Porfirio e il Contra Christianos. Per una nuova edizione dei frammenti

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    GIUSEPPE MUSCOLINO

    PORFIRIO:

    IL CONTRA CHRISTIANOS

    PER UNA NUOVA EDIZIONE DEI FRAMMENTI

    TESI DI DOTTORATO

    Tutor:

    Chiar.mo Prof. Concetto Martello

    Chiar.mo Prof. Giuseppe Girgenti

    Co-Tutor:

    Chiar.ma Prof.sa Maria Di Pasquale Barbanti

    ANNO ACCADEMICO 2008-2009

    UNIVERSITA’ DEGLI STUDI

    DI SALERNO

    DIPARTIMENTO DI LATINITA’ E MEDIOEVO

    DOTTORATO DI RICERCA IN FILOSOFIA, SCIENZE E

    CULTURA DELL’ETÀ TARDOANTICA, MEDIEVALE E

    UMANISTICA

    Coordinatore: Ch.mo Prof. Giulio d’Onofrio

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     INDICE

    Indice ............................................................................................................... I

    Introduzione .....................................................................................................V 

    IL CONTESTO RELIGIOSO POLITICO E SOCIALE .................................1 NELLA ROMA DELLA SECONDA METÁ DEL III SECOLO.

    I. 1. I culti religiosi a Roma. ............................................................................5

    I. 1. 1. Il paganesimo come sincretismo religioso. .....................................5

    I. 1. 2. I culti egizi. ......................................................................................7I. 1. 3. Il culto persiano di Mitra. ................................................................10

    I. 1. 4. I culti siriani. ...................................................................................14

    I. 1. 5. L'astrologia. .....................................................................................20

    I. 1. 6. La magia. .........................................................................................24

    I. 1. 7. L'Ermetismo. ...................................................................................30

    I. 2. Giudaismo e Cristianesimo. .....................................................................34

    I. 2. 1. Il Giudaismo. ........................................................................................34

    I. 2. 2. Il Cristianesimo. ...................................................................................42

    I. 3. La religione di Roma e il quadro politico- sociale. ..................................62

    I. 3. 1. Il culto imperiale. .................................................................................62

    I. 3. 2. Le caratteristiche politico- religiose dell'editto di Decio. ....................65

    I. 3. 3. Il rapporto tra Roma e i cristiani: da Valeriano ad Aureliano...............69

    I. 3. 4. Diocleziano, Galerio e Massimino Daia: ..............................................72le ultime persecuzioni contro i cristiani.

    I. 4. La formazione culturale di Porfirio. .........................................................76

    I. 4. 1. La fase giovanile. .................................................................................76

    I. 4. 2. Il periodo ateniese alla scuola di Cassio Longino. ...............................78

    I. 4. 3. La scuola di Plotino: caratteristiche metodologiche, ............................79organizzative ed etiche.

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    I. 4. 4. Il programma d'insegnamento all'interno della scuola. ........................86

    I. 4. 5. Il ritorno di Porfirio a Roma. ...............................................................87

    II. SVILUPPO STORICO DELL'OPERA. .....................................................97

    II. 1. Il titolo. ...................................................................................................99

    II. 2. La data e il luogo di composizione. ........................................................107

    II. 3. Un'interpretazione diversa dei dati concernenti.......................................110la data e il luogo di composizione.

    II. 4. La risposta degli apologisti al Contra Christianos. ................................119 

    II. 5. La distruzione dell'opera. ........................................................................122

    III. LA RICOSTRUZIONE DEL CONTRA CHRISTIANOS . .........................127

    III. 1. I primi tentativi di ricostruzione dell'opera: ...........................................129da L. Holste a N. Lardner.

    III. 2. La ricostruzione di T.W. Crafer. ...........................................................136

    III. 3. Verso la nuova collezione dei frammenti di A. von Harnack. ..............140

    III. 4. L'edizione di A. von Harnack del 1916: il Gegen die Christen. ............149

    III. 5. I nuovi frammenti attribuiti al Contra Christianos ...............................153 dall'edizione di A. von Harnack al 1998.

    III. 6. Critica all'edizione di A. von Harnack. .................................................155

    III. 7. La tesi di P.F. Beatrice. .........................................................................164

    III. 8. L'ultima ricostruzione di R. Berchman. ................................................175

    IV. VERSO UNA NUOVA EDIZIONE DEI FRAMMENTI. 181

    IV. 1. Dalla critica ad Harnack alla costruzione di un nuovo metodo. 183

    IV. 2. Catalogazione e denominazione delle testimonianze. 191

    IV. 3. Nuove testimonianze ascrivibili al Contra Christianos. 201

    IV. 4. Catalogazione e denominazione dei frammenti. 214

    IV. 4. a. I frammenti nominali. 214

    IV. 4. b. I frammenti allusivi. 255

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     IV. 4. c. I frammenti correlativi. 291

    IV. 5. Comparazione tra i frammenti allusivi e correlativi 339 con le opere di Celso e Giuliano.

    IV. 5. a. Comparazione tra i frammenti allusivi. 340

    IV. 5. b. Comparazione tra i frammenti correlativi. 344

    V. LA NUOVA EDIZIONE DEI FRAMMENTI. 353

    V. 1. I Testimonia. 355

    V. 2. I Fragmenta. 379

    V. 3. Il nuovo aspetto del Contra Christianos.  431

    V. 3. a. Aspetto storico. 431

    V.3. b. Aspetto filologico - aporetico. 439

    V. 3. c. Aspetto filosofico. 444

    V. 3. d. Aspetto teologico. 453

    V. 3. e. Aspetto socio-culturale e politico-religioso. 455

    CONCLUSIONI ..............................................................................................459

    BIBLIOGRAFIA .............................................................................................469

    Fonti primarie ...........................................................................................471

    Edizioni critiche ......................................................................................471

    Traduzioni e commenti .............................................................................491

    Studi consultati .........................................................................................495

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    Si deve parlare quando non è dato di tacere;

    e parlare solo di ciò che si è superato: tutto

    il resto è chiacchiera, «letteratura», mancanza

    di disciplina. I miei scritti parlano solo dei

    miei superamenti: dentro ci sono «io», con

    tutto quel che mi fu nemico, ego ipsissimus,

    e persino, se mi si consente un'espressione

     più orgogliosa, ego ipsissimum. Lo si

    indovina: ho già molto, sotto di me...

    Ma mi è sempre occorso tempo, guarigione,

    lontananza, distanza, prima che in me si

    destasse il piacere di scorticare, trarre

    vantaggio, mettere a nudo, «rappresentare»

     per la conoscenza qualcosa di vissuto

    e superato, una qualsiasi azione compiuta

    da me o dal destino1.

    1

     F. NIETZSCHE, Umano, troppo umano. Un libro per spiriti liberi,  Newton & Compton editori,Roma 1993, p. 231.

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     II

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      III

     

    INTRODUZIONE

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     IV

    In una pagina delle più complete e articolate biografie del secolo passato, J.

    Bidez descriveva il Contra Christianos di Porfirio come un'opera di alta filosofia

    e non solo di pura polemica, all'interno della quale si delineava un uomo

     profondamente religioso, desideroso di redenzione, ascetismo e immortalià2.

    Forse il più importante degli scritti anticristiani, non solo per il contenuto

    degli attacchi, ma anche per la ricchezza e vastità degli argomenti trattati, miranti

    a scardinare dalle fondamenta le basi della nuova religione, il Contra Christianos 

    rispecchia perfettamente il contesto religioso, storico e politico nel quale viene

    concepito. Scritto da Porfirio intorno al 270- 272 d.C., dopo il regno di

    Diocleziano diventa la prima opera ad essere proscritta da Costantino3 all'interno

    di un impero che si avvia ad essere sempre più legato al cristianesimo; di esso

    tuttavia si perderanno le tracce solo dopo il secondo editto di distruzione

    dell'opera del 17 febbraio del 448 d.C. ad opera degli imperatori Teodosio II e

    Valentiniano III4.

    Le vicende che riguardano il Contra Christianos  da quella data ai giorni

    nostri, a causa della frammentarietà di ciò che è rimasto di esso, sono state per gli

    studiosi oggetto di polemiche non solo per quanto concerne la possibilità di

    seguire un metodo unico di ricostruzione, non solo per l'attribuzione a Porfirio di

    determinati frammenti, ma addirittura sono state fonte di ispirazione di alcune tesi

    che negavano radicalmente l'esistenza dell'opera.

    Il presente lavoro, alla luce di tutti i frammenti e le testimonianze che si è

    riusciti a recuperare, degli studi e delle ricerche effettuate, specialmente a partire

    dal secolo scorso fino ai nostri giorni, vuole tentare di dare all'opera un nuovo

    assetto scientifico al fine di avere una visione di essa più chiara ed esaustiva

     possibile.

    In concreto la ricerca si compone di tre parti, distinte tra loro ma

    complementari: nella prima si ripercorrono le linee storiche dell'opera, alla luce

    delle notizie divergenti fornite in proposito dalle varie fonti

    La seconda parte riguarda l'analisi dei tentativi che sono stati compiuti per

    cercare di ricostruire lo scritto anticristiano, partendo dal 1630 con l'umanista

    2 Cfr. J. BIDEZ, Vie de Porphyre, le philosophe néoplatonicien, Gent 1913 (Hilescheim 1964), p.

    78.3

     Cfr. Constant. Imp., Epist. ad episc. et pleb. (apud Gelas., H.E. II, 36 e Socrat., H.E. I, 9).4 Cfr. Codex Justin. I, 1, 3.

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      V

    svizzero Lucas Holste5, fino all'ultimo frammento attribuito a Porfirio e

     pubblicato in uno studio del 1998 da parte di J. Granger Cook 6. All'interno di

    questo arco di tempo di quasi quattro secoli, verrà analizzata e criticata la raccolta

    del teologo tedesco A. von Harnack 7, che rappresenta a tutt'oggi l'unica edizione

    valida a cui fare riferimento.

    La terza parte infine riguarda il tentativo di una nuova edizione dei

    frammenti del Contra Christianos attraverso la verifica della possibilità o meno di

    far risalire a Porfirio la paternità di ogni singolo frammento o testimonianza

    vertendo tale controllo anche ad altre notizie sull'opera che, nel corso della

    ricerca, verranno rinvenute. Una volta fatta la classificazione dei frammenti e

    delle testimonianze in possesso, si passerà all'analisi, al commento di ogni singolo

     brano al fine di avere una visione quanto più completa possibile sia da un punto di

    vista contenutistico, sia sotto il profilo stilistico e filologico.

    Questo criterio dovrebbe consentire di stabilire i confini dell'ambito

     porfiriano, le competenze del filosofo, gli effettivi attacchi del neoplatonico

    facendo luce, all'interno dello specifico conflitto fra mondo romano e

    cristianesimo nel III secolo, sulle novità e sulle differenze di Porfirio, non solo

    rispetto al suo predecessore Celso o al suo successore Giuliano, ma anche rispetto

    a quegli autori minori e a quel sostrato di cultura anticristiana che spesso è stata

    considerata porfiriana, ma che, ad un'analisi più approfondita, non presenta in

    alcun modo le caratteristiche del neoplatonico riscontrabili, tra l'altro, anche dal

    confronto con altre opere.

    Prima di procedere allo svolgimento e allo sviluppo dei vari argomenti, si è

    ritenuto necessario analizzare il contesto religioso, politico e sociale nel quale

    Porfirio ha operato. In concreto si procederà all'analisi dei culti che all'interno

    dell'impero romano, e soprattutto nella Roma della seconda metà del III secolo,

    non solo sono attivi e officiati da un gran numero di credenti, ma sono conosciuti

    in molto approfondito da Porfirio. Si potrà così constatare come numerosi riti,

     provenienti tutti dall'oriente, sono parte integrante del tessuto sociale, culturale e

    religioso dell'impero: si constaterà la presenza dei culti egiziani, siriani, persiani;

    5 Cfr. L. HOLSTENSIUS, Diss. de vita et scriptis Porphyrii Philosophi, 1630.

    6 Cfr. J. GRANGER COOK , A possible fragment of Porphyry's Contra Christianos from Michael the

    Syrian, «Zeitschrift für antikes Christentum», 2 (1998), pp. 113- 122.7

      A. VON HARNACK ,  Porphyrios,  Gegen die Christen, «Philosophische und historischeAbhandlungen der königlichen Akademie der Wissenschaften zu Berlin», Berlin 1916, 1 .

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     VI

    si analizzerà la pratica dell'astrologia, della magia e della teurgia nei suoi aspetti

     più vari ed eterogenei; si presenterà il culto degli ebrei, dei cristiani, degli gnostici

    e chiaramente, all'interno di questa realtà complessa ed articolata, il culto di stato

    degli dei di Roma, religione che presenta una spiccata caratteristica politica.

    Tutte queste manifestazioni religiose sono tranquillamente tollerate dallo

    Stato romano che nell'arco di diversi secoli e a contatto con i popoli più vari,

    accoglie tutti all'interno di un panorama nel quale, nel rispetto delle leggi di

    Roma, ognuno può praticare il suo credo. Poche sono state le religioni che hanno

    creato le condizioni della censura da parte dello Stato romano il quale, nell'arco

    della sua storia, è intervenuto contro gli ebrei, i manichei e i cristiani, per motivi

     prettamente sociali e di ordine pubblico. Per quanto concerne il cristianesimo, la

    storia dimostra che solo l'editto di Valeriano e di Diocleziano, che rimane in

    vigore fino a Galerio, ha preso di mira in modo specifico la nuova religione8, a

    differenza di ciò che riportano gli apologisti come Eusebio di Cesarea e Lattanzio,

    che sostengono che le persecuzioni sono state rispettivamente sei ed otto, fino ad

    arrivare nel V secolo, con i cronografi Sulpicio Severo e Paolo Orosio, al numero

    di dieci, in modo da far combaciare tipologicamente il numero alle dieci piaghe

    d'Egitto, secondo il racconto della Bibbia9.

    Infine si procederà all'analisi dell'aspetto relativo alla formazione culturale

    di Porfirio, sia per quanto concerne i maestri di cui è stato discepolo, sia le scuole

    che ha frequentato nel corso delle sua vita, sia le materie che ha seguito, imparato

    e approfondito, strumenti questi che utilizzerà nella stesura del Contra

    Christianos per i suoi attacchi al cristianesimo.

    Si esaminerà il periodo trascorso insieme a Origene di Alessandria a

    Cesarea in Palestina o a Tiro, per passare al suo soggiorno ad Atene presso il

    retore Cassio Longino, che conferisce a Porfirio una formazione culturale molto

    tecnica e profonda, soprattutto per le materie riguardanti la grammatica, la

    retorica, la filologia, la matematica, la geometria e anche la filosofia. Quest'ultimo

    aspetto, troverà la massima edificazione in Porfirio presso la scuola di Plotino a

    8 Come si vedrà più avanti l'editto di Decio, non viene emesso contro i cristiani, ma si sostanzia

    nell'obbligo esteso a tutti i cives romani di fare pubblicamente le  supplicationes al fine di

    ingraziarsi gli dei per ottenere la protezione dell'imperatore Decio che preparava la guerra contro i

    Goti che minacciavano pericolosamente i confini dell'impero. Chiunque – non solo i cristiani –

    non si fosse assoggettato a questo rituale, sarebbe incorso in una condanna.9 Cfr. O. GIORDANO, I cristiani nel III secolo e l'editto di Decio, Messina 1963, p. 9.

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      VII

    Roma nel periodo che va dal 263 al 268 d.C., anno della sua dipartita dalla scuola

     per raggiungere Lilibeo in Sicilia.

    Questo contesto religioso, politico, sociale e culturale riguardante sia

    l'aspetto generale del III secolo, sia l'aspetto particolare del nostro filosofo,

     permetterà di capire meglio il panorama complesso ed articolato che ha fatto sì

    che si creassero le condizioni per la stesura della più grande e pericolosa opera

    contro i cristiani al di là delle comode e spesso fuorvianti dicotomie e luoghi

    comuni tra pagani e cristiani, Stato romano e Chiesa cristiana, monoteismo e

     politeismo, gaudenti ed asceti.

    Per quanto riguarda le notizie relative al luogo della composizione

    dell'opera, sappiamo dalla Vita Plotini10 e dalla Vitae Sophistarum dello storico

    Eunapio di Sardi11  che nel 268 d.C. Porfirio, a causa di una forte depressione

     psichica, consigliato dal maestro Plotino, si reca a Lilibeo (l'odierna Marsala) per

    curarsi dalla malattia. Qui, qualche anno dopo, inizierà a scrivere diverse opere,

    tra cui il Contra Christianos. Per la precisione, la notizia secondo la quale Porfirio

    compone l'opera in Sicilia viene riportata da Eusebio12

     e da Girolamo13

    . Facendo

    riferimento al testo di Porfirio, secondo cui nel 268 si reca a Lilibeo, e a quella

    degli autori cristiani, che attestano che il Contra Christianos è stato scritto in

    Sicilia, tutti gli studiosi moderni hanno dedotto che la composizione dell'opera

    debba risalire al 270- 272 d.C.

    A questa corrente di pensiero, dal 1973 in poi, si è opposta una linea

    interpretativa, iniziata con T.D. Barnes14, seguita nel 1980 da A. Meredith15, nel

    1985 dall'italiana P. Pirioni16

     fino al 2002 dall'americana E. De Palma Digeser 17

    ,

    10 Cfr. Porph. V.P. 11.

    11

     Cfr. Eunap. V. S. IV, 1, 7.12 Cfr Euseb. H. E. VI, 19, 2.13

     Cfr. Hieron. De vir. inl. 81.14

      Cfr. T. BARNES,  Porphyry Against the Christians: Date and attribution of Fragments, « The

    Journal of Theological Studies», 24 (1973), pp. 424- 442. 15

      Cfr. A. MEREDITH,  Porphyry and Julian against the Christians, in AA. VV.,  Aufstieg und

     Niedergang der römischen Welt. Geschichte und Kultur Roms im Spiegel der neueren Forschung ,

    II. 23, 2, 1980, ed. W. HAASE, pp. 1119-1149.16

      Cfr. P. PIRIONI,  Il soggiorno siciliano di Porfirio e la composizione del

    «     », «Rivista di Storia della Chiesa in Italia» 39, (1985), pp. 502-508.17

     Cfr. E. DE PALMA DIGESER , Porphyry, Julian or Hierocles? The anonymous Hellene Makarios

    of Magnes'Apokritikos, «Journal of Theological Studies. Oxford, Clarendon Press » 53/2 (2002),

     pp. 466-502. Nel 1998 E. DE PALMA aveva pubblicato un articolo nel quale difendeva la stessa tesi

    dal titolo:  Lactantius, Porphyry and the debate over religious toleration, «Journal of Romanstudies. London: Society for the promotion of Roman Studies», 88 (1998), pp. 129-146.

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     VIII

    secondo cui la composizione dell'opera non avviene in Sicilia intorno al 270 ma

    va posticipata di almeno trent'anni e collocata a Nicomedia in Bitinia durante il

    Concilium principis, voluto da Diocleziano prima di una delle ultime persecuzioni

    contro i cristiani, iniziate il 23 febbraio del 303, a cui Porfirio probabilmente

     partecipò come intellettuale per giustificare l'azione dell'imperatore, adducendo

    motivi prettamente morali, religiosi e politici. Questa tesi in verità, come si vedrà

     più avanti, non ha riscontrato molto successo nel mondo accademico in quanto

     presenta delle lacune difficili da superare: essa infatti si basa su un'informazione

    data da Lattanzio18

     il quale, durante il Concilium principis di Nicomedia nel 303

    d.C., prima della persecuzione, parla, senza fare il nome, di un filosofo i cui tratti

    generali sono stati riconosciuti come riferibili a Porfirio. Infine,

    dall'interpretazione di un passo di Girolamo19, P. Pirioni evincerebbe che il

     periodo della scrittura dell'opera dovrebbe essere posticipato alla fine del III

    secolo, esattamente intorno al 297 d.C. Anche questa tesi non ha trovato seguito

    nell'ambito degli esperti.

    La seconda parte di questa ricerca riguarda la ricostruzione dell'opera a

     partire dal primo tentativo fatto, come precedentemente detto, da Lucas Holste nel

    1630. In verità il lavoro dell'umanista svizzero aveva come scopo quella di

    raccogliere tutti i frammenti porfiriani, non solo quelli relativi al Contra

    Christianos. Bisognerà attendere l'anno 1788 per avere una prima ricostruzione

    dell'opera anticristiana di Porfirio da parte dello studioso inglese Nathaniel

    Lardner 20. L'attenzione sul Contra Christianos  ritorna ad accendersi nel mondo

    accademico grazie al ritrovamento nel 1867 ad Atene, da parte di un ricercatore

    francese Charles Blondel, di un papiro mutilo contenente l'opera di Macario,

    vescovo di Magnesia, dal titolo  Apocritico o Unigenito21

    .  L'opera presenta un

    dialogo fittizio tra il vescovo di Magnesia e un polemista, un filosofo greco, il

    quale pone delle obiezioni al vescovo in merito al contenuto di alcuni passi della

    Bibbia e del Vangelo, a cui Macario cerca di dare una risposta. Il polemista

    18 Cfr. Lact., Div. Inst. V, 2, 2.

    19 Cfr. Hieron., Ep.133 (ad Ctesiph.), 9.

    20 Cfr. N. LARDNER , The Credibility of the Gospel History, vol. VIII, c. XXXVII, pp. 176- 215,

    London 178821

      Cfr. ,

      

     

    .

       Macarii Magnetis quae supersunt ex edito codice edidit C. BLONDEL (adiuvante  P. F OUCART ), Paris, 1876.

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      IX

    anonimo, viene identificato nel 1911 da Harnack 22

      con Porfirio: questo studio

    riaccende non solo l'interesse per l'opera perduta del neoplatonico ma anche le

     polemiche accademiche sull'attribuzione dell'identità di Porfirio al polemista

    dell' Apocritico.  Nonostante le obiezioni, Harnack nel 191623  pubblica la sua

    edizione del Contra Christianos raccogliendo ventinove testimonianze e

    novantasette frammenti: questi ultimi, di cui cinquantadue appartenenti

    all' Apocritico, vengono catalogati in modo tematico. Il primo frammento, doveva

    avere una funzione introduttiva; i frammenti che vanno dal numero due al numero

    trentasette, riguardano la critica alla credibilità dei Vangeli e degli apostoli; i

    frammenti dal numero trentotto al numero quarantasette criticano invece il

    Vecchio Testamento; i frammenti dal numero quarantotto al numero settantadue

    riguardano la critica agli atti e alle parole di Gesù; i frammenti dal numero

    settantatre al novantaquattro riportano le obiezioni mosse ai dogmi; infine i

    frammenti dal novantacinque al novantasette riguardano l'attacco al

    comportamento della Chiesa di allora. Essendo questa l'edizione dell'opera di

    Porfirio24

      che ancora oggi viene ritenuta valida, nonostante sia uno scritto

    risalente al 1916, è proprio da qui che bisogna partire per cercare un altro

    approccio metodologico. Proseguendo con la ricostruzione dell'opera, il teologo

    tedesco scopre, esattamente cinque anni dopo la pubblicazione della prima

    raccolta , all'interno  di una confutazione latina di Porfirio dal titolo Contra

     Porphyrium, composta probabilmente da uno scrittore, Drepanio Pacato, risalente

    al V sec., altri cinque frammenti25. La scoperta si amplia nel 193026  quando il

    tedesco F. Jacoby rinviene altri otto brani a suo giudizio attribuibili all'opera

    anticristiana, tratti dal Commento a Daniele di Girolamo. Nel 195027

     il francese P.

    22 Cfr. A. VON HARNACK , Kritik des Neuen Testaments von einem griechischen Philosophen des 3.

     Jahrhunderts. Die Apocriticus des Macarius Magnes enthaltene Streitschrift , coll. «Texte und

    Untersuchungen» 37, 4, Leipzig 1911.23

     Cfr. A. VON HARNACK , Porphyrius, Gegen die Christen, cit.24

      Nel 1933 uscirà un'altra opera simile che tenterà di ricostruire i frammenti del Contra

    Christianos ad opera di A.B. HULEN, Porphyry's Work against the Christians: an Interpretation,

    Scottdale, 1933 (Yale Studies in Religion, 1). Tuttavia non sortirà alcun interesse scientifico.25

      Cfr. A. VON HARNACK ,  Neue Fragmente des Werks des Porphyrius gegen die Christen. Die

     Pseudo- Polycarpiana und die Schrift des Rethors Pacatus gegen Porphyrius, «Sitzungsberichte

    der Preussischen Akademie der Wissenschaften», 1921, pp. 266- 284.26

     Cfr. F. JACOBY, Die Fragmente der Griechischen Historiker «Fragmenta Graecorum Historia»,

    Berlin 1930, II B, 260, pp. 1221- 1229; II D, pp. 877- 884.27

     Cfr. P. NAUTIN, Trois autres fragments du livre de Porphyre "Contre les Chretiens", « RevueBiblique», 57 (1950), pp. 409- 416.

  • 8/19/2019 Porfirio e il Contra Christianos. Per una nuova edizione dei frammenti

    15/554

     X

     Nautin trova altri tre frammenti tratti dalla  Preparazione evangelica di Eusebio,

    mentre nel 196128 i tedeschi F. Altheim e R. Stiehl rinvengono altri tre frammenti

    tratti rispettivamente il primo dalla Cronaca di Al-Biruni, gli altri due dalla

    Cronografia Siriaca e dalla Storia della Chiesa dello scrittore Barhebraeus. Tre

    anni dopo, cioè nel 196429, J. Pepin pensa di rinvenire da alcuni passi delle opere

    di Agostino, cioè dal  De civitate dei30 e dai Sermones CCXL, CCXLI, CCXLII,

    tre frammenti utilizzati da Porfirio nella polemica riguardante la creazione del

    mondo e il dogma della resurrezione. Nel 196631

      viene rinvenuto un nuovo

    elemento da parte di altri due tedeschi D. Hagedorn e R. Merkelbach, tratto dal

    Commentario a Giobbe dello scrittore cristiano Didimo il cieco, e nel 1968 G.

    Binder 32  e M. Gronewald33, rimanendo anch'essi all'interno dello studio dei

    commentari ecclesiastici alla Bibbia, rinvengono altri due brani tratti dal

    Commento all'Ecclesiaste e dal Commento ad Isaia entrambi di Didimo il cieco.

     Nel 198234

     G. Rinaldi rinviene altri due frammenti del Contra Christianos, tratti

    dal Commentario a Daniele di Girolamo35

    , mentre un anno dopo, cioè nel 198336

     

    B. Croke ritiene che la lista dei re di macedonia che si trova nel Chronicon di

    Eusebio possa appartenere al XII libro del Contra Christianos. Infine nel 199837,

    l'americano J. Granger Cook, pubblica un ultimo frammento desunto dalla

    Cronaca di Michele il siriano, scrittore bizantino attivo tra il 1200 e il 1250.

    I frammenti che fino ad oggi sono stati attribuiti all'opera di Porfirio

    ammontano complessivamente a centoventisei oltre alle ventinove testimonianze.

    28  Cfr. F. ALTHEIM- R. STIEHL,  Neue Bruchstücke aus Porphyrius "     "

    «Gedenkschrift für G. R HODE.  . Untersuchungen zur Klassischen Philologie und

    Geschichte des Altertums», 4 (1961), pp. 23- 38.29

      Cfr. J. PEPIN, Théologie cosmique et théologie chrétienne ( Ambroise, Exam. I, 1, 14), Paris

    1964, pp. 418- 461.30

     Cfr. August., De civ. dei, XI, 34.31 Cfr. D. HAGEDORN- R. MERKELBACH, Ein neues Fragment aus Porphyrius gegen die Christen,

    «Vigiliae Christianae», 20 (1966), pp. 86- 90.32

      Cfr. G. BINDER ,  Eine Polemik des Porphyrios gegen die allegorisce Auslegung des Alten

    Testaments durch die Christen, « Zeitschrift für Papyrologie und Epigraphik », 3 (1968), pp. 81-

    95.33

     Cfr. M. GRONEWALD, Eine Polemik des Porphyrios gegen die allegorisce Auslegung des Alten

    Testaments durch die Christen, « Zeitschrift für Papyrologie und Epigraphik », 3 (1968), p. 96.34

      Cfr. G. R INALDI,  L'Antico Testamento nella polemica anticristiana di Porfirio di Tiro,

    «Augustinianum», 22 (1982), p. 105. 35

     Cfr. Hieron., Comm. in Dan., 2, 1 e 5,2.36

      Cfr. B. CROKE,  Porphyry anti- christian Chronology, «Journal of Theological Studies», 34

    (1983), pp. 184- 185.37

     Cfr. J. GRANGER COOK ,  A Possible Fragment of Porphyry's Contra Christianos  from Michaelthe Syrian, « Journal of Theological Ancient Christianity», 2 (1998), pp. 113- 122. 

  • 8/19/2019 Porfirio e il Contra Christianos. Per una nuova edizione dei frammenti

    16/554

      XI

    Bisogna tuttavia sottolineare che la posizione della critica nei confronti della più

    accreditata collezione che sia stata fatta in epoca recente, è stata altalenante.

    Infatti dalle prime aspre critiche che vengono mosse ad Harnack dal Crafer 38  il

    quale contestava l'identità del polemista all'interno dell' Apocritico di Macario di

    Magnesia col neoplatonico di Tiro, e ovviamente si scagliava contro l'attribuzione

    dei frammenti provenienti dall'opera macariana all'opera porfiriana, si è passati

     per circa trent'anni ad una posizione di elogio del teologo tedesco e della

    collezione porfiriana. Tuttavia nel 1941 grazie al rinvenimento, da parte del

    cardinale G. Mercati39

    , nel Cod. Vat. Gr. 1650 di una tavola di argomenti trattati

    nel I, II, e III libro dell' Apocritico di Macario, le dimostrazioni proposte da

    Harnack per includere, all'interno della sua ricostruzione del Contra Christianos,

    un numero così alto di frammenti tratti dal Magnete, cominciano a vacillare. I

    dubbi, insieme agli studi su questi cinquantadue frammenti di Macario, si vanno

    intensificando: nel 1949 viene pubblicato uno articolo di P. Frassinetti40

      che

    avanza perplessità sul fatto che durante la discussione con Macario, il polemista

    abbia utilizzato, come sostiene Harnack, un sunto in due libri dell'opera di

    Porfirio; nel 1962 S. Pezzella analizza tutta la raccolta di Harnack, dichiarando

    che sui novantasette frammenti proposti da Harnack ben trentasei non sarebbero

    attribuibili a Porfirio.41 

     Nel 1973 il canadese T. Barnes42 segna un altro punto cruciale della critica

    all'opera di Harnack: l'autore infatti, non solo propone una data e un luogo di

    composizione diversi da quelli comunemente desunti dagli studiosi, ma mette in

    forte dubbio l'attribuzione di tutti i cinquantadue frammenti dell' Apocritico al

    Contra Christianos. L'analisi della raccolta del teologo tedesco continua nel 1978

    38

      Cfr. T.W. CRAFER , The Work of Porphyry's Against the Christians and its Reconstruction,«Journal of Theological Studies», 15 (1914), pp. 360- 395; 481- 512.39

     Cfr. G. MERCATI, Per L ' Apocritico di Macario Magnete. Una tavola dei capi dei libri I, II, III,

    in «Nuove note di letteratura biblica e cristiana antica», coll. «Studi e Testi», 95, Roma 1941, pp.

    49- 71.40

     Cfr. P. FRASSINETTI, Sull'autore delle questioni pagane conservate nell' Apocritico di Macario

    di Magnesia, «Nuovo Didaskaleion», 3 (1949), pp. 41- 56.41

      S. PEZZELLA  ( Il problema del     di Porfirio, «Eos», 52 (1962), p. 104) propone il seguente schema di parti dell'opera non attribuibili al Contra Christianos: 23 frammenti

     provenienti da Macario; sei provenienti da Girolamo; tre provenienti da Agostino; uno da

    Severiano Galba; uno da Epifanio di Salamina; uno da Anastasio Sinaita; e uno dall'imperatore

    Giuliano.42

     Cfr. T.D. BARNES, Porphyry Against the Christians: Date and attribution of Fragments, cit. pp.

    424- 442. 

  • 8/19/2019 Porfirio e il Contra Christianos. Per una nuova edizione dei frammenti

    17/554

     XII

    con A. Benoit43

    , mentre un'altra tappa fondamentale della critica moderna

    all'edizione tedesca è presentata dall'inglese A. Meredith44  il quale, dopo aver

    esaminato il testo, sostiene che nessuno dei frammenti dell' Apocritico può essere

    attribuito all'opera anticristiana del filosofo di Tiro; dei rimanenti quarantasei

     brani, solo quelli contenenti esplicitamente il nome di Porfirio, e quelli in cui si

    evince il riferimento al Contra Christianos, possono essere ritenuti validi. Dopo la

     pubblicazione dell'articolo di Meredith inizierà una corrente di pensiero che

    intravede, all'interno di parecchi brani della raccolta di Harnack, diverse possibili

    tracce che potrebbero risalire ad un'altra opera anticristiana di Porfirio dal titolo

     La filosofia desunta dagli oracoli. Questa corrente di pensiero porterà nel 1988

    alla posizione più radicale che sia stata sostenuta dalla critica su quest'opera,

    quella dello studioso italiano Pier Franco Beatrice45  secondo cui il Contra

    Christianos non sarebbe mai stato scritto e tutto quello che rimane sull'opera

    anticristiana di Porfirio, sarebbe stato trattato solo nella  Filosofia desunta dagli

    oracoli. Questa tesi si basa sul fatto che gli autori cristiani che si sono occupati di

    quest'opera non hanno mai espressamente parlato di un   o di

    un Contra Christianos, ma si sono mantenuti sul vago dicendo che quello scritto

    era genericamente contro i cristiani, diversamente dalla  Filosofia desunta dagli

    oracoli dove si specifica in modo chiaro il nome dell'opera. A questa posizione

    che prenderà il nome di tesi Beatrice, si opporrà in modo specifico R. Goulet46, il

    quale, dopo aver analizzato le indicazioni fornite dal padovano e i passi dei padri

    della Chiesa, dimostrerà che questa tesi ha delle carenze a suo dire insuperabili

     per cui deve essere senz'altro scartata. Oggi tutti gli studiosi concordano col

    giudizio di Goulet.

    43 Cfr. A. BENOIT, Le «Contra Christianos» de Porphyre: où en est la collecte des fragments? in

     Paganisme, Judaisme, Christianisme. Influences et affrontrements dans le monde antique.

     Mélanges offerts à M  ARCEL S  IMON , Paris 1978, pp. 261- 275.44

     Cfr. A. MEREDITH, Porphyry and Julian against the Christians, « Aufstieg und Niedergang der

    römischen Welt: Geschichte und Kultur Roms im Spiegel der neueren Forschung », II, 23. 2,

    Berlin- New York 1980, pp. 1119- 1149.45

      La tesi nasce con l'articolo: P.F. BEATRICE, Un oracle antichrétien chez Arnobe, in Memorial

    Dom. J. GRIBOMONT  (1920- 1986) (Studia ephemeridis  «Augustinianum», 27) Roma 1988, pp.

    107- 129, e si esplicita in tutto il suo sviluppo in P.F. BEATRICE, Quosdam platonicorum libros?

    The Platonic Readings of Augustine in Milan in 385, «Vigiliae Christianae», 43 (1989), pp. 248-

    281.46

      Cfr. R. GOULET,  Hypothèses récents sur le traité de Porphyre Contre les Chretiens, in

     Hellénisme et Christianisme/ MICHEL NARCY  et ERIC R EBILLARDS (ed), Villeneuve- d'Ascq: Pr.Universitaires du Septentrion, 2004, pp. 61- 109.

  • 8/19/2019 Porfirio e il Contra Christianos. Per una nuova edizione dei frammenti

    18/554

      XIII

    Questa è oggi la situazione rigua05rdante le notizie sull'opera, il materiale

    reperito e la raccolta di Harnack che la critica considera un punto da cui partire e

    sicuramente da prendere in considerazione, ma che ritiene di dovere sottoporre ad

    una seria revisione.

    La terza parte del presente lavoro riguarda la costruzione di un metodo che

    si basa, come si è detto, sull'analisi di tutti i frammenti fino ad oggi conosciuti e

    delle testimonianze rinvenute durante la presente ricerca, al fine di poterne

    stabilire la paternità porfiriana. Si escluderà il metodo tematico usato da Harnack

     perchè ritenuto non produttivo in quanto è necessario sapere prima se siamo di

    fronte ad un frammento porfiriano o meno, e vagliarne dopo il contenuto. Per

    questo non si è ritenuto opportuno scartare a priori nessuno dei frammenti perchè

    tutto il materiale ritrovato ha, come denominatore comune, il substrato della

     polemica anticristiana; all'interno di esso però bisognerà fare delle distinzioni.

    Il metodo proposto si articola in questo modo: i frammenti sono stati divisi

    in: 1) frammenti nominali, che si riferiscono esplicitamente a Porfirio; 2)

    frammenti allusivi, che possono alludere o all'autore o all'opera o all'argomento

    trattato; 3) frammenti correlativi che hanno come unico elemento in comune con

    il Contra Christianos solo la polemica nei confronti del cristianesimo.

    1) Più precisamente, affinché un frammento possa essere catalogato tra

    quelli del primo gruppo deve avere come requisiti: la citazione dell'autore e, se

    l'autore non è espressamente citato, deve essere sottinteso in maniera

    inequivocabile; inoltre deve presentare uno dei seguenti attributi: la citazione

    dell'opera o il numero del libro dell'opera, o il contenuto del passo di cui si parla o

    l'autore da cui viene tratto il frammento oppure in generale la polemica contro i

    cristianesimo.

    2) I frammenti del secondo gruppo o allusivi non mostrano le caratteristiche

    dei primi ma, analizzandoli attentamente, presentano degli aggettivi e delle

    espressioni che, se confrontate con il primo gruppo, possono alludere o all'autore,

    o all'opera, o al tema trattato. Inoltre, come i primi, presentano alcune precise

    obiezioni al cristianesimo. In questo secondo gruppo il grado di attendibilità del

    frammento è ovviamente inferiore.

    3) All'ultimo gruppo appartengono quei frammenti denominati correlativi 

    che, per le caratteristiche che presentano, non possono essere catalogati in

  • 8/19/2019 Porfirio e il Contra Christianos. Per una nuova edizione dei frammenti

    19/554

     XIV

    nessuno dei precedenti gruppi: essi hanno uno spessore culturale e filosofico che

    in alcun modo può essere fatto risalire all'acribia di Porfirio. Presentano errori di

    datazione, di citazione e di conoscenze storiche che Porfirio non avrebbe potuto

    fare. Essi hanno in comune con i primi due gruppi solo la critica alla nuova fede

    ma non si può dire che la fonte da cui provengono sia il Contra Christianos,  pur

    non potendosi escludere a priori questa ipotesi

    Infine, per quanto concerne la fonte da cui viene tratto il frammento, questa

    verrà suddivisa in: a) fonte di prima mano o immediata, se deriva ad esempio da

    Metodio, Eusebio, Apollinare, Didimo il cieco, Arnobio. Questi scrittori, sia

     perchè coevi a Porfirio, sia perchè probabilmente hanno avuto l'originale greco

    dell'opera, possono essere considerati attendibili. b) Fonte di seconda mano o

    mediata, presente negli scrittori di lingua latina: come, Girolamo, Rufino,

    Firmico, Agostino. Essi possono avere letto dei riassunti o delle repliche in lingua

    greca o latina, ma, dal contenuto dei loro frammenti, si capisce che non hanno

    quasi sicuramente letto l'opera in originale, per cui la loro testimonianza può

    essere considerata veritiera ma non diretta. c) Fonte di terza mano, in cui la

    scaturigine, sia dal punto di vista stilistico che da quello contenutistico, culturale e

    filosofico, può avere come riferimento il sostrato culturale di polemica

    anticristiana del IV secolo, ma quasi sicuramente non può farsi risalire

    direttamente all'opera di Porfirio, fermo restando che essa può presentare

    lontanamente un legame con il Contra Christianos. A questo terzo tipo di fonte

     può farsi risalire l'Apocritico di Macario di Magnesia. Per la catalogazione delle

    testimonianze si è seguito l'ordine cronologico, per quella dei frammenti si è

     preferito l'ordine riguardante la fonte da cui il brano proviene.

    La finalità di questo metodo è stata principalmente quella di pervenire non

    alla precisa ricostruzione del Contra Christianos, operazione questa che, stando

    alle attuali conoscenze risulta non attuabile, ma ad una visione più chiara

    dell'opera di Porfirio, soprattutto per quanto concerne i temi centrali sviluppati

    all'interno di essa. Innanzitutto si potrà distinguere il nuovo aspetto dell'opera che

    dovrebbe scaturire da questa nuova raccolta da quello fornito dalla raccolta di

    Harnack, la quale ha unito molte parti che nulla avevano in comune con lo scritto

    di Porfirio se non la polemica contro il cristianesimo; ma anche dalla collezione

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    20/554

      XV

     proposta recentemente da R.M. Berchman47

    , il quale, partendo dall'assunto

    secondo il quale non è più possibile ricostruire in alcun modo il Contra

    Christianos, ha ritenuto opportuno accludere in una raccolta chiamata  Porphyry,

     Against the Christians, tutto il materiale che presentasse in modo ora esplicito, ora

    velato, ora nascosto, una certa polemica contro il cristianesimo, senza

     preoccuparsi della fonte o della provenienza dell'attacco alla nuova religione e

    ascrivendone di conseguenza il contenuto, senza nessuna analisi specifica, a

    Porfirio.

    Il metodo proposto in questa sede farebbe il percorso esattamente opposto:

     prima che un frammento venga classificato come porfiriano, proveniente dal

    Contra Christianos  dovrà presentare delle caratteristiche che riconducano in

    modo inequivocabile all'opera del neoplatonico. Qualsiasi frammento sprovvisto

    delle peculiarità delineate sopra, farà classificare quest'ultimo in un'altra categoria

    di brani e cioè gli allusivi e i correlativi i quali a loro volta saranno

    necessariamente esclusi nella nuova edizione dei frammenti. Questo metodo

     permetterà di definire meglio il criterio, la caratteristica, lo stile del neoplatonico:

    è noto che Porfirio attacca sia il Vecchio che il Nuovo Testamento, ma

    interessante sarà vedere come attacca e quali sono i mezzi che egli usa. Si potrà

    notare che per Porfirio l'esigenza principale, dopo aver compreso l'importanza dei

    testi scritturistici e neotestamentari all'interno del cristianesimo, sarà quella di

    dimostrarne la totale infondatezza profetica, filologica, allegorica e filosofica al

    fine di pervenire ad una sorta di decostruzione e quindi minare la colonna portante

    di una religione, rappresentata dallo scritto che contiene materialmente, secondo i

    fedeli, la  parola di Dio. Dimostrare in questi termini che le Scritture sono false

    servirà a sottolineare l'equazione secondo cui credere equivale a cadere

    nell'errore; attaccare questi punti del cristianesimo avrebbe esortato i cristiani ad

    abbandonare la nuova religione per ritornare al culto e agli dei ellenici, finalità

    questa che non a caso combaciava perfettamente con quella politico-

     programmatica di imperatori come Aureliano e Diocleziano.

    47

     R.M., BERCHMAN, Porphyry Against the Christians, Brill, Leiden-Boston 2005.

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     XVI

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    22/554

      XVII

    RINGRAZIAMENTI

    Al termine di questa mia ricerca desidero ricordare coloro che mi sono stati

    vicini e mi hanno aiutato in vario modo in questo mio lavoro.

    Ringrazio la professoressa Maria Barbanti alla quale sono legato da

     profondi sentimenti di stima, rispetto ma soprattutto di affetto. La professoressa,

    lasciandomi completamente libero nelle mie ricerche e rispettando sempre toto

    corde il mio pensiero, mi tiene strettamente legato a lei, capacità questa da me

    concessa non a pochi, ma a pochissimi. Desidero ringraziare il professore

    Giuseppe Girgenti che mi ha sempre sostenuto, incoraggiato ed aiutato con le sue

    competenze porfiriane, dimostrandosi, come sempre, non tanto un amico quanto

    un fratello. Ringrazio il professore Concetto Martello che con la sua aria serafica

    e distaccata, ha sempre avuto grande stima ed interesse non solo per le mie

    ricerche ma soprattutto per le mie idee. Desidero ricordare il professore Giancarlo

    Rinaldi, a cui debbo le mie conoscenze sul cristianesimo antico, che mi ha dato

    moltissimi suggerimenti specifici per il mio studio.

    Ringrazio la signora Elena Vimercati della biblioteca comunale di Como la

    quale con serietà, determinazione, caparbietà e soprattutto professionalità,

    appannaggio quasi esclusivo del gentil sesso e dei Lombardi, mi ha consentito di

    venire in possesso di articoli e pubblicazioni risalenti addirittura al XIX secolo.

    Tra i colleghi che ho avuto la fortuna di incontrare durante gli anni del corso

    di dottorato ringrazio particolarmente Marika De Vita "demone velino" che, non

    facendo assolutamente parte del girone degli amici, assurge, grazie alle affinità

    elettive e agli interessi intellettuali che ci legano, a persona speciale, la cui stima

    e considerazione vanno al di là dell'attimo di un dottorato di ricerca. Ringrazio il

    collega Roberto Schiavolin che con la sua personalità originale, stravagante,  sui

     generis, ha sempre dimostrato di essere una carissima persona.

    Ringrazio in modo particolare mio figlio Emanuele a cui ho inflitto le

    relazioni che ho presentato durante i moduli didattici e, pur provocando in lui il

    rigonfiamento delle palpebre, ha sempre resistito stoicamente, evitando di cadere

    in un sonno mortale. E come direbbero gli anglosassoni ultima ma non per

    importanza ringrazio mia moglie Virginia la quale con fermezza, pazienza, senso

    del dovere, spirito di sopportazione e di dedizione, qualità queste quasi esclusive

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     XVIII

    delle mogli e in generale di tutte le donne, mi tiene ancorato al pianeta Terra

    evitando che, tra i miei voli interplanetari, possa oltrepassare il Sistema Solare.

    Come ho scritto in altri luoghi, ho forti dubbi sull'esistenza del paradiso, che si

    trasformano in abissali incertezze quando si parla dell'esistenza del divino. Ma se

    Dio dovesse esserci, Virginia, per le qualità di cui sopra, siede... alla destra del

    Padre.

    A Virginia ed Emanuele dedico questo mio lavoro.

    G. M.

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    CAPITOLO I

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  • 8/19/2019 Porfirio e il Contra Christianos. Per una nuova edizione dei frammenti

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      3

    IL CONTESTO RELIGIOSO POLITICO E SOCIALE NELLA

    ROMA DELLA SECONDA META' DEL III SECOLO D.C.

    I. 1. I CULTI RELIGIOSI A ROMA

    I. 1. 1. Il paganesimo come sincretismo religioso.

    I. 1. 2. I culti egizi.

    I. 1. 3. Il culto persiano di Mitra.

    I. 1. 4. I culti siriani.

    I. 1. 5. L'astrologia.

    I. 1. 6. La magia.

    I. 1. 7. L'Ermetismo.

    I. 2. Giudaismo e Cristianesimo.

    I. 2. 1. Il Giudaismo.

    I. 2. 2. Il Cristianesimo.

    I. 3. La religione di Roma e il quadro politico- sociale.

    I. 3. 1. Il culto imperiale.

    I. 3. 2. Le caratteristiche politico- religiose dell'editto di Decio.

    I. 3. 3. Il rapporto tra Roma e i cristiani: da Valeriano ad Aureliano.

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     4

    I. 3. 4. Diocleziano, Galerio e Massimino Daia: le ultime

     persecuzioni contro i cristiani.

    I. 4. La formazione culturale di Porfirio.

    I. 4. 1. La fase giovanile.

    I. 4. 2. Il periodo ateniese alla scuola di Cassio Longino.

    I. 4. 3. La scuola di Plotino: caratteristiche metodologiche,

    organizzative ed etiche.

    I. 4. 4. Il programma d'insegnamento all'interno della scuola.

    I. 4. 5. Il ritorno di Porfirio a Roma.

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      5

    I. 1. I CULTI RELIGIOSI A ROMA.

    I. 1. 1. Il paganesimo come sincretismo religioso.

    In un periodo di veloci cambiamenti, verificatisi durante tutto l'arco del III

    secolo, anche il sentimento religioso subisce numerose trasformazioni. Molti

    secoli sono ormai passati da quando le divinità rappresentavano l'espressione di

    una religiosità popolare che cercava di spiegare le forze della natura e i misteri

    della vita personificandoli con un dio o con una dea1. Nella Roma della seconda

    metà del III secolo gli dei esprimono la religiosità del cittadino romano verso lo

    stato, sentimento che però si allontana sempre più dal bisogno di certezze

    dell'uomo di allora, preoccupato da un contesto religioso, politico e sociale molto

    magmatico2. Ora, nonostante questa diffusa sensazione, gli dei di Roma

    continuano ad avere il loro seguito ed esercitano ancora il rispetto e la

    venerazione degne di ogni culto religioso3.

    In questo contesto, sebbene la religione dell'Urbe venga comunemente

    chiamata  paganesimo, intendendo questo termine non solo come sinonimo del

     politeismo4 ma anche del culto e della devozione verso gli dei ellenici, bisogna

    dire che la realtà romana di allora non è assolutamente così lineare e univoca

    1  Cfr. F. CUMONT,  Les religions orientales dans le paganisme romain, Librairie orientaliste P.

    GEUTHNER , Paris 1963, pp. 191-192.2 Cfr. O. GIORDANO, I cristiani nel III secolo. L'editto di Decio, Messina 1964, p. 24. «La religione

    romana- secondo GIORDANO  (op. cit., p. 43)- coincideva con gli interessi dell'Urbe; il suo campo

    d'azione non riguardava l'intimo del cuore umano, ma era diretto solo allo sviluppo e agli interessi

    di una determinata politica. Il lealismo civico dovuto all'autorità aveva assorbito, annullandola,

    l'attitudine puramente religiosa dell'uomo davanti alla divinità. I greci, grazie alle scuole

    filosofiche, erano riusciti a trasformare la loro poetica mitologica in sistemi teologici e a creare

    un'etica filosofico-religiosa. I romani sapranno elaborare soltanto una teologia della vittoriaimperiale che, nella pratica, s'identificava con quel sentimento di patriottismo e di civismo col

    quale tutti i cittadini seguivano l'alternarsi delle fortune storiche dell'Urbe».3 Cfr. F. CUMONT, op. cit, p. 181. R. GRECO ( Pagani e cristiani a Siracusa tra il III e IV secolo

     D.C., «Kokalos» 16, 1998, p. 12) fa notare che «Se di crisi si trattò, essa fu innanzitutto una crisi

    di trasformazione. Sarebbe, infatti, errato immaginare che in tale periodo i culti politeistici

    venissero celebrati senza alcuna popolarità, altrimenti non si comprenderebbe come mai alcuni di

    essi fossero sopravvissuti fino a tutta l'età tardoantica».4 Cfr. M. FREDE,  Monotheism and Pagan Philosophy in Later Antiquity, in Pagan Monotheism in

     Late Antiquity,  by P. ATHANASSIADI  and M.  FREDE, Clarendon Press, Oxford 1999, p. 41.  Il

    termine pagano si basa sulla definizione che Tertulliano dà in Cor. Min. 11, ripresa da Agostino in

     Retract. 2. 43: «quos usitato nomine paganos vocamus». Cfr. M. FREDE, op. cit., p. 61. Sulla

    trasformazione del politeismo in monoteismo grazie al culto da parte dei pagani, cristiani e giudei

    vedi S. MITCHELL, The Cult of Theos Hypsistos, in  Pagan Monotheism in  Late Antiquity,  by P.ATHANASSIADI and M. FREDE, Clarendon Press, Oxford 1999, pp. 126-128.

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     6

    come si crede5. Infatti, accanto agli dei del Pantheon, erano penetrati all'interno di

    Roma e dell'intera ecumene, numerosi altri culti provenienti da diverse regioni6.

    Per cui con un unico termine si intende, in modo troppo generico, una realtà

    religiosa molto varia, diversa, spesso sincretica nei suoi aspetti fondamentali.

    Bisognerebbe in sostanza parlare non tanto di  paganesimo quanto di  sincretismo

    religioso7 . Ora, pur non essendo questa la sede per approfondire l'argomento, in

    questo lavoro è necessario fare brevemente un accenno a quelli che sono i culti

     praticati maggiormente nella Roma della seconda metà del III secolo e conosciuti

    da Porfirio8.

    É presente il culto di Giove Serapide, di Iside e di Osiride proveniente

    dall'Egitto; il culto di Mitra tauroctono, associato a quello del Sol invictus proveniente dalla Persia; dalla Siria i riti della dea Siria, del dio Baal e degli

    5 P. HADOT  ( La fine del paganesimo,in Storia delle religioni a cura di H.C. PUECH, Laterza Bari1976, tomo II, p. 676) fa notare che «La religione antica non presentava alcuna univocità, anzicomportava una grande varietà di culti, di credenze, a seconda delle varie città nazioni o

    associazioni. Tuttavia, grazie all'azione centralizzatrice degli imperatori, il mondo greco-romanotende a diventare una sola nazione. S'instaura un intenso interscambio: non solo avviene che i cultisi mescolino tra loro, le divinità si confondano e si unifichino, ma sopratutto il culto di Roma edegli imperatori si trasforma in una sorta di religione di Stato». Vedi anche R. MACMULLEN,

     Paganism in the Roman Empire, New Haven 1981.6 Secondo CUMONT (op. cit., pp. 40-41) il motivo per cui molte religioni erano penetrate all'internodell'ecumene romana non era solo politico (molti culti infatti erano giunti nell'Urbe grazie allaconquista dei territori e all'importazioni degli schiavi), ma era soprattutto spirituale. In unmomento molto critico sia da un punto di vista economico che sociale il cittadino perdeva sempre

     più fiducia nella forza dell'impero, si sentiva sempre più debole e indifeso e cercava la suadimensione ideale non in questo ma in un altro mondo. Le religioni orientali quindi sembravanooffrire all'uomo di questo periodo, grazie ai riti, alle feste, alle cerimonie, quella sicurezza e quellacertezza che gli dei di Roma non erano più in grado di offrire. Il culto degli dei di Roma era solo

    un dovere civico a differenza dei riti orientali che invece erano l'espressione più forte dei pensieri,dei sentimenti, delle intime aspirazioni degli individui. Nel dare agli individui l'impressione di unal di là privo di dolori e di angosce, i riti orientali diventavano sempre più un'attrazione irresistibile

     per il popolo. Ma la stessa cosa si potrebbe dire per gli intellettuali: il dominio sempre piùincontrastato del neoplatonismo che promette filosoficamente di superare il limite della materiaindicando la strada intellettuale per una completa fusione tra contemplante e contemplato ha comemotore principale questo disagio politico economico e spirituale. Cumont (ibidem) arriva persino adire che è proprio questo il momento in cui «l'antiquité périssait, une ère nouvelle était née». Vedianche BERCHMAN R.M., Porphyry Against the Christians, cit., pp. 19-20.7  Secondo M. DI PASQUALE BARBANTI ( Note sulle trasformazioni filosofiche e religiose dellatarda antichità, «Chronos», 10 (1998), p. 13) il sincretismo religioso «Consiste nel sovrapporsi enell'intrecciarsi delle nuove esperienze religiose, per lo più di origine orientale, con i nuovi sistemifilosofici».8

      In questo primo capitolo si accenna solo a quei culti conosciuti e in molti casi praticati daPorfirio.

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      7

    Oracoli Caldaici, infine la magia e l'astrologia provengono prevalentemente

    dall'Egitto, dalla Persia, ma anche dall'Italia9.

    All'interno di questo contesto, il neoplatonismo è l'unica scuola filosofica

    che non solo riesce a convivere all'interno di queste forze eterogenee, ma riesce ad

    accrescersi e a svilupparsi in modo così complesso da diventare l'unica scuola

    filosofica della tarda antichità. Il neoplatonismo infatti riconosce la religione degli

    dei del  Pantheon, ed ha nei suoi confronti un atteggiamento di venerazione10

    , in

    quanto crede che essa sia l'espressione di un'antica rivelazione11

    . Proprio perchè

    rispettoso anche dei culti stranieri, il neoplatonismo considera sacri non solo i libri

    di Omero, ma anche quelli di Ermete Trismegisto e gli Oracoli Caldaici,

    riuscendo, nel caso in cui vi fossero contraddizioni tra loro, a superarle, ricorrendo

    all'utilizzo dell'allegoria per spiegare quelle verità che sono state trasmesse in

    forma occulta12.

    I. 1. 2. I culti egizi.

    La diffusione del culto degli dei egizi inizia molto probabilmente nel 306

    a.C. quando il tiranno di Siracusa Agatocle si sposa con Teossena, figliastra di

    Tolomeo I Soter 13. Dalla Sicilia il culto, dopo essersi radicato nell'isola, si

    9 Cfr. F. CUMONT, op. cit., pp. 182-184 e R.M. BERCHMAN, Porphyry Against the Christians, cit.,

     p. 20.10

      Porph.  De abst., II, 33, 1- 3: «Per parte mia, io non vengo ad abolire le leggi che si sono

    affermate presso ciascun popolo: ché ora non si tratta per me di parlare della vita politica; avendo

    tuttavia le leggi da cui siamo governati concesso di venerare la divinità con vittime semplicissime

    e prive d'anima, noi scegliendo l'offerta più semplice sacrificheremo secondo le leggi della città e

    nello stesso tempo ci adopereremo noi stessi a fare il sacrificio dovuto avvicinandoci agli dei puriin ogni senso. Ad ogni modo, se il fatto di sacrificare ha il valore di un'offerta e di una

    riconoscenza per ciò che otteniamo dagli dei per i nostri bisogni, sarebbe assolutamente

    irragionevole che astenendoci noi stessi dagli esseri animati ne offrissimo come primizie agli dei.

    Perchè gli dei non sono inferiori a noi a tal punto da aver bisogno degli animali, mentre noi non ne

    abbiamo bisogno, né è permesso dalla legge divina offrire le primizie di un cibo da cui noi ci

    asteniamo». La traduzione, salvo diversa indicazione, è di A.R. SODANO.11

     Cfr. F. CUMONT, op. cit., p. 186.12

     Il metodo allegorico, nato nel VI sec. a.C. con Teagene di Reggio, Anassagora e Metrodoro di

    Lampsaco, viene utilizzato da Porfirio non solo per spiegare il significato occulto contenuto

    all'interno di alcuni passi dell'Odissea, come ad esempio nel  De antro nympharum o nelle

    Quaestiones Homericarum, ma anche per sottolineare le contraddizioni insite all'interno della

    Bibbia. Cfr. PORFIRIO, Sullo Stige, a cura di C. CASTELLETTI, Bompiani, Milano 2006, p. 40.13

     Cfr. F. CUMONT, op. cit., p. 75, R. TURCAN, Le religioni orientali nell'impero romano, in Storiadelle religioni a cura di H.C. PUECH, Laterza Bari 1976, p. 650.

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     8

    diffonde nell'Italia meridionale, giungendo in poco tempo anche a Roma14

    .

    Tuttavia, per un riconoscimento ufficiale, bisogna aspettare l'ascesa al trono di

    Caligola, il quale nel 38 d.C. fa erigere nel campo Marzio un Iseion15, tempio

    dedicato a Iside Campensis, e, dopo diversi anni, di Domiziano. Adriano fa

    erigere a Tivoli il famoso Canopo nella sua splendida villa e Caracalla erige sul

    Quirinale un tempio maestoso dedicato a Serapide16.

    E' proprio nel III secolo che il culto di Iside-Osiride e di Giove-Serapide

    acquista una popolarità e un prestigio, fino ad allora sconosciuto. Bisogna

    innanzitutto chiarire che il culto egizio praticato a Roma ha pochissimo in comune

    con l'antico culto egizio delle vecchie dinastie: l'impianto teologico è poco

    dogmatico, e non vi sono formule precise. Si tratta sostanzialmente di un coacervo

    caotico, frutto di numerose credenze a volte eterogenee, che tuttavia sembra

    essere la chiave di volta per spiegare il suo rapido diffondersi in un'ecumene così

    ricca di culture e di popoli diversi tra loro. La sua capacità di adattarsi, di dare

    risposte alle problematiche esistenziali ed escatologiche degli uomini, porterà la

    religione egizia ad essere ancora praticata quando l'impero diventa non solo

    esclusivamente cristiano, ma ostile ad ogni culto ellenico. Gli dei del  Pantheon

    egizio più venerati sono Serapide, Iside e Osiride.

    A Serapide vengono attribuite le funzioni di Giove, o anche di Elios o

    Plutone; Osiride viene paragonato al dio della fertilità e degli inferi, mentre Iside

    viene paragonata a Venere. I sacerdoti che hanno il compito di officiare il culto

    devono avere comportamenti molto morigerati: infatti devono seguire una dieta

    rigidamente vegetariana, fare le abluzioni purificatorie prima del rituale sacro,

    astenersi dai rapporti sessuali, restare per lungo tempo in preghiera per essere

    degni del dio17

    . Durante la cerimonia, si presta la massima attenzione

    all'esecuzione perfetta della celebrazione sacra: bisogna invocare il dio

     pronunciando le lettere del suo nome in modo perfetto affinché egli, dopo la

    14 Nel 105 a.C. viene eretto a Pozzuoli e a Pompei un tempio dedicato a Serapide. Cfr. F. CUMONT,

    op. cit., p. 76. 15

      Plut.  De Iside et Osiride, 2. Cfr. F. CUMONT, op. cit., p. 78 «Il nome stesso del tempio

     promette apertamente conoscenza e intelligenza dell'essere; risponde al nome di Iseion, a indicare

    che noi sapremo la verità dell'essere allorché ci accosteremo, con un atteggiamento di ragione e di

     pietà, ai riti sacri della dea». La traduzione è di V. CILENTO.16

     Cfr. F. CUMONT, op. cit., pp. 78-79.17 Cfr. Porph. De abst., IV, 7, 6-8.

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      9

    corretta invocazione, si degni di rispondere al sacerdote18

    . Accanto a questo

    cerimoniale strettamente riservato agli iniziati, l'officiante permette ai fedeli, in

    determinate ore della giornata, normalmente alle prime luci dell'alba, di vedere la

    statua del dio, addobbata da vesti sacre e custodita nel naos del tempio durante la

    notte. Questa cerimonia a Roma prende il nome di Apertio.

    Accanto a queste funzioni religiose riservate ai sacerdoti e ai fedeli più

    devoti, ci sono anche le cerimonie che si tengono pubblicamente in determinati

     periodi dell'anno: il 5 marzo di ogni anno si celebra la festa del  Navigium Isis,

    dove sopra una piccola imbarcazione consacrata alla dea si percorre un tratto del

    Tevere, in ricordo della navigazione propiziatoria della dea sul fiume Nilo.

    Sull'imbarcazione vi sono delle donne vestite di bianco che gettano fiori in acqua

    e dei marinai che remano traghettando il simulacro della dea; la cerimonia si

    svolge tra canti accompagnati dal sistro, dove i fedeli intonano il loro canto,

    seguiti durante il rituale da alcuni sacerdoti con la testa rasata che, oltre

    all'immagine di Iside portano un'urna contenente l'acqua sacra del Nilo.

    L'imbarcazione si ferma davanti a dei luoghi chiamati pausarii dove per mezzo di

    oggetti sacri si rende omaggio alla dea19.

    Un'altra cerimonia ancora più suggestiva, celebrata tutti gli anni tra il 26

    ottobre e il 3 novembre, viene denominata  Inventio Osiris dove si ripercorre la

     passione e la resurrezione del dio: Osiride, uscito dal tempio viene ucciso e

    smembrato dal perfido Set. Iside, distrutta dal dolore, cerca il corpo smembrato di

    Osiride e trovatolo lo ricompone, dandogli nuovamente la vita. Il cerimoniale di

    resurrezione di Osiride è una festa per entrambe gli dei, l'una perchè ha riottenuto

    il marito-fratello, l'altro perchè ha riavuto la vita; ma la gioia è anche per i

    sacerdoti, i fedeli e la folla che gioisce per questo evento miracoloso. Questo

    cerimoniale, al di là dell'aspetto festoso e commemorativo, risponde in modo

    suggestivo e affascinante al problema escatologico della vita dopo la morte: il

    fedele, onorando Serapide, Iside e Osiride, può sperare nella vita eterna: come

    Osiride vive dopo la morte grazie alla resurrezione del suo corpo, così il fedele

     può sperare un giorno di vivere nell'aldilà, in compagnia del dio, assieme al suo

    18

     Cfr. E.R. DODDS, I Greci e l'irrazionale, La nuova Italia, Firenze 1970, pp. 354-355.19 Cfr. F. CUMONT, op. cit., p. 90.

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     10

    corpo resuscitato e se ha servito fedelmente gli dei, avrà come premio la

     beatitudine eterna20.

    Porfirio, perfettamente in accordo con il sincretismo religioso degli ultimi

    decenni del III secolo, ha una conoscenza approfondita degli dei egizi, del ruolo

    dei sacerdoti, delle pratiche del culto. Ad esempio nel  De abstinentia il filosofo

    descrive il popolo del Nilo come un modello di religiosità, di santità e di vita

    contemplativa, indicando minuziosamente tutti i riti preparatori e purificatori

    seguiti dai ministri del culto21

    , riportando l'esatto compito degli adepti all'interno

    del tempio22

    , e descrivendo lo stile di vita altamente sobrio e ascetico dei

    sacerdoti23. Nella  Filosofia desunta dagli oracoli, spesso Porfirio parla del culto

    riservato a Serapide e dell'importanza di questa divinità nella Roma della fine del

    III secolo24 e della devozione popolare per le divinità di Iside e Osiride25.

    I. 1. 3. Il culto persiano di Mitra.

    Proveniente dalla Persia, il culto di Mitra fa ingresso a Roma nel 72 a.C. ad

    opera di alcuni schiavi persiani seguaci del dio26  e, grazie a determinate

    20  Ibidem, pp. 92-93.

    21  Porfirio riferisce che i sacerdoti si dedicano alla contemplazione in solitudine riuscendo così a

    reprimere le passioni e a praticare una vita parca e frugale. Durante il periodo delle purificazioni

    non hanno contatti con nessuno e praticano una ferrea astinenza. La purificazione dei sacerdoti

    consiste in un periodo di preparazione di quaranta giorni, che può però essere variabile, dove

    devono astenersi da qualsiasi animale, dai legumi, dai rapporti sessuali, dai contatti con persone

    estranee. Si lavano con acqua fredda tre volte al giorno, al mattino appena alzati, prima del pranzo,

     prima di andare a dormire. Se durante il sonno hanno le polluzioni notturne, si fanno un bagno

     purificatore. A volte durante la notte impiegano il tempo per osservare gli astri o per qualche

    rituale, di giorno invece si dedicano alla ricerca scientifica, allo studio della matematica e della

    geometria. Cfr. Porph. De abst., IV, 6-8.22

     Vi è un doppio ordine di sacerdoti: i  sommi sacerdoti (), e coloro che vestono gli dei

    ( ); tra di essi esiste una gerarchia di funzioni e di importanza: i profeti  ( ), parlano per bocca del dio, i vestitori degli dei  (), vestono gli dei per le funzionireligiose, gli astrologi (, ), hanno il compito di osservare gli astri e i pianeti,i pastòfori ( ), portano in processione la statua del dio Anhur, vi sono inoltre i custodidel tempio (), ed infine  gli impiegati  (), con funzioni di vario genere. Cfr.Porph., De abst. IV, 8.23

     Cfr. Porph. De abst., IV, 6-8.24

      Cfr. Porph.  De phil. ex orac. I (apud Firmicus Mat.  De errore prof. rel, XIII, 4-5. 306 F.

    SMITH), ibidem, I, (apud Euseb.  Praep. ev., V, 13, 1-2. 318 F. SMITH), ibidem, II (apud Euseb.,

     Praep. ev., IV, 22,15- 23,6. 326 F. SMITH).25

     Cfr. Porph. De phil. ex orac. I (apud Euseb. Praep. ev., V, 6, 2- 7, 2. 308 F. SMITH) e ibidem, I,

    (apud Euseb. Praep. ev., V, 6, 4- 5. 309 F. SMITH).26

     Cfr. R.L. BECK , The mysteries of Mithras: a new account of their genesis, «Journal of RomanStudies», 1998 (88), pp. 115- 128.

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      11

    concezioni teologiche ed escatologiche e a specifiche caratteristiche liturgiche, la

    devozione nei confronti del dio persiano si diffonde rapidamente in tutto

    l'ecumene romana, raccogliendo un altissimo numero di devoti non solo

    all'interno nelle legioni romane, ma anche tra la popolazione. Bisogna subito

     precisare che, come i culti egizi, anche la liturgia dedicata a Mitra perde le sue

    antiche caratteristiche originarie risalenti alla Persia del VII secolo a.C.: il

    cerimoniale è molto cambiato come è mutata la concezione del dio che si è,

    secondo una felice espressione di R. Turcan,  platonizzato27

    . La nascita di Mitra

    viene legata al culto del Sol invictus,  per cui il suo genetliaco si fa risalire al 25

    dicembre28: Mitra nasce all'interno di una grotta chiamata anche mitreo,  al

    cospetto di alcuni pastori accorsi sul posto per l'evento29. All'interno della

    spelonca, che rappresenta il cosmo30, Mitra pratica la tauroctonia cioè l'uccisione

    del toro, che simboleggia la nascita della vita nell'universo e sulla terra. Il

    27 Cfr. R. TURCAN,  Mithras Platonicus, Recherches sur l’Hellénisation Philosophique de Mithra,

    Leiden 1975, p. 21. Non concorda in toto con TURCAN, G. SFAMENI GASPARRO: vedi G. SFAMENI

    GASPARRO  Misteri e Teologie, per la storia dei culti mistici e misterici nel mondo antico, Collana

    di studi storico-religiosi n 5, Hierà edizioni, Cosenza 2003,. p. 244, n. 2128

     Cfr. R. MERKELBACH, Mitra il signore delle grotte, ECGI, Genova 1988, p. 143. 29

      Secondo T. OSSANA  (  La stretta di mano. Il contenuto etico della religione di Mitra,  Borla

    edizioni, Roma 1988, p. 25) «Mitra è stato chiamato- e lo si vede in moltissime immagini- il geniodella luce.  Nasce con la fiaccola accesa, porta al mondo il calore del fuoco, elemento

    fondamentale come l’acqua, la terra, l’aria. Ma quella fiaccola è spesso interpretata- più che come

    il fuoco che purifica e trasforma- come segno di chiarezza e di luminosità intellettuale, o, ancora

     più frequentemente, come simbolo della grande sorgente di luce e di calore che è il sole».30

     Cfr. T. OSSANA, op. cit., p. 24. L. SIMONINI (Commento a Porfirio, L’antro delle ninfe, a cura di

    L. SIMONINI, Adelphi edizioni, Milano 1986, pp. 91-92) sottolinea che anche i mitrei erano delle

     piccole grotte, come quella in cui nacque il dio persiano, «In cui l’entrata allo spazio centrale è

     posta a oriente, mentre il rilievo cultuale è situato a occidente in modo da essere rivolto a oriente.

    Esso rappresenta spesso il sacrificio del toro o anche il banchetto rituale di Mitra e del dio sole. Il

    soffitto a volta, dipinto di blu, era trapunto di stelle: il mitreo è infatti “immagine” del cosmo.

    Lungo il corridoio centrale sedevano gli iniziati che partecipavano al culto e al banchetto sacro».

    T. Ossana (op. cit., p. 48) aggiunge che «Nel mitreo si accedeva attraverso un’unica porta,

    scendendo alcuni gradini; aveva una capienza limitata perché le comunità di fedeli non eranomolto numerose in quanto il luogo sacro era riservato agli iniziati, ai misti, mentre per gli altri

     partecipanti c’erano sale adiacenti. C’è nel mitreo una disposizione architettonica costante: al

    centro o sulla parete di fondo è posta l’icona o le icone di Mitra, c’è sempre quella rappresentante

    la tauroctonia con i dadofori e spesso altre immagini raffiguranti vari episodi della sua vita. C’è

     ben visibile, l’altare o tavola su cui si appoggiano le offerte e i cibi; ai lati le panche-  praesepia-

    riservate ai sacerdoti tra cui si distingue quella del  pater che presiede l’assemblea e il rito,

    chiamata podium. La presenza di Mitra è sottolineata anche dalla luce che ne illumina l’immagine.

    Il mitreo è senza finestre e, poiché le riunioni sono notturne, la luce costituisce un elemento di

    grande importanza anche per il richiamo al Sole, al dio solare. L’ingresso del mitreo porta i segni

    dello zodiaco: le divinità del cielo sono richiamate dai pianeti della volta, il luogo nel suo insieme

    rappresenta l’universo al centro del quale la comunità prega, canta, s’istruisce, condividendo la

    gioia della mensa con quella della fede. Nell’atrio c’è l’acqua, che sgorga da una sorgente o che vi

    è stata portata; è anch’essa un simbolo e un ricordo: serve a purificare, a dissetare, a fecondare, ericorda Mitra generatore dell’acqua».

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     12

     persiano, oltre ad essere un dio, è anche un demiurgo che, uccidendo il toro sacro,

    diffonde la vita dappertutto generando l'acqua, grazie al sangue e allo sperma

    dell'animale che vivifica e fertilizza la terra.

    Per quanto concerne l'escatologia bisogna dire che, secondo questa

    religione, è  Ananke che costringe le anime ad incarnarsi nei corpi degli uomini,

    obbligando Mitra ad eseguire materialmente l'atto dell'immissione delle anime nei

    corpi, cioè dell'incarnazione; e sebbene egli non possa sottrarsi all'esecuzione di

    questo evento doloroso, cerca comunque di salvare l'umanità immolando appunto

    il toro sacro. Il dio persiano fa tutto questo non solo per il bene dell'umanità, ma

    anche per permettere a tutti gli uomini, dopo la vita, di salvarsi e di vivere in

    eterno insieme a lui. Bisogna dire che, a differenza dei culti egizi dove la salvezzasi può ottenere solo dopo la resurrezione del corpo, il miste invece, già in questa

    vita può prepararsi, seguendo una determinata etica, al congiungimento col dio. Il

    fedele quindi deve percorrere una scala di sette porte, che simboleggia il cammino

    di purificazione e di elevazione spirituale, alla fine della quale, precisamente

    nell'ottava porta, potrà unirsi per sempre con Mitra31. I misti sono organizzati in

    modo gerarchico e si identificano sia con animali sia con personaggi

    rappresentanti un ruolo particolare nell'esecuzione del rito32: così al livello più

     basso si trova il corvus, chiamato anche servitore, segue il nynphus e il miles33. Il

    31  Secondo R.  TURCAN  (op. cit., p. 51) la scala simbolizza «Non pas l’ordre spatial des sphères planétaires, mais l’ordre des temps, le cycle des influences successives par lesquelles toute l'âmedoit passer avant sa réintégration finale dans l’empyrée. Or ce processus es commandé par lesrévolutions célestes». L. SIMONINI  inoltre (op. cit., p. 157) osserva che «l’ascesa del mystes nellagerarchia riflette l’ascesi cosmica dell’anima attraverso le sette sfere planetarie, espressa dalsimbolo mitraico della klimax heptapulos, “scala a sette porte” di cui parla CELSO (Orig. C. Cels.,6, 22). L’esperienza del progresso iniziatico non si risolve nell’ambito della vita terrena, ma haun’apertura escatologica nella visione del progresso cosmico dell’anima. Ogni grado era posto

    sotto la tutela di una potestà planetaria».32 Si è discusso a lungo sulla presenza femminile all'interno dei fedeli officianti il rito e il sacro banchetto. In un recente articolo A.B. GRIFFITH (Completing the picture: women and the female principle in the Mithraic cult. «Numen» 53 [1] [2006], pp. 48- 77) rileggendo  De abstin., IV, 16,3, ritiene che Porfirio sia l'unico scrittore a riportare la notizia della presenza delle donne durante il

     banchetto sacro.33 Abbiamo visto che il primo grado è il servitore o corax; il secondo è il nynphus: il miste portaun velo giallo sul volto, si occupa dell’illuminazione del mitreo, infatti ha come simbolo lalampada, ed è caratterizzato dalla particolare devozione che egli deve avere nell’esecuzione delsuo servizio. Il terzo grado è rappresentato dal miles: il miste porta in testa un elmo, una cappacolor porpora ed un tatuaggio sulla fronte. Egli è colui che, raffigurato con la spada e la corona, hail compito di custodire, difendere, liberare il mitreo. Vedi anche R.L. B ECK , Ritual, mith, doctrineand initiation in the mysteries of Mithras: new evidence from a cult vessel, «Journal of Roman

    Studies» 90 (2000), pp. 145- 180 e W. PÖTSCHER , Bemerkungen zum Porphyrios – Text, «EmeritaRevista de Linguistica y Filologia Clasica» 35 (1968) p. 4.

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    grado successivo è rappresentato dal leo34 ,a cui appartengono la maggior parte

    degli adepti, poi il  perses,  che indossa il berretto frigio in ricordo della

     provenienza persiana del dio, l'heliodromus35 o portatore del sole ed infine, nella

    grado più alto della gerarchia, il  pater   che viene spesso associato al falcone o

    all'aquila in ossequio ai suoi compiti di supervisore della comunità e dei fedeli del

    dio. Bisogna precisare che i gradi che vanno dal leo al  pater   sono quelli che

     partecipano attivamente alla cerimonia del banchetto sacro, a differenza dei primi

    tre gradi anzidetti in cui i misti hanno funzioni solo di servitori36

    . Infine il  pater  

    ha il compito di officiare il rito, di accogliere i nuovi adepti, di promuovere ai

    gradi superiori i misti, di dare direttive sul culto, di esortare a perseguire un'etica

    di lealtà, fedeltà e dedizione. Il momento più importante della cerimonia è

    rappresentato dalla partecipazione dei fedeli ad un banchetto in ricordo

    dell'immolazione del toro da parte di Mitra e dell'inizio della vita sulla terra, che

    rappresenta, come precedentemente detto, l' amore del dio per gli uomini. Il

    nucleo centrale del banchetto è rappresentato dall'eucaristia dove il pater e i misti

    mangiano il pane e bevono il vino sacro, ringraziando Mitra per il sacrificio del

    toro37.

    34L. SIMONINI  (op. cit., p. 158) sottolinea che «nel Leone si è vista l’incarnazione più vitale

    dell’anima ignea, del fuoco, il massimo principio fisico. La purezza e la natura infuocata della

    nuova incarnazione cui giungeva il mystes leo è sottolineata dall’uso del miele, a significare il

     perfetto accordo del Leone con il principio infuocato dell’ordine cosmico».35

      Il quinto grado nella scala mitraica si riferisce al perses: l’appartenente a questo stadio porta il

     berretto frigio, s imbolo dell’antica provenienza persiana del dio, offre, durante il sacro banchetto,

    frutta al dio Mitra, è responsabile dei riti sulla fertilità della terra. Il sesto grado è occupato

    dall’heliodromus, cioè il portatore del Sole: egli ha una tunica rossa con una cintura gialla,

    conduce i commensali al banchetto sacro, rappresenta il dio in persona.36

     Cfr Porph. , De antro, 15, 25. G. SFAMENI GASPARRO  (op. cit., p. 154, n. 104) fa notare che il

     passo in questione del  De abstinentia (IV, 16, 3) «presenta la distinzione fra “partecipanti”,

    indicati nei leones, e i “ servitori”, che sarebbero i corvi. Se ne è dedotta l’esistenza di due livelli,

    al primo dei quali apparterrebbero gli iniziati dei primi tre gradi (corax, nynphus, miles), mentre imembri degli altri quattro gruppi (leo, perses, heliodromus, pater ) costituirebbero il secondo. I

    monumenti con scene di banchetto, tuttavia, mostrano i due più alti membri della gerarchia

    iniziatica in figura di celebranti il rito, mentre tutti gli altri, compresi perses e leo, vi partecipavano

    come “servitori” o comunque portatori di offerte». Cfr. Ibidem, p. 228.37

     L’iconografia mitraica presenta numerose varianti sui cibi portati durante la celebrazione del

    sacro banchetto: nel mitreo di Santa Prisca sono recati un’anfora, un gallo e dei pani; a Dura

    Europos vengono raffigurati alcuni pezzi di carne infilati in un’assicella come dei piccoli spiedi,

    come nel mitreo di Heddernheim. G. SFAMENI GASPARRO  (op. cit., p. 155) sottolinea che «La

     partecipazione al sacro banchetto inteso a rievocare l’impresa salvifica del dio, con le sue valenze

    cosmiche e i riflessi sulle prospettive soteriologiche dell’individuo, implicava certamente il

    consolidamento del rapporto di familiarità che l’intero complesso misterico contribuiva ad istituire

    fra Mithra e i suoi fedeli». In un recente studio M. MARLEEN ( Re- thinking sacred «rubbish»: the

    ritual deposits of the temple of Mithras at Tienen (Belgium).  «Journal of Roman archaeology»,2004 17 (1), pp. 333- 354), analizzando gli scarti ritrovati presso un mitreo a Tienen in Belgio, ha

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    Il culto di Mitra ebbe un grosso seguito specialmente nelle legioni non solo

     perchè l'escatologia mitraica consiste sostanzialmente nella pratica in questa vita

    della dedizione, della fedeltà e della lealtà, ma anche per l'organizzazione degli

    adepti, che riprendeva molto da vicino la scala rigidamente gerarchica

    dell'esercito romano38.

    Le conoscenze che Porfirio ha sul Mitraismo sono molto dettagliate: non

    solo egli riferisce il ruolo degli adepti all'interno della scala gerarchiaca dei misti,

    la loro equiparazione agli animali, le precise funzioni svolte da ciascuno di essi

    durante il banchetto sacro, ma, grazie a lui, abbiamo notizie di ordine

    storiografico su alcuni testi perduti e sui loro autori, i quali, senza il suo prezioso,

    sarebbero stati relegati per sempre nell'oblio39.

    I. 1. 4. I culti siriani.

    Come il culto di Mitra, anche quello della dea Siria, chiamata anche

    Athargatìs, giunge a Roma attraverso la Sicilia40 e l'Italia meridionale intorno al I

    secolo a.C. Esso si propaga molto velocemente, specialmente dopo la vittoria di

    Roma contro Antioco il grande, anche grazie all'elevato numero di schiavi che

    viene importato dalla Siria. Questi, integratisi ben presto all'interno del contesto

    romano, cominciano ad officiare il culto alla dea41.

     Nell'iconografia del culto il pesce è l'animale consacrato alla dea tanto che

    spesso essa viene rappresentata con le stesse sembianze; ad essa vengono offerte

    durante la cerimonia le carni del pesce che possono essere successivamente

    inteso chiarire non solo che cosa veniva effettivamente consumato durante il banchetto sacro, maanche come il cibo veniva preparato per essere consumato durante l’eucarestia.38

     R. MERKELBACH (op. cit., p. 237) sottolinea che «Con la promessa consolatoria dell’immortalità

    dell’anima e del suo legame con Dio, i misteri di Mitra venivano incontro al bisogno di religiosità

    dell’epoca, mentre la ragione poteva essere appagata dalla scientificità di quella dottrina, che

    corrispondeva al livello dell’astronomia di quel tempo. Ben si comprende il vasto e repentino

    successo di quei misteri nel II e III secolo d.C.».39

     Porfirio in De abst. II, 56 parla di un certo Pallade, il quale raccolse notizie relative ai misteri di

    Mitra. Non si hanno nozioni specifiche su questa figura, si pensa che potesse essere un

    commentatore. Secondo R. TURCAN ( Mithras Platonicus, cit. p. 41) Pallade probabilmente visse

    sotto il regno di Adriano ed era originario della Siria. In un'altro passo del  De abst. (IV, 16, 2)

    Porfirio parla di un altro personaggio di nome Eubulo, il quale scrisse un'opera dal titolo Ricerche

     su Mitra. Purtroppo non abbiamo notizia nè dell'opera citata dal filosofo nè tanto meno del'autore.40

     Cfr R. GRECO, op. cit., p. 26.41 Cfr. F. CUMONT, op. cit., pp. 97-98.

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    mangiate solo dai sacerdoti che officiano il culto e, così facendo, si nutrono

    metaforicamente del corpo della dea. Secondo Cumont questa usanza siriana ha

    ispirato in epoca cristiana il simbolismo dell' Ichtys.42 

    Un'altra divinità siriana che ottiene un gran seguito di fedeli a Roma è Baal;

    esso viene assimilatao a Giove ottenendo vari epiteti: Baal di Damasco ( Iupiter

     Damascenus), Baal di Eliopolis ( Iupiter Heliopolitanus), Baal Dolichénus ( Iupiter

     Dolichénus). Tuttavia è il dio Baal di Emesa, portato a Roma dall'imperatore

    Eliogabalo nel 218 d.C. il più famoso nella storia: il tentativo da parte

    dell'imperatore di imporre a Roma il culto di questo dio, accese un forte

    movimento anti- siriano che ebbe, come sappiamo, gravi conseguenze per

    l'imperatore. Ed è strano pensare che solo mezzo secolo più tardi Aureliano

    imporrà il culto del Sol invictus, protettore dell'imperatore e di tutto l'impero43: il

    sovrano si era ispirato proprio alla Siria, ed esattamente al dio Bêl il cui santuario

    era stato importato da Palmira a Roma dopo la sua vittoria.

    Il dio Baal, che in siriano significa signore ( Ba'al ), viene spesso associato a

    Baalat, regina e sposa di Baal: essi rappresentano il principio maschile e

    femminile, la cui unione è creatrice di ogni cosa44. Come precedentemente

    sottolineato nell'esposizione sui culti egizi e del dio Mitra, anche qui bisogna

     precisare che le caratteristiche cultuali e teologiche della dea Siria e di Baal

     perdono, dopo essere state perfettamente assorbite dall'ecumene romano, quelle

    originalità che avevano prima del loro ingresso nell'impero, per piegarsi alle

    esigenze spirituali di una n