori” più capace di diffondere biodiversità, più attenta alle risorse naturali, più sostenibile e lontana dalla chimica, più sostenuta dalle città - è sicuramente la sfida più interessante che abbiamo davanti a noi.Legambiente avvia la costituzione di un osservatorio regionale che valuterà le reali condizioni dei parchi e realizzerà uno stretto monitoraggio della fase di trasformazione istituzionale. Questo osservatorio servirà anche a mantenere una costante attenzione nei prossimi quattro anni, ad avviare le campagne per il completamento del sistema parchi e la realizzazione della rete ecologica regionale. Nello stile di Legambiente chiederemo anche alle persone e alle comunità di essere loro direttamente i protagonisti di questa stagione di promozione delle aree protette. Il movimento delle persone di buona volontà che vuole più parchi e natura, che desidera bellezza e tutela, che vuole che il territorio sia effettivamente la chiave di volta e lo strumento per lo sviluppo della Lombardia si farà carico di mantenere costante la pressione verso le istituzioni e la politica affinché si risponda efficacemente alla tutela del bene pubblico e alla realizzazione della Lombardia di tutti.

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La Custodia del Territorio è una campagna di Legambiente Lombardia che si rivolge a cittadini ed Enti Locali che desiderano esprimere la loro azione concreta in difesa del territorio. Nata a livello mondiale – dal Canada alla Catalogna – portata in Italia da Legambiente, la Custodia è un impegno diretto affinchè si fermi la cementificazione di nuove aree verdi e l'uso indiscriminato del suolo. Essere Custodi significa sottoscrivere un impegno diretto e mettere a disposizione un terreno, un bosco, un prato fino al giardino di casa. Aderire alla rete dei Custodi vuol dire costruire una rete popolare di partecipazione e di responsabilità diretta per cambiare insieme il modo di vivere il territorio attraverso l'impegno personale e comunitario. Infine, la Custodia è uno strumento per limitare il consumo di suolo, valorizzare il territorio e le sue risorse, una pratica innovativa che rende i proprietari della terra protagonisti di un'azione di conservazione del paesaggio.

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“...la fame di un miliardo di uomini dipende non tanto dalla scarsità di cereali quanto dall’eccesso di vitelli per l’alimentazione dell’altro miliardo. Oggi la fame nel mondo non dipende tanto dalla demografia umana quanto dalla demografia bovina.”(L.Conti – dall’intervento al seminario “Ecologia tra movimenti e rapporti di produzione” Firenze 12/4/81)

La Lombardia è la prima regione italiana per valore delle produzioni agricole. Qualcuno potrebbe stupirsene, ma la felice combinazione geografica, che ha consegnato a questo angolo d’Italia una vasta superficie di pianura – oltre il 55% del territorio regionale – con un suolo naturalmente fertile e una abbondanza d’acqua, assicurata tutto l’anno da un enorme sistema di regolazione naturale formato dalle nevi alpine, dai grandi laghi prealpini e dalle risorgive della pianura, insieme alla millenaria storia di infrastrutturazione agricola, cui si deve il monumentale sistema di fontanili, derivazioni irrigue e canalizzazioni estese in modo capillare in tutta la pianura... tutto ciò ha consolidato nei secoli il sistema rurale lombardo, rendendolo uno dei più produttivi d’Europa. Quando si pensa all’importanza economica dell’agricoltura si tende a considerarla un settore ormai marginale e largamente sussidiato, come di fatto è in termini di occupazione e entità dei redditi prodotti. Ma la prospettiva cambia notevolmente quando si considera l’agricoltura non come un settore a sé stante, ma come il capostipite di filiere produttive – fibre, cellulosa e carta, legno ed energia, biomateriali, agroalimentare – che in Italia costituiscono oltre un quinto dell’intera ricchezza economica prodotta,

L’agricoltura lombarda: occorre una nuova rivoluzione verde

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con settori, l’alimentare in primo luogo, che ancora oggi qualificano enormemente l’immagine internazionale, per altri versi logora, del nostro Paese. Oltre alle produzioni materiali, l’agricoltura italiana produce un paesaggio che in molti casi ha trovato una felice combinazione per essere valorizzato in termini turistici, dagli oliveti del Garda al Chiantishire al poco che resta dei pascoli alpini: e molto c’è ancora da scoprire e da mettere in valore, dal Parco Agricolo Sud Milano alle risaie lomelline e alle terre di Po. C’è infine un significato strategico dell’agricoltura, pericolosamente trascurato con la crescita dei commerci mondiali sfociata nell’era della globalizzazione, ed è il presidio che essa assicura all’autonomia e alla sovranità alimentare di ogni popolo: un valore che dovrebbe essere tenuto presente, sia a livello nazionale, sia in sede comunitaria (anche se di certo nella nostra epoca l’Europa non è alle prese con scarsità alimentari o con esigenze di razionamento), sia nella cooperazione con altri Paesi, siano essi confinanti o luoghi d’origine dei fenomeni migratori, evitando ad esempio di concorrere a forzature sui regimi agricoli per imporre produzioni non-food, anche e soprattutto di tipo energetico, a beneficio della importazione di materie prime a basso costo: determinare condizioni di dipendenza alimentare di una nazione significa infatti, inevitabilmente, renderla più vulnerabile ed esposta a conflitti e guerre. Dobbiamo dunque introdurre criteri di merito nel confrontarci con l’agricoltura di casa nostra e con la sua proiezione globale: non possiamo giudicare acriticamente l’agricoltura, ma dobbiamo saper discernere.

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L’agricoltura può servire a produrre cibo di buona qualità, a gestire correttamente un territorio, a realizzare una prospettiva di benessere e sicurezza alimentare, a concorrere alla lotta ai cambiamenti climatici. Oppure può essere un’agricoltura che degrada e inaridisce un territorio (e la Pianura Padana non è affatto esente da questa prospettiva!), che subisce il monopolio dei prezzi imposti dalla Grande Distribuzione, che consuma troppa energia emettendo più CO2 di quanta ne assorba, che impoverisce il paesaggio erodendone la biodiversità, che sequestra o inquina le risorse idriche senza badare agli effetti sullo stato naturale di corpi idrici e falde, supina agli ordini dall’industria chimica e agrobiotec, che la imbottisce di fitofarmaci, fertilizzanti sintetici e sementi OGM. L’agricoltura lombarda, per molti aspetti, continua a muoversi in questa seconda prospettiva, nonostante il forte regime di sussidio pubblico di cui beneficia al pari delle altre agricolture europee, che invece imporrebbe, anche per rispetto dei contribuenti, una maggior restituzione in termini di qualità paesaggistica e servizi ambientali. Solo in parte ciò è imputabile a scelte aziendali del singolo operatore: l’agricoltura è un settore strutturalmente molto frammentato e sensibile, perfino indifeso, rispetto al mercato. Per questo occorre – ed è anche un nostro compito – presidiare da una parte il mercato, che significa tutti noi, con i nostri stili di

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vita e le scelte di consumo, e dall’altro il versante delle politiche pubbliche e dell’efficacia con cui vengono tradotte: l’agricoltura è un settore strutturalmente a noi alleato, ad esempio per quanto riguarda la lotta al consumo di suolo e le produzioni energetiche rinnovabili, occorre far sì che questa vicinanza non resti un elemento minoritario, di pochi agricoltori biologici che producono per una piccola parte di ceto medio sensibile alle produzioni sane e di prossimità, ma che diventi una autentica compresenza ai tavoli che governano la distribuzione di risorse pubbliche, nel rapporto con l’agroindustria e con gli operatori del settore energetico, nelle scelte di consumo, a partire da quelle dei nostri soci per arrivare alla grande ristorazione di mense e comunità. Occorre innescare un cambiamento radicale, più profondo, più dolce, ma non più lieve di quello che ha modernizzato l’agricoltura negli anni a cavallo tra le due guerre mondiali (la “rivoluzione verde”), che muti profondamente il modo di coltivare in Lombardia, rendendo l’agricoltura un caposaldo delle politiche di sostenibilità: dalla produzione di beni, alla gestione idrica, alla difesa delle superfici agrarie, al contrasto dell’effetto serra, alla produzione energetica pulita. Tutto ciò sta scritto nella potenzialità dell’agricoltura, deve tradursi in realtà economica e concreta, la Lombardia può diventare un grande laboratorio per sperimentare la nuova rivoluzione verde, a partire dalla prossima programmazione europea, che prenderà avvio nel 2014 ma deve essere preparata da adesso. La green economy in agricoltura non è scontata, anzi richiede una forte volontà e capacità di cambiamento da

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parte degli operatori, degli istituti di formazione e ricerca, delle organizzazioni agricole. E richiede una attenta azione di governance pubblica e pianificazione, per evitare di ripetere ed estendere errori gravi che abbiamo visto manifestarsi in questi ultimi anni: è il caso della corsa agli incentivi per le rinnovabili, che, in qualche caso, sono diventati pretesto per l'impiego di capitali speculativi laddove invece dovrebbe prevalere l'attività di impresa, e hanno portato a realizzare capacità produttive, in particolare per quanto riguarda la generazione da biomasse, largamente eccedenti la produzione locale. L’agricoltura è attività tradizionalmente detentrice di competenze energetiche, da sempre complementari alla produzione a scopi alimentari. Nel caso della Lombardia si tratta di utilizzare gli enormi potenziali legati alla valorizzazione energetica di scarti, deiezioni e sottoprodotti, non certo di dedicare vaste superfici agricole alla produzione di biomassa dedicata alla produzione energetica, sottraendole alla produzione alimentare: si tratterebbe di un non-senso economico, prima che di un danno alla vocazione alimentare delle nostre produzioni.

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“La vita del nostro pianeta dipende, prima di tutto, dal funzionamento di quella grande fornace nucleare che è il Sole, e dalle caratteristiche primordiali del pianeta.”(L.Conti – Che cos’è l’Ecologia – Università verde di Milano lezione del 5/11/1986)

La strategia europea sulla politica energetica, ben riassunta nella pacchetto 20-20-20, ha integrato obiettivi che erano affrontati in maniera troppo slegata e incoerente. L’incremento di energia prodotta da Fonti Energetiche Rinnovabili (FER), la riduzione di emissioni di CO2 equivalenti, la riduzione dei consumi energetici finali, sono finalmente indissolubilmente interrelati. Noi sappiamo che tra questi obiettivi quello relativo alla riduzione dei consumi energetici è sicuramente il più importante: il vero e proprio driver delle politiche energetiche a livello locale, regionale e nazionale. Purtroppo sappiamo anche che è l’unico obiettivo non vincolante per gli Stati membri! Forse l’Unione Europea non è stata sufficientemente coraggiosa da porlo come obiettivo cogente, o forse le lobby energetiche (tutt’altro che propense a diminuire i consumi) hanno fatto valere il proprio peso. Nonostante ciò dobbiamo porre la riduzione dei consumi energetici al centro di ogni politica energetica da attuare, ad ogni livello istituzionale. Siamo consapevoli che in tal modo non solo non danneggeremo lo sviluppo delle FER, ma anzi prepareremo un futuro nel quale la quota di rinnovabilità dell’energia prodotta rispetto a quella consumata sarà ben maggiore del 20% europeo (17% italiano). Ridurre i consumi

La Lombardia, un grande cantiere pieno di energie intelligenti?

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energetici vorrà dire attuare finalmente il disaccoppiamento PIL/consumi energetici alla base di una nuova società realmente de-carbonizzata, togliendo finalmente al PIL il peso di indicatore onnicomprensivo per valutare lo sviluppo di una società industrializzata avanzata. La riduzione dei consumi energetici, opportunamente integrata con lo sviluppo armonioso delle FER, porterà a ridurre drasticamente i livelli di emissioni di CO2 garantendo non solo il completo raggiungimento del terzo obiettivo europeo, ma anche di superarlo. Già oggi a livello europeo si parla di ridurre le emissioni del 30% entro il 2020: il 30-20-20! Dobbiamo porci alla testa del movimento di cittadini, imprese e amministrazioni che contribuirà a raggiungere e superare questi obiettivi. I prossimi saranno 9 anni di forte lavoro per far sì che la scelta di rinunciare al nucleare non si accompagni, come in passato, ad uno stato di inerzia e di passività che ha provocato il ritardo grave che l’Italia ha accumulato nel settore delle FER. La Lombardia non può essere una regione al traino dell’Italia, non possiamo aspettare decisioni coraggiose dal livello nazionale, dobbiamo agire per rendere la Lombardia regione all’avanguardia nella quale gli obiettivi 30-20-20 si declinino in modo più spinto e deciso. Il messaggio che dobbiamo lanciare è fatto di scelte che dovranno avere il coraggio di alzare gli standard di efficienza in tutti i settori di consumo finali. Occorre prevedere l’azione congiunta di un sistema normativo, regolatorio-amministrativo, pianificatorio, e, infine, incentivante tutto teso non al raggiungimento, bensì al superamento degli

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obiettivi nazionali.In Lombardia dobbiamo avere il coraggio di dire che anticiperemo di 5 anni l’obbligo per tutti gli edifici di nuova costruzione di essere edifici a energia quasi zero (la Direttiva 2010/31/CE prevede entro il 2020), e che le ristrutturazioni in futuro dovranno arrivare a trasformare la maggior parte del patrimonio edilizio lombardo in edilizia a basso consumo energetico. Occorre lanciare un serio piano di riqualificazione energetica dell’intero patrimonio edilizio lombardo che veda coinvolti tutti i soggetti interessati, dalle imprese edili alle ALER, agli enti locali e ai professionisti, fino ai cittadini.I consumi energetici dovranno ridursi anche in altri settori chiave quali l’industria, attraverso azioni come l’introduzione di audit energetici e la riqualificazione dei processi produttivi, o anche il recupero dell’energia termica dispersa. L’altro settore chiave sono i trasporti, nei quali occorre ricordare che le azioni di mobilità sostenibile, di spostamento del trasporto da privato a pubblico e il rinnovo del parco veicolare, tutte insieme portano a benefici netti in termini di energia risparmiata. In tutta questa partita il ruolo della pianificazione territoriale è essenziale, ma deve finire di essere una mera elencazione di interventi e desiderata legati allo “sviluppo edilizio”. La nuova pianificazione territoriale deve inglobare gli obiettivi di sostenibilità energetica rendendoli cogenti ed efficaci, per cui i PTCP, i PGT, la programmazione di interventi urbanistici, i piani integrati diventino strumenti che concorrono al raggiungimento della 30-20-20 lombarda. Lo sviluppo delle FER in Lombardia dovrà essere armonioso

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e compatibile con le vocazioni dei territori. Sviluppare le FER vuol dire creare filiere corte sulle biomasse forestali e di scarto, installare il fotovoltaico al servizio di consumi energetici civili e industriali, rendere il solare termico diffuso e semplice da installare, attuare un piano di sfruttamento della geotermia a bassa entalpia associata alle pompe di calore sullo stile della Svizzera (100.000 pompe di calore installate in pochi anni). Le rinnovabili in Lombardia sono al servizio del soddisfacimento dei consumi energetici finali e, se accompagnate da politiche di semplificazione e incentivo mirato, potranno coprire ben più del 17% previsto a livello nazionale. Al fine di rendere tutta questa politica la base della green economy lombarda dobbiamo essere capaci di portare a dialogare mondi diversi: le imprese, il mondo della finanza e del credito, gli enti locali, i cittadini e i professionisti. Se la via della Green Economy potrà rappresentare una concreta uscita dalla crisi economica avremo vinto la sfida del 2020 fornendo anche una grande opportunità di crescita e di posizionamento del sistema imprenditoriale lombardo al fianco di eccellenze europee di frontiera tecnologica e grandi capacità gestionali. Solo così potremo avere quello sviluppo occupazionale funzionale alla promozione di nuove filiere produttive finalizzate alla sostenibilità energetica.

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La Lombardia non è più solo “infiltrata” dalle mafie, ma - come ha autorevolmente affermato di recente la Direzione Nazionale Antimafia - è letteralmente colonizzata dalle organizzazioni criminali, in particolare dalla ‘ndrangheta. Sono tantissime le inchieste che hanno portato negli ultimi anni all’arresto di centinaia di affiliati alle cosche (che nei nostri territori fanno soprattutto affari, inserendosi con l’intimidazione o la corruzione negli appalti pubblici, tessendo relazioni con politici ed amministratori locali, taglieggiando commercianti e piccoli imprenditori, investendo denaro “sporco” in aziende oneste e rispettate), al sequestro di beni e conti correnti per centinaia di milioni di euro, alla denuncia di quella omertà tutta padana, che ha indotto numerosi operatori economici e colletti bianchi lombardi a negare rapporti con la criminalità organizzata anche di fronte alle inequivocabili intercettazioni che li vedevano protagonisti. Non per niente la Lombardia è la terza regione per numero di aziende confiscate alla mafia.Questa presenza pervasiva delle cosche molto spesso si declina anche in criminalità contro l’ambiente, settore in cui le ecomafie riescono più facilmente e con meno rischi ad assumere ruoli di primo piano, come nello smaltimento dei rifiuti o nel quasi monopolio della movimentazione terra, vero e proprio canale di ingresso privilegiato nel ciclo illegale

La Green economy ha bisogno di legalità: sconfiggere le ecomafie e la criminalità ambientale

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del cemento. Questo contesto criminale oltre a mettere a repentaglio la qualità ambientale dei territori e a minare le basi di una società più giusta e coesa, in cui tutti hanno uguali diritti e doveri e dove il merito ha la meglio sulla prevaricazione, ostacola lo sviluppo di una green economy sana, basata su concorrenza e capacità di innovazione. Imprenditori che si avvantaggiano nell’aggiudicazione degli appalti grazie a protezioni e amicizie, aziende che fanno lievitare i profitti attraverso traffici illegali che minacciano l’ambiente, intere filiere produttive che aggirano i controlli con la corruzione o l’intimidazione sono tutti fenomeni che bloccano la crescita di un’economia onesta, in cui la libera competizione dovrebbe essere il motore di una produzione orientata all’innovazione e alla qualità ambientale.È giunto quindi il momento per uno scatto di consapevolezza e una forte presa di posizione da parte dei tanti imprenditori lombardi onesti, a partire dai vertici delle organizzazioni di categoria, per denunciare con determinazione ogni caso di illegalità o collusione, i cui responsabili devono essere allontanati senza esitazione dal circuito dell’economia pulita e responsabile. Bisogna facilitare le denunce di intimidazione e di estorsione, così come la collaborazione con le istituzioni, in primo luogo forze dell’ordine e magistratura.Oltre alla non più rinviabile introduzione, a livello nazionale, dei delitti contro l’ambiente nel codice penale e a una riforma della giustizia al servizio dei cittadini, improntata all’efficienza e alla tutela dei beni giuridici garantiti dalla Costituzione, in Lombardia è necessario migliorare il sistema

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dei controlli ambientali, che devono essere più incisivi e snelli, semplificando gli adempimenti burocratici e colpendo con fermezza i responsabili degli inquinamenti. Occorrono mezzi, risorse e formazione per il personale addetto alle indagini, che deve poter operare in condizioni di efficienza e indipendenza. Ma è altrettanto fondamentale la partita che deve giocare la società civile, per sconfiggere sul piano culturale l’indifferenza, la rassegnazione e l’omertà, che permettono alle ecomafie di prosperare quasi indisturbate, agli imprenditori disonesti di continuare a godere di influenze e prestigio sociale, agli amministratori pubblici compiacenti o collusi di prendere la strada di brillanti carriere politiche. Ancora una volta Legambiente deve essere alla testa di quel cambiamento, che passa per la conoscenza e la consapevolezza, l’educazione alla legalità, l’azione in prima persona di tutti noi, perché “custodire il territorio” significa anche essere sentinelle contro le ecomafie e l’illegalità ambientale, partecipando alla scelte ambientali e alla vita della comunità, per alzare una barriera preventiva contro gli eco-criminali e denunciare ogni violazione delle regole.

Legambiente ha creduto e crede che Expo 2015 debba essere un'occasione da cogliere per cambiare la città di Milano e aiutare a cambiare l’Italia. Expo avrebbe potuto, e forse ancora può, essere l’esempio delle nuove politiche ambientalmente e socialmente sostenibili per la città (nuovi quartieri “fossil free”, sconvenienti all’automobile), per l’agricoltura (che integri la produzione di alimenti di qualità con identità territoriali, biomateriali

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e bioenergie), per l’accoglienza. Oggi è chiaro che per la gravissima irresponsabilità della politica, milanese in primo luogo, e anche per l'evanescenza della governance, Expo porterà con sè una somma di piccoli e grandi scempi che occorrerà contrastare sul nascere impedendo però che un Expo ridimensionato si trasformi in un'occasione mancata e in un fallimento universale.Legambiente è impegnata con tante altre associazioni nella proposta di una “Expo dei popoli” che porti a Milano nel 2015 delegazioni dal basso da tutti i paesi per seguire a distanza la conferenza ONU sul “Millenium goals”. Il tempo della fiducia rischia di scadere, la nuova amministrazione di Milano dovrà impegnarsi molto per riconquistare le tappe perdute e ridurre i danni. I tentennamenti della politica a tutti i livelli, le distrazioni di risorse, la mancanza di reale partecipazione, la crisi finanziaria hanno fatto perdere tre anni preziosi, la politica ambientale di Expo non è nemmeno delineata, l’eredità dell’evento si è ridotta a un calcolo di volumi immobiliari. La crisi ha fatto parlare di un Expo più sobrio, con meno effetti speciali e, speriamo, meno speculazioni. Si può fare un Expo sobrio, a patto di non perdere la visione e l’aspirazione ad un futuro sostenibile. In questo, le nostre progettazioni (controllo, pianificazione e consumo di suolo, centrale di mobilità, promozione di biometano da scarti, Green Life e Premio Innovazione Amica dell'Ambiente, Parco dell'Expo, Ecoturismo, Piani clima), pur non avendo ottenuto un riconoscimento ufficiale, possono essere un punto di partenza per costruire azioni di sostenibilità. Senza questa visione, l'esposizione universale ha davanti una prospettiva diversa, quella di diventare una fiera campionaria che non serve a Milano, alla Lombardia e nemmeno al resto del mondo.

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La recente Direttiva 2008/98/CE in materia di rifiuti indica nella riduzione della produzione di rifiuti la priorità assoluta, propedeutica alla corretta ed efficiente raccolta differenziata. È questa una delle più importanti sfide che attendono la Lombardia alla prova dei fatti: evitare di produrre rifiuti, utilizzando il più possibile azioni semplici ed incisive sui comportamenti di tutti i cittadini. La cosiddetta “società del riciclaggio”, citata dalla normativa europea, si basa su un ordine chiaro e stabilito di priorità tra le forme di gestione del rifiuto: prevenzione, preparazione per il riutilizzo, riciclaggio (recupero di materia), recupero di energia e infine smaltimento. La Lombardia non dovrà sottrarsi a queste indicazioni, anzi dovrà interpretarle correttamente e saperne cogliere i benefici ambientali, sociali ed economici.In Lombardia abbiamo visto che già dal 2006 si è rotto il trend di incremento dei rifiuti prodotti pro capite. Il valore di riferimento dell’ultimo quinquennio è di circa 510 kg/abitante per anno. Nel 2009 è avvenuta una contrazione della produzione di rifiuti che ha portato il valore pro capite a 502 kg/abitante anno, praticamente lo stesso livello del 2001. In questa diminuzione si legge la crisi economica ma, in parte, anche un cambiamento di stili di vita, di produzione, di consumo.Riteniamo fondamentale considerare la Lombardia come un ambito in cui il sistema degli impianti di trattamento dei rifiuti operi come una rete, superando l’idea di una rigida

Rifiuti: ridurre, prima di tutto

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autosufficienza impiantistica provinciale in particolare per quanto riguarda gli inceneritori, già dotati di una potenzialità eccedente i fabbisogni reali: non servono nuovi inceneritori per RSU, semmai occorre dismettere gli impianti più vecchi e mal localizzati, adeguando tutti gli altri alle migliori tecnologie per l’abbattimento degli inquinanti. La frazione umida dei rifiuti urbani (FORSU) necessita di un’attenzione del tutto particolare. Infatti il raggiungimento degli obiettivi di raccolta differenziata è ottenibile solo con la generalizzazione della sua raccolta a domicilio; su questo fronte Milano deve cominciare ad essere un esempio, avviando la raccolta differenziata della frazione organica e ponendosi come obiettivo di raccolta il 65% entro il 2012. Una volta raccolta la FORSU dovrà essere inviata ai migliori impianti di trattamento che ancora in Lombardia sono carenti. Tra essi sicuramente dobbiamo spingere l’introduzione dei sistemi di digestione anaerobica in testa agli impianti di compostaggio, anche nell’ottica di diffondere l’utilizzo del bio-metano sia direttamente in impianti cogenerativi sia per l’autotrazione. Nel d.lgs. 152/06 si introducono concetti quali il “compost di qualità” e il “digestato di qualità”, che necessitano di un’azione di governance capace di coinvolgere operatori e consorzi della filiera del rifiuto organico, per la corretta collocazione del materiale derivato.L’Expo 2015 potrà produrre una fluttuazione nella produzione di rifiuti, ma questa non dovrà diventare pretesto per sovradimensionamenti impiantistici.Piuttosto EXPO potrebbe essere il volano per la realizzazione

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di interventi innovativi nel trattamento dei rifiuti, in coerenza con la gerarchia europea.La Lombardia deve porsi all’avanguardia nella gestione anche dei rifiuti speciali che, ricordiamo, rappresentano oltre 22,5 milioni di tonnellate/anno contro le circa 5 dei rifiuti urbani. Purtroppo la normativa favorisce il disimpegno del soggetto pubblico, demandando troppo al privato la gestione di questa filiera. In questo senso è opportuno un impegno volontario da parte della Regione che ponga questo tema all’attenzione della propria politica sui rifiuti.In Lombardia dobbiamo trovare finalmente una soluzione per lo smaltimento dei rifiuti contenenti amianto. Non è pensabile che lo smaltimento avvenga esclusivamente fuori regione, determinando di fatto uno stallo nelle operazioni di rimozione sulle strutture edilizie (si stima che in Lombardia siano presenti coperture cemento-amianto per 3,5 milioni di m3 pari a 100 km2 di superfici).La direttiva 2008/98/CE ci impone di arrivare entro il 2020 al 70% (in peso) di riutilizzo e riciclaggio dei rifiuti da costruzione e demolizione non pericolosi. Solo il corretto recupero e riciclaggio potrà permettere la riduzione dell’utilizzo delle materie prime di cava, determinando un minore impatto ambientale delle cave presenti in Lombardia. Il sistema delle imprese che operano nella raccolta e nel trattamento corretto dei rifiuti differenziati dovrà rappresentare l’ossatura sulla quale la Lombardia potrà fondarsi quale esempio di “società del riciclaggio”. Accanto a queste imprese occorre operare una rivoluzione

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copernicana che determini una riduzione dei rifiuti a monte del sistema di distribuzione di un prodotto. Anche gli enti locali dovranno finalmente operare nel senso di una vera a propria svolta verso un sistema di consumo consapevole che premi il mercato verde (il decollo del Green Public Procurement che finora è rimasto troppo sulla carta).

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Ringraziamenti

Ai circoli lombardi per la dedizione, la passione, la costanza e la folle ostinazione nel volere un mondo diverso; ed inoltre per la stima e l'affetto che esprimono sempre.

Al direttivo uscenteMarco Armanini, Giampaolo Artoni, Dario Balotta, Andrea Barcucci,

Franco Beccari, Marco Belleri, Gianfranco Bernardinello, Renato

Bertoglio, Duccio Bianchi, Laura Bonfanti, Aldo Bonora, Francesco

Borasi, Laura Brambilla, Oliviano Bulgheri, Paola Cannata, Sergio

Cannavò, Andrea Causo, Simona Colombo, Marco Dall’Ora, Mavì Davanzo,

Dino De Simone, Damiano Di Simine, Patrizio Dolcini, Stefano Farina,

Gianluigi Forloni, Massimiliano Fratter, Teresa Gatto, Laura Gessaroli,

Silvana Ghidotti, Rodolfo Guarnaschelli, Ida La Camera, Mita Lapi, Mara

Leoni, Paolo Lozza, Giorgio Majoli, Valerio Marchesi, Marzio Marzorati,

Barbara Meggetto, Michele Merola, Pietro Mezzi, Massimiliano Migliara,

Valentina Minazzi, Carlo Monguzzi, Giuseppe Moretti, Mariella Moretti,

Federico Paladini, Costanza Panella, Daniel Pezzotta, Andrea Poggio,

Rosaria Reggiani, Carlo Saletta, Roberto Santus, Isaac Scaramella,

Oscar Stefanini, Albino Stegani, Lorenza Tam, Dario Tansini, Riccarda

Tarozzi, Alberto Tarroni, Giampietro Tentori, Andrea Trisoglio, Giovanna

Vanelli, Gianluigi Vecchi, Paolo Vitale.

Alla direzione uscenteFranco Beccari, Sergio Cannavò, Dino De Simone, Damiano Di Simine,

Gianluigi Forloni, Marzio Marzorati, Barbara Meggetto, Andrea Poggio,

Riccarda Tarozzi, Giampietro Tentori. Ed inoltre, Paolo Locatelli.

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I CIRCOLI RIUNITI IN COORDINAMENTO:

BERGAMO

Alzano LombardoCircolo Legambiente Fiume SerioPresidente Guido [email protected]

BergamoCircolo Legambiente BergamoPresidente Nicola [email protected]

CalcioCircolo Legambiente I Fontanili Presidente Gloria [email protected]

CastroCircolo Legambiente Alto SebinoPresidente Massimo [email protected]

Cologno al SerioCircolo Legambiente AgoràPresidente Giusi [email protected]

FilagoCircolo Legambiente I Ponti di BrembatePresidente Luciano [email protected]

Trescore Balneario/ZandobbioCircolo Legambiente ValcavallinaPresidente Armando [email protected]

TreviglioCircolo Legambiente Bassa BergamascaPresidente Patrizio [email protected]

BRESCIA

BarbarigaCircolo Legambiente Bassa BrescianaPresidente Gabriele [email protected]

BedizzoleCircolo Legambiente MindelPresidente Rinaldo Bignotti

BrenoCircolo Legambiente Valle CamonicaPresidente Guido [email protected]

BresciaCircolo Legambiente BresciaPresidente Isaac [email protected]

CastengnatoCircolo Legambiente Il Gandovere FranciacortaPresidente Silvio [email protected]

ErbuscoCircolo Legambiente Ilaria AlpiPresidente Mario [email protected]

LenoCircolo Legambiente Fiume MellaPresidente Claudia Borrini [email protected]

MazzanoCircolo Legambiente Brescia EstPresidente Raffaele [email protected]

MontichiariCircolo Legambiente MontichiariPresidente Aura [email protected]

PontoglioCircolo Legambiente Gruppo Ecologico PontogliesePresidente Nino [email protected]

SirmioneCircolo Legambiente Per il GardaPresidente Paolo [email protected]

SulzanoCircolo Legambiente Basso SebinoPresidente Dario [email protected]

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CREMONA

CremonaCircolo Legambiente Vedo VerdeReferente Pierluigi [email protected]

Monte CremascoCircolo Legambiente Alto CremascoPresidente Oscar [email protected]

LARIO

BellanoCircolo Legambiente Lario Sponda OrientalePresidente Costanza [email protected]

CantùCircolo Legambiente Il BrugoPresidente Graziella [email protected]

ComoCircolo Legambiente [email protected]

Lanzo d’IntelviCircolo Legambiente Valle d’IntelviPresidente Ferruccio [email protected]

Lecco - ValmadreraCircolo Legambiente Lecco OnlusPresidente Pierfranco [email protected]

Paderno d’AddaCircolo Legambiente MeratesePresidente Laura [email protected]

LODIGIANO

LodiCircolo Legambiente Lodi VerdePresidente Dario [email protected]

San Colombano al LambroCircolo Il QuadrifoglioPresidente Pietro [email protected]

Melegnano/Cerro al LambroCircolo Legambiente ArcobalenoPresidente Giuliana Piccolo [email protected]

MANTOVA

MantovaCircolo Legambiente MantovaPresidente Carlo [email protected]

MogliaCircolo Leambiente Siate ParchiPresidente Rodolfo [email protected]

MILANO CITTÀ

MilanoCircolo Legambiente Retemabiente MilanoPresidente Franco [email protected]

MilanoCircolo Legambiente Vivi con StilePresidente Ida La [email protected]

MilanoCircolo Legambiente Mondo Gatto OnlusPresidente Lorella [email protected]

MilanoCircolo Legambiente Milano CrescenzagoPresidente Aldo [email protected]

MilanoCircolo Zanna BiancaPresidente Marco [email protected]

MilanoCircolo Baciati dal solePresidente Roberto [email protected]

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MILANO EST

Burago di MolgoraCircolo Legambiente Vivi BuragoPresidente Luisa [email protected]

BusseroCircolo Legambiente La PoianaPresidente Marco Dall’[email protected]

InzagoCircolo Legambiente InzagoPresidente Fabio [email protected]

Pessano con BornagoCircolo Legambiente Molgora-PessanoPresidente Giuseppe [email protected]

Trezzo d’AddaCircolo Legambiente La CivettaReferente Mara [email protected]

MILANO NORD

Cinisello BalsamoLegambiente Cinisello BalsamoPresidente Ivan [email protected]

CormanoCircolo Legambiente CormanoPresidente Gianmario [email protected]

Cusano MilaninoCircolo Legambiente Cusano MilaninoPresidente Adelio [email protected]

Paderno DugnanoCircoloLegambiente GrugnotortoPresidente Giuseppe [email protected]

Sesto San GiovanniCircolo Legambiente Chico MendesReferente Alessio De Biase [email protected]

MILANO SEMPIONE

ArlunoCircolo Legambiente Luna NuovaPresidente Adriana [email protected]

CanegrateCircolo Legambiente CanegratePresidente Danilo [email protected]

NervianoCircolo Legambiente NervianoPresidente Albino [email protected]

ParabiagoCircolo Legambiente Il GalloPresidente Claudio De [email protected]

RhoCircolo Legambiente RhoPresidente Marco De [email protected]

TurbigoCircolo TicinoPresidente Claudio [email protected]

MILANO SUD

AbbiategrassoCircolo Legambiente AbbiategrassoReferente Matteo [email protected]

BareggioCircolo Legambiente BareggioPreidente Giuliano [email protected]

Buccinasco-CorsicoCircolo Legambiente Il FontanilePresidente Carlo [email protected]

Cesano BosconeCircolo Legambiente Abete RossoPresidente Laura [email protected]

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CislianoCircolo Legambiente I FontaniliPresidente Giancarlo [email protected]

VittuoneCircolo Legambiente Vi.Ta VittuonePresidente Ermanno [email protected]

MONZA-BRIANZA

BrugherioCircolo Legambiente BrugherioPresidente Christian [email protected]

DesioCircolo Legambiente Roberto GiussaniPresidente Claudia Previti [email protected]

LimbiateCircolo Legambiente La BrughieraPresidente Roberto [email protected]

MonzaCircolo Legambiente Alex LangerPresidente Atos [email protected]

SevesoCircolo Legambiente Laura ContiPresidente Gemma [email protected]

SeregnoCircolo Legambiente Seregno OnlusPresidente Antonello Dall’[email protected]

Usmate VelateCircolo Legambiente GaiaPresidente Rosaria [email protected]

PAVIA

LandrianoCircolo Legambiente LandrianoPresidente Mario [email protected]

Cilavegna Circolo Legambiente Il ColibrìPresidente Graziella [email protected]

PaviaCircolo Legambiente Il BarcèPresidente Giovanna [email protected]

Gropello CairoliCircolo Legambiente Terre d’AcquaPresidente Angelo Maggioni [email protected]

Sannazzaro Dè BurgondiCircolo Legambiente L’Airone della LomellinaPresidente Gaspare [email protected]

SizianoCircolo Legambiente SizianoPresidente Luisa [email protected]

StradellaCircolo Legambiente Jacaranda OltrepòPresidente Valeria [email protected]

VogheraCircolo Legambiente VogheraPresidente Chiara De [email protected]

SONDRIO

BormioCircolo Legambiente BormioPresidente Pino [email protected]

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ChiavennaCircolo Legambiente ValchiavennaPresidente Lorenza [email protected]

TiranoCircolo Legambiente Media ValtellinaPresidente Ruggero [email protected]

VARESE

AngeraCircolo Legambiente AngeraPresidente Valeria [email protected]

Busto ArsizioCircolo Legambiente Busto ArsizioPresidente Andrea [email protected]

CantelloCircolo Legambiente CantelloPresidente Serafino [email protected]

Casale LittaCircolo Legambiente Baia del ReMontesangiacomoPresidente Giorgio [email protected]

Cassano MagnagoCircolo Legambiente Il PresidioPresidente Mauro [email protected]

CastronnoCircolo Legambiente CastronnoPresidente Lino [email protected]

GallarateCircolo LegambienteErcole FerrarioPresidente Emilio [email protected]

Induno Olona - ArcisateCircolo Legambiente ValceresioPresidente Sergio [email protected]

IspraCircolo Legambiente La FornacePresidente Gabriella [email protected]

Lavena Ponte - TresaCircolo Legambiente CeresiumPresidente Milena [email protected]

Laveno Mombello - LuinoCircolo Legambiente Valcuvia e Valli del LuinesePresidente Alberto [email protected]

MalnateCircolo Legambiente Mulini dell’OlonaPresidente Laura [email protected]

SaronnoCircolo Legambiente Ambiente SaronnoPresidente Giulia Alliata [email protected]

TradateCircolo Legambiente TradatePresidente Antonella [email protected]

VareseCircolo Legambiente Varese OnlusPresidente Dino De [email protected]

Fondazione Legambiente Innovazione - MilanoPresidente Andrea [email protected]

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Questo congresso e questo documento sono dedicati a Laura Conti, figura storica dell’ambientalismo e madre fondatrice di Legambiente.

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Laura Conti, scomparsa a Milano nel maggio ‘93, era nata a Udine nel 1921.Studentessa in medicina, fece parte del Fronte della gioventù con l’incarico di far propaganda presso le caserme. Arrestata nell’agosto del ’44, fu internata nel campo di smistamento di Bolzano in attesa di venir trasferita in Germania.Tornata libera, nel’49 si laureò in medicina. In Austria si specializzò in ortopedia e si trasferì a Milano, dove alla professione di medico affiancò l’impegno politico nel PCI e l’attività di divulgatrice e scrittrice. Tra il 1960 e il 1970 fu consigliere alla Provincia di Milano. In questa veste affrontò i problemi delle ragazze-madri e si occupò di psichiatria infantile. Tra il 1970 e il 1980 fu consigliere regionale e lavorò al primo piano ospedaliero della Regione Lombardia. Quando, il 10 luglio 1976, da una fabbrica di Meda, a nord di Milano, uscì una nube tossica contenente molti chili di diossina - una sostanza allora quasi sconosciuta che ricadde sul territorio della vicina Seveso - Laura Conti fu vicina agli abitanti spaventati, alle bambine con la faccia segnata dalla cloracne - quelle “lepri con la faccia di bambina” a cui dedicò un commovente libro - e alle donne di Seveso, spiegando i pericoli che le autorità cercavano di mascherare o minimizzare.Con l’incidente di Seveso il nome di Laura Conti fu conosciuto dal grande pubblico: per il coraggio e la profonda umanità con cui condusse una durissima campagna contro quanti volevano eludere responsabilità politiche e civili. Da questa esperienza nacque il celebre libro “Visto da Seveso”. In anni in cui la questione ambientale era ancora considerata secondaria, Laura Conti introdusse in Italia le prime riflessioni sullo sviluppo-zero, sulla limitatezza delle risorse, sul nesso tra sviluppo industriale e distruzione della natura. Il suo libro “Che cos’è l’ecologia” divenne la base di formazione del nascente movimento ambientalista italiano. Convinta che la cultura ambientalista dovesse tradursi operativamente in pratica politica, lavorò alla fondazione di “Legambiente” di cui fu presidente del Comitato scientifico. A Milano collaborò e fu nel direttivo della “Casa della Cultura”, fondò e diresse l’associazione “Gramsci”. Frequentò assiduamente il centro di controinformazione sulla salute “Medicina democratica” fondato da Giulio Maccacaro. Fu deputato parlamentare dal 1987 al 1992. L’ambientalismo di Laura Conti aveva una componente antica, che veniva da lontano: una componente di fortissima umanità che affondava le sue radici proprio nell’esperienza della Resistenza. Spirito critico,affabulatrice unica e instancabile divulgatrice, nasce con Laura Conti la “ecologia narrata”, la capacità cioè di collegare tra loro elementi apparentemente sconnessi per arrivare a delle conclusioni sempre originali.

(Biografia a cura di Loredana Lucarini)

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