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TRIMESTRALE DELL’ACCADEMIA URBENSE DI OVADA Marzo 2010 ANNO XXIII - N°1 Poste Italiane s.p.a. Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27 / 02 / 2004 n° 46) art. 1, comma 1, DCB/AL La Badia di Tiglieto in una foto tratta da “La Casana” La Pieve di San Michele a Campo Ligure Marino e tramontana e la saga di anloti L’Accademia espone a Savona nella mostra di Frascheri Dolci quegli anni. L’industria dolciaria ad Ovada Vegetazione: le nostre faggete Case coloniche e opere civili della Badia di Tiglieto SILVA ET FLUMEN Copertina marzo 2010.qxd:Copertina marzo 2010.qxd 29-04-2010 9:52 Pagina 1

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TRIMESTRALE DELL’ACCADEMIA URBENSE DI OVADA

Marzo 2010ANNO XXIII - N°1

Poste Italiane s.p.a.Spedizione in Abbonamento Postale

D.L. 353/2003 (conv. in L. 27 / 02 / 2004 n° 46)art. 1, comma 1, DCB/AL

La Badia di Tiglieto in una foto tratta da “La Casana”

La Pieve di San Michele aCampo Ligure

Marino e tramontanae la saga di anloti

L’Accademia espone a Savonanella mostra di Frascheri

Dolci quegli anni. L’industriadolciaria ad Ovada

Vegetazione:le nostre faggete

Case coloniche e opere civilidella Badia di Tiglieto

SILVA ET FLUMEN

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Pubblicazioni dell’Accademia Urbense alSALONE del LIBRO - Torino 2010

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SILVA ET FLUMEN

Periodico trimestrale dell’Accademia Urbense di OvadaDirezione ed Amministrazione P.zza Cereseto 7, 15076 OvadaOvada - Anno XXIII - MARZO 2010 - n. 1Autorizzazione del Tribunale di Alessandria n. 363 del 18.12.1987Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003(conv. in L. 27 / 02 / 2004 n° 46) art. 1, comma 1, DCB/ALConto corrente postale n. 12537288Quota di iscrizione e abbonamento per il 2010 Euro 25,00Direttore: Alessandro LaguzziDirettore Responsabile: Enrico Cesare Scarsi

SOMMARIO... un nuovo fenomeno di fulmine di Carlo Barletti nelle letterefra BenjaminFranklin e Jan Ingenhouszdi Alessandro Laguzzi p. 004L’antica pieve di San Michele in Campo Ligure di Paolo Bottero p. 015Se l’abitus fa il prete. Prescrizione e abusi fra Sei Settecento Un caso a Cassinelledi Lucilla Rapetti p. 025La mostra “Carte e arte” a cura di Lucilla Rapetti a Orsara BormidaRedazione p. 030

Dolci quegli anni Accenni di storia dell' industria dolciaria ovadese,nel secondo dopoguerradi Lucia Barba p. 032Il “maestro della Passione” della Pieve di Lerma (5).Gli Spinola nelle terre di Giovanni Canavesiodi Gabriella Ragozzino p. 035Romantici languori. La pittura di Giuseppe Frascheri in mostra a SavonaRedazione p. 041Vegetazione: le nostre faggetedi Renzo Incaminato p. 042Il pittore Agostino Bombelli e il polittico dell’Annunciazione di Ovadadi Sergio Arditi p. 047Leggende dell’Ovadese: Marino e Tramontana e la saga di anlotidi Paolo Bavazzano p. 053Case coloniche e opere civili della Badia di Tiglietodi Pier Giorgio Fassino p. 058Società: di femminile non c’è solo il nomedi Marina Elettra Maranetto p. 066La nascita del Fascismo ad Ovada e nell’Ovadese (3)La presa del potere dopo la “marcia su Roma”di Piero Ottonello p. 076Accademia Urbense 2009: l’attivitàdi Giacomo Gastaldo p. 079Recensioni:.CAMILLA SALVAGO RAGGi, Album 1892 - 1894, GIANCARLO LIBERT, L'emi -gra zione piemontese nel mondo; ALBERTO DEZZOLLA, Quando il treno arriva e altrestravaganze; MARINA ELETTRA MARANETTO, A meno che; MAURIZIO CESTE, Testimonidella carità. Le conferenze di San Vincenzo; LUCIA BARBA, I giorni della festa. Festereligiose e ricorrenze civili tra Monferrato acquese e Oltregiogo ligure, BRUNOCHIARLO, Morbello, GIORGIO BOTTERO, Poesie, ANDREA SCOTTO, La battaglia dimenti-cata. Serravalle, 4 giugno 1544. p. 081Lutto in casa Parodi a Grillano d'Ovada

p. 086

Redazione: Paolo Bavazzano (redattore capo), Edilio Riccardini (vice), Remo Alloisio,Carlo Cairello, Giorgio Casanova, Pier Giorgio Fassino, Franco Paolo Olivieri, LorenzoPestarino, Giancarlo Subbrero, Paola Piana Toniolo.Segreteria e trattamento informatico delle illustrazioni a cura di Giacomo Gastaldo.Le foto di redazione sono di Renato GastaldoSede: Piazza Giovan Battista Cereseto, 7 (ammezzato); Tel. 0143 81615 - 15076 OVADAE-mail: [email protected] - Sito web: accademiaurbense.interfree.it

URBS SILVA ET FLUMENStampa: LITOGRAF s.r.l. - Via Montello, 16 - 15067 Novi Ligure (AL)

Buon Compleanno Camilla è il ti tolodato dalla Provincia di Genova, per fes -teggiare i cinquant'anni dall'uscita del pri -mo libro, La notte dei mascheri, edito dal -la Feltrinelli nel lontano 1960. Da alloraaltri volumi sono stati editi e recentemen-te l'inserto domenicale de «Il Sole 24Ore» ha indicato Camilla Sal vago Raggi,come la migliore scrittrice italianavivente. Noi, come Acca demia Urbense,ci uniamo al riconoscimento attribuitole.Ci sentiamo pertanto orgogliosi di anno-verarla tra i Soci del nostro sodalizio.

L'Accademia partecipa con alcune pub-blicazioni della propria collana al SaloneInternazionale del Libro di Torino, manife-stazione che si terrà dal 13 al 17 maggio.

Il Lions Club di Ovada, presieduto dal-l'ing. Alessandro Bruno, in collaborazionecon il Comune di Lerma e l'Acca demia hapubblicato un'estratto della tesi di laureadella dott. ssa Gabriella Ragoz zino,incentrata su Le Storie della Pas sione dellaPieve di San Giovanni al Piano di Lerma.Si tratta di una ricerca condotta con passio-ne e competenza, e dalla quale abbiamo at -tin to per diversi articoli pubblicati su Urbs.Inoltre il Lions ci ha fornito un manichinoche utilizzeremo per l'esposizione in sededella divisa del garibadino ovadeseGiovanni Cereseto, donata dal Geom.Giancarlo Costa.

Prosegue fino al 25 aprile a Savona laMostra del Frascheri a cui partecipa l’A.U.con opere proprie (vedi articolo a pag. 41).

Presto uscirà la seconda edizione dellaGuida di Ovada, aggiornata ed arricchita dinuove immagini. Continua la redazione delvolume dedicato alla Storia del Risor -gimento ovadese, mentre da più parti giun-gono richieste a proposito del secondovolume sul disastro della diga di Molareavvenuto nel 1935. Ne riparleremo.

Paolo Bavazzano Alessandro Laguzzi

Venerdì 18 giugno alle ore 16al Granaio di Campale

Giuseppe Marcenaro - Stefano Verdinoe Arturo Vercellino

PresentanoPagine perse:

un libro e altri libri di Mario Canepa

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Nella prima parte di questo lavoro1

abbiamo visto come Carlo Barletti,fosse venuto in possesso di una bande-ruola posta alla cima del campanile dellachiesa dei ss. Siro e Sepolcro diCremona, la quale era stata colpita eabbattuta da un fulmine. Dal suo esameera emerso, che essa si presentava attra-versata dai numerosi fori, frutto dellafolgorazione, i cui bordi slabbrati ora dauna parte ora da quella opposta, avevanoconvinto Padre Carlo di trovarsi davantiad una chiara e inequivocabile manife-stazione della presenza nel fulmine didue fluidi elettrici: uno positivo e l’altronegativo le cui azioni intrecciandosi econtrapponendosi avevano, appunto,causato quel risultato.

La pubblicazione che da queste con-siderazioni era scaturita: Analisi d’unnuovo fenomeno del fulmine 2 avevadestato nel mondo ‘letterario’ nazionaleed europeo un grande interesse e diversigiornali l’avevano recensita o ripubbli-cata anche oltralpe. Poiché l’inter -pretazio ne data dal Barletti finiva persmentire la teoria frankliniana diun unico fluido elettrico JanIngenhousz3, un elettrizzanteolandese studioso di fe nomeninaturali, medico presso la corteasburgica, che aveva stretto ami-cizia con Benjamin Franklindurante il loro soggiorno londi-nese, e con il quale aveva mante-nuto rapporti epistolari, gli si erarivolto per ottenere la spiegazio-ne del fenomeno cremonese inaccordo con la teoria che da luiprendeva nome.

Franklin nel rispondere posi-tivamente all’amico affermava diessere intenzionato a procurarsilo scritto del Bar letti e ad esami-narlo attentamente. solo succes-sivamente gli avrebbe inviato lesue considerazioni in proposito.Nella stessa lettera affrontavaun’altra delle più comuni obie-zioni che i Symmeriani (sosteni-tori dell’esistenza di due fluidielettrici) rivolgevano alla suateoria, che prevedeva l’esistenzadi un unico fluido elettrico (posi-

tivo quando abbondava, negativo secarente rispetto allo stato naturale).

Si trattava dei segni e delle impres-sioni che si formavano sulle carte e suifogli attraversati dalle scariche elettricheprovocate da grandi macchine elettrosta-tiche4 come aveva esposto nella suarichiesta l’olandese:

«Quando una forte scarica è direttaattraverso un mazzo di carte o alle pagi-ne di un libro, che abbiano un foglio distagnola interposto fra i diversi fogli,l’esplosione elettrica lascia un’impres -sione su alcuni di questi fogli metallici,dalla quale sembra come se la scaricaelettrica si sia indirizzata in maniera daindicare che la corrente del fuoco elet-trico abbia fatto un percorso dal -l’esterno della bottiglia (di Leida) versol’interno, mentre su altri fogli metallicile impressioni sono dirette in modo taleda indicare che la corrente del fuocoelettrico ha fatto il suo percorso dall’in-terno della fiala verso l’esterno, cosìche ad alcuni elettrizzanti sembrapotersi concludere che durante la scari-ca di una bottiglia due correnti di fuoco

elettrico scorrano impetuosamente allostesso tempo da entrambe le superfici esi incontrino e si attraversino l’unl’altra»5.

A queste osservazioni Franklin ribatte:

«Queste impressioni non sono ilrisultato del fluido in movimento chesta penetrando con forza nella direzionedel suo moto; esse sono causate dallebruciacchiature nate nelle vicinanzedelle carte perforate, che nascono inmodo casuale a volte sulla faccia di unacarta, altre volte sull’altra faccia aseguito di certe condizioni casuali lega-te alle superfici, ai materiali o allesituazioni. In una singola carta, dispo-sta senza essere messa a contatto conaltre, mentre è perforata dal passaggiodel fluido (elettrico), le bruciaturegeneralmente compaiono da entrambi ilati, come io una volta ho mostrato aM.r Symmer in casa sua. Immagino cheil foro sia dapprima fatto da un sottilefiletto di fluido elettrico e allargato daun filetto più grande al momento

dell’es plosione, che costringeuna parte della carta ad aprire alpassaggio [del fuoco elettrico]ogni strada col carbonizzare laparte [centrale] della materiae respingendo in fuori [i bordidella bruciatura] da ogniparte, perché là c’è l’ultimaresistenza»6.

La tesi di fondo di questaspiegazione, che lega il fenome-no registrato alla situazione con-tingente del corpo investito dallascarica elettrica non cambieràneppure in seguito e sarà allabase della risposta che Franklindarà allo scritto barlettiano.

Segue una lettera del 5 di-cembre di Jan Ingenhousz dallaquale apprendiamo che nel frat-tempo l’Olandese e Franklin sisono incontrati di persona edhanno concertato la realizzazio-ne di programma di esperienzeche vengono ritenute preliminariallo scritto di Franklin sulla ban-deruola cremonese. Ingenhouszche si dice impegnato solo nelle

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... un nuovo fenomeno di fulmine di Carlo Barletti,nelle lettere fra Benjamin Franklin e Jan Ingenhouszdi Alessandro Laguzzi

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sue ricerche ‘filosofiche’,ha frattanto continuato acondurre7 ricerche riguar-danti il regno vegetale el’influenza che questo hasull’abitat umano. Anziegli esprime il desideriodi renderle pubblichequanto prima sottolinean-do come le ultime espe-rienze abbiano modificatole sue convinzioni sull’at-tività dei vegetali sull’ariaal buio e durante la notte.Infatti si è ora convintoche non soltanto le piantecambiano una parte del-l’aria respirabile in ‘ariafissa’ col cedergli partedel proprio flogisto mache emettono anche ‘ariafissa’ o acido aereo; egli èriuscito anche a determi-nato la quantità dell’emis-sione scoprendo la manie-ra con la quale la natura produce acidonitroso dalla terra da cui è stato preso, ecome converta l’area respirabile in que-sto acido (anidride carbonica) e per fini-re afferma di avere lui stesso di personacambiato l’aria respirabile, attraversol’aggiunta di alcali vegetale in nitro.Tuttavia ritiene, per il momento, che lascoperta non possa essere pubblicatasenza un adeguato corredo di esperienzeprobanti che potrà realizzare solo duran-te l’Estate.

Passa quindi a relazionare su di unaesperienza che lo stesso Franklin gliaveva affidato fornendolo di fili di egualdiametro ma di diverso materiale: oro,argento, rame, acciaio e ferro perché sta-bilisse la minore o maggiore conducibi-lità termica di quei metalli. È questo,uno degli esperimenti concertati da met-tere in relazione alla risposta che si pro-poneva di dare al saggio del Barletti.Ingenhousz che vuol sottolineare il pro-prio interesse all’argomento dichiara diaver aggiunto anche lo stagno e il piom-bo. Prosegue poi descrivendo l’apparatocon cui ha effettuato la prova, che pas-serà alla storia con il nome di “scatola diIngenhousz”. Dopo aver inserendo i fili

di uguale lunghezza ad uguale distanzafra loro in un telaio di legno era passatopoi ad immergerne l’estremità libera inun vaso di coccio nel quale aveva fattosciogliere della cera che successivamen-te è stata fatta raffreddare sui fili a mo’di guaina. Successivamente, avevaimmerso ad un uguale profondità per untempo stabilito l’estremità opposta deifili in una vaschetta nella quale era postodell’olio d’oliva prossimo alla bollitura.Aveva poi preso accurata nota per ognu-no dei fili della quantità di cera che siera fusa in un tempo prestabilito. Lastessa procedura era stata ripetuta unadozzina di volte. Dall’esame era emersoche il miglior conduttore metallico dicalore era di gran lunga l’argento, segui-va il rame, l’oro, lo stagno, il ferro,l’acciaio e il piombo. Le prove perdeterminare la conduzione del freddoavevano dato risultati diversi ma ilmetodo per rilevare la conduzione nonviene spiegato in dettaglio8. Il restantedella lettera non offre collegamenti conla nostra ricerca.

Il 7 febbraio 1781 l’olandese spedi-sce al Franklin una breve lettera nellaquale richiama la precedente, sottoli-

neando le notizie riguar-danti le esperienze sullaconducibilità termica deimetalli svolte secondo leindicazioni ricevute dal -l’Americano, segnala unerrore grossolano di tradu-zione nel suo opuscolosull’elettroforo fatto pub-blicare a Parigi dall’edito-re Didot.

Anche nella letterasuccessiva del 7 aprileIngenhousz richiamaquella di dicembre nellaquale aveva inserito larelazione sui diversi espe-rimenti fatti per stabilirela conducibilità termicadei metalli, eseguiti se -condo le indicazioni datedall’interlocutore. Di chia -ra inoltre che intenderipubblicare il volume sul-l’electrophorus aggiun-

gendo diverse note e un’introduzionenella quale verrà esposta la teoria fran-kliniana.

Il 23 maggio finalmente arrivanonotizie mediante il comune conoscenteil medico Le Begue de Presle9 che infor-ma il l’olandese che le sue lettere sonogiunte a destinazione e Franklin harisposto, tuttavia alcuni indizi fannopensare che per motivi politici le rispo-ste siano state intercettate, occorreràpertanto che la posta sia recapitata aParigi ai banchieri Tourton e Bair cheprovvederanno a spedirla a Vienna.

L’opuscolo riguardante l’elettropho -rus10 ampliato da numerose note e aper-to da un’introduzione sulla teoria fran-kliniana verrà tradotto anche in tedesco.

La lettera del 29 agosto è tutta dedi-cata agli affari che Ingenhousz ha incorso con altri amici con Mr. Wharton diFiladelfia, del quale spera aver notizieattraverso Franklin. Nel p.s. l’autoreinforma F. di avere in corso la pubblica-zione di un opuscolo sulla natura e l’usodell’aria ‘deflogisticata’ e sul modo direndere l’aria respirabile purificandolacon estrema facilità con l’uti lizzo di unpiatto di rame.

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A lato, Benjamin Franklinin un ritratto di JosephDuplessis (1785), NorthCarolina Museum of Art

Nella pag. lato,Jan Ingenhousz in unaraffigurazione del periodo

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La lettera successiva di Ingenhousz(8 dic 1781) si apre con un rimproveroall’amico che per tanto tempo lo halasciato ‘languire’ senza sue notizie. Unvolume di opuscoli scientifici che egliaveva pronto per la stampa da più di 7 o8 mesi, in mancanza di un suo assenso ètornato in dietro. Afferma poi che sel’esperimento sulla conducibilità termi-ca dei metalli, di cui ha fatto all’amicoun’accurata descrizione è anche un’an -ticipazione della risposta al panfhlet diBarletti, che gli era stato promesso chel’americano gli avrebbe inviato, vorreb-be mandare il manoscritto dell’interacollezione di esperienze al M.r Le Bèguede Presle perché provveda a farlo stam-pare immediatamente.

Trascorre altro tempo senza che per-vengano missive di risposta e Ingen -housz nella lettera successiva del 24aprile 1782 . Neppure un cenno di ripo-sta è stato dato alle lettere precedenti,tanto che lo scrivente si chiede se dopoanni di amicizia questa sia venuta menoma, poiché egli è sicuro di non aver fattonulla per comprometterla non rimaneche pensare che gli alti impegni diplo-matici in cui Franklin è assorbito glirubino integralmente tutto il tempo. Ilmedico olandese manda all’amico unacopia in tedesco del volume contenentele sue ricerche sulla fisiologia dellepiante, l’edizione francese11 èstata anch’essa ritardata di unanno e purtroppo non si sa quan-do vedrà la luce. I lavori di ricer-ca dell’Olandese sono stati stron-cati sulle gazzette letterarie dalPriestley che nel presentare leteorie frutto di quelle ricerche ègiunto quasi a ribaltarne le con-clusioni tanto che i volumi non sivendono. La lettera si chiude conun appello a fargli avere notiziedi Mr. Wharton di Filadelfia conil quale Ingenhousz ha strettolegami d’affari.

L’andamento dell’impresacommerciale di Mr. Wharton èl’argomento della lettera del 12giugno, nella quale, solo in chiu-sura l’Olandese afferma di averappreso dal dottor le Begue di

aver visto una lettera di Franklin a luiindirizzata ma non finita, lo prega quin-di di spedirla così com’è.

Datata 21 giugno 1782 arriva final-mente la lettera di risposta tanto attesa diFranklin alla quale è unito lo scrittoriguardante la banderuola di CremonaAn Attempt to explain the Effects ofLightning on the Vane of the Steeple of aChurch in Cremona August 1777 il bre -ve saggio col quale Franklin risponde al -l’Analisi di un nuovo fenomeno di fulmi-ne del Barletti.

La lettera porta anche una data ante-cedente (Passy 2 ottobre 1781), nellapri ma parte Franklin, dopo aver espres-so il piacere con cui risponde all’amico,si scusa se per il momento non ha trova-to il tempo per fare una riflessioneappropriata sulle esperienze sulla con-ducibilità termica dei metalli o per con-cludere le sue osservazioni sul fulmineitaliano a causa sia di un feroce attaccodi gotta che è durato alcuni mesi, sia perla sua naturale indolenza che purtropposta crescendo con l’età.

Prosegue poi dando ora una sia pursommaria risposta a tutte le lettere pre-cedenti. Tuttavia, alcune osservazionisull’efficacia dell’esperimento con dottosulla conducibilità dei metalli che neevidenziano i punti deboli ci portano aconcludere egli ha mantenuto l’abituale

acutezza e capacità di cogliere le proble-maticità, poi, dopo aver ribadito il pro-prio dispiacere per aver causato un ulte-riore dilazione alla pubblicazione sulfulmine barlettiano, invita l’amico a nonentrare in polemica con il Priestleyricordando che all’apparire della suateoria, l’abate Nollet, dall’alto della suareputazione lo aveva attaccato con unvolume redatto in forma epistolare, mamentre tutti si aspettavano da lui unaadeguata risposta Egli non aveva affattoreagito né con un libro né altrimenti. Edora tutto ciò era dimenticato e la veritàsembrava essere stabilita.

Evidentemente a questo punto eraintervenuto un qualche motivo cheaveva dilazionato la spedizione: la paurache la lettera venisse intercettata, piùbanalmente un impegno pressante chel’aveva relegata nel dimenticatoio sinoall’arrivo della lettera dell’8 dicembreche fornisce a Franklin l’occasione perriprenderla in mano. Infatti la letteraprosegue con un’aggiunta datata 20 gen-naio 1782 nella quale Franklin torna ascusarsi per i ritardi che le sue mancaterisposte hanno causato alle pubblicazio-ni dell’amico, in quanto alla rispostaall’opera barlettiana afferma:

«Mi riproposi di finire il mio scrittorelativo alla banderuola di Padre

Barletti, ma ho frainteso il suolibro e quanto ho scritto. Oratenterò di farlo, ma i miei pen-sieri sono così impegnati inargomenti di tipo differente, chenon posso con facilità concen-trarmi su argomenti filosofi-ci».12.

Anche questa volta l’arrivodi altri impegni ne avevanorimandato la spedizione. Poiun’occasione fortunata, la repli-cata disponibilità dell’amba-sciatore imperiale a recapitare aVienna la missiva aveva rimes-so in moto la corrispondenza equindi la lettera era conclusa daun’ultima parte datata 21 giu-gno 1782 a cui era unito il brevesaggio che Ingenhousz attende-va ormai da anni.

Chi scrive ha ritenuto di pre-

6 Nella pag. a lato un incisionedella banderuola folgorata dellachiesa dei ss. Siro e Sepolcro diCremona indagata dal Barletti

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sentarlo nella traduzione da lui stessorealizzata invitando però gli studiosi aconfrontarsi con il testo in lingua origi-nale.

Un tentativo di spiegare gli effet-ti del fulmine sulla banderuola delcampanile di una chiesa di Cre -mona. Agosto 1777 al Dr. JanIngen housz, archiatra cesareo13

Quando il fluido sottile che noichiamiamo fuoco o calore entra in uncorpo solido, esso separa ulterior-mente le particelle che lo costituisco-no le une dalle altre, e ciò provoca ladilatazione del corpo aumentandonele dimensioni.

Introducendo una più grandequantità di calore si separa talmentele parti l’una dalle altre, che il corposolido diventa liquido, fondendosi.

Un’ancora più grande quantità dicalore separa le parti fra di loro tal-mente che esse perdono la loro mutuaattrazione e acquistano una vicende-vole repulsione per cui si allontananol’una dall’altra sia gradualmente chedi colpo con gran forza, a secondache la forza separatrice sia introdottain modo graduale o repentino.

Così il ghiaccio diventa acqua, el’acqua vapore, vapore che si dice siespanda a 14.000 volte lo spazio cheesso occupava allo stato liquido, econ una forza esplosiva in certe circo-stanze capace di produrre effetti gran-diosi e violenti.

Così i metalli si dilatano, fondonoesplodono. Le due prime [trasforma-zioni] ottenute per la graduale appli-cazione della potenza separatrice, e

tutti e tre nelle sue applicazionirepentine ad opera dell’elettricità arti-ficiale o del fulmine.

Generalmente si suppone che ilfluido [elettrico] nel passare attraver-so una spranga o un filo metallico,attraversi l’intera sezione della spran-ga. Se l’asta in alcune sezioni è piùpiccola che in altre, la quantità di flui-do, che non è sufficiente, a provocarealcuna modifica nelle sezioni i piùgrosse e più dense, può essere suffi-ciente a far dilatare, fondere o esplo-dere le [sezioni] di dimensione infe-riore, poiché pur rimanendo la stessala quantità di fluido che l’attraversa,la quantità di materia che viene inte-ressata è meno di quella che agiva inprecedenza.

Così l’anello di una catena di otto-ne che fa da conduttore, con una certaquantità di elettricità che l’at traversaè stata fusa nelle sezioni più piccoleche formano il collegamento, mentreil resto non ha subito modifiche.

Così un sottile foglio di metallotagliato in forma di carta e inserito inun mazzo, essendo stato colpito eattraversato dalla scarica di una gros-sa bottiglia [di Leida] è stato trovatoinalterato nella parte più esterna fra ae b, fuso soltanto in alcuni punti postifra b e c; fuso totalmente fra c e d, ela parte fra d e e ridotta in fumo perl’esplosione.

Il foglio di metallo, fuso soltantoin alcuni punti posti fra b e c, nonessendo stato fuso [con continuità]l’intero spazio sembra indicare che ilfoglio metallico fosse nei punti fusipiù sottile che nel rimanente, avendo

pertanto il passaggio dellascarica sortito un effettomaggiore nelle parti più sotti-li.

Alcuni metalli fondonopiù facilmente che altri. Lostagno più facilmente che ilrame. Il rame che il ferro. Sisuppone (sebbene non sia an -c ora provato) che quelli chefondono col minimo dellapotenza separatrice, comun-que sia fuoco o fluido elettri-

co esplodono anche con una potenzainferiore.

Le esplosioni del metallo comequelle della polvere da sparoagiscono in tutte le di rezioni. Cosìl’es plosione di una foglia d’oro tralastre di vetro, frantumando il vetro,getterà i frammenti in tutte le partidella stanza, e l’esplosione del ferro opersino dell’acqua fra le giunture dellepietre in un campanile spargerà le pie-tre all’intorno in tutte le direzioni. Mala direzione data dall’esplosione a que-ste pietre si deve ritenere diversa daquella del fulmine, che era stato occa-sione di quella esplosione di materialiche esso aveva incontrato nel suo pas-saggio tra le nuvole e la terra.

Quando corpi carichi di elettricitàpositiva si avvicinano a delle spran-ghe appuntite o a sottili lastre dimetallo, queste sono più facilmenterese negative dalla forza repulsiva delfluido elettrico in quei corpi elettriz-zati che allontanano la naturale quan-tità [di fluido elettrico] contenuta inqueste spranghe o lastre assottigliate,sebbene [la carica] non avrebbe suffi-ciente vigore per allontanare la stessanel caso di corpi di dimensioni mag-giori. Per cui queste punte, aste e la -stre, essendo in uno stato negativo at -tirano verso di loro con maggior forzae in quantità superiore il fluido elet-trico che viene loro reso disponibile,più di quanto non possano fare queicorpi, che si mantengono più vicinoal loro stato naturale. E così unaspranga appuntita riceve [fluido elet-trico] non solo sulla sua punta, sebbe-ne più visibilmente lì, e in tutte le

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parti esposte della sua lunghezza. Percui un ago tenuto tra dito e pollice epresentato al conduttore primariocarico, dissiperà la carica più rapida-mente se tenuto vicino alla crunamentre il resto della sua lunghezza èesposto alle atmosfere elettriche, chese tutto, salvo un pollice della punta,è nascosto e coperto [dalla mano].

Il fulmine così differisce daiproiettili solidi e dai fluidi comuniproiettati con violenza, che sebbene ilsuo corso sia rapido è facilmentedeviato per seguire la direzione dibuoni conduttori. Ed è dubbio sealcuni esperimenti di elettricità anco-ra abbiano provato in maniera decisi-va che il fluido elettrico nel suo vio-lento passaggio attraverso l’ariaquando una batteria è scaricata ha ciòche noi chiamiamo un momentum,che lo farebbe continuare nella suacorsa in linea retta sebbene un con-duttore prossimo a quel percorso neoffra uno con differente direzione oaddirittura contraria; o che esso abbiauna forza capace di spingere in avan-ti o abbattere gli oggetti contro i qualisi imbatte, anche se a volte li buca.Questo sembra non indicare che leforature siano fatte dalla forza di unproiettile che le attraversi, ma piutto-sto dall’esplosione o dilatazione pro-vocate dal passaggio di una sottilevena del fluido.

Una tale esplosione o dilatazionedovuta ad una vena di fluido passanteattraverso una carta fa nascere sbava-ture attorno al foro a volte da unaparte, altre volte dall’altra ed altreancora da entrambe a seconda delladisposizione reciproca delle partidella carta vicina alla superficie,senza nessun riguardo alla direzionedel fluido.

Grandi ringraziamenti sono dovu-ti all’ingegnoso filosofo che esaminòla banderuola a Cremona, e che sidiede la pena di descrivere con cosìgrande precisione gli effetti causatidal fulmine su di essa e a comunicar-ne la descrizione. Il fatto è estrema-mente curioso. Ed è bene che vengameditato. Egli invita a queste consi-

derazioni. E ha onestamente dato lasua opinione. Egli desidera con since-rità ricevere quella di altri, sebbenepossa accadere che differiscano dallasua. È dal confronto pacato piuttostoche dalle contrapposizioni accese chescaturisce più facilmente la verità. Iodarò liberamente la mia opinione,come la si chiede, sperando si possaprovare che è quella vera; e promettoa me stesso, in caso contrario, difarmi un punto d’onore nel riconosce-re alla fine francamente il mio erroree di essere riconoscente a chi cortese-mente me l’ha dimostrato.

Attraverso la relazione fatta sulcolpo di fulmine sul campanile aCremona, appare che l’asta in ferro oil perno attorno al quale la banderuo-la ruotava era di circa due pollici dicirconferenza e terminava in unacroce sopra la banderuola, mentrel’estremità inferiore era fissata in unpiedistallo di marmo.

Che la lamina della banderuolaera di rame larga 8 o 9 pollici e circa12 di lunghezza. Che era spessa quasiuna linea grossa vicino al campanile,e diventava insensibilmente più sotti-le verso l’altra estremità, dove il suospessore non eccedeva i tre quarti dilinea; il peso [era] di 20 once.

Che il rame era stato rivestito distagno.

Che il piedistallo di marmo vennespezzato dal colpo in molti pezzi;sparsi sopra il tetto, nel giardino enella corte di un edificio vicino. Unpezzo venne gettato alla distanza di40 piedi. Il campanile fu danneggiatoe spostato, e la banderuola venneproiettata sul tetto della canonicadistante 20 piedi dal campanile.

Che la banderuola venne perforatain 18 punti, i fori di forma irregolaree il metallo che li occupava spinto infuori, in alcuni punti da una partedella banderuola in altri dalla parteopposta. Il rame mostrava di esserestato in parte fuso, a in alcune partirame e stagno fusi e amalgamatiinsieme. C’erano segni di bruciaturein parecchi punti.

Le parte lesionate intorno a cia-

scun foro sono piegate all’infuoriessendo rivolte all’indietro dalla loroposizione piatta originale sebbeneevidentemente un poco assottigliate edilatate non sono sufficienti a riempi-re l’area [bucata].

Dagli effetti descritti è chiaro chela potenza del fulmine che cadde sulcampanile a Cremona era molto gran-de.

Essendo la banderuola una lastrasottile di rame, i suoi fori e le pieghepossono essere considerati come unaserie di punti, che erano quindi piùrapidamente in grado di essere resinegativi [elettricamente] dalle forzerepulsive di una nuvola che si stavaapprossimando, di quelli di una crocedi ferro spessa e smussata, che fu pro-babilmente colpita per prima e suc-cessivamente divenne il conduttore diquella grande quantità [di fluido elet-trico].

La lastra della quale la banderuolaera fatta era più spessa dalla parte delcampanile e andava assottigliandosigradualmente dalla parte opposta eraprobabilmente ricavata non mediantela laminazione del rame fra rulli chelo avrebbe lasciato di uguale spessorema il metallo era stato spianato a mar-tellate. La superficie del rame lamina-to è per lo più piana e uniforme, quel-la martellata è generalmente disugua-le con cavità create dai colpi del mar-tello.

In queste impressioni concave ilmetallo è più sottile che attorno adesse, e probabilmente ancor più sotti-le in prossimità del centro di ogniimpressione.

Il fulmine che nel passare attra-verso la banderuola non era sufficien-te a fondere le parti più spesse, pote-va essere sufficiente a fondere le piùsottili (6)(7)(8)(9) e ammorbidirequelle che avevano dimensioni inter-medie.

Quella parte dello stagno (18) chericopriva la parte più sottile, essendopiù facilmente fusibile e esplosivache il rame (10) può probabilmenteessere esplosa quando il rame fu sol-tanto fuso. Le bruciature che com-

8 Nella pag a lato, BenjaminFranklin incisione rappresentantela sostanziale egualianza di effettifra la folgorazione naturale dovutaai fulmini e la scarica provocataartificialmente attraverso una “bottiglia di Leida”

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paiono in numerose partisono la prova dell’es -plosione.

Ci poteva essere pro-babilmente più stagnonelle impressioni concavedelle martellate. da unaparte della lastra che sullaparte convessa di questeimpressioni dall’altra. Daqui una più forte esplosione nei punticoncavi.

La natura di queste esplosioni è diagire violentemente in tutte le dire-zioni, e in questo caso essendo vicinealla lastra esse agiscono contro questada un lato, mentre dall’altro si scari-cano [a vuoto] nell’aria.

Quelle parti assottigliate dellalastra essendo nello stesso istante par-zialmente fuse e parzialmente resetanto malleabili da esser prossime allafusione; quest’ultime furono spintevia a creare un buco, e alcune delleparti fuse evaporarono; pertanto nonvenne lasciato metallo abbastanza dariempire gli spazi vuoti, collo spiana-re le parti curvare al loro posto.

Le impressioni concave generatedalle martellate essendo indifferente-mente fatte su entrambi le facce dellalastra, è naturale, che la spinta in fuoridell’esplosione del metallo ammolla-to sia avvenuta su entrambe le faccedella lastra in proporzioni pressochéuguali.

Che la forza di una sempliceesplo sione elettrica è grandissimacome appare dall’esperimento di Gi -nevra in cui una scintilla tra due filiimmersi nell’olio in un bicchiere,ruppe la coppa, lo stelo e la base delbicchiere tutti mandati in frantumi.

L’esplosione elettrica del metalloagisce con ancora più forza. Una stri-sciolina di foglia d’oro non più largadi una paglia che esplode fra duespesse lenti di vetro, ridurrà il vetro inpezzi sebbene le lenti fossero tenuteferme da una forte pressione. E tradue lastre di marmo tenute premutel’una contro l’altra da un peso di 20libbre, alzerà il peso. È necessaria unaforza molto minore per spostare le

parti fuse o ammollate di una lastra dirame sottile.

Questa spiegazione delle condi-zioni della banderuola, è tratta da ciòche da sempre noi sappiamo del -l’elettricità e degli effetti del fulmine.Il dotto autore della relazione ne dauna differente ma molto ingegnosache egli ricava dalle medesime condi-zioni. La materia spinta via dai fori ètrovata, quella di alcuni da una partedella lamina quella di altri dal l’altra.Allora, da qui egli suppone che essi [ifori] siano stati occasionati (se benintendo il suo pensiero) da correnti oda filetti fluidi di materia elettrica didifferente e opposto segno, che si pre-cipitavano violentemente gli uni con-tro gli altri e che si sono incontraticon la banderuola che si trovava inci-dentalmente collocata, in modo taleda trovarsi con precisione nel postodel loro incontro, dove venne forata datutti, tutti essi colpendola da ambo ilati nello stesso istante. Questo ècomunque un avvenimento così straor-dinario da essere secondo la stessaopinione dell’auto re perlomeno mira-coloso. «Passeranno forse più secoliprima che ritorni fralle infinite combi-nazioni un caso simile a quello dellabanderuola, che ora abbiamo permano. Forza è che si esaurisca una nonpiù udita miniera di fulmini sopra unagrande città, pressoché seminata dicampanili e di banderuole, il che èrarissimo; e può ancora più volte ciòsuccedere, senza che s’incontri giam-mai un’altra banderuola tanto opportu-namente situata tra i limiti della ful-minea esplosione»14.

Ma, sebbene la spiegazione chel’autore da, alla luce di queste evi-denze della banderuola, non mi sod-

disfi, non sonocosì sicuro dellamia da proporreche venga accetta-ta senza che siastata confermatadalla prova speri-mentale. Chi hadelle potenti bat-terie elettriche

può cimentarsi in questa impresa.. –Costruisca una piccola banderuola dicarta, e punteggi entrambi le faccecon l’at taccare piccoli pezzi di fogliad’oro, non esattamente in corrispon-denza gli uni degli altri. Poi indirizzil’intera forza della batteria contro labanderuola, in maniera che entrandoda una parte di essa esca dall’altra. Seil metallo esplode immagino che es sotroverà il modo di fare dei fori nel lacarta, spingendo via le parti strappatedalla parte opposta al metallo. – Unesperimento più costoso. ma forse piùsoddisfacente potrebbe essere realiz-zare una banderuola, la più esattapossibile, simile a quella in questionein tutti i particolari della sua descri-zione, e sistemarla su di un alto palopiantato su una qualche collina sog-getta ai colpi di fulmine, con ilmiglior conduttore a terra che non illegno del palo; se questa venisse col-pita nel corso di pochi anni e su di leiapparissero gli stessi effetti, sarebbeancor più miracoloso supporre checiò accadesse per un caso fortuitosuccessivamente e che essa fosseesattamente collocata dove quei filet-ti fluidi di differenti elettricità laattraversassero per incontrarsi.

La perforazione del vetro di unabottiglia quando è sovraccaricata èimmagino [36] un caso differente, enon spiegabile con nessuna di questedue ipotesi. – Bene, non posso sup-porre che la rottura [del vetro] siaoccasionata dal passaggio dell’elettri -cità attraverso esso, dal momento cheuna bottiglia sebbene così rotta nellascarica è sempre stata trovata in gradodi trasmettere intorno nel suo modousuale la quantità di carica con cui eracaricata. Allora la rottura non avviene

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mai se non all’istante della scaricaindiretta dovuta all’uno o all’altro deiconduttori o per aver oltrepassato ibordi del vetro. Così io sono statopresente quando una batteria di venti[bottiglie] di vetro fu scaricata dalconduttore principale e produsse glistessi effetti nella sua circolazionecome se nessuno fra queste bottigliefosse stata bucata; anche se esami-nandole noi ne trovammo non menodi dodici in quessta situazione di rot-tura. Quindi essendo tutte le bottigliedella batteria unite da un collegamen-to che unisce tutte [le armature] ester-ne e da un altro che unisce tutte quel-le interne, se una di queste fosse stataforata dal passaggio dirompente deidifferenti tipi di elettricità che siincontravano prima della scaricaavvenuta attraverso il conduttoreprincipale non avrebbe soltanto impe-dito il passaggio dell’elettricità dalcircuito comune ma avrebbe salvato ilresto delle sue compagne conducendol’intera scarica attraverso il propriovarco. E non è facile concepire come12 bottiglie su 20 dovessero esserecosì forti egualmente da sopportarel’intera forza della loro carica finchéil circuito della loro scarica eraaperto e poi essere egualmente cosìdeboli da rompersi tutte quantequando il peso di quella carica fossescaricato aprendo il circuito. - In unaltro momento vi esporrò la mia opi-nione circa quest’effetto se voi lodesiderate.

Ho tratto il resoconto di questocolpo di fulmine da un opuscolo ita-liano, intitolato Analisi d’un nuovoFenomeno di Fulmine, la dedica delquale e sottoscritta Carlo Barlettidelle Scuole Pie, il quale suppongo nesia l’autore. Siccome non comprendoperfettamente questa lingua, è possi-bile che in alcuni casi abbia fraintesoil significato delle affermazioni delFilosofo. Comunque desidero, miocaro amico, che voi non permettiateche questo scritto sia pubblicato, sinoa che voi non l’abbiate comparato evalutato con l’articolo originale, enon mi abbiate comunicato le vostre

considerazioni e correzioni. – Nonvorrei in ogni caso che apparisse conil mio nome, siccome forse potrebbeessere occasione di dispute e io nonho tempo per dedicarmi a loro».

L’arrivo del saggio di Franklincolma di riconoscenza l’animo diIngenhousz che risponderà il 20 ago-sto 1782:

«Fui molto contento di ricevere lavostra lettera contenente la spiegazionedel colpo di fulmine in Cremona eun’altra lettera datata 4 Giugno che eb -bi in mano prima di ieri. Ricevete i mieipiù sentiti ringraziamenti per entrambiquesti favori»15

Nella lettera inoltre egli avanza obie-zioni al suggerimento ricevuto daFranklin sull’esperimento, fatto sullaconduzione del calore nei metalli, làdove aveva suggerito di rimescolarel’olio per garantire uniformità di tempe-ratura. Questa operazione se uniforma latemperatura del liquido impedisce che ifili immersi abbiano ognuno profonditàcostante ed uguale. Agiunge poi

«Non sono stato ancora capace ditrovare una copia dell’opuscolo del pa -dre Barletti sul colpo di fulmine di Cre -mona. Non è stato trovato qui, ma misforzerò di trovarlo in Italia; sebbene iocreda che voi abbiate correttamente in -teso il significato dell’autore; siccomericordo avendo percorso velocementegli avvenimenti di quando io ero conVoi a Passy»16

Segue il 2 ottobre una lettera nellaquale può annunciare all’amico:

«Ho trovato alla fine un resocontodell’opuscolo del Padre Barletti in ungiornale italiano e lo rileggerò attenta-mente per un’ulteriore spiegazionedelle note che voi foste così buono dainviarmi».17

Seguono poi altre lettere18 nellequali l’argomento banderuola non com-pare tanto da sembrare completamentedimenticato, mentre sembra prospettarsil’eventualità di un viaggio di Franklin inItalia. Poi a distanza di un anno, il 29aprile 1783, la banderuola di Cremonariprende la scena, Ingenhouzs annuncia

all’amico il successo di un’esperienzada lui progettata che sembra confermarecoi fatti le ipotesi avanzate dal filosofoamericano:

«Ho messo in atto una gran serie diesperimenti con un apparato delle piùforti batterie con una superficie dell’ar -matura di 33 piedi quadrati, riuscendoperfettamente nell’imitare il fenomenoche accadde alla banderuola di un cam-panile di Cremona. Ritagliai la bande-ruola in una sottile lamina di stagnolacon questa forma e grandezza, la suddi-visi in numerose parti fissandone unpezzo da una parte di un cartoncino e ilsuccessivo alternativamente dalla parteopposta lasciando fra ciascuna parteuno spazio non coperto, che è a dire si -stemare i pezzi così in modo che fosselasciato un certo spazio fra l’orlo di unpezzo e l’orlo di un pezzo corrispon-dente dall’altra parte in maniera taleche l’esplosione fosse obbligata a pas-sare, non in maniera perpendicolare maper lo più in diagonale attraverso lacarta per saltare da un pezzo di metalloall’altro. Le sbavature di tutti i foririsultanti era da entrambi i lati del car-toncino, ma in generale più forte daquella parte dove la scarica era uscitaper colpire il pezzo metallico su quellato. Una gran parte di ogni pezzometallico era parzialmente esplosa e inparte fusa. Dove erano solamente fusi sipotevano osservare diversi piccolibuchi i cui bordi erano stati chiaramen-te fusi, e in quelli non si poteva distin-guere in che direzione il metallo fusofosse principalmente spinto fuori.Alcuni di questi fori avevano una partedei loro bordi slabbrati in una direzionee in quella opposta (nello stesso buco).Dove trovai due fori in un unico pezzodi metallo, trovai anche due fori nellacarta opposta ai due fori colpiti nelmetallo. In alcuni di questi esperimentiho coperto entrambe le superfici delcartoncino con un pezzo di carta permezzo della ceralacca, ma entrambequeste carte vennero tutte stracciate inbrandelli e il metallo fuso si sparse pertutta la stanza alla distanza di parecchipassi. Tentai inoltre di imitare il feno-meno in questa maniera: appiattii unfilo di rame col martellarlo e allora lotagliai rastremandolo, la scarica dellabatteria dissipò una grande quantità di

10 Nella pag. a lato, incisione riprodu-cente uno dei principali edifici di Filadelfia

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questo in fumo, i bordifurono frantumati e fusima in nessuno di […] ioho potuto […] Pertantoio penso che non siaimpossibile imitare glieffetti del fulmine diCremona col dirigereuna scarica elettricaattraverso una bande-ruola di questo tipo; efarò più esperimenti aquesto proposito.

Nell’ultimo scritto, che Voi sietestato così buono da inviarmi sul fulmi-ne di Cremona, Vi siete offerto di darmise lo desideravo la vostra opinionecirca gli effetti da Voi menzionati sullascarica di una batteria ad opera di unaverga metallica, esplosione con la qualedo dici bottiglie su venti furonoperforate no nostante il fuoco elettricotrovasse un passaggio aperto. Ora laimploro di farmi il favore di illuminar-mi su questo argomento.»19

La risposta di Franklin entusiastadell’esperienza realizzata arrivò a strettogiro di posta:

«Sono contento che voi abbiatefatto l’esperimento che citate e con suc-cesso. Voi troverete che i fori non sonostati fatti dall’impulso del fluido elettri-co che si muoveva in una certa direzio-ne, ma dalle circostanze dell’esplo sionedelle parti del materiale; e penso ancheprobabilmente alla mia spiegazione deifori della banderuola, vale a dire che cifu l’esplosione dello stagno contro unaparte della lamina di rame che era quasiprossima alla fusione e perciòfacilmente attraversabile dall’es -plosione una parte da un lato e un’altradall’altro lato come avvenne.

L’esplosione di 12 bottiglie ad untempo io suppongo sia dovuta a piccolebolle d’aria all’interno del vetro o agranelli di sabbia, nei quali una certaquantità di fluido elettrico era stata for-zata e compressa mentre la bottigliaveniva scaricata; e quando la pressioneera stata repentinamente annullata sca-ricando la bottiglia, quella porzioneconfinata per la sua forza espansivaaveva causato la rottura. Le mie ragioniper pensare che la carica non passi daquesti fori la troverete in un’ulteriore

lettera; e io penso che voi troverete checon o senza rivestimento e forzato daentrambe le parti dell’esplosione diqueste piccole bolle.»20

Si approssima il momento della pub-blicazione, che a questo punto nonsarebbe affidata alla sola teoria ma sipotrebbe giovare anche delle evidenzesperimentali, e i problemi che erano statisino ad allora accantonati emergono conil giusto rilievo. Scrive Ingenhousz aFranklin da Vienna il 15-agosto 1783:

«Nel raccogliere gli scritti filosoficiche io possiedo di voi, ho trovato diffi-cile il modo di soddisfare alle vostrerichieste di non citare il vostro nomenello scritto che voi mi avete indirizza-to sul lavoro del padre Barletti. Nonposso non essere coerente con la regoladi equità e di veridicità e presentarlocome mio, e ancor meno per il lavoro diun autore ignoto, perché il vostro nomeuscirebbe comunque e avrebbe unacerta aria di mistero. Siccome è scrittoin uno stile molto chiaro e allo stessotempo molto semplice non può irritarenessuno, e pertanto voi mi obbligate achiedervi di ritirare la vostra richiesta emi darete il permesso di pubblicarlocosì com’è. Le note che aggiungeròsaranno quelle che vi ho scritto sul mioperfetto imitare gli effetti del fulmine diCremona attraverso una forte esplosio-ne elettrica. Lo stesso Padre Barletti loaccoglierà con piacere. Esso gli darà unnuova possibilità di mettere in chiara eevidente luce i fenomeni naturali. Egli èmolto lontano dall’essere un lucidofilosofo. Tutti i suoi scritti sono tutt’al-tro che chiari, ma prolissi e confusicome quelli di padre Beccaria. Essiopprimono la mente dei lettori, senzarischiarare le difficoltà, io ho osservatoche coloro che magnificano la maggior

parte dei proprilavori, in realtànon hanno ilcoraggio di anda-re oltre.21

Conscio di a-vere toccato untasto dolente, ilmedico olandesesi affretta ad intro-durre un argomen-

to che è certo desterà l’interesse dell’in-terlocutore ma allontana il punto contro-verso, fornendoci così un aneddotodivertente:

«Se voi ricordaste alcuni dettaglidelle circostanze e conseguenze delledue scariche elettriche dalle quali voifoste colpito incidentalmente e gettato aterra. Vi sarei molto obbligato se me lecomunicaste, perché non li ho trovatidescritti nei vostri lavori. Siccome glieffetti di una simile scarica dalla qualeio fui colpito furono seguiti da alcuneparticolarità notevoli vorrei compararlicon quelli da voi sperimentati. La botti-glia [di Leida] dalla quale io fui colpitoconteneva circa 32 pinte. Essa era pros-sima ad essere totalmente caricataquando io ricevetti la scarica del con-duttore collegato a questa bottiglia. Lascarica entrò nella mia tempia (dalpunto d’angolo della mia testa). Poientrò nella mia fronte e passò attraver-so il mio braccio sinistro, nel qualetenevo la catena comunicante conl’attacco dell’armatura esterna dellabottiglia. Io non vidi né udiil’esplosione della scarica dalla qualefui gettato a terra. Persi i sensi, lamemoria, la capacità di intendere eanche il sano giudizio. La mia primasensazione fu di dolore alla fronte. Ilprimo oggetto che vidi lo stipite dellaporta. Misi assieme le due sensazioni epensai di essermi ferito al capo control’architrave in legno della porta., laqual cosa era impossibile perché laporta era larga e alta. Dopo aver rispo-sto in maniera inadeguata a diversedomande che mi erano state rivoltedalle persone presenti nella stanza,decisi di andare a casa. Ma rimasialquanto sorpreso che, sebbenel’incidente fosse accaduto in un edificio

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che era nella stessa strada dove io abi-tavo, tuttavia rimanessi più di dueminuti a ragionare da che parte dovessidirigermi per tornare a casa, a destra oa sinistra. Trovata finalmente la miaabitazione e riflettendo che la miamemoria era diventata debolissimaritenni più prudente mettere per iscrittogli avvenimenti accaduti. Mi misidavanti al foglio intinsi la penna nel-l’inchiostro, ma quando mi chinai sulfoglio, mi accorsi di avere interamentedimenticato il saper leggere e scrivere edi non sapere più che fare con la penna,come un selvaggio che non conosce cheuna tale arte è stata scoperta. Questo migettò nel panico, perché temetti che sa -rei rimasto per sempre un idiota. Pensaipiù prudente andare a letto. Dormii pas-sabilmente bene e quando il mattinoseguente mi svegliai sentii ricomparireil dolore alla fronte e vi trovai un segnorosso, ma le mie facoltà mentali erano aquel momento non solo ritornate, macon la più viva gioia avvertivo e costa-tavo che la mia capacità di giudizio siera fatta infinitamente più acuta. Misembrava di vedere in maniera moltopiù chiara le difficoltà di ogni cosa e ciòche precedentemente mi pareva diffici-le da capire era ora diventato compren-sibile e di facile soluzione, trovavocomunque in tutto il mio essere unavivacità che mai avevo osservato pri -ma. L’esperienza, fatta per caso su mestesso e della quale vi darò a suo tempoun anticipazione mi ha indotto ad infor-mare alcuni dottori dei pazzi di Londra,come il dottor Brook, per tentare unesperimento simile sui pazzi ritenendoche come io ho trovato in me stesso lemie facoltà mentali aumentate e come ilmondo ben conosce, che le vostre fa -coltà mentali se non aumentate dalledue scariche che avete ricevuto, nonsono state certamente menomate da es -se, esso può forse essere un rimedio perrestituire le facoltà mentali quandosono perse, ma non ho potuto persuade-re nessuno della cosa22.

Seguono questa lettera altre missive diIngenhousz all’amico senza chel’argomento banderuola venga ripreso,interrotte solo da una breve ma significa-tiva comunicazione di Franklin cheannuncia come il lungo lavoro da lui svol-to abbia finalmente dato i suoi frutti:

«Domani verrà firmato il trattatodefinitivo che sanziona la pace oggi inEuropa e in America. Possa essa conti-nuare il più a lungo».23

A questa lettera è unita la copia diuna seconda indirizzata a Joseph Banks,presidente della Royal Society di Lon -dra sui palloni volanti, un argomentoche, grazie alle ascensioni promosse daifratelli Mongolfier e ai voli di Pilâtre deRozier e dei numerosi emulatori, staguadagnando seguaci in tutta Europa.Così, seguendo la moda del momento,crescerà pure il suo peso nella corri-spondenza fra i due amici. Tuttavia ilfulmine cremonese non è definitivamen-te dimenticato e, alla vigilia del Natale1783, Franklin invia la risposta allarichiesta che gli era stata rivolta:

«Fate quello che vi pare con i mieiscritti, e fra gli altri quello della bande-ruola».24

Come è noto, in seguito, dello scrittodel Franklin, che avrebbe potuto esserecorredato dalle molte esperienze fatte daIngenhousz, non si fece nulla: né unopuscolo, né comparve sotto forma dilettera, magari riassunta in un giornaleletterario e neppure come articolo in unvolume miscellaneo.

Termina quindi qui la nostra indagi-ne per ciò che riguarda i documenti dis-ponibili, lasciandoci l’imbarazzo di in -terpretare il motivo della mancata pub-blicazione. La spiegazione più ragione-vole sembra vada ricercata nello scarsoentusiasmo dell’autore, sentimento chetraspare dalla laconicità dell’assenso,unito alla caduta di interesse dell’ar -gomento trattato,-erano trascorsi più ditre anni dalla pubblicazione dell’operadel Barletti- il tempo aveva fatto la suaparte rendendo lo scritto inattuale, o,come aveva detto Barletti in un occasio-ne analoga: “lo scritto avrebbe avuto ilsapore di una minestra riscaldata”. Altriinteressi come i palloni volanti, in queigiorni, mettevano a rumore il mondo let-terario, motivi che non potevano noninfluenzare Ingenhousz, studioso divalore, ma non insensibile agli umori deisalotti letterari.

1 ALESSANDRO LAGUZZI, Carlo BarlettiBenjamin Franklin e … un nuovo fenomeno difulmine, in «URBS», 2008, n. 2, pp.108-112;

2 (Senza autore, ma Carlo Barletti), Analisid’un nuovo fenomeno di fulmine edOsservazioni sopra gli usi medici della elettri-cità, in Pavia, Nella stamperia del R. Monisterodi S. Salvatore per Giuseppe Bianchi, 1780

3 Ingenhousz Jan, Nato a Breda in Olandanel 1730, si laureò all’Università di Lovanio inmedicina che praticò sviluppando al contempointeressi scientifici prima di trasferirsi inInghilterra (c. 1764), dove lavoro con JohnPringle. Fu probabilmente grazie a quest’ulti-mo che in questo periodo conobbe Franklin. Fusempre Pringle che lo inviò a Vienna per ino-culare la famiglia reale d’Austria contro ilvaiolo (1768). Venne nominato medico cesareoalla corte di Giuseppe II e Maria Teresad’Austria (1769-79), sebbene viaggiasse inInghilterra con Franklin e Jonathan Williams,Jr. nel 1771. Franklin attraverso i suoi buoniuffici tentò di assicurarsi l’appoggio Austriacoper la causa Americana durante la guerra diindipendenza. Oltre agli studi in campo elettri-co evidenziati in questo scritto condusse ricer-che sull’aria deflogisticata (ossigeno) in parti-colare scoprì come le piante esalino durante lanotte anidride carbonica, mentre durante ilgiorno producono ossigeno. Per queste suericerche che lo portarono alla pubblicazione delsuo più importante lavoro (Experiments uponvegetables: discovering their great Power ofpurifying common air in sun-shine, and of inju-ring it in the shade and at night: to which is joi-ned, a new method of examining, the accuratedegree of salubrity of the atmosphere/by JohnIngen-Housz (London, printed for P. Emsly andH. Payne 1779), è considerato lo scopritoredella fotosintesi. Ricordiamo fra l’altro cheun’altra ricerca condotta da Ingenhousz portòalle prime osservazioni sui moti browniani. Nel1779, Ingenhousz ritornò in Inghilterra dovecontinuò a coltivare I suoi interessi medici escientifici fino alla sua morte nel 1799.

4 Carlo Barletti nella prefazione al secondotomo della sua Fisica particolare e generalecit., (pp. XII-XVI) ricorderà come l’aver osser-vato «alcuni mazzi di cartoncini bianchi foraticolla scintilla elettrica all’uso del Symmer»dalla potente macchina in uso nel Gabinettofiorentino, mostratigli dall’abate Fontana furo-no determinanti nel rivedere le proprie impo-stazioni teoriche sui fluidi elettrici. Cfr.FERDINANDO ABBRI, La «spranga elettrica»:Frisi e l’elettricità, in Ideologia e scienza nel-l’opera di Paolo Frisi (1728-1784) a cura diGENNARO BARBARISI, Franco Angeli, Milano,1987, pp. 179-180; cfr. anche A. LAGUZZI, Peruna biografia cit., pp. 30-36.

5 Franklin: risponde alle domande del Dr.Ingenhousz, dopo il 3 May 1780, Tutte le lette-re citate in questo articolo si trovano in: DigitalEdition by The Packard Humanities Institute:The Papers of. Benjamin Franklin. Sponsored

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by. The American Philosophical Society andYale University, nel sito: http:// franklinpa-pers.org/franklin/.Riportiamo il testo in linguaoriginale: «When a strong Explosion is direc-ted through a Pack of Cards or a Book, havinga Piece of Tinfoil between several of itsLeaves, the Electrical Flash makes anImpression on some of those metallic Leaves,by which it seems as if the Direction of theelectric Explosion had gone from the Outsidetowards the Inside, when on the other metallicLeaves, the Impression is in such a Directionthat it indicates the Current of electrical Fire tohave made its way from the Inside of the Phialtowards the Outside; so that it appears to someElectricians, that in the time of the Explosionof an Electrical Phial, two Streams of electricalFire rush at the same time from both Surfaces,and meet or cross one another. Answer».

6 Ibidem: «Those Impressions are notEffects of a moving Body, striking with Forcein the Direction of its Motion; they are made bythe Burs rising in the neighbouring perforatedCards, which rise accidentally sometimes onone Side of a Card, sometimes on the other inconsequence of certain Circumstances in theForm of their Surfaces or Substances orSituations. In a single Card supported withouttouching others while perforated by the passingFluid, the Bur generally rises on both Sides, asI once show’d to Mr Symmer at his House. Iimagine that the Hole is made by a fine Threadof El. Fluid first passing, and augmented to abigger Thread, at the Time of the Explosion,which obliging the Parts of the Card to recedeevery way, condenses a Part within theSubstance, and forces a Part out on each side,because there is least Resistance».

7 Ricordo che la pubblicazione del piùimportante studio di Ingenhousz su questi temiExperiments upon vegetables: discoveringtheir great Power of purifying common air …risaliva all’anno precedente.

8 I have made up of the several metal wiresyou was pleased to give me. You rememberyou gave me a wire of five metals all drawnthro the same hole Viz. one, of gould, one ofsilver, copper steel and iron. I supplyed herethe two others Viz. the one of tin the other oflead. I fixed these seven wires into a woodenframe at an equal distance of one an other andequaly pressed by means of screws to fix them,so that they all were of the same length as faras they were out of the wooden frame, whichlength was of about 5 parish inches. I got a tinbox made on purpose some what longer thanthe row of the seven metals and about 6 inchesdiep. This box being filled with white wax wasplaced in an earthen vessel filled with boilingwater. The wax being thus melted must haveevery where the same degree of heat, whenthoroughly melted. This being done, I dipt theseven wires into this melted wax as deep as thewooden frame, by which they were all kept ina row, would atmit of. By taking them out they

were covred with a coat of wax, which by thecold air soon con-gealed, when I found that thiscrust was there about of an equal thikness uponall the wires, I placed them all in a glased ear-then vessel full of olive oil heated to somedegrees under boiling, taking care that eachwire was dipt just as far in the oil as the other,which certainty I obtained by taking a vesselwhich I filled to the hight of about one inchwith the hot oil and plunging the wires to thebottom of this vessel. I observed carefully uponwhich of the wires the coat of wax did melt thesoonest. But as it is not an easy thing to obser-ve at once 7 objects, I placed, after each expe-riment, the wires upon a vertical line or oneparalel with the wire I was to examine and mar-ked exactely the place where the wax wasremained opake or not melted. Now, as theyhad been all dipt alike at the same time in thesame oil, it must follow, that the wire, uponwhich the wax had been melted the highest,had been the best conductor of heat. Havingrepeated many times the experiment, I found,that the silver conducted heat far the best of allother metals, next to this was copper, then gold,tin, iron, steel, Lead. I have carefully transfer-red the 12 first experiments upon the paperinclosed; each interstice of two black linesrepresenting a wire, and the smal red linesrepresenting the ex-act hight at which the mel-ting of the wax had stopped in the several expe-riments, the horizontal line representing theextremity of the wires. It appears, that in fourexperiments the iron and steel had conductedalike; but as in the 8 others the iron had been abetter conductor than the steel, I fancy that inthose experiments, in which the wax was mel-ted in both at the same hight, the coat of waxhad been some what thicker upon the iron thanupon the steel, which is not easily observableby the eye. I Suspect the same circumstancemay have happened in the three experimentsviz. the III the V. and the XIIth with respect tothe tin Stannum. Come si vede è la descrizionedi quella che diventerà la “cassetta diIngenhousz” uno strumento didattico presenteancor oggi in molti gabinetti di fisica e chimi-ca.

9 Lebègue de Presle, Achille-Guillaume(1735-1807) Scienziato e medico, amico e cor-rispondente di Franklin su vari argomentiscientifici, letterari su argomenti personali.Amico e medico di Rousseau. Amico anche diJean-Hyacinthe Magellan e di Jan Ingenhousz.Uno scrittore prolifico di argomento medico. Silaureò alla facoltà di medicina a Parigi (1760).Fu collaboratore della «Bibliothèque physico-économique». Era fratello di Louis Lebègue dePresle Duportail combattente dell’indipenden-za americana.

10 INGENHOUSZ, JAN, Electrical Experi -ments to Explain how far the Phenomena of theElectrophorus may be accounted for by Dr.Franklin’s Theory, (1778); WILLIAM HENLY,Observations and Experiments Tending to

Confirm Dr. Ingenhousz’s Theory of theElectrophorus; And to Shew the Imper -meability of Glass to Electric Fluid. in«Philosophical Transactions of the RoyalSociety of London», Vol. 68, (1778), pp. 1049-1055

11 INGENHOUSZ, JAN. Expériences sur lesvégétaux: spécialement sur la propriété quìlspossèdent à un haut degré, soit dàméliorer làirquand ils sont au soleil, soit de le corrompre lanuit, ou lors quìls sont à l’ombre : auxquelleson a joint une méthode nouvelle de juger dudegré de salubrité de l’atmosphére,; tr. del’anglois par l’auteur, Paris : Chez P. Fr. Didotle jeune, 1780

12 Franklin to Ingenhouzs, Passy, Oct. 2.1781[-June 21, 1782]«I did propose to finishmy Paper relating to the Weathercock of PereBarletti, but had mislaid his Book & what Ihad written. I will now endeavour to do it; butmy Thoughts are so employ’d in Matters of adifferent kind, that I cannot easily fix them onphilosophical Subjects».

13 An Attempt to explain the Effects ofLightning on the Vane of the Steeple of aChurch in Cremona, August 1777. Address’d toDr John Ingenhauss, C. & Archiat. Cæs. &c &c

14 In italiano nel testo15 From Jan Ingenhousz to Franklin,

Vienna Aug. 20th. 1782, I Was very happy inreceiving your letter containing the explicationof the stroke of lightning at Cremona, and another, dated July 4th, which came to hand befo-re yesterday. Recieve my most harty thanks forboth these favours

16 Ibidem, I have not yet been able to finda copy of the pamflet of Pere Barletti on thestroke of lightning at Cremona. It is not be gothere, but I will endeavour to get it from Italy;tho I believe you have rightly understood themeaning of the author, as I remember of havingrun over the performance when I was with youat Passy.

17 From Jan Ingenhousz to Franklin, Oct.2 1782 , «I got at last an account of PereBarlett’s pamphlet in an italian journal and willperuse it for the farther elucidation of the notesyou was so good as to send me.»

18 From Ingenhousz to Franklin, Vienna,27 novembre 1782; Ingenhousz a Franklin,Vienna, 29 novembre 1782; Ingenhousz aFranklin, Vienna, 28 Gennaio 1782;Ingenhousz a Franklin, Vienna, 26 febbraio1783, Ingenhousz a Franklin, Vienna 8 aprile1783.

19 From Jan Ingenhousz to Franklin,Vienna Aprile 29th. 1782, «I have made a greatdeal of experiments with one of the strongestbatteries, having three and tharty feet squaresurface coated, and have succeeded perfectly inimitating the phenomenon which happened onthe vane of a Steiple at Cremona. I cut a vaneof thin foil of this form and size I cut it in seve-ral pieces stikking one piece on the one side ofa card and the following alternately at the

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opposit side of it, leaving between each somespace not covered, that is to say placing the pie-ces thus, that there was some space left bet-ween the edge of one piece and the edge of thecorresponding piece at the opposit side, so thatthe explosion was obliged to pass, not a direct,but somewhat in a diagonal way thro the cardto leap from one piece of metal to the other.The burr of all the holes was on both side of theCard but in general stronger at that side, wherethe flash went out to get at the metal piece onthat Side, A great part of every piece of metalwas partly Exploded, partly melted. Were itwas melted only, several small holes wereobservable, whose edges had been manifestlymelted, and in those I could not distinguishwhich way the melted metal was chiefly drivenoutwards; but in some pieces of metal one hole,in some two were observed, whose edges werebended indifferently toward the one and theother side the middel part of it being exploded.Some of those holes had a part of their edgesturn’d the one way and an other part (in thesame hole) the other way. Where I found twoholes in one piece of metal, I found also twoholes in the card opposit the holes struck in themetal. In some of these experiments I hadCovered both surfaces of the card with a pieceof paper by means of sealing wax. but boththose papers wher all torn to rags and the mel-ted metal flew thro the room at the distance ofseveral paces. I tryed also to imitate the pheno-menon in this way. I flatted a copper wire byhamering it and then cut it in a tapering way:the explosion of the battery dissipated a greatdeal of it into smoak, the edges were raggedand had been in a melted condition, but in noneof them I could as yet discover any real tho Ithink it not impossible to imitate the effect ofthe lightening at Cremona by directing an elec-trical blast thro a vane of this nature: and I willmake more experiments to this purpose. In thelast paper you was so good as to sind me aboutthe lightning of Cremona, you have proposedto give me, if I desire it, your opinion about theeffect you mention there of an explosion of abattery by a discharging rod, by which explo-sion twelve jarrs out of twenty where perfora-ted notwithstanding the electric fire found anopen passage. Now I begg earnestly the favourof being instructed on this head. Give me leaveallso to remind you of the theory of the newfire place in which the smoak is burn’d.

20 Franklin to Jan Ingenhousz, Passy, May16. 1783, «I am glad you have made theExperiments you mention, and with Success.You will find that the holes are not made by theImpulse of the Fluid moving in certainDirections, but by Circumstances of Explosionof Parts of the matter; and I still think myExplanation of the Holes in the Vane probable,viz. that it was the Explosion of Tin againstParts of the Copper Plate, that were almost in aState of Fusion, and therefore easily burst

thro’, either on one Side or the other as it hap-pened. The Bursting of the 12 Bottles all atonce, I take to be owing to small Bubbles in theSubstance of the Glass, or Grains of Sand, intowhich a Quantity of the Electric Fluid had beenforc’d and compress’d while the Bottles werecharging; and when the Pressure was suddenlytaken off by discharging the Bottles, that confi-n’d Portion by its elastic Force expanding cau-sed the Breach. My Reasons for thinking thatthe Charge did not pass by those Holes you willfind in a former Letter; and I think you willalways find that the Coating within and withoutis forced both Ways by the Explosion of thoseBubbles.»

21 Ingenhousz a Franklin, Vienna il 15-agosto 1783: «In collecting what philosophicalanecdotes I possess of you, I find it difficult,how to comply with your request of not men-tioning your name in the paper you adressed tome on father Barletti’s work. I can not, consi-stent with the rules of equity and veracity, giveit for my own, and even less for a performanceof an anonimous author; for than your namewould be equaly gessed, and it would havesome appearance of mystery. As it is written ina Very polite, and at the same time very modeststile it can’t hurt anyone, and therefore youwould oblige me to withdraw your request andgive me leave to publish it as it is. The notes,which I will add to it, will be what I wrote toyou about my perfectly imitating the effects ofthe lightning at Cremona by a strong electricalexplosion. Father Barletti him self will recieveit with pleasur. It will give him a new specimenof putting explications of natural phenomena ina clear and obvious light. He is very far frombeing a clearheaded philosopher. All his wri-ting are nearly as dark, diffuse and perplexed asthose of Father Beccaria. They vex and tire thereaders mind, without clearing up the diffi-culty. I have observed, that those who extol themost their works, had in reality not had thecourage to goe thro them».

22 Ibidem, «If you should remembersome particularities about the circonstancesand consequences of the two electrical explo-sions, by which you was hit by accident, andstruck to the ground, you would oblige me tocommunicate them to me, as I doe not findthem in your works. As the effect of a similarstroke by which I was struk was followed bysome remarcable particularities. I should liketo compare them which [with] those you haveexperienced. The yarr [jar] by which I wasStruck, contained about 32 pints. It was nearlyfully charged when I recived the explosionfrom the conductor supported by that jarr. Theflash enter’d the corner point of my hat. Then,it entred my forehead and passed thro the lefthand arm, in which I held the chaine commu-nicating with attached to the outward Coatingof the yarr. I neither saw, heared nor [sensed?]the explosion stroke by which I was Struckdown. I lost all my senses, memory, understan-

ding and even sound judgment. My first sensa-tion was a peine on the forehead. The firstobject I saw was the post of a door. I combinedthe two ideas togeather and thought I had hurtmy head against the horizontal piece of timbersupported by the pos[ts?], which was impos-sib[le] as the door was wide and high. Afterhaving answered unadequately to some que-stio[ns] which were asked me by the people inthe room, I determined to go home. But I wa[s]some what surprised that, though the accidenthappened in a hous in the same street where Ilodged, yet I was more than two minutes con-sidering whether, to go hom[e,] I must go to theright or to the left hand. Having found my lod-gings, and consider[ed?] that my memory wasbecome very weak, I thought it prudent to putdown in writing th[e] history of the case. I pla-ced the paper before me, dipt the pen in the ink,but when I applyed it to the paper, I found I hadentirely forgotten the art of writing and readingand did not know more what to doe with thepen, than a savage, who never knew there wassuch an art found out. This Struck me with ter-ror, as I feared I should remain for ever anidiot. I thaught it prudent to go to bed. I slepttolerably well and when I awaked next mor-ning I felt found still the peine on the foreheadand found a red spot on the place: but my men-tal faculties were at that time not only returned,but I feld the most lively joye in finding, as Ithought at the time, my judgment infinitelymore acute. It did seem to me I saw much clea-rer the difficulties of every thing, and what didformerly seem to me difficult to comprehend,was now become of an easy solution. I foundmoreover a liveliness in my whole frame,which I never had observed before. This expe-riment, made by accident, on my self, and ofwhich I gave you at the time an account, hasinduced me to advise som[e] of the Londonmad-Doctors, as Dr Brook, to try a similarexperiment o[n] mad men, thinking that, as Ifound in my self, my mental facultiesimpro[ved] and as the world well knows, thatyour mental faculties, if not improved [by] thetwo strooks you received, were certainly nothurt by them, it might perhaps be [?] a remedieto restore the mental faculties when lost: but Icould never persuade any one to.Sull‘argomento cfr. Beaudreau, Sherry Ann;Finger Stanley. Medical electricity and mad-ness in the 18th century: the legacies ofBenjamin Franklin and Jan Ingenhousz, in«Perspect. Biol. Med. (United States)» 49(2006), n. 3, pp. 330-45.

23 Franklin a Ingenhousz, Passy Sept. 2,1783: «To morrow is to be signed ourDefinitive Treaty, which establishes for thepresent the Peace of Europe and America.Long, long, may it continue!»

24 Franklin a Ingenhousz, Passy Dec. 24,1783: «Do what you please with my Papers,and among the rest that of the Wethercock».

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Introduzione.La chiesa di San Michele è uno dei

monumenti che hanno fatto la storia diCampo; ad essa, per essere stata per tantisecoli anche la sede delle sepolture dicentinaia e centinaia di campesi, la po -polazione sempre rimase affezionata,fino a giungere negli ultimi Anni Trentadel Novecento ad impegnarsi finanzia-riamente e non solo per ricostruire quel -l’antica chiesa che, ridotta quasi ad unrudere dalla violenza delle acque, sem-brava sul punto di scomparire sottoun’altra violenza, quella umana del pic-cone demolitore.

Sarebbe stato il delitto più grande:San Michele e il Castello sono la storiadi Campo.

Già il nostro antico poeta, donLuciano Rossi, creava attorno “a la chie-sa che prega o al cimitero / che tace”1

una atmosfera di solennità e di pace,appropriata a quel luogo che per tutti iCampesi ha sempre significato il fonda-mento della propria appartenenza, illuogo delle radici: dalla antica pieve diSan Michele nacque sostanzialmenteCampo, nella chiesa di San Michele siconcludeva la vicenda terrena di ognicampese.

Il fatto che lì attorno si sviluppassesuccessivamente il cimitero, nulla togliealla funzione di essa chiesa: già i primicristiani amavano essere sepolti adSanctos, cioè vicino ai corpi di chi liaveva preceduti nella fede, tra i“santi di Dio”, passati dallaChiesa terrena a quella celeste.

Scriveva, infatti, il poeta donLuciano: Si bene vallabant haeccemaeteria muri, / si bene cinge-bant hoc cemaeteria templum2

e, di seguito, di fronte al notopaesaggio, ora sconvolto dallafuria delle acque dell’alluvionedel 1702, ripensava con nostal-gia all’amenità di cui godeva untempo quel luogo sacro:

«...Haeccine sunt prata, hocnuper decorantia templum, / sedtemplo decorata magis, dignataperenni / Principis AligerumMichaelis nomine prata, / cultamanu Charitum, Pimplaearumque

Sororum, / delicium Populi, celebrataqueGratia Campi? / Dicat Apollo quidem,quantum iam iuverit ista / terra voluptatis,quot frugibus ipse quotannis / auxerithanc medicis, sensus animantibus aegros,/ omniaque expresso sanantibus ulcerasucco: / quanta et in his dederit, quaeamissam pota quietem / conciliare, febris-que aestum lenire solebant. / Ver, aestas,autumnus opes, sua agrestia dona, / pen-nigeri coetus modulos, umbrasque Napeae/ his superaddebant pratis, et pinguibusagris, / quotquot erant domini, in tot par-vula praedia sectis. / Haec erat optatoplaga felicissima semper / aucupio, curis-que animo nimis apta levando. / Quampulchrum visu, dum floreo in aequoreludens / fingebat molles undas lasciva fla-bellis / aura suis, et mille trahens anima-bat odores! / Quam dulces auditu, densisdum garrula plantis / responsabat aquae,blando cum murmure eunti, / somnumafflabat vel sub iove proxima ripa! / SatPindum potuere suum iactare poetae; /non sat Campenses sine fletu dicere pos-sunt, / quam varia utilitas, quot commoda,quanta voluptas / nuper inesset huicPindo, non ardua habenti...»3.

Don Luciano vedeva quei luoghi dapoeta, sicuramente esaltandoli oltremisura, ma anche da buon campese,innamorato della Patria, riconosceva inessi il luogo sacro alla memoria eall’iden tità della Comunità.

Era un luogo meritevole del rispetto

e dell’amorevolezza: non poteva esseredeturpato dalla violenza della natura,tanto meno dalla mancanza di riverenzadegli uomini.

Oggi, forse, la natura non si scatenapiù contro San Michele. Gli uomini,invece, sì: incapaci ormai di ascoltare lavoce degli antichi, fanno spesso scem-pio di quel luogo sacro, insultando conle loro stupide azioni la memoria e lasensibilità di ogni campese che ancoradentro di sé coltiva il culto dei valoriperenni.

1 Origini della pieve di San Michele.

1.1 L’antica organizzazione ecclesia-stica del territorio.

La circoscrizione amministrativaromana, detta municipium, comprende-va una città (un oppidum, un agglomera-to urbano con funzioni di centro di mer-cato) col suo territorio suddiviso in pagi.Il pagus era un distretto rurale compostoda diversi villaggi, o vici e villae, ed eraretto da un funzionario pubblico cheesercitava giurisdizione. Pagi e Vici ave-vano terre comuni (compascua poicomunalia e vicinalia) lasciate all’usoconsuetudinario e organizzate in conci-lium4. Tale era, ad esempio, tutta la zonadi Prato Rondanino e di Capanne diMarcarolo (quando non tutta la ValleStura ed anche la Valle d’Orba) cherisulta essere stato un compascuo confi-

nario tra Liguri Veturii eLiguri Statielli. Forse, nondel tutto a torto, un ormaiantico storiografo campese5

fa derivare Rondanino danundinae, cioè la zona oveogni nove giorni avvenivanoscambi commerciali trapopolazioni diverse e confi-narie.

L’organizzazione eccle-siastica del l’alto medioevosi sovrappose a quella roma-na; il funzionario pubblicovenne spesso a coinciderecon la figura del Vescovodell’ex-municipium, oradetto diocesis. A capo delpagus, ora detto plebs, ven -

L'antica pieve di San Michele in Campo LigureExcursus storico tra i documenti dal sec. XIII al sec. XX.di Paolo Bottero

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ne posto un presbitero detto plebanus opievano che presiedeva il concilium deicapellani, cioè dei presbiteri rettori dellecapellae dei vici. Il capo dei vari presbi-teri, pertanto, venne indicato con ilnome di archipresbyter o arciprete.

La pieve non aveva un centro abita-to, ma soltanto un chiesa che, in genere,sostituiva l’antico tempio pagano, el’edificio costituiva luogo di ritrovo delpopulus.

1.2 Origini della pieve di San Michele.

Anticamente il confine tra le dueDiocesi di Derthona e di AquaeStatiellae era segnato, dalle nostre parti,dal torrente Stura (per alcuni storici,l’an tico Amporium, denominazione peraltro contestata): ciò significa chel’attuale abitato di Campo insisteva nelterritorio dertonense, mentre al di làdelle acque era sorta la “capella” dellaDiocesi acquese, trasformata poi in“chiesa battesimale” sotto il titolo di SanMichele Arcangelo.

La chiesa non risulta nel numerodelle pievi presenti in documenti relativiall’attività di San Guido6, il quale «Ipsequoque Archipraesbiteros in sua nobi-lissima Diocesi omnes per plebes mira-biliter ordinavit» (cioè: “in modo mira-bile mise a capo di ogni pieve della suaDiocesi un Arciprete”), come si legge alcap. XVII dell’opera dell’antico cronistaacquese, il canonico Lorenzo Calceato,che scrisse intorno al 12607.

Ciò, tuttavia, non significa affattoche non esistessero in Diocesi altre plebioltre quelle che si incontrano in alcunidocumenti legati agli anni di San Guido.

Le pievi “guidiane” erano le seguen-ti: S. Vigilio in Roccagrimalda; S. Mariadi Caramagna; la pieve di Cauro inSessame; S. Bartolomeo in Melazzo; S.Desiderio tra Ponti e Monastero; S.Anna in Montechiaro; S. Maria in Pon -zone; S. Maria in Campale (Molare); S.Maria in Cassine; S. Giovanni delleConche in Nizza; S. Antonio in Momba -ruzzo; S. Croce e Santi Vittore e Coronain Incisa.

Da questo elenco8, l’unico disponibi-le, emerge una situazione territorialelegata solamente al circondario di

Acqui, sul quale si esercitava diretta-mente l’autorità anche civile delVescovo Guido. Di tutto il restante terri-torio diocesano non si fa menzione alcu-na (del resto, è tutto da verificare quantodell’au torità del Vescovo si esercitasseintorno al Mille in territori lontani daAcqui) e, poiché tali territori erano abi-tati da vari “gruppi di fedeli” (plebes) èpacifico che in mezzo ad essi esistesseroluoghi di culto comunitari, edifici chegenericamente erano detti “pieve”.

Le «pievi non erano situate nei centriabitati ma in luogo equidistante dalleborgate circostanti, che ad esse facevanoriferimento. Preferibilmente erano col-locate nelle vicinanze di una importantevia di comunicazione (“via communis”)e di una presa d’acqua (fiume, torrente osorgente)». Appunto, la condizione pro-pria della pieve di San Michele!

«Le pievi... erano di forma allungataper lo più, col tetto a due spioventisostenuto da travi con soffitto di tegole:solamente il presbiterio, ossia la parteche copriva l’unico altare, era a volta; esotto la volta, sopra una trave trasversa-le, stava fisso un crocefisso...»9: è ladescrizione della chiesa di San Michele,anche se, per onestà intellettuale, occor-re rimarcare che l’edificio attuale è unaricostruzione degli anni 1938-40 dovutaal bellissimo progetto di Gio Batta Mac -ciò (1907-1981, vulgo “Baciccia d’Cri -spi”).

La chiesa «ha la volta sopra delSancta Sanctorum. Et in rimanente ècomperto col solo tetto all’uso delPaese. Ha suo pavimento dove si truova-no sette sepolture aggiustate in formapropria»: così scriveva il notaio chestese la relazione della visita pastoralefatta dall’Or dinario diocesano mons.Rovero nel 174410.

1.3 Il titolo della chiesa.

Il titolo di San Michele, presente intutti i documenti riguardanti la chiesacampese, richiama immediatamente l’i -dea di un insediamento longobardo inValle, quanto meno di una qualche fran-gia di quell’antico popolo guerriero cheda saccheggiatore, convertitosi al cri-stianesimo e diventato devoto all’an gelo

guerriero, eletto a proprio protettore (iguerrieri longobardi giuravano su SanMichele prima di buttarsi nella mischiadella battaglia), divenne costruttore dichiese e di monasteri.

Il titolo di San Michele e la presenzalongobarda ci porta ai secoli VII-X,senza per altro alcuna pretesa di preci-sione: del resto, furono quelli i tempiove «...Dum igitur medium silentiumtenerent omnia... et nox in mundo i.e. insuo cursu iter perageret..», come ancorascriveva il canonico Calceato11.

Nella nostra Diocesi non sono moltele chiese dedicate all’Arcangelo: si pos-sono segnalare la parrocchiale diPonzone, quella di Ricaldone, quella diStrevi e l’antica parrocchiale, oggi nonpiù esistente, di San Michele deCampora a Rivalta Bormida e, infine,quella di Castelletto Uzzone (una locali-tà oggi non più appartenente alla nostraDiocesi, ma si ricordi che, un tempo,tutta la Valle Uzzone era incardinata inAcqui, non per nulla uno degli Arcipretidi Campo del primo Seicento, donAntonio dei Marchesi di Ponzone, pro-veniva dal castello di Gorrino12); infine,la chiesa di San Michele di Canelli fon-data dai signori longobardi della locali-tà13. Il più antico documento che nomi-na la chiesa di San Michele di Campo,“orientata a levante come tutte le antichechiese cristiane”14 risale al 1245: è unatto testamentario col quale tale Elena,vedova di Giovanni Blanco diArenzano, dona alcuni beni a varie chie-se tra le quali appunto San Michele diCampo e Sancta Maria de Maasca15.

2. I ‘rectores’ della chiesa di San Mi -chele fino al secolo XV

Fino a circa metà secolo XV il sacer-dote responsabile della cura d’anime diCampo ebbe il titolo di Rector ecclesiaeSancti Michaelis: il primo rettore di SanMichele di cui si abbia menzione è taleGiovanni, ricordato come uno dei testi-moni dell’atto notarile del 27 aprile1310, per il quale i 61 uomini di Campo(homines16) giurarono che «erimus fide-les vassalli vobis prefatis dominisAngelo et Anfreono» Spinola; l’atto, in -fatti, si conclude con l’annotazione:

Alla pag. precedente, la chiesa di S. Michele nel cimitero dicampo, antica pieve.A lato, antica vasca del fonte batte-simale sulla quale compare un altorilievo con il battesimo di Gesùnel Giordano

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«presentibus testibus presbytero Iohan -ne, ministro ecclesiae Sancti Michaelisde dicta villa Campi...»17. Il nostro sto-riografo, Domenico Leoncini, a preteGiovanni affibbia, non ben si capisce ilperché, il cognome o patronimico “Egi”,dizione inesistente nell’atto citato18.Tale estemporanea denominazione vienepoi ripetuta stancamente da tutti, maproprio tutti (!), i Leoncini-dipendenti(cioè, praticamente da tutti coloro chehanno scritto di storia di Campo, senzadocumentarsi, ma copiando direttamen-te dal nostro antico, compresi alcuni stu-diosi di non indifferenti capacità) senzache mai sia loro venuto in mente diandarsi a leggere il documento del 1310.

Un altro rettore fu tale Anselmo de’Guberi (“Ansermo de Guberis”, un ales-sandrino, che già era investito della cari-ca di «rector ecclesiae Sanctae Mariaede Rusigliono»); il presbitero venivaincaricato il 4 novembre 1366 anchedella rettoria campese in quel momento,ma purtroppo anche da lungo tempo,senza un pastore (“ad praesens et diuvacat rectore”), fatto quest’ultimo chedice dell’esiguità della popolazione delpiccolo borgo campese19; l’incarico gliera affidato dal Vescovo «...prout facereposset verus rector ecclesiae supradic-tae... ut possis et valeas in dicta ecclesiamissam et divina officia celebrare et indicto loco curam gerere animarum»20.

Anche tale presbitero Ugo Olivari fuinvestito della rettoria di San Michelenel 136721; così avvenne nel 1370 perMartino Buscarino, un prete voltreseche, sponsorizzato dai signori Spinola,ottenne la rettoria campese il 14 giugno1370. L’atto di investitura di preteBuscarino da parte del vescovo Guido IIdei Marchesi di Incisa (vescovo diAcqui dal 1324 al 1373), venne rogato

in Bistagno «presentibus domino An -thonio filio quondam domini FedericiSpinole de Sacto Luca civi Ianuensi,presbitero Anthonio de Castellengohabitatore Bestagni, Iohanne de Serrade Bestagno, Petrino de Iohanna, Tho -ma de Prema et Iohannono Bascheria,omnibus de dicto loco Campi, testibusvocatis et rogatis»22.

Questo atto, tra l’altro, ci consente diaffermare che i feudatari di Campoerano in grado di imporre (e di ottenere)al Vescovo un loro uomo a capo dellaChiesa campese.

A distanza di quasi quarant’anni tro-viamo il nome di un altro rettore di SanMichele: il 28 novembre 1437 il vesco-vo di Acqui, Bonifacio Sigismondo,investiva del Beneficio campese “fraB.tono de Bu.go” del convento S. cti B.tolomei extra muros de Multedo (fraUbertone da Borgo - quale “Borgo”? -del convento di San Bartolomeo diMultedo)23.

Nel 1451 il frate agostiniano Antonio“de Lazeris de Clambinasco”, nominatorettore della chiesa della Beata Maria inRivalta, accettava in contemporaneaanche il rettorato di San Michele diCampo conferitogli dal Vescovo Tom -maso De Regibus con atto rogato il 31agosto 145124. Con tutta probabilità,padre de Lazeris incappò in Campo inun inverno durissimo e si ritrovò unachiesa mezzo diroccata dall’ennesimaalluvione; fatto sta, che nel febbraio se -guente già abbandonava Campo.

Occorre, tuttavia, registrare che lanomina del presbitero Antonio era una“commenda”, vale a dire l’assegnazione“ad un sacerdote, già fornito di incaricopastorale” di “una chiesa curata allaquale non si è potuto dare un rettoreautonomo perché le rendite della stessa

non sono tali da garantirne la sopravvi-venza”25; come dire, che la Parrocchiacampese di San Michele era così poverada non essere in grado di mantenere unparroco-rettore.

Pertanto, la semidistrutta chiesa diSan Michele a metà Quattrocento nonpoteva essere ricostruita dalla troppopovera popolazione campese, impegnatagià da qualche tempo nella costruzionedella chiesa urbana di Santa Maria(quella che precedeva l’attuale parroc-chiale); tuttavia, per sua fortuna, laComunità trovò nella famiglia Buffetti igenerosi che la ricostruiscono in pro-prio.

Finalmente tra le firme dei parteci-panti al Sinodo diocesano, chiuso nellacattedrale di Acqui il giorno 22 agosto1499 dal vescovo mons. LodovicoBruno, si legge quella di “Ego p.ter Bar -tholomaeus sabr. Archip.ter ... campi”26:dunque, don Bartolomeo è il primo dicui si ha notizia rivestito del titolo diArciprete di San Michele di Campo. Ciònon significa che il titolo di Rector nonriappaia; anzi, padre Gio Batta Spinolarisulta “Rettore della Chiesa di S.Michele dal 16 aprile 1566”27 almenofino al 1579.

Oltre il 1579, e fino al 1592, si bran-cola nel buio, perché i registri di battesi-mo in anagrafe parrocchiale sono man-canti dal 1579 al 1591; quelli di morte(con inserti di pagine di registri di matri-monio o di promessa di matrimonio)sono di difficile lettura e, ove compaio-no le firme di altri presbiteri (tra cui nel1589 quella di un tale padre Gio BattaValente, probabilmente un agostinianodel gruppo che in quegli anni erano statichiamati dal feudatario locale alla reg-genza della parrocchia di Masone: ilLeoncini lo segnala quale “curato diCampo”, ma non giustifica il titolo,potrebbe essere il successore ad interimdi padre Spinola28), questi non rivestonoperò il titolo dei Rettore, infatti non sifirmano come tali.

Nel 1592, comunque, in testa a donGiacomo Voglino29, parroco di Campoforse dal 1592 sicuramente sino al 1620(21 marzo 1620 ultima sua firma nelLiber Baptizatorum), risulta il titolo di

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“Arciprete” della Parrocchia del Feudodi Campo sotto il titolo di San Michele:occorre, tuttavia, dire che la firma di donVoglino appare con chiarezza nei regi-stri soltanto a partire dal 1603. Dall’attonotarile riguardante l’Appari zione del1595, comunque, don Voglino risultapresente in Campo.

3. San Michele, prima chiesa parroc-chiale di Campo.

3. 1 Sul fatto che San Michele fossela prima e più antica chiesa facente lefunzioni di chiesa parrocchiale non cisono dubbi di sorta: tutte le relazioni divisita pastorale dei Vescovi di Acquisono chiarissime in tal senso, a comin-ciare dalla relazione del VisitatoreApostolico, mons. Girolamo Ragazzoni,che nel 1577 scriveva “L’antica parroc-chiale di San Michele si conservi bencoperta et ben serrata et se vi faccia ilsuolo et imbianchino le mura et se viserri bene il cimitero.... ”30, per andarealla Relazione del Visitatore, mons.Carlo Montiglio, Vescovo di Viterbo,che nel 1585 scriveva: “....nella chiesacampestre di San Michaele già parroc-chiale di detto Loco.... ”31.

Il “già parrocchiale” deve intendersinel senso che, ormai, a fine Cinquecentogià funzionava in paese la chiesa diSanta Maria, costruita circa a metàQuattrocento per venire incontro alleesigenze dei fedeli, disagiati a doverrecarsi nella lontana chiesa di SanMichele: «D’altra parte la dislocazioneeccentrica di quasi tutte le chiese primi-tive sta diventando un pesanteproblema: l’insi curezza delle strade,conseguente alle guerre che continuanoa sconvolgere la regione, ostacola unafrequentazione regolare, ed i sacerdotistessi sono indotti a chiedere al vescovol’autorizzazione a celebrare la messaall’interno del borgo, in un luogo piùsicuro, autorizzazione concessa a condi-zione che il locale prescelto non vengaadibito ad altre attività che le funzioniecclesiastiche... Era quello il primopasso verso la nascita di una nuova chie-sa... il fenomeno interesserà tutti i bor-ghi, grandi e piccoli, così che sorgeran-no dovunque chiese parrocchiali all’in-

terno dell’abitato, confinando le anticheal rango di chiese cimiteriali»32.

E’ questa la motivazione per la qualeintorno a metà Quattrocento venne edifi-cata nel centro abitato di Campo la chie-sa di Santa Maria33 (e smettano, final-mente, coloro che si occupano di Campodi insistere sul titolo di “Santa Mariasotto il castello”, titolo del tutto inesi-stente in qualsiasi documento ufficiale:una dizione, del resto, veicolata, non bensi sa per quale scopo, dal Leoncini34 eripetuta stancamente dallo stuolo deiLeoncini-dipendenti!), un manufattotutto sommato di piccole dimensioni,ma sufficiente per l’allora esigua popo-lazione del paese. Tale chiesa, alla qualeper altro già nel 1751 il Vescovo, mons.Ignazio Marucchi, attribuiva l’in -titolazione alla Natività di Maria (“vi èdietro al coro un quadro rappresentantela B. V. sedente in trono, la quale è tito-lare sotto il mistero della sua Na -tività”35) verrà demolita nel 1754 per farposto all’attuale chiesa parrocchialedella Natività di Maria Vergine36.

Il 6 ottobre 1607 giungeva a Campoil vescovo mons. Camillo Beccio(vescovo di Acqui dal 1598 al 1620) invisita pastorale alla Parrocchia “sotto iltitolo di San Michele...”: il Vescovo, tut-tavia, celebrò nella chiesa urbana diSanta Maria; si disse, comunque, soddi-sfatto perché «la chiesa parrocchialeantica di San Michele campestre... si èvista riparata alquanto et che si tiene ser-rata». Tuttavia, per mantenere viva lafunzione di quell’antico manufattosacro, «ha ordinato che il Rev.mo Sig.rArciprete lì celebri almeno una o duevolte il mese per l’anime de’ defonti,come ha detto che ha fatto per il passa-to»37.

Nel 1611, il 30 maggio, monsignorefu nuovamente a Campo, ove fu«accompagnato alla chiesa par.le di SanMichele dentro al Loco»; successiva-mente, nella Relazione, venne scritto:«chiesa di San Michele campestre anticapar.le”, per la quale il Vescovo ordinava“di far dipingere l’immagine di S.Michele sulla porta di detta chiesa»38.

Per ulteriore testimonianza si posso-no aggiungere altri due documenti: si

legge nel testamento del 30 ottobre 1611che Giovanni Germano fu Bartolomeo:«...lascia alla chiesa maggiore, alla chie-sa parrocchiale di san Michele...»39; enel testamento del 1° maggio 1618,Sebastiano Leone fa scrivere al notaio:«cadaver vero suus sepelliri voluit inecclesia S.i Michaelis paroch.isLoci...»40.

Nel 1633 il vescovo, mons. FeliceCrova, «...si è trasferito alla parrochialeantica sotto il tit. di San Michaele nellaquale entrato et fatta oratione per esserloco destinato alle sepolture de’ deffon-ti...»41.

Nell’aprile 1652 l’Ordinario dioce-sano, mons. Gio Ambrogio Bicuti(vescovo di Acqui dal 1647 al 1675), invisita pastorale a Campo, si recò «allaChiesa Parrocchiale antica di S.Michele, distante un quarto di migliodalla Terra». L’antica pieve risultavapiuttosto malandata ed in essa non sicelebrava più da tempo.

Infatti, «nell’altare si è ritrovato ilsigillo della pietra sacra guasto, et ben-ché dentro si sij trovati fogli di carta nonvi è però né reliquie né inscritione disorte alcuna». Risultando quasi abban-donata, il Vescovo ordinò «che si assicu-ri bene con chiave e catenazzo la portad’esta Chiesa», per impedire ai malin-tenzionati di entrarvi42.

Nel 1657, i due coniugi morti dipeste, il condomino Nicolò Spinola(1581-1657) e la moglie, la ‘beata’Geronima (1592-1657), furono posti«nel sepolcro della famiglia nella chiesaparrocchiale di San Michele»43. Lo stes-so dicasi di «Bened.us De Plana filiusJo.is annorum circiter undecim ex infe-lici eventu a lupo (ut aiunt) discerptusheri» che «hodie (19 marzo 1657 -n.d.r.-) sepulta reliquia eius corporis fuere inhac Parrochiali S.i Michaelis»44. Colche ci troviamo anche in presenza di unatragedia di quei tempi: l’undicenneBenedetto Piana figlio di Giovanni erastato sbranato da un lupo (si noti,comunque, che il parroco don Ivaldi usaun bel «come si va dicendo»: non ne eradel tutto certo? Mah!); i brandelli delsuo corpo (reliquia, cioè, quanto ne erarimasto) vennero sepolti in San Michele,

nella pag a lato, San MicheleArcangelo scaccia l'angelo del male.

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denominata ancora senza mezzitermini quale chiesa parrocchiale.

Ancora: nel 1676, il 16 marzo,durante la visita pastorale ilVescovo diocesano, mons. CarloGozani (vescovo di Acqui dal1675 al 1721), entrò nella chiesa diSan Michele «Parrocchiale anticadi Campo»45. Infine, nel 1699, ildelegato del Vescovo, don Talice,canonico della Cattedrale, visitò laParrocchia ove, tra le altre, «siamoandati a visitare la Chiesa Par -rocchiale antica sotto il titolo di S.Michele...», chiesa retta dallaCom pagnia dell’An gelo Custo -de46; infatti, «...vi sono indulgenzeperpetue per le rispettive bolle diaggregazione in San Michele perla compagnia del l’An gelo Cu -stode...»47.

Il canonico visitatore vi trovòun quadro raffigurante l’Arcan -gelo, posto sull’altare maggiore, edue quadri, uno con Sant’Anna e unocon Sant’Antonio, posti sui due altarilaterali.

Ritengo inutile, dopo tante testimo-nianze, proseguire con le relazioni suc-cessive per le quali invito il lettore allaconsultazione del mio saggio sulla chie-sa parrocchiale campese48.

Il passaggio del titolo della chiesaparrocchiale campese da San Michele aSanta Maria avvenne lentamente neltempo, stabilizzandosi soltanto a metàSeicento. La prima indicazione decisivala incontriamo nel decreto del 1633 dinomina del nuovo Arciprete, donPasquale Perotti: la Parrocchia è detta«sub titulo S.cti Michaelis nunc S. taeMariae»49. Decisiva l’indicazione pre-sente nel bando di concorso del 1655 perla vacante parrocchia campese (eramorto l’Arciprete don Gian MariaCazzullo) dove si legge che il Beneficioè «sub titulo alias S. cti Michaelis, nuncnovo Sancta Maria loci Campi», cosìcome si legge nel decreto vescovile diimmissione nel beneficio del nuovoArciprete don Stefano Ivaldi: «olimS.cti Michaelis nunc vero S.ctae MariaeLoci Campi»50.

Da questo momento in poi San

Michele scompare, per dar luogo alnuovo titolo di Santa Maria a metàSettecento già con l’indicazione della«Natività di Maria Vergine» (v. paragra-fo 3.1).

A fronte dei documenti precedenti, èquindi del tutto superficiale l’afferma -zione di un giovane studioso: «Non siconosce, purtroppo, il momento di pas-saggio dei diritti parrocchiali dallaChiesa di San Michele alla Chiesa diSanta Maria, entro il borgo diCampo»51: si conosce, eccome! Bastasfogliare in Archivio Diocesano i faldo-ni delle Collationes.

3.2 La funzione cimiteriale della chiesadi San Michele.

La chiesa di San Michele ebbe alungo anche la funzione di “chiesa cimi-teriale”, sebbene attorno ad essa venissecostruendosi e ampliandosi il cimiterovero e proprio: «...in d.a Chiesa vi sonosepolcri per gl’huomini, donne, etfigliuoli separati..», scriveva il Vescovonel 167652; nel 1714 si ripeteva più omeno la stessa situazione, con l’aggiun -ta. «...vi sono cinque sepolture una pergli huomini, una per le donne, et una pergli infanti, et due particulari, cioè unadella famiglia Lupi, et altra Leoni, et al

di fuori della Chiesa vi sonoanche due sepolture per i fore-stieri...»53.

La chiesa conserva ancoraoggi le pietre tombali deisepolcri delle famiglie Leonee Lupi oltre a due altre tombe,una dei confratelli e una delleconsorelle della Confraternitadei Santi Sebastiano e Rocco,Morte e Orazione54. All’in -gresso è posto il tombinodell’Ar ciprete don Danielli, dicui diremo in seguito.

Non è annotata nella rela-zione del vescovo la tombadegli Spinola, ove nel 1657furono tumulati il feudatarioNicolò Spinola, sua moglieGeronima (la ‘beata’) e il fra-tello Gio Francesco. NicolòSpinola morì il 23 luglio: nelregistro degli atti di morte, ilgiorno 24, si legge che il

«Magnus Dominus Nicolaus Spinulacondominus huius Loci Campi, aetatisannos 75 circiter» è morto ‘heri mane’dopo aver ricevuto i Sacramenti; il suocorpo venne stato posto nel sepolcro difamiglia «in Ecc.sa Par.lis S.ctiMichaelis». Geronima morì il 25 agosto:nel registro si legge che «Ill.ma DominaHyeronima Spinula genuensis condomi-na huius Loci, aetatis circiter annos65...admirabili pietate in Deum expira-vit -dopo aver ricevuto i Sacramenti che-ipsamet alacriter et devotissime petiit, -così che- munita et roborata eius corpushodie sepultum fuit in Eccl.a S.iMichaelis parr.lis Loci»55.

Giovanni Francesco Spinola morì il9 settembre 1657, anch’egli di peste

Il fatto di non menzionare nel 1714tale tomba “particolare” potrebbe signi-ficare che a tale data non esistesse più inSan Michele, ma che fosse già stata tra-sferita nella chiesa urbana di SantaMaria, dopo l’alluvione del 1702 allor-ché la violenza delle acque sconvolse lachiesa. Infatti, il poeta don LucianoRossi scrisse circa la sepoltura della‘beata’ Geronima: «...ne, prior alluviesubi desiit, altera forsan / saevior inci-piens, tua in ossa, hic condita lustris /

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ante novem, insiliat, tanti traslatio fiet /pignoris ad Parochi templum. Tumu -labitur illud / splendidiore loco, San c -tique Rosarii ad aram, / sedem ponetuam...»56.

Della tomba particolare dei Leonenon saprei dire oltre a quanto segnatonella relazione del vescovo Gozani.

Alla casa Lupi il privilegio di avereun sepolcro particolare venne concessocon decreto vescovile l’8 maggio 1633da mons. Felice Crova (vescovo diAcqui dal 1632 al 1645), durante la visi-ta pastorale a Campo, quale debito diriconoscenza verso Gio Antonio Lupi(detto ‘u Tùrcu’) che lo aveva ospitatonella sua casa, al quale Gio Antonio ilvescovo concedeva «la facoltà di farsiuna sepoltura a cornu epistulae fuori dalpresbiterio»57.

Gli stemmi gentilizi sia della fami-glia Leone sia della famiglia Lupi risul-tano oggi completamente scalpellati:l’azione idiota fu compiuta nel 1797allorché i ‘democratici patrioti’ pensaro-no di raggiungere l’égalité a colpi discalpello e di martello58.

San Michele conservò per un paio disecoli, almeno fino al 1806, la funzionedi chiesa cimiteriale: infatti, per tutto ilsec. XVII non risulta sepolto in SantaMaria nessun cadavere; durante il seco-lo XVIII, fino al 1754 (anno della demo-lizione) in Santa Maria furono sepolti intutto 16 cadaveri: se il Leoncini inCampo nei secoli avesse consultato iregistri parrocchiali degli atti di mortenon avrebbe fantasticato circa lemigliaia di ossa fuoruscite da chiesa ,loggia, sacrestia e quant’altro almomento della demolizione (lezioneseguita, poi, da tutti i Leoncini-dipen-denti)59.

Quanto al cimitero vero e proprio60,sappiamo dalle Relazioni dei Vescovi invisita pastorale, che era ordinato tuttoattorno alla chiesa (come, del resto, cimostra la veduta di Campo eseguita dal-l’abate Rossi nel 1748) e questo ancoraagli inizi dell’Ottocento. Scriveva, infat-ti, l’arciprete don Francesco A. Prato:«nella chiesa di S. Michele...esiste unvasto cimitero, benedetto da me sotto-scritto Arciprete Prato nell’anno 1800

nel mese d’Aprile, epoca in cui partiro-no da questo paese le truppe ivi stazio-nate61...la chiesa è situata in mezzo almedesimo cimitero circondato tutte leparti da alte e forti muraglie»62.

Ancora nel 1839 l’Arciprete donGiuseppe De Alexandris scriveva: «..viè il cimitero antichissimo con la chiesain mezzo... dentro la quale vi sono variisepolcri in cui si seppellivano i morticomunemente, prima del regio editto suicimiteri...»63.

3.3 Struttura dell’antica chiesa.

La chiesa originaria, secondo la testi-monianza di don Luciano Rossi, avevatre altari crollati per l’alluvione del 26agosto 1702: «... Inspicimus, miserinimium, semperque dolentes, / tres eparietibus migrasse iacentibus aras: /quarum intermediam spirans in imagineDivus / ornarat Michael, lorica instruc-tus, et hasta, terga premens Ditis,libransque examine lancem. / HincErebi obstiterat monstris AntoniusAbbas; / inde puerperio ter felix sederatAnna; / ambo etiam picti, sed longe haecpulchrior illo. / Digna fuit semper tribushaec altaribus aedes: / posthac, cumbrevior sit, vix decorabitur uno»64. I trealtari di cui scrive don Rossi erano pro-babilmente posizionati uno nell’absidecentrale e due addossati alle pareti late-rali, come d’uso a partire dal secoloXVII: infatti, uno di questi era statocostruito nel 1661: «...in S. Michele vi èeretto un altare nuovo da un anno in qua,sotto il titolo di S. Anna...»65; l’al tro eradi poco posteriore: il Vescovo avevavisitato anche «l’Altare di S. AntonioAbbate, eretto in detta Chiesa, invitatoha (la Compagnia dell’Angelo Custode -n.d.r.-) doversi ornar di quadro, et anco-na più decente...»66.

Tuttavia, probabilmente la chiesa ter-minava con due absidi, una maggiore euna minore: il memorialista AgostinoPaladino (1803-1883) afferma che l’al -luvione del 1702, oltre parte della chie-sa, si portò via anche “le due Capellelaterali”67 (ma può darsi che Paladinointenda per cappelle i due altari lateraliaddossati alle pareti). Comunque, donLuciano Rossi scrive: «Sacrae sacratior

aedis / pars68, duplicisque chori locus,haud remanente minores / parte...»69,cioè: «la parte più sacra della chiesa e illuogo del duplice coro, non minori dellaparte restante»; come dire che, accantoall’abside centrale c’era almeno un’altraabside (‘duplice coro’): le due absidi e irelativi presbiteri erano, pertanto, vastiquanto il resto della chiesa.

Un’osservazione, prima di prosegui-re: la curatrice dell’edizione a stampadel poema di don Rossi, traduce il versosuccitato con un generico ‘chiesa consa-crata’; ma tale traduzione è evidente-mente errata perché non tiene conto nédel vocabolo ‘pars’ (che si riferisce alpresbiterio) né del comparativo di mag-gioranza ‘sacratior’. Ciò, in ogni caso,introduce una spontanea domanda: SanMichele era chiesa consacrata? In quan-to chiesa parrocchiale avrebbe dovutoesserlo: ma, se sì, quando ciò avvenne?Nulla ci dicono in merito i documentiesistenti. In una lettera del 7 marzo 1635il vescovo mons. Felice Crova scrivevaa Roma al card. Gelli a proposito degliatti sacrileghi commessi dalle truppespagnole in vari luoghi della Diocesi, trai quali Campo e Roccaverano. «...Inquanto poi alla celebrazione delle messee de’ divini officij fù proceduto subitodopo la partenza de’ Spagnuoli havendoconsecrato di novo quella Parochiale...».Ma quale ‘parrocchiale’, San Michele oSanta Maria?70

Ma non soltanto gli spagnoli; anchele truppe francesi: la loro presenza inCampo durante il 1663, accampate ebivaccanti per l’appunto nell’Oratorio diSant’Antonio sul Langassino, determinònel 1664 la decisione dell’Arciprete donIvaldi di chiudere e abbandonare l’edi -ficio, ridotto dai soldati a stamberga(«l’anno passato... li soldati francesi...l’hanno fatto... stalla da cavalli»); l’Ora -torio, un tempo eretto sulla sponda sini-stra del Langassino, in zona “Cala -braghe” (si intenda tale toponimo qualecorruzione dialettale di “cala” e “brai-da”), fu abbandonato anche perché risul-tava indecente, in preda sempre ai fumidelle vicine fucine e chioderie, e conti-nuamente invaso dalle acque del torren-te in piena. La decisione di don Stefano

Nella pag. a lato, San Michelesottopone le anime al giudizio della bilancia, altorilievo in pietra

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generò una lunga con-tesa con gli abitantidella zona. L’Arcipreteottenne dal vescovo ilpermesso di trasferireculto e quadro diSant’Antonio «nellachiesa di San MicheleParochiale vecchia diq.to luogo»71. Nel1667, infatti, il vescovomons. Gozani visitandoSan Michele trovò «l’Altare di S.Antonio Abbate eretto in d.aChiesa...»72. «Il 17 Genajo, giorno di S.Antonio Ab.te da contadini vi si facevacelebrar più messe». Tale celebrazione«si è tralasciata di fare in detta Chiesaappena è stata ceduta la cappella di S.Giuseppe a’ contadini dalla Fabbri ce -ria», cioè a partire dal 182773.

Esisteva, comunque, un quarto alta-re, situato in una cappella attigua allachiesa, come ci attesta un documento del1702: «...Sin dall’anno 1640 fu dallafelice memoria del fu Mons. Crova,vescovo di questa Città, concessa licen-za alli Confratelli de gli Oratorij dellaVergine Santissima e di S. Sebastiano dipuoter celebrare la S. Messa nella cap-pella annessa alla Chiesa di S. Michele,tutti del Luogo di Campo e come constadall’annesso decreto del quale però nonsi sono serviti, mentre vi erano altri trealtari in d.a Chiesa di S. Michele, horaperché questi sono stati distrutti... nel -l’inondazione ultimamente seguita ind.o luogo, di nuovo accorrono à V. S.Ill.ma e Rev.ma di poter celebrare indetta Cappella..». Il Vescovo acconsentì:«...dopo aver benedetto l’altare il cap-pellano don Francesco Germano potràcelebrare...Acqui, 10 7mbre 1702. G.Porta Vic. Gen.»74.

Precedentemente, nel 1676, di talecappelletta si testimoniava: «...in unacappelletta attigua, et annessa à d.aChiesa Parrocchiale, vi sono le sepoltu-re delli Confr.lli»75 (cioè degli iscrittialla Compagnia dell’Angelo Custode,oppure delle due Confraternite campesi,come risulterebbe dal documento citatodel 1702).

Ancora nel 1744: «In cornu epistu-

lae vista pure una Capelletta con piccio-lo Altare, et pittura sul muro, dove èdipinta la B. Vergine con li Ss. Seba -stiano e Rocho à canto...»76.

Sull’altare maggiore nel 1699 eraposizionato un quadro: «...quello dimezzo provvisto di quadro rappresen-tante S. Michaele Arcangelo...»77.

La statua di San Michele, (posta incornu epistulae in «un nicchio, ove è laStatua di S. Michele assai propria»78)strappata dalle acque dell’alluvione del1702, fu trasportata a valle insieme alquadro e venne ritrovata, mutilata, nel -l’Orba presso Ritorto (il quadro non fupiù ritrovato). Riportata a Campo e ripa-rata, la statua fu rimessa sull’altare, ovesi trova tuttora. Testimonianza di que -st’avventura è ancora in don Rossi, nelsuo poema sull’alluvione del 1702 aiversi 1154-1165: «....nam sculpta Duciscaelestis imago / depictam sequitur percaeca volumina Sturae, / Eridanum ver-sus, mutans sibi flumen eundo. Non abit,o Princeps, in te fiducia nostra, / spes-que tui auxilii, quia in aggere Retorti /oppiduli, ad flumen Ferrato in Montelocati, lignea imago, licet mutilata. Huicredditur aedi, / cui bene adaptabit novabrachia, cruraque, et addet / sub pedi-bus pressum Satanam devotio Campi; /ne, Dux sancte, tuum manibus, pedibus-que carere / dulce patrocinium stygiosvideatur in ausus ...»79.

Il giorno di Ognissanti e il seguente,commemorazione dei fedeli defunti, sitenevano in San Michele diverse funzio-ni col canto delle «esequie sopra tutte lepubbliche sepolture ed anche private.Solenni cantavansi sopra quella delParroco Danielli che era la prima, e pri-vata, sopra tutte le altre e quindi poi si

usciva per una porta laterale, dalfondo della Chiesa e si faceva ilgiro pel cimitero, entrando dal-l’altra, e sempre cantando iresponsori e le esequie..»80.

Paladino, in sostanza, ci con-ferma che la chiesa aveva treportali (i due laterali al centralesono stati sostituiti nel 1940-42da due finestre): la testimonian-za storica al riguardo provienedalla Relazione del 1752 del

vescovo, mons. Ignazio Maruc chi: «...visono due porte laterali» con delle iscri-zioni81.

Quanto alle menzionate iscrizioni,credo possano essere quelle che si ritro-vano nelle pagine di don Luciano Rossi:Sentenze e Detti latini e volgari per laChiesa di S. Michele, ove si seppellisco-no i Morti, pagine che si possono legge-re a pag. 185 del manoscritto del poeta,“copia tertia 1706”, conservato nellaBiblioteca Capitolare. Ne riporterò tre, amo’ di esempio.

Il primo è un gioco fonetico baroccosul gusto del macabro in funzione di unammonimento morale: Si caveas orcipaveas, / ne stare paveas ad sepulcralescaveas // Sepulcri aperta specula / spec-tra, quae spectas de te sunt spectacula(cioè: «Se vuoi evitare l’inferno abbipaura, / ma non temere di soffermartipresso le fosse sepolcrali // Consideraattentamente le manifeste immagini delsepolcro: quelle che osservi sono la tuaimmagine riflessa»).

Il secondo è un commosso invitoalla riflessione (si veda la relazionemunimentum-monumentum) e alla pre-ghiera: «En tibi munimentum: / stacum Maria flens ad monumentum»(cioè: «Ecco, ti sia di conforto lo starepiangente insieme a Maria Maddalenapresso il sepolcro»).

Il terzo, ancora di natura barocca (siveda l’equivalenza di thalamis-tumulis,calamis-cumulis), è una sentenza mora-leggiante: Relictis mane thalamis / quotiacuere ad vesperas in tumulis: // nullislinguis aut calamis, / doceri potes, ut hisosseis cumulis (cioè: «Quanti, scesi dalletto al mattino giacquero nella tombaalla sera: // da nessuna parola, da nessu-

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na penna puoi imparare tanto quanto daquesti cumuli d’ossa»).

NOTE:1 - GIOSUE’ CARDUCCI, “Il Comune

rustico”, versi 6-7.2 - Cioè: “se i muri proteggevano con sicu-

rezza queste tombe, se le tombe conveniente-mente attorniavano questa chiesa” (v. LUCIA-NO ROSSI, “Inundatio Campi”, a cura diAlessandra Pastorino, Campo Ligure 1996,versi 1201-1202).

3 - v. Ibidem, versi 1235-1261.Cioè: «Sono questi i prati che circondava-

no da tanto tempo la chiesa, essi ancor piùabbelliti dalla chiesa stessa, prati che si com-piacciono di portare il nome eterno di Michele,il principe degli Angeli, prati coltivati dallemani delle Cariti, delle sorelle Pimplee, deliziadel popolo e celebrata bellezza di Campo? Lodica lo stesso Apollo quanta piacevolezza giàprocurò questa terra, di quanto egli stessol’abbia ogni anno arricchita di erbe medicina-li, che con il loro succo spremuto ristorano aiviventi le membra ammalate e risanano tutte leferite, quante erbe crebbero in quei prati le cuitisane erano adatte a conciliare il sonno perdu-to o a calmare l’intenso calore della febbre. Laprimavera, l’estate, l’autunno regalavano ric-chezza con i loro agresti doni; le Napee aggiun-gevano il canto di stormi d’ uccelli e l’ombradegli alberi a questi prati e ai campi fecondidivisi in tanti piccoli appezzamenti quantierano i loro proprietari.

Questa plaga era sempre stata favorevolis-sima all’uccellagione e adattissima a sollevaregli animi dalle preoccupazioni. Quanto erabella a vedersi, mentre l’aria leggera, giocandonella distesa erbosa fiorita, formava morbideonde e portava con sé mille profumi! Quantoera dolce a udirsi, mentre la riva vicina, sussur-rante per la fitta vegetazione, rispondevaall’acqua del torrente che scorreva con dolcemormorio e conciliava il sonno anche sottol’aperto cielo! Ogni poeta poté sempre vantareil proprio Pindo: oggi i campesi non possonopiù dire adeguatamente senza pianto quantautilità, quanti vantaggi, quanto piacere fossepoc’anzi in questo Pindo, che pure non si erge-va verso l’alto...».

4 - v. GIOACCHINO VOLPE, “IlMedioevo”, Firenze 1965 (3), pag. 187 e sgg. .

5 - v. DOMENICO LEONCINI, “Campo neisecoli”, Campo Ligure 1989, pag. 34.

6 - San Guido dei Conti di Acquesana,forse nato a Melazzo nel 1004; fu vescovo diAcqui dal 1034 al 1070 (morì il 2 giugno1070). Su San Guido si veda don POMPEORAVERA, mons. GIOVANNI TASCA, “I vescovidella Chiesa di Acqui dalle origini al XX seco-lo”, Acqui Terme 1997, pag. 149-154.

7 - v. LORENZO CALCEATO, “Vita delBeato Guido Vescovo di Acqui”, cit. da G. B.MORIONDO, “Monumenta Acquensia”, 1789-

1790, 2°, col. 100,40.Tuttavia, a pag. 92 di GIOVANNI CASTEL-

LI, “ Il Santo Vescovo Guido d’Acqui, nella“Vita” del primo biografo”, Genova 2001 (ilCastelli pubblica per la prima volta l’anticomanoscritto ducentesco del Calceato) la tradu-zione diventa: “nella sua nobilissima Diocesiordinò anche mirabilmente Arcipreti tutti pergruppi di fedeli”, ove stranamente l’aggettivo“omnes” invece di essere correttamente riferitoa “plebes” (stante la funzione sintattica del“per”) viene trasferito ad “Archipraesbiteros”.Questioni di esegesi che lasciamo agli “esper-ti” (si fa per dire!), sebbene gli antichi, con unpizzico di ironia, dicessero: “Quandoquidemdormitat Homerus”!

8 - v. mons. TERESIO GAINO, “Il VescovoGuido in Acqui medievale.”, Acqui Terme,nuova edizione 2003, arricchita con un prege-vole saggio di Geo PISTARINO, “Biografia diSan Guido, Vescovo e Patrono d’Acqui, nellastoria della Chiesa sul vertice del medioevo(secc. IX-XI)”.

9 - v. don CLELIO GOGGI, “Per la storiadella Diocesi di Tortona”, Tortona 1965, vol. I,pag. 186; l’Autore cita un brano di VINCENZOLEGE’, “Silvano d’Orba e la sua pieve”,Casteggio 1910, pag. 47-48.

10 - v. in Archivio Storico Vescovile AcquiTerme, d’ora in poi: ASVAT, Visite Pastorali,Vescovo Rovero, 1744, cart. 9 retto.

11 - Cioè: “mentre tutto era immerso nelsilenzio: la notte del mondo, cioè nel suo corso,fa il suo cammino” (v. in “De origine familiaebeati Guidonis”, in G. CASTELLI, “Il Santovescovo Guido d’Acqui”, cit., pag. 111).

12 - v. PAOLO BOTTERO, “Storia dellaChiesa Parrocchiale di Campo Ligure dal1595 al 1970”, Nizza Monferrato 2003, allepagine 69-74.

Gorrino è oggi un piccolo nucleo di case aduna decina di chilometri da Cortemilia, sullastrada per Piana Crixia. Poco lontano è il pic-colo, ma devoto Santuario di Nostra Signoradel Todocco.

13 - La concessione, datata 9 aprile 1070, aGandolfo e ai suoi figli Ogerio e Gandolfino acelebrare messe in Canelli nella chiesa di SanMichele fu uno degli ultimi atti del vescovoSan Guido prima della sua morte, avvenuta il 2giugno 1070 (v. T. GAINO, “Il VescovoGuido...”, cit. pag. 117-119).

14 - v. MATTEO OLIVERI -ANDREA PICCARDO”, “Campo Ligure. Fatti,

avvenimenti, ricordi”, ciclostilato, CampoLigure 1975, pag. 2. I nostri due autori conti-nuano affermando: “E’ certo che nel 935 d.c.venne saccheggiata dai saraceni, che in queltempo infestavano la Valle Stura”. Da dovegiunga tale certezza proprio non saprei dirlo.Probabilmente i nostri si rifecero al Leonciniche a pag. 25 del suo saggio (v. D. LEONCINI,“Campo nei secoli”, cit.) accenna alla distru-zione di Sassello e all’attacco portato ad Acquidai Saraceni appunto nel 935, come narra

GUIDO BIORCI in “Antichità e prerogative diAcqui Staziella. Sua istoria profano-ecclesia-stica”, Tortona, 1818, I, pagine 156-168.

15 - v. ASGE, notaio Bartolomeo DeFornari, 14 giugno 1245, cart. 26, anni 1244-1252.

Non tutti gli studiosi, tuttavia, sonod’accordo sulla certa individuazione delle variechiese nominate nell’atto notarile.

16 - Si faccia attenzione al vocabolo usato:“homines”, equivalente in quel tempo a “libe-ri”, rispetto ad “animae”, equivalente a non-liberi, a servi della gleba. La popolazione cam-pese per quanto allora esigua poteva contare,quindi, su ben 61 homines.

17 - Cioé: “Saremo noi fedeli vassalli a voinominati signori Angelo e Anfreono” - v.Archivio di Stato Genova, d’ora in poi: ASGE,Notaio Leonardo de Garibaldo, n. 210/1, c. 28.

18 - v. DOMENICO LEONCINI, “Campo neisecoli”, cit., a pag. 119.

19 - Un notevole studioso dell’età medie-vale ligure-piemontese quale Romeo Pavoniindica in circa 60-70 il numero di abitanti(homines? - lo studioso non lo specifica) diCampo al 1224, 90 abitanti per Rossiglione,circa 600 per Ovada (si veda la nota n. 27 apag. 26 di AA. VV., “Campo Ligure e gliSpinola tra Medioevo ed Età moderna”, Attidel Convegno Campo Ligure 2000 “Una fami-glia e il suo territorio”, a cura di MassimoCalissano, Silvano d’Orba 2002. Su tale pro-blematica si vedano anche ROMEO PAVONI, “Imarchesi Del Bosco tra Genova e Alessandria”in Atti del Convegno “Terre e Castelli dell’AltoMonferrato tra medioevo ed Età Moderna”,Tagliolo 1996, a cura di Paola Piana Toniolo,Ovada 1997, pagine 52-54; e GEO PISTARINO,“Da Ovada aleramica ad Ovada genovese”, in“Rivista di Storia Arte e Archeologia per leProvince di Alessandria e Asti”, XC, 1981).

A distanza di un secolo dal 1224, nel 1310,gli uomini di Campo erano 61 (quelli che giu-rarono fedeltà agli Spinola - v. sopra nota n. 16)per un totale di abitanti della “villa” approssi-mativamente stimato intorno alle 200-250 per-sone. A metà Trecento si possono calcolarecirca tre-quattrocento abitanti tra Campo eRossiglione; come dire che un sacerdote per ledue chiese era più che sufficiente. Tale stima diabitanti non appaia esigua rispetto a quantoaffermato poche righe sopra, perché occorretenere presente che tra il 1348 e il 1349 anchele nostre contrade furono colpite dalla violentaepidemia di peste nera che si portò via granparte della popolazione.

20 - Cioè: “...in quanto egli possa esserenominato vero rettore della chiesa suddet-ta..(..)...affinché tu sii autorizzato a celebrarenella suddetta chiesa la messa e i divini uffici ein quel luogo tu abbia la facoltà della curadelle anime”; v. in ASVAT, “Commissio proecclesia de Campo”, cart. 68 r, trascrizione diPaola Piana Toniolo. (v. PAOLA PIANA TONIO-LO, “Il cartulare del Vescovo di Acqui Guido

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dei Marchesi d’Incisa (1350-1371)”, AcquiTerme 2004, pag. 231, atto n. 255).

21 - v. in ASVAT, “Carta presbiteri UgonisOlivari de Luco, Foroiuliensis diocesis, recto-ris ecclesiae Sancti Michaelis de Campo,Aquensis diocesis”, cart. 85 r. trascrizione diPaola Piana Toniolo (op. cit., pag. 263-264, atti310, 311).

Interessante questo presbitero Olivari (oOliveri?), originario di Lugo di Romagna inDiocesi di Forlì. Che ci faceva dalle nostreparti, forse il cappellano di qualche formazionemilitare mercenaria? Oppure era uno dei tanticlerici vagantes in cerca di sistemazione?

22 - Cioè: “alla presenza di Antonio, figliodel defunto signore Federico Spinola di SanLuca, cittadino genovese, di prete Antonio daCastellengo di Bistagno, di Giovanni di Serradi Bistagno, di Pietrino De Giovanna, Tomasodi Prema e Giannone Baschiera tutti e tre deldetto luogo di Campo, quali testimoni chiama-ti che si sottoscrivono” (v. in ASVAT, “Cartapresbiteri Martini Buscarini de Vulturo, recto-ris ecclesiae de Campo”, cart. 161, trascrizionedi Paola Piana Toniolo (op. cit., pag. 414-415,atti n. 560, 561, 562).

23 - v. in ASVAT, “Atti di Vescovi”,vescovi Bonifacio Sigismondo (o DeSismondi) e Tommaso De Regibus, fascicolo2, cart. 43 r.

Bonifacio Sigismondo, o De Sismondi, fuvescovo di Acqui dal 1427 al 1450.

v. anche PAOLA PIANA TONIOLO, “Attirogati da Bartolomeo Carlevarius, notaio pub-blico e cancelliere della curia vescovile acque-se (1433-1452)”, Acqui Terme 2008, pag. 85.

24 - v. Ibidem, cart. 400 v., pag. 184.Tommaso de Regibus fu vescovo di Acqui dal1450 al 1483.

Il relativo documento è un atto del 28 set-tembre 1451 rogato dal notaio ComonoPelizzano (per tutto ciò v. Archivio di Stato diAlessandria,, “Notai del Monferrato”, Casale,notaio Comono Pelizzano, cit. in CARLO PRO-SPERI - GIAN LUIGI RAPETTI BOVIO DELLATORRE, “”Rivalta Bormida. Storia e vicende diuna villanova dalle origini alla fine del secoloXVIII”, Acqui Terme 2004, pag. 256).

25 - v. PAOLA PIANA TONIOLO, “Attirogati da Bartolomeo Carlevarius...”, cit., pag.33.

26 - v. in ASVAT, “Scatola Sinodi”, vesco-vo Lodovico Bruno. Per tale Sinodo si vedaanche G.B. MORIONDO, “MonumentaAquensia”, vol. II, cartt. 123 e 132.

27 - v. in ASVAT, PAOLA PIANA TONIO-LO, “Relazione del Visitatore Apostolico Mons.Ragazzoni Vescovo di Bergamo, dell’anno1577”. Ludovico Bruno fu vescovo di Acquidal 1498 al 1508.

28 - Padre Valente, quale “curato diCampo”, è segnalato da Domenico Leoncini(v. “Campo nei secoli”, cit., pag. 73) in qualitàdi testimone di un atto giurato da 148 capifa-miglia campesi, atto rogato dal notaio Gentile

de Leono il 17 agosto 1589 (v. ASGE, Notaidella Valpolcevera, sc. 1527, f. 1, 1589-1598).

29 - Per don Voglino v. PAOLO BOTTERO,“Storia della Chiesa...”, cit., pag. 66-69. E’ darimarcare il fatto che, pur presente a due avve-nimenti di grande portata quale l’Apparizionedell’11 settembre 1595 e il saccheggio el’incendio di Campo del 22-26 luglio 1600, didon Voglino non esista in alcun archivio nessu-na relazione al Vescovo. Probabilmente tutto èandato malauguratamente perduto. Del resto,nemmeno la relazione di visita pastorale del1607 a distanza di soli 7-12 anni da fatti cosìeclatanti fa menzione di essi.: prudenza dellaChiesa per il primo caso? Opportunità di nonvenire a discussioni con i feudatari Spinola,responsabili del massacro, nel secondo?

30 - v. ASVAT, P. PIANA TONIOLO,“Relazione....Mons. Ragazzoni...”, cit.

31 - v. ASVAT, P. PIANA TONIOLO,“Relazione del Visitatore Apostolico Mons.Carlo Montiglio dell’anno 1585”.

32 - v. PAOLA PIANA TONIOLO, “Il cartu-lare del Vescovo di Acqui Guido II...”, cit., pag.53.

33 - Su tutto ciò che riguarda l’antica chie-sa urbana di Santa Maria si veda PAOLO BOT-TERO, “Storia della Chiesa Parrocchiale diCampo Ligure dal 1595 al 1970”, NizzaMonferrato 2003, alle pagine 42-46, nonchédello stesso autore “Storia di Campo Ligure nelsecolo XIX. Vol. I, Campofreddo dal 1797 al1861”, alle pagine 5 e 6, nota n. 11.

34 - Il Leoncini equivoca dalla Relazione alvescovo redatta nel 1728 dall’Arciprete donBernardo Leoncini che scriveva essere la chie-sa parrocchiale “sub titulo Sanctae Mariae” eposizionata “sub Castro” (v. la Relazione inASVAT); oppure, il Leoncini lesse la pagina374 del “Liber Defunctorum” per l’anno 1754(v. in Archivio Parrocchiale di Campo Ligure,d’ora in poi: APCL) ove l’Arciprete, don GioMaria Piana riferisce di una disgrazia acciden-tale avvenuta durante la demolizione della“Parrochialis huius Ecclesiae sub tituloSanctae Mariae sub Castro”.

Sono queste le uniche due indicazioni rela-tive al “sotto il castello”; ma nulla di tutto ciòsi legge nei decreti papali o vescovili per lanomina dei vari Arcipreti.

35 - v. in ASVAT, Visite pastorali, vescovoMarucchi, 1751, cart. 43 retto

36 - Per quel che concerne la costruzionedella nuova chiesa parrocchiale della Nativitàdi Maria si veda PAOLO BOTTERO, “Storiadella Chiesa Parrocchiale...”, cit., alle pagine120 e seguenti.

37 - v. ASVAT, Visite Pastorali, vescovoBeccio, 1607, cartt. 23 r e 25 r.

38 - v. ASVAT, Visite Pastorali, vescovoBeccio, 1611, cart.40 r.

39 - v. in Archivio Oratorio dei SantiSebastiano e Rocco, d’ora in poi: AOSSR, FilzaI, n. 2.

40 - v. Ibidem, Filza I, n. 4.

41 - v. ASVAT, Visite pastorali, vescovoCrova, 1633, cart. 34 retto. Mons. Felice Crovafu vescovo di Acqui dal 1632 al 1645.

42 - v. ASVAT, Visite pastorali, VescovoBicuti, 1652, cartt. 196 r e 197 r.

43 - v. in APCL, sezione 1.3 il registro deimorti n. 2 - dal 21 agosto 1634 al 31 maggio1678 - faldone 27, volume 2, alle date del 24luglio e del 25 agosto 1657.

44 - v. Ibidem, come sopra. 45 - v. ASVAT, Visite Pastorali, Vescovo

Gozani, 1676, cart. 2 v. 46 - v. ASVAT, Visite Pastorali, canonico

Talice, 1699-1700, cart. 19 r.47 - v. ASVAT, Parrocchia di Campo

Ligure, la Relazione al vescovo del 13 maggio1728 redatta dall’Arciprete don BernardoLeoncini al cart. 1 retto.

48 - v. PAOLO BOTTERO, “Storia dellaChiesa parrocchiale...”, alle pagine 28-53.

49 - v. ASVAT, Collationes per l’anno 1633.50 - v. ASVAT, Collationes per l’anno 1655.51 - v. SIMONE REPETTO, “Campo Ligure.

Il patrimonio artistico”, Genova 2003, pagine46-47.

52 - v. ASVAT, Visite Pastorali, VescovoGozani, 1676-78, cart. 2 verso.

Ma già nel 1607 il vescovo mons. Beccioscriveva: “...il cimitero visto resta cinto dimuraglia con al croce alta in mezzo, et la portasi conservi serrata come si è visto...” (v.ASVAT, Visite Pastorali, vescovo Beccio, 1607,cart. 25 retto).

53 - v. ASVAT, Visite Pastorali, VescovoGozani, 1714-15, cart. 168 retto.

54 - Le due pietre provengono dall’Ora -torio omonimo e coprono i resti dei cadaveriasportati dall’Oratorio nel 1856 allorché ven-nero svuotati i sepolcri ivi esistenti e vennecostruito in Oratorio il pavimento a tutt’oggiesistente. Sulla pietra tombale dei confratelli silegge: “A.D. GRATA CONFRATERNIT.IS SANC-TORUM SEBAST. ET ROCHI REQUIE SEPUL-CRUM” con al centro la scritta “ET NOS CUMDOMINO ERIMUS” (cioè: “Noi saremo semprecol Signore”); la lapide delle consorelle recita:“SEPULCRUM PRO SANCTORUM SEBAST. ETROCHI CONSORIBUS” con la centro la scritta:“INTER COELITES ADSCRIPTAE RESURGEMUSET NUNQUAM DELEBIMUS” (Cioè, il bellissi-mo: “Annoverate tra i beati, risorgeremo pernon mai più morire”).

55 - v. APCL, sezione 1.3, volume 2 in fal-done 27, atti di morte dal 1634 al 1678.

56 - Cioè: “...ci sarà il trasferimento nellachiesa del parroco di un così sacro pegno,affinché, terminata la precedente alluvione,giungendone forse più violenta un’altra non siabbatta contro le tue ossa (di Geronima -n.d.r.-) qui sepolte già da nove lustri. Sarà la reliquiatumulata in un luogo prestigioso ponendo latua definitiva dimora presso l’altare del SantoRosario” (v. LUCIANO ROSSI, “InundatioCampi”, cit., 3.a redazione del 1706, versi1185-1190.

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57 - v. in ASVAT, Visite pastorali, vescovoCrova, 1633, cart 34 verso.

58 - Quei buoni patrioti riservarono lo stes-so trattamento agli stemmi gentilizi dei Leoneposti sui pilastrini centrali delle balaustre del-l’altare maggiore nell’Oratorio di SanSebastiano e dell’altare della Madonna delRosario nella parrocchiale, nella quale imper-versarono ulteriormente, sradicando i cancellidell’altar maggiore successivamente fondendo-li, colpevoli di portare l’aquila bicipite asburgi-ca; così ci fu anche chi idiotamente si miseall’opera sull’acquasantiera di sinistra per can-cellarvi lo stemma degli Asburgo: fortunata-mente non andò oltre il fregio superiore,lasciando intatto il resto: qualcuno fermò lamano sciagurata.

Come fecero, tuttavia, quegli antichi demo-cratici a scalpellare lo stemma con l’aquilaimperiale che troneggiava alto sull’arconesopra il presbiterio a 18 metri da terra, proprionon saprei dirlo. Tant’è ci riuscirono. Solo nel1886 lo sconcio venne riparato costruendovi ingesso dorato il monogramma mariano, sulquale è rimasta posta l’antica corona marchio-nale degli Spinola (per altro ancor oggi ripro-dotta sullo stemma del Comune).

59 - v. DOMENICO LEONCINI, Campo neisecoli”, cit., a pag. 334 scrive: «...furono aspor-tate grandi quantità di ossa umane ed il sotto-suolo della Loggia, della Canonica e dellaSacristia è un deposito di resti umani». L’affer -mazione è riprodotta di sana pianta, ad esem-pio, in ADELINA PASTORINO, “Attività edemografia a Campo nel secolo XVIII”, tesi dilaurea, Genova 1991.

60 - Per ciò che riguarda il cimitero si vedaPAOLO BOTTERO, “Storia della ChiesaParrocchiale...”, cit., alle pagine 53-55; dellostesso autore la “Storia di Campo Ligure nelsec. XIX. Vol. I...”, cit., alle pagine 147-149.

61 - Si tratta della partenza da Campo delletruppe franco-polacche che vi stazionavano dalmese di giugno del 1799.

A proposito di quella situazione si veda:LORENZO OLIVERI, “Cronaca della SecondaCampagna Napoleonica nelle Valli Stura eOrba (1799-1800)”, a cura di MassimoCalissano e Franco Paolo Oliveri, CampoLigure 1996; nonché PAOLO BOTTERO,“Storia di Campo Ligure nel secolo XIX.Campofreddo dal 17197 al 1861”, Genova2007, alle pagine 78-107.

62 - v. in ASVAT a pag. 6 della “Risposta aiquesiti contenuti nella lettera pastorale” dimons. Sappa del 10 maggio 1819. La rispostavenne redatta da don Prato il 22 giugno 1819.

63 - v. in ASVAT a pag. 19 della “Relazionedello stato della Parrocchia di Campofreddofatta nell’anno 1839 dal can.co Giuseppe Ant.oDe Alexandris Arciprete Vic.o For.o”.

Quanto al “regio editto”, si tratta dellanuova legge sui cimiteri voluta da re CarloAlberto nel 1836, per la quale venivano proibi-

te definitivamente le inumazioni nelle chiese.A proposito di questa legge DomenicoLeoncini affermò che “l’ultimo prete sepoltonella chiesa fu il Rev.o Don Giuseppe AntonioPiana fu Angelo Maria, morto il 1° febbraio1866” (v. “Campo nei secoli”, cit.). Ma taledon Piana è del tutto inesistente! Il sacerdotemorto il 1° febbraio 1866 fu il canonico donGiuseppe Ferrari, di 56 anni (v. in APCL a pag.5 del “Liber Defunctorum ad anno 1866 usquead annum 1872”).

64 - v. LUCIANO ROSSI, “InundatioCampi”, cit., ai versi 1144-1153. Cioè:«Vediamo, noi troppo miseri e per sempredolenti, che tre altari si sono scostati dalle pare-ti crollate: quello centrale era stato reso bello eimportante da San Michele, che sembrava vivonella sua immagine, munito di corazza e diasta, premendo sotto i suoi piedi le spalle diDite, e sospendendo la bilancia con equilibrio.Da una parte Antonio Abate si opponeva conforza ai mostri dell’Erebo, dall’altra parte stavaseduta Anna tre volte felice per il suo parto,effigiati entrambi in pittura, ma questa di granlunga più bella di quello. Questa chiesa fudegna sempre di tre altari: ora, dopo quanto èsuccesso, diventata la chiesa più piccola, astento potrà essere adornata da un solo altare».

65 - v. ASVAT, Visite Pastorali, VescovoBicuti, 1662, cart. 130 retto.

66 - v. ASVAT, Visite Pastorali, VescovoGozani, 1676-1678, cart. 2 retto.

La Compagnia dell’Angelo Custode,amministratrice della chiesa, era stata eretta inSan Michele dal Vescovo, mons. Carlo Gozani,proprio in occasione della visita pastorale del16 marzo 1676.

Il quadro di Sant’Antonio risultava esisten-te nel 1699 posto al di sopra dell’altare (v.ASVAT, Visite pastorali, canonico don Talice,1699-1700, cart. 20 retto).

67 - v. AGOSTINO PALADINO, “Memorie”,trascritte e commentate a cura di Paolo Bottero,Campo Ligure 2005, pag. 77.

68 - La curatrice della pubblicazione delpoema di don Rossi traduce con “chiesa consa-crata”, commettendo un evidente errore. Nontiene, infatti, conto del vocabolo “pars” e delcomparativo di maggioranza “sacratior”.

69 - v. LUCIANO ROSSI, “InundatioCampi...”, cit., versi 1178-1180.

70 - v. ASVAT, Fondo vescovi, faldone 4c. 2.

71 - v, in ASVAT, Parrocchia di CampoLigure, faldone X, varie lettere relative allaquestione.

72 - v. ASVAT, Visite Pastorali, vescovoGozani, 1676-78, cart. 2 retto.

73 - v. A. PALADINO, “Memorie...”, cit.,alle pagine 79-80.

Dell’altare dedicato a Sant’Anna, erettonella chiesa, abbiamo notizie soltanto dopo il1662 dalla relazione della seconda visita pasto-rale di mons. Ambrogio Bicuti: “...in San

Michele vi è eretto un altare nuovo da un annoin qua, sotto il titolo di S. Anna di cui si fa curail Massaro deputato, si mantiene d’elemosineche vengono esser fatte particularmente dalledonne...” (v. ASVAT, Visite pastorali, vescovoBicuti 1662, cart. 130 retto). Nel 1676 il vesco-vo, mons. Gozani, trovò bello l’altare di S.Anna, adorno di candelieri di legno e di ottone,con paliotto, croce e lampada d’argento (v.ASVAT. Visite pastorali, vescovo Gozani 1676-78, cart. 2 verso) Il quadro è detto dal Paladinoessere stato venduto a una chiesa di Visone,senza specificazione del quando e di qualechiesa. Oggi è ricordato nella parete destra daun piccolo ovale ottocentesco con Sant’Anna ela Madonna.

74 - v. in Archivio Oratorio di NostraSignora Assunta, d’ora in poi: AONSA, Filza II,n. 4.

Don Francesco Germano (1651-1732)apparteneva alla famiglia di proprietari, appun-ti i Germano, che scomparve da Campo sulfinire del Settecento. Di essa è rimasto il topo-nimo della cascina “Zermàn” (per altro,anch’essa scomparsa da un paio di decenni).

75 - v. ASVAT, Visite Pastorali, VescovoGozani, 1676-78, cart. 2 verso.

76 - v. ASVAT, Visite Pastorali, VescovoRovero, 1744, cart. 9 verso.

77 - v. ASVAT, Visite Pastorali, canonicodon Talice, 1699-1700, cart. 20 verso.

78 - v. ASVAT, Visite Pastorali, VescovoRovero, 1744, cart. 9 retto.

Abbiamo già visto che sopra l’altare mag-giore non c’era una statua, ma un quadro raffi-gurante San Michele.

79 - Cioè: “....infatti la statua del celestecondottiero segue la sua immagine dipintaattraverso le cieche acque vorticose delloStura, verso il Po, mutando insieme al fiumenel suo andare. Ma non viene meno, o Principedegli angeli, la nostra fiducia in te, e la spe-ranza nel tuo aiuto, poiché l’immagine di legnoraccolta sull’argine del villaggio di Retorto,che si trova lungo il fiume nel Monferrato, ben-ché mutilata, è restituita a questa chiesa; allastatua la devozione di Campo adatterà con artenuove braccia e nuove gambe, aggiungendoSatana schiacciato sotto i piedi; ciò perché, osanto Condottiero, la tua dolce assistenza con-tro le lotte infernali non sembri essere privadelle mani e dei piedi.... ”.

Don Luciano Rossi (1682-1754), maestrodi scuola a Campo e a Molare, scrittore, poeta.

80 - v. A. PALADINO, “Memorie...”, cit.,pag. 79.

81 - v. ASVAT, Visite pastorali, vescovoMarucchi 1752, fasc. 6, cart. 46 verso.

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Secondo la remota prescrizione delSynodus Aquensis Oddoni EpiscopiMCCCVIII chierici e sacerdoti eranotenuti alla tonsura e ad indossare rego-larmente l’abito clericale; crimen eral’uso sia di sopraveste interamente aper-ta davanti sia di veste a strisce o didiverso colore sia di ornamenti, qualibende di seta e monili, d’argento od’altro metallo:

Namque statuimus, et confirmamus,quod omnes, et singuli Clerici, sicut etDioecesis Aquensis in quovis ordineconstituti tonsuram, et habitum assiduedeferant clericalem. Vestes virgulatas,seu vestem aliquam unitam diversi co -loris, vel frixiis, seu maspillis, vel spin -tariis argenteis, vel de metallo aliquominime deferentes, nec vestem supe -riorem a summo usque deorsum tota -liter scissam ante, infulis de seta etiamnon utentes. Deprehensi vero in aliquocrimine, vel excessu contra haec in ali-quo incedentes, pronunciamus ex nuncin illo excessu, vel crimine non fore perEcclesiam Aquensem defen [de]ndos 1.

Gli abiti e il comportamento da tene-re dagli ecclesiastici - e non solo duran-te la liturgia - sono puntigliosamenteram mentati dal visitatore apostolicomons. Gerolamo Ragazzoni nellaiussiva Rela zione del 15772:

Non si odano confessioni, né s’ad -ministri il sacramento [dell’]estremauntione, matrimonio o altro sacramentodella Chiesa, né si benedica l’acqua, nés’accompagnino defunti, né si facciaaltra cosa simile da sacerdote o altrosenza la cotta et stola, sotto pena discuto uno per qualunque volta a chicontra farà.

Niun sacerdote ancora constituito indignità porti annello in dito mentre checelebra la messa, sotto pena de scutitre per qualunque volta, poi che questoè proprio e speciale del Vescovo, alquale si pone l’annello nella consecra-zione, il che non si fa nell’ordinationedel sacerdote, et caschi anco nellamedesima pena chi porterà annello inaltro tempo non lo ricercando il gradoet dignità sua.

Si tenghino et conservino tutti isacerdoti il labro di sopra ben scopertoper la libera assumptione del S.moSacramento, né si porti capello se non

nel sole o nella pioggia et detto capellosia piano et basso et non acuto, et siservi in somma in quanto al modo delvestire et vivere diligentemente tuttoquello che intorno a ciò è stato ordinatodal concilio provinciale primo. S’alcunsacerdote o chierico si troverà andareall’hosteria se non fusse per viaggio oin caso di necessità, si condanni in scutiduoi per qualunque volta, et mede -[si]mamente chi sarà trovato a giuocarea giuochi prohibiti, et più severamenteanco sia castigato a giudicio di Mons.R.mo Ordinario. Sii in ogni chiesa par-rochiale almeno un chierico che vadi inhabbito et tonsura.

Il riecheggiare di consimili disposi-zioni nel secolo successivo attestal’emergere, nell’ambito del clero dioce-sano acquese, di diffuse inadempienzein relazione alle norme del Codex IurisCanonici inerenti l’habitus3, di cui si fastrenuo paladino il vescovo CarloAntonio Gozani (1675-1721), che nel1678 accompagna l’aspra denunciadell’inos servanza di un suo monitopastorale

hormai dà alcuni, anzi dalla mag-gior parte in questa nostra Diocesi, èreso in ludibrio, facendosi lecito dinodrir Chiome, e portar habiti chehanno più del ferrabuto, che dell’Eccle -siastico, anche nel celebrare la SantaMessa, e far fuontioni Ecclesiastiche, eportar del continuo arme

con “prouisioni più vigorose” per itrasgressori, sostituendo a quella pecu-niaria la pena della sospensione aDiuinis:

Primo. Che nel tempo di giorniquindeci doppo la notitia di questonostro Editto, ciascuno debba hauere, eportar del continuo l’Habito, ò sia Vestedi longhezza, che arriui almeno allametà della Gamba, astenendosi, per lamiseria, e disastrosità de paesi, dall’ob-bligarli alla talare, tolerando anche chene viaggi non siano soggetti à dettapena.

Secondo. che niuno celebri la SantaMessa, ò faccia fontioni Eccle siastichesenza la Veste talare, ò almeno un sco-sale, ò sia Faldella, che arriui al piede.

Terzo. Che la Tonsura sia tale, cheresti scoperto in parte il grassello del-

l’orechio [...]Quarto. Che niun’Ecclesiastico

sotto la medemma pena di sospensionecome sopra, & altre à Noi arbitrarieardischi portar armi di qualsiuogliasorte, senza nostra special licenza inscritto4.

La dilagante licenziosità del clero nelvestiario - per moda, per trascuratezza oper indigenza - determina il vescovoacquese ad altre ‘gride’, conun’escalation sanzionatoria5:

per rendere più irreparabile ilCastrigo intimatoli in caso di pertinacecontumacia, intimiamo per la quartavolta la sospensione a divinis da incor-rersi ipso facto senz’altra dichiaratione àtutti gl’Ecclesiastici constituiti in ordinesacro di douersi portare, e continuarel’habito lungo almeno sino à mezzagamba, acciò siano differenziati daSecolari, accertando che contro de dis-obedienti, che incorrerano nella sospen-sione, e poi ardirano di celebrare, ò esserin l’ordine, il n[ostr]o Tribunale rogatoche si hauerà testimoniali, ò hauto chen’hauerà depositioni, li dichiarerà irre-golari, nel qual caso sarano à Noi legatele mani per il loro soglieuo.

In questo contesto di protratta e dif-fusa disinvoltura di abito si inserisce ilcaso di D. Alessandro Piola diCassinelle, figlio del nobile Joannis e diMaria Jugaliis de Piola, ordinato sacer-dote il 21 maggio 16816: egli appare rei-teratamente inosservante della normati-va canonica al vaglio dell’arcipreteBartolomeo Guala, il quale l’8 novem-bre 1692, esercitando l’incarico di con-trollo demandato ai vicari foraneidall’Editto vescovile del 16787, ne fastringente denuncia al vescovo:

Dò parte a V[ostra] s[ignoria]Ill[ustrissi]ma e Rev[erendissi]ma sico-me il R[everen]do P. Alessandro Piolasacerdote di questo med[esi]mo luogoporta del continuo un gonello d’a[.]ba -sio lungo al Genochio anche nella cele-bratione della S[an]ta Messa, cherasembra piu tosto ad un [Po]rcharo,che a un Sacerdotte, et non ostantemolte corretioni di me fatteli non hàmai uoluto deporlo con gran scandalodi tutto il popolo, et massime il piudelle volte senza colaro che da forastie-

Se l'habitus fa il pretePrescrizioni e abusi nella diocesi acquese fra Sei e SettecentoUn caso a Cassinelle.di Lucilla Rapetti

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ri non è conosciuto p[er] tale, et nonaltro occo[rr]endo p[er] hora, solo pre-gandola della secretezza, resto con pro-fondissima riuerenza8.

L’inchiesta prende concreto avvio il25 novembre a Cassinelle, con l’escus -sione di due qualificati compaesani, iquali concordano nell’affermare chel’usuale veste di D. Piola, diversamenteda quelle indossate dai parrocchiani D.Gasparo Guala e D. Gio Batta Guala, èun gonnello scandalosamente corto9:

R. So che ui è il R.do D. Alessan droPiola che porta un gonello d’a[.] basioche non passa il genochio

I. se habbij mai ueduto il med[e -simo] Piola a far alcuna fontione etaministrar sacramenti con d[ett]ogonel lo

R. l’hò ueduto heri che fu il giornodi S. [Cattarina] che era nel confessio -nale a confessare solo con d[ett]o go -nello

I. se habbij mai veduto a celebrarecol med[esimo] gonello

R. sig. si, ma se lo cauaI. che cosa porta indossso doppo

cauato d[ett]o gonelloR. tiene di sotto una sottana piu

curta, e con quella ua a celebrareI. se si mette la faldella nella cele-

brationeR. signor no perche non ne hà

alcunaI. come sappia le sud[dett]e coseR. lo sò perche come custode della

V. M. di Loretto sono quasi sempreassistito alla sacristia, che per questoueddo il tutto.

I. se d[ett]o Prette dij alcun scanda-lo al popolo

R. sig. si che tutto il popolo simaraueglia, che li superiori lascino ep[er]metino che un Religioso porti ungonello cosi curto che rasomiglia piu aun Porcaro che a Religioso, et che apena lo conoscono, et mai lo uedono adir l’officio priuatam[ent]e

I. se porti del continuo d[ett]ogonello

R. sig si p[er]che non ha altra uesteche la sud[et]ta sottana curta10.

Il doppio interrogatorio fa affiorarealtri possibili capi d’accusa - perautopsia o per “sentito dire” - inerentila recita dell’Ufficio e la celebrazione

della Messa:

il giorno della consacrazione dellabasilica di S. Saluatore che correua ingiorno di Dom[enic]a celebro la messadella Dom[enic]a, et il giorno dellaconsecratione della Catedrale dissemessa de Requiem.

Si esclude che l’indagato sia un vio-lento: solo una volta è trasceso verbal-mente contro l’eremita, come con fermaD. Gio Batta Guala - “mi disse di uoler-mi gittar giu dalle fenestre se non li do ilgrano” - che non sa indicare altri testi-moni dell’alterco, accaduto nella piazzacolma di gente. Però D. Piola è statovisto con armi:

I. se habbij mai ueduto il sud.to aportar arme d’alcuna sorta

R. sig. si altre uolte l’ho ueduto aportar schiopetta, et di presente se liuedde sotto una pistolla

R. [.] l’ho veduto piu volte a porta laschiopetta, et una uolta li hò veduto unapistola curta sotto la ueste

I. se d[ett]o Religioso dij alcunscandalo al popolo et se habij pratichecatiue

R. non credo che habij alcuna prati-ca catiua, solo che tutti si scandalizzanoche porti del continuo un gonello che apena lo discernano da un spazzacaminoet che uaddi con pistolle alla chiesa.

Data la diffusa trasgressione dell’Or -dine Sinodale, il divieto tassativo delporto di armi era già stato ribadito damons. Gregorio Pedroca, il cui Edittoammetteva l’eccezione nel caso di chi,necessitandone per difesa personale, neottenesse speciale licenza dal vescovostesso:

prohibiamo sotto la pena dellaGalera per cinque anni, & altre pene àNoi arbitrarie da incorrersi subito, adogni persona Ecclesiastica sottopostaalla nostra Giurisdittione, (eccetuatiperò quelli, che seruono la nostra CorteEpiscopale nella Città,) ardisca portareper alcun tempo alcuna sorted’archibugi, ne da fuoco, ne da ruota,ne longhi, ne curti, ne in publico, ne dinascosto; Volendo, che sia lecito alliministri di Giustitia secolare, caso chetrouino alcun Ecclesiastico sudetto conalcuna delle sopranominate armi, dete-nergli, è presentargli à Noi nel tempo

prefisso da sacri canoni, à fin che pos-siamo contro di loro prouedere confor-me à ragione11.

Nella lettera di accompagnamentodel verbale dell’interrogatorio – tem -pesti vamente inoltrata alla Curia acque-se malgrado avesse altre inopinateincom benze12 - l’arciprete Guala non sitrat tiene dal richiedere anonimato eriser vatezza per sé e per i testimoni;con l’esternare il timore di violenteritorsioni, di fatto insinua un ulterioresospetto sull’habitus comportamentaledell’inda gato:

Trasmetto a V[ostra] S[ignoria]Ill[ustrissi]ma et Rev[erendissi]ma l’es -same fatto di due testimonij contro il D.Alessandro Piola, supposto sij suffi-ciente essendo concordi, la supplico adegnarsi di tener secreto tanto la miapersona, quanto li testimonij p[er]schiuar risse che potrebboro seguirequando la parte aduerso lo sapesse, cheper cio confidato nella retta prudenza ebonta di V[ostra] S[ignoria] Ill[ustris -si]ma Rev[erendissi]ma che non p[er]-mettera che se ne patisca alcun dannoresto con profondiss[im]a riverenza13.

Dato che le dichiarazioni giurate deitesti suffragano la denuncia del vicarioforaneo, quando D. Piola, senza nullapresagire, il 20 dicembre si presenta inepiscopio, viene immediatamente arre-stato14:

gionto in Acqui dal sig. Conte vica-rio per far confermare la mia Patente,mi fu ingionto da Vs. tener arresto inq[es]ta città d’ordine del sud[etto] sig.Conte Vicario.

Egli protesta la sua innocenza -“nihil de genere proibitorum commisis-se” - e si dichiara all’oscuro delle ragio-ni di simile provvedimento, del qualechiede la revoca, mettendo innanzi leincalzanti necessità del suo officiumnella chiesa di Loreto15, dove dicemessa ogni mercoledì:

ut possit cellebrari S[anc]tam mis-sam et confiteri in eclesia campestrisub titulo B.M.V. Lauretana, cuius estcapellanus16.

La celebrazione del processo s’avviail 6 gennaio 1693 nella cancelleria epi-

Nella pag a lato, il CasaleseCarlo Antonio Gozzano, Vescovo di Acqui (1675 - 1721).

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scopale, dopo qualche giornodi “arresti domiciliari”;l’accusato asserisce di averrispettato le prescrizioni rela-tive all’abito e alla tonsuraecclesiastica, nega recisa-mente di tener seco armi -“Dio me ne guardi che io leporti” - e dà ingegnosa rispo-sta all’insidiosa domandasulla sua veste invernale,corredandola con la doppiamotivazione giustificativadegli scarsi mezzi di sussi-stenza e dell’habitus dei pretidi città:

R. e ben vero che nonpotendo io per la mala quali-tà de tempi che corronofarmi mantello di Panno,essendo capitato in Ales -sandria ho visto colà Pretitanto de cittadini che fora-stieri quali haueuano e porta-vano un Co[.]go d’Ors[.]ocol pelo longo di colore negro, io purecredendo di non contravvenire al deco-ro dell’habito, mentre si usa in unacittà, me ne sono fatto un simile, e nel-l’hinuerno lo porto tanto nel luogoquanto è il tempo cattivo, e massime emolto più quando devo viaggiare acavallo, il che m’occorre spesso per laComunità, ma sotto d’esso porto sem-pre il d[ett]o habito che mi trovo ades-so, quale è decente e d’haver unReligioso17.

All’interrogante che incalza, devian-do su presumibili riflessi negativi chetale singolare abbigliamento avrebbe suifedeli, l’imputato risponde in modoineccepibile:

Io non lo so ma credo di no e se mifosse mai stimato di dar scandalo, oamiratione, non l’hauerei portato, e ciòe seguito per Ripararmi dal freddo, e seavesse sentito a dire qualche cosal’hauerei deposto, e piu tosto hauereipatito il freddo.

Il martellante interrogatorio si espan-de a raggiera ma D. Piola non si lasciaintimorire: mai ebbe ragione di tenerearma

non hauendo hauuto inimicitia ne

rissa con alcuno, e ne meno l’ho porta-ta à Caccia.

Ostinatamente radicato nella suaverità si mostra anche due giorni appres-so, allorché, ammonito ad “aggiongere,ò sminuire” la sua deposizione, che noncollima con gli atti in possesso dellaCuria, ribatte che la sua veste abitualearriva “alla Polpa della Jamba” e si dicepronto ad esibirla per una valutazione devisu. Puntigliosamente dà conferma dinon aver mai portato “schioppetta”,pistola né cravatta al collo18, di confes-sare regolarmente nel Confessionale con“ueste, et scosale, cotta, stola”. Negarecisamente di aver mai celebrato laMessa da Requiem quando “correual’officio in rito doppio” e dell’unica irre-golarità compiuta sbadatamente chiedeperdono, sottolineando di averla subitoconfessata:

I. Se il giorno Anniuersario dellaConsecrat[ion]e di q[ues]ta Cath[edra] -le lui c’habbi celebrato Messa

R. Sig. nò che mi trovai nel luogo diGonzano

I. Se li 9 di 9mbre pross[im]o scor-so, in cui si faceua l’officio dellaDedicatione della Basilica di S. Salua -

tore lui habbi cellebrato MessaR. Sig. sìI. qual Messa lui cellebras-

se quel giornoR. p[er]che correua in

domenica io inauertentamente,p[er]che non haueua ilCalendaro in casa p[er] haver-lo riposto inauertentamente inun libro che haueuo lasciato alchierico Pietro Ant[onio] P[e] -sca di Cremolino19, recitail’officio della Domenica e cel-lebrai anche Messa dellaDomenica, del che subitom’accorsi quando celebrata laMessa arriuai di ritorno aCasa, et perciò mi portail’istesso giorno alla Cassina diS. Chierico, a prender il Calen -daro, et indi mi portai à d[.]raa Cremolino doue è il mioPadre Confessore, e mi ricon-ciliai, confessando la negligen-za hauuta, e vi ottenni l’assolu -t[ion]e qual pure anchesupplico Mons [igno]re Ill. mo

e il sig. Conte Vic[ario] miei Pro[.]i àperdonarmi il trascorso, hauendo riso-luto fermamente d’andare più auertitop[er] l’auenire ad osservare con mag-gior frequentatione di spirito al mioobligo sacerdotale, come anche a diuer-si officij, come hò promesso al mioCon fessore.

I. se lui habbi mai cellebrato Messade Requiem il di 13 9mbre, in cuioccorre l’anniversario della Conse cra -tione della Cath[edra]le.

R. sig. no questo non si proueràmai.

All’imputato, che a conclusione del-l’interrogatorio lucidamente chiosa

Io tengo i testij fiscali per ben essa-minati, però alla formalità del giudiciomi riseruo ragg[uagli] di opporre eteccepire cont[ro] le persone, e dettiluoro, allegando il mio domi[ci]lio incasa del sig. Guido Peccorelli di questaCittà, doue intendo esser cittato

vengono concessi 14 giorni perapprontare la difesa da capi di imputa-zione passibili di sospensione a divi-nis20. In assenza del documento proces-suale conclusivo non è infondato sup-porre che D. Alessandro Piola sia stato

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in grado di produrre argo-mentazioni e testimonianzeefficacemente confutatrici,ottenendo una sentenza mite,se non l’assoluzione.

Pur se deluso dal constatare che nongiovano né “preghiere, esortazioni eriprensioni” né la parziale concessionein merito alla lunghezza dell’abito,mons. Gozani continua la sua crociata,sollecitata da nuove trasgressionimodaiole21:

E’ così deplorabile la cecità di moltiec[clesiasti]ci della nostra Dicesi chehormai stimano uiltà, e uergogna il por-tar l’habito modesto e da Religioso chenon ostante da Noi uenghi toleratoc[irc]a la longhezza che arriui solo amezza gamba al p[resen]te si fannolecito portar habiti, che hanno più delsecolare, che dell’ec[clesiasti]co massi-me ne manigoni e saccoccioni, il checagiona scandalo, et è motiuo di inde -cenze e sconcerti massime à sacerdotinel celebrar la S[an]ta messa che siuediamo in obligo di prohibir onni-nam[en]te tali manigoni, e saccoccionicon le p[rese]nti confermando l’ordinerilasciato sotto li 27 Marzo.

Assai preoccupato per queste espres-sioni di mondanizzazione, l’anno se -guente il vescovo torna sul tema, critica-mente e prescrittivamente, invitando isacerdoti a non vergognarsi di compari-re quali ministri di Dio22:

molti abusandosi della soffrenza sifanno lecito di portare Tabarri, o sianomantelli, giustacuori di colore, massi-me ne viaggi, e collanine al collo asegno che compaiano con scandalo piùtosto sgherri che religiosi.

L’emulazione di costumi imperantinella società secolare determina unalicenziosità in mutazione continua:anche tra il clero diocesano prende piede- in clamorosa contrapposizione allaprescritta “corona clericale” - la modadella parrucca.

Non potendosi, nè douendosi piùsoffrire l’abuso d’alcuni sacerdoti, emassime parochi introduto animosa -mente contrario a sacri Canoni e massi-me al ordine ultimo uscito in Romadalla Santità di Nostro Signore Papa

Clemente XI, in farsi lecito di propriocapricio di metter paruche, il che risaltaanche di qualche scandalo in dir poi lamessa con le teste pela[te] anzi radatesul fronte alla moda de zerbinotti, sebene alcuni vergognan dosi la dicanoprivatamente

il vescovo Gozani nel 1710 ordinaagli ecclesiastici di deporre “i paruchet-ti” entro un mese, sotto la pena dellasospensione a divinis, oltre a quellapecuniaria di venticinque scudi d’oro dadestinare ad usi pii e ad altre “arbitra-rie”. L’apologia di simile stravagantecostumanza si abbarbicava anche a pre-testuose motivazioni salutistiche, pro-saicamente stroncate dal loico vescovo:

non ualendo le scuse adutte, chepatiscono flussioni, perche è piu facilee probabile patiscono maggiormenteflussioni tali con leuare mettere souen-te tali paruche23.

Indubbio segno di ancor più com -promettente secolarizzazione del clero èil modus vivendi che si trova a doverfronteggiare il successore AlessioIgnazio Maruchi24:

molti Ecclesiastici e alcuni Rego -lari, troppo fidandosi questi della lonta-nanza da loro Superiori, sono comparsiin pubblici balli in abito dà secolare, edanche in maschera, facendo salti, e gio-chi ed in vece di edificare i laici co’ lorobuoni e religiosi portamenti, danno piùtosto a medesimi motivo d’ammira-zione25, e scandalo.

Il topico richiamo alla tonsura eall’abito talare passa in secondo piano afronte di tale dilagante spregiudicatezza:urge ordinare categoricamente di aste-nersi dalla frequenza e famigliarità dellepersone di sesso differente, da balli,maschere, osterie, giochi pubblici e pri-vati di qualunque genere.

La disinvoltura di taluni ecclesiasticinell’abbigliamento permane per tutto ilSettecento; anche il vescovo GiuseppeAntonio Maria Corte è indotto a emana-re l’ennesimo richiamo alla veste talare,

evidenziando che il divieto diindossare abiti di coloreammette una sola, temporaneaeccezione: l’occasione delviaggio, circostanza in cui,

però, l’abbiglia mento deve essere“modesto in tutto” e sostituito - a tregiorni dall’arrivo in località “fuori di suapatria” - con quello canonico26.

NOTE

1 G. B. MORIONDO, Monumenta Aquensia,Parte seconda, Ristampa anastatica, Forni edi-tore, Bologna, 1967, colonna 53. Nella trascri-zione di questo e dei seguenti testi documenta-li è stata rispettata la grafia ma sono state sciol-te le abbreviazioni e, ove possibile, integrate lelacune. Ivi c. 52: “III. Insuper etiam providen-dum, quod quisque Clericus in dignitate, velsacerdotio constitutus in gonella in publicumnon incedat, vel cum veste superiori, quaeclausa totaliter non existat. Delinquentes veroin aliquo praemissorum in decem solidisAstensibus vice qualibet Episcopali cameraecondemnamus.”

2 A.V.Ac., Visite Apostoliche 1577-1585,Relazione del Visitatore Apostolico Mons.Gerolamo Ragazzoni, vescovo di Bergamo,dell’anno 1577, trascrizione di Paola PianaToniolo, cc. 6r., 10r., 11r., 12v. Contestual -mente sono impartite disposizioni ai fedeli chesi comunicano: “Si instruiscano spesse volte[...] le persone del modo che hanno da tenerenel pigliare il S.mo Sacramento nellaCommunione, alzando la faccia et levandosi ilvelo d’attorno al volto et aprendo la boccaaccomodatamente et pigliando il S.moSacramento sopra la lingua, la quale si tenghiun puoco rilevata, ma non fuori de denti.”

3 A.V.Ac., Codex Iuris Canonici, Romae,Typis polyglottis Vaticanis, MCMXVIII, p. 58,Lib. II, De personis, Can. 136: “Omnes clericidecentem habitum ecclesiasticum, secundumlegitimas locorum consuetudines et Ordinariiloci praescripta, deferant, tonsuram seu coro-nam clericalem, nisi populorum mores aliterferant, gestent, et capillorum simplicem cultumadhibeant.” Ivi, s. v. Habitus. Sui paramentipropri della liturgia sacramentale vedi ancheArchivio Parrocchiale di Orsara (A.P. Or.), fal-done 30 Libri, giornali, Opuscoli, Manifesti,Testi musicali, cartella 1, f. 1 Rituale RomanumPauli V Pont. Max., apud Nicolaum Pezzana,Venetiis, MDCXCIII.

4 A.V.Ac., Fondo vescovi, faldone 10 Attidel vescovo Gozani, cartella 2 Pastorali,Circolari, Decreti, f. 7 Editto 18 giugno 1678publicato li 19 medemmo. Del giorno seguenteè la Circolare in cui si dispone che non sianoammessi in Curia quelli che comparirannosenza veste talare e tonsura modesta: “Chi

A lato, documento delVescovo Gozzano, riguardante Cassinelle.

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comparirà in Vescouado con ueste corta ecapelli longhi non sia admesso da n[ostri] fami-gliari all’udienza”; il trasgressore sarà dalSegretario indirizzato al cancelliere, che dovrà“registrarlo nel libro de disobedienti.” (ivi, f. 5documento 19 giugno 1678 Circolare).

5 Ivi, f. 43 2 gennaio 1696 Decreto delvescovo Gozani. Il Decreto, da esporre allaporta della Parrocchiale, ordina anche di evita-re il porto delle armi “douendosigl’Ecclesiastici incaminare alla pace degliAltari e non alle risse con schioppi.” Ai chieri-ci si prescrivono abito e tonsura, sotto penadella privazione dell’abito clericale, anche perevitare “ogni odiosità e litiggi col Foro secola-re, et impedir i continui richiami de loroTribunali, che pretendono di non douer, nepoter goder l’Immunità quei chierici, che nonincedunt in habitu, et Tonsura.”

6 Nato il 29 maggio e battezzato il 2 giu-gno 1658 (A.V.Ac., Sacre ordinazioni, faldone39 Sacre ordinazioni. Cassinelle 1665-1869,cartella 1, documento 12 giugno 1680 Fede dibattesimo di Alessandro Piola a firma dell’ar-ciprete Bartolomeo Guala parroco diCassinelle), Alessandro Piola, che il 19 dicem-bre 1676 riceve l’ordinazione alla tonsura cle-ricale e ai quattro ordini minori, è promosso alsubdiaconato il 23 dicembre 1679 (ivi, Decretidi Carlo Antonio Gozano) ed è ordinato sacer-dote il 21 maggio 1681 (ivi, Breve pergamena-ceo di papa Innocenzo Pio XI).

7 A.V.Ac., Fondo vescovi, faldone 10 Attidel vescovo Gozani, cartella 2 Pastorali,Circolari, Decreti, f. 7 Editto 18 giugno 1678publicato li 19 medemmo: “Incarichiamo àVicari Foranei d’inuigilare per l’osseruanzasopra delli Parochi loro suffraganei, e à Parochisopra del Clero delle loro Parochie”.

8 A.V.Ac., Fondo Parrocchie. Cassinelle,faldone 6 Cassinelle, cartella 1, fascicolo 22,documento Cassinelle 8 novembre 1692Lettera di D. Bartolomeo Guala. Così nellacontestuale nota a piè pagina: “Il piu delle voltenelli S[an]ti doppij dice messa de Requiem, etdomenica giorno della dedecatione disse messadella domenica, a causa che non dice ò di raroò mai l’officio.”

9 Ivi, documento Cassinelle 25 novembre1692 Verbale dell’interrogatorio dei testi. Ireverendi Gasparo Guala e Gio Batta Gualasono gli altri due sacerdoti residenti aCassinelle.

10 Il “gonello” o “gonnella” era una sortadi saio, ovvero una tunica o sopraveste aperta,senza maniche, con cappuccio.

11 A.V.Ac., faldone 4 Fondo Vescovi. Attidei vescovi, cartella 1 Mons. GregorioPedroca, Acqui, appresso Pietro GiouanniCalenzano, Decreto 8 Marzo 1621 circa ilporto delle armi. L’amara constatazione delmantovano Fra’ Gregorio, vescovo di Acquidal 1620 al 1631, che “l’ordine Sinodale già

altre volte publicato in questa Città, è Diocesiattorno al porto dell’armi, prohibito alle perso-ne Ecclesiatiche vien puoco osservuato”s’attaglia anche alla condotta - ben più ampia-mente trasgressiva - del chierico ovadeseGiovanni Gabella, nel 1693 accusato di porto euso di archibugio: A.V.Ac., Parrocchie,Ovada, faldone 13 Processi, cartella 5, fascico-lo 2. Circa la condotta da tenere dagli ecclesia-stici e il divieto di portare armi vedi anche Can.138, in Codex Iuris Canonici, cit, p. 58, Lib. II,De personis: “Clerici ab iis omnibus quae sta-tum suum dedecent, prorsus abstineant: inde-coras artes ne exerceant; aleatoriis ludis,pecunia exposita, ne vacent; arma ne gestent,nisi quando iusta timendi causa subsit.”

12 A.V.Ac., Fondo Parrocchie, Cassinelle,faldone 6, cartella 1, fascicolo 22, documentoCassinelle 25 9bre 1692 Lettera di BartolomeoGuala arciprete al vescovo di Acqui.L’arciprete si diffonde in cerimoniose scuse peril lieve ritardo di invio del verbale di interroga-torio: “Heri ricevei la pregiatissima sua, et giàho cominciato a dar mano all’opera, et in brevetransmettere il processo a V[ostra] S[ignoria]Ill[ustrissi]ma e Rev[erendissi]ma, atteso lamorte del custode di S. Fermo, vengo per ciò asupplicar V[ostra] S[ignoria] Rev[erendissi]maa farmi l’honore di far spedire una altra paten-te in testa di Benedetto Pesce di Strevi qualsara pronto a servir per custode o sij servienteall’Altare di S. Fermo eretto nella parrochialedi S. Margharita.”

13 Ivi, documento Cassinelle 27 novembre1692 Lettera di Bartolomeo Guala arciprete alvescovo di Acqui.

14 Ivi, documento Acqui 20 dicembre 1692Mandato di arresto per D. Alessandro Piola.

15 A.V.Ac., Fondo Parrocchie. Cassinelle,faldone 2, cartella 1 Chiesa di N.S. di Loreto eS. Defendente, Note storiche di don PompeoRavera: in ospedale per una rovinosa cadutadal carro in Alessandria, dove lavorava pressoil nob. Arnuzzo, il cassinellese BartolomeoBertolotto ha la visione di S. Antonio, a segui-to della quale fa un voto alla Madonna. Guaritoe tornato al paese, nel 1619 “vende la poca ere-dità paterna e con i risparmi del suo lavoro facostruire una chiesa a onore della Madonna diLoreto, con unito edificio”, di cui, dopo averindossato l’abito di terziario francescano, si faeremita-custode. Alcuni anni prima l’eremitaGio: Barbero era stato insolentito e - a suo dire- derubato di robe e denaro (“2 scudi d’argentoe lire dieci”) dai cassinellesi Giulio FrancescoSerperi et Baldassarro Gualla, penetrati nellacasa della chiesa: ivi, faldone 2, cartella 1Chiesa di N.S. di Loreto e S. Defendente, fasci-colo 10 23 settembre 1680 Lettera dell’eremitaGio: Barbero al Vicario episcopale. A.V.Ac.,Fondo Parrocchie. Cassinelle, faldone 3, car-tella 1, f. 1 Elenco delle cappelle stilato daBartolomeo Guala arciprete, senza data: “La

Vergine SS. di Loretto, alla qual capella lacomunità obbliga il capellaro ò sij il maestro dascuola andarli celebrare tutti li giorni festivi laS[an]ta Messa, et è salariato dalla d[ett]a com-munità senza alcun danno di d[ett]a Capella etè gia tre anni che si è riuestito D. Gio:Gulielmo Arcasio di Bistagno.” Vedi anche ivi,cartella 1, f. 4 documento 1772 Relazione par-rocchiale: “Oltre la parrocchia ui suono quatroChiese, una è intitolata N. Signora di Loreto, S.Giouanni Batta Oratorio de Disciplinanti, S.Lorenzo [sic], S. Giuseppe.” Cfr. ivi, 1786Relazione parrocchiale, in cui in luogo di S.Lorenzo compare S. Antonio da Padoua, e dellacappella campestre di S. Giuseppe si precisache “è propria di Francesco Piola.”

16 A.V.Ac., Fondo Parrocchie, Cassinelle,faldone 6, cartella 1, documento Acqui 23dicembre 1692 Supplica di D. AlessandroPiola.

17 Ivi, documento Acqui. Cancelleria epi-scopale 6 gennaio 1693 Verbale dell’interroga-torio processuale di D. Alessandro Piola.

18 Ivi: “Sig. si l’hò sempre portato, e benuero che no in casa ò per il mio Cortile map[er] il luogo hò sempre portato il Collaro.” Itesti di Cassinelle avevano dichiarato, sottogiuramento, che spesso D. Piola portava una“collanina a righe.”

19 Si tratta di Pietro Antonio figlio diJoannis e Maria Jugalius de Piscibus, nato il 19settembre 1667: A.V.Ac., Sacre ordinazioni,faldone 48 Sacre ordinazioni Cremolino, car-tella 1 10 febbraio 1693 Estratto dell’atto dibattesimo; 22 febbraio 1693 Decreto vescoviledi promozione ai quattro ordini minori diPietro Antonio de Piscibus.

20 A.V.Ac., Codex Iuris Canonici, cit., p.1101-1102, Lib. V., Titulus XVII, De delictiscontra obligationes proprias status clericalisvel religiosi, Can. 2379 : “Clerici, contrapraescriptum can. 136, habitum ecclesiasticumet tonsuram clericalem non gestantes, gravitermoneantur; transacto inutiliter mense a moni-tione, [...] clerici autem maiores, salvo prae-scripto can. 188, n. 7, ab ordinibus receptissuspendantur, et si ad vitae genus a statu cleri-cali alienum notorie transierint, nec, rursusmoniti, resipuerint, post tres menses ab hacultima monitione deponantur.”

21 A.V.Ac., Fondo vescovi, faldone 10 Attidel vescovo Gozani, cartella 3 Pastorali,Circolari, Decreti, f. 61 13 giugno 1703Circolare del vescovo Gozani: ordine di “farfare le manighi strette e ben serrate.”

22 Ivi, f. 65 9 febbraio 1704 Circolare delvescovo Gozani.

23 A.P.Or., faldone 24 Curia, vescovi, par-roci, cartella 2 Lettere pastorali e apostoliche,Bolle, Decreti, Circolari vescovili, f. 9 In Olmodal nostro Palazzo Marchionale li 19 agosto1710 Lettera circolare di Carlo AntonioGozani vescovo d’Acqui. Ennesima la chiosa:

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“Ordinando al nostro Vicario Episcopaled’invigilare, e leuar tale abuso; di piu notiamo,che questo nostro ordine publicato et affissoalle porte parochiali vespertinamente tantouoglia, et astringa tutti come se fosse à chia-scheduno personalmente presentato.”

24 Ivi, foglio 34 Palazzo vescovile Acqui23 febbraio 1749 Lettera circolare del vescovoAlessio Ignatio Maruchi.

25 Il termine di “ammirazione” è qui daintendersi nell’accezione di “negativa sorpresae stupore.”

26 A.V.Ac., Lettere pastorali, faldone 1,cartella 1 mons. Giuseppe Antonio MariaCorte, fascicolo 3 Acqui li 29 giugno 1781Circolare di Giuseppe Antonio Maria Cortevescovo d’Acqui: “1. Ordiniamo che sotto lapena della sospensione nessuno Sacerdote sifaccia lecito di entrare in chiesa per la celebra-zione dell’Augusto sacrificio della S. Messavestito di qualunque abito esterno che non siadi color nero. 2. Sotto la medesima pena disospensione vogliamo rinovata la proibizionefatta da Noi più volte a voce, e con lettera dinon celebrare senza la veste talare tolerandoquella senza maniche nelle Capelle lontane dalrispettivo luogo un mezzo miglio circa.”All’abito talare sono tenuti, nei giorni festivi,anche i chierici, che devono indossare la cottaquando ricevono l’Eucarestia e prestano il ser-vizio alle funzioni della parrocchia; ai parrocil’incarico di sorvegliarli e denunciarne even-tuali negligenze. Cfr. A.P.Or., faldone 24Curia, vescovi, parroci, cartella 3 Letterepastorali e apostoliche, Bolle, Decreti,Circolari vescovili, f. 20 17 luglio 1781Trascrizione dall’originale della Circolare delvescovo Corte inviata dal Vicario ForaneoGuido Dalla Valle, Carpeneto al parroco diOrsara.

Ancora nell’Ottocento periodiche sono lereprimenda vescovili in relazione all’habitus:A.P.Or., faldone 25 Curia, vescovi, parroci,cartella 1, fascicolo 17 Acqui li 20 febbraio1824 Pastorale del vescovo Sappa sulla con-dotta in chiesa; ivi, cartella 4, foglio 4 Acqui li26 novembre 1851 Decreto del vescovoContratto su abbigliamento e tonsura degliecclesiastici.

Eterogeneità e complementarietà icaratteri distintivi della mostra "Carte earte", che ad agosto ha esposto nel Mu-seo Etnografico selezionati documenti emanufatti artistici idonei ad illustrare a-spetti significativi della vita e del patri-monio storico della parrocchia orsarese.

Del variegato corpus di materialiproprio di un archivio parrocchiale erain visione un'interessante campionatura:Pastorali e Circolari, Brevi papali, Sup-pliche di parroci orsaresi per aver licen-za di benedizione o di sepoltura nellaParrocchiale, Libri Missarum e registridelle Confraternite, lasciti e fatture,instrumenti di enfiteusi e compravendi-ta. Redatte da ecclesiastici e laici nelcorso di quattro secoli, queste Cartehanno offerto al visitatore un percorsodi insolite spigolature e suggestioni,facendo affiorare eventi e costumanzedella Comunità parrocchiale e della dio-cesi acquese.

Affiancavano i documenti archivisti-ci alcuni manufatti di alto, artistico arti-gianato, espressione della pietas e dellepratiche devozionali dei parrocchianinei secoli.

In evidenza, fra i pregevoli paramen-ti in mostra - in passato oggetto di ambi-to prestito in occasione di concelebra-zioni solenni nella cattedrale acquese -una preziosa pianeta del Settecento, lacui vistosa decorazione carpomorfa e agrandi peonie richiama, pur nella diffor-mità del cromatismo e della dispositiodei soggetti, coeve pianete tortonesi.Sottili rami sono assorbiti da grandifoglie e fiori in un lento e sinuoso moti-vo ascendente, secondo il topico anda-mento a meandro di derivazione france-se: notevole l'effetto di corposità tridi-mensionale della stoffa; particolare, nelricamo, lo studio delle sfumature el'impiego di filo d'argento. E' probabileche questo prezioso tessuto sia stato ori-ginariamente acquistato e utilizzato dauna famiglia aristocratica per abito oarredo, quindi regalato alla parrocchia;non è da escludere che il benefattore siadel casato dei conti Ferrari di Orsara,dei quali sono documentate donazioni di

paramenti nel secolo successivo. Splendida la coppia di calice e pissi-

de, con il doppio punzone costituito dal-lo stemma sabaudo (marchio territoria-le) e dalle iniziali dell'artista, il famosoFrancesco Pagliani, argentiere allaZecca di Torino nell'ultimo quarto delSettecento; realizzati con raffinata tec-nica a sbalzo e cesello i motivi decorati-vi, che esplicitano il prevalente influssoneoclassico mediante la sobrietà com-positiva, definita da palmette stilizzate ebaccellature.

Ogni documento e manufatto artisti-co era corredato da esaustive didascalie,indicanti la datazione, la tipologia e icaratteri precipui dell'oggetto, mentrealcuni pannelli esplicativi ragguagliava-no il visitatore curioso sul rituale deisacramenti e dell'esorcismo, su tipolo-gia e colori dei paramenti sacerdotali,sulle preghiere che l'officiante recitaindossando i paramenti. A disposizione,per la consultazione o l'approfondi-mento, un excursus sulle prescrizionivescovili inerenti le registrazioni ana-grafiche e l'Inventario analitico dell'ar-chivio parrocchiale, realizzati da LucillaRapetti, che ha presentato la mostra.

Dunque, un'esposizione per moltiaspetti singolare, una interessante ini-ziativa di valorizzazione del patrimoniodocumentale - spesso poco noto e taloratrascurato - dei nostri paesi.

Le annotazioni anagrafiche orsaresisono sistematiche a partire dal 1587 maun eccezionale prologo è costituito dalleregistrazioni di nascite e morti del trien-nio 1542-1544, le più antiche della dio-cesi. La straordinarietà sta nel fatto cheJacobus Baroxius, rector della parroc-chia di Orsara sino al 1570, le ha scritte- forse a seguito dell'Ordonnance diFrancesco I di Villers-Cotterets del 15agosto 1539, che dispone si tenga unregistro dei battesimi con indicazionedella data di nascita, che farà fede perdocumentare la maggiore età - anterior-mente alle prescrizioni post tridentine,publicatae nel 1563, confermate dallaBolla Cum pro munere (1580) e recepi-te dal Corpus iuris canonico.

La mostra “Carte e arte” a curadi Lucilla Rapetti a Orsara B.

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Sul dopo due isolate nota-zioni (del 1570 e 1577) eun'ulteriore lacuna, a partire dal1587 - di fine XVI secolo èl'avvio dell'anagrafe di moltiarchivi parrocchiano-diocesanila registrazione anagrafica siregolarizza arricchendosi diindicazioni davvero fondamen-tali, stante l'assenza di anagrafecivile, finché in pieno Ottocentosi giunge all'impiego di registriprestampati, alla cui cura - dicompilazione e di custodia - fre-quentemente sollecitano ivescovi acquesi e anche l'autorità stata-le: occorre infatti ricordare che taleadempimento è un unicum sino ai primidell'Ot tocento, quando nel Regno diSardegna diventa obbligatoria l'anagrafecivile.

Affiancavano le carte alcuni manu-fatti di alto, artistico artigianato, espres-sione della pietas e della pratiche devo-zionali dei parrocchiani nei secoli:oggetti cultuali in argento e paramentisacerdotali finemente e riccamente rica-mati, uno dei quali settecentesco.

Splendidi il calice e la pisside, con ilpunzone

Nei primi decenni del Settecento laproduzione di argenteria sacra registraun notevole incremento poiché i corre-di liturgici si moltiplicano e la ormaiacquisita padronanza della tecnica asbalzo, riducendo la quantità di mate-riale utilizzato, permette la creazionedi oggetti più leggeri e quindi menocostosi.

Il repertorio figurativo utilizzato èquello della nuova cultura rocaille chedomina in tutti i campi dell'arte e si dif-fonde attraverso la circolazione dialbum di incisioni, quali quelli di Meis -sonier, apprendista di disegno e pitturanella bottega torinese di Filippo Juvarranei primi decenni del sec. XVIII, creato-re di modelli e promotore della lorointernazionalità.

Come gli altri generi di espressioneartistica, anche gli argenti, per forme de-

corative ma soprattutto per ambiti diprovenienza, denotano la connotazioneterritoriale della diocesi. Non sempre sitrovano i marchi territoriali e personalidegli argentieri e a volte si riscontranodoppi punzoni: il marchio territorialeindica l'area di provenienza dell'oggetto,il marchio di garanzia la quantità dell'ar-gento fino in esso contenuta.

Le certificazioni avvengono sullabase di leggi diverse da stato a stato; èsolo del 1872 una legislazione unica el'emissione di un marchio a garanzia deltitolo comune: la testina d'Italia turrita diprofilo.

In ambito genovese: rococò con ele-menti conchigliari; in Lombardia,moduli decorativi con volute, cartigli eelementi fitomorfi.

Questi motivi sono usati da mae-stranze di stuccatori lombardi che giun-gono in territorio ligure e derivano daapparati decorativi architettonici e scul-torei che passano ad arti applicate, inparticolare oreficeria e tessili.

La circolazione di taccuini di disegniper argenteria pubblicati da grandi mae-stri francesi suggerisce ai genovesi - icosiddetti "fraveghi", una delle pochecorporazioni in Italia con statuto e rego-lamento propri - un ricco repertorio ade-guato al nuovo gusto della committenza.

A fine Settecento si registra l'influssoneoclassico: forme allungate, palmettestilizzate, festoni, baccellature (ValeriaMoratti).

PARAMENTI

I tessuti di pregio proveni-vano da grandi centri manifat-turieri, quali Genova, Milano,Venezia e dalla Francia, ove ilministro Colbert aveva avviatosin dal 1666, su desiderio diLuigi XIV, una produzione tes-sile - a Lione soprattutto - ches'impose sul mercato europeoe alla quale si ispirò quella ita-liana.

Il loro iniziale utilizzo eralegato all'arredo delle dimorecivili e all'abbigliamento pro-

fano: grazie alle donazioni delle fami-glie aristocratiche alle parrocchie e allechiese di devozione privata questi tessu-ti si sono conservati mediante la trasfor-mazione in paramenti sacri.

Occorre considerare che finoall'Ottocento non esisteva distinzionefar tessuti prodotti per il mercato e quel-li destinati ad uso religioso.

Sui paramenti liturgici della secondametà del XVII compaiono frequente-mente vistosi motivi carpomorfi e fito-morfi: nel secolo successivo essi sonoripresi, seppur con moduli iconograficiridotti.

Tali soggetti decorativi potrebberostupire non considerando - come fa no-tare la CATALDO GALLO - che i fioricostituiscono un elemento fondamentalenella liturgia cristiana del secolo XV evengono utilizzati in preghiere e sermo-ni dei predicatori in allusione alle figuredi Cristo, della Madonna, del Paradiso edi molti Santi.

Le vesti fittamente decorate a fiora-mi sono diffuse su tutto il territorio ita-liano nel Settecento e sino a metàOttocento; dopo la parentesi delBizzarre, il gusto floreale riprende,anche in concomitanza con l'arrivo inEuropa di piante e fiori esotici, nonchédi manufatti portati in dono dall'Oriente:in particolare le pianete risentono diquesta tendenza.

A lato, una pisside e un calice,lavorati in argento con partilaminate in oro, esposti allamostra di Orsara.

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Era notte al Biscottificio Ovadese.Wolf ci diede un pane con l' uvetta,

e lo andammo a mangiare ,ancora caldo,

con le gambe penzoloni,sulla Pusa…

(M.Canepa, Due righe per gli amici,p.70, Ovada, 2008 )

Premessa

I biscotti, presenti in quasi tutti i pae -si del mondo, hanno un' origine antichis-sima. Infatti le caratteristiche dei loroingredienti e la prolungata cottura inforno hanno sempre permesso una lungaconservazione e una duratura commesti-bilità, anche nelle condizioni meno fa -vorevoli, non soffrendo né il caldo né ilfreddo, né i climi secchi né quelli umidi.

I loro ingredienti sono sempre statimolto simili ad ogni latitudine e sottoogni clima. Fondamentali: farina, zuc-chero, lievito, burro e uova.

La farina più usata fu sempre quelladi frumento, ma sono sempre esistitibiscotti che utilizzavano farina di man-dorle, nocciole, mais, castagne.

In origine il dolcificante base fu ilmiele, solo in sèguito sostituito dallozucchero. Durante le migrazioni o i lun-ghi viaggi i biscotti hanno ac -compagnato eserciti, contadinicolonizzatori, emigranti, principi eprincipesse…

Pur partendo da una basecomune i biscotti si sono am -piamente diversificati con va riantipiù o meno importanti riguardantigli ingredienti, la preparazione, lacottura. Ad esempio nelle cialde lapa stella viene cotta su una su -perficie rovente e possono esserecroccanti come le te gole italiane,oppure morbide e soffici come legouffres francesi.

Sono tipici dell' Europa centralee settentrionale i bi scottiaromatizzati con ani ce, cannella,zenzero, semi di pa pavero edolcificati con il mie le. Hanno abi-tualmente forme di fantasia (stelle,cuoricini, abeti) e sono ricoperti diglassa e di confettini.

Di origine araba ma ormai diffusidappertutto sono i biscotti a base di fari-na di mandorle come gli amaretti , i ric-ciarelli, i frutti di Marturana. Poi c'è lacategoria dei biscotti con aggiunta difrutta secca e canditi, come i brutti buonidi nocciole, i pan de mort con le man-dorle, i narazik con semi di sesamo.

I più golosi, più recenti e di non lun-ghissima conservazione, per l'ampio usodel burro, sono i biscotti di pasta frolla.

Infine ci sono i biscotti della salute(che più da vicino ci interessano, inquanto tipici di Ovada) così chiamati operché hanno ingredienti da cui si puòtrarre un particolare beneficio o perchéprivi di sostanze che potrebbero nuocerea persone allergiche o con patologie par-ticolari.

A seconda del tipo di farina usata ibiscotti secchi prendono denominazionee caratteristiche diverse.

E' il caso dei biscotti di meliga, deibiscotti di riso, dei biscotti alle nocciole.Si tratta in tutti e tre i casi di biscotti ditradizione piemontese .

I biscotti di meliga sono tipici dolcidella domenica e vengono abbinati allozabaglione o al barolo chinato. Sonodolci fatti di farina di mais e di frumen-to con l' aggiunta di uova, zucchero, e

burro. Quanto ai biscotti di riso, essivedono la presenza di farina di riso alposto di quella di mais mentre i biscottialle nocciole aggiungono le nocciolemacinate all'impasto, che deve esserefat to rigorosamente a mano.

La provincia alessandrina: un'anticatradizione dolciaria

Nel gran panorama delle dolcezzealessandrine che vanno dai baci di damadi Tortona ai krumiri di Casale Mon -ferrato, dagli amaretti di Mombaruzzo eGavi alla polenta di Marengo, dai man-drognini di Alessandria al torrone di Vi -sone, Ovada si distingue per i biscottidella salute al profumo di anice e per untipo di torta che prende il nome di polen-ta dolce.

I biscotti della salute, in genere, sibasano su pochi e semplici ingredienti:farina di frumento, margarina vegetale,zucchero e lievito. Richiedono una lun -ga lievitazione che è quella che permet-te al biscotto di mantenere caratteristi-che di bontà, sapore, leggerezza e friabi-lità. Perchè il biscotto sia particolarmen-te friabile necessita di una lievitazionedi 40 ore. Proprio la lunga lievitazionepermette agli ingredienti di amalgamar-si e di riempirsi di molecole d' acqua,

che faranno in modo che il dolce,una volta cotto, risulti particolar-mente friabile e leggero.

I biscotti della salute, parentistretti delle fette biscottate, chia-mate in piemontese crocion o cro-sun nascono da un dolce piemon-tese chiamato tirà a base di farina,zuc chero, latte, burro, tuorlid'uovo, lievito di birra. Soggetto alun ghe e successive lievitazioni, ildolce si presentava con formabassa ed allungata. Si affettava latirà diagonalmente a fette spessecirca due centimetri e mezzo e sipassavano le fette a biscottare inforno. Quando la mollica si eraimbrunita si ritiravano le fette,ormai biscottate, dal forno. Con -servate in contenitori metallici,che ne preservavano la freschezza ,ve ni vano consumate soprattutto acolazione.

Dolci quegli anniAccenni di storia dell' industria dolciaria ovadese, nel secondo dopoguerradi Lucia Barba

Maestranze al lavoro nel Biscottificio TreRossi

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La tirà, che nasceva come pasta dipane arricchita con altri ingredienti, po -teva assumere oltre alla forma allungataquella di una treccia o di una ciambella.

Quanto alla polenta di Ovada il dolceha il suo antesignano in una torta rusticadi farina gialla che comprendeva iseguenti ingredienti: farina di frumento,farina di mais, zucchero, uova, latte,scorza di limone grattugiata, lievito perdolci, burro.

Pare che il primo sia stato DomenicoRepetto, titolare dell’omonimo fornosituato in via Castello, attuale via Roma.Il primo a decidere di provare un tipo dibiscotto nuovo, molto leggero e friabile,una novità per i tempi. Che erano quelliprecedenti la seconda guerra mondiale,forse, addirittura, i primi decenni del‘900. Si trattava di una ricetta di originefrancese che il Nostro aveva avuto da unparente, che viveva in Francia. Dun quele origini si perdono nella nebbia deglianni. Di certo, e in tanto sono trascorsigli anni della guerra, prima degli anni’50 Pietro Arati aveva iniziato a farequelli che diventeranno i “Biscotti dellasalute” nel suo forno in via Roma, aiuta-to dal genero Marco Barisione.

I biscotti piacevano: così si creò unelementare commercio dove fu provvi-denziale il trasporto su ferrovia. Infatti ibi scotti ovadesi superano il perimetrocittadino grazie ai ferrovieri (personaleviaggiante) che trasportano e consegna-no alle varie fermate 2 lattoni, contenen-ti i biscotti, ai negozianti dei vari paesi.Si tratta, comunque, di una produzioneancora limitata che impiega lamanodopera di un forno, adibito nor -mal mente a sfornare pane.

Non dimentichiamo però che siamonei mitici anni ’50, gli anni della rico-struzione, quando gli Italiani scopronoun’aspirazione all’imprenditoria e alrischio, dimenticata da secoli. La genteha desiderio di novità , aumentano i con-sumi, si diversifica e incrementa la pro-duzione. Anche in Ovada, che conosceanche un notevole sviluppo demograficoe che, fino ad allora, era stato soprattut-to un centro di distribuzione e vendita diprodotti altrui si sviluppa una nuova

mentalità imprenditoriale che, alla di -stanza, si dimostrerà non aver avuto loap poggio necessario in senso strutturalee finanziario ma che, allora, mostra undinamismo assolutamente rimarchevole.Sono gli anni dell’Ormig, della CarleMontanari, della Mecof, della Lai, e ditutta una serie di coraggiose imprese,che danno lavoro a molti operai di Ova -da e di tutti i paesi vicini.

In campo alimentare, l’ inizio deglianni ‘50 vede la nascita di due imprese icui destini si incontrano, si separano, siintersecano ancora fino alla fusione. Maandiamo con ordine.

Ad Ovada tre fratelli che di cognomefanno Rossi, e di nome Gino, Giovannied Angiolino ed hanno altri due fratelli,che però non entreranno nella nostra sto-ria, gestiscono il bar Tavernetta, prospi-ciente piazza Mazzini. I fratelli Rossiprovengono da Trisobbio e la scelta dilasciare il paese e trasferirsi altrove indi-ca una volontà precisa, che sottendeun’istanza di promozione economica esociale.

Angiolino Puppo fa il commerciantedi vino e condivide con Gino Rossi,oltre all’amicizia, il desiderio di speri-mentare nuove strade imprenditoriali.Decidono di mettersi in società e di pro-vare a fare i biscotti, quelli che già si sta-vano affermando come biscotti tipici diOvada. Ma il senso della famiglia, co mespesso accade in Italia, prevale. Gi noRossi decide di fare società con i duefratelli, Giovanni ed Angiolino, eAngelo Puppo non fa parte della nuovasocietà che si chiamerà “Tre Rossi” consede in via Lungorba. Tuttavia Pupponon demorde e cerca nuovi soci per

attuare quella che è la sua idea domi-nante. Li troverà, tra di loro DinoCrocco, che troverà poi la sua strada inaltro ambito. La nuova realtà economicasi chiamerà “Biscottificio Ovadese “consede in via Torino, dove attualmente c’ èil negozio dei Cinesi. Si tratta di realtàeconomiche ancora di piccole dimensio-ni ma che non si pongono più come real-tà solo locali ed aspirano ad una com-mercializzazione del loro prodotto inambito extra regionale.

Se il “Biscotto della salute” resta ilfiore all’ occhiello di tutta la produzioneviene naturale diversificare la lavorazio-ne per andare incontro ad una domandasempre più varia e sofisticata e ad unaconcorrenza sempre più agguerrita. Cosìcanestrelli, pandolce genovese, pandol-ce Vecchia Genova, panettone milanese,panfrutto, torte si aggiungono alla pro-duzione di base. Si tratta, comunque dipasticceria secca.

Il panfrutto, in particolare, è l’ evolu-zione in serie di un dolce usualmenteconfezionato dai panifici chiamato indialetto pan da l’uvetta, consistente inuna sfoglia di pasta di pane, su cui met-teva dell’ uvetta e poi si arrotolava. Unostrudel povero… Una volta cotto venivavenduto a fette. Pare (memoria di PitBersi, gentilmente riferita da CinoPuppo) che il parroco ne desse una fettaad ogni ragazzino presente in chiesa alrito di ogni primo venerdì del mese.

La Tre Rossi diventa un’ impresa ditutto rispetto con circa 60 dipendenti, inprevalenza donne, particolarmente adat-te per il confezionamento, tutto manua-le, dei prodotti. La ditta lavora su dueturni mentre per le rimesse c’è sempreun operaio che lavora di notte. Le nuovedimensioni produttive e l’ am pliamentodella rete distributiva comportano lospostamento della ditta in uno spazio piùampio, che rimane però sempre nel con-centrico ovadese. La nuova sede vieneubicata in corso Saracco, dove si trovatuttora.

Il Biscottificio Ovadese, che conosceun buono sviluppo, se pur quantitativa-

Alcune vecchie pubblicità dei biscottifici ovadesi.Giuseppe Puppo (Angiolino), fondatore del Biscottificio Ovadese.

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mente più ristretto della Tre Rossi, sisposta per ragioni analoghe in via capi-tano Oddone.

Dal 1961 il titolare del Biscottificio èunico ed è Angiolino Puppo perché glialtri soci hanno lasciato la ditta. Nelcaso di Wolf Ferrari, uno dei soci fonda-tori, ciò significherà un nuovo piccolobiscottificio, per gli altri sarà un abban-dono per altre e diverse attività.

In città oltre ai due biscottifici mag-giori sono presenti e produttive realtàdolciarie minori quali il biscottificioPiovani, in piazza Mazzini, il biscottifi-cio di Wolf Ferrari rilevato in seguito daSantamaria e il laboratorio Barisioneche continuerà la tradizione iniziata colforno in via Roma, di cui si è parlato al -l’ inizio. Come si vede c’è una realtà ab -bastanza articolata che fa individuare lapossibilità di un polo dolciario, che perònon sorgerà mai.

La “Tre Rossi “comunque conosceuna buona congiuntura economica, gra-zie ad una notevole rete distributiva ealle indubbie capacità imprenditoriali diGino Rossi che, nel 1973, muore. Poichéi due fratelli Giovanni e Angolino sisono ritirati dalla società già da unadecina d’anni la vedova di Gino Rossiche si ritrova con due figli ancora adole-scenti decide di vendere la ditta ad unasocietà dolciaria che ha sede a Visone,ha nome “Rinaldo Rossi” e come pro-prietario Roggero di Acqui. La “TreRossi” viene, di fatto , incorporata nellaRinaldo Rossi, società in grave crisifinanziaria, che nel 1982 fallirà portan-dosi dietro, nel fallimento la “Tre Rossi”società, che al momento dell’ acquistoera in una buona condizione economica.Intanto anche il Biscottificio Ovadese siè numericamente ridimensionato, èsceso il numero degli operai e ha decisodi dedicarsi esclusivamente alla pastic-ceria, puntando ad una specializzazionenel genere. All’ inizio del 1983 ilBiscottificio Ovadese acquista la “TreRos si” e si compie quell’ unione che erastata il sogno degli inizi. Nel 1985 alla

famiglia Puppo e Somaglia proprietariadel Biscottificio che ora si chiamaPasticceria Ovadese si unisce un altrolaboratorio di pasticceria, la PasticceriaMinetto Di Rossiglione.

La ripresa del lavoro sotto il marchiounico “Tre Rossi” è stato reso possibilegrazie agli imprenditori ma anche allagrande professionalità e al senso diresponsabilità delle maestranze lavorati-ve. E’ comunque avvenuto un ridimen-sionamento sostanzioso delle unità lavo-rative che sono passate da 60 a 30 circa.

Da ultimo, nel 2000, la società vienevenduta ad un nuovo gruppo imprendi-toriale, non più ovadese, che continua laproduzione tradizionale e mantiene inattività una trentina di persone. Deglialtri laboratori rimane in attività, inambito strettamente familiare, il labora-torio dolciario Barisione.

Uno dei motivi per cui nell’immedia-to dopoguerra il biscotto della salute siafferma è che è leggero, nutriente, nontroppo dolce, piacevolmente friabile.Queste caratteristiche che lo hanno reso,sotto un certo punto, il biscotto idealeper una colazione leggera, lo hannopenalizzato quando una società diventa-ta, nel frattempo, opulenta e consumisti-ca gli ha preferito gusti più sofisticati,appaganti al palato, allettanti per gliocchi.

Uno dei motivi che stanno alla basedella leggerezza e della digeribilità delnostro biscotto è sempre stato l’ usodella lievitazione naturale. I biscottisono sempre stati fatti usando lievitomadre che è stato tramandato sorve-gliando con totale attenzione che lapasta lievitata fosse sempre al punto giu-sto altrimenti la lavorazione dovevaessere scartata. C’era, per questo, un tec-nico della lievitazione, che era responsa-bile dei saccaromiceti che stavano nellievito madre e che richiedevanol’alimentazione pefetta. Grande tecnicodella lievitazione fu Jaco Dagnino. Il lie-vitatore, come il produttore di formaggifa un lavoro che è a contatto con delle

trasformazioni vitali.Il prodotto oltre che farlo è necessa-

rio venderlo e qui entra in campo la retedistributiva che, quanto è più efficiente,capillare e precisa nelle consegne tantopiù incrementa la vendita. Anche se con-tro il gusto delle persone non puoi anda-re. Questo per anticipare il discorso suilimiti di diffusione che il prodottooggettivamente ha incontrato. Vendutomolto bene a Cuneo, Savona, GenovaLa Spezia, Alessandria, in parte Torino(intendendo capoluogo e provincia) haavuto difficoltà insormontabili ad affer-marsi in Alto Piemonte, in Lombardia asud di Spezia. Si può pensare che doveha incontrato successo ci fossero degliottimi agenti commerciali ma forseanche il gusto comune ha una partenotevole nelle scelte. Forse enormi inve-stimenti pubblicitari possono cambiareil gusto ma qui il discorso si fa econo-mico e sociologico ed esula dal tema chevuol solo essere di ricostruzione fattua-le.

Tuttavia, se pur in modo incidentale,il biscotto della salute i limiti regionalideve averli superati con certezza se,negli anni ’70, fu oggetto di causa giudi-ziaria a Venezia dove un giudice citò ingiudizio il Biscottifico Ovadese per pub-blicità ingannevole in quanto il biscotto,non potendo assicurare la salute (e chi ciriesce?) doveva cambiar nome e definir-si Biscotto Salute!

Il biscotto perse la causa e da allorasi chiama biscotto salute, con buonapace del giudice e a svantaggio dellachiarezza linguistica.

La memoria storica di questo raccon-to sono Roberta e Cino Puppo, unita-mente ad Angelo Santamaria. Li ringra-zio di cuore tutti e tre.

Il parco macchine del Biscottificio TreRossi in una immagine degli anni Sessanta.

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Benchè nel XII secolo appartenessealla diocesi di Tortona, Lerma ospitaval’importantissimo monastero di SantaMaria di Banno, collocato su una dellepiù antiche vie marenche e affiliato conla cistercense Badia di Tiglieto da unlato e con il Monastero di Santo Stefanoa Genova dall’altro1. Il monastero subìsva riati cambiamenti di proprietà: infat-ti, dopo essere stata ceduta da Giulio IIai Canonici Lateranensi di Santa Mariadi Castello ad Alessandria nel 1512,questi ultimi la vendettero nel 1545 aiDoria, i quali a loro volta, nel 1562 lacedettero a Giacomo Maria Spinola, fi -glio di Luca; il monastero rimase unamas seria alle dipendenze della famigliadegli Spinola, i quali non la vendetteropiù a terzi2. Nel 1223 i signori di Mor -bello donarono la stessa Lerma a Ge -nova, riottenendola poi in feudo. Lermapassò poi alla famiglia degli Zucchi, nel1272 ai Malaspina di Cremolino, per poitornare nel 1273 sotto il dominio geno-vese dei Della Volta. Questa famigliagenovese acquistò dai Da Pobleto tutti idiritti di signoria e giurisdizione che essivantavano a Lerma ed anche a Casa -leggio, accaparrandosi così tutto il terre-no che era rimasto escluso dalla cessio-ne a Genova nel 1279, acquisendo dauna donazione anche metà del castellodi Mornese un decennio dopo3. Nel1323 Lerma era un possesso della fami-glia Doria e nel 1355 il feudo venne affi-dato da Carlo IV di Lussemburgo aGiovanni II Paleologo e Lerma fu rico-nosciuta come terra del Monferrato sottola dinastia dei Paleologi4, Marchesi diMonferrato5. Bisogna sottolineare che lacorte del Marchese del Monferrato eragià nel XIII secolo (e tale rimase fino atutto il XVI secolo) una delle più fasto-se e potenti del Nord Italia, all’avan-guardia nelle lettere e nelle arti, nonchéuno dei più importanti centri di diffusio-ne della letteratura provenzale e dellamusica profana, dove fiorivano le letteree dove i trovadori riuscivano ad affer-marsi6. Questo fatto, unito ai rapporti traLerma e Genova è significativo percomprendere come il paese monferrinonon fosse, nonostante le sue modestedimensioni, al di fuori delle reti di co -

mu nicazioni e scambi tra le diverse cul-ture, fossero esse politiche, artistiche oanche ecclesiastiche. Nel 1324 la Re -pubblica di Genova acquistò Lerma daViolante, figlia di Brancaleone Doria;Genova, a sua volta, nel 1339 vendetteLerma ad Antonio Grillo; nel 1414 Fran -cesco Spinola, procuratore del padreOttobono Spinola, acquistò Lerma daLudovico e Cattaneo Grillo7. Ancoraoggi il castello ed i terreni di Lermasono di proprietà del Marchese Spinola.

Siamo dunque arrivati al periodo sto-rico in cui, con la dinastia degli Spinola,si prepara il terreno per gli sviluppi cul-turali che coinvolgeranno anche la pievedi San Giovanni al Piano e la realizza-zione degli affreschi al suo interno. Dal1414, dunque, il feudo di Lerma resta inpossesso degli Spinola, che più tardi nericevettero le investiture dal Marchesedi Monferrato e poi dai Duchi diMantova. Nel 1421 Francesco Spinola sialleò col Duca di Milano per scacciare lasignoria dei Fregoso da Genova e diven-ne famoso per le sue imprese (si vedal’iscrizione sul suo sepolcro in SanDomenico a Genova)8.

Nel 1492, un pronipote di Francesco,Luca Spinola di Battista, cavaliere di

Carlo VIII re di Francia, divenuto signo-re di Lerma, fece costruire o almenoriedificare ex novo una cappella già esi-stente sulle rive del fiume Piota, nondistante dal centro abitato, la Rocchetta,che divenne un importante luogo diculto perché conteneva un’icona diBarnaba da Modena che si ritenevaavesse poteri miracolosi9. Questa chie-setta, oltre a testimoniare in questa zonail culto mariano da una parte e, dall’al-tra, l’intensa attività votiva di LucaSpinola, si ritiene fosse una dipendenzadell’antico monastero di Santa Maria diBanno; altri studiosi sostengono che laRocchetta sia nata in seguito alla sop-pressione del suddetto monastero, nelXVI secolo, per continuarne il culto;altri ancori sostengono che un edificiosacro preesistesse a quello rinnovato daLuca Spinola10.

Come ho già accennato, questoperiodo si rivela florido e ricco di inizia-tive culturali, artistiche e votive: Battistae Luca Spinola sono considerati degliottimi governatori, moralmente integri,seri e prudenti, devoti e magnanimi.Durante gli anni della loro reggenza siedificano o si restaurano edifici sacri11,viene dato un nuovo assetto in stile fran-cesizzante al castello di Lerma12 e lostesso avvenne per castello di Pieve diTeco, feudo del ponente ligure che nel1485 passò nelle mani dei signori diLerma.

L’apparato difensivo del castello diLerma rivela come questo edificio siauna costruzione di transizione tra la for-tificazione e un “maniero signorile” incui l’intero apparato a sporgere è dive-nuto quasi totalmente un elemento deco-rativo, senza per questo perdere la suavalenza difensiva, come si vede nelleferitoie strombate sotto ad ogni finestrae nelle fuciliere13. La funzione di dimo-ra signorile si vede anche dalla presenzadelle bifore nella parte alta e nel latonord, nonché negli arredi interni che,oltre ad armature e suppellettili, vantanouna grande collezione di quadri, incisio-ni e sculture14. Mentre la torre con leferitoie è da riferire al XII secolo, allafine del XV secolo, si effettuò la costru-zione del mastio quadrato a protezione

Il “Maestro della Passione della Pieve di LermaGli Spinola nelle terre di Giovanni Canavesio (5)di Gabriella Ragozzino

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dello spigolo posteriore, sul quale com-pare lo stemma degli Spinola, accompa-gnato dal motto “Potius mori quam foe-dari”15, e un’altra torre venne invecetra sformata per creare l’abside dellachiesa16, che diverrà la Parrocchiale diLerma, anch’essa intitolata a San Gio -vanni Battista, come la pieve. In talmodo anche il castello di Lerma siaggiorna rapidamente sulle trasforma-zioni contemporanee dei modelli tradi-zionali, testimoniando la prontezza daparte degli Spinola di essere al passo coitempi e dimostrandone la volontà dicompetere, anche sul piano dell’esteticarappresentativa, con le altre potenze ita-liane, con le quali Lerma era in contattograzie alla propria posizione strategica ametà strada tra il mare e la pianuraPadana. Se è vero però che la culturalombarda permeò visibilmente l’areatortonese, fino a raggiungere NoviLigure e Gavi17 ho già spiegato comenel ciclo pittorico di San Giovanni alPiano sia predominante la componenteligure e provenzale, che a Castellettod’Orba si palesa anche nelle formeassunte dai polittici18.

Difatti, considerando la particolareposizione geografica di Lerma e trac-ciando sulla cartina le aree in cui si fapiù presente una determinata tradizioneartistica rispetto ad un’altra, si vedrà cheproprio in questa zona confluisconoquelle esperienze che si rifacevanorispettivamente all’area lombarda, aquella ligure, a quella più prettamen-te piemontese, fino anche a quellafrancese.

La storia dei tre paesi che ospitanotestimonianze dell’attività del Maestrodi Lerma, è fin dal medioevo legata afilo doppio con il succedersi delle fami-glie genovesi e rivela un’affinità cultu-rale con l’ambiente ligure e francese.

Come si può notare, la zona diLerma, posta in maniera strategicalungo le valli solcate dai fiumi e a pochichilometri dal confine ligure, si trovaesattamente al centro della convergenzadi diverse tradizioni culturali, in cuiquella lombarda-bosiliana pare arre-starsi poco più a Nord, arrivando a sfio-rare Novi Ligure e Gavi, ma senza

oltrepassarle19.Dal punto di vista più prettamente

artistico, la più antica e significativa ipo-tesi sul fatto che gli affreschi di Lerma edi Castelletto d’Orba, insieme alla primaindicazione del pittore che vi lavoròcome “Maestro di Lerma” fossero daascriversi alla cultura ligure, si deve allaSpantigati, la quale sottolinea come que-sta zona del Piemonte sia una terra diconfine tra le diverse influenze prove-nienti dal sud e dal nord est20. NoviLigure viene vista, così come Tortona,parimenti influenzata dagli apporti lom-bardi, ma anche e soprattutto liguri, iquali si rivelano anche in Ovada e nelterritorio circostante, in cui vengonocitate S. Innocenzo a Castelletto d’Orba,l’opera del Maestro di Lerma e la par-rocchiale del medesimo paese21. Le pit-ture in Sant’Innocenzo sono state piùvolte messe in relazione con la pitturaligure-nizzarda: già la Gabrielli, analiz-zando il polittico di Castelletto raffigu-rante Sant’Antonio da Padova, San -t’Innocenzo e Santa Caterina d’Ales -sandria, vi riconosceva la presenza dimodelli iconografici tipici dell’arte ligu-re del Quattrocento.

Una volta notati, anche per Ca -stelletto, dei legami stilistici raffrontabi-li con le influenze liguri piuttosto chelombarde, ci si ritrova ancora, come perLerma, su quella sottile linea di confineche divide il basso Piemonte in due zoneculturali differenti.

Rivela un legame culturale con laLiguria anche Silvano d’Orba, con il suoOratorio di San Rocco al Mulino, affre-scato dal Maestro di Lerma e probabil-mente voluto da Caterina Fieschi (lafutura Santa Caterina da Genova), laquale è a sua volta legata con il culto diSanta Limbania, a cui verrà dedicataun’edicola a Castelletto affrescata dallostesso maestro.

Ciò che viene troppo spesso trascura-to sono i possedimenti e le alleanze poli-tiche che accomunano Lerma, Castel -letto e Silvano22, a loro volta stretta-mente connesse con i territori dellaLiguria di ponente e con le zone in cuilavorò Giovanni Canavesio. Si ricorda,innanzitutto che, come già ho accennato,

in questo periodo era doge a Genova uncerto Raffaele Adorno feudatario – guar-da caso - di Silvano d’Orba e maritodella futura Santa Caterina Fieschi, non-ché mecenate presso la propria corte diquel Giacomo Durandi, il quale fu -guarda caso, ancora - maestro di Gio -vanni Canavesio dopo le sue primeespe rienze piemontesi23. Come se nonbastasse, gli Adorno, oltre ad esseremarchesi di Castelletto d’Orba e conti diSilvano d’Orba erano stati anche Contidi Tenda, signori di Pigna, di Lucéram,di Saorge, della Val d’Arroscia, diTaggia e di Sospel, tutti luoghi che sitrovano al centro della zona in cui lavo-rò il Canavesio (il quale tra questi lavo-rò sicuramente a Tenda, Pigna, Lucérame Taggia).

Infine, non è stato mai osservatocome anche i rapporti politici – nella fat-tispecie quelli degli Spinola – sianodecisamente orientati verso la Liguria,soprattutto occidentale; questo fatto,insieme alle derivazioni iconograficheanch’esse liguri delle Storie dellaPassione nella pieve di San Giovanni alPiano ed insieme a quelle architettoni-che già citate per quanto riguarda ilcastello, concorrono nel confermareulteriormente una possibile attribuzionedelle Storie della Passione all’ambientepittorico canavesiano e a spostare defi-nitivamente il centro gravitazionale-cul-turale di questa zona dalla Lom bar diaalla Liguria.

Luca Spinola era infatti già signoredi Pieve di Teco dal 148524, possedevaun territorio che comprendeva l’interaVal d’Arroscia - tra Albenga ed Imperia- e che si estendeva fino a Viozene; nelfrattempo aveva acquistato insieme aifratelli i feudi di Castellaro e Pompeiana(vicino a Taggia, Pigna, Triora, Albenga,Briga25); possedeva inoltre il territoriodi Cuneo ed aveva rapporti stretti coiSignori di Langueglia (a loro volta inamicizia con gli Adorno).

Alcune iscrizioni poste nella galleriadegli stemmi all’interno del castello diLerma, oggi non più presenti, ma con-servate manoscritte presso l’archivioSpinola al suo interno, citano:

gran di linee, come nella zona diLerma confluiscano tutte lediverse correnti che interessanol’intero Piemonte, escludendole manifestazioni artistichealpine che si trovano nei terri-tori prossimi alla Valle d’Aosta.

La cartina, che vedete allapag. a lato, non ha la pretesa divoler schematizzare in manieraprecisa una zona che, a causadelle sue molteplici vicissitudi-ni storiche, si sottrae all’inqua-dramento in una precisa cor-rente culturale. Tuttavia èinteressante vedere, almeno a

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LVCAS SPINVLA PATRITIVS GEN.LE ET

SPLENDIDO VIRO LVCÆ SPINVLÆ PATRITIO

OPTIMO GENVENSIS REIPVBLICÆ INGENIO

ET VIRTVTIBUS CVNCTIS OMNIBVS ANIMI

DOTIBVS ORNATISSIMO PLEBIS TEIJCI

TOTIVS VALLIS AROTIÆ NATVRALI DÑO

HÆRO LERMÆ HVMANISSIMO REGVLO

CASTELLARII POMPEIANÆ ET CVNEI DOMI-NO LAZARVS AMANTISSIMVS FRATER

ANNO DOMINI MDVXXVI

E poi ancora: ET MAGNANIMO VIRO IACOBO MARIA

SPINVLÆ SENATORI SAPIENTISS° GENVENSI

OMNIBVS REIPV.CA MVNERIBVS CVM MAXI-MO HONORE ET TOTIVS ORDINIS NOMINVM

GRÀ FVNCTO PLEBIS TEYCI TITIVUM VALLIS

AROTIÆ NATVRALI DÑO LERMÆ CASTELL..POMPIANÆ ET CVNEI HVMANISSIMO REG-VLO AC ETIAM ….. ET CASTISSIMÆ VXORI

LOISINÆ SPINVLA LVCAS ET LAZARVS FILII

PIISSIMI – A. D. M-D-L-X-VIII

I possedimenti della Val d’Arroscia,di Pieve di Teco, di Castellaro, diPompeiana e dell’intera Valle di Cuneosi riscontrano anche nei testamentimanoscritti della famiglia Spinola, inparticolare di Luca Spinola, del figlioGiacomo Maria Spinola e della mogliedi quest’ultimo26.

Il legame tra i possedimenti degliSpinola, a cui va aggiunto “Pornasco”27,l’odierna Pornassio28, collocati esatta-mente nella zona ligure in cui ilCanavesio espletò la maggior parte delleproprie commissioni, e quest’ultimo,non è mai stato messo in luce, ancheperché, purtroppo, non sono molte lenotizie documentarie che riescano a

proiettare una luce chiara sulla gestionedi queste terre da parte dei signori diLerma. Tuttavia, questa “coincidenza”costituisce un indizio forte di ipoteticipassaggi di persone, artisti e anche delcommittente29, che avrebbero potutoportare le esperienze culturali da Lermaal ponente ligure o viceversa. Questavicinanza territoriale, l’attivismo degliSpinola nella costruzione e nei restauri,la loro profonda devozione e la loromanifesta cultura artistica, li renderebbedei probabili committenti per le pitturedella Passione che ornano la navata diSan Giovanni al Piano e che si rifanno aquei modelli canavesiani che essi hannosicuramente avuto modo di vedere nellaLiguria di Ponente.

Una volta elencate rapidamente leterre degli Spinola, vediamo com’è arti-colata una breve biografia di GiovanniCanavesio: originario di Pinerolo, ènominato per la prima volta in un docu-mento del 1472 ad Albenga per la com-missione di un polittico, oggi scompar-so. Dal 1474 al 1475 è cappellano pres-so la cattedrale di Albenga, dove risultaattivo anche come miniatore. Nel 1482firma gli affreschi della cappella di SanBernardo a Pigna, rappresentanti gliEvangelisti e i Dottori della Chiesanella volta, le Storie della Passione diCristo e il Giudizio Finale sulle pareti.Nei documenti si ritrova menzione di unsuo affresco del 1497, oggi perduto,nella chiesa parrocchiale di Virle, vicinoa Pinerolo, raffigurante i ritratti deisignori del luogo: Brianzo diRomagnano e Eleonora di Piozzasco.Del 1491 è il polittico con la Vergine e i

santi proveniente daNotre Dame desFontaines a La Brigue,oggi conservato allaGalleria Sabauda diTorino. L’anno seguentefirma e data gli affreschinella medesima chiesa,che rappresentano laPassione di Cristo e ilGiudizio Finale. Al1499 risale il politticocon la Vergine e i santiper la parrocchiale diSan Dalmazzo a

Pornassio (IM), che nel XIX o XX seco-lo venne portata nella parrocchiale diVerderio Superiore, in provincia diLecco. Il Polittico di San Michele, nel-l’omonima chiesa a Pigna è firmato edatato 1500.

Facendo infatti un semplice schemache metta in evidenza la posizione deipossedimenti degli Spinola nel ponenteligure e i luoghi in cui è testimoniata lapresenza di Giovanni Canavesio nellastessa zona, si vedrà che la vicinanza èlampante.

L’ipotesi che vede le pitture diLerma debitrici ai modelli canavesiani,che spaziano da un forte realismo cari-caturale ad una compostezza più piena-mente rinascimentale, risulta tanto piùprobabile se si valuta che l’evoluzionepittorica di Giovanni Canavesio, spessosoprannominato “il pittore itinerante”per via dei suoi molteplici spostamentiattraverso il Piemonte, la Liguria e laFrancia, risulta rapida e spesso radicale,veloce nel carpire le più diverse influen-ze e nell’adattarcisi: dai suoi stretti rap-porti con la cultura figurativa transalpi-na, egli passa ad un’intesa profonda conl’arte incisoria di Israhel vanMeckenem, per poi aderire ai modi dellestampe fiamminghe e basso-renane;negli ultimi anni, ad esempio nel politti-co oggi conservato alla GalleriaSabauda, egli abbandona i tratti spigolo-si e fortemente espressivi dei primitempi per rinnovare il proprio linguag-gio su una nuova monumentalità, cherisente delle formule rinascimentali pro-pagatesi in Liguria a partire dal 1490,

A pag. 35, S. Cristoforo,facciata della Chiesa diS. Giovanni al Piano(Lerma)

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fino ad accostarsi ai modi del Foppa e diLudovico Brea, in un “sempre più con-vinto tentativo di assimilazione deimoduli rinascimentali”30.

La straordinaria mobilità e la nonconsueta capacità di rinnovare la propriapittura, vengono testimoniate anche daNatale, il quale riporta che egli si muo-vesse con disinvoltura attraverso leregioni del Piemonte meridionale e dellaLiguria occidentale, seguendo le princi-pali strade di comunicazione tra costa edentroterra: nel 1481 il Canavesio si tro-vava infatti nella chiesa di San Bar -tolomeo a Sambuco, in Valle Stura,l’anno dopo era nuovamente sul versan-te ligure a Pigna; nel 1487 era a Virle,nei dintorni di Pinerolo e nel 1492 si eraspostato a Briga, anno in cui lavoravaanche a Peillon, presso Nizza, dimo-strandosi sempre aperto alla culturainternazionale, disponibile ad assimilarele novità e allo stesso tempo radicato inuna definita zona di attività31.

Pensare che il Canavesio, intornoagli anni ’60-‘70 del XV secolo, potesseessere passato da queste valli mentrescendeva da Pinerolo per giungere sullacosta e che potesse essersi fermato aLerma per approntare in San Giovannial Piano una delle sue opere giovanili,cosa che spiegherebbe la minor precisio-ne e la minore grazia dell’affresco diSan Giovanni rispetto a quelli canave-siani più tardi, sarebbe molto suggesti-vo. Anche se la tentazione – che hannoavuto in molti – di cercare di riempire il“vuoto biografico” della vita delCanavesio è forte, non mi spingerò nellasupposizione che la pittura di Lerma siada ascrivere a quegli anni dal 1450 al1472 in cui non si hanno notizie delleopere del pittore di Pinerolo;l’inesistenza di opere giovanili ed ilmancato ritrovamento della pittura del1472 (la prima certa) non permettono diavere un’idea di come potesse essere,agli esordi, lo stile di un così versatileartista, rendendo pertanto vana e senzafondamento una qualsivoglia ipotesiattributiva.

Ciò che invece è certo è il fatto chel’opera di Lerma, come si è visto, èl’unica in questa zona a mostrare più di

un punto di contatto con lo stile e le ico-nografie adottate da GiovanniCanavesio, soprattutto nei cicli delleStorie della Passione presenti in NotreDame des Fontaines a La Brigue e inSan Bernardo a Pigna.

Non è da escludere che gli Spinolaavessero richiesto l’opera al Canavesiostesso, il quale però era impegnato altro-ve (si ricorda nell’arco di tempo in cuifurono realizzate le Storie dellaPassione di Lerma, fra il 1482 ed il1500, il Canavesio lavorò agli affreschidi Pigna, Saint-Etienne de Tinée, Nizza,Peillon, La Brigue, Lans Le Villard,Taggia, Virle, Triora e Pornassio, non-ché a diversi polittici) e decise, quindi,di affidare il lavoro ad un suo collabora-tore, che essendosi formato a strettocontatto con lui, ne sapesse riprodurre icaratteri essenziali anche a distanza ditempo, portando le innovazioni culturaliliguri anche in questa zona delMonferrato, che si confronta con nuovistili, con altre ideologie e diverse solu-zioni pittoriche, svelando di essereun’area che non merita di venire inseritain quella zona di “ristagno culturale” incui è stata fin troppe volte inserita, mache invece si dimostra curiosa e fertile,in accordo con lo spirito moderno ecolto dei suoi feudatari, rivolto all’inter -nazionalità, alla novità, alla magnificen-za e alla glorificazione delle proprieterre, anche sotto il punto di vista deco-rativo e artistico.

NOTE1 Intorno alla metà del secolo XII, in segui-

to ai diversi combattimenti tra i paesi delMonferrato contro Genova e Tortona, risultavaormai consolidato il predominio genovese sul -l’Oltregiogo; nel 1164 Federico Barbarossaconfermò al parente Guglielmo di Monferrato ifeudi di Castelletto, Rocca Rondinaria (si trattacon tutta probabilità di Lerma), Tagliolo eCasaleggio, non senza che questo venisseaccettato evitando resistenze: la famiglia deiDa Pobleto, signori di Lerma, tentò ripetutiattacchi contro il dominio del Marchese diMonferrato, non riuscendo tuttavia a scalzarlo.

2 E. PODESTÀ, Il monastero di Santa Mariadi Banno, in “Novinostra”, XXIV, 4, 1984, pp.90-91.

3 E. PODESTÀ, Lerma. Storia e vita dalleorigini alla fine del Settecento, Ovada, 1995,pp. 38-42.

4 Nel 1305 il Marchesato di Monferrato erarimasto senza eredi Aleramici, così si riunì unparlamento di Nobili e Rappresentanti deiComuni che decise di offrire il governo dellostato a Teodoro Paleologo, figlio dell’Im -peratore di Costantinopoli Andronico Paleo -logo e di Jolanda, sorella dell’ultimo degliAleramici. Sotto la loro dinastia il Marchesatodel Monferrato partecipò in prima linea a tuttele contese territoriali, rivelandosi una vera epropria forza politica, capace di intimorireanche grandi signori come i duchi di Milano ele potenze straniere. Quando nel 1533 si estin-se la dinastia dei Paleologi, spettò all’Im -peratore Carlo V decidere le sorti del marche-sato e, accantonate le pretese di Carlo II diSavoia e del Marchese di Saluzzo, il Mon -ferrato venne assegnato al Duca di Mantovaper lodo imperiale. Per approfondimenti siveda B. CILIENTO – A. GUERRINI (a cura di),Tesori del marchesato Paleologo, Alba, 2003.

5 A. LAGUZZI, Il castello di Lerma, in“Urbs, silva et flumen”, XII, 3-4- 1999, p. 178.

6 Tra questi si ricordano Pietro de Vidal,Rambaldo di Vaqueira, Elia Cariel, Falchetto diRoman, Peire de Mula, intorno al 1200. N.Gabrielli, Monumenti della pittura nella pro-vincia di Alessandria dal secolo X alla fine delsecolo XV, Alessandria, 1935, p. 9.

7 G. B. ROSSI, Ovada e dintorni. Guidaillustrata storica amministrativa commerciale,Roma, 1908, pp. 109-111.

8 G.B. ROSSI, Ovada e dintorni. Guida illu-strata storica amministrativa commerciale,Roma, 1908, pp. 109-111.

9 G. BORSARI, Il santuario della“Rocchetta” di Lerma e l’enigma dei gemelliSpinola, in “Novinostra”, XXXII, 4, 1992, pp.58-59.

10 Cit. in G. BORSARI, Il santuario della“Rocchetta” di Lerma e l’enigma dei gemelliSpinola, in “Novinostra”, XXXII, 4, 1992, pp.58-59. La seconda ipotesi viene a cadere, poi-ché nel 1492 il Monastero di Banno era ancoraattivo.

11 Vengono ingrandite e rimodernate trechiese: la chiesa delle Vigne a Genova, quelladell’Incoronata e quella di Cornigliano. M.Deza, Istoria della famiglia Spinola descrittadalla sua origine fino al secolo XVI, Piacenza,1694, p. 284.

12 Questa particolarità non è mai statamessa in relazione con il clima culturale lerme-se di fine Quattrocento, in cui gli influssi fran-cesi sono visibili anche in altri ambiti artistici,ma risulta invece molto importante se confron-tato con gli orientamenti politici degli Spinolae con lo stile franco-provenzale che emergespesso nelle Storie della Passione di SanGiovanni al Piano e in Sant’Innocenzo aCastelletto d’Orba. Si veda anche A. Laguzzi,Il castello di Lerma, in “Urbs, silva et flumen”,XII, 1999, 3-4, p. 179.

Nella cartina posta allapag. a lato, in grigio i POSSE-DIMENTI DEGLI SPINOLA(Lerma, Castel laro, Pompe -iana, Pieve di Teco, Pornassio,Val d’Arroscia, Valle di Cu -neo).

In nero TESTIMONIANZECA NA VESIANE (La Brigue, S.Etienne de Tinée, Pigna, Tag -gia, Arma di Taggia, Al benga,Tenda, Triora, San Dalmazzo,Peillon, Luceràm, Lans LeVillard).

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13 Il castello di Lerma mantenne la suafunzione difensiva anche nei secoli seguenti:tra gli episodi più significativi si ricordanoquello del 1528, anno in cui sostarono a Lermai capitani francesi Nontejeau e Villerche i quali,partiti da Alessandria con duemila fanti e cin-quanta cavalli, andavano alla conquista diGenova, per impadronirsi di Andrea Doria, ilquale aveva fino ad allora appoggiato laFrancia, passando in questi anni sotto i servigidella Spagna; nel 1575 il castello offrì rifugioad alcuni ribelli al re di Spagna che riuscironoa contrastare l’offensiva di don Emanuele de’Luna, governatore di Alessandria; l’episodiopiù rilevante della storia del borgo, passato allastoria come “La guerra di Lerma” avvennedurante la Guerra dei Trent’anni, quando unatrentina di lermesi si barricarono nel castellocon le loro donne, riuscendo a tener testa a mil-lecinquecento spagnoli guidati da Diegod’Aragona, nel corso di una spedizione effet-tuata contro gli Spinola dal marchese diCarcenas, Governatore di Milano. Per appro-fondimenti si vedano: G.B. ROSSI , Ovada edintorni. Guida illustrata storica amministrati-va commerciale, Roma, 1908, pp. 109-111; A.LAGUZZI, Il castello di Lerma, in “Urbs, silva etflumen”, XII, 3-4, 1999, p. 178-180; A.RINALDI – G. GIRARDENGO, Il castello diLerma, in “Novinostra”, XXX, 1, 1990, p. 70.

14 Le opere conservate all’interno delcastello sono per lo più riferibili a maestrigenovesi e fiamminghi tra i quali spiccanoRubens e Van Dyck, ma non mancano opere diMurrillo e realizzazioni di carattere emiliano.Purtroppo ad oggi il castello di Lerma non èaperto al pubblico - nemmeno in quei giorni incui svariate iniziative si accompagnanoall’aper tura dei castelli del Monferrato - poichéesso è ancora di proprietà del marchese AndreaSpinola, che risiede a Genova. Per la quantitàdi opere conservate all’interno e per

l’originalità che la struttura intera ha mantenu-to, sarebbe davvero auspicabile la possibilità direnderlo accessibile ai visitatori, anche perprovvedere al recupero di svariati pezzid’arredamento ed opere d’arte che necessite-rebbero restauri ed interventi conservativi e cheinvece vengono lasciati al degrado e all’incu-ria, spesso fino a marcire completamente.

Si veda anche A. LAGUZZI, Il castello diLerma, in “Urbs, silva et flumen”, XII, 3-4,1999, p. 180.

15 A. LAGUZZI, Il castello di Lerma, in“Urbs, silva et flumen”, XII, 3-4, 1999, p.180.

16 A. RINALDI – G. GIRARDENGO, Il castel-lo di Lerma, in “Novinostra”, XXX, 1, 1990,p. 70.

17 In questa zona la cultura lombarda per-viene soprattutto mediata attraverso le operedei Bosilio e di Gandolfino da Roreto. Si vedaad esempio la descrizione topografica offertada A. M. BRIZIO, La pittura in Piemonte dal-l’età romanica al Cinquecento, Torino, 1942.

18 Si veda in seguito.19 Questa cartina non ha la pretesa di voler

schematizzare in maniera precisa una zona che,a causa delle sue molteplici vicissitudini stori-che, si sottrae all’inquadramento in una precisacorrente culturale. Tuttavia è interessante vede-re, almeno a grandi linee, come nella zona diLerma confluiscano tutte le diverse correntiche interessano l’intero Piemonte, escludendole manifestazioni artistiche alpine che si trova-no nei territori prossimi alla Valle d’Aosta.

20 C. SPANTIGATI, Guida breve al patrimo-nio artistico delle province piemontesi.Strumenti per la didattica e la ricerca, Torino,1979, p. 17.

21 C. SPANTIGATI, Guida breve al patrimo-nio artistico delle province piemontesi.Strumenti per la didattica e la ricerca, Torino,1979, pp. 15-17.

22 Questi tre comu-ni rivelano delle strettealleanze fra loro, tantopiù notevoli se si pensa atutte le faide e le diver-genze che invece coin-volgevano i comunilimitrofi. Gli Spinola egli Adorno rimaserosempre in buoni rappor-ti, cosa che certamentefavoriva il passaggionelle loro terre di idee,novità, personaggi (tracui il Maestro di Lermaè un esempio) e transiti.

23 Si veda G. C.Sciolla, Le chantier deNotre-Dame des Fontai -nes et les ateliers itiné-rants de Baleison et

Canavesio, in B. Avena, Notre-Dame desFontai nes. La Chapelle Sixtine des AlpesMeridionales, Borgo San Dalmazzo, 2006, p.29.

24 Il Deza però afferma che il feudo diPompeiana era già compreso fra i feudi di pro-prietà di Battista Spinola, padre di Luca; quin-di sia Pompeiana, sia Pieve di Teco sono giànell’orbita gravitazionale degli Spinola a parti-re dagli anni Settanta del Quattrocento.

25 Come si spiegherà meglio in seguito,tutti questi luoghi rappresentano i poli in cui ilCanavesio lavorò alle proprie opere maggiori.

26 I testamenti sono conservati frammenta-riamente nell’archivio del castello di Lerma.

27 Come riportato dal Deza, op. cit. p.284.

28 Altro comune in cui è presente l’operadi Canavesio.

29 In questo caso da individuare in LucaSpinola.

30 G. ALGERI – A. De Floriani, La pitturain Liguria. Il Quattrocento, Genova, 1991, pp.340-348.

31 V. NATALE, Non solo Canavesio. Pitturalungo le Alpi Marittime alla fine delQuattrocento, in Primitivi piemontesi neimusei di Torino (a cura di G. Romano), Torino,1996, p. 51.

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1- San Giovanni, abside di S. Giovannial piano (Lerma)3 - San Giovanni, cappella di S. Rocco almulino (Silvano d’Orba)

2 - Madonna in trono con Bambino,Edicola di S. Limbania (Castelletto d’O.)4 - Madonna in trono con Bambino,Chie sa di S. Innocenzo (Castelletto d’O.)

5 - S. Antonio da Padova, cappella di S. Rocco al mulino (Silvano d’Orba).6 - S. Gerolamo, cappella di S. Rocco almulino (Silvano d’Orba).

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La città di Savona dedica, in questigiorni una mostra: Romantici languori -La pittura di Giuseppe Frascheri trapoesia e melodramma pensata e forte-mente voluta dalla D.ssa Eliana Mat -tiauda, direttrice dei Musei Civici e dalcuratore Bruno Barbero, alla figura diGiuseppe Frascheri (Savona 1809-Sestri Ponente 1886), pittoreesponente di punta del movi-mento romantico a Genova e inLiguria dove diresse per più diun decennio l’Ac ca demia Li gu -stica.

L’Accademia Urbense parte-cipa all’avvenimento in qualitàdi soggetto prestatore con settedisegni e bozzetti provenientidalla “Quadreria Proto”: Ri -tratto di ufficiale e consorte(matita su carta cm.20 x 14; Losbarco di Cristo foro Colombo aSan Salvador (matita su cartacm 14 x 12,5); Colombo al suoritorno in America trovadistrutta la fortezza di legno(Matita su carta cm 18 x 13);Mercurio e Diana (matita sucarta cm 22,5 x 30); Amanti(matita su carta cm 17,5 x 19):Giovane donna in carcere(matita su carta cm 19 x 26);Studio per la partenza di Pia deTolomei (matita su carta cm18,5 x 23,5).

Giuseppe Frascheri, unadelle presenze più rilevantidell´Ottocento in Liguria, eranato a Savona nel dicembre1809. La recente ricorrenza del

bicentenario ha offerto l’occasione perapprofondimenti critici e studi confluitioggi nella mostra che con dipinti dellaPina coteca Civica, integrati da opereprestate da istituzioni pubbliche e dacollezioni private, intende documentarediversi aspetti della produzione dell’arti-sta, in particolare le tematiche tratte dalmondo letterario e musicale.

In un clima culturale fortemente ca -rat terizzato dall’intreccio tra musica,let teratura, arte figurativa, Frascheri,analogamente a molta pittura coeva, tra-sferisce sulla tela tragedie e melodram-mi con sapiente regia compositiva. Nel -le vicende narrate dominano spesso lapassione amorosa, la gelosia, la congiu-ra e la visione della donna come esseresentimentale, emotivo e fragile. Langui -de protagoniste di molti suoi dipinti,ripetuti soggetti di poemi e opere liricheper buona parte del XIX secolo,Francesca da Rimini e Pia de’ Tolomei

diventano le eroine della passione e del-l’amore eterno.

Riportare oggi l’attenzione su questoillustre pittore vuole essere di stimoloper riflettere sia sulla storia e sulla cul-tura di Savona sia su di un’epoca deter-minante per i cambiamenti politici,sociali e culturali collegati alla costru-zione della nuova identità nazionale eall’Unità d’Italia, che trovano nella pit-tura, nella musica e nel teatro gli idealimezzi di espressione.

Il percorso dell’artista, trop po spessoidentificato nell’immaginario collettivocome il pittore di un solo quadro, il cele-bratissimo Dante e Virgilio incontranole anime di Paolo e Francesca (espostocon immediato successo nel 1846 allamostra dell’Accademia Ligu stica; vedifoto a lato), viene presentato a partire daopere giovanili quali il Ritratto di giova-ne donna con tortora, datato Savona1832, fino agli esempi di romanticismo

storico, come l’acquerello conAmedeo di Savoia che rinunciaal trono.

Inutile dire che la sezioneprincipale è la terza che poneinfatti l’accento sui soggetti let -terari e danteschi: a una pa reteinteramente dedicata alle diver-se versioni di Paolo e Francescaappaiono a Dante e Virgilio (quitrasferite da collezioni pubbli-che e private) seguono la grandetela con Paolo e Francesca sco-perti da Gianciotto (vedicopertina del catalogo) dellaPina co teca savonese, espostaall’Acca demia Ligustica nel1836, e alcuni dipinti che illu-strano le tragiche vicende di Piade’ Tolomei.

La storia dell’eroina, rappre-sentata da Frascheri in diversimomenti della sua produzione, èdocumentata dalla Par tenza diPia dalla casa paterna, della Pina -coteca, e dalla tela con Pia de’Tolomei scacciata dal marito:“l’empia cingete d’aspre ritorte/ alla Maremma sia trascina-ta…” come cantato nell’operadi Gaetano Donizetti (Pia de’ To -lo mei)

Romantici languoriLa pittura di Giuseppe Frascheri in mostra a Savona

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Vegetazione: i faggi dei nostri montidi Renzo Incaminato

Per incontrare il faggio (Fagussylvatica) dobbiamo salire le nostre valliOrba e Stura, andare in alto e raggiunge-re quasi la sommità dei monti. Quiforma boschi che si alternano al casta-gneto, al bosco di rovere (Quercus pe -traea) e più in alto a praterie.

L’aspetto attuale delle nostre faggeteè principalmente quello di popolamenticedui, quasi del tutto abbandonati. Ilbosco era appunto governato nellaforma a ceduo (taglio periodico conricaccio di nuovi fusti, detti polloni,dalla ceppaia; qua e là si rilascia qualchealbero porta seme e che protegge con lasua ombra il terreno). Poco praticata erala regolazione a fustaia (alberi di altofusto formatisi da un singolo pollone diceppaia, rilasciato dopo il taglio deirimanenti nelle annate successive).

Nel ceduo di faggeta abbandonato,lentamente negli anni, si verifica unaconversione spontanea verso la situazio-ne di alto fusto: un singolo pollone cre-sce a discapito di altri che seccano emarciscono.

Per l’Ecologia Vegetale e per il dina-mismo della Vegetazione Naturale lafaggeta, con alberi di alto fusto nati daseme, costituisce il “bosco climax”ovvero la fase finale dell’evoluzionevegetazionale, in equilibrio con il climae con il suolo dei nostri monti. Qui danoi, come su tutto l’Appennino, la fag-geta rappresenta il limite superiorepotenziale della Vegetazione Forestale.

Possiamo ancora trovare qualchetratto di bosco “naturale” con maestosifaggi in alcuni luoghi del versante norddei monti: Beigua, Bric della Biscia (inalta Val d’Orba, poco sopra la località«il Dan» lungo il rio Rostiolo), BricRusca (a nord del Passo del Faiallo, inlocalità «Foilunghi» nei pressi diAcquabianca), Orditano e Poggio (inalta Valle Stura ad est di Masone, maanche al di là del loro spartiacque cioè inAlta Val Gorzente), Costa Lavezzara(subito a est di Capanne di Marcarolo).

Un bosco da favola

Chi ha la fortuna di entrare in unafaggeta di alto fusto è costretto a tornarebambino...

Tronchi grandiosi, diritti e colonnari,con corteccia liscia di un grigio chiarofantastico… nella loro parte alta svilup-pano ramificazioni fitte e ascendenti cheformano una chioma arrotondata efolta...

Le gemme svernanti, portate dai sot-tili rametti giovani, sono lunghe edappuntite, germogliano con grandevigore in primavera...

C’è molta ombra in questo bosco, inalcuni punti c’è oscurità in pieno giorno,si fa buio presto la sera… il poderosoapparato fogliare copre tutto lo spazioverso il Sole.

Tanta frescura e umidità nell’aria…sovente al mattino c’è un velo di neb-bia… le foglie traspirano molto vaporeacqueo.

L’humus sotto la lettiera di fogliemorte emana un odore gradevole e pene-trante…espressione della fertilità egrande profumo del bosco!

Radici robuste, molto fascicolate eabbastanza superficiali rivelano, neitratti scoperti, la possenza con cui gher-miscono il terreno e se lo tengono benstretto...

Il grandioso spettacolo dei funghi…fra questi il più presente, come frequen-za ed abbondanza, è l’ovolo malefico(Amanita muscaria), bellissimo mavelenoso, ha una cappella rosso vivace

con verruche bianche persistenti su diessa, alla fuoriuscita delle spore il colo-re sbiadisce e diventa arancione. Lamuscaria è il fungo dei cartoni animatidi Walt Disney, ha sempre colpito la fan-tasia di pittori e scrittori per la vivacitàdei colori e l’effetto decorativo chemostra all’interno del bosco.

La colorazione delle foglie, nell’arcodell’anno, è molto suggestiva: in prima-vera sono di un bel verde pallido, inestate diventano verde scuro e in autun-no c’è una esplosione incantevole dicolori dal giallo al bronzo-dorato edanche al rossastro…

Non è raro incontrare, al mattino pre-sto o nelle giornate piovose dell’au -tunno, la salamandra nera con macchiegiallo vive… è un anfibio velenoso mainnocuo per l’uomo, in passato venivaingiustamente perseguitata per stupidecredenze e superstizioni… ha sempreaffascinato gli umani ma purtroppo insenso molto negativo... i colori aggressi-vi e la velenosità di questo animale sonoadattamenti di difesa dai suoi predatori;la sua presenza, come quella di tutti gliAnfibi, è indice di buono stato di equili-brio dell’ecosistema.

Anche il rospo è presente…Ci sono molti Uccelli, si trovano a

proprio agio in questo bosco e spesso lisentiamo cinguettare e gorgogliare…

Mancano purtroppo le fate, glignomi e le streghe… però funghi comela muscaria, il “peven” o agarico dellenebbie (Clitocybe nebularis) e lacolombina maggiore (Russula cyano-xantha) ci appaiono in qualche caso conla curiosa formazione detta “ cerchiodelle streghe”... (è l’espansione centrifu-ga del micelio fungino sotterraneo che sisviluppa a raggera partendo da unnucleo centrale, secondo l’alternanza difasi di attività e di quiescenza...).

La faggeta è un bosco misterioso, maquieto che ci comunica sensazioni diarmonia e tanta naturalità.

Storia del Faggio

Il faggio è una specie di antica origi-ne terziaria, nel Pliocene (da 5 a 1,8milioni di anni fa), epoca in cui il climain Europa era di tipo oceanico, caratte-

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rizzato da un’umidità atmosferi-ca elevata con piogge abbondan-ti, distribuite lungo tutto l’anno,e anche da una poco marcataescursione termica giornaliera.

La foglia ha una cuticola(pellicola cerosa che proteggel’epidermide fo gliare dall’am-biente esterno) molto sottile chefavorisce la TRASPIRAZIONE delvapore acqueo.

Le foglie in alto, quelle piùesposte alla luce del Sole, hannoun doppio strato di mesofillo apalizzata con numerosissimiCLOROPLASTI verdi, quin di espli-cano una intensa attività fotosin-tetica (tanta CO2 e H2O assorbi-te per produrre GLUCOSIO e tantoO2 , cioè tanto sviluppo di ossigeno!).

È un albero esigente di acqua che facircolare bene dalla terra all’aria neisuoi vasi legnosi. Vuole un ambienteumido e fresco, il suo sottobosco deveavere tanto humus, se lo protegge conl’ombra delle sue fronde e con la suapopolazione di bosco fitto, quindi abba-stanza resistente all’azione del vento. Lesue foglie morte cadute forniscono ilmateriale di partenza per creare l’humuscon la preziosa attività dei BIODECOMPO-SITORI.

Dopo l’ultima glaciazione, terminatacirca nel 12.000 a.C., il faggio è ritorna-to qui da noi intorno a 5.000 anni faricolonizzando le terre a quote di altezzasuperiore a quella del querceto.

È venuto nell’ambiente a lui piùfavorevole: in alto, nella nostra fascia divegetazione montana e sui versanti fre-sco umidi rivolti generalmente a nord[la piovosità media annuale nei nostrimonti è abbastanza alta, 1800-2000 mmdi precipitazioni; poi per l’effetto oro-grafico dei monti Liguri (evaporazionedell’acqua del mare, salita del vaporesubito in alto, raffreddamento e conden-sazione) sono garantite umidità e pioggeanche in estate].

Si adatta a vari tipi di suolo, ma quipreferisce i terreni sfatticci ed evolutiderivanti dall’erosione dei Calcescisti edelle Prasiniti.

La ricchezza d’acqua delle valli

Stura e Orba mantiene l’umidità e unatemperatura estiva non troppo elevata,permettendo così al faggio di scendere aquote assai basse, fino a 600 m circa.

Ancora oggi possiamo trovare qual-che esemplare a quota di 350-400 m inposti, qui i toponimi ci aiutano, come lazona del Faiello (sponda destra del rioGranozza, vicinissima a Molare e aOvada) e in località «Pian del Foco» o«Pian del Fò» presso Olbicella, dove siproduceva, con il fuoco lento delle car-bonaie, il carbone di legna.

I nostri antenati hanno ridotto note-volmente la superficie delle faggete perricavarne pascoli e per introdurre la red-ditizia castagnicoltura, si tagliarono ifaggi e le querce per far posto ai casta-gni. Si iniziò nel Medio Evo e il casta-gneto, oltre all’abbondanza dei suoifrutti, im portante fonte alimentare, per-metteva un governo a ceduo con turno ditagli più breve della faggeta e del quer-ceto. Poi a partire dal XIV secolo si pra-ticò anche la coltura del castagno dafrutto, sempre tagliando faggi. Tuttaviail nostro albero mantenne sempre uncerto interesse e valore per l’alto tenorecalorifico del suo carbone di legna.Quando nelle fucine si bruciava il car-bone di faggio si sprigionava, con buonrendimento, l’elevata quantità di calorenecessaria a raggiungere le alte tempera-ture di fusione dei metalli.

Né va dimenticato che il suo legnoaveva anche altri preziosi usi e veniva

utilizzato per la costruzione dellenavi.

Ecosistema bosco di faggio.

La faggeta è sostanzialmenteun bosco puro. Poche sono le spe-cie e gli individui degli altri alberipresenti, rari sono gli arbusti, pochele specie delle piante erbacee.Occorre difatti tener presente che èun bosco che evidenzia l’estremamodificazione e adattabilità inaltitudine della Vege ta zioneForestale caducifoglia, e che hasubito i massimi danni (e sterminio)a causa delle glaciazioni… quindi siar ran gia così.

Nella lettiera del sottoboscoc’è però un pullulare di vita invisi-

bile: la microflora e la microfauna.Batteri, Funghi e Protozoi partendodalla BIODECOMPOSIZIONE fo gliare miglio-rano e preparano il terreno. Intervengonopoi i Nematodi, gli Anellidi e gliInsetti... c’è una cooperazione fra moltespecie di viventi, si istaurano anche cate-ne trofiche tra essi… il risultato è la crea-zione di humus fertile necessario a tuttala vita del bosco.

Nella lettiera e nel terreno di moltefaggete si è calcolato che su un’area di100 m2 sono presenti decine e decine dispecie diverse! Questa sbalorditiva ric-chezza di specie diverse, unita ai ruoliecologici che esse compiono nel terreno,comporta dunque un’importante BIODI-VERSITÀ. Inoltre c’è la meraviglia checerte specie possono raggiungere milio-ni di individui in un solo m2 e per certifilamenti fungini la lunghezza è di 1-2km in un solo cm3 di suolo !

Molte sono le specie di funghi sim-bionti (Boleti, Amanite, Russule, ecc…)che formano con le radici del faggio leMICORRIZE: il fungo permette alla radicedi assorbire bene l’acqua e i Sali minera-li (linfa grezza), la radice dà al fungo iprodotti della fotosintesi (linfa elaborata).

Qua e là compaiono nel sottobosco icuscinetti del muschio politrico e lefelci di antichissima origine, presentivicino ai rigagnoli d’acqua. Possiamonotare anche la bianca cardamine,l’asperula dalle foglie verticillate e

Nella pag a lato, da POLUNIN

caratteristiche del faggio:rametto con le gemme appunti-te e le foglie, fiore femminile 1,fiore maschile 3, fruttescenzacon faggiola 2.

a lato, il maestoso faggio a

Montenotte Superioresull’Alta Via dei MontiLiguri (altezza 35 mcirca; diametro 3,5 m),nei pressi dei luoghi dellabattaglia napoleonica(1796) alla quale ha assistito da piccolo

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1 la faggeta autunnale a Pian Paludo; 2fustaia in inverno nei pressi di RoccaMarasca a Vara Superiore; 3 Amanitamuscaria (foto di Bruno Bacoccoli: aLui è dedicato il Punto Informativo delParco del Beigua in località Prariondo);4 la possenza delle radici fascicolate delfaggio; 5 colori autunnali lungo il RioMolino di Costa Lavezzara (Capanne diMarcarolo); 6 Splendore dei colori neipressi del Bric della Biscia, Rio Rostioloin Alta Val d’Orba; 7 il fungo saprofitaorecchione (Pleurotus ostreatus) suesemplare morto nel bosco dell’ Adelasiain Alta Val Bormida; 8 la splendida let-tiera della faggeta del Monte Beigua; 9la faggeta autunnale, governata a ceduo,con la specie compagna agrifolio, ver-sante nord del Beigua; 10 la fitta coper-tura fogliare in estate.

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prima della fogliazione le specie verna-li: primule e anemoni (Anemonenemorosa e A. hepatica), il campanel-lino e la scilla. Chi è fortunato puòincontrare, a inizio estate, l’orchideanido d’uccello (Neottia nidus avis)priva di clorofilla (é specie saprofita,vive a spese delle sostanze in decom-posizione nella lettiera), il nome derivadalle sue fibre radicali a gomitolo comeun nido.

Altre piante erbacee nei tratti conpoca lettiera e in prossimità delle prateriesono il fisospermo (Physo spermum cor-nubiense) e l’erba lucciola (Luzula sp.).La presenza degli arbusti è limitata princi-palmente al mirtillo (Vaccinium myrtillus)e al fior di stecco (Daphne mezereum).

Tra gli alberi troviamo l’agrifoglio(Ilex aquifolium) che è specie compagnadel faggio dai tempi remoti del Terziario,l’acero di monte (Acer pseudoplatanus)e il sorbo degli uccellatori (Sorbusaucuparia) e anche il velenoso maggio-ciondolo (Laburnum anagyroides).

Negli alti pascoli abbandonati si puòosservare la propagazione naturale perseme del faggio, che assume formacespugliosa tra la sua vegetazione pionie-ra: il brugo (Calluna vulgaris), il noccio-lo selvatico (Corylus avellana), il sorbomontano (Sorbus aria) e più in alto labrughiera a mirtilli e l’erica (Eri ca car-nea). Questa riconquista si osserva benenelle praterie situate sotto la strada Passodel Turchino – Passo del Faiallo, scen-dendo un po’ nel versante padano.

Mentre risulta complicato stabilire econstatare le caratteristiche di un bosco“naturale” perchè «naturalezza» signifi-ca «mancanza di antropizzazione», èancora più difficile parlare di “faunanaturale” proprio per l’influenza degliumani.

La presenza di molte specie diInsetti, degli Anfibi ben rappresentatidalla salamandra e dal rospo, delletante specie di Uccelli che nidificano etrovano cibo tra le chiome del faggio, èindice di naturalità del bosco…

Ma l’intervento degli Ungulati sel-vatici (!?), come il capriolo e il porca-stro (ma quale cinghiale!?), introdottialla grande dall’Homo cacciatores (ma

quale reintroduzione !?), è causa di fortesquilibrio nel sistema bosco.

Il capriolo, erbivoro dai grandi appe-titi, divora tutto ciò che è foglia, germo-glio o rametto tenero: muschio politrico,felci (!), plantule di faggio, anche fogliedi agrifoglio (!); e tutto questo è compiu-to da pochi individui... la fame è la fame!(altro che danni solo quando il capriolo èin soprannumero!). Quando spariscono leplantule nate da seme la compatta fagge-ta non si rinnova ... e le condizioni nonsono più “naturali”.

Tutti possiamo notare le araturedevastanti che pochi porcastri effettua-no nella preziosa lettiera... con l’azionedel loro grugno per ricercare insetti efaggiole, compromettono la vitalità e lafertilità del sottobosco.

Ci sono però i paladini difensoridella natura: prelievo, censimenti, cac-cia di selezione, piani di abbattimento,bracconaggio, ripopolamenti… e il cicloricomincia.

Chi spera poi nell’arrivo del formi-dabile lupo come predatore degli ungu-lati per regolare l’ecosistema... entrascientificamente nelle favole!

Conside rando le malattie naturaliche ogni tanto si instaurano nella vita diogni essere, constatiamo la discretasalute delle nostre faggete, ma anche quic’è l’influenza antropica.

Il faggio è un albero che ha pocaresistenza all’inqui namento ambientale;il suo fogliame è tenero e delicato. Lefoglie con cuticola sottile sono moltosensibili al fenomeno delle piogge acidee all’inqui namento dell’aria, inoltre sof-frono le gelate tardive.

Se si verificano estati calde, siccitosee con vento prolungato c’è sofferenzadegli alberi e loro indebolimento (estati

1990, 2003, agosto 2009) con disturbialla circolazione della linfa e quindifavorire qualche attacco di insetti fito-fagi.

Alcuni funghi parassiti e altrimicrorganismi patogeni possono entra-re nei vasi linfatici, penetrando da feritefogliari di bruchi di Lepidotteri, o perpunture di Nematodi, o anche per vienaturali. Si verificano così malattievascolari con forte squilibrio idrico e ilnostro albero, che deve fare circolarebene molta acqua, a volte soccombe.

***Le faggete sono ritenute un ecosiste-

ma bosco di grande interesse conserva-zionistico, riconosciute e tutelatedall’Unione Europea con la direttiva92/43/CEE “Habitat”.

I Piani di Fore stazione Regionale eTerritoriale hanno successivamente re -ce pito le Direttive Comunitarie e stabili-to con opportuni regolamenti il ruolodel le faggete nella conservazione delleBiodiversità. È prevista, tra l’altro, laprogrammazione fo re stale del passaggiodelle faggete governate a ceduo allasituazione di alto fusto, proprio per rea-lizzare un ambiente favorevole allo svi-luppo delle comunità viventi caratteristi-che e per ricostruire questo bosco solen-ne e armonioso.

Bibliografia

«Natura 2000» e Foreste: sfide e opportunità –Guida interpretativa, 2003, Comunità Euro -pea..BULLINI L., PIGNATTI S., VIRZO DE SANTO A.,Ecologia Generale, UTET Torino, 1998.KÜSTER H., Storia dei boschi. Dalle origini aoggi, Torino, Bollati Boringhieri, 2009.MARTINI E., La vegetazione in provincia diGenova, 1996, Prov di Genova.MONDINO G.P., Flora e vegetazione delPiemonte, Savigliano, L’artistica, 2007.PIGNATTI S., Ecologia del paesaggio, Torino,UTET, 1994.POGGIO P.P., Il pasaggio ovadese attraverso isecoli, in «URBS», 1993, n. 1.POLUNIN O., Guida agli alberi e arbusti d’Eu -ropa, Bologna, Zanichelli, 1986.

A lato, spettacolare faggiosecolare con tre grossi pollonisituato sul sentiero del MonteColma poco sotto la vetta.

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Il pittore Agostino Bombelli e il politticodell’ Annunciazione di Ovadadi Sergio Arditi

Il contratto del 3 ottobre 1539, per ilpolittico ordinato da Giacomo Lanza -vec chia, abitante ad Alessandria, nelquartiere di Gamondio in rugata Vil -lanove, e destinato alla cappella diSant’Antonio nella chiesa alessandrinadi San Francesco1, poi saldato il 9 giu-gno 1541, impose al Bombelli di esegui-re “una anchona intaglata dora t ta &depincta secondo uno designo per mifatto in carta con li modi & forme infra-scripte / Et primo detta anchona fatta delegname di arbera qual sia secho & bo -no intagliata secondo il supra dettodesegno. larga parmi octo e alta parmidodexe / Item li intagli cornixamenticolone frexi cornixoni vano doraty dioro fino & in alchuni lochi dova andaraazuro che sia fino”. Secondo le modalitàprescritte ed at tuate, come emerge nellaseconda par te dall’atto, il pittore si eraimpe gnato di costruire un polittico inlegno di pioppo ben intagliato, largopalmi 8 e alto palmi 122 . Gli intagli, lecornici, le colonne ed i fregi dei corni-cioni furono dorati in oro fino e le altreparti della cornice vennero pit turate incolore azzurro e tutto il polittico fudipinto con fini colori ad olio. Nellacampitura centrale dipinse sant’Antoniocon san Paolo Primo Eremita, inoltre sanFrancesco mentre riceveva le stigmateed il resto dello sfondo fu raffiguratocon prospettive di alberi, montagne,selve e cielo. Sotto i detti santi, sul latodestro venne effigiato il committenteGiacomo Lan za vecchia e sul lato sini-stro la defunta consorte Margherita,mentre la parte sottostante venne occu-pata da una predella raffigurante i miste-ri della vita di sant’Antonio, il veroprotagonista della pala ales sandrina, consullo sfondo la Vergine Maria, il tuttosorretto da una zocco latura in verde por-fido.

Questo documentato lavoro, sfor -tunatamente non pervenutoci, rie vocaun altro complesso ligneo giunto sino anoi; si tratta del polittico dell’Annun -ciazione tra i santi Giovanni Battista eSebastiano, posto nell’ora torio dellaSan tis si ma Annunziata ad Ovada (foto1).

Il complesso ligneo presenta sulla

base una scritta che ne esponeesplicitamente l’appartenenza alla Con -fraternita ovadese sin dall’origine, esistemato con ampio risalto sull’altaremaggiore di un oratorio poi riedificatonel 1770 dagli stessi confratelli. Ulti -mamente questo polittico è stato asse -gnato al pittore Ago stino Bombelli diVa lenza Po (notizie dal 1510 al 1545) edeseguito nel corso del quinto decenniodel XVI secolo, smentendo l’iscrizioneriportata sul basamento ligneo che conevidente errore ne indicava l’esecuzioneal XIV secolo: “ANTICA ANCONA CHE NEL

XIV SECOLO ADORNAVA L’ALTARE

MAGGIORE DEL L’ANTICO ORATORIO SULLE

DI CUI MURA VENNE DALLA PIETÀ DE CON -FRATELLI RIEDIFICATO L’ANNO MDCCLXX”.Il riconoscimento del dipinto ai modi diAgostino Bombelli si deve a GianlucaZanelli, assegnazione in seguito con -fermata da Daniele Sanguineti3.

Lo Zanelli, già segnalava la possibi-le appartenenza del polittico ai modi delBombelli4 e successivamente ne haattribuito chiaramente l’ese cu zione pit-torica al maestro valenzano. La certezzagli è sorta dal confronto con l’immaginedi San Giovanni Evan gelista a Patmos,tavola di ubicazione attualmente scono-sciuta e della quale ha reperitoun’immagine fotografica, opera databileai primi anni Quaranta.5

In precedenza l’attribuzione delpolittico dell’Annunciazione oscillava

tra i vari pittori nizzardi della famigliaBrea, operanti in Liguria tra la fine delQuattrocento e l’inizio del Cinquecento:prima Ludovico, di cui si scorgevanocontatti con la tarda produzione, poi ilnipote Francesco ed in seguito si è fattoil nome di Antonio, fratello di Ludo -vico6.

Pur essendo ormai chiara la paternitàdel Bombelli, il legame difrequentazione di Agostino con Ludo -vico Brea, che certamente influì sullapersonalità del valenzano, è evidente indue atti rogati in Genova molti anniprima dell’esecuzione del polittico stes-so. Nel primo atto del 21 febbraio 1516,Agostino Bom belli è citato nell’incaricoche Bernardo de Franchi fece aLudovico Brea per la realizzazione diuna pala da porre nella chiesa francesca-na della Santissima Annunziata diGenova, oggi ritenuta essere quella raf-figurante Sant’Anna con la Vergine,Gesù Bambino e i santi Giuseppe eGioachino, presente in una collezioneprivata. Il primo aprile dello stesso annoil Bombelli viene nuovamente citatocome garante nell’atto di commissione,ancora al Brea, di una paladell’Annunciazione con santa MariaMaddalena e san Nicola da Tolentino,da farsi per la chiesa di San Giovanni diPrè, opera commissionata dai confratellidel Corpo di Cristo e di Nostra Donna7.

Il polittico ovadese raffigura nellatavola centrale la scena dell’Annun -ciazione, spartita ai lati dalle tavole diSan Giovanni Battista e di San Seba -stiano. Nella parte sovrastante le tavoledei due santi, sono raffigurati a mezzobusto San Giacomo e Santa MariaMaddalena, delimitati lateralmente dadue volute simmetriche che raccordano,a modo di cornice, i lati verticali con latrabeazione orizzontale alla sommità,formando un semiregistro superiore.

L’impianto architettonico è di mo -dello rinascimentale e collocato su unalto zoccolo che sorregge quattro lesenesu cui si appoggiano due trabeazioni ret-tilinee, interrotte al centro dove si elevaa semicerchio la parte superiore dell’An -nunciazione. La scena compare stipatain una stanza in prospettiva diagonale,

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foto 1 – L’An -nunciazione tra isan ti Giovanni Bat -tista e Sebastiano,(particolare). Po lit -tico ligneo, Ova da,oratorio della San -tissima An nun ziata

foto 2 - L’An -nunciazione tra isanti Giovanni Bat -tista e Sebastiano.Polittico ligneo, Ova -da, oratorio dellaSan tissima An nun -ziata

foto 3 – SantaLucia con donatore,tra le sante Chiara eBarbara. Politticoligneo, Alessandria,chiesa di Santa Mariadel Carmine

foto 4 – Com -pianto sul Cristomorto con i SantiGiovanni Battista eNicola da Tolen -tino. Tavola, Geno -va, in depositopresso il MuseoDiocesano

foto 5 – San -t’Agata tra i SantiRocco e Cristoforo.Affresco su pila-stro, Sale, chiesa diSanta Maria

foto 6 - Gesùnell’orto del Getze -mani. Tavola,Cam po Ligure, col-lezione privata

foto 7 - San Bernardo e sanFrancesco stigmatizzato. Tavola, Vol -taggio, Pina coteca dei Cap puccini

foto 8 - Gesùnell’orto del Get -ze mani. Tavola,Cam po Ligure,col lezione privata(particolare)

foto 9 - SanBernardo e sanFrancesco stigma-tizzato. Tavola,Voltaggio, Pina-coteca dei Cappuc-cini (particolare)

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delineata dalla parete sulla sinistramunita di un’apertura, dalla scura paretedi fondo con letto a baldacchino, in altoda una bifora attraverso cui traspare uncielo crepuscolare e superiormente lastanza è coperta da una falda di soffittoa cassettoni. In primo piano è la Verginein preghiera su di un inginocchiatoiocon un libro aperto ed illuminata nelvolto da una raggiera dorata, effusa dallacolomba dello Spirito Santo che staentrando dalla bifora. Dall’apertura disinistra emerge l’arcangelo Gabriele,posto di fronte a Maria, nell’atto dibenedirla e di porgerle il giglio dellapurezza (foto 2). Nelle due tavole latera-li i santi assistono alla scena convergen-do su di essa lo sguardo; tuttavia ne sonoposti all’esterno, sullo sfondo dello stes-so paesaggio. Alla sinistra la figura delBattista sorregge l’agnello e trattiene lacroce astile col braccio serrato mentreindica l’avveni mento. Alla destra, SanSebastiano è legato all’albero con ilcorpo flesso in avanti e trafitto dallefrecce. Supe riormente, in un intensocielo azzurro, sono sui lati San Giacomoe Santa Maria Maddalena che scrutanodevo tamente, più in basso, la colombadello Spirito Santo.

La carpenteria lignea del com plesso(cm 180 x 173) è stata accostata daSimone Baiocco alla struttura delle cor-nici di alcuni polittici di Gandolfino daRoreto presenti nell’alessandrino. Ilriferimento è chiaramente rivolto a quel-lo più articolato dell’Incoronazionedella Vergine, pervenuto alla Pinaco tecaCivica di Alessandria per acquisto nel1926 dalla parrocchiale di Rivarone, maeseguito per la chiesa francescana diBassignana8. Un impianto del tutto ana-logo a quello ovadese, anche se più tar -do, perdura in area alessandrina nellaCon fraternita di Sant’Antonio a Monte -castello, firmato da Giovanni BattistaPozzo di Vigevano e datato 1576. Il po -littico di Montecastello raffigura laVergine Assunta tra i santi Antonio Aba -te e Sebastiano ed in alto, entro duevolute, è spartita ai lati la scena dell’An -nunciazione9. Ci troviamo di fron te adun lavoro ligneo assai semplificato, madi analoga tradizione, forma e propor-

zioni a quello ovadese (cm 185 x 200),pur accusando alcune perdite tra cuiquelle della base e della lesena sul latodestro. Conserva fitte e raffinate decora-zioni con motivi classici dipinti: sullefasce delle lesene con candelabre, sulletrabeazioni orizzontali con cherubini eda delfini a girali, simboleggianti ilCristo.

Sulla cornice del polittico dell’An -nunciazione di Ovada non com pa re nes-sun elemento decorativo di questo tipo,ciò potrebbe essere imputabile allacompleta ridipintura e doratura dellecornici lignee operata nel 1770. Inoltreil basamento a predella poteva esserestato ornato dal Bombelli con scene edecorazioni, elementi che non doveva-no essere inconsueti per il pittore doveoggi compare la scritta settecentesca,come è annotato nel contratto per ilperso polittico della chiesa di San Fran -cesco in Alessandria. Si colgono, nelcontratto, elementi di affinità inerentialla descrizione del palinsesto, indican-do per filo e per segno come dovevarealizzarsi in legno di pioppo, prassicorrente per il Bombelli che praticavapure l’intaglio ligneo, come probabil-mente avvenne per il polittico nell’ora-torio della Santissima Annunziata.Sarebbe auspi cabile che le ipotizzatedecorazioni e scene sulla predella, sipossano verificare attraverso alcuni tas-selli di pulitura, in attesa di un eventua-le restauro.

L’attività di questo artista, nato aValenza10 attorno al 1480, e nota sola-mente tra il 1510 e il 1545, fu partico-larmente praticata a Genova, dove si tra-sferì all’inizio del suo apprendistatopresso la bottega del pittore paveseLorenzo Fasolo, di cui sposerà la figliaPellegrina. Si iscriverà successivamentealla locale matricola dell’Arte dellaPittura e protrasse la sua attività sino aquella di ingegnere meccanico, semprein Genova, pur essendo noti alcuni rien-tri in patria11.

Infatti l’indicazione della consegnada effettuarsi del polittico per la chiesaalessandrina di San Francesco, lasciaintendere che l’ancona giungesse daun’altra località, da ritenersi la vicina

Valenza in cui è stato riscontrato cheAgostino operava in collaborazione colfratello Francesco, dove saltuaria -mente12 la cooperazione dei due ha fattopen sare ad una bottega in comune pro-prio nella città padana. Un lavoro diquest’attività fu portato a termine nellacappella di San Vincenzo, presso lachiesa di San Giacomo fuori le mura diValenza, già distrutta dai francesi nel1555. L’intervento avvenne nel 1535 edeseguito a spese della famiglia Bocca,quando il 15 e il 16 ottobre chiamaronoil pittore bolognese Domenico Fontanaad effettuare la perizia sulla pittura edornamentazione della detta cappella,proprio affrescata dai fratelli “maestroAgostino e maestro Francesco Bombellidella Negra” 13. Altra attestazione delBombelli a Valenza è fornita da una con-venzione per la realizzazione diun’ancona, nonché di un gonfalone perla confraternita di Santa Maria degliAngeli eseguito il 10 marzo 1536, quan-do Agostino risultava domiciliato pressola casa di un certo DomenicoBernardino Sacchi14. Inoltre, al fondodel contratto per il polittico alessandrinodi San t’Antonio, il Bombelli il 9 giugno1541 dichiarava di avere ricevuto i cin-quantacinque scudi promessi per la rea-lizzazione.

La recente mostra tenuta nelle Stanzed’arte di via Machiavelli ad Alessandriaha consentito di fare il punto sui prege-voli aspetti della pittura di AgostinoBombelli. In particolare lo studio mono-grafico è stato presentato in seguito alrestauro di un polittico, del tutto modifi-cato, in cui è emersa la parziale firmadel pittore sotto la tavola principale conSanta Lucia e il donatore: AUG.BO[M]BE[…] FACIE BAT15. L’opera èconservata ad Ales sandria nella chiesadi Santa Maria del Carmine e ritenutadella fine degli anni Venti del secoloXVI. Del polittico originario sopravvi-vono tre tavole, raffiguranti Santa Luciacon donatore, tra le sante Chiara eBarbara, perso naggi con il volto dalcolorito diafano e dall’aspetto monu-mentale messo in risalto dalle ampievesti (foto 3).

La mostra, in seguito alla riscoperta

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e rivalutazione di questo maestro, ha piùampiamente ordinato la pur scarsa pro-duzione di questo poco conosciuto arti-sta, il quale mostra di ricoprire unruolo tutt’altro che secondario nelpanorama della pittura genovese e del-l’alessandrino16.

Un riferimento che si delinea dallostudio sono i legami con il pittore PietroFrancesco Sacchi, rapporti di tipo lin-guistico, impreziositi dall’incontro conil mondo nordico nel tempo in cui ilBombelli esercita ampi spazi pae -saggistici costituiti da irte, fantasiose emonumentali rocce che connotano l’am-biente retrostante alle scene; da unameticolosa vegetazione concentrata suidettagli di un pennello minuzioso, dallaluce soffusa in cui è preziosa la ricercacromatica e luministica, come sostieneGianluca Zanelli17, propria della culturagenovese in cui appaiono “calibrati pas-saggi chiaroscurali, raffinate scelte tona-li, apprezzabili in particolare nella stesu-ra dei lucenti agglomerati rocciosi enella minuziosa resa delle fronde deglialberi arricchite da brevi tocchi lumino-si” con ombre mai nette.

Lo Zanelli ha egualmente propostoche il pittore valenzano sulla scorta deisuoi trasferimenti in ambito alessan-drino, di cui indicava un’at testazione nelbiennio 1535 – 1536, fosse venuto incontatto con i Con fratelli dell’Annun -ziata di Ovada. Ora la nuova scopertadel polittico di Santa Lucia in SantaMaria del Carmine ad Alessandria, lastessa presenza diretta del pittore per ilcontratto del polittico per la chiesa diSan Francesco ad Alessandria del 1539 -1541, redatto in casa di GiacomoLanzavecchia, può ulteriormente raffor-zare l’ipotesi che anche l’esecuzionedell’opera destinata alla Confraternitadella Santissima Annunziata sia avvenu-ta a Valenza e che la commissione siastata realizzata durante i suoi ripetutitransiti per Ovada.

Tra le opere esposte nella mostraalessandrina figurava proprio il politticoovadese dell’Annunciazione, il qualeesprime una nuova tendenza ed attenzio-ne del Bombelli verso la produzioneimportata a Genova dai discepoli di

Raffaello ed utilizzata, in seguito, daipittori genovesi che ritornavano in patriadopo gli studi effettuati a Roma18.

Per Daniele Sanguineti, dopol’identificazione di questo aggancioinnovatore, è pure facile scorgere riferi-menti altrettanto chiari con le opere pre-cedenti, essendo il pittore un artista dellavecchia generazione che, incuriositodalle nuove idee della cultura tosco-romana, ha assicurato ad una commit-tenza tradizionalista e decentrata, la rea-lizzazione di opere in sintonia con laconcezione rina scimentale.

Confrontando i personaggi del polit-tico di Ovada e quelli della tavola data-bile agli anni Venti del Cinquecento delCompianto sul Cristo morto con i SantiGiovanni Battista e Nicola da Tolentino(foto 4) in deposito presso il MuseoDiocesano di Genova (ma provenientedal genovese Oratorio della Morte inSan Donato, poi Arciconfraternita dellaMisericordia), si può notare che questiultimi dipendono dalla produzione lom-barda di Pietro Francesco Sacchi; men-tre nell’ancona ovadese la robusta ana-tomia della figura del San Seba stianoconserva, nella possente cassa toracica,un modello simile a quella di Cristo delCompianto, nel San Seba stiano diOvada affiorano gli umori della moder-nità ingentilendolo con una posa fles-suosa e delicati lineamenti del volto.Allo stesso modo, appare sin tomaticadel nuovo corso la figura massiccia delBattista che assume però un voltoalquanto aggraziato. Ancora nella stessadirezione conduce l’esperimento dellascena dell’An nun ciazione, in cui sull’in-ginocchiatoio viene collocato, allamaniera rinasci mentale, il prezioso inta-glio angolare di un delfino.

Altre tracce dell’attività pitto ricadel Bombelli nel territorio della madrepatria sono verificabili in un affrescovotivo nella chiesa di Santa Maria diSale, luogo assai vicino a Valenza Po,in cui sul pilastro laterale sinistro delpresbiterio com paiono dipinti San -t’Agata tra i Santi Rocco e Cristoforo(foto 5).

L’affresco, pur con soluzione dicontinuità, è tripartito dalla forma del

pilastro con la figura di sant’Agatasulla semicolonna centrale, affiancatasulle superfici piane da san Cristoforoa destra e san Rocco a sinistra. Que s -t’ultimo è parzialmente conser vato poi-ché al di sotto esisteva un precedenteaffresco quattrocentesco, con sanFran cesco d’Assisi, il cui tona chino,anche se picchiettato, non ha consen-tito una perfetta adesione dello stratosuccessivo.

Il volto di sant’Agata, i suoilineamenti e lo sguardo, sono acco -stabili a quelli di santa Barbara nellatavola in Santa Maria del Carmine adAlessan dria, con un panneggio menomosso, ma egualmente ampio.

Il paesaggio pianeggiante dellosfondo è quello del luogo, ispirato dalPo, con vaste alberature ed il fiumeviene attraversato da un possente SanCristoforo, mentre il Bambino sullaspalla si appiglia ad un ciuffo deicapelli del traghettatore. Di qualità pit-torica meno alta dei dipinti su tavola(tuttavia la tecnica e la conservazionepotrebbero ingannarci) l’affresco fuprobabilmente eseguito da Agostino incollaborazione con il fratello Fran -cesco, come quello documentato inSan Giacomo di Valenza, giungendo adesiti, sia pittorici, sia conservativi, as -sai prossimi all’affresco della chiesa diSan Giuliano di Genova con la Madon -na, San Giovanni Battista, San Giulia -no e Santo Stefano, già attribuito allamano del Bombelli con influssi di Lo -renzo Fasolo19.

Una piccola tavola dipinta ad olio(67,7 x 52,3 cm) che ho avuto modo diosservare recentemente in una collezio-ne privata a Campo Ligure, mi pare pos-sieda tutti i requisiti pittorici per essereattribuita ad Agostino Bom belli. Il di -pin to, come indica un car tellino sul re -tro, era già appartenuto alla signora Se -ra fina Persico di Genova, che nel 1908per lascito testamentario la donò alprof.re don Giuseppe Leoncini, origina-rio di Campo. La tavola raffigura Gesùnell’orto del Getzemani, con gli aposto-li in primo piano. Il cielo appare all’im-brunire pur dovendo descrivere unascena notturna, pretesto per lo svolgi-

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mento minuzioso di uno scenario dovela presenza dei personaggi spicca per glismaglianti colori degli abiti, tanto piùcon pieghe dagli effetti cangianti, parti-colarmente lungo i bordi (foto 6).

.Gli elementi che si accostano alBom belli sono individuabili nei mossicapelli dei personaggi, scarmigliatisenza alcun alito di vento percettibile trale fronde, ed in particolare il confrontomorelliano delle lunghe e affusolate ditaschiuse, che rimandano ad un consuetofare miniaturistico imputabile non sola-mente alle piccole dimensioni del dipin-to. In questa tavola si riscontrano strin-genti confronti con quella di SanBernardo e san Francesco stigmatizza-to, attribuita al Bombelli e conservataalla Pinacoteca di Voltaggio (foto 7),collocata crono logicamente negli anniTrenta20. I rap porti sono ravvisabilinella generale impostazione della scenain cui si apre, sullo sfondo, un ampiobrano di un paesaggio nordico dovetrova sede un imponente agglomeratourbano (Geru salemme circondata damura) ed un suo villaggio periferico ani-mato da scene di vita inerenti all’episo-dio in atto. Oltre ad un’impostazionegenerale, il fare minuzioso di luminositocchi sulla vegetazione e di frastagliatefronde in controluce, sono risultaticomuni alle due opere (foto 8 e 9).

Da notare che, oltre alla tavola diCampo e di Voltaggio, le piccole figuredei personaggi che ravvivano il paesag-gio, sono pure nel Martirio di SantaLucia, datato 1536, della colle zioneAldo Zerbone di Genova, conl’inserimento nel paesaggio di figureprotagoniste di avvenimenti collegati adepisodi miracolosi della martire. Le par-ticolarità paesaggistiche di vigorosavena naturalistica, tanto in voga in ambi-to genovese, ma di origine lom barda, siapprezza ancora allo stesso mo do in unaltro lavoro del Bombelli, quale la citatatavola del Compianto sul Cristo morto.

NOTE1 Il contratto è stato da me pubblicato inte-

gralmente in S. ARDITI, Nuove prospettive perAgostino Bombelli, in «Rivista di Storia ArteArcheologia per le Provincie di Alessandria eAsti», annata CXVII. (anno 2008), pp.179 – 180.

2 Il palmo genovese corrisponde a m

0,2480, si veda “web.econ.unito.it/caligaris/index_files/tavq.pdf”, perciò il polittico misu-rava circa 2 per 3 metri.

3 D. SANGUINETI, Scheda 6, in D. SAN -GUINETI (a cura di), Agostino Bombelli. Un pit-tore del Rinascimento tra Genova e Ales san -dria., Alessandria 2007, pp. 90 – 93.

4 G. ZANELLI, Genova e Savona nel primoCinquecento, in E. PARMA (a cura di), La pittu-ra in Liguria. Il Cinquecento, Genova 1999,p.52, nota 44.

5 G. ZANELLI, Genova e l’acquese: impor-tazioni e scambi di cultura figurativa fra tardoMedioevo e Rinascimento, in Arte e Carte nellaDiocesi di Acqui, Alessandria 2006, pp. 214 –215 e foto 15 p.216.

6 G. ODDINI, P. BAVAZZANO, L’oratorio del -la Santissima Annunziata, in “Urbs silva et flu-men”, 1996, n 2, pp. 117 – 119. Oltre ai Brea,Fabrizio Ferla ha scorto riferimenti con il polit-tico di Agostino da Casanova raffigurante laMadonna col Bambino nella chiesa di SanMichele Arcangelo a Prelà, frazione di Vil -latalla (IM), cfr. F. FERLA, L’Oratorio dellaSantissima Annunziata ad Ovada, in «Urbssilva et flumen», 2005, n. 1, p.35.

7 M. L. REPETTO, Cronlogia, in D. SANGUI -NETI (a cura di), Agostino Bombelli. Un pittorecit., p. 101.

8 S. BAIOCCO, Repertorio delle opere diGandolfino da Roreto, in G. ROMANO (a curadi), Gandolfino da Roreto e il rinascimento nelPiemonte meridionale, Torino 1998, p.271.

9 C. SPANTIGATI, Pinacoteca Vieca e MuseoStorico Archeologico: origini e vicende delleistituzioni museali alessandrine, in C. SPAN -TIGATI, G. ROMANO (a cura di), Il Museo e laPinacoteca di Alessandria, Torino 2008, foto-grafia 17 a p.27 e p. 29.

10 R. LIVRAGHI, F. VERONESE, Gli anni diAgostino Bombelli, Valenza, Genova,Alessandria tra fine Quattrocento e metàCinquecento, in D. SANGUINETI, AgostinoBombelli. Un pittore cit., pp. 11-17. Gli autori,in questo intervento, hanno affrontanol’inquadramento storico dell’epoca delBombelli, ponendo il problema dei rapportiesistenti tra Lombardia e Liguria negli anni tra-vagliati dalle cosiddette “guerre d’Italia”.Quando nacque il pittore, nel 1480 circa,Valenza che in passato aveva già fatto parte delMarchesato del Monferato, in quel momentoveniva a trovarsi sotto il Ducato di Milano. Nelcontesto della vicinanza geografica tra Valenzaed Alessandria, viene ravvisato che la patria delBombelli facesse parte della zona di influssoalessandrino, sotto la diretta signoria degliSforza.

11 Sull’attività di Agostino Bombelli, oltrela citazioni riportate in questo intervento, eranogià intervenuti: A. DE ROBERTIS, BombelliAgostino, in Dizionario bibliografico dei liguridalle origini al 1990, II, Genova 1994, pp.57-58; A. DEFLORIANI, Bombelli, Agostino di

Giovanni, in Allgemeines Künstlerexikon, XII,München – Leipzig 1996, p.436; L. LAGOMAR -SINO, Agostino Bombelli in E. PARMA (a curadi), La pittura in Liguria. Il Cinquecento,Genova 1999, p.375; G. ZANELLI, AgostinoBombelli “della Negra”: un pittore Valenzanonella Genova del primo Cinquecento, in“Valenza d’na vota”, 17, (2002), pp. 25-36; G.ZANELLI, scheda 6, San Bernardo e le stigmatedi san Francesco, in F. CERVINI, C. SPANTIGATI

(a cura di), La pinacoteca dei cappuccini aVoltaggio, Alessandria 2002, pp.64-65; G.ZANELLI, Agostino Bombelli e la pittura geno-vese del primo cinquecento, in “Arte Lom -barda”, 137, (2003), pp. 23-24.

12 D. SANGUINETI, Scheda 3, in D.SANGUINETI (a cura di), Agostino Bombelli. Unpittore cit., p.78.

13 F. GASPAROLO, Memorie storiche valen-zane, Casale Monferrato, 1923, vol. I, parteseconda, memorie di storia ecclesiastica,p.485. Il Gasparolo fa riferimento alle filze n.1146 del notaio Giovanni Vincenzo Del Pero,già conservate presso l’Archivio notarile diAlessandria, ora depositate in ASAl.

14 Ibidem, vol. II, p. 251.15 L’opera è stata pubblicata per la prima

volta dopo il restauro da D. SANGUINETI,Agostino Bombelli. Un pittore cit., scheda 3,pp.70-79. In precedenza F. CERVINI, Testi figu-rativi e arredo liturgico fra dispersioni e rin-novamenti, in C. SPANTIGATI (a cura di), SantaMaria del Carmine, Savigliano 2000, pp.103-104, aveva individuato che sotto le ridipinture,inserite in un polittico seicentesco, si potevacelare un lavoro cinquecentesco nelle tavoleinferiori, come effettivamente è emerso duran-te il restauro avvenuto nel 2002 – 2004.

16 La mostra, tenuta dal 31 marzo al 20maggio 2007, è stata accompagnata dal catalo-go a cura di D. SANGUINETI, Agostino Bombelli.Un pittore cit, Alessandria 2007, a cui hannocontribuito oltre al curatore anche RobertoLivraghi, Francesca Veronese, GianlucaZanelli, Paola Martini, Nino Silvestri, AnnaRosa Nicola e Maria Luce Repetto.

17 G. ZANELLI, Agostino Bombelli, scheda6, San Bernardo e le stigmate di sanFrancesco, in F. CERVINI, C. SPANTIGATI (a curadi), La pinacoteca cit., p.65.

18 D. SANGUINETI, Scheda 5, in D.SANGUINETI (a cura di), Agostino Bombelli.Un pittore cit., p. 92.

19 M. CASTALDI GALLO, Di alcuni affreschirestaurati in S. Giuliano di Albaro, in“Bollettino Ligustico”, 1977, 1-4, pp. 73 - 82;G. ZANELLI, “Augustino Bombellus faciebat”.Formazione e fortuna di un artista forestiero aGenova nella prima metà del Cinquecento, inD. SANGUINETI (a cura di), Agostino Bombelli.Un pittore cit., p. 49.

20 D. SANGUINETI, Scheda 5, in D.SANGUINETI (a cura di), Agostino Bombelli. Unpittore cit., p. 88.

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Da sempre la tradizione popolareriserva un’attenzione speciale ai feno-meni atmosferici; la particolare situazio-ne corografica che pone la nostra zona, apoche decine di chilometri dal mare, dalquale però ci divide un’irta catena mon-tuosa, risente di questa peculiarità, fontea volte di improvvisi cambiamenti cli-matici di cui i venti, come è naturale,sono i protagonisti1. È il prevalere del-l’uno sull’altro che determina la situa-zione climatica, sicché, le loro scherma-glie sono assurte a racconto popolare: daciò la leggenda di Marino e Tramon-tana, che un giovanissimo DomenicoBuffa (1818 - 1858), il futuro uomopolitico ovadese, raccolse nel 18382 eche trascrivo integralmente:

Il Marino (vento di mare) pigliò permoglie una figliola di Tramontana(vento di ponente). Questa diede in dotealla sua figliola settecento lire, e le pagòtutte al Marino, ma rimase ancora adargli una da otto (moneta della repub-blica Genovese, del valore d’otto quat-trini). Di tanto in tanto il Marino se neviene giù dai monti per chiedere allaTramontana la sua da otto, e litiga conessa e allora piove.

Notasi che il vento di mare soffiadalla parte dei monti, e reca pioggia;Tramontana invece porta serenità.Quando nella lotta dei due venti il mari-no respinge l’altro o per lo meno se nonlo vince affatto gli resiste con forza,allora piove; se invece Tramon tanariesce a respingere ai monti il marino, fabel tempo.

Il violento temporale mi richiamaalla memoria una specie di tiritera chemio padre canticchiava sottovoce e chepoi ho scoperto appartenere ad una poe-sia di Colombo Gajone, musicata dalmaestro Franco Torrielli. Erano alcuniversi dialettali dedicati alle donne ova-desi che inginocchiate nel cestino face-vano il bucato lungo le sponde dei nostritorrenti. Una notte però, a turbare i sonnitranquilli di una giovane ed avvenentelavandaia, ecco scatenarsi un furiosotemporale:

Na noce scura u iera ra bura,/ sbra-giova l’Uiba, u musiva Stura,/ Lo diciouu lampu au troun: “Vo veia!/ T’roumpi i

sogni di quela feia,/ ch’ancanta e i stelequande c’ha reia”./ U troun l’è andò dai brichi a’l lò,/ l’ho mugugnò, mo u s’èpaxiò3.

Tornando al Buffa, in chiusura del-l’aneddoto precedente egli aggiunge:

Quando tuona suol dirsi in Ovadadai contadini che il diavolo rotola giùdalla scala sua moglie in una botte; ilche è detto per celia, ma non di meno èfrase usatissima.

Chi scrive ricorda bene che nellenotti di temporale, quando la pioggiascrosciava sui coppi del tetto e il baglio-re accecante dei lampi illuminava a gior-no le stanze, correva a nascondersi nellettone della nonna Momina la quale, alrombo pauroso del tuono, con accentorassicurante diceva: Non avere paura, èil diavolo che rotola la moglie giù per lescale perché non gli ha fatto i ravioli.Questo ripeteva allo scatenarsi d’ognitemporale4 ma ricordo pure che i piùmaliziosi affermavano che il supplizioinflitto da Lucifero alla bisbetica con-sorte fosse conseguente al fatto cheintendesse così punirla perché, indispet-tita dalle continue richieste, l’avesseaccontentato facendogli sì gli anloti, iravioli, ma, per rappresaglia, con unripieno di cenere. Tale caratteristica deiravioli cenerini la si trova nella tradizio-ne della vicina Liguria, come pone in

evidenza la scrittrice Donghi in una pia-cevole raccolta di fiabe genovesi:

«…basterà il fulmineo, quasi inesi-stente raccontino sull'origine del tuono,che sembrerebbe riportato da qualcheetnologo dal cuore primitivo dell'Africanera, e invece si raccontava ancora inAlbaro durante l'infanzia di CamillaRavaschio, meno di trent' anni fa.Quando tronna, o l'é o diao ch'ol'arrubatta a moggé zù pe e scae (quan-do tuona, è il diavolo che fa ruzzolare lamoglie giù per le scale). Questol'avevano detto anche a me; Camillaaggiunge che il diavolo aveva i suoimotivi di essere in collera con lamoglie, in quanto che lei per dispettogli aveva servito dei ravioli pieni dicenere invece che del loro ripieno giu-sto. Di qui il rumoroso castigo, ognicolpo di tuono uno scalino; più appro-priato ancora quand'era invece il bronto-lio continuo dei tuoni in lontananza,tutto un rotolare d'in cima fino in fondoa quelle scale di casa del diavolo, chechissà come sono alte»5.

Il Nostro Buffa fu il primo a racco-gliere la leggenda, dalla viva voce popo-lare e a trascriverla; quindi a lui va ilmerito di averla tramandata nel tempofino a noi. Ma non è rimasta solo sullacarta, considerando che ve ne sono piùversioni. La curiosità d’indagine ci hapersino spinto sul mare magnum diInternet ed ecco, inaspettatamente venir-ci incontro una curiosa ricostruzione inchiave più moderna della storia: «lampi,fulmini, tuoni e saette - ma mamma, mache cos’è? - è il Diavolo… quando siarrabbia ci butta l’acqua dal cielo. Infattiquando torna a casa dal lavoro e trovapoco da mangiare per cena si incavolacon la moglie e le tira l’acqua con unabacinella gigante ma lei è furba e si spo-sta, così l’acqua cade tutta su di noi.Allora il diavolo si incavola ancora dipiù la chiude dentro una botte e la fa ruz-zolare giù dalle scale per questo si sen-tono i tuoni! - ma mamma, ma perchénon se ne va al McDonald’s?»6.

In questo caso i ravioli non sononominati, mentre sono preponderanti ifenomeni atmosferici legati alla figuradel demonio, argomento interessante

Leggende dell’Ovadese:Marino e Tramontana e la saga di anlotidi Paolo Bavazzano

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che merita ulteriori approfondi-menti, magari in altra occasione7.

Tuttavia l’elemento caratteriz-zante del racconto ovadese e quin-di ligure, dato il legame secolarefra le due terre è rappresentatodalla presenza degli agnolotti (inovadese anloti).

Ancora oggi rivivo i momentiin cui la mamma li preparava sulgrande tavolo della cucina. Era unrito a cui partecipava tutta la fami-glia. Ne ricordo ancora la lungaricetta da lei trascritta in un librici-no dalla copertina color marmo rosa,copiata da un vecchio ricettario genove-se8 e un po’ modificata per quantoriguarda certi ingredienti, secondo latradizione famigliare.

A casa nostra la stagione dei ravioliiniziava il 18 ottobre festa di san Paolodella Croce, giorno in cui ricorreval’onomastico mio e il compleanno dipapà. Rincasando verso mezzogiorno, lafinestra della cucina con i vetri appanna-ti dava il segnale che l’acqua nella pen-tola stava bollendo e i ravioli erano infase di cottura. A famiglia riunita intor-no al tavolo della sala, che si apparec-chiava con la tovaglia buona solo inoccasione delle festività e quando iparenti erano invitati, il grilletto, (lazuppiera) che la sera prima era ser-vito per la preparazione del ripieno,con una montagna di ravioli fuman-ti fino all’orlo, era posato con cau-tela al centro del tavolo. Quel gior-no niente porzioni: ognuno si sareb-be servito da solo e in proporzioneal proprio appetito: ravioli in bian-co sconditi, nella scodella con ilvino invecchiato, conditi con iltocco, u tucu, più volte, fino a chene rimanevano quattro o cinque iso-lati sul fondo del grilletto: sù avan-ci, tirè zu, l’veie da masu - eral’invito – che u i na ancura di oatri.

I ravioli hanno avuto e continua-no ad avere un ruolo rilevante nellevicende locali, non solo dal puntodi vista gastronomico, ma anche dallato propriamente storico e, sempre,sono stati motivo di unione edaggregazione, con risvolti di valore

sociale e financo politico.La cronaca ovadese, infatti, registra

eventi che li pongono al centro dell’inte-resse collettivo. Memorabile è la ravio-lata imbandita sulla “Piazza del Giuocodel Pallone”, oggi Piazza Garibaldi diOvada, il giovedì grasso del 1848, offer-ta e servita al popolo dalla borghesia edal ceto commerciale. L’evento è ricor-dato come il pranzo della fratellanza.Ma cosa era accaduto? Gli Ovadesimeno abbienti erano stati meri spettatoridei festeggiamenti che i notabili dellacittadina avevano organizzato per laconcessione dello Statuto Albertino,celebrato con discorsi, banchetti e seratedanzanti riservate esclusivamente aisignori possidenti. Tuttavia, la novitàdell’avvenimento, aveva fatto intendere

che l’iniziare un periodo nuovo,escludendone la maggior parte dellapopolazione, sarebbe stato ripropor-re vecchi atteggiamenti. Come rile-va Laguzzi in un suo articolo, il“pranzo della fratellanza” non fualtro che la versione popolare dellafesta: «…Certo l’avvenimento erastato entusiasmante ma gli abitantipiù umili del borgo avevano finitoper seguire soltanto da lontanoun’esultanza che finiva così peressere riservata soltanto a pochi. Lostesso splendido pranzo aveva

costretto la “folla di popolo”, che siassiepava sotto le finestre del primo cit-tadino a “golare” i tradizionali “saliva-sci” e questo, i più sensibili fra i bor-ghesi ovadesi, lo avvertivano non erabene. Occorreva far partecipare ancheil po polo minuto all’allegrezza delmomento…»9.

Verso fine Ottocento, il gustoso piat-to ovadese ritornava di nuovo al centrodi un evento corale. I proletari dellenostre valli cominciavano a dare unsenso politico al primo Maggio, festeg-giando la festa del lavoro, tanto avversa-ta dalle autorità. Non potendo ascoltareliberamente la parola dei primi assertoridella fede socialista, giunti col treno delmattino e perseguitati dalle forze del-

l’ordine fino all’arresto ad ogni ten-tativo di comizio, si davano conve-gno lungo le rive dei torrenti Orba eStura, per una solenne bicchieratainneggiante al sol dell’avvenir,seguita da una succulenta ribotta abase di ravioli. La prima porzioneera consumata in scodella sposata aldolcetto d’annata, la seconda condi-ta col sugo, usanza praticata anchein famiglia. I più raffinati preferiva-no i ravioli rigorosamente in bianco,per assaporarne meglio il sapore delripieno.

Quelli erano tempi in cui aiCarabinieri Reali era affidata nonsolo la difesa dell’ordine pubblicoma anche la conservazione dell’or-dine sociale, quindi non dobbiamostupirci se il fraterno desinare deiproletari ovadesi sull’erba frescadella sbocciante primavera, fosse

Alla pag. precedente, la nonnaMomina.In questa pagina e nella pag.seguente: immagini scattate alla finedegli anni '50 da Leo Pola in occa-sione di una delle classiche raviola-te organizzate da Francesco Lorenzo

Barboro, titolare della ditta diricambi meccanici “Il Mago”, inBorgo Oltr'Orba (Piazza Nervi);incoronato re dell'agnolotto; fra icommensali il pittore ovadeseFranco Resecco.

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seguito dalla Benemerita a de bita distan-za, che non esitava in caso di bisogno, amettere in campo pure i quelli della sta-zione di Novi. Tuttavia queste occasioninon degenerarono mai, dato il contesto,in problemi di ordine pubblico. Sebbeneal pranzo fra i lavoratori in festa, perragioni di servizio, i carabinieri nonpotessero partecipare, del piatto ovadeseapprofittavano invece gli ambasciatoridelle nuove idee socialiste i quali, elu-dendo le rigorose disposizioni dell’auto-rità prefettizia in materia di pubblicicomizi, potevano così, unendo l’utile aldilettevole, dare sfogo alla loro eloquen-za tribunizia a favore dell’affermazionedell’ideale politico per il quale stavanolottando.

La tradizione della raviolata durantele festività, specialmente carnevalesche,a quanto si ricorda, non venne interrottaneppure durante il periodo belli-co quando a causa della scarsadisponi bilità dei necessariingredienti, il popo lino fucostretto a fare ricorso anche allacarne di gatto, ovviamente il piùgrasso del quartiere, messo afrollare per qualche giorno sottola neve: carne felina. al dire deicompetenti in materia, tra le piùdelicate e ghiotte al palato.

Nei decenni successivi allaseconda guerra mondiale, quasia rifarsi della fame patita duran-te il conflitto, era usanza orga-nizzare, specialmente il venerdìo il sabato sera, delle cene fraamici dove i ravioli erano il piat-to preferito e atteso dagli insa-ziabili commensali. Le cene sisvolgevano in trattoria ma so -vente, e a turno, anche nelle abi-

tazioni dei vari partecipanti e promotori.Per la preparazione manuale della lungadistesa di ravioli scendevano in campole esperte cuoche di famiglia: nonne,madri e sorelle. L’allegria del momentofaceva sì che al punto cruciale del pan-tagruelico raduno c’era sempre chi tira-va fuori la storia della triste fine fattafare al gatto quando c’era la guerra, e ilpiù spiritoso della compagnia comincia-va a miagolare facendo andare di traver-so la cena ai più schizzinosi.

Gatto e diavolo è un tutt’uno. An -ticamente chi mangiava carne di gattoincorreva nella scomunica10 La tradizio-ne inoltre vuole che il gatto sia parentedel diavolo, perché come lui vede nelletenebre; i gatti sono ritenuti figli suoiperché il diavolo, nelle sue metamorfosi,predilige trasformarsi in gatto nero.

Le raviolate collettive hanno poi

avuto un seguito nella seconda metàdel secolo scorso con le “Festedell’Unità” organizzate dalla localesezione del PCI che, per trovare ilpiatto forte da proporre non avevadovuto in questo caso guardare aMosca. Ancora una volta, i ravioli,hanno conservato il primato di riunireintorno alla tavola imbandita tantepersone, inizialmente accomunatedalla stessa fede politica, poi, col pre-

valere della parte gastronomia sullerigidità dell’ideologia, si aggiunseropersone di fedi diverse ma pronte agustare gli ottimi, se non insuperabili,ravioli preparati come una volta dalleabili mani delle più attive fra le compa-gne comuniste.

I ravioli sono un piatto tipico dellaLiguria e dei paesi dell’entroterra: Ova -da, Novi e Gavi che un tempo facevanoparte della Serenissima Repubblica diGenova. Gavi, in particolare, sostenevaCarletto Bergaglio11, con grande erudi-zione non disgiunta da un certo spiritocampanilistico, sarebbe addirittura statala patria del ravioli perché anticamentevi risiedeva la famiglia Raviolo, condut-trice di una locanda famosa per il nostropiatto dalla cui fama sarebbe poi deriva-to il nome.

Persino la stampa cittadina12 non ha

Le scodelle vuote e l’espressione deivolti dichiarano che gli agnolottierano ottimi così come il dolcetto; icommensali sono satolli, è il momentodi abbandonarsi al canto che celebriil buon vino e la bellezza delle vendemmiatrici

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perso occasione dipubblicizzare la nostraspecialità gastronomi-ca per eccellenza.Prospiciente la Piazzadel giuoco del palloneprima ricordata, era ingran rinomanza l'Al-bergo Universo condotto dall’intrapren-dente Santino Carosio, divenuto poibanchiere. Nel suo locale soggiornavanopure gli artisti scritturati dall'impresariodel contiguo Teatro Sociale e a tuttiSantino faceva scodellare la specialitàdella casa: gli agnolotti nel vino. Nel1898 un cartello all’entrata del ristoran-te li avrebbe così decantati: «Quasi tuttele città han la lor specialità: i grissinitien Torino ed Ovada del buon vino; haCremona i sui torroni e Milano i panet-toni; l'Universo che cos'ha? Agnolotti inquantità, agnolotti di quei buoni propriofatti pei ghiottoni». E negli anni a veni-re nuovamente il poeta Colombo Gajoneavrebbe rimato: «Quand'u fa' frescu e antora ui a i anloti, 'n'tei vein mangie ecundii», (Quando fa freddo e in tavola cisono gli agnolotti, mangiane nel vino econditi); ed ancora alla popolare figuradi Niappe, grande estimatore dei ravioliavrebbe fatto cantare in rima: «A n'hoeumangià sate pursiugni. Tuci i osti d'Uà iifan bugni, mà is n'an pèintu prima opoeui d'avèi dic': "Niappe, it n'anvoeui?». (Di agnolotti ne mangiai setteporzioni. Tutti gli osti di Ovada li fannobuoni, ma si pentono prima o poi di averdetto: "Niappe, ne vuoi?). Gaione, esulenella grande Genova, in età longeva,ricordando sempre la sua terra di origi-ne, in uno dei suoi ultimi quaderni, fittidi sagaci epigrammi avrebbe scritto:«Fa di anloti o cara Filumena, i pescilascia chis sie pescu a Zena», (Fai gliagnolotti o cara Filomena, i pesci lasciache li peschino a Genova).

***

RavioleOr che immenso e tacito candoreCopre dell’Alpi la gigante mole:

Or che fra dense nubi il suo fulgoreCela indolente e neghittoso il sole,

Oh! Com’è dolce al vivido teporeD’un caminetto chiacchierar di fole,

Di bionde donne e pregustare l’odoreSoave d’un bel piatto di raviole.

Mentre le neve cade a larghe faldeOh! che delizia avere in fra’ le salde

Pareti della stanza un caminetto

E’ grato aver nella stagion rubettaUna stanzetta calda, il vin dolcetto

E di raviole colma una scodella. (G.N.)

«Il Giornale di Ovada» II, domenica19 gennaio 1908.

I ravieûFanni un bon pin co’ a solita riçetta

Con borase boggia e tritolâ,Remescia, chêusi e stendi ‘sta pastetta

Fra due sfêugge de pasta ben tiâ

Fanne di cuscinetti co’ a pansettaServindote do stampo pe’ sciaccâ,a Toggili a un pie un con a röettaEl pascili ‘n scià töra pe’ sciugâ.

Poi daghe un boggio e servili in to broddo,O mëgio sciuti con do tocco spessoE tanto parmisan. Ad ogni moddo

Se i ravieû son gustosi e ben riuscii,Sacci che o gran segretto do successoÔ l’è che seggian tanti e ben condi-i.

Aldo Acquarone (1898 - 1964).

Note1 1 LUIGI DE BARTOLOMEIS, Notizie topo-

grafiche e statistiche sugli Stati Sardi, Genova1846, vol. I, p. 251. Il vento boreale o di tra-montana parte dalle Alpi Retiche e Pennine,attraversa il Piemonte, rade la cresta delle AlpiMarittime e degli Appennini e scende impetuo-so nelle vallate Liguri, penetrando con più vio-lenza in quelle del territorio di Savona, essen-do la giogaia soprastante molto più depressa.Questo vento, ovunque passa, rende l’aria fred-da e secca nel verno, calda e secca in estate.Nel Piemonte predomina in quest’ultima sta-gione e produce calore, ma nell’inverno è fred-dissimo, e se incontrasi con gli scirocchi, facadere molta neve; se avviene però ch’ei restisuperiore allo scontro, riconduce il bel tempo eper molti giorni. Nella Liguria regna all’oppo-

sto durante la stagioneinvernale: ed ivi pure èforiero di bella serenità ogniqualvolta non s’imbatte inventi contrari, poiché in talcaso è cagione al solito dicopiosa caduta di neve, o dipioggia almeno; presso illitorale però il suo soffio è

spesso fatale ai fiori dell’olivo, che si dissecca-no e restano come bruciati. Quando spira que-sto vento il mare è sempre tranquillo fino a cin-que o sei miglia dal lido; i maggior distanza isuoi flutti sono agitatissimi.

2 2 Si veda: EMILIO COSTA, Ricerche diDomenico Buffa sul folklore narrativo in Vald’Orba, in Archivio Storico del Monferrato,Anno I, n. 1 - 2 - Gennaio - Giugno 1960 DiStefano Editore – Genova. Il manoscritto origi-nale è recentemente pervenuto all’AccademiaUrbense grazie alla donazione dell’archiviocartaceo dell’illustre ovadese, fatta dal discen-dente avv. Gian Domenico Buffa

3 COLOMBO GAJONE, Antologia Ovadese.Poesie e Canzoni scelte a cura di Emilio Costa,Ovada Accademia Urbense, 1963, p. 11, Feia alave’ (Ragazza che lava).

“Una notte scura c’era la piena: strepitaval’Orba, mugghiava lo Stura. Ha detto il lampoal tuono: “Va via! Non distruggere i sogno diquella ragazza che quando sorride incanta lestelle”. Il tuono è andato oltre i monti, ha bron-tolato, ma si è poi quietato”.

4 E in fatto di proverbi aggiungeva: Tantatrunoda poca ciuvoda (Se tanto tuona, pocopiove). L’è stò sciubì da u lampu. (È statorisucchiato (o toccato) dal lampo). A SanValentein tucci i venti i scusu marein (A SanValentino tutti i venti (scontano) ovvero si tra-sformano, in vento mite spirante dal mare).

5 BEATRICE SOLINAS DONGHI, Se ti veu chet’a conte… Fiabe a Genova, illustrate da ROSY

ZANCHI, date alla stampa dalla Sagep, Editricein Genova. P. 170 – 171: A moggé do diao.

6 Blogspot.com\2008. Il mio dizionario(nembrifero).

Sul diavolo in generale si veda inoltre:ALFONSO M. DI NOLA, Il diavolo. Le forme, lastoria, le vicende di Satana e la sua universalee malefica presenza presso tutti i popoli dal-l’antichità ai giorni nostri. Edizione integrale.Grandi Tascabili Economici Newton, Roma1994, n. 269, 301 – 306; in particolare: Il dia-volo provocatore di tempeste e avversario deicontadini.

7 Fra i proverbi raccolti dallo Strafforello(1820 - 1903) eccone alcuni indicativi rispettoal tema affrontato in questa sede: Quando c’èsole e piove, il diavolo mena la moglie,Quando piove e c’è il sole, il diavolo fa all’a-more. In Liguria diciamo (in quanto loStrafforello era nato a Porto Maurizio):Quando u cieuve e guarda u su – U diavu u fa

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all’amù. Quando il sole brilla e piove il diavo-lo litiga con la moglie. Attingendo dai mottiproverbiali d’altre nazioni segnala ancora:Quando piove e guarda il sole è la fiera del-l’inferno - Quando piove e guarda il sole, ildiavolo batte sua nonna, egli ride ed ella pian-ge - Quando piove e guarda il sole, un santoentra in cielo - Quando piove e guarda il sole,le streghe fanno ciambelle - Quando piove eguarda il sole, le streghe fanno il burro, e viadi seguito. Cfr. GUSTAVO STRAFFORELLO, Lasapienza del mondo ovvero dizionario univer-sale dei proverbi di tutti i popoli, raccolti, tra-dotti, comparati e commentati (…) conl’aggiunta di aneddoti, racconti, fatterelli e diillustrazioni storiche, morali, scientifiche, filo-logiche, ecc. Vol. III, A. F.Negro Editore,Torino, 1883.

8 EMANUELE ROSSI, (ma di G.B.Ratto),Casa Editrice Bietti, 1901, pag. 47, n. 83.Ravioli al brodo. Avrete preparato un ripienocomposto come appresso: prendete quattroscaroli ed un mazzo di boraggini, togliete lorotutte le foglie guaste e troppo dure e fatele bol-lire cinque minuti; quindi spremetele bene, perfare sì che lascino tutta l’acqua. Prendeteposcia mezzo chilogramma di magro di vitella,che farete rosolare in una casseruola con unpoco di burro senza sale, avvertendo che nonarrostisca troppo; 250 grammi di poppa, puredi vitella, che farete bollire per dieci minutinell’acqua, e, finalmente, mezzo cervello divitella, o due cervelli di agnello, 78 grammi dischienali ed una animella che scotterete inacqua bollente e priverete della loro pellicola.Tritate tutto, cioè magro, poppa, erbe, schiena-li, cervello e animella, minutissimamente sultagliere colla mezzaluna, indi pestatelo a pocoper volta nel mortaio fintanto che l’avreteridotto come una pasta e mettetelo in un reci-piente, e allora, aggiungetevi quattro uova collaloro chiara, e sei tuorli senza la chiara (il cherenderà questo ripieno più soffice e delicato),una mollica di pane inzuppata nel brodo o nelsugo di vitella, una manata di formaggio par-migiano grattato, un po’ di spezie e sale in pro-porzione, rimestando ben bene il tutto conforza, onde formare una pasta uniforme e digiusta consistenza che sarà il ripieno o parteprincipale dei ravioli. Taluni sogliono aggiun-gere a questo ripieno un poco di salciccia, ilche però rende i ravioli meno delicati: altri poiadoperano della ricotta (latte quagliato) invecedella mollica di pane inzuppata nel brodo, econ ciò non è cattiva cosa, purchè i ravioli ven-gano cotti nello stesso giorno in cui sono fatti,essendo la ricotta soggetta ad inacidirsi, massi-me nella calda stagione.

Fate poscia la pasta, operando nel seguen-te modo: prendete tanta buona farina biancaquanta la metà del peso totale del ripieno pre-parato. Le dosi da noi qui sopra indicate dannoun chilo gramma e mezzo di ripieno, per cui nel

nostro caso ci occorrono 750 grammi di farina:mettere questa sulla tavola o madia destinata aquest’uso ammucchiatela e fate col pugno unbuco nel mezzo, in cui rompete due uova,aggiungendo due cucchiaiate d’ acqua tiepida,senza sale; poscia con un cucchiaio sbattetebene questo liquido, facendovi incorporare apoco a poco la farina, quando non potete piùservirvi del cucchiaio per essersi la pastaalquanto formata, continuate colle mani adimpastare ed assimilare bene il tutto, aggiun-gendo acqua tiepida a piccole cucchiaiate se lapasta venisse troppo dura, ovvero mettendovidell’altra farina se riesce troppo molle. Questapasta dovrà avere la consistenza di quella che siadopera per fare il pane. Ciò ottenuto, staccate-ne un pezzo che basti per una sfoglia e copriteil resto con una tazza rovesciata, in guisa chenon prenda aria o dissecchi o faccia crosta.Tirate allora la prima foglia il più che potetesottile col mezzo del matterello, spargendovi diquando in quando un poco di farina affinchénon si attacchi né alla tavola, né al matterello,distendete poscia questa sfoglia sulla tavola, epreso subito il ripieno già preparato, fatene colmanico di un cucchiaio tante piccole porzionieguali, che ad una ad una metterete sulla sfo-glia disposte in linea e distanti due dita le unedalle altre; coprite poscia questa prima lineacol lembo della foglia stessa, e coi polpastrellidelle dita comprimete la pasta all’intorno delripieno formando come tanti cuscinetti, che poidividerete fra loro tagliandoli con l’appositarotella dentata.

Proseguite la stessa operazione finchèbasterà la sfoglia: e, ultimata questa, passate afare la seconda sfoglia, sulla quale ripetete iltutto come sopra abbiamo detto, poi la terza,ecc., finchè avrete pasta e ripieno avvertendosempre di mantener coperta la pasta fino all’ul-timo affinché rinseccando o formando crostanon riesca inservibile. Fatti così i vostri ravio-li, distendeteli sopra una tovaglia e lasciatelicosì alquanto prosciugare prima di cuocerli.

Invece di distendere il ripieno a piccoleporzioni e formare i ravioli ad uno ad uno, sipuò, per maggior speditezza, distendere ilripieno uniformemente sulla metà di ciascunasfoglia appianandovelo ed unendovelo collalama di un coltello, e coprirlo coll’altra metàdella sfoglia, applicandovi poscia sopra unaforma quadrangolare appositamente fatta(forma da ravieu), e passandovi per lungo e tra-verso uno spianatoio scanalato (cannella daravieu), il quale dà la forma di cuscinetti airavioli, che poi si tagliano e si separano collasuddetta rotella.

9 ALESSANDRO LAGUZZI, Ovada nelRisorgimento: “Lo Statuto”, in «Urbs», Luglio1987, p. 16 – 20.

10 Cfr. «Curiosità Popolari Tradizionali»,pubblicate per cura di GIUSEPPE PITRÈ . Vol. IVZoologia Popolare, Palermo Luigi PedoneLauriel, editore 1887. Credenze, leggende etradizioni varie raccolte ed illustrate daANGELA NARDO CIBELE.

11 Carletto Bergaglio, fondatore dell’illu-stre “Ordine dei Cavalieri del Raviolo e delGavi”, ha stilato, nel libro “Sua Maestà ilRaviolo”, una serie di regole da non dimentica-re. La prima norma riguarda la sfoglia, chedeve essere tanto sottile da far vedere la massascura del ripieno: la sfoglia sottile increspa ilraviolo durante la cottura conferendo al preli-bato quadratino una forma caratteristica. Laseconda regola riguarda la verdura da utilizza-re nel ripieno: il raviolo non è di Gavi se mancala borragine, che dà sapore e sofficità, anche setalvolta sono tollerate la scarola, la bietola e glispinaci. Nel ripieno la carne di manzo devepredominare su quella di maiale e non puòmancare la salciccia. L’uso di altre carni, oaddirittura delle cervella non è tradizionale: untempo addirittura, si usava la carne di bue per-ché lungamente sfregata dal giogo e resa piùgustosa.

La terza regola riguarda i sapori da aggiun-gere: “qualcuno”, come afferma l’espertoBersaglio “mette un po’ di aglio… con discre-zione, però!, perché le droghe devono esseresempre in quantità moderata”. È invece un ele-mento indispensabile la maggiorana che, comela borragine, costituisce l’elemento caratteriz-zante del raviolo gaviese. Un’ultima raccoman-dazione: il sugo deve essere il “tocco”, creatodalla carne. Sbaglia che prepara il sugo dicarne per i ravioli ripieni… già pieni di carne:si disturbano a vicenda.

Si veda pure il suo intervento in, Atti delConvegno di studio sugli usi gastronomici ed’alimentazione, Alessandria, 10 gennaio1981, Istituto Storia del Risorgimento ItalianoComitato di Alessandria e Asti.

12 Notizie tratte dal settimanale ovadese«Il Corriere delle Valli Stura e Orba», fondatonel 1895 a Campo Ligure da Giovanni BattistaRossi, stampato quindi a Ovada da FedericoBorsari fino al 1926.

***COLOMBO GAIONE, Niappe (Macchietta

Ovadese); avventure, code, borsa nera, Tip. A.Pesce, Genova 1944.

A.M. GRILLO- M- TARÒ, Il pranzo diNatale nella tradizione ovadese, in «Urbs», n.4, 1989, p. 73.

LUCIA BARBA, Il Re Agnolotto e il PrincipeAndarino. Note di cucina monferrina, Guidedell'Associazione Alto Monferrato, DI.ESSE.PI

Ovada, 2003; contiene ben quattro ricette per lapreparazione del ripieno per gli agnolotti.

Nella pag a lato, un’altra serata fraamici intorno al tavolo che intendeonorare il vino dolcetto e i ravioli inun ‘atmosfera di grande allegria.

A lato, Il diavolo a cavallo con lastrega. Xilografia del XV sec.

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Agli edifici classici o signorili vieneconferito un rilievo preminente frutto dicanoni della proporzione, della sim -metria e, ovviamente, del valore in -trinseco mentre solitamente appare tra -scurata l’architettura rurale, spesso con -siderata povera, sebbene possa an -ch’essa presentare relazioni tra vicendesociali e costruzioni.

A questa considerazione non sfug -gono le case coloniche e le opere civilidi quel vasto comprensorio che comu -nemente conosciamo come “Badia diTiglieto” anche se, oggi, esse possonorappresentare “La nostalgia di un mon -do che fu, la coscienza della fuga deglianni” come scrisse Marcello Venturi inuna prefazione ad un volume di un’ar -tista molarese che ispirò le proprie in -cisioni al tramonto della civiltà con -tadina nella Valle dell’Orba.

Come è noto, il complesso abbazialeaffonda le sue radici nella tradizione cheattribuisce la sua fondazione ai monacidi S. Colombano (1), l’abate irlandese,installatisi nell’alta Val d’Orba sin daitempi di Carlo Magno ed ivi rimasti aguardia dei passi appenninici che mette-vano in comunicazione l’AltoMonferrato con la costa ligure (2).Presenze nell’area supportate da repertidi indubbio interesse come il rinveni-mento di una pietra tombale con unacroce di chiaro stile gaelico ad Uxecium,oggi Belforte Monferrato, paeseadiacente alla valle dell’Orba,ove S. Colombano ed i suoiconfratelli eressero un proprioconvento attorno al quale sicoagularono le prime case delborgo.

Inoltre per una singolarecoincidenza che sembra oppor-tuno esporre, il monte Colma,sulle cui propaggini sorgeUxecium, indubbiamente ricor-da, sia nella grafica che nellafonetica, il nome del Santoconosciuto nella sua Irlandacome Colman.

Nel silenzio dei documentinon sappiamo per quanto tempoi monaci colombani si fermaro-no alla Civitacula tiglietese che

probabilmente abbandonarono per ledifficoltà nel procurarsi i necessarisostentamenti e per il rigido clima inver-nale. Tuttavia verso il 1120 il luogo eraormai deserto e gli edifici eretti daiseguaci di S.Colombano ridottiprobabilmente a ruderi. Ma in quel -l’anno quivi so praggiunsero dalla bor-gognona La Ferté sur Grosne, primafiliazione della celeberrima abbazia diCiteaux (Cistercium) fondata daRoberto di Molesmes, l’abate Pietro (3)con alcuni monaci che apprezzaronoquella piana alluvionale così isolata equindi perfettamente adatta alla loro“Charta caritatis”, redatta da S. StefanoHarding, improntata alla povertà ed allasemplicità.

Inoltre sin dagli esordi dell’in se -diamento, documentato per la primavolta da un atto del 4 Gennaio 1127 incui Alberto del fu Guido, marchese diGavi, donò all’abate Gerardo un bosco aTiglieto, i Monaci Bianchi tiglietesipoterono contare sulla presenza inTiglieto (sia pure per un breve periodo)dell’atti vissimo S. Bernardo diClairvaux (4), che nel 1133 a Genova, suincarico di Papa Innocenzo II, presiedet-te i negoziati di pace tra il capoluogoligure e Pisa. Conclusesi positivamentele trattative, S. Bernardo venne accoltodai genovesi come un trionfatore e quin-di in tale occasione, secondo una radica-

ta tradizione, il Santo avrebbe inviato daTiglieto al plaudente popolo genoveseuna lettera di ringraziamento per la cor-diale accoglienza.

Per giunta i Cistercensi di Badia,grazie ad una donazione del marcheseAnselmo del Bosco con atto del 27 ago-sto 1131, in cui compaiono anche lamoglie contessa Adalasia ed i loro figliGuglielmo e Manfredo,: “Anno abJncarnationis domini nostri Jhesu XpistiM.C.XXXI.VI. Kalendas Septembris.Indictione nona. Ecclesie sante marie etsancte crucis. Idest monasterium situmloco tilieti. Nos anselmus marchio filiusbone memorie hugonis marchionis etadalasia comitissa filia baldi cumVillelmo et Manfredo ipsorum filiis. …….Ideoque nos qui supra jugale donamuset offerimus et presentem cartulamoffersionis et donationis ibidem aben-dum et confirmandum ecclesie sanctemarie et sancte crucis. idest monasteriosito in loco tilieti pro anime nostre mer-cede. Idest boscum unum cum area suaque uocatur teletum et omnes montessicut uergunt aquam versus monaste-rium et petia una de terra aratoria seupetia una de uinea cum area sua seusedimen cum casi set edificiis.” avevanoottenuto, secondo il testo del rogito, ilbosco chiamato Tiglieto, l’area di perti-nenza, tutti i monti che piovono acquaverso il monastero nonché terra arabile,

vigne e case per cui poteronocontare su di una cospicuaserie di risorse per le loronecessità quotidiane e lo svi-luppo delle loro attività.

Oltre a ciò nel corso deidecenni, grazie a similaridonazioni pro redemptione, anumerose permute, ad atti dicompravendita e ad immunitàda pedaggi e tributi, il patri-monio di Badia si espansecostantemente richiedendo daparte dei monaci sempre mag-giori energie da dedicare allesemine, alle vigne, ai disbo-scamenti ed alle fienagioni edalle greggi. Senza tralasciarela costruzione degli edificiabbaziali e degli acquedotti

Case coloniche e opere civili della Badia di Tiglietodi Pier Giorgio Fassino

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per alimentare il mulino od il magliettoper la lavorazione del ferro. Ma un fortesupporto lo diedero i conversi, specie diconfraternita di ordine minore, che par-tecipavano solo ad alcuni atti liturgici esu cui gravavano i lavori più pesanti edumili non solo presso il monastero masoprattutto presso le grangie veri e pro-pri micro cenobi diretti dal magistergrangiae. Solo in occasione di semine,raccolte o lavori particolarmente impe-gnativi i conversi potevano ricorrereall’aiuto di famuli o mercenari.

In circa tre secoli i Cistercensi giun-sero ad avere proprietà fondiarie, dirittidi pascolo o di boscheggio non solo suidue versanti dell’Appennino come aVoltri, Arenzano, Albisola, Savona,Noli, Stella, Sassello, Molare, Campale,Cassinelle, Ovada, Trisobbio, Ca -stelletto d’Orba, Capriata d’Orba ma an -che a Sezzadio, Bosco (metà di un muli-no con relativo bedale - atti 4 Dic. 1178e 23 Dic. 1178), Frugarolo, Ro vereto,Sommariva, Pomarolo e Car magnola (inquest’ultima località un terreno donatodall’abate Opizzone con atto del 21maggio 1142).

Ma verso la prima metà del XV seco-lo su questo vasto patrimonio si adden-sarono le nubi foriere di una nuova isti-tuzione chiesastica: la commenda.

Inizialmente nata nell’ambito delleattività dei papi avignonesi per conse-guire un maggior controllo delle istitu-zioni religiose, come la nomina direttada parte del pontefice degli abati, lacommenda era purtroppo degenerata inuna forma di imposizione da parte del-l’alta gerarchia ecclesiastica per poterfinanziare la corte papale ed i vari mem-

bri del collegio cardinalizio la cui vitanon era molto dissimile da quella deiprincipi rinascimentali.

Sicché, per una serie di circostanzeoriginate da quel clima, il 20 ottobre1442 i monaci cistercensi vennero allon-tanati dal Tiglieto da una bolla di PapaEugenio IV che nominò abate commen-datario il cardinale Giorgio Fieschi, giàarcivescovo di Genova, e, da quelmomento, Matteo, fratello di quest’ulti-mo, prese possesso della Badia e dellesue dipendenze come procuratore delCardinale.

Seguirono quindi secoli in cui Badiafu vittima di decadenza economica e diaggressioni militari, banditesche e pesti-lenze: il 29 Agosto 1557, FrancescoDupleix De Richelieu, governatore diCortemila e Ponzone in nome del Re diFrancia Enrico II, occupò Badia mavenne sloggiato da truppe genovesi, giàsul piede di guerra con i francesi per ilpossesso della Corsica; la peste del1579; un tentativo avvenuto nel 1582 daparte di una banda di ladroni genovesi diinstallarsi nel monastero; l’occu pa zionedel complesso monastico nel 1583 adopera di truppe del Duca di Mantova cheiniziarono addirittura a costruire un fab-bricato per riscuotere dazi sulle merci intransito.

Infine a completare questi scenari siaggiunsero, immancabilmente, i danniprovocati da truppe sabaude di CarloEmanuele I quando transitarono nelcorso della campagna del 1625 contro igenovesi.

Tuttavia già nel 1647, per motivi nondel tutto chiari ma da tempo contrasse-gnati da passaggi tra commendatari,

Papa Inncenzo X revocò la commendaal marchese Muzio Pinelli e l’as segnò alcardinale Lorenzo Raggi. Anzi il 24 gen-naio 1648 il Sommo Pontefice autorizzòla cessione in enfiteusi perpetua a GioBattista Raggi, fratello del Cardinale,della: “…planam dicta Abbatia cumpratis arvis seminativi set molendino ineius vicinis seu circumstantes multascassinas seu masseritias continente …”.Acquisizione però non indolore per lecasse della famiglia Raggi che ottenne idiritti sul comprensorio versando unasomma “una tantum” di consistenteimporto. Infatti il marchese Gio BattistaRaggi nel 1652, in occasione della for-malizzazione del passaggio di proprietà,versò alle casse della tesoreria pontificia22.485,49 scudi romani pari a 137,913lire di Genova. (G. Doria op.cit.)

Si aprì così per Badia un nuovo feli-ce periodo poiché i Raggi dimostrerannodi essere non solo una famiglia amman-tata di nobiltà ma anche un casato diimprenditori.

Venne dato l’avvio ad una lungaserie di attività volte a migliorarel’assetto del comprensorio: lavori diristrutturazione per trasformare l’anticomonastero in una residenza gentilizia; lacostruzione di una ferriera accanto alsecolare maglietto di origine cistercen-se; la riapertura della fornace per la pro-duzione di mattoni; la riparazione del-l’antico ponte medioevale, la ristruttura-zione e la costruzione di nuove casecoloniche e la deviazione del naturalecorso del l’Orba che talvolta inondava lapiana di Badia.

Le case coloniche sparse sulle altureo nella piana alluvionale ricordate in

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contratti agrari seicenteschi e settecente-schi facenti parte dell’Archivio StoricoSalvago Raggi depositato presso l’Isti -tuto di Storia Economica dell’Uni versitàdi Genova o enumerate tra i beni dell’at-tuale azienda agricola o riportate nella“tavoletta” dell’Istituto Geografico Mi -litare sono quasi cinquanta: Alber gasso -Almasso - Armitto - Bazzaré - Berloran- Berzorera - Bolla - Ca’ Bian china –Cam po del Prete - Ca’ Nova - Carpenà -Cascinazze - Cascinetta - Castelletto –Cau da - Ciappé - Corte - Coscia - De xo -lo - Ferriera - Fondorbe - Fornace –Frotto - Gambona - Gattazzé - Giorgi –Granaro - Grina - Levratta - Marenghi -Mezzano - Molino Nuovo Superiore -Molino Nuovo Inferiore - Molino Vec -chio - Monferrina - Nonini - Orbe - Orti -glieto - Perranda - Ponte - Romito - Ruta- Serone - Scuglia Inferiore - Scu gliaSuperiore - Vigna .

Tuttavia alcune masserie, nel corsodel plurisecolare periodo di tempo, ces-sarono di fare parte del comprensorioper alienazioni dovute probabilmenteall’eccessiva o malagevole distanza daBadia, per l’improduttività dei terreni,per rettifiche di confini oppure sempli-cemente per l’avanzato degrado o demo-lizione del fabbricato da parte di razzia-tori di materiale da costruzione. Pertantonon si esclude che l’elenco possa essereemendato in base a risultanze di futurericerche.

Ora tra le “multas cassinas” cheancora oggi compongono il patrimoniofondiario di Badia va citata, prima fratutte, Gattazzé (forse inorigine “Ga tasca”, “Gat -taz zaro” o “Gattaz zera”),anche se impropriamentepoiché non si trattò mai diuna comune casa colonicama di una signorile palaz-zina di caccia, coronata dauna cappella gentilizia apianta circolare e da unrustico abitato da coloni,posta ad alcuni chilometria sud-est del complessomonastico ad una quota dipoco superiore ai settecen-to metri. Le origini del

complesso si perdono nella notte deitempi poiché tradizione vuole che gliantichi re longobardi, lasciate le assola-te pianure per cacciare tra queste alturecoperte da boschi freschi e ricchissimi diselvaggina, erigessero un primo fabbri-cato. Citata una prima volta in un testa-mento dei primi del Settecento, la strut-tura civile, in pietra, si presentava comeuna costruzione a due piani più unampio sottotetto utilizzabile come unagrande soffitta. Infatti il tetto in scando-le era particolarmente rilevato ma la suavasta capienza venne incautamente(come vedremo) adibita a fienile all’in-saputa della Proprietà.

In particolare l’edificio era compostoda un salone, da una sala da pranzo, daun salottino foderato in pitch-pine, dasei camere padronali e da un grandeatrio con diversi armadi che conteneva-no anche gli arredi della sacrestia. Iltutto ammobiliato con eleganza e corre-dato persino da una spinetta, strumentomusicale a tastiera talvolta incorporatoin un vero e proprio tavolo, trasportatasin lassù con chi sa quante fatiche.

Ma una scintilla scaturita dall’im -prudente utilizzo, da parte di un colo-no, di una stufa all’aperto in una ven-tosa giornata estiva attorno al 1950scatenò un incendio devastante tantoche “Il rogo delle due case, abitazionecivile e rustico, fu visto per chilometri:ne rosseggiò la notte come quandobombardavano Genova”. (C. SalvagoRaggi op. cit.)

Non rimasero che le mura annerite a

testimonianza di un irripetibile passato.Ma se non altro oggi sopravvivono gliamari ricordi della scrittrice- proprie -taria: “Della sorte della casa padronale,o “palazzo”, invece, non importava mo -lto a nessuno; se non per suscitare, inchi l’aveva bazzicata, un rigurgito diricordi. Si riparlò del salottino rivestitodi pitch-pine; si rispolverò la leggendadelle fiammelle che si accendevano suivestiti e sulla biancheria; della spinettache nelle notti di luna piena si metteva asuonare da sola.

Anche i soggiorni dei marchesi era -no diventati leggenda. La marchesa Ca -milla col suo Parisino, il vecchio mar -chese Paris, la “terribile” marchesaGio vanna. Quanto l’ultimo marchese,l’Ec cellenza, pochi ricordano di averce-lo mai visto. Quando non era all’esteroera a Roma, o a Badia: ci passava qual-che settimana d’estate, ma non si muo-veva di lì. Così che Gattazzè aveva fini-to per essere considerata, più che il“palazzo”, un’appendice della casa diMatlin (l’anziano colono che risiedevanel rustico, ndr). (Camilla Salvago Rag -gi op. cit.)

Molto più semplice il carattere dellecostruzioni adibite ad abitazione per icoloni. Lo stile è quello classico dellecase di campagna dell’entroterra liguredelle province di Genova o di Savonacostituite da un edificio, generalmente adue piani - raramente a tre -, di formarettangolare oppure quadrato o al massi-mo composto da due fabbricati accosta-ti ad angolo retto tra di loro in modo da

ricavare una piccola corte.Le cucine sono poste al

piano terreno accanto alla stal-la ed in genere il fienile èinglobato nella casa. Il mate-riale usato per la costruzione ègeneralmente la pietra viva,raramente perfettamente squa-drata, mista a mattoni fissaticon calce o fango.

La pavimentazione delpiano terra è in genere costitui-ta da pietre talvolta miste apiastrelle in cotto e terra battu-ta. Molto utilizzato il legno perla costruzione di ballatoi e per

A pag. 58, incontro con il pastoredavanti alla cascina Mulinosuperiore

A pag. 59, Badia di Tiglieto, inuna foto di Camilla PallavicinoSalvago Raggi (1892)

Nella pag. a lato, in posa davantial Gattazzé, palazzina di caccia

in questa pagina in basso, le rovine di Gattazzé dopol’incendio che distrusse la dimora

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gli architravidelle porte diaccesso e dellefinestre e perl’ossatura deltetto a spioven-ti coperti dascandole (tavo-lette di legno),tegole o lastredi ardesia.

Alcune cas-sinas, come lasciano chia ramente intuirele loro denominazioni, sono assai anti-che poiché si possono fare risalire alleprime opere eseguite dai monaci come il“Molino Vecchio” o la “Fornace”.

Infatti i Cistercensi sin dal loro arri-vo ebbero necessità di macinare i cerea-li e quindi possiamo presumere chel’erezione di un mulino presso l’anticocorso dell’Orba abbia avuto una partico-lare priorità. Esistenza riscontrabile indiversi riferimenti cartografici ed inalcune citazioni come in un documentoredatto in occasione di una disputa tra icomuni di Sassello e Ponzone nel 1578.L’attività molitoria proseguì sino al1782 ossia sino a quando non vennedeviato il corso dell’Orba per cui la pri-mitiva sede venne abbandonata e venne-ro costruiti il “Mulino Superiore” ed il“Mulino Inferiore” mossi dalle acque diun nuovo bedale di captazione.

La “Fornace” è un’ulteriore provadella laboriosità cistercense poiché inquesto fabbricato o nelle immediate per-tinenze venivano cotti i mattoni destina-ti alla costruzione della chiesa e le altreopere conventuali. In vero durante unrestauro a Badia, verso il 1950, vennerocondotti alcuni esperimenti che provaro-no in modo inequivocabile come molteparti del complesso monastico venneroerette utilizzando mattoni prodotti inloco. La struttura medioevale, ancora infunzione nel 1578 secondo un documen-to conservato presso l’Archivio di Statodi Torino, si ergeva sulle sponde di unpiccolo corso d’acqua, oggi conosciutocome “Rio della Fornace”, ove attual-mente si trova la casa colonica di epocapiù tarda (probabilmente settecentesca).

La “Ferriera” risaliva invece al 1673

quando il marchese Gio Antonio Raggifece costruire l’edificio per la lavorazio-ne del minerale estratto dalle miniereelbane e sbarcato a Voltri(5). Il fabbrica-to era di ampie proporzioni e sul lato sudconfinava con un più modesto edificioin origine molto probabilmente destina-to ad ospitare un maglietto. A fine Ot -tocento un’eccezionale documento foto-grafico dell’Archivio Salvago Raggi celo mostra ancora in un ottimo stato diconservazione. Un fabbricato con muriin pietra vagamente sgrossate e miste amattoni: alto e lungo con un grande tettoa due falde di cui quella volta a ponentescendeva, in piccola parte, quasi sino aterra. La facciata a sud presentava duegrandi finestre sovrastanti il tetto delmaglietto, rimaneggiato alla chiusuradella ferriera e adibito ad abitazione peri coloni ricavando due piani ed un sotto-tetto. Anzi per un certo periodo ospitòun’osteria. Ma nella seconda metà delsecolo scorso, più precisamente verso il1960, per non aver voluto deviare dipochi metri il tracciato di una nuovastrada destinata a collegare Badia conOrbicella, il complesso venne demolito.Così andò imperdonabilmente perdutoun importante esempio di ferrieraseicentesca dell’en troterra ligure giuntasino a noi quasi intatta.

I “Giorgi”, posta leggermente a sud-ovest di Badia ad una quota di 500metri, invece è una costruzione che sidistacca in modo particolare dalle altrecase coloniche. Già il tetto a padiglione,unico nel comprensorio a parte quello di“Gattazzé”, fa sorgere il sospetto chel’edificio sia stato costruito o rimaneg-giato nello stesso periodo e dalle stessemaestranze che ampliarono o ristruttura-rono la palazzina di caccia.

La MarchesaCamilla la con-sidera come“...la cascinapiù bella di tut -te. La più magi-ca: quel suotetto a padiglio-ne che le da unche di nordico,quasi breughe-liano”.

Una citazione speciale merita anchela Dexolo (in dialetto D’ geu) che perassonanza può essere identificata nella“Grangia de gexiolio” citata in un docu-mento del XIII secolo unitamente alla“Grangia de ortigheto” che vedremo piùavanti. Oggi non esiste traccia dellamasseria Dexolo sebbene la secolarecostruzione a due piani fosse stata erettacon pietre accuratamente squadrate, dif-ficilmente riscontrabili nelle rimanentimasserie, come documenta una provvi-denziale fotografia. (6) Data alle fiam-me durante la Seconda Guerra Mon -diale, in quel nebuloso periodo vennetacitamente demolita e quelle belle pie-tre riutilizzate in altre costruzioni. Fattonon nuovo in queste zone poiché anchel’antico convento femminile di Bano, diosservanza cistercense, eretto verso ilXII secolo sul versante settentrionaledel monte Colma presso Tagliolo Mon -ferrato, di cui oggi esistono solo le fon-damenta e rare vestigia, a partire dal1469, anno in cui le monache si trasferi-rono nel più sicuro convento di Sez -zadio, venne progressivamente depreda-to di mattoni, pietre, travi, coppi ed in -fissi.

Tuttavia la presenza ed i ricordilasciati dalla cascina Dexolo paionoriaffiorare tuttora nella composizionepoetica “Prima dei rovi” della MarchesaCamilla:

La casa non c’è più:resta il tracciato nell’erba pestapreistorico repertodi un’epoca che fuora non è trent’anni.Rovi dalle unghie adunchemi tirano la veste

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per ricordarmi dov’era la scalae la cucinail lavandino consuntoil secchio, il mestolo, il catinoin maiolica sbreccatail tavolino dove sedevo ad ascoltare la vecchiamentre mi sciorinava i suoi malannimetà in dialetto metà in un suo italiano

(i bambini]celavano risa soffocatenel palmo della mano).Veniva dalla stalla (due pecore unamucca)afrore di letame. Preistoria. E la cicalaoggiimpazzita di calurachiama tra i pini pioggia e presenze.Chiama ricordi che io sola sogrumi di sangue antico che l’erta tra le erichee i ginepri va poco a poco sciogliendo.

Ringiovanisco]nell’aria finee il cardo è i miei vent’anniè i miei vent’anni l’aquila realeplanante sopra ai picchi. E i succhi d’erbasono gli stessi di allora e come allorami sega il palmo il loro stelo tenace.Silenzio e pace e le mute presenzedi chi ha abitato qui prima dei rovi e

delle ortiche]e oggi come me si aggira in cerca di un passatoche è come dire di una sopravvivenza.La morte è tale solo in quanto assenza.

Altra casa colonica con una storiasecolare è l’“Ortiglieto”, toponimo tut-tora esistente tanto che la famosa diga diBric Zerbino è conosciuta soprattuttocome “Diga di Ortiglieto”. Anticamenteera una grangia di Badia di una certaimportanza tanto che Dominus RufinusGutuerius, Podestà di Pavia, in una suaordinanza dell’8 Dicembre 1273 desti-nata al capitano dei cavallandi (7), conla quale concedeva la salvaguardia almonastero di Tiglieto e alle sue dipen-denze, la citò, come si è già detto, conla denominazione di “Grangia de orti-gheto”.(8)

Anche il Casalis (9) la ricorda nelsuo Dizionario ponendola “…tra ilmonastero e le Mollare …” e la descrivecome ormai ridotta in rovine sebbeneavesse conosciuto tempi di gran lunga

migliori in quanto, secondo lo storico,per un certo periodo era stata utilizzatacome sede conventuale dei novizi. Ma lavita di questa masseria, posta sulla rivasinistra dell’Orba su un piccolo pianoroai piedi delle colline dominate dalla fra-zione S. Luca e confinante con la stradache da Molare porta ad Orbicella, nonterminò così ingloriosamente: i SalvagoRaggi la fecero riattare e solo negli ulti-mi decenni del Novecento cessò di fareparte del comprensorio.

Il ponte medioevale a quattro arcatedisuguali in stile romanico invece èl’opera più imponente dopo l’interocomplesso monastico. Nel corso deisecoli svolse l’importante funzione diconsentire un agevole transito non soloai residenti di Badia ma anche ai vian-danti ed alle soldatesche provenienti odirette verso Sassello.

Ma non bisogna dimenticare che ilponte era di fondamentale importanzaper le “vie del sale” poiché era utilizza-to da due di questi percorsi commercia-li. Il primo dipartiva da Voltri e consiste-va in una mulattiera che saliva aCanellona, costeggiava il Bric delDente, attraversava il Passo del Faiallo equindi scendeva verso Badia. A testimo-nianza di tali traffici nei pressi del Denteesistono ancora i resti di un fabbricato,localmente conosciuto come “saea”(saliera) in quanto veniva utilizzatocome deposito dei sali in transito per laVal d’Orba.

La seconda via, più eccentrica, inve-ce dipartiva da Albissola, saliva al Colledel Giovo, attraversava Sassello, Palo,S. Pietro, Martina ed Acquabuona per

calare infine a Badia utilizzando il per-corso che i locali chiamavano appunto la“strada del sale”.

Di questo ponte medioevale, ma chesecondo alcuni potrebbe essere statoedificato su strutture ancora più antiche,spicca in particolare l’arcata “centrale”più ampia, alta e sottile rispetto allerimanenti per cui il piano viabile presen-ta inevitabilmente un leggero dosso.Sulla sponda sinistra, nel manufattovenne ricavata un’apertura con volta adarco, probabilmente su iniziativa deiRaggi, per consentire il passaggio di unacondotta successivamente rimasta inuti-lizzata. I materiali impiegati per lacostruzione o per procedere alle nume-rose riparazioni eseguite nel corso deisecoli per rimediare ai danni apportatidalle piene dell’Orba, sono i più svaria-ti. Tuttavia le pietre estratte dal greto deltorrente e talvolta rozzamente squadratesono comunemente utilizzate unitamen-te a corsi di mattoni.

Il marchese Giovanni Antonio Raggiiniziò i lavori di restauro più importantiche si protrassero tra il 1667, comericorda una lapide posta sul ponte, ed il1672, data in cui vennero rimosse leimpalcature alle arcate secondo una notaspese dell’Archivio Salvago Raggi.

Le numerose piene dell’Orba che tal-volta allagavano la piana di Badia indus-sero, nel 1782, il marchese Giulio Raggia fare intraprendere sostanziali lavoriper deviare il corso naturale del torrente.Venne perforata una collina per aprireuna galleria che in seguito crollò per laforte erosione delle acque torrentizieincanalate in tale grandiosa condotta.Sito ancora oggi facilmente localizzabi-le poiché l’altura interessata dalla perfo-razione presenta una larga fenditura acielo aperto in cui il corso d’acqua hatrovato una sede definitiva.

Ovviamente il nuovo corso reseinservibile il primitivo mulino ed insostituzione vennero eretti due nuovifabbricati denominati rispettivamente“Mulino Nuovo Superiore” e “MulinoNuovo Inferiore” collegati al torrentecon una apposita canalizzazione.

Un ulteriore aspetto dell’abilità ma -gistrale con la quale i Monaci Bianchi

Nella pag. a lato, cascina “i Giorgi”

In basso, cascina Dexolo

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regolavano il deflusso delleacque è la rete idricacostruita per i drenaggi ol’irrigazione dei campi e lecondotte per gli usi quoti-diani della comunità.

Attualmente poco èrimasto dei nu me rosi fossa-ti e canali però le maggioriingiurie del tempo le subiro-no le condotte andate perdute a causadel crollo delle volte in mattoni.

Anzi secondo il Dizionario delCasalis esisteva anche una tubatura inpiombo, lunga circa un miglio, che por-tava alle opere abbaziali l’acqua purasgor gante da una sorgente posta sui fian-chi del Monte Lajone. Ma secondo lostorico la condotta andò perduta poiché icoloni dei Marchesi Raggi ne depreda-rono il pregiato metallo.

Tuttavia il canale più importante,oggi in gran parte interrato, era il“Canale della Ferriera” costruito conte-stualmente all’erezione del fabbricatodestinato alla lavorazione del minerale.Infatti la canalizzazione captava l’acquadell’Orba in un punto poco a monte delponte, attraversava il viadotto e dopoun’ampia curva si incuneava perpendi-colarmente sotto il fabbricato della fer-riera nel punto in cui quest’ultima confi-nava con il maglietto, provocando la“tromba eolica” (10) e fornendo acquanecessaria alle varie lavorazioni.Quindi la condotta, uscita all’aperto,proseguiva confluendo nel RioPontetto (oggi Rio Fornace) che a suavolta, dopo un sinuoso percorso, ripor-tava l’acqua al torrente.

Anche la “via delle processioni” nelcorso dei secoli ebbe una sua importan-za poiché, nel 1634, Badia era stata eret-ta a Parrocchia cui faceva capo un vastoterritorio che comprendeva parti delleprovince di Genova, Savona ed Alessan -dria. Sede parrocchiale sulla quale gra-vava l’obbligo di versare alla diocesi diAcqui un tributo annuale di “un moggiodi buon grano, giusto la misura diOvada al tempo delle messi” e di “quat-tro libbre di cera”(11). Per motivi sco-nosciuti l’istituzione ebbe breve duratama l’attività di culto proseguì ininterrot-

ta grazie alla presenza di un vicario sinoal 1929, anno in cui ritornò ad essereufficialmente una parrocchia, per cessa-re definitivamente nel 1933 quandovenne inaugurata la nuova chiesa inlocalità Montecalvo.

Il percorso utilizzato in occasionedelle ricorrenze liturgiche si snodava dalsagrato della chiesa per raggiungere lacappelletta presso il Mulino Nuovo;quin di, dopo avere imboccato la stradaper la Cà Nova, transitava sull’aia dellaanzidetta fattoria e raggiungeva laFerriera dalla quale, percorrendo l’omo -ni ma strada, le processioni rientravanoin chiesa.

La processione più importante “..Aveva luogo il giorno dell’Assunta, cioèla festa massima del paese: essendoMaria Assunta, cui la chiesa era dedica-ta, Patrona di Badia. La bella statua inmarmo che adornava l’altar maggiore(oggi è a Tiglieto, nel brutto chiesonenuovo, così grande che sembra vuotoanche quando è pieno di villeggianti) laritraeva, in quella veste, sopra nuvole aricciolo e con un piede sulla testa delserpente.

Festa grande, dunque, con quelmisto di sacro e di profano che è propriodi tutte le sagre paesane. Una folla digente, preti a non finire, gli uomini delleconfraternite con le mantelline arabe-scate, i giovani che si davano i turni perportare il crocifisso: quest’onore che sidisputavano da sempre quelli di Badia equelli delle frazioni vicine, tant’è veroche il più delle volte finiva a botte”.(Camilla Salvago Raggi op.cit.).

Infine si potrebbe considerare operaminore la “neviera” sebbene sia unaviva testimonianza di quanto venivafatto per agevolare le esigenze della vitaquotidiana della comunità e la sua pre-senza desse il nome alla “Strada della

Neviera” che dipartendodal cortile della Cà Novaraggiungeva la Strada delPontetto. La cavità presentauna struttura circolare,costituita da pietre raccoltesul greto dell’Orba, nellaquale venivano depositati ilghiaccio e la neve per laconservazione di alimenti

protetti da uno strato di foglie in funzio-ne di scudo termico. Il diametro rag-guardevole del manufatto induce a cre-dere che servisse per un consistentenumero di monaci che il Casalis ritieneammontanti a circa cento ed a cui sidovrebbero aggiungere i conversi ed ifamuli. Valutazione attendibile poichéad esempio, il 3 giugno 1253, per rifor-nire adeguatamente il monastero e le suegrangie di sali alimentari, frate Pietro, ilcellario, ne dovette acquistare con unsolo ordinativo cento mine ossia circa 70quintali. (12)

Ma esisteva anche un secondoimpianto simile alla neviera sebbene didimensioni minori. Più semplicementeuna vera e propria vasca, alimentata dauna sorgente, destinata all’allevamento econservazione dei pesci. Ulteriore testi-monianza di quanto fosse autosufficien-te il cenobio.

Oggi non solo il ristretto complessoabbaziale di Badia ma l’intero compren-sorio ci è stato tramandato miracolosa-mente integro. Ville e villette a schieranon sono riuscite a superarne i confini oha spuntare come funghi sulle alture checoronano strettamente la piana. Meritoindiscutibile della Marchesa Camilla,dell’Amministrazione Comunale diTiglieto, della Provincia di Genova, e,certamente non ultima, della Soprin -tendenza ai Beni Ambientali e Archi -tettonici della Liguria che hanno gestitoil territorio con amorevole previdenza.

Anche il rientro, nel 2001, dei Cister -censi nella loro antica abbazia, ora re -staurata, sembra un provvidenziale dise-gno che favorevolmente incide sui desti-ni di questo sito che, sebbene presentiuna semplicità architettonica per linee evolumetria così lontana, ad esempio, daltracotante trionfo del barocco riscontra-

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bile nell’abbazia benedettina di Melk,sulle rive del Danubio, assurge ugual-mente a complesso di indiscutibile pregio.

NOTE(1) San Colombano: Saint Colman o

S.Colum (in gaelico) monaco, abate e missio-nario nacque a Navan, cittadina della contea diLeinster nell’Irlanda centro-orientale verso il543, probabilmente in una famiglia nobile dacui ricevette una buona istruzione. Sebbeneappena quindicenne e contro la volontà mater-na volle entrare nel monastero di Clinish Islandsituato sull’isola di Cleen dei laghi Lough Erneper divenire monaco sotto la guida della abateSinneil. Qui il futuro Santo studiò le SacreScritture e probabilmente conobbe autori latinicome Seneca, Virgilio, Orazio e Ovidio. Quindiproseguì la propria formazione sotto SaintComgall, il fondatore della celebre Abbazia diBangor nel golfo di Belfast. Quivi S.Colombano visse alcuni anni non solo comeallievo ma anche come insegnante nella scuolamonastica. Verso il 590 si recò in Cornovagliaed in Gallia ove con dodici confratelli fondò imonasteri di Annrgray, Luxeuil e Fontaines.Sempre a San Colombano vanno attribuite lefondazioni dei monasteri di Remiremont,Rebais, Jumiéges, Noirmoutier, Saint-Omer ea Bregenz sul lago di Costanza. Nel 612 si recòa Roma per ottenere l’approvazione della pro-pria Regola e nel 614 giunse a Bobbio, pressoPiacenza, ove fondò l’insigne Monastero dalquale in seguito si irradiarononuove fondazioni nell’areanord-occidentale italica.Decedette in Bobbio il 23novembre 615 e la sua tombasi trova tuttora nella criptadell’Abbazia.

(2) Nel Basso Medioevol’attività di controllo di passio vallate affidata a monaci oad una diocesi non era insoli-ta. Ad esempio verso l’anno580 per volontà del re bur-gundo Gontranno, i vescovidi Torino cedettero la Valle diSusa e la Valle dellaMaurienne per formare unanuova diocesi con sede inSaint Jean de Mauriennecomprendente la Valledell’Arc, la Valle della Caréee la Valle di Susa. A sua voltaTomaso I, vescovo della dio-cesi di Saint Jean deMaurienne, assegnòl’incarico di controllo sullaValle di Susa alla chiesa diSanta Maria Maggiore di que-

st’ultima località. Successivamente nel 726 ilnobile merovingio Abbone, governatore francodell’Alta Valle di Susa e della Maurienne, dis-pose che in Val Cenischia, ai piedi del versan-te orientale dell’importantissimo passo delMoncenisio che consentiva le comunicazionitra le Gallie e la Valle Padana, venisse erettal’Abbazia benedettina della Novalesa, che inseguito divenne un rilevante centro di culturae vigile presidio del valico contro possibiliinvasori.

(3) Pietro de La Ferté: ( n. seconda metàdell’XI secolo – m. 1140) legato da grandeamicizia a S. Bernardo di Clairvaux ed a S.Stefano Harding, fu uno dei primi monacidell’Ordine Cistercense ed il primo a riceverel’ordinazione episcopale. Nel 1113 fondòl’abbazia di La Ferté della diocesi di Chalonssur Saone divenendone priore ed abate. Quindiverso il 1120 fondò l’abbazia di Tiglieto, primacomunità cistercense al di fuori del territoriofrancese, e quattro anni dopo quella di Lucedionei pressi di Vercelli. Successivamente rag-giunta la Tarentaise, sub regione della Savoia,divenne vescovo dell’antica cittadina diMoutiers (alta valle dell’Isere) ed ebbe comediocesi suffraganee Aosta e Sion sebbene fos-sero separate dalla catena alpina.

(4) S. Bernardo di Clairvaux: abate e dot-tore della Chiesa è una delle maggiori figuredella cristianità occidentale. Nacque aFontaines, un castello vicino a Digione, nel1090 da Tescelino Sorrel, signore di alcuneproprietà feudali in Burgundia e Champagne, eda Aletta, parente dei Duchi di Burgundia.

Studiò presso i canonici secolari di Chatillonsur Seine e nel 1112 entrò nel monastero diCiteaux, il primo di quella stretta osservanzabenedettina, denominata “cistercense”, fondatoda Roberto di Molesmes allo scopo di seguirerigorosamente la Regola di S. Benedetto. Nel1115 l’abate S. Stefano Harding chiese aBernardo di trovare un luogo per una nuovacomunità e questi con dodici monaci fondò unmonastero nella selvaggia Clairvoux, destinatoad essere uno dei maggiori centri cistercensi,divenendone abate. Assurse a personaggioinfluente del monachesimo in tutta Europa nelcampo dottrinale, etico ed in altre disciplinerimanendo sempre fedele ai canoni cistercensi.Ad esempio in architettura propugnò la costru-zione di chiese austere, senza torri e cappellesporgenti, con capitelli poco ornati e la sempli-ce proporzione di due a uno tra la navata cen-trale e le laterali. Quando il 20 agosto 1153morì a Clairvoux tale monastero contava sette-cento monaci ed in Europa esistevano circaquattrocento monasteri cistercensi.

In particolare per quanto concerne il sog-giorno di S. Bernardo a Tiglieto vedasi anche:P. Ottonello “Dai Cistercensi ai Raggi” nota n.139 pag. 52 in “Badia di Tiglieto 1120 - 2001”(opera citata).

(5) Vedasi in «URBS» n. 1, Marzo 2009,Anno XXII, pp. 19-29.

(6) Vedasi il volume di Camilla SalvagoRaggi, Le case della memoria, pagina 48.

(7) Cavallandi: formazioni a carattere mili-tare che probabilmente diedero origine alle“compagnie di ventura”.

(8) Documento CXXIXpag. 342 del volume Carteinedite e sparse del Mona -stero di Tiglieto (1127 -1341) (Op. cit.) : «Anno ana tiuitate domini millesimoducentesimo septuagesimotercio.Judicione prima.diegeneris otuao mensis decem-bris. Jn palacio nouo comu-nis papie. Dominus Ru[finusgutu]erius papie potestasuniuersis capitaneis caualca-torum et caualcatoribus etceteris personis quibus pre-sens Jnstrumentum fueritpresentatum salutem.Ten[ore presentis instru] -men ti vobis volumus essenotum nos auctoritate consi-lii generalis mille credenda-riorum Comunis papie.etipsum consilium dedisse libe-ram et tutam fi[danciam inbonis] et personis et Rebusmonasterio Sancte Marie deTilieto ordinis Cistercensis etomnibus grangiis suis ubi-

Nella pag. a lato, cascina“Ortiglieto”

In basso, il così detto pontemedievale

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cumque sint. GrancieCuius monasterii [sunt iste.Grangia de circ]camundo.domus de bosci, Molen -dinum de bosco. GrangiaCastri ueteris. Grangia decampali. Grangia de orti-gheto. […]. Grangia degexiolio. Grangia de Ron -dinino.et colonis et massa-riis. mercenariis et labora-toribus dieti monasterii etpredie[tis personis] boniset Rebus ipsius monasteriiet grangiarum u(i)bicumquesint.unde vobis et cuilibet vestrum districte pre-cipiendo mandamus in debito Ju[ris in pena] ethanno personarum et aueris iuxta nostri arbi-trii noluntatem quatinus dictum monasteriumsiue grangias nec colonos siue massarios vellabora[tores et mercenarios] seu alicuiusipso-rum bona offendere nullatenus presumatis.Ubicumqueipsa bona sint.siquis autem hocnostrum mandatum attentare presumpserit nelcontruenire indignationem nostram et comunispapie et nostrum bannum grauissimus se noue-rit Jncursurum. Ad cuius rei euidenciam utnostrum mandatum melius seruaretur presensin[strumentum fieri Jussimus] presentitus testi-bus (sic) henrico de sancto petro canonicosancti Theodori.

Ego Aeditus uaca notarius Comunis papiehanc Cartulam scripsi.

Ego Boninus louatus sacri palacii notariushanc cartam iussu istius (sic) Arditi scripsi. =

(9) Goffredo Casalis: (n. Saluzzo 1781 - m.Torino1856) letterato ed insigne studioso distoria e di economia; di umili origini fu avvia-to alla vita ecclesiastica. Dopo avere frequenta-to il Seminario di Saluzzo seguì i corsidell’Università di Torino in cui ottenne il diplo-ma di professore di retorica e la laurea in “bellelettere”. Scrisse numerose ed importanti operetra le quali spicca il “Dizionario geografico sto-rico statistico commerciale degli Stati di SuaMaestà il Re di Sardegna” redatto col supportodel Ministero dell’Interno sabaudo che lo auto-rizzò ad ottenere le informazioni storiche, geo-grafiche, economiche e statistiche direttamentedai Comuni e dalle Intendenze del Regno.

(10) “Tromba eolica”: inventata in Italiaverso la metà del XVI secolo, consisteva in unacondotta d’acqua che alimentava una camerad’aria chiusa dalla quale l’aria veniva espulsa econvogliata mediante un tubo al forno fusorio.Sembra che Giambattista Della Porta (1588)abbia menzionato per primo questo sistema peraverlo visto in funzione a Roma.

Vedasi anche in “URBS” - Anno XXII - n.1 - Marzo 2009 -, Forge, maglietti e ferrieredell’Oltregiogo, di P.G. Fassino - pag. 19 eseguenti.

(11) vedasi G. Casalis “DizionarioStatistico Commerciale ecc….(voce :Tiglieto)”op. cit. .

(12) Cellario: in origine era il monacoaddetto alla custodia e distribuzione degli ali-menti ma nel corso dei secoli divenne la figurache curava non solo gli acquisti dei generinecessari alla vita quotidiana dei confratelli maanche l’amministrazione dei beni del monaste-ro e quindi quale “Legale rappresentante” intaluni atti viene indicato anche come “syndi-cus”.

Doc. CX pag. 323 - volume “Carte ineditee sparse del Monastero di Tiglieto (1127 -1341)”in cui Marchisio Porco, di Pegli, il 3giugno 1253 rilascia a frate Pietro, cellario delMonastero di Tiglieto, una ricevuta per unasomma di denaro affidatagli per l’acquisto disali per la Badia: “… Renunciando exceptioninon numerate et non recepte [pecunie] de qui-bus debeo et promitto tibi emere vel facerecomperari apud erras minas Centum pro ipsomonasterio et pro us(s)is monasterii dicti etillud sale defferri …”.

Per quanto concerne la misura di capacità,citata nella predetta ricevuta, è stata presa inconsiderazione la Mina (genovese) del 1264che utilizzata per il grano equivaleva a chilo-grammi 71,474.

BibliografiaCamilla Salvago Raggi. Le case della

memoria, De Ferrari & Devega S.r.l. Ed. -Genova 2003.

Camilla Salvago Raggi, Prima del fuoco,De Ferrari Edit. – Genova 2002.

Camilla Salvago Raggi, Album contenentequarantacinque fotografie delle case colonichee della flora di Badia scattate dall’Autrice, -documentazione risalente attorno al 1960attualmente in custodia presso l’Archiviodell’Accademia Urbense di Ovada.

Camilla Salvago Raggi, L’ultimo sole sulprato, Longanesi & Co. Ed. - Milano 1982.

F. Guasco di Bisio, F. Gabotto, A. Pesce,Carte inedite e sparse del MONASTERO diTIGLIETO (1127 - 1341), Torino (Tortona, Tip.

San Giuseppe 1923). Goffredo Casalis,

Dizionario geograficostorico statistico com-merciale degll Stati diS.M. il Re di Sardegna,Torino 1834-1835 (par -te dedicata al Comunedi Tiglieto esistente incopia fotostatica c/oArchivio AccademiaUr bense - n. 127).

Giorgio Doria,Nell’area del castagnosulla montagna ligure:

un’azienda tra la metà del Seicento e la fine delSettecento, in Studi di Storia Economica (1) -Nobiltà e investimenti a Genova in EtàModerna – Istituto di Storia Economicadell’Università di Genova – 1995 – da pag. 327a pag. 344.

Piero Ottonello, I Cistercensi di Tiglieto –Mille anni di storia e di culto in Valle d’Orba,Ed. Redazione S.r.l. – Genova 2008.

Simone Repetto (a cura), Badia di Tiglieto1120 – 2001, … la storia ricomincia, ComunitàMontana Valli Stura e Orba – AccademiaUrbense – 2001.

Giovanni Meriana e Camillo Manzitti, LeValli del Lemme, dello Stura e dell’Orba - ilpatrimonio naturale e artistico-, prefazione diMarcello Venturi, Sagep Edit. – Genova 1975.

Massimo Calissano, Franco Paolo Olivieri,Giovanni Ponte, Atlante Toponomastico delleValli Stura e Orba, Ed. Grafica Ovadese –Ovada 1999.

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Aldo e Vittorio Laura, L’Alta Valle d’Orbain viaggio, Ed. Compagnia dei Librai – Genova1997.

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Antonio Pesce, Incisioni all’acquaforte,Stampa Tipolitografia Carlini - Genova 1990.

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Luigi Gemma, in una lettura presen -tata all’inaugurazione della SocietàOperaia di Verona, così affrontava iltema dell’associazionismo femminile:

«Non posso (…) non esprimere ildesiderio che le donne abbiano a co -stituirsi, ad esempio d’altri paesi, inSocietà separata da quella degli uo -mini». (F. Luigi Gemma, Le Società diMutuo Soccorso, Firenze, Editori dellaScienza, 1867).

Dieci anni dopo Cesare Revel, ap -passionato sostenitore del mutualismo,era convinto che fosse un diritto quellodelle lavoratrici di costituirsi in sodali -zio:

«(…) e per esser veritieri non dob -biamo tacere che i sodalizi italiani fu -rono degli ultimi a riconoscere alladonna il sacrosanto diritto che le spettadi prendere parte a quei consorzi di cuisono anima e vita, e tale esclusione de -vesi attribuire al poco conto in cui siteneva quell’essere delicato e gentile,creduto incapace di apprezzare il va loredel risparmio e della previdenza, di eser-citare quella virtù in cui maestra è ladonna, e con la più fragrante delle ingiu-stizie ne pronunciarono la non an -nessione, quando più d’ogni altro avevail diritto di ricercare i conforti derivantidalla mutualità; e se lo stato di civiltà diuna nazione si desume dalla condi zionein cui è tenuta la donna, dal modo ond’ètrattata, dovremmo vergognarci di averesitato a dare accesso a colei che madresposa e sorella ci è larga di tante cure esollecitudini, ed è la più grande nostraconsolatrice sulla terra». (C.Revel, DelMutuo Soccorso fra le classi Lavo ra -trici in Italia, Torino, Borgarelli, 1887,pag.49 e 50).

Perché queste due citazioni? Perchésono emblematiche nell’annotare il ri -tardo del nostro paese rispetto ad altrinel costituirsi in Società in senso mo -derno (la patria delle SMS fu l’Inghil -terra, a partire dal 1750) e per ché, peruna volta, il riconoscimento di un dirit-to ignorato è espresso da uomini.All’epoca, la legislazione vigente dipin -geva fedelmente il ruolo sociale delladonna, la cui arretratezza culturale e lecondizioni penose di lavoro contribui -

vano a mantenere inalterato.Nel 1865 il Codice Civile sosteneva

che le donne erano incapaci di contrat -tare, al pari dei minori, degli interdetti edegli inabilitati. Stabiliva anche che «lamoglie non può donare, chiedere beniimmobili, sottoporli ad ipoteca, con -trarre mutui, cedere o riscuotere capi tali,costituire società (…) senzal’autorizzazione del marito». In ag -giunta, il Codice del Commercio (L. 2Aprile 1882, n.681) vietava alla donnadi entrare in società commerciali senzal’autorizzazione speciale del marito odel tribunale (Art.13). Insomma era pra-ticamente privata dei diritti civili: anchein ciò si può individuare un osta colo siaall’ingresso a pieno titolo nelle SMSmaschili, sia di costituirsi in So cietàautonome.

Il Regolamento della «Società Cat -tolica Agricola Operaia di N.S. dellaParrocchia di S. Lorenzo» di Ovada(1905), affiliata alla Federazione Ope -raia Cattolica Ligure, prevede, all’Art.7, che «potranno essere ammessi comesoci Benemeriti e Onorari anche per sonedi sesso femminile, ma senza di rittod’intervenire nel locale della So cietà néprendere parte alle gite sociali dellamedesima: godranno però degli utili spi-rituali». (Clara Sestilli: Patrie e Pie isti-tuzionie associazionismo dei la voratoriall’indomani dell’unità d’Italia a

Ovada. URBS, anno III, n.4, 1990.). Edanche nei So dalizi non cattolici, soprat-tutto nelle piccole comunità, lo spiritoche ani mava l’articolazione degli Statutinon si distanziava di molto da questainterpre tazione del mondo femminile.La vo rare, sacrificarsi, sostenere, abban -donare velleità di autogestione,questo sìera dovuto, e poteva succedere di tro -varsi a contribuire con la ragguardevolecifra di 500 lire alla realizzazione delmagazzino della consorella Società ma -schile, non potendo amministrarne inproprio: Caselle Torinese, anni ‘80 del -l’Ot tocento.

In questo contesto generale sorgonole SMS femminili le cui finalità preva -lenti consistono in contributi in caso dimalattia, puerperio, baliatico, sostegnoalle vedove e agli orfani, mentre la for -mazione culturale si fonda principal -mente sul rafforzamento della figuratradizionale della donna, dedita alla fa -miglia e osservante della morale cri -stiana cui tutta la società si ispira. Pa -tronesse, soci influenti, onorari, bene -meriti garantivano il controllo delle So -cietà piemontesi, prevalentemente con -servatrici e fedeli alla monarchia.

Appare dunque assai preziosa e de -gna l’opera di chi sentiva il ruolo edu -cativo come missione culturale e ri scattosociale: le maestrine, che umil mente siprodigavano nelle campagne; le primefemministe, che consideravano la batta-glia per l’istruzione come lacontinuazione logica dell’impegno po -litico, o le ricche borghesi che sepperoutilizzare diversamente il privilegi for -niti dalla loro condizione. Penso a SaraNathan che, oltre ad impegnarsi con fer-vore mazziniano a diffondere gli ide alirepubblicani e a tenere le fila del movi-mento democratico, inaugurò nel 1873la Scuola Femminile “G. Mazzini” inTrastevere, riconosciuta dallo Stato,dove si prefigurava un’istruzione pari -ficata a quella maschile, si ignoravano ilavori donneschi, previsti dai regola -menti ministeriali, e l’educazione mo -rale sostituiva l’insegnamento religioso.(Ricordiamo che negli anni ‘50 del se -colo scorso, in epoca non troppo lon -tana, nelle scuole medie di Alessandria

Società: di femminile non c’è solo il nomedi Marina Elettra Maranetto

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ancora s’insegnava Economia Dome -stica nelle sezioni femminili).

E’ un esempio raro di un’Italia dovel’analfabetismo femminile toccava, nel1900, il 75%, le studentesse delle scuolesecondarie e classiche erano 5513, e al -l’università la frequenza femminile sifermava a 250 iscritte. (A. Maria Isastia,Italiane,Vol. 1°.Dipartimento per le PariOpportunità - Presidenza del Con sigliodei Ministri, 2004. Roma).

E’al Piemonte e ai suoi Sodalizi che,a seguito della promulgazione delloStatuto Albertino in cui si sanciva la li -bertà di associazione (1848), dobbiamoil primato delle SMS femminili. Nel1885, su 109 SMS femminili, 49 eranopiemontesi mentre 26 erano in Lombar -dia: le altre regioni procederanno piùlen tamente, al passo con le vicende le -gate all’Unificazione.

Dove faticosamente maturano le co -scienze e con più coraggio emergel’esigenza d’emancipazione, si devonoaffrontare la diffidenza, il fraintendi -mento se non la derisione, che possonoessere sopportati ricorrendo ad un con -forto tutto femminile da condividerenella solidarietà: anche in questo risiedel’importanza formativa delle Societàfemminili, nel loro lento procedere, unconfronto talvolta aperto all’esterno, neiCongressi generali organizzati ai pri -mordi del mutualismo, negli anniver sari,nelle commemorazioni, o per affi nità diorientamento con altre SMS femminiliche si contano, è vero, ma “contano”.Elenchiamo le più antiche:

Torino, Associazione generale delleOperaie (1851); Savigliano e Pinerolo(1851); Cuneo, Ivrea, Moncalieri, Va -

lenza (1852); Chieri (1853); Alba, Ca -sale, Fossano, Vercelli (1854); Alessan -dria (1855).

«(…)Ma al sarcasmo, alle esagera -zioni subdole, risponde il diritto natu ralee la ragione. Pari i sacrifici perl’esistenza, pari il lavoro, pari le emo -zioni delle domestiche vicende, pari isentimenti innanzi alle sventure e alleglorie della patria e dell’umanità, sianopari anche i diritti e le prerogative in -nanzi all’ente collettivo che regge lasocietà». (La donna e l’Associazione,Milano, Tipo grafia degli Operai, 1884,p.13,14).

Sono parole della moglie di AntonioMaffi, primo operaio eletto al Parla -mento (1882, lo stesso anno di AndreaCosta, primo socialista eletto deputato)a lungo presidente della Lega delle Coo -perative che, per quanto evo luto, restafedele all’immagine di «una donnanella sua missione di madre, e quindinon costretta a mettere le sue energienel mercato della manodopera in con-correnza con l’uomo». (Antonio Maffi,Il lavoro della donna, in: «La co -operazione italiana», 12 maggio 1900,p.15).

La donna deve soprattutto a se stessail conseguimento della propria emanci -pazione, alla costanza e alla forza diquelle che si sono levate in difesa deidiritti delle lavoratrici della terra, delleoperaie delle fabbriche e dei laboratori,e di altre che sottopagate e stremate daorari massacranti, oltre che dalle gravi -danze, hanno partecipato ai primi scio -peri.

Che lo sciopero fosse per lo piùmateria maschile, ben lo sapevano le

operaie agli albori del Novecento (mipreme ricordare ancora una volta le fi -landiere del Setificio Salvi di Ovada,entrate in sciopero nel novembre del1900, prime in provincia di Alessandria,la cui storia è fedelmente riportata nellaricerca di Paolo Bavazzano, in “D’fomea Uò un’è moi mortu ancioun”. 1900, lefilatrici entrano in sciopero. URBS,anno XIX, n.2, giugno 2006. Ovada,Accademia Urbense).

«Osare far sciopero è sfidarel’opinione pubblica, uscire dalla fab -brica è comportarsi come donne di stra-da». (M. Perrot, Uscire, in: G.Duby-M.Perrot, Storia delle donne.L’Ottocento, Bari, 1991, p. 456).

Sot trarre le donne alla strategia dilotta di sapore socialista, in cui si ravvi-sava il pericolo di comportamenti ribel-li, è prerogativa delle patronesse, cosìcome i comportamenti immorali, stig-matizzati negli articoli di alcuni statuti,inibi scono ogni trasgressione, pena iltaglio dei contributi assistenziali finoall’espulsione delle iscritte dai Sodalizi.

E’ un tratto comune il richiamo allamoralità come condizione di diritto al sus-sidio anche nelle SMS maschili. Nellostatuto della Società Operaia di Silvanod’Orba (1876), maschile, si leg ge:

«Art. 49. I soci affetti da malattiaproveniente da abuso abituale del vino odei liquori, o feriti in rissa, non hannodiritto al sussidio”.

Art. 50. I soci presi da malattia ve -nerea o sifilitica non percepiranno sus -sidio, salvo il caso in cui il medico di -chiari la malattia indipendente da vo -lontà o vizio dei soci».

E per gli agitatori, coloro che creanodisordine, il monito è chiaro:

«Art. 35. I soci c he per colpe o man -canze compromettono la Società, ten -dono con parole o atti a disonorarla, cer-cano di suscitare ire,partiti, ovvero tur-bano la calma delle discussioni po tranno(…) venire privati del diritto di parteci-pare alle adunanze e coprire uf fici peltempo prescritto dal Consiglio, e pergravi motivi radiati dal Ruolo dei Soci».(M.E. Maranetto, Una storia nellacronaca, la Società Operaia a Sil vanod’Orba dal 1876 al 1926, Accade mia

Alla pag. precedente, la signoraClavenna Marianna-Montano,benefattrice della SocietàFemminile e madrina della bandiera.A lato, momento ricreativo a VillaSchella (Ovada) in una immaginedi fine '800.

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Urbense di Ovada, 2004).Nel minuzioso Statuto della “Società

di M.S. fra gli Operai-Unione Ovadese”(Fondata nel Marzo 1870, nuovo Statutoapprovato il 12 Maggio 1904), si legge:«Non sono ammessi a far parte dellaSocietà coloro che furono condannatiper furto, truffa, ferimento, od attentatiai buoni costumi, o che non conducanouna vita onorata ed operosa da buoni cit-tadini»(Art. 25). Le stesse ragioni sonomotivo di perdita del di ritto diassociazione, insieme a malver sazione edanni con fatti e parole a membri dellaSocietà e alla sua imma gine.(Art.28,Archivio dell’Accademia Urbense diOvada).

Quando anche in Italia si creerannole condizioni propizie allo sviluppo del-l’industria e di un proletariato mo derno,divenuto capace di sollecitare lo Stato egli ambienti economici ad avan zareconcreti programmi di riforme so ciali, eil movimento mutualistico avrà unavigorosa ripresa (8.000 SMS nel ‘900),saranno le circostanze a infon derecoraggio alle istanze di partecipa zionefemminile, anche attraverso il ri corsoallo sciopero.

In un articolo intitolato Scioperi ePatronato del 15 marzo 1902 («La La -voratrice», organo della Società di Pa -tronato e Mutuo Soccorso per le Gio -vani Operaie di Torino) si leggeva:

«Nelle contese gravi e continue cheoggigiorno fervono fra capitale e la -voro, manca sempre questo elementointermedio, regolarmente costituito,che frenando le pretese sregolate, daqua lunque parte esse vengano, ricon-duca subito gli animi sulla via dellaconcor dia, impedendo il trionfo dellaviolenza insana e devastatrice. Sipotrebbe an cora discutere se lo sciope-ro sia un’arma civile di lotta, ma nonavremo mai bisogno di arrivare a que-sto estremo espediente per ottenereconces sioni e miglioramenti».

La pratica della mediazione, perstrappare concessioni al padronato, fuefficacemente sperimentata da questoinsigne Sodalizio in ogni vertenza ri -guardante le lavoratrici dell’ago e, inseguito, altri settori dell’occupazione

femminile. Ma l’estremo espediente, apartire dai primi anni del Novecento,cominciava ad essere una realtà diffusadi cui il mondo femminile prendeva co -scienza: in un caso (lo sciopero dellesartine torinesi del 1906) il Patronato,rappresentato dalla sua presidente Ce -sarina Astesana e dalla segretaria Mar -gherita Albini, otteneva che nel concor -dato definitivo con la controparte si sta-bilisse in dieci ore giornaliere l’orario dilavoro, in osservanza della legge infavore delle lavoratrici e dei minori(1902), nonché fosse ricono sciuto ilpagamento dello straordinario ed il ripo-so festivo, successivamente re golato dauna legge dell’agosto 1907.

Nonostante i dieci anni trascorsi atessere la rete di relazioni, necessarie adattuare un proprio sistema di media zionecon cui superare la conflittualità sociale(la ”collaborazione fra le classi” in vecedella “lotta di classe” predicata dalleassociazioni femmini ste),le patronessemantennero il silenzio in occasionedello sciopero del 1911, in cui si chiede-va il rispetto delle norme sancite dalconcordato del 1906: questa volta eraimpensabile affidarsi ad una protesta

egemonizzata dalla Camera del Lavoroe strumentalizzata per fini politici.

«La Lavoratrice», esce tuttora seme -stralmente a cura della Società di Chieri.Come sarà interpretato, in se guito,l’estremo espediente dall’area più con-servatrice del Paese? Pur con differentipremesse e modalità, rispetto alle inizia-tive di lotta di matrice sociali sta, essariconoscerà la necessità di ri sponderealle istanze che via via emer geranno dalmondo del lavoro, aggre gandosi nelleLeghe e nei Sindacati bianchi.

Determinante in tal senso fu la cor -rente cattolica che interpretava il mes -saggio della Rerum Novarum di LeoneXIII (1891) nei tratti di una più corag -giosa milizia sociale che si confrontassecol socialismo non tanto sul piano del-l’opposizione, quanto sulla concor renza,diversamente dall’interpretazione pre-valente secondo cui operai e padronidovessero collabo rare e non com-battersi: in questa dire zione, nell’arro-ventata atmosfera di fine ‘800, vediamoorientarsi un gruppo di cattolici facenticapo ad un sacerdote marchigiano,Romolo Murri, che a Roma nel 1898fondò la rivista Cultura sociale, specu-lare alla socialista Critica Sociale.Furono i seguaci di questa cor rente chesi caratterizzarono come de mocraticicristiani, svolgendo tra il ’98 ed il ‘902un’intensa opera di propa ganda e orga-nizzazione da cui presero forma nume-rose leghe cattoliche.

Piemonte e soprattutto Lombardia,con le sue fabbriche tessili principal -mente dotate di manodopera femmini-le, ed i suoi contadini in maggioranzale gati al clero, furono la roccaforte delnascente sindacalismo cattolico. A Sud,dove compiva le sue prime esperienzeun altro giovane prete, Luigi Sturzo,anche la Sicilia viveva un radicarsidella democrazia cristiana e delle sueorganizzazioni, nonostante l’ostilitàdelle gerarchie ecclesiastiche.

Ma il seme era gettato e vedremocome gli stessi clerico-moderati avvie -ranno ufficialmente l’ingresso sullascena politica dei cattolici, sollecitatiad unire le forze a difesa dell’ordinecostituito (Pio X abolirà il veto per i

In basso, la bandiera dellaSocietà di Patronato e di MutuoSoccorso per le giovani operaie,conservata presso la Parrocchiadi N.S. Assunta di Ovada, (foto diGiacomo Gastaldo).

Una storica immagine delConvegno giovanile cattolicointerfederale svoltosi a Ovada il 6agosto 1922. (ArchivioParrocchiale Ovada).

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cattolici di partecipare alle elezioni(1904), il non expedit vigente dal tempodelle breccia di Porta Pia).

In uno dei periodi più critici dellaStoria italiana, quello tra il ‘19 e il ‘22,la cronaca locale ci offre una vi sionedegli eventi che vedono impegnati suposizioni diverse le due principali orga-nizzazioni sindacali, in alcuni arti colitratti dal “Corriere delle Valli Stura edOrba”. Uno dei più significativi inerentigli scopi del Sindacato bianco, cui ilgiornale è molto vicino, ha come titolo:Lavoratori di tutto il mondo unitevi inCristo (Ovada,7/5/1922, n.19).

«(…) Ed è cosi che nel corso dei se -coli noi vediamo fiorire potenti le orga -nizzazioni di classe. Ogni categoriad’individui tende a stringersi insiemeper la difesa dei comuni interessi. Laclasse che più si tenne stretta e quasisempre si trovo concorde nell’agire fu lapadronale. Sempre i pochi potenti, ipochi ricchi di ogni paese si trovaronouniti quando si trattò di opprimere i po -veri lavoratori, quando si trattò di te nerlischiavi».

Ma dopo quest’analisi che mette tuttid’accordo, ecco l’affermazione cheopera la distinzione dalle organizza zionisindacali socialiste:

«Sorse il Socialismo per unire il pro-letariato del mondo e liberarlo dallaschiavitù padronale (…) ed abbiamo vi -sto i lavoratori stringersi alle bandiererosse a decine di migliaia. La Chiesacattolica però non era rimasta soltantospettatrice (…), ma per bocca del suocapo visibile, il Papa, aveva parlato atempo. Leone XIII, nella sua immortaleenciclica “Rerum Novarum”, dettava le

norme per la sistemazione della que -stione sociale.

(…)Mentre a base della sua opera dielevazione del proletariato la Chiesapone il Vangelo e la legge dell’amore, ilsocialismo, pur avendo detto delle ve -rità, si lasciò condurre dallo spiritod’odio e di vendetta. Così mentrel’opera delle Federazioni e Sindacati cri-stiani registra sempre un crescendomeraviglioso nei suoi quadri di organiz -zazione, noi vediamo sgretolarsil’edificio socialista fondato special -mente sulla concezione nefasta dellalotta di classe (…)».

Nella stessa pagina, una breve notariguardante la Conferenza di Genova ,«La plaga ovadese e il nostro movi -mento, -riporta un intervista a DonSturzo che si dice: molto soddisfatto delrifiorire delle forze politiche e sin dacalibianche nell’Ovadese, e (…) raccoman-da la propaganda anche fra le donne,ripromettendosi da queste gran parte delrisanamento nazionale. «La forza delladonna nella vita politica si manifestavieppiù necessaria e s’impone».

Il 28 maggio (n.22), il giornale dànotizia di una grande adunata delle So -cietà femminili cattoliche diocesane,che è utile citare per fornire al lettore unelemento di comparazione con le affer-mazioni di Don Sturzo.

«(…) Sono migliaia di Donne e diGiovani Cattoliche che ai piedi dellanostra Madonna vengono a ritemprare leloro energie per la conquista del lorosublime ideale: la cristianizzazione dellasocietà moderna.

(…) Una donna dal cuor nobile edalla vita integerrima, nobilita e santi -fica l’ambiente in cui vive; essa diventa

la forza motrice delle più saneenergie morali e sociali, lacustode fedele del santuariodomestico».

Intanto le donne, inseritenelle fab briche, escono dalloro santuario dome stico: èsufficiente sfogliare qualchepagina del “Corriere”.(Ovada, 16/7/1922, n. 29)

La richiesta di aumentarel’orario di lavoro manifestatadalla Direzione del Cotoni -

ficio Ligure di Rossiglione, viene rifiu-tata. L’assemblea della Lega bianca,presente il segretario Palen zona, così siesprime:

«(…) Gli operai e le operaie dellaLega Tessile bianca di Rossiglione, riu -niti in Assemblea, confermano la lorodisciplina d’azione conforme alle diret-tive già prese per il rispetto dei concor-dati di lavoro regolarmente pat tuiti e fir-mati».

E a sinistra? Vengono descritte re altàun po’ meno edulcorate dalla cri stianaprudenza.

«L’Emancipazione», settimanale so -cialista, affronta il tema dello scioperoalla Ditta Beccaro, Vini e Aceti (28/11/1920, n. 14), citando come fonte ilCorriere di Acqui. Lo sciopero ri guardail licenziamento di cinque ope raie, di cuidue saranno infine reinte grate per anzia-nità di servizio. Le donne sono semprele prime ad essere licenziate, ma inquesto caso è di con forto la solidarietàdei compagni di la voro che si offrono didiminuire le ore giornaliere per mante-nere il posto alle compagne. «(…) coldanno subito in questi giorni di sciopero,avrebbero potuto mantenere in serviziole suddette e assumerne altre…», è ilcommento.

La costituzione della Camera delLavoro, convocata nei locali dell’Unio -ne Operaia Ovadese, risale al febbraio1921. «L’Emancipazione» ne dà notizianel n. 27 (27/2/1921). Risultano rappre-sentate le Leghe contadini, tessi trici,filatrici, panettieri, falegnami, car -rettieri,dipendenti comunali, elettricisti,fornaciai, cantonieri provinciali di Ova -da e le Leghe contadini di Rocca,Carpeneto, Silvano, Molare, Prasco,

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Lerma, Cremolino, Belforte, Trisobbio,Montaldeo, e boscaioli di Lerma.

Altre notizie permettono di adden -trarsi nel panorama della collocazionefemminile:

- l’istituzione di scuole serali aOvada (28/11/1920, n. 14).

“Vorremmo che i genitori stessi man-dassero i loro figli alla scuola, le lorofiglie, che anche queste abbiso gnanod’istruzione, che venissero essi stessi,tutti tutti. Vorremmo vedere le aule sco-lastiche invase da una vera folla di fan-ciulli, di giovani lavoratori e lavo ratrici,animata di sapere “;

I corsi serali professionali di cucito(20/2/1920,n. 18), a cura dell’Ammi -nistrazione Comunale;

L’inaugurazione dell’Esposizionedei lavori donneschi (3/7/1921, n. 45),“tra cui anche il ceto signorile”: è il co -ronamento dei corsi di cui sopra, e del-l’applicazione dopo l’estenuante la vorodell’opificio. Spicca l’elogio dell’ope-raia bambina, «che corona un largo stuo-lo di compagne di lavoro strette attornoalla loro valente e simpa tica Direttrice».Il discorso inaugurale è nutrito di retori-ca e buoni sentimenti, e non manca dirievocare «la santa mis sione della donnanel seno della so cietà» oltre ad esortarealla perseve ranza «nel difficile e lungocammino che il proletariato deve ancoracompiere per la definitiva e completasua eleva zione».

Il settimanale dell’Appennino Ligure«La Valle Stura», Campo Ligure, ade -rente al Partito popolare, completa labreve rassegna della stampa locale.

Un articolo datato 13/3/1920, trattadella vertenza degli operai tessili, di -scussa a Milano tra il Sindacato Ita lianoTessile e gli industriali cotonieri.

Aumenti salariali giornalieri propo stidagli industriali:

Salario Uomini: L. 8 cottimo; L. 4caroviveri = L. 12

Salario Donne: L. 6,50 cottimo; L. 2,92 caroviveri = L. 9,42

Lavoro straordinario Uomini: L. 2,25 orarie. Donne: L. 1,75

E ancora: viene istituita la commis -sione di controllo della Lega tessile(Pres. Salvatore Pastorino), per compa -

rare le tariffe dei cottimi, in accordo conla Direzione dello Stabilimento diMasone. La commissione, composta daquattro operaie ed un operaio sottol’auspicio della Bianca bandiera, si re -cherà a Varazze in analogo stabili men to(26/ 6/1920, Campo Ligure).

L’affresco presenta tonalità diffe -renti, talvolta in contrasto, sintomo diuna società in trasformazione e votata adun’imminente stravolgimento.

Da «L’Emancipazione» ( 7/5/1922,n. 89), un articolo dedicato alle operaieagricole tratta di un episodio che si ve -rifica giornalmente a Boscomarengo:

«(…) Un piccolo gruppo di provo -catori fascisti si reca alla tenuta S. Mi -chele, munita di tricolore, chitarra, acantare “Giovinezza alalà” ed altri re -pertori fascisti, a quelle donne che ivilavorano per far loro vedere che il so -cialismo non esiste più e che il trionfodel fascismo e grande. (…) Esse son fi -glie proletarie, esse son donne del po -polo e sanno disprezzarvi. Fiere nellaloro povertà e rettitudine d’animo, anzi -ché cedere, rispondono col canto dellaloro fede, “Bandiera rossa trionferà”.Epilogo: quelle donne, ree d’eresia bol -scevica, non devono più lavorare e sonolicenziate.

Un’altra travagliata storia concernel’estensione del voto alle donne , un di -ritto cui si risponderà, come noto, solodopo il secondo conflitto mondiale.

In A che giova il voto alle donne?(11/4/1926) Il Corriere delle Valli Sturaed Orba manifesta un atteggiamento fa -vorevole (in linea con il Partito Popo -lare) e risponde agli scettici attraversoun articolo tratto dalla rivista «Il fem -minismo Cristiano nel Belgio», direttada una certa Van de Plas, soddisfa pic -cole curiosità con l’intento di eviden -ziare miglioramenti in campo sociale neiPaesi dove è riconosciuto il diritto divoto femminile: in Norvegial’abbattimento dell’alcolismo; in Fin -landia, la presenza obbligatoria in ogniComune di un’ostetrica; in Australia, ilsoccorso per le vedove e le donne sole;nel Kansas, un Ufficio d’Igiene e bene -ficenza grazie al quale dal 1873 la mor-talità infantile e quasi dimezzata, così

come in Nuova Zelanda, dove per laminuziosa attenzione al problema, lamortalità infantile si è ridotta al minimoassoluto; negli Stati americani dovevotano le donne, la cura dell’igiene sco-lastica è assicurata dall’assunzione diresponsabilità degli insegnanti; aBudapest, il primo collegio della città haeletto a deputato una suora di carità, spe-cialista nel soccorso ai fanciulli e agliindigenti.

Durante il percorso accidentato dellabattaglia femminile per raggiun gimentodei diritti civili e politici, in atto ormaida decenni (cito in propo sito, tra le figu-re di spicco, Anna Maria Mozzoni, AnnaKuliscioff, Maria Montessori, ArgentinaBonetti Altobelli e Carlotta Chierici) siera sfiorata l’ammissione al diritto divoto, sia prima che dopo la GrandeGuerra.

E’ invece del 1912, durante la di -scussione del progetto di legge di ri -forma elettorale, l’ammissione al votodei maschi analfabeti. Per Giolitti il votofemminile era un “salto nel buio”… etutto fini lì, poiché riteneva si dovesseestendere gradualmente a par tire dalleamministrative, e non prima del pienoraggiungimento dei diritti ci vili. LaCommissione nominata in pro posito peraffrontare la riforma del Co dice Civilerimandò in pratica la que stione a tempiindefiniti.

Si giunse ad un passo dal-l’approvazione nel 1919, ma al mo -mento del passaggio al Senato venneroconvocate nuove elezioni, e tutto fu ri -mandato. In compenso, pur con notevo-li limitazioni, in quell’anno era stataabolita l’autorizzazione maritale, dandoalle donne al meno l’emancipazione giu -ridica. Non si poteva più trascurare chetra il primo ed il secondo passaggio, dimezzo c’era stata una guerra mondialedove toccò alle donne rimpiazzare gliuomini richiamati al fronte, fino all’80%del personale nell’industria meccanica ein quella bellica anche se poi, accusatedi rubare il lavoro ai re duci, persero illoro impiego.

In questo spazio di Storia, necessa rioper cogliere il senso di una piccola real-tà come tante, diffuse nella provin cia di

Nella pag. a lato, Ovadesi in pelle-grinaggio al Santuario di N.S. diMisericordia di Savona.

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Alessandria, nasce e si svolgel’esistenza di una SMS femminile ova -dese, che porta lo stesso nome diun’altra più rilevante, già citata per lalungimiranza nell’affrontare i temi dellavoro femminile. La comparazione trale due, è un aspetto della realtà che finqui abbiamo provato a descrivere.

La “Società di Patronato e MutuoSoccorso per le Giovani Operaie” (To -rino, 1901).

L’importanza di questo Sodalizio to -rinese, estesosi in altri centri della Pe -nisola (Alessandria compresa), si di -stingue per l’attenzione che rivolge alleproblematiche del lavoro femminile ed èall’avanguardia rispetto ad altre realtàanaloghe del Piemonte, se ci fermiamo aconfrontare gli articoli degli Statuti.

Nello Statuto della Società (1901) siaffermava la tutela dei diritti di catego -ria, il collocamento delle socie disoccu -pate, la composizione delle vertenze tracapitale e lavoro (cui si è accennato inprecedenza), il miglioramento econo -mico delle associate mediante il mutuosoccorso, la riduzione delle quote perfavorire le adesioni, e l’elevazione mo -rale ad opera delle patronesse. Signifi -cativo fu il contributo all’istruzione cheprevedeva corsi di formazione profes -sionale, corsi di apprendimento di lin -gue straniere, un corso commercialetriennale legato ai programmi ministe -riali ed anche una scuola della buonamassaia.

La Casa famiglia forniva acco -glienza e assistenza adeguata alle gio -vani lontane da casa, mentre il soccorso

terapeutico era garantito da una rete diambulatori medici, dall’erogazione dimedicinali gratuiti, dall’istituzione dicolonie montane e marine che offrivanoun benefico miglioramento della qualitàdella vita ed un’occasione di svago esocializzazione. Tutto ciò s’inquadra inun’opera di prevenzione attenta rivoltaalla piaga delle malattie professionali(tubercolosi e clorosi, una forma ane -mica favorita dalla prolungata perma -nenza in ambienti chiusi e malsani), fa -cendo del Sodalizio un esempio uniconel suo genere.

Per poter essere ammesse in qualitàdi socie effettive, le aspiranti dovevanorispondere ai seguenti requisiti; sanacostituzione fisica, buona condotta mo -rale, età compresa entro i limiti stabiliti(dagli 11 ai 45 anni) e consenso scrittodei genitori o del marito.

I contributi mensili versati dalle so -cie (L. 0,25) e il sussidio giornaliero permalattia (L.0,50), venivano integratidalle oblazioni annuali assai generosedelle patronesse onorarie ed effettive,che contribuivano anche a sostenere unacassa dotale cui contribuivano le sociecon una piccola somma al fine di costi-tuire una dote «per l’epoca del matrimo-nio, oppure un piccolo capitale quandorimanessero nubili»

Da Torino a Ovada: la “Società diPatronato e di Mutuo Soccorso per leGio vani Operaie”.

L’analogia nel nome è sufficiente amotivare la curiosità del confronto.

Lo Statuto, rinvenuto nell’ArchivioParrocchiale insieme ad altri docu menti,

è conservato nell’Archivio dell’Acca -demia Urbense di Ovada.

«Lodiamo lo scopo che si propone laSocietà Femminile di Patronato e Mu tuoSoccorso, ne approviamo il regola mentoed auguriamo che alle operaie di Ovadaapporti un grande vantaggio mo rale emateriale». Acqui, 8 Giugno 1906 -Disma Vescovo.

La dicitura fa riferimento alla data difondazione ed introduce il Regola mentodella Società. Il certificato d’iscrizione,contenuto nel libretto de stinato allesocie, reca il nome di Maria Malaspina,fu Francesco e di Nespolo Rosa, abitantein Via Bisagno, lavan daia. Pre sidente:Nina Ivaldi Pastorino (1/12/ 1914), chepresiederà fino al 1939.

Non porta la firma della ri chiedente,né quella del padre defunto, né quelladel marito, come si evince a fondo pagi-na. Vige ancora l’autorizzazionemaritale, o quella pa terna, e la richie-dente è nubile. L’Art 14 recita: «Peressere ammesse oc cor re la fede dibattesimo e di sana e robusta co sti -tuzione fisica. Per le minorenni e lemaritate occorre inoltre il consenso ri -spettivamente dei genitori e del ma rito».

Chissà se Maria Malaspina, lavan -daia, seppe leggere l’Art. 2:

«Essa (la Società) ha per scopo:Di procurare alle operaie il van tag gio

morale mediante l’appoggio e l’as -sistenza delle Patronesse.

E possibilmente ogni miglioramentoragionevole delle condizioni eco nomi -che delle iscritte.

Come si evince dalla lettura, lo

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scopo primario si fonda sul vantaggiomorale che le socie possono trarre dal-l’appartenenza al Sodalizio.

Segue la composizione della Societàcomposta da Patronesse ed Operaie.

Le Patronesse effettive sono tutte leSignore che fanno parte dell’As -sociazione delle Dame di Carità; Patro -nesse Onorarie, sono quelle che offri -ranno L.5 annue, oppure L.50 unatan tum.

Le Operaie, «sì nubili che maritate,so no quelle che traggono mezzi di sus -sistenza dall’onesto lavoro nelle Arti,nell’industria, nell’agricoltura, nei ser -vigi domestici».

Quote di partecipazione: L. 0,25mensili più una tassa d’ingresso diL.0,50 dai 15 ai 20 anni; L.1 dai 21 ai25; L.2 dai 26 ai 30; L.3 dai 31 ai 35;L.5 dai 36 ai 40.

Pur invariate nello Statuto, questenorme subirono deroghe frequenti.Molte associate non riuscivano a ver sarepuntualmente le quote. Troppo mi sere lecondizioni di vita di tante lavo ratrici. Lanostra Maria Malaspina, al contrario, hapuntualmente pagato fino al 1939, comeattesta la tesoriera Anna Pernigotti, inultima pagina.

Il Patrimonio sociale è costituito dadue Casse: la Cassa Patronato,sostenutadalle oblazioni delle Dame di Carità, oda altri introiti derivati dalla loro ini -ziativa; la Cassa Mutuo Soccorso, rettadai contributi mensili delle Operaie.

In proposito l’Art. 17 richiede il pa -gamento anticipato delle quota mensile.Ogni mese di ritardo è multato conL.0,5, mentre il ritardo di quattromesi prevede l’esclusione dallaSociètà, allo stesso modo per ilcontegno poco cor retto odoffensivo, o l’essere colte a la vorareugualmente durante l’erogazionedel sussidio per malattia (Art.15). Isussidi sono di L.0,50 e non posso-no superare i 20 giorni, rinnova bilitre volte in 12 mesi consecutivi, conintervalli di 15 gg. da un periodoall’altro, ed in tempo scaduto eroga-ti di 6 in 6 giorni. Esauriti i treperiodi cessa il diritto al sussidio(Art.18).

Il sussidio non spetta se le malattierisultano cagionate da risse, da stravizi,da temerarie imprudenze (Art.22), maquesta è una prescrizione abituale deiregolamenti delle Società.

La puerpera si considera come am -malata e verrà sussidiata con la sommatotale di L. 5 (Art.24), e quando trattasidi operaia maritata, e può sorgere il dub-bio che la malattia derivi da gravi danza,non si deve sussidiare dopo il periodo diquattro giorni (Art. 23), ma attendere untempo sufficiente per con statare che ilmalessere provenga real mente da questa.

La Società, che non ha una sede pro-pria, si riunisce soprattutto nei lo calimesi a disposizione dalle Madri Pie,nelsalone di S. Caterina, nel Ricre atoriofestivo Don Salvi, ed anche pressol’Asilo Infantile Opera Pia S.Tito. E’governata dal Consiglio del Patronato(Citato anche come “Consi glio Supe -riore”) e dal Consiglio delle Operaie.

La Presidente delle Dame di Caritànomina la Presidente del Consiglio delPatronato, la quale nomina una Teso -riera ed una Contabile. Al Consiglio delPatronato spetta: a) la sorveglianza sulbuon andamento della Società, con sen-tenza definitiva su qualunque diver -genza possa sorgere nel Consiglio delleOperaie; b) l’amministrazione el’impiego dei fondi sociali; c)l’approvazione dei sussidi proposti dalleoperaie; d) la compilazione di rendicon-ti; e) la corrispondenza con istituzioniaffini: Protezione della gio vine, CassaNaz.le di Previdenza, ecc.

Il Consiglio delle Operaie è compo -sto da nove membri scelti in Assemblea,a maggioranza, con voto segreto. Durain carica tre anni.

Le elette nominano una Presidenteed una Tesoriera con funzioni di segre -taria. Al Consiglio delle Operaie spetta:a) accettazione ed esclusione delle do -mande d’iscrizione; b) la reiezionedelle socie che tenessero condotta pub -blicamente immorale o fingessero ma -lattie, danneggiando la Società; c) la ri -scossione delle quote mensili; d) lo stu -dio dei bisogni delle associate. Il Con -siglio si riunisce mensilmente, con pre -senza trimestrale del Consiglio del Pa -tronato, per dare il rendiconto finanzia -rio del trimestre ed udire il rendicontomorale dalle Consigliere.

Entro il mese di gennaio di ogni annoè indetta l’Assemblea generale ordina-ria, presieduta dal Direttore del Con -siglio delle Dame di Carità, in cui vienedato il rendiconto annuale, morale efinanziario della Società.

Più suggestivo della lettura pur ne -cessaria delle norme, è sfogliare il Re -gistro della Segreteria che comprendeun lungo periodo, dal 1906 al 1939,esuggerisce il fatto non trascurabile diaver resistito, dopo il consolidamentodel fascismo, all’epurazione di tutte leforme di associazionismo confluite, conle Leggi Speciali del 1926, nell’OperaNazionale Dopolavoro.

La prima Adunanza della Società sisvolge il 14 Ottobre 1906, nel salonedelle Madri Pie. Sono presenti il Rev.

Prevosto Mons. E. Mignone, il Rev.Prof. Chiarella, le Dame di Carità,tra cui le Patronesse Onorarie leSocie Onorarie e le effettive. Il Prof.Chia rella apre il discorso,esponendo il du plice scopo dellanascente So cietà: al leviare i bisognimateriali e sollevare le moralidepressioni. Le madri, le figlie, lesorelle che «con sì bella solidarietàcontribuiscono a soccorrere oltre sestesse, tante compagne di lavoro edi lotte, devono essere lucebenefica, an gioli buoni per i lorofiglioli, per i loro padri, per i lorofratelli…» .

In basso, lavandaie ovadesi sullariva del torrente Orba. in una poeti-ca immagine scattata dall'ing. Michele Oddini nel 1912.

Nella pag. a lato, frontespizio delloStatuto della Società (ArchivioParrocchiale N.S. Assunta diOvada, in copia presso l'AccademiaUrbense).

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La Cassa Patronato si avvale diun fondo iniziale di L. 951 e laCassa di Mutuo Soccorso diL.93,75, un fondo che si vedeaumentare nei successivi verbali colprogredire del Sodalizio. Per con-sentire al lettore locale di rico -noscersi in questo primo atto dicostitu zione della nuova Società, lenove Con sigliere elette furonoOlivieri Giacinta, Berta Rosa,Parodi Maria, Pesce Giu seppina,Daglio Angela, Gea Giusep pina,Beretta Teresa, Porta Luigia, Re -petto Rosa. Presedente e Tesorierasono nominate Olivieri Giacinta e BertaRosa.

Presidente del Consiglio del Patro -nato risulta essere la Sig.ra Oddini. Se -gretaria Adele Carosio, Tesoriera laSig.na Torielli.

Già dalla II adunanza (13/1/1907), laPresidente delle operaie è costretta a sot-toporre al Consiglio alcune deroghe alRegolamento. La Olivieri osserva lamancanza di puntualità delle socie nelversare le quote mensili: «Spesso la loromiseria è tanto grande che sono co strettea domandare una proroga, cosa che uncuore pietoso non ha coraggio di rifiuta-re». Inoltre è difficile per le Con siglieredelle operaie, per quanto vo lenterose ezelanti, recarsi nelle case ad esigere ipagamenti dalle “300 e più operaie” (èda questo passaggio che apprendiamo ilnumero delle iscritte durante il primoanno d’esistenza della Società).L’abolizione delle multe ap pare come unprimo atto necessario.

Le adunanze si susseguono con lavolontà di trovare la via migliore peradeguare la vita della Società ai pro -blemi emergenti, agli aspetti imprevisti,nel comune interesse. Tra i più sentiti,l’esigenza di snellire le procedure di ri -scossione dei mandati e la necessità diavere un medico addetto alla Società,assai difficile da reperire per l’esiguitàdel compenso previsto. Dopo mesi di ri -cerche sarà il Dott. Grillo ad accettarel’incarico, con uno stipendio annuo di L.60, provenienti dalla ritenuta di metà delsussidio previsto per le socie in ferme(Ad. 1/11/1908).

La Società vede diminuire le iscri -zioni e necessita di elementi nuovi esani. Per favorire incremento e rinno -vamento si pensa di sospendere la tassad’ingresso di L. 0,50, compensando par -te del mancato introito con un pre lievodella metà della quota mancante, dallaCassa del Consiglio delle operaie.Inoltre, aumentare il limite d’età a 50anni significherebbe ottenere quote piùalte di tasse suppletive dai 45 anni in su.Queste iscritte avranno la possibi lità diesaurire il debito rinunciando tempora-neamente ad eventuali sussidi.

La XI adunanza (1/11/1908) si chiu-de con una riflessione ed un auspi cio diprosperità per il 1909: «Noi sap piamoche queste Società di Mutuo Soccorsohanno prosperato in mille luo ghi, inmille paesi diversi. E miglio rando sisono ampliate e invece di dare unsemplice sussidio alle socie amma latehanno potuto procurar loro ben altri sol-lievi. Le hanno mandate, quando ilmedico ne dimostrava la necessità, almare o in montagna a trovare nelle ac -que benefiche o nell’aria balsamica ilmezzo di rinnovellare la loro fibra gua -sta, le loro energie perdute. Qual soddi -sfazione se anche la nostra Associa zionesorta così modestamente potesse rag-giungere una così benefica prospe rità».

E’ in questa dichiarazione che pos -siamo rilevare l’amarezza nel con fronto,se pensiamo alla più ricca ed organizza-ta omonima Società torinese.

Molta attenzione è rivolta all’operadelle Consigliere delle operaie, depo -sitarie delle fiducia delle compagne, ilcui compito è anche ascoltare, cercare

soluzioni , diffondere i principi sucui si fonda le Società per estenderei benefici del Soccorso, senza però«condurre a proteggere vitedisoneste, e questa seve rità diregolamento non potrà da nes sunoesserci imputata come ingiustizia ointolleranza».

E’ gravosa per loro riscossionedelle quote perché tanti sono i ritar-di o le inadempienze, e la Societàdovrà spesso disattendere il regola-mento, concedendo facilitazioni edamnistie (un solo caso di espulsioneper moro sità è registrato nell’adu-

nanza del 5/2/1914). Diventa un attod’abnegazione anche presenziare alleadunanze e fare proselitismo, oltre alladifficoltà di affrontare il problema mo -rale di chi si finga malata per ricevere ilsussidio: «L’Associazione femminile diM.S. vi appartiene… voi congiurere stecontro la sua vita, e congiurereste controvoi stesse».(Ad. XV, 10/10/1909).

Il Consiglio Superiore stabilisce diutilizzare la Cassa Patronato per inter -venire là dove la Cassa delle Operaienecessiti di un intervento integrativo.S’intravede la possibilità di offrire “unastagione climatica di mare o di monta -gna, per i bambini delle socie”, nonchéil progetto,da valutare occasional mente,di organizzare “gite e ricrea zioni” per-ché chi lavora abbia qualche giornata disvago. (Più avanti annote remo che lamete privilegiate saranno i pellegrinaggial Santuario dell’Acquasanta o allaMadonna delle Rocche).

Una timida apertura alla partecipa -zione si verifica quando il ConsiglioSuperiore propone di convocare conmaggior frequenza le socie, per «se guirecon più competenza l’andamento moralee finanziario della Società» (9 Ottobre1910,) ed il Consiglio delle Operaiechiede di tenere copia dei re soconti finan-ziari annuali in apposito registro, per sod-disfare le esigenze delle associate.

Sono questi piccoli segni di crescitaeconomica e d’esigenza d’integrazione.Tra le righe dei verbali delle adu -nanze,nelle frequenti esortazioni allaconcordia tra le operaie e verso le pa -tronesse, trapela il fermento dell’insod-

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disfazione. Del tutto assenti le iniziativerispondenti all’istruzione e alla crescitaculturale delle socie, con fermando in ciòil prevalere nella So cietà dell’aspettoreligioso e caritativo, arroccato in difesadella tradizione, con rarissime aperture aquanto si muove intorno.

La Società non ha ancora la ban -diera, per tutte simbolo di fratellanza eorgoglio d’appartenenza. La propostaviene inoltrata, accettata (Ad. 16/5/1910), e finalmente esaudita, il 12Ottobre 1913.

La navata centrale della ChiesaParrocchiale è gremita: le socie, in nanzitutto, con la rappresentanza di altriSodalizi femminili, le Figlie di Ma ria, leDonne Cattoliche, le Dame di Carità,pa tronesse e benefattrici. Cele bra lamessa Sua Ecc. Rev.ma Mons. E. Mi -gno ne fondatore della Società. Ma drinaMarianna Clavenna ved. Mon tano,padrino l’On. Deputato Brizzo lesi, indu-striale. La bandiera avvolta nel bianconastro si scioglie, dopo aver ricevuto ilbattesimo, al canto vibrante “libera aiventi la nostra bandiera”.

Degli eventi che portano al primoconflitto mondiale, nulla traspare. Lavita della Società lascia appena intra -vedere l’evoluzione di quegli anni e laloro connotazione. Nell’Adunanza Ge -ne rale del 9 Nov. 1912, il Rev. Sig.Prevosto illustra alle intervenute LoStatuto e le varie opere di protezione afavore delle giovani operaie. Esse sa -ranno indirizzate, su richiesta alla Pre -sidente del Patronato, a uffici e sinda cati“esistenti nelle grandi città” con lettera“raccomandatizia”. E’ un cenno di rico-noscimento all’opera delle orga -nizzazioni dei lavoratori che integranole funzioni delle SMS.

Non manca l’adesione e il sostegnoal Patronato Scolastico, promosso dalComune, con la somma di L.50, ridottepoi a 25 nel 1916, e neppure l’adesioneall’appello di protesta contro l’Au to -nomia Scolastica e contro la legge sullaprecedenza del matrimonio civile, “pre-testi null’altro ideati per cal pestare lanostra religione e reprimere la libertà dicoscienza. Sempre animia moci percombattere i nemici della no stra fede,

che vogliono bandire dalle co scienze edalle Società ogni concordia cristiana(Ad.5/2/1914).

In questo stesso anno la Società ri -conosce nel 29 Maggio, giorno della SS.Annunziata, la propria festa reli giosa dacelebrarsi con il pellegrinag gio allaMadonna delle Rocche. Inoltre si propo-ne di costituire una Cassa di Previdenza,progetto reso concreto nel marzo 1916,con un deposito di L.1000 ed un lascitodi L.300, rispettivamente dalla madrinaSig.ra Montano e dalla Sig.ra Moiso.

Gli anni di guerraL’eco della guerra si coglie in un elo-

gio della donna sulle cui spalle gra vanolutti e responsabilità.

«(…) questo anno di pianti molto atutti ha richiesto e molto chiede a voi,operaie nostre buone». Le operaie hannorinunciato alla somma elargita dallaCassa Patronato per la gita an nuale, afavore del Comitato di Orga nizzazioneCivile. Sembrano piccole cose che sidotano di significato nella ristretta quo-tidianità di quel mondo.

A Ovada sono presenti 2.500 soldati“per istruzioni di guerra” (Ad. 26/3/1916), ai quali s’intende donare unricordo della loro permanenza in città. Siprelevano L.25 dalla Cassa. Al cune ope-

raie si sono ferite nel lavoro prestatonegli opifici, ma non è specifi cato se sitratti di manodopera femmi nileimpiegata al posto degli operai in viati alfronte.

Largo spazio si dedica alla scom -parsa della madrina della Società, Ma -rianna Clavenna Montano. La memoriadella pia Signora, «resterà sacra per lagratitudine del beneficio ricevuto e perla venerazione che come aureola si levaad incoronare delle virtù che tanto piùfurono elette quanto più elevate nellamodestia di un grande censo».

Non vi sono altre notizie rilevanti,ma è probabile che parte della docu -mentazione sia andata smarrita.

I verbali sono brevi e talvolta rias -suntivi di più adunanze che trattanoquasi esclusivamente dei rendiconti fi -nanziari della Società.

Il dopoguerraIl cambiamento in atto nella società

italiana dovrebbe aver influenzato l’altraSocietà di cui trattiamo. Il so spetto chegiungessero all’interno diffe renti istanzee contrapposizioni, non certo risponden-ti allo stile dei verbali, dovrebbe avereelementi di verità. La scorgiamo inun’esortazione alla de cenza nel vestire,anche nel rispetto del nobile e religiosocarattere della ban diera, rivolta dal Rev.Sig. Prevosto (18/1/1920).

«Si porta in discussione il deplore -vole e indecoroso agire delle nostre so -cie negli interventi di rappresentanzadella nostra Società». Le socie «inter -vengano decentemente vestite ed ani -mate al vero spirito di dovere». Più ol tresi legge che negli anni calamitosi e dis-astrosi, oppressi dagli avvenimenti, altreragioni hanno obbligato la Società alimitarne le esigenze, pur rimanendomai inoperosa Infatti sono aumentate lesocie e le benefattrici per l’instancabileattività di consigliere e patronesse: ciòconsente di promuovere l’istituzione diuna Cooperativa per contrastare il caroviveri.

«Il movimento incosciente e spen -sierato delle classi operaie» spinge ilConsiglio a disporre una serie di confe -renze, in accordo con altre associazionicattoliche. Le operaie, si legge, inter -

n basso, mons. Emanuele Mignone,parroco di Ovada, poi nominatovescovo di Volterra.

Nella pag. a lato, anni '50, le donneovadesi aprono la manifestazione diprotesta indetta per la minacciatachiusura dello storico CotonificioBrizzolesi, (foto di Leo Pola)

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vengono numerose, ma laparola lumi nosa, intel-ligente e saggia, pare nonab bia sortito gli effetti desi-derati. In molte sembraattecchire un altro seme: lesocie sono minacciate«dalle lusinghe eversive dichi non mira che a finalitàmateriali calpestando ogniidealità mo rale e religiosa».

Si devono tener saldi iprincipi cri stiani. L’avanza -ta socialista e l’acceso con-fronto politico sono unaminaccia alla tradizionalefigura della donna: le ope-raie devono adoperarsi «peril trionfo di quei medesimiprincipi santi che furonol’onore e il decoro delle ge -nerazioni antiche».

Il verbale riassuntivo dell’attivitàsvolta nel 1920, reca notizia d’un fattointeressante che cinquant’anni più tardiappassionerà ancora una volta la so cietàitaliana, divisa tra laici e cattolici: “Inottobre fu notevole la partecipazionealla propaganda contro la legge del di -vorzio aderendo con molte firme allaprotesta delle U.D.C.I.” (19/2/1921.)

Da questo verbale in poi s’intuiscel’assenza di un dibattito che esuli dairesoconti amministrativi. L’interesse èrivolto alle convenienze di carattere eco-nomico e assistenziale per le socie: se ecome aderire alla Cassa di Previ denzaSociale, se e come sostenere chi, con-fluendo nella pubblica Istituzione, deveversare i contributi allo Stato, o versarele eccedenze nella Cassa di Previdenzaistituita dalla Società nel 1916.

La Società aderisce, nel 1928, al -l’Istituto Cattolico per l’Assistenza So -ciale, presso la Giunta Centrale del l’As -sociazione Cattolica, che rap pre sentatutte le Società cattoliche presso il Go -verno.

Corsi e ricorsi storici: sappiamo delfallimento della Banca S. Lorenzo diGe nova che coinvolge la Società con laperdita di una cartella di L.3.000(22/10/1932).

La Società sarà sciolta, come si evin-

ce dalla Circolare prefettizia n.23031-24/9/1939, cui fa riferimento la letterainviata alla Presidente dal Pode stà diOvada. Il verbale ne dà laconica notizia:

«(…) per ottemperare all’ordine ri -cevuto, chiudiamo ogni attività, tantoper amministrazione, quanto per adu -nanze e relativi verbali». Ovada,15 Ot -tobre 1939. La Presidente - La segretariaPastorino Chiara ved. Ivaldi* - MariaMongiardini.

Solo pochi mesi prima (Ad. 22/ -5/1939), Sua Ecc. Mons. Bec caro avevaricordato con gratitudine i suoi prede-cessori (Mons. Mignone il fondatore eDon Luigi Leoncini, il suc cessore) e,nell’accomiatarsi, aveva ri -volto alle patronesse e allesocie un en comio per il benecompiuto, esortandole a «con-tinuare, mai stancarsi e faresem pre più e sempre meglio».Riferendo poi di un incontroavuto con Mons. Mi gnone, cuiancora stavano a cuore le sortidella “sua” Società, era statofe lice di dirgli che Essa “vive efa tanto bene”.

Tutto sembrerebbe con-cludersi ep pure, consultando ilRegistro di Cassa, osserviamoche i resoconti annuali pro -seguono fino all’anno 1947.

L’ult imo resoconto (9/11/1947), Pre si dente PastorinoChiara ved. Ivaldi, recita cosìnella premessa:

«La Società per mancanzadi perso nale che volesserooccuparsene do po la mortedella povera e buona Sig.raPer nigotti Anna siamo co -stretti a sciogliere la Società.Interpellato il Sig. Prevosto siè venuto nella deter mi na -zione di dare ad ogni Socialire cento che ancora ri -mangono di fondi. Le Socieiscritte sono circa 80, 2defunte».

La “Società di Patronato edi Mutuo Soccorso per leGiovani Operaie” non è cita-ta nel Censimento storico

sulle SMS pubblicato dalla Regione Pie -monte, Cent’anni di Soli darietà, (BiancaGera-Diego Robotti, 1989).

Il merito del ritrovamento della do -cumentazione relativa ad un Sodaliziocosì a lungo operante nella comunitàovadese, va all’Accademia Urbense.

*Il nome della Presidente risulta talvoltaessere Chiara (come nel Regi stro di Cassa1927-1947 o nella comu nicazione inviatale dalPodestà di Ovada) altre Nina, come negli arti-coli di giornale o in calce al libretto di Ma riaMalaspina. Riteniamo trattarsi della stessa per-sona.

In basso, ragazze inposa al lavatoio

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La marcia su Roma e l’insediamentodel governo Mussolini alla fine di otto-bre del 1922 segnano la definitiva affer-mazione del movimento fascista e intutta Italia hanno come corollario l’as -salto alle prefetture a simboleggiare lapresa del potere, nonché a camere dellavoro, sedi dei partiti di sinistra, reda-zioni di giornali e abitazioni privatedegli esponenti politici avversari persgominare ogni residuo di opposizione.A Ovada questo processo si è già consu-mato in estate, in particolare tra domeni-ca 6 e mercoledì 9 agosto, durantel’azione di contrasto allo “sciopero lega-litario” con l’assalto e la distruzionedella tipografia de “L’Emancipazione”,la devastazione della Camera del Lavoroe, quindi, il dimissionamento obbligatodell’amministrazione municipale socia-lista.1 Nei giorni della marcia su Roma,quindi, ciò che si evidenzia è soprattuttola lotta tutta interna al Fascio ovadese eche porta addirittura allo scioglimentodel direttorio locale2 in seguito alloscontro fisico tra gli iscritti. Un conflittoche viene raccontato in una breve corri-spondenza su Il Secolo XIX del 22 otto-bre, la domenica innanzi alla marcia suRoma avvenuta sabato 28, «Lanostra cittadina, sempre troppoospitale verso gli ultimi arrivati, davari mesi vive poco tranquilla perl’auto ritaria opera del segretario delfascio locale Romairone, il quale,dopo aver causato la scissione delFascio, perdendone i migliori ele-menti, veniva spesso a questione coifascisti di Silvano, Tagliolo e paesivicini – racconta il corrispondenteGiovanni Pernigotti, alias Cerbero -ieri sera (sabato 21 ottobre, [n.d.r.]incontratosi coi fascisti De Guidi diSilvano e Checco Pernigotti delFascio di Sestri Ponente, estratta larivoltella ne esplodeva all’improv-viso due colpi contro i suoi compa-gni di fede. Agli spari accorse ilfascista Mazzarello Michele, capos-quadra di Silvano, contro il quale ilRomairone esplose un altro colpoche fortunatamente andò pure avuoto. Disarmato, venne consegnatoai carabinieri che lo trassero in arre-

sto per mancata denuncia dell’arma eper tentato omicidio. Pare che varie con-danne il Romairone abbia scontato inprecedenza e che qualche istruttoria siatutt’ora pendente a suo carico. Gli ora-coli che Ovada facilmente adora, perchénon ovadesi, incominciano a cadere.Impari Ovada ad apprezzare di più i pro-pri concittadini»3.

Al di là delle considerazioni delredattore, a sua volta fascista e in presu-mibile urto personale con Romaironeche pochi giorni prima era stato sfidatoa duello dal fratello Guido Ernesto4, lazuffa segna per la prima volta in manie-ra esplicita quanto clamorosa l’attrito trale diverse anime che, non solo a Ovada,convivono all’interno del Fascio.Divisioni che, al netto di insofferenzepersonali, sono originate in particolaredall’interpretazione radicalmente diffe-rente del movimento fascista e della suadinamica rispetto all’ordine costituito.Semplificando, si può dire che il conflit-to è tra coloro che nel fascismo vedonosoprattutto un elemento di salvaguardiadell’esistente rispetto alla minaccia bol-scevica oppure, ancor meglio, un ritornoalla situazione sociale, prima che econo-

mica, dell’anteguerra e coloro che, vice-versa, del movimento mussolinianohanno una concezione propriamenterivoluzionaria e rivendicano l’afferma -zione di nuovi equilibri nella gestionedel potere, nonché il diritto di affacciar-si alla ribalta della scena pubblica daparte di elementi provenienti da cetisociali fino a quel punto esclusi in par-tenza. Un diritto legittimato soprattuttodall’aver partecipato alla “GrandeGuerra” e dalla condizione di reduce,sicché a questo secondo gruppo appar-tengono, in genere, elementi più giovanie dalla collocazione sociale non ancoradefinita, come per esempio, il dottorEraldo Ighina, ufficiale di complementoin congedo, iscritto al Fascio dai giornidello sciopero di agosto e che comparenelle cronache come fascista proprio inoccasione della zuffa provocata daRomairone e nella quale resta ferito pro-prio l’aggressore5. Nato a Ovada daGiovanni e Anna Molinari il 13 novem-bre del 1895 e, quindi, non ancora ven-tisettenne, aveva conseguito la laurea inmedicina dopo la guerra alla qualeaveva partecipato raggiungendo il gradodi capitano d’artiglieria. Con il prof. rag.

Carlo Pernigotti aveva avviato laraccolta di fondi per la costruzionedel monumento ai caduti nel 1921 efatto parte del consiglio direttivodell’Unione Sportiva Ovadese, sem-pre nello stesso anno. Nell’estate del1922 era diventato presidente delcircolo “Amici dell’Arte” da luifondato e il primo agosto, nei giornidello “sciopero legalitario” si eraiscritto al Fascio del quale diventeràsegretario a più riprese dal 1923 al1925. Sarà, quindi, direttore de “IlGiornale di Ovada”, organo dellasezione fascista che comincerà lepubblicazioni nel 1923 e ancorasegretario del Fascio a partire dal1932 per un paio d’anni. Suoi fioriall’occhiello le Feste Vendemmiali ela costruzione della sede dell’OperaNazionale Dopolavoro (tutt’ora atti-va come sala cinematografica e tea-trale) che, tuttavia, provocaronoanche un enorme indebitamentodella sezione fascista e la sua uscita

La nascita del Fascismo ad Ovada e nell’Ovadese (3)La presa del potere dopo la “marcia su Roma” di Piero Ottonello

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di scena. Cultore dell’arte in tutte le sueforme, in particolare del teatro, ha spo-sato Marie Minuto che insieme a luicondivise anche il passaggio alla resi-stenza nel periodo della RepubblicaSociale e dell’occupazione nazista. E’morto nel 1961. Nel bene e nel male èstato probabilmente il personaggio dimaggior carisma e, di certo, il più notoall’interno del fascismo ovadese tra glianni Venti e Trenta. Quasi coetaneo èMichele Mazzarello, ventiquattrenne,comandante della squadraccia dei“Falchi” di Silvano d’Orba, attivissimoanche in Ovada, destinato a un ruolominore quando il fascismo si fa regime,in particolare negli anni Trenta, ritornain prima linea durante la RepubblicaSociale come Commissario Prefettiziodel comune di Silvano d’Orba. Muoreper mano partigiana insieme al figlioEnzo il 18 febbraio 1945. Una parabolaesistenziale quasi analoga a quella diVincenzo Romairone, fucilato il 15marzo 1944 mentre era CommissarioPrefettizio di Tagliolo-Belforte e che,pur più anziano di oltre vent’anni, comei primi due vedeva nell’avvento delfascismo la possibilità di un radicale rin-novamento sociale, oltre che politico,tale da consentire anche a un agricoltorepiccolo proprietario come lui l’accesso aruoli e cariche pubbliche che sarebbestato impensabile nella società liberaled’ante guerra.

Ricapitolando, alla fazione “rivolu-zionaria” fanno capo soprattutto ele-menti giovani o giovanissimi, spessoreduci di guerra, ancora alla ricerca diuna collocazione sociale, ma anche ele-menti più maturi appartenenti al mondo

della piccola borghesia (agricoltori,commercianti, piccoli proprietari fon-diari, impiegati, ecc…) o del proletaria-to (operai, contadini) che fino alla com-parsa del fascismo erano stati pressochéesclusi, o comunque delusi, dalla dina-mica politica imperniata sulla contesatra la visione aristocratica della destratradizionale e il velleitarismo di unasinistra rivoluzionaria solo a parole.Tenendo ben distinti i rispettivi profilipersonali, nonché le differenze di indolee di percorso politico, a questo gruppopossono essere affiliati anche il panettie-re Michele Moizo, il disoccupatoTeresio Balocco, il tenente in congedoFrancesco Grillo, il brigadiere dei vigiliLuciano Ioculani, trentanovenne nato aCremona, Domenico Laguzzi e ItaloInglese, futuri segretari del Fascio diBelforte, Pio Malfettani, prossimosegretario del Fascio di Molare, ilquaran taseienne Andrea Pastorino, iltrenta novenne Giovanni BattistaBeraldi, agricoltore e piccolo proprieta-rio e i fratelli Carlo, Guido e GiovanniPernigotti.

Alla corrente “moderata”, “conser-vatrice” o “reazionaria” che dir sivoglia, invece, possono essere ascrittisoprattutto elementi di età più matura,provenienti dal mondo delle professionie che hanno come retroterra il nota bilatoliberale e della destra costitu zionale. Diquesto gruppo fanno parte, per esempio,il futuro podestà Emanuele Delfino, sca-polo, fondatore del Fascio locale che almomento della marcia su Roma ha 43anni ed è docente di PatologiaChirurgica all’università di Genova,nonché primario dell’ospedale di

Ovada, oppure gli ingegneriCarlo Surdi, dipendente delcompartimento delle Ferro -vie di Genova, e GiacintoSoldi, trentasettenne, pros-simo sindaco del paese inseguito alla scomparsaimprovvisa di RiccardoPesci, il commissario pre-fettizio nominato dopo ledimissioni di Gualco nell’a-gosto 1922 e primo sindacoeletto con i voti dei fascisti

nel gennaio 1923. A questa fazione,inoltre, si possono genericamente riferi-re anche Santino Carosio, direttore dellabanca omonima, e Carlo Aloisio, venti-quattrenne futuro direttore di banca.

In generale, comunque, il Fascioovadese appare come una nebulosa inperenne evoluzione i cui componenti siricombinano tra loro senza sosta, sicchéi sodali di oggi diventano i nemici didomani. In questa condizione, per altro,i fascisti si presentano alle elezioniamministrative che si svolgono il 14gennaio 1923. Competizione alla qualenon partecipano i socialisti e le forze disinistra che ancora devono riprendersidal colpo subito durante lo sciopero diagosto e che attraverso il boicottaggiointendono inficiare la credibilità delleelezioni. Una scelta che, a guardarel’esito elettorale, sembrerebbe azzecca-ta, visto che al voto partecipano solo1.438 elettori su 3.226 aventi diritto,ossia soltanto il 44% del corpo elettora-le e tra i partecipanti solo poco più dellametà votano per la lista di destra checomprende anche liberali e democratici,oltre ai fascisti. Numeri dai quali risultain tutta evidenza che tre quarti almenodegli elettori ovadesi non sono favore-voli al fascismo, visto che quasi cinque-cento voti sono andati comunque allalista formata dai popolari che, in pole-mica con le sinistre, hanno scelto parte-cipare alla competizione, pur candidan-dosi fin dalla vigilia e in maniera esplici-ta per un ruolo di esclusiva minoranza6.

«Analizzando l’ora che volge trovia-mo che lo sciopero generale del l’agosto,à (sic) indignato pure la nostra cittadi-nanza e la reazione ebbe a conseguenza

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la defenestrazione dell’Am mini stra zio -ne socialista – spiega Francesco Mar -chelli sul numero del 7 gennaio 1923 delCorriere delle Valli Stura e Orba - Lamas sa operaia, da allora, s’è appartatanon solo dalla direzione della cosa pub-blica, ma dalle stesse imminenti elezioniamministrative, in quanto ritiene trattisi(sic) di un logorante perditempo, di unavana fatuità nei loro confronti. Ilfascismo, trionfatore di que st’ora,s’appresta, pieno di fede e sicuro di sé,al governo del Comune. Lo fiancheggia-no le varie tendenze dei vari partiti libe-rali e democratici, sempre pronti in poli-tica…. ed in economia… ad armeggiareed affannarsi pur di riprendere il mesto-lo amministrativo. I popolari non poten-dosi alleare ai liberali che li ànno (sic)frustati a sangue creandone le occasioni,né alla democrazia che visse sempreindossando le più variopinte baldracche:i popolari non vollero minimamenteostacolare al fascismo trionfatorel’esperimento ammini strativo». Quindi,siccome il “partito a priori vincitore” hascelto, bontà sua, di «rinunciare almiracolismo dell’una nimità, facendoposto alla minoranza popolare», gli stes-si popolari, prosegue il redattore, hannooptato per la partecipazione alle elezionidato che «per accreditare una qualsiasimaggioranza di coalizione, occorre sem-pre una minoranza prudente e discipli-nata che stabilisca il controllo»7.

In ogni caso, il successo elettoraledel Fascio appare assai relativo, speciese si considera che viene ottenuto incoalizione e che i fascisti evadesi sonoulteriormente divisi tra loro. Tuttavia,non è certo l’unanimismo l’obiettivo chesi pongono i fascisti, soddisfatticomunque per aver ottenuto attraversola ratifica elettorale la legittimazionedel controllo amministrativo sul comu-ne che già detenevano di fatto da mesi.Tant’è che viene eletto sindacol’avvocato Riccardo Pesci, giàCommissario nominato dal prefetto diAlessandria dopo le dimissioni dellagiunta socialista in agosto8. In consiglio, insieme ai liberali e aidemocratici, approdano diversi degli

esponenti di spicco del Fascio come gliingegneri Carlo Surdi e Giacinto Soldi,Michele Moizo, Vittorio Carlo Ivaldi eGuido Pernigotti, nonché Giacomo Spo -torno, direttore del cotonificio Sciacca -luga & Oliva del Gnocchetto che ottienela maggioranza assoluta delle preferenzee che sarà destinato ad occupare moltoposto nelle vicende politiche degli anniimmediatamente a venire, sia in Ovadache a Rossiglione e nel resto della valleStura9. Spotorno, per altro, sarà assesso-re supplente nella nuova giunta guidatadall’avvocato Riccardo Pesci10, ma lasua esperienza amministrativa è destina-ta a durare poco in seguito ai contrastiche di li a poco scoppieranno nuova-mente nel Fascio.

Intanto, nella primavera del 1923 ifascisti ovadesi si dotano anche di unloro organo di stampa riesumando il set-timanale “Il Giornale di Ovada – Ecodel Monferrato” che aveva cessato lepubblicazioni nel 1909. Alla segreteria,dopo Vincenzo Romairone, c’è OresteRossi che viene riconfermato in carica aiprimi di giugno con l’elezione del nuovodirettorio del quale fanno parte ancheVittorio Ivaldi, Angelo Beraldi, NinoFerrari, Luigi Delfino, Crosio Pizzornoe Meo Alloisio. L’augurio del cronista,in questo caso, è che i nuovi dirigentisappiano “far rifiorire a novella vita lasezione” 11. Speranza mal riposta, vistoche alle porte ci sono nuovi attriti, sepossibile più accesi di prima. Una vio-lenza di passioni che, per altro, era nel-l’aria e figlia dei tempi. Se solo si tienepresente che solo nell’inverno era statasgominata la “banda della Colma”, for-mazione organizzata di ladri nostraniche nell’ambiente rurale a cavallo traAppennino e Monferrato agiva come ibriganti di ottocentesca memoria12,mentre ancora più truce è l’assassinioper rapina perpetrato con una “marraz-za” ai danni di una povera fruttivendolain via Cairoli13.

NOTE

1 M. FRANZINELLI, Squadristi – Prota go -nisti e tecniche della violenza fascista 1919-1922, Milano, 2003, pag.387

2 Si veda “Da Ovada – Nel partito fasci-sta”, ne «Il Secolo XIX» del 29 ottobre 1922

3 Si veda “Spara contro i fascisti e vienearrestato”, ne «Il Secolo XIX» del 22 ottobre1922

4 Si veda “Verbale cavalleresco” ne «IlCorriere delle Valli Stura e Orba», dell’8 otto-bre 1922.

5 Si veda “Da Ovada – A proposito deldirettorio fascista”, ne «Il Secolo XIX» del 24ottobre 1922 “Ovada 21 (Cerbero) – A proposi-to del conflitto fascista abbiamo dimenticatosegnalare che nel disarmare il Romairone, que-sti veniva ferito al capo leggermente. L’egregiodottor Eraldo Ighina ne dichiarava guaribili leferite in 10 giorni.

6 Si veda “Elezioni Amministrative” ne «IlCorriere delle Valli Stura e Orba» del 21 gen-naio 1923.

7 Si veda “Elezioni Amministrative” ne IlCorriere delle Valli Stura e Orba del 07 gennaio1923.

8 Si veda “Il Commissario Prefettizio” ne«Il Corriere delle Valli Stura e Orba» del 13agosto 1922.

9 Si veda “Elezioni Amministrative” ne «IlCorriere delle Valli Stura e Orba» del 21 gen-naio 1923. Inscritti 3226 – Votanti 1438.Maggioranza: Spotorno Cav. Giacomo voti788, Moizo Michele 781, Soldi Ing. Giacinto776, Surdi Ing. Carlo 774, Grillo dott. Piero773, Peruzzo Angelo Nino 772, Arata Paolo762, Sciutto Agostino 762, Gaggero G.B 759,Pennoni Umberto 758, Nervi Carlo 755,Gaggeri Tomaso 752, Pernigotti Rag. Guido752, Gandini Bernardo 750, Cannonero Fran -cesco 750, Repetto Dott.Aurelio 747, BruzzoEmilio 743, Ivaldi Carlo Vittorio 739, PesciAvv. Riccardo 736, Pastorino Gustavo 732,Giangrandi dott. Giacomo 726. Mino ranza:Cereseto Ing. Antonio 498, Murchio Angelo472, Merlo Cleodoro 454, Cucchi AlbinoAngelo 450, Grillo Domenico 439.

10 Si veda “Consiglio Comunale - Sedutastraordinaria del 21/1/1923” ne «Il Corrieredelle Valli Stura e Orba» del 28 gennaio 1923

11 Si veda “Da Ovada” ne «Il Secolo XIX»del 6 giugno 1923.

12 Si veda “Un'associazione a delinquereche infesta le nostre contrade - L'arresto di trepericolosi individui” ne «Il Corriere delle ValliStura e Orba» del 17 dicembre 1922.

13 Si veda “Truce assassinio di una vecchiafruttivendola” ne «Il Corriere delle Valli Sturae Orba» del 7 gennaio 1923

A pag. 76, Vincenzo Romairone, ilprimo esponente repubblichino dispicco ucciso nel 1944 in provin-cia di Alessandria..A pag. 77, Ovada 12 settembre1923: la piazza di fronte alPalazzo Comunale (Piazza MadriPie oggi intitolata a Padre

Cere seto) brulica di folla per ilricevimento fatto dagli ammini-stratori locali, al cardinaleGiovanni Tacci Porcelli.A lato, particolare di un volanti-no diffuso in occasione delle ele-zioni amministrative del gennaio1923.

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Durante l’anno appe-na passato, nonostante la“stretta economica”, lanostra associazione gra-zie al contributo deinostri Soci ha proseguitola propria attività.

Cito ad esempio lepubblicazioni tra le qualispiccano il saggio diDAVIDE ARECCO, DaNewton a Franklin -Giambattista Beccaria ele relazioni scientifichefra Italia e America nelsecolo XVIII e la biogra-fia per immagini diMarcello Venturi: Guar -dare la vita curata da Ca -milla Salvago Raggi.

Mentre prosegue ildelicato compito di cata-logazione delle pubbli-cazioni ricevute ed acquistate per labiblioteca che le Sig.re MargheritaOddicino e Rosanna Pe sce, da alcunimesi affiancate da Paola Tassistro,continuano a svolgere avendo comeobiettivo il riordino dei Periodici edelle Riviste; si affianca a quest’ulti-mo ad opera di Paolo Bavazzano,Giacomo Gastaldo e del fotografoRenato Gastaldo, la catalogazionefotografica delle oltre duemila operepittoriche, varie per formato, tecnicheesecutive e soggetti, di FrancoResecco l’amico pittore ovadesescomparso nel 2007.

Il figlio, Padre Rinaldo ha più voltemanifestato l’intenzione di donaregran parte delle opere al Comune diOvada per la formazione di una“Quadreria” permanente; donazioneche comprenderà anche la realizzazio-ne di un catalogo e di una mostra.

Seguendo una tradizione ormaiconsolidata, nel corso del 2009 alcunineolaureati hanno depositato presso lanostra biblioteca le loro tesi di Laurea:

LOREDANA PULELLI, Architetturadelle centrali idroelettriche italiane1910-1940. L’esperienza di Gio vanniMuzio e Piero Portaluppi.

MICHELA SCALTRITTI, Anticipazionidi una Grammatica Razionale scono-sciuta: La Ragion della Lingua di P.Domenico Buccelli.

DANILO CANEPA, Il rito spettacoloin terra rocchese.

IRENE SQUADRELLI, La Diga diMolare dopo settant’anni: da eventocatastrofico a opportunità per lo svi-luppo locale?

CRISTIAN LA SALA, Avvio diun’indagine sugli edifici di Castellaz-zo Bormida: le fonti e gli arredi tra ilXVII e XVIII secolo.

MIRKO REPETTO, Strutture eccle-siastiche dell’Ovadese Medioevale.

ESPARTERO PALESTRINI, Lo sviluppoeconomico, sociale e l’evoluzione delsistema scolastico in Ovada nelNovecento.

MostreA Maggio 2009 l’Accademia

Urbense ha presentato a TorinoLingotto Fiere, nel corso del XXIIISalone Internazionale del Libro,alcune pubblicazioni che han no riscos-so un lusinghiero consenso.

Convegni Confe renze Presentazioni

Martedì 21 Aprile ‘09 nelle Can-tine di Palazzo Delfino l’Ac ca de mia

Ur bense ha presentatol’ottantaquattresimo volu-me della serie “Memoriedell’Accademia Urbense”.Erano presenti oltre aCamilla Salvago Raggi,che ha curato l’opera,anche Giovanni Capecchie Mario Canepa, autori deitesti. Presentazione legataall’anniversario dellascomparsa di MarcelloVenturi ricordata al matti-no con una S. Messa cele-brata nella cappella diCampale.

Venerdì 26 Giugno 09presso la Loggia di S.Sebastiano commemora-zione di Marcello Venturi.Manife stazione proseguitail giorno successivo aCampale con l’inaugu-

razione del Museo dedicato allo scrit-tore.

Domenica 28 Giugno ’09 su invitodell’Accademia Urbense si è svolta inOvada la Riunione di Consiglio dellaConsulta Ligure, Associazione deisodalizi liguri con scopi di cultura e didifesa delle tradizioni e dell’ambiente.Dopo il “benvenuto” presso la sededell’Accademia Urben se, la riunione èproseguita presso l’Aula Magnadell’Istituto”C. Barlet ti” e si è poi con-clusa con un simposio gastronomicomolto apprezzato presso il ristoranteL’Archivolto.

L’Accademia Urbense ha presenta-to in occasione delle festa dei mestieria Parodi Ligure il volume di FrancaGuelfi -Appunti sulla Cucina Storicadi Parodi Ligure, a cura di GiacomoGastaldo, era presente il presidentedello Provincia di Alessandria dott.Filippi.

Domenica 25 Ottobre ‘09 nel qua-dro del Festival “In mezzo scorre ilfiume Cinema Ambiente EsplorazioniCulture” ideato dalla cooperativaZelig e realizzato insieme allaComunità Montana e al Parco delBeigua con il contributo della RegioneLiguria e della Provincia di Genova,

Accademia Urbense 2009: l’attività di Giacomo Gastaldo

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nella Sala Capitolare dell’AbbaziaSanta Maria alla Croce in Tiglieto èstato presentato il volume di AdrianoMàdaro “La Rivolta dei Boxer -Pechino 1900” con interventi diAlessandro Laguzzi, Paolo Bavazzanoe Pier Giorgio Fassino. All’incontro,in cui è stata ricordata la figura del-l’ambasciatore Giuseppe SalvagoRaggi indissolubilmente legata allevicende narrate dal libro, erano pre-senti il Sindaco di Tiglieto, ilPresidente della Comunità MontanaValli Stura, Orba Leira e la MarchesaCamilla Salvago Raggi.

Giovedì 26 Novembre ’09 pressola Sala Punto d’Incontro Coop,Alessandro Laguzzi e Paolo Bavaz -zano, su invito di Coop Liguria hannotenuto un’applaudita conferenza su“Le Leggende ovadesi”.

Pubblicazioni

A vario titolo l’Accademia hapreso parte alla edizione dei seguentivolumi:

ROBY POLA, GIORGIO BADI NO -ALESSANDRO BARISO NE, MAURO

FERRO E FEDERICO VIGNOLO (a cura)Trent’anni di Pallavolo Ovada –Immagini ed Emo zio ni AssociazioneDilettantistica Pallavolo Ovada.

DAVIDE ARECCO, Da Newton aFranklin. Giambat tista Bec caria e lerelazioni scientifiche fra Italia eAmerica nel sec. XVIII – con una scel-ta di documenti. Ediz. AccademiaUrben se, Associazione “Lettere edArti” di Francavilla Bisio, CentroStudi “In Novitate” di Novi Ligure.

CAMILLA SALVAGO RAGGI (a cura) –Guardando La Vita, Marcello Venturi,biografia per immagini con testi diGiovanni Capecchi e Mario Canepa –

LUCIA BARBA, I Giorni Della Fe -sta, Comune di Tagliolo Monferrato

VALERIO RINALDO TACCHINO, IlTrop po Bello a Volte Puo’ Far Male,Comune di Castelletto d’Orba

FRANCA GUELFI -Appunti SullaCucina Storica di Parodi Ligure ProLoco Parodi Ligure.

Nella prossima riunione del diretti-vo dell’Accademia Urbense ha inten-zione di proporre e valutare la possibi-lità di ristrutturare il locale di esposi-zione “Il Vicolo” per adattarlo a salaespositiva permanente. Questa opera-

zione contribuirà a valorizzare e asistemare adeguatamente il patrimoniodi quadri avuti in eredità da NinoNatale Proto.

Mario Canepa sta terminando unvolume dal titolo Pagine perse: ProtoResecco, e l’Accademia che ha persoggetto gli anni eroici del nostrosodalizio che egli tratta attraverso isuoi ricordi e la sua sensibilità.

L’opera, che sarà presentata il 18giugno a Campale (vedi pag. 3) è aper-ta dalla presentazione del nostro presi-dente Alessandro Laguzzi che riportia-mo di seguito:

Cinquant’anni dopo

L'Accademia Urbense nasceva adOvada più di 50 anni fa. Con il passa-re del tempo l'avvenimento, così comei primi anni di attività del sodaliziohanno finito col perdere i loro contor-ni definiti e si sono fatti più vaghi eindeterminati quasi fossero pronti apassare dal piano della cronaca aquello del racconto, anzi, calcando unpo' la mano, si potrebbe dire che è ilmomento perché questi fatti possanoassurgere dalla storia al mito.

Perché l'operazione riuscisse c'eraperò bisogno di un cantore di questeorigini, se non un Omero o un Virgilio,per lo meno un Tassoni o un Boiardo.

Noi lo abbiamo trovato in MarioCanepa che ha compiuto il miracolodi rileggere le imprese dei nostri eroi:Proto e Resecco, Costa e FrancoPesce e tanti altri con gli occhi del-l'affettuosa ironia, né manca un'irosadea che ben ci ricorda la Giunonedell'Iliade.

A noi eredi indegni di si fatti perso-naggi non rimane che plaudire allabravura dell'autore che ci ha saputorestituire l'umanità degli amici che cihanno preceduto.

Concludiamo ringraziando i nume-rosi Soci che con la loro attività ren-dono sempre più efficace la nostraopera. In particolare le già citatebibliotecarie Margherita Oddicino Ro -sanna Pesce e Paola Tassistro, che ren-dono rintracciabili le numerose pub-blicazioni che ogni anno arricchiscanola nostra Biblioteca, il segretario gene-rale Pier Giorgio Fassino, che oltre adessere un autore apprezzato si sobbar-ca le corrispondenze con le societàconsorelle e le istituzioni, BrunoTassistro che ci aiuta in campo fiscaleed informatico

Un ringraziamento infine alComune di Ovada e ai nostri generosiSponsor, e agli Enti Locali che hannosorretto la nostre iniziative.

A pagina precedente, Sala capi-tolare della Badia di Tiglietopresentazione del libro “La Rivolta dei Boxer”.

In basso la galleria “Il Vicolo” durante la premiazionedi una mostra colettiva, alcuni anni fa

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CAMILLA SALVAGO RAGGI, Album1892 - 1894, Tipografia Pesce - Ovada,2009.

E’ recentemente apparso in libreria ilvolume che Camilla Salvago Raggi hadedicato a Nonna Camilla, “Lady RedCross”, come merita di essere definitaquesta nobildonna (nel significato piùcompiuto del termine per animo ediscendenza) che tanto si prodigò nell’o-spedale improvvisato tra le mura delleLegazioni assediate a Pechino nel 1900durante la Rivolta dei Boxer. InfattiCamilla Pallavicino aveva sposato, nel1891, il Marchese Giuseppe SalvagoRaggi che, come è noto, era il nostroAmbasciatore a Pechino quando scoppiòquella sanguinosa sommossa.

Mentre gli assediati combattevanosulle provvidenziali muraglie di recin-zione del quartiere delle Legazioni e subarricate speditamente erette in attesadell’arrivo del contingente internaziona-le di soccorso, molte mogli di ambascia-tori, sebbene con animi profondamenteturbati per il grave pericolo incombente,passavano le giornate chiuse in ovattatisalotti.

Ma Camilla non si era persa d’animoe si era prodigata esemplarmente comeinfermiera tra i numerosissimi feritimeritandosi (a pieno titolo) unaMedaglia d’Argento ed un Diploma diBenemerenza della Croce RossaItaliana.

Ora l’Autrice, pur non avendo avutola felicità di conoscere Nonna Camilla,deceduta prima della sua nascita, attin-gendo al copioso Archivio SalvagoRaggi, ha degnamente ricordato la suaantenata.

In primo luogo pubblicando unaserie di ritratti fotografici giovanili efotografie “casual” che ritraggonoCamilla in diversi momenti di vita fami-gliare. In secondo luogo inserendo unafolta serie di “scatti” a Badia e Campaleche ci offrono un’ interessante panoramasulla vita di campagna non solo deinobili proprietari ma anche dei lorocoloni.

Fotografie, questo è il punto, scattateda Nonna Camilla con la sua inseparabi-le Voigtlander a soffietto ( passione evi-dentemente trasmessa alla nipote ), chesi premurò di fissare le immagini delleescursioni in portantina o a cavallo,delle processioni, della vendemmia,delle giornate di festa e di tanti altriaspetti della vita in Badia a fineOttocento.

Assai interessanti anche le foto che

ritraggono il complesso abbaziale, lecase coloniche, la ferriera, il pontemedioevale ed in particolare il“Gattazzè”, la grande casa di cacciasulle alture sopra Badia che un violentoincendio ridurrà ad un ammasso di muraannerite verso la metà del secolo scorso.

Invece nella parte del volume dedi-cata a Campale, minore rispetto a quelladedicata a Badia, in diverse fotografieviene ricordato anche il piccolo Paris dicirca due anni (il padre dell’Autrice).

Quindi un’opera accattivante sottodiversi aspetti alla quale anche MarioCanepa ha portato il proprio contributocurando la parte grafica della pubblica-zione col suo consueto ed inconfondibi-le stile.

Pier Giorgio Fassino

Abbiamo ricevuto e segnaliamo conpiacere il libro di GIANCARLO LIBERT,L’emigrazione piemontese nel mondo.Una storia millenaria, Aqu4ttro edizio-ni, Chivasso 2009, pp. 301. Volume pro-mosso dalla Regione Piemonte.Assessorato al Welfare, Lavoro,Immigrazione ed Emigrazione.

L’Autore* analizza storicamente ilfenomeno dell’emigrazione piemontesenel mondo, dall’epoca medievale sino aigiorni nostri, fornendo una fotografiadell’attuale presenza piemontese nelmondo e del fenomeno “diffuso” deigemellaggi tra paesi del Piemonte e

dell’Argentina.Nella seconda parte vengono poste in

evidenza le vicende di alcuni personag-gi e delle loro famiglie, che nei secolipassati e nel presente hanno contribuitoo contribuiscono a dare il loro apportoallo sviluppo culturale e imprenditorialenei paesi in cui sono emigrati; molti diessi hanno mantenuto il legame con laterra di origine portando nei paesid’adozione usi e costumi piemontesi, esi sono fatti strada svolgendo moltepliciattività - quali la vitivinicoltura, la risto-razione, l’insegnamento, il cinema, lapittura - in Argentina, Messico, Egitto,Stati Uniti, Francia, Spagna, RepubblicaCeca, Russia, Uruguay, Brasile,Australia, ecc.

Un ricco indice dei nomi e dellelocalità aiuta il lettore alla scoperta deipersonaggi e dei luoghi citati nel volu-me.

Dall’interessante studio di Libert,nostro socio e collaboratore, riprendia-mo i capitoli riguardanti l’emigrazioneavvenuta in vari periodi nei paesidell’Alto Monferrato e le vicende vissu-te in terra straniera dall’emigrante ova-dese Alessandro Ferro, il quale si è par-ticolarmente distinto in Argentina.

*Giancarlo Libert, nato a Torino nel1963, giornalista pubblicista; da oltre 25anni con duce ricerche di storia locale estoria del l’emigrazione piemontese. Esocio del Centro Studi Piemontesi diTorino, della Società di Studi Storici diCuneo, della Società di Storia, Arte edArcheologia per le province di Ales -sandria e di Asti, di lulia Dertona, dellaSocietà Studi Astesi, del l’AccademiaUrbense, della Società Italiana di StudiAraldici. Ha scritto numerosi saggi sullastoria dell’emigrazione piemontese inArgentina, Francia, Egitto e California,sulla storia locale e sulla storia nobilia-re, apparsi in volumi e riviste italiane,francesi e argen tine. È tra i fondatoridell’Associazione sto rico-genealogicaNostre Origini, di cui è Presidente. Hacurato per l’editore Bonechi di Firenze ilcapitolo sull’Emigrazione Pie montesenel Mondo nella Grande Storia delPiemonte. Ha pubblicato i seguentivolumi:

Città Giardino. Mezzo secolo di vitadi un borgo di periferia, riguardante levicende di uno dei più importanti scan-dali edilizi, nella Torino del secondodopoguerra; Astigiani nella Pampa.L’emigrazione dal Piemonte, dal Mon -ferrato e dalla provincia di Asti inArgentina, sull’emigrazione piemontese

Recensioni

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in Argentina; Cascine e territorio aiconfini della Città. Rocca franca PozzoStrada dall ‘Assedio del 1706 ai giorninostri, in cui narra le vicende ed analiz-za il territorio ai confini tra la Città diTorino e la Città di Grugliasco dal 1706ai giorni nostri.

Con altri storici locali nel 2008 hapubbli cato, in occasione dell’800 anni-versario della costruzione della chiesa,poi santuario, Santa Rita. Un santuarioe un quartiere torinese, in cui sononarrate le vicende del quartie re torinesedi Santa Rita.

ALBERTO DEZZOLLA, Quando il trenoarriva e altre stravaganze, Genova2009, Ricezione variabile n. 3.

Sabato 28 Novembre 2009 presso ilComune di Masone Alberto Dezzolla hapresentato il suo nuovo libro. I perso-naggi di questo scrittore che qualcheanno fa è stato da noi premiato perl’opera Storie di polenta e fumo, nonsono mai banali, ognuno è un pezzo diumanità che si oppone, anche inconsa-pevolmente, al “secolare disprezzo etimore per i diversi”. Sono contadini emanager, girovaghi, ribelli, eccentrici,“foresti”, cittadini di un mondo che aqualunque latitudine rimane sempre unpo’ stretto. Uomini e donne liberi, comeEnrico “Paietta”, contadino, zingaro,operaio, viaggiatore, garibaldino, balle-rino di tango, gaucho, ai tempi dell’uni-tà d’Italia o come “Mira la sfrontata,l’azzardata, la pazza, che incurante deglialtri addormentati lì attorno lo volevaora, subito, le gonne sparse intorno a lui,il corpetto slacciato, la bocca che bacia-va e mordeva senza controllo, il ventreelastico, animato di vita propria come inuna danza riservata a lui soltanto”.Ritratti fulminanti e sorprendenti di per-sone che si muovono, quasi senza accor-gersene, in piccoli paesi e in grandi città,tra vita contadina e fabbrica, tra Natali egiorni qualsiasi, tra il mare e i montibrulli e poco generosi. Emigranti a vita,bastian contrari accompagnati da anima-li o solitari, “intenditori di cibi, di vini edi donne”, traghettatori di persone e dianime, figure che appaiono e scompaio-no tratteggiate in poche righe, come “ilbellissimo londinese, perdutamenteoggetto del desiderio di tutte le ragazzedei corsi e altrettanto perdutamentegay”.

Quadretti intensi e imprevedibili,disegnati con l’acquerello del buongusto e dell’ironia, abitanti di un mondosempre più piccolo in cui il protagonista,

oltre a questi stravaganti che tutti ungiorno abbiamo incontrato, è e rimane ilviaggio.

Alberto Dezzolla è lo pseudonimo diun manager laureato in Chimica eGenova nel 1977 e nato nel 1953 aMasone in Valle Stura. In gioventù hacollaborato con il quotidiano genovese“Il Lavoro”. Sposato con due figlie, halavorato per dieci anni a Taranto e altret-tanti a Genova presso la direzione tecni-ca di una grande industria, passando poialle dipendenze di una multinazionaletedesca. Ha viaggiato moltissimo:Europa, Nordafrica, Medio Oriente eAmeriche, in particolare Argentina. Siracconta così, come se fosse uno deisuoi personaggi: “scribacchio da semprecon esigui risultati e negli ultimi annisono diventato un passionale del tangoargentino, che pratico, come tutte lecose, da perenne principiante”.

MARINA ELETTRA MARANETTO, Ameno che, Sabato 28 Novembre 2009presso i locali del Teatro S.O.M.S. diSilvano d’Orba si è tenuta la presenta-zione dell’ultima fatica letteraria di

Marina Elettra Maranetto. A meno che,questo è il titolo del volume, sottendeuna femminilità sofisticata, evidente e,al contempo, rarefatta, peculiarità sem-pre presente e costante nell’opera dellaMaranetto. L’autrice affascina, cattura,confonde tra scenari di provocatoriafemminilità e buon senso. Il lettoreascoltandola, leggendola si troverà difronte ad una personalità senza tempo,ad un eterno gioco tra eleganza ed etica,in cui ciò che è contemporaneo scivolaimmediatamente in un passato di bellenostalgie e, viceversa, in un attualità dipensiero che si è svincolata da falsipudori ed ipocrite reticenze. E questecaratteristiche letterarie sono il filo con-duttore di tutta l’opera della Maranettoed anche il suo ultimo volume è pregnodi “dilettantismo aristocratico”, per dirlacon Mauro Galli nel suo attuale studiosul Cenacolo di Sofia di Bricherasio. Iritratti di donna delineati dallaMaranetto si possono definire dei veri epropri dipinti. A meno che nasce perognuno dei personaggi femminili prota-gonisti di differenti e unite categoriedello spirito, un interesse sincero, unacuriosità che viene sempre soddisfatta.In questo senso, una delle caratteristichedella scrittura della Maranetto è l’attesa,un monito quasi civettuolo – ma anchesaggio – al saper aspettare. Penso adun'altra sua opera, Pedagogia estrema,di efficace ironia e di pregnanti attese. Ivolumi della Maranetto appaiono sospe-si tra sofisticate costruzioni letterarie ecredo sociale ed ancora ironia, di cui let-teratura e società hanno più che maibisogno nelle tenebre e nel pianto attua-le – per ancora molti giochi di ragazzaquale è rimasta, che si potranno ancheun domani trasformare in una scritturadi sostanza più rigorosa, che al principiodi piacere, lascerà il posto al principio direaltà.

Lorenzo Pestarino***

MAURIZIO CESTE*, Testimoni dellacarità. Le conferenze di San Vincenzo.150 anni di storia. Volume I –L’Ottocento, Effatà Editrice, Torino,2003, pp. 508.

Il libro presenta la ricostruzione dellastoria delle conferenze di San Vincenzode’ Paoli a Torino, inserita nella realtàdel tempo e interpretata attraverso gliavvenimenti degli ultimi cinquant’annidell’Ottocento (il secondo volume, sulNovecento, è in fase di preparazione),cercando di comprendere, in primo luo -go, come la San Vincenzo si sia mossa

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nel contesto civile e religioso piemonte-se, contribuendo in maniera decisivaallo svi luppo delle attività sociali edassistenziali di Torino e in secondoluogo come sia riuscita, nel tempo, amantenere una propria chiara identitànella Chiesa e rispetto agli altri movi-menti ecclesiali, rifuggendo da un impe-gno politico diretto. Un percorso docu-mentato e rigoroso che va a colmare unalacuna storiografica e che poneparticolare attenzione agli uomi ni delleconferenze, centinaia di “testimoni”silenziosi, vicini ai più poveri, al prole -tariato della nuova città industriale:dalle vittime dell’epidemia di colera del1854 ai giovani negli oratori, daglispazzaca mini agli ammalati negli ospe-dali cittadini, senza dimenticarel’attività principale che ancor oggicontraddistingue le conferen ze: la visitadel povero presso la sua abi tazione.

Alle pagine 195 e 196 l’Autore trat-ta della Conferenza di Ovada e si avvaleanche della ricerca condotta da NadiaAlloisio, in parte pubblicata sulla nostrarivista:

La prima conferenza del Piemonteven ne fondata ad Ovada nel dicembredel 1849, pochi mesi prima di quellatorinese che vide la luce il 13 maggiodell’anno successivo.

All’epoca, la conferenza di Ovada,pur trovandosi nella provincia e nelladiocesi di Acqui e quindi in territoriopiemontese, era stata aggregata, in man -canza di conferenze in Piemonte, a quel-la di Genova, operante da centro di ri -ferimento per l’intera penisola.Successivamente, anche per ragioni diprossi mità geografica. non venne aggre-gata a Torino che pure, dal 1856, eradivenu to Consiglio Superiore per ilPiemonte. Fu così che la conferenza diOvada, tro vandosi nei libri delConsiglio Superiore di Genova e noncomparendo nei ren diconti piemontesi,perse visibilità tra le conferenze delPiemonte e ingenerò, per lungo tempo,la convinzione che la prima conferenzapiemontese fosse stata fondata a Torino.

Era il 1 novembre 1849, quando ilparroco di Ovada, don Ferdinando Brac -co, con altri tre religiosi e quattro par-rocchiani, scrisse al conte Rocco Bian -chi, presidente del Consiglio Superioredella San Vincenzo di Genova:

Sentito il gran bene che fa in Genovala Società di San Vincenzo de’ Paoli, daV.S. Il. ma sì lodevolmente diretta,venendo ad essere sollevati i poveridella capitale in ogni loro necessità, ad

imitazione di quanto si operò in Genovadesideriamo di imitarne le forme. Se nericorrono a V. S. Il.ma affinché vogliadegnarsi d’esserci nostra guida e procu-rarci l’aggregazione onde stabilireanche qui in Ovada la detta venerandaSocietà.

Il conte Bianchi 18 novembre pre-sentava la richiesta di adesione del grup -po di Ovada alla conferenza di Genovae, ottenutone l’accordo, rispondeva po -si tivamente al parroco già il giorno 15.Così, dopo poco più di un mese, il 9dicembre, poteva essere ufficialmentecostituita la nuova conferenza. Presi -dente fu nominato Romolo Borgatta e laprima questua fruttò lire 9,90. IlRendiconto del primo anno di attivitàpresentava 1317,45 lire di introiti e1030,38 lire di spese in opere di carità.

La conferenza era composta da settemembri attivi, dodici onorari e ben centotra sottoscrittori, benefattori e contri-buenti e soccorse centodue famiglie**.

Dopo Ovada e Torino, la terza confe-renza piemontese sorse ad Alessandrianel 1853…

*Maurizio Ceste, nato nel 1953 aTorino, dove vive con la moglie e trefigli. Funzionario di banca, si occupa dicom mercio internazionale.

Fa parte della San Vincenzo dal1972. Ha realizzato questo volume conl’atten zione del cultore di storia e conl’affetto del confratello. (come sottoli-neato dal cardinal Severino Poletto nellaPrefazione) facendo confluire oltrequattro anni di ricerche.

**Cfr. N. Alloisio, I 150 anni dellaSan Vincenzo ad Ovada, in .Urbs, XII,3-4, (dicembre 1999). I docu mentiriguardanti la nascita ed i primi anni ditale conferenza sono conservati pressol’Archivio parrocchiale di Ovada. Noti -zie sulla costituzione della conferenza diOvada si trovano anche sul “Bullettin”dell’aprile 1850 p. 105.

***

LUCIA BARBA, I giorni della festa.Feste religiose e ricorrenze civili traMonferrato acquese e Oltregiogo ligure,Comune di Tagliolo Monferrato, MEMO-RIE DELL’ACCADEMIA URBENSE, Collanadiretta da Alessandro Laguzzi, NuovaSerie n. 85 – Tipografia Pesce, Ovada2009, p. 159.

La presentazione del libro, avvenutaa Tagliolo Monferrato domenica 6 set-tembre 2009 nell’ambito della manife-stazione Le Storie del Vino, ha vistoriunite tante persone che hanno applau-dito e caldamente ricompensato questonuovo lavoro di Lucia Barba. Dopo ilbreve saluto del sindaco Franca Repetto,la quale ha ricordato le precedenti pub-blicazioni promosse dal Comune in col-laborazione con l’Autrice: Tagliatellestese al sole e La regina castagna,l’assessore alla cultura SerenaGarbarino è entrata nel vivo dell’argo-mento introducendo con appropriatiragionamenti il libro che, sia per la gra-fica, sia per il formato si presenta moltobene anche fisicamente. Mario Canepanel lavorarvi intorno lo ha arricchito dibelle illustrazioni avvalendosi di imma-gini veramente suggestive, risalenti allafine dell’Ottocento, tratte dall’archiviodella scrittrice Camilla Salvago Raggi.Altrimenti sembrerebbero foto di scenascattate sul set di Novecento, il capola-voro di Bertolucci. Commoventi e tra-scinanti al tempo stesso quelle dove icontadini della Badia di Tiglieto, in unmomento di pausa della sfogliatura delgranoturco, danzano allegramente lagiga sul prato. Altre immagini sono statescelte dalla raccolta dell’Accademia.Esse scandiscono il racconto che Luciasnoda per i giorni festa della nostra tra-dizione: legati alla ricorrenza del Santopatrono, della fiera annuale, ai momentifamigliari all’insegna della buona tavolae dell’allegria in occasione di battesimi,comunioni e nozze, ecc.

Il libro è “volutamente” scritto inmaniera semplice e comprensibile atutti, Lucia ha tralasciato il superfluo,senza però venir meno all’essenza deifatti e delle vicende narrate. La vestetipografica fa poi del libro quasi unastrenna, dedicata ad un territorio che hatante tradizioni da recuperare senza con-tare quelle che sono andate perdute persempre.

Nel corso del suo intervento ha ricor-dato, tra l’altro, che verso la metà del‘900 la società contadina, fino alloraimmutata nei secoli, ha iniziato a dissol-versi. Sono decadute così ritualità tradi-

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zionali; riti di propiziazione, le proces-sioni, i canti di lavoro, i proverbi, il dia-letto patrimonio di una società pretta-mente contadina e rurale. Su questasocietà è calato come un sipario perchéle fabbriche, le macchine, la velocità deitrasporti hanno portato a condizioni divita meno grama, più facile, e lavorarein campagna è diventavo marginale.Quello che è capitato poteva capitare informa un po’ meno dolorosa, però la sto-ria è andata avanti.

Le singole feste nostre affondano leradici in principi, in cose, in fatti cheveramente vanno molto all’indietro,sino mondo greco e romano. I romanicon la loro religiosità basata sul mondodell’agricoltura, una religione agraria,più vicina al nostro mondo di religiositàcontadina. I romani hanno istituito deglidei come i Penati che sono proprio divi-nità della casa, della famiglia, dellacampagna, dei raccolti, fanno riti propi-ziatori perché i raccolti vadano a buonfine. Questi riti purificatori sono arrivatifino a noi, ricordiamo per esempio labenedizione delle case. Anche la naturaha un senso spirituale, non è un qualco-sa di inanimato, tutto ha un’anima equindi la natura va rispettata...

Il libro ci aiuta a ripercorrere con lamemoria i giorni di festa che abbiamovissuto intensamente fin dall’infanzia,ricostruendone le varie atmosfere chenaturalmente ognuno rivive in manierapersonale attraverso i propri ricordifamigliari. Le feste di fine anno, peresempio, con i loro profumi di bucced’arancio e di mandarino, messe ad arro-stire sulla stufa dove finiva a sfrigolareanche qualche raviolo sottratto allamamma in fase di preparazione. I vapo-ri della cucina impregnavano l’aria dellestanze come i maccheroni nel brodo dicappone. L’epifania portava un po’ ditristezza perché le feste come dice unproverbio se le portava via… ma prestoil carnevale avrebbe nuovamente porta-to con i balli e le mascherate i momentidi allegria. Nuovamente la quaresima,torrente in secca, tempo di rinuncia e disermoni, la Santa Pasqua con il cane-strello e i canti della Passione. Tempi incui si mangiava la frutta alla giusta sta-gione e dispensata dalla natura: lepesche da vigna settembrine, le melecarle, le ciliegie, l’uva regina da appen-dere per le feste di Natale, le fragole deiCiutti portate fino in casa dalla lattiven-dola dentro un cestino confezionato conle foglie di castagno intrecciate con gliaghi di pino.

Tutte queste cose oggi noi le cerchia-mo, illusi di ritrovarle tali e quali, nelleinnumerevoli sagre di paese che si sus-seguono nell’ovadese, concentratesoprattutto nei mesi estivi. Ogni paese,borgo o città pubblicizza il proprio piat-to tipico al centro della propria sagrache, spesso, come un tempo coincidecon la festa patronale. Si tratta moltospesso però di surrogati artificiosi, maciò non significa che si debba rimpian-gere il passato, come un tempo miglioredove tutto era più bello.

Leggere e osservare le immagini de Igiorni della festa è un po’come far scor-rere fra le mani le pagine di un calenda-rio che riflette la storia, le tradizioni, lareligione del nostro popolo: sul filo deigiorni si snodano, infatti, miti e leggen-de, riti e usanze, spesso frutto di tradi-zioni millenarie. Lo confermano, inOccidente, molte ricorrenze: la festa diSan Giovanni, per esempio, il 24 giu-gno, con il suo corteo di balli, canti,pratiche magiche e purificatorie, la«follia doverosa» del Carnevale e delCapodanno, l'atmosfera euforica deigiorni del solstizio invernale, il Natale el'Epifania. Persino i cibi preparati intali occasioni tengono conto di usanzeantichissime, dalle «ossa dei morti» del2 novembre alle uova pasquali, alpanettone natalizio. In questo libroLucia ripercorre i giorni di festa rico-struendone l'origine, il significato chesovente discende da tempi lontani e lo faseguendo il ciclo del sole, dalla sua rina-scita simbolica al solstizio d'invernofino al suo declinare nell'autunno: unpercorso scandito dalle grandi ricorren-ze che segnano i diversi periodi dell'an-no e da memorie di santi che trovanoprecise rispondenze nella storia piùampia dei nostri paesi come, santaLucia, sant'Antonio abate, san Giorgio,san Bovo, san Defendente, san Martino

e san Giovanni Battista.Nel corso della presentazione Lucia

ha parlato anche degli aspetti modernidella tradizione: «oggi si fanno ancora leprocessioni ma tu non ci sei più dentro,sei un attore e la processione la guardi.Tanto è vero che molta gente guarda laprocessione e non vi partecipa. Sarebbestato quasi impossibile una volta nonpartecipare e guardare. Si diceva, macome quello lì guarda e basta! Quindioggi le processioni saranno anche piùbelle, le poesie dialettali potranno conti-nuare, potremo anche insegnare il dia-letto nelle scuole, ma la società vivequando queste cose sono dentro di lei euno non ci riflette sopra; nel momento incui le vedi, ci rifletti, queste cose sonogià affidate ai libri, alla memoria...»

Paolo Bavazzano***

Atlante Toponomastico del PiemonteMontano. Morbello, a cura di BRUNO

CHIARLO, Regione Piemonte-Universitàdegli Studi di Torino, Torino, 2008.

L'Atlante Toponomastico del Pie -monte Montano (ATPM), Ente patroci-nato dalla Regione Piemonte in collabo-razione con l'Università di Torino,Dipartimento di Scienze del Lin guag -gio, persegue l'obiettivo di raccoglieresistematicamente i nomi dialettali, anti-chi e recenti, di tutte le località deiComuni montani piemontesi. Èun'iniziativa di alto valore culturale poi-ché i nomi di luogo costituiscono unpatrimonio in via di rapido depaupera-mento; da qui l'urgenza di catalogarli etramandarli alle generazioni futureprima che l'abbandono delle campagne,il generalizzato indebolimento del dia-letto, la fisiologica scomparsa delle per-sone più anziane - le principali deposita-rie di questo "sapere" affidato in preva-lenza alla memoria orale - ne decretinola perdita definitiva.

L'ATPM ha già raccolto la documen-tazione relativa a 34 Comuni. Ognivolume si apre con una introduzionedell'Ente promotore in cui sono illustra-te le finalità e le tecniche di raccolta edelaborazione dei dati. La trentaquattresi-ma opera riguarda per la prima volta unComune dell'Alto Monferrato: Mor -bello. L'autore è Bruno Chiarlo, un do -cente universitario di Chimica, già se -gna latosi negli anni scorsi per una seriedi pregevoli lavori dedicati a Morbello edintorni (basti qui ricordare l'articolosulla torre detta "del Marocco" apparsonel n. 1 della nostra rivista, annata2003). La trascrizione grafica della

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fonetica dialettale secondo le normedella International Phonetic Associationè curata invece da Federica Cusan,redattrice dell'ATPM.

Lo studio della toponomastica, comesi sa, è terreno assai insidioso: se non sipossiede un solido bagaglio culturale euna sufficiente padronanza della mate-ria, si corre il rischio di incorrere in erro-ri grossolani o di avventurarsi in inter-pretazioni etimologiche fantasiose, mafuorvianti e prive di fondamento. BrunoChiarlo riesce ad eludere i trabocchettiinsiti nella disciplina grazie alle suenotevoli competenze in campo linguisti-co, in campo storico, in campo topogra-fico.

A suo favore gioca altresì la lungafrequentazione del luogo. Solo un ricer-catore che conosce a fondo la parlatalocale, il territorio, la gente che vi abita,poteva raccogliere un numero così ele-vato di toponimi e microtoponimi altri-menti destinati all'oblio nel volgere dipochi decenni, se non di pochi anni.Sono infatti oltre 640 i toponimi dialet-tali individuati con precisione e posizio-nati su 5 Tavole in scala 1:10.000. Perognuno è riportato a parte un breve com-mento descrittivo e interpretativo. Altri186 toponimi, tratti da varie fonti scrittee orali ma privi di precise indicazioniubicative, ed i nomi di 59 antiche con-

trade vengono elencati allo scopo di nonperderne la memoria.

Toponomastica al centro dell'atten-zione, dunque, ma non solo. Il volume èimpreziosito da un'accurata descrizionedei caratteri ambientali, geografici, geo-mineralogici e paleontologici del territo-rio. L'Autore inoltre, in una estesa tratta-zione storica, inserisce la presenza sal-tuaria della comunità locale nelle vicen-de che, dalla protostoria fino al periodopre-napoleonico, si sono succedute nellearee dell'Acquese e dell'Ovadese. La

descrizione, a carattere continuo e nonframmentata in singoli episodi, è corre-data di genealogie relative alle famigliesignorili a cui nel corso dei secoli èappartenuto il feudo morbellese.

Edilio Riccardini

GIORGIO BOTTERO Poesie, AugustaFabrika.

Dalla collina/ ove il vignaiuolo/lavora ... una voce sepolta da molti annimi ha raggiunto e sorpreso; ed è voce dipoeta che ha resuscitato in mel'immagine di un laureato in lettere annisettanta, deciso e battagliero alle presecon una tesi di paleografia, preparata atamburo battente, discussa col massimodei voti. Poi prove d'insegnamento invarie sedi per avvicinarsi al suoMonferrato, A Nizza, col culto della pro-vincia e del "nativo" di quelle terre,della sua gente. Giorgio Bottero, saluz-zese di nascita, vissuto ad Acqui dall'in-fanzia alla frequenza universitaria, che,dopo un avvio felicissimo si trascinòfaticosa per insorgenti disturbi nervosi.Rompendo un silenzio di decenni miprovoca oggi col libro dei versi, stampa-to ad Agusta (!) offerto con un ritaglio digiornale che testimonia il successo alpremio "Città della Spezia", con tanto difoto che lo ritrae col sindaco di NizzaMonferrato e alcune autorità, piuttostoimpacciato fra il premio e la sua assi-stenza-musa. Già perchè il Bottero,ospite oggi d'una casa di riposo, appenauscito da una grave forma di prostrazio-ne dal rapporto di calore e d'attenzioni diLaura Cerruti ha tratto ispirazione perversi significativi: Ero nube e tenebra/mi hai raccolto/ e mi hai ridato un volto/e un sorriso. Ritrovatici abbiamo affida-to... alle poste lunghi colloqui per rico-struire un rappor-to culturale ed umanoche cela il segreto della poesia fresca einattesa per un sofferto cammino, unadolente ma combattiva vecchiaia, l'afondo di una sonda coraggiosa e sinceranelle pieghe della memoria, della riabili-tazione, dell'autostima messa in giocosenza riserve. Segregato assai prima deltempo, s'è fatto nella nevrosi attento agliechi che salgono dal cuore, ai risvoltid'un continuo colloquio con se stesso,cogli ospiti del Don Bosco, coi paesaggie le cose sempre diverse, sorprendentisollecitatrici d'un lettura poetica.Stupisce apprendere che i versi sonotutti datati fra 2007 e 2008, puntigliosa-mente aderenti al diagramma delladepressione e del riscatto, con tutte lemeste conside-razioni di quella e le sor-

prese, brevi feli-cità di questo; questo ilpercorso spirituale che sottende i versicon la rinnovata padronanza di sè, delproprio soffrire e vivere; ma il contro-canto ci dona pure una conferma dellequote raggiunte. La malattia ha datorilievo alle figure gene-rose di carità ecure, alla sorella amata ...anche quandole stelle/ non bucavano/ il cielo, all'asi-stente capace di franche attenzioni, pre-sente pure nella meditazione sociologi-ca: Oggi/ le masse umane/ obbediscono/per lo più a pagamento;/ ci sono per for-tuna/ creature/ che servono/ per amore.Sentiamo d'esser di fronte alla poesiamaturata nel clima e nelle esperienzedell'ospizio, un inconsueto terreno ispi-ratore, ove s'alimenta un pensiero nonimbelle d'anziano che favorisce un dis-tacco ironico perfino di fronte all'idea dimorte: pallida signora/ in nero.../ noi cherestiamo/ diciamo "ho vinto al lotto"oppure/ "mi pagano poco", la signorapallida/ passa ogni tanto. Spesso il pesodegli anni nutre le considerazioni d'unasaggezza raggiunta (lasciate pure/ che ilmondo/ mi sorpassi/ ..../ sempre piùdipendente; altre volte detta un delicatis-simo sigillo alla richie-sta di tenerezzaper gli anziani (I vecchi aiutarli/....quando saranno ai limiti/ accarezzare/loro/ il volto), non dimenticando le orecupe attraversate con solo un filo di spe-ranza, solo fra gli altri: a chi rimane nonresta/ che la collera/ e la preghiera.L'educazione religiosa s'è fatta nutri-mento e possesso spirituale; apre alcanto-preghiera, a Dio meditato nelcammino e nella sofferenza del malato,cui detta: Se guardo il Crocifisso/ e uni-sco i suoi dolori/ ai miei. Appare unaclausola religiosa recepita e accettata,più aperta: piccoli sforzi/ quotidiani/aumentano l'autostima/ a raccattaresuperbie. Vicino, in gioventù, al movi-mento dei "focolarini" di ChiaraLubisch, Bottero nutre un cristianesimoove è l'amore dato e ricevuto fra le cure,le sofferenze, i so-prassalti di felicità,anche brevi: Stamane/ ho sollevato/ lamia vecchiezza/ dal letto/ inaridito dallaconfusione/ dei so-gni/ e son venuto/ adascoltare/ te, o Signore...Dio mi aiuta/ogni giorno/ ogni alba/ a combattere/ permorire/ serena-mente/ in Lui. Quandonon tocca questi vertici, Bottero ritrovala sua dolente considerazione, mi hannoridotto/ a un rottame, che chiama incausa i farmaci e i lunghi sonni riparato-ri (il camminamento/ lungo la malattia)donde si esce coi segni incancellabili...di paure infantili/ di conflitti irrisolti;

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siamo allora rimandati alla figura pater-na presto mancata e causa forse di scom-pensi gravi, colmati fra gli altri dopo unritiro die-tro le quinte/ del mondo/ tra lafiumana di gente/ ho trovato/ chi mi haascoltato/ chi mi ha dato. Se pensiamo alBottero uomo di lettere e di letture cistupisce lo scarto deciso d'una letteratu-ra e poesia psicanalitica: egli è pago didar voce alla propria pena, ai momentiin cui risucchiato/ dal male stenta a sta-bilire contatti rassicuranti cogli altri econ le cose, allodola ferita.... farfallasenz'ali, cieco che chiede di non essereabbandonato in questa tenebra, ove poiscatta, proteso verso i momenti brevidella luce, del volo che ferma (e questoè il miracolo del suo libretto) in pochesillabe: Il buio è passato/ rivedo la luce/di una scombinata realtà. Entro la qualeun volto, una sigaretta divengono nell'o-spizio il tramite per amicizie: dietro ilfumo/ di una sigaretta/ un volto amico:/so che di lui/ posso fidarmi. A guardarbene la franchezza è misurata dal pudo-re che frena (quasi sorpreso) i momenti,le immagini di gioia: qualcuno/ sorride-rà/ vedendo/ un uomo felice; più che unpercorso netto i versi del Bottero segna-no una lunga e tormentata stagione dicadute e di sollievo; forse l'essersi postotardi a poetare gli ha permesso di trova-re una misura al proprio grido, di col-locarsi a un minimo di distanza dalleproprie esperienze, di inserirle in undisegno quale soltanto gli anni, il penaree la fede consentono alla pagina. Unfiore nel deserto?.

Luigi Cattanei.

***

ANDREA SCOTTO, Serravalle 4 giu-gno 1544. La Battaglia dimenticata e laconclusione delle Guerre d'Italia, Ge -no va, Erga edizioni, 2009

Scrive nella prefazione Romeo Pa -voni: "La battaglia di Serravalle il 4 giu-gno 1544 "dimenticata" in quanto fattod'armi di in sé di poca consistenza, hatuttavia un valore simbolico perchésegna la fine delle "Guerra d'Italia" esancì il predominio spagnolo sulla peni-sola. La battaglia fu combattuta in unasituazione di debolezza strategica dell'e-sercito francese in Italia e costituì undisperato tentativo dei suoi alleati italia-ni di invertire le sorti del cinquantenna-le conflitto. Andrea Scotto, che per laricostruzione della battaglia si avvaleanche di documenti inediti, pubblicati inappendice, delinea con sintetica effica-cia gli antecedenti politico- militari del-

l'episodio bellico e ne descrive lo svol-gimento". L'autore poi, sulla base dinuovi documenti, avanza la suggestivaipotesi che fra gli obiettivi dell'esercitofilo francese guidato dallo Strozzi cifosse anche il ribaltamento politico dellasituazione genovese, in quel momentosaldamente nelle mani di Andrea Doria,con il possibile intervento di Gian LuigiFieschi che già a quella data stava forsegià elaborando i prodromi di quella chediventerà di lì a pochi anni (1547) lafamosa congiura che mise in pericolo lariforma doriana.

Ci restituisce così il clima feroce diun periodo ricco di tradimenti e voltafac-cia improvvisi al quale solo l'arte delMacchiavelli seppe dare un briciolo didignità.

Alessandro Laguzzi

Lutto in casa Parodi a Grillano d’Ovada.

Un carissimo amico ci ha fatto averealcuni pensieri in memoria del Cav. Uff.Giacomo Parodi, scomparso nel dicem-bre scorso. Era fra i Soci più anziani efedeli del nostro sodalizio. I famigliari,ai quali esprimiamo le nostre condo-glianze, fra le immagini dei ricordihanno scelto quella che qui pubblichia-mo e che ci riporta agli anni giovanilidel Cav. Parodi, grande appassionato egiocatore di tamburello.

Il Cav. Uff. Giacomo Parodi è torna-to serenamente alla casa del Padre. Halasciato segni positivi durante tutta lasua vita, non pochi e neanche da poco.

Fin dalla scuola primaria e seconda-ria esprimeva già buona intelligenza ebuona volontà che si sono concretizzatenella sua gioventù.

Il matrimonio con Rina Lantero,festeggiato recentemente con le nozzedi diamante, ha dato alla luce ben seifigli maschi formando così una grandefamiglia.

Tutti uniti, hanno costruito un’im-presa nel campo della pasticceria e risto-razione che ha toccato livelli di qualitàed organizzazione che tuttora è pari aimigliori livelli nazionali.

Padre esemplare a partire dalla suaserietà verso la famiglia, verso il lavoroe stile di vita. Le sue radici da contadinolo portarono volentieri a lavorare la terrache gli aveva dato i natali. Non trascura-va l’aspetto religioso né l’aspetto cultu-

rale; in alcune sue conversazioni eracapace di citare a memoria passi dellaDivina Commedia e altre opere lette-rarie.

Ogni giorno però al suono della cam-pana delle sette di sera recitava assiemea qualche famigliare l’Angelus, per rin-graziare e chiedere protezione allaMadonna.

In un affresco che ha voluto fossedipinto nella facciata della sua casa,recentemente ristrutturata, ha voluto farscrivere, ai piedi dell’immagine, laseguente dicitura: In Tuum PraesidumConfugimus – Nella Tua Protezione NoiConfidiamo. L’amore per la moglie, ilbene per i figli che ha sempre voluto, losguardo al cielo, lo accompagnino anchenell’aldilà.Ci ha lasciato un grandeesempio che noi ricorderemo volentieri.

(Un amico).

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MARIO CANEPA

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