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ISTRUZIONE E ITALIA: L’ANNO PIU’ BELLO Poste Italiane Spa - Sped. Abb. Post. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Roma MENSILE PER INSEGNANTI GENITORI E STUDENTI FONDATO DA ALFREDO VINCIGUERRA GIUGNO 2011 - NUMERO 513 - ANNO XXXVII - EURO 3,50 T UTTOSCUOL A T UTTOSCUOL A La scuola protagonista delle celebrazioni per il 150° anniversario dell’Unità

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La scuola protagonista delle celebrazioni per il 150° anniversario dell’unità

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l’Editoriale

3TuTToSCuoLA n. 513

SGraduatorie, ricorsi, sentenze, reclutamento nel caos

L’incertezza del dirittoSummum ius, summa iniuria, scriveva Cicerone nel

De Officiis, citando questa locuzione come un’espres-sione ormai proverbiale: il massimo della giustizia può coincidere con il massimo dell’ingiustizia. E non è che dopo duemila anni le cose siano sostanzial-mente cambiate. Basta vedere la situazione caotica creata dal turbinio contraddittorio di norme, ricorsi, sentenze di varie magistrature, fino ad arrivare alla Cassazione e alla Corte Costituzionale, in materia di reclutamento. E poi controricorsi, appelli, insomma la ricerca spasmodica della via giurisdizionale come ca-nale privilegiato di conquista della stabilità nel posto di lavoro di insegnante nella scuola statale italiana.

Perfino alcuni tra i sindacati maggiori, storici fau-tori della via contrattuale alla soluzione delle contro-versie, ricorrono sempre più spesso alla magistratura, incalzati dalle neoformazioni sindacali (Anief in te-sta), comitati vari, associazioni come il Codacons, che la via giurisprudenziale hanno individuato come via maestra, se non esclusiva. La parola d’ordine è “dirit-ti”. Diritto al lavoro, diritto al posto stabile, diritto alla mobilità, diritto a uno stipendio adeguato…

Ma la via giurisdizionale è sempre più spesso per-corsa anche per contestare norme di carattere più generale, provvedimenti come quelli sugli organici o sugli insegnanti di sostegno o sulle riforme Gelmini legate all’attuazione della legge 133/2008: l’ultima sentenza, in ordine di tempo, riguarda l’annullamento dei decreti interministeriali degli ultimi due anni sugli organici del personale scolastico. L’Ufficio legislativo del Miur si trova costretto a impugnare le sentenze davanti al Consiglio di Stato (con eventuale richiesta di sospensiva) che, a sua volta, cercherà di fare ancora una volta da arbitro. E non è detto che non si aprano ulteriori fronti davanti alla Corte Costituzionale. In-tanto il Parlamento assiste, quasi impotente, alle bat-taglie giudiziarie che, di sentenza in sentenza, stanno modificando pezzi del sistema di istruzione…

A nuovi diritti riconosciuti dalla magistratu-ra si aggiungono aspettative di altri esclusi, nuove

rivendicazioni e altri contenziosi, mentre l’Ammini-strazione è costretta a tamponare, a difendere sempre più faticosamente l’esistente, mentre il Parlamento a sua volta, per arginare questa specie di assalto al sistema per via giudiziaria, tralasciando la ricerca di soluzioni strutturali è costretto a ripiegamenti difen-sivi contingenti mediante l’adozione di dispositivi di contenimento e di tentativi di deterrenza che provo-cheranno altri contenziosi…

La domanda è: fino a che punto potrà reggere un sistema così complesso, che proprio a causa della sua complessità produce in continuazione contraddizioni, conflitti, contrasti che anziché essere affrontati per via negoziale o legislativa si traducono in uno, cento, mille contenziosi? E chi ha ‘più diritto’, il precario che cinque anni fa ha deciso di emigrare pur di lavo-rare o quello, neo arrivato per trasferimento a pettine, che ora gli contende il posto in nome del suo migliore punteggio?

E ha più diritto alla speranza di un posto il docente incluso in graduatoria ad esaurimento grazie alla fortuna di essersi laureato in tempo utile per esservi incluso o quello che a graduatoria definitivamente (?) chiusa ha conseguito una laurea e una abilitazione uguali che non gli consentono però per anni e anni di coltivare la speranza di un posto?

Tutto questo sta determinando una grave altera-zione del sistema che rischia di trovare d’accordo il mondo politico e quello sindacale nella errata con-vinzione che la stabilizzazione del precariato coin-cida integralmente con la stabilizzazione del sistema scolastico anziché esserne soltanto una parte, se pur importante. Quei 220 mila precari di oggi, un esercito della speranza, sono sempre più il futuro esclusivo della scuola. Ma in questo modo non avranno futu-ro e prospettive di lavoro nella scuola le migliaia di neo-laureati o futuri laureati privati del diritto del concorso, che resta per noi la strada maestra per ac-cedere al posto e portare all’interno del sistema aria di rinnovamento e di riqualificazione.

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4 TuTToSCuoLA n. 513

Direttore Responsabile Giovanni VinciguerraComitato Scientifico

Giorgio Allulli - Dario Antiseri Antonio Augenti - Sebastiano Bagnara Giuseppe Costa - Gaetano Domenici

Paola Gallegati - Silvano TagliagambeCoordinatore Comitato Scientifico

Alfonso Rubinacci Segretario del Comitato

Paola GallegatiRedazione

Maurizio Amoroso Sergio Govi

Orazio NiceforoSped. Abb. Post. D.L. 353/2003

(conv. in L. 27/02/2004 N. 46) art. 1, comma 1 DCB Roma

Registrazione del Tribunale di Roma n. 15857 del 7-4-1975

Direzione, redazione, amministrazione TUTTOSCUOLA

Via della Scrofa, 39 - 00186 Roma tel. 06.68307851 - fax 06.68802728

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Progetto grafico Massimo CerasiImpaginazione

Emilmarc srlStampa

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20123 Milano Associata A.D.N.

Gli articoli possono essere parzialmente riprodotti

purché venga citata la fonteUna copia arretrata 6 euro

I manoscritti e le fotografie anche non pubblicati non verranno restituiti

Questo numero è stato chiuso in tipografia il 26-05-2011

PeR Le InSeRzIOnI PUbbLICITARIe

COnTATTARe DIReTTAmenTeI nOSTRI UffICI

PeR AbbOnARSICOnTATTARe

I nOSTRI UffICI

Carta & PennaANNO XXXVII - N. 513 - GIUGNO 2011 MENSILE - EURO 3,50

Il mese di maggio tradizional-mente mese delle rose, della piena primavera a scuola si caratteriz-za come “mese delle prove”.

Nelle classi quinte delle scuole secondarie di secondo grado gli studenti sono coinvolti in prove tecniche e di simulazioni delle prove di esame ed in particolare della terza prova che mantiene an-cora una forma di autonomia nel-la gestione e nell’organizzazione.

L’esame di stato, tappa impor-tante nella carriera scolastica, costituisce sempre un momento delicato ed importante che va preparato e opportunamente guidato.

Gli studenti delle classi se-conde delle scuole secondarie di secondo grado il prossimo 10 maggio sono stati impegnati per la prima volta nelle prove Invalsi che, nonostante le polemiche so-no da farsi, quale contributo ad un’indagine descrittiva dei tra-guardi e dei bisogni della scuola italiana.

Le prove Invalsi non sono per nulla uno strumento di accusa o di controllo dell’operato dei docenti, bensì una verifica dei traguardi conseguiti nella spe-cif icità di alcune competenze certificabili.

Il 12 maggio hanno fatto le pro-ve Invalsi i ragazzi delle classi prime, ma sono già allenati, aven-dole svolte lo scorso anno e aven-doli i docenti nel corso dell’anno esercitati alla tecnica delle do-mande a scelta multipla e dei test di lettura e di interpretazione.

Con semplicità e meno ansia i bambini delle classi seconde e quinte della scuola primaria hanno svolto le prove Invalsi nei giorni 11 e 13 maggio e hanno vissuto con soddisfazione un mo-mento importante nella carrie-ra scolastica: l’emozione di una prova, quasi di esame, primo di

una luna serie, ma senza la ten-sione e lo stress che comportano gli esami. I ragazzi delle terze medie, usiamo ancora questo termine che è ricco di storia, si preparano agli esami di “licen-za” che adesso prende il nome di “esame di stato”.

Si preparano ad affrontare an-che la prova Invalsi che è stata inglobata nella struttura dell’esa-me e contribuisce alla formazione della media dei voti, come pure il voto di ammissione che sintetizza la media dei voti disciplinari per l’intero curricolo scolastico dei due anni precedenti. Una buona preparazione e l’esercizio delle “prove di esame” aiuta i ragazzi ad affrontare con serenità e si-curezza una verifica ufficiale dei traguardi conseguiti e la prima ed importante dimostrazione del-le competenze acquisite gli stu-denti la devono fare per se stessi, consapevoli dei traguardi conse-guiti, delle conoscenze acquisite e della direzione di marcia da seguire per il loro futuro. Il fatto che saranno “esaminati” da una commissione costituita dai loro stessi docenti risulta un vantag-gio nella misura in cui si è instau-rato in classe un clima di serenità e di armonia che unisce il gruppo classe con i propri docenti.

In tutte le scuole a maggio si svolgono anche le prove per i saggi finali, per le recite di fine anno, per le ultime interrogazio-ni e verifiche di fine quadrime-stre e come tutti i mesi conclusivi portano con sé tensioni, emo-zioni, slanci e qualche segno di stanchezza.

L’ultimo tratto di corsa dell’an-no scolastico va percorso con altrettanto entusiasmo, così da non vanificare il grande impegno profuso nell’esercizio della pro-fessione di docente-educatore.

Giuseppe Adernò

Maggio, mese delle... “prove”

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Giugno 2011

8 INSEGNARE SI, INSEGNARE Nodi Sergio GoviCome uscire dall’attuale situazione in cui si trova impantanato il sistema di reclutamento dei docenti in Italia?Quali ostacoli si frappongono? E chi è iscritto nelle attuali graduatorie quale futuro può avere? Cerchiamo di fare il punto e di chiarire l’attuale complicata situazione delle graduatorie dei docenti precari

16 IL VoLTo NASCoSTo DELLA SCuoLA ITALIANA di Orazio NiceforoIl secondo Rapporto di Tuttoscuola sulla qualità nella scuola contribuisce a mettere in luce la realtà a macchie di leopardo della scuola italiana, ma solo un robusto ed efficiente Servizio nazionale di valutazione potrà consentireuna conoscenza approfondita del sistema scolastico. La lunga marcia dal Cede all’Invalsi tra resistenze, incomprensioni e sospetti. Ma siamo solo all’inizio…

17 DuE DoMANDE A GIuSEPPE CoSENTINo

18 IL TEMA DELLA VALuTAZIoNE, uN oBIETTIVo STRATEGICo

20 PER I GIoVANI NoN C’E’ uNA PRoSPETTIVA SCuoLAdi Alfonso Rubinacci

23 uNIVERSITA’, DAL FoNDo ALLA FoNDAZIoNE PER IL MERITodi Fabio Matarazzo

24 PER uNA uNIVERSITA’ INTERNAZIoNALEdi Piero Damosso

27 L’ISTRuZIoNE E FoRMAZIoNE PRoFESSIoNALE E’ uN SISTEMAdi Dario Nicoli

30 uN PRoFILo EVANESCENTE PER INSEGNANTI IMPRoBABILI di Benedetto Vertecchi

32 ELoGIo DELLA DISTANZAdi Alessandro Dell’Aira

SPECIALE 150 ANNI uNITA’ D’ITALIA

34 Io LI CoNoSCEVo BENEdi Nicola D’AmicoI ministri dell’Istruzione della Repubblica visti da vicino, molto vicino

36 IL SACRIFICIo DI INSEGNANTI E STuDENTI

oBIETTIVo DoCENTE

43 L’INSEGNANTE MAESTRo DI BoTTEGAdi Caterina Cangià

46 SPoRT E DISABILITA’

51 IL PoF ESIGE LA DoMANDA DEI GENIToRIdi Giuseppe Richiedei

53 LE CoMPETENZE PER LA VITAdi Terry Bruno

DoSSIER

55 CoME Puo’ L’INSEGNAMENTo TRARRE VANTAGGIo DALLE TECNoLoGIE?

58 LE PRIME CLASSI PILoTA ITALIANE

59 TAVoLA RoToNDA, ECCo I PRoTAGoNISTI

60 LA VoCE DEGLI STuDENTI

L’APPRoFoNDIMENTo

61 RIPARTE IL SALoNE DEL LIBRo

62 EDuCARE I RAGAZZI AI FATTI E AI RAGIoNAMENTI

LE RuBRICHE

3 EDIToRIALE

4 CARTA E PENNA

48 LA SCuoLA DAL DI DENTRodi Alberto Ciapparoni

66 EuRoPA CHIAMA SCuoLAdi Antonio Augenti

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La scuola protagonista delle celebrazioni per il 150° anniversario dell’unità

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8 TuTToSCuoLA n. 513

Politica scolastica

“Lasciate ogni speranza o voi ch’entrate”: l’avverti-mento dantesco può vale-

re, a buona ragione, anche per chi, di questi tempi, abbia voglia di entrare nel mondo della scuola.

Perché mai un giovane diplo-mato, caso mai con solida pre-parazione di base e voglia di sfondare, dovrebbe scegliere la strada dell’insegnamento? Quali prospettive occupazionali ci so-no per chi desidera tentare questa

(teoricamente) affascinante av-ventura dell’insegnare e del gui-dare le giovani generazioni alla conoscenza?

Allo stato attuale le risposte sono drammaticamente negative, al punto che molti giovani che lo hanno capito scelgono altre strade, rinunciando da subito ad entrare in quel purgatorio di lunghe attese,

di concorsi che non si bandiscono più, di graduatorie permanente-mente in esaurimento che non si esauriscono mai, di contenziosi sospesi tra sentenze di tribunali civili e amministrativi, di intrec-ci tragicomici dei pettini e delle code.

Eppure una risposta positiva che ridia speranze ai giovani e che apra una prospettiva per l’immediato futuro c’è: bandire subito nuovi concorsi e assicurarne la regolare

INSEGNARE SIINSEGNARE No

di Sergio Govi

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9TuTToSCuoLA n. 513

Politica scolastica

emanazione ogni due-tre anni, prevedendo alcuni punti fermi che impediscano il costituirsi di nuove code di graduatorie permanenti di idonei.

Tutto questo è possibile? Come uscire dall’attuale situazione in cui si trova impantanato il sistema di reclutamento dei docenti in Ita-lia? Quali ostacoli si frappongono? E chi è iscritto nelle attuali gra-duatorie quale futuro può avere?

Cerchiamo di fare il punto e di chiarire l’attuale complicata situa-zione delle graduatorie dei docenti precari, dell’intreccio tra diritti e aspettative, degli impatti che le tante sentenze dei tribunali stanno avendo sull’azione dell’Ammini-strazione scolastica, ricordando preliminarmente che per accedere all’insegnamento sia nella scuo-la statale che in quella paritaria occorre una specifica abilitazio-ne e che l’accesso nei ruoli dello Stato può avvenire soltanto per concorso.

La via maestra del concorso

Due parole di premessa:Il concorso. Siamo consapevoli

che non esistono prove di concor-so e d’esame perfette, capaci di scegliere senza errore i candidati migliori e di valutarne adegua-tamente preparazione e capacità. Ma siamo anche convinti che un concorso è sempre uno stimolo utile che costringe, comunque, i candidati a studiare, ad approfon-dire, a migliorare le proprie co-noscenze professionali, favorendo virtualmente la selezione di can-didati preparati.

I concorsi possono aprire le porte ai giovani, concorrono a svecchiare la scuola, attivano le dinamiche virtuose della qualifi-cazione professionale.

La certezza della periodicità re-golare dei concorsi può attirare l’interesse di un maggior numero di giovani che stanno preparando

Numeri

245.371 iscritti nelle graduatorie ad esaurimento

40 anni età media degli iscritti

11 annitrascorsi dall’ultimo bando di concorso per assumere insegnanti

30 anniper assorbire i docenti iscritti nelle graduatorie ad esaurimento della scuola dell’infanzia

84% donne iscritte nelle graduatorie

48% di iscritti con superamento di un concorso per titoli ed esami

Al Nord più di un docente su 5 iscritti (22%) in graduatoria è meridionale; nella primaria il

36,4%

8.433di cui 3.000 esaurite o in via di esaurimento

graduatorie presenti complessivamente in tutte le province

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10 TuTToSCuoLA n. 513

Politica scolastica

insegnanti. L’ultimo, perché dopo oltre un decennio, di concorsi non ne sono più stati banditi.

Quella legge disponeva, dopo anni di attesa e di continue pres-sioni sindacali, di aprire una nuo-va stagione di reclutamento degli insegnanti attraverso regolari ban-di di concorso, affermando, tra l’altro, che “I concorsi per titoli ed esami sono indetti su base regio-nale con frequenza triennale, con possibilità del loro svolgimento in più sedi decentrate in relazione al numero dei concorrenti. L’indizio-ne dei concorsi è subordinata alla previsione del verificarsi nell’am-bito della regione, nel triennio di riferimento, di un’effettiva dispo-nibilità di cattedre o di posti di insegnamento…”.

Concorsi triennali, dunque, ma, dopo il primo bando, di trienni ne sono passati tre e ci si prepara al giro di boa del quarto triennio.

Il legislatore, tuttavia, men-tre proclamava solennemente la triennalità dei bandi di concor-so, strizzava l’occhio ai sindaca-ti e alla stessa Amministrazione, disponendo che “Le graduatorie restano valide fino all’entrata in

vigore della graduatoria re-lativa al concorso successivo corrispondente”, autorizzan-

do implicitamente a non pre-occuparsi più di tanto della cadenza periodica dei bandi.

Da allora di concorsi non ne sono stati più banditi e le graduatorie degli idonei hanno continuato a scor-rere per nuove immissioni in ruolo, aprendo le porte del posto fisso a candidati

collocati, a volte, nelle re-trovie delle graduatorie degli

idonei…. Capito il senso di quella

strizzatina d’occhio? Sem-plice. Da una parte il sindacato, in questi anni, non è stato del tutto disinteressato nel non sollecitare nuovi concorsi, contribuendo co-sì ad assicurare l’immissione in

se lo avevano fatto, ne erano usciti con le ossa rotte, cioè senza ido-neità alcuna. Anche nella scuola.

E potrebbe capitare ancora, vi-sto che una parte dei docenti oggi iscritti nelle graduatorie ad esau-rimento e destinati, prima o poi, ad entrare in ruolo per semplice scorrimento di graduatoria è in possesso soltanto dell’abilitazione all’insegnamento, ma non ha mai sostenuto un esame di concorso per consentire di vagliarne la pre-parazione alla funzione.

Può darsi che, grazie alla sen-tenza della Consulta contro la leg-ge pugliese, ora tiri aria nuova. Si vedrà, ma non è il caso di prendere troppo sul serio proclami e dichia-razioni di principio sul regolare reclutamento del personale, visto che, da una parte, il Parlamento na-zionale si è lasciato tentare spesso (troppo spesso) da “leggine” capa-ci di aggirare quelle affermazioni di principio e, dall’altra, lo stesso Esecutivo ha ignorato norme di legge che disponevano tassativa-mente la periodicità dell’indizione dei concorsi.

Ci può aiutare in quanto

andiamo dicendo un rapido esa-me della legge 124 che nel 1999 ha consentito di varare i bandi dell’ultimo concorso ordinario per il reclutamento di migliaia di

il loro futuro professionale. La scuola, ancor prima degli in-

segnanti, ha bisogno di concorsi e di selezione dei docenti migliori.

Meglio un concorso di mode-sta capacità selettiva che nessun concorso.

Sono passati dieci anni…

L’articolo 97 della Costituzione prevede, al 3° comma, che agli impieghi nelle Pubbliche Ammini-strazioni si accede mediante con-corso, salvo i casi stabiliti dalla legge.

Più volte la Corte costituzio-nale ha richiamato in alcune sen-tenze questo vincolo; lo ha fatto anche recentemente dichiarando l’illegittimità della disposizione di una legge della Regione Puglia che prevedeva l’assunzione con contratto a tempo indetermina-to, dopo 36 mesi, di personale già sottoposto a selezione per il quale non si era provveduto a concorso pubblico.

È interessante rilevare che a portare quella legge davanti al-la Consulta per chiederne l’in-costituzionalità non è stato un controinteressato escluso dai benefici previsti da quella legge regionale, bensì la Presidenza del Consiglio, quasi ad affermare il prin-cipio che al più alto livello di Governo e dell’Ammi-nistrazione non si è dispo-sti a fare concessioni sulla inderogabilità dei concorsi per l’accesso ai pubblici im-pieghi, compresi, quindi, anche quelli per posti di insegnante nella scuola statale.

A dire la verità non è sem-pre stato così, tanto che nel corso degli anni, quasi ritualmen-te, qualche sanatoria compiacente ha consentito la stabilizzazione in ruolo di persone che di concorsi non ne avevano mai sostenuti o,

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Politica scolastica

assunzioni di personale docente sulla base del numero dei posti va-canti e disponibili effettivamente rilevati e di eliminare le cause che determinano la formazione di pre-cariato, con regolamento adottato dal Ministro della pubblica istru-zione … è definita la disciplina dei requisiti e delle modalità della formazione iniziale e dell’attività procedurale per il reclutamento del personale docente, attraverso concorsi ordinari, con cadenza biennale”.

Procedura snella (regolamento ministeriale) e concorsi ordinari ogni due anni!

Troppo bello per essere vero: la fine anticipata della legislatura non ha nemmeno consentito di ve-rificare l’effettiva praticabilità di quella disposizione per rilanciare i concorsi.

Prima di quel tentativo, il mini-stro Moratti, nel predisporre il suo decreto legislativo sulla formazio-ne e il reclutamento (diventato poi decreto legislativo 227/2005 abro-gato dalla legge finanziaria 2008) aveva previsto che vi fosse una preventiva selezione (attitudinale e di merito) a numero chiuso de-gli studenti che iniziavano i corsi universitari per la laurea magistra-le e si consentisse ai laureati di

E, se oggi si decidesse improv-visamente di rimettere in moto la macchina dei concorsi, tra proce-dure di avvio, pubblicazione dei bandi ed espletamento dell’intero iter concorsuale occorrerebbero non meno di due anni per avere le prime nomine. Nella migliore delle ipotesi, vi potrebbero esse-re nuove assunzioni a decorrere dall’anno scolastico 2012-13. Se si partisse subito e, soprattutto, se ci fosse la volontà politica di bandi-re nuovi concorsi. “Lasciate ogni speranza…”

I tentativi per rilanciare il concorso

A dire il vero in questo decennio si è tentato di porre fine a questa infinita attesa dei concorsi, in-tervenendo con una disposizione normativa alla fine di una legisla-tura bruscamente interrotta che, proprio per questo, non ha consen-tito di dar seguito all’attuazione del dispositivo.

La legge finanziaria 2008 aveva infatti disposto che “Nelle more del complessivo processo di rifor-ma della formazione iniziale e del reclutamento dei docenti, anche al fine di assicurare regolarità alle

ruolo dei docenti iscritti nelle gra-duatorie degli idonei e tenuti sotto osservazione e tutela sindacale; d’altra parte l’Amministrazione che avrebbe dovuto provvedervi (all’indizione dei concorsi regio-nali per titoli ed esami provvede il Ministero della pubblica istru-zione), ha evitato nuovi bandi, risparmiando anche sulle spese che sarebbero state necessarie per pagare i compensi per i membri di centinaia di commissioni di concorso.

Chi ne ha scapitato sono stati, ovviamente, i giovani insegnanti che, in attesa di un concorso che non arriva mai, hanno abbando-nato, delusi, l’idea della docenza, cercando lavoro altrove oppure si sono accontentati di raccogliere qualche briciolo di supplenza.

Per non parlare anche dei poten-ziali insegnanti che hanno prefe-rito imboccare da subito percorsi formativi diversi, cercando in al-tre facoltà universitarie la risposta per il loro futuro professionale e occupazionale.

Dieci anni e più di attesa di un concorso che non arriva non sono pochi (per qualche graduatoria ad-dirittura sono passati ormai quasi vent’anni, perché uscite dai prece-denti concorsi).

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Politica scolastica

esigenze di bilancio e la riduzione di organico (avviata dal centro-sinistra e continuata, molto inten-samente, dal centro-destra).

Una trasformazione, quella delle graduatorie diventate ad esauri-mento, del “chi è fuori e fuori, chi è dentro è dentro”. Ma che per il momento non è stato proprio co-

sì, perché per alcuni anni le graduatorie hanno continua-to a riempirsi di nuovi iscritti che al momento dell’entrata in vigore della legge (1° gen-naio 2007) avevano un per-corso universitario avviato verso la laurea abilitante ed erano stati accolti con riser-va. E fino a quando tutti que-gli studenti iscritti a percorsi formativi prima del varo del-la legge non avranno comple-tato il percorso universitario, le porte delle graduatorie ad esaurimento continueranno a rimanere aperte, solo per loro (21 mila iscritti per il momento con riserva), per-ché la legge dispone, infatti, che Sono fatti salvi gli inse-rimenti nelle stesse gradua-

torie da effettuarsi per il biennio 2007-2008 per i docenti già in possesso di abilitazione, e con ri-serva del conseguimento del titolo di abilitazione, per i docenti che frequentano, alla data di entra-ta in vigore della presente legge i corsi abilitanti speciali indetti ai sensi della predetta legge n. 143 del 2004, i corsi SISS, i corsi accademici di secondo livello ad indirizzo didattico (COBASLID), i corsi di didattica della musica presso i Conservatori di musica e il Corso di laurea in Scienza della formazione primaria. La predetta riserva si intende sciolta con il conseguimento del titolo di abilitazione.

In questi quattro anni le gradua-torie ad esaurimento hanno avuto entrate e uscite, e continueranno a farlo ancora una volta con i nuovi aggiornamenti. Gli aggiornamenti.

continuo, per sempre, come la spe-ranza e l’aspettativa per quel posto fisso, tanto agognato, che prima o poi sarebbe arrivato.

Sono stati anni di vita com-plicata, quelli delle graduatorie permanenti, con correttivi vari, maggiorazione dei punteggi per servizi in sedi di montagna, rad-

doppi di punteggi per le SSIS, ri-corsi e controricorsi in una guerra tra poveri, mentre i posti in ruolo venivano dati con il contagocce.

Le graduatorie ad esaurimento

Poi quelle graduatorie perma-nenti con la legge finanziaria 2007 sono diventate ad esaurimento, con il dichiarato e lodevole intento di bloccare il proliferare del pre-cariato, svuotare gradualmente il “mare immenso” della precarietà, evitandone la sua ricostituzione, stabilizzare il sistema e ringio-vanire il livello medio di età del corpo docente. Quasi un sogno che si era parzialmente avviato con la prima fase di svuotamento delle graduatorie (50 mila docenti immessi in ruolo subito), ma che aveva poi dovuto fare i conti con le

iscriversi in albi regionali da cui le istituzioni scolastiche avrebbero potuto attingere insegnanti per la diretta immissione in ruolo.

Quel testo, però, non ebbe il be-nestare del Parlamento, in quanto la selezione d’ingresso all’univer-sità sarebbe diventata, di fatto la selezione finale per il reclutamen-to, violando in quel modo l’art. 92 della Costituzione che, come abbiamo visto pri-ma, chiede il passaggio del concorso per accedere a posti di lavoro statale.

Ci sono stati alcuni recenti segnali politici per rilanciare i concorsi (tra gli altri, Ru-sconi e Puglisi per il PD e Max Bruschi consigliere mi-nisteriale), ma si è trattato di segnali che hanno bisogno di essere sostenuti in modo or-ganico e convinto, rompen-do la logica elettoralistica ed esclusiva di sistemare prima di tutto tutti i precari.

Attualmente, definito il nuovo Regolamento per la formazione dei docenti, si sta lavorando anche alla de-finizione del Regolamento per il loro reclutamento che, una volta definito e varato, dovrà, comun-que, fare i conti con la montagna delle graduatorie dei precari prima di avere via libera.

Già, le graduatorie. Come si concilia questa attesa legittima del concorso con le graduatorie dei docenti precari che aspettano da tanto tempo il posto di lavoro?

Le graduatorie

Anni fa c’era il doppio canale di reclutamento: concorso per esami e titoli e graduatoria provincia-le con accesso per soli titoli. Poi vennero le graduatorie permanenti che consentivano a tanti di entrare e a pochi di uscire verso il ruolo. Il nome stesso di “permanente” dava l’idea di qualcosa di infinito,

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Politica scolastica

nonostante vi fossero numeri ele-vatissimi di iscritti in talune gra-duatorie ad esaurimento, in altre graduatorie di talune province di iscritti non ve ne erano più.

Si è deciso allora (2009) di con-sentire l’iscrizione in altra provincia, ferma restando l’appartenenza alla graduatoria di prima iscrizione nella propria provincia. Considerando, inoltre, la possibilità che nel corso del biennio 2009-2011 vi sarebbero stati altri esaurimenti di graduato-rie, si è deciso anche di consentire l’iscrizione in qualsiasi provincia e per qualsiasi graduatoria. Di più. Anziché una sola seconda iscrizio-ne, sono state consentite tre iscrizio-ni in aggiunta a quella di base.

Ma, per non stravolgere aspettati-ve e diritti acquisiti dei docenti già iscritti, è stata posta la clausola che le iscrizioni aggiuntive provenienti da fuori provincia non andassero a stravolgere l’ordine di graduatoria di chi vi era già iscritto. Come? Preve-dendo che chi arrivava dall’esterno venisse messo in coda alle gradua-torie esistenti.

E da quel momento, però, è stata guerra di code e di pettini.

Una guerra fatta di ricorsi al Tar Lazio, di ordinanze di sospensiva, di sentenze definitive, di commis-sari ad acta, fino ad arrivare alla Corte Costituzionale, che ha visto spettatori i sindacati rappresentativi della scuola (Cgil, Cisl, Uil, Snals e Gilda) che avevano condiviso la decisione del Miur sulla richiesta di altre iscrizioni fuori provincia con lo sbarramento degli accodamenti.

Motore di questa guerra contro gli accodamenti per ottenere il pie-no riconoscimento del punteggio in possesso dei docenti iscritti in altre province, con conseguente inseri-mento a pettine, è stato l’Anief, un sindacato che fonda la sua azione di tutela dei precari prevalentemente per via giudiziaria con raffiche di ricorsi contro molti atti dell’Ammi-nistrazione scolastica.

Con sentenza n. 41 del 9 febbra-io 2011 la Consulta, dopo un lungo

normali nella scuola dell’infanzia sono 80.406, cioè una quantità pari all’intero organico della scuola.

Occorre, quindi, che se ne vada-no via tutti i titolari attuali per far posto ai precari che scalpitano nelle graduatorie per entrare ad occupare un posto di ruolo.

Nel settore dell’infanzia, conside-rate anche le sue ridotte dimensio-ni di organico, vanno in pensione mediamente circa 2.600 insegnanti all’anno (media dell’ultimo quin-quennio). Per svuotare completa-mente le graduatorie ad esaurimento occupate da quegli 80.406 iscrit-ti, occorreranno, a questo ritmo di turn over, almeno 30 anni, sperando anche che in ogni provincia vi sia esatta corrispondenza tra posti che si liberano e iscritti in graduatoria che aspirano al ruolo.

Le altre graduatorie hanno tempi di esaurimento inferiori, nell’ordine medio di dieci anni e più. Probabil-mente molte graduatorie si esauri-ranno per uscita fisiologica degli iscritti per vecchiaia.

Come si può capire, non è con so-luzioni dai pannicelli caldi che si risolve questa patologia che pesa sulla scuola italiana come un maci-gno. E non si può nemmeno rima-nere indifferenti al fatto che molti precari, quando entreranno in ruolo, avrebbero bisogno, forse, di un ac-certamento della loro formazione di base come docenti, soprattutto se nell’atteso hanno fatto altro.

Code e pettini

In occasione degli aggiorna-menti di graduatoria per il biennio 2009-10/2010-11, il Miur, su richie-sta delle organizzazioni sindacali rappresentative, ha pensato bene di aprire le graduatorie verso quelle province dove si erano esauriti gli iscritti (un esempio per tutte: le gra-duatorie dei docenti di sostegno) e dove si rischiava di aprire un nuovo fronte di precari senza abilitazione e nominati fuori graduatoria. Infatti,

Oltre all’integrazione delle gra-duatorie ad esaurimento con nor-malizzazione degli iscritti con riserva, è stato previsto che gli iscritti possano integrare i punteggi in base a titoli e servizi conseguiti successivamente. Graduatorie non bloccate nei loro punteggi, dunque, ma con un dinamismo interno per consentire miglioramenti di pun-teggio e di posizione per chi era già iscritto.

Aggiornamenti ogni due anni, di-ventati tre dal 2011-12 per effetto del decreto legge 13 maggio 2011, n. 70.

30 anni di attesa per il ruolo

Ma che dimensione ha questo po-polo di precari inserito nelle gradua-torie ad esaurimento?

Il popolo delle graduatorie ad esaurimento è costituito, ad oggi, da ben 245.371 iscritti. Considera-te le doppie iscrizioni, le persone effettivamente iscritte – le “teste” come si dice in gergo – sono poco più di 200mila. Senza considerare che non solo loro hanno diritto al reclutamento, perché, prima o poi, ci saranno anche i vincitori dei con-corsi da bandire, le loro immissio-ni in ruolo dovranno tener conto delle effettive disponibilità che si verranno a determinare graduato-ria per graduatoria e provincia per provincia. E non è detto che in ogni graduatoria e in ogni provincia il numero degli aspiranti coincida con quello dei posti vacanti…

Per dare, comunque, un’idea più precisa di questa situazione abnor-me e paradossale, prendiamo in esa-me la situazione delle graduatorie ad esaurimento della scuola dell’in-fanzia statale.

Attualmente i posti di organi-co normale di questo settore sono 80.543, coperti in buona misura da docenti titolari (attualmente sono vacanti poco più di 4mila posti).

Ebbene gli iscritti nelle gra-duatorie ad esaurimento per posti

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Politica scolastica

ha previsto una particolare prote-zione dei “vecchi” docenti iscritti nelle graduatorie ad esaurimento, prima che arrivi lo tsunami dei trasferimenti da altra provincia che potrebbe stravolgere l’ordine di graduatoria costituito, grazie all’inserimento a pettine.

Il piano triennale per le immis-sioni in ruolo 2011-2013 può pre-vedere la retrodatazione giuridica dall’anno scolastico 2010 - 2011 di quota parte delle assunzioni di personale docente e ATA sulla ba-se dei posti vacanti e disponibili relativi al medesimo anno scola-stico 2010 - 2011, fermo restando il rispetto degli obiettivi program-mati dei saldi di finanza pubbli-ca. La formulazione non brilla per chiarezza, ma l’interpretazione autentica che ne viene data dai promotori della particolare dispo-sizione (Lega in testa), è questa: una quantità di docenti immessi in ruolo dal 2011-12 in numero cor-rispondente alla quantità di po-sti che risultavano vacanti l’anno scorso (21-22 mila circa) dovrebbe essere nominato attingendo dalle vecchie graduatorie avrebbe an-che la retrodatazione giuridica al 2010-11. Verrebbero, quindi, uti-lizzate per le nomine due gradua-torie: quella vecchia per i primi 21-22 mila posti (con diritto alla retrodatazione solo giuridica) e quella nuova uscita dai trasferi-menti provinciali per nominare docenti sugli ulteriori posti va-canti e disponibili al 2011-12. Si può essere sicuri che si aprirà una nuova guerra tra vecchi e nuovi iscritti, con il pronto patrocinio dell’Anief, sempre più avvoca-to dei poveri precari. In questa guerra fuori dal tempo e lontana da ogni previsione di conclusione sarà difficile trovare spazio per i giovani, a meno che il Parlamento capisca che la stabilizzazione del-la scuola non significa riduttiva-mente stabilizzazione dei precari, di cui è soltanto un momento, se pur importante.

trovare a sua volta nella stessa pro-vincia di trasferimento tanti altri do-centi concorrenti trasferiti che hanno fatto ragionamenti simili dopo aver valutato la convenienza di iscrizio-ne. Insomma un terno al lotto dove è più facile perdere che vincere. E, se si perde, per tre anni c’è solo l’attesa

di un nuovo trasferimento o di un ritorno alla graduatoria di origine. Chi lascia la strada vecchia...

Salvataggio prima dello tsunami trasferimenti

In questa guerra del si salvi chi può, l’ultima novità, per il mo-mento, è venuta dal decreto legge n. 70/2011, attualmente in fase di conversione in Parlamento, che

contenzioso, ha legittimato gli in-serimenti a pettine, riconoscendo il pieno diritto dei docenti precari ri-correnti di vedersi riconosciuto l’in-tero punteggio posseduto nel caso di iscrizione in graduatoria di altra provincia. Un principio che d’ora in poi dovrà essere tenuto presente nei passaggi di graduatoria.

Trasferimenti che possono stravolgere aspettative e diritti

Com’era, dunque, prevedibile, il nuovo decreto per gli aggiornamenti delle graduatorie ad esaurimento emanato meno di un mese fa (dm 44/2011) ha azzerato una parte delle precedenti innovazioni, ha riporta-to la scelta ad una sola graduatoria provinciale, ha recepito il principio degli inserimenti a pettine in caso di cambio di provincia e ha consentito i trasferimenti da una provincia ad un’altra (una sola) con cancellazio-ne dalla graduatoria di precedente appartenenza con pieno riconosci-mento del punteggio posseduto. E tre anni di validità delle nuove gra-duatorie, secondo le modifiche in-trodotte dal recente decreto legge n. 70 del 13 maggio scorso.

Mentre scriviamo, si sta conclu-dendo l’operazione aggiornamenti per il 2011-13 con possibili trasfe-rimenti di iscrizione ad altra pro-vincia. La novità dei trasferimenti con diritto all’inserimento a petti-ne potrebbe, però, stravolgere il si-stema nelle legittime aspettative e nei diritti acquisiti di docenti che, all’arrivo degli esterni, potrebbero essere scalzati dal loro posto di la-voro, anche dopo anni continuativi di servizio sulla stessa sede, a causa dei maggiori punteggi degli inseriti a pettine.

C’è anche il rovescio di questo possibile tsunami del pettine. Chi decide l’avventura del trasferimen-to in altra provincia, lasciando la vecchia graduatoria, allettato dalla speranza che il punteggio posseduto assicuri un posto di lavoro, potrebbe

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Patto ambientaleQuo Vadis

Formato ufficio (21x27 cm)

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Tabella alunni

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Stampa in Francia

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L’AGENDA DEL PROFESSORE U N S U P P O R T O D I L A V O R O E F F I C A C E E P E R S O N A L E

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AGENDA SETTIMANALE DA SETTEMBRE 2011 A SETTEMBRE 2012

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Dal Cede all’Invalsi

Quella per l’istituzione di un Servizio nazionale di valutazione è stata, in Italia, una battaglia plu-ridecennale combattuta fin dagli anni settanta dello scorso secolo da personalità appartenenti al fi-lone della pedagogia rifor-mista, che comprendeva cattolici come Giovanni Gozzer e Mauro Laeng e laici come Aldo Visalber-ghi, presidente del Centro Europeo dell’Educazione (Cede, progenitore dell’In-valsi) dal 1980 al 1991.

Si trattò soprattutto di una battaglia culturale, condotta da una minoran-za di studiosi ed esperti di tematiche educative attenti al dibattito e alle esperien-ze internazionali contro una maggioranza di stake-holders scolastici che ve-deva procedere affiancati su posizioni di fatto con-servatrici la maggior parte dei pedagogisti, i sindacati della scuola, la burocrazia ministeriale.

Solo alla fine degli anni novanta, nel quadro del ricono-scimento giuridico dell’autonomia delle istituzioni scolastiche (DPR n. 275/1999), fu affidato al Cede

in via transitoria – “fino alla isti-tuzione di un apposito organi-smo autonomo” - il compito di procedere alla “verifica del rag-giungimento degli obiettivi di ap-

prendimento e degli standard di qualità del servizio” attraverso “ri-levazioni periodiche”, da effettua-re però secondo metodi e scadenze

fissate dal Ministero. Il Cede fu trasformato in Inval-

si (senza che gli fossero ricono-sciute, peraltro, piena autonomia e risorse adeguate) e le prime ri-levazioni nazionali si fecero du-rante il quinquennio morattiano con ampia partecipazione delle

scuole, su base volonta-ria, ma con praticamen-te nessuna ricaduta sulle politiche nazionali e sulla attività delle scuole. Come assai scarsa fu la ricaduta nazionale della partecipa-zione italiana all’indagine internazionale Ocse-Pisa sui quindicenni, edizioni 2000 e 2003, anch’essa ge-stita dall’Invalsi.

InvalsiSI

Solo dopo la pubblica-zione nel 2007 dei risultati dell’edizione 2006 dell’in-dagine Ocse-Pisa, e soprat-tutto nel 2010, di fronte ai persistenti cattivi risultati delle prove del 2009, si cominciò a guardare con qualche maggiore attenzio-

ne agli esiti dei test, e sul versante nazionale si ripresero le rilevazio-ni nazionali con un programma nel quale rientravano anche quelle

Progetto1 20-04-2011 16:55 Pagina 1

Il secondo Rapporto di Tuttoscuola sulla qualità nella scuola contribuisce a mettere in luce la realtà a macchie di leopardo della scuola italiana, ma solo un robusto ed efficiente Servizio nazionale di valutazione potrà consentire

una conoscenza approfondita del sistema scolastico. La lunga marcia dal Cede all’Invalsi tra resistenze, incomprensioni e sospetti. Ma siamo solo all’inizio…

IL VoLTo NASCoSTo della scuola italiana

di orazio Niceforo

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Dossier Rapporto sulla Qualità

somministrate la scorsa settimana dal 10 al 12 maggio.

La guida dell’Istituto era sta-ta nel frattempo affidata a Piero Cipollone, economista di prove-nienza Bankitalia, nominato dal governo Prodi nel 2007 e poi con-fermato dal governo Berlusco-ni, coautore del noto Quaderno

bianco sull’istruzione (settembre 2007) nel quale si insisteva molto sull’importanza della valutazio-ne di sistema - non solo dal punto di vista macroeconomico - e sulla necessità per l’Italia di allinear-si ai Paesi più avanzati in questo ambito.

Con la gest ione Cipollone,

richiamato peraltro qualche mese fa dalla Banca d’Italia che gli ha affidato un importante incarico nella World Bank a Washington (si è dimesso nello scorso mese di marzo), l’Invalsi ha certamente preso quota nella considerazione del mondo della scuola e anche al di fuori di esso, nella società e nei media.

Non può non colpire il fatto che solo ora che l’Italia, con grande ritardo, sembra aver intrapreso con impegno la strada della valutazio-ne di sistema, emerga una resisten-za attiva e organizzata contro di essa. Le motivazioni della conte-stazione sono varie, e alcune me-ritano attenzione. Quel che non si può accettare è invece il rifiuto di principio della valutazione di sistema, senza la quale al nostro Paese (ma anche alle scuole e agli insegnanti) mancherebbe un pun-to di riferimento importante per migliorare l’efficacia e l’equità del sistema educativo.

InvalsiNo

Contro la rilevazione tramite test dei livelli di apprendimento nelle competenze base (lettura e mate-matica) e contro i questionari sul contesto, necessari per compren-dere meglio i fattori socio-culturali che influiscono sulle prestazioni, è andata crescendo in questi ultimi mesi una protesta – forse più ap-pariscente che realmente diffusa – che ha trovato però sponde sin-dacali e politiche e si è fatta spazio nella rete, dove sono circolati inviti a “copiare e far copiare” per vani-ficare la valutabilità delle prove e appelli rubricati con sigle come No Invalsi o InvalsiNO.

Da un punto di vista strettamen-te sindacale si è sostenuto (Cobas, Unicobas, ma anche in parte Gilda degli insegnanti e Flc-Cgil) che le prestazioni di lavoro relative alla somministrazione e correzione dei test esorbitano dalle competenze

Quando si è saputo della sua nomina a commissario dell’Invalsi molti hanno

parlato di lei come di un ‘traghet-tatore’ verso un nuovo e diverso modello di Istituto. Si riconosce nella definizione?

“Beh, per la verità il primo a pensare a un ruolo di ‘traghet-tatore’ sono stato io. D’altra parte l’incarico di com-missario è per defi-nizione a termine, e le condizioni attuali dell’Istituto richie-dono interventi ur-

genti che ne garantiscano almeno la funzionalità, in vista di un nuo-vo e più compiuto assetto, che sarà definito dal futuro Regolamento. Ma intanto si possono stabilire alcune premesse per ripartire poi su basi più solide, dalla soluzione dei problemi del personale alla sottoscrizione delle convenzione necessarie per le ricerche inter-nazionali, alla migliore definizio-ne negoziale del ruolo dei docenti nel processo di valutazione. E va assicurata continuità alle attività in corso, che sono numerose e im-pegnative. Poi si vedrà…”

Tuttoscuola è fortemente inte-ressata alla tematica della qua-lità nella scuola italiana, cui ha dedicato il suo recente 2° Rap-porto, fondato sull’interazione di

numerosi indicatori. Quali sono a suo avviso i fattori che incidono maggiormente sulla qualità del servizio scolastico?“Per me la qualità della scuola è prioritariamente legata alla professionalità e alla motivazio-ne degli insegnanti. Per questo è necessario stabilire una stretta relazione concettuale e operativa tra la formazione in servizio, in relazione agli obiettivi di appren-dimento dei diversi cicli di studio, la valutazione di sistema e lo sti-molo al miglioramento continuo della professionalità dei docenti: tre funzioni alle quali devono de-dicarsi in modo coordinato, ri-spettivamente, l’Indire, l’Invalsi e l’Ispettorato. Si potrebbe parlare di un tridente, o di un sistema a tre gambe, nel quale tutti gli ele-menti che lo costituiscono sono coessenziali.Il fine prioritario della valutazio-ne deve essere comunque quello di aiutare gli stessi docenti delle singole scuole, cui vengono “re-stituiti” i risultati delle prove IN-VALSI, a riflettere sui fattori che producono la migliore “crescita” degli alunni in un contesto dato, offrendo elementi oggettivi, utili per la programmazione didatti-ca. Mi sembra inoltre necessa-rio promuovere l’apporto di una dirigenza scolastica capace di costruire nelle scuole le condizio-ni per un favorevole ambiente di apprendimento.”

Due domande a Giuseppe Cosentino

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La valutazione ‘oggettiva’ delle prestazioni degli studenti tramite test è certamente un indicatore importante, e probabilmente im-prescindibile nelle indagini com-parative internazionali, ma l’esito delle prove è soltanto la risultante di una serie di altri fattori che su di esso inf luiscono, come mo-stra un’abbondante letteratura internazionale: dalla condizione economica e sociale delle fami-glie all’ambiente educativo, dalle politiche educative nazionali e locali alla qualità professionale degli insegnanti.

Da questo punto di vista l’ap-proccio scelto da Tuttoscuola per il suo Rapporto sulla qualità, sia pure con riferimento a territo-ri anziché a scuole, costituisce un esempio di accostamento

a scapito di una formazione più ampia, critica e creativa.

Di rischio di “forzature dell’or-dinaria attività didattica” ha par-lato per esempio il senatore del Pdl Luigi Compagna, che ha solleci-tato in proposito un approfondito dibattito parlamentare, e preoccu-pazioni analoghe aveva espresso recentemente anche Giorgio Israel, consigliere del ministro Gelmini per la formazione dei docenti.

InvalsiSE

Una compiuta valutazione di si-stema non può prescindere dalla valutazione di tutti i fattori interni ed esterni che inf luiscono sulla qualità dei processi formativi e sul loro esito.

dei docenti, non sono previste dal contratto nazionale e non posso-no essere rese obbligatorie né dal Ministero né dai dirigenti scolasti-ci. L’Idv tra le forze politiche rap-presentate in Parlamento è quella che più apertamente ha criticato le prove sostenendo fra l’altro che ledono la privacy perché codifica-te e quindi riconducibili ai singoli studenti e alle loro famiglie.

Ma le obiezioni più consistenti, anche perché condivise da molti anche al di fuori del citato circu-ito politico-sindacale, riguardano il valore stesso dei test, che re-stringono il ruolo di valutazione dei docenti ad ambiti predefiniti, decontestualizzati, e soprattutto li inducono ad orientare la loro didattica in funzione del supera-mento dei test (teaching to the test)

Nel seminario svolto in occasio-ne della presentazione dei dati del II Rapporto di Tuttoscuola

sulla qualità nella scuola, il Ministro Gelmini, tra gli altri argomenti trat-tati, ha annunciato che i prossimi in-terventi sul tema della valutazione delle performance degli insegnanti dovrebbero essere il più possibile condivisi e potrebbero prevedere an-che una prospettiva regolativa di ti-po contrattuale. Quest’affermazione rappresenta un’importante novità nella nostra politica scolastica, poi-ché, lasciando da parte una logica di tipo dirigistico, che non ha prodotto risultati positivi, al di là dei conte-nuti tecnici delle proposte avanzate sulla materia, richiama l’attenzione su un elemento di buon senso e di

profonda fondatezza nelle politiche di valorizzazione delle persone nel-le relazioni di lavoro, in un contesto molto particolare come quello della scuola.Ci si riferisce al fatto che spesso i problemi di regolazione delle relazio-ni di lavoro e di governo dei processi innovativi innescati dalle riforme, che tendono a produrre nuovi model-li organizzativi e comportamenti più virtuosi, nascono non tanto per que-stioni tecniche o di merito, ma per gli aspetti connessi con le modalità comunicative e le strategie di coin-volgimento degli attori individuali e collettivi che dovrebbero dare

concreta applicazione ai cambia-menti attesi. Ciò è ancora più vero, quando la materia del contendere riguarda questioni “oggettivamen-te critiche” e “politicamente sensi-bili” come quella della valutazione dell’attività svolta e dei risultati ot-tenuti, in una delle attività lavorati-ve più complesse: la pianificazione, gestione e valutazione dei processi di insegnamento/apprendimento ri-volti alle giovani generazioni appar-tenenti al leva dei “nativi digitali”. In realtà, il tema della valutazio-ne rappresenta ormai un obiettivo strategico non più rinviabile, che anche il nostro sistema scolastico, così come quello dei principali Pa-esi ocse, si sta ponendo con mag-giore forza negli ultimi anni. In

Si apre una nuova fase di politica scolastica sulla valutazione del sistema scolastico?

Il tema della valutazione un obiettivo strategico

di Antonio Cocozza*

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Dossier Rapporto sulla Qualità

segretario della Uil scuola, ha ricordato che la Francia spende cinque volte più dell’Italia per il suo servizio nazionale di va-lutazione), il suo personale vive nell’incertezza. Per far fronte alle emergenze è stato nominato com-missario Giuseppe Cosentino, ex capo del dipartimento Istruzione del Miur, un funzionario di note-vole competenza tecnica ed espe-rienza anche per quanto riguarda le relazioni sindacali, in grado dunque di cercare un punto di incontro tra la dimensione ammi-nistrativa, quella tecnica e quel-la sociale. Si limiterà a mediare, svolgendo un ruolo di traghetta-tore verso soluzioni più stabili e definite, o affronterà gli storici problemi strutturali e funzionali dell’Invalsi?

didattica, o cambiare il dirigente scolastico o altro ancora.

Se l’Invalsi sarà messo in con-dizione di ampliare la sua azione in queste direzioni, se potrà farlo in collaborazione con un Ispetto-rato rinnovato e rafforzato assai al di là di quanto potrà consen-tire il concorso in svolgimento, se lavorerà in sinergia con l’Am-ministrazione scolastica ai vari livelli, solo allora si potrà parlare di un compiuto Servizio naziona-le di valutazione al servizio del miglioramento del sistema scola-stico e si smetterà di considerarlo come una asettica e un po’ tecno-cratica fabbrica di test.

Ma per il momento l’Invalsi è di nuovo senza presidente, il suo assetto strutturale resta ina-deguato (Massimo Di Menna,

multilaterale alla tematica della qualità nel quale i risultati scola-stici ‘pesano’ solo per un quarto nelle classifiche finali accanto a una serie di altri fattori, dalle risorse strutturali ai servizi di supporto alla didattica e alla con-dizione del personale.

Per questo appare ingenua l’idea di stabilire una correlazio-ne diretta tra le performance de-gli studenti ‘testati’ e la capacità didattica dei loro insegnanti. Una compiuta valutazione di sistema dovrebbe tenere conto dei fattori di contesto, e capire se per mi-gliorare i risultati in una deter-minata scuola (o area territoriale) serve di più formare i docenti, o assistere gli studenti, o sollecitare l’impegno degli enti locali, o as-sicurare una maggiore continuità

realtà, questa questione ha assunto un ruolo decisivo con l’esplosione della globalizzazione dell’economia e con l’affermazione di nuove mo-dalità di competizione tra i sistemi paese, nell’ambito delle quali l’ade-guatezza dei processi e la qualità degli output dei sistemi educativi svolgono un ruolo primario ai fini della capacità di saper innovare per migliorare i risultati sociali ed eco-nomici complessivi. Di fronte a questa prospettiva già a partire dalla fine degli anni novan-ta, con l’adozione delle norme che hanno introdotto il principio dell’ au-tonomia delle istituzioni scolastiche nel nostro ordinamento, si è posta la triplice questione valutativa tesa a monitorare e misurare: i risultati degli apprendimento degli studen-ti, sulla base di parametri e criteri omogenei di carattere nazionale; l’attività svolta dal personale (diri-gente scolastico, docenti e persona-le Ata), così come prevede anche la riforma Brunetta, con particolare attenzione ai processi educativi di insegnamento dei docenti; nonché i risultati delle singole istituzioni

scolastiche, in relazione al grado di conseguimento degli obiettivi prefis-sati nel Pof.A questi tre livelli bisognerebbe aggiungere un quarto livello di va-lutazione che è quello nazionale di sistema scolastico ed educativo, che attiene alla misurazione dell’ade-guatezza dei risultati di apprendi-mento degli studenti, rispetto agli standard internazionale ocse-Pisa, Iea-Pirls o analizzati nei report Education at a Glance, ma anche quello dell’efficacia delle politiche educative nel suo insieme in rela-zione al grado di congruenza con l’evoluzione del sistema sociale ed economico, ancora una volta per for-za in una dimensione comparativa internazionale. In questa direzione negli ultimi dieci anni vi sono stati vari tenta-tivi e diverse iniziative normative e procedurali, promosse dai Ministri dell’Istruzione Berlinguer, Moratti e Fioroni, che, per ragioni diverse, non hanno raggiunto i risultati attesi e sono state talvolta oggetto di azioni sindacali di tipo conflittuale. Attualmente il Ministro Gelmini

ha rimesso all’ordine del giorno l’argomento, annunciando in modo netto le sue proposizioni a favore del riconoscimento del merito, e ha deciso di affrontare la questione della valutazione, anche attraverso l’opera meritoria di una competente commissione ministeriale, che sta elaborando una nuova proposta per l’istituzionalizzazione di una valu-tazione di sistema, che prenda in esame i livelli di valutazione più im-portanti fra quelli qui indicati. Ma la questione centrale, a nostro parere, non è stata ancora affronta-ta adeguatamente, poiché il princi-pio dell’autonomia si può applicare compiutamente nella misura in cui vi è un sistema di responsabilità e di accountability, un ordinamento nel quale si conferisce autonomia se si è responsabili di un risultato nei con-fronti degli studenti, delle famiglie e della comunità territoriale nella quale la scuola è inserita.*Direttore Master “Processi organizzativi

e direttivi nella scuola dell’autonomia” Univer-

sità Roma Tre

Coordinatore dell’Osservatorio sulla scuola

dell’autonomia - Luiss Guido Carli

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Politica scolastica

I giovani laureati senza occupazione “soli” e “abbandonati”

Le polemiche sui tagli della scuo-la e le proteste dei professori preca-ri che ammontano - come sottolinea il Ministro Gelmini (Il Messaggero dell’11 aprile 2011) - a circa “240mi-la iscritti nelle graduatorie ad esau-rimento (di cui) circa 110mila… impiegati con supplenze annuali continuative e, in ogni caso, tutti saranno immessi in ruolo nel giro di 7 /8 anni, in virtù della dinamica dei pensionamenti che determina circa 30000 posti vacanti all’an-no”, hanno riportato d’attualità la questione delle crescenti difficoltà dei giovani abilitati e laureati a in-serirsi nel mondo della scuola. Ciò nonostante il recentissimo provve-dimento che apre alla prospettiva di 65.000 nuove immissioni in ruolo e un piano triennale di assunzioni su tutti i posti disponibili e vacanti.

Di riforme della scuola in questo ultimo decennio a livello legislativo se ne sono fatte molte, ma nessuna ha contrastato il progressivo abban-dono della selezione meritocratica costituita dal procedimento concor-suale: uno dei veri punti di forza del programma di miglioramento dei livelli di qualità del sistema educa-tivo messo in campo dal ministro Berlinguer.

La precarietà della condizione dei giovani è una questione sottolineata

Per i giovani non c’è una prospettiva scuola

di Alfonso Rubinacci

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Politica scolastica

nei dibattiti con impressionante mo-notonia, ma in concreto pochi sono quelli impegnati concretamente ad assumersi la responsabilità di scelte che riguardano, certamente, in primo luogo la vita dei giovani, ma che servono al Paese. Sembra che tutti gli attori in campo non conducono battaglie chiare, non sono disposti a pagare dei prezzi per quello che vogliono. Per que-sto leggiamo molte dichiarazioni, ascoltiamo promesse, assistiamo a mille scaramucce, ma non vediamo mai una battaglia vera che vada oltre la presentazione di qualche progetto o di un disegno di legge. Una battaglia in cui si capisca per cosa si combatte, se ci siano delle priorità chiare e se i protagonisti si mettano in gioco fino in fondo.

I giovani che finiti gli studi non lavorano sono più di 1,8 milioni. Un record assoluto rispetto a quasi tutti i Paesi sviluppati. Solo la Grecia ci batte. Eppure la condizione giova-nile è il più significativo indicatore del potenziale di sviluppo di un Pa-ese. Una società incapace di orien-tare le sue scelte sull’investimento nel futuro dei giovani, di formulare politiche occupazionali, di ragio-nare a favore dei giovani laureati ha perso la speranza di restare nel novero dei grandi paesi industriali. Se la precarietà dei giovani fosse solo transitoria, il problema sareb-be limitato. Purtroppo così non è e i giovani sono in ginocchio. Il tempo stringe e una prospettiva per i giovani laureati e neo-abilitati all’insegnamento di una graduale stabilizzazione nei rapporti di lavori pre-cari è sempre più urgente. E’ venuto il momento di riscoprire la cultura del progetto perché servono interventi adeguati, preci-si, continuati e di sistema, altrimenti il futuro non sembra riservare ai giovani prospettive. La fragilità di questa prospettiva disincen-tiva la formazione

di capitale umano, determina un calo generale nelle iscrizioni ai cor-si accademici (nel 2010 un 5% in meno rispetto all’anno precedente, un complessivo 9,2% negli ultimi quattro anni [dati Cun e Consorzio Alma-laurea], fa crollare il numero dei laureati, assottiglia il numero di chi frequenta i corsi specialisti-ci, perché non premia l’istruzione ed il talento ed, inoltre, per quanto riguarda il profilo di retribuzione non garantito nel tempo, disincen-tiva il datore di lavoro ad accre-scere le competenze dei dipendenti appena assunti. Infatti nella scuola le iniziative di formazione e di ag-giornamento in servizio dei docen-ti di ruolo coinvolgono raramente, per mancanza di sufficienti fondi, il personale precario.

Non solo annunci, ma una strategia concreta

I giovani non chiedono il posto garantito per legge, ma dignità e speranza riconoscendo loro una chance di accesso per merito, sul-la base di concorsi a cattedra con cadenza certa e regolare. Le oppor-tunità vanno definite, non possono solo essere evocate, senza alcun tentativo di rimuovere gli ostacoli che non permettono loro di dispie-

garsi. Nel mettere ma-no alla vicenda dei precari della scuola, utilizzando il mag-

gior numero possibile di posti vacan-

ti, median-te assunzioni in ruolo d a l l e

graduato-rie ad esau-rimento, il

Governo do-vrebbe evitare

che molto giovani

si perdano, restino in mezzo al guado ed in larga parte anneghino nelle difficoltà della loro condizio-ne. Ciò riguarda in primo luogo i laureati in scienze umane e sociali che rimangono a “spasso”. Sarebbe sbagliato pensare alla creazione di un fondo di incentivi per sostenere una riserva di energia e di compe-tenze. Non è di questo che i giovani hanno bisogno. Non è così che si risolve l’emergenza occupazionale dei giovani in un Paese in declino. All’interno di strategie generali per la sistemazione dei precari, la pos-sibilità di accesso dei giovani deve rivestire un ruolo chiave. In tale prospettiva, e con specifico riferi-mento all’inserimento dei giovani laureati nel mondo della scuola, occorre ragionare sulle politiche di reclutamento del personale docente con una visione lunga. Stabilizza-re migliaia di docenti precari è un obiettivo giusto e dovuto anche se difficile per la scarsa produttività del sistema paese, per la bassa cre-scita, per la caduta degli investi-menti in settori innovativi. Ciò non toglie che allo stesso tempo non si possano mettere in campo procedu-re concorsuali allo scopo di immet-tere nella scuola un certo numero di giovani laureati per impedire che la “meglio gioventù” se ne vada. Privilegiare il passato rispetto al futuro - sottolinea Gianpiero Dalla Zuanna (Corriere della Sera del 6 novembre 2010)- comporta che “Il 95% degli studenti diplomati nel 2010 nella classe scientifica della Scuola Galileiana (la “cremè” dei laureati dell’Università di Padova) proseguirà la carriera fuori dai confini nazionali”.

una chance concorsuale per i giovani laureati

E’ paradossale che non si agisca sulla leva concorsuale per aprire il sistema scuola ai giovani laurea-ti che come sottolinea il Ministro Gelmini (Il Messaggero dell’11

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Politica scolastica

settembre 2010, n. 249, pubblica-to nella G.U. del 31 gennaio 2011, che ha definito la disciplina dei requisiti e delle modalità della for-mazione iniziale degli insegnanti di tutto il sistema educativo e il decreto ministeriale 4 aprile 2011, n. 139 recante indicazioni per l’av-vio della laurea magistrale per i docenti della scuola dell’infanzia, della scuola primaria e della scuola secondaria di 1 grado, assicura una risposta che troverà attuazione nel lungo periodo. I docenti che segui-ranno i nuovi percorsi conclude-ranno il loro ciclo formativo in 5/6 anni, tempo non sufficiente per far fronte alle necessità del presente e del prossimo futuro.

Ci ritroveremo una scuola più povera, in affanno rispetto agli insegnamenti tecnici e scientifici per i quali le graduatorie esaurite o virtualmente esaurite già corri-spondono a poco più del 4% del to-tale delle graduatorie. Il fenomeno acquista una consistenza rilevante, circa il 6,8% del totale, per le gra-duatorie “in via di esaurimento”. Questo sta a significare che per l’anno scolastico 2013/2014 nelle relative graduatorie non vi saranno aspiranti all’insegnamento. Altro dato significativo è quello riferi-to alla classe di concorso scienze matematiche, chimiche, fisiche e naturali per la scuola media (A059) la cui graduatoria provinciale degli aspiranti già “virtualmente esauri-ta” a Torino, in via di esaurimento a Roma, Milano, Brescia e Berga-mo nel giro del prossimo biennio potrebbe esaurirsi in 65 province. Questo quadro chiama ancora di più la responsabilità del Governo a guardare oltre: trasferire a livel-lo locale il potere di programma-zione, come richiesto dal Titolo V della Costituzione, assumere la de-cisione di indire a livello regionale/provinciale rigorosi concorsi. Solo così si consentirà anche ai giovani, capaci e preparati di essere assunti nella scuola e di concorrere allo sviluppo del sistema educativo.

abilitati ce ne sono tanti che lavo-rano da anni, che hanno maturato l’aspettativa almeno di una ses-sione concorsuale. Già oggi nella scuola oltre il 20% dei docenti, che corrisponde alla totalità dei sup-plenti neo-laureati, sono costretti a vivere una lunga stagione di pre-cariato. Sono decine di migliaia le persone che sono assunte e “licen-ziate” puntualmente ogni anno.

Se a questa grossa fetta di preca-riato fosse offerta la possibilità di accesso in ruolo mediante concor-so ci sarebbe meno scontento nella scuola e un terreno più favorevole per introdurre criteri meritocrati-ci. La strategia di stabilizzazione del precariato, che non penalizzi completamente i giovani laure-ati, deve trovare un giusto com-promesso tra l’esaurimento delle graduatorie e la partecipazione al concorso dei neo-laureati che co-stituiscono la categoria dei “soli” e “abbandonati”.

Il recente regolamento del 10

aprile 2011) sono “ circa 300mila … privi di abilitazione ed iscrit-ti nelle graduatorie d’istituto che hanno svolto occasionalmente qualche decina di ore di supplen-za”. Qualche tentativo è stato fatto da qualche partito d’opposizione, ma la maggioranza politica e le or-ganizzazioni sindacali sono trop-po attente a gestire lo scorrimento delle graduatorie per occuparsi dei giovani laureati. A ciò si aggiun-ge l’assenza di una gestione am-ministrativa capace di muoversi con concretezza e di porre fine a abitudini gestionali che hanno im-pedito il rinnovo ordinario delle procedure concorsuali di recluta-mento del personale docente che sono inspiegabilmente bloccate. Sono più di dieci anni, infatti, che non viene bandito un concorso a cattedre. Gli interventi di politica scolastica non possono non essere strettamente correlati alle politiche del personale docente in termini di reclutamento. Tra i docenti non

La questione giovanile nelle parole di MoroPietro Panzarino, giornali-

sta, acuto osservatore politico, dirigente scolastico con il libro L’eredità di Aldo Moro. Pensiero e azione di un uomo libero (1976-78), editore Marsilio prosegue, avva-lendosi anche di interviste a co-loro che furono protagonisti degli Anni Settanta, l’analisi dell’iter politico di quello che fu il più bril-lante e innovativo leader della se-conda parte del secolo scorso. La fatica di Pietro Panzarino aiuta a cogliere gli sforzi di un uomo che ha vissuto la solitudine e l’incom-prensione che spesso accompagna chi è capace di guardare oltre il presente. L’autore ha investigato l’influenza del pensiero politico di Moro sul mondo dell’istruzione di cui ebbe la responsabilità politica

nel biennio 1957/58. Moro scelse sempre un ruolo difficile, anche dopo le gravi tensioni nate ed ali-mentate nelle università nei mesi di febbraio e marzo 1977. uomo problematico che sul “Il Giorno” del 25 ottobre 1977, riferendosi all’università, denunciava “studi di massa, ma con scarsa parte-cipazione”, e l’urgenza di porvi rimedio. Moro partiva dalla constatazio-ne - sottolinea Panzarino- “ che l’università era diventata uno dei nodi principali del momento per un groviglio di ragioni politiche ed economiche oltre che sociali derivanti dal problema angoscio-so della disoccupazione giovanile, la quale riguarda in misura molto elevata laureati e diplomati”. una questione che conserva ancora una drammatica attualità.

L’eredità di Aldo Moro

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Politica scolastica

L’articolo 4 della legge 240 del dicembre 2010 ha isti-tuito il fondo per il merito,

finalizzato a promuovere l’eccel-lenza e il merito fra gli studenti universitari dei corsi di laurea e laurea magistrale. Prove nazionali standard per gli iscritti al primo anno e criteri nazionali per gli iscritti agli anni successivi do-vranno individuare i meritevoli.

Il fondo è destinato a concedere premi di studio anche per svol-gere esperienze formative pres-so università o centri di ricerca esteri; porre a disposizione buoni studio con una quota, determina-ta in base ai risultati consegui-ti, da restituire dopo il termine degli studi, con una tempistica

calibrata al reddito che si perce-pirà. Gli studenti che abbiano ot-tenuto la laurea entro i termini previsti per il loro corso e con il massimo dei voti saranno esclusi, nei limiti delle risorse disponibili, da questo obbligo.

Il fondo garantisce i finanzia-menti concessi e i suoi interventi possono cumularsi con le borse di studio assegnate per il diritto allo studio.

Il Ministro, di concerto con quello dell’economia e finanza, e sentita la Conferenza Stato-Regioni, disciplinerà i criteri e le modalità di attuazione della

norma. L’articolo specificava, poi, una serie di indicazioni da regola-re con gli atti successivi: i criteri di accesso alle prove; le modalità di attribuzione dei premi e dei buoni; la restituzione graduale in base al reddito percepito; le caratteristiche e l’ammontare di premi e buoni, i requisiti di me-rito da rispettare nel corso degli studi per mantenere il diritto alla concessione.

Anche l’utilizzo del fondo e la ripartizione delle risorse tra i premi e i buoni di studio erano oggetto di decisioni ministeria-li. Ulteriori decreti ministeriali avrebbero disciplinato anche le caratteristiche dei finanziamenti, con un contributo a carico degli

uNIVERSITàdal Fondo alla Fondazione

per il Merito di Fabio Matarazzo

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Politica scolastica

allo stato attuale, istituisce, ora, la “Fondazione per il Merito”.

La sua finalità è la realizzazio-ne degli obiettivi del Fondo, che abbiamo visto, e “promuovere la cultura del merito e della qualità degli apprendimenti nel sistema scolastico e nel sistema universi-tario. Per il raggiungimento dei

comitato consultivo con rappre-sentanti dei Ministeri, dei dona-tori e degli studenti.

Su questo impianto normativo sopravviene, ora, l’articolo 9 del recente decreto legge con le “pri-me disposizioni urgenti per l’eco-nomia per il semestre europeo,” che, secondo il testo disponibile

istituti concedenti pari all’1 per cento delle somme erogate e allo 0,1 delle rate rimborsate. Erano previste, a cura del Ministero, iniziative di informazione e di assistenza a studenti e università per le modalità di accesso agli interventi. Era assicurato, infi-ne, il monitoraggio del fondo e disciplinata la selezione degli istituti finanziari che metteran-no a disposizione le provviste finanziarie.

Ad un ulteriore decreto mini-steriale, concertato anch’esso con l’Economia, era assegnato il com-pito di determinare le modalità delle prove nazionali e il contri-buto richiesto agli studenti per partecipare alle prove, esentando gli studenti privi di mezzi.

Il fondo, gestito, secondo la leg-ge 240, dal Ministero dell’Istru-z ione, d’accordo con quel lo dell’Economia e delle finanze, è alimentato da “versamenti ef-fettuati a titolo spontaneo e so-lidale da privati, società, enti e fondazioni, anche vincolati, nel rispetto delle finalità del fondo, a specifici usi”.

I trasferimenti pubblici sono finalizzati a erogare esclusiva-mente i premi di studio mentre i corrispettivi per la garanzia dello Stato, determinati dal Ministero dell’economia e delle finanze, e depositati su un apposito fondo aperto presso la Tesoreria stata-le, possono essere utilizzati sol-tanto per questo scopo. Infine, i contributi a carico degli istituti concedenti e quelli richiesti agli studenti per partecipare alle pro-ve, sostengono gli oneri di gestio-ne e le spese di funzionamento del fondo.

Il concorso dei privati è pro-mosso dal Ministero, sempre di concerto con l’Economia, anche con apposite convenzioni. Un de-creto determinerà le modalità con le quali i donatori potranno con-correre allo sviluppo del fondo, anche costituendo, se del caso, un

C’è un aspetto della situazione universitaria che raramente viene affrontato, forse è rite-

nuto quasi un lusso evocarlo rispetto ai gravi problemi degli atenei italiani, tuttavia la questione c’è in un mondo sempre più globale, grazie alle nuove frontiere delle tecnologie, della comu-nicazione, dell’economia. E’ il tema della presenza degli studenti stra-nieri, sulla quale l’Italia arranca. Lo dice con chiarezza una ricerca dell’As-sociazione Vision, un laboratorio cul-turale di pensiero e studi su diversi campi della società. La Francia e la Germania hanno quasi quattro volte il numero di studenti stranieri dell’Ita-lia, che nel nostro Paese sono pari, fra l’altro, al numero degli studenti italia-ni all’estero. Inoltre, la grande mag-gioranza degli studenti stranieri, da noi, sono studenti immigrati: non han-no scelto il nostro Paese per studiare e fare ricerca, ma come i loro coetanei

italiani si sono semplicemente iscritti nell’ateneo vicino a casa. Quello che manca nella mentalità della nostra classe dirigente è sostan-zialmente quella mobilità in entrata e in uscita, ritenuta oggi necessaria per far crescere le opportunità della ricerca, della formazione, e alla fine dell’aumento dello stesso prodotto in-terno lordo. La mobilità, anche nelle relazioni industriali, è vista spesso ancora più come inevitabile necessità imposta dal mercato, che come un’esi-genza per affrontare la competizione, come una via da sostenere, incorag-giare e governare per obiettivi di svi-luppo integrale di una comunità, come delle persone. Tuttavia nel mare del sapere universi-tario eccellenze ci sono. Vision (sotto la guida realmente internazionale di Francesco Grillo capace di comunica-re i suoi studi in mezzo mondo), ha ela-borato una classifica delle università italiane più internazionali, sulla base di sette indicatori: il numero degli stu-denti internazionali; gli studenti in

Per una università internazionaledi Piero Damosso

I l c h i o s t r o dell’Università Cattolica di Mi-lano

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Politica scolastica

concerto tra i due ministeri e di-sciplina, sostanzialmente, quanto già previsto dall’articolo 4 della legge: la partecipazione di altri enti pubblici e privati e le modali-tà con cui questi soggetti possono partecipare finanziariamente allo sviluppo del fondo; l’istituzione e il funzionamento del comitato

la gestione del Fondo sulla base di un’apposita convenzione stipu-lata con i ministeri vigilanti e con oneri a carico del Fondo stesso.

I Ministeri dell’Istruzione e dell’Economia sono membri fon-datori della fondazione e, allo stesso tempo, ne vigilano l’atti-vità. Lo statuto è approvato di

propri scopi la Fondazione in-staura rapporti con omologhi enti e organismi in Italia e all’este-ro. Può altresì svolgere funzio-ni connesse con l’attuazione di programmi operativi cofinanziati dai Fondi strutturali dell’Unione europea”.

Alla Fondazione è ora affidata

uscita e quelli in entrata; i docenti in uscita; il numero (rispetto al totale) de-gli studenti provenienti dalle quattro principali economie emergenti (Brasi-le, India, Cina e Russia), dalle quattro principali economie europee (Inghil-terra, Francia, Germania, Spagna) e dagli Stati uniti; diversità culturale (il numero di studenti internazionali che non appartengono alle tre nazionalità non italiane maggiormente rappre-sentate nell’ateneo); la crescita degli studenti internazionali. Al primo posto troviamo l’università Bocconi, di Milano, seguita dall’uni-versità per stranieri di Perugia, dall’università di Siena, dal Politec-nico di Torino e l’università Carlo Cat-taneo-Liuc. Le università del Sud sono molto lontane dal vertice di questa classifica: la prima è quella del San-nio, al 19esimo posto. Sono posizionati meglio – commenta Francesco Grillo – gli atenei piccoli e specializzati, rispetto alle università grandi e generaliste. In cima alla lista, al sesto posto, l’uni-versità di Bolzano, che offre corsi in tre lingue (italiano, inglese e tedesco) e precede la Lumsa, e la Luiss, di Ro-ma, il Politecnico di Milano, l’universi-tà “Foro Italico”, di Roma, e quella di Trento. Subito dopo, lo Iulm di Milano, la Luspio, l’università di Bologna, la

Iuav di Venezia, il Campus Bio-Medico di Roma, L’università Cattolica del Sacro Cuore, la Sapienza di Roma, del Sannio abbiamo già detto, a seguire Firenze, Ca’ Foscari di Venezia, Sas-sari, udine, la Carlo Bo di urbino, Ge-nova, Perugia, Verona, Valle d’Aosta, L’orientale di Napoli e l’università di Trieste. Le università più internazionali in Ita-lia sono collocate al Nord. Solo 6 su 76 delle università considerate contano un numero di studenti internazionali superiore al 7 per cento. Il 58 per cen-to degli atenei italiani ha un numero di studenti stranieri inferiore al 4 per cento e il 43, 2 per cento inferiore al 2 per cento. Tuttavia, come documenta Vision, recentemente l’internaziona-lizzazione del sistema è cresciuta. Ma questa “penetrazione” è limitata peraltro ancora a poche università: i due Politecnici, di Torino e Milano, l’università degli stranieri di Perugia, la Bocconi, che hanno intrapreso con successo un’azione di attrazione. Francesco Grillo illustra anche le pro-poste del suo think-thank:

rendere le università già in grado 1. di internazionalizzarsi più libere di crescere e capaci di essere punto di riferimento per l’internazionalizza-zione delle altre università;inserire tra i parametri che i 2.

sistemi di valutazione nazionale considerano per l’assegnazione di incentivi anche quelli specifici all’internazionalizzazione;favorire lo sviluppo di soggetti che 3. si occupino del marketing del siste-ma universitario italianoutilizzare la comunità di studenti 4. e di ricercatori italiani presso le migliori università internazionali come leva di promozione attraverso lo sviluppo di specifici progetti;intervenire sul sistema dei visti in 5. modo da creare canali differenziati per la loro concessione a persone di elevata qualificazione;farsi portavoce in sede europea di 6. proposte (come quella della parte-cipazione obbligatoria al Progetto Erasmus) che incrementino la mobi-lità degli studenti;proporre ai talenti italiani e stra-7. nieri l’opportunità di impegno per l’Italia e in Italia che integrino la prospettiva di recenti leggi e dise-gni di legge puntando non solo e non tanto al ritorno ma a periodi di scambio, e qualificando gli ambiti di attrazione, ad esempio in mate-ria di agevolazioni fiscali.

Di tutto questo, una parola almeno sull’Erasmus obbligatorio. E’ una proposta giusta e seria, che prepara gli studenti ad una formazione mo-derna, radicata nell’oggi e non in an-tiche pratiche di studio. Ma accanto all’Erasmus, occorrerebbe potenziare anche la parte dell’educazione al sa-per vivere insieme, valorizzando con adeguati crediti anche le attività di volontariato e di dialogo inter-cultu-rale e religioso.

Uno scorcio dell’Università di Genova

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Politica scolastica

incrementato con ulteriori risorse statali o di altri soggetti pubblici e privati. La Fondazione potrà anche accedere ai fondi del Programma Operativo Nazionale “Ricerca e Competitività Fesr 2007/2013” e di altri programmi cofinanziati da Fondi strutturali europei. Potrà ricevere in comodato beni immo-bili facenti parte del demanio e del patrimonio indisponibile dello Stato.

Alla Fondazione è assicurata una dotazione finanziaria di 1 milione di euro; per i suoi compiti è autorizzata la spesa di 9 milioni per l’anno 2011 e 1 milione per ciascuno degli anni seguenti.

Il Decreto legge, coerentemente con quanto abbiamo visto fino-ra, abroga le norme della 240 che assegnavano al Ministero i com-piti devoluti alla Fondazione. In sostanza, a distanza di tre mesi, si è ritenuto opportuno creare un nuovo ente per svolgere le fun-zioni prima ritenute di concertata competenza e responsabilità mi-nisteriale. Sarebbe opportuno e interessante conoscere i motivi di questa così repentina e improvvi-sa decisione.

C’è effettiva necessità, è da chiedersi, di un nuovo ente con organi, personale e oneri connes-si, che sottraggono risorse a pre-mi e buoni di studio per studenti meritevoli? Si vuole, in tal modo, enfatizzare il nuovo istituto e as-sicurare per esso responsabilità e fluidità di gestione più e meglio di quanto sia possibile con gli appa-rati ministeriali? E’ possibile e ce lo auguriamo.

Non vorremmo infat ti regi-strare, al contrario, un ennesimo episodio di contraddizione tra i proclamati intenti di semplificare, ridurre, razionalizzare, sopprime-re enti e strutture, costose e ridon-danti, e poi, per questa o quella evenienza, sempre in grado di of-frirne una qualche giustificazione, procedere ad una loro rinnovata quanto inutile proliferazione.

incisiva e politicamente di rilievo, è, da quest’ultima, ulteriormente assegnata alle istituzioni del siste-ma nazionale di valutazione.

Ma, a loro volta, questi organi-smi sono oggetto, ai sensi dell’art. 2, comma 4 – undevicies della legge 26 febbraio 2011, n. 10, di conversione del D.L. 29 dicembre 2010, n. 225, di un regolamento, da emanare entro sessanta giorni da quella legge, che individui il sistema nazionale di valutazio-ne definendo il suo apparato, che comunque si compone: dell’Istitu-to nazionale di documentazione, innovazione e ricerca educativa; dell’Istituto nazionale per la valu-tazione del sistema di istruzione e formazione; del corpo ispettivo, autonomo e indipendente.

In ogni caso è escluso qualsiasi ruolo delle Università e dei loro organismi di valutazione, a tutti

i livelli! I l p a t r i -

mon io de l l a Fondaz ione può essere costituito

da appor t i dei M i n i s t e r i

fondatori e

consultivo che abbiamo visto so-pra, il contributo richiesto per la partecipazione alle prove. Insom-ma, la Fondazione, sulla base di un’apposita convenzione, surroga le funzioni che la legge ha deman-dato alla competenza ministeriale che sono, invece, affidate all’ or-gano deliberante della fondazio-ne. Il Ministero dell’Istruzione conserva il potere di approvazio-ne degli atti deliberati, con la for-mula del silenzio-assenso entro trenta giorni dalla trasmissione. Gli organi della Fondazione deb-bono conformarsi alle direttive e ai decreti ministeriali.

Anche il coordinamento opera-tivo della somministrazione del-le prove nazionali, già previsto per il Ministero, viene affidato alla Fondazione. La realizza-zione di questo compi-to , e s sen z ia le e determinante per il buon esito di un’innovazione tanto

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Politica scolastica

Il sistema educativo italiano, elevando il diritto-dovere a 18 anni di età o perlomeno fino al

raggiungimento di una qualifica professionale, ha definito un’offer-ta formativa pluralista e nel con-tempo equivalente. Il pluralismo mira ad interpretare maggiormente le esigenze dei giovani e delle loro famiglie, evitando di perseguire la strada del percorso unico, così come era accaduto con la legge del 1962 che ha creato la scuola media unificando i percorsi preesistenti. L’equivalenza formativa afferma che è possibile perseguire le stese competenze, pur incamminandosi

su percorsi differenti. In questo modo, assume parti-

colare importanza il canale pro-fessionalizzante, che consente ai giovani di acquisire nel contempo una cultura della cittadinanza di impronta europea. In tal modo, in un quadro di responsabilità delle regioni e province autonome, il si-stema si arricchisce di tre elementi di grande rilevanza:- il percorso di istruzione e forma-

zione professionale acquisisce una struttura verticale passando

dalla qualifica triennale al di-ploma quadriennale fino alla specializzazione tecnica supe-riore (IFTS);

- il percorso di istruzione acqui-sisce il livello terziario tramite l’istituto tecnico superiore;

- sono possibili i passaggi da ogni punto all’altro del sistema: in particolare è previsto un quinto anno integrativo per i diplomati professionali quadriennali così a consentire loro di iscriversi agli esami per poter acquisire il di-ploma di Stato, mentre è consen-tito transitare in ogni momento dai percorsi dell’istruzione a

L’ISTRuZIoNE E FoRMAZIoNE

PRoFESSIoNALE È uN SISTEMA

La responsabilità delle regionidi Dario Nicoli

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Politica scolastica

quelli del’istruzione e formazio-ne professionale.

Se la IFP entra a pieno titolo nell’ambito del sistema educati-vo di istruzione e formazione, ciò non avviene tramite un pro-cesso di assimilazione all’istru-zione scolastica, bensì con un approccio metodologico peculia-re che presuppone il pieno coin-volgimento della comunità nel compito educativo e formativo ed il superamento dei curricoli formali per optare decisamente per una pedagogia del reale. Ta-le approccio formativo si orienta alla formazione efficace basa-ta sulle seguenti caratteristiche fondamentali:

- centralità della cultura del lavo-ro, e specificamente degli assi culturali specifici delle diverse famiglie professionali, quale ri-ferimento del patto formativo e lavorativo dei soggetti coinvolti e quale elemento che sostiene percorsi formativi, educativi e culturali in grado di permettere l’accesso agli studi universitari e/o l’inserimento professionale ai livelli più elevati;

- riferimento dei processi forma-tivi alla competenza intesa co-me caratteristica della persona, mediante la quale essa è in gra-do di affrontare efficacemente un’area di problemi connessi ad un particolare ruolo o funzio-ne entro un contesto professio-nale ed organizzativo di natura qualificante;

- rilevanza del linguaggio come strumento di mediazione in grado di consentire il passag-gio dal livello dell’esperienza alla riflessione sull’agire così da giungere al pieno possesso di un sapere personale, strutturato ed organico;

- strategia dell’alternanza formati-va che consente – in riferimento al singolo allievo - di realizzare un percorso formativo coeren-te e compiuto nel quale si inte-grano reciprocamente attività

formative di aula, di laboratorio ed esperienze svolte nella con-creta realtà dell’organizzazio-ne di lavoro e di impresa, rese possibili da un’alleanza fondata su un comune patto formativo e lavorativo;

- rilevanza dei laboratori intesi come “situazioni di apprendi-mento” nei quali si sviluppa un processo formativo circolare tra teoria e prassi, basato sulla di-dattica dei compiti, riferito ad un profilo attivo e responsabi-le dei destinatari, centrato su un processo di apprendimento per scoperta e per soluzione di problemi;

- enfasi sui prodotti reali (sotto forma di elaborati, testi, proce-dure, metodologie, strumenti, ma anche rappresentazioni) in

quanto oggetti realizzati dagli allievi che evidenziano in modo personale la loro padronanza che si evidenzia nel saper mobilitare le risorse a loro disposizione in modo pertinente ed efficace, ba-se di una valutazione autentica;

- personalizzazione dei percor-si, che sono definiti in modo da mettere in luce e quindi in valore i talenti di cui ciascuno è porta-tore così da trasformarli in com-petenze attraverso esperienze di apprendimento opportunamente calibrate (gruppo classe, gruppo di livello, gruppo di scopo, at-tività di stage/tirocinio, attività individuale…).Due sono gli organismi che pos-

sono erogare l’offerta formativa IFP, a partire da una prospettiva differente:

le 1. istituzioni formative accre-ditate, composte per la gran parte da enti di formazione professionale che possiedono i requisiti previsti dai livelli essenziali delle prestazioni, e che agiscono in via prioritaria ovvero sistematica;gli 2. istituti professionali che possono fornire percorsi di qualif ica IFP in regime di sussidiarietà sulla base di convenzioni con le regioni e province autonome.

L’offerta di IFP erogata dagli enti di formazione accreditati co-stituisce un livello essenziale del-le prestazioni ovvero un diritto dei cittadini minori e delle loro famiglie ed un dovere della Re-pubblica in tutte le sue articola-zioni, in questo caso le regioni e le province autonome. Di conse-guenza, le istituzioni formative accreditate hanno diritto a svolge-re percorsi tri-quadriennali; la ne-gazione di tale diritto – così come avviene ancora in talune regioni, sia parzialmente che totalmente – rappresenta un comportamento contrastante con principi costitu-zionali di sussidiarietà, diritto di istruzione, di libertà di scelta, di

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Politica scolastica

programmazione e di intervento.La realizzazione di una compo-

nente rilevante del sistema edu-cativo, l’Istruzione e formazione professionale, non può essere infatti affrontata come accade-va nel passato per la Formazione professionale: quest’ultima, per la parte rivolta ai minori, era fuori dall’obbligo di istruzione e co-stituiva pertanto un’offerta per certi versi meno vincolante. L’IFP rappresenta invece una responsa-bilità istituzionale di alto profilo, essendo collegata ai diritti costi-tuzionali di cittadinanza.

Ciò significa che le regioni e le province autonome non possono condizionare gli interventi in ri-ferimento alle risorse finanziarie, visto che sono titolari di propri bilanci ed hanno l’obbligo di so-stenere in modo appropriato e con le necessarie garanzie gli inter-venti che si riferiscono ai diritti fondamentali del cittadino.

Inoltre, occorre che esse assu-mano una responsabilità nazio-nale, evitando di continuare in comportamenti particolaristici così come avviene oggi in tema di standard, modelli formativi, soggetti erogatori, accreditamen-to, organizzazione e rendiconta-zione: ad oggi, non si è ancora registrato un deciso abbandono della sindrome del micro-stato che colpisce un po’ tutti, qualsiasi sia il loro colore politico. I cit-tadini non possono incontrare, a fronte di diritti costituzionalmen-te garantiti, risposte differenti a seconda della mappa dei confini locali.

Infine, le regioni e le province autonome debbono dimostrare di gestire questa porzione rilevante del sistema partendo da una pro-spettiva educativa, che ha a cuore il benessere dei giovani e quindi della società, evitando pertanto di farsi guidare da visioni politico-ideo-logiche che risultano in ogni caso incongrue con la natura educativa delle attività da realizzare.

organizzativa, logistica) di svol-gere i percorsi IFP secondo i LEP nazionali e le indicazioni regiona-li; inoltre vi deve essere una deli-bera del Collegio dei docenti e del Consiglio di Istituto che espliciti e sostenga tale volontà. È ragio-nevole pensare che il processo di analisi delle aree di scopertura sia replicato periodicamente (due-tre anni) e che quindi si svolga un monitoraggio puntuale per rile-vare i dati di realtà che possono divergere da quelli previsionali.

A questo punto, si delinea la de-cisiva responsabilità delle regioni e province autonome nella costru-zione di un sistema di istruzione e formazione professionale coeren-te con la nuova normativa.

Cinque sono i livelli di tale responsabilità:- Adeguamento della normativa

regionale: legge, indicazioni e linea guida

- Acquisizione (non ambigua) de-gli standard nazionali

- Messa in azione dell’offerta for-mativa integrale

- Elaborazione delle mete di qua-lità del sistema

- Realizzazione di un governo del sistema.Con questo cambiamento nor-

mativo e culturale, le regioni e le province autonome assumono una responsabilità importante, ri-spetto alla quale debbono poter dimostrare la propria capacità di

libertà di educazione, di autono-mia delle istituzioni formative.

Il carattere istituzionale del si-stema IFP porta con sé l’obbligo di offerta formativa che non può essere incerta, aleatoria; inoltre non sono plausibili, come giusti-ficazione di tale comportamen-to, argomenti politico-ideologici trattandosi di una componente es-senziale del sistema e quindi di un diritto primario dei cittadini. Tutte le regioni sono chiamate ad una prova di maturità democrati-ca: dare vita ad una rete stabile e qualificata di istituzioni formative in grado di fornire ai giovani una valida alternativa a percorsi di stu-dio non professionalizzanti.

Ma questo obiettivo non si può perseguire senza il coinvolgimen-to degli istituti professionali che perseguono giustamente la possi-bilità di fornire ai giovani un ti-tolo di qualifica, senza la quale perderebbero la loro peculiarità. Tale possibilità è resa difficile sul piano ordinario, vista la scelta del legge 40/2007 di collocare l’istru-zione professionale nell’ambito del sottosistema dell’istruzione. Ciò comporta, tenuto conto dell’arti-colo 117 della Costituzione che attribuisce alle regioni e provincie autonome la competenza esclusiva in materia di percorsi professiona-lizzanti, che i nuovi istituti profes-sionali possono svolgere percorsi triennali miranti alla qualifica di istruzione e formazione professio-nale, solo in funzione sussidiaria nell’ambito delle norme regionali.

I percorsi gestiti dagli IP seguo-no il regime della sussidiarietà, ov-vero intervengono là dove l’offerta formativa ordinaria delle strutture formative accreditate sia carente. Occorre quindi che la Regione – e le Province se delegate – accerti l’ “area di scopertura” (figure pro-fessionali, territori) e coinvolga gli IP in riferimento a ciò. Gli IP deb-bono però essere preventivamente accreditati in modo che si accer-ti la loro capacità (metodologica,

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30 TuTToSCuoLA n. 513

Politica scolastica

In questi mesi le università so-no alle prese con la revisione dei loro statuti, allo scopo di

adeguarli al quadro legislativo definito con la legge approvata qualche giorno prima dello scorso Natale. Si direbbe che il criterio di gran lunga dominante in tali ope-razioni sia quello definito in un

modo che più chiaro non sarebbe potuto essere da Tomasi di Lampedusa, quando fa dire al Principe di Salina che tutto do-veva cambiare perché tutto restasse come prima. Semmai, in questo caso si tratta di stabilire quale sia

il prima che si vuole recuperare: la mia impressione - che fa rife-rimento ad oltre quarant’anni di esperienza universitaria - è che si stia cogliendo l’occasione per ripristinare l’assetto che precede-va il 1980, quando fu introdotta la distinzione tra strutture per la ricerca (I dipartimenti) e per la didattica (le facoltà). Ora le fa-coltà sono nominalmente abolite, ma tornano ridenominate diparti-menti, assommando alle funzioni didattiche che erano loro proprie quelle connesse allo sviluppo della ricerca scientifica.

Quello di riscrivere gli statuti riprendendo un heri dicebamus interrotto oltre trent’anni fa non è il solo impegno che assorbe oggi le energie (si fa per dire) del mon-do accademico. Alla fine dello scorso mese di febbraio sono state infatti emanate nuove norme per la formazione degli insegnanti.

Le Facoltà di Scienze della For-mazione hanno subito avviato un intenso lavorio per trasformare i precedenti corsi quadriennali in Scienze della Formazione prima-ria in corsi quinquennali. Non vo-glio negare che in qualche caso si sia posto il problema di defi-nire il profilo degli insegnanti in funzione di un progetto che non si esaurisca nella conformità ai requisiti indicati in una tabella, ma non mi sembra che un cam-biamento che può contribuire in misura rilevante a modificare il quadro culturale dell’istruzione di base (e, in prospettiva, quello della popolazione) abbia dato luogo ad un particolare fervore progettuale. I nuovi corsi di laurea saranno fin troppo simili a quelli che li han-no preceduti, proponendo piani di studio nei quali si affastelleranno gli insegnamenti più vari, senza che in alcun settore sia possibile acquisire una conoscenza di livel-lo superiore, ovvero del livello che dovrebbe essere proprio degli stu-di universitari. I futuri insegnan-ti saranno dei generici in tutta la gamma delle discipline che dovrà costituire l’oggetto della futura attività professionale: studieran-no un po’ di letteratura, un po’ di storia, un po’ di matematica, un po’ di inglese e via elencando. La riserva mentale è, con ogni evi-denza, che per insegnare ai bam-bini non sia necessario saperne di più. Ma siamo proprio sicuri che sia così? Come non temere che un po’ di questo e un po’ di quello sia

solo un modo per coprire scelte regressive in termini sia culturali sia professionali? La cultura uni-versitaria ha senso se per essa può essere ipotizzato uno sviluppo al livello della ricerca, ma dubito (consentitemi un argomento per absurdum) che questa prospettiva sia tenuta in conto da chi sta ri-empiendo le caselle di quello che nel linguaggio conforme alle nuo-ve technicalities della governance accademica si definisce format. La speranza è che le astruserie linguistiche coprano la povertà di un progetto incapace di riferire le scelte a ipotesi di sviluppo della scuola.

Temo che il nodo della questione stia proprio in quest’ultima osser-vazione. Il profilo degli insegnanti ha assunto consistenza quando si poteva far riferimento ad un’idea di scuola capace di raffigurare una linea per lo sviluppo culturale del paese. All’indomani dell’Unità la cultura degli insegnanti era mo-desta e il loro percorso di studi del tutto casuale, ma l’idea che si dovesse costruire una scuola ca-pace di modificare il profilo del-la popolazione era generalmente condivisa. Oggi non sono certo i format a poter fornire una linea di sviluppo per l’educazione sco-lastica. Non solo. Sparare sul pia-nista (in questo caso le scuole) è diventata un’abitudine da parte di intellettuali, politici, imprenditori, in breve di buona parte di quanti sono incapaci di indicare obiet-tivi di sviluppo e condividono la responsabilità della crisi che ha investito il sistema educativo. C’è da chiedersi quale coerenza vi sia

di Benedetto Vertecchi

un profilo evanescente per insegnanti improbabili

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tra i clamori da oche del Campido-glio che accompagnano la pubbli-cazione dei dati delle rilevazioni internazionali dalle quali emer-ge la modestia dei risultati che si conseguono nel nostro sistema scolastico e l’indicazione di profili professionali nei quali nessuna del-le competenze che sono alla base di tali rilevazioni costituisce un ri-ferimento solido. Se consideriamo i risultati delle comparazioni Oc-se-Pisa, che ci vedono saldamente insediati nelle posizioni di coda, ci si dovrebbe preoccupare di miglio-rare la qualità dell’insegnamento per elevare i livelli di apprendi-mento relativi ad aspetti centrali del profilo culturale, come la capa-cità di comprensione della lettura, le competenze matematiche e quelle scientifi-che. Non c’è un eccesso di mi-nimalismo nel ritenere che con un po’ di questo e un po’ di quel-lo sia possibile porre a livello dell’educazione primaria (non si capisce per-ché insistano a chiamarla formazione) le premesse di una ripresa che ci consenta di risalire in più spirabil aere?

Non diversamente da quanto era previsto nell’ordinamento che sta per essere sostituito, alla tenuità della proposta culturale si affian-ca un insieme formidabile di di-scipline professionali. Si direbbe che nelle nostre università esisto-no enormi riserve inesplorate di cultura educativa, che è sufficien-te mobilitare per fornire ai futuri insegnanti il sapere di cui hanno bisogno. Eppure nessuno può aver avuto l’impressione di un fervore di ricerca dal quale sia derivata una conoscenza capace di inter-pretare le nuove esigenze dell’edu-cazione, sia piano dei modelli come

su quello delle pratiche didattiche. C’è da chiedersi come sia possibile prevedere una tale abbondanza di insegnamenti professionali pre-scindendo da un’accumulazione di conoscenze originali filtrate at-traverso la critica rigorosa della comunità scientifica. Ma c’è anche da chiedersi se sia l’università la sede più appropriata per acqui-sire le competenze operative che occorre possedere per svolgere la professione di insegnante.

Quando si discuteva sull’istitu-zione del corso di laurea in Scienze della Formazione primaria si tro-varono contrapposti due orienta-menti: quello che poi ha prevalso, consistente nell’istituire un corso

autosufficiente, in cui fosse rappresen-tano, anche se in modo filifor-me, tutto il ne-cessario ed uno che supponeva u na scelt a d i settore (lettera-rio, scientifico, linguistico ec-cetera) capace di porre solide pre-messe culturali, da integrare con i nseg nament i

destinati a porre le premesse per interpretare i fenomeni educativi e sviluppare la conoscenza delle pra-tiche che ad essi si riferiscono. In questo secondo caso, l’avviamento alla professione sarebbe avvenu-to tramite un congruo periodo di tirocinio nelle scuole, successivo alla conclusione del percorso ac-cademico. Continuo a credere che questa soluzione sarebbe stata pre-feribile: le scuole avrebbero potuto disporre di insegnanti forniti di una cultura più solida. E gli inse-gnanti sarebbero stati meno espo-sti allo sconquasso che consegue a provvedimenti troppo spesso ani-mati da considerazioni nelle quali i problemi dell’educazione sono solo marginali.

Il CENAF realizza master rivolti a professionisti che lavorano nell’isti-tuzione scolastica e che intendono approfondire la loro competenza teo-rico-tecnica, in modo da poter attua-re interventi tesi alla prevenzione del disagio e alla promozione dello stato di salute e benessere dell’istituzione, a seconda delle specifi che esigenze. La metodologia didattica è caratteriz-zata da un approccio interattivo, con esercitazioni, roleplaying, case-study, lavori di gruppi.

MASTER SUI DISTURBI SPECIFICI DELL’APPRENDIMENTO

Sedi: Milano e Roma

Edizione novembre 2011 - Borse di studio

OPERATIVO-PRATICO Strumenti e tecniche per la prevenzione, la

diagnosi e l’intervento sui Disturbi Specifi ci

dell’Apprendimento:

- La batteria di test specifi ca per i D.S.A.

- L’intervento: con i bambini, con gli

insegnanti, con i genitori

Uffi cialmente Riconosciuto dal CEDA (Centro

Europeo Disturbi dell’Apprendimento),

patrocinato dal Mo.P.I. (Movimento Psicologi

Indipendenti).

Tirocinio in esclusiva, Supervisione

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32 TuTToSCuoLA n. 513

Politica scolastica

SE DOVESSI progettare un corso di formazione senza oc-cuparmi di finalità e obiettivi,

a distanza anche dai guai di tut-ti i giorni, lo chiamerei Apothén. In greco antico: “da lontano”. La distanza serve a interrogarsi su persone e cose. Anche a scuola do-

vremmo fare come l’artista che si distac-ca dall’opera in corso per g i u d i c a r l a da lontano. A f ine an-n i novant a ce l’han no r i c o r d a t o

Emilio Tadini, con un saggio for-tunato, “La distanza”, e Carlo Ginsburg, con “Occhiacci di le-gno”. Lo sguardo dell’altro su di noi, di fronte a noi. Fuori di noi. Come mastro Geppetto fabbricante di burattini, come Michelangelo davanti al Mosè, anche il prof o la prof a volte depongono gli arnesi di lavoro, prendono le prossemi-che distanze e con tono risentito domandano: “Perché mi guardate? Perché non parlate?”

Il target ideale di Apothén sa-rebbero quanti vedono un male travestito da bene in tutto ciò che

non sanno. Come motto del corso, evitando alzate d’ingegno tipo “Far sapere per saper fare”, sceglierei dei versi dall’Antigone di Sofocle, tradotti da Romagnoli: “Spesso il male sembra un bene / ad un uomo

FA

TE

Vo

BIS

Fate Vobis/8

Elogio della distanzaProssemica e formazione online

di Alessandro Dell’Aira

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Politica scolastica

a cui la mente / volse un Nume al-la rovina / e da rovina ben poco tempo / lontano resta”. Oppure un motto pop come: “Non è mai trop-po tardi”. Ma non potrei, l’ha già usato Alberto Manzi, il maestro tv adorato a distanza dagli analfabeti del boom economico italiano, e ne-gli anni ottanta privato pro tempore dello stipendio dopo un incontro ravvicinato con un ispettore. Il buon Manzi si rifiutava di compila-re le nuove schede di valutazione.

All’atto dell’iscrizione farei sconti alle coppie professionali ma-le assortite: la differenza di poten-ziale produce scariche di energia. Struttura del corso: tradizionale. Cento ore a distanza a casa propria, con alternanza in caso di coppie (in modo che i single provino croci e delizie dei proletari, e viceversa). Dieci ore in presenza, in ambienti di lavoro altrui, per indurre alla no-stalgia della scuola di appartenen-za. Diario obbligatorio, compilato a mano come in navigazione (quella vera) e senza copia e incolla.

I contatti con formatori e tuto-ri, durante le cento ore a distanza, avverrebbero via email, e fin qui niente di nuovo. Ma il numero di messaggi in arrivo e in partenza sarebbe contingentato. Chi non può fare a meno di sforare per manda-re catene di Sant’Antonio, allegati sullo scibile e l’indicibile umano,

o anche solo emoticon e faccette di ogni colore ed espressione, oppu-re orsetti che abbracciano l’aria e cuori che scoppiano, pagherà una tassa scalare anticipata. Saranno limitati anche gli accessi ai forum. Chi vuole a tutti i costi confrontar-si sull’ovvio, sempre con le stesse persone, usi il telefono.

All’inizio del corso gli iscritti dovrebbero inviare un’email a se stessi, giurando sul loro onore che scriveranno solo a destinatari, che non copieranno messaggi a nes-suno e non forwarderanno quelli avuti da altri. Di copie nascoste meglio non parlare: è un vizio im-mondo, bandito dalla posta elettro-nica certificata.

La distanza non è lontananza. La vera distanza è quella da mettere tra la brutta pratica di fare scempio di risorse a basso costo e la buona pra-tica di usare con giudizio il tempo proprio e altrui. L’obiettivo occulto del corso sarebbe l’educazione al rispetto del tempo come risorsa co-mune e al culto della distanza co-me spazio vitale interattivo tra un soggetto e l’altro. Il mondo di oggi è troppo affollato per raggiungere questo obiettivo in situazioni reali. Da una stanza all’altra della stessa casa, da un’aula all’altra della stessa scuola, la prossemica virtuale crea distanze terapeutiche tra persone che a contatto di gomito stentano

a capirsi. Usata a fini rieducativi, genera voglia di chiacchiere al bar.

Un male che sembra un bene. O no? Sofocle fece dire ad Aiace: ogni giorno che passa avvicina e allontana la morte. È un male o un bene l’astinenza da connessione? Una ricerca in ambito mondiale ha dimostrato che un giorno senza connessione ha esasperato. mille giovani cavie. Il giorno dopo un ragazzo ha dichiarato: “È stata una brutta sorpresa. Mi sono accorto dello stato di distrazione perma-nente in cui mi trovo”. E un altro: “Mi sentivo solo e depresso e mi sono messo a fissare il muro”.

La cosa è grave. O no? Non dite la vostra in rete. Prendete le distan-ze da voi stessi, datevi una risposta. A me è venuto in mente un bar di Pamplona con la tv accesa, l’8 lu-glio di tanti anni fa, festa di San Firmino. All’improvviso si scate-nò il finimondo nel vicolo al di là della porta aperta, sbarrata da una tavola come quella che nei negozi veneziani impedisce all’acqua alta di entrare. Davanti ai tori corre-vano in pochi. Sulla porta del bar non c’era nessuno. Gli anziani del quartiere, seduti in silenzio con i bicchieri di sangria, guardavano l’encierro nello schermo. In diretta. Era un male, era un bene? Chissà. Fate vobis. Forse era un modo per tenersi a distanza da tori e turisti.

FA

TE

Vo

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Speciale15

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La Costituzione della Repubblica italiana entrò in vigore solen-nemente intorno alle ore 11 del

1 gennaio 1948, quando fu procla-mata solennemente a Montecitorio a Camere riunite. Era allora presi-dente del Consiglio, per la IV volta dalla Liberazione, un grande stati-sta, Alcide De Gasperi, democratico cristiano, che alla Pubblica istru-zione invitò a restare il suo fedele ministro Guido Gonella. Gonella era alla Minerva già da quasi due anni, nell’intermezzo tra monarchia e repubblica, precisamente dal 13 luglio 1946. A pieno titolo lo si può

considerare il primo ministro della Pubblica istruzione dell’Italia re-pubblicana. Gonella, veronese, po-co più che quarantenne, cattolico a ventiquattro carati, devoto integrale ma non integralista, pacioso, schivo, lontano da ogni forma di esibizioni-smo, era giunto alla politica, da lui intesa come prolungamento della fede religiosa, attraverso il percorso degli studi giuridici, dell’università (fu docente di Filosofia del Dirit-to) e del giornalismo, professione

che esercitò con autentica passione e grande onestà e coraggio. Gior-nalista da quando aveva 23 anni (è rimasta famosa la sua rubrica Acta Diurna degli anni Trenta sull’Os-servatore romano), nel ’63 sarebbe stato il pri-mo presidente dell’Or-dine dei giornalisti.

Sotto “fuoco amico”

Era uno di quei gio-vani che la Chiesa aveva allevato in semiclandestinità, come Andreotti

150 anni di scuola nazionale

Io LI CoNoSCEVo BENEI ministri dell’Istruzione della Repubblica,

visti da vicino, molto vicinodi Nicola D’Amico

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35TuTToSCuoLA n. 513

Speciale 150 anni unità d’Italiae tanti altri. Quando fu chiamato per la prima volta al ministero del-la Pubblica istruzione, dirigeva Il Popolo, il quotidiano della Dc, con-tinuamente attaccato dalle sinistre come “reazionario e fascista”, di-mentiche che nel 1939 il poco più che trentenne Gonella era stato arrestato dai fascisti, liberato per l’energico intervento della Santa Sede, ma cacciato – per allora - dall’insegnamento. E aveva diretto Il Popolo anche nel periodo della clandestinità.

Anche il laico benedetto Croce era caduto nell’errore di avversare Gonella, tanto da affermare che

non avrebbe mai digerito “la ver-gogna di vedere un cattolico Mi-nistro della Pubblica Istruzione”. Ma aveva cambiato idea quando lo aveva visto all’opera. Si scusò con lui e il rapporto tra i due divenne da allora di stima reciproca. E, come se non bastasse, Gonella fu sottoposto anche al martellante “fuoco amico” dei gesuiti, che lo incalzarono sulla Civiltà Catto-lica senza risparmio di acrimo-nia. Gli dicevano (il prestigioso padre Giuseppe Valentini) che cosa “avrebbe dovuto fare”, su che

cosa “avrebbe dovuto vigilare”, lo esortavano a infischiarsi dell’arti-colo 33 della Costituzione (quello che garantiva la libertà di inse-gnamento, ma “senza oneri per lo Stato”), lo dicevano “inadeguato”.

Prime prove tecniche di scuola media unica

Certo, la sua politica scolastica non era ancora quella che la Re-pubblica poteva attendersi, dopo la fase della defascistizzazione, condotta spesso con rozzezza e semplicismo dai precedenti gover-ni di transizione. Anche al giovane cronista della “Libertà d’Italia”, il quotidiano dell’allora presidente della Camera, Giovanni Gronchi - che seguì per qualche tempo in trasferte e convegni - quel ministro collega e gentiluomo dalla faccio-na rotonda incorniciata da pochi capelli e da enormi occhiali di tartaruga appariva troppo attendi-sta. La stessa decantata “Inchiesta Gonella” sembrava un purgatorio, o magari una gravidanza che si protraeva troppo a lungo per non finire, come finì, in un aborto.

Allora chi si occupava di scuola (in genere giornalisti “sbarbati”, ma di buoni studi) era infervora-to dal sogno della “scuola media unica”, come la predicavano un giorno sì e l’altro pure il grande pedagogista cattolico Gesualdo nosengo e l’effervescente Gio-vanni Gozzer, (che sarebbe stato l’ideatore del CEDE, Centro Euro-peo dell’Educazione di Frascati). Non ci si rendeva conto del fat-to che Gonella non disponeva in Parlamento la “forza di fuoco” di cui avrebbe goduto Luigi Gui, con l’avvento del centrosinistra, nien-temeno che vent’anni dopo.

Andavamo tutti a via della Gensola

In quei vent’anni ci avrebbe pro-vato più di un ministro. Si erano succeduti alla Minerva (il mini-stero si era portato questo nome a Viale Trastevere dai tempi di Piazza della Minerva al Pantheon), ben nove ministri (Segni, Bettiol, Tosato, Martino, Ermini, Rossi, Moro, Medici e Bosco, tutti demo-cratici cristiani tranne il liberale Martino). Alcuni avevano lasciato un segno, altri no. E i giovani cro-nisti che volevano saperne di più, non andavano volentieri a visitare un ministero chiuso a riccio con-tro ogni “confidenza”, in mano a funzionari supponenti e trafficoni, che in parte venivano – e con inca-richi di rilievo – dal passato regi-me. Piuttosto si andava a Via della Gensola, dove, inviso dall’esta-blishment, dominava per cultura e intransigenza un gigante buono, il liberaldemocratico Armando Armando, editore d’avanguardia. Si andava da Armando per scopri-re l’ultimo pedagogista straniero che Armando stava per iniettare nella provinciale scuola italiana (così fu per Dévaud, per Cassirer, per Richmond, per Mialaret, per Gardner e tanti altri). Si andava anche per leggere in anteprima le bozze della rivista “A.V.I.O”, di cui Armando era redattore, direttore e tipografo (niente a che vedere con benzine o aeronautica: Armando e Velia Insieme Ovunque” era un titolo frutto dell’amore per la inse-parabile compagna, che gli faceva da consulente, correttore di bozze, segretaria, moderatrice). Quella rivista fustigatrice era attesa ogni mese con trepidazione interessata da quanti nella scuola, al mini-stero e in Parlamento, conserva-vano (ed erano tanti) più di uno scheletro fresco o arrugginito. Gli immediati successori di Giovanni Gonella, non fecero storia, anche se Antonio Segni (ministro della P.I. dal luglio 1951 al 1953 e poi

Aldo Moro con Franco Mar ia Malfatti

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alia cortese nello scansarsi, sudato

come più non si può, mentre ab-bordava lo scalone di sinistra del ministero), Bettiol non era figura di secondo piano, culturalmente parlando. I suoi libri di diritto pe-nale, materia di cui non abbando-nò mai l’insegnamento durante la carriera politica, formarono molte generazioni di studenti. Vennero poi i 26 giorni, di cui la metà in piena crisi di governo, del giurista vicentino egidio Tosato, altro mi-lite ignoto della storia della scuola, ma invisibile più per il carattere che a causa della estremamente breve durata in carica.

All’istruzione Malgré lui

I cronisti non fecero in tempo

parole (i pochi cronisti sopravvis-suti ricordano ancora la sua abilità

dal ’53 al ’54) era un politico di lungo corso (veniva da prefasci-smo sturziano e sarebbe divenuto presidente della Repubblica). Di Giovanni bettiol (ministro di 18 giorni) nessuno ormai ha memo-ria. Friulano massiccio e di poche

Giovanni Gronchi con Giulio Andreotti

Capita ancora di sentire ripetere, con ostinata faciloneria, che l’unità d’Italia sia stata frutto

di una piccola élite, di fanatici in-tellettuali. Ebbene, va ricordato che i componenti di questa élite, tra i quali numerosissimi gl’insegnanti e gli studenti, non hanno solo lancia-to il sasso, ma hanno in gran parte dato la loro stessa vita per i valori che avevano proclamato, morendo sul patibolo o morti nelle guerre di indipendenza. Non si saprà mai con esattezza quan-ti siano stati i patrioti fucilati o mor-ti in carcere prima e dopo il 1848, ad opera degli Asburgo di Toscana e dei Ducati, o dei Borboni nel Regno delle Due Sicilie; e nello stesso Stato della Chiesa. A Napoli, solo tra il 1 giugno del 1799 e l’11 settembre del 1800, tra i 124 impiccati a Piazza Mercato c’erano 9 professori universitari, 4 profes-sori di scuola secondaria (dei qua-li 2 dell’Accademia militare della

Nunziatella) e 4 studenti. Francesco De Sanctis, futuro mini-stro della Pubblica istruzione, par-tecipò alla rivoluzione napoletana del 1848 con al completo gli studenti della sua scuola privata di specializ-zazione letteraria di vicolo Bisi (oggi Via Nilo). E dei suoi studenti uno, Lui-gi La Vista, 22 anni, morì la mattina del 12 maggio, colpito dalla fucilata di un mercenario austriaco, sotto gli occhi del padre, anch’egli accorso a combattere. Nello stesso episodio fu gravemente ferito un altro allievo del De Sanctis, Diomede Marvasi, che sarebbe stato poi un eminente giuri-sta e magistratoMoti studenteschi si ebbero nel 1831 nella Bologna pontificia, insorta il 7 febbraio. contro il potere ecclesiastico. Al sollevamento si unirono anche gli studenti e i docenti dell’università di urbino (ateneo che contava una sto-ria di oltre tre secoli), con alla testa i professori Tommaso Gostoli-Cosmi

(Diritto canonico),il Gianantonio Fanelli (Diritto civile), Alessandro Corticelli (Anatomia) e Gianlodovico Fabbri (Chirurgia). La reazione ponti-ficia fu particolarmente dura. Espul-si gli studenti, licenziati i professori. Tra il 9 ed il 10 gennaio 1848 (i giorni del boicottaggio del fumo, che non si svolse solo a Milano) gli studenti universitari di Pavia si rovesciarono sulle strade della città sventolando di fronte ai gendarmi austriaci la bandiera tricolore ricamata da Bian-ca Milesi, la patriota milanese, orga-nizzatrice di scuole femminili (morta poi in Francia di colera, assistendo i fuorusciti italiani). uno studente fu ucciso dalla gendarmeria austriaca.A Padova, l’8 febbraio 1848, tra i gio-vani universitari che manifestavano contro il Imperial Regio Governo, fu gravemente ferito lo studente Anto-nio Beltrame, che arringava gli av-ventori nella sala Bianca del Caffè Pedrocchi. Fu la miccia dell’insurre-zione contro gli austriaci. A Venezia,

Il sacrificio di insegnanti e studenti

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Speciale 150 anni unità d’ItaliaAltro passaggio senza gloria e sen-za infamia fu quello dei sette me-si, nel 1954, del liberale Gaetano martino. La Dc era stata restia a lasciare la poltrona della Minerva a un laico, ma non è che Martino vi aspirasse tanto: il suo obiettivo

aveva scritto di proprio pugno più di un articolo del testo definitivo).

a conoscerlo, infatti, proprio per-ché fu lo stesso Bettiol, con il suo carattere non piegabile ad alcun compromesso, a chiamarsi fuori dalla rissa politica che divorava la stessa Dc, della quale egli faceva parte sin dalla Costituente (di cui

Luigi Gui Mario Ferrari Aggradi Franca Falcucci

il 20 febbraio del 1848, davanti alle manifestazioni antiaustriache che si succedevano da giorni al liceo classico “di Santa Caterina (oggi Fo-scarini), i poliziotti fecero irruzione nell’istituto e arrestarono, in piena ora di Religione, l’intera II classe. I compagni dell’istituto si ribellarono e, guidati dal diciassettenne Aristide Gabelli, il futuro pedagogista e prov-veditore agli studi di Roma e di Mi-lano, abbandonarono la scuola (uno sciopero studentesco nel 1848 e in re-gime austriaco!). Ne parlarono i gior-nali di tutta Europa, come raccontò il professor Giacomo Franceschini in una sua storia del liceo veneziano.Scoppiata la I guerra di indipenden-za, durante il governo della rinata - quanto sfortunata – Repubblica di San Marco, dal marzo all’agosto suc-cessivo, gli studenti del liceo di Santa Caterina, uniti ai compagni del vicino Convitto, accorsero nella cosiddetta “Legione della Speranza” per difen-dere la città insieme ai volontari accorsi da molte parti d’Italia. Rac-conta la storia del liceo: “spesso, alla mattina, un posto risultava vuoto nel banco. L’alunno che lo occupava era

caduto, la sera precedente, sotto il fuoco austriaco”.Alla difesa di Venezia parteciparono anche, nelle file guidate dal genera-le Guglielmo Pepe, oltre ad esperti artiglieri e genieri, anche studenti dell’università di Pavia. Da urbino, dove l’epicentro dell’entusiasmo pa-triottico per l’Italia unita era stata la trisecolare università, giunse un contingente di 80 volontari, tra i quali oltre 50 gli studenti - nominati sottufficiali sul campo - e numerosi professori (arruolati come ufficiali). I volontari urbinati combatterono a Cornuda, Treviso, Vicenza, Brondolo e Mestre-Marghera (dove avvenne una vera strage da ambo le parti), sotto i generali pontifici Ferrari e Durando (Battaglione universitario, Reggimenti unione, 1a, 2a e 3a linea). Appartengono già alla storia, fino al-la trasfigurazione nella leggenda, i 389 studenti universitari toscani che nel maggio del ’48, in piena I guerra di indipendenza, combatterono a Cur-tatone e Montanara. Della divisione toscana comandata dal generale De Laugier, facevano parte (tra i 6 mila uomini della Divisione) 450 volontari,

tra i quali gli universitari di Pisa e di Siena. Il battaglione senese era comandato dal professor Alessandro Corticelli, docente di Fisiologia e Pa-tologia, che aveva già partecipato ai moti del ’31, accompagnato dal figlio studente, Riccardo. Tra i volontari pisani c’era il professor Giuseppe Montanelli (bisnonno di Indro Monta-nelli), che fu ferito e fatto prigioniero. Gli studenti provenienti da Livorno erano 22. Per non essere accusati di facile retorica, ammettiamo, dopo le ultime ricerche storiche, che le prestazioni militari furono spesso immature quanto generose, bisogna egualmente togliersi il cappello da-vanti ai 168 morti, 500 feriti, e circa 1200 prigionieri registrati dal corpo di spedizione toscano. Nel corso del 1849, un battaglione di studenti universitari si coprì di gloria combattendo a difesa della Roma repubblicana di Mazzini, Saffi e Armellini, contro Napoleone III e le truppe francesi.A Milano, dopo il ritorno in sella, nel ’49, il “buon” Radetsky impiccò 960 patrioti, facendo impallidire le stra-gi borboniche del 1799. Quel Radetsky

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bambino ora meglio conosciuto do-po gli studi del Piaget e la scoperta – presto una moda – del “metodo globale”. Eppure i programmi non indulgevano a neopositivismi, ma,

chiamavano (tra loro, cautamente, perché allora si aveva un grande rispetto pubblico per le personalità pubbliche) “dente di ferro”, per il vasto palcoscenico di denti che si spalancava ad ogni suo formale sorriso. Una scossa elettrica giun-se finalmente a Tratevere, nel ’55, il rettore dell’università di Perugia (lo restò fino al 1976) Giuseppe ermini (la poltrona della P.I. era tornata alla Dc). Anche Ermini finì nel mirino dei gesuiti, cui non piacevano i suoi (pur tanto attesi) Programmi della scuola elemen-tare, passati alla storia come “i Programmi del ‘55”, fondati su un

erano gli Esteri. E non per niente viene oggi ricordato come uno dei padri dell’Unione europea, allora solo CECA, Comunità europea del Carbone e dell’acciaio. I cronisti lo

Mario Pedini Alfredo Vinciguerra

“che amava tanto l’Italia e in essa volle morire” (nel suo letto).A Vicenza, caduta nuovamente sot-to l’Austria, il 21 giugno del 1850, il Generaloberst comandante la piaz-zaforte fece arrestare sei alunni del liceo Pigafetta per essere stati particolarmente attivi nella dimo-strazione antiaustriaca svoltasi la mattina del 10 dello stesso mese. Trascorsero dieci anni tra la I e la II guerra di indipendenza. Nel 1859 tra i primi italiani a rispondere alla nuo-va occasione di riscossa furono gli studenti di Bologna.Era allievo del già citato liceo vene-ziano Pigafetta lo studente Alessan-dro Beggiato, che nel 1866, arruolato nella brigata comandata da Garibal-di, si sarebbe distinto (fu gravemen-te ferito) nella battaglia di Condino, in quel di Trento (come ricorda una lapide, ancora oggi visibile, mura-ta nell’atrio dell’istituto). Ma il vero bagno di sangue degli studenti e degli insegnanti si ebbe nella I guer-ra mondiale. Tra il 1915 e il 1918 vi lasciarono la vita 400 studenti, dei quali 2 già sposati. Solo qualche esempio : il liceo classico legalmente

riconosciuto San Carlo di Milano per-dette 72 allievi, 70 ne morirono del liceo Parini e 31 dell’istituto tecnico commerciale Moreschi della stessa città. Quattordici i Caduti del liceo Vittorio Emanuele II di Napoli..Augusto Monti, l’illustre professo-re liberale nel suo “I miei conti con la scuola”, racconta della sua pre-sentazione al fronte, da volontario (nonostante il ministero ne avesse decretato l’esonero dalla mobilita-zione), con l’intera sua classe, una III (allora la III era la classe finale, contandosi a parte le due classi di Ginnasio superiore) del liceo di Son-drio, dove allora insegnava. una classe che avrebbe avuto molti cadu-ti in trincea (Monti ne cita solo uno, con il solo cognome, Amadei, e ag-giunge: “non tutti [cioè tanti, N.d.A.]ci lasciarono la vita” ) e un morto per tifo contratto al fronte (Per la cronaca, nel 1934 il professor Monti fu condannato dai fascisti a 5 anni di reclusione, tutti scontati). un col-lega di Monti, il professor Bruschi, insegnante di Fisica, ammogliato con figli, morì in battaglia, come il professor Valzelli, falciato da una

raffica di mitragliatrice. Lasciò la vita sul campo di battaglia anche un altro collega del Monti, ma questa volta del liceo D’Azeglio di Torino – ci-tiamo sempre esempi tramandati da diari originali - il professor Benedet-to Soldati, docente di lingua e lette-ratura italiana, morto con il grado di capitano di fanteria. Nell’ottobre del 1915 – come riporta il bollettino delle Federazione nazionale insegnanti scuola media (FNISM) del novembre successivo – cadde in battaglia, uno dei primi caduti tra gli ufficiali degli alpini – il professor Eugenio Vajna, un giovane docente cattolico da poco sceso in campo politico con la Lega democratico-cristiana di Sturzo e Murri. A Trieste i licei italiani Petrar-ca e Dante erano considerati dalla polizia austriaca i più pericolosi foco-lai di italianità attiva. Dei giovani li-ceali molti sparivano all’improvviso dai due istituti: nelle notti di nebbia avevano lasciato la città e raggiunto l’Italia su ogni tipo di imbarcazione abbastanza piccola per sfuggire alle motovedette del Regio Impero. I due licei era in effetti delle reali “quinte colonne” in contatto con le truppe

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Speciale 150 anni unità d’Italiauno dei soli due o tre ministri della scuola italiana a prestare attenzio-ne all’istruzione professionale.

Aldo Moro, dalla minerva al martirio

Nessuno, in quell’anno 1957, avrebbe mai potuto immaginare che il martirio attendeva quell’ap-pena quarantenne allampanato e triste ministro dell’Istruzione, il giurista barese Aldo moro, dall’inconfondibile ciocca senile ai capelli, presagio di delusioni e amarezze, già professore univer-sitario a 25 anni e grande media-tore sulla scuola alla Costituente. Difficile un appuntamento con lui a Viale Trastevere, dove ne sbarravano la strada, lui ignaro,

della P.I. a una complessa figura di laico e scaut, Paolo Rossi, av-vocato ligure, subito osannato dai cronisti (cui si dava ancora poco spazio sui giornali) per avere crea-to, incolpevole, il Centro didattico nazionale per i sussidi audiovisivi, visto al momento come una gran-de apertura ai tempi moderni, ma rivelatosi poi un immane carroz-zone, una macchina per riempire le cantine delle scuole di obsoleti proiettori e di inservibili lavagne luminose, favorendo laute specu-lazioni d’ogni tipo, centrali e peri-feriche. Il vero merito, al contrario, di Paolo Rossi, fu quello di essere

al contrario tardi, venivano giudi-cati dai commentatori laici come “spiritualisti”. Quei programmi resistettero fino al 1985, all’arri-vo del “bambino cognitivo”. Con il suo pizzetto alla moschettiera, come si diceva allora, ed il viso affilato sotto i radi capelli, faceva esclamare ai giornalisti: “Ma quel-lo è il gemello di Dino Grandi!”. In effetti sembrava il sosia perfetto dell’uomo che, con la sua richiesta di convocazione del Gran Consi-glio del Fascismo, aveva provocato la rovinosa caduta di Mussolini. Altra boccata amara, per la Dc, era stato, in quella torrida estate del ’55, il compromesso che, nel “pacchetto” allestito per salvare il governo di centrodestra con il par-tito socialdemocratico, aveva visto nuovamente assegnare la poltrona

combattenti al di là del Piave. Nel laboratorio di Fisica del Petrarca funzionava (per sparire misterio-samente all’arrivo della polizia) un telegrafo senza fili che comunicava regolarmente con i comandi italiani più vicini, segnalando movimenti di navi e di truppe. La polizia impazziva per risolvere il mistero, ma il tele-grafista fantasma non venne mai scoperto. Né fu mai trovato lo stru-mento il ricetrasmettitore costruito con mezzi di fortuna. Il contributo di sangue della scuola nella II guer-ra mondiale l’Italia ha contato 430 mila morti, dei quali 335 mila mili-tari e 85 mila civili. Non abbiamo dati per calcolare quanti siano sta-ti gli studenti morti nel nuovo tra-gico conflitto, seguito da una vera guerra civile; secondo lo studio di Glei, Bruzzoni e Caselli (ISTITUTO CENTRALE DI STATISTICA, Morti e dispersi per cause belliche negli anni 1940-45, Roma, s.e., 1957 ,Ro-ma, Failli), ben 18.582 furono i ca-duti tra i 15 e i 19 anni, tra i quali 6 donne (probabilmente crocerossi-ne). A poche settimane dallo scop-pio della guerra cadeva, durante

uno scontro aereo, il giovane pilota professor Victor Hugo Girolami, 30 anni, docente del Liceo Visconti di Roma (medaglia d’oro al valor mi-litare alla memoria). Il professor Raffaele Persichetti morì in divisa di ufficiale dei granatieri, nella disperata difesa di Roma, a Porta San Paolo, dopo la fuga del re. Vi-cino a lui combatteva un gruppo di universitari, con alla testa lo stu-dente di ingegneria, ed ex allievo del Visconti, Romualdo Chiesa, tru-cidato poi alle Fosse Ardeatine il 24 marzo del 1944 dopo essere sta-to ridotto quasi cieco per le sevizie subite a Regina Coeli. Qui fu con-dotto anche Luigi Milani, sempre del Visconti. Arrestato nonostante fosse insidiato da una grave for-ma di tubercolosi, che allora era difficile curare, morì in carcere. Il mattino del 20 ottobre 1944 una squadriglia di bombardieri allea-ti, che puntavano sulla distruzione della Brera di Sesto San Giovanni e della Stazione Centrale di Milano, centrarono con le loro bombe due povere scuole di periferia che si trovavano esattamente al centro

dei due obiettivi, le scuole elemen-tari di Precotto e Gorla. Morirono 205 bambini, figli di impiegati e di operai, insieme ai loro insegnanti. Nella Resistenza, il primo studente caduto fu Massimo Gizzio, 19 anni, studente di Giurisprudenza, ucci-so da una raffica di mitra di una squadra di camicie nere durante una manifestazione antifascista (ma studenti capitati per fede o fa-tale destino nelle file repubblichi-ne fasciste, come Franco Cesana o Rolando Riva, perdettero anh’essi la vita, ambedue tra Modena e Reggio Emilia). Elio Pavoncello, studente di Lettere, ebreo, fu cat-turato dai tedeschi nel rastrella-mento del ghetto di Roma del ‘44 e deportato in Germania di dove non tornò più. Aldo Praloran, allievo del liceo ginnasio Tiziano di Bel-luno, partigiano, cadde al Ponte San Felice la notte tra il 15 e il 16 luglio 1944. L’unità di questo Paese non è stato uno scherzo. La vita di questo Paese unito è stata dura e pagata duramente anche da tanti studenti e docenti. Non possiamo dimenticarlo.

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alia Comune, Capo Ripartizione mi-

lanese all’istruzione, nella fat-tispecie il dottor Antonio folli, balzò in piedi dalla prima fila in cui sedeva e letteralmente aggre-dì a parole il ministro: “Se lei, eccellenza, viene qui ad avvi-sarci della fatale chiusura delle scuole materne comunali, da noi create e amministrate con amore dai tempi di Ferrante Aporti, si sbaglia di grosso. Non le chiu-deremo mai”. Bosco sbiancò in viso e, chiuso in fretta l’inter-vento, chiese ai giornalisti (raro caso di confidenzialità) chi fosse quell’energumeno. “E’ un signo-re vicino al grande establishment milanese. E’ cavaliere di ordini militari e religiosi, e vive in un castello medioevale della Bassa, trasformata in casa di abitazione “sibi et suis”. Le scuole mater-ne comunali milanesi non hanno mai chiuso.

Caccia all’innocente: Luigi Gui

E fu centrosinistra. Ed ebbe inizio l’era del padovano mini-stro Luigi Gui, l’uomo che dette all’Italia la scuola media unica, gratuita obbligatoria ed eguali-taria (se mai troppo, come dice-va Don Milani), che si attendeva dall’inizio del secolo (vedi i di-battiti nella FNISM, Federazio-ne Nazionale Insegnanti Scuole Medie); l’uomo che realizzò la scuola materna statale nel senso anche del dovere dello Stato a provvedervi. Gui si vantò spesso

pubblicamente di ammini-strare “la più grande azienda d’Europa e forse del mondo per numero di dipendenti, la scuola italiana”. Godeva dell’incon-dizionato sostegno delle organizzazio-

ni cat toliche della scuola, soprat tut to

Gonella, promosse inchieste che tradusse in un ponderoso “Piano di sviluppo”.

Milano insorge contro il ministro in gessato blu

Era tanto bravo, ma capiva po-co di psicologia (e storia) delle istituzioni locali, il successore Giacinto bosco (in carica dal luglio 1960 al febbraio 1962, nel III Governo Fanfani), il che lo espose a disavventure per allora inconsuete.

Bosco, che sarebbe stato in fu-turo ministro per ben 5 volte, in vari dicasteri, era un elegante signore napoletano, rotondetto e sempre in gessato blu. Anche se dovrà rispondere davanti alla sto-ria delle prime micidiali ammis-sioni in cattedra ope legis, senza concorso, di centinaia di docenti per caso, era fautore della sanis-sima idea di una scuola materna statale (che avrebbe aspettato an-cora almeno sei anni per entrare in una legge operativa). Lo era fino al punto che incautamente, non solo la spacciò per cosa qua-si fatta durante una visita alla scuola milanese che preconizzò la chiusura delle scuole materne di enti e privati. Non lo avesse

mai fatto. Un alto fun-zionario del

segretari e capi di gabinetto fer-vorosi, i cronisti potevano incon-trarlo tranquillamente, e sedersi al suo tavolo durante i suoi pranzi frugali (senza scorte, senza cor-tigiani) da Celestina ai Parioli. Moro, da presidente del consiglio non esitò a dare le dimissioni nel ’66, quando anche la Chiesa gli mise i bastoni tra le ruote nel pri-mo tentativo di varo della scuola materna statale. Vennero i primi tempi turbolenti, nei quali fu-rono immersi i governi Segni e Tambroni, che trascinarono nel nulla le proposte di quasi-scuo-lamediaunica (con una sorta di scuola di serie C parallela, la scuola “postelementare) avvia-ta da Giuseppe Medici nel ’60). Giuseppe medici “governò” alla P.I. per 1 anno e 7 mesi. Nato nel Modenese, a Sassuolo, capitale della piastrella, nel 1907, con la sua testa a uovo ed il pizzetto bianco, persino con la stessa abi-tudine, parlando, di inclinare la testa a sinistra, era la fotografia sputata (ci si perdoni la licenza linguistica) di Luigi Pirandel-lo. Agronomo, era stato, prima che universitario, docente negli ist itut i tecnici, ma anch’egli, purtroppo, come Martino, aveva la vocazione per i rapporti in-

ternazionali e considerava la Pubblica istruzione co-me un abito troppo stretto

per lui. Più che legiferare, anche lui come

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Speciale 150 anni unità d’ItaliaTrastevere Giovanni battista Scaglia, il primo titolare dell’era Sessantotto dopo l’ultimo seme-stre guiano. Scaglia, autore di

apprezzat i saggi su Machiavelli e su Cesa-re Balbo, aveva difeso la causa della scuola media unica sin dal ’62, era stato ben sei volte sot tosegretario alla Pubblica istruzio-ne e sembrava non do-vesse mai sedere sulla prima poltrona. Corre-vano su di lui in Parla-mento luciferine voci di virtù pirandelliane, voci che non sappia-mo se vennero mai alle sue orecchie. Durante la sua permanenza a viale Trastevere – dal giugno a poco prima di Natale del 1968 – era-no in rivolta studenti, professori, teatranti, contadini e persino i devoti della parrocchia snob dei Parioli a Rona e dell’Isolotto a Firen-ze, qui guidati da don Enzo Mazzi. La scuola era per il Parlamento una parola vuota di contenuti pedagogici e piena di grane e di botte nel senso stret-to della parola: tanto valeva lasciarla alla deriva. Ad abbatterne pater nal is t icamente pennoni e vele, dall’al-bero maestro del me-rito alle “rande” della professionalità docen-te e ai “fiocchi” della disciplina, portando il vascello quasi ad af-fondare, ci pensarono fiorentino Sullo, ma-rio ferrari Aggradi, (“un economista alla P.I.”, lo definivano, ma della P.I. fece crescere

per merito della pia professores-sa maria badaloni, suo Sotto-segretario di Stato, che Gui, con affettuoso maschilismo, chiama-va pubblicamente “la Signorina”. Gui era un galantuomo che la veri-tà storica e processua-le assolse, dopo anni di ingiuste sofferenze morali e materiali (tra l’altro soffriva di una malattia alla pelle che si acuiva nei momenti critici) dai reati impu-tatigli quando, ora mi-nistro della Difesa, era stato frettolosamente i mput a to d i e s se re coinvolto nei loschi affari dell’acquisto de-gli Hercules 33, aerei da carico militari della amer icana Loocked. Gui non aveva mai da-to luogo al benché mi-nimo sospetto di vizi privati dietro le tante pubbliche virtù, elet-to da par rocchiani e buone suore e non da amici degli amici, non aveva famiglie e clan da mantenere, era - e restò - ai limiti della condizione di medio benestante, nella sua ca sa su l le r ive del Bacchiglione, accan-to a quella del fratello professore, che da lui non chiese nemmeno un banale migliora-mento di sede. Non aveva bisogno di soldi e tanto meno di busto-ne. Come forse millan-tatori ai piani bassi del ministero.

La calunnia è un venticello…

Salì quindi a Viale

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alia dal suo addetto stampa, quel santo

laico di uno Stefano folli, che si sarebbe un giorno seduto sulla sua stessa poltrona di Via Solferino.

Falcucci, perdonali/ci

Ministro incompreso, molto da rivalutare, fu franca falcucci, la prima donna alla P.I. nella sto-ria d’Italia. Cattolica integrale e integralista, osò sfidare il Senato rimproverandolo di avere abban-donato i problemi della scuola al loro destino. Lo fece in piena se-duta, suscitando scandalo per l’im-pertinente offesa, fino al punto di rischiare per un pelo l’empeach-ment, provvedimento che dovette affrontare nell’86, ma che fu re-spinto dalla Camera (327 contrari alla sfiducia e 234 favorevoli), no-nostante la sorda lotta interalleata tra Dc e PSI, quando Craxi, che pure era il suo capo del governo non l’aveva difesa, ma anzi aveva ironizzato “Poveraccia, fa un po’ pena. Guardate com’è tesa…”.

Falcucci sfidò allora il Parla-mento, sostituendosi al legislato-re ordinario, e autorizzò riforme “sperimentali” caso per caso, pro-curando l’effetto perverso della creazione di una serie di mostri scolastici (un mixer di tutto e di più), le famose maxi e minisperi-mentazioni, che obbedivano spes-so a interessi di campanile più che di rinnovamento. Falcucci resta, in ogni caso, il ministro dei nuovi programmi della scuola elementa-re (“Programmi ‘85”), della scuola “modulare”, dell’insegnamento re-ligioso ad esplicita richiesta (come da nuovo Concordato craxiano con la Chiesa, e la inusitata fermez-za davanti alle nuove ondate di turbolenza del “Movimento 85”, emulo della vecchia guardia del Sessantotto. Ci fermiamo qui, perché andando avanti rischia-mo di scivolare dalla storia nella cronaca. Se ne può sempre parla-re, magari un’altra volta.

Principe e Savoia di Milano con lo specialista del Corriere della Sera, sedute che si concludevano dal “furmaggiàt” di Via Monte-napoleone, dove Malfatti faceva scorta di formaggi farciti per le serate “dedicate” nella tenuta della moglie, in Toscana.

I Decreti Delegati furono un fat-to nazionale. Un’attenzione di cui si fecero portavoce e informatori capillari i “giornalisti della scuola”, che poterono finalmente mostrare la loro stoffa portando la scuola nelle prime pagine con articoli che camminavano non solo sulle gam-be degli appetitosi contenuti, ma anche su quelle dello stile, della preparazione, della cultura: gior-nalisti, esclusi sempre i presenti, come Alfredo Vinciguerra de Il Popolo (decano del gruppo e non per l’età, ma per l’autorevolezza e le entrature senza confronti: quan-do prematuramente scomparve, al suo funerale era presente, insieme al gruppo dei colleghi di sempre, tutta la Roma della politica e del-la cultura), fondatore nel 1975 di Tuttoscuola; o come Pietro maria Trivelli de Il Messaggero (capace di fare proseguire oltre il previsto un congresso “finché c’è una vera notizia”), Giuseppe Granata de La Stampa, felice froio, prima de La Stampa e poi de La Repub-blica, la compianta e corteggiata Rina Gagliardi de il Manifesto, quotidiano di cui sarebbe stata di-rettore, federico Orlando, de Il Giornale con Indro Montanelli.A Gui succedettero il discreto pia-nista per caso mario Pedini, che portò il sorriso nei corridoi sordi e grigi di Viale Trastevere; l’iroso e pantagruelico repubblicano ed eterno primo della classe Giovan-ni Spadolini (1979). Spadolini, da ex direttore del Corriere, mal-trattava i giornalisti, a cominciare

solo le spese); il sovrappeso ca-labrese Riccardo misasi, santo patrono di decine di migliaia di bidelli importati dal suo profon-do Sud. Certo, i tempi erano duri e, come diceva don Abbondio, il coraggio chi non ce l’ha non se lo può inventare e le piazze in sub-buglio sono delle brutte bestie, anche se i cedimenti spesso non pagano. Anzi fanno raddoppiare le richieste.

La stagione d’oro dei “decreti delegati”

Dopo l’intermezzo di Oscar Lu-igi Scalfaro (1972-73), molto im-pegnato dal suo collegio elettorale novarese, i giornalisti si accorsero che nel Paese si stava trasforman-do pian piano la disperazione in speranza alla notizia che il Par-lamento, sotto la guida del nuovo ministro, franco maria malfat-ti, prematuramente scomparso ma allora dotato di una costanza e di una energia intellettuale incredi-bili, stava preparando la risposta a tutte le cambiali accumulate, quel-la che sarebbe stata la Legge di de-lega n. 477 del 30 luglio 1973, che avrebbe presto partorito i famosi “Decreti Delegati”, portatori di nuovi stati giuridici ed economici, ma soprattutto dei famosi Organi collegiali, che svegliarono nel Pa-ese un’improvvisa attenzione po-sitiva per la scuola dopo le paure dei “formidabili anni” capannia-ni. Dossettiano, di nobile famiglia (suo padre era barone di Monte-tretto e la mamma una coltissima signora di origini russe, donna Felicia Nevikluff), Franco Maria Malfatti, proveniente da esperien-ze politiche di prim’ordine, anche internazionali (era stato presiden-te della CEE), prima di agire, per qualche mese “andò a scuola”, come diceva, dai giornalisti del settore, facendosi spiegare regole e magagne da affrontare: famose le sue sedute mattutine all’Hotel

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Obiettivo docente

All’origine della capacità d’in-segnamento c’è qualcosa di più radicale dei contenuti da

presentare e del modo con cui pre-sentarli. C’è la dimensione relazio-nale, confermata oggi dagli studi sulla socializzazione della persona in divenire che afferma come il legame socio-affettivo positivo sia fondamentale per la costruzione di un’adeguata piattaforma comu-nicativa anche a scuola. Un ragaz-zo che può vedere nell’insegnante “che sa e che fa” un modello di come anche lui dovrebbe “sapere e saper fare”, acquista sicurezza. L’insegnante, però, dev’essere as-solutamente convincente. Di più. Dev’essere carico di fiducia nelle potenzialità dei suoi ragazzi e ca-pace di comunicarla; deve saper creare un clima comunitario in cui la classe interagisce e sviluppa aspettative stabili e strutture d’in-terdipendenza. Questo lo fa l’in-segnante “maestro-di-Bottega”. Sempre in positiva relazione in-terpersonale, è incoraggiante, al-legro, e riesce a essere congruente in parole e fatti (Franta - Colasan-ti, 1991). È buono. L’esperienza della bontà stimola nei ragazzi le energie di appartenenza nella sicu-rezza dell’identità sociale, e quelle di stima d’identità personale, base

diretta dello sviluppo nell’auto-re-alizzazione. Per presentare l’inse-gnante “mastro” è indispensabile fare un salto indietro nella storia delle Botteghe artigiane del me-dioevo per cogliere alcune sue ca-ratteristiche peculiari da declinare poi in un quadro di riferimento teorico che serva, al tempo stesso, da falsariga operativa.

La storia della “Bottega artigiana”

Nel tramandare le tradizioni di manifattura nasce, secoli e secoli fa, accanto alla figura dell’artigia-no, anche quella dell’apprendista. La classe degli artigiani non ha go-duto di grande favore nelle prime civiltà: solo i più bravi potevano godere di una fama che migliorava le loro condizioni di vita. Dobbia-mo attendere fino al XII secolo per avere la formazione di vere e pro-prie corporazioni artigiane dove le diverse figure operanti nel settore – mastri, apprendisti e lavoranti – erano tenuti in considerazione diversa all’interno dell’associazio-ne di cui facevano parte. Elemento fondamentale delle botteghe ar-tigiane era l’apprendistato, lungo periodo di formazione in cui il

“mastro” s’impegnava a forma-re nuovi “lavoratori” che, fin da piccoli, iniziavano a imparare il mestiere. Molti ragazzi venivano mandati “a bottega” per capire, attraverso l’osservazione e l’im-mediata trasposizione pratica, i trucchi del mestiere. I “mastri” erano chiamati a essere formatori delle generazioni future, in un tipo di apprendimento che affondava le radici nel “fare” dei loro labo-ratori. Sorpresa. Le neuroscienze e le filosofie della mente stanno offrendo sempre più spunti per av-valorare la strategia didattica della “Bottega artigiana”.

Un altro dei filoni di pensiero alla base dell’operato dell’inse-gnante “mastro di Bottega” è la teoria sociale cognitiva, spiegata nell’opera più completa di Ban-dura del 1986: Social foundations of thought and action il cui cuore è costituito da un modello di ap-prendimento per osservazione che include processi di attenzione, di ritenzione, di riproduzione moto-ria e di motivazione. Ognuna di queste quattro categorie è stata studiata in dettaglio dall’Autore. L’attenzione si rivolge a un com-portamento osservabile, ma ciò che viene osservato dipende dal-le caratteristiche del modello da

di Caterina Cangià

L’insegnante MAESTRo DI BoTTEGA

L’insegnante ri-pensato/9

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Obiettivo docente

che si esplicita in tre forme: en-dogeno o radicale, sociale ed eso-geno o realista. La teoria sociale cognitiva sconfina con il costrut-tivismo esogeno. La terza forma di costruttivismo evidenzia, nello sviluppo della conoscenza e delle abilità e intellettuali e pratiche, il ruolo insostituibile di un model-lo che guida l’apprendistato e che non si limita a indicare come fare per impossessarsi di conoscenze o competenze, ma che organizza un piano per la loro acquisizione, accompagna l’apprendista e super-visiona i suoi progressi. Questo modello è l’insegnante “mastro-di-Bottega”. All’inizio affianca gli apprendisti con una presenza più costante e massiccia per modella-re, correggere e perfezionare e poi, poco a poco, li lascia sempre più autonomi nella loro attività intel-lettuale o pratica. Le tappe dell’ap-prendistato tradizionale, secondo il modello di Collins, Brown e Holum (1991) vengono chiamate modeling, scaffolding, fading e co-aching, rispettivamente, le tappe del modellare, del sostenere (dal termine “impalcatura”), del dile-guarsi e dell’essere presente come un allenatore disponibile a consi-gliare e incoraggiare. Il modeling comporta l’osservazione, da parte dell’apprendista, delle prestazioni del maestro che mostra “come si fa”. Oltre a osservare, è necessa-rio provare a fare - come viene riportato nella teoria di Bandu-ra -. Perciò la seconda tappa, lo

errori [...]. In molti apprendimen-ti quotidiani, [ci avviciniamo] al nuovo comportamento grazie al modellamento (modeling) e lo raf-finiamo attraverso aggiustamenti auto-correttivi sulle basi del fee-dback informativo che viene dalla [nostra] stessa prestazione.» Il fe-edback di chi insegna va caricato di incoraggiamento e di lode che devono “sprecarsi” per ogni anche più piccolo successo.

Secondo Bandura, non è neces-sario che lo sviluppo di sottoa-bilità preceda l’esecuzione di un intero compito. L’apprendimento di abilità distinte e l’apprendimen-to di compiti completi possono andare di pari passo, anzi, l’unico scopo che giustifica un faticoso esercizio è poter svolgere con ma-estria e soddisfazione il compito completo. E di questo, l’insegnan-te “mastro-di-Bottega” è luminoso esempio.

Se c’è un “mastro”, allora c’è una “Bottega artigiana”

Alla base dell’apprendistato di Bottega riposa il costruttivismo. Ormai l’idea che l’apprendimen-to sia un processo costruttivo è ampiamente accettata; chi impara non riceve passivamente informa-zioni, ma costruisce attivamente conoscenze mentre lotta per dare senso al mondo. Il costruttivismo è un orientamento epistemologico, psicologico ed educativo-didattico

osservare e dalle caratteristiche dell’osservatore. Difatti, quanto è familiare è più facilmente appreso di quanto non lo è. È importante attirare l’attenzione dei soggetti in formazione su “cosa” osservare.

Quando un soggetto in forma-zione assiste a un dato compor-tamento, gli si deve ricordare che quanto ha osservato può e deve influenzare il suo comportamen-to futuro. Dal punto di vista di Bandura è necessario che, subi-to dopo l’osservazione, avvenga una codificazione verbale e/o una codificazione attraverso le im-magini, seguita dalla ripetizione (rehearsal) del comportamento osservato; questo modo di operare aiuta la memoria a lungo termi-ne. Anche durante questa tappa è necessario che l’adulto-educatore fornisca istruzioni su come ope-rare le codificazioni. Come per il processo di attenzione e per quello di ritenzione, è indispensabile of-frire informazioni esplicite circa i compiti o le abilità a cui prestare attenzione e circa i punti da codi-ficare e ripetere.

Oltre ad “accorgersi” di una sequenza comportamentale, co-dificarla e ripeterla, è necessario riprodurla. Il terzo meccanismo caratterizzante l’apprendimento sociale è la pratica o l’esercizio. In alcuni casi, la sequenza che viene osservata è subito riproducibile, mentre in altri l’osservatore può tentare di ripetere alcune compo-nenti dell’azione, ma non l’azione intera per via della sua comples-sità. Spesso è necessario acquisi-re singole sottoabilità prima che l’intera azione o sequenza possa essere eseguita. La riproduzione è a volte un processo esigente, spe-cialmente quando si deve acquisi-re una prestazione difficile per la quale è necessaria molta pratica. Bandura (1977, p. 28) riconosce che: «Le abilità non vengono per-fezionate attraverso la sola osser-vazione né vengono sviluppate soltanto per annaspanti prove ed

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Obiettivo docente

meraviglia. L’insegnante “mastro-di-Bottega” è il docent-faber, appassionato di competenza. Vuole che i suoi apprendisti sap-piano ri-utilizzare quanto hanno appreso – ma, attenzione! – non offre “istruzioni-per-l’uso”, offre competenze esportabili creativa-mente. È attraverso la sua opera d’insegnamento che il “mastro-di-Bottega” si autorealizza perché il suo insegnare è quasi ontologico, fa parte del suo essere, della sua identità. La gioia che trae dalle sue lezioni scaturisce dal fatto di essersi espresso, di aver comuni-cato il suo modo di vedere la di-sciplina che insegna e, attraverso la disciplina e il proprio modo di comunicarla, comunica se stesso. Insegna nella più squisita modalità laboratoriale, quella della Bottega appunto. Il suo insegnare non è pragmatismo, anche se gli studenti apprendono strategie e tecniche; è trasmissione di un modo unico, appassionato e curioso di affron-tare il sapere.

Commiato

E ora un appunto, un pro-memo-ria sull’insegnante “mastro di Bot-tega”, a chiusura del tour, durato un anno scolastico, dove si sono visti in esposizione nove quadri: dell’insegnante “leader”, “esplora-tore”, “ricercatore”, “animatore”, “regista”, “direttore d’orchestra”, “capocantiere” e “capitano”. Già, il “mastro di bottega”, un modello, un liberatore di energie. Ricordia-molo con stile telegrafico: dispen-sa calore umano, approvazione, lode; non induce crescita nei suoi apprendisti con la direttività, ma con la convocazione; non dice mai “occorre che”, dice sempre, inve-ce, “guarda come”. Insegna per emanazione, per quello che è e per come fa. Ha pazienza. Quella quo-tidiana, cordiale, amabile. È un esperto in intersoggettività. È un maestro!

“mastri” che vedono già quanto grandi i discenti potrebbero diven-tare e glielo profetizzano appas-sionandoli al “fare”, impiegando le loro infinite potenzialità, magari sommerse e sconosciute. Mastri che incentivano il coinvolgimento, che alimentano progetti e alleva-no personalità capaci di attesa e cariche di autoefficacia, questo costrutto psicologico elaborato riferito alla stima globale che il soggetto fa delle sue abilità in vi-sta di un determinato compito e la convinzione di riuscirci. (Ban-dura, 1986). Che valorizzano la creatività, formando discenti voli-tivi, tenaci, curiosi, indipendenti, consci del loro valore, disposti a un ragionevole rischio, di chiara identità, di precisi obiettivi, ver-satili, f lessibili, sensibili verso il bello. Che incoraggiano all’indi-pendenza, che sostengono scel-te autonome, che valorizzano le produzioni originali dei discenti, che li spingono ad approfondire le loro idee, che favoriscono l’esplo-razione (Heller - Monks - Passow, 1993).

Il “mastro”, proprio per l’esem-pio che offre, coltiva sentimenti di gioiosa conquista, stimola condot-te proattive, promuove autonomia e autostima facendo investire pa-trimoni di energie interiori, col-tiva lo stupore e fa recupera la

scaffolding o supporto, consiste nel sostegno che il maestro di bot-tega offre durante lo svolgimento del compito che già l’apprendista tenta di eseguire. Da parte del ma-estro si traduce in incoraggiamen-to, ulteriore spiegazione, sostegno emotivo, chiarimento. Lo scaffol-ding va man mano diminuendo in vista di creare maggiore autono-mia nell’apprendista. Questa gra-duale diminuzione o dissolvenza costituisce la tappa del fading: il supporto si rimuove mentre la re-sponsabilità del soggetto in for-mazione si consolida. Il coaching corre lungo tutta l’esperienza di apprendistato e abbraccia l’intera gamma di attività svolte: è fatto dei consigli dati, dei momenti di valutazione, del feedback offerto, dell’“esserci”, come maestro, con una presenza continua e paziente.

Nella “Bottega” viene esplicitata una relazione educativa personali-sta: l’apprendista che acquisisce un’abilità intellettuale o un’abilità pratica, si sente interpellato come “unico”, a cui è devoluta attenzio-ne e cura da parte di un maestro/esperto che funge da modello imi-tabile. Il rapporto interpersonale maestro-apprendista si arricchisce della qualità collaborativa e coo-perativa caratterizzante l’attività che ferve tra gli apprendisti.

Nella classe-Bottega vivono

Bandura A., Social foundations of thought and action: A social cognitive theory, Prentice-Hall, Englewood Cliffs (NJ) 1986.Bandura A., Social learning theory, Prentice Hall, Englewood Cliffs (NJ) 1977.Collins A. - S.J. Brown - A. Holum, Cognitive apprenticeship: making thin-king visible, in «American Educator» Winter 1991, pp. 38-46.Franta H. - A.R. Colasanti, L’arte dell’incoraggiamento. Insegnamento e personalità degli allievi, NIS, Roma 1991.Heller K.A. - F.J. Monks - A.H. Passow (Edd.), International handbook of research and development of giftedness and talent, Pergamon, oxford 1993.

Bibliografia citata

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L’oppor tunità di vivere lo sport è un momento

fondamentale nella for-mazione del bambino, in particolare se si tratta di un bambino disabi-le: esso rappresenta un mezzo essenziale per la crescita psico-fisica e lo sviluppo delle re-lazioni interpersonali. Le proposte di attività motorie e sportive inte-grate e adattate inserite nel contesto scolastico sono, inoltre, sia elementi altamente educativi per promuovere l’inclusione sociale degli studenti disabili, sia azioni utili a sensibi-lizzare i giovani stessi verso realtà sociali importanti che portano la popolazione giovanile a comprende-re consapevolmente la valenza delle attività di volontariato. Per questi motivi l’Assessorato allo Sport della regione Lombardia, Ufficio Scola-stico Regionale e CR CIP hanno deciso di dedicare i propri sforzi alla realizzazione di un progetto rivolto ad incentivare la pratica sportiva tra gli studenti disabili e la cultura dello “sport per tutti” il cui coordinamen-to operativo è a cura dell’Ufficio Scolastico Territoriale di Varese e di CIP Lombardia mentre la copertura economica è garantita da Regione Lombardia. Con la convinzione d’intendere tale progettualità aperta alle esperienze, ai suggerimenti e alle esigenze del maggior numero possibile di persone si è provveduto a incontrare gli Enti Istituzionali e tutti gli Assessori allo sport delle province della Lombardia nella ri-cerca di finalità condivise e di siner-gie durature nel tempo.

Il progetto prevede anche una ricerca finalizzata a conoscere la diffusione e le modalità di parteci-pazione degli studenti disabili alla pratica delle attività motorie e fisico-sportive; a tal fine è stato elaborato un questionario che, pubblicato on line sul sito istituzionale dell’USR, verrà somministrato in tutte le scuo-le individuate campione. La pre-sentazione dei risultati finali della ricerca avverrà poi il prossimo au-tunno in occasione di un Convegno tematico. Per raggiungere l’obiettivo di promuovere la pratica sportiva uno dei passaggi fondamentali è, ovviamente, il coinvolgimento dei docenti e di tutti gli operatori che, a vario titolo, sono attivi nel mon-do scolastico. Per quanto riguarda questa azione sono stati definiti due momenti formativi. Il primo, rivolto all’individuazione delle buone prati-che già presenti sul territorio regio-nale, denominato “Sportivamente … paralimpici: il CIP e la scuola per un percorso e per l’integrazione nei Giochi Sportivi Studenteschi” che avrà luogo presso l’IPSAR “Porta” di Milano il 23 maggio 2011, or-ganizzato in collaborazione e con il patrocinio dell’ANSAS - ex Irre

- Lombardia. Durante tale incontro i docenti si confronteranno sulle reali possibilità di inte-grazione durante le ore di educazione fisica, durante le attività dei Centri Sportivi Scola-stici e in occasione dei GSS.

Grazie alla disponi-bilità del Corso di Lau-rea in Scienze Motorie dell’Università Cattoli-

ca del Sacro Cuore di Milano nel prossimo mese di giugno un secon-do convegno sarà, invece, dedicato all’analisi di aspetti più scientifici e metodologici. Gli Istituti che hanno aderito al progetto si sono intanto impegnati a favorire la partecipazio-ne degli studenti alle manifestazioni sportive studentesche dei GSS pro-grammate dagli Ufficio Scolastico Regionale, dal CONI e dal CIP i cui aspetti tecnici-organizzativi ven-gono diffusi e realizzati dai Coor-dinatori Provinciali di Educazione Fisica. Sempre in stretta collabora-zione con gli Uffici Scolastici, CIP Lombardia organizzerà a Milano, all’apertura del prossimo anno sco-lastico, un evento sportivo a carat-tere regionale dedicato agli alunni appartenenti alle fasce deboli della popolazione scolastica e affianche-rà, con personale esperto, i referenti dei Centri Sportivi Scolastici affin-ché le proposte d’Istituto possano essere adattate, in considerazione della tipologia e della gravità dei deficit degli alunni.

Per info: Dott.ssa Linda Casalinireferente Scuola CIP

Ufficio Scolastico [email protected]

SportivaMENTE… paralimpici!!!il CIP & la Scuola per un percorso

di integrazione sportiva

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opportunità for-mativa in am-biente naturale

per la valorizzazione dell’educazione mo-toria e di una cultura marinaresca. Il pro-getto, vuole soste-nere l’integrazione degli alunni disabili che presentano par-ticolari difficoltà di carattere attentivo, immaturità affettivo –relazionale e scarsa stima di sé attraverso la predisposizione di situazioni molto mo-tivanti e coinvolgenti quali le uscite in barca. Il progetto vuole inoltre offrire a tutto il grup-po di alunni degli ulteriori canali di

comunicazione, favorendo la cono-scenza di sé e dell’ambiente, lo svi-luppo dei processi meta cognitivi, la

capacità di assumersi la responsabilità.

Tale iniziativa na-sce dalla constatazio-ne che molti giovani pur vivendo in una terra circondata dal mare si avvicinano raramente alla pratica di attività sportive ac-quatiche come la ve-la, o per sedentarietà o per il costo elevato dei corsi e delle at-trezzature, non aven-do così l’opportunità’ di conoscere la bel-lezza paesaggistica e naturalistica delle no-

stre coste e ancora, la possibilità di scegliere attraverso l’approccio alle professioni marinare, un lavoro.

di Rita Barraco - Cip Sicilia

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di arresto cardiaco; altri 23mila italiani muoiono improvvisamente in con-seguenza di un trauma inatteso che si verifica negli ambienti di vita e di lavoro e altri 65mila, per gli stessi motivi, ri-portano gravi invalidità permanenti. Almeno 6mi-la delle morti da trauma sono dovute a incidente stradale e riguardano, in particolare, la fascia di età più giovane, compresa tra i venti e i trent’anni. E’ indispensabile garan-tire a tutti i cittadini una preparazione adeguata nell’affrontare situazioni di emergenza”. “E lo si può fare solo imparando le tecniche elementari di primo soccorso, ini-ziando a scuola”, sotto-linea il senatore del Pdl Luigi D’Ambrosio Let-tieri. Che le tecniche di primo soccorso debbano diventare “un bagaglio di conoscenza comune e diffusa” è convinto anche il deputato del Pdl Giu-seppe Galati, anch’egli primo firmatario di una proposta di legge. “E’ giusto fornire ai ragazzi una preparazione ade-guata in questo campo, rendendoli coscienti dei rischi e dei benefici di manovre corrette o sba-gliate in caso di primo soccorso. Far comprende-re l’importanza di queste tecniche e formare i gio-vani all’intervento emer-genziale è anche un salto di civiltà”.

firmatario di una delle iniziative di legge, “rap-presenta sicuramente il miglior investimento che uno Stato moderno può realizzare ai fini dell’ef-fettiva prevenzione delle malattie e delle errate abi-tudini comportamentali”. Un ‘investimento’, dun-que, che, a giudizio dei parlamentari che hanno depositato le proposte di legge, consentirebbe di salvare non poche vite. I calcoli li fa il deputato del Pd Gerolamo Grassi, anch’egli primo firma-tario di una iniziative di legge per l’insegnamento delle tecniche di primo soccorso a scuola. “Ogni anno in Italia, spiega, sono almeno 60mila le vittime

paziente non traumatizza-to (Fa), di defibrillazione precoce semiautomatica (Ed) e di primo soccor-so nelle grandi emergen-ze (Bdc). Al termine dei corsi obbligatori e facol-tativi è previsto un esame che ‘abilita’ gli studenti a prestare aiuto in caso di necessità, rispettando così l’articolo 593 del co-dice penale che impone al cittadino l’obbligo di prestare soccorso. Ma il cittadino, sottolineano i firmatari delle proposte di legge, deve sapere come si fa, altrimenti può solo provocare ulteriori danni. L’insegnamento dell’edu-cazione all’emergenza sa-nitaria, osserva il leghista Davide Caparini, primo

A scuola con bende, garze e defibrilla-tore. Maggioranza

e opposizione vogliono rendere obbligatorio l’in-segnamento delle tecni-che di primo soccorso alle medie e al liceo. Quattro le iniziative di legge, tre alla Camera ed una al Senato, presentate da Pdl, Pd e Lega per insegnare ai ragazzi come com-portarsi nelle emergenze sanitarie. Previsti corsi obbligatori, tenuti da per-sonale specializzato, di supporto di base alle fun-zioni vitali (Bls) e di pri-mo soccorso al paziente traumatizzato (Btc). Fa-coltative, invece, secondo le proposte di legge, le le-zioni di primo soccorso al

La scuola dal di dentrodi Alberto Ciapparoni

Da Milano a Roma, da Napoli a Bo-logna registrano il tutto esaurito e sono una novità degli ultimi

anni: si tratta dei corsi universitari de-dicati alla storia e alla sociologia delle organizzazioni criminali. Fino al 2002, negli atenei italiani si poteva trovare al massimo qualche corso di “Legislazione

antimafia” riservato agli specialisti del diritto. oggi invece da Milano a Roma, da Napoli a Bologna è possibile frequen-tare corsi in cui si spiega a tutto tondo ad analizzare mentalità e struttura or-ganizzativa della mafia e a conoscerne la storia e i crimini. Lezioni che regi-strano il tutto esaurito: “Quando entrai nell’aula per la prima volta, nel 2004, e vidi 400 studenti rimasi sbalordito”, ricorda Enzo Ciconte, ex membro della Commissione giustizia del Parlamento e professore di storia della criminalità organizzata all’università Roma Tre. E Il tema è al centro di un’inchiesta pubblicata da Terre di mezzo, street magazine che ha monitorato i vari corsi accademici attivi lungo lo stivale.

Aumentano i corsi di laurea dedicati alla mafia

Tutti a lezione di primo soccorso

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Pisa, con il contributo di Gesturist e del Comune di Cesenatico.I primi classi-ficati parteciperanno ad uno stage e si contende-ranno una maglia tricolore per la finale mondiale in calendario dal 13 al 24 lu-glio ad Amsterdam (Olan-da). L’Italia, 11/a nella graduatoria mondiale dei ‘cervelloni’, punta ad en-trare nella top ten.

Liceo scientifico ‘Righi’ di Cesena, che ha conqui-stato la medaglia d’oro ed è settima in classifica. Al-le Olimpiadi di Matemati-ca hanno partecipato circa 300 studenti, selezionati su 300.000 in tutta Italia. La manifestazione è stata organizzata dall’Unione Matematica Italiana e dal professor Roberto Dvor-nicich dell’Università di

Giovanni Barbarino del Liceo scientifico ‘Pietro Farinato’ di Enna. Seguo-no in classifica Federico Glaudo del Liceo scientifi-co ‘Righi’ di Roma, Ales-sandro Pigati del Liceo scientifico ‘Marconi’ di Genova e Damiano Zef-firo dell’Istituto ‘Masotto’ di Vicenza. La prima don-na è romagnola: Letizia Angeli, studentessa del

Nei pr imi quat t ro posti dei ‘cervello-ni’ italiani ci sono

tre studenti capitolini. La competizione , che si è svolta alla colonia Agip di Cesenatico, è stata vinta da Federico Borghese del Liceo scientifico ‘Farnesi-na’ di Roma con 31 punti; al secondo posto Guido Lido del Liceo scientifico ‘Avogadro’ di Roma, terzo

Sono 294 le istituzioni scolastiche italiane all’estero: 183 scuole italiane e 111 sezioni italiane presso scuole straniere, internazio-

nale ed europee. Dall’Africa all’America, dall’Asia all’Europa non sono più solo ‘dedicate’ ai nostri connazionali che hanno lasciato l’Italia o ai loro figli. Sono infatti anche frequentate anche da citta-dini dei paesi ospitanti, divenendo sempre più vere e proprie ‘ambasciatrici’ della nostra lingua, cul-tura e tradizioni. La lingua di Dante è, infatti, al 19° posto tra quelle parlate e ‘sale’ al quarto tra le più richieste. Il personale di ruolo impegnato nelle diverse scuole è composto da circa 1.100 unità. La maggior parte del personale impiegato nelle isti-tuzioni scolastiche italiane all’estero lavora in Eu-ropa. Al secondo posto l’Africa, al terzo l’America dove il personale di ruolo è impegnato soprattutto nelle scuole legalmente riconosciute.

Si è svolto in Liguria il primo corso dedicato al metodo ‘Montessori’ per formare 30 educatori nell’insegnamento dei bambini da 0 a 6 anni.

Il corso, che era rivolto a docenti delle scuole dell’in-fanzia, delle primarie e delle sezioni primavera di Genova e Sanremo, articolato tra 300 e 500 ore di lezioni teoriche, ha formato gli educatori attraver-so il metodo della famosa pedagogista italiana d’inizio Novecento Maria Montessori. ‘’Finanziato con 60.000 euro dalla Regione Liguria e riconosciu-to dall’opera Nazionale Montessori - ha spiegato l’assessore regionale Rossetti - il corso aveva come obbiettivo quello di migliorare l’offerta formativa in Liguria, prima Regione d’Italia a dedicare un iter formativo al metodo scientifico Montessori ri-conosciuto in tutto il mondo’’.

Matematica, la 27a olimpiade parla romano

Quando l’Italia sale in cattedra all’estero

Corso in Liguria per educatori“Montessori”

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accedere all’Its, i posti a disposizione sono 25, si dovrà rispondere ad un bando dove è necessario possedere il diploma di scuola media secondaria. “Ogni mese l’Istat suo-na campanelli d’allarme sempre più forti - ha af-fermato il presidente della Provincia, Guerino Testa -. Ogni mese sindacati e imprese si interrogano su come aiutare le nuove ge-nerazioni a imboccare la strada verso il lavoro. Per-ché sul mercato domanda e offerta faticano a trova-re un punto di equilibrio. Alla luce di questo, pre-sentiamo il nuovo sistema di istruzione e formazio-ne tecnica superiore e la costituzione dell’istituto tecnico superiore dedi-cato al settore tessile e calzaturiero”. E a noi non resta che fare un grandis-simo bocca in lupo!

di commercio di Pescara, la Cna, l’Antica sartoria di Pescara, De Tomas di Pe-scara, Gianofi confezioni di Chieti, enti come Pia-neta formazione e Enfap. Il presidente della Fon-dazione è Daniele Becci, attualmente a capo della Camera di commercio del capoluogo adriatico. Per

Italy-settore moda. L’istitu-to è sostenuto da una fon-dazione di partecipazione composta dalla Provincia di Pescara, dall’istituto tec-nico ‘Manthone’’ di Pesca-ra (che sarà sede dell’Its) e ‘Pomilio’ di Chieti, la facoltà di Economia e commercio dell’Università D’Annunzio, la Camera

Si tratta di una novità assoluta sul territorio regionale che vedrà

ufficialmente la nascita a settembre 2011 con corsi di durata biennale. E’ sta-to presentato dunque alla Provincia di Pescara, il primo Istituto tecnico su-periore (Its) per le nuove tecnologie per il Made in

A Pescara nella moda vince il ‘made in Italy’

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Obiettivo docente

Il piano dell’offerta fomativa: esige la domanda dei genitori

Il Piano dell’offerta formativa è un termine di non facile com-prensione per i genitori; lo è ancor meno il curioso acronimo POF. Ep-pure il significato del nome è per loro un’opportunità di particolare interesse.

Infatti la nuova dizione serve ad indicare che il programma delle attività della scuola non è più im-posto dal Ministero, e neppure che può essere definito unilateralmente dalla scuola, ma che deve configu-rarsi come “un’offerta ai ragazzi ed alle famiglie”. Un’offerta che, per essere tale, ha bisogno di una domanda da parte delle famiglie a cui intende rispondere nel modo così puntuale e qualificato da su-scitare consenso e soddisfazione di ragazzi e genitori.

I l nuovo nome del vecchio programma fa intuire, quindi, il proposito di instaurare un’imposta-zione nuova del rapporto famiglia – scuola, coerente con le riforme, che sono stati introdotte in questi anni a livello normativo, ma che non sono ancora state assimilate e concretizzate in comportamenti e atteggiamenti coerenti di docenti e genitori. Quando, ad esempio, la scuola si definisce per legge “siste-ma educativo di istruzione e di for-mazione” si assume l’impegno di educare che, per le sue valenze più vaste del semplice istruire, chiama in causa la necessità di una collabo-razione più intensa e paritaria con le famiglie, che restano in ogni caso la

prima agenzia educativa. La stessa riforma dell’autonomia non implica affatto la libera iniziativa, quasi autarchica, della singola scuola, ma impone l’incontro e l’accordo delle tre libertà: quella di insegnare dei docenti, quella di imparare degli allievi e quella di educare delle fa-miglie. Il POF dovrebbe costituire, appunto, il documento dell’accordo educativo, sancito tra famiglie che hanno espresso le loro richieste e la scuola che si impegna a fornire risposte conseguenti e qualificate. Il dettato di legge è sufficientemen-te chiaro, ma le difficoltà nascono al momento di trovare le modali-tà e le procedure più efficaci per concretizzarlo.

Quando il piano dell’offerta for-mativa viene presentato, al mo-mento delle iscrizioni, i genitori si ritrovano pure sorpresi ed am-mirati nel leggere quanto si fa e si intende fare per i loro figli. Molte scuole attivano numerose iniziative di approfondimento e di recupe-ro, introducendo attività che vanno dalla musica al teatro, allo sport, alle nuove tecnologie.

Persiste, però, un grosso limite: i genitori sono scarsamente coinvolti e devono per lo più prendere atto di un documento, magari ben fatto e condivisibile, ma dove non tra-spare un loro specifico contributo. Ne sono i destinatari, senza aver effettive possibilità di un suggeri-mento o di una replica. Rimango-no utenti passivi, senza parola né

ruolo significativo nell’educazione scolastica dei figli.

La scuola, da parte sua, conferma una procedura che risulta parados-sale: si ritrova a decidere a prio-ri l’offerta, prima ancora di aver ascoltato la domanda. Nessun’al-tra agenzia, in altro set tore, potrebbe permettersi questo, senza incorrere in gravi rischi e con grave dispendio di r isorse. Nell’isti-tuzione scolastica questo è possibile perché da sempre è stata la scuola a decidere i program-mi e questa abitudine si perpetua, nonostante che le norme da anni abbiano stabilito procedure diverse e coerenti con i cambiamenti, che si sono verificati a livello sociale e culturale. I genitori, dal canto loro, non sono consapevoli delle novità e non sono in grado di intavolare un reale confronto con l’istituzio-ne scolastica. Sono ancora pochi i casi in cui ci sia un gruppo o un’as-sociazione che si faccia avanti nel chiedere un incontro, nel suggerire indicazioni, nel definire iniziati-ve da realizzare insieme. Eppure il Regolamento dell’autonomia pun-tualizza con chiarezza l’itinerario da seguire per arrivare ad un Piano che sia condiviso e coinvolga tutte le componenti: docenti, genitori e studenti.

Il primo organismo chiamato in causa è il Consiglio di Istituto/Circolo, dove siedono, appunto, i

Il PoF esigela domanda dei genitori

di Giuseppe Richiedei

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Obiettivo docente

Consiglio di Istituto spetta, poi, al Collegio docenti stendere, meglio ancora, aggiornare il Piano dell’of-ferta formativa, che, dopo essere tornato in Consiglio di Istituto/Cir-colo per l’adozione finale, viene distribuito alle famiglie e diventa punto di riferimento per le attività dell’anno successivo.

Dal confronto corretto e rinno-vato tra scuola e famiglia può sca-turire effettivamente quel “patto educativo”, raccomandato dalle norme, che riesca a trovare punti di equilibrio tra le differenti ma complementari istanze, puntua-lizzando gli interventi dei docenti e quelli dei genitori, in un comu-ne impegno di corresponsabilità nei riguardi dell’allievo.

Se la finalità ultima dell’edu-cazione non è quella di costruire un cervello imbottito di informa-zioni, ma persone in grado di cre-scere in autonomia, con senso di responsabilità e disponibili alla collaborazione positiva con gli al-tri; se occorre “insegnare alcune cose bene e a fondo, non molte co-se male e superficialmente; se si deve avere il coraggio di scegliere e di concentrarsi sugli aspetti es-senziali”, risulta evidente il ruolo importante che anche i genitori possono continuare a svolgere, in alleanza con la scuola, per l’edu-cazione integrale dei figli.

Fare proposte, pèrò, che siano coerenti ed efficaci nel riqualifica-re il servizio scolastico non è cosa facile per i genitori. Non bastano domande generiche, né proteste ripetute e neppure richieste disar-ticolate; alle associazioni e agli or-ganismi dei genitori è demandato il compito di puntualizzare una proposta comune e significativa di “cooperazione”.

La proposta di gruppo dovrà ad un tempo tener conto delle ri-chieste individuali già espresse dai genitori nel momento delle iscri-zioni o delle assemblee e trovare la mediazione che contemperi le diverse esigenze e sia rispondente alle effettive possibilità della scuo-la, che sia concreta non eludibile e che sia verificabile periodicamente durante l’anno.

Altro impegno non facile è quel-lo di riuscire a distinguere, senza separare, le competenze didattiche degli insegnanti e quelle educative dei genitori, per evitare interferen-ze e confusioni. Agli insegnanti spetta soprattutto l’attenzione ai contenuti e alle metodologie dell’apprendimento, ai genitori so-prattutto l’attenzione ai figli, per gli aspetti affettivi, relazionali, comportamentali.

Tenendo conto delle proposte delle associazioni dei genitori e al-la luce degli indirizzi generali del

rappresentanti di tutte le compo-nenti. Ad esso la norma attribuisce il compito di definire gli indirizzi generali da seguire nella stesura del Piano. Il momento opportuno per fare questo potrebbe essere a fine anno, quando lo stesso Con-siglio deve approvare la Relazio-ne annuale, dove, per tradizione, si annotano le attività svolte dalla scuola e si mettono in risalto le ca-renze e gli interventi migliorativi possibili. Proprio questi interventi migliorativi potrebbero costituire “gli indirizzi generali” a cui il col-legio docente dovrà attenersi nello stendere il Piano nei primi mesi dell’anno successivo.

Sempre in previsione della Re-lazione conclusiva di fine anno potrebbero essere convocati i Con-sigli di classe e le associazioni dei genitori perché svolgano una ri-flessione conclusiva sull’anno tra-scorso, in modo da esplicitare le difficoltà incontrate e identificare proposte per il loro superamento.

Va sottolineato che è la stessa normativa a prevedere che siano le associazioni e gli organismi dei genitori e degli studenti a presen-tare al collegio dei docenti le pro-prie proposte. Proposte di cui gli insegnanti “devono tener conto” in modo puntuale nel momento in cui definiscono nei dettagli il piano delle attività.

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Obiettivo docente

La nostra società è in conti-nuo mutamento per cui ogni suo aspet to deve t rovare

risposte sempre più idonee ed immediate. In questo turbinio, fondamentale è il mantenere o il raggiungere una buona salute fisica e mentale che non deve es-sere solamente affidata al settore sanitario ma deve essere attuata da ogni individuo. Affinché que-sto possa realizzarsi è necessa-rio che ogni soggetto attinga alle proprie risorse interiori che pos-sano essere utili per il proprio vivere quotidiano. Le nostre ca-pacità di vita subiscono, durante lo sviluppo, numerose influenze ambientali (famiglia d’origine, scuola, amicizie, lavoro) che in-cideranno sul proprio potenziale di salute e di benessere. Da qui nasce la necessità di fornire ap-prendimenti utili per affrontare al meglio il vivere quotidiano. La scuola svolge in tutto questo un ruolo fondamentale in quanto l’OMS (Organizzazione Mondia-le della Sanità) afferma che essa

deve dare l’opportunità ad ogni bambino ed adolescente di svi-luppare le proprie competenze (skills) relazionali ed emoziona-li necessarie per la gestione dei rapporti interpersonali, in modo da poter affrontare le sfide che si possono presentare.

Ma come è possibile realizzare tutto questo?

Mettendo in prat ica il Pro-gramma sulle Life Skills indetto dall’OMS che mira a incorag-giare l’insegnamento di queste abilità che sono date molto spes-so per scontate. Le Life Skills sono considerate essenziali per la crescita sia dei bambini che degli adolescenti non solo quel-li a rischio o che hanno proble-mi. Poiché esse contribuiscono all’instaurarsi di un comporta-mento sano, di relazioni positive e al raggiungimento di un benes-sere mentale dovrebbero essere insegnate il più precocemente

possibile, prima che s’instaurino comportamenti negativi.

Questo tipo d’interventi sono fondamentali in un’ottica pro-attiva e preventiva basata sulle teorie di supporto allo sviluppo del bambino e dell’adolescente. L’adulto, quindi, svolge e deve svolgere un ruolo di accompa-gnamento e di sostegno nelle fasi evolutive dell’infanzia e dell’ado-lescenza, al fine di permettere la piena espressione delle capacità e potenzialità presenti in ogni in-dividuo. Si tratta di un approccio innovativo rispetto a quello clas-sico che puntava ad affrontare esclusivamente i comportamenti in fase critica.

Introdotto a metà degli anni ’80, il programma completo delle “life skills” si è sviluppato in In-ghilterra, in Canada, in Australia e negli Stati Uniti; in 6 anni si è allargato ad altri 30 Paesi, adat-tando i programmi alle esigenze del posto. Questo tipo di approc-cio ha trovato poco riscontro in Italia dove esperienze similari

di Terry Bruno

Le competenze per la vita

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sono inserite in program-mi d i peer educat ion o in progetti che riguardano l’educazione socio-affettiva o emotiva.

I l p e r c o r s o p r e s e n t a t o dall’OMS abbraccia 3 settori: co-gnitivo (problem solving, deci-sion making, creatività), emotivo (empatia, gestione dello stress) e comunicativo-relazionale (capa-cità relazionali).

Esaminiamole in dettaglio:- Decision making, la capacità

di prendere decisioni in modo consapevole;

- Problem solving, la capacità di risolvere i problemi in modo costruttivo;

- Creatività, trovare soluzioni in modo originale;

- Se n s o c r i t i c o , l a c a p a c i -tà di analizzare e valutare le situazioni;

- Comunicazione efficace, il sa-persi esprimere in modo verba-le e non verbale;

- Skills nelle relazioni interper-sonali, mettersi in relazione in modo positivo con gli altri;

- Au t o c o s c ie n z a , c o n o s c e -re se stessi, che è alla base dell’autostima;

- Empatia, la capacità di com-prendere ed ascoltare l’altro;

- Gestione delle emozioni, essere in grado di riconoscere e con-trollare le proprie emozioni;

- Gestione dello stress, conosce-re e controllare le origini delle tensioni. In seguito a numerosi lavori

condotti in varie scuole di Roma, ho avuto modo, insieme ad altri

c o l l e -ghi della Earth-Nlp,

di rendermi conto quanto i ragazzi

siano in uno stato spesso di confusione, di demoti-vazione, di non ascolto dell’altro e soprattutto di una non cono-scenza di se stessi e delle pro-prie emozioni. Abbiamo, quindi, presentato un intervento destina-to alla formazione e all’orienta-mento degli studenti della III B (classe pilota) della Scuola Media inferiore del Convitto Nazionale “Vittorio Emanuele II” di Roma. Tale intervento

ha l’obiettivo di potenziare le Life Skills attraverso un percorso interattivo basato su strumenti pratici di sperimentata eff ica-cia, come il circle time, il role play, giochi e attivazioni in gra-do di stimolare e mantenere vive l’attenzione e la concentrazione dei ragazzi. Durante gli incon-tri vengono utilizzati trailers di f ilmati con la funzione di me-tafora, in modo da veicolare al meglio i messaggi che si voglio-no inviare.

L’intervento è ancora in corso di svolgimento e la risposta dei ragazzi è molto positiva, con una partecipazione attiva da parte di tutti.

Molto interessante è s t ato l’incontro sulla gest ione del-le emozioni, durante il quale i ragazzi hanno avuto modo di sper imentare, at t raverso una

rappresentazione non verbale delle emozioni (espressione del viso, gestualità e postura, sen-za alcun uso delle parole) come ognuno pensa di esprimere una determinata emozione ma spes-so ne viene percepita un’altra. L’obiettivo è stato quello di di-mostrare come le proprie espe-r ienze passate inf luenzano il nostro modo di percepire la real-tà e come esse possano determi-nare incomprensioni e conflitti. I ragazzi si sono messi in gioco e sono rimasti colpiti proprio dalla differenza tra ciò che si pensa di esprimere e ciò che viene per-cepito. Abbiamo raggiunto tale risultato facendo esprimere la stessa emozione a ragazzi diversi senza che ognuno sapesse quale emozione stesse rappresentando l’altro. Il restante gruppo classe è stato diviso in due sottogruppi in antagonismo tra loro. Ad ogni interpretazione esat ta è stato assegnato un punto, con lo sco-po di motivare i ragazzi ad una maggiore attenzione ed interesse positivo al gioco proposto.

Alla fine del percorso si sot-toporranno i ragazzi ad un test di verifica per valutare le loro relazioni empatiche con i geni-tori, i coetanei e gli insegnanti, tenendo conto delle competenze di vita oggetto dell’intervento stesso.

Questo progetto non si sarebbe potuto realizzare se non ci fosse stato il contributo attivo dell’in-segnante d’italiano della classe presa in esame e del Rettore che è molto attento a tutto ciò che ri-guarda il benessere degli studen-ti. La life skills education porta risultati positivi, soprattutto nei programmi a lungo termine, per cui questo tipo d’iniziative ri-sultano essere auspicabili per il benessere e la salute delle nuove generazioni.

*Psicoterapeuta e Trainer in Pnl

Obiettivo docente

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CASIO Italia, in collaborazio-ne con la Società Italiana di Scienze Matematiche e Fisiche

MATHESIS, ha offerto a docenti ed esperti di matematica la giusta occasione per confrontarsi con al-cuni professori europei e con al-cuni membri del Ministero dell’Istruzio-ne su un tema ormai dibat-tuto da anni: l’uso degl i s t r u m e n t i tecnologici a suppor to delle lezioni d i m a t e r ie scientifiche. I l 6 m a g -g i o 2 0 11 , 60 docent i e mat ema-tici italiani hanno preso parte al congresso “matematica e Tecno-logie: esperienze europee a con-fronto”, tenutosi a Roma presso l’Istituto Tecnico per il Turismo “C. Colombo”.

“Nelle finalità del congresso non ci sono se”, ha esordito l’Ispettore Ambrisi, membro del Ministero e presidente della Mathesis, “chie-dersi se gli strumenti di calcolo sia-no utili o no per l’apprendimento della matematica apparirebbe del tutto pleonastico nel secolo della

tecnologia. E ancor più superfluo sarebbe chiederlo riguardo alla ma-tematica, la cui aspirazione è stata da sempre quella della meccanizza-zione delle sue procedure”. Lo stes-so Leibniz, filosofo e matematico del XVII secolo, affermò che “non

è conveniente che gli uomini di ge-nio perdano tempo facendo calcoli che potrebbero essere affidati alle macchine”. Citazioni simili, ha sot-tolineato l’Ispettore, si ritrovano in ogni periodo storico con altrettanti adeguati e pertinenti riferimenti.

Con questo congresso, CASIO Italia ha voluto dare l’opportunità di discutere su un tema aperto da alcuni decenni, al quale tuttavia non era mai stato dato lo spazio adeguato.

Sebbene l’uso di alcuni strumenti

di calcolo, quali le calcolatrici grafi-che e programmabili, non sia anco-ra permesso agli esami di stato, il vantaggio apportato dagli strumen-ti di calcolo è in Italia già ampia-mente riconosciuto nei programmi di insegnamento ministeriale, tanto

che nelle indica-zioni nazionali del primo ciclo di istruzione è espli-citamente scritto che “l’uso consa-pevole e motiva-to di calcolatrici e del computer deve essere inco-raggiato oppor-tunamente fin dai primi anni della scuola primaria, ad esempio per verificare la cor-rettezza di calco-

li mentali e scritti e per esplorare i fenomeni del mondo dei numeri e delle forme”. Viene inoltre speci-ficato che “al termine del percorso liceale lo studente padroneggia i più comuni strumenti software per il calcolo, la ricerca e la comuni-cazione in rete, la comunicazione multimediale, l’acquisizione e l’or-ganizzazione dei dati, applicandoli in una vasta gamma di situazioni, ma soprattutto nell’indagine scien-tifica, e scegliendo di volta in volta lo strumento più adatto”.

CoME Può L’INSEGNAMENTo TRARRE VANTAGGIo

DALLE TECNoLoGIE?

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o studio universitario nei quali gli studenti si troveranno ad operare. In ambito lavorativo ed universi-tario, infatti, l’introduzione delle innovazioni tecnologiche è avve-nuta ormai da diversi anni e “non possiamo far uscire gli studenti da

meno “scolastico”. La stessa Dott.ssa Carmela Palumbo, Direttore Generale degli Ordinamenti Sco-lastici del MIUR, ha spiegato la necessità di un insegnamento del-la matematica sempre più legato agli ambiti di impiego e di ricerca

Come ha fatto notare il Profes-sor Sbordone, docente dell’Univer-sità di Napoli Federico II e socio dell’Accademia dei Lincei, la com-plessità della matematica richiede un’immaginazione tale che, senza l’uso di strumenti digitali, nessuno sarebbe in grado di rendersi conto di cosa sia realmente una funzio-ne. Lo dimostrano tutte quelle fun-zioni costruite con metodi iterativi difficilmente visualizzabili, le cui tangenti risultano impossibili da tracciare.

L’uso delle tecnologie in ambi-to scientifico è di fondamentale importanza perché si guardi al-la matematica con un approccio

Il Prof. Coudert insegna in un liceo professionale nel nord della Francia, liceo nel quale un ruolo fondamentale è affidato alle numerose part-

nership instaurate con le aziende che danno agli studenti l’opportunità di svolgere uno o due mesi di stage all’anno. Supportare gli studenti per il loro fu-turo inserimento nel mondo del lavoro è infatti uno degli obiettivi principali dell’Istituto St. Vincent de Paul di Versailles. Per quanto concerne l’insegnamento della matema-tica, tutti i problemi proposti agli studenti traggono spunto dall’ambito professionale di riferimento, in modo che i ragazzi possano non solo imparare no-zioni teoriche, ma anche riuscire ad affrontare si-tuazioni pratiche e concrete con le quali si dovranno scontrare nel loro prossimo futuro.

Lezioni di matematica “digitali”: quali competenze devono essere raggiunte dagli studenti?Capacità di dimostrare ciò che hanno appreso du-rante le lezioni, proponendo congetture attraverso l’uso delle calcolatrici grafiche e del computer;Mostrare il corretto utilizzo della calcolatrice grafi-ca e del computer;Capacità di usare e mostrare l’utilizzo delle funzioni;

Esperimento effettuato nel liceo professionale St. Vincent de Paul, a.s. 2010/2011

obiettivo dell’esperimento condotto dal Prof. Coudert da settembre 2010 a giugno 2011 è quello di far testa-re e apprezzare agli studenti la calcolatrice CASIo 25 + Pro, calcolatrice grafica sviluppata specifica-tamente per il sistema scolastico francese. Per permettere lo svolgimento del progetto, CASIo Francia ha fornito a 60 studenti e ai loro professori la calcolatrice CASIo 25 + Pro, in modo che gli stu-denti potessero utilizzarla durante tutte le ore di lezione. Secondo il regolamento, tutti gli studenti devono essere in grado di rispondere alle domande rivoltegli e di risolvere problemi scientifici e mate-matici. Inoltre, prima dell’inizio dell’esperimento, è stato richiesto a tutti gli studenti di partecipare ad un corso di formazione su quattro principali applica-zioni: RuN, TABLE, GRAPH e EQu.A un mese dal termine del progetto, i primi feedback riportano che:La calcolatrice grafica CASIo 25 + Pro è specifica per i programmi di maturità;Circa 6 lezioni sono state completamente dedicate al training per l’utilizzo della calcolatrice;Gli studenti hanno imparato rapidamente ad utiliz-zare il menù e selezionare un’applicazione, renden-dosi conto dell’utilità di una calcolatrice grafica;La maggior parte degli studenti è ora in grado di cal-colare il valore di una funzione con i programmi RuN e TABLE, ed è capace di usare l’applicazione EQu per risolvere equazioni quadratiche;Alcuni studenti hanno riscontrato difficoltà nella de-finizione di finestre per il disegno delle funzioni.

Prof. Yves Coudert, Liceo Professionale St. Vincent de Paul, Versailles

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dal direttore Palumbo, gioca un ruolo essenziale l’interdisciplina-rietà: “la matematica deve necessa-riamente collegarsi all’informatica, alla medicina, all’ingegneria, alle scienze della terra…”.Collegare la matematica all’uso delle tecnologie significa, in tale contesto, avviare una collaborazione tra gli insegnan-ti e le università, le associazioni

essere acquisite? Il compito degli strumenti, in quanto tali, è e deve essere quello di porsi al servizio del fine che ci si propone. È opportuno insegnare la matematica in modo che gli studenti possano coglierne non solo l’aspetto teorico, ma anche l’uso pratico che si può farne nella risoluzione dei problemi quotidia-ni. In quest’ottica, come precisato

un quinquennio di scuola superio-re non preparati ad affrontare lo studio e il lavoro che verrà svolto con l’ausilio di questi strumenti”, conclude il direttore. È giusto quin-di dire allo studente di usare carta e penna, quando la prima cosa che gli verrà chiesta una volta termi-nati gli studi, sarà quella di sedersi davanti ad un computer? Il Prof. Sbordone è convinto di no.

La dott.ssa Palumbo ha dichia-rato che la direzione degli ordina-menti scolastici sta volgendo una grande attenzione ai problemi dell’apprendimento, in particolare dell’apprendimento della matema-tica, e annunciato una serie di ini-ziative al riguardo.

L’attenzione deve dunque essere posta su alcuni quesiti basilari: che cosa si vuole valutare? Quali devo-no essere i traguardi dall’apprendi-mento? Quali competenze devono

“È tempo di una matematica più colorata con l’uso degli strumenti digitali”, è questo il centro del messaggio del Professor Tor An-

dersen, membro del Centro Norvegese per l’Istruzione Matematica. Ciò che colpisce maggiormente del suo intervento è l’approccio creativo con il quale il Prof. Andersen gestisce l’insegnamento della matematica. All’inizio della sua presentazione ci mostra numerose imma-gini: il sole, una farfalla, un bacio che rimanda al clima romantico della città di Roma (sede dell’evento) e persino la terra… Ma non si tratta di immagini qua-lunque… si tratta di funzioni! Funzioni che, grazie al supporto degli strumenti digitali, prendono vita tra-sformandosi negli oggetti più stravaganti. (foto)“L’esplorazione e la sorpresa stimolano e nutrono la motivazione di ogni essere umano, inclusi gli studen-ti”, ha sottolineato il professore, “senza strumenti di-gitali è impossibile esplorare la matematica”. Alcuni esercizi di regressione sono difficili da risolvere senza uno strumento digitale e risolverli “a mano” sarebbe un lavoro laborioso e dispendioso. La stessa Commis-sione Europea per la Cultura Educativa sostiene che senza conoscenza tecnologica i cittadini europei non

possono né essere parte integrante della società, né acquisire le conoscenze e le competenze necessarie per vivere nel XXI secolo.

Quali sono i vantaggi dell’utilizzo di una calcolatrice grafica con CAS (Computer Algebra System)?Migliore comprensione della matematica da par-te degli studenti, che risultano più motivati e più competenti;Aumento della sicurezza degli studenti nella risolu-zione dei problemi matematici e scientifici ed aumen-to dell’elasticità nell’utilizzo di moderni metodi di lavoro;Nuovi e migliori strumenti a disposizione dei professo-ri per preparare gli studenti ad affrontare i problemi della vita reale.

“La mia esperienza”, conclude il Prof. Andersen, “è che l’uso delle tecnologie nell’insegnamento della mate-matica dà ai professori un nuovo stimolo per promuo-vere l’apprendimento. La chiave per il successo resta comunque la pianificazione e l’integrazione della tec-nologia con la didattica tradizionale”.

Prof. Tor Andersen, Norvegian Centre for Mathematics Education

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che CASIO Italia si era preposta nell’organizzazione del suo primo congresso italiano.

il comune obiettivo di rendere la matematica “qualcosa di reale”.

Questo è esattamente l’obiettivo

professionali e le imprese, perché si giunga ad una reciproca “conta-minazione” che aiuti a raggiungere

L’uso delle calcolatrici grafiche con CAS (Computer Algebra System) è comune a molte scuole tedesche. La matematica è considerata parte fondamentale

della cultura generale di uno studente, il cui studio si caratterizza per tre esperienze di base:osservare e capire tutti i fenomeni che ci circondano: dalla natura alla società, passando per la cultura;Capire gli oggetti e i fatti matematici rappresentati dal linguaggio e da simboli, da foto e formule;Sviluppare capacità di problem solving che vanno oltre la matematica.La Germania è una repubblica formata da 16 stati fe-derali, ciascuno dotato di un proprio dipartimento per l’istruzione, che decide in piena autonomia le modalità di svolgimento e i contenuti dell’esame di stato. Tutti i diversi stati devono soddisfare determinati standard e perseguire obiettivi comuni, con il risultato che un nu-mero sempre crescente di esami è improntato sull’uso della calcolatrice grafica con o senza CAS.

Generalmente, l’esame si compone di due parti: una prima parte, della durata di 60 minuti, da svolgere sen-za l’uso di alcuno strumento; una seconda parte, della durata di 180 minuti, comprendente un problema da ri-solvere attraverso l’uso di una calcolatrice grafica con CAS. Secondo i risultati di alcuni studi empirici condotti in Ba-viera, l’uso di calcolatrici con CAS ha mostrato:Il cambiamento della routine quotidiana nelle classi, con lavori di gruppo e discussione sulle procedure usate durante le lezioni;La presentazione dei risultati attraverso l’uso di un proiettore, che ha sviluppato nuove competenze degli studenti: comunicazione, argomentazione, scelte diver-sificate di rappresentazione e di problem solving;Il miglioramento del rendimento di tutti gli studenti, an-che di quelli con difficoltà;La scelta non immediata del CAS, dovuta alla difficoltà di utilizzo dello strumento da parte degli studenti.

Prof. Karel Tschacher, Dipartimento di Matematica dell’Università F.A. Erlangen Nürnberg

Al congresso hanno partecipato anche gli inse-gnanti e ad alcuni studenti delle classi pilota che hanno aderito al progetto lanciato CASIo Italia

per l’a.s. 2010/2011 e che ha dato la possibilità al Prof. Giordano dell’I.I.S. “Sani-Salvemini” di Latina e al Prof. Bologna dell’Istituto “Buniva” di Pinerolo di associare ai metodi di insegnamento tradizionali l’utilizzo delle tecnologie in accordo con la certificazione delle nuove competenze introdotte dalla riforma della scuola supe-riore secondaria.Come in Francia, gli studenti italiani delle classi pi-lota hanno usufruito di un programma di prestito di calcolatrici grafiche CASIO con e senza CAS (Compu-ter Algebra System) da utilizzare durante le lezioni di matematica.Attraverso l’utilizzo di questi strumenti tecnologici si è voluto passare dal tradizionale modello di inse-gnamento basato sull’“oggetto”, ovvero incentrato su che cosa insegnare, ad un insegnamento focalizzato sul “soggetto” che apprende e sui relativi processi di apprendimento.

Grazie all’uso delle calcolatrici grafiche CASIO, i do-centi hanno approfondito alcune unità didattiche del programma di fisica e matematica, avvalendosi anche di un videoproiettore portatile presente nel kit fornito a ciascuna classe pilota, attraverso il quale hanno potu-to guidare i propri studenti nell’uso delle calcolatrici e mostrare a tutta la classe lo svolgimento delle attività proposte.

I primi risultati…I primi risultati mostrano che la totalità degli studenti è soddisfatta del progetto e che ha gradito lo svolgi-mento di lezioni di matematica innovative.Malgrado alcune difficoltà di utilizzo, dovute alla scar-sa conoscenza dei dispositivi, la maggior parte degli studenti ha riconosciuto che l’impiego di calcolatrici grafiche ha permesso loro di svolgere calcoli e risolve-re esercizi più complessi rispetto a quelli svolti in pas-sato. Le lezioni sono risultate coinvolgenti, dinamiche e stimolanti, e il rapporto degli studenti con la mate-matica è in alcuni casi migliorato.

Le prime classi pilota italiane

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TAVoLA RoToNDA ECCo I PRoTAGoNISTI:

“La decisione di non usare le calcolatrici grafiche agli esami di stato risale ad alcuni decenni fa ed è tutt’oggi oggetto di discussioni e pareri discordanti”, queste parole dell’Ispettor Ambrisi introducono alla perfezione il tema al centro della tavola rotonda con la quale si è concluso il congresso. Scopriamo come la pensano gli intervenuti…

Prof.ssa Adriana Lanza Liceo Scientifico “Cavour”, (ROMA)

La Prof.ssa Lanza ha usato le calcolatrici soprat-tutto per l’acquisizione dei dati in tempo reale nel laboratorio di fisica, nell’ambito del piano nazionale di informatica. “È stata una delle esperienze più affascinanti che ho potuto fare nella suola” ha esor-dito. Per le sue riflessioni, la Prof.ssa Lanza ha tratto spunto dall’intervento della Dott.ssa Di Rienzo, sotto-lineando il tema della partecipazione dei docenti allo sviluppo delle finalità e delle funzioni dello strumen-to tecnologico. L’atteggiamento diffuso nelle scuole è infatti di diffidenza nei confronti delle tecnologie, proprio perché sono viste come prodotto industriale dal fine puramente commerciale. “La scuola si deve riappropriare del ruolo di ente formatore che detta all’esterno le finalità delle tecnologie didattiche”, ha commentato la professoressa. Vi è una forte spacca-tura tra una didattica in continua evoluzione e un si-stema d’istruzione estremamente rigido che fa uso di prassi operative fondamentalmente statiche. In questo contesto, riaprire un dibattito che possa portare ad un punto di equilibrio tra i due approcci è essenziale per il miglioramento della didattica.

Prof.ssa Elisabetta LorenzettiLiceo Scientifico “Paleocapa” (RO)

“L’uso degli strumenti digitali è fondamentale, ma non bisogna forzarlo”, esordisce così la prof.ssa Lorenzetti nel suo intervento della tavola rotonda. È importante che l’insegnante sappia come utilizzare lo strumento e che lo utilizzi in relazione all’argomento e alla classe di riferimento. La tecnologia è utile sia per i docenti che per gli studenti: per i primi è un aiuto nel difficile compito di insegnare, per gli ulti-mi nell’altrettanto difficile compito di apprendere. In particolare, gli strumenti tecnologici dovrebbero essere utilizzati per svolgere calcoli complicati e ripetitivi; tracciare grafici per individuare le pro-prietà delle funzioni; studiare la geometria piana e solida (quest’ultima di difficile rappresentazione); risolvere graficamente le equazioni e disequazioni. Gli strumenti digitali, attraverso le rappresentazioni dinamiche e visive dei concetti, aiutano gli studenti nell’apprendimento.

Avere inoltre un mezzo tecnologico come le calcola-trici a disposizione in qualunque momento, permette di trasformare ogni lezione in una lezione laboratoria-le, evitando tutti quei problemi logistici e di tempisti-ca connessi all’uso dei tradizionali laboratori.

Prof. Michelangelo Di Stasio Liceo Scientifico “Galileo Galilei” Piedimonte Matese (CE)

Il Prof. Di Stasio, pur essendo favorevole ad una matematica che si avvale di strumenti digitali, ha manifestato alcune perplessità in merito ai rischi che si potrebbero correre con l’introduzione delle tecnologie nella didattica. Eccone un elenco:

Le schermate delle calcolatrici sono poco “accattivanti” e dunque poco attraenti per i ragazzi;La sintassi degli strumenti tecnologici è molto complessa e non è possibile apprenderla nel breve periodo. I ra-

gazzi di oggi sarebbero disposti a dedicargli del tempo? Fino a che punto le calcolatrici sono appetibili per loro?Rischio di assuefazione allo strumento, che può portare al calcolo meccanico e all’utilizzo della tecnologia

anche per i calcoli più semplici. Il calcolo mentale rischierebbe di scomparire.È proprio necessario dare calcoli complessi? Non è meglio dare calcoli semplici da risolvere “a mente” in modo

da evitare che si perda la buona abitudine di riflettere sulle cose? Il rischio dell’uso della calcolatrice sarebbe quello di affidare l’intero calcolo allo strumento, confondendo la profonda comprensione di un concetto con la sua memorizzazione in funzione della sequenza di tasti da schiacciare.

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“A mio parere l’esperienza del congresso è stata molto interessante e diversa dal solito. Sono intervenuti professori di altri paesi

europei e sono rimasta un po’ stupita nel sentire che in questi paesi, da diversi anni nelle classi si lavora come noi abbiamo lavorato solo da quest’anno par-tecipando ad un progetto pilota. Sempre parlando da studente, mi piacerebbe che ciò cambiasse e che si lavorasse così in tutte le scuole italiane. Le lezioni per noi sono più utili e meno noiose”.

(Valentina G . III C L.A. – I.I.S.

“M. Buniva” - Pinerolo)

“Il congresso si è concluso con una domanda molto interessante rivolta ai professori: “Perché insegnate la matematica?” La risposta è stata fornita dall’Isp. Ambrisi attraverso l’interessante mito della creazio-ne di Minerva:

«METIS, dea della mitologia greca, fu la prima moglie di Giove. Era una donna molto intelligente e Giove, invidioso della sua intelligenza, la ingoiò. Metis, che era incinta, quando fu nello stomaco di Giove, partorì Minerva trasferendole la sua intelli-genza. Minerva si liberò uscendo dalla testa di Giove, dimostrando così che l’intelligenza riesce sempre vittoriosa sulla forza».

Questo mito spiega come l’intelligenza prevalga sulla forza fisica. L’intelligenza è una delle più impor-tanti risorse umane, ed essa può esser ampiamente coltivata con la matematica. Si può quindi dire che non siano cose distinte: tutto è matematica, essa è una parte integrante dell’uomo, negarla non signifi-cherebbe altro che negare una parte di sé.

(Andrea P. III C L.A. – I.I.S.

“M. Buniva” - Pinerolo)

“Io sono rimasta particolarmente coinvolta ed emo-zionata da questo evento che considero molto impor-tante. In primo luogo perché per la prima volta si è trattato dell’uso delle calcolatrici grafiche e scienti-fiche come ausilio nello studio della matematica, non ancora sufficientemente praticato nel nostro Paese. In secondo luogo perché ho avuto modo di venire a conoscenza delle realtà europee nelle quali questa esperienza la stanno già vivendo intensamente”.

(Samantha A. IV B L.A. – I.I.S.

“M. Buniva” - Pinerolo)

“Ciò che mi ha colpito è stato l’uso della parola tecnologia. Io penso che questa parola non si riferisca esclusivamente a qualcosa di elettronico, ma faccia riferimento a qualunque novità. La tecnologia è ne-cessaria alla vita, ma tutto sta nel come si sceglie di usarla. Un esempio che non ha nulla a che vedere con la matematica è quello delle armi da fuoco: all’inizio sono state create per difendere, oggi invece, guardan-do un qualsiasi telegiornale, ci si accorge di come quelle stesse armi siano causa di enormi atrocità. La tecnologia ci sarà sempre, come utilizzarla e cosa far-ne spetta alle persone deciderlo”.

(Gaetan - I.I.S. “Sani-Salvemini” – Latina)

LA VoCE DEGLI STuDENTI…

Tutti gli atti del convegno, compresi gli interventi della Prof.ssa Bindo (Presidente Mathesis, sezione Grottaglie), della Prof.ssa Rocca (MIuR), del Dott. Ar-gentin (università Bicocca), del Dott. Vinciguerra (Di-rettore Tuttoscuola) e dei Proff. Giordano e Bologna,

insegnanti delle prime classi pilota aderenti al progetto CASIo, saranno disponibili a breve sul sito www.casio.it.Per maggiori informazioni scrivete al Team CASIo Educational all’indirizzo [email protected].

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L’approfondimento

Siamo ripartiti da zero. Perché ad ogni nuovo Salone, quella sensazione di inadeguatezza

e di incompletezza, per le propo-ste di scuola, per la scuola, sulla scuola, già avanzate e sperimen-tate, anche felicemente, gli anni precedenti, sembra farsi più ossea, gigantesca, marmorea. E allora quest’anno – ed è la frase di ogni anno - abbiamo ‘tentato altro’. Quest’anno, per lo stand del Mi-nistero e dell’Ufficio Scolastico Regionale del Piemonte all’Oval

del Lingotto, ancor più, l’obiet-tivo è stato quello di oltrepassare la fredda compattezza da vetrina che ci imprigiona tutti negli stand, per far ‘vedere’ la nostra scuola: per mostrare in una ‘scatola’ nuo-va la scuola per quella che è, per come ci sembra che sia, e come sta cambiando. Ma anche come, per altri, rimanga immobile o ad-dirittura indietreggi, un granchio

e la marea. In effetti la simbo-logia della scatola, della scuola-contenitore, è un bel rompicapo da cui ripartire ogni anno. Per il tema ufficiale, quello della memoria, ci siamo ripresi le storie, le nostre favole illustri eppure casalinghe, e immaginando la scuola mela verde e acerba (perché ‘il mondo è scuo-la di ricerca’, per Montaigne) ma anche mela rossa di Biancaneve, quella che t’ammala e t’avvelena (e penso al mio amico Danilo, profes-sore attento, paziente e stimolante,

RIPARTEIL SALoNE DEL LIBRo

Le novità del Ministero e dell’ufficio Scolastico Regionale del Piemonte

di Tiziana Catenazzo

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L’approfondimento

verifiche così diverse e cangianti, così ‘strutturate’ ma anche così fragili, che mentre ne parliamo e scriviamo, già sono volate via, di-ventate altro? Visto che, mentre ce

sempre…oggi mi sento davvero a pezzi”). In effetti, com’è possibi-le riportare e tradurre, ogni anno al Salone e in così pochi giorni, realtà e successi, frustrazioni e

come e più di altri, che pure l’altro giorno mi diceva ‘sono a pezzi, occorrerebbe una pausa, dopo 15 anni di scuola ‘vera’, coi ragaz-zi che chiedono e tu che dai, dài

Il dott Francesco de Sanctis, dal di-cembre 2006 è Direttore Generale dell’Ufficio Scolastico Regionale

per il Piemonte. Precedentemente, do-po aver svolto vari incarichi a Roma, nel Gabinetto del Ministero, è stato Provveditore agli Studi di Cagliari e poi Provveditore agli Studi di Milano, dal 1995 al 2001.Nello stesso periodo ha condotto l’ini-ziativa di sperimentazione del nuovo modello organizzativo della Direzione Generale Regionale per la Lombardia i cui esiti sono stati assunti nel rego-lamento di riorganizzazione dell’am-ministrazione centrale e periferica dell’amministrazione della pubblica istruzione tuttora vigente. Ha svolto inoltre la funzione di Direttore Genera-le degli Uffici Scolastici Regionali per il Veneto e per il Lazio.Autore di vari saggi sulla scuola e numerosi articoli su riviste specializ-zate, in particolare sul tema dell’Auto-nomia Scolastica, dell’orientamento e della Formazione dei Docenti.E’ stato docente a contratto presso la Facoltà di Psicologia dell’università “La Sapienza” di Roma e attualmente è docente a contratto presso la Facol-tà di Economia dell’università degli Studi di Torino. Direttore de Sanctis, cosa pensa del Sa-lone di quest’anno? “occasioni come questa somigliano,

seppure vagamente, all’organizzazio-ne del sistema scolastico. Il parallelo mi pare possibile, e viene quasi istinti-vo: pur tenendo conto della specificità e della forte complessità della scuola, entrambi questi sistemi ambiscono alla rappresentazione del tutto, alla comprensività degli aspetti che li ca-ratterizzano. La scuola e il Salone sono un’opportunità di osservazione, a volte chiara e organizzata, a volte labirinti-ca e caleidoscopica, del reale: aspetti di realtà comunque utili, per osserva-re la società nel suo complesso. La differenza è che al Salone si può solo assistere e partecipare da ‘spettatori’, mentre Lei per la scuola piemontese è fra gli ‘attori’ protagonisti: Lei non so-lo ‘legge’ ma ‘agisce’, e le sue decisioni comportano spesso conseguenze non condivise.

È proprio per questo che, attraversan-dola (la scuola) in prima persona, sen-to che anch’essa è vittima, in alcuni periodi, di quel contraddittorio disor-dine in cui ci troviamo a vivere. E quelli sono un capitolo di un libro in cui pre-ferirei non abitare. Poi per fortuna se ne esce: la scuola, grazie alle risorse umane e professionali che vi credono e vi lavorano, si risolleva sempre feli-cemente da ogni situazione scomoda. Anzi, è proprio dalla scuola che nasco-no le soluzioni più adeguate.”

In che senso?“Nel senso che la scuola, intesa ap-punto come realtà complessa, for-mula sempre nel modo più corretto e appropriato le proprie necessità, che poi rispecchiano quelle delle nuove generazioni. Anche qui al Lingotto, per riprendere questa somiglianza o ‘fratellanza’ fra la scuola e il Salone del libro, di anno in anno assistiamo alla declinazione di temi nuovi, di analisi inedite o edite del reale, che sono la formulazione di bisogni socia-li manifestamente urgenti. Insomma, la ‘domanda’ espressa da questi due ‘mondi’ è ogni volta leale e corretta.”

Perché allora poi abbandonano i libri o li misconoscono?“Solo in parte. Più che altro, li trasfor-mano, li plasmano. Anche grazie alla scuola, li sublimano in una congerie di oggetti nuovi, eterogenei, con una

Intervista al Dott. Francesco de Sanctis, direttore generale dell’ufficio scolastico regionale per il Piemonte

Educare i ragazzi ai fatti e ai ragionamenti

di Alfonso Rubinacci

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L’approfondimento

a zittirla, vero? in pochi la ascol-tano, e allora rimane fatalmente indietro. Sempre un passo indie-tro, gravitante sulle teste poverel-le degli studenti-udenti, le parole dei professori. Se qualche volta riescono a sorprenderli, potranno magari stare loro accanto. Ma per la maggior parte dei casi, restano indietro. La parola del professore ripete. E’ ripetente e illimitata, on-divaga, instancabile come un’eco s’allunga e s’accorcia nelle classi. E gli studenti più disciplinati e at-tenti le ritrasmettono volenterose. Come possiamo fra pochi giorni portarle tutte, le parole dei docenti e degli studenti insieme, e anche quelle dei genitori, allo stand del Salone del Libro, perché si inco-raggino (nel cuore della mela sana, il succo) a vicenda? Perché si con-fortino e si comprendano? Punto primo: abbiamo scelto bene gli argomenti. Per non parlare di tut-to un po’, ma di quelle materie su cui più abbiamo discusso animata-mente durante l’anno, incrociando

pregiudizi ed esperienze, miscela-to e condito i voti. E gli argomenti ci sono stati. Si è parlato infatti di salute, alimentazione, giustizia e diritti dei bambini, ambiente (o

ipertecnologici e più silenziosi dei nostri? La parola dei professori, in orbita astrale sopra libri e quader-ni, la parola che assegna e valuta, unisce o divide, in pochi riescono

ne preoccupiamo, i nostri ragazzi sono già cresciuti, non ascolta-no più la stessa musica e hanno cambiato amici e strade, pronti, a sbucare in spazi nuovi, magari

mescolanza di stili e linguaggi. E per fortuna! Perché sono tutte possibilità di fuga, nuove declinazioni della re-altà. Le nuove tecnologie a scuola si pongono su questo piano: ci aiutano a migliorare la didattica e a trasfor-marla, in modo che sia più vicina e adatta alla vita dei nostri studenti, il cui canone oggi è la velocità. La loro è una lettura, e quindi una conoscenza, di tipo mappale: si costruiscono una conoscenza reticolare, tramata di contenuti, non più lineare e graduale, stratificata, com’era la nostra.”

La lettura e la capacità di leggere: abi-lità e competenze su cui si concentra-no sempre più gli esperti nei test per valutare gli apprendimenti degli stu-denti. Cosa è cambiato di più in questi ultimi anni?“E’ una questione alla quale dob-biamo sempre prestare la massima attenzione, perché è fra gli aspetti primari della conoscenza e della vita di ciascuno, ma credo siano abilità che vadano intese e adattate ai tempi, alle ‘nuove’ classi appunto, spesso tec-nologicamente avanzate, e a metodi di insegnamento e di apprendimento in continua evoluzione. Il loro modo di or-ganizzare e gestire le conoscenze mi pare in ogni caso più democratico, mi fa sperare che li tenga più a lungo al riparo da modelli basati sul binomio ‘autorità’ e ‘errore’.”

Come sfruttare e utilizzare ancora, per i lettori più giovani, la lezione dei nostri migliori ‘maestri’ e scrittori? “Io eliminerei alla base la censura, la selezione; anche la migliore ‘scel-ta’, la più coerente e ragionata, per forza di cose ‘esclude’. Certo, il tempo scolastico a disposizione dei docenti e degli studenti non è infinito, ma

perché dedicarsi solo agli ottimi, ai più conosciuti, agli autori promossi dai critici, trascorsi e contempora-nei? Dovremmo offrire invece ai gio-vani quante più possibilità abbiamo, di letture, e di testi diversissimi fra loro. Gli scrittori, i più vari, andrebbe-ro adoperati come molteplici educato-ri o guide, anche se occasionali. Esili o corposi, non importa.”

Ma il tempo, soprattutto quello scola-stico, è regolato in gabbie organizza-tive spesso rigidamente prestabilite. È il tempo il vero nemico della lettura ricca, fertile, magari disordinata?“Il vero nemico in classe è il pensato-re isolato e solitario, che incontra le pagine più belle per conto proprio e non vuole, o non riesce, a condividerle con i compagni. Resta all’incipit e non sviluppa, appunto, la trama.”

Bella responsabilità, per i docenti… E l’impegno a svolgere puntualmente i programmi?“I programmi sono molto importan-ti, ma ciò che conta di più è ispirare e educare i ragazzi ai fatti e ai ra-gionamenti. Gli autori, i più diversi, aiutano a stare lontani dalle misti-ficazioni e dalle storture: i docenti (e ne conosco moltissimi, mi creda) so-stengono gli studenti nell’acquisire l’esattezza del discorso e quel ‘rigore del procedimento logico’ di cui par-lava Bobbio e di cui ho ritrovato, con rinnovata soddisfazione, le parole poco fa, proprio qui. Le parole ‘belle e giuste’ accomunano idealmente la giornata al Salone con la lezione in classe?Quando arrivano, sì. Le parole, quan-do ben usate, sono la ‘carica’ affetti-va ed emozionale, la trama, dei nostri giorni più veri.”

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L’approfondimento

all’istruzione, formazione pro-fessionale e lavoro della Regione Piemonte; alle 16, l’esperienza dei ristoranti didattici e del ‘fare im-presa’. Per venerdì 13 maggio, alle 10 “Le tecnologie rivoluzio-nano la didattica. Le scuole digi-tali in Piemonte”, con i dirigenti Tecla Riverso, Maurizio Caran-dini, Antonietta Di Martino, Do-nato Gentile, Stefano Fava; alle 11, Progetto Grande Italia” con lo storico Giovanni De Luna e Ma-riele Merlati (Università Statale di Milano) e alle 12 un incontro sull’astronomia e i vari percorsi formativi, con l’Ispettrice MIUR Silvana Mosca e, fra gli altri, Cristina Palici Di Suni dell’Eu-ropean Association Astronomy Education; alle 16, finalmente le ali azzurre della giustizia (per-ché è sempre azzurra, la giusti-zia, quando ‘incontra’ la scuola) con il magistrato Silvana Podda (che dirige la Sezione Distaccata di Moncalieri per il Tribunale di Torino) che ha parlato a lungo con i ragazzi. Il preside Maurizio Ca-randini (che dirige la scuola me-dia ‘Pascoli’ di Valenza) e Mary Caccamo (della Direzione Gene-rale del Piemonte) hanno condotto

il prossimo futuro, memoria vi-cina e imminente. Perché le idee, proprio tutte, vanno avanti, sal-vano dalla noia, spengono il buio del già detto e del già sentito, e proseguono spedite in linea retta disegnando ogni volta un profilo più corretto e garbato della pro-fessione docente. Di questa strana avventura dell’insegnamento. Dei tentativi. E allora, ecco le strade nel frattempo aperte dal Miur e dall’USR Piemonte dal 12 al 16 maggio scorso: sulla memoria, appunto, sono stati presentati i progetti delle scuole e un concor-so per le Celebrazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia; sono stati poi attivati ogni giorno due sportel-li, per la consulenza sui disturbi specifici dell’apprendimento e sulla robotica e la meccatronica, quali discipline trasversali con valenza orientativa. Per il pro-gramma, per i più perspicaci e at-tenti al futuro, giovedì 12 alle 12 si è svolta la puntata sull’orienta-mento “Scegli la tua scuola”, con il Direttore Generale Francesco de Sanctis e, alle 14.30, “I nuo-vi istituti tecnici superiori”, con il Direttore e, fra gli altri, Paola Casagrande, direttore regionale

meglio, del pensare verde, e che bella scoperta fra le professioni del 2017 scoprire il il sustaina-bility engineer o l’energy audi-tor, l’esperto di bilanci in campo energetico!) e astronomia, mu-sicoterapia e scrittura creati-va, problem solving e fattorie didattiche. Tela ricca di unguenti profumati. Menu prelibato, in-somma. Inutile dire che a renderla ‘vera’ sono stati gli studenti: alcu-ni ragazzi di Torino, ad esempio, si sono improvvisati giornalisti ‘ministeriali’ (sono gli studenti del Primo Liceo Artistico e del liceo classico Cavour, mentre altri già lo fanno per mestiere, e sono quelli del liceo classico Alfieri, con il percorso sulla comunica-zione) e realizzando servizi sul posto, intervistando gli autori (i loro autori) e gli editori, i lettori affamati e quelli più prudenti e parsimoniosi.

E’ certo, però, che il regalo più sperato e atteso, quest’anno, sono state le idee. Per la scuola dell’an-no prossimo. Perché studenti e docenti sono venuti allo stand-scatola non solo per ascoltare e intervenire ma anche per lasciare, depositare, un’idea. Memoria per

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L’approfondimento

Herminia Daeden dell’Académie de Nice, M. Jean-Claude Thuret, délégué académique à la forma-tion professionnelle initiale et continue. Alle 13 la dirigente Giulia Guglielmini ha condotto ‘Mowgly nella giungla della ma-tematica’ con Gemma Gallino e Giorgio Ferrarese dell’Università di Torino e il Consiglio Comunale dei Ragazzi della Scuola per pas-sare poi, alle 15, all’incontro con “Porsi e risolvere problemi” con Massimo Perotti (dirigente del 3° Circolo di Chieri, scuola polo per la rete Avimes e gli insegnanti del Gruppo di ricerca didattica in ‘Matematica della rete’. Per i professori di lettere, infine, l’ap-puntamento di chiusura è stato al-le 17.30 con il progetto nazionale ‘Staffetta di Scrittura Creativa’ e il progetto di formazione docenti sulla scrittura per il 2011-12, al quale sono intervenuti Francesco de Sanctis, Andrea Iovino (Di-rettore generale di Bimed e Re-sponsabile del format), Maurizio Piscitelli (Comitato tecnico-scien-tifico di Exposcuola), Linda Ga-rofano, Coordinatrice del format, e i dirigenti, i docenti e gli alunni protagonisti del progetto.

della piattaforma MIUR che han-no gestito la competizione fra gli studenti e i genitori delle scuole di Alpignano e della “Santorre di Santarosa” di Torino. Per gli appassionati e responsabili del green e del thinking green (pen-sare verde) domenica 15 maggio alle 11, si è svolto un incontro su alimentazione, benessere, educa-zione ambientale e fattorie didat-tiche, curato da Gabriella Colla (UST di Novara) che ne ha discus-so con Grazia Castioni e Michela Bianco (ASSA Novara), Federico Melodia (Presidente della Con-sulta Provinciale degli Studenti di Novara), Franco Ticozzi (dirigen-te scolastico dell’Itis “Omar” di Novara), Elena Minotti e Claudia Fonio (della Cooperativa Agrico-la Fonio – Sozzago), Pietro Girò (Distretto 2030 Rotary Internatio-nal). Per lunedì 16, c’è stata aria di internazionalizzazione, perché dalla Francia i nostri dirigenti (ca-peggiati dall’ispettrice Mosca e da Maria Teresa Ingicco dell’USR Piemonte) hanno incontrato, per parlare di ‘Riforme scolastiche in corso in Italia e in Francia - Les réformes actuelles en Italie et en France’, René-Pierre Halter e

alle 17 un brillante incontro sulla musicoterapia. Ma l’incontro con la musica è proseguito sabato 14 maggio alle 11 con un workshop su ‘Il mondo dei suoni’ curato dalla Direzione Didattica 1° Cir-colo di Fossano e con Maria Rosi-ta Isoardi (la dirigente) e i docenti Maria Luisa Dotta, Maria Teresa Milano e Roberto Beccaria. Alle 12, uno degli incontri più impe-gnativi: presenta lo Screm - Sup-porting Children’s Rights through Education, the Arts and the Me-dia per sostenere i diritti dei bam-bini attraverso l’educazione, le arti e i media. Magnifico. Vi so-no intervenuti esperti dell’ILO (Organizzazione Internazionale del Lavoro) con Maria Gabriella Lay, responsabile della Campa-gna mondiale contro lo sfrutta-mento del lavoro minorile. Alle 13, il progetto d educazione alla sicurezza stradale nelle scuole del Piemonte, intitolato “Ti muovi?” e alle 17, “Problem solving: ge-nerazioni a confronto. Studenti e genitori si sfidano online”, con il professore Giuseppe Di Dome-nico (USR Piemonte) e Roberto Borchia dell’Istituto “Quintino Sella” di Biella e amministratore

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Europa chiama Scuoladi Antonio Augenti

Quale idea d’Europa hanno?L’interrogativo è r ivolto

agli uomini e alle don-ne che a var io livello

rappresentano la classe politica e dirigente di questo Continen-te. Mentre nelle scuole e nelle Università si raccomanda insi-stentemente di formare i giova-ni in una dimensione culturale che si sbarazzi dei nazionalismi e delle nazionalità, per guarda-re al presente e al futuro in una prospettiva che non si riduca più alle esperienze dei singoli paesi, insufficienti ormai a risolvere i problemi delle società contempo-ranee, l’idea che si può cogliere da alcune recenti vicende politi-che e da talune affermazioni rese da autorevoli testimoni dell’epo-ca che viviamo vanno in tutt’altra direzione.

I sommovimenti politici che in-teressano molti paesi dell’Africa settentrionale, in particolare tutto ciò che si è verificato con la rivol-ta contro il regime di Gheddafi in Libia, hanno lasciato sul terreno, come ha osservato un noto opi-nionista, una vittima illustre:la politica estera dell’UE. I fatti in questione hanno reso manifesta, se pure ce ne fosse stato bisogno, l’inesistenza di una politica este-ra unitaria dell’Europa. In più, si è assistito ad una ripresa della più becera tutela delle barriere nazio-nali contro i fenomeni migratori, e dei ruoli che alcuni paesi hanno rivendicato di volere assumere nell’occasione per affrontare la crisi libica.

Su altra sponda, nel corso di uno degli ultimi Vertici europei dedi-cati ai temi dell’economia, alla Cancelliera tedesca Angela Mer-kel è accaduto di osservare che, se s’intende garantire all’Europa

una solida crescita economica e sociale, occorre addivenire a ren-dere “omogenei” i sistemi edu-cativi dei diversi paesi membri. Rilevato che, pur non pretenden-do questo risultato, sia fuori di dubbio che le possibilità di svi-luppo e di crescita dell’Europa non possono che essere fonda-te sull’investimento sul capitale umano e su una forte e stringente cooperazione in campo educa-tivo, nutriamo qualche ragione-vole sospetto sulla rispondenza dell’affermazione resa dalla Mer-kel a sua intima convinzione e in-tenzionalità politica; a meno che la Cancelliera non pensi di alline-are i sistemi educativi degli altri paesi a quello tedesco, in paralle-lo con ciò che si sta verificando sul piano della politica moneta-ria, che procede con fermezza da qualche tempo verso un sistema centrato sull’Euro-marco.

Se ritorniamo all’interrogati-vo iniziale, valutando com-portamenti siffatti, viene di

pensare che l’idea di Europa, di un’Europa che, pur nella diver-sità delle sue parti, tenda real-mente all’unitarietà di intenti e di azioni è andata negli ultimi lustri sensibilmente impalliden-do. Eppure, dovrebbe rientrare nella responsabilità della classe dirigente europea, politica e non, l’impegno a recuperare l’idea dell’urgenza di una cultura eu-ropea nella quale unitariamente ritrovarsi. In via generale, quan-do si accenna a questa, il pen-siero rinvia alle ben note radici di un Continente che, come ha recentemente avuto occasione di ricordare Giacomo Marramao, hanno “luoghi simbolici” nei

quali collocarsi:Atene, Alessan-dria, Gerusalemme, Roma. Il ri-schio che si può intuire è, però quello dovuto all’interpretazione che i giovani sono tratti a dare dei valori reperibili in quei luoghi. Si ha la sensazione che non sempre ai giovani di oggi questi valori si ripresentino in modo credibile. In una magnifica lettura che Guy Cassiers ha dato della “Walkiria” di Wagner, si rileva la critica che questo grande Autore ha mosso alla borghesia dell’Ottocento:la famiglia patriarcale del tempo, con tutti i valori che si portava dietro (la politica, la religione, le forme della vita sociale), viveva un mondo in cui non credeva più; occorreva suscitare nuovi sen-timenti. Alla crisi di valori, av-verte Cassiers, i giovani-anche se talora sbagliano-contrappongono amore ribelle e voglia di vivere. Oggi sembra rivivere una stagio-ne del genere, simile a quella che spingeva Wagner a configurare una “cavalcata contro l’Europa”.

A quello che possiamo consi-derare come un vero senso di stanchezza con il quale

l’attuale classe dirigente europea interpreta il ruolo dell’Europa, unita soltanto dalla moneta e dai bisogni economici, andrebbe, quindi, contrapposto con nuovo fervore il disegno di un’Europa diversa, più carica di utopia e di idealità, meno cinica e meno in-sensibile ai reali bisogni dell’uo-mo contemporaneo. Sarebbe difficile, altrimenti, attrarre nelle scuole e nelle Università i giovani a capire che vale la pena battersi per un futuro di diverso segno e soprattutto per un’Europa credi-bile e meno simbolica.

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Progetto1 20-04-2011 16:55 Pagina 1

nei 150 anni di storia della scuola italiana non è stato mai possibile dare con cognizione di causa una risposta.Da oggi si può capire dove si offre, globalmente, un servizio di miglior qualità, quali sono i punti di forza e di debolezza del sistema scolastico - anche da un punto di vista comparativo - Regione per Regione e Provincia per Provincia, con tutti i confronti col Rapporto del 2007

2° rapporto sulla qualitànella scuolaQual è la Provincia, o la Regione italianacon il miglior sistema scolastico?

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