Povertà e disuguaglianza in Toscana · 6.2 La raccolta delle storie e la loro analisi 96 6.3 I...

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Povertà e disuguaglianza in Toscana a cura di Nicola Sciclone CRIDIRE Centro per le Ricerche Interdipartimentali sulla Distribuzione del Reddito REGIONE TOSCANA Diritto alla Salute e Politiche di Solidarietà Settore Promozione della Innovazione Operativa del Sistema di Servizi e Prestazioni

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Povertà edisuguaglianzain Toscana

a cura di

Nicola Sciclone

www.irpet.it

Oggi i figli stanno peggio dei propri genitori. Cresce il rischio povertà per laclasse media. Le sicurezze vacillano. Questi alcuni dei titoli usati dalla stampanazionale e locale per introdurre gli articoli, sempre più numerosi, dedicati allapercezione di impoverimento che molte categorie sociali avvertono rispettoal passato.Come spesso accade per i principali fenomeni economici e sociali, anche iltema della disuguaglianza è però affrontato -dal mondo politico e più in generaledalla stessa opinione pubblica- anteponendo i giudizi di valore all’analisioggettiva dei dati.Per ovviare a questo problema, il lavoro svolge una approfondita disaminadelle principali caratteristiche che assume il fenomeno distributivo nella nostraregione attingendo ad una pluralità di fonti statistiche, tra cui due recenti especifiche indagini campionarie sulle condizioni di vita delle famiglie toscane.Il volume si compone di sei capitoli. Il primo analizza i livelli di disuguaglianza,tanto nello spazio dei redditi quanto nelle principali funzioni vitali, checaratterizzano la Toscana rispetto alle altre regioni. Il secondo capitolo esaminai profili e i rischi di povertà, mentre il terzo raccoglie e sintetizza una serie diinformazioni sugli stili di vita, sulle abitudini di consumo delle famiglie toscanea basso reddito. Il quarto capitolo focalizza l’attenzione sulle famiglie toscanea basso reddito per stimarne i tassi di persistenza nella povertà. Il quintocapitolo fornisce una simulazione degli effetti distributivi e del costo finanziariodi alcuni possibili strumenti di lotta alla povertà, qual è, ad esempio, il redditominimo di inserimento. Completano il lavoro le storie di vita di otto famiglietoscane a basso reddito.Il lettore riscontrerà nel volume -è sicuro- alcune carenze: ad esempio mancail dettaglio territoriale della povertà, come anche una analisi longitudinale deltenore di vita di tutti i toscani e non solo dei più poveri; tuttavia quello che c’èci sembra prevalente su quello che manca, e ci piace pensare a questo lavorocome ad una prima ragionata presentazione di un insieme di materiali fruttodi una analisi che dura ormai da alcuni anni.

Nicola Sciclone, dirigente di ricerca dell’IRPET, si occupa di disuguaglianza,povertà, modelli di microsimulazione e, più in generale, di temi inerentil’economia pubblica. Tra le sue recenti pubblicazioni: L’efficacia delle borseper il diritto allo studio (con F. Mealli, S. Mele, C. Rampichini), Rivista Italianadi politiche pubbliche, n.1 (2005); Gli effetti distributivi della riforma dell’IRE:un’analisi per la Toscana (con A. Petretto), Studi e Note di Economia n.2(2004); Benessere e condizioni di vita in Toscana (con S. Casini Benvenuti),Franco Angeli (2003).

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CRIDIRECentro per le RicercheInterdipartimentalisulla Distribuzionedel Reddito

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REGIONETOSCANADiritto alla Salutee Politiche di SolidarietàSettore Promozionedella InnovazioneOperativa del Sistemadi Servizi e Prestazioni

REGIONETOSCANADiritto alla Salutee Politiche di SolidarietàSettore Promozionedella InnovazioneOperativa del Sistemadi Servizi e Prestazioni

CRIDIRE Diritto alla Salute e Politiche Centro per le Ricerche di Solidarietà - Settore Promozione Interdipartimentali sulla della Innovazione Operativa del Distribuzione del Reddito Sistema di Servizi e Prestazioni

POVERTÀ E DISUGUAGLIANZA IN TOSCANA

a cura di

Nicola Sciclone

Firenze, 2005

Istituto Regionale Programmazione Economica Toscana

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RICONOSCIM ENTI Il volume fotografa lo stato di avanzamento di un percorso di studi sui temi distributivi che dura ormai da alcuni anni e che si avvale della collaborazione con il Dipartimento di Metodi Quantitativi dell’Università degli Studi di Siena. Nell’ambito di tale filone di ricerca sono state ideate e condotte due indagini campionarie sulle condizioni di vita delle famiglie toscane (ICVFT2002 e ICVFT2004) i cui risultati costituiscono una parte centrale del presente documento. Il gruppo di lavoro che ha lavorato -sotto il coordinamento scientifico di A. Lemmi- alla due indagini è così composto: M.L Maitino, G. Maltinti e N. Sciclone (IRPET); G. Betti, G. Ghellini, A. Lemmi e L. Neri (CRIDIRE); A. Pettini (Università degli Studi di Firenze), B. Cheli (Università degli Studi di Pisa). I risultati della 1° indagine sulle condizioni di vita delle famiglie toscane (ICVFT2002), sono stati pubblicati in un precedente rapporto consegnato alla Regione Toscana, ma una versione più estesa e approfondita dei materiali prodotti confluirà in un volume di prossima pubblicazione edito da Franco Angeli. I risultati della 2° indagine (ICVFT2004), promossa dal Settore Promozione della Innovazione Operativa del Sistema di Servizi e Prestazioni della Regione Toscana, sono invece utilizzati per la prima volta in questo documento. L’attribuzione dei capitoli è la seguente: M.L. Maitino e N. Sciclone (IRPET, Capp. 1; 2; 4; 5); A. Pettini (Università degli Studi di Firenze, Cap. 3), E. Cioni (Università di Sassari e Osservatorio sociale della Provincia di Pistoia, Cap. 6), P. Bibolotti e C. Molli (Osservatorio sociale della Provincia di Pistoia, Cap. 6); G. Ghellini e L. Neri (CRIDIRE, Appendice metodologica). L’allestimento editoriale è stato curato da Elena Zangheri dell’IRPET. Design della copertina: noè

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INDICE Presentazione 5 di Gianni Salvadori Prefazione 7 di Sonia Biagi e Giovanna Faenzi INTRODUZIONE 9 1. DISTRIBUZIONE DEL TENORE DI VITA: LA TOSCANA NEL PANORAMA NAZIONALE 13 1.1 Il tenore di vita delle famiglie toscane 13 1.2 Le determinanti del benessere economico 18 1.3 La povertà multidimensionale 23 2. LA DISTRIBUZIONE DEL REDDITO IN TOSCANA 31 2.1 La distribuzione dei redditi familiari 31 2.2 La struttura distributiva dei redditi individuali 36 2.3 La povertà monetaria 38 3. LE MISURE D I PRIVAZIONE E HARDSHIP DELLE FAMIGLIE A BASSO REDDITO IN TOSCANA 45 3.1 Obiettivi e oggetto di analisi 45 3.2 Le principali privazioni delle famiglie a basso reddito in Toscana 51 3.3 Il ricorso al credito e le reti sociali 56 3.4 La costruzione di una misura sintetica di privazione 58 4. LA DINAMICA DELLA DISUGUAGLIANZA E DELLA POVERTÀ 67 4.1 La disuguaglianza dei redditi negli anni ’80 e ’90 67 4.2 La disuguaglianza nei consumi 68 4.3 La povertà negli anni ’80 e ’90 in Italia 71 4.4 La composizione della povertà in Italia 72 4.5 Le famiglie a basso reddito in Toscana: una analisi longitudinale 74

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5. CONTRASTO ALLA POVERTÀ E SOSTEGNO ALLE RESPONSABILITÀ FAMILIARI 85 5.1 L’equità verticale degli istituti di contrasto alla povertà 85 5.2 Un esercizio di simulazione degli effetti redistributivi di due nuovi

istituti: il reddito minimo di inserimento (RMI) e l’assegno ai nuclei a basso reddito con figli minori (ANM) 89

6. POVERTÀ E VULNERABILITÀ SOCIALE: I PERCORSI DEGLI INCLUSI 93 6.1 Povertà e vulnerabilità sociale nell’approccio biografico 93 6.2 La raccolta delle storie e la loro analisi 96 6.3 I percorsi degli uomini adulti 101 6.4 I percorsi delle donne adulte 114 6.5 I percorsi degli anziani 120 6.6 Conclusioni 125 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI 127 Appendice Metodologica

INDAGINE SULLE CONDIZIONI DI VITA DELLE FAMIGLIE TOSCANE (ANNO 2004) 131 QUESTIONARIO 145

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Presentazione

Il rapporto 2005 su “Le condizioni di vita delle famiglie toscane”

rappresenta un’affresco confortante della società toscana.

Nell’introduzione del lavoro dell’IRPET la frase che più ci colpisce è “La Toscana non è una regione povera”.

A fronte delle varie ricerche e analisi effettuate, dei dati provenienti dal

territorio, del confronto con altre regioni italiane, ma anche europee, il risultato risponde proprio al vero. La Regione Toscana si qualifica come

una delle regioni italiane a più elevato benessere economico, il reddito

delle famiglie toscane è sempre sopra la media nazionale e l’area della povertà relativa è molto contenuta e soprattutto è composta da individui

prossimi alla soglia che li separa dai non poveri. Ai livelli minimi il tasso di povertà assoluta.

Ciò nonostante nel rapporto non mancano elementi di preoccupazione,

vengono poste alcune domande ed evidenziate criticità alle quali siamo chiamati a dare risposte concrete proprio per non disperdere tutte quelle

risorse che la nostra Regione è riuscita a creare e rendere fruibili dai

cittadini. Come per esempio l’ormai acclarato “invecchiamento” della nostra

popolazione che certamente, se da una parte ci richiama a forti

responsabilità sui temi dell’assistenza, delle cure medico-sanitarie e della solitudine, dall’altra ci pone anche sollecitazioni di senso contrario:

all’interno di questa popolazione di anziani vi sono sia uomini che donne

ancora pienamente attivi per cui diventa ineludibile chiedersi “come” usare questo patrimonio di capacità e di volontà.

Ma anche il tema delle famiglie è sottoposto ad un’analisi attenta. Si

richiama una particolare attenzione soprattutto alle coppie con figli che spesso si trovano a fronteggiare difficoltà inerenti un reddito insufficiente,

o a dover faticosamente conciliare i tempi di cura e i tempi di lavoro o, ancora, a fronteggiare difficoltà legate ad un mercato del lavoro

caratterizzato da una crescente discontinuità fra i tempi di lavoro o non

lavoro che determinano un incertezza delle risorse di reddito. Ma è anche vero che in toscana la famiglia ha sempre assolto una

funzione redistributiva dei redditi familiari, ha contribuito a contenere le

differenze reddituali e a riallocare in modo più equilibrato le risorse disponibili.

L’elemento che emerge con forza è allora quello di una realtà sociale

che oscilla nell’ambito della vulnerabilità e della fragilità, che svela nuove

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aree di intervento cui volgere lo sguardo come la nuclearizzazione delle famiglie, l’aumento del numero di immigrati e con esso i processi di

inserimento e di integrazione delle seconde generazioni, il rarefarsi delle

reti familiari, il sovraindebitamento, le difficoltà di accesso al credito. Come si sottolinea nel rapporto, l’oggetto dell’analisi, e dunque di

qualsiasi politica e intervento che si voglia sostenere, è costituito da

quell’insieme di cose che una persona può fare o essere in funzione alle proprie capacità e che concorrono a definire quello che comunemente

viene definito standard di vita.

L’utilità di queste analisi si fonda sulla capacità di cogliere contestualmente criticità e positività per intervenire o, meglio, per

prevenire le geografie dei processi di esclusione e per sostenere e

valorizzare tutto quel capitale sociale che fonda la nostra comunità.

Gianni Salvadori Assessore alle Politiche Sociali

della Regione Toscana

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Prefazione

Tradizionalmente le politiche di carattere preventivo rispetto alla emarginazione delle persone e delle famiglie economicamente più deboli vengono identificate grosso modo con il collocamento lavorativo, il diritto allo studio e l’alloggio; mentre le prestazioni sociali sembrano configurarsi, e tradizionalmente si sono configurate, come l’ambito degli interventi rivolti a chi va “preso in carico” dal servizio sociale, in quanto soggetto da assistere.

In quest’ottica la configurazione che viene a determinarsi è quella, da un lato, di persone e famiglie economicamente deboli che, comunque, a certe condizioni, possono produrre percorsi di mobilità sociale positivi per loro stessi, per i figli e per la comunità e dall’altro delle persone che vanno a comporre l’insieme degli assistit i, più o meno cronici.

Questo quadro, per quanto possa presentare alcuni elementi di veridicità, è sbagliato da più punti di vista. In primo luogo perché non corrisponde ad una società percorsa da vari e molteplici elementi di dinamicità; in secondo luogo perché le politiche sociali verrebbero a configurarsi come l’ambito degli interventi residuali per le persone socialmente “residuali”, falsificando così la realtà delle società in cui viviamo che sono composite e, malgrado tutto, integrate. Tutti quanti noi, non solo siamo soggetti a mutamenti che possono farci passare da una condizione economica e sociale ad un’altra di segno diverso, ma, soprattutto, a dispetto degli steccati ideologici e delle differenze di status, siamo destinati a risentire, più o meno direttamente, delle condizioni di tutti gli altri.

Le categorie tradizionalmente esposte alla “presa in carico” intesa come ingresso nell’assistenza, non sono più le stesse rispetto al passato anche recente e soprattutto non costituiscono né delle minoranze né dei settori periferici della società.

Basta pensare agli anziani sempre più numerosi, sempre più anziani e quindi sempre più esposti al rischio della solitudine e della non autosufficienza, agli immigrati, risorsa centrale in certi ambiti del mercato del lavoro eppure soggetti a difficoltà enormi nel percorso di stabilizzazione, ai disabili che rivendicano giustamente la loro indipendenza dagli altri, alle famiglie che rischiano di atrofizzarsi per mille motivi, che mutano la loro conformazione e, al contempo, confermano la tendenza ad una riduzione della numerosità dei componenti...

Di fronte a tutto questo le politiche sociali sono costrette ad uscire dalle logiche dell’assistenza (per non parlare dell’assistenzialismo) per collocarsi in un’area di intervento strettamente connessa ai risultati delle indagini sulle condizioni di vita delle persone, sugli elementi di dinamicità sociale e sulle analisi tese ad individuare tendenze e fenomeni in essere o prossimi venturi. Le politiche sociali sempre più vengono a configurarsi come un ambito di cui la casa, il lavoro, la scuola, la formazione, i servizi per le persone costituiscono i poli mentre al centro si operano misure finalizzate a rendere possibile l’accesso e a prevenire/contrastare l’esclusione.

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In questo contesto si colloca la collaborazione fra il Settore della Promozione dell’innovazione del sistema delle prestazioni e dei servizi sociali e l’Irpet, che ha dato luogo negli ultimi anni a tre rapporti di ricerca finalizzati all’approfondimento della conoscenza del nostro tessuto sociale attraverso il focus sui diversi t ipi di famiglia presenti nel territorio toscano.

Sapere che uno dei più importanti fattori di rischio di povertà è rappresentato dal non possedere l’alloggio dove si abita o che l’estensione di una misura come il Reddito minimo di inserimento, associato ad una misura rivolta a tutte le famiglie con figli minorenni sotto una certa soglia di reddito eliminerebbe dalla nostra regione la povertà assoluta e ridurrebbe di una certa percentuale quella relativa è tutt’altro che indifferente per impostare politiche che vogliano uscire dalla logica della “dipendenza degli assistit i” e dell’una tantum rispetto a “sussidi” economici.

Proprio la doppia necessità di conoscere le condizioni di vita delle famiglie toscane, la loro collocazione rispetto allo stato di povertà e ai fattori di rischio o comunque a quegli elementi di fragilità che possono condizionare la vita delle persone verso l’impoverimento e l’esclusione e di poter valutare, al contempo, l’impatto e la sostenibilità di misure non discrezionali, di carattere universalistico e tali da annullare, per la loro natura, la distinzione fra la prevenzione e l’assistenza di t ipo riparativo, costituisce la motivazione che sta alla base del lavoro presentato in questo volume.

I contenuti che emergono costituiscono un terreno assai fertile per una serie di considerazioni di carattere tecnico sulla possibilità di revisione e di rinnovamento del sistema degli interventi sociali verso la individuazione di “ infrastrutture”, quali appunto le misure strutturate di sostegno al reddito che creino le condizioni per un effettivo esercizio dei diritt i di cittadinanza e quindi per l’accesso a quelle condizioni di carattere lavorativo, alloggiativo e di formazione che sono di garanzia contro i processi di esclusione sociale. Certamente, la costruzione di sistemi di solidarietà sociale che non abbiano carattere frammentario e, perciò stesso, secondario rispetto agli altri ambiti di intervento strettamente connessi, quali la salute, la casa, il lavoro, la scuola, non può prescindere da finanziamenti certi e sufficienti -cosa al momento del tutto remota- ma non può altresì prescindere da un ripensamento delle modalità di organizzazione dei sistemi di sicurezza sociale, del loro funzionamento, della quantità e qualità dei presidi territoriali. Analisi e studi come questo hanno la funzione di fornire gli elementi su cui lavorare per la prefigurazione dello sviluppo della “sicurezza sociale” di chi vive in Toscana. Sonia Biagi Giovanna Faenzi

Funzionario Settore Dirigente Settore “Promozione della innovazione operativa “Promozione della innovazione operativa del sistema di servizi e prestazioni” del sistema di servizi e prestazioni”

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INTRODUZIONE La Toscana non è una regione povera. Il reddito a disposizione per il consumo delle famiglie è sufficientemente elevato, in linea con le regioni più ricche del Paese ed anche d’Europa. Inoltre, ed è l’aspetto più significativo, tanto i redditi quanto i consumi sono distribuiti fra le famiglie toscane in modo più equilibrato di quanto non avvenga altrove. La concentrazione dei redditi, ma anche dei consumi, misurata con uno qualunque degli indici tradizionalmente impiegati negli studi di disuguaglianza, è infatti in Toscana fra le più basse d’Italia.

Se quindi incorporiamo nella valutazione dei tenori di vita non solo il livello del reddito (o del consumo) ma anche la sua distribuzione, la Toscana si qualifica come una delle realtà a più elevato benessere: la considerazione degli aspetti distributivi, oltre a quelli legati al livello delle disponibilità monetarie, migliora quindi il confronto della Toscana rispetto al resto d’Italia.

Se poi superiamo una concezione strettamente monetaria della povertà, e guardiamo alle diverse sfere in cui si articola la vita di tutti i giorni, il giudizio sulla Toscana rimane ampiamente positivo (Casini Benvenuti, Sciclone, 2003). Buoni sono i livelli di salute, elevata è la partecipazione sociale che si manifesta a vari livelli (in particolare nel mondo dell’associazionismo), contenuto il numero dei poveri di istruzione come quelli relativi alla mancata partecipazione al mercato del lavoro. In generale, il confronto con le altre regioni fornisce nei molteplici campi della vita sociale un quadro sicuramente migliorabile (ad esempio nel settore della istruzione e della qualità delle occasioni di lavoro), ma comunque decisamente positivo.

Naturalmente anche in Toscana sopravvivono sacche di marginalità o comunque categorie di soggetti o famiglie che vivono peggio di altre e che necessitano di opportune politiche di tutela pubblica. Tuttavia, si può affermare che la nostra regione ha, nel corso degli anni, realizzato un difficile equilibrio fra gli obiettivi della crescita (da qui le differenze con il Mezzogiorno) e quelli della solidarietà e della coesione sociale (da qui le differenze con alcune zone dell’Italia settentrionale).

In questo quadro ampiamente positivo non mancano tuttavia alcuni elementi di preoccupazione legati alla sostenibilità futura degli attuali elevati livelli di vita e alle difficoltà che fronteggiano, oggi molto più di ieri, alcune categorie sociali. Il presente rapporto volge quindi uno sguardo approfondito sui toscani a più basso tenore di vita per meglio conoscerne i

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livelli di reddito, le caratteristiche demografiche e sociali, le privazioni nell’accesso ai consumi, gli stili di vita, i tassi di persistenza nella area della povertà ed anche il giudizio che essi esprimono su alcune rilevanti dimensioni del vivere quotidiano.

L’analisi è rivolta anche alla dinamica temporale dei livelli di redditi -con particolare attenzione ai meno abbienti- per verificare quanto ci sia di reale nella cresciuta percezione di impoverimento delle famiglie, espressa a più livelli e testimoniata in numerose inchieste giornalistiche ma anche in lavori di natura più scientifica curati da autorevoli centri di ricerca.

L’obiettivo del rapporto è triplice. Il primo è quello di indagare la relazione fra la struttura demografica e

sociale delle famiglie toscane e la disuguaglianza: non tanto e non solo per evidenziare quali sono le categorie di soggetti maggiormente esposte al rischio di povertà o comunque caratterizzate da più bassi tenori di vita (anche perché i risultati sarebbero in parte scontati), quanto per disporre di una fotografia da confrontare con una analoga fotografia che speriamo di poter scattare nei prossimi anni, se l’indagine sarà replicata, con l’intento di monitorare l’evoluzione della povertà e più in generale delle condizioni di vita nella nostra regione.

Il secondo obiettivo è quello di raccogliere le informazioni necessarie per contribuire a definire adeguati criteri di eleggibilità e di assegnazione dei programmi di spesa sociale; come a dire che l’analisi dovrebbe aiutarci a individuare le categorie più meritevoli di tutela (i criteri di eleggibilità) e a quantificare il beneficio da assegnare loro (i criteri di assegnazione). In altri termini, date le risorse pubbliche disponibili, quali soggetti hanno più urgenza di un sistema di trasferimenti monetari (reddito minimo di inserimento, assegni sociali, ecc.) o di genere (servizi, prestazioni, ecc.): i giovani o gli anziani, i single o le coppie con figli, ecc.? E quanto esteso deve essere l’intervento?

Il terzo obiettivo, connesso al precedente, è quello di acquisire i dati reddituali necessari per implementare modelli di microsimulazione volti a simulare gli effetti redistributivi e di gettito delle politiche di welfare.

Per centrare questi obiettivi abbiamo raccolto molte informazioni di varia natura (ad esempio, indagando le condizioni abitative, la percezione soggettiva del tenore di vita, le abitudini di consumo, ecc.), e naturalmente non si poteva prescindere dalla rilevazione dei dati sul reddito.

A tale scopo nel corso del 2002 abbiamo progettato insieme alla Regione e al Cridire dell’Università di Siena una indagine campionaria sulle condizioni di vita in Toscana, i cui risultati sono stati oggetto di presentazione in numerose occasioni istituzionali e workshop accademici,

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oltre ad essere naturalmente raccolti in un volume di prossima pubblicazione.

Nel corso del 2004 l’indagine è stata replicata -arricchita nei contenuti- sul sottoinsieme delle famiglie a basso reddito.

Il patrimonio di informazioni raccolte confluiscono in questo lavoro, che peraltro utilizza anche altre fonti di dati, come l’indagine sui redditi e sui consumi della Banca d’Italia e dell’ISTAT, per i confronti regionali. Abbiamo pertanto utilizzato una pluralità di dati, di fonti, di indagini campionarie, al fine di fornire al lettore un quadro più esauriente e completo possibile sul tema della povertà in Toscana. Dove possibile, il dato toscano è confrontato con quello italiano e delle altre regioni, dove non esiste questa possibilità ci siamo invece concentrati sull’analisi interna alla nostra regione. Eterogenea è quindi l’origine dei dati, eterogenea è la modalità di presentazione degli stessi, eterogeneo l’approccio di analisi seguito, ma il tutto confluisce coerentemente in una analisi del fenomeno della disuguaglianza e della povertà che è l’evoluzione naturale di una riflessione e di un lavoro -svolto anche in collaborazione con altri istituti qual è ad esempio il Cridire di Siena- che dura ormai da alcuni anni.

Il documento si compone di sei capitoli. Il primo è finalizzato all’inquadramento della nostra regione nel panorama nazionale: dopo aver confrontato i livelli di disuguaglianza e povertà dei toscani con quelli che si osservano nelle altre regioni, si indaga il contributo esercitato su tali andamenti dalle caratteristiche demografiche e sociali della popolazione e dalla famiglia. L’analisi è svolta tanto sui redditi quanto su quelli che il premio Nobel per l’economia (A. Sen) chiama funzionamenti: ovvero i molteplici stati di essere (godere di buona salute, essere istruito, ecc.) e di fare (partecipare alla vita comunitaria, lavorare, ecc.) che rendono la vita meritevole di essere vissuta.

Il secondo capitolo contiene i risultati più significativi dell’indagine campionaria sulle condizioni di vita dei toscani, con particolare riferimento ai profili e ai rischi di povertà monetaria. Chi sono i soggetti più frequentemente collocati nell’area della povertà relativa ed assoluta, costituisce quindi l’oggetto prevalente di questa sezione.

Il terzo capitolo raccoglie e sintetizza invece una serie di informazioni sugli stili di vita, sulle abitudini di consumo delle famiglie a basso reddito della nostra regione. L’ottica di analisi è quindi quella tipica di chi guarda alla povertà come un fenomeno multi-dimensionale, al fine di completare ed integrare i risultati presentati nella sezione precedente in cui la povertà era indagata come un fenomeno esclusivamente monetario.

Il quarto capitolo, dopo aver descritto l’andamento della disuguaglianza e della povertà monetaria negli ultimi venti anni, focalizza l’attenzione

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sulla dinamica dei redditi delle famiglie toscane più povere; l’arco temporale è di breve periodo (dal 2000 al 2002) e finalizzato alla stima dei tassi di persistenza nella povertà e alla individuazione delle categorie sociali che più difficilmente escono da una situazione di disagio economico.

Il quinto capitolo fornisce una simulazione degli effetti distributivi e del costo finanziario di due possibili strumenti di lotta alla povertà, quali potrebbero essere un assegno finalizzato alle famiglie posizionate sotto il livello minimo vitale (sulla falsariga del Reddito minimo di inserimento -RMI) ed un trasferimento monetario rivolto alle famiglie con figli. Si tratta naturalmente di due esercizi, fra i molti che possono essere svolti, che vogliono essere indicativi di come possono essere usati a fini di policy le informazioni sul reddito individuale e familiare.

L’ultimo capitolo, di natura strettamente qualitativa, completa il lavoro fornendo una descrizione della storia di vita di otto famiglie toscane a basso reddito.

Il lettore riscontrerà nel rapporto -è sicuro- alcune assenze: ad esempio manca il dettaglio territoriale della povertà, come anche una analisi longitudinale del tenore di vita di tutti i toscani e non solo dei più poveri, ecc.; tuttavia quello che c’è ci sembra prevalente su quello che manca, e ci piace pensare a questo lavoro come ad una occasione di riflessione -per gli attori istituzionali- sulla rilevanza che potrebbe avere nella nostra Regione un osservatorio permanente sulla povertà ed il disagio sociale.

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1. DISTRIBUZIONE DEL TENORE DI VITA: LA TOSCANA NEL PANORAMA NAZIONALE 1.1 Il tenore di vita delle famiglie toscane Le stime campionarie del reddito regionale1 confermano il tradizionale dualismo dell’economia italiana, sia che si consideri il reddito familiare complessivo, sia che si consideri quello reso equivalente2 per tenere conto della diversa ampiezza dei nuclei familiari (Tab. 1.1).

Tabella 1.1 REDDITO FAMILIARE, EQUIVALENTE E PRO CAPITE. 2002

Italia = 100

Microdati Banca d’Italia (pooling data) Dati di contabilità Reddito

familiareReddito familiare

equivalenteReddito

pro capiteReddito familiare

Piemonte e Valle d’Aosta 102 107 116 112 Lombardia 122 124 127 121 Veneto e Trentino Alto Adige 108 107 111 110 Friuli Venezia Giulia 115 118 123 101 Liguria 111 119 119 97 Emilia Romagna 124 128 135 115 TOSCANA 119 120 119 109 Umbria 104 101 107 97 Marche 105 99 102 111 Lazio 101 103 104 101 Abruzzo e Molise 87 83 83 90 Campania 73 68 63 77 Puglia 84 77 71 79 Calabria e Basilicata 67 64 59 72 Sicilia 66 65 65 76 Sardegna 87 85 80 88

Fonte: elabor azioni degli autori su dati Banca d’Ital ia e contabil ità ISTAT Banca d’Ital ia, Indagine su i bilanci fami liar i, vari anni

ISTAT, Il reddito disponib ile delle famigl ie ne lle regioni ital iane, 21 settembre 2004

1 I redditi utilizzati sono quelli rilevati nell’indagine sui bilanci familiari della Banca d’Italia. Per aumentare la numerosità delle osservazioni, e disporre di stime attendibili a livello regionale, è stata condotta una operazione di pooling unendo più indagini fra loro contigue. Per la metodologia di stima impiegata si rimanda a (Maitino, Sciclone, 2004; Petretto, Sciclone, 2004). 2 Il reddito familiare è stato cioè corretto mediante l’impego di opportune scale di equivalenza, ovvero di un insieme di deflatori che variano in funzione della tipologia familiare. Le scale di equivalenza, come noto, consentono di cogliere l’ampiezza dei bisogni delle famiglie e di trasformare il loro reddito in una misura che approssima il concetto di benessere (Bottiroli Civardi, Chiappero Martinetti, 1997). Moltissime sono le scale di equivalenza usate in letteratura; in questa sede abbiamo utilizzato la cosiddetta scala OECD corrette, che attribuisce peso 1 al capofamiglia, peso 0,5 ad ogni altro componente con 14 anni e più e peso 0, 3 ad ogni componente avente meno di 14 anni.

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In questo quadro, la Toscana si qualifica come una delle regioni a più elevato benessere economico: tanto si impieghino i micro dati della Banca d’Italia, secondo cui solo Lombardia ed Emilia Romagna sopravanzano la nostra regione, quanto si utilizzino i dati di contabilità dell’ISTAT, il reddito delle famiglie toscane è sempre sopra la media nazionale.

Il confronto territoriale rivela inoltre l’esistenza di una correlazione positiva fra disuguaglianza e sviluppo economico (Tab. 1.2). La concentrazione dei redditi risulta infatti essere superiore nel Mezzogiorno, come si desume dai valori dell’indice del Gini3. I più elevati livelli di concentrazione si rilevano in Sicilia, Campania Puglia, Calabria e Basilicata; i più bassi in Umbria, nelle Marche, in Emilia Romagna, Piemonte, Veneto e Toscana.

Tabella 1.2 LA CONCENTRAZIONE DEI REDDITI FAMILIARI: INDICE DI GINI. 2002

Reddito familiare Reddito familiare equivalente Piemonte e Valle d’Aosta 0,300 0,244 Lombardia 0,315 0,277 Veneto e Trentino Alto Adige 0,297 0,251 Friuli Venezia Giulia 0,314 0,260 Liguria 0,296 0,260 Emilia Romagna 0,296 0,238 TOSCANA 0,289 0,254 Umbria 0,256 0,201 Marche 0,289 0,231 Lazio 0,302 0,267 Abruzzo e Molise 0,321 0,261 Campania 0,337 0,305 Puglia 0,323 0,292 Calabria e Basilicata 0,319 0,282 Sicilia 0,332 0,314 Sardegna 0,304 0,278 ITALIA 0,327 0,295

Fonte: elabor azioni degli autori su pooling data della Banca d ’Italia

Una conferma delle tendenze distributive appena descritte ci è fornita

dall’analisi dei livelli di povertà relativa ed assoluta. I tassi di povertà relativa della tabella 1.3 sono ricavati impiegando la

metodologia adottata da Eurostat, secondo cui sono poveri tutti gli individui che possiedono un reddito familiare equivalente inferiore al 60% del valore mediano della distribuzione. La povertà è cioè valutata a livello di singolo individuo, dopo che i redditi familiari sono stati espressi in termini equivalenti e a ciascun individuo è stato assegnato il reddito del nucleo di appartenenza. La variabile economica di riferimento è quindi il

3 Ma analoghe considerazioni si traggono usando anche altre misure di sperequazione, come l’indice di Atkinson o i rapporti interdecilici ed interquintilici. L’indice del Gini assume valori compresi nell’intervallo fra 0 (perfetta equidistribuzione in cui tutti hanno lo stesso reddito ) ed 1 (situazione di massima sperequazione in cui tutto il reddito appartiene ad un solo individuo o ad una sola famiglia).

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reddito4, mentre l’unità di analisi è l’individuo e le stime che si ricavano identificano le persone povere con quelle “a basso reddito” (low income persons): si è poveri non tanto, e non solo, se si è indigenti in senso assoluto, ma anche se non si è in grado di accedere ad un tenore di vita simile a quello degli altri cittadini.

Tabella 1.3 LA POVERTÀ RELATIVA NELLO SPAZIO DEI REDDITI. 2002

Indice di diffusione Indice di intensità Indice di gravità

Piemonte e Valle d’Aosta 10,1 16,9 0,03 Lombardia 6,5 19,5 0,02 Veneto e Trentino Alto Adige 7,8 20,4 0,02 Friuli Venezia Giulia 5,5 21,6 0,02 Liguria 7,1 21,1 0,02 Emilia Romagna 3,7 18,4 0,01 TOSCANA 7,3 19,0 0,02 Umbria 8,1 15,1 0,02 Marche 7,7 22,0 0,02 Lazio 12,8 21,5 0,04 Abruzzo e Molise 18,9 24,7 0,07 Campania 45,2 35,9 0,23 Puglia 34,4 32,7 0,16 Calabria e Basilicata 49,6 31,0 0,21 Sicilia 48,0 35,9 0,23 Sardegna 25,8 31,2 0,11 ITALIA 19,9 30,4 0,08

Fonte: elabor azioni degli autori su pooling data della Banca d ’Italia Indice di d iffusione: % di persone a bass o reddito (povertà re lativa)

Indice di intensità: distanza % dalla soglia che assic urerebbe l ’uscita dalla povertà re lativa Indice di gr avità: ind ice (elabor ato dal pr emio Nobel per l’economia A. Sen) che com bina diffusione, intens ità e

disuguaglianza del reddito all ’inter no delle famiglie relativ amente povere. L’ ind ice varia fra 0 (nessun pover o) ed 1 (tutti con reddito nullo)

Per un esauriente quadro della distribuzione territoriale della povertà

relativa, la tabella 1.4 riporta anche le stime dell’ISTAT. In questo caso viene considerata povera ogni famiglia di due persone il cui consumo è inferiore al consumo medio pro capite; l’estensione alle altre tipologie familiari richiede poi il calcolo di specifiche linee di povertà, una per dimensione del nucleo familiare.

4 I consumi, diversamente dal reddito, non riflettono solo le concrete opportunità di spesa ma anche la struttura delle preferenze individuali e la propensione al risparmio. Pertanto le stime della povertà basate sui consumi risentono dell’età della popolazione. Il reddito, esprimendo direttamente il potere di acquisto delle risorse, è quindi più adatto a rappresentare il benessere individuale, perché indipendente dalle scelte di consumo.

16

Tabella 1.4 LA POVERTÀ RELATIVA NELLO SPAZIO DEI CONSUMI. 2003

Indice di diffusione Indice di diffusione

Piemonte 6,9 Lazio 6,4 Valle d’Aosta 7,4 Abruzzo 15,4 Lombardia 4,5 Molise 23,0Trentino Alto Adige 8,7 Campania 20,7 Veneto 4,0 Puglia 20,0 Friuli Venezia Giulia 9,2 Calabria 24,0Liguria 6,2 Basilicata 25,1Emilia Romagna 4,3 Sicilia 25,5 TOSCANA 4,1 Sardegna 13,1 Umbria 8,4 ITALIA 10,6Marche 5,7

Fonte: elaborazioni degli autori su Indagine dei consumi ISTAT

Diversa invece la nozione di povertà assoluta che riflette una situazione

di indigenza. L’idea è che si possa individuare un certo paniere di beni e servizi essenziali (alimentari, vestiario, abitazione, ecc.), il cui consumo è considerato necessario per vivere appena oltre il minimo considerato vitale. In Italia l’ISTAT individua come soglia di povertà assoluta un valore di spesa relativo ad un paniere composto da una componente alimentare, una componente abitazione, una componente relativa alle quote di ammortamento dei principali beni durevoli (televisore, frigo, ecc.) ed infine una componente relativa ad alcune voci di spesa residuale legate al consumo di vestiario, calzature, trasporti, attività ricrative e poco altro. L’insieme delle tre componenti e della spesa residuale costituisce uno standard di spesa sufficiente a garantire un livello di vita modesto, ma tale da evitare forme di esclusione sociale.

Grafico 1.5 LA POVERTÀ ASSOLUTA NELLO SPAZIO DEI CONSUMI. 2002

Fonte: elabor azioni degli autori su indagine dei cons umi Banc a d’Italia (pooling data) ed ISTAT. I dati sui consumi de lla Banca d’Ital ia sono stati riscalati su quel li ISTAT

0%

4%

8%

12%

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Cam

pani

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Pug

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Bas

ilicat

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Cal

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Sic

ilia

Sar

degn

a

Banca d' Italia ISTAT

17

In generale l’andamento della povertà riflette i noti divari territoriali: al

Sud ci sono più poveri (indice di diffusione) che nel Centro Nord, e la distribuzione dei redditi è anche più sperequata (indice di gravità).

In Toscana l’area della povertà relativa è molto contenuta (7% di individui a basso reddito contro valori prossimi al 20% per l’Italia se l’unità di analisi è il reddito) e soprattutto è composta da individui prossimi alla soglia che li separa dai non poveri; l’indice di Sen che combina diffusione, intensità e disuguaglianza nella distribuzione del reddito assume un valore fra i più bassi d’Italia. Ai livelli minimi infine il tasso di povertà assoluta: 0,6% se si usano i micro dati del consumo della Banca d’Italia, 2% se si impiegano invece quelli dell’ISTAT.

Se quindi incorporiamo nella valutazione dei tenori di vita non solo il livello del reddito ma anche la sua distribuzione, correggendo il reddito medio familiare equivalente con l’indice del Gini, accogliendo il suggerimento del premio Nobel per l’economia A. Sen, le regioni del Mezzogiorno vedono aumentare ulteriormente la loro distanza dai livelli di benessere5 delle regioni centro settentrionali; Toscana, Umbria, Marche, Emilia Romagna, in particolare, vedono invece migliorare la propria posizione quando l’analisi sui livelli di reddito è arricchita da valutazioni di ordine distributivo.

Grafico 1.6 REDDITO FAMILIARE EQUIVALENTE E BENESSERE NELLE REGIONI ITALIANE. 2002

Italia = 100

Fonte: elaborazioni degli autori su pooling data della Banca d’Italia

5 Per una analisi multidimensionale dei livelli di benessere nelle regioni italiane si rimanda a (Casini Benvenuti, Sciclone, 2003).

0

40

80

120

160

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Sic

ilia

Reddito familiare equivalente Benessere economico

18

1.2 Le determinanti del benessere economico I fattori che contribuiscono a determinare questo positivo risultato per la nostra regione sono molteplici e non tutti sono facilmente misurabili. Qui ci concentriamo su due aspetti: le caratteristiche demografiche e sociali della popolazione, il ruolo della famiglia.

Come noto esiste un forte legame fra le caratteristiche socio-demografiche di una comunità e la sua distribuzione del reddito (Baldini, Bosi, Silvestri, 2004; Brandolini, D’Alessio, 2001; Cannari, D’Alessio, 1994; Lemmi, Sciclone, 2003; Maitino, Sciclone, 2004; Casini Benvenuti, Sciclone, 2003). La composizione per età della popolazione, il numero di componenti per famiglie, quello dei figli, la partecipazione al mercato del lavoro, il grado di scolarizzazione sono tutti elementi che influenzano significativamente l’ammontare del reddito percepito a livello familiare. In Italia le caratteristiche socio-demografiche variano da regione a regione (Tab. 1.7): la famiglia è più numerosa nelle regioni meridionali, il numero medio di percettori sale in quelle centrosettentrionali come anche l’età del capofamiglia; al Centro Nord è inoltre più elevato il grado di scolarizzazione -specialmente nel Lazio- mentre i tassi di occupazione sono ovviamente minori al Sud.

Tutti questi fattori influenzano tanto i divari regionali nei livelli medi del reddito, quanto la distribuzione interna ad ogni regione.

Tabella 1.7 CARATTERISTICHE SOCIO-DEMOGRAFICHE DELLE FAMIGLIE. 2002

Numero

medio di componenti

Numero medio di

percettori

Età media capofam.

Anni medi scolarizzazione

del capofamiglia

Capofam. operai

Capofam. pensionati

Capofam. lavoravoriautonomi

Piemonte e Valle d’Aosta 2,5 1,7 55 8,4 19% 45% 12%Lombardia 2,6 1,8 54 9,0 17% 43% 13%Veneto e Trentino Alto Adige 2,7 1,8 54 8,3 23% 40% 15%Friuli Venezia Giulia 2,5 1,8 56 8,9 15% 47% 12%Liguria 2,4 1,6 55 9,8 12% 43% 16%Emilia Romagna 2,5 1,9 54 8,9 17% 41% 16%TOSCANA 2,7 1,8 56 8,7 14% 45% 16%Umbria 2,8 2,0 55 8,4 22% 45% 14%Marche 2,8 1,9 56 8,1 15% 46% 17%Lazio 2,7 1,6 52 9,5 18% 31% 13%Abruzzo e Molise 2,8 1,7 57 7,9 15% 46% 13%Campania 3,1 1,6 56 7,3 13% 42% 11%Puglia 3,1 1,6 53 8,0 20% 35% 11%Basilicata e Calabria 2,9 1,6 57 6,9 16% 45% 12%Sicilia 2,9 1,4 55 7,4 12% 39% 9%Sardegna 2,9 1,8 55 7,4 17% 38% 12%

Fonte: elaborazioni degli autori su pooling data della Banca d’Italia

19

• La disuguaglianza fra medie regionali Iniziamo dalla disuguaglianza tra le medie regionali. La tabella 1.8 mostra come varierebbero le medie regionali se ogni regione allineasse la distribuzione delle proprie caratteristiche socio-demografiche a quella nazionale. Ad esempio, tutte le regioni meridionali aumenterebbero il loro reddito medio familiare se la distribuzione dei capofamiglia per titolo di studio fosse equivalente a quella italiana; analogamente il reddito crescerebbe significativamente se le regioni del Sud avessero un numero medio di percettori per famiglia uguale a quello medio nazionale; un effetto simile si avrebbe poi controllando per condizione professionale e settore di attività del capofamiglia. I risultati variano quindi al variare delle caratteristiche socio demografiche interne ad ogni regione; la Toscana avrebbe naturalmente tutto da perdere da un allineamento dei suoi valori con quelli medi italiani.

Tabella 1.8 IMPATTO DI ALCUNE CARATTERISTICHE SOCIO-DEMOGRAFICHE SUI VALORI MEDI

DEL REDDITO FAMILIARE. 2002 Valori %

Genere Titolo di

studio Età

media Numero di percettori

Condizione professionale

Tipologia familiare

Settore di attività

Piemonte e Valle d’Aosta 0 2 0 -1 1 5 0Lombardia 0 -3 0 -3 0 0 -1Veneto e Trentino Alto Adige -1 1 0 -4 -2 0 1Friuli Venezia Giulia 1 -2 2 -3 0 3 -1Liguria -1 -7 0 3 0 3 0Emilia Romagna 0 -1 1 -7 -1 3 -1TOSCANA -1 -1 -1 -4 1 -1 0Umbria 0 -1 0 -9 0 -3 -1Marche -1 1 0 -8 -1 -3 2Lazio 1 -5 0 4 -2 0 -1Abruzzo e Molise 1 2 2 -1 3 2 6Campania -1 6 0 8 7 -3 4Puglia -2 3 -1 4 3 -6 4Basilicata e Calabria -4 5 1 4 5 -1 4Sicilia 2 5 0 12 8 0 8Sardegna 3 4 1 -2 3 -2 4

Fonte: elaborazioni degli autori su pooling data della Banca d’Italia

• La disuguaglianza interna alle regioni I fattori demografici e sociali influenzano la distanza fra le medie regionali, ma anche le disparità osservate all’interno di ogni regione. Per cogliere questo secondo aspetto occorre valutare come varierebbe la disuguaglianza se le principali variabili socio-demografiche (dimensione familiare, numero percettori, condizione professionale, ecc.) fossero allineate alla corrispondente distribuzione nazionale. In altre parole, cosa succederebbe alla Toscana -mantenendo le sue caratteristiche interne, ovvero la sua disuguaglianza infra gruppi e intergruppi- se avesse la stessa distribuzione della popolazione per classi di età titoli di studio, ampiezza familiare, ecc. che si rileva in Italia? Una analisi di questo tipo -di natura controfattuale-

20

può essere condotta sfruttando le proprietà di scomposizione dell’indice della devianza logaritmica media6. Esso può essere espresso come:

L= −1

n

log

yim

i=1

n∑ [1]

con yi reddito della unità i-esima, µ valore medio di yi ed n numero di unità considerate.

Se dividiamo le n unità in k gruppi sulla base di una qualche caratteristica sociale o demografica, è possibile articolare la disuguaglianza complessiva in due componenti: quella che si ha fra gruppi omogenei di famiglie (disuguaglianza inter-gruppi) e quella all’interno di ciascun gruppo (disuguaglianza intra-gruppi). In tal caso l’indice diventa:

L= Lintra +L inter = wkk=1

k

∑ Lk − wkk=1

k

∑ log(µk

µ) [2]

con wk , µk ed Lk che sono rispettivamente la quota di popolazione, il valore medio del reddito del k-esimo gruppo e la devianza logaritmica media del gruppo k-esimo. Se quindi fissiamo la quota di popolazione pari a quella dell’Italia (wk=wks), allora la devianza logaritmica media può essere espressa come:

L= Lintra +L inter + Lp= wksk =1

k

∑ Lk − wksk=1

k

∑ log(µk

µ s

) + Lp [3]

dove wks sono le quote di famiglie fissate pari a quelle dell’Italia e

µs = wksk =1

K

∑ µk

è la media complessiva del reddito opportunamente ricalcolata sulla base della popolazione di riferimento; il termine Lp è infine ottenuto a residuo e misura l’impatto sulla disuguaglianza dovuto alla differente struttura della popolazione rispetto a quella di riferimento.

La tabella 1.9 illustra quindi quanto contino nei confronti distributivi le differenze demografiche e sociali7. Ad esempio, se tutte le regioni fossero caratterizzate da un numero medio di percettori per famiglia uguale a quello medio nazionale, la disuguaglianza aumenterebbe mediamente del 6

Per applicazioni di tale metodologia si rinvia a Brandolini, D’Alessio, 2000 e Cannari, D’Alessio, 2003. 7 Le caratteristiche socio demografiche sono naturalmente quelle relative al capofamiglia.

21

2% al Nord, del 5% nell’Italia centrale e viceversa diminuirebbe mediamente del 2% nel Mezzogiorno. Se guardiamo alle singole regioni si osserva come in Campania, allineando la distribuzione alla media nazionale, l’indicatore di disuguaglianza scenderebbe di 3 punti; d’altra parte si tratta di una realtà caratterizzata da una più alta frequenza di famiglie con un più basso numero di percettori, a cui corrisponde una forte sperequazione nei livelli di reddito8. Lo stesso vale anche per la Sicilia, la Basilicata e la Puglia.

Tabella 1.9 IMPATTO DEI FATTORI SOCIO-DEMOGRAFICI SULLA DISUGUAGUAGLIANZA

DEL REDDITO FAMILIARE EQUIVALENTE. 2002 Variazione % della devianza logaritmica media ricavata imponendo alla Toscana e alle regioni

la struttura demografica e sociale dell’Italia

N° percettori

N° di compon.

Classi di età

Titoli di studio

Genere Tipologia familiare

Condiz. profess.

Qualifica profess.

Piemonte e Valle d’Aosta 1 -2 0,0 1 -0,1 -2 1 -1Lombardia 3 2 -0,1 -3 0,0 0 1 -2Veneto e Tentino A. Adige 2 0 -0,3 1 -0,2 -1 1 0Friuli Venezia Giulia 3 -3 0,3 0 -0,1 -1 4 1Liguria -2 -1 -0,2 -1 0,1 -3 2 1Emilia Romagna 4 -1 0,2 1 0,0 -1 1 -1TOSCANA 4 0 0,4 -1 -0,1 2 2 -2Umbria 6 -1 0,1 3 0,0 3 4 2Marche 6 1 0,3 1 0,1 4 5 -2Lazio -2 0 -1,1 -5 0,2 -3 -3 -2Abruzzo e Molise 0 1 1,2 0 0,7 1 3 0Campania -3 -5 2,6 1 0,0 0 -12 1Puglia -2 -2 -1,2 1 -1,0 -1 -6 2Basilicata e Calabria -1 -3 3,6 3 -0,6 5 -7 -1Sicilia -3 -1 -0,2 0 -0,1 1 -7 7Sardegna 1 -1 0,0 5 -0,5 -1 -1 1

Fonte: elaborazioni degli autori su pooling data della Banca d’Italia (*)

La concentrazione dei redditi delle famiglie meridionali sarebbe inoltre

minore di quella osservata, se la distribuzione delle famiglie per condizione professionale9 fosse uguale a quella italiana: ad esempio, di dodici punti in Campania, di sette in Calabria e Sicilia, di sei in Puglia e Basilicata.

In Toscana, al contrario, la disuguaglianza aumenterebbe, ceteris paribus, se la ripartizione delle famiglie per numero di percettori (+4%), condizione professionale del capofamiglia (2%), t ipologia familiare (2%) fossero le stesse osservate in Italia. Questi fattori spiegano quindi la minore sperequazione dei redditi delle famiglie toscane; fra questi spicca in particolare il numero di percettori10, che è legato all’elevata partecipazione

8 L’indice del Gini diminuisce all’aumentare del numero medio di percettori. 9 Occupati, disoccupati, ritirati dal lavoro, in condizione non professionale. 10 Data la sostanziale uniformità dei contratti collettivi e delle regole che determinano la retribuzione dei lavoratori, i differenziali distributivi riscontrati nelle regioni italiane si spiegano essenzialmente con il diverso andamento dei tassi di occupazione (che si riflette ovviamente nella condizIone professionale e nel numero di percettori di reddito).

22

al lavoro e che deriva da un sistema produttivo, connotato dalla prevalenza di piccole e medie imprese, che è in grado di impiegare una parte rilevante delle risorse lavorative presenti sul territorio.

• Il ruolo della famiglia Anche la famiglia gioca una funzione rilevante nell’assetto della struttura distributiva dei redditi familiari. Indipendentemente dalla diversa tipologia che essa può assumere11, e che -come abbiamo visto nella tabella 1.9- in Toscana contribuisce a contenere le differenze reddituali12, la famiglia assolve in generale ad un duplice ruolo redistributivo.

In primo luogo essa trasferisce risorse dai componenti più ricchi (i percettori di reddito) a quelli più poveri (in non percettori), riallocando in modo più equilibrato le risorse disponibili a livello familiare. In secondo luogo, essa interviene nella fase di impiego di tali risorse, grazie alle economie di scala che si realizzano nel consumo di beni e servizi. Questo perché il reddito necessario al conseguimento di un determinato livello di benessere (espresso in termini di consumo) cresce meno che proporzionalmente rispetto al numero dei componenti.

Un modo indiretto per cogliere l’azione redistributiva della famiglia può essere allora quello di osservare la riduzione che la disuguaglianza subisce nel passaggio dai redditi individuali (effettivi) ai redditi familiari pro capite (ottenuti attribuendo a ciascun componente il reddito pro capite della famiglia di appartenenza) e, poi, da quelli pro capite familiari a quelli resi equivalenti tramite il ricorso a dei deflatori13 che riflettono la diversa ampiezza ed età dei componenti della famiglia.

Nel primo caso è come se operassero dei trasferimenti monetari dai percettori ai non percettori, ed è ovvio quindi attendersi un più basso livello di disuguaglianza. Nel secondo caso la disuguaglianza diminuisce se la più ampia dimensione familiare connota le famiglie posizionate nella coda sinistra della distribuzione. In generale quindi il processo redistributivo messo in atto dalla famiglia -quale istituzione che mette in comune risorse altrimenti individuali- dipende dalla dimensione familiare; non è un caso quindi che la famiglia assolva un ruolo perequativo fondamentale nelle regioni meridionali. Ma anche in Toscana essa svolge una funzione rilevante: la nostra regione è infatti caratterizzata da un numero medio di componenti che si colloca a metà strada fra i valori più alti delle regioni del Sud e quelli più bassi di molte regioni del Nord Italia. Ad esempio, nello spazio dei redditi individuali l’indice di disuguaglianza

11 Ad esempio, nuclei composti da una sola persona con figlio minore, da coppie con o senza figli a carico, ecc.. 12 Se la distribuzione delle famiglie toscane per tipologie familiari fosse quella italiana la disuguaglianza aumenterebbe del 2% circa. Le tipologie familiari impiegate sono: single ultra 65; single con meno di 65 anni; coppia senza figli con più di 65 anni; coppia senza figli con meno di 65 anni; monogenitore con figlio minorenne; monogenitore con figlio maggiorenne; coppia con 1 minore; coppia con 2 o più minori; coppia con figli maggiorenni; altro. 13 Vedi nota 2.

23

assume un valore pari a 0,57, diventa 0,27 nello spazio dei redditi familiari pro capite e scende a 0,25 quando è calcolato sui redditi familiari equivalenti. La flessione che la disuguaglianza subisce nel passaggio dai redditi individuali a quelli familiari è pertanto in Toscana maggiore di quella che si riscontra nella stragrande maggioranza delle regioni centrosettentrionali (Graf. 1.10).

Grafico 1.10 RIDUZIONI ASSOLUTE DELLA DISUGUAGLIANZA. 2002

Valori assoluti

Fonte: elaborazioni degli autori su pooling data della Banca d’Italia

1.3 La povertà multidimensionale Finora l’analisi della povertà è stata focalizzata nello spazio delle risorse monetarie, identificate con la disponibilità di reddito o con la spesa sostenuta per i consumi. La povertà è stata pertanto associata ad uno stato di privazione economica: in questa accezione è considerata povera ogni persona che non riesce a soddisfare, a causa di una insufficiente disponibilità di mezzi monetari, in parte o in tutto i propri bisogni.

Recenti sviluppi teorici (Sen, vari anni) hanno tuttavia esteso la nozione di povertà ad un più ampio insieme di dimensioni che concorrono a determinare il benessere individuale. In questa seconda accezione la povertà è concepita non solo e non tanto come perdita di controllo sulle risorse disponibili, quanto piuttosto come fallimento di alcune capacità di base, quali essere in salute, partecipare alla vita della comunità, essere adeguatamente istruito, ecc.

Si tratta, cioè, di spostare l’attenzione dallo spazio dei redditi (o dei consumi) a quello delle libertà, qui intese in una accezione positiva: ovvero, come effettive acquisizioni di ciò che si apprezza e si desidera fare o essere. Il reddito -secondo questa impostazione- rappresenta un mezzo per il conseguimento di un adeguato tenore di vita, influenza la possibilità

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0,09

0,18

0,27

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Pug

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Dal reddito familiare procapite a quello equivalente

Dal reddito individuale aquello familiare pro capite

24

di perseguire e realizzare una vita meritevole di essere vissuta, ma di per sé non è un elemento costitutivo del benessere individuale. Questo perché gli esseri umani sono diversi gli uni dagli altri per caratteristiche individuali ed ambientali e quindi nulla può garantire che a parità di reddito (o consumo) si abbiano uguali livelli di salute, istruzione, ecc. L’ammontare di reddito che previene la povertà deve quindi variare al variare delle caratteristiche e delle circostanze individuali, proprio perché la relazione fra reddito e capacità di base, è influenzata dall’età, dal sesso, dall’ambiente sociale e familiare, dalla posizione geografica e da molti altri parametri. L’idea sottesa a questa impostazione è che il reddito (ma anche il consumo) non è sufficiente -da solo- a rappresentare lo stato di benessere di un individuo o di una collettività.

Se si adotta questa impostazione la misurazione della povertà non può limitarsi alla stima delle persone o famiglie a basso livello di reddito o consumo. Occorre invece acquisire una pluralità di informazioni sui molteplici aspetti della vita quotidiana14. Quelli presi in considerazione in questo esercizio -compatibilmente con i micro dati disponibili a livello regionale e tratti da una pluralità di fonti statistiche- sono i seguenti: salute, istruzione, lavoro, condizioni abitative, relazioni sociali, possesso di beni durevoli e condizioni economiche. Per ciascuno di questi funzionamenti sono stati definiti -per ogni famiglia- uno o più indici di deprivazione, generalmente espressi come variabili dicotomiche (povero-non povero).

La stima della povertà di salute rileva la presenza di malattie croniche ed è inoltre associata alla mortalità evitabile. Sono stati considerati come malati cronici tutti coloro che (Indagine multiscopo sulla salute degli italiani, ISTAT) hanno dichiarato almeno una delle seguenti malattie: diabete, ipertensione, infarto, asma, tumore, ulcera, calcoli, cirrosi, artrosi, osteoporosi, disturbi del sistema nervoso. Il numero dei malati cronici rilevati in ogni regione è stato poi diviso per il numero dei residenti, riproporzionando i dati per tenere conto della diversa distribuzione per età della popolazione. Le cause di morte evitabile sono invece quelle scongiurabili con la prevenzione primaria, con la diagnosi precoce e con una accurata igiene ed assistenza sanitaria15.

La povertà di istruzione individua invece la mancanza di un adeguato livello di scolarizzazione, calcolato individuando coloro che possiedono un titolo di studio inferiore a quello mediano della propria coorte di appartenenza16.

La povertà di lavoro è naturalmente identificata dallo stato di disoccupazione17

, mentre quella inerente le condizioni abitative è connessa ad una situazione di sovraffollamento, ricavata dai metri quadri per

14 Per una analisi multidimensionale della povertà si rinvia a Baldini, Bosi, Si lvestri (2004). Questa sezione del lavoro si ispira allo schema di tale studio. 15 La lista delle suddette patologie è dovuta a Rubstein. Per un elenco completo si rinvia a (Casini Benvenuti, Sciclone 2003). 16 I dati sono stati stimati usando l’indagine sulle forze di lavoro dell’ISTAT. 17 Indagine sulle forze di lavoro, ISTAT.

25

abitante, e alla presenza di almeno un problema legato all’abitazione (quale l’assenza di acqua potabile, di servizi igienici adeguati, di riscaldamento, ecc.). In entrambi i casi la fonte statistica utilizzata è l’indagine sui consumi dell’ISTAT.

La povertà di relazioni sociali è invece il frutto di una numerosa batteria di indicatori, desunti dalla indagine multiscopo sugli aspetti di vita quotidiana, e connessi alla partecipazione alla vita sociale e comunitaria (lettura di libri e giornali, svolgimento di attività di volontariato, frequentazione di riunioni sindacali, politiche, ecc.); sono pertanto considerate povere le persone che non hanno più di un indicatore di partecipazione positivo.

La povertà di beni durevoli è conseguente alla mancanza di almeno due dei seguenti oggetti: lavatrice, frigorifero, lavastoviglie, personal computer, automobile, televisore, telefono, video registratore. I dati sono tratti dall’Indagine sui consumi ISTAT.

La povertà di abitazione è invece definita dalla presenza di almeno due dei seguenti inconvenienti: vacanza del bagno, assenza di acqua calda, di riscaldamento, di energia e di spazio.

Infine, la povertà economica che è identificata dall’unione delle famiglie povere nello spazio dei consumi (linea posta al 60% del reddito equivalente mediano) e di quelle che destinano all’affitto più del 25% della spesa mensile complessiva. La tabella 1.11 illustra i risultati ottenuti.

Tabella 1.11 INCIDENZA DELLA POVERTÀ DI FUNZIONAMENTI. 2002-2003

Italia = 100

Regioni Povero di salute

Povero di lavoro

Povero di istruzione

Poveri beni durevoli

Povero monetario

Povero di relazione

sociale

Povero di abitazione

Piemonte 91 60 62 100 77 77 39 Lombardia 90 45 80 89 59 71 15 Trentino Alto Adige 86 31 80 89 90 26 12Veneto 98 42 80 81 47 72 19 Friuli Venezia Giulia 92 48 54 97 93 52 89 Liguria 97 71 94 111 84 65 44 Emilia Romagna 102 40 83 83 62 67 8 TOSCANA 95 58 84 81 64 68 22 Umbria 98 61 120 86 77 105 37Marche 96 47 120 78 62 112 14 Lazio 100 100 95 89 96 84 28 Abruzzo 108 60 173 94 132 127 43 Molise 87 134 173 111 154 132 59 Campania 108 201 129 119 169 173 170 Puglia 103 135 128 119 178 143 129 Basilicata 115 164 159 114 173 162 55 Calabria 128 244 159 125 177 152 262 Sicilia 112 198 120 139 187 148 547 Sardegna 121 180 107 103 107 69 271

Fonte: elaborazioni degli autori

26

• Il confronto regionale Le precedenti dimensioni della povertà possono essere sintetizzate in un unico indicatore, al fine di disporre di una fotografia multidimensionale della povertà a livello regionale. La costruzione della graduatoria finale è ottenuta dall’impiego di una matrice di concordanza (metodo Electre I), che si ricava dal confronto fra i ranghi di ogni regione nelle sette diverse dimensioni del benessere (salute, istruzione, lavoro, relazioni sociali, condizioni abitative, beni durevoli, condizioni economiche) qui analizzate. Per ogni argomento si costruisce una matrice di surclassamento, in cui ogni cella assume valore 1 quando la regione presa a riferimento sopravanza (è migliore di) quella con cui è posta a confronto e valore zero nel caso opposto (è peggiore di o almeno altrettanto buono di). Dalle singole matrici si ottiene poi una matrice generale di concordanza, data dalla media dei valori di cella precedentemente calcolati; l’ordinamento finale è infine ricavato ordinando in senso decrescente la differenza delle sommatorie dei valori di riga (indicativa del numero di volte in cui la regione x sopravanza le altre regioni) con quelli di colonna (indicativa del numero di volte in cui la regione x è sopravanzata dalle altre regioni).

Naturalmente ogni operazione di sintesi introduce forti elementi di discrezionalità: essi sono insiti tanto nella scelta degli indicatori impiegati come proxy delle diverse dimensioni che qualificano il benessere, quanto nell’algoritmo usato per aggregare i singoli valori in un dato finale. In altri termini, la graduatoria della povertà di funzionamenti illustrata nel grafico 1.12 non ha alcuna pretesa di oggettività (i risultati potrebbero essere diversi cambiando le variabili ed impiegando un diverso criterio di sintesi), né di completezza (altre dimensioni non indagate potrebbero essere aggiunte). Tuttavia essa arricchisce il quadro informativo tradizionalmente limitato alle sole variabili monetarie, confermando che la Toscana è una regione fra le meno povere d’Italia.

Grafico 1.12 LA GRADUATORIA REGIONALE DELLA INCIDENZA DELLA POVERTÀ MULTIDIMENSIONALE.

2002-2003

Fonte: elaborazioni dell’autore

0

4

8

12

16

20

Tre

ntin

o A

lto A

dige

Lom

bard

ia

Ven

eto

Em

ilia R

omag

na

Mar

che

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Mol

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a

Pug

lia

Bas

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pani

a

Sic

ilia

Cal

abria

27

• Povertà economica e di funzionamenti in Toscana Indaghiamo ora la correlazione tra povertà economica e povertà di funzionamenti, focalizzando l’attenzione sulle sole famiglie Toscane. Ci interessa cioè verificare -ancora una volta senza la pretesa di giungere ad una conclusione che abbia un valore universale- se esistono nella nostra regione alcune situazioni di disagio che si manifestano anche in presenza di elevati livelli di reddito.

La matrice di correlazione fra i vari indicatori di povertà ricavati dai microdati dell’Indagine sui consumi dell’ISTAT (Tab. 1.13), segnala che non esiste una generalizzata sovrapposizione fra le diverse aree del malessere: si può ad esempio essere poveri di istruzione ma non necessariamente di lavoro (e viceversa), di risorse monetarie ma non di abitazione, di beni durevoli ma non anche di disponibilità monetarie.

Tabella 1.13 COEFFICIENTI DI CORRELAZIONE TRA GLI INDICATORI DI POVERTÀ IN TOSCANA

Poveri di

risorse economiche

Poveri di istruzione

Poveri di lavoro

Poveri di beni

durevoli

Poveri di abitazione

Poveri di risorse economiche 1 Poveri di istruzione 0,09

(0,0682) 1

Poveri di lavoro 0,07 (0,0001)

-0,04 (0,0145)

1

Poveri di beni durevoli 0,20 (0,0001)

0,17 (0,0001)

0,03 (0,0377)

1

Poveri di abitazione 0,13 (0,0001)

0,08 (0,6101)

0,05 (0,001)

-0,02 (0,1431)

1

N.B. In parentesi il Pvalue del test t di significatività Fonte: elaborazioni degli autori su Indagine sui consumi ISTAT

Ne deriva quindi una chiara indicazione di policy, che può essere così

espressa: non è sufficiente garantire più reddito ai più bisognosi per superare i problemi che ostacolano il conseguimento di uno standard di vita accettabile. Ogni area di disagio richiede invece una specifica azione di contrasto che combini i tradizionali trasferimenti di reddito (minimo vitale, deduzioni per carichi di famiglia, assegno familiare, ecc.) con una adeguata offerta di servizi e prestazioni (corsi di formazione professionale, programmi finalizzati al reinserimento lavorativo, affitt i agevolati, edilizia popolare, ecc.). Solo da un combinato utilizzo di aiuti monetari ed in natura può cioè derivare la soluzione -o quanto meno l’attenuazione- dei problemi di povertà.

Certo, a più elevati livelli di benessere economico corrispondono minori condizioni di malessere nelle altre sfere della vita quotidiana. Classifichiamo le famiglie in tre gruppi: chi non ha alcuna deprivazione non economica, chi ne ha una e chi almeno due; successivamente ordiniamo le famiglie in base al consumo familiare equivalente e costruiamo cinque gruppi (quintili), in modo tale che nel primo ricadano le famiglie economicamente meno abbienti e nell’ultimo quelle più abbienti.

28

È facile osservare come le dimensioni del gruppo con una o più deprivazioni non economiche decresca nel passaggio dal primo all’ultimo quintile (Graf. 1.14). E tuttavia nel 40% delle famiglie toscane più ricche quasi il 20% soffre comunque di una deprivazione non economica; a conferma che le disponibilità monetarie non sono sufficienti da sole a contrastare la povertà.

Grafico 1.14 QUOTA DI FAMIGLIE PER NUMERO DI DEPRIVAZIONI NON ECONOMICHE PER QUINTILI

DI CONSUMO EQUIVALENTE. 2002-2003

0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100

1° Quintile

2° Quintile

3° Quintile

4° Quintile

5° Quintile

Nessuna deprivazione Una deprivazione Due o più deprivazioni

Fonte: elaborazioni degli autori su Indagine sui consumi ISTAT

Infine, può essere interessante stimare quali caratteristiche sociali e

demografiche sono più favorevolmente collegate alla probabilità di sperimentare una condizione di povertà, sia essa misurata nello spazio monetario -se la famiglia spende una somma inferiore al 60% del consumo equivalente mediano italiano- o in quello dei funzionamenti, se la stessa famiglia mostra almeno uno dei seguenti inconvenienti: bassa istruzione, mancanza di lavoro, inadeguato possesso di beni durevoli e inadeguate condizioni abitative.

A tale scopo abbiamo stimato -tramite un modello logistico multinomiale- la probabilità associata a quattro eventi: povertà monetaria, povertà di funzionamenti, povertà monetaria e di funzionamenti, nessuna delle due. Le variabili di controllo sono: tipologia familiare, età del capofamiglia, qualifica professionale, t itolo di studio.

L’individuo tipo è rappresentato da un nucleo familiare composta da una coppia senza figli, proprietaria dell’abitazione in cui vive, il cui capofamiglia ha un’età compresa fra 45 e 65 anni, possiede la licenza media superiore ed è operaio. Rispetto a tale figura di riferimento, chi è single (quasi sicuramente ultra 65enne) o sposato con almeno due figli ha una maggiore probabilità di cadere nello stato di povertà sia economica sia di funzionamenti; la suddetta probabilità aumenta se l’abitazione in cui si vive è in affitto piuttosto che di proprietà, e se la persona di riferimento non ha completato la scuola dell’obbligo.

Essere single, tanto anziani vedovi o giovani nubili/celibi, accresce la probabilità di essere poveri nello spazio dei funzionamenti, come anche il

29

vivere in un nucleo con capofamiglia operaio. All’opposto, con riferimento alla povertà di risorse economiche, essere single costituisce invece un indubbio vantaggio rispetto alle altre tipologie familiari. In questa dimensione è la coppia con 2 o più figli che invece mostra una più elevata probabilità di stare male.

Tabella 1.15 STIME DELLE PROBABILITÀ DI POVERTÀ ECONOMOMICA E DI FUNZI ONAMENTO

(REGRESSIONE LOGISTICA MULTINOMIALE). 2002-2003 Valori %

Non povero

Povero di risorse

economiche

Povero di funzionamenti

Povero di risorse economiche

e di funzionamenti

Costante 86 10 1 Single 62 1 33 4 Coppia 1 figlio 90 6 3 1 Coppia 2 e più figli 75 8 13 3 Monogenitore* 91 2 5 1 Altra tipologia familiare 81 9 9 2 Affitto 63 13 18 6 > 65 anni 77 3 16 4 35-44 anni 78 2 18 2 < 35 anni 71 1 25 2 Laurea* 92 1 7 0 Licenza media inferiore* 84 3 12 2 Licenza elementare 55 5 36 5 Altro dipendente 93 1 6 0 Autonomo 92 1 6 1

* Variabili non significative Fonte: elaborazioni degli autori su Indagine sui consumi ISTAT

In generale, la condizione di operaio -naturalmente in possesso di tutte

le altre caratteristiche attribuite alla costante- riduce la possibilità di sfuggire alla condizione di povertà, in qualunque spazio sia essa misurata. Una considerazione analoga, coerentemente con quanto finora espresso, vale infine per chi -capofamiglia- ha meno di 35 o più di 65 anni.

Ancora una volta emerge quindi l’esigenza di analizzare il problema della povertà nelle molteplici dimensioni in cui si articola la vita di tutti i giorni: non solo non esiste una corrispondenza biunivoca fra la disponibilità di risorse monetarie e il conseguimento dei principali funzionamenti che rendono la vita meritevole di essere vissuta, ma anche capita che alle medesime caratteristiche demografiche e sociali possano essere associati rischi di povertà significativamente diversi, a seconda che ci si consideri la sola condizione economica o anche gli altri ambiti che qualificano il benessere individuale e familiare.

Per questo motivo nel capitolo 3 verrà presentata una analisi finalizzata a studiare intensità e tipologia delle privazioni -nelle scelte di consumo, nell’accesso al credito, ecc.- che si trovano a fronteggiare le famiglie a basso reddito della Toscana.

30

31

2. LA DISTRIBUZIONE DEL REDDITO IN TOSCANA 2.1 La distribuzione dei redditi familiari La fotografia che si ottiene dall’analisi dei redditi familiari condotta tramite l’Indagine sulle “Condizioni di vita delle famiglie Toscana (ICVFT)” (IRPET, 2004) evidenzia l’esistenza di una struttura distributiva piuttosto articolata e differenziata per caratteristiche demografiche e sociali. I redditi si differenziano infatti rispetto al genere, all’età, al t itolo di studio e alla condizione professionale del capofamiglia; mostrano inoltre andamenti mutevoli in funzione della dimensione, del numero dei percettori e della tipologia familiare. Utilizzando come categoria di analisi il reddito familiare reso equivalente, per rendere comparabili nuclei familiari di diversa composizione, si osserva, ad esempio, come i redditi siano maggiori se il capofamiglia è di sesso maschile (Graf. 2.1); essi mostrano inoltre un andamento campanulare rispetto all'età, sono positivamente correlati al t itolo di studio, riflettono la condizione e la posizione professionale, sono inferiori nelle famiglie monoparentali di ultrasessantacinquenni e nel caso di monogenitori con figli minorenni; decrescono, poi, al crescere del numero di minori e sono invece maggiori nelle coppie senza figli. Rispetto alla dimensione della famiglia, il reddito disponibile reso equivalente, è mediamente maggiore quando il nucleo familiare è composto da due persone.

Altrettanto significativamente i redditi variano, poi, entro ciascuna delle precedenti categorie (disuguaglianza entro i gruppi): la disuguaglianza è maggiore quando il capofamiglia è una donna piuttosto che un uomo, è più alta nelle famiglie più giovani (con capofamiglia sotto i 35 anni) e minore in quelle più anziane, è superiore quando la persona di riferimento è disoccupata o/e quando possiede un titolo di studio intermedio (Graf. 2.2). Rispetto al numero dei percettori e alla dimensione familiare, infine, la disuguaglianza mostra un andamento decrescente18.

18

Ampiezza familiare e numero di percettori sono positivamente correlati ed è logico ipotizzare che al crescere del numero di percettori (e quindi anche del numero dei componenti) le differenze reddituali fra famiglie di uguale numerosità ed uguale numero di percettori tendano in media a livellarsi.

32

Grafico 2.1a REDDITO MEDIO EQUIVALENTE ANNUO NORMALIZZATO SULLA MEDIANA. 2000

100 = Mediana

Fonte: elaborazioni degli autori su dati ICVFT

Grafico 2.1b REDDITO MEDIO EQUIVALENTE ANNUO NORMALIZZATO SULLA MEDIANA. 2000

100 = Mediana

Fonte: elaborazioni degli autori su dati ICVFT

0 30 60 90 120 150 180

SESSO

maschiodonna

TITOLO DI STUDIOfino l ic. elementare

l ic. media inf.

l ic. media sup.laurea breve e ol tre

CONDIZIONE PROFESSIONALEoccupato

disoccupatopensionato

cond non profETÀ

fino a 35 annida 35 a 45 annida 45 a 65 anni

da 65 a 75 annio ltre 75 anni

NUMERO COMPONENTI12

34

0 30 60 90 120 150 180

NUMERO PERCETTORI1

2

3

TIPOLOGIA FAMILIAREsingle u ltra_65

single<65

coppia senza figl i>65coppia senza figl i<65

monogenitore con figlio minorenne

monogenitore con figl io maggiorenne

coppia con 1 minorecoppia con 2 o più minori

coppia con fig li maggiorenni

POSIZIONE PROFESSIONALEdirigente, quadro

impiegato

opera io

lavoratore in proprioimprenditore e l ibero professionista

33

Grafico 2.2a LA DISUGUAGLIANZA DEI REDDITI EQUIVALENTI PER TIPOLOGIE FAMILIARI: INDICE DEL GINI. 2000

Fonte: elabor azioni degli autori su dati ICVFT

Grafico 2.2b LA DISUGUAGLIANZA DEI REDDITI EQUIVALENTI PER TIPOLOGIE FAMILIARI: INDICE DEL GINI. 2000

Fonte: elabor azioni degli autori su dati ICVFT

0,0 0,1 0,2 0,3 0,4

S ES S O

Fem m ine

M asc hi

E TÀ

Fino a 35

Da 46 a 65

Da 35 a 45

Oltr e 75

Da 65 a 75

TITO LO DI ST UDIO

Lic. m edia sup.

L ic. m edia in f.

Laurea

Elementare

CONDIZIO NE P ROF .LE

Disocc upato

O cc upato

P ensionato

0,0 0,1 0,2 0,3 0,4

POSIZIONE PROF.LE

Lavoratore in proprio

Imprenditore

Dirigente

Operaio

Impiegato

DIMENSIONE FAMILIARE

1

2

3

4 e più

NUMERO PERCETTORI

1

2

3

4 e più

34

Dal divario medio tra i gruppi demografici e sociali (disuguaglianza inter-gruppo) e dalla dispersione esistente all’interno di ciascun gruppo (disuguaglianza intra-gruppo) discende la seguente distribuzione dei redditi familiari che presenta la consueta forma asimmetrica, con una frequenza ridotta dei redditi molto bassi, un addensamento sui redditi medio-bassi ed una concentrazione via via meno elevata per i redditi più alti (Graf. 2.3).

Grafico 2.3 DISTRIBUZIONE DI FREQUENZA DEI REDDITI FAMILIARI EQUIVALENTI. 2000

Migliaia di euro

Fonte: elaborazione degli autori su dati ICVFT

Dall’incrocio fra le caratteristiche del capofamiglia e la relativa

distribuzione di frequenza per decili di reddito familiare equivalente, è facile osservare (Tab. 2.4) come il grado di asimmetria della distribuzione dei redditi sia fortemente sensibile al sesso, all’età, al t itolo di studio e alla condizione professionale del capofamiglia.

La distribuzione delle famiglie per sesso del capofamiglia evidenzia una situazione di netto svantaggio delle donne rispetto agli uomini: la probabilità di godere di un reddito elevato19 è infatti per i nuclei familiari con persona di riferimento di sesso maschile 1,3 volte superiore a quella dei nuclei in cui la persona di riferimento è di genere femminile.

19

Per reddito elevato si intende quello dell’ultimo quintile.

0

6

12

18

24

30

0-5

5-10

10-1

5

15-2

0

20-2

5

25-3

0

30-3

5

35-4

0

40-4

5

45-5

0

50-5

5

55-6

0

60-6

5

65-7

0

70-7

5

75-8

0

80-8

5

85-9

0

90-9

5

95-1

00

35

Tabella 2.4 LA DISTRIBUZIONE DELLE FAMIGLIE TOSCANE PER DECILI DI REDDITO EQUIVALENTE E PER

CARATTERISTICHE DEMOGRAFICHE DEL CAPOFAMIGLIA. 2000

Decili di reddito equivalente 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10

SESSO Maschi 8,5 9,2 9,8 9,9 9,9 9,9 10,6 11,1 10,4 10,8 Femmine 14,4 12,1 10,7 10,3 10,3 10,3 8,5 7,0 8,8 7,8 ETÀ fino a 30 21,6 7,8 7,4 10,0 6,7 11,2 6,5 11,3 8,8 8,7 Da 31 a 40 anni 14,5 10,1 7,2 8,4 10,5 9,9 10,1 12,0 9,8 7,5 Da 41 a 65 anni 7,7 8,0 8,2 9,1 10,1 9,2 11,3 10,5 12,6 13,4Oltre 65 anni 9,6 12,6 13,9 11,0 10,3 10,9 9,4 8,4 7,4 6,6 TITOLO DI STUDIO Licenza elementare 12,5 14,3 14,6 11,3 11,8 10,4 9,8 7,3 5,3 2,7 Media inferiore 11,8 9,9 9,4 12,1 8,8 10,3 10,6 10,5 9,4 7,2 Media superiore 7,1 6,3 6,3 8,2 9,2 10,4 10,4 12,9 13,0 16,2 Laurea 3,7 2,7 3,0 4,2 7,6 6,5 8,2 11,5 22,4 30,1 CONDIZIONE PROFESSIONALE Occupato 8,9 8,1 7,8 8,7 8,7 9,9 10,5 11,4 12,3 13,8 Disoccupato 42,4 6,3 13,8 8,3 3,9 5,5 2,1 11,5 6,3 0,0 Pensionato 8,3 11,5 12,6 11,6 11,5 10,2 10,1 9,0 8,5 6,7

Fonte: elaborazione degli autori su dati ICVFT

L’istruzione è un altro elemento che influenza il benessere della

popolazione: basti osservare a tale proposito l’incidenza -sui rispettivi totali- dei capofamiglia con licenza elementare e di quelli laureati nei quintili estremi. Ad esempio, la probabilità di appartenere al quintile più povero per chi dispone di una licenza elementare è quasi quattro volte quella attribuibile ad un laureato. Anche l’età del capofamiglia incide significativamente sui redditi familiari: nel primo quintile si assiste ad una prevalenza di famiglie con persona di riferimento avente meno di 30 anni (29%) o più di 65 anni (22%), mentre i due gruppi diventano minoranza nell’ultimo quintile della distribuzione. Infine, la condizione professionale del capofamiglia: il 49% dei nuclei familiari guidati da un disoccupato occupano la coda inferiore della distribuzione (il 1° quintile); sebbene in misura più lieve, anche i pensionati sono più addensati nell’estremo inferiore piuttosto che superiore della distribuzione.

Box 2.1 LA DISUGUAGLIANZA ED IL RUOLO DELLE DONNE NEL MERCATO DEL LAVORO

Nel corso di questo ulti mo decennio sono cambiate le dinamiche nei profili occupazionali degli uomini e delle donne: in tutti i paesi europei il tasso di occupazione delle donne è cresci uto in modo consider evole, mentre quello degli uomini è diminuito (Empl yment Outlook, Ocse, vari anni); analogamente i tassi di partecipazi one delle donne sono i n aumento, mentre quelli relativi agli uomi ni sono in netta flessione. Naturalmente tutti questi cambi amenti nel mercato del lavoro hanno modificato il contributo delle donne e degli uomini al reddito familiare.

Ci si può quindi chiedere: l’accresciuta partecipazione delle donne ha favorito in questi anni una flessione o un aumento della disuguaglianza nei redditi familiari? In gener ale, l’effetto delle donne occupate sulla disuguaglianza dipende da chi entra nel mercato del lavoro: se l’occupazi one delle donne sposate a uomini posizionati nella coda destra della

36

distribuzione cresce più della occupazi one delle donne sposate ad uomini disoccupati o a basso reddito, l a disuguaglianza -ceteris paribus- tenderà a di minuire. Altrimenti ad aggravarsi.

In mancanza di altre informazioni 20, un modo indiretto per cogliere il contributo delle donne alla evol uzione della s truttura distributi va dei redditi toscani può essere quello di confrontare la disuguaglianza attuale con quella che si avrebbe se annullassimo il reddito delle mogli. È un esercizio che natur almente non tiene conto del fatto che i mariti potr ebbero essere indotti a lavorare di pi ù; tuttavi a ci fornisce una indicazione per comprendere il ruolo che la crescente occupazione femminile ha svolto nelle tendenze distributive di ques ti ultimi anni.

Il grafico 2.5 mostra come la disuguaglianza -misurata sui redditi familiari equival enti- aumenterebbe in Toscana e nel C entro-Nord Italia se le donne non l avorassero, mentre diminuirebbe al Sud. L’effetto è quindi di verso da circoscrizione a circoscrizione: le donne occupate sono più spesso sposate ad uomini con più elevati livelli di reddito ed istruzione, ma nel Mezzogiorno molto più di quanto non accada nel Centro-Nord Italia ed in Toscana.

Grafico 2.5 VARIAZIONE DELLA DISPERSIONE NEI REDDITI FAMILIARI EQUIVALENTI. 2002

Variazioni assolute dell’indice di Gini

Fonte: elaborazioni degli autori su dati ICVFT

Così il contributo che la dinamica occupazionale delle donne apporta alla distribuzione dei

redditi è disequalizzante nelle r ealtà a minor tasso di occupazi one femminile -il Sud d’Italia- perché lì l avorano soprattutto donne istruite e sposate a mariti istruiti e ricchi, mentre risulta equalizzante nelle realtà dove il tasso di occupazione delle donne è maggiore (il Centro Nord e la Toscana) e dove anche le donne meno istruite e scolarizzate contribuiscono al budget familiare.

2.2 La struttura distributiva dei redditi individuali

Se guardiamo i profili del reddito disponibile dei singoli percettori (Tab. 2.6), cambiando quindi l’unità di analisi, si ottengono considerazioni analoghe a quelle rilevate per i redditi familiari. Le differenze di genere, per titolo di studio, per stato civile, condizione, qualifica e posizione professionale sono infatti marcate. Ad esempio: il reddito medio degli uomini è pari a 20.706 euro, quello delle donne di 13.357 euro; coloro che 20

La relazione fra le dinamiche occupazionali femminili e le tendenze distributive dovrebbe infatti essere indagata nella sua evoluzione temporale.

-1,0%

0,0%

1,0%

2,0%

3,0%

Nord TOSCANA Centro Sud Italia

37

possiedono lo stato civile di separato e/o divorziato hanno un reddito maggiore dei coniugati, che si spiega con il più elevato titolo di studio; questo ultimo discrimina nettamente i livelli reddituali dei singoli percettori; rispetto alla posizione professionale, il reddito è maggiore per i lavoratori autonomi, in particolare per imprenditori e liberi professionisti (28.902 euro), mentre molto più basso il reddito di operai (13.923) e impiegati (18.530).

Tabella 2.6 REDDITO MEDIO PER PERCETTORE. 2000

Valori assoluti e normalizzati sulla mediana

TOSCANA ITALIA ICVFT (euro) ICVFT 100=MEDIA Indagine Banca d’Italia

100=MEDIA

SESSO Maschio 20.706 120 119 Femmina 13.357 77 74 STATO CIVILE Celibe o nubile 14.006 81 94 Coniugato 18.474 107 110 Separato 21.328 123 103 Divorziato 21.157 122 102 Vedovo 14.986 87 84 TITOLO DI STUDIO Licenza elementare 12.955 75 70 Licenza media inferiore 16.704 97 93 Licenza media superiore 19.430 112 129 Laurea 27.255 157 200 ETÀ Fino a 35 anni 13.893 80 80 Da 35 a 45 anni 18.420 106 113 Da 45 a 65 anni 21.464 124 121 Da 65 a 75 anni 14.638 85 87 Oltre 75 anni 13.824 80 78 POSIZIONE PROF.LE Dirigente, quadro 26.188 151 182 Impiegato 18.530 107 128 Operaio 13.923 80 94 Lavoratore in proprio 20.372 118 131 Imprenditore e libero prof.sta 28.902 167 200 QUALIFICA PROF.LE Dipendente 17.552 101 115 Autonomo 24.434 141 156 Pensionato 15.357 89 195

Fonte: elaborazioni degli autori su dati ICVFT

Relativamente al livello di istruzione, colpisce nel confronto con l’Italia

la minore “redditività” dei t itoli di studio in Toscana; il risultato non desta sorpresa dato che è strettamente legato alla presenza di un sistema produttivo che utilizza (almeno nell’area dei distretti e in vasta parte del terziario) forza lavoro poco qualificata e a basso tasso di scolarizzazione.

38

2.3 La povertà monetaria • Gli indici di povertà La relazione fra la struttura demografica e sociale delle famiglie toscane e la disuguaglianza dei redditi trova un ulteriore arricchimento informativo nell’analisi dei profili di povertà.

Il calcolo della povertà viene comunemente effettuato stabilendo una opportuna soglia di riferimento e definendo povere tutte le famiglie -o tutti gli individui- il cui reddito è inferiore a tale valore. Le soglie impiegate in questo lavoro conducono a due distinte nozioni di povertà: una relativa, l’altra assoluta.

Nel primo caso (povertà relativa) abbiamo adottato la cosiddetta metodologia Eurostat, secondo cui sono considerati poveri tutti gli individui che possiedono un reddito familiare equivalente21 inferiore al 60% del valore mediano della distribuzione; conseguentemente, si è poveri se non si è in grado di accedere ad un tenore di vita simile a quello degli altri cittadini. Il concetto di povertà relativa fa cioè riferimento ad uno standard di vita medio e la povertà diventa parente prossima del concetto di disuguaglianza: tanto maggiore è questa ultima, tanto più probabile che sia elevata anche la prima.

Nel secondo caso (povertà assoluta), facendo riferimento alla normativa che regolava l’attribuzione del reddito minimo vitale (RMI) -l’istituto di contrasto alla povertà applicato in forma sperimentale fino al 2003 in alcuni comuni del nostro paese- sono stimati come poveri tutti gli individui monocomponenti il cui reddito mensile è inferiore ai 268 euro; il riproporzionamento a dimensioni familiari diverse è effettuato utilizzando la scala ISEE. Ne discende pertanto una definizione di povertà più prossima ad una condizione di indigenza; o almeno, alla condizione di indigenza stabilita dal Legislatore nel definire il target degli aventi dirit to al RMI.

La seguente tabella riporta le stime della diffusione della povertà relativa usando come soglia il 60% del reddito familiare equivalente relativo sia alle famiglie toscane che a quelle italiane.

Tabella 2.7 INDICI DI DIFFUSIONE POVERTÀ IN TOSCANA. REDDITI 2000

Famiglie povere Individui poveri Linea di povertà relativa Toscana 17% 17% Linea di povertà relativa Italia 7% 8% Linea di povertà assoluta 2% 1%

21

La scala di equivalenza impiegata è quella OCSE modificata.

39

Box 2.2 LA RELAZIONE ETÀ, GENERE E POVERTÀ In Italia il rischio povertà -sia esso assoluto che relativo- è più alto fra i giovani e le persone anziane: l’andamento della relazione fra le due grandezze è quello ti pico di una “U”: la percentuale dei poveri decresce cioè fino a 65 anni per poi risalire velocemente. In realtà tale dinamica è i mputabile quasi totalmente alla componente femminile: se ci li mitassimo ad osser vare gli indi vidui di sesso maschile il rischio di povertà sarebbe i nfat ti decrescente al crescere dell’età. La povertà è quindi un fenomeno più frequente fra i giovani. Ciò è tanto più ver o in Toscana, dove (Graff . 2.8 e 2.9) la percentual e di indi vidui poveri -in senso rel ati vo e soprattutto assoluto- di minuisce all’avanzare dell’età sia per le donne che per gli uomini.

In general e quindi l’affermazione “anziano uguale pover o” è, sic et si mpliciter, una asserzione carica di una enfasi eccessiva, che rischia di distogliere l’attenzione dalle categorie -come i pi ù giovani- che sperimentano condizioni economiche più difficili e che -rispetto agli anziani- beneficiano anche di una minore copertura di prestazioni assistenziali.

Grafico 2.8 QUOTA DI PERSONE POVERE IN SENSO RELATIVO. 2000

Per classi di età e genere in Toscana

Fonte: elaborazioni degli autori su dati ICVFT

Grafico 2.9 QUOTA DI PERSONE POVERE IN SENSO ASSOLUTO. 2000

Per classi di età e genere in Toscana

Fonte: elaborazioni degli autori su dati ICVFT

0

2

4

6

8

10

0-10 11-20 21-30 31-40 41-50 51-60 61-70 71-80 >80

Maschi Femmine TOTALE

0

6

12

18

24

30

0-10 11-20 21-30 31-40 41-50 51-60 61-70 71-80 >80

Maschi Femmine TOTALE

40

• I profili di povertà Dato che le stime della povertà relativa non misurano l’indigenza vera e propria, ma riguardano più un aspetto particolare della disuguaglianza, è forse più interessante studiare chi sono i poveri in senso relativo, piuttosto che conoscerne il numero.

La tabella 2.10 illustra le caratteristiche delle persone a rischio di povertà relativa in Toscana: nelle prime due colonne sono riportate l’incidenza (head count ratio) e l’intensità (income gap ratio) all’interno di ciascun gruppo, mentre l’ultima colonna descrive la composizione dei poveri. Così, leggendo la prima riga, si apprende -nella prima colonna- che sono poveri il 16% dei maschi toscani, che essi rappresentano -seconda colonna- il 45% di tutti i poveri presenti nella nostra regione, e che il loro reddito medio è del 30,1% più basso del livello che garantirebbe l’uscita dalla soglia di povertà.

Tabella 2.10 I PROFILI DELLA POVERTÀ RELATIVA. 2000

Headcount ratio Headcount ratio Income gap ratio Incidenza Composizione Intesità SESSO DEGLI INDIVIDUI Maschio 16% 45% 30.1%Donna 18% 55% 30.3%ETÀ DEGLI INDIVIDUI 0-17 24% 20% 33%18-35 19% 25% 35%36-50 16% 21% 34%51-65 13% 14% 25%>65 17% 20% 22%TITOLO STUDIO CAPOFAMIGLIA Lic. Elementare 22% 45% 29%Lic. Media inferiore 21% 33% 31%Diploma medio superiore 11% 18% 30%Laurea 8% 5% 34%DIMENSIONE FAMILIARE 1 componente 22% 10% 32%2 componente 15% 21% 26%3 componente 14% 23% 29%4 componente 17% 28% 31%5 componente 28% 18% 34%NUMERO PERCETTORI PER FAMIGLIA Nessun percettore 96% 5% 78%1 percettore 34% 57% 32%2 percettore 11% 31% 23%3 percettore 6% 6% 8%4 percettore 2% 1% 16%TIPOLOGIA FAMILIARE Single >65 23% 6% 25%Single <65 20% 3% 44%Coppia senza figli >65 18% 10% 19%Coppia senza figli <65 11% 6% 26%Monogenitore con figlio maggiorenne 46% 3% 41%Monogenitore con figlio minorenne 20% 5% 31%Coppia con 1 figlio minore 16% 15% 34%Coppia con 2 e più figli minori 27% 21% 34%Coppia con figli maggiorenni 13% 16% 29%Altra tipologia 14%

41

Tabella 2.10 segue

Headcount ratio Headcount ratio Income gap ratio Incidenza Composizione Intesità TIPOLOGIA ABITAZIONE Proprietà 10% 43% 21%Affitto 52% 48% 40%Altro 16% 9% 26%QUALIFICA CAPOFAMIGLIA Missing 19% 53% 30%Dirigente 3% 1% 40%Impiegato 7% 5% 17%Operaio 27% 26% 34%Lavoratorein proprio 23% 11% 27%Imprenditore e libero professionista 7% 4% 30%COND. PROF.LE DEL CAPOFAMIGLIA Occupato 15% 51% 32%Disoccupato 44% 4% 58%Pensionato 16% 35% 22%In condizione non professionale 35% 11% 41%

Fonte: elaborazioni degli autori su dati ICVFT

In generale, l’incidenza e l’intensità della povertà sono decrescenti

rispetto all’età ed al numero medio di percettori di reddito per famiglia, maggiori nelle famiglie composte da una sola persona o da 5 e più componenti, nei nuclei monoparentali e nelle coppie con due figli minori.

Rispetto al t itolo di studio del capofamiglia l’incidenza diminuisce al crescere del grado di scolarizzazione, ed anche la professione del capofamiglia influenza significativamente la probabilità di cadere in povertà, specie se si è operai. L’alta partecipazione al lavoro dei toscani determina poi una elevata concentrazione della povertà anche nelle famiglie con capofamiglia occupato. Determinante, infine, il t itolo di godimento dell’abitazione.

Se guardiamo alla composizione dei poveri, si osserva che in Toscana essi sono per il 55% dei casi donne, nel 25% dei casi hanno una età fra 18 e 35 anni, nel 45% hanno la licenza elementare, vivono in maggioranza in famiglie con un solo percettore (57%), con due figli minori (21%), in affitto (41%), con capofamiglia occupato (51%) come operaio (26%).

I profili che scontano la maggiore intensità della povertà riguardano i single con meno di 65 anni e i monogenitori con figli maggiorenni, i disoccupati, e anche chi vive in affitto e in famiglie in cui la persona di riferimento è laureata e dirigente. Si tratta, in questi ultimi due casi, di pochi individui che vivono in famiglie povere (basso tasso di incidenza), ma il cui reddito dista significativamente dalla soglia di povertà. • Le determinanti della povertà I risultati descritt ivi mostrati nella precedente tabella non consentono di valutare l’effetto netto delle singole caratteristiche demografiche e sociali sul rischio di povertà relativa. L’effetto colto dalla sola analisi descritt iva potrebbe infatti essere spurio, e quindi risentire della correlazione che caratterizza le variabili prese in esame: ad esempio, se un basso titolo di

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studio si associa -come frequentemente capita- ad uno stato di disoccupazione o a una bassa qualifica professionale, e caratterizza individui che appartengono a famiglie con un basso numero medio di percettori, l’incidenza della povertà sarà il risultato -medio- di tutti questi eventi. Una analisi più precisa delle determinanti della povertà economica richiede quindi l’adozione di un approccio analitico, che sia capace di separare gli effetti netti delle singole variabili. A tale scopo abbiamo impiegato una analisi di regressione per variabili qualitative.

La tabella 2.11 riporta la probabilità di appartenere ad una famiglia povera di un individuo maschio, sposato senza figli, di età compresa fra 40 e 50 anni, in possesso almeno di una licenza media inferiore, residente in una abitazione di proprietà, occupato come impiegato e appartenente ad una famiglia composta da un solo percettore di reddito.

Tabella 2.11 FATTORI DI RISCHIO DI POVERTÀ RELATIVA IN TOSCANA. 2000

Parametro Probabilità Effetto marginale

TIPOLOGIA FAMILIARE Coppia senza figli -0,8378 30% Single >65* -1,1895 12% -19% Single <65* -1,4716 9% -21% Coppia senza figli >65 -0,1462 27% -3% Monogenitore con minorenne* 0,8115 49% 19% Monogenitore con maggiorenne -0,2626 25% -5% Coppia con 1 minore* -0,2417 25% -5% Coppia con 2 minori* 0,845 50% 20% Coppia con figli maggiorenni -0,0309 30% -1% TIPOL. DI GODIMENTO DELL'ABITAZIONE Proprietà -0,8378 30% Affitto* 2,1368 79% 48% GENERE Maschio -0,8378 30% - Femmina* 0,1414 33% 3% ETÀ 40-50 -0,8378 30% 0-17* 0,336 33% 3% 18-29 0,182 38% 8% 30-40 0,188 34% 4% 50-65 -0,143 34% 4% 66-75 0,173 27% -3% >75 0,262 34% 4% TITOLO DI STUDIO Scuola dell’obbligo -0,8378 30% Media superiore* -0,859 15% -15% Laurea* -1,305 11% -20% NUMERO MEDIO DI PERCETTORI 1 percettore -0,8378 30% 0 percettori* -1,886 96% 66% 2 e più percettori* 3,972 15% -15% POSIZIONE PROFESSIONALE Impiegato -0,8378 30%

Dirigente* -1,283 11% -20% Operaio 0,091 32% 2% Lavoratore in proprio* 0,339 38% 8% Libero professionista e imprenditore* -0,898 15% -15%

* Effetti statisticamente significativi Fonte: elaborazioni degli autori su dati ICVFT

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Le stime indicano la variazione di questa probabilità, quando la variabile esplicativa (ad esempio titolo di studio) di volta in volta esaminata assume una diversa connotazione (da diploma inferiore a laurea), ferme restando tutte le altre condizioni.

I risultati ottenuti consentono di affermare che la povertà relativa colpisce con maggiore probabilità: - relativamente alle tipologie familiari, gli individui che vivono in nuclei

costituiti da monogenitori con figli minorenni e le coppie con due o più figli minorenni (la modalità di riferimento essendo la coppia senza figli con meno di 65 anni);

- relativamente alla tipologia di godimento dell’abitazione, i soggetti che vivono in affitto, la cui probabilità di cadere in uno stato di privazione relativa è del 48% superiore a quella delle famiglie che sono proprietarie della abitazione di residenza;

- relativamente alla condizione di genere, le famiglie con una donna come persona di riferimento; le donne hanno infatti una probabilità di essere relativamente povere pari al 33%, contro il 30% dell’analoga probabilità riferita agli uomini;

- relativamente all’età, i minorenni, il cui rischio povertà sopravanza del 3% quello dell’individuo di riferimento (di età compresa fra i 40 e i 50 anni);

- relativamente al t itolo di studio del capofamiglia e al numero medio di percettori per famiglia, ovviamente coloro che vivono in nuclei senza percettori e con basso grado di scolarizzazione. Le implicazioni di policy che possono essere tratte dall’analisi sono

quindi semplici: concentrare le risorse sulle famiglie con almeno due figli minori e sulle politiche abitative. Più in generale, però, la strada maestra per ridurre la povertà è quella di estendere la partecipazione degli individui al mercato del lavoro, innalzando così il numero medio di percettori per famiglia.

Le considerazioni espresse non cambiano -anzi sono rafforzate- se si esaminano i rischi di povertà assoluta (Tab. 2.12).

Tabella 2.12 FATTORI DI RISCHIO DI POVERTÀ ASSOLUTA IN TOSCANA. 2000

Parametro Probabilità Effetto marginale TIPOLOGIA FAMILIARE Coppia senza figli -5,4286 0,4%Single >65 1,07 1,3% 0,8% Single <65* -1,6893 0,1% -0,4% Coppia senza figli >65 0,637 0,8% 0,4% Monogenitore con minorenne* 1,6107 2,2% 1,7% Monogenitore con maggiorenne -0,1499 0,4% -0,1% Coppia con 1 minore -0,2686 0,3% -0,1% Coppia con 2 minori* 1,6926 2,3% 1,9% Coppia con figli maggiorenni 0,5948 0,8% 0,4% TIPOLOGIA DI GODIMENTO DELL'ABITAZIONE Proprietà -5,4286 0,4% Affitto* 3,6379 14,3% 13,9%

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Tabella 2.12 segue

Parametro Probabilità Effetto marginale GENERE Maschio -5,4286 0,4% - Femmina* 0,3553 0,6% 0,2% ETÀ 40-50 -0,8378 30% 0-17 -0,223 0,4% -0,1% 18-29 -0,0131 0,4% 0,0% 30-40 -0,315 0,3% -0,1% 50-65* -0,8781 0,2% -0,3% 66-75* -2,7334 0,0% -0,4% >75* -3,4997 0,0% -0,4% TITOLO DI STUDIO Scuola dell’obbligo -5,4286 0,4% Media superiore* -0,9228 0,2% -0,3% Laurea* -0,2836 0,3% -0,1% NUMERO MEDIO DI PERCETTORI 1 percettore -5,4286 0,4% 0 percettori* 6,8491 80,5% 80,1% 2 e più percettori* -2,3996 0,0% -0,4% POSIZIONE PROFESSIONALE Impiegato -5,4286 0,4% Dirigente 1,1181 1,3% 0,9% Operaio 0,4122 0,7% 0,2% Lavoratore in proprio 1,3459 1,7% 1,2% Libero professionista e imprenditore* -13,2394 0,0% -0,4%

* Effetti statisticamente significativi Fonte: elaborazioni degli autori su dati ICVFT

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3. LE MISURE DI PRIVAZIONE E HARDSHIP DELLE FAMIGLIE A BASSO REDDITO IN TOSCANA

3.1 Obiettivi e oggetto di analisi

Dopo aver descritto -nel precedente capitolo- la struttura distributiva dei redditi delle famiglie toscane e avere illustrato le tipologie familiari e gli individui maggiormente esposti al rischio di povertà relativa ed assoluta, in questa sezione del lavoro focalizziamo l’attenzione sul segmento delle famiglie a basso reddito per studiarne gli stili di vita, l’accesso ai consumi di base (beni alimentari, vestiario, ecc.) e ai principali sistemi di credito, la rete di relazioni sociali e le condizioni abitative. L’obiettivo è quello di capire come realmente vive -quali restrizioni e privazioni deve sopportare nelle scelte quotidiane legate alle abitudini di consumo- il sottoinsieme delle famiglie toscane a basso reddito.

L’unità di analisi è quindi rappresentata dalle famiglie posizionate nella coda sinistra della distribuzione dei redditi, mentre l’oggetto di analisi è costituito da ciò che il premio Nobel per l’economia A. Sen chiama funzionamenti: ovvero, l’insieme di cose che una persona può fare o essere e che concorrono a definire quello che comunemente viene definito standard di vita. A tale scopo, facendo seguito alla prima indagine sulle condizioni di vita delle famiglie toscane (ICVFT), abbiamo ordinato rispetto al reddito familiare le 2.625 famiglie campionarie intervistate nella primavera del 2002 e alle prime 496 (255.073 se riportate all’universo) -che rappresentano quindi i nuclei a basso reddito- è stato somministrato nel 2004 un nuovo questionario che, rispetto al precedente, contiene in aggiunta alla sezione relativa ai redditi una serie di domande sugli stili di vita. Più in particolare i fenomeni non monetari indagati sono quelli contenuti nelle seguenti sezioni del questionario:

Box 3.1 SEZIONI B.2.8-B.4.2 DEL QUESTIONARIO IN ALLEGATO

B2.8 Di quali dei seguenti servizi dispone l’abitazi one? (Per i servizi non posseduti chiedere se si ritengono necessari o meno)

SI NO NO (necessari) (non necessari) a) Impianto di riscaldamento � 1 � 2 � 3 b) Aria condizionata � 1 � 2 � 3 c) Acqua calda � 1 � 2 � 3 d) Un ser vizio igienico i nterno � 1 � 2 � 3 e) Due e pi ù ser vizi igienici � 1 � 2 � 3 f) Vasca da bagno o doccia � 1 � 2 � 3 g) Terrazza/giardino � 1 � 2 � 3 h) Posto auto o garage � 1 � 2 � 3 i) Telefono fisso � 1 � 2 � 3

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B2.9 L’abitazione presenta qualcuno dei seguenti i nconveni enti?

SI NO a) Spazio insufficiente � 1 � 2 b) Rumori � 1 � 2 c) Scarsa luminosità � 1 � 2 d) Riscaldamento i nadeguato � 1 � 2 e) Infiltrazioni d’acqua e/o umidità � 1 � 2 f) Infissi o pavi menti fatiscenti � 1 � 2 g) Difficoltà di accesso ai locali � 1 � 2

B2.10 Quali dei seguenti beni durevoli possiede la Sua/Vostra famiglia? (Per i beni non posseduti chiedere se si ritengono necessari o meno)

SI NO NO (necessari) (non necessari) a) Automobile/furgone � 1 � 2 � 3 b) Moto/Motociclo � 1 � 2 � 3 c) TV color � 1 � 2 � 3 d) Video registratore � 1 � 2 � 3 e) Parabola satellitare � 1 � 2 � 3 f) Forno a microonde � 1 � 2 � 3 g) Lavatrice � 1 � 2 � 3 h) Lavastoviglie � 1 � 2 � 3 i) Frigorifero � 1 � 2 � 3 l) Computer � 1 � 2 � 3 m) Accesso a internet � 1 � 2 � 3 n) Impianto HI-FI � 1 � 2 � 3 o) Telefono cellulare � 1 � 2 � 3 B3. STILI DI VITA

Vorremmo or a raccogliere alcune infor mazioni sulle abitudini di consumo della Sua/Vostra famiglia (Presentare all’intervistato il cartellino A)

B3.1 Cominciamo con l’alimentazione. Nella vostra famiglia consumate...

SI Vorremmo ma non NO possiamo per mettercelo non ci inter essa a) carne o pesce almeno a giorni alterni � 1 � 2 � 3 b) ver dure fresche tutti i giorni � 1 � 2 � 3 c) frutta fresca tut ti i giorni � 1 � 2 � 3 d) acqua mineral e tutti i giorni � 1 � 2 � 3 e) biscotti e dolci quasi tutti i giorni � 1 � 2 � 3 f) alimenti di marca tutti i giorni � 1 � 2 � 3

B3.2 Facendo riferi mento all’abbigliamento (Mostrare cartellino A)

SI Vorremmo ma non NO possiamo per mettercelo non ci inter essa a) I componenti adulti (>14 anni) acquistano capi nuovi di abbigliamento ogni anno � 1 � 2 � 3 b) I componenti adulti acquistano almeno due pai a di scarpe nuove all’anno � 1 � 2 � 3

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RILEVATORE: le domande c) e d) sono da sottoporre solo se in famiglia ci sono persone nate dopo il 1990 – vedi Foglio di Famiglia

c) Ai componenti giovani (<14 anni) acquistate capi nuovi di abbigliamento ogni anno � 1 � 2 � 3 d) Ai componenti giovani acquistate almeno due paia di scarpe nuove all’anno � 1 � 2 � 3

B3.3 Le el encherò ora alcuni comportamenti pi ù o meno diffusi tra le famiglie toscane. Per

ognuno di essi mi potrebbe dire se è un comportamento tipico anche della Sua/Vostra famiglia?

(Mostrare cartellino A)

SI Vorremmo ma non NO possiamo per mettercelo non ci inter essa a) In occasione del compleanno dei componenti della famiglia si fa una festa con regali � 1 � 2 � 3 b) Quando si è i nvitati ad una festa di amici o par enti, si portano regali? � 1 � 2 � 3 c) Almeno un componente della famiglia svolge atti vità sportiva a pagamento � 1 � 2 � 3 d) Si fanno almeno 15 giorni di vacanza non ospitati da qualcuno � 1 � 2 � 3 e) Si trascorrono alcuni fi ne setti mana fuori, non ospiti di qualcuno � 1 � 2 � 3 f) Si va a cena fuori al meno 2 volte al mese � 1 � 2 � 3 g) Si invitano amici/parenti a cena almeno due volte al mese � 1 � 2 � 3 B3.4 Di quali dei seguenti beni di consumo avres te bisogno in ques to momento? Se Si,

potete per metter vi di acquistarlo?

NO SI ma non possiamo SI e possi amo permettercelo permettercelo a) Un’automobile � 1 � 2 � 3 b) Computer � 1 � 2 � 3 c) Un letto � 1 � 2 � 3 d) Mobili � 1 � 2 � 3 e) Tappeti, tende � 1 � 2 � 3 f) Migliorie per la casa � 1 � 2 � 3

RILEVATORE: se in famiglia ci sono componenti minori di 14 anni (nati dopo il 1990) proseguire, altrimenti passare al quesito B3.6

B3.5 Parliamo ora di alcuni beni di consumo di cui possono aver e bisogno i bambini (minori

di 14 anni). Mi potete dire se in questo momento avete bisogno di .. ..? Se SI, potete permettervi di acquistarlo?

NO SI ma non possiamo SI e possi amo permettercelo permettercelo a) Vestiti � 1 � 2 � 3 b) Scarpe � 1 � 2 � 3 c) Un letto/letti no/seggiolone � 1 � 2 � 3 d) Una biciclet ta � 1 � 2 � 3 e) Attrezzatura sporti va � 1 � 2 � 3 f) Giocattoli � 1 � 2 � 3

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B3.6 Siete i n ritardo in qualcuna delle seguenti scadenze di pagamento?

SI NO a) Luce � 1 � 2 b) Gas � 1 � 2 c) Acqua � 1 � 2 d) Polizze assicurati ve � 1 � 2 e) Telefono � 1 � 2 f) Abbonamenti televisione � 1 � 2 g) Affitto/rata mutuo � 1 � 2

Proseguiamo con alcune domande sull’accesso al credito B3.7 Negli ultimi 12 mesi avete fat to uso dei seguenti sistemi di credito?

SI NO a) Un prelievo bancario con scoperto � 1 � 2 b) Un anticipo sullo sti pendio � 1 � 2 c) Un prestito da una banca o fi nanziaria � 1 � 2 d) Un pres tito da un parente o da un amico � 1 � 2 RILEVATORE: solo se hanno risposto SI ad almeno una delle modalità della B3.7 B3.8 Siete s tati i n grado di fa fronte alle scadenze di restituzioni previste?

SI Alcune SI, altre NO NO � 1 � 2 � 3

B4. RETI SOCIAL I

Parliamo ora dei vostri rapporti con parenti e amici.... B4.1 Negli ultimi 12 mesi la/e Vostra/e famiglia/e di origine o i Vostri figli non convi venti vi hanno aiutato...

SI NO a) a pagare bollette e/o affit to � 1 � 2 b) ad acquistare capi di abbigliamento � 1 � 2 c) a pagare le spese per vacanze/gite � 1 � 2 B4.2 Nell’ultimo anno avete ricevuto denaro i n regalo o in prestito da parenti o amici?

a) Regolarmente � 1 b) A volte � 2 c) Mai � 3

Dove possibile, le domande sono state poste in modo da dare agli

intervistati la possibilità di distinguere tra i beni e le abitudini di consumo e di vita che non appartengono alla famiglia perché non ritenuti necessari o desiderabili e quelle voci che invece rivelano la mancanza di consumi che sarebbero desiderati, ma non sono accessibili per mancanza di mezzi monetari. Aggiungendo una terza opzione (ad esempio: acquista carne o pesce a giorni alterni? non mi interessa) alle tradizionali modalità di risposta (sì oppure vorrei ma non possiamo permettercelo), si acquisisce

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indirettamente un’informazione sul grado di controllo e di percezione del comando che la famiglia ha sui consumi di prima necessità22.

La scelta di quelli che possono essere considerati consumi di prima necessità è stata disegnata a partire dagli standard internazionali di questionari predisposti alla misurazione del grado di difficoltà con cui le famiglie sentono di gestire i consumi e le attività di base23.

BOX 3.2 LA POVERTÀ COME FENOMENO MULTIDIMENSIONALE La povertà può essere definita secondo due di verse accezioni: o come mancanza di risorse monetarie sufficienti a garantire l’acquisto di un paniere minimo di beni e ser vizi, o come mancanza di un paniere mi nimo di beni e servizi indipendentemente dalle risorse disponibili.

Le due definizioni non sono necessariamente coi ncidenti. Infatti, a parità di reddito, possiamo tr ovare -ad esempio- una famiglia in cui il proprio stile di vita non viene percepito come povero, una che rileva delle difficoltà, nella forma di mancanza di accesso ad alcuni beni o ser vizi acquistabili sul mercato, ed una che invece vi ve in uno stato che può essere detto di pri vazione, ovvero una famiglia in cui le difficoltà super ano, in numero, una soglia che possiamo definire accettabile, e sulla qual e tor neremo tra br eve.

Le misure di reddito, per riassumere, spesso non arrivano a indicar e lo s tato patrimoni ale, l’ammontare del debito o anche l’accesso al credito che gli indi vidui possono usare per acquistare beni e ser vizi. Gli s tessi beni e ser vizi, inoltre, possono essere acquisiti i n forma di doni, possono essere scambiati sotto for ma di accordi di mutuo beneficio, cos ì come possono essere fruiti in quanto distribuiti da politiche pubbliche, come nel caso dell’istruzione obbligatoria e dell’assistenza sanitaria.

Dunque, nella misura in cui le famiglie possono soddisfare i pr opri bisogni primari non solo per mezzo del reddito, ma anche del proprio capital e, del credito e di for me di mercato alternative a quelle standard, la misura del reddito di viene un indicatore incompl eto, quando non distorto, della effetti va capacità delle famiglie di soddisfare le proprie necessità di base. Si pensi, come uno tra i tanti possibili esempi, al val ore monetario che le reti parentali possono costituire per una famiglia con figli piccoli. In questi casi, il tempo che i parenti, possono prestare alla cura dei bambini, in sostituzione o in parallel o ai ser vizi all’infanzia, ha al meno un equi val ente monetario nel costo di baby-sitting che dovrebbe altrimenti essere i mpiegato. Così, a parità di reddito, patrimonio e accesso al credito, la capacità di consumo può differire in modo rilevante tra una famiglia e un’altra.

Si potrebbe allor a argomentar e che la misura di reddito, utile in quanto garante di misurabilità e confrontabilità tra persone di verse, è solo da raffinare, e che basterebbe tradurre in termi ni monetari il valore implicito di beni e servizi non acquistati e tuttavia posseduti dalle famiglie. Perché questo non è vero? Perché la dislocazione geografica, la distanza dal posto di lavoro, le condizioni di salute, il grado di istruzi one, le età dei componenti della famiglia e la struttura della stessa rendono molto di versi i bisogni materiali degli individui e dei nucl ei familiari, facendo della povertà una realtà molto più compl essa della mancanza di un reddito superiore alla soglia detta di povertà.

Così, in una regione come la Toscana, dove l a povertà è quasi esclusi vamente relativa, e i redditi meno sper equati che in altr e regioni, una politica di aiuto alla povertà deve divenire più raf finata, e dunque più difficile. La pri ma difficoltà sta nell’acquisizione delle informazioni a

22 La selezione dei consumi “di prima necessità” permette di tralasciare problemi di confrontabilità che sorgono quando entrano in campo le preferenze individuali. Nonostante queste ultime non siano mai completamente evitabili, si può argomentare che, in ciascuna società, ci sia un nucleo di consumi di base diciamo standard e, in quanto tale, utilizzabile come termine di riferimento. 23 Si veda, ad esempio, la sezione M (Hardship) del BHPS (Britich Household Panel Study ), e le definizioni usate dal DWP (Department for Work and Pensions) britannico.

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cui stiamo alludendo: quali sono i problemi da affrontare? Quali e quante le famiglie da sostenere? Come capire, se è mai possibile, la differenza fra famiglie con uguali capacità monetarie, ma di verse capacità di condurre una vita dignitosa? Quali, tra queste, sono da considerarsi a rischio di esclusione social e? A ques te domande cerca di fornire una rispos ta questa parte del lavoro.

Le successive tabelle descrivono la numerosità delle famiglie

intervistate distinte per classi di età e condizione professionale della persona di riferimento, numero di figli, numero di componenti familiari e t ipologia familiare; le suddette caratteristiche sono state incrociate con il reddito familiare suddiviso in quattro classi: fino a 8.000 euro annui, da 8.000 euro a 13.000, da 13.000 a 20.000, oltre 20.000. L’indagine è svolta, lo ribadiamo, sulle famiglie a minore reddito della Toscana identificate in 255.000 nuclei familiari, 1.184 individui e 717 percettori di reddito.

È facile osservare la predominanza degli anziani, in termini assoluti e relativi, tra le famiglie intervistate. Questo dato, esplicito dove la disaggregazione è per classi di età, è anche latente nelle altre tabelle, poiché gli anziani costituiscono il gruppo più numeroso anche tra la popolazione non attiva, nelle famiglie monofamiliari e senza figli conviventi, e nelle altre categorie dominanti. Una tale evidenza riflette la composizione demografica della popolazione toscana che, come noto, è fortemente sbilanciata sulle classi di età più avanzate e non necessariamente, come vedremo, segnala un più elevato rischio di deprivazione per gli anziani.

Tabella 3.1 LE CARATTERISTICHE DEL CAMPIONE: CLASSI DI ETÀ, DI REDDITO E CONDIZIONE

PROFESSIONALE DELLA PERSONA DI RIFERIMENTO. 2004

Classe di reddito Frequenze % di colonna

Classe di età Condizione professionale

% di riga % sul tot. famiglie toscane

Fino a 30 anni

Da 31 a 45

Da 46 a 65

Oltre 66 Occupato Disoccupato Non attivo

TOTALE

912 10.318 10.813 46.487 9.795 4.480 54.25516 20 18 34 12 77 321 15 16 68 14 7 79

Fino a 8.000 euro

0,07 0,75 0,78 3,37 0,71 0,33 3,94

68.531

2.512 17.180 15.462 45.674 23.716 923 56.18943 34 25 33 30 16 333 21 19 57 29 1 70Da 8.000 a 13.000

0,18 1,25 1,12 3,31 1,72 0.07 4,08

80.828

1.944 17.300 13.892 30.046 24.952 443 37.78633 34 23 22 31 8 223 27 22 48 39 1 60

Da 13.000 a 20.000

0.14 1,26 1,01 ,18 1,81 0,03 2,74

63.181

435 5.983 20.622 15.493 20.749 . 21.7837 12 34 11 26 . 131 14 48 36 49 . 51

Oltre 20.000 euro

0,03 0,43 1,50 1,12 1,51 . 1,58

42.533

TOTALE 5.803 50.781 60.789 137.700 79.212 5.847 170.013 255.073Fonte: elaborazione degli autori su dati ICVFT

51

Tabella 3.2 CARATTERISTICHE DEL CAMPIONE: CLASSI DI REDDITO, NUMERO DI COMPONENTI

E TIPOLOGIA FAMILIARE. 2004

Classe di reddito Numero di figli Numero di componenti Tipologia familiare Frequenze % di colonna % di riga % sul tot. Famiglie toscane

0 1 2+ 1 2 3 4+ single >65

Single <65

coppia monogenit.

coppia + figli

altroTOTALE

55.021 8.210 5.30146.012 12.309 6.969 3.241 35.351 7.156 11.556 1.962 7.822 4.68437 15 11 59 16 13 7 62 45 16 38 10 1880 12 8 67 18 10 5 52 10 17 3 11 7

Fino a 8.000 euro

3,99 0,60 0,38 3,34 0,89 0,51 0,24 2,57 0,52 0,84 0,14 0,57 0,34

68.531

56.877 14.074 9.87725.655 34.421 11.837 8.916 18.816 5.685 31.478 1.023 17.489 6.33738 25 20 33 45 23 18 33 36 44 20 22 2470 17 12 32 43 15 11 23 7 39 1 22 8

Da 8.000 a 13.000

4,13 1,02 0,72 1,86 2,50 0,86 0,65 1,37 0,41 2,28 0,07 1,27 0,46

80.828

31.257 15.449 16.475 5.034 24.133 17.345 16.669 2.394 2.640 24.250 1.373 26.454 6.07121 28 33 6 31 33 34 4 17 34 27 33 2349 24 26 8 38 27 26 4 4 38 2 42 10

Da 13.000 a 20.000

2.27 1.12 1.20 0.37 1.75 1.26 1.21 0.17 0.19 1.76 0.10 1.92 0.44

63.181

6.161 17.809 18.562 834 5.827 16.024 19.848 399 435 4.441 806 27.522 8.9314 32 37 1 8 31 41 1 3 6 16 35 34

14 42 44 2 14 38 47 1 1 10 2 65 21Oltre 20.000 euro

0,45 1,29 1,35 0,06 0,42 1,16 1,44 0,03 0,03 0,32 0,06 2,00 0,65

42.533

TOTALE 149.316 55.543 50.21477.534 76.689 52.175 48.674 56.960 15.916 71.725 5.163 79.286 26.022 255.073Fonte: elaborazioni degli autori su dati ICVFT

3.2 Le principali privazioni delle famiglie a basso reddito in Toscana

Descritte le principali caratteristiche delle famiglie a basso reddito oggetto della nostra rilevazione, volgiamo un primo sguardo -con riferimento agli aspetti di privazione indagati e descritt i nel Box 3.1- alla distribuzione delle risposte “vorrei, ma non posso permettermelo”.

Si osserva così (Tab. 3.3) che l’acquisto di beni alimentari è un problema per il 9% degli intervistati che risponde di non poter sostenere la spesa necessaria a consumare carne o pesce a giorni alterni, mentre poco più del 6% rivela difficoltà nell’acquisto di verdura e frutta fresca. Più alta (16%) la frequenza con cui è dichiarata l’incapacità di acquistare beni alimentari di marca, e ancor più elevata (20%) la quota di persone che non riescono a sostenere la spesa necessaria al rinnovo dell’abbigliamento.

Tra le attività sociali e di svago è alta la percentuale (37%) di famiglie che non possono sostenere la spesa per quindici giorni di vacanza annuale. Questo dato è pressoché uniformemente distribuito sulle varie classi di red-dito (come ad indicare un reddito minimo essenziale per sostenere 15 gior-ni di vacanza), sulla numerosità del nucleo familiare e sulle classi di età.

52

Tabella 3.3 FREQUENZE DELLA RISPOSTA “VORREI, MA NON POSSO PERMETTERMELO”. 2004

% su tot. famiglie intervistate

Valori assoluti (migliaia)

15 giorni di vacanza 37,3 95Week-end trascorsi fuori casa non ospiti di amici o parenti 32,2 822 cene fuori al mese 29,3 75Bisogno di migliorie x casa 23,3 59Acquisto capi abbigliamento adulti 21,3 54Acquisto 2 paia scarpe adulti 20,8 53Consumo alimenti di marca 16,1 41Bisogno di auto 14,1 36Bisogno di mobili 9,8 252 inviti a parenti al mese 9,6 25Bisogno di computer 9,1 23Consumo di carne o pesce a giorni alterni 8,9 23Regali a parenti e amici 7,4 19

Fonte: elaborazioni degli autori su dati ICVFT

Le percentuali appena descritte, occorre sottolinearlo, non si riferiscono

al complesso delle famiglie toscane, bensì al sottoinsieme di quelle a basso reddito che costituiscono il nostro gruppo di riferimento. È allora più inte-ressante concentrare l’attenzione, piuttosto che sulla numerosità delle fami-glie che sperimentano una o più privazioni nelle scelte di consumo, sulla tipologia delle privazioni più frequenti e sulle caratteristiche demografiche e sociali che espongono ad un maggior rischio di deprivazione. Con riferi-mento al primo aspetto, si osserva come siano naturalmente più probabili i casi di insoddisfazione legati ai bisogni meno urgenti, come quelli connessi al tempo libero (vacanze, cene al ristorante, viaggi nei week-end) o alle migliorie della casa, mentre più contenuti sono i casi di insoddisfazione dei bisogni primari (consumi alimentari, abbigliamento, ecc.).

Relativamente invece all’impatto dei fattori socio demografici sul rischio di deprivazione si riscontrano differenze sufficientemente significative per classi di età (Graf. 3.4) della persona di riferimento: i più giovani sostengono con maggiori difficoltà le spese legate alla abitazione e all’acquisto di beni a tecnologia più avanzata, mentre i più anziani fronteggiano vincoli maggiori nel consumo, a giorni alterni, di alcuni beni alimentari. Non molto dissimili invece le privazioni per condizione professionale della persona di riferimento. In questo caso è importante considerare il costo di produzione del reddito: l’attività lavorativa comporta costi che i disoccupati e la popolazione inattiva non sostengono e che, a bassi livelli di reddito, rendono meno diversa la condizione di un occupato da quella di un disoccupato. Queste voci di costo si distinguono in costi diretti e costi indiretti. T ra i costi diretti ci sono quelli di trasporto verso e dal lavoro, il costo di formazione e aggiornamento, il costo degli strumenti di lavoro che, oltre alle attrezzature specifiche per categorie di lavoro, arrivano a includere l’abbigliamento necessario per presentarsi ogni giorno in un posto di lavoro. Sotto la voce dei costi indiretti sono invece da considerarsi i costi opportunità, ovvero i costi dovuti alla sovrapposizione fra tempo di lavoro e tempo di attività di produzione domestica.

53

Grafico 3.4 DISTRIBUZIONE DELLA RISPOSTA “VORREI, MA NON POSSO PERMETTERMELO”

PER CLASSI D’ETÀ. 2004

Fonte: elaborazioni degli autori su dati ICVFT

Grafico 3.5 DISTRIBUZIONE DELLA RISPOSTA “VORREI, MA NON POSSO PERMETTERMELO”

PER CONDIZONE PROFESSIONALE. 2004

Fonte: elaborazioni degli autori su dati ICVFT

0 5 10 15 20 25 30 35 40

Consumo di carne

Consumo alimenti di marca

Acquisto capi abbigliamento adulti

Acquisto 2 paia scarpe adulti

Festa di compleanno con regali

15 gg di vacanza

Week-end

2 cene fuori al mese

2 inviti a parenti al mese

Bisogno di auto

Bisogno di pc

Bisogno di mobili

Bisogno di miglior ie x casa

Fino a 30 anni

Da 31 a 45

Da 46 a 65

Oltre 66

0 5 10 15 20 25 30 35 40

Consumo di carne

Consumo alimenti di marca

Acquisto capi abbigliamento adulti

Acquisto 2 paia scarpe adulti

Festa di compleanno con regali

15 gg di vacanza

Week-end

2 cene fuori al mese

2 inviti a parenti al mese

Bisogno di auto

Bisogno di pc

Bisogno di mobili

Bisogno di migliorie x casa

Occupato

D isoccupato

N on attivo

54

Così, ad esempio, una famiglia in cui gli adulti lavorano a tempo pieno si troverà facilmente a dover pagare qualcuno per prendere i figli a scuola, per accudire gli anziani, per far fronte alle attività di amministrazione e conduzione dell’abitazione e delle attività dei componenti della famiglia. Tra i costi indiretti c‘è anche il mancato risparmio sulle spese e sulle attività appena descritte: ad esempio, c’è bisogno di tempo per acquisire informazioni e direzionare i propri consumi dove i prezzi sono più vantaggiosi. Tutto questo conduce, per livelli bassi di reddito, ad un tendenziale allineamento dei rischi di privazione degli occupati e dei disoccupati.

I nuclei familiari più numerosi beneficiano invece di economie di scala sui consumi alimentari e di abbigliamento, ma non sul tempo libero (una cena fuori o una vacanza per più persone è più costosa). Nel primo caso, infatti, si tratta di voci di spesa con una forte componente fissa (ad esempio, semplificando un po’, un forno acceso cuoce una cena per due come per quattro persone, così come i capi di abbigliamento possono essere usati da più figli), mentre nel secondo caso a prevalere è la quota variabile della spesa, cioè quella legata al numero dei componenti (andare in vacanza è meno costoso per due che per quattro persone).

Grafico 3.6 DISTRIBUZIONE DELLA RISPOSTA “VORREI, MA NON POSSO PERMETTERMELO” PER NUMERO

DEI COMPONENTI DEL NUCLEO FAMILIARE. 2004

Fonte: elaborazioni degli autori su dati ICVFT

Eccetto che per le spese alimentari e di vestiario, non si riscontrano

rilevanti differenze nei gradi di privazione se si raggruppano le famiglie intervistate in classi di reddito (Graf. 3.7), mentre se guardiamo alle tipologie familiari si osservano in molti casi le maggiori difficoltà delle coppie con figli.

0 5 10 15 20 25 30 35 40

Consumo di carne

Consumo alimenti di marca

Acquisto capi abbigliamento adulti

Acquisto 2 paia scarpe adulti

Festa di compleanno con regali

15 gg di vacanza

Week-end

2 cene fuori al mese

2 inviti a parenti al mese

Bisogno di auto

Bisogno di pc

Bisogno di mobili

Bisogno di miglior ie x casa

1 2 3 4+

55

Grafico 3.7

DISTRIBUZIONE DELLA RISPOSTA “VORREI, MA NON POSSO PERMETTERMELO” PER CLASSI DI REDDITO. 2004

Fonte: elaborazione degli autori su dati ICVFT

Grafico 3.8 DISTRIBUZIONE DELLA RISPOSTA “VORREI, MA NON POSSO PERMETTERMELO”

PER TIPOLOGIA FAMILIARE. 2004

Fonte: elaborazione degli autori su dati ICVFT

0 5 10 15 20 25 30 35 40

Consumo di carne

Consumo alimenti di marca

Acquisto capi abbigliamento adulti

Acquisto 2 paia scarpe adulti

Festa di compleanno con regali

15 gg di vacanza

Week-end

2 cene fuori al mese

2 inviti a parenti al mese

Bisogno di auto

Bisogno di pc

Bisogno di mobili

Bisogno di migliorie x casa

Fino a 8.000 euro

Da 8.000 a 13.000

Da 13.000 a 20.000

Oltre 20.000 euro

0 5 10 15 20 25 30 35 40

Consumo di carne

Consumo alimenti di marca

Acquisto capi abbigliamento adulti

Acquisto 2 paia scarpe adulti

Festa di compleanno con regali

15 gg di vacanza

Week-end

2 cene fuori al mese

2 inviti a parenti al mese

Bisogno di auto

Bisogno di pc

Bisogno di mobili

Bisogno di miglior ie x casa Single > 65Single < 65CoppiaMonogenitore

Coppia + figliAltro

56

3.3 Il ricorso al credito e le reti sociali Un quarto degli intervistati (circa 64 mila famiglie) ha fatto ricorso ad un prestito di denaro negli ultimi dodici mesi, mentre poco meno di un quinto (43 mila famiglie) ha beneficiato dell’aiuto di parenti o amici per pagare alcune spese ordinarie o straordinarie. Il grafico 3.9 mostra le principali destinazioni dei prestit i ottenuti dai familiari ed il grafico 3.10 le voci su cui si accumulano i ritardi di pagamento.

Grafico 3.9 DESTINAZIONE DEGLI AIUTI DALLA FAMIGLIA. 2004

Fonte: elaborazione degli autori su dati ICVFT

Grafico 3.10 SU QUALI VOCI SI CONCENTRANO I RITARDI DI PAGAMENTO. 2004

Gas22%

Acqua20%

Polizze assicurative

5%

Telefono17%

Luce16%

Affitto/rata mutuo12%Tv

8%

Fonte: elaborazione degli autori su dati ICVFT

2.930

27.077

12.938

0

6.000

12.000

18.000

24.000

30.000

Bollette e/o affitto Acquistare vestiti Pagare vaganze

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Le seguenti tabelle riassumono invece i dati sul ricorso al credito. La prima colonna sovrastima il numero di famiglie in debito perché registra il numero di volte in cui un debito è stato contratto, il che può avvenire più di una volta per una stessa famiglia. In termini percentuali, stando a quanto ci mostrano questi dati, le necessità di ricorrere ad aiuti in denaro sono contenute.

Tabella 3.11 RICHIESTE DI CREDITO PER TIPOLOGIE FAMILIARI. 2004

Numero di richieste di

credito

Far fronte alle scadenze % su tot. famiglie intervistate

Far fronte alle scadenze % su tot. famiglie toscane

Frequenza SI Alcune sì,

alcune noNO SI Alcune si,

alcune noNO

CLASSI DI ETÀ Fino a 30 anni 897 0,4 0,07 Da 31 a 45 22.752 6,2 0,9 1,0 1,16 0,16 0,19Da 46 a 65 18.627 6,4 0,6 0,4 1,18 0,12 0,07Oltre 66 8.202 3,2 0,4 0,2 0,59 0,08 0,03CONDIZIONE OCCUPAZIONALE Occupato 34.076 10,1 1,0 1,0 1,87 0,19 0,19 Disoccupato 897 0,2 0,0 0,4 0,03 0,00 0,07 Non attivo 15.506 5,9 0,9 0,2 1,09 0,16 0,03 CLASSI DI REDDITO Fino a 8.000 euro 8.716 2,4 1,3 0,7 0,45 0,23 0,14 Da 8.000 a 13.000 13.909 3,9 0,2 0,4 0,73 0,04 0,07 Da 13.000 a 20.000 18.002 6,4 0,1 0,5 1,19 0,02 0,08 Oltre 20.000 euro 9.851 3,3 0,4 0,0 0,62 0,06 0,00

N° DEL NUCLEO FAMILIARE 1 5.669 1,9 0,4 0,3 0,35 0,08 0,05 2 12.760 3,5 0,5 0,6 0,64 0,09 0,11 3 15.509 5,2 0,4 0,2 0,96 0,07 0,03 4+ 16.541 5,6 0,6 0,5 1,04 0,11 0,09 TIPOLOGIA FAMILIARE Single > 65 2.041 1,0 0,4 0,0 0,18 0,08 0,00 Single < 65 3.628 0,9 0,0 0,3 0,17 0,00 0,05 Coppia 8.145 2,2 0,3 0,6 0,42 0,05 0,11 Monogenitore 1.329 0,3 0,1 0,0 0,05 0,02 0,00 Coppia + figli 27.815 9,4 0,7 0,5 1,74 0,13 0,08 Altro 7.520 2,3 0,4 0,2 0,43 0,08 0,04 TOTALE 50.479 16,1 1,9 1,5 3,0 0,4 0,3

Fonte: elabor azione degli autori su dati ICVFT

Tra coloro che fanno ricorso ad una qualche forma di credito ci sono

soprattutto famiglie con genitori giovani e con figli, ma occupati, con redditi bassi ma non bassissimi: come ad indicare che i debiti, anche quelli informali, vengono contratti da chi può, anche se faticosamente, restituirli.

Osservando questi dati trova conferma ciò che è noto ma che crediamo valga la pena di sottolineare: a redditi bassi in termini assoluti sembra che non siano neppure rilevabili necessità e bisogni, come se le persone cominciassero a percepire le cose di cui hanno bisogno solo quando hanno soddisfatto le necessità più fondamentali. C’è una discontinuità, in altri termini, tra la condizione di povertà assoluta e quella di povertà relativa. Se la seconda è importante in quanto più diffusa, la prima è importante perché

58

nasconde realtà che sono sicura fonte di esclusione sociale e presupposto per una condizione in cui è difficile parlare di possibilità di condurre una vita che possa dirsi umana, ancor prima che sociale. Questa osservazione ci costringe a prendere atto che ha senso parlare di preferenze solo a partire da un livello di reddito che consenta possibilità di scelta concrete e non in potenza. Non possiamo parlare di preferenze, invece, quando la scelta non è possibile perché non c’è un reddito che la rende agibile. Questa osservazione trova conferma anche nell’analisi dei livelli di hardship, che discutiamo nel prossimo paragrafo. 3.4 La costruzione di una misura sintetica di privazione Procediamo ora a sintetizzare le diverse e molteplici dimensioni in cui si può manifestare uno stato di privazione facendo ricorso a due distinte, sebbene simili, misure di povertà non monetaria. La prima misura è diffusamente utilizzata dai governi dei paesi anglosassoni per la definizione delle politiche sociali e delle relative regole di eleggibilità (…chi ha diritto alla tutela pubblica?) e di assegnazione (…quanto esteso deve essere l’intervento pubblico?); la seconda, relativamente nuova nella letteratura teorica e dunque ancora poco utilizzata, consente di ottenere una indicazione relativa del disagio sociale che si richiama -più esplicitamente della precedente misura- alla teoria dei funzionamenti di Sen. Vediamone una per volta. • Difficoltà o assenza di comando (hardship) La prima misura di povertà non monetaria consiste quindi nella rilevazione di quella che nella letteratura anglosassone è chiamata hardship, e alla quale ci riferiremo in termini di difficoltà o assenza di comando. Il metodo consiste nella selezione di un certo numero di items che concorrono a definire quello che tradizionalmente è considerato il tenore di vita di una persona. Pertanto la selezione degli argomenti è necessariamente variabile nel tempo e nello spazio ed è anche diversa fra paesi industrializzati: non esiste cioè una lista standard e invariabile di voci a cui richiamarsi e non è un caso pertanto che si possano registrare differenze anche marcate tra i questionari utilizzati dai dipartimenti ministeriali per le politiche sociali europei, australiani e statunitensi, e le misurazioni che ne derivano. Volendo però trarre delle linee comuni alle rilevazioni condotte nei paesi industrializzati, possiamo osservare che la rilevazione avviene comunemente su quattro voci che sono: spese per beni alimentari, spese per articoli di abbigliamento, possesso di beni durevoli, spese per tempo libero e attività sociali.

Nel nostro caso gli items usati sono quelli del Box 3.1 in cui agli intervistati è stata data la possibilità di rispondere alle singole domande in tre modi: si; no, non mi interessa; no, non posso permettermelo. Successivamente per ogni famiglia sono contate le volte in cui compare

59

questa terza risposta al fine di graduare il livello di povertà non monetaria. La classifica che qui adottiamo suddivide la misura in tre livelli: hardship nullo se la terza risposta non compare mai, hardship media se la risposta vorrei ma non posso compare almeno tre volte, hardship grave se compare più di tre volte.

Così operando, si osserva come siano caratterizzate da un livello di hardship nullo, medio e grave rispettivamente il 26%, il 65% ed il 10% delle famiglie toscane a basso reddito.

Tabella 3.12 LIVELLI DI HARDSHIP DELLE FAMIGLIE A BASSO REDDITO. 2004

Numero di famiglie % su tot. famiglie intervistate Nullo 65.294 25,6Medio 164.942 64,7Grave 24.836 9,7

Fonte: elabor azione degli autori su dati ICVFT

Se classifichiamo (Graf. 3.13) le nostre famiglie a basso reddito in

quattro gruppi (fino a 8.000 euro, da 8.000 a 13.000, da 13.000 a 20.000, oltre 20.000) si rileva come la quota di famiglie caratterizzate dalla situazione di hardship più grave sia decrescente al crescere del reddito: se poniamo uguale a 100 il numero di famiglie con difficoltà media, 40 sono collocate nella classe di reddito più bassa, 33 nella seconda, 22 nella terza e 5 nella quarta, ovvero la classe di reddito più elevata tra le famiglie intervistate.

Grafico 3.13 GRADI DI HARDSHIP COMPLESSIVO. 2004

100 = ogni singolo grado di hardship

0

10

20

30

40

50

F ino a 8.000 eur o Da 8.000 a 13.000 Da 13.000 a 20.000 Oltre 20.000 euro

hardship nul lo har dship medio hardship grave

Fonte: elabor azione degli autori su dati ICVFT

Tuttavia la percentuale di nuclei connotati dalla assenza di hardship non

è concentrata esclusivamente nella ultima classe di reddito, ma è quasi uniformemente distribuita indipendentemente dal livello di benessere

60

economico della famiglia: in questo caso se poniamo uguale a cento il numero di famiglie con hardship nulla, 21 sono posizionate nella fascia più bassa di reddito, 31 nella seconda, 26 nella terza ed infine 20 nella fascia più alta.

Le stesse considerazioni si traggono anche se ripetiamo l’analisi sulle singole sezioni del questionario, che per semplicità possono essere così distinte: condizioni abitative; abitudini di consumo e stili di vita; scadenze di pagamento legate ai consumi di acqua, luce, gas, telefono, televisione, affitto rata e mutuo (Graff. 3.14-3.16).

Grafico 3.14 GRADI DI HARDSHIP SU STILI DI VITA. 2004

100 = ogni singolo grado di hardship

0

8

16

24

32

40

Fino a 8.000 euro Da 8.000 a 13.000 Da 13.000 a 20.000 Oltre 20.000 euro

hardship nullo hardship medio hardship grave

Fonte: elaborazione degli autori su dati ICVFT

Grafico 3.15 GRADI DI HARDSHIP SU CONDIZIONI ABITATIVE. 2004

100 = ogni singolo grado di hardship

Fonte: elaborazione degli autori su dati ICVFT

0

10

20

30

40

50

Fno a 8.000 euro Da 8.000 a 13.000 Da 13.000 a 20.000 Oltre 20.000 euro

"hardship nullo" "hardship medio" "hardship grave"

61

Grafico 3.16 GRADI DI HARDSHIP SU SCADENZE DI PAGAMENTO. 2004

100 = ogni singolo grado di hardship

0

10

20

30

40

50

Fino a 8.000 euro Da 8.000 a 13.000 Da 13.000 a 2.000 Oltre 20.000 euro

"hardship nullo" "hardship medio" "hardship grave"

Fonte: elaborazione degli autori su dati ICVFT

La misura di hardship ha il pregio di essere semplice e di individuare in

modo molto diretto il grado di gravità della povertà, le categorie di famiglie da aiutare, i settori a cui dare priorità di attenzione. Per usarla in modo corretto, però, è necessario conoscerne i limiti ed in particolare non dimenticare che non esiste una misura unica e standard di hardship. Di volta in volta il ricercatore deve definire le voci di consumo rilevanti per l’economia di cui si sta occupando e stabilire, in base alla qualità dei funzionamenti su cui fonda la rilevazione, quali siano le soglie utili a distinguere e ordinare le situazioni di difficoltà. È quindi una misura che dipende dai dati a disposizione e che ha una forte componente soggettiva. Alcuni autori prediligono l’uso di tecniche statistiche, come l’analisi fattoriale o la cluster analysis, che permettono di eliminare parte della relatività e soggettività della misura. Poiché, comunque, il grado maggiore di soggettività sta nella predisposizione del questionario e dunque nella scelta delle voci di consumo su cui definire la difficoltà, o hardship, abbiamo scelto di fare uso della misura nella sua definizione soggettiva.

• Hardship e caratteristiche demografiche e sociali delle famiglie Assumiamo come riferimento un uomo in età compresa tra i 35 e i 45 anni, occupato, con un alto titolo di studio, sposato senza figli e residente in una casa di proprietà. Per tale soggetto la probabilità di avere hardship nulla è del 35%, la probabilità associata allo stato di hardship media è pari al 54%, mentre la probabilità di incorrere in uno stato di hardship grave è pari all’11% (Tab. 3.17). Tali dati sono il risultato di una stima logistica e multinomiale, usata per rintracciare le caratteristiche individuali che, in media, costituiscono un fattore positivo o negativo di rischio di privazione.

La prima riga della tabella 3.17 è riferita al soggetto di riferimento o intercetta; ogni altra riga della tabella consente una lettura intrapersonale, se letta orizzontalmente, oppure interpersonale, se letta verticalmente. In questo secondo caso ogni riga ci dice come si distribuisce la probabilità di cadere in una delle tre classi di hardship per una persona che abbia una sola caratteristica diversa dall’individuo di riferimento.

62

Tabella 3.17 HARDSHIP E CARATTERISTICHE INDIVIDUALI. 2004

TOTALE Hardship

nulloHardship

medioHardship

graveHardship

nulloHardship

medioHardship

grave

Probabilità Differenze di probabilità rispetto all’individuo tipo

Individuo di riferimento 0,35 0,54 0,11Femmina 0,30 0,67 0,03 -0,06 0,14 -0,08Single> 65 anni 0,30 0,47 0,23 -0,05 -0,07 0,12Single< 65 anni 0,63 0,28 0,09 0,28 -0,25 -0,02Coppia con figli 0,39 0,55 0,06 0,04 0,01 -0,05Monogenitore 0,37 0,57 0,05 0,02 0,04 -0,06Altra tipologia familiare 0,41 0,49 0,10 0,05 -0,04 -0,01Affitto 0,23 0,54 0,22 -0,12 0,01 0,11Fino a 35 anni 0,51 0,46 0,03 0,16 -0,08 -0,08Da 45a 65 anni 0,58 0,40 0,02 0,23 -0,14 -0,09Over 65 0,75 0,25 0,00 0,39 -0,29 -0,11Licenza elementare 0,13 0,85 0,02 -0,23 0,32 -0,09Licenza media inferiore 0,11 0,83 0,05 -0,24 0,30 -0,06Diploma scuola media superiore 0,19 0,78 0,03 -0,16 0,24 -0,08Disoccupato 0,00 0,28 0,72 -0,35 -0,26 0,61Non appartenente a forza di lavoro 0,49 0,36 0,14 0,14 -0,17 0,03

Fonte: elaborazione degli autori su dati ICVFT

Così si può osservare che ad essere più frequentemente soggetti ad una

condizione di hardship grave sono i single ultra 65 enni, chi vive in affitto, è disoccupato o non appartiene alle forze di lavoro. Meno netta la relazione con le altre caratteristiche: ad esempio, se si è donna diventa più improbabile (-6%) la situazione migliore (hardship nullo), ma anche (-8%) quella peggiore (hardship grave), mentre diviene più probabile (-14%) sperimentare livelli di hardship medi. Analogamente, il rischio di cadere nella categoria di coloro che stanno relativamente peggio (hardship grave) è più alto se si possiede la laurea, ma al tempo stesso è maggiore anche la possibilità di stare bene (hardship nullo). • Le misure di privazione La misura di privazione qui proposta si richiama all’approccio di Bossert, D’Ambrosio e Peragine (2005). Si tratta di un indicatore di esclusione sociale in accordo al quale la privazione è interpretata come mancanza di alcuni funzionamenti à la Sen; l’indicatore ha natura relativa in quanto è calcolato sulla base della posizione di ogni famiglia -ad esempio in termine di accesso ai consumi di prima necessità, alle abitudini di consumo che qualificano gli stili di vita prevalenti, ecc.- rispetto ad ogni altra famiglia. La misura individuale è poi aggregabile in modo da rendere una stima del grado di privazione presente nella società. L’analisi è svolta sugli stessi indicatori della sezione precedente.

63

Box 3.3 L’INDICE DI PRIVAZIONE

L’indice i ndi viduale di pri vazione di Bossert, D’Ambrosio e Peragine (2005) è definito come:

( )

( )∑

= −

qBj ij

qi

q2

N

qBD ii α

dove α è un numero positivo, posto uguale ad uno nel calcolo da noi effettuato, (Bi(q)) è l’insieme delle persone che stanno meglio dell’individuo i, N è la popolazione, q il vettore dei mancati funzionamenti. Il primo termine del prodotto è un multiplo del rapporto fra coloro che stanno meglio dell’individuo i e l’intera popolazione. Il secondo è la media delle differenze tra i mancati funzionamenti dell’individuo i e quelli di chi sta meglio di i.

In termini intuitivi si tratta di pesare il numero di mancati funzionamenti di un soggetto con la proporzione di persone che stanno meglio di lui. Così, se l’insieme Bi(q) è vuoto l’indice ha valore zero, il che costituisce il limite inferiore , mentre non è ancora dimostrata l’esistenza di un valore massimo. La privazione è tanto mag-giore quanto maggiore il numero di mancati funzionamenti rispetto agli altri e più severa all’aumentare della proporzione di persone che stanno meglio di colui su cui l’indice è calcolato. Il passaggio dalla misura individuale a quella aggregata per la popolazione di riferimento può essere fatto per mezzo della media aritmetica.

Il calcolo dell’indice di privazione sui dati della rilevazione 2004 è

riassunto dalle tabelle e i grafici che seguono. La proporzione di coloro che non sono soggetti ad alcuna privazione è naturalmente identica a quella di coloro che hanno hardship nullo (se la privazione non c’è in termini assoluti non c’è neppure in termini relativi). I valori dell’indice crescono poi abbastanza velocemente e superano il valore 1 dopo il 65% della popolazione. Il valore 1 indica la prevalenza del numero di privazioni relative sul numero di persone che stanno meglio o, altrimenti detto, indica che chi sta meglio dell’individuo i ha molte meno privazioni. Il primo termine dell’indice, infatti, indica quanti soggetti stanno meglio di i, mentre il secondo termine indica quanto gli altri stanno meglio di i, in termini di funzionamenti. Quando l’indice supera il valore uno, dunque, sono le dimensioni della privazione a crescere.

Tabella 3.18 VALORI DELL’INDICE DI PRIVAZIONE. 2004

Valore indice Frequenze Cumulata Valore indice Frequenze Cumulata

0,00 25,60 25,60 7,56 1,65 93,570,07 11,12 36,72 8,58 1,77 95,330,23 12,14 48,86 9,65 0,45 95,780,54 9,08 57,94 10,61 0,64 96,420,98 7,05 64,99 11,61 1,49 97,911,52 7,88 72,86 12,75 0,35 98,262,24 5,45 78,31 13,76 0,34 98,613,02 3,47 81,78 15,75 0,18 98,783,82 3,60 85,38 16,76 0,46 99,244,72 2,56 87,94 20,77 0,22 99,465,63 2,73 90,66 22,80 0,19 99,656,63 1,25 91,91 27,81 0,35 100,00

Fonte: elaborazione degli autori su dati ICVFT

64

Grafico 3.19 FREQUENZE DELL’INDICE DI PRIVAZIONE. 2004

0

6

12

18

24

30

0,0 0,1 0,2 0,5 1,0 1,5 2,2 3,0 3,8 4,7 5,6 6,6 7,6 8,6 9,6 10,6 11,6 12,7 13,8 15,8 16,820,822,827,8

Fonte: elaborazione degli autori su dati ICVFT

Per consentire il confronto con la misura precedente e dettagliare

l’informazione, la tabella 3.20 mostra la relazione fra i valori dell’indice e le caratteristiche individuali e personali delle persone intervistate. Per semplificarne la presentazione abbiamo normalizzato i valori dell’indice alla media (colonna 2). Essere uomini o donne non è equivalente in termini di privazione (+10% per le donne), ma ciò che incide in modo più decisamente negativo è essere disoccupato, avere una famiglia numerosa, essere genitore unico. Costituisce un vantaggio relativo, invece, vivere in coppia senza figli e anche essere anziani.

Tabella 3.20 INDICE DI PRIVAZIONE PER CLASSE DI ETÀ E CARATTERISTICHE FAMILIARI. 2004

Classe di età Valore dell'indice Normalizzato

Minore di 30 anni 2,59 1,3 30-45 3,34 1,7 45-65 2,16 1,1 oltre 65 anni 1,29 0,7 Numero di componenti della famiglia 1 1,93 1,0 2 1,53 0,8 3 2,00 1,0 4 1,65 0,9 5 4,33 2,2 Condizione professionale Occupato 2,09 1,1 Disoccupato 6,15 3,2 Inattivo 1,72 0,9 Tipologia familiare Single ultra 65 1,44 0,7 Single 3,20 1,6 Coppia senza figli 1,49 0,8 Monogenitore 2,62 1,4 Coppia con figli 2,47 1,3 Altro 1,77 0,9 Sesso Maschi 1,86 1,0 Femmine 2,06 1,1 TOTALE 1,94 1,0

Fonte: elaborazione degli autori su dati ICVFT

65

Il grafico che segue ci aiuta a rappresentare quanto contenuto nella tabella precedente.

Grafico 3.21 INDICE DI PRIVAZIONE PER CLASSE DI ETÀ E CARATTERISTICHE FAMILIARI. 2004

0,0 0,5 1,0 1,5 2,0 2,5 3,0 3,5

Minore di 30 anni

30- 45

45- 65

Ol tre 65 anni

1

2

3

4

5

Occupato

Disoccupato

Inattivo

Single ul tra 65

Single

Coppia senza figl i

Monogeni tore

Coppia con figl i

Altro

Maschi

Femmine

Fonte: elabor azione degli autori su dati ICVFT

I grafici che seguono rappresentano la relazione fra il valore dell’indice

e alcune caratteristiche individuali. Per quanto si possano considerare rappresentative le code destre delle distribuzioni (il numero di osservazioni per valori molto elevati di privazione è molto esiguo) c’è una lieve prevalenza delle donne sui valori più elevati dell’indice, ma una sostanziale indifferenziazione della distribuzione dell’indice di privazione rispetto all’essere uomo o donna. Sostanziale, invece, la differenza fra il livello di istruzione e la probabilità di privazione alta: il livello massimo di privazione sui laureati è quattro volte inferiore a quello massimo di chi ha un grado di istruzione basso e medio basso. Poiché l’indice è calcolato su individui a reddito relativamente più basso dell’intera popolazione, questo ci consente di osservare che un livello di istruzione più elevato diminuisce il rischio di privazione non solo perché aumenta la possibilità di avere una lavoro retribuito meglio, ma anche perché aiuta a gestire più efficientemente le risorse familiari. L’ultimo grafico ci dice di una sostanziale indifferenza, rispetto alla frequenza dei valori di privazione, tra

N° componenti nucleo fam.

Classe di età

Condizione prof.le

Tipologia familiare

Sesso

66

essere occupati o pensionati mentre esalta la differenza tra chi lavora (o ha lavorato) e chi non lavora. L’andamento altalenante dell’indice rispetto alla condizione di disoccupazione, tuttavia, sembra viziato dalla scarsa numerosità delle osservazioni.

Grafico 3.22 INDICE DI PRIVAZIONE. 2004

PER GENERE

0

15

30

45

60

75

0,5 1,5 2,5 3,5 4,5 5,5 6,5 8,5 10,5 12,5 14,5

M asc hi F em m ine

PER TITOLO DI STUDIO

0

15

30

45

60

75

0,5 1,5 2,5 3,5 4,5 5,5 6,5 8,5 10,5 12,5 14,5

Lic .elem . Lic.m edia Dip lom a Laurea

PER CONDIZIONE PROFESSIONALE

0

15

30

45

60

75

0,5 1,5 2,5 3,5 4,5 5,5 6,5 8,5 10,5 12,5 14,5

Oc cupati Dis occ upati Pensionati

Fonte: elabor azione degli autori su dati ICVFT

67

4. LA DINAMICA DELLA DISUGUAGLIANZA E DELLA POVERTÀ Un costume tutto italiano è discutere, anche accanitamente, dei principali fenomeni economici e sociali senza a volte conoscerne non solo l’andamento attuale, ma anche quello relativo al passato. Il tema della disuguaglianza e della povertà non si sottrae a questa regola.

A fronte delle numerose inchieste giornalistiche, ma anche di alcuni autorevoli rapporti, che hanno sottolineato -ripetutamente in questi mesi- la percezione di un crescente impoverimento da parte delle famiglie italiane, pochi sono stati i contributi finalizzati ad indagare con dati oggettivi l’andamento dei fenomeni distributivi in questi ultimi anni.

Vale quindi la pena porsi la seguente domanda: le fonti statistiche più attendibili confermano o disattendono l’impressione di un aumento della disuguaglianza e della povertà nel nostro paese?

Chiarito questo aspetto, delineate quindi -come cornice di riferimento- le dinamiche relative alla disuguaglianza e alla povertà a livello nazionale, presenteremo poi l’analisi sui percorsi di transizione dalla povertà in Toscana, grazie ai dati longitudinali raccolti nella seconda indagine sulle condizioni di vita delle famiglie toscane.

4.1 La disuguaglianza dei redditi negli anni ’80 e ’90 La serie storica dei redditi familiari della Banca d’Italia24 costituisce la fonte statistica più attendibile, anche perché l’unica25 esistente, per l’analisi dei cambiamenti della disuguaglianza dei redditi nel medio e lungo periodo.

Più precisamente, l’arco temporale di riferimento si estende dal 1977 al 2002. Fino al 1986 -1985 escluso- i dati sono a cadenza annuale e quelli relativi al reddito sono al netto degli interessi e dividendi; dal 1987 in poi, invece, le informazioni sono a cadenza biennale, ma quelle sui redditi sono comprensive anche degli interessi e dei dividendi. Quali evidenze empiriche si ricavano? Qualunque sia la misura di dispersione utilizzata (ad esempio, l’indice del Gini piuttosto che l’indice di Atkinson) e la unità 24

Archivio storico dell’Indagine sui bilanci delle famiglie italiane, 1977-2002. Banca d’Italia, gennaio 2004. 25

Come noto, l’altra indagine campionaria sui bilanci delle famiglie condotta nel nostro paese è quella dell’ISTAT, che tuttavia costituisce la banca dati più appropriata per studi sui consumi e non sui redditi. Questi ultimi, almeno fino al 2002, erano infatti stimati sulla base dei livelli di spesa e delle principali caratteristiche familiari; dal 2002 sono invece rilevati per classi, direttamente come vengono forniti dagli intervistati. Sia nell’uno che nell’altro caso tali redditi devono però essere interpretati come variabili di contesto, e per questa ragione tutte le principali misure e gli indici di disuguaglianza che tradizionalmente si calcolano potrebbero risultare distorti.

68

di analisi scelta (il reddito disponibile familiare piuttosto che quello reso equivalente26), è possibile identificare -con una qualche cautela27- almeno tre fasi. La prima fase (1977-1983) è caratterizzata da una significativa spinta a favore di una maggiore uguaglianza nei redditi. La seconda fase (1983-1991) è connotata -nella prima metà- da una lieve ripresa delle disparità e -nella seconda metà- da una successiva ed altrettanto lieve riduzione della disuguaglianza. La terza fase (1991-1998), infine, è contraddistinta da un incremento della disparità nei redditi.

L’ultimo dato disponibile (quello relativo a i redditi 2002) mostra una inversione di tendenza rispetto alla crescita della disuguaglianza degli anni ’90; una inversione peraltro iniziata a manifestarsi già nel confronto fra il profilo dei redditi 2000 e quelli relativi al 1998. Occorrerà comunque aspettare i prossimi anni per verificare se questo cambiamento di direzione sarà tale da condurre i divari nei livelli del reddito entro i più virtuosi limiti dei primi anni ’80.

Il grafico seguente illustra le tendenze distributive descritte.

Grafico 4.1 LA DISUGUAGLIANZA DEI REDDITI FAMILIARI EQUIVALENTI (COEFFICIENTI DEL GINI)

Fonte: elabor azione degli autori su dati ICVFT

4.2 La disuguaglianza nei consumi Anche i dati relativi ai consumi delle famiglie (Indagine sui Consumi, ISTAT, vari anni) confermano -per questi ultimi anni- le tendenze descritte nel grafico 4.1. La disuguaglianza dal 2000 al 2003 non aumenta, anzi flette leggermente, a conferma della evidenza empirica ricavata dai dati sul reddito. 26

La scala di equivalenza impiegata è quella OCSE-modificata, che assegna peso 1 al capofamiglia, peso 0,5 ad ogni altro componente con 14 anni e più e peso 0,3 ai componenti con meno di 14 anni. 27

La dinamica della struttura distributiva dei redditi quasi mai segue -almeno nel dopoguerra e per i paesi industrializzati- una traiettoria regolare, ma è piuttosto il risultato di movimenti irregolari da cui è molto difficile ricavare uno o più fatti stilizzati (Brandolini, 2003).

0,270

0,287

0,304

0,321

0,338

0,355

77 78 79 80 81 82 83 84 86 87 89 91 93 95 98 00 02

Reddi to d is ponib ile fam i l iar e equiv alente ( a l netto d i in ter es si e d ividendi )

Reddi to d is ponib ile fam i l iar e equiv alente

69

Grafico 4.2 COEFFICIENTI DEL GINI SUI CONSUMI FAMILIARI EQUIVALENTI

0,32

0,33

0,34

0,35

1998 1999 2000 2001 2002 2003

Fonte: elaborazione degli autori su dati ISTAT

Box 4.1 QUALI FATTORI HANNO INFLUENZATO LA DINAMICA DELLA DISUGUAGLIANZA?

Naturalmente i movimenti che la disuguaglianza ha subito nel corso di questi anni sono il risultato di una ampi a plur alità di fattori: economici (come l’andamento della congiuntur a interna ed i nternazionale o la distribuzione del valore aggiunto fra i fattori produtti vi), sociali (come la dinamica dei livelli di istruzione), demografici (come la maggiore o minore presenza di famiglie), perfino politici (come le manovre fi nanzi arie adottate ogni anno dai vari governi). Alcuni di questi fattori spi ngono la disuguaglianza i n una direzione, altri in un’ altra per cui i cambiamenti che si registrano di anno in anno nella strut tura distributi va dei redditi non sono che un sal do netto di effetti fra loro contras tanti. Risalire quindi dai movi menti osser vati nella disuguaglianza ai fatti stilizzati che l’hanno determi nata è molto complicato, tanto pi ù complicato quanto più ampio è l’orizzonte temporal e preso a riferimento. Pr oviamo a concentrare l’attenzione su un singolo periodo, gli anni ‘90, rispetto al quale abbiamo tentato di isolare il ruolo dei seguenti elementi:

- il cambiamento dovuto sia alla di versa remunerazi one dei fattori (il fatto cioè che dentro ogni settore produtti vo sono cambiati i rapporti salari vs. altri redditi -effetto remunerazione), sia alla mutata composizione settoriale dell’economia (il fatto che è cambiato il peso dei settori, bas ti pensare alla terziarizzazione dell’economia -effetto composizione settoriale);

- il cambi amento della distribuzione secondaria dovuto a variazioni delle politiche redistributi ve (effetto i mposte ed effetto spesa pubblica);

- il cambiamento nella distribuzione secondaria e cioè il fatto che le diverse fonti di reddito (da lavor o, da capital e, ecc.) si ricompongono all’interno delle famiglie in modo di verso dal passato, e quindi come il reddito primario si distribuisce oggi rispetto a ieri all’interno delle famiglie (effetto distribuzione secondaria).

Per analizzare le suddette deter minanti abbiamo utilizzato un approccio micro-macro che

integra un modello di microsimul azione classico tax benefit con un modello macroeconomico SAM based (Casini Benvenuti, Paniccià, Sciclone, 2004).

Sfruttando le proprietà dei due modelli, senza entrare nei dettagli tecnici per cui rimandi amo al lavoro in bibliografia, abbiamo svolto una analisi controfattuale chi edendoci cosa sarebbe successo alla disuguaglianza nel 2002 se, nell’ordine, la distribuzione del val ore aggiunto fra redditi da lavoro ed altri redditi, il peso dei settori, la ripartizione per decili dei tras ferimenti ( della P.A. verso le famiglie) e del pr elievo fiscale (delle famiglie verso l a P.A.) fossero quelli del ’92. Abbiamo poi redistribuito fra l e famiglie le di verse poste del reddito 2000 nello stesso modo in cui esse erano distribuite nel 1992 per cogliere il

70

cambiamento nella distribuzione secondaria. Il grafico 4.3 riporta i risultati dell’esercizio svolto. Se qui ndi valutiamo l’impatto dei fenomeni descritti sull’indice del Gini, misurato sui redditi familiari equi valenti relati vi al 1992 e al 2000, possiamo cos ì rappresentare il contributo dei vari fattori: - la distribuzione primaria ha peggiorato la disuguaglianza; - la distribuzione secondaria nella componente prelievo diret to l’ha migliorata, mentre l’ha

peggiorata nella componente spesa pubblica; - i cambiamenti nelle caratteristiche s trutturali del sistema economico (quindi nella

composizione settorial e) l’hanno peggiorata. Il complesso di questi fenomeni comunque lascia una quota di disuguaglianza resi dua

non spiegata piuttosto consistente e che è i mputabile al di verso modo in cui le di verse fonti di reddito (dipendente, autonomo) si ricompongono nel 2000 rispetto al ‘92 all’interno delle famiglie, a causa di una pl uralità di fattori che vanno dal processo di nuclearizzazione delle famiglie ai mutamenti istituzionali intervenuti nel mercato del lavoro, passando per l’aumento del premio delle skill indi viduali, approssi mate dai li velli di istruzione.

Grafico 4.3 IL CONTRIBUTO ALLA DISUGUAGLIANZA

Fonte: elaborazione degli autori

0.29

0.33

DPEffetto

remunerazione

DPEffetto

composizione settoriale RS

Effetto imposte

RSEffetto spesa

pubblica

EFFETTODISTRIBUZIONE

SECONDARIA

71

4.3 La povertà negli anni ’80 e ’90 in Italia Dopo aver analizzato l’evoluzione storica della disuguaglianza, esaminiamo ora il quadro evolutivo della povertà, usando -per la serie storica più lunga- i micro dati sul reddito rilevati da Banca d’Italia e -per questi ultimi anni- i micro dati ISTAT sui consumi.

La tabella 4.4 e il grafico 4.5 mostrano l’evoluzione della diffusione e della intensità della povertà relativa, qui calcolata sui redditi familiari equivalenti.

Tabella 4.4 INDICI DI POVERTÀ RELATIVA SUI REDDITI FAMILIARI EQUIVALENTI ITALIANI

Indice di diffusione (*) Indice di intensità (*) Indice di gravità (*) 1977 19% 26% 0,07 1978 18% 27% 0,07 1979 19% 29% 0,08 1980 18% 25% 0,06 1981 16% 24% 0,05 1982 16% 22% 0,05 1983 16% 23% 0,05 1984 17% 23% 0,06 1986 16% 25% 0,06 1987 18% 26% 0,07 1989 15% 23% 0,05 1991 16% 23% 0,05 1993 19% 30% 0,08 1995 20% 30% 0,09 1998 19% 34% 0,09 2000 19% 32% 0,09 2002 18% 30% 0,08

Indice di d iffusione: % di persone a basso reddito (povertà re lativa) Indice di intensità: distanza % dalla soglia che assicurerebbe l’uscita dalla povertà relativa Indice d i gr avità: indice (elaborato dal premio Nobel per l’economia A. Sen) che combina diffusione, intensità e disuguaglianza del reddito all’interno delle famiglie relativamente povere. L’indice varia fra 0 (nessun povero) ed 1 (tutti con reddito nullo)

Fonte: elaborazione degli autori su dati Banca d’Italia

Grafico 4.5 INDICI DI POVERTÀ RELATIVA SUI REDDITI FAMILIARI EQUIVALENTI ITALIANI

1977 = 100

40

65

90

115

140

77 78 79 80 81 82 83 84 86 87 89 91 93 95 98 00 02

Indice di diffusione Indice di intensità Indice di gravità (Sen)

Fonte: elaborazione degli autori su dati Banca d’Italia

72

Nell’arco temporale preso in esame il numero delle famiglie povere rimane sostanzialmente stabile, mentre l’indice di intensità e di gravità della povertà mostrano un andamento simile a quello della disuguaglianza: crescente negli anni ’90 e poi decrescente dal ’98. Ad essere aumentata quindi non è tanto l’area della povertà, quanto la sua distanza dalla area della non povertà; usando uno slogan semplicistico, ma efficace, potremmo dire che oggi ci sono più o meno gli stessi poveri di ieri, ma che essi stanno peggio che nel passato. Le stime sulla povertà relativa che si ricavano, usando una diversa scala di equivalenza28, dai dati ISTAT sul consumo familiare confermano per questi ultimi anni il quadro descritto. L’incidenza della povertà è stabile, anzi diminuisce leggermente dal 2000 al 2003, come si evince dal grafico 4.6.

Grafico 4.6 POVERTÀ RELATIVA DEI CONSUMI FAMILIARI EQUIVALENTI

Fonte: elaborazione degli autori su dati ISTAT

4.4 La composizione della povertà in Italia Tuttavia il dato aggregato nasconde significative differenze fra i i diversi gruppi sociali29. Ad esempio, se prendiamo l’evoluzione della povertà30 per classi di età, osserviamo che la quota di poveri fra i minorenni (con meno di 14 anni) è aumentata significativamente, mentre in calo netto è la frazione degli ultra 65enni (Graf. 4.7). Quello che è cambiato quindi in questi ultimi anni non è tanto l’incidenza complessiva della povertà, ma la sua composizione.

28

La scala di equivalenza impiegata è quella di Carbonaro. 29

Non invece a livello territoriale. I dati per circoscrizione non sono qui presentati per sole ragioni di sintesi espositiva. L’andamento temporale dell’head count ratio relativo di ogni circoscrizione riflette l’andamento di quello nazionale. 30

In questo caso le stime sono su base individuale, utilizzando Banca d’Italia: ad ogni individuo è stato cioè attribuito il reddito familiare equivalente del proprio nucleo (metodo Eurostat).

Sud

Nord

Centro

Italia

0%

5%

10%

15%

20%

25%

30%

1998 1999 2000 2001 2002 2003

73

Grafico 4.7 INDICI DI POVERTÀ RELATIVA A BASE INDIVIDUALE (METODO EUROSTAT)

1981=100

0%

50%

100%

150%

200%

1981 1982 1983 1984 1986 1987 1989 1991 1993 1995 1998 2000 2002

Italia Minori di 14 anni Ultra 65 enni

Fonte: elaborazione degli autori su dati Banca d’Italia

E ciò è tanto più vero quando si guardano ad esempio le qualifiche

professionali, dove si riscontra un forte incremento degli operai e degli impiegati fra le famiglie povere ed una riduzione dei lavoratori autonomi e dei pensionati. Si assiste cioè in questi anni ad una profonda trasformazione delle dinamiche redistributive che hanno penalizzato significativamente il lavoro dipendente.

Grafico 4.8 PROFILO DI POVERTÀ RELATIVA A BASE INDIVIDUALE

% di persone povere per caratteristica del capofamiglia

0%

10%

20%

30%

1981 1982 1983 1984 1986 1987 1989 1991 1993 1995 1998 2000 2002

Operai

Impiegati

Dirigenti

Lav. autonomi

Pensionati

Fonte: elaborazione degli autori su dati Banca d’Italia

I cambiamenti nella composizione sociale della povertà non hanno

modificato quindi gli indici complessivi perché hanno finito per compensarsi, ma questo non toglie che alcune categorie sociali oggi stiano decisamente peggio che nel passato. Fra queste sicuramente il lavoro dipendente, come si ricava anche dal seguente grafico.

74

Grafico 4.9 IL LAVORO DIPENDENTE: QUOTE DI REDDITO E LAVORATORI NEL 1° DECILE

0%

10%

20%

30%

40%

50%

77 78 79 80 81 82 83 84 86 87 89 91 93 95 98 2000 2002

Quota di reddito da lavoro dipendente del 1° decile Quota di lavorator i dipendenti nel 1° decile sul totale dipendenti

Fonte: elaborazione degli autori su dati Banca d’Italia

4.5 Le famiglie a basso reddito in Toscana: un’analisi longitudinale • Le caratteristiche del campione panel Quello finora descritto è il quadro nazionale. A livello circoscrizionale le dinamiche della disuguaglianza e della povertà non mostrano differenze specifiche rispetto agli andamenti riscontrati nel complesso del paese e ciò lascia presupporre che anche a livello regionale le tendenze distributive siano quelle finora descritte.

Per quanto riguarda la Toscana le informazioni disponibili non consentono di ricostruire il profilo temporale della distribuzione dei redditi; tuttavia, facendo seguito all’Indagine sulle condizioni di vita delle famiglie toscane (ICVFT) svolta nella primavera del 2002, nel corso del 2004 è stata replicata la parte del questionario relativa alla rilevazione del reddito su un campione ridotto di famiglie, ovvero quelle risultate più povere nel corso dell’indagine 2002.

In altri termini, le 2.625 famiglie rilevate nel 200231 sono state ordinate rispetto al reddito familiare e le prime 496 famiglie -il cui reddito era stato effettivamente rilevato e non imputato- sono state reintervistate- nel 200432. Si tratta di 496 famiglie (255.073 se riportate all’universo) a cui appartengono 1.184 individui (581.389 se riportati all’universo), di cui 717 (351.652 se riportati all’universo) sono percettori di reddito. Il nostro campione (pari a1 17% degli individui e al 19% delle famiglie toscane) è -relativamente agli aspetti legati al reddito- così composto: 31

I cui redditi si riferiscono al 2000. Per i dettagli si veda IRPET, 2004. 32 In tal caso il reddito si riferisce all’anno 2002. La sfasatura temporale fra l’anno di rilevazione e quello a cui si riferisce il reddito dipende dal fatto che quello rilevato è il reddito dichiarato a fini fiscali.

75

- il 31% delle famiglie reintervistate nel 2004 era nel 2000 posizionato nel 1° decile della relativa distribuzione dei redditi familiari equivalenti, il 31% nel 2° decile ed il 27% nel 3° decile. Il rimanente 11% si collocava entro il 4° decile;

- il 56% delle famiglie reintervistate nel 2004 era relativamente povero nel 2000; la soglia di povertà relativa usata è il 60% del reddito mediano familiare equivalente toscano;

- rispetto ad una soglia convenzionale di povertà assoluta, scelta con riferimento alla normativa che fino al 2003 garantiva -sebbene in forma sperimentale e solo in alcuni comuni italiani- il diritto al cd. reddito minimo di inserimento, erano povere nel 2000 il 13% delle famiglie reintervistate nel 2004. Se guardiamo alle caratteristiche socio demografiche, si assiste ad una

netta prevalenza di famiglie anziane, formate da pensionati, con persona di riferimento in possesso della licenza elementare. Nella tabella 4.10 si riportano le caratteristiche principali del campione di famiglie rilevate nel 2002 (relativamente ai redditi 2000) e reintervistate nel 2004 (relativamente ai redditi 2002).

Tabella 4.10 LA COMPOSIZONE DEL CAMPIONE. 2004

SESSO Maschio 62%Femmina 39%TITOLO DI STUDIO Licenza elementare 55%Licenza media inferiore 26%Licenza media superiore 15%Laurea 4%ETÀ Fino a 30 anni 2%Da 31 a 40 anni 12%Da 41 a 50 anni 15%Da 51a 65 anni 17%Oltre 65 anni 54%CONDIZIONE PROFESSIONALE Occupato 31%Pensionato 58%In condizione non professionale o disoccupato 11%TIPOLOGIA FAMILIARE Single ultra 65 anni 23%Single<65 6%Coppia senza figli>65 21%Coppia senza figli<65 7%Monogenitore con figli 11%Coppia con 1 figlio 16%Coppia con 2 o più figli 16%DIMENSIONE FAMILIARE 1 componente 27%2 componenti 33%3 componenti 19%4 e più componenti 21%% FAMIGLIE RELATIVAMENTE POVERE NEL 2000 56%% FAMIGLIE POVERE IN SENSO ASSOLUTO nel 2000 13%% FAMIGLIE POSIZIONATE NEL 2000 NEL 1° DECILE 31%

Fonte: nostre elaborazioni su dati ICVFT del 2004

76

Il nostro campione di famiglie toscane -composto da nuclei a basso reddito- può fornirci qualche ulteriore dato per ampliare il quadro -questo sì povero- delle conoscenze sulla evoluzione dei tenori di vita di questi ultimi anni. Esso rappresenta infatti l’ideale punto di osservazione per verificare l’andamento dei redditi, non di tutti, ma di un particolare segmento della popolazione: le persone che al 2000 erano al di sotto, o in prossimità, della soglia di povertà assoluta e relativa (cioè calcolata in riferimento ai redditi medi). Quello che stiamo monitorando è quindi il tenore di vita dei più poveri.

• La dinamica del tenore di vita delle famiglie a basso reddito in Toscana Nell’ultimo anno e mezzo, si è parlato molto di impoverimento: oggi i figli stanno peggio dei propri genitori; cresce il rischio povertà per la classe media; le sicurezze vacillano... Questi alcuni dei t itoli usati dalla stampa nazionale e locale per introdurre gli articoli, sempre più numerosi, dedicati alla percezione che molte categorie sociali avvertono, rispetto al passato, di un crescente disagio sulle condizioni personali e del paese. Abbiamo visto -nei paragrafi precedenti- che i dati oggettivi relativi alla stima del numero delle famiglie relativamente povere smentiscono la percezione di un netto peggioramento delle condizioni di vita. Quello che invece si rileva, oggi più di ieri, è una redistribuzione delle risorse che penalizza il lavoro dipendente. Ad essere peggiorata, quindi, non è tanto la disuguaglianza verticale (fra i ricchi e i poveri), quanto quella orizzontale (fra categorie sociali), perché le condizioni lavorative e quindi economiche dei lavoratori autonomi sono migliorate comparativamente rispetto a quelle dei lavoratori dipendenti. Queste considerazioni possono essere estese a tutto il territorio nazionale e quindi anche alla Toscana.

In questo scenario, nella nostra regione, le famiglie posizionate entro o in stretta prossimità dell’area della povertà, hanno dichiarato in media un reddito che in due anni (dal 2000 al 2002) è aumentato in termini reali del 20% (2.165 euro annui di incremento reale e 2.949 la variazione nominale). I dati smentiscono quindi gli allarmismi della stampa e dei sondaggi: un miglioramento di circa 3.000 euro in due anni non può essere infatti indicativo di un reale peggioramento delle condizioni di vita.

Tabella 4.11 LE VARIAZIONI REALI DI REDDITO DAL 2000 AL 2002

Valori %

TUTTE LE FAMIGLIE Var. % reale Tutte le famiglie italiane 1,1Tutte le famiglie dell’Italia centrale 4,2Solo le famiglie panel italiane 4,1Solo le famiglie panel dell’Italia centrale 2,2Solo le famiglie panel italiane posizionate nei primi tre decili della distribuzione del reddito 30Solo le famiglie panel dell’Italia centrale posizionate nei primi tre decili della distribuzione del reddito 30Famiglie toscane posizionate nella coda sinistra della distribuzione dei redditi 2000 20

Fonte: elaborazioni su dati ICVFT (famiglie toscane) e Banca d’Italia (famiglie italiane e dell’Italia centrale)

77

L’incremento -si potrebbe obiettare- è contro intuitivo, soprattutto se lo si confronta con l’aumento medio che, nel periodo esaminato e sempre in termini reali, si ottiene -elaborando i micro dati Banca d’Italia- per il complesso delle famiglie residenti in Italia e nel Centro Nord: rispettivamente 1% e 4%. Tuttavia, se si ripete l’operazione limitando l’analisi alle sole famiglie italiane e del centro nord intervistate sia nel 200433 sia nel 200234 e collocate nei primi tre decili della distribuzione del reddito, l’incremento reale del reddito risulta essere molto più alto e pari al 30%. Un tale andamento si spiega con i più bassi livelli di reddito delle famiglie più povere che si riflettono quasi automaticamente in variazioni, percentuali ed assolute, maggiori. Le stime per la Toscana risultano quindi coerenti con il quadro nazionale e ridimensionano gli allarmismi sul peggioramento del tenore di vita, almeno di coloro che occupano le posizioni di retroguardia della scala distributiva. Quello che potrebbe allora essersi verificato in questi ultimi due e tre anni -ma non abbiamo dati per dimostrarlo- è uno scivolamento verso il basso della classe media. • La persistenza nella condizione a basso reddito Il passo successivo è stato quello di indagare i flussi in uscita dalla povertà relativa ed assoluta. L’operazione svolta è stata cioè quella di calcolare quante famiglie povere nell’anno 2000 erano ancora sotto la soglia di povertà nel 2002 e quante invece erano nel frattempo diventate non povere. Due le nozioni di povertà esaminate: assoluta e relativa.

La soglia assoluta di povertà è stata commisurata al limite massimo di reddito per accedere al RMI35 (Reddito minimo di inserimento), il cui valore relativo all’anno 2000 era pari a circa a 268,9 euro mensili per una persona sola, aumentabili sulla base della scala di equivalenza ISE per nuclei di numerosità crescente. Il valore 2002 è stato posto a 282 euro per tenere conto dell’aumento del costo della vita.

Grafico 4.12 TASSI DI PERMANENZA NELLA POVERTÀ DELLE FAMIGLIE TOSCANE DAL 2000 AL 2002

Fonte: nostre elaborazioni su dati ICVFT del 2004

33

I cui redditi si riferiscono al 2002. 34 I cui redditi si riferiscono al 2000. 35

il RMI non ha superato in Italia, diversamente da altri paesi come la Francia, la fase di sperimentazione durata dal 2000 al 2002.

20

59

0

15

30

45

60

Povertà relativa Povertà assoluta

78

La linea relativa di povertà per l’anno 2000 è stata posta pari al 60% del reddito mediano familiare equivalente, mentre per l’anno 2002 -in mancanza dei redditi percepiti da tutti i toscani36- è stata utilizzata la soglia del 2000 a cui è stata aggiunta una variazione nominale per considerare i cambiamenti intervenuti nel livello dei prezzi; questa soluzione è un ibrido tra una linea relativa ed una assoluta: della prima mantiene il riferimento al livello medio del reddito e della seconda conserva invece la rispondenza alle sole variazioni monetarie. Il 59% delle famiglie toscane che erano relativamente povere nel 2000 continuano ad esserlo anche nel 2002; escono invece dallo stato di povertà relativa 41 famiglie su 100. Se circoscriviamo l’analisi alla povertà assoluta, la percentuale di famiglie che continuano ad essere povere si riduce al 20%, mentre quella relativa alle famiglie che escono dalla condizione di povertà sale all’80%.

Box 4.2 LA DINAMICA DELLA POVERTÀ IN ITALIA Per avere un ter mine di riferimento ripeti amo l’operazi one sui microdati panel della Banca d’Italia che -ormai dovrebbe essere noto- rilevano i redditi di un campione rappresentati vo di famiglie italiane. La soglia di povertà assol uta è analoga a quella applicata alle famiglie toscane, mentre la soglia relativa è commisurata al livello medi o dei redditi italiani relati vi al 2000 e al 2002 Le seguenti tabelle riassumono i risultati ot tenuti.

Tabella 4.13 LA TRANSIZIONE NELLA POVERTÀ RELATIVA ED ASSOLUTA DAL 2000 AL 2002

A Base Familiare

Rimane Esce Entra

POVERTÀ RELATIVA Italia 62 38 8 Nord 34 66 3 Centro 49 51 7 Sud 69 31 19

POVERTÀ ASSOLUTA Italia 20 80 n.d. Nord 36 64 1 Centro n.d. n.d. n.d. Sud n.d. n.d. n.d.

Fonte: elaborazione dati su dati Banca d’Italia N.d. = non disponibile per mancanza di una adeguata numerosità campionaria

Se confronti amo la condizione di povertà relati va delle famiglie italiane nell’arco di un

biennio, si può osser vare come il 62% dei nuclei che erano poveri nel 2000 erano poveri anche nel 2002 e che la persistenza è nettamente superiore nelle regioni meridionali, dove erano ancora povere nel 2002 il 69% delle famiglie povere nel 2000 (invece in altre aree la povertà sembra avere un carattere di maggiore transitorietà se si pensa che solo il 34% e 49% di famiglie povere nel 2000 lo era ancora nel 2002 rispetti vamente nel Nord Italia e nel

36

Ricordiamo che delle 2625 famiglie rilevate nel 2002, ed ordinate rispetto al reddito familiare di quell’anno, soltanto le prime 496 sono state reintervistate nel 2004.

79

Centro). I flussi di ingresso nella povertà rispecchi ano le dinamiche appena descritte: sono maggiori al Sud (19% delle famiglie non povere lo di ventano nell’arco di due anni) e minori nel Centro Italia (7%). Per quanto attiene ai percorsi nella povertà assol uta 36 famiglie italiane su 100erano pover e tanto nel 2000 quanto nel 2002, mentre lo di ventano nell’arco dei due anni 1 su 100. La esigua numerosità delle osservazioni campionarie non ci consente la sti ma delle dinamiche di transizione e persistenza a livello circoscrizional e. I dati appena descritti non sono direttamente confrontabili con quelli toscani. Le differenze più rilevanti fra le due indagini, quella di Banca d’I talia (SHIW) e quella di IRPET-CRIDIRE (ICVFT), sono tr e: - la di versa soglia di povertà relativa impiegata, che in un caso (SHIW) è commisurata ai

redditi medi nazi onali e nell’altro caso (ICVFT) è invece relati va ai redditi medi toscani; - la difforme metodologia di calcolo, in quanto in SHIW le soglie relative sono calcolate sui

redditi dei due anni mentre in ICVFT la soglia 2002 è posta pari alla linea base sti mata all’anno 2000 e ri val utata per tenere conto dell’aumento del costo della vita;

- la disomogenea definizione della variabile economica di riferimento che in SHIW ricomprende i redditi da lavoro, da tr asferimenti e capitale, mentre in ICVFT solo da lavoro e trasferimenti. Se usiamo in entr ambe le rilevazi oni l a medesi ma variabile economica (solo redditi da

lavoro e trasferimenti), e la stessa soglia di povertà (linea base 2000 rivalutata al 2002 e commisurata al r eddito medio familiare equi valente italiano) otteniamo il seguente risultato.

Tabella 4.14

LA TRANSIZIONE NELLA POVERTÀ RELATIVA ED ASSOLUTA DAL 2000 AL 2002 A Base Familiare

Rimane Esce Entra Linea base nazionale rivalutata al 2002 Toscana 49 51 n.d. Italia 54 46 8 Nord 34 66 4 Centro 38 62 6 Sud 61 39 15

Fonte: elaborazione dati su dati Banca D’ITALIA La persistenza nella povertà è in Toscana, come er a lecito attendersi, inferiore all’Italia e

maggiore rispetto al Nord. Non è invece statisticamente significati va, causa esigua numerosità campionaria, la differenza con l’Italia centrale, come si ricava dal test sulla differenza fra proporzioni di cui per completezza riportiamo i dati qui sotto. Le differenze nei tassi di persistenza riscontrate invece fra la Toscana, il Nord ed il Sud risultano invece statisticamente significative37.

Tabella 4.15 TEST SULLA DIFFERENZA FRA PROPORZIONI

Centro: N. osservazioni = 71; TOSCANA: N. osservazioni = 190

Variable Media Std. Err. Z P>| z| [95% Conf. Interval] Centro 0,38 0,0576048 0,2670967 0,4929033 Toscana 0,49 0,0362666 0,4189189 0,5610811 differenza -0,11 0,0680704 -0,2434154 0,0234154 under Ho: 0,0693259 -1,59 0,113

Ho: proportion(x) - proportion(y) = diff = 0 Ha: diff < 0 Ha: diff ! = 0 Ha: diff > 0 z = -1,587 z = -1,587 z = -1,587 P < z = 0,0563 P > | z| = 0,1126 P > z = 0,9437

37

Non si riportano i risultati dei test per pure ragioni di spazio.

80

Naturalmente il rischio di permanere nella povertà per almeno due anni si distribuisce in modo difforme nella popolazione (grafici seguenti). Se distinguiamo le famiglie per tipologia e ampiezza familiare, t itolo di studio, condizione professionale, qualifica del capofamiglia e numero medio di percettori- e calcoliamo per ciascuna di esse il tasso di permanenza nella povertà rispetto al tasso medio di permanenza relativo al complesso delle famiglie che erano povere nel 2000, otteniamo una misura del rischio relativo38 di persistenza nella povertà per ciascuna delle dimensioni indagate. Le categorie che sono connotate dai più alti tassi di permanenza sono quelle rappresentate da valori superiori ad 1.

Grafico 4.16 RISCHIO DI PERMANENZA NELLA POVERTÀ DELLE FAMIGLIE TOSCANE

PER TIPOLOGIA FAMILIARE DAL 2000 AL 2002

Fonte: nostre elaborazioni su dati ICVFT del 2004

Grafico 4.17 RISCHIO DI PERMANENZA NELLA POVERTÀ DELLE FAMIGLIE TOSCANE

PER AMPIEZZA FAMILIARE DAL 2000 AL 2002

0,0

0,4

0,8

1,2

1,6

2,0

1 compo nente 2 co mponent e 3 co mpo nente 4 compo nente

Fonte: nostre elaborazioni su dati ICVFT del 2004

38

Il rischio di permanenza nella povertà ci dice quindi se la famiglia h-esima che era povera nel 2000 ha un rischio di essere ancora povera nel 2002 maggiore, inferiore o uguale a quello medio riferito al complesso delle famiglie povere del 2000. È quindi un rischio differenziale misurato rispetto al complesso delle famiglie toscane relativamente povere nel 2000. In altri termini un valore di 1,36 per monogenitore con figlio minorenne segnala che tale categoria ha il 36% di probabilità in più di rimanere povera nel 2002 rispetto a tutte le famiglie che erano relativamente povere nel 2000.

0,0

0,4

0,8

1,2

1,6

Mo

nog

enito

reco

n fi

glio

min

ore

nne

Cop

pia

se

nza

figli

<65

Sin

gle

>65

Cop

pia

co

n 1

min

ore

Cop

pia

co

n 2

e +

min

ori

Co

ppia

con

figli

mag

gio

renn

i

Mo

nog

enito

reco

n fi

glio

mag

gio

renn

e

Sin

gle

<=6

5

Cop

pia

se

nza

figli

>65

81

Grafico 4.18 RISCHIO DI PERMANENZA NELLA POVERTÀ DELLE FAMIGLIE TOSCANE PER TITOLO DI STUDIO

DEL CAPOFAMIGLIA DAL 2000 AL 2002

Fonte: nostre elaborazioni su dati ICVFT del 2004

Grafico 4.19 RISCHIO DI PERMANENZA NELLA POVERTÀ DELLE FAMIGLIE TOSCANE PER CONDIZIONE

PROFESSIONALE DEL CAPOFAMIGLIA DAL 2000 AL 2002

Fonte: nostre elaborazioni su dati ICVFT del 2004

Grafico 4.20 RISCHIO DI PERMANENZA NELLA POVERTÀ DELLE FAMIGLIE TOSCANE

PER NUMERO DI PERCETTORI DAL 2000 AL 2002

Fonte: nostre elaborazioni su dati ICVFT del 2004

0,96

0,98

1,00

1,02

1,04

Licenza elementare Lic. media inf. Lic. media sup. Laurea breve e oltre

0,0

0,4

0,8

1,2

1,6

Disoccupato e in cerca Cond. non prof. Occupato Pensionato

0,0

0,6

1,2

1,8

0 percettori 1 percettore 2 e più percettor i

82

Grafico 4.21 RISCHIO DI PERMANENZA NELLA POVERTÀ DELLE FAMIGLIE TOSCANE PER QUALIFICA

PROFESSIONALE DEL CAPOFAMIGLIA DAL 2000 AL 2002

Fonte: nostre elaborazioni su dati ICVFT del 2004

Grafico 4.22 RISCHIO DI PERMANENZA NELLA POVERTÀ DELLE FAMIGLIE TOSCANE

PER ETÀ DEL CAPOFAMIGLIA DAL 2000 AL 2002

Fonte: nostre elaborazioni su dati ICVFT del 2004

Naturalmente l’analisi descritt iva risente della correlazione che caratterizza le variabili prese in esame: ad esempio, se un basso titolo di studio si associa -come frequentemente capita- ad uno stato di disoc-cupazione o a una bassa qualifica professionale, e caratterizza individui che appartengono a famiglie con un basso numero medio di percettori, l’incidenza della povertà sarà il risultato -medio- di tutti questi eventi.

Per valutare l’effetto netto di ogni singola determinante sulla permanenza nella condizione di povertà abbiamo quindi impiegato una analisi di regressione per variabili qualitative (logit).

La tabella 4.23 riporta la probabilità di appartenere ad una famiglia povera di un individuo maschio, sposato senza figli, di età compresa fra 40 e 50 anni, in possesso almeno di una licenza media inferiore, residente in una abitazione di proprietà, occupato come impiegato e appartenente ad una famiglia composta da un solo percettore di reddito. Le stime indicano la variazione di questa probabilità, quando la variabile esplicativa (ad esempio titolo di studio) di volta in volta esaminata assume una diversa connotazione (da diploma inferiore a laurea), ferme restando tutte le altre condizioni.

I risultati ottenuti consentono di affermare che la permanenza nello stato di povertà relativa è più frequente:

0,0

0,4

0,8

1,2

1,6

Lavoratore in

proprio

Imprenditore e

liberoprofessionista

Operaio Impiegato D irigente e direttivo

0,0

0,3

0,6

0,9

1,2

0-30 31-40 41-50 51-65 >65

83

- relativamente alle tipologie familiari, per gli individui che vivono in nuclei costituiti da monogenitori con figli e le coppie con due o più figli minorenni (la modalità di riferimento essendo la coppia senza figli con meno di 65 anni);

- relativamente al t itolo di studio, per gli individui il cui capofamiglia ha un titolo di studio inferiore alla licenza media superiore (la modalità di riferimento essendo la scuola dell’obbligo);

- relativamente al numero di percettori per famiglia, per gli individui con meno di due percettori che rappresenta la variabile più significativa nel determinare una persistenza nello stato di povertà;

- relativamente alla qualifica professionale, per gli individui che hanno come persona di riferimento un lavoratore in proprio.

Tabella 4.23 RISCHIO DI PERMANENENZA NELLA POVERTÀ RELATIVA IN TOSCANA DAL 2000 AL 2002

Parametro Probabilità Effetto marginale

TIPOLOGIA FAMILIARE Coppia senza figli 0.6872 67% -Single >65 -0.2762 60% -6%Single <65* -0.882 45% -21%Coppia senza figli >65 0.5888 78% 12%Monogenitore con minorenne* 0.3953 75% 8%Monogenitore con maggiorenne* 1.2763 88% 21%Coppia con 1 minore -0.4973 55% -12%Coppia con 2 minori* 1.2336 87% 21%Coppia con figli maggiorenni 0.3275 73% 7%TIPOLOGIA DI GODIMENTO DELL'ABITAZIONE Proprietà 0.6872 67% Affitto -0.1299 64% -3%GENERE DEGLI INDIVIDUI Maschio 0.6872 67% -Femmina* -0.4287 56% -10%

ETÀ DEGLI INDIVIDUI 40-50 0.6872 67%0-17 0.1077 69% 2%18-29 -0.1499 63% -3%30-40 -0.2091 62% -5%50-65* -0.5951 52% -14%66-75 -0.0397 66% -1%>75 0.1665 70% 4%TITOLO DI STUDIO DELLA P.R. Scuola dell’obbligo 0.6872 67%Media superiore* -0.3914 57% -9%Laurea -0.1533 63% -3%NUMERO MEDIO DI PERCETTORI 1 percettore 0.6872 67%0 percettori -0.1972 62% -5%2 e più percettori* -2.1054 19% -47%

POSIZIONE PROFESSIONALE DELLA P.R. Impiegato 0.6872 67%Dirigente -14.8634 0% -67%Operaio -0.3031 59% -7%Lavoratore in proprio* 1.509 90% 23%Libero professionista e imprenditore -0.1606 63% -4%

* Effetti statisticamente significativi Fonte: elaborazioni degli autori su dati ICVFT

84

85

5. CONTRASTO ALLA POVERTÀ E SOSTEGNO ALLE RESPONSABILITÀ FAMILIARI 5.1 L’equità verticale degli istituti di contrasto alla povertà Uno degli aspetti più critici del nostro sistema di welfare state è rappresentato dal basso grado di targeting (cioè la capacità di aiutare i più bisognosi) della spesa sociale non pensionistica.

Come documentato in numerosi lavori (Toso, 2000; Baldini Bosi, Matteuzzi, Toso, 2000; Baldini, 2000; Boeri, Perotti, 2002) i principali istituti di contrasto alla povertà (pensione ed assegno sociale, integrazioni al minimo, pensione di invalidità civile e di guerra, assegni familiari) hanno modesti effetti redistributivi.

Guardiamo il contributo che essi esercitano nella riduzione della povertà; le stime si basano sui dati Banca d’Italia relativi alla indagine sui bilanci delle famiglie italiane condotta nel 2004 sui redditi del 2002. In assenza degli assegni familiari la povertà aumenterebbe del 6%, senza le pensioni sociali del 5%, senza quelle di invalidità dell’8% e senza le pensioni di guerra dello 0,3% (Tab. 5.1). Nel complesso tutti gli istituti assistenziali riducono la povertà del 20%. I risultati sono quindi deludenti e naturalmente dipendono anche dalla dimensione della spesa erogata, che è come noto ridotta.

Tabella 5.1 STIME CONTROFATTUALI DI POVERTÀ RELATIVA ITALIA. 2002

Tasso di povertà relativa (vero) 18,9%Tasso di povertà relativa senza le pensioni sociali 19,8%Tasso di povertà relativa senza le pensioni di invalidità 20,5%Tasso di povertà relativa senza le pensioni di guerra 18,9%Tasso di povertà relativa senza gli assegni al nucleo familiare 20,1%Tasso di povertà relativa senza la spesa assistenziale 22,5%

Fonte: elaborazione degli autori su dati Banca d’Italia

Simili considerazioni si traggono analizzando l’andamento delle singole

voci di spesa all’aumentare del reddito familiare (Graff. 5.2-5.6): se dividiamo le famiglie in decili39, si osserva come la quota più elevata non sempre è appannaggio delle famiglie dei primi decili (ciò vale per invalidità civile, pensioni di guerra, ma anche pensioni sociali ed integrazioni al minimo) o, se lo è (assegni familiari), lo è meno di quanto ci

39

Si tratta di ordinare le famiglie in base al reddito -reso equivalente secondo la scala Ocse- e dividerle in dieci gruppi ugualmente numerosi: nei primi decili sono così posizionate le famiglie più povere e negli ultimi quelle più ricche.

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si potrebbe attendere40. Inoltre, eccetto che per gli assegni familiari, l’andamento della quota di spesa degli altri istituti non è decrescente nei decili in modo monotono, ma a volte scende, poi sale poi riscende ed infine risale come per le pensioni sociali. Gli andamenti distributivi sono bizzarri, perché scarsamente selettivi sono i criteri di assegnazione.

Grafico 5.2 LA SPESA PER LA PENSIONE SOCIALE PER DECILI DI REDDITO FAMILIARE EQUIVALENTE. 2002

Fonte: elaborazione degli autori su dati Banca d’Italia

Grafico 5.3 LA SPESA PER LA PENSIONE DI INVALIDITÀ PER DECILI DI REDDITO FAMILIARE EQUIVALENTE. 2002

Fonte: elaborazione degli autori su dati Banca d’Italia

40

Ad esempio la quota di assegni familiari percepita dalle famiglie posizionate dal quinto all’ultimo decile è quasi analoga (38%) a quella delle famiglie dei primi due decili (40%).

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10

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Grafico 5.4 LA SPESA PER LA PENSIONE DI GUERRA PER DECILI DI REDDITO FAMILIARE EQUIVALENTE. 2002

Fonte: elaborazione degli autori su dati Banca d’Italia 2004

Grafico 5.5 LA SPESA PER ASSEGNI FAMILIARI PER DECILI DI REDDITO FAMILIARE EQUIVALENTE. 2002

Fonte: elaborazione degli autori su dati Banca d’Italia 2004

Grafico 5.6 LA SPESA PER IL COMPLESSO DEGLI ISTITUTI ASSISTENZIALI PER DECILI

DI REDDITO FAMILIARE EQUIVALENTE. 2002

Fonte: elaborazione degli autori su dati Banca d’Italia 2004

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Complessivamente la percentuale della spesa assistenziale (la somma dei precedenti istituti) destinata al primo decile è circa il 22%, poi decresce, ma non monotonicamente, al 2% per l’ultimo decile.

Inoltre, se guardiamo ai tradizionali indicatori di target efficiency (il provvedimento si rivolge alle persone realmente bisognose?) una buona quota della spesa stanziata per ciascun singolo istituto va a favore di nuclei il cui reddito è superiore alla soglia di povertà, ancora prima del trasferimento (la cd. efficienza verticale nella spesa: proporzione di spesa che va ai beneficiari che, senza il trasferimento, sarebbero poveri); inoltre il contributo di ogni singoli istituto nel ridurre la distanza del reddito familiare rispetto alla soglia di povertà (la cd. efficienza nel ridurre il divario di povertà) è minimo, anche perché la spesa totale che attiene a ciascuna voce è piuttosto contenuta.

Ad esempio, il 30% della spesa per pensione sociale è destinata a famiglie non povere, il 41% se si considera la pensione di invalidità, il 52% quella di guerra ed il 34% gli assegni familiari. Il più elevato impatto contro la riduzione del divario di povertà è svolta dagli assegni familiari, ma si tratta sempre di un contributo molto modesto (-15%).

Tabella 5.7 INDICATORI DI EFFICIENCY TARGET DELLA SPESA ASSISTENZIALE. ITALIA 2002

Milioni di euro Efficienza verticale

nella spesa Efficienza nel ridurre la

povertà Pensione sociale 3.650 70% -11% Pensione di invalidità 8.271 59% -13% Pensione di guerra 279 48% -0,35% Assegni familiari 5.817 66% -15% TOTALE ASSISTENZA 18.018 65% -39%

Fonte: elaborazione degli autori su dati Banca d’Italia 2004

In generale quindi i risultati distributivi sono criticabili, anche se

migliori di quelli registrabili nel passato, quando -ad esempio ripetendo l’operazione sui redditi percepiti nel 1995- la percentuale di spesa destinata ai non poveri oscillava fra l’88% (pensioni di guerra) ed il 55% (pensione sociale), passando per il 61% delle pensioni di invalidità (escluse però le indennità di accompagnamento).

La situazione è oggi meno critica, ma resta l’assenza di un istituto non categoriale, come il minimo vitale, rivolto a tutti i cittadini e dalle incongruenze del nostro sistema di verifica dei mezzi. Non è un caso che attualmente l’ISEE41 non si applichi nell’erogazione dei suddetti istituti, ma soltanto agli assegni di maternità e per il terzo figlio che invece rispondono più correttamente agli obiettivi redistributivi.

41

ISEE è l’acronimo di indicatore della situazione economica equivalente che presiede l’erogazione di molti servizi sociali offerti dalle amministrazioni locali: asili nido, residenze per anziani, buoni pasto, ecc..

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5.2 Un esercizio di simulazione degli effetti redistributivi di due nuovi istituti: il reddito minimo di inserimento (RMI) e l’assegno ai nuclei a basso reddito con figli minori (ANM) Per contrastare i problemi di target efficiency e di scarsa efficacia nell’azione redistributiva dei principali strumenti monetari di t ipo assistenziale, sono state recentemente avanzate alcune proposte di revisione degli istituti di contrasto alla povertà e di sostegno alle responsabilità familiari (Rivista Politiche Sociali, n. 2/2004).

Di particolare interesse nell’attuale processo di riforma istituzionale, in cui l’assistenza dovrebbe divenire materia di competenza esclusiva regionale, è la proposta avanzata da Baldini, Bosi e Matteuzzi (2004) a cui si ispira il seguente esercizio di simulazione. I tre autori presentano una riforma del welfare finalizzata ad estendere la platea di beneficiari che godono di trasferimenti monetari e che muove nella direzione dell’universalismo selettivo.

L’obiettivo che essi intendono perseguire è, cioè, quello di riformare i criteri di selettività nell’accesso alle prestazioni monetarie, superando la natura categoriale degli attuali istituti che, come gli assegni al nucleo familiare o le pensioni sociali o di invalidità o di guerra, sono erogati a favore di specifiche tipologie di soggetti, nell’ordine: i lavoratori dipendenti, i pensionati poveri, gli invalidi sul lavoro e quelli diventati invalidi a causa della guerra. Le indicazioni di riforma ispirate a tale obiettivo si sostanziano nella definizione di due specifiche azioni: a) l’introduzione di un assegno per nuclei con minori, universale quanto ai beneficiari, ma selettivo nell’erogazione per tenere conto della diversa situazione economica delle famiglie; b) la messa a regime del reddito minimo di inserimento di cui è stata avviata nel nostro paese la sperimentazione, interrotta però dal 2004.

La riforma presentata prevede inoltre -come copertura finanziaria- la abolizione degli assegni familiari, dell’assegno per nuclei con tre minori e delle detrazioni fiscali per carichi di famiglia, oltre ad una rimodulazione delle aliquote e degli scaglioni Irpef; d’altra parte il quadro istituzionale in cui si inserisce il progetto è quello in cui l’assistenza rientra nelle materie di competenza statale e quindi è a tale livello che deve essere individuato il relativo finanziamento.

In questo esercizio valutiamo l’applicazione della suddetta riforma alla Toscana, adottandone una versione leggermente semplificata e meno generosa. Infatti, nella versione di Baldini, Bosi, Matteuzzi il reddito minimo di inserimento è al massimo (in presenza di reddito nullo) pari a 300 euro mensili per una persona sola, aumentabili sulla base della scala di equivalenza ISE per nuclei di maggiore numerosità; inoltre l’assegno per nuclei con minori, pari a 2.500 euro annui per il primo figlio che diventano 3.900 per il secondo e 5.100 per il terzo e ulteriore figlio, viene erogato -con valori decrescenti- all’80% delle famiglie italiane (precisamente quelle con un valore Ise inferiore o uguale a 26 mila euro).

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Qui adottiamo invece uno schema diverso. Iniziamo dal reddito minimo di inserimento; esso spetterebbe a tutte le famiglie toscane il cui reddito familiare era nel 2004 inferiore a 296 euro, se persone sole; tale limite è aumentabile sulla base della scala di equivalenza ISE per le famiglie di maggiore ampiezza (e quindi sarebbe di 464 euro per i nuclei di due persone, 604 per quelli di tre, ecc.). Inoltre si prevedono due distinti ipotesi: in quella più generosa, il RMI sarebbe, per ogni famiglia, pari alla differenza fra la soglia che assicura l’erogazione e il reddito dichiarato, mentre in quella meno generosa il RMI dovrebbe colmare soltanto l’80% di tale differenza. Per quanto riguarda l’assegno per famiglie con minori si mantengono gli importi iniziali definiti da Bosi, Baldini e Matteuzzi, ma si estende l’erogazione -in modo linearmente decrescente42- soltanto al 40% delle famiglie toscane: ovvero quelle collocate nei primi quattro decili della distribuzione del reddito.

Secondo le nostre stime -ottenute usando l’Indagine sulle condizioni di vita delle famiglie Toscane (ICVFT) i cui redditi sono stati rivalutati al 2004- avrebbero diritto in Toscana al RMI circa 25 mila famiglie (1,8% del totale), che riceverebbero in media 2.718 euro annui (2.175, nel caso di copertura all’80%). I beneficiari degli importi più alti sarebbero: relativamente alle tipologie familiari, le coppie senza figli e i monogenitori con figli (e non i single ultra 65enni); con riguardo al grado di scolarizzazione, le famiglie con persona di riferimento in possesso del diploma di scuola media superiore; rispetto alla condizione professionale le famiglie con P.R. disoccupata (segue il caso della persona di riferimento occupata e solo in ultimo pensionata); infine se guardiamo alla qualifica professionale, i nuclei in cui la P.R. è operaia. L’importo differisce signi-ficativamente anche in base alla tipologia di godimento dell’abitazione.

L’assegno per nuclei con minori (ANM) spetterebbe invece a 138 mila famiglie (20% del totale famiglie) che disporrebbero in media di 781 euro annui. Complessivamente l’onere finanziario dei due istituti è di 176 milioni di euro (162 milioni se la copertura del RMI è all’80%). Si tratta di un valore di spesa assi rilevante, superiore al complesso delle risorse contenute nel Fondo Sociale della Toscana (la somma del FNPS43 e del FRAS44) che nel 2004 si attestava su 109,5 milioni di euro. Occorre però ricordare che se l’assistenza diverrà materia di esclusiva competenza regionale, a tale livello dovranno essere destinate risorse aggiuntive con cui ad esempio potrebbero essere finanziate tanto una ipotesi a regime del RMI che una qualche forma di ANM.

42

La formula da noi adottata è la seguente:

ANFM = ( Importo assegno) *

iy

iy

iy

iy

minmax

max

in cui l’importo dell’assegno è 1.800 per il primo figlio, 2.825 per due minori e 3.676 per tre e più minori; y i è naturalmente il reddito familiare equivalente della famiglia i-esima e max yi è posto uguale al valore del quarto decile del reddito familiare equivalente. La famiglia i-esima quindi riceverà il valore totale dell’assegno se è quella a reddito più basso, un valore nullo se collocata oltre il quarto decile ed un valore intermedio se collocata fra questi due estremi. 43

Fondo Nazionale per le Politiche Sociali. 44

Fondo Regionale per l’Assistenza Sociale.

91

Tabella 5.8

RMI MEDIO ANNUO PER CARATTERISTICHE FAMILIARI 2004 (EURO)

Copertura totale Copertura 80% TIPOLOGIA FAMILIARE Single ultra 65 anni 1.950 1.560Single<65 2.739 2.191Coppia senza figli<65 5.225 4.180Monogenitore con figlio minorenne 3.454 2.763Monogenitore con figlio maggiorenne 4.313 3.451Coppia con 1 minore 3.009 2.408Coppia con 2 o più minori 1.426 1.141Coppia con figli maggiorenni 2.522 2.018Altro 3.292 2.634NUMERO DI COMPONENTI DELLA FAMIGLIA 1 2.475 1.9802 4.356 3.4853 3.293 2.6344 2.365 1.8925 1.143 915TITOLO STUDIO Fino lic. Elementare 3.181 2.544Lic. Media inf. 1.994 1.595Lic. Media sup. 3.338 2.671Laurea breve e oltre 1.219 976NUMERO DI PERCETTORI DI REDDITO NELLA FAMIGLIA 0 3.928 3.1421 1.869 1.4952 689 551QUALIFICA PROFESSIONALE - 3.363 2.690Dirigente, direttivo 416 333Operaio 1.712 1.370Lavoratore in proprio 1.668 1.335CONDIZIONE PROFESSIONALE Occupato 2.510 2.008Disoccupato e in cerca di lavoro 3.786 3.028Pensionato 588 470Condizione non prof. 2.714 2.171TITOLO DI POSSESSO ABITAZIONE Proprietà 392 314Altro 2.161 1.729Affitto 3.143 2.514TOTALE 2.719 2.175

Fonte: elaborazione degli autori su dati ICVFT

La tabella 5.9 riassume i principali effetti redistributivi delle due

misure: la disuguaglianza mostra una piccola riduzione, sebbene non irrilevante, passando da 0,310 a 0,306; diminuisce anche la diffusione e l’intensità della povertà relativa (stimata usando una soglia regionale), soprattutto con riferimento alle famiglie con figli minori. Per apprezzare il significato dei numeri, basti sapere che se fossero in vigore sia il RMI che l’ANM uscirebbero dalla povertà relativa 3.783 famiglie toscane, ma gli effetti reditributivi sarebbero ancora più rilevanti se la soglia di povertà fosse quella assoluta o relativa, ma calcolata su base nazionale.

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Tabella 5.9 EFFETTI REDISTRIBUTIVI DEL RMI E DELL’ANM IN TOSCANA. 2004

(a) Costo totale RMI al 100% (milioni di euro) 68,17(b) Costo totale RMI all'80% (milioni di euro) 54,53(c) Costo totale ANM (milioni di euro) 107,68Costo totale (a+c) 175,85Numero beneficiari RMI 25.073Numero beneficiari ANM 137.821Importo medio annuo per beneficiario RMI 2.719Importo medio annuo per beneficiario ANM 781Indice di Gini prima del RMI e dell'ANM 0,310 Indice di Gini dopo il RMI 0,308Indice di Gini dopo l'ANM 0,308Indice di Gini dopo il RMI e l'ANM 0,306Indice di povertà relativa (soglia regionale) 17,0%Indice di povertà relativa dopo il RMI 17,0%Indice di povertà relativa dopo l'ANM 16,7%Indice di povertà relativa dopo RMI e ANM 16,7%Indice di povertà relativa sulle famiglie con minori 19,7%Indice di povertà relativa sulle famiglie con minori dopo l'ANM 18,6%Indice di povertà relativa sulle famiglie con minori dopo l'ANM ed il RMI 18,6%Intensità della povertà relativa 29,7%Intensità della povertà relativa dopo ANM 28,5%Intensità della povertà relativa dopo RMI 27,8%Intensità della povertà relativa dopo ANM e RMI 26,6%Intensità della povertà relativa sulle famiglie con minori 33,6%Intensità della povertà relativa sulle famiglie con minori dopo RMI 31,8%Intensità della povertà relativa sulle famiglie con minori dopo ANM 29,3%Intensità della povertà relativa sulle famiglie con minori dopo RMI e ANM 27,3%

Fonte: elaborazione degli autori su dati ICVFT

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6. POVERTÀ E VULNERABILITÀ SOCIALE: I PERCORSI DEGLI INCLUSI 6.1 Povertà e vulnerabilità sociale nell’approccio biografico Questo capitolo è dedicato all’analisi della condizione delle famiglie a basso reddito in Toscana attraverso un approccio diverso da quello utilizzato nelle parti precedenti del rapporto. Ci sembra quindi opportuno dedicare qualche pagina introduttiva a delineare brevemente il quadro teorico di riferimento e il paradigma metodologico utilizzato per lo studio della vulnerabilità sociale e della povertà attraverso interviste biografiche a persone di cui l’indagine campionaria ha accertato il basso reddito.

Il termine povertà risulta essere di difficile definizione perché, dietro l’apparente semplicità del significato, si nascondono sia strumenti e metodologie di ricerca che indagano il problema in maniera diversa sia interpretazioni diverse del fenomeno.

La nostra analisi prende le mosse dalla considerazione che nelle società contemporanee ad alto tenore di vita, come affermano alcuni importanti studiosi, sono comunque in atto dinamiche di fragilizzazione e precarizzazione che interessano l’intera cittadinanza (Castel, 1995; Negri, 2002; Paugam, 1991; Saraceno, 2004). La povertà ormai non è esclusivamente connessa all’esclusione sociale ma risulta essere un fenomeno determinato da una molteplicità di fattori. I cambiamenti che stanno avvenendo in questi anni stanno mettendo in discussione i confini dell’inclusione (Negri, Meo, 2000). Le fasce della popolazione che sono parte integrante della società sono a rischio di progressivo indebolimento. Il mercato del lavoro è oggi caratterizzato da rapporti professionali flessibili ed estremamente precari e dalla crescita della disoccupazione di lungo periodo. I legami sociali sono indeboliti a causa dell’aumento delle crisi matrimoniali e delle rotture e a causa delle relazioni di vicinato ormai rese anonime dalla massiccia urbanizzazione (Castel, 1995; Negri, 2002; Paugam, 1991). La povertà così risulta essere un fenomeno multidimensionale e complesso che non si accompagna più solo ed esclusivamente a situazioni di mera esclusione sociale. Inoltre la definizione di questo fenomeno e delle “categorie” di persone coinvolte è determinata dai criteri e dai parametri di costruzione dei “pacchetti di sostegno” e delle politiche assistenziali (Kazepov, 1998; Saraceno, 2004).

Per fornire un primo tentativo di approccio analitico a questi nuovi fenomeni nell’area degli studi sulla povertà è stato introdotto il concetto di vulnerabilità sociale. Si tratta di una sindrome complessa che riguarda contemporaneamente molteplici sfere della vita quotidiana e coinvolge diversi livelli di funzionamento degli individui e delle famiglie: il perseguimento del benessere, ma anche il senso di identità e di appartenenza sociale (Ranci, 2002a). La povertà non può essere solo letta

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come mancanza di risorse ma diviene importante, come suggerisce Sen, studiare come gli individui utilizzano le proprie risorse. Si deve analizzare, secondo Sen, come le persone usano le risorse a disposizione, la capacità che hanno di realizzare la vita che vogliono condurre. Non tutti gli individui hanno la stessa capacità di convertire il proprio reddito in benessere. Molti fattori -le differenze legate al contesto in cui vivono, alla distribuzione di risorse all’interno della famiglia, differenze di età, sesso e di condizione sociale- incidono e spiegano perché due persone, pur possedendo lo stesso pacchetto di beni, possono avere qualità della vita molto diverse fra loro. La povertà è quindi collegata non soltanto a ciò di cui le persone sono prive ma al “funzionamento” dell’individuo. Ponendo l’attenzione al modo di funzionare siamo in grado di acquisire una visione ampia e articolata della deprivazione o del tenore di vita (Negri, Meo, 2000). In questa ottica assumono un ruolo rilevante i contesti relazionali in cui l’individuo si situa. Infatti, attraverso i legami sociali in cui sono coinvolti, gli individui acquisiscono e si scambiano capitale sociale, declinato per esempio in forma di sostegno materiale e/o morale, di fiducia, di reciprocità. Risorse queste che aiutano a fronteggiare e superare eventi e situazioni critiche, e che dipendono anche dalle configurazioni che assumono i tessuti relazionali, dalla quantità e qualità dei rapporti che si intrattengono. Inoltre, nelle interazioni con gli altri si definiscono il significato e le conseguenze degli stessi eventi: la loro definizione soggettiva dipende anche dalle definizioni che ne danno gli altri, dal modo in cui essi vengono percepiti e rappresentati dalle persone con cui l’individuo è in contatto.

Le persone, per fronteggiare gli eventi che accadono nel proprio percorso biografico, possono attivare risorse di t ipo materiale, simbolico, ma anche relazionale. Queste, definibili come capitale sociale, sono le risorse che vengono acquisite attraverso i legami in cui sono coinvolti, sono radicate nei rapporti sociali (Meo, 2000).

La biografia di un individuo risulta essere quindi un processo dinamico, che può essere visto come costituito da una molteplicità di carriere (o traiettorie), fra loro collegate e dipendenti, che si sviluppano nel tempo. Le carriere sono percorsi sociali e relazionali e gli stessi eventi di vita sono “costruiti socialmente” nelle reti di rapporti di cui gli individui sono parte (Negri, 2002).

Le carriere sono relative alle diverse dimensioni o sfere di cui si compone l’esistenza (familiare, amicale, lavorativa, formativa, etc.). Sono scandite da eventi e attraversano tappe. Sono delle sequenze di situazioni di vita, di stati e di transazioni, che si sviluppano in specifici ambiti di interazione sociale (famiglia, lavoro, amicizie..). In questa ottica, le esperienze e appartenenze degli individui sono viste come processi fra loro interdipendenti (Meo, 2000).

Per evento si intende una transizione che determina un cambiamento di stato in una carriera. Il significato per l’individuo e l’impatto sulla biografia dipendono da molteplici fattori: la storia personale precedente, il bagaglio di risorse materiali e simboliche con cui il soggetto incontra

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l’evento, anche i contesti di interazione in cui l’individuo è inserito, la sequenza e l’ordine temporale con cui l’evento si verifica rispetto ad altri eventi nella stessa traiettoria e in altre (Olagnero, Saraceno, 1993).

La percezione soggettiva della situazione e dei suoi tempi costituisce quindi parte integrante del corso di vita. Due corsi di vita formalmente simili in termini di comportamenti e calendari possono essere diversi nell’interpretazione, nella intenzionalità dei loro soggetti.

Le carriere non sono determinate da una causalità di t ipo sequenziale, per cui il “prima” determina sempre il “dopo”. Piuttosto la causalità è più spesso di t ipo condizionale e cumulativa. Un fattore causale iniziale può, per esempio, continuare ad esercitare i suoi effetti a distanza di tempo nonostante che le variabili in gioco siano cambiate (Olagnero, 2004). Gli eventi esercitano la propria influenza in modo interattivo. È dall’intreccio di più eventi che alcuni di essi traggono lo spessore di punto di svolta. Infatti un evento può assumere un determinato significato perché si cumula con altri. Gli eventi assumono un determinato impatto e significato perché entrano in interazione fra circostanze sociali e risposte intenzionali degli attori. Da un lato, gli eventi modellano i corsi di vita strutturando sistemi di vincoli e di opportunità, a livello materiale, e modificando quindi sia la linearità dei percorsi che le forme di autopercezione e di comportamento dei soggetti. Dall’altro tuttavia è in base alle modalità individuali di rielaborazione delle esperienze, attribuzione di senso, riorganizzazione delle priorità date, le risorse e le informazioni a disposizione, che gli eventi acquisiscono una certa connotazione e sviluppano determinate conseguenze.

Nella ricerca sociale le caratteristiche di una singola storia di vita sono proprie di quell’individuo in quanto vengono osservate e riconosciute su di lui. Ma l’ipotesi sociologica è che in quell’ambiente vi siano altre vite non troppo dissimili (o comunque significativamente connesse anche se diverse) a quella vita studiata direttamente da vicino; si suppone quindi che ci sia un referente collettivo in cui situare quella vita singola. Una vita che quindi non è presa arbitrariamente come esempio di se stessa, caso unico o sporadico. Il caso singolo è una finestra aperta sul contesto, ma non perché tale contesto sia altrimenti inaccessibile, bensì perché è difficile, se non utilizzando approcci a “distanza ravvicinata”, sapere come concretamente si formino e si trasformino queste risorse e questi vincoli.

Le informazioni sulla vita dei singoli individui possono essere analizzate a livello di contesto anche se sono raccolte su base individuale. In questo caso le informazioni relative a quell’individuo diventano, sommate e confrontate con quelle di altri individui simili a lui, variabili che caratterizzano specifici gruppi o popolazioni. I temi della marginalità e dell’esclusione sociale sono stati studiati dai ricercatori sociali attraverso l’utilizzo dell’intervista biografica. Questa scelta è stata determinata da due diversi motivi. Uno è legato al contesto storico sociale in cui hanno operato i ricercatori mentre il secondo si riferisce “alla capacità di questo strumento metodologico di recuperare il tempo trascorso e la sua memoria individuale e sociale” (Bichi, 42, 2002).

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Raccogliere ed analizzare interviste biografiche di persone che si trovano in una stessa situazione permette di rilevare i funzionamenti dei meccanismi sociali e le trasformazioni degli individui coinvolti, ponendo l’accento sui processi e le logiche d’azione che hanno caratterizzato i loro percorsi biografici. Si evidenziano così, i meccanismi e i processi attraverso i quali i soggetti intervistati sono giunti alla situazione attuale, con quali strategie cercano di gestirla, quali risorse mettono in atto.

I racconti di vita danno la possibilità di elaborare un corpo di ipotesi plausibili, un modello fondato sulle osservazioni ricco di meccanismi, di funzionamenti e di proposte interpretative del fenomeno osservato.

Intervistare in profondità, nell’ambito della ricerca qualitativa, non significa quindi tanto cercare di ottenere una conoscenza più dettagliata, quanto cogliere il senso in cui ciò che è apparentemente lineare è in realtà più complicato, in cui ciò che appare in superficie può essere del tutto fuorviante rispetto alla realtà più profonda, in cui quindi le idee iniziali, la formulazione della verità, che si hanno all’inizio della ricerca, potesse essere messa in questione e problematizzata (Wengraf, 2001).

La parola degli intervistati ha un valore importante in quanto si rit iene l’intervistato un attore sociale in grado di raccontare i meccanismi e i processi di regolazione e di riproduzione di cui fa esperienza. Ponendosi al centro dell’azione e passando attraverso la vita degli individui concreti esprimerà il suo punto di vista sulla sua esperienza sociale. “Questo processo, vissuto nell’interazione sociale provocata dall’intervista, consente all’intervistato di spiegarsi e di argomentare, di dare, con le parole, un senso alla propria esperienza, di ri-costruire connessioni e modelli, del valutare e comparare in funzione del proprio divenire sociale” (Bichi, 2002, 39). 6.2 La raccolta delle storie e la loro analisi È in considerazione di queste prospettive teoriche e metodologiche -il carattere processuale della povertà e la necessità di indagare il senso dei percorsi- che ha suggerito l’opportunità di raccogliere interviste biografiche di persone di cui l’indagine campionaria aveva accertato il basso reddito. Il disegno di questa parte della ricerca prevedeva di intervistare quindici soggetti, selezionati secondo il criterio, comunemente usato per questo tipo di indagini, del “campionamento per dimensioni”, cercando cioè di massimizzare l’eterogeneità dei casi tra di loro in base alle caratteristiche già note dall’indagine campionaria svolta nel 2002.

Purtroppo il numero di persone coinvolte è stato assai inferiore a quello previsto inizialmente: infatti da parte delle persone che abbiamo contattato telefonicamente, i trentasei nominativi individuati tramite l’indagine campionaria, ci sono state forti resistenze nel fornire la disponibilità ad un colloquio ed è stato possibile effettuare solo otto interviste, circa la metà di quelle previste inizialmente. In realtà nella ricerca qualitativa, come è noto,

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non hanno spazio procedure statistiche di stima della rappresentatività e quindi della dimensione numerica di un campione. Daniel Bertaux (1997), uno dei più importanti sociologi contemporanei che utilizza questo metodo di ricerca, introduce a questo proposito il concetto di saturazione: si considera sufficiente il numero delle interviste biografiche quando non emergono più significative informazioni aggiuntive per la comprensione del fenomeno indagato. Non possiamo certo dire che questo sia avvenuto nel nostro caso, tuttavia riteniamo che già le otto interviste effettuate mettano in grado di acquisire prospettive aggiuntive, rispetto a quelle fornite dalla indagine campionaria, sui percorsi che portano al rischio di vulnerabilità sociale e povertà.

Si evidenzia immediatamente, attraverso le storie raccolte, l’eterogeneità dei percorsi che portano alcuni individui, anche in una regione come la Toscana, in cui sia il reddito a disposizione è sufficientemente elevato sia i redditi e i consumi sono distribuiti fra le famiglie in modo abbastanza equilibrato, ad avere un basso reddito ed essere a rischio di vulnerabilità sociale e povertà. Il basso reddito rilevato, possiamo anticipare, non sembra infatti unificare in una condizione di povertà i soggetti intervistati, ma piuttosto deve essere interpretato come un indice di vulnerabilità, una spia di possibili rischi futuri che questi soggetti dovranno fronteggiare, in considerazione di una serie di svantaggi che hanno accumulato nella loro storia.

Procederemo nell’analisi delle storie raggruppandole secondo due principali suddivisioni. La prima riguarda la divisione tra adulti ed anziani. Questa suddivisione sembra particolarmente significativa in quanto il welfare italiano risulta particolarmente poco generoso verso gli adulti in quanto esiste “una ridistribuzione intrafamiliare di risorse che vengono allocate a livello di categorie di età. Il reddito pensionistico degli anziani può diventare una risorsa cruciale per l’ingresso e il primo consolidamento nella vita adulta dei giovani (figli e nipoti)” (Olagnero, 2004, 98). Inoltre il welfare italiano ha carattere prevalentemente familistico. È la famiglia che ha il compito di occuparsi della cura dei propri membri più deboli: anziani e bambini. Inoltre la posizione occupata all’interno del percorso biografico risulta importante anche perché, come si è detto parlando dell’approccio biografico, si prendono in considerazione non solo gli eventi accaduti ma anche gli effetti che questi hanno avuto nel tempo.

Abbiamo ritenuto necessario aggiungerne, alla prima suddivisione tra adulti ed anziani, un’altra relativa al genere.

Le donne, proprio per il carattere del welfare italiano, come già sottolineato, si trovano a dover conciliare l’attività lavorativa con quella familiare. Questo comporta, come evidenziato da molte ricerche, che il genere può condizionare la qualità e la stabilità del lavoro ed innescare il passaggio da uno stato di vulnerabilità ad un stato di povertà. Inoltre le donne, per il modello di cittadinanza del male breadwinner su cui molte famiglie italiane ancora si basano, risultano essere particolarmente esposte al rischio di impoverimento. La donna impegnandosi nel lavoro di cura, e

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non accedendo al mercato del lavoro, si trova ad essere dipendente economicamente e quindi in una situazione di maggior vulnerabilità.

All’interno di queste due suddivisioni abbiamo analizzate le storie prevalentemente tenendo presenti due sfere fondamentali: quella lavorativa e quella familiare. Infatti la capacità di strutturazione dei corsi di vita, come affermano numerosi studiosi e come abbiamo accennato nel primo paragrafo, deriva dalla combinazione dei regimi di welfare, degli assetti familiari e del mercato del lavoro. Si può certamente affermare, pur sapendo che il lavoro non costituisce l’unica e più importante causa di vulnerabilità e di esclusione sociale, che l’occupazione rappresenta sempre più un fattore di rischio più che una risorsa. Diventa imprescindibile indagare in modo approfondito questa sfera della vita degli individui sia per il carattere precario che il lavoro tende ad avere sia per il fatto che la famiglia non rappresenta più quel tessuto relazionale di riferimento in grado di accompagnare e facilitare l’inserimento dell’individuo nel suo percorso di integrazione sociale. Abbiamo ritenuto opportuno, vista l’incidenza che ha sul reddito la formazione conseguita, l’ambito lavorativo in maniera ampia facendovi così comprendere anche l’istruzione e la formazione. La famiglia, come già ampiamente sottolineato, rappresenta in Italia, una importante rete di protezione rispetto al rischio di cadere in percorsi di vulnerabilità ed esclusione sociale. Anche in questo caso abbiamo pensato di comprendere in questo sfera il capitale sociale inteso come le risorse che gli individui acquisiscono attraverso i legami in cui sono coinvolti (Negri, 1993).

Prima di passare finalmente all’analisi del materiale raccolto, riteniamo opportuno, come di sovente avviene negli studi basati su interviste biografiche, proporre una sintetica presentazione del percorso biografico emerso dal racconto dei soggetti intervistati. Questa procedura risulta particolarmente adeguata nel nostro caso. Infatti l’obiettivo dell’analisi è quello di collocare gli eventi accaduti nella biografia e l’intreccio fra questi, a partire dal racconto che della propria storia ha fatto ciascun soggetto. Ciascuna narrativa biografica è quindi una presentazione di sé che ognuno degli intervistati ha consegnato, attraverso la scelta degli episodi da raccontare, dotata di una propria coerenza e un proprio senso interno.

Da questo la decisione di presentare subito gli interlocutori nella ricerca attraverso una sintesi della loro storia. Naturalmente siamo consapevoli che le sintesi che seguono, per quanto abbiamo cercato di restare fedele al racconto, sono esse stesse interpretazioni, propongono quello che è sembrato il filo narrativo delle storie, e in definitiva rispecchiano soprattutto l’idea che ci siamo fatti delle persone intervistate. In questa ottica abbiamo ritenuto significativo introdurre ciascuna storia con una frase che a nostro avviso ben rappresenta, attraverso le parole dell’intervistato, il senso dato alla propria biografia.

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Io ho sempre preso le iniziative … con il rischio di tutto, se va bene brava, se va male sono cavoli …

Lucia, donna settantacinquenne, è nata nelle campagne toscane da una famiglia contadina e patriarcale che lavorava a mezzadria; la sua infanzia è trascorsa serena, nonostante la guerra, per il clima buono che c’era in famiglia e la collaborazione che esisteva con il vicinato. Lucia inizia presto a lavorare perché le piace “creare, fare le cose con le mani”. Infatti impara a cucire e diventa una bravissima sarta. È questo il lavoro che farà per tutta la vita e con molta soddisfazione. Racconta di non essersi pentita di non avere studiato.

Lucia, la cui infanzia e adolescenza sono state segnate dalla guerra, da morti e da malattie, ha dovuto fin da piccola prendersi cura della propria famiglia di origine. Il padre le dà responsabilità importanti che la fanno crescere con una grande stima in se stessa. Si sposa giovane ed ha due figlie.Ha un senso fortissimo della famiglia sia d’origine che di quella acquisita. Dalle figlie, adesso entrambe sistemate sia affettivamente che in ambito lavorativo, ha avuto molte soddisfazioni. La casa è di proprietà, comprata con sacrifici dopo il matrimonio nel luogo di lavoro del marito, vivono con la pensione del marito. Lucia, avendo avuto problemi di versamento dei contributi INPS e avendo poi lavorato prevalentemente a nero, non percepisce nessun reddito. Comunque qui mi sono levato delle rivincite anche contro persone … che non mi hanno mai considerato niente.

Daniele è un uomo di quarant’anni, sposato con due figli minori. La sua infanzia viene segnata in negativo dal fatto di essere un bambino gracile. Questo compromette la socializzazione con i coetanei. Durante l’adolescenza pratica uno sport che gli consente di “riscattarsi” e di trovare delle amicizie e la futura moglie. Daniele inizia a lavorare giovanissimo, subito dopo aver conseguito la licenza media, come lavoratore dipendente, si mette in proprio con il fratello. Il fratello decide di mettersi in proprio e propone a Daniele di diventare socio della nuova attività. La casa è di proprietà ed è acquistata prima del matrimonio. La moglie, da pochi anni lavora nel pubblico impiego, deve frequentare corsi di formazione per acquisire titoli per poter svolgere il nuovo lavoro. …ma anche se facevo tante scuole a cosa mi poteva servire, cioè dove andavo a lavorare giù…?

Giacomo è un uomo quarantaduenne, che si è trasferito in Toscana dal Sud nel 1985 per motivi di lavoro. Dopo pochi anni, da quando è immigrato, si sposa con una ragazza della sua città di origine con cui è fidanzato da cinque anni perché aspettano il loro primo figlio. Giacomo ha due figli che però fa nascere nella propria città di origine perché la coppia non ha una rete familiare in grado di sostenerli in questo momento. Inizialmente, a Firenze, abita con un fratello, ma dopo continui lit igi, la coppia decide di affittare un appartamento da soli. Qualche anno fa Giacomo ha un brutto

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infortunio sul lavoro che lo costringe ad una lunga degenza da cui si è ripreso soltanto da poco. La casa non è di proprietà ma sono ancora in affitto. Cerco sempre, forse anche per questioni così di formazione professionale, di mestiere, di fare sempre molto più i conti col passato che con il futuro.

Lorenzo ha trentacinque anni, è nato in una regione del Nord, figlio unico, sposato senza figli. Studia all’Università di Pisa dove incontra la futura moglie. Prima di sposarsi, le rispettive famiglie di origine, hanno comprato alla coppia un appartamento dove attualmente abitano. Lui e la moglie lavorano presso l’Università come ricercatori. Sono l’unico che è voluto uscire da quel modo di vivere …

Achille è un signore settantatreenne, secondo di tre figli, la sua infanzia è stata segnata dalla fame e dalla povertà. Inizia a lavorare da giovanissimo. Nella maturità riscatta questa dimensione di povertà investendo in attività proprie. Ha un buon rapporto con la moglie, che sposa appena ventenne. Ha due figli con cui i rapporti, dopo la morte della moglie, si interrompono. Della famiglia d’origine è rimasto solo un fratello che è gravemente malato. Rimasto vedovo non ha una rete di sostegno importante né a livello familiare né amicale, perché il continuo rivendere le attività non gli ha consentito una stanzialità per poter stabilire rapporti forti e solidi. Ha la casa di proprietà ed è riuscito a risparmiare per poter avere una vecchiaia economicamente tranquilla. Io credo proprio questo, che questa malattia mi ha condizionato moltissimo…

Marta è una signora di cinquantasei anni la cui vita è stata segnata fin dall’infanzia da una grave malattia che non le consente, con suo rammarico, di studiare.Lo stato di salute segna sia l’ambito affettivo che lavorativo. Marta riesce a trovare lavoro, grazie alla rete amicale, a venti anni. Nel periodo della sua maturità conosce un uomo con il quale porterà avanti un rapporto di convivenza che dura molti anni. Comprano insieme la casa di cui, dopo la separazione, acquisterà anche la parte del compagno. La morte della madre e della cognata lasciano una profonda traccia dolorosa. Marta vive con una piccola pensione e con il lavoro in nero. Si, io non ho rimpianti, sinceramente non ho rimpianti, io sono uno che gode di quello che fa.

Paolo è un signore di cinquantacinque anni sposato e con due figli maggiorenni che hanno studiato e che adesso lavorano, ma non sembrano contribuire all’economia familiare. Ha sempre lavorato come dipendente e ha usufruito dello scivolo pensionistico per problemi che rientrano nella medicina del lavoro. Paolo è il minore di due figli. Inizia a lavorare, non avendo avuto desiderio di studiare, a quattordici anni. La moglie

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prevalentemente si occupa del lavoro di cura. Nei periodi in cui i figli sono cresciuti e in cui non deve occuparsi della suocera lavora a nero per integrare il reddito del marito. La casa è in affitto e la rete amicale è forte ma centrata sul tempo libero. Io sognavo un laboratorio dove potevo fare le cose mie, non sapevo ancora di preciso cosa, però volevo un posto mio dove poter … e questo sono riuscita a farlo.

Rosa è una donna che si è trasferita in Toscana dal Nord d’Italia, separata con tre figli attualmente studenti. Ha esaudito il sogno di aprire, con grandi sacrifici e rischi, un proprio laboratorio. La sua vita è segnata da grandi perdite. Questo le causa l’entrata in uno stato depressivo da cui uscirà grazie al sostegno avuto da un’amica. La casa come il piccolo laboratorio sono in affitto. Il suo livello economico attualmente è molto precario anche se sembrano esserci prospettive future migliori essendo i suoi prodotti molto apprezzati. L’ex marito, per precarietà lavorative, non rappresenta un aiuto né nela cura dei figli né a livello economico. 6.3 I percorsi degli uomini adulti

Gli uomini adulti intervistati appartengono alla fascia di età compresa fra i 35 e i 55 anni. Tutti gli intervistati, anche se le scelte fatte in ambito lavorativo sono fra loro molto diverse, risultano essere inclusi nella condizione occupazionale. Viene confermato dalle interviste da noi effettuate che, dato emerso da alcune recenti ricerche, le forme di fragilità sociale siano sempre più strettamente legate alla dimensione del lavoro piuttosto che a quella della disoccupazione. Sono entrati in crisi tutti quei modelli di organizzazione del mercato del lavoro, della cittadinanza, del welfare che ci hanno garantito la possibilità di vivere e di riconoscerci pienamente, fino a pochi anni fa, cittadini integrati nella società. Per questo Negri (2002) parla, a tale proposito, di "vulnerabilità degli inclusi".

Gli intervistati hanno un basso livello di istruzione: Giacomo e Paolo hanno la licenza elementare mentre Daniele la licenza media. L’unico che si differenzia - ma non solo per questo come vedremo poi in modo più approfondito - è Lorenzo che ha conseguito la laurea.

Giacomo dopo aver ripetuto la seconda media abbandona la scuola a causa dell’influenza degli amici:

“… ma era più che altro volevo andare a lavorare per avere dei soldi in tasca, la scuola non era per me. Quell’anno mi ha deluso perché io dalla prima elementare alla seconda media ci sono arrivato bene, poi non so che cosa mi è preso alla seconda media, forse aveva anche un po’ di amici miei che lasciavano la scuola per andare a lavorare. Ma non per andare a lavorare per il bisogno della famiglia, non c’era bisogno di lavorare, per dire abbiamo qualche soldo nostro …” (Giacomo)

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L’intervistato non rimpiange di aver smesso di studiare perché non ritiene che una più alta scolarizzazione avrebbe potuto agevolarlo in ambito lavorativo:

“Perché secondo me anche se facevo tante scuole, a che cosa mi poteva servire, cioè dove andavo a lavorare giù. C’erano poche strade … quindi ho preferito l’edilizia perché i miei erano tutti nell’edilizia, e di lavoro non c’è mai mancato sia giù sia qui non c’è mai mancato. Per questo di non avere studiato non me ne sono mai pentito.” (Giacomo)

Giacomo afferma, riferendosi in modo particolare alla realtà meridionale dove è nato e vissuto fino all’età di venti anni, che è più facile trovare un lavoro meno qualificato. Per questo, secondo lui, un titolo di studio non avrebbe rappresentato una reale possibilità di poter accedere ad un lavoro diverso rispetto a quello che attualmente svolge. In questo caso è la realtà locale che incide sul t ipo di lavoro piuttosto che il t itolo di studio posseduto. Gli altri due intervistati, Daniele e Paolo, non hanno proseguito gli studi perché, come ben spiegano le parole di Paolo:

“… ho fatto … la scelta mia di non volere studiare, ho scelto di lavorare perché non avevo voglia di studiare, perché non c’ero proprio con la testa …D: Non le piaceva? R: Per niente e allora sono andato a lavorare” (Paolo)

Dal racconto di Daniele emerge che, secondo lui, l’aver conseguito solo la licenza media non gli ha precluso l’accesso al lavoro da cui ha ricevuto gratificazioni. Avere un titolo di studio basso, in una regione come la Toscana, dove la disoccupazione non raggiunge tassi eccessivamente elevati, non preclude l’accesso al lavoro. Sicuramente però il lavoro trovato è di bassa qualifica e può determinare una situazione di maggior rischio di vulnerabilità e di esclusione se il soggetto dovesse in futuro perdere il proprio lavoro.

L’unico dispiacere di Daniele, rispetto all’aver smesso di studiare, è quello di non poter essere di aiuto ai figli nei loro studi:

“Per loro anche perché potevo insegnarli qualcosa di più, seguirli di più anche nello studio, in queste cose qui. Mi rendo conto che anche quello più grande comincia a … a parte che il modo di studiare è completamente cambiato, però potevo aiutarlo di più. E poi è un sapere, è un sapere, è un conoscere che poteva servire … poteva servire per ingrandire te stesso, non tanto per il lavoro. Per il lavoro insomma … si mi poteva servire, però mi poteva servire di più se avevo imparato una lingua, però chiaramente se avevo imparato una lingua continuando a studiare forse non facevo quel lavoro là.” (Daniele)

Soltanto nella frase finale c’è l’accenno al fatto che un diverso percorso biografico avrebbe potuto permettergli un’attività lavorativa diversa. Ma per Daniele il lavoro non è un elemento importante per la realizzazione

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personale. Il suo progetto personale è stato legato alla costruzione di una famiglia:

“Progetto quello magari è ora, di sposarsi (…) Cioè sposarsi, figlioli, la macchina … ecco diciamo quei sogni lì, poi non avevo in mente di dire “voglio diventare veterinario, voglio diventare quello voglio diventare quell’altro”” (Daniele)

La costruzione della famiglia in giovane età, 22 anni, ha invece vincolato le scelte lavorative di Paolo:

“Sono le circostanze che non ti portano … che non ti hanno portato … cioè a ventidue anni praticamente avevo una famiglia sulle spalle, cioè la moglie non lavorava, avevo un figlio poi è venuto quell’altro figlio, sicché ho dovuto entrare nell’ingranaggio di uno stipendio fisso, che mi serviva (…) Invece lavorando in proprio non sapevo a cosa andavo incontro, potevi anche migliorare … ma quando ti serve in fondo al mese una certa cifra per andare avanti … sicché sono scelte che fai poi … in base ai momenti, alla situazione.” (Paolo)

Paolo ha iniziato a lavorare a 14 anni presso un’importante industria del luogo dove ha sempre vissuto. La moglie ha messo il lavoro in secondo piano rispetto alle esigenze della famiglia. Il suo ruolo principale è stato quello di accudire i componenti della famiglia che, nei vari momenti della vita, hanno avuto bisogno di cura:

“Per conto nostro, abbiamo sempre fatto per conto nostro, poteva capitare qualche volta ma … la mi’ moglie ha sempre lavorato in casa, ha fatto qualche cosa in casa e basta, non è mai andata fuori. Ha lavorato in casa sicché ha avuto l’opportunità di guardare i figli.” (Paolo)

Quando si è ammalata la suocera è stato deciso di cessare il lavoro assicurato che svolgeva presso il proprio domicilio per dedicarsi a tempo pieno alla cura della madre di Paolo:

“… ha lavorato un po’ in casa assicurata così … poi dopo nel ’90 io c’avevo … guardava un po’ la mia mamma perché gli era venuta l’arteriosclerosi, sicché fino al 2000 ha guardato la mia mamma.” (Paolo)

Il lavoro della moglie è stato vissuto come un’integrazione al reddito di Paolo quando non era prevalente il bisogno di cura. Infatti quando la madre di Paolo muore la moglie torna a contribuire “alla sopravvivenza” della famiglia svolgendo al nero lavori di cura fuori dall’ambito familiare:

“Mia moglie va a lavorare a ore così in nero, cioè fa le pulizie, la badante da una persona anziana, fa queste cose, per la sopravvivenza” (Paolo)

Per le donne, come dimostrato da altre ricerche, il rientrare nel mercato del lavoro dopo averlo abbandonato per seguire i componenti della famiglia, in

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quel momento bisognosi di accudimento, figli o anziani, diviene molto difficile e l’attività trovata quasi sempre è di livello inferiore rispetto a quella lasciata. In questo caso le donne risultano sicuramente meno tutelata da un punto di vista di diritt i. Inoltre la moglie di Paolo ha un basso livello di istruzione, la licenza elementare, e sembra aver svolto lavori soltanto di bassa qualifica. Questi due elementi incidono sulla possibilità sia di trovare un lavoro sia sul t ipo di lavoro.

Dalle parole di Paolo emerge un altro importante aspetto. Alcune famiglie intervistate riescono ad avere uno stile di vita ed un livello economico superiore alla soglia della povertà perché integrato da attività svolte, da uno o più componenti della famiglia, nel mercato sommerso. Paolo attualmente è in pensione perché ha avuto delle agevolazioni in quanto la ditta, in cui ha svolto la propria attività, lavorava direttamente con l’amianto:

“Io non mi vedo, vivo così, per me la vita cambia poco, quando uno è in pensione non è che uno faccia dei progetti …se c’è da cambiare la macchina se la puoi cambiare la cambi sennò tieni quella che c’hai.(…) No, io non ho fatto niente, io non voglio sapere niente, si mi hanno chiamato diverse volte ma io non voglio sapere, se c’è qualcosa verrà fuori, non è che se lo so prima vivo meglio, anzi il saperlo non mi aiuterebbe, ne ho visti tanti morire anche giovani, tanti. Preferisco vivere così, la vita va presa anche come viene, se devo vivere vivo e sennò …” (Paolo)

La possibilità di potersi ammalare sembra incidere notevolmente sulle scelte di Paolo che non riesce, avendo paura che tale evento possa capitare, a pianificare il proprio futuro. L’evento malattia, molto temuto, potrebbe rappresentare per la famiglia di Paolo un evento particolarmente spiazzante in quanto la moglie avendo lavorato spesso al nero non è titolare di pensione e il nucleo vive in una casa in affitto. Sembra interessante sottolineare che soltanto tre delle otto famiglie intervistate non possiedono una casa di proprietà. Coloro che possiedono la casa o sono stati aiutati dalla famiglia o hanno già finito di pagare il mutuo. Quindi esiste una diversa possibilità di utilizzare le risorse a disposizione rispetto a coloro che devono pagare l’affitto che si trovano con una compressione delle possibilità di consumo indeterminata nel tempo.

Daniele ha iniziato a lavorare da giovane avendo interrotto gli studi dopo i primi due anni di scuola superiore. Per ventuno anni svolge un lavoro come dipendente presso un’officina meccanica di costruzione di macchine tessili. Poi il fratello, che ha una ditta di trasporti propone a Daniele di diventare socio:

“Gli andava in pensione un dipendente, dice il mi’ fratello … mi chiese se volevo entrare con loro, chiaramente non come dipendente ma come socio. Io sinceramente ero invogliato, più che altro perché non avevo più voglia di stare nel capannone, nella ditta, sempre lì …” (Daniele)

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Questa scelta, fatta da sette anni, dettata da una voglia di cambiamento dopo aver svolto per tanto tempo lo stesso lavoro è ancora in fase di valutazione:

“ ..sono ancora nell’incerto nel dire “ho sbagliato o ho fatto bene …” Ci sono tanti problemi lavorare in proprio è difficile, ripeto c’è tante difficoltà e … infatti mi sto chiedendo ancora “ho fatto bene, ho fatto male …” sinceramente non me ne sto pentendo però …” (Daniele)

Daniele percepisce la responsabilità e il peso connesso all’incertezza di avere una propria attività, in un periodo caratterizzato da una recessione economica:

“Dispiace anche mandare a casa i ragazzi, quei due ragazzi che c’abbiamo a lavorare, per ora continuiamo così, sperando che … io siccome si sta andando sempre più in discesa, è una discesa che avrà anche un fondo. (…) Perché il lavoro sta calando … sta calando e la vita sta aumentando, sicché è tutto … ci sarà una fine prima o poi.” (Daniele)

Inoltre dal racconto emerge il problema della competizione con i lavoratori stranieri che lavorano per condizioni economiche troppo svantaggiose per la concorrenza italiana:

“Si, ci sono ci sono dei problemi … ma non in società tra di noi soci ecco, i problemi del lavoro che va sempre peggio, è sempre una lotta, è sempre una lotta con … come si può dire … con i concorrenti, c’è chi abbassa un po’ troppo i prezzi, c’è chi viene e ti frega il lavoro, poi ci sono questi extracomunitari … che non si sa come facciano, con niente … cioè chiedono pochissimo per fare questo lavoro. Non so come facciano loro a campare, non so se non pagano le tasse, non lo so, sennò non c’è verso. Noi per lo meno, meno di così non ce la facciamo.” (Daniele)

La moglie di Daniele ha sempre lavorato presso un privato. La nascita del primo figlio ha portato alla decisione di chiedere una riduzione dell’orario di lavoro per poter conciliare il lavoro con la cura del bambino. Questa richiesta non è stata accettata dal datore di lavoro che anzi le ha proposto di diventare socia dell’attività. La scelta che è stata fatta dalla coppia è stata quella di lasciare il lavoro per dedicarsi completamente alla cura del figlio:

“Lavorava … e vendevano registratori di cassa, poi ci siamo sposati e s’è avuto il primo figlio … è stata un paio d’anni ferma senza … perché, diciamo così, il t itolare della ditta dove lavorava, il negozio insomma, non la voleva riassumere come … a part t ime, mio moglie voleva rientrare a part t ime per stare un po’ con … a casa con il figliolo. Non accettò questo, anzi li propose di entrare in società, già tornava tardi come dipendente … (..)

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Questa decisione ha determinato un periodo a livello economico di ristrettezze perché oltre ad avere un figlio piccolo devono pagare le rate del mutuo:

“È arrivato il momento peggio quando è nato il maschio, perché ha visto la mi’ moglie poi ha smesso di lavorare … e non rientrò a lavorare.(…) Sicché è stato un momento un pochino più duro quello, perché con uno stipendio solo, in tre, ci s’aveva il mutuo … diciamo che anche al mare ce lo abbiamo portato uguale, le ferie gli si sono fatte fare. Però uno solo quei tre o quattro anni sono stati un po’ più critici, poi piano, piano è rientrata … la mi’ moglie ha iniziato a lavorare.” (Daniele)

Va sottolineato che l’acquisto della casa determina uno stato di vulnerabilità momentanea in quanto rappresenta una compressione delle possibilità di consumo in vista di un importante investimento per il futuro come è l’acquisto dell’abitazione (Negri e Saraceno, 2003). Daniele stesso afferma che una volta terminato di pagare il mutuo è aumentato il loro tenore di vita.

Dal brano emerge che, anche se il periodo viene considerato come critico a livello economico, il nucleo può permettersi di effettuare alcune spese non strettamente necessarie come le ferie. Aspetto importante che emerge da tutte le storie è che i soggetti intervistati possono permettersi il soddisfacimento di hobby e interessi come l’andare a caccia per Paolo o effettuare viaggi con il marito per Lucia. Gli intervistati non sembrano, a causa del loro basso reddito, avere difficoltà, tranne Rosa, a soddisfare il soddisfacimento dei bisogni secondari.

La scelta effettuata dalla coppia è quella di investire tempo e risorse nella formazione della moglie per trovare un impiego stabile, se pur meno qualificato:

“… niente fece questo corso per OTA, …(…) fece un po’ di … diciamo di gavetta, che gli è servita anche come graduatoria. Ha lavorato per un anno a (paese lontano dal luogo di residenza), e partire da qui tutte le mattine estate e inverno andava a (paese lontano dal luogo di residenza), al momento che stava per scadergli il contratto con (paese lontano dal luogo di residenza) e che glielo stavano per rinnovare, è arrivata la chiamata da (luogo di residenza).” (Daniele)

Viene in questa storia confermata la teoria, sostenuta ad alcuni studiosi, che quando la moglie smette di lavorare dopo il matrimonio ha altissime probabilità, quando torna sul mercato, di svolgere un lavoro meno qualificato e a più basso reddito, rispetto alla donna che non si è mai allontanata dal lavoro (Olagnero, 2004). In questo caso l’evento è determinato anche dalla decisione della coppia di ritenere necessari due redditi ma al tempo stesso di privilegiare, nella scelta del lavoro della moglie, la sicurezza economica e la possibilità di avere tempo per la cura dei figli. Quando nasce il secondo figlio viene presa nuovamente la decisione che sia la moglie di Daniele a ridurre l’orario di lavoro per

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occuparsi della cura del bambino. Questa volta la decisione di lavorare part-time diviene possibile grazie al t ipo di contratto. Infatti lavorando nel pubblico impiego riesce ad avere tale possibilità:

“Poi dopo … poi è nata la bambina, da quando è nata la bambina che sono cinque anni, la mi’ moglie lavora a part t ime all’ospedale sicché fa quattro ore la mattina, entra alle nove e esce all’una, sicché proprio …” (Daniele)

La scelta di un lavoro fisso e stabile permette alla coppia di poter attuare scelte che prima, con un lavoro nel privato, non erano state possibili. Inoltre fa sì che la famiglia sia maggiormente tutelata da un punto di vista di vulnerabilità. Infatti una nuova uscita dal mercato del lavoro da parte della moglie di Daniele avrebbe causato maggior rischio nel rientro e quindi la possibilità di rimanere per più tempo in condizioni di vulnerabilità. Questo, come già sottolineato, rende più difficile l’uscita dalla povertà (Saraceno, 2003).

Giacomo si è trasferito in Toscana dal Sud quando aveva 20 anni perché, come riferisce lui stesso, ha avuto la possibilità di trovare un lavoro stabile assicurato:

“D: Cos’è che gli è piaciuto di Firenze quando è arrivato? R: Mi è piaciuto … che avevo trovato un lavoro fisso, cosa che non avevo mai avuto giù un lavoro fisso e stabile … D: Anche tempo fa era un po’ … non aveva un lavoro fisso? R: Si, lavoravo giù in Calabria ma lavoravo a nero, quindi ero venuto venti giorni, poi ho visto che si lavorava bene, si stava bene, anche l’ambiente mi è piaciuto …” (Giacomo)

Giacomo conosceva la realtà Toscana in quanto si erano già trasferiti in questa regione 5 dei suoi 11 fratelli. All’inizio Giacomo rimane per qualche mese poi prende la decisione di trasferirsi definitivamente:

“Però ora facciamo un’altra cosa ho detto, a diciassette anni ho detto facciamo un’altra cosa perché si guadagnava troppo poco. Allora sono andato nell’edilizia dove si prendeva quindicimila lire al giorno, sicché ancora meglio, sono andato lì, ho fatto diciotto anni, ho messo un po’ di soldi, ho messo da parte cinquantamila lire e subito la patente, che non mi serviva la patente, però era una cosa che ci tenevo “prendo subito la patente”. (Giacomo)

Giacomo, anche se afferma di essere emigrato per il lavoro fisso, reputa la condizione economica dei fratelli, rimasti al sud, migliore rispetto alla propria:

“Quelli che sono in Calabria sono i più ricchi, stanno meglio. (…) C’hanno la casa comprata, roba che non c’ho io, a me mi tocca sgobbare, lavorare per vivere alla giornata, mentre giù si comprano la casa, tutti c’hanno la casa. Io c’ho mio fratello, il grande, che giù c’ha una bella casa.” (Giacomo)

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I fratelli, partecipando al mercato sommerso del lavoro, risultano avere meno sicurezza e diritt i ma tale precarietà ha consentito loro un maggior guadagno e la possibilità di acquistare la casa. Dal discorso di Giacomo emerge anche il fatto che la Toscana è sicuramente una regione dove c’è un livello di benessere elevato ma anche un potere di acquisto ridotto che fa si che una famiglia monoreddito, con due figli e una casa in affitto si trova a dover “vivere alla giornata”. Diviene così difficile fare investimenti a lungo termine come può essere l’acquisto dell’abitazione.

Nella storia biografica di Giacomo la voglia di autonomia economica ha svolto un ruolo importante nelle sue scelte. La sua numerosa famiglia, composta dai genitori e da 11 fratelli e sorelle, vive nelle case popolari ma grazie alla partecipazione di molti componenti al mercato del lavoro, anche sommerso, non è povera, come viene spesso sottolineato nell’intervista:

“Lavoravo, davo qualcosa a mia madre perché la famiglia era numerosa, ma non era una di quelle famiglie all’antica che … si stava bene perché si lavorava quasi tutti in casa. Mio padre prendeva una bella pensione, quindi poi si era in una casa popolare e non si pagava un affitto alto. Poi avevo tutti e due i miei fratelli grandi che lavoravano con la ditta assicurati … quindi si stava bene non eravamo nella povertà. Io non vedevo l’ora di lavorare per avere qualche soldo mio, per andare a mangiare un pezzo di pizza solo per questo non perché …” (Giacomo)

Giacomo, come già sottolineato, si lamenta perché in Toscana rispetto al Sud, esiste una maggior tutela in ambito lavorativo che però porta ad un minor guadagno che porta ad minor tenore di vita:

“È un modo di vivere diverso giù, è un modo di vivere diverso … non si paga le tasse cosa che qui io pago le tasse, se lavoro a nero giù non pago le tasse. Più che altro c’è il lavoro a nero, le dico la verità si lavora giù, non è che fanno tutti i vagabondi o c’è la droga … più che altro c’è tanto lavoro a nero. Perché lavorano tutti, però c’è questa cosa che lavorano a nero, non pagano le tasse quindi stanno bene e possono comprarsi una casa, magari t i aiuta la mamma che prende la pensione, è sempre un appoggio.” (Giacomo)

Un aspetto importante che emerge da questa storia è che manca la percezione da parte del soggetto che lo stare nel mercato del lavoro nella zona dell’illegalità ha importanti conseguenze legate sia al proprio futuro sia alla possibilità di poter uscire dallo stato di vulnerabilità. Il fatto di guadagnare somme maggiori, non pagando le tasse, non tiene in considerazione le conseguenze che questo comportamento può avere sia per quanto riguarda gli aspetti pensionistici sia sul poter contare su una minima sicurezza. Giacomo recentemente ha avuto un grave infortunio sul lavoro che lo ha tenuto in malattia per lungo tempo e che lo ha reso claudicante. Proprio il giorno dell’intervista aveva iniziato di nuovo a lavorare. Manca la percezione che se tale infortunio fosse capitato lavorando a nero avrebbe rappresentato un evento critico nella propria

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storia anche familiare. Infatti la moglie di Giacomo non ha mai lavorato perché si è occupata dei due figli. Quindi il nucleo sarebbe rimasto privo di reddito almeno per il periodo di malattia.

Un aspetto che rende vulnerabile Giacomo è l’assenza di una rete sia familiare che sociale in grado di fronteggiare le difficoltà. Giacomo e Daniele, entrambi quarantenni, sposati con due figli, pur avendo percorsi biografici simili per quanto riguarda gli eventi si differenziano molto per la capacità e presenza della rete familiare e amicale. Inoltre si evidenzia bene come un evento, l’immigrazione di Giacomo, abbia influenze a lungo termine sulla probabilità di scivolare verso la vulnerabilità e povertà sociale proprio in quanto va ad incidere su una risorsa importante come il capitale sociale.

Giacomo ha una famiglia numerosa: 11 fratelli. Come già emerso hanno vissuto in una casa popolare, dove vive ancora la madre ed una sorella, ma tutti hanno un lavoro per cui Giacomo non definisce la sua famiglia come povera. Il padre muore quando Giacomo ha diciassette anni. A diciannove anni si fidanza con la futura moglie. Dopo cinque anni di fidanzamento si sposano perché in attesa del primo figlio. La coppia che si è già trasferita, per il lavoro di Giacomo, in Toscana, convive con il fratello e la sorella di Giacomo ma dopo diversi lit igi i coniugi decidono di prendere in affitto un appartamento da soli:

“Nell’87 mi sono sposato e mia moglie rimaneva sempre giù e io qui stavo qui e stavo o con mio fratello o con mia sorella. Poi un giorno ho detto “basta te ne vieni su”. Così andai ad abitare con mia sorella e poi un po’ con mio fratello, finché non ci si lit igava. Poi abbiamo litigato e abbiamo trovato una casa per i fatti nostri, perché dopo un po’ si lit iga …” (Giacomo)

Quando la moglie deve partorire, sia per il primo che per il secondo figlio, la scelta che viene presa è quella di tornare al sud presso la famiglia di origine di lei:

“Si l’ho fatta nascere giù a Crotone perché eravamo soli qua, allora preferivo … più che altro mia moglie, c’ha le sorelle, c’ha la madre …D: Certo. Pensavo che fosse più una cosa … come si può dire … di volere che anche i figli nascano …R: No, semplicemente per la comodità, perché siamo soli e allora come si fa? Io lavoro, il lavoro non lo potevo lasciare, invece giù c’era la mamma e le sorelle di mia moglie … poi la donna tira sempre per le sorelle e per la mamma sua … E così andò per partorire Benedetta, poi ci ritornò qui, poi quando era di nuovo incinta di Stefano, andò di nuovo giù …” (Giacomo)

Giacomo esplicita molto chiaramente che il motivo è prettamente “di comodità”. In un sistema di welfare “familistico” come quello italiano la famiglia risulta essere l’unica risorsa attivabile in questi momenti.

La moglie di Giacomo si dedica a tempo pieno alla cura dei figli e così non partecipa al mercato del lavoro. La famiglia di Giacomo è organizzata sul modello del male breadwinner. Questo modello si costruisce su una

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forte divisione sessuale dei ruoli: il reddito viene portato dal marito mentre la moglie si occupa prevalentemente della casa e dei figli. L’organizzazione della vita delle persone dentro una famiglia di questo tipo è stata, e resta tuttora, nel nostro paese una delle modalità principali per garantire l’inclusione dentro un modello “familistico” di cittadinanza (Meo, 2003). Questo modello attualmente però non riesce a tutelare dal rischio di entrata nella vulnerabilità. Infatti anche l’infortunio sul lavoro è per la famiglia di Giacomo un evento a elevato rischio di spiazzamento economico. Si evidenzia bene in questo caso quanto attualmente i processi di infragilimento traggono origine da come si sta dentro la società. Proprio le scelte attuate dagli individui per stare dentro un determinato modello di cittadinanza possono rappresentare un rischio di caduta in povertà.

I due figli di Giacomo studiano e quindi non possono rappresentare un aiuto economico per la famiglia. In caso di necessità si prospetterebbe per loro la scelta di smettere di studiare per entrare nel mercato del lavoro da giovani, con un livello basso di scolarità. Verrebbero cioè attuate scelte che potrebbero avere, all’interno del loro percorso biografico, degli effetti per un loro ingresso futuro nell’area della vulnerabilità.

La coppia sembra priva di risorse relazionali in quanto Giacomo afferma di non avere amicizie solide in Toscana:

“Mantengo un’amicizia forte, oggi non credo più all’amicizia, ma quelli di una volta me li tengo … sono giù. Qui avrò tanti conoscenti qui a Firenze, però di amicizie ne avrò una o due qui.” (Giacomo)

La famiglia di Daniele è composta dai genitori e un fratello. I genitori di Daniele, entrambi in pensione, hanno conseguito la scuola elementare. Il padre per un periodo ha lavorato in filatura e poi è entrato in Comune. La madre ha lavorato al nero in casa alternando il lavoro alla cura dei figli. I genitori di Daniele hanno una casa di proprietà, che come vedremo, è stata un’utile risorsa per il fratello.

“Poi … anche perché le possibilità a quei tempi erano … anche se il momento era migliore, negli anni sessanta sono stati … anche il mio babbo è riuscito a farsi la casa …” (Daniele)

Daniele, come già detto, ha conseguito la licenza media mentre il fratello ha un diploma di scuola superiore. Un momento importante per la famiglia di origine di Daniele è stato quando il fratello appena ventenne decide di sposarsi perché la fidanzata aspetta un bambino:

“Si, e … infatti quando a mio fratello è successo che era rimasta incinta la fidanzata c’era un po’ di … ci sono rimasti un po’ male, ecco. Perché lei …(…), insomma era giovane (…) mio fratello si è sposato perché la moglie è rimasta … aveva la fidanzata incinta ed è nato Gianluca..” (Daniele)

In questa occasione si assiste ad una solidarietà familiare verso il fratello. Infatti la famiglia di Daniele, anche se il fatto ha creato tensione e dispiacere, decide di mettere a disposizione della giovane coppia la casa di famiglia:

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“… la casa dove vivono i miei genitori è una casa grande a due piani sicché è stato fatto un appartamento sopra e uno sotto …(…) si inizialmente il mio fratello, la sua moglie e il mio nipote abitavano giù e noi abitavamo su” (Daniele)

Daniele, che vive con i genitori e lavora presso un’officina meccanica, rispetta i tempi attesi a livello sociale. Dalla storia di Daniele, confrontata con quella del fratello, ben emerge come transazioni apparentemente simili, diventare genitori, hanno significato sia a livello sociale che soggettivo, diverso a seconda di quando accadono. Daniele, a differenza del fratello, percorre tutte le tappe previste socialmente: si fidanza con una ragazza che conosce sui campi sportivi, dopo qualche hanno di fidanzamento decidono di sposarsi e comprare casa. Vengono a conoscenza di una cooperativa edilizia che costruisce degli appartamenti. Così, una volta consultati i genitori, decidono di comprare la casa prendendo un mutuo. La condizione economica di entrambe, all’epoca sono occupati, gli permette di fare questa scelta:

“I lavori sono iniziati nell’’80, ’83 mi sembra e le chiavi ce l’hanno date nell’86, sicché noi siamo stati tre anni quasi senza … tenendola vuota praticamente, l’abbiamo ammobiliata piano, piano. Si poi ci siamo sposati nell’‘89 e … niente lavorando tutte e due insomma ce l’abbiamo fatta.” (Daniele)

I due giovani, come già raccontato, hanno il primo figlio. In questo mo-mento decidono di far uscire la moglie di Daniele dal mercato del lavoro. Stanno ancora pagando il mutuo ed hanno un bambino piccolo quindi que-sto risulta essere il momento economicamente più difficile. La moglie di Daniele dopo quattro anni dal parto decide di tornare a lavorare. Inizia un corso di formazione che le farà trovare un lavoro stabile. Nasce la seconda figlia e di qui la decisione di lavorare part-time. La moglie deve comunque continuare la formazione che non le permette, dovendo lavorare e svolgere il t irocinio previsto all’interno del corso che sta seguendo, di occuparsi in modo prevalente dei figli e della casa. Daniele aiuta la moglie andando a prendere il figlio a scuola e occupandosi del pranzo. Ma in questo momen-to diviene importante l’aiuto fornito dalle rispettive famiglie di origine:

“Con questo fatto del corso che sta facendo la mi’ moglie c’è stato … da … più che altro da sistemare questi ragazzi, sicché la sera magari si rimaneva a mangiare dai miei …(…) Si però tanto la sera ti devi mettere a fare qualcosa … per quello ci si organizza così diciamo, infatti queste sere siamo rimasti a mangiare dalla mi’ suocera perché coi ragazzi … loro sono rimasti a dormire là, poi c’è la zia, la buona zia che la mattina li prende in macchina e se li porta uno a scuola, una all’asilo.” (Daniele)

In questo momento, in cui la coppia e le rispettive famiglie di origine non riescono a fronteggiare totalmente la cura dei figli, subentra una importante risorsa non sempre ai giorni nostri presente e utilizzabile: il vicinato:

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“Poi oltre a lasciali soli in casa, c’è da portarli a scuola … ora il figliolo grande stamani … c’è il signore Simone … quello del primo piano …(…) e anche lui c’ha il ragazzo che va alla stessa scuola media, sicché dice “che te l’a portare io il ragazzo domattina?” e mi fa un piacere sennò lascio la piccina a casa, perché sennò prendo, porto quello grande a scuola, tanto dorme …(…) C’è successo di lasciarli un paio d’ore soli, perché … però quando si fa in questo modo c’è sempre qualcuno nel condominio, c’è per dire la signora del primo piano che lavora giù in una delle stanzine, sicché quando si va via si dice “Selene se tu senti qualcosa …” poi loro sanno che se c’è qualcosa sanno dove andare” (Daniele)

L’attivazione di tale risorsa è resa possibile dal fatto che Daniele vive in un piccolo paese dove ancora le persone si conoscono e dove i rischi, come riferisce lui stesso, sono bassi:

“Si in città è diverso … poi ha visto se ci capita, ci capita il pomeriggio di doverli lasciare, e il pomeriggio c’è anche altri loro amici di qui, c’è altri suoi amici che si mettano giù, qui diciamo fuori, qui da noi non c’è grossi rischi sicché …” (Daniele)

La famiglia e la rete amicale diviene per Daniele un’importante risorsa da utilizzare in questo momento in cui la moglie deve investire il proprio tempo e le proprie risorse non solo per la famigli ma anche per il lavoro. Infatti, come più volte sottolineato, la coppia ha scelto di essere entrambi nel mercato de lavoro ma con un impegno minore della moglie così da poter accudire direttamente i figli. Ma in un sistema di welfare delega alla famiglia la cura dei figli e degli anziani diviene rilevante, in momento in cui questa cura non può essere svolta appieno, avere risorse in grado di poter colmare la mancanza di servizi pubblici. Daniele avendo la casa di proprietà, avendo anche già ultimato il pagamento del mutuo, una moglie inserita nel mercato del lavoro con contratto a tempo indeterminato, una rete familiare e amicale in grado, per adesso, di fronteggiare i bisogni e le necessità della coppia, sembra essere maggiormente tutelato rispetto al rischio di vulnerabilità.

È sembrato opportuno, come già accennato, analizzare la storia di Lorenzo separatamente dalle altre perché da un lato ha un percorso biografico e un’appartenenza sociale molto diversa dalle precedenti dall’altro si discosta molto dall’idea che abbiamo rispetto a coloro che possono appartenere alla categoria di famiglie a basso reddito. I genitori di Lorenzo, il più giovane dei quattro intervistati, sono entrambi laureati. Il padre ha svolto la professione di medico anche se la sua aspirazione era quella di rimanere in ambito universitario mentre la madre ha fatto l’insegnante in un Liceo scientifico. Dal racconto di Lorenzo emerge che la sua scelta di laurearsi e intraprendere la carriera universitaria è stata come “naturale” visto l’ambiente in cui è cresciuto. Il padre ha esplicitamente dissuaso il figlio a seguire la professione di medico:

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“E questo insomma è l’aspetto … infatti io non ho mai pensato di fare medicina, è stato un maestro al rovescio… (…) ma in ogni caso mi ha sempre voluto dissuadere da quell’idea di seguire il suo percorso, anzi è sempre stato contento che io ne abbia scelto uno, che ha a che vedere con l’uomo, ma non con quello appunto malato” (Lorenzo)

Lorenzo, a differenza degli altri intervistati che sono rimasti in contatto con persone del proprio livello sociale e culturale, racconta che ha vissuto da piccolo in un appartamento in affitto in un condominio dove ha stretto un forte rapporto di amicizia con un coetaneo di una classe sociale diversa dalla sua:

“In quel periodo era in affitto, ma semplicemente per ragioni, come dire, di ordine … come ho detto in quel periodo mio padre guadagnava uno stipendio notevole, però così per inesperienza dei giovani, anche il padrone di casa era un tipetto, io me lo ricordo vagamente, non era certo un affitto … per cui avrebbero fatto meglio probabilmente a pensare di comprarla. Comunque vabbé questo non è stato, diciamo, il problema … anzi il fatto di abitare in un condominio (…) e questo ha consentito di creare un rapporto privilegiato con un bambino che aveva un anno meno di me. Anche perché è stato un po’ una sorta di fratello acquisito fino almeno all’età del Liceo, insomma.” (Lorenzo)

Dopo le scuole superiori i due amici hanno fatto scelte diverse. Lorenzo ha iniziato l’università mentre l’altro si è iscritto all’Accademia navale. Questa scelta, così diversa da quella di Lorenzo, ha causato la frattura del rapporto:

“Non è rimasto perché diciamo che subito dopo il Liceo diciamo che ci siamo separati in modo drastico perché lui ha scelto la carriera militare, si è iscritto all’Accademia di Livorno … è un po’ insomma … ti forgiano su una prospettiva, è stata come dire … l’anno di età si è in qualche modo ingigantito sul piano della distanza, anche nel modo di vedere le cose … e anche di viverle.” (Lorenzo)

Lorenzo racconta di essere rimasto in contatto con i compagni delle scuole superiori che hanno continuato l’università anche se hanno scelto Facoltà diverse. Soltanto l’essere stato in un condominio in affitto sembra aver permesso a Lorenzo di entrare in contatto con una persona di un ceto sociale totalmente diverso dal suo. Anche la moglie è stata incontrata all’Università e come lui sta intraprendendo la carriera universitaria. La coppia vive in una casa di proprietà comprata dalle rispettive famiglie di origine. Lorenzo ha un contratto a tempo determinato con l’università mentre la moglie ha un contratto di collaborazione. Il loro attuale basso reddito non è un indice di vulnerabilità visto la loro appartenenza sociale, l’elevata scolarizzazione, la casa di proprietà acquistata dalle famiglie senza ricorrere ad un mutuo e quindi non comprimendo per nessun periodo il loro potere di acquisto. Il basso reddito può essere visto come un investimento per la loro realizzazione professionale futura. Il contratto a

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tempo determinato di Lorenzo e il contratto atipico della moglie sono una risorsa “ricca” dal punto di vista professionale e non una strada obbligata e senza via di uscita (Saraceno, 2004).

6.4 I percorsi delle donne adulte Le due donne adulte da noi intervistate hanno due percorsi biografico molto diversi fra loro. La storia di Marta è segnata dalla malattia che inciderà sia sulle scelte lavorative che su quelle affettive anche se non le impedirà di riuscire ad avere delle sicurezze economiche e a rappresentare un’importante risorsa per la propria famiglia di origine. La storia di Rosa, separata con tre figli, ben rappresenta i rischi di fragilizzazione legati alla frattura dei legami sociali. Rosa incontra molte difficoltà essendo una donna sola, senza appoggi familiari, la madre anziana vive in un altra regione e che ha intrapreso un’attività autonoma. È infatti l’unica a trovarsi in difficoltà economiche tali da doversi rivolgere ai servizi sociali. Anche in queste due storie sembra opportuno indagare la sfera scolastica e lavorativa e la sfera familiare e amicale anche se, come abbiamo visto precedentemente per gli uomini, non è sempre così facile tenerle separate.

Marta, poiché la sua infanzia è segnata dalla malattia, riesce a studiare soltanto fino alla seconda media. Quando ha sei anni, dopo la morte del padre, iniziano ad aggravarsi i problemi di scoliosi alla schiena di cui ha sofferto fin dalla nascita. Si trasferisce a casa dei nonni materni anche perché la madre, dopo esser rimasta vedova, come lei stessa racconta, “era una donna con un grande dolore”. A sette anni inizia ad entrare ed uscire dagli ospedali e ad essere sottoposta a molti interventi. Marta è consapevole che la malattia ha rappresentato un evento importante che ha determinato scelte che hanno avuto ricadute per tutto il proprio percorso biografico:

“Io credo proprio questo, che questa malattia m’ha condizionato moltissimo, sicché anche lasciare la scuola, poi dopo gli ospedali, i gessi, il letto …” (Marta)

Quando Marta ha diciotto anni esce definitivamente dall’ospedale e può così iniziare a vivere una vita normale. Vista l’età decide di trovare un lavoro senza terminare gli studi:

“Si, i primi tempi si, poi dopo cominciai a cercare il lavoro perché … d’altra parte senza titolo di studio … D: Ed era andata a fare? R: La pellettiera e la feci per tre anni finché ero apprendista, poi nel momento che dovevo passare operaia mi mandò via, perché doveva pagare i contributi.” (Marta)

Marta risulta consapevole che il livello di istruzione basso le ha condizionato le scelte lavorative anche se, come vedremo, riesce a svolgere un lavoro gratificante:

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“Poi questo era amico del professore che veniva a trovarlo, io in quel periodo non avevo lavoro perché ero stata appunto licenziata, sicché mi parlò e mi disse “se vuole venire così vede di quello che si tratta …”. Sicché mi ricordo che entrai in questo laboratorio tutto particolare, tutte queste lane, questi tappeti, questi arazzi, e provai e rimasi lì. Ebbi la fortuna siccome aveva di già all’epoca vent’anni, sicché lui apprendista … sicché mi mise subito …(…) Invece di fare il t irocinio, di fare i gomitolini, di fare appunto i rocchettini … no, mi mise subito a lavorare e mi piacque, sinceramente si, mi piacque.” (Marta)

Marta, quando ha trentadue anni, decide di cambiare lavoro e di mettersi in proprio nonostante la madre e il compagno non condividono tale scelta:

“Poi dopo nell’‘82 … ‘81 lasciai il laboratorio perché conobbi questa signora che mi faceva … la m’ha fatto un capo così per lasciare il lavoro e mettermi in proprio, perché m’avrebbe dato il lavoro e poi dopo praticamente lo feci. … era morto il principale e c’era il figlio e questo figlio non c’era un buon rapporto sicché anche lì … non tanto con me, un po’ in generale e allora dissi proviamo. Sicché mi misi in proprio a lavorare in casa …” (Marta)

Marta, a causa della sua malattia, aveva anche iniziato le procedure per la richiesta della pensione di invalidità che riceve dopo pochi mesi dall’aver aperto un’attività. Dal suo racconto emerge che si è informata per poter conciliare le due cose. Ma all’epoca sembra che ciò non fosse possibile. Ricevendo una pensione minima Marta decide di cumulare questa con il reddito derivante da ambiti “ informali” dell’economia che le permette così di poter soddisfare il suo bisogno di reddito. Inoltre riesce così a realizzare il proprio sogno professionale:

“Si, come ditta in proprio si. Poi dopo nel frattempo avevo fatto la domanda della pensione d’invalidità, che dopo vari, diciamo, ricorsi mi fu data e infatti in quegli anni lì mi dettero questa pensione sicché dovetti cancellarmi, perché io chiesi anche al C.N.A., andai a sentire e mi dissero (…) non le conviene mica.. (..)… non si poteva più fare, sicché dovetti cancellarmi e allora lavoravo in nero.” (Marta)

Dalla storia di Marta emerge quanto determinate scelte che avranno ricadute nel percorso biografico degli individui vengono determinate anche dalle politiche attuate. Si evidenzia così che la capacità di strutturazione dei corsi di vita deriva dalla combinazione dei regimi di welfare e del mercato del lavoro (Olagnero, 2004).

Marta non sembra, fino ad ora, essersi pentita della scelta fatta in ambito lavorativo. Infatti la pensione di invalidità integrata da un buon reddito al nero le hanno permesso di avere un tenore di vita considerato buono:

“Questo nel ‘96, sicché tanto avevo il mio, lavoro continuavo a lavorare a nero, si stava proprio bene io e la mamma” (Marta)

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Rosa nasce in una regione del nord Italia dove vive fino ai diciotto anni con la madre e il fratello. Il padre muore quando lei è piccola. Appena finito la scuola superiore decide di trasferirsi perché, come spesso ripete nell’intervista, non riesce a vivere nella sua città natale. Rosa è una dei pochi intervistati che afferma di essersi pentita di non aver proseguito gli studi:

“Si, tante volte, mi sono pentita di non avere studiato, si. Infatti quello che dico ai miei figli è di non perdere troppo tempo, di non lasciarsi trascinare dalle amicizie, perché è veramente importante la scuola, la cultura, che uno riesce a farsi. Io poi sinceramente non sono andata più andata a scuola ma … il libri mi piacciono, mi piace leggere, mi piace incuriosirmi di tutto, quello che è possibile.” (Rosa)

Si trasferisce così in Toscana dove inizia una sua attività, sembra, al nero: “Si perché ho cominciato a dipingere, dipingevo … anzi io ero arrivata qui che era un periodo che dipingevo la stoffa e cercavo di arrangiarmi con questi tessuti dipinti che facevo.” (Rosa)

Viene poi assunta in una ditta artigiana dove però, da quanto racconta, viene sfruttata così decide di mettersi in proprio:

“Poi mi è capitata una signora che dipingeva … e mi aveva detto se andavo a dipingere per lei. Poi però c’erano problemi perché questi qui … io addirittura gli davo delle idee così gratis, e dopo un po’ mi sono resa conto che mi stavano sfruttando in un modo spaventoso … al che smetto di lavorare per loro e mi sono messa a lavorare per conto mio.” (Rosa)

La sua prima attività riesce a tenerla aperta fino a quando non ha il secondo figlio. In quel periodo ci sono gravi problemi a livello personale e familiare: muore il fratello, il marito ha un grave incidente automobilistico, Rosa che sta aspettando il secondo figlio viene colpita da una grave forma di depressione. Quando le sue condizioni migliorano inizia a fare la cameriera presso ristoranti e bar per aiutare economicamente la famiglia perché il marito, che anche lui lavora in proprio, si trova in difficoltà:

“… di restare con le mani in mano perché mio marito aveva lavorini così … e io mi arrangiavo facevo la cameriera per i ristoranti, poi per una pasticceria che faceva servizio di catering, insomma mi sono sempre arrangiata. Facevo anche qualche lavoretto di pittura in casa, insomma così.” (Rosa)

Quando si separa dal marito decide di aprire nuovamente una sua attività: “nel ‘96 ho ribaltato la mia vita, mi sono separata da mio marito e ho aperto il secondo laboratorio, nella via principale, ma era un laboratorio piccolissimo” (Rosa)

Questa scelta le crea però alcune difficoltà economiche. Essendo sola senza nessuno che la possa sostenere in questa impresa si trova a dover chiedere un mutuo alla banca per sanare i debiti:

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“Sarà anche che sono un po’ testarda perché è stata dura, infatti i primi anni ho dovuto prendere poi un mutuo perché ero andata sotto con la banca, perché ho fatto debiti con la banca diciamo …” (Rosa)

Rosa, essendo sola, dal racconto non sembra che l’ex marito l’aiuti nella gestione dei figli e la madre si trova in un’altra regione, incontra molte difficoltà nel riuscire a conciliare la gestione del laboratorio e la vita familiare

Un evento doloroso unisce le due storie fra loro, come già sottolineato, molte diverse: l’essere rimaste orfane di padre durante l’infanzia.

A Marta muore il padre quando ha sei anni. La madre non reagisce bene a questa mancanza. Sembra che all’inizio non riesca ad accudire la figlia neanche quando viene ricoverata in ospedale. Per questo si trasferiscono dai nonni materni. La malattia sembra segnare molto Marta anche per quanto riguarda l’aspetto relazionale. A diciotto anni, quando riesce a svolgere una vita fuori dall’ospedale, inizia a costruirsi anche le prime amicizie. Lei stessa è consapevole dell’importanza che la malattia ha svolto anche nella vita affettiva. Il suo bisogno di affetto la porta a instaurare un rapporto con Alfredo, un uomo che ha dimostrato un interesse nei suoi confronti:

“tutti logicamente s’ha bisogno di un affetto, io indubbiamente anche perché la mia schiena mi ha condizionato molto… (…) Sicché quando mi capitò questo tizio che mi stava dietro per me capito, mi sentivo … mi sembrò …” (Marta)

La storia con Alfredo è complicata e dolorosa. Infatti quest’uomo è sposato ma questo verrà scoperto dopo tre anni di fidanzamento con Marta. Alfredo decide di lasciare la moglie ed i figli e andare a convivere con lei:

“… Alfredo, questo che poi è diventato il mio compagno per tredici anni, abbiamo avuto una convivenza qui, praticamente siamo stati insieme vent’anni e più … ventitre anni. Però ci fu un però … era sposato e non me l’aveva detto.” (Marta)

Marta, prima della convivenza con Alfredo vive con il fratello la cognata e la madre. Nascono però delle tensioni che fanno si che Marta decida di trasferirsi in una casa in affitto con la propria madre. Quando viene presa la decisione della convivenza Marta compra la casa insieme ad Alfredo. Marta, grazie al contributo della madre, riesce a mettere la parte senza aver bisogno di chiedere, a differenza di Alfredo, il mutuo:

“No, avevo un po’ di soldi da parte, la mamma aveva avuto un rimborso sulla pensione del babbo … insomma delle cose così e insomma la metà per uno. Lui aveva chiesto un prestito, io no, io c’avevo questi soldi da parte con la mamma, e allora… perché la costò nel ’93 centosessanta milioni …” (Marta)

Viene confermato da questa storia che il reddito pensionistico degli anziani, in un regime di welfare dove la ridistribuzione intrafamiliare di

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risorse vengono allocate in maniera diseguale a livello di categorie di età, risulta essere una risorsa fondamentale per l’ingresso e il primo consolidamento nella vita degli adulti con cui il welfare italiano è poco generoso (Olagnero, 2004)

Quando Marta ha quarantasei anni finisce la convivenza con Alfredo. Questo è l’unico momento in cui la sua decisione di svolgere l’attività a nero poteva creare grosse difficoltà e impedire di poter fare scelte che avrebbero avuto conseguenze anche sulla sicurezza futura. Infatti quando si è trovata a riscattare la parte della casa intestata ad Alfredo non è potuta ricorrere alla banca. Non avendo uno stipendio non è in grado di poter accedere al mutuo. È stato qui importante il ruolo svolta da una amica di Marta, che le ha prestato il denaro per poter estinguere il debito con Alfredo. La rete amicale di Marta è stata in grado di fronteggiare questo evento:

“… io dovetti rendergli questi soldi, allora qualcosa c’avevo, poi il resto me li dette una mia carissima amica, perché io in banca che prendo? Io la pensione è quella che è, buste paga non ne ho, insomma senza fare tanti giri poi glieli detti tutti, tutti, anzi ne volle anche di più, insomma vabbé e si levò di lì. Fu dura, ora io dico così ma non fu facile.” (Marta)

È l’unico momento in cui Marta afferma di aver avuto delle grosse difficoltà, anche se durante il racconto traspare una certa tranquillità e soddisfazione soprattutto per quanto concerne l’aspetto economico. Si nota ancora una volta quanto le risorse informali possano essere risolutive nel fronteggiare eventi importanti quando non è possibile accedere alle risorse formali. In questo caso l’assenza dell’amica o l’impossibilità, da parte di quest’ultima, di fornire denaro a Marta poteva compromettere la possibilità di mantenere un bene fondamentale come la casa di proprietà.

Marta si trova ad essere, nonostante la malattia, per la propria famiglia una risorsa importante. Per tutta la vita si prende cura della madre, rimasta segnata dalla perdita del marito. Inoltre si occupa di lei anche quando viene colpita da un ictus. Infatti riesce ad esaudire il desiderio della madre di morire a casa. Come accade per molte figlie, appartenenti alla generazione di Marta, queste risultano essere un importante risorsa che impedisce all’anziano bisognoso di cura l’ingresso in istituto.

Inoltre Marta appartiene ad una coorte, oggi nell’età centrale, che è la prima a sperimentare come normalità l’essere al centro del flusso di comunicazioni e scambi tra le diverse generazioni. Questa coorte deve occuparsi al tempo stesso dei bisogni sia della generazione più giovane che di quella più vecchia (Saraceno, Naldini, 2001). Marta è così al centro di ridistribuzione di aiuto sia nei confronti della madre che nei confronti del nipote, che si separa dalla moglie:

“Leonardo il maggiore, mio nipote sposato poi dopo la moglie è andata in crisi, sicché anche lì mi telefonò “guarda zia è andata così e così, vengo da te” “vieni da me”…” (Marta)

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Marta risulta essere abbastanza tutelata da un punto di vista economico, in quanto ha accumulato risparmi per la vecchiaia, la casa di proprietà e la pensione di invalidità.

Rosa, dopo la morte del padre, vive con la madre e il fratello. Appena diciottenne decide di trasferirsi in Toscana dove incontra il futuro marito. Si sposa ed ha il primo figlio. Quando aspetta il secondo, come già raccontato, si ammala di depressione a causa della morte del fratello. Rosa a trentacinque anni si separa dal marito. Rimane in Toscana lontana dalla madre che incontra poche volte l’anno. L’unico appoggio viene da una amica che l’aiuta soprattutto durante il periodo della depressione. Dall’intervista emerge che è sola nell’accudimento dei tre figli. Rosa è l’unica intervistata che si è rivolta ai sevizi sociali:

“ io come donna sola con tre figli, io non ho nessuno aiuto. Potrei andare a piangere ai Servizi sociali però non fa parte del mio carattere, però … quando è stato … l’anno scorso ho avuto bisogno … cioè per me è umiliante, perché specialmente le assistenti sociali vogliono vederti piangere, e per me è una roba che non è giusto, non è giusto nei confronti delle persone che hanno bisogno d’aiuto.” (Rosa)

Rosa racconta che il rivolgersi al servizio sociale è stato vissuto da lei come umiliante. Come emerge, anche da altre interviste svolte ad assistit i, il rivolgersi agli assistenti sociali viene vissuto non come una risorsa per poter uscire da un momento di difficoltà ma come un evento che decreta il fatto di essere ormai totalmente privi di risorse. Questo sembra essere confermato dal racconto di Rosa che afferma che gli stessi assistenti sociali sembrano volersi occupare soltanto di coloro che sono estremamente bisognosi. Questo atteggiamento degli operatori e questa percezione di Rosa sono determinati dalle caratteristiche del welfare italiano, poco generoso e categoriale verso i “poveri abili”, che fa sì che accedano ai servizi sociali individui che hanno sommato, all’interno della propria biografia, una serie di eventi spiazzanti che rendono lunga e difficile l’uscita dal sistema assistenziale. Per coloro che riescono in qualche modo, grazie a risorse familiari, rete amicale e accesso al mercato informale del lavoro, a rimanere sulla soglia della vulnerabilità l’accesso e il soddisfacimento della richiesta di aiuto diviene più difficile. Inoltre proprio per queste caratteristiche l’accesso ai servizi viene anche vissuto in maniera stigmatizzante.

Rosa ha nel proprio percorso biografico un cumularsi di eventi che possono incidere su un suo possibile ingresso nell’area della povertà: una separazione, una carriera di migrazione, un’attività commerciale ancora non avviata, una casa e un laboratorio in affitto, un figlio minorenne e due figlie da poco maggiorenni che ancora studiano. Risulta così essere ad alto grado di rischio in un regime di welfare dove c’è una bassa rete di protezione e non potendo contare sulla propria famiglia di origine, ormai rappresentata soltanto dalla madre anziana che vive in un’altra regione.

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6.5 I percorsi degli anziani Achille e Lucia hanno rispettivamente settantatre e settantacinque anni. L’analisi delle loro biografie all’interno di questa ricerca diventa particolarmente significativa perché ci permette di analizzare gli eventi, e gli effetti, che si sono susseguiti nel tempo all’interno del loro percorso biografico, contestualizzato sia a livello temporale che sociale, e che hanno portato le due persone ad un basso reddito e quanto questo posso essere un indice di vulnerabilità.

Aspetto importante da sottolineare, prima di procedere all’analisi delle storie, è il fatto che entrambi godono, nonostante alcune patologie determinate dall’età, di una buona salute, sono autosufficienti e potrebbero rappresentare una risorsa per i propri figli. La malattia infatti rappresenta spesso un evento di svolta in quanto chiede una attivazione, soprattutto in Italia deve esiste una delega alla famiglia rispetto alla cura, del proprio capitale sociale per fronteggiare tale evento. Per adesso, come già accennato e come approfondiremo fra poco, i due anziani, nonostante il basso reddito, rappresentano o potrebbero rappresentare una risorsa per la propria rete familiare.

Achille ha conseguito la licenza elementare. All’epoca era considerato normale, in una famiglia con tre figli, il fatto di non proseguire gli studi ma di iniziare a lavorare da giovanissimi. Non era economicamente sostenibile investire sul percorso scolastico di tre figli:

“… poi a quell’epoca era più il lavoro più che la scuola, perché la scuola ti porta poi a studiare degli anni, se riesci o non riesci la famiglia regge, se regge. Ma io penso che a quei tempi in una famiglia di tre o quattro figlioli se ne poteva mandare uno a studiare, però poi dovevano contribuire un pochino tutti, a quei tempi era questa qui la regola.” (Achille)

All’inizio Achille lavora come commesso presso un sarto, poi aiuta il padre nella bottega di calzolaio fino a quando, all’età di venti anni, inizia a lavorare, presso amici di famiglia, in una pasticceria. A trentuno anni Achille si mette in proprio ed inizia questa sua attività autonoma che lo porta a cambiare molti settori:

“ho aperto quel bar il quattordici ottobre del ’66, si aprì con la mi’ moglie e si prese in pieno, poi dopo due anni ho chiuso coi negozi e mi venne la voglia di comprarmi un camion …(…) me lo comprai, ci lavorai su sette anni, girai tutta l’Italia andavo in su e giù. giravo con quel camion che sembravo Nuvolari. Poi anche lì, il famoso ’73, crisi economica … si ricorda del ’73? (…) Sicché ressi fino al ’75 poi vendei il camion dissi “sai ‘icché vado a fare il tassista …fino a dodici anni fa” (Achille)

Achille, persona intraprendente e con molta voglia di riscattare l’infanzia caratterizzata dalla povertà decide di lavorare in proprio sia perché vuole

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essere indipendente sia perché si rende conto che in quel periodo di boom economico è abbastanza facile:

“Ma a me non è mai piaciuto dipendere dagli altri, ho sempre preferito dipendere da me. (…) Ma la vita era tanto più semplice, non era mica complicata come ora. Prima bastava andare all’Annona e gli si diceva “guardi che questa bottega la lascio, prendo questa oppure apro quest’altra, quella ceduta da quel signore …” con due marche da bollo si faceva tutto, si apriva un negozio. Ora invece tra i permessi e l’Iva … per aprire qualcosa ci vogliono fogli e fogli da centomila euro. Appena tu hai voglia … voglia di fare qualcosa ti scaricano, t i smontano subito, proprio ti …” (Achille)

In queste attività non sembra mai essere stato aiutato economicamente da nessuno. Ha avuto un grande sostegno dalla moglie in quanto avevano le stesse idee e che, in alcuni periodi come quello in cui avevano il bar, ha lavorato con lui. L’intraprendenza dimostrata in ambito lavorativo viene mantenuta da Achille in ogni ambito economico anche per quanto riguarda l’acquisto della casa:

“Poi venne un cliente e mi disse che vendeva l’appartamento, madonna andai di corsa in banca e mi diedero … e così comprai casa lì.” (Achille)

Achille racconta che in ambito lavorativo ha avuto molte soddisfazioni sia a livello personale che economico. Il lavoro di tassista, pur essendo quello a cui si è appassionato meno, è stato quello che ha svolto per maggior tempo in quanto molto remunerativo. È proprio questa attività che ha permesso ad Achille di poter avere attualmente un buon tenore di vita:

“Ho lavorato tanto, quando ho smesso poi con il barre, ho comprato il camion e dopo sette anni ho preso il taxi, ora se uno lavora con il taxi guadagna quel che vuole….” (Achille)

Lucia durante l’infanzia vive in campagna dove aiuta i genitori nel loro lavoro di contadini. Ricorda con piacere quel periodo anche se svolgeva lavori pesanti. A dodici anni inizia a lavorare come sarta presso la propria abitazione. Lucia racconta di essere stata messa a libretto ma non le sono stati versati, dal proprio datore di lavoro, i contributi INPS. Lucia sottolinea spesso durante il racconto che questo è causato dagli scarsi controlli esistenti piuttosto che dal suo essere “sprovveduta”.

“No, no, io ho sempre lavorato a domicilio, con il libretto di lavoro, a quattordici anni m’hanno fatto il libretto di lavoro, però erano talmente delinquenti che mettevano i contributi dell’INAM, perché allora c’era l’una e l’altra cosa, e non mettevano quelli dell’INPS. Io sono senza pensione, io mi sono ritrovata a cinquantacinque anni … non sono una sprovveduta, non credo di sembrarle una sprovveduta, non lo sono mai stata, e che non c’erano i controlli e poi non c’erano le cose scoperte come ora. Entrare nell’INPS era una cosa quasi impossibile, tu ti dovevi

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fidare di quello che facevano e non c’era tutela, noi lavoranti a domicilio non s’era tutelate da nessuno, da nessuno via. Poi quando è cominciata la tutela, hanno cominciato a mettermi più versamenti ma io ero quasi prossima alla pensione. Perché io in pensione sarei dovuta andare a cinquantacinque anni, mi aveva versato otto anni di contributi.” (Lucia)

Lucia, non avendo versato i contributi non ha diritto alla pensione di anzianità. Attualmente può contare come entrata solo sulla pensione di 560 euro del marito che, come Achille, ha fatto il tassista. Il non poter usufruire della pensione potrebbe risultare un evento che mette a rischio l’equilibrio economico della famiglia. Lucia racconta di aver “avuto giudizio un po’ quando si lavorava tutti e due” e quindi poter trascorre una vecchiaia economicamente tranquilla. La coppia può permettersi sia di aiutare le figlie sia di fare ogni anno un viaggio. Lucia ha un unico rammarico rispetto alla sua vita lavorativa quello di non essere andata a lavorare fuori di casa. È consapevole che questo le avrebbe permesso di avere adesso la pensione:

“Di non essermi imposta per andare a lavorare in confezione, perché io sono stata richiesta, richiesta, richiesta, richiesta, alla grande richiesta, e per andare in confezione a quei giorni le donne che andavano a lavorare fuori di casa si facevano una cattiva reputazione, nelle campagne a quella maniera, e ho dovuto sottostare a quel modo lì, però io avevo la mia pensione.. (…) Oggi sarei tosta con il senno del poi, ma a quei giorni insomma nonostante fossi … precludevo un po’ i tempi, ma fino a lì non mi sono imposta. Però questo si, questo è l’unica cosa che rimpiango di non avere fatto, perché era tutto un’altra cosa.” (Lucia)

Lucia si rende anche l’aver lavorato a casa le ha permesso di poter conciliare la vita lavorativa con quella familiare. Questa scelta le ha permesso di poter star vicino alle figlie e mettere in atto un certo modello di famiglia, allora accettato socialmente:

“Poi oltre tutto poi lavorando in casa, quando le mie figliole studiavano io … mi piaceva seguirle, ma l’ho seguite anche quando erano alle scuole, si ripassava la storia … io mi sono interessata anche di loro e per quello certo il lavoro a domicilio … perché mi piaceva stare … tenere la famiglia in una certa maniera.” (Lucia)

Lucia ha inoltre consapevolezza che il suo mancato reddito in età anziana può metterla in condizioni, in caso per esempio di malattia, di dovere ricorrere all’aiuto delle figlie:

“noi si vive con la pensione di mio marito di cinquecentosessanta euro … capito? Si è avuto giudizio un po’ quando si lavorava tutte e due … insomma un pochino, ma sennò si rischierebbe davvero di avere biso-gno dei figlioli e questa è una cosa che mi manda in bestia, ma mi man-da tanto in bestia. Perché mio marito ha trentasei anni, quindici d’indu-stria e trentasei anni di artigianato e prende questa pensione.” (Lucia)

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Questa possibilità mette molto in crisi Lucia che per adesso è invece sempre stata una risorsa per il suo nucleo familiare: ha aiutato i propei genitori quando hanno avuto bisogno di cura ed ha aiutato le figlie economicamente nell’acquisto dell’abitazione.

Lucia e suo marito, con molti sacrifici, sono riusciti a comprarsi un appartamento, dopo che si sono sposati, dove hanno vissuto con le due figlie, fino a quando queste non si sono sposate:

“Da via Faentina … il costruttore che s’abitava là, aveva costruito quegli appartamentini che faceva qua e sicché ci diceva … gli si disse “quando tu costruisci una casa che c’è anche il garage, un appartamentino piccolo, un po’ …” Si diceva comunque che i soldi che si paga l’affitto e ci si paga il mutuo … E si venne qui e com’era era e qui ci siamo fatti un tetto sulla testa, ma la mi’ figliola grande a dieci anni ancora non aveva visto il mare com’era fatto …” (Lucia)

Achille vive in campagna con il padre calzolaio, la madre lavora come donna delle pulizie, ha due fratelli. A ventiduenni si sposa. Per tutta l’intervista emerge il ricordo affettuoso per la moglie che è morta da ventidue anni.

“Io ho avuto fortuna con la mi’ moglie perché uomo o donna che sia se siamo allo stesso livello, si crea qualcosa insieme, si t ira avanti la cosa che piace a tutti e due. (…) Invece io e la mi’ moglie siamo partit i tutte e due uguali, io mi sono sposato presto, a vent’anni mi misi a lavorare per conto mio, e a ventidue anni mi sposai, sicché più o meno la mi’ moglie era ai miei livelli economici, più o meno anche la famiglia sua era come la mia.(…) Si, ci siamo trovati su tutto…” (Achille)

Dal racconto sembra che fino a quando lei è vissuta esisteva un buon rapporto anche con i due figli. Dopo la morte i rapporti con Achille sembrano essersi deteriorati fino ad arrivare da parte della figlia e della nipote ad una rottura del rapporto. Il figlio sembra aver avuto grossi problemi penali:

“Ma il fatto non è quello, io le dico un’altra cosa io i nipoti non li sento, non me ne frega nulla. D: È rimasto legato ai figlioli? R: Poco, è meglio che uno faccia la sua vita, tanto vengono qui a chiedere. Io purtroppo sono solo ma non è che … non sopporto che un nipote debba venire o fare una telefonata per chiedere qualcosa. A me nessuno tra nipoti e figlioli m’ha mai chiesto “devo venire da te? hai bisogno di qualcosa? T i devo dare una mano a fare qualcosa?” Allora mi usate e basta allora state per conto vostro, a casa vostra, che io sto a casa mia. Quello che posso fare lo faccio, quello che non posso fare prendo una persona e la pago, e sono in pari con tutti. Grazie a Dio ho lavorato tanto e me lo posso permettere, se è sbagliato non lo so, sbaglio?” (Achille)

Per Achille, come ben evidenzia il brano riportato, la famiglia non risulta essere una risorsa per la sua vecchiaia. Da questa storia ben si evidenzia

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che la presenza di figli non implichi automaticamente l’assenza di solitudine da parte della persona anziana e la presenza di una risorsa utilizzabile nei momenti di difficoltà o per la risoluzione di problemi della vita quotidiana. In questo caso la presenza di “rapporti di sangue” non implica la presenza di un rapporto in grado di fronteggiare gli eventi che possono capitare ad Achille nell’età anziana. Achille è ben consapevole di poter contare esclusivamente, in caso di necessità, sulle proprie risorse economiche. Infatti racconta che in caso di bisogno è in grado di pagarsi l’assistenza che non sarà fornita dalla propria rete familiare.

Lucia fin fa piccola si occupa della sua famiglia visto che la madre si ammala da giovane e viene ricoverata in un sanatorio:

“Gli venne delle ghiandole, erano tubercolari, poi non c’erano ospedali, non c’era nulla, fu messa in mani di persone poco competenti, gli venne un’infiltrazione ai polmoni e fu mandata in un sanatorio. Io avevo quindici anni in quel periodo, sicché mi rimaneva sulle spalle il fratello più piccolo di me, il mi’ babbo, la mia nonna che aveva ottanta anni la mamma del mio babbo, e poi avevamo raccolto uno zio della mamma che aveva avuto paura nel ’21, al tempo del fascismo che si facevano quelle belle cose che …” (Lucia)

A sedici anni incontra il futuro marito che sposa a ventunanni. All’inizio vive con i suoceri, Quando il marito cambia lavoro, per problemi di salute, e inizia a fare il tassista, alternandosi nei turni con uno zio di Lucia, la famiglia decide di trasferirsi nella città in cui il marito di Lucia va a lavorare. In quel momento Lucia ha la sensazione di aver costituito per la prima volta la sua famiglia:

“No, con i suoceri tutti insieme, avevano comprato un pezzettino di terra e s’era costruito e ognuno aveva il suo appartamento e ci s’era riuniti così. Però dopo quando … non ci si vedeva più, quello la mattina andava via prestissimo, la sera tornava tardissimo o la notte quando faceva la notte qualche mattina s’addormentava anche sul treno dalla stanchezza quindi dissi “senti non si può stare così, la bambina non tu la vedi mai e bisogna trovare un’altra soluzione” “che cosa, cosa si fa?” “si troverà due stanze, qualche cosa si farà, vedrai”. Fui … io ho sempre preso le iniziative … (…) ... è cominciato da allora a capire che s’era una famiglia, che s’era due persone, è cambiata la vita, è cambiata completamente …” (Lucia)

Lucia, come già raccontato, lavora a casa occupandosi così direttamente della cura delle figlie. Soltanto quando la più grande ha avuto problemi di salute è stata aiutata dalla propria nonna di cui Lucia si è presa a sua volta cura quando, da anziana, ha avuto bisogno:

“E io andavo a imboccarla all’ospedale, a dargli da mangiare, insomma andavo a fargli … ero la nipote e quegli altri erano maschi e più piccolini di me sicché andavo sempre io da questa nonna.” (Lucia)

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Dal racconto di Lucia, riportato sopra, bene emerge il ruolo delle donne nella cura dei membri più bisognosi. Infatti la nonna non viene accudita dai figli maschi ma dalla nipote femmina. Lucia, a differenza di Achille, ha un buon rapporto con le figlie basato sulla fiducia reciproca:

“No, no, noi s’è sempre avuto un buon rapporto con i figli, la mi’ figliola grande, poi quella piccola, da quando sono state maggiorenni, loro hanno avuto la firma in banca con noi. Quella grande tornava e dava lo stipendio al su’ babbo, gli diceva il su’ babbo “ma mettiteli via, impara, tu ti fai il tuo conto tanto noi non s’ha bisogno” invece lei dice “tu me lo fai te, perché si deve aprire due conti se non ce n’è bisogno”. Sicché sempre questo rapporto … ce l’hanno ancora, non li s’è tolta neanche quando si sono sposate, anche ora che c’è i generi e c’è i nipoti, va bene tutto lo stesso così com’è perché c’è fiducia piena. Noi abbiamo questi rapporti.” (Lucia)

Per adesso la solidarietà generazionale è stata svolta quasi esclusivamente da parte di Lucia e di suo marito verso i figli. Anche in questo caso la famiglia risulta essere un’importante risorsa. Pur avendo, sia Achille che Rosa, risorse economiche accantonate per garantirsi una vecchiaia serena Lucia sembra essere maggiormente tutelata perché può contare anche sull’aiuto delle figlie. 6.6 Conclusioni Volendo evidenziare sinteticamente gli elementi più significativi emersi da questa prima analisi delle interviste biografiche, la prima considerazione che sembra opportuno ricordare è che il basso reddito rilevato dall’indagine campionaria deve essere interpretato come un indice di vulnerabilità, una spia di possibili rischi futuri che questi soggetti dovranno fronteggiare, in considerazione di una serie di svantaggi che hanno accumulato nella loro storia, piuttosto che evidenziare una condizione di povertà in cui si troverebbero i soggetti intervistati.

Emerge ancora una volta quanto risulti oggi importante leggere e analizzare la povertà attraverso il dato economico ma anche, e soprattutto, attraverso i funzionamenti degli individui. Sono gli eventi accaduti nel percorso biografico individuale e familiare, e il modo con cui si incrociano con il contesto sociale e relazionale delle persone, che possono tutelare dall’entrare e dal permanere in una situazione di vulnerabilità e povertà.

Un ruolo discriminate, come ben mostrano alcune delle storie, viene svolto dalla famiglia e dalle reti sociali, che risultano essere risorse importanti, visto il carattere residuale e familistico del welfare italiano. Se ben utilizzato e attivato il capitale sociale permette di evitare l’ingresso nella povertà. Diviene così importante sia avere risorse familiari e amicali sia che tali risorse siano in quel momento in grado di fronteggiare l’evento

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spiazzante. Tra i nuclei familiari da noi intervistati, maggiormente a rischio di vulnerabilità risultano essere quelli che, per motivi di migrazione o di frattura dei legami familiari, sono privi di tale risorsa, fino a dover ricorrere, ma solo in casi estremi, ai servizi sociali. Ancora una volta abbiamo potuto constatare la riluttanza con cui i soggetti in condizioni di bisogno si avvalgono dell’aiuto pubblico, a causa -sono le due facce della stessa medaglia- della scarsa generosità dei sostegni e del carattere stigmatizzante che assume l’accesso ai servizi.

Le interviste effettuate dimostrano anche che il rischio di intraprendere percorsi di vulnerabilità sociale e di povertà sono legati ormai a molteplici fattori collegati all’essere inseriti nella società. Tutti gli intervistati sono individui non esclusi ed ai margini della società ma persone che sono inserite sia a livello sociale che lavorativo. Proprio le modalità con cui hanno messo in atto l’inclusione sono possibili fattori di rischio. Quasi tutti gli intervistati aderiscono al modello familiare del male breadwinner. La difficoltà, determinata dal contesto sociale, di ristrutturare la famiglia secondo un modello di doppia carriera, fa sì che la soluzione trovata è quella dell’accedere, da parte della donna, al mercato del lavoro al nero nei momenti in cui è meno prevalente il bisogno di cura dei familiari più deboli. Questo però non tutela dal rischio di una forte deprivazione economica nel caso in cui il marito non sia più in grado di provvedere al sostentamento della famiglia.

Altro elemento che emerge dalle storie raccolte è il fatto che, pur essendo aumentato e ampliato, a causa dei mutamenti avvenuti negli ultimi decenni, il rischio di intraprendere percorsi di vulnerabilità e povertà sociale non sono venute meno le disuguaglianza sociali che aumentano il rischio. Basti notare come tutti gli intervistati, tranne uno, hanno una bassa scolarizzazione. La storia che fa eccezione è di per sé molto istruttiva. La persona laureata si trova ad avere in questo momento del suo percorso biografico un basso reddito perché ha scelto, proprio per le tutele e risorse che vengono dalla sua appartenenza sociale, di investire nella propria realizzazione professionale futura, accettando così una condizione di vulnerabilità economica temporanea. Si tratta certo di un rischio, ma è un rischio calcolato e con forti assicurazioni sociali. Ben diverso il percorso che ha condotto gli altri intervistati alla condizione di loro basso reddito rilevato dalla indagine campionaria e ben diversa la probabilità di un mutamento positivo futuro.

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Appendice Metodologica

INDAGINE SULLE CONDIZIONI DI VITA DELLE FAMIGLIE TOSCANE (ANNO 2004)

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1. LA REALIZZAZIONE DELL’INDAGINE 1.1 Premessa In questa sezione si intende render conto di quanto avvenuto nelle varie fasi che hanno caratterizzato la realizzazione operativa dell’indagine ICVT2004. Premessa fondamentale, da anteporre a qualsiasi riflessione sull’indagine in questione è che la numerosità del campione da intervistare è stata fissata pari a 600 famiglie per motivi legati al budget destinato all’indagine, e non per scelte strategiche di altro genere.

1.2 La base dei dati ICVT2004 Fissata la numerosità della base campionaria, si è ritenuto particolarmente interessante, analizzare, a due anni distanza dalla precedente rilevazione, le condizioni di vita delle famiglie”più povere”; per questo motivo si è scelto di indagare nuovamente sulle famiglie posizionate nella coda sinistra della distribuzione dei redditi, ovvero che nella rilevazione 2002 sono risultate più povere. Sempre nel corso delle fasi progettuali si è stabilito di considerare nel sottocampione da ricontattare solo le famiglie che nella rilevazione 2002 non presentavano dati mancanti sul reddito da lavoro e da fabbricati (flagynlavf=0 and flagynfabf=0). Nel sottocampione delle 600 famiglie il reddito familiare equivalente massimo è pari a 24.500.000 lire; tale valore nella distribuzione totale dei redditi delle 2.625 famiglie corrisponde al 36-esimo percentile, mentre nella distribuzione dei redditi delle famiglie con dati di reddito osservati corrisponde al 42-esimo percentile.

Per quanto concerne la distribuzione delle 600 famiglie sul territorio regionale si osservi la tabella 1.

Anche per l’indagine 2004 si sono considerate due distinte unità di rilevazione: la famiglia di fatto da un lato, gli individui presenti nella famiglia e percettori di reddito dall’altra. Proprio in relazione all’unità di rilevazione, un problema che è stato affrontato, in fase di progettazione, ha riguardato le regole di inseguimento delle famiglie: si è deciso di seguire il

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capofamiglia e nel caso in cui non sia più presente seguire la famiglia di cui faceva parte. 1.3 Gli strumenti di rilevazione I modelli definiti specificatamente per l’indagine ICVT-2004 sono la “Scheda di Famiglia Panel” e la “Scheda di Famiglia Nuovi Ingressi”, per quanto riguarda gli altri modelli di rilevazione, sono restati sostanzialmente invariati, ad eccezione del questionario nel quale sono state eliminate alcune sezioni/domande ed introdotte alcune novità.

La “Scheda di Famiglia Panel” ha sostituito la Scheda di Famiglia (CV/1) dell’indagine 2002, la nuova scheda è stata precompilata con i dati rilevati al 2002 e prevedeva la verifica della presenza di ogni individuo già rilevato nel 2002 e la verifica dell’esattezza dei dati anagrafici rilevati; nel caso in cui l’individuo non fosse presente (escludendo l’assenza temporanea), era prevista la rilevazione del motivo dell’assenza.

Tabella 1 DISTRIUZIONE DELLA BASE CAMPIONARIA DI RIFERIMENTO SUL TERRITORIO REGIONALE

Aree Numerosità campionaria Arezzo 74Firenze1 35Firenze2 13Firenze3 35Livorno/Pisa 60Lucca 73Massa 34Carrara 29Prato/Pistoia 69Piombino/Follonica 25Empoli 34Siena 49Grosseto 70TOTALE 600

Fonte: elaborazioni degli autori su dati ICVFT 2004

La “Scheda di Famiglia Nuovi Ingressi”, è stata definita per rilevare i

dati anagrafici degli individui entrati a far parte della famiglia dopo la rilevazione 2002.

In merito al questionario (CV/2) la struttura è restata molto simile a quella dell’indagine 2002, nel dettaglio le modifiche hanno interessato le seguenti parti: per quanto riguarda la sezione familiare del questionario è stata aggiunta una sezione sugli “Stili di Vita” ed una sezione riguardante

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“l’Accesso ai Servizi”, eliminata la sezione sulla “Famiglia di Origine del Capofamiglia e/o Coniuge/Convivente” ed anche la sezione sulla “Percezione delle Condizioni di Vita”; per quanto riguarda la sezione individuale si è deciso di rendere più breve la sezione su “Opinioni ed Atteggiamenti”, rilevare nuovamente il Reddito secondo le stesse modalità dell’indagine 2002 (togliendo però la parte relativa a “Capitale Finanziario”).

Infine, nell’indagine 2004 non è stato inserito tra i modelli di rilevazione il modello CV/RIL, riguardante la rilevazione dei dati sull’aspetto esterno dell’abitazione, che i rilevatori avevano rilevato sia per i rispondenti che per i non rispondenti nella precedente occasione d’indagine. 1.4 Monitoraggio della rilevazione e andamento dell’indagine La costruzione della rete di rilevazione ed il monitoraggio in it inere della rilevazione è stato affidato alla Società NUMERIA. Complessivamente le famiglie da contattare erano 600, di queste 11 sono scomparse come nucleo familiare per il decesso dell’unico componente della famiglia e 4 risultano trasferite fuori Regione e quindi non sono state contattate. Pertanto le famiglie che costituiscono l’effettiva base campionaria risultano 585 ed il tasso di risposta risulta pari all’84,8%. Il dettaglio dell’andamento dell’indagine è riportato in tabella 2.

Tabella 2 RIEPILOGO SULLA RILEVAZIONE

di cui: Aree Numerosità

campionariaInterviste realizzate

Interviste non realizzate Rifiuti Deceduti Rifiuti (motivi

di salute)non

rintracciabili Arezzo 74 71 3 0 2 0 1Firenze1 35 26 9 4 0 2 3Firenze2 13 10 3 2 0 1 0Firenze3 35 29 6 2 1 0 3Livorno/Pisa 60 48 12 7 1 0 4Lucca 73 64 9 4 3 0 2Massa 34 25 9 7 0 0 2Carrara 29 19 10 4 1 4 1Prato/Pistoia 69 56 13 11 0 0 2Piombino/Follonica 25 18 7 2 2 0 3Empoli 34 28 6 4 1 0 1Siena 49 42 7 4 0 1 2Grosseto 70 60 10 2 0 0 8TOTALE 600 496 104 53 11 8 32

Fonte: elaborazioni degli autori su dati ICVFT 2004

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Un dato da tenere in considerazione nel valutare il tasso di risposta è che il campione delle 600 famiglie è il rilevante numero di famiglie costituite da un solo componente in età molto avanzata; questo ha sicuramente determinato l’elevato numero di non risposte dovuto a decessi (11 famiglie), malattie e famiglie non rintracciabili.

1.5 La digitazione: archivi, controlli e correzioni La digitazione dei vari modelli di rilevazione è stata affidata alla società Numeria con la quale si è concordato un inserimento con controllo dei range e dello skip-pattern delle variabili inserite e la creazione dei seguenti archivi in Access - TcomponentiFam (componenti della famiglia presenti sulla scheda

panel+nuovi ingressi); - Tfamiglia (riporta la pagina iniziale del questionario); - TfoglioInd (elenco fogli individuali); - TnuoviIng (nuovi componenti della famiglia); - Tquest (foglio di famiglia).

Si è proceduto alla trasformazione degli archivi Access in SAS (con un passaggio intermedio in formato Excel). Per quanto attiene ai controlli si è proceduto ad una attenta verifica della variabile keys degli archivi (la variabile CODICE che indica il codice famiglia), in modo da controllare la corrispondenza tra archivi dell’indagine 2004 e la corrispondenza tra archivi 2002 e 2004; tale lavoro ha comportato diversi ritorni sui documenti cartacei originali.

L’ultima operazione effettuata sugli archivi ha riguardato la coerenza degli skip pattern, ovvero i percorsi di risposta previsti nelle varie sezioni dei questionari. Per quanto riguarda l’attribuzione dei valori “non pertinente” alle variabili a valle di quesiti filtro, la strada generalmente seguita è stata quella di assumere valida la modalità di risposta del quesito filtro, e di definire quindi come “non pertinente” la compilazione delle variabili escluse dal relativo skip pattern. In più occasioni, comunque, tale scelta è stata verificata con un’attenta esplorazione dell’insieme delle informazioni disponibili sui record che presentavano incoerenze. L’unica effettiva eccezione rispetto a tale convenzione ha riguardato le informazioni sul t ipo di dichiarazione dei redditi compilata (C3.2). Data la delicatezza dei dati raccolti nei singoli quadri predisposti per rilevare i dati di reddito fiscale, si è ritenuto opportuno innanzitutto verificare puntualmente le eventuali discordanze tra quesito filtro e quadro

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compilato. Solo dopo aver conciliato tali discordanze si è proceduto alla attribuzione dei valori “non pertinente”. Per convenzione al “non pertinente” è stato associato il valore “-9”, mentre i dati mancanti (le cosiddette non risposte parziali) sono identificati dal valore “ .”

Sull’archivio si sono inoltre condotte alcune analisi al fine di individuare la presenza di valori anomali sui dati quantitativi (indicativamente sono stati considerati anomali i dati appartenenti ai primi e agli ultimi 3 centili della distribuzione), per i quali non erano stati previsti range di accettabilità pre-definiti. I valori anomali sono stati controllati ricorrendo alla documentazione cartacea ed al confronto con i dati rilevati nella precedente occasione d’indagine.

Inoltre, si sono effettuati controlli di coerenza interna sui dati relativi ai redditi e alle detrazioni fiscali delle sezioni 3D e 3E essenzialmente basate sui dati dei modelli fiscali 730 e UNICO.

138

139

2. PROCEDURE DI AGGIUSTAMENTO 2.1 Ponderazione A questo punto del processo di produzione dei dati si è affrontato il problema delle procedure di aggiustamento dei dati, al fine di bilanciare i possibili effetti distorsivi determinati dai fenomeni di non contatto e di rifiuto. Questa fase ha riguardato distintamente le famiglie e gli individui.

Come ricordato nella precedente Sezione 2 il numero di famiglie effettivamente intervistato è stato pari a 496 famiglie. Il totale dei rispondenti risulta inferiore rispetto alla base campionaria di partenza, soprattutto per l’impossibilità di contatto o l’impossibilità di rispondere di molte famiglie, più che per i rifiuti veri e propri. Da questo punto di vista il dato appare confortante, ma comunque si rende necessario procedere alla definizione di un sistema di pesi in grado di attenuare i possibili effetti di distorsione indotti dal processo di selezione che ha presumibilmente caratterizzato le varie fasi della rilevazione. Per capire l’entità e la ‘direzione degli effetti distorsivi’ del processo di selezione si sono messi a confronto i dati delle 496 famiglie rilevate ed i dati delle 585 famiglie che costituivano la base di riferimento (base campionaria di partenza al netto dei decessi e dei trasferimenti fuori regione). Tale confronto è stato effettuato, con i dati 2002, rispetto ad alcune variabili di struttura della famiglia ed alla distribuzione dei redditi. Al termine di tale analisi sono stati definiti i criteri per la ponderazione dei dati 2004: i pesi familiari sono costruiti in modo da riportare la distribuzione delle 496 famiglie a quella delle famiglie di riferimento (le 585 famiglie) in base alla dimensione della famiglia (le categorie della variabile sono: 1 componente, 2 componenti, 3 componenti, 4 e più componenti) ed alla distribuzione del reddito (in particolare i punti di break-down individuati nella distribuzione del reddito sono stati il 1 decile, il primo, secondo e terzo quartile e il nono decile). Tale procedimento ha dato luogo all’insieme dei pesi familiari whfamun04. Per quanto riguarda gli individui, per coloro che erano già presenti all’indagine 2002 si attribuisce un peso che è pari al prodotto tra il peso individuale 2002 ed il nuovo peso familiare, per i nuovi ingressi il peso individuale attribuito è pari al peso familiare whfamun04. Il nuovo peso individuale è denominato whindun04.

140

2.2 Imputazione Una volta messe a punto le procedure di aggiustamento dei dati per tener conto dei fenomeni di non risposta totale, è stato affrontato il problema del trattamento delle non risposte parziali, ovvero se e come procedere al completamento di quei record relativi a famiglie e individui rispondenti che presentavano però dati mancanti ad una o più delle variabili rilevate con l’indagine.

Diciamo innanzitutto che la scelta di base è stata quella di intervenire quasi esclusivamente sulle variabili relative alle varie forme di reddito sia familiare che individuale, in quanto ritenute di primaria importanza rispetto agli obiettivi dell’indagine ed anche perché sono certamente le variabili più soggette a variazione nell’arco dei due anni trascorsi tra l’indagine 2002 e quella attuale. I criteri adottati per l’imputazione dei dati mancanti ricalcano quelli già adottati per l’indagine precedente, pertanto si procederà in modo piuttosto sommario alla spiegazione dei procedimenti adottati. Il procedimento di imputazione è stato piuttosto articolato e complesso e sostanzialmente suddivisibile in due distinti sottoinsiemi di variabili: 1. Imputazione dei redditi da lavoro individuali; 2. Imputazione dei redditi da fabbricati individuali.

Tabella 3 DISTRIBUZIONE DI FREQUENZA AL QUESITO C3.2 E DISTRIBUZIONE DELLE NON RISPOSTE AI

QUESITI SUL REDDITO

Modello di dichiarazione compilato (C.3.2)

Frequenza di cui:non rispondenti ai redditi

non rispondenti ai redditi (%)

Nessuno, solo pensione 305 6 2,0 Nessuno, solo stipendio 60 2 3,3 CUD 2001 66 14 21,2 730/2001 194 65 33,5 UNICO 2001 69 23 33,3 Nessuna dichiarazione 16 4 25,0 TOTALE RISPOSTE VALIDE 710 Missing 7 7 TOTALE 717 121 16,9

Fonte: elaborazioni degli autori su dati ICVFT 2004

a) Imputazione dei redditi da lavoro individuali Per quanto attiene ai redditi da lavoro si è innanzitutto osservata la distribuzione di frequenza alla domanda C3.2, relativa al modello di dichiarazione fiscale dei redditi compilato, congiuntamente alla successiva compilazione o meno dei quadri richiesti (vedi Tab. 3). Da ciò si evince

141

una evidente difformità di comportamento di non risposta, rispetto ai diversi modelli di dichiarazione, ma la numerosità totale dei non rispondenti risulta piuttosto esigua, e peraltro anche le medie dei redditi relativi ai singole tipologie dei modello fiscale risultano piuttosto omogenee (vedi Tab. 4), pertanto si è deciso di procedere all’imputazione della variabile reddito da lavoro individuale considerando un unico gruppo. Si è proceduto ad una imputazione per regressione stocastica, sintetizzabile nelle seguenti fasi: i) stima sui dati osservati dei parametri di un modello di regressione lineare (dove la variabile dipendente è rappresentata dal logaritmo del reddito individuale), con variabili esplicative rilevate con l’indagine, ii) modifica dei parametri stimati, mediante l’aggiunta di un opportuna componente casuale; iii) stima provvisoria del logaritmo del reddito da imputare sulla base della regressione con parametri modificati; iv) stima del valore finale da imputare, ottenuta aggiungendo alla stima provvisoria una componente casuale che renda conto della variabilità non spiegata dal modello. Questo procedimento è stato effettuato utilizzando il software IVE-ware, che permette anche di imporre dei vincoli sul campo di variazione dei dati imputati. Le variabili esplicative sono riportate in tabella 5, tra esse figura anche il reddito rilevato nell’occasione di indagine precendente; tale variabile risulta fondamentale nel determinare l’elevata capacità esplicativa del modello stimato sui dati osservati (R2

adj=0.37). La tabella 6 riporta alcune statistiche descritt ive sulla variabile reddito

da lavoro netto annuale sui dati osservati e su quelli completati dopo l’imputazione.

Tabella 4 REDDITO INDIVIDUALE NETTO DA LAVORO SUI DATI OSSERVATI (ANNUALE IN EURO)

Modello di dichiarazione compilato (C.3.2)

N° Media Minimo Massimo Std C.V.

Nessuno, solo pensione 299 7.522 2.600 19.500 63.247 840 Nessuno, solo stipendio 58 11.589 1.824 22.100 103.907 896 CUD 2001 52 9.340 535 24.265 84.147 900 730/2001 129 11.304 1.092 34.501 114.810 1.015 UNICO 2001 46 9.059 645 42.877 158.397 1.748 Nessuna dichiarazione 12 111.782 400 37.000 250.414 2.125 TOTALE 596 9.041 400 42.878 105.013 1.151

Fonte: elaborazioni degli autori su dati ICVFT 2004

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Tabella 5 MODELLO PER IMPUTAZIONE DEI REDDITI DA LAVORO INDIVIDUALI MANCANTI

Stime dei parametri e livelli di significatività

Variabile Stima Costante 5,233 *** dsesso (1=maschio) 0,131 *** Etax1 (età individuo) 0,012 Etax1sq (etax1^2) -0,0001 Dstu4 (1=diploma maturità) 0,119 * Dstu56 (1=laurea e oltre) 0,287 ** Dcondocc7 (1=ritirato dal lavoro) 0,165 ** Solo_stip (1=percettore solo di stipendio) 0,285 *** Mod_730 (1=modello 730) 0,128 *** dposdip (1= Dipendente) 0,264 *** Y2000 (reddito al 2000) 0,368 *** Adj R-Sq 0,37

*** p-value ≤0,01; ** 0,01<p-value ≤0,05; *0,05<p-value ≤0,10 Fonte: elaborazioni degli autori su dati ICVFT 2004

Tabella 6 REDDITO INDIVIDUALE NETTO DA LAVORO SUI DATI OSSERVATI E COMPLETATI

Annuale in Euro, valori arrotondati

Redditi ICVT 2004 Media Minimo Massimo std Osservati 9.041 400 42.877 105.013Completati 9.204 400 43.854 113.391

Fonte: elaborazioni degli autori su dati ICVFT 2004

b) Imputazione per la Sezione Fabbricati C4

La procedura di imputazione dei redditi da fabbricati ha ricalcato fedelmente la procedura adottata nell’occasione d’indagine 2002. Riassumiamo brevemente i passi fondamentali. Il procedimento di imputazione si è sviluppato in cascata ovvero prima abbiamo imputato i dati mancanti del quesito C4.1 (solo 8 redditieri non hanno risposto al quesito, pari all’1,1%) e C4.2 per coloro che avevano informazioni sul Foglio Individuale, essenzialmente in base a strategia deduttiva.

Per i rimanenti individui (2) per i quali non avevamo informazioni né sulle sezioni dei redditi da lavoro né sui redditi da fabbricati abbiamo prima imputato la risposta al quesito C4.1 in base al seguente procedimento: - essendo entrambi proprietari dell’abitazione di residenza, abbiamo

rilevato che circa il 9% dei proprietari dell’abitazione di residenza, posseggono anche altri immobili, quindi abbiamo estratto casualmente il valore di C4.1 dalla pertinente distribuzione, ed imputato un valore per il reddito da fabbricato, qualora C4.1 imputato fosse pari a 1. Il valore del reddito da fabbricato da imputare è stato calcolato pari a alla

143

media dei redditi da fabbricati calcolati sul corrispondente sottogruppo avente dato osservato su yfabin (5.564 Euro). A questo punto l’imputazione del reddito da fabbricato yfabin, risultava

pertinente sono per coloro che avevano modalità di risposta 1 al quesito C4.1 ovvero i proprietari di qualche altro bene immobile oltre a quello di residenza (è da notare che solo 71 individui presentavano C4.1=1). Per tali individui -che sicuramente avevano compilato il modello 730 o il modello UNICO- abbiamo seguito la seguente procedura di imputazione: - imposto yfabin pari al reddito da fabbricato riportato in dichiarazione se

nella sezione B2 avevano dichiarato di non possedere un’abitazione di proprietà;

- imposto yfabin pari al reddito da fabbricato riportato in dichiarazione al netto della media del reddito da fabbricato prodotto dall’abitazione di proprietà (stimato pari a 2 milioni), se nella sezione B2 avevano dichiarato di non possedere un’abitazione di proprietà.

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QUESTIONARIO

... recentemente pubblicati nella stessa collana Anno 2000

• La qualità dei servizi sanitari in Toscana. I risultati di un’indagine campionaria, R. Caselli

• La mobilità nell’area fiorentina: strumenti di analisi e fonti statistiche, P. Lattarulo

• La spesa pubblica per l’arte e la cultura. LaToscana negli anni ‘90, P. Lattarulo

• L’organizzazione dei servizi sociali in Casentino, R. Caselli Anno 2001

• I fattori dello sviluppo: le infrastrutture in Toscana, P. Lattarulo • Sviluppo locale e piccola impresa, M. Grassi • La cooperazione nel mercato dei servizi in Toscana, a cura di R. Caselli • Modi di vivere, bisogni, politiche. 1 ° Rapporto sulla società toscana, a cura

di A. Pescarolo • Decentramento e liberalizzazione del trasporto pubblico in Toscana, a cura

di P. Lattarulo, introduzione di A. Petretto • Le pensioni in Toscana. Il quadro attuale e le prospettive di medio termine,

N. Sciclone • L’analisi economica del terzo settore in Toscana, N. Sciclone • Dall’immagine della Toscana all’analisi degli investimenti esteri, a cura di

A. Cavalieri e A. Manuelli Anno 2002

• Sindaci, Assessori e Consiglieri. Figure sociali e differenze di genere nei governi locali della Toscana, A. Floridia

• L’esternalizzazione dei servizi nella sanità toscana. Il ruolo delle cooperative, a cura di R. Caselli e S. Iommi

• Il turismo e la valorizzazione delle aree protette. Analisi dell’esperienza toscana, a cura di R. Pagni

• L’impatto del Turismo nell’Economia Regionale e Locale della Toscana, L. Bacci

• Il sistema moda in Toscana, a cura di S. Labory e L. Zanni Anno 2003

• I servizi pubblici locali nei piccoli comuni della Toscana, R. Caselli e S. Iommi

• La cooperazione sociale in Toscana. Primo Rapporto sulle Cooperative sociali ANCSTLegacoop, R. Caselli e S. Iommi

• Protezione, fruizione e sviluppo locale: aree protette e turismo in Toscana, a cura di S. Bimonte e R. Pagni

• Il mutamento delle politiche sociali in Toscana: un’analisi dei piani di zona, F. Fratto e A. Pescarolo

Anno 2004

• Riforma costituzionale e federalismo fiscale.Una proposta della Regione Toscana. Atti del convegno, Firenze, 14 novembre 2003, a cura di S. Lorenzini e A. Petretto

• I servizi idrici integrati in Toscana. Riordino istituzionale, riorganizzazione industriale e prospettive economiche, a cura di R. Caselli

Anno 2005

• La cooperazione sociale nel sistema di welfare toscano. 1 ° Rapporto, a cura di S. Iommi

• La difesa civica in Toscana. Quali opportunità per gli utenti dei servizi pubblici?, S. Bindi e S. Lorenzini

• Il sistema delle garanzie in Toscana. Una via per agevolare il credito alle imprese, R. Caselli e A. Giordano

• Immigrati in Toscana. Occupazione e sicurezza sul lavoro nell’industria diffusa, a cura di F. Giovani, T. Savino, A. Valzania

• Povertà e disuguaglianza in Toscana, a cura di N. Sciclone

Povertà edisuguaglianzain Toscana

a cura di

Nicola Sciclone

www.irpet.it

Oggi i figli stanno peggio dei propri genitori. Cresce il rischio povertà per laclasse media. Le sicurezze vacillano. Questi alcuni dei titoli usati dalla stampanazionale e locale per introdurre gli articoli, sempre più numerosi, dedicati allapercezione di impoverimento che molte categorie sociali avvertono rispettoal passato.Come spesso accade per i principali fenomeni economici e sociali, anche iltema della disuguaglianza è però affrontato -dal mondo politico e più in generaledalla stessa opinione pubblica- anteponendo i giudizi di valore all’analisioggettiva dei dati.Per ovviare a questo problema, il lavoro svolge una approfondita disaminadelle principali caratteristiche che assume il fenomeno distributivo nella nostraregione attingendo ad una pluralità di fonti statistiche, tra cui due recenti especifiche indagini campionarie sulle condizioni di vita delle famiglie toscane.Il volume si compone di sei capitoli. Il primo analizza i livelli di disuguaglianza,tanto nello spazio dei redditi quanto nelle principali funzioni vitali, checaratterizzano la Toscana rispetto alle altre regioni. Il secondo capitolo esaminai profili e i rischi di povertà, mentre il terzo raccoglie e sintetizza una serie diinformazioni sugli stili di vita, sulle abitudini di consumo delle famiglie toscanea basso reddito. Il quarto capitolo focalizza l’attenzione sulle famiglie toscanea basso reddito per stimarne i tassi di persistenza nella povertà. Il quintocapitolo fornisce una simulazione degli effetti distributivi e del costo finanziariodi alcuni possibili strumenti di lotta alla povertà, qual è, ad esempio, il redditominimo di inserimento. Completano il lavoro le storie di vita di otto famiglietoscane a basso reddito.Il lettore riscontrerà nel volume -è sicuro- alcune carenze: ad esempio mancail dettaglio territoriale della povertà, come anche una analisi longitudinale deltenore di vita di tutti i toscani e non solo dei più poveri; tuttavia quello che c’èci sembra prevalente su quello che manca, e ci piace pensare a questo lavorocome ad una prima ragionata presentazione di un insieme di materiali fruttodi una analisi che dura ormai da alcuni anni.

Nicola Sciclone, dirigente di ricerca dell’IRPET, si occupa di disuguaglianza,povertà, modelli di microsimulazione e, più in generale, di temi inerentil’economia pubblica. Tra le sue recenti pubblicazioni: L’efficacia delle borseper il diritto allo studio (con F. Mealli, S. Mele, C. Rampichini), Rivista Italianadi politiche pubbliche, n.1 (2005); Gli effetti distributivi della riforma dell’IRE:un’analisi per la Toscana (con A. Petretto), Studi e Note di Economia n.2(2004); Benessere e condizioni di vita in Toscana (con S. Casini Benvenuti),Franco Angeli (2003).

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Povertà e disuguaglianza in Toscanaa cura di N

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CRIDIRECentro per le RicercheInterdipartimentalisulla Distribuzionedel Reddito

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REGIONETOSCANADiritto alla Salutee Politiche di SolidarietàSettore Promozionedella InnovazioneOperativa del Sistemadi Servizi e Prestazioni

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