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COMMISSIONE AGRICOLTURA Politiche legislative e attività istituzionale nella XIV legislatura n. 2/13 Maggio 2006

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COMMISSIONE AGRICOLTURA

Politiche legislative e attività istituzionale nella XIV legislatura

n. 2/13

Maggio 2006

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Camera dei deputati XV LEGISLATURA

SERVIZIO STUDI

Documentazione e ricerche

COMMISSIONE AGRICOLTURA

Politiche legislative e attività istituzionale nella XIV legislatura

n. 2/13

Maggio 2006

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Il “dossier di inizio legislatura” si propone di fornire un quadro sintetico delle principali politiche e degli interventi normativi che hanno interessato nella XIV legislatura i settori di competenza delle Commissioni permanenti. Alla redazione dei dossier hanno partecipato il Servizio Commissioni e l’Ufficio Rapporti con l’Unione europea

DIPARTIMENTO AGRICOLTURA

Consigliere Sergio di Filippo (4974)

Documentaristi Clara De Benedittis (3832) Luigi Lucchetti (3136)

Segretario parlamentare Angela Borrelli (3610)

I dossier del Servizio studi sono destinati alle esigenze di documentazione

interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge.

File: Ag0001.doc

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I N D I C E

NOTE DI SINTESI

TEMI D'INTERESSE E DI INTERVENTO (a cura del Servizio studi) 3

ATTIVITÀ DELLA COMMISSIONE (a cura della Commissione) 11 1. Ambito di competenza 11 2. Analisi dei dati statistici 12 3. Linee di tendenza 13

PRINCIPALI POLITICHE E INTERVENTI LEGISLATIVI

RIFORMA PAC E CONTESTO INTERNAZIONALE 21

LA LEGGE-DELEGA N.38 DEL 2003 23

SOGGETTI E ATTIVITÀ IN AGRICOLTURA 25

L’ORGANIZZAZIONE DEI PRODUTTORI 29

LE FILIERE AGROALIMENTARI 33

LA GESTIONE DEI RISCHI IN AGRICOLTURA 37

SICUREZZA E QUALITÀ DEGLI ALIMENTI 41

I PRODOTTI TIPICI NAZIONALI (DOP E IGP) 45

ORGANISMI GENETICAMENTE MODIFICATI (OGM) 47

LE BIOENERGIE 49

SETTORE LATTIERO - CASEARIO 51

SETTORE VITIVINICOLO 55

SETTORE BIETICOLO-SACCARIFERO 57

APICOLTURA 59

AGRITURISMO 63

MINISTERO POLITICHE AGRICOLE E FORESTALI 65

IL NUOVO RUOLO DI ISMEA 67

CORPO FORESTALE DELLO STATO 69

ISPETTORATO REPRESSIONE FRODI (ICRF) 71

ALTRI INTERVENTI IN MATERIA AGRICOLA 73

PESCA E ACQUACOLTURA 75

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CACCIA 79

QUESTIONI ALL’ESAME DELL’UNIONE EUROPEA 81

SCHEDE DI APPROFONDIMENTO

Politica agricola comune (PAC) 87 Agricoltura e negoziati OMC 91 Organizzazioni produttori - Normativa 99 Organizzazioni produttori - Elenco 105 Filiere agroalimentari – Intese di filiera 109 La gestione dei rischi in agricoltura - Crisi di mercato 111 La gestione dei rischi in agricoltura - Fondo di solidarieta’

nazionale 117 La gestione dei rischi in agricoltura - Assicurazioni in agricoltura 121 Sicurezza e qualità degli alimenti - L’agricoltura biologica 129 Sicurezza e qualità degli alimenti - Autorita’ per la sicurezza

alimentare 133 Sicurezza e qualità degli alimenti - Etichettatura alimenti 137 Prodotti tipici nazionali – Società Buonitalia 145 Prodotti tipici nazionali - Naturalmenteitaliano 149 Normativa sugli OGM 151 Vitivinicolo – Tutela DOC e IGT 161 Vitivinicolo – Accordo internazione vino 163 La nuova legge sull’apicoltura 167 La nuova legge sull’agriturismo 175 Ministero politiche agricole e forestali - Funzioni e compiti del

MIPAF 183 Funzioni e compiti dell’ISMEA 191 Funzioni e compiti dell’ICFR 199 Altri interventi - Consorzi agrari 203 Altri interventi - Agricoltura e fisco 209 Altri interventi - UNIRE 211 Altri interventi - Tartufi 215 Altri interventi - AGEA 217 Altri interventi - Attivita’ Agromeccanica 225 Caccia – Le deroghe regionali 229

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QUESTIONI ALL’ESAME DELLE ISTITUZIONI DELL’UNIONE EUROPEA

Il Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa 237 Lo stato delle ratifiche del Trattato 239 L’allargamento e i Balcani occidentali 241 La politica europea di vicinato 246 Aiuto ai Paesi terzi 247 Prospettive finanziarie dell’UE 2007-2013 249 La strategia di Lisbona 251 La proposta di direttiva sui servizi nel mercato interno 253 Riforma della PAC 255 Pesca 256 Salute e benessere degli animali 256 Biocarburanti 257

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Note di sintesi

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TEMI D'INTERESSE E DI INTERVENTO (a cura del Servizio studi)

AGRICOLTURA, CACCIA, PESCA

L’andamento delle politiche agricole nel corso della XIV legislatura ha

ampiamente risentito, nelle sue linee evolutive di fondo, dei mutamenti intervenuti in ambito internazionale e comunitario, che hanno fortemente inciso sul quadro generale di riferimento dell’intero settore primario.

Sul versante internazionale, la crescente globalizzazione dei mercati, l’emersione di nuovi competitors a livello mondiale, la sempre più diffusa consapevolezza dell’importanza di nuove regole, più eque e condivise, sul commercio dei prodotti agricoli quale strumento per favorire lo sviluppo dei Paesi più poveri, rappresentano i fattori che hanno contributo a delineare il nuovo sfondo delle trattative dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC), ove, nell’ambito di una dialettica crescente tra USA, UE e Paesi in via di sviluppo (PVS), le tematiche agricole (in particolare la tutela dei marchi e delle denominazioni di origine, i sussidi agricoli e gli OGM) sono state quasi sempre al centro dei dibattiti. Nel mutato contesto internazionale si inserisce la riforma di medio-termine (mid-term review) della Politica agricola comune (PAC), attraverso la quale l’Europa ha cercato di far fronte, oltre che alle sollecitazioni derivanti dai negoziati sul commercio internazionale, anche alle esigenze discendenti dal processo di allargamento dell’Unione, che nel maggio del 2004 ha visto l’ingresso di 10 nuovi Paesi membri. La riforma, approvata il 26 giugno 2003 dai Ministri europei dell’agricoltura e trasfusa nel regolamento comunitario n. 1782/2003 del 29 settembre 2003, trasforma radicalmente l’intervento dell’Unione europea a sostegno del settore agricolo, secondo un approccio teso a valorizzare la libertà delle scelte produttive (“disaccoppiamento” degli aiuti), promuovere la salvaguardia ambientale e la sicurezza alimentare (“condizionalità”), potenziare le politiche di sviluppo rurale.

Sul versante nazionale, il momento di maggiore rilievo dell’azione normativa nel settore primario è rappresentato dall’approvazione della legge 7 marzo 2003, n. 38 (c.d. “collegato agricolo”), con cui il Parlamento ha conferito al Governo una delega legislativa assai ampia e articolata, al fine di “completare il processo di modernizzazione dei settori agricolo, della pesca, dell’acquacoltura, agroalimentare, dell’alimentazione e delle foreste”. In attuazione di tale delega il Governo è intervenuto con sette decreti legislativi (alcuni dei quali parzialmente correttivi dei precedenti), adottati tra il marzo 2004 e il maggio 2005 (ciò che è stato reso possibile dalla proroga del termine inizialmente previsto per il suo esercizio), che hanno investito aspetti di grande rilievo dei settori dell’agricoltura e della pesca, proseguendo l’opera di modernizzazione avviata, nella precedente

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legislatura, con i decreti legislativi nn. 226 e 228 del 2001. Nella definizione del contenuto dei decreti la Commissione agricoltura ha svolto un ruolo di grande rilievo, attraverso l’espressione di pareri articolati e puntuali, dei quali il Governo ha ampiamente tenuto conto nella stesura definitiva delle norme.

I decreti legislativi adottati in attuazione della legge n. 38 del 2003 sono: il decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 99, che ha introdotto la nuova figura

dell’imprenditore agricolo professionale (IAP), ha ridefinito i requisiti delle società agricole e delle organizzazioni di produttori (OP), ha previsto nuove misure per favorire l’integrità fondiaria e ha introdotto nuove norme per la semplificazione amministrativa;

il decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 102, con cui è stato rivisto il funzionamento del Fondo di solidarietà nazionale per le calamità naturali (FSN), al fine di orientare maggiormente l’azione pubblica per la gestione dei rischi in agricoltura verso l’incentivo alla stipula di polizze assicurative;

i decreti legislativi 26 maggio 2004, nn. 153 e 154, che hanno introdotto nuove norme sull’esercizio dell’attività di pesca marittima e per la modernizzazione dell’intero settore della pesca e dell’acquacoltura;

il decreto legislativo 27 maggio 2005, n. 100 (in parte “correttivo” del decreto legislativo n. 154 del 2004) che ha esteso al settore della pesca i meccanismi di incentivazione della copertura assicurativa privata e introdotto nuove norme per il sostegno delle filiere ittiche;

il decreto legislativo 27 maggio 2005, n. 101, che ha modificato in più parti i precedenti decreti legislativi n. 99 e 102 del 2004, per quanto attiene alla qualifica di imprenditore agricolo professionale (IAP), alle società agricole, alla conservazione dell’integrità fondiaria, alla semplificazione amministrativa e alla capitalizzazione delle imprese, rafforzando il ruolo creditizio dell’Istituto di servizi per il mercato agroalimentare (ISMEA);

il decreto legislativo 27 maggio 2005, n. 102, che ha introdotto nuove norme sulla regolazione dei mercati nel settore primario e sui soggetti economici collettivi in essi operanti (organizzazioni di produttori, unioni di produttori, organizzazioni interprofessionali), per il rafforzamento delle filiere agro-alimentari e per far fronte alle crisi di mercato.

Nel settore della sicurezza e della qualità alimentare le politiche nazionali hanno riflettuto, in buona misura, i mutamenti intervenuti a livello comunitario, ove il processo di riforma della normativa di settore a seguito delle emergenze sanitarie registrate nel recente passato è stato sostanzialmente completato. Le politiche comunitarie hanno avuto lo scopo di innalzare gli standard igienici e sanitari al fine di recuperare, attraverso un controllo globale della catena alimentare (“dai campi alla tavola”) la fiducia dei consumatori. I concetti-chiave della nuova politica di sicurezza alimentare sono il controllo di filiera, la rintracciabilità degli alimenti e di tutti gli ingredienti utilizzati, la responsabilità del produttore, la capacità di attivare rapide misure di salvaguardia in caso di

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emergenze, l’istituzione dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA, assegnata a Parma) e l’informazione nei confronti del consumatore (etichettatura).

Nel corso della legislatura è proseguita, inoltre, l’opera di difesa e tutela dei prodotti tipici del nostro Paese, sia nelle sedi internazionali, sia a livello nazionale. Sul versante internazionale l’Italia si è impegnata per il raggiungimento a livello comunitario di una posizione chiara e unitaria, nell’ambito dei negoziati in seno all’Organizzazione mondiale del commercio (OMC), sulla difesa del sistema delle attestazioni di specificità europee e per il sostegno alla richiesta di introdurre una regolamentazione che conduca alla istituzione di un registro internazionale obbligatorio delle denominazioni di origine. Nonostante il fallimento del vertice di Cancun, uno dei principali obiettivi raggiunti in questo ambito è stato il riconoscimento, da parte degli organi arbitrali dell’OMC (attivati su ricorso di Australia e USA), della conformità del sistema europeo di protezione delle DOP e delle IGP (nel frattempo aperto a registrazioni di prodotti extra-UE con il Regolamento n. 892/2003) alle regole dell’OMC e alle esigenze dell’accordo TRIP’s. Sul versante nazionale, è stata sviluppata una ampia politica volta a tutelare e promuovere il made in Italy agroalimentare nel suo complesso (ad esempio con il rafforzamento delle “concertazioni” tra il Ministero delle politiche agricole e forestali e gli enti rappresentativi delle categorie interessate e l’istituzione della società Buonitalia Spa), alla quale si sono accompagnati anche provvedimenti riguardanti specifici prodotti.

Tra i provvedimenti più significativi assunti a livello nazionale nel settore della qualità e della tipicità alimentare si segnala il decreto-legge n. 157 del 2004, che ha recato disposizioni sull’etichettatura dell’olio di oliva (in base alle quali deve essere indicato il luogo di coltivazione e molitura delle olive) e sull’uso delle denominazioni di vendita “latte fresco pastorizzato” (esclusa per latti prodotti con trattamenti ulteriori alla pastorizzazione come, ad esempio, il “microfiltrato”) e “passata di pomodoro” (riservata al prodotto ottenuto esclusivamente dalla spremitura diretta del pomodoro fresco, con la conseguenza di escludere i prodotti di importazione, in particolare cinesi). Merita ricordare, inoltre, la vicenda del cioccolato e, in particolare, il decreto legislativo n. 178 del 2003 (di attuazione alla direttiva 2000/36/CE relativa ai prodotti di cacao e di cioccolato), ove è stato consentito, in aperta polemica con le istituzioni comunitarie (le quali hanno avviato una procedura di infrazione), l’utilizzo della denominazione “cioccolato puro” per il cioccolato lavorato esclusivamente con burro di cacao (in contrasto con la direttiva comunitaria che non contempla tale denominazione aggiuntiva).

Nel settore degli organismi geneticamente modificati (OGM) il più importante provvedimento adottato nel corso della legislatura è stato il decreto-legge n. 279 del 2004, che ha introdotto una organica disciplina sulla

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coesistenza tra l’agricoltura transgenica, convenzionale e biologica. Il decreto, convertito in legge a conclusione di un confronto parlamentare assai serrato, introduceva una sostanziale moratoria all’utilizzo di OGM in agricoltura nel nostro Paese, destinata ad essere rimossa solo quando tutte le regioni avessero adottato, nel rispetto delle norme-quadro definite con decreto del Ministro delle politiche agricole e forestali, i Piani di coesistenza, ossia le regole tecniche volte ad evitare ogni forma di commistione e ad assicurare la separazione delle filiere. Con la sentenza n. 116 del 2006 la Corte costituzionale ha peraltro dichiarato l’illegittimità di numerose disposizioni del decreto-legge n. 279 del 2004, il cui impianto normativo, pertanto, appare ora significativamente compromesso. La Corte, nel ritenere il decreto lesivo delle competenze legislative regionali, ha annullato tutte le disposizioni funzionali all’adozione dei Piani di coesistenza regionali, riconoscendo alle regioni (molte delle quali, peraltro, avevano già adottato provvedimenti fortemente limitatativi all’uso di OGM) la piena ed immediata disponibilità legislativa della materia. Sempre in materia di OGM sono intervenuti, poi, vari decreti legislativi (adottati previo parere della Commissione agricoltura) volti a recepire le innovazioni introdotte a livello comunitario (principio di precauzione, etichettatura, tracciabilità), ove è stato completato il quadro giuridico per la tutela e la sicurezza dei consumatori.

Per quanto concerne i singoli settori produttivi, tra gli interventi di maggiore rilievo vanno ricordati la legge n. 96 del 2006 sull’agriturismo, volta a configurare l’agriturismo come peculiare espressione di un’agricoltura multifunzionale, legata alla preservazione dell’ambiente, alla gestione del territorio e alla valorizzazione delle risorse naturali, storiche e gastronomiche dei territori; il decreto-legge n.49 del 2003, che ha introdotto una riforma organica della normativa sull’applicazione del prelievo supplementare nel settore lattiero caseario, consentendo di avviare a soluzione l’annoso problema degli “splafonamenti” della quota produttiva assegnata al nostro Paese e di sbloccare l’enorme contenzioso accumulato nelle sedi giudiziarie; la legge n. 82 del 2006, relativa alla produzione e alla commercializzazione dei prodotti vitivinicoli; la legge n. 313 del 2004 (approvata in sede legislativa da entrambi i rami del Parlamento con l’ampio consenso di tutte le forze politiche), che ha introdotto una disciplina organica dell’apicoltura, definendo un nuovo sistema di programmazione nazionale degli interventi a favore del settore e colmando lacune normative relative a specifici profili, nel quadro di un ampio coinvolgimento delle autonomie regionali.

Vanno ricordati, inoltre, gli interventi nel settore agroenergetico, volti a promuovere la produzione e il consumo di biomasse e biocarburanri di origine agricola. In particolare, sul finire della legislatura il decreto-legge n. 2 del 2006 (articolo 2-quater), nel quadro degli obiettivi indicativi nazionali stabiliti sulla base della normativa comunitaria, ha introdotto l’obbligo per i produttori di carburanti diesel e di benzina, a decorrere dal 1° luglio 2006, di immettere al consumo

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biocarburanti di origine agricola, nell’ambito di un’intesa di filiera, di un contratto quadro o di un contratto di programma agroenergetico (la cui disciplina è rimessa al CIPE), in una misura, crescente di un punto percentuale annuo fino al 2010, pari all’1% dei carburanti immessi al consumo nell’anno precedente. Inoltre, l’attività di produzione e di cessione di energia da fonti rinnovabili agroforestali è stata considerata attività connessa a quella agricola, con i conseguenti vantaggi fiscali.

Sul versante istituzionale si segnalano il D.P.R. n. 79 del 2005, di riassetto della struttura organizzativa del Ministero delle politiche agricole e forestali; la legge n. 36 del 2004, che ha delineato un nuovo profilo istituzionale e ordinamentale del Corpo forestale dello Stato, fissandone in modo puntuale compiti e funzioni nel quadro di un nuovo rapporto tra Stato e regioni; l’ampliamento delle funzioni dell’Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare (ISMEA), che ha acquisito da Sviluppo Italia Spa funzioni e risorse relative agli interventi ex-Ribs e all’imprenditoria giovanile in agricoltura (legge n. 350 del 2003, articolo 4, commi 42-45) e rafforzato (con l’incorporazione della Sezione speciale del Fondo interbancario di garanzia e la gestione dei relativi interventi) la funzione di strumento finanziario ad ampio raggio del settore agricolo (decreto legislativo n. 102 del 2004, articolo 17 e legge n. 311 del 2004, articolo 1, comma 512); l’ampliamento della sfera di competenza e delle dotazioni umane e materiali dell’Ispettorato centrale repressione frodi (ICRF).

Nel settore della caccia l’unico provvedimento di rilievo approvato nel corso

della legislatura è stata la legge n. 224 del 2002, che ha disciplinato l’esercizio da parte delle regioni delle deroghe di cui all’articolo 9 della direttiva n. 79/409/CEE sulla protezione degli uccelli selvatici (ove si prevede che gli Stati membri possono derogare ai divieti di caccia stabiliti dalla direttiva medesima in casi particolari, tassativamente stabiliti, e nel rispetto di specifiche condizioni, volte a garantire che la caccia avvenga entro limiti precisi e in presenza di adeguati controlli). La mancata attuazione di tale disposizione con la legge n. 157 del 1992 (legge sulla caccia, tuttora in vigore) ha dato vita ad una lunga serie di conflitti tra lo Stato e le regioni in merito alla titolarità del potere di disciplina delle deroghe e ad un contenzioso con la Comunità europea in merito alla mancata applicazione della norma comunitaria. Il conflitto è stato definitivamente risolto dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 169 del 1999, la quale ha sancito che la direttiva comunitaria richiede, per la sua concreta attuazione nell’ordinamento interno, una legge nazionale che valuti e ponderi i vari interessi che vengono in rilievo. A colmare il vuoto legislativo è intervenuta, pertanto, la legge n. 224 del 2002, che ha introdotto l’articolo 19-bis della legge n. 157 del 1992. Nel rimettere alle regioni la disciplina delle deroghe previste dall’articolo 9 della direttiva, la disposizione prevede in particolare che le deroghe, in assenza di altre soluzioni soddisfacenti, devono menzionare le specie che ne formano

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oggetto, i mezzi, gli impianti e i metodi di prelievo autorizzati, le condizioni di rischio, le circostanze di tempo e di luogo del prelievo, il numero dei capi giornalmente e complessivamente prelevabili nel periodo, i controlli e le forme di vigilanza cui il prelievo è soggetto e gli organi incaricati della stessa. I soggetti abilitati al prelievo in deroga vengono individuati dalle regioni, d’intesa con gli ambiti territoriali di caccia (ATC) ed i comprensori alpini. Le deroghe sono applicate per periodi determinati, sentito l’Istituto nazionale per la fauna selvatica (INFS), o gli istituti riconosciuti a livello regionale, e non possono avere comunque ad oggetto specie la cui consistenza numerica sia in grave diminuzione.

Le politiche nazionali nel settore della pesca si sono sviluppate lungo due

linee direttrici fondamentali. Da un lato, lo stato allarmante di molti stock ittici, per i quali si è accertato il

superamento del limite di sicurezza biologica, nonché la capacità di pesca delle flotte di vari Stati europei, di gran lunga superiore a quella necessaria a sfruttare in modo sostenibile le risorse alieutiche disponibili, hanno indotto una progressiva evoluzione della normativa comunitaria nel senso del miglioramento della gestione delle risorse e della riduzione e ammodernamento delle flotte. A livello nazionale tale tendenza, assecondata in sede attuativa degli obblighi comunitari, si è caratterizzata, tuttavia, per il tentativo di accompagnare i necessari processi di ristrutturazione del settore con misure di sostegno per gli operatori.

Dall’altro lato, con i decreti legislativi n. 154 e 155 del 2004, nonché con il decreto legislativo n. 100 del 2005, adottati in attuazione della delega conferita dalla legge n. 38 del 2003 (c.d. “collegato agricolo”), si è realizzata una vasta opera di ammodernamento del settore, che passa attraverso un nuovo sistema di programmazione e gestione, la riforma degli organi collegiali di governo del comparto, il rafforzamento del ruolo regionale e l’introduzione di una nuova disciplina della pesca marittima. In particolare, è stato istituito il Tavolo azzurro quale organo permanente di concertazione per la definizione della politica nazionale della pesca e dell’acquacoltura, è stata rimessa alle regioni l’istituzione delle Commissioni consultive locali per la pesca e l’acquacoltura, sono state riviste composizione e funzioni della Commissione consultiva centrale per la pesca e l’acquacoltura e del Comitato per la ricerca scientifica e tecnologica applicata alla pesca e all’acquacoltura (con il rafforzamento, in entrambi i casi, della componente regionale), è stato istituito presso il Ministero delle politiche agricole e forestali il Reparto pesca marittima del Corpo delle Capitanerie di porto (al fine di migliorare l’attività di vigilanza e controllo della pesca marittima), sono state ridefinite la figura giuridica dell’imprenditore ittico (equiparato all’imprenditore agricolo) e le attività connesse a quella di pesca (includendovi, in particolare, il pescaturismo e l’ittiturismo), sono state introdotte nuove norme di

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promozione della cooperazione e dell’associazionismo, è stato esteso al settore ittico il regime di aiuti e le misure di sostegno della filiera agricola previsti dall’articolo 66 della legge n. 289 del 2002, è stato modificato il funzionamento del Fondo centrale per il credito peschereccio (chiamato a finanziare anche interventi regionali) e, mutuando le corrispondenti norme introdotte nel settore agricolo dal decreto legislativo n. 102 del 2004, è stato ampliato l’ambito di intervento del Fondo di solidarietà nazionale (che, oltre a interventi compensativi, potrà finanziare anche interventi preventivi, mediante la partecipazione dello Stato alle spese per la stipula di polizze assicurative).

Sul finire della legislatura, infine, è stato approvato il decreto-legge n. 2 del 2006, che prevede importanti misure a favore del settore della pesca. Il provvedimento, in particolare, estende (sebbene in via sperimentale e limitatamente al 2006) agli imprenditori ittici esercenti attività di pesca marittima il regime forfetario per l’assolvimento dell’IVA previsto per gli imprenditori agricoli, introduce una serie di misure di semplificazione per la gestione delle imprese di pesca, estende al settore della pesca la disciplina in materia di distretti produttivi (introdotta dalla legge finanziaria per il 2006, legge n. 266 del 2005, articolo 1, commi 366-372) e costituisce un Fondo per la corresponsione di indennizzi a favore degli eredi dei pescatori deceduti in mare.

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ATTIVITÀ DELLA COMMISSIONE (a cura della Commissione)

1. Ambito di competenza

Il Regolamento della Camera individua l’ambito di competenza della XIII Commissione con riferimento al settore agricoltura.

La circolare del Presidente della Camera del 16 ottobre 1996 ha specificato tale ambito, precisando che esso comprende, insieme all’agricoltura, altre quattro materie: la zootecnia e la fauna selvatica; la pesca; la caccia; le risorse forestali.

La citata circolare ha altresì ricondotto alle competenze della XIII Commissione due ulteriori ambiti, costituiti dalla disciplina delle attività industriali nel settore agroalimentare e dall’agriturismo.

L’attribuzione di tali competenze si giustifica in base alla volontà di permettere una considerazione unitaria dei processi e delle attività produttive legate all’agricoltura.

In particolare, la relazione tra le competenze in materia di agricoltura e quelle concernenti la trasformazione industriale e la distribuzione dei prodotti agricoli e alimentari è rafforzata dal fatto che sotto il profilo economico le questioni agricole, in misura sempre più accentuata, sono considerate in una prospettiva di filiera. In relazione a questa esigenza, la circolare del 16 ottobre 1996 ha assegnato alla XIII Commissione la competenza in materia di disciplina delle attività industriali nel settore agroalimentare, pur specificando che resta ferma la competenza della Commissione Attività produttive in ordine alla definizione degli indirizzi generali di politica industriale.

Alla medesima finalità di valorizzare i nessi economici con la produzione e le strutture agricole è riconducibile l’attribuzione delle competenze in materia di agriturismo. La circolare del 16 ottobre 1996 stabilisce peraltro che sui progetti di legge in materia di agriturismo deve essere previsto il parere rinforzato della Commissione Attività produttive.

In base alla logica che ha informato la specificazione delle competenze nella circolare del Presidente della Camera, sono stati assegnati alla XIII Commissione i progetti di legge in materia di tutela e valorizzazione dei prodotti agroalimentari tipici e in materia di turismo enogastronomico.

Occorre infine ricordare che, per quanto concerne il settore delle risorse forestali, la circolare del 16 ottobre 1996 precisa che la competenza della XIII Commissione si riferisce alla gestione produttiva di tali risorse, mentre spetta alla Commissione Ambiente la competenza relativa ai profili di carattere ambientale.

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Ad eccezione del conflitto di competenza sollevato dalla Commissione Affari sociali sui progetti di legge C. 2806 e abbinate, in materia di equidi, e conclusosi con l’attribuzione a quest’ultima Commissione del parere rinforzato, nel corso della XIV legislatura la Commissione Agricoltura non è stata interessata da conflitti di competenza. Occorre peraltro segnalare che la Commissione ha seguito con particolare attenzione, nel procedimento in sede consultiva, i progetti di legge in materia di sicurezza alimentare, per il considerevole impatto che possono avere anche sui produttori (si considerino, da ultimo, i provvedimenti relativi all’influenza aviaria). A tal fine sono stati attivati anche strumenti come le audizioni informali dei soggetti coinvolti per assicurare alla Commissione una completa informazione su tali progetti di legge.

2. Analisi dei dati statistici

La Commissione Agricoltura ha svolto, nel corso della XIV legislatura, una significativa attività legislativa, in virtù della quale è stato concluso l’esame di 24 progetti di legge in sede referente e di tre progetti di legge in sede legislativa (di cui due già esaminati, in prima lettura, in sede referente). Sono stati inoltre espressi, in sede consultiva, 144 pareri destinati ad altre Commissioni permanenti.

I progetti di legge di cui la Commissione ha esaurito l’esame sono stati presentati su iniziativa del Governo in 16 casi (di cui 15 si sono tradotti in legge); in nove casi si è trattato invece di proposte di legge di iniziativa parlamentare, nell’ambito delle quali sei proposte sono diventate legge.

E’ stata confermata pertanto una caratteristica dell’attività legislativa della Commissione, che era già emersa nel corso della precedente legislatura, vale a dire la rilevanza delle proposte riconducibili all’iniziativa parlamentare, sia in rapporto al complesso dei progetti di legge di cui la Commissione ha portato a compimento l’esame, sia in rapporto a quelli che sono stati definitivamente approvati dal Parlamento e divenuti legge.

Dai dati statistici emerge peraltro che, a fianco dell’attività legislativa, la Commissione si è impegnata in misura altrettanto rilevante nelle procedure diverse da quelle legislative. L’analisi dei dati statistici evidenzia infatti un ricorso consistente agli strumenti propri della funzione ispettiva (interrogazioni), della funzione di indirizzo (risoluzioni), della funzione di controllo (pareri su atti del Governo) e dell’attività conoscitiva (audizioni e indagini conoscitive).

Particolarmente significativo è il dato relativo alle risoluzioni, sia per quanto concerne il numero delle risoluzioni assegnate alla Commissione nella legislatura (100), sia per quanto concerne il numero di quelle concluse (56) e delle sedute dedicate allo svolgimento delle stesse (47).

Relativamente alle interrogazioni, ancor più che il numero di quelle presentate, pari a 286, è indicativa l’alta percentuale rappresentata dalle interrogazioni svolte

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(223, corrispondenti al 78 per cento del totale di quelle presentate). Di conseguenza, risulta elevato anche il numero di sedute, pari a 81, che, nel corso della legislatura, sono state dedicate allo svolgimento di interrogazioni a risposta in Commissione.

Meno rilevante è stato invece il ricorso allo strumento delle interrogazioni a risposta immediata: 38 interrogazioni, alle quali la Commissione ha dedicato, complessivamente, 16 sedute.

L’attività di controllo su atti del Governo da parte della Commissione Agricoltura si è tradotta nell’espressione di 16 pareri su schemi di decreto legislativo (cui si aggiungono due schemi di decreto legislativo esaminati in sede di Commissioni riunite) e quattro pareri su schemi di regolamento. I pareri espressi su altri atti del Governo (schemi di decreti ministeriali e relazioni di ripartizione dei fondi) sono risultati in totale 15. In dodici occasioni sono stati espressi i rilievi su atti del Governo assegnati ad altra Commissione, in quanto l’atto investiva comunque in misura rilevante le competenze della Commissione Agricoltura: si è trattato, in misura prevalente, di schemi di decreti legislativi contenenti disposizioni sanzionatorie, ovvero, in misura minore, concernenti la sicurezza alimentare (i rilievi hanno pertanto avuto per destinatario, nel primo caso, la Commissione Giustizia e, nel secondo, la Commissione Affari Sociali).

Nell’ambito dell’attività di controllo della Commissione, una rilevanza non trascurabile spetta all’espressione del parere sulle proposte di nomina: nel corso della legislatura sono state esaminate 16 proposte di nomina (tra cui quelle relative a enti come l’AGEA, l’ISMEA e l’UNIRE).

Dall’esame dei dati statistici, risulta peraltro che, tra le attività non legislative, quella in cui la Commissione si è impegnata più intensamente è stata l’attività conoscitiva. Nella legislatura sono state, infatti, deliberate cinque indagini conoscitive (due congiuntamente con la Commissione Agricoltura del Senato), di cui quattro sono state concluse; sono state effettuate 39 audizioni formali, alle quali si aggiungono due audizioni svolte congiuntamente con la Commissione agricoltura del Senato; sono state altresì svolte 75 audizioni informali.

3. Linee di tendenza

Se si considerano i progetti di legge di cui la Commissione nel corso della legislatura ha concluso l’esame, il primo elemento che emerge, per quanto concerne quelli di iniziativa del Governo, è, come nella legislatura precedente, l’assoluta prevalenza dei disegni di legge di conversione di decreti-legge. I disegni di legge di conversione di decreti-legge hanno infatti rappresentato 15 dei 16 provvedimenti di iniziativa governativa licenziati dalla Commissione e 14 dei 15 che sono divenuti legge. Frequentemente, l’adozione di decreti-legge da parte del Governo è dipesa dalla sussistenza di specifiche situazioni di crisi, quali l’encefalopatia spongiforme bovina e ulteriori difficoltà del settore zootecnico,

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l’interruzione tecnica della pesca, i danni provocati da avversità atmosferiche, e, più di recente, la crisi di mercato del settore ortofrutticolo e di quello vitivinicolo e la riconversione del settore bieticolo-saccarifero. Di conseguenza, il contenuto dei decreti-legge è stato caratterizzato in primo luogo dalla previsione di interventi di sostegno per i comparti in difficoltà, sebbene, nel corso dell’esame parlamentare, siano state introdotte nei provvedimenti numerose disposizioni aggiuntive, di carattere più generale, concernenti spesso l’organizzazione e i compiti delle strutture ministeriali o dei numerosi enti pubblici che operano in agricoltura.

Connesso ad una specifica situazione di crisi è da considerarsi anche il decreto-legge n. 49 del 2003 (convertito, con modificazioni, dalla legge n. 119 del 2003), riguardante il prelievo supplementare nel settore del latte e dei prodotti lattiero caseari, con il quale, peraltro, si è inteso definire in modo completo la disciplina delle procedure relative ai prelievi relativi alle cosiddette “quote latte”.

Nell’ambito dei decreti-legge concernenti l’agricoltura adottati nel corso della XIV legislatura, una fisionomia particolare ha assunto il decreto-legge n. 279 del 2004 (convertito, con modificazioni, dalla legge n. 5 del 2005), relativo alle modalità di coesistenza tra le forme di agricoltura transgenica, convenzionale e biologica. Si è trattato, infatti, di un decreto-legge rivolto non a dare risposta a contingenti situazioni di crisi, quanto, piuttosto, a dettare un quadro normativo in un settore particolarmente complesso. Un’ampia parte delle disposizioni contenute nel decreto-legge (ad eccezione dei primi due articoli, che dettano norme di principio) è stata peraltro da ultimo giudicata costituzionalmente illegittima dalla Corte costituzionale (sentenza n. 116 dell’8-17 marzo 2006), in quanto lesiva della competenza legislativa delle regioni nella materia agricoltura.

Al di fuori dei disegni di legge di conversione dei decreti-legge, soltanto una delle leggi approvate in materia di agricoltura nella XIV legislatura è stata di iniziativa governativa. Si tratta della legge n. 38 del 2003, che ha costituito il “collegato agricolo” alla manovra di finanza pubblica per il 2002 (derivante dallo stralcio di alcune disposizioni inizialmente contenute nel collegato in materia di pubblica amministrazione) e con la quale è stata affidata al Governo un’ampia delega a rivedere la normativa riguardante tutti i settori di competenza del Ministero delle politiche agricole e forestali. In attuazione delle deleghe contenute nella legge n. 38 del 2003, sono stati adottati sette decreti legislativi, che hanno ridefinito profili fondamentali della disciplina relativa all’agricoltura e ai settori collegati (agroalimentare, alimentazione, foreste, pesca e acquacoltura). Sugli schemi dei decreti legislativi la Commissione ha svolto un’intensa e approfondita attività di esame, nella quale sono state coinvolte, attraverso lo strumento delle audizioni informali, le organizzazioni del settore e che si è tradotta nell’espressione di pareri assai articolati.

Quanto alle proposte di legge di iniziativa parlamentare che sono pervenute all’approvazione definitiva, si è trattato, in diversi casi, di interventi di riordino che

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hanno interessato interi comparti (l’apicoltura, l’agriturismo, la produzione e commercializzazione del vino e dell’aceto) o strutture operative (il riordino del Corpo forestale dello Stato). In rapporto alle competenze normative spettanti, da un lato, alle istituzioni comunitarie e, dall’altro, alle regioni, la Commissione Agricoltura ha definito, nei singoli comparti, una disciplina di carattere generale e organico, che, mediante indicazioni di principio o indirizzi ovvero la semplice previsione di determinate facoltà, è rivolta a fornire alle regioni un quadro di riferimento omogeneo per l’esercizio della loro potestà legislativa.

Per quanto concerne le modalità di svolgimento dell’attività legislativa, la Commissione Agricoltura si è caratterizzata per un rilevante impegno nell’istruttoria dei provvedimenti. A tal fine, si è fatto ricorso in modo molto intenso alle audizioni informali, che hanno permesso alla Commissione un costante e tempestivo confronto con le organizzazioni professionali agricole, con le associazioni rappresentative dei soggetti operanti nelle filiere interessate dai singoli provvedimenti e con gli enti pubblici titolari di competenze normative e amministrative, in primo luogo le regioni. In due casi (caccia e agriturismo) la Commissione ha deliberato lo svolgimento di un’indagine conoscitiva connessa all’istruttoria legislativa; in un caso, ai sensi dell’articolo 79 del Regolamento, sono stati formalmente richiesti al Governo dati e informazioni, e in un caso è stato richiesto il parere del Comitato per la legislazione.

Relativamente ai progetti di legge esaminati in sede legislativa, due sono stati esaminati in sede referente in prima lettura e, modificati dal Senato, sono stati quindi assegnati alla Commissione in sede legislativa, mentre uno è stato trasferito, in prima lettura, dalla sede referente a quella legislativa e, successivamente, approvato senza modifiche dal Senato.

Il fatto che l’agricoltura rappresenti un settore in cui le competenze normative spettano in misura prevalente, per un verso, alle istituzioni comunitarie, e, per l’altro, alle regioni, sembra aver inciso in modo rilevante anche sulle caratteristiche delle attività non legislative della Commissione. La ripartizione delle competenze normative pare, infatti, concorrere a spiegare i due elementi che emergono con evidenza dall’analisi dei dati statistici, vale a dire la rilevanza, anche sotto il profilo quantitativo, sia degli atti di indirizzo discussi e approvati dalla Commissione, sia dell’attività conoscitiva.

Numerose risoluzioni discusse hanno avuto per oggetto proposte di normativa comunitaria in corso di approvazione ovvero gli effetti derivanti a livello nazionale da modifiche dell’ordinamento comunitario e le conseguenti misure che il Governo intendeva adottare (si possono citare i casi della riforma dell’organizzazione comune dei mercati del tabacco, del riso, dello zucchero).

In parallelo, anche i temi delle audizioni formali possono essere ricondotti pressoché interamente a tre tipologie: le misure da adottare con riferimento a specifiche situazioni di crisi; la programmazione dell’attività del Ministero e di altri enti che esercitano competenze rilevanti in agricoltura; questioni relative

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all’ordinamento comunitario (normativa comunitaria in materia di sfarinati e paste e in materia di prodotti di cacao e cioccolato, verifica di metà percorso della politica agricola comune, riforma della politica comune della pesca e dell’organizzazione comune del mercato dello zucchero) o alle conseguenze per il settore agricolo delle trattative sugli scambi commerciali internazionali nell’ambito del WTO.

Anche le indagini conoscitive svolte dalla Commissione hanno privilegiato temi riconducibili alla politica agricola comune, mettendo a fuoco in particolare le ricadute sull’agricoltura italiana dell’allargamento dell’Unione europea. Oltre alle due indagini conoscitive svolte nell’ambito dell’esame di progetti di legge, la Commissione ha infatti effettuato (congiuntamente con la Commissione Agricoltura del Senato) una indagine sul ruolo, gli strumenti e le prospettive della politica agricola nazionale di fronte ai processi di allargamento dell’Unione europea (gennaio 2002 – luglio 2003), alla quale ha fatto seguito una seconda indagine (anch’essa svolta congiuntamente con la Commissione Agricoltura del Senato) sugli scenari delle politiche agricole nell’Europa allargata (iniziata nel maggio 2004 e non conclusa). L’indagine sulle ricadute per le aziende agricole della situazione del comparto agroalimentare (gennaio – luglio 2004) ha invece preso in esame i rapporti strutturali che sussistono tra l’agricoltura italiana e le attività di trasformazione e di distribuzione dei prodotti agroalimentari.

L’analisi dell’attività conoscitiva della Commissione non sarebbe tuttavia completa se non tenesse conto del rilievo che, al suo interno, assume il ricorso alle audizioni informali. Queste ultime, per il loro numero e per le tematiche affrontate, sono venute a rappresentare lo strumento per un confronto costante con i destinatari degli interventi legislativi (le organizzazioni professionali agricole e le associazioni degli operatori delle diverse filiere, sentiti in 48 occasioni) e con le regioni, in considerazione delle competenze normative e amministrative ad esse spettanti sui singoli problemi affrontati (rappresentanti delle regioni sono stati ascoltati, in sede di audizione informale, sette volte). Significativo risulta inoltre il fatto che le audizioni informali siano state effettuate in misura considerevole in connessione con l’esame di progetti di legge, nonché in connessione con l’esame, ai fini dell’espressione del parere al Governo, di schemi di decreti legislativi.

Oltre all’attività di indirizzo e a quella conoscitiva, anche l’espressione di pareri su atti del Governo ha permesso alla Commissione di inserirsi nei processi decisionali discendenti dalla definizione della disciplina comunitaria. In particolare, sono stati esaminati, ai fini dell’espressione del parere, 11 schemi di decreti legislativi attuativi di direttive comunitarie (di cui due congiuntamente con la Commissione Affari sociali, in quanto attinenti anche a profili relativi alla sicurezza alimentare).

In definitiva, in considerazione dei limiti posti alla legislazione statale in materia di agricoltura, per un verso, dalla normativa comunitaria, e, per l’altro,

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dalla potestà legislativa riconosciuta dalla Costituzione alle regioni, la Commissione, attraverso le attività non legislative, e, in particolare, gli atti di indirizzo e gli strumenti dell’attività conoscitiva, è intervenuta per acquisire piena conoscenza riguardo ai processi decisionali che si svolgono in sedi esterne al Parlamento (le istituzioni comunitarie, i negoziati tra Governo e regioni nell’ambito della Conferenza permanente Stato-regioni). Questa tendenza sembra integrarsi coerentemente con l’altra, emersa dall’analisi dell’attività legislativa, secondo cui, quando la Commissione ha esaminato atti normativi, si trattasse di disegni di legge del Governo o proposte di legge di iniziativa parlamentare o schemi di decreti legislativi, ha voluto instaurare un assiduo e ampio confronto con le organizzazioni di categoria e con le regioni.

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Principali politiche e interventi legislativi

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RIFORMA PAC E CONTESTO INTERNAZIONALE

L’evoluzione delle politiche agricole nel corso della XIV legislatura ha ampiamente risentito, nelle sue linee evolutive di fondo, degli importanti eventi intervenuti in ambito internazionale e comunitario, che hanno modificato in modo considerevole il quadro generale di riferimento dell’interso settore primario.

Sul versante internazionale, la crescente globalizzazione dei mercati, l’emersione di nuovi competitors a livello mondiale, la sempre più diffusa consapevolezza dell’importanza di nuove regole, più eque e condivise, sul commercio dei prodotti agricoli quale chiave di volta per avviare lo sviluppo dei Paesi più poveri, rappresentano i fattori che hanno contributo a delineare il nuovo sfondo dei negoziati in seno dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) (v. scheda Agricoltura e negoziati OMC), ove, nell’ambito di una dialettica crescente tra USA, UE e Paesi in via di sviluppo (PVS), le tematiche agricole sono state quasi sempre al centro dei dibattiti.

Nel mutato contesto internazionale si inserisce la riforma di medio-termine della Politica agricola comune (PAC) (v. scheda Politica agricola comune - PAC) attraverso la quale l’Europa ha cercato di far fronte, oltre che alle sempre più pressanti sollecitazioni rivolte alla Comunità nell’ambito dei negoziati sul commercio internazionale dell’OMC, anche alle ineludibili esigenze inerenti al processo di allargamento dell’Unione (v. capitolo L’allargamento dell’Unione europea, nel dossier relativo alla Commissione Esteri), che nel maggio del 2004 ha visto l’ingresso di 10 nuovi Paesi membri (si segnala che sulle prospettive della politica agricola nazionale a fronte del processo di allargamento europeo la Commissione agricoltura ha svolto una indagine conoscitiva a cavallo tra il 2002 e il 2003)

La riforma, approvata il 26 giugno 2003 dai Ministri europei dell’agricoltura e trasfusa nel regolamento CE n. 1782/2003 del 29 settembre 2003 (nonchè nei suoi provvedimenti applicativi: il Regolamento n. 795/2004 e il Regolamento 796/2004) trasforma radicalmente l’intervento dell’Unione europea a sostegno del settore agricolo, mirando a garantire gli interessi dei consumatori e a lasciare gli agricoltori liberi di produrre secondo regole di mercato.

Gli elementi salienti della nuova politica agricola comune sono così riassumibili:

un pagamento unico per azienda agli agricoltori dell’Unione europea, indipendentemente dalla produzione (“disaccoppiamento”); alcuni elementi degli aiuti accoppiati possono essere mantenuti, in misura limitata, per evitare l’abbandono della produzione;

il pagamento sarà condizionato al rispetto delle norme in materia di salvaguardia ambientale, di sicurezza alimentare e di protezione degli

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animali, come pure all’obbligo di mantenere la terra in buone condizioni agronomiche ed ambientali (“condizionalità”);

il potenziamento della politica di sviluppo rurale, cui verranno destinati maggiori stanziamenti, nuove misure a favore dell’ambiente, della qualità dei prodotti agricoli, del benessere animale, anche al fine di aiutare gli operatori del settore agricolo ad adeguarsi alle norme di produzione UE a partire dal 2005;

riduzione dei pagamenti diretti alle grandi aziende (“modulazione”) allo scopo di finanziare la nuova politica di sviluppo rurale;

un meccanismo di disciplina finanziaria teso ad impedire che venga superato il bilancio agricolo fissato fino al 2013;

modifiche alla politica dei singoli mercati.

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LA LEGGE-DELEGA N.38 DEL 2003

Un momento di grande rilievo dell’azione pubblica nel settore primario nel corso della XIV legislatura è rappresentato dall’approvazione della legge 7 marzo 2003, n. 38 (c.d. “collegato agricolo”), con la quale il Parlamento ha conferito al Governo una delega legislativa assai ampia e articolata, al fine di “completare il processo di modernizzazione dei settori agricolo, della pesca, dell’acquacoltura, agrocalimentare, dell’alimentazione e delle foreste”.

In attuazione di tale delega il Governo è intervenuto con sette decreti legislativi (alcuni dei quali parzialmente correttivi dei precedenti), adottati tra il marzo 2004 e il maggio 2005 (ciò che è stato reso possibile dalla proroga del termine inizialmente previsto per il suo esercizio), che hanno investito profili di grande rilievo, in particolare nei settori dell’agricoltura e della pesca, proseguendo l’opera di modernizzazione avviata, nella precedente legislatura, con il decreto legislativo n.228 del 2001. Nella definizione del contenuto dei decreti legislativi la Commissione agricoltura ha svolto un ruolo di grande rilievo politico, attraverso l’espressione di pareri sugli schemi di decreto assai articolati e puntuali, dei quali il Governo non ha potuto non tenere conto nella stesura definitiva dei testi normativi.

I decreti legislativi adottati in attuazione della legge n.38 del 2003 (del cui contenuto si darà più ampiamente conto nelle specifiche sezioni tematiche) sono:

il decreto legislativo 29 marzo 2004, n.99, che ha introdotto la nuova figura dell’imprenditore agricolo professionale (IAP) (v. capitolo Soggetti e attività in agricoltura), ha ridefinito i requisiti delle società agricole (v. capitolo Soggetti e attività in agricoltura) e delle organizzazioni di produttori (OP) (v. capitolo L’organizzazione dei produttori), ha previsto nuove misure per favorire l’integrità fondiaria e ha introdotto nuove norme per la semplificazione amministrativa;

il decreto legislativo 29 marzo 2004, n.102, con cui è stato ampiamente rivisto il funzionamento del Fondo si solidarietà nazionale per le calamità naturali (FSN) (v. capitolo La gestione dei rischi in agricoltura), al fine di orientare maggiormente l’azione pubblica verso l’incentivo alla stipula di polizze assicurative a copertura dei rischi, e sono state previste nuove misure per favorire la capitalizzazione delle imprese;

i decreti legislativi 26 maggio 2004, nn.153 e 154, che hanno introdotto nuove norme sull’esercizio dell’attività di pesca marittima e per la modernizzazione dell’intero settore della pesca e acquacoltura (v. capitolo Pesca e acquacoltura);

il decreto legislativo 27 maggio 2005, n.100 (in parte “correttivo” del decreto legislativo n.154 del 2004) che ha esteso al settore della pesca i

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meccanismi di incentivazione della copertura assicurativa privata e introdotto nuove norme per il sostegno delle filiere ittiche;

il decreto legislativo 27 maggio 2005, n.101, che ha modificato in più parti i precedenti decreti legislativi n.99 e 102 del 2004, per quanto attiene alla qualifica di imprenditore agricolo professionale (IAP), alle società agricole, alla conservazione dell’integrità fondiaria, alla semplificazione amministrativa, alla capitalizzazione delle imprese (rafforzando il ruolo creditizio di ISMEA) (v. capitolo Il nuovo ruolo di ISMEA) e all’attività agromeccanica (v. scheda Altri interventi - Attività Agromeccanica);

il decreto legislativo 27 maggio 2005, n.102, che ha introdotto nuove norme sulla regolazione dei mercati nel settore primario e sui soggetti economici collettivi in essi operanti (organizzazioni di produttori, unioni di produttori, organizzazioni interprofessionali), per il rafforzamento delle filiere agro-alimentari (v. capitolo Le filiere agroalimentari) e per far fronte alle crisi di mercato (v. capitolo La gestione dei rischi in agricoltura).

Non ha invece trovato attuazione un’altra delega di grande portata prevista

dalla legge n.38 del 2003, che attribuiva al Governo il compito di provvedere al riassetto, con uno o più decreti legislativi, anche in un codice agricolo, delle disposizioni legislative vigenti in materia di agricoltura, pesca e acquacoltura (il termine per l’esercizio della delega è stato brevemente prorogato, da ultimo, al 15 maggio 2006, dall’articolo 1 della legge n. 51 del 2006).

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SOGGETTI E ATTIVITÀ IN AGRICOLTURA

Nel quadro delle politiche volte alla modernizzazione del settore primario, che nel nostro Paese si contraddistingue per la scarsa diffusione di forme imprenditoriali di tipo professionale, per le ridotte dimensioni aziendali e per l’insufficiente ricambio generazionale, un posto di rilievo occupano gli interventi con i quali si è proceduto alla ridefinizione delle figure giuridiche soggettive, all’introduzione di strumenti per il sostegno dell’imprenditoria giovanile e alla definizione di nuove misure per favorire la ricomposizione fondiaria (e aziendale) e garantirne l’integrità.

Per quanto riguarda per figure giuridiche soggettive, con il decreto legislativo

n.99 del 2004, successivamente modificato dal decreto legislativo n.101 del 2005, è stato introdotta nell’ordinamento la nuova figura dell’imprenditore agricolo professionale (IAP) e si è definita una nuova disciplina delle società agricole.

La nuova figura dell’imprenditore agricolo professionale (IAP), che sostituisce quella di imprenditore agricolo a titolo principale (IATP) introdotta dal decreto legislativo n.228 del 2001 (adeguando in questo modo l’ordinamento interno alla nuova disciplina comunitaria in materia, definita dal regolamento CE n.1257/1999), viene riconosciuta a chi, in possesso di specifiche conoscenze e competenze professionali, dedichi alle attività agricole almeno il 50% del proprio tempo di lavoro complessivo e ricavi da tali attività almeno il 50% del proprio reddito globale. Per i soggetti che operino nelle zone svantaggiate (come definite dalla normativa comunitaria) i requisiti suddetti sono ridotti al 25%. La qualifica di IAP può essere riconosciuta, a condizione che almeno un socio sia in possesso di tale qualifica, anche alle società che abbiano come unico oggetto sociale l’esercizio di attività agricole.

Rispetto alla vecchia figura di IATP, con la nuova qualifica si è operato un “bilanciamento” tra la professionalità (intesa come appartenenza al mondo agricolo), per la quale si sono attenuati i parametri percentuali di tempo di lavoro e reddito ricavato, e la valorizzazione della specifica “sapienza tecnica” richiesta per lo svolgimento di un’attività agricola moderna, attenta alla qualità dei prodotti e al rispetto dell’ambiente.

La competenza relativa all’accertamento del possesso dei requisiti richiesti ai fini del riconoscimento della qualifica di imprenditore agricolo professionale (IAP) spetta alle regioni.

All’imprenditore agricolo professionale (IAP), se iscritto nella gestione previdenziale e assistenziale, viene riconosciuto uno trattamento fiscale fortemente agevolato, con l’attribuzione delle medesime agevolazioni tributarie

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(per quanto attiene alle sole imposte indirette) e creditizie previste dalla normativa vigente a favore dei coltivatori diretti.

Per quanto riguarda la promozione della forma societaria in agricoltura, alle

società agricole qualificate come IAP sono state innanzitutto estese le agevolazioni tributarie e creditizie previste per i coltivatori diretti.

Le medesime agevolazioni sono riconosciute anche alle società agricole di persone in cui almeno un socio sia coltivatore diretto e alle società agricole di capitali e cooperative in cui almeno un socio sia coltivatore diretto.

Nel caso in cui trattasi di società composte, almeno per metà, da soci che siano coltivatori diretti, si è prevista, inoltre, l’estensione alle società del diritto di prelazione e di riscatto di fondi riconosciuti, dalla normativa vigente, a favore di coltivatori diretti, mezzadri, coloni e compartecipanti in caso di trasferimento a titolo oneroso o di concessione in enfiteusi dei fondi medesimi.

Per quanto concerne l’imprenditoria agricola giovanile, il decreto legislativo

n.99 del 2004 ha introdotto, entro il tetto di spesa di 10 milioni di euro annui, un credito d’imposta, per un importo massimo di 5.000 euro annui, in favore dei giovani imprenditori agricoli, anche organizzati in forma societaria, che accedono al premio di primo insediamento di cui all’articolo 8, par.2, del Regolamento (CE) n.1257/1999.

L’operatività della misura, inizialmente riferita al quinquennio 2004-2008, è stata successivamente differita al periodo 2006-2010 (dal decreto-legge n.266 del 2004).

Il decreto legislativo n.99 del 2004 ha previsto, inoltre, l’estensione a tutti i giovani imprenditori agricoli (ossia di età non superiore a 40 anni) delle misure incentivanti a favore dell’imprenditoria giovanile nel Mezzogiorno di cui alla legge n.185 del 2000, nonchè il pagamento in misura fissa dell’imposta di registrazione dei contratti d’affitto.

Per quanto attiene alla conservazione dell’integrità fondiaria, il decreto

legislativo n.99 del 2004 ha introdotto il “compendio unico”, ossia un’estensione di terreno idonea al raggiungimento dei livelli minimi di redditività aziendale previsti per l’erogazione del sostegno agli investimenti dai piani regionali di sviluppo rurale. La creazione e il mantenimento di compendi unici viene incentivata in vari modi. Innanzitutto, chi si impegna formalmente, con l’atto di acquisto, a costituire e condurre (in qualità di coltivatore diretto o IAP) un compendio unico per almeno 10 anni, beneficia di una serie di agevolazioni fiscali (esclusione delle imposte ipotecarie e catastali, esenzione dall’imposta di registro, riduzione a 1/6 degli oneri notarili). La divisione e il frazionamento del compendio unico sono disincentivati prevedendo il recupero delle imposte non pagate, oltre agli interessi e a una maggiorazione del 50% a titolo sanzionatorio,

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nel caso in cui vengano violati gli obblighi di conduzione e indivisibilità per 10 anni. Analoghe misure sono finalizzate alla conservazione del compendio nel caso di successione ereditaria con una pluralità di coeredi.

La ricomposizione fondiaria viene agevolata prevedendo una riduzione del 50 per cento delle imposte dovute per i gli atti che comportino un accorpamento dei fondi, nonché nella compravendita di beni suscettibili di utilizzazione agricola appartenenti al patrimonio immobiliare pubblico cartolarizzato.

Analoghi meccanismi di agevolazione fiscale sono stati previsti anche per favorire la ricomposizione aziendale, a mezzo di contratto di affitto particellare e di società cooperativa.

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L’ORGANIZZAZIONE DEI PRODUTTORI

La tradizionale condizione di subalternità e soggezione dei produttori nei confronti delle imprese di trasformazione ha sempre spinto il legislatore ad incentivare in varo modo l’organizzazione economica dei produttori agricoli. In particolare, la presenza di un’offerta concertata o coordinata dei prodotti è stata considerata non già come un elemento di perturbazione del mercato ma, al contrario, come un necessario fattore di consolidamento strutturale delle imprese produttrici e di promozione della loro forza di mercato.

L’intervento normativo a favore dell’organizzazione dei produttori (v. scheda Organizzazioni produttori - Normativa), nato e consolidatosi, in primo luogo a livello comunitario, nel settore ortofrutticolo, si è successivamente esteso a tutto il settore agricolo.

A livello nazionale la materia, che aveva trovato una prima organica disciplina con il decreto legislativo n.228/2001 (articoli 26-29), è stata oggetto di numerosi interventi nel corso della XIV legislatura, nel tentativo di consolidare una realtà che nel nostro Paese ha sempre trovato grosse difficoltà a diffondersi in misura economicamente significativa, soprattutto in alcuni settori (l’unico settore in cui operano efficienti organizzazioni di produttori è quello ortofrutticolo).

Una prima rivisitazione della disciplina del 2001, finalizzata principalmente a superarne le difficoltà emerse in sede applicativa, è stata operata con il decreto legislativo n.99 del 2004 (articolo 6). Il provvedimento, in particolare, precisava le finalità delle organizzazioni di produttori (OP) e il contenuto necessario dei loro statuti, disponeva l’istituzione presso il MIPAF dell’Albo nazionale delle organizzazioni dei produttori, prevedeva la possibilità di realizzare accordi con imprese di approviggionamento o di trasformazione in caso di grave squilibrio del mercato, stabiliva che le organizzazioni di produttori riconosciute avessero priorità nell’attribuzione degli aiuti di Stato per l’organizzazione della produzione e del mercato, estendeva alle organizzazioni di produttori riconosciute nei Paesi membri dell’unione europea, iscritte nella sezione speciale dell’Albo nazionale, talune norme applicabili alle organizzazioni nazionali. Per quanto riguarda l’aspetto cruciale delle dimensioni minime e della rappresentatività delle OP ai fini del riconoscimento, il provvedimento stabiliva un numero minimo di produttori aderenti determinato in relazione a ciascun settore produttivo (con una riduzione del 50% rispetto alla normativa previgente), un volume minimo di produzione effettivamente commercializzata pari al 3% del volume di produzione della regione di riferimento (la normativa previgente prevedeva il 5%), facendo tuttavia salva la possibilità per le regioni di ridurre tali parametri nella misura massima del 50% in determinate circostanze (regioni Obiettivo 1, almeno il 50% dei soci ubicati in zone svantaggiate o quota prevalente della produzione

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commercializzata di derivazione biologica). Il provvedimento, infine, rimetteva a un decreto del Ministro delle politiche agricole e forestali la possibilità di fissare le modalità con le quali le organizzazioni di produttori potessero richiedere ai produttori un contributo calcolato sul valore del prodotto o sulla superficie interessata o su entrambi gli elementi, da destinare al fondo di esercizio dell’organizzazione.

Il processo di riforma dell’associazionismo dei produttori agricoli è stato successivamente portato a compimento con l’emanazione del decreto legislativo n.102 del 2005, che ha inserito la problematica all’interno del più ampio contesto dell’organizzazione di filiera e reso più incisivo il ruolo economico delle OP.

Il provvedimento individua innanzitutto nella commercializzazione della produzione degli aderenti lo scopo costitutivo delle organizzazioni di produttori, le quali devono pertanto assumere una forma giuridica societaria. Si prevede, quindi, la possibilità di costituire fondi di esercizio alimentati, oltre che da contributi pubblici, anche da contributi degli aderenti, calcolati in base ai quantitativi o al valore dei prodotti effettivamente commercializzati. Vengono, poi, articolati in modo specifico gli obblighi dei soci, prevedendo in particolare che i produttori conferiscano per la vendita diretta da parte dall’organizzazione a cui aderiscono almeno il 75% della propria produzione. Per quanto concerne gli aspetti dimensionali ai fini del riconoscimento, la definizione del numero minimo di produttori aderenti e il volume minimo di produzione commercializzata da parte dell’organizzazione è rimessa a un decreto del Ministro delle politiche agricole e forestali, da adottare d’intesa con la Conferenza Stato-regioni. Fino all’adozione di tale DM valgono, in via transitoria, il numero minimo di 5 produttori e un volume di produzione commercializzata direttamente pari a 3 milioni di euro. Si prevede, inoltre, che le organizzazioni di produttori vengano riconosciute dalle regioni e iscritte nell’Albo nazionale (v. scheda Organizzazioni produttori - Elenco) istituito presso il Ministero delle politiche agricole e forestali. La disposizione rinvia, quindi, a un decreto del MIPAF, da adottare d’intesa con la Conferenza permanente Stato-regioni, per la definizione delle modalità per il controllo e per la vigilanza delle organizzazioni di produttori, al fine di accertare il rispetto dei requisiti per il riconoscimento. Si prevede, infine, che le organizzazioni di produttori esistenti debbano trasformarsi in una delle nuove forme societarie entro il 31 dicembre 2005, pena la revoca del riconoscimento.

Il decreto legislativo n.102 del 2005 ha introdotto, inoltre, norme sull’associazionismo di secondo livello, ossia sulle forme associate delle organizzazioni di produttori. A questo fine il provvedimento determina gli scopi e le attività delle forme associate, le forme societarie richieste e rimette al MIPAF i compiti di riconoscimento, controllo, vigilanza e sostegno. La eventuale definizione di requisiti minimi (anche differenziati) ai fini del riconoscimento, è

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rimessa, al pari di quanto previsto per le OP, a un DM del Ministro delle politiche agricole e forestali. Il decreto legislativo determina, quindi, il contenuto necessario degli statuti delle forme associate, i requisiti richiesti sotto il profilo organizzativo ai fini dell’iscrizione all’Albo e del riconoscimento (tra i quali, in particolare, un volume minimo di 60 milioni di euro di produzione), nonché le procedure per il riconoscimento delle forme associate medesime da parte del MIPAF.

Il decreto legislativo n.102 del 2005, infine, tende a configurare un nuovo ruolo dell’associazionismo dei produttori nel superamento degli squilibri produttivi e delle crisi di mercato. A tal fine, in particolare, rinviando alla nuova disciplina sulla dichiarazione delle crisi di mercato (v. capitolo La gestione dei rischi in agricoltura), il provvedimento prevede che quando con decreto del Mipaf venga formalmente dichiarato lo stato di crisi di mercato per determinate produzioni agricole, ossia quando si registri una riduzione del reddito medio annuale del 30 per cento rispetto al reddito medio del triennio precedente, le organizzazioni di produttori e le loro forme associate, previa presentazione al Ministero di un piano di intervento, hanno facoltà di non commercializzare, per volumi e periodi definiti, il prodotto conferito, nonché di corrispondere agli associati una indennità di ritiro, corrispondente alla perdita di reddito, utilizzando il fondo di esercizio, per un quantitativo massimo pari al 20% del volume di produzione complessivamente commercializzata.

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LE FILIERE AGROALIMENTARI

Nel corso della legislatura sono state svolte importanti politiche per la promozione, lo sviluppo, l’ammodernamento e il sostegno delle filiere agroalimentari.

I contratti di filiera sono riconducibili a quella particolare forma di regolamentazione concordata tra soggetti pubblici e privati introdotta, a livello generale, dall’articolo 2, comma 203, della legge n. 662 del 1996, la quale ha dettato una prima disciplina organica della c.d. programmazione negoziata (v. capitolo La programmazione negoziata, nel dossier relativo alla Commissione Bilancio). Successivamente, l’articolo 10, comma 1, del D.Lgs. n. 173 del 1998, ha rimesso al CIPE il compito di determinare “limiti, criteri e modalità di applicazione anche alle imprese agricole, della pesca marittima e in acque salmastre e dell’acquacoltura” degli interventi (patti territoriali, contratti di programma e contratti d’area) regolati dall’articolo 2, comma 203, della legge n. 662 del 1996. In attuazione dell’articolo 10, comma 1, della legge n. 173 del 1998 il CIPE ha adottato la delibera 11 novembre 1998, n. 127, la quale ha disposto l’estensione all’agricoltura e alla pesca degli strumenti della programmazione negoziata, integrando a tal fine le proprie precedenti delibere 25 febbraio 1994 (di disciplina dei contratti di programma) e 21 marzo 1997 (di disciplina della programmazione negoziata).

Sul piano legislativo i contratti di filiera nel settore agroalimentare sono stati introdotti dalla legge n. 289 del 2002 (legge finanziaria per il 2003, articolo 66, commi 1 e 2), che ha assegnato al Ministro delle politiche agricole e forestali il compito di promuovere la definizione di contratti di filiera attingendo alle risorse destinate alle cosiddette “aree sottoutilizzate” (coincidenti territorialmente con le aree depresse). Le finalità da perseguire sono quelle di favorire l’integrazione dei diversi soggetti partecipanti ad una medesima filiera del sistema agroalimentare e di rafforzare i distretti agroalimentari. Per la conclusione dei contratti di filiera è richiesto che sia rispettata la programmazione regionale, che i contratti abbiano una rilevanza nazionale, che abbiano carattere interprofessionale (prevedano cioè la partecipazione dei rappresentanti di due o più categorie professionali - produttori, trasformatori, distributori - di una medesima filiera produttiva), che siano coerenti con gli orientamenti comunitari in materia di aiuti di Stato in agricoltura e che rientrino nel limite finanziario complessivo che sarà fissato con delibera del CIPE in sede di ripartizione del Fondo per le aree sottoutilizzate (istituito dall’articolo 61 della medesima legge n. 289 del 2002). In attuazione dell’articolo 66 della legge n. 289 del 2002 è stato adottato dal Ministro delle politiche agricole e forestali il D.M. 1° agosto 2003, che ha dettato i criteri per l’attuazione dei contratti di filiera.

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Un forte impulso all’organizzazione delle filiere e al loro sostegno è derivato dalle norme (articoli 9 e ss.) approvate con il decreto legislativo n.102 del 2005 (adottato in attuazione della legge n.38 del 2003, c.d. collegato agricolo), che ha profondamente innovato il sistema degli strumenti per la regolazione dei mercati agroalimentari.

Nel sistema delineato dalle nuove norme, l’intesa di filiera (v. scheda Filiere agroalimentari - Intese di filiera) (che sostanzialmente sostituisce i vecchi accordi interprofessionali) costituisce il quadro di riferimento di una catena “pattizia” che, attraverso passaggi successivi e conseguenti, si sviluppa attraverso contratti quadro, contratti-tipo e contratti di conferimento tra singoli agricoltori e primi acquirenti.

Le intese di filiera, aventi lo scopo (secondo la definizione normativa) di “favorire l’intesa di filiera e la valorizzazione dei prodotti agricoli e agroalimentari, tenendo conto degli interessi della filiera e dei consumatori”, sono volte a definire azioni per migliorare la conoscenza e la trasparenza della produzione e del mercato e il coordinamento dell'immissione dei prodotti sul mercato; a definire modelli contrattuali compatibili con la normativa comunitaria da utilizzare nella stipula dei contratti di coltivazione, allevamento e fornitura; ad individuare modalità di valorizzazione e tutela delle denominazioni di origine, indicazioni geografiche e marchi di qualità, nonché criteri per la valorizzazione del legame delle produzioni al territorio di provenienza; a delineare azioni volte a perseguire condizioni di equilibrio e stabilità del mercato attraverso informazioni e ricerche per l'orientamento della produzione agricola alla domanda e alle esigenze dei consumatori, nonché metodi di produzione rispettosi dell'ambiente.

Le intese di filiera possono essere stipulate, nell’ambito del Tavolo agroalimentare, dagli organismi maggiormente rappresentativi a livello nazionale dei settori della produzione, trasformazione, commercio e distribuzione dei prodotti agricoli, nonché dalle organizzazioni interprofessionali riconosciute. Le intese sono approvate, previa verifica della compatibilità con la normativa nazionale e comunitaria, con decreto del Ministro delle politiche agricole e forestali. La definizione delle modalità per la stipula delle filiere, nonché per la costituzione e il funzionamento dei tavoli di filiera, sono state definite con il DPCM 5 agosto 2005 (tale provvedimento è stato oggetto di una segnalazione dell’Autorità garante delle concorrenza e del mercato relativamente alle disposizioni che consentono al Ministro delle politiche agricole di approvare intese di filiera restrittive della concorrenza, in quanto finalizzate a una “programmazione revisionale e coordinata della produzione in funzione degli sbocchi di mercato”).

Nella cornice definita dalle intese di filiera si inseriscono i contratti-quadro (v. scheda Filiere agroalimentari - Intese di filiera), sottoscritti dai rappresentanti delle organizzazioni dei produttori (OP) e delle imprese di trasformazione, distribuzione e commercializzazione dei prodotti agricoli in relazione a singoli

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prodotti ed aree geografiche. I contratti-quadro perseguono gli obiettivi di sviluppare gli sbocchi commerciali sui mercati interno ed estero, orientare la produzione agricola per farla corrispondere alla domanda, al fine di perseguire condizioni di equilibrio e stabilità del mercato, garantire la sicurezza degli approvvigionamenti, migliorare la qualità dei prodotti, con particolare riguardo alle diverse vocazioni colturali e territoriali e alla tutela dell'ambiente, ridurre le fluttuazioni dei prezzi e prevedere criteri di adattamento della produzione all’evoluzione del mercato. La stipula di un contratto-quadro obbliga gli acquirenti a rifornirsi del prodotto tramite un contratto di coltivazione, allevamento e fornitura che rispetti i contenuti del contratto quadro e che trova applicazione anche nei confronti degli imprenditori agricoli non aderenti alle organizzazioni stipulanti (c.d. “erga omnes”; i beneficiari non aderenti sono però chiamati, a fronte dei vantaggi derivanti dall’applicazione nei loro confronti delle clausole contenute del contratto, a versare i contributi associativi alle organizzazioni firmatarie)

Nel caso in cui non si raggiunga un’intesa di filiera, con decreto del Ministro delle politiche agricole e forestali possono essere definite, per singoli settori produttivi, modalità di stipula dei contratti-quadro che prevedano una rappresentatività specifica, determinata in percentuale al volume di produzione commercializzata, da parte dei soggetti produttivi.

I contratti-quadro stabiliscono, quindi, il contratto-tipo che deve essere adottato nella stipulazione dei contratti di coltivazione, allevamento e fornitura.

Il decreto, infine, prevede una serie di incentivi per promuovere la stipula di contratti di coltivazione, allevamento e fornitura conformi ai contratti-quadro, quali la preferenza nell’erogazione di contributi statali per la ristrutturazione delle imprese e nell’assegnazione degli appalti.

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LA GESTIONE DEI RISCHI IN AGRICOLTURA

Nel corso della legislatura si è sviluppata, essenzialmente lungo due linee direttrici, una organica politica di razionalizzazione dell’intervento pubblico per la gestione dei rischi in agricoltura, al fine di ricondurlo entro un quadro unitario e coerente.

Gli interventi normativi sono stati rivolti dapprima all’ammodernamento degli strumenti e delle forme di sostegno per i rischi connessi ad eventi atmosferici e calamitosi già previsti dalla normativa vigente, secondo un processo di sviluppo che ha trovato compiuta sistemazione con il decreto legislativo n.102 del 2004.

Successivamente, a fronte delle numerose crisi produttive che hanno colpito vari settori (soprattutto nel settore ortofrutticolo e nel meridione d’Italia, ove si sono registrate sensibili riduzioni dei prezzi all’origine) negli ultimi anni della legislatura, si è delineata una nuova forma di intervento pubblico, tesa a stabilizzare il reddito dei produttori in situazioni di “crisi di mercato”.

Per quanto concerne i rischi connessi ad eventi atmosferici e calamitosi, con un primo intervento legislativo (decreto-legge n.200 del 2002, articolo 2), volto a favorire l’ampliamento della base assicurativa ed ad agevolare l’adozione di polizze multirischio, è stato modificato il funzionamento del Fondo per la riassicurazione dei rischi (istituito presso l’ISMEA), prevedendo che questo possa assumere in riassicurazione e mantenere a proprio carico fino al 100 per cento dei rischi derivanti dalle suddette polizze.

Successivamente con il decreto-legge n.192 del 2003, il Fondo di solidarietà nazionale è stato rifinanziato per far fronte ai danni derivanti dalle eccezionali avversità atmosferiche registrate nel primo semestre 2003 e sono state introdotte misure specifiche per indennizzare le imprese zootecniche colpite dall’emergenza diossina in Campania nel 2003.

La disciplina degli interventi per eventi calamitosi in agricoltura è stata tuttavia ampiamente rivista con il decreto legislativo n. 102 del 2004, adottato in attuazione della delega contenuta all’articolo 1 della legge n.38/2003 (c.d. “collegato agricolo”), che ha abrogato interamente la normativa previgente in materia. Il provvedimento ridefinisce in primo luogo gli obiettivi del Fondo di solidarietà nazionale (di seguito: “Fondo”) (v. scheda La gestione dei rischi in agricoltura - Fondo di solidarietà nazionale), destinato a far fronte ai danni alle produzioni agricole e zootecniche a seguito di calamità naturali o eventi eccezionali. A carico del Fondo sono finanziati interventi volti a incentivare la stipula di contratti assicurativi (interventi ex ante) e, per i rischi non inseriti nel Piano assicurativo agricolo annuale, interventi finalizzati alla ripresa economica e produttiva dell’impresa (interventi compensativi o ex post), nonché interventi di

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ripristino delle infrastrutture connesse all'attività agricola, tra cui quelle irrigue e di bonifica.

Per quanto concerne gli interventi volti a incentivare la stipula di contratti assicurativi (ex ante) (v. scheda La gestione dei rischi in agricoltura – Assicurazioni in agricoltura), il sostegno dello Stato, condizionato al fatto che il contratto assicurativo preveda, per ciascun prodotto, la copertura della produzione complessiva aziendale all'interno di uno stesso comune, è concesso fino all’80% qualora il danno raggiunga il 30% (ovvero il 20% nelle zone svantaggiate) e fino al 50% se ad essere assicurati sono i danni causati da avversità che non raggiungono la soglia di distruzione del 30% (o 20% nelle zone svantaggiate), o oggetto della assicurazione sono le perdite causate da epizoozie o fitopatie. Si prevede, quindi, la possibilità per le imprese di assicurazione di costituirsi in consorzi di coassicurazione e coriassicurazione, fissando, tuttavia, in conformità alla disciplina comunitaria in materia, limiti alla concentrazione delle risorse nel relativo mercato (limiti peraltro non applicabili, per tre anni, nel caso di rischi coperti con polizze assicurative innovative). Il decreto introduce, poi, il Piano assicurativo agricolo annuale (di seguito: “Piano”) attraverso il quale si procede, tenendo conto di una serie di parametri, alla individuazione dei rischi assicurabili e alla determinazione dell’entità del contributo pubblico sui premi assicurativi. Il Piano è elaborato sulla base dei dati rilevati dalla banca dati sui rischi agricoli e, previo parere di una Commissione tecnica istituita allo scopo e rappresentativa di tutti i soggetti istituzionali e le categorie interessate, è approvato, entro il 30 novembre di ogni anno, con decreto del Ministro delle politiche agricole e forestali.

Per quanto concerne gli interventi finalizzati alla ripresa economica e produttiva dell’impresa (interventi compensativi, indennizztori o ex post) si prevede che possano beneficiarne le imprese che abbiano subito danni non inferiori al 30% della produzione lorda vendibile (20% qualora siano ubicate nelle aree svantaggiate). Le tipologie di aiuti previste, concessi in forma singola o combinata nei limiti dell'entità del danno sono contributi in conto capitale fino all’80% del danno accertato, prestiti ad ammortamento quinquennale, per esigenze di esercizio dell’anno dell’evento e per il successivo, da erogare a tasso agevolato (più favorevole per le imprese nelle aree svantaggiate), proroga delle operazioni di credito agrario e agevolazioni previdenziali.

Al fine di incentivare la stipula di polizze assicurative, il decreto ha stabilito che sono esclusi dagli interventi indennizzatori i danni alle produzioni ed alle strutture ammissibili alle assicurazione agevolata (c.d alternatività). Peraltro, anche a seguito delle richieste formulate in sede parlamentare (risoluzione della Commissione agricoltura approvata il 30 giugno 2004) con il decreto-legge n.157 del 2004 (articolo 2, co.1-quater), prendendo atto delle difficoltà emerse nella stipula delle polizze registrate nei primi mesi successivi all’entrata in vigore del decreto, è stato deciso il rinvio al 2005 dell’alternatività tra interventi

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compensativi ed assicurativi. Sempre in sede parlamentare (risoluzione della Commissione agricoltura approvata il 30 giugno 2004) si è evidenziata, inoltre, l’esigenza di reperire risorse aggiuntive per garantire il concorso statale ai premi assicurativi, ciò che ha trovato risposta nella legge finanziaria per il 2005 (legge n.311 del 2005, articoli 83 e 84).

Altre misure volte a consentire alle imprese di fronteggiare i danni derivanti da calamità naturali recate dal decreto n.102 del 2004 consistono nella proroga delle scadenze delle rate delle operazioni di credito agrario, in agevolazioni previdenziali e assistenziali (nella forma dell’esonero parziale del pagamento dei contributi) e nel sostegno dei consorzi di difesa.

La seconda linea direttrice delle politiche pubbliche in materia di rischi in

agricoltura ha avuto ad oggetto le c.d. crisi di mercato (v. scheda La gestione dei rischi in agricoltura – Crisi di mercato).

Il crollo della remunerazione di alcune produzioni nell’estate del 2004 e la forte protesta che ne è scaturita hanno indotto il Governo a intervenire a sostegno delle imprese agricole con il decreto legge n.280 del 2004. Il decreto-legge prevedeva che con decreto del Ministro delle politiche agricole e forestali fosse dichiarato lo stato di grave crisi di mercato per le produzioni per le quali il prezzo medio unitario, rilevato dall’ISMEA (v. capitolo Il nuovo ruolo dell’ISMEA), fosse risultato inferiore del 30 per cento rispetto al prezzo medio unitario del triennio precedente. In conseguenza della dichiarazione della crisi di mercato, gli agricoltori colpiti potevano accedere ai benefici del Fondo di solidarietà nazionale, nonché alla sospensione del pagamento delle imposte e dei contributi previdenziali.

Il decreto-legge n.280 del 2004 decadeva per mancata conversione entro il termine costituzionalmente previsto. Le aspettative sorte tra gli operatori, tuttavia, hanno indotto il Governo ad intervenire nuovamente sulla materia con il decreto-legge n.22 del 2005 (convertito in legge, con modificazioni, dalla legge n.71 del 2005), il quale ha ripreso in più parti, peraltro con taluni non trascurabili aggiustamenti, i contenuti del decreto-legge n.280 del 2004.

Per quanto riguarda le crisi di mercato verificatesi nel 2004, il decreto ha previsto (con l’obiettivo primario di restituire liquidità alle imprese) che nei territori dove la riduzione del reddito (e non già del prezzo medio unitario, come previsto nel DL n.280/2004) sia stata superiore al 30 per cento rispetto alla media del triennio precedente (riduzione dichiarata con decreto del Ministro delle politiche agricole e forestali) venga riconosciuta agli operatori la sospensione, fino al 31 dicembre 2005, dei contributi previdenziali e assistenziali (propri e dei lavoratori dipendenti), nonché la possibilità di accendere mutui a lungo termine, assistiti da un contributo pubblico a carico del Fondo di solidarietà nazionale e della garanzia ISMEA, oppure, in alternativa, di ricevere contributi in conto capitale nei limiti de minimis (3000 euro in 3 anni).

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Per quanto attiene alla disciplina a regime, nel caso in cui si verifichi, per determinate produzioni agricole, una riduzione del reddito in misura non inferiore al 30 per cento rispetto alla media del triennio precedente, il decreto ha previsto, subordinatamente all’autorizzazione comunitaria (la Commissione, peraltro, in una nota trasmessa al Governo italiano nei giorni immediatamente successivi alla conversione in legge del decreto esprimeva forti dubbi sulla compatibilità con il mercato comune di un intervento statale fondato sul mero presupposto di una riduzione del reddito: ciò ha di fatto ha precluso l’applicazione della norma), l’attivazione degli interventi compensativi a carico del Fondo di solidarietà nazionale (v. scheda La gestione dei rischi in agricoltura - Fondo di solidarietà nazionale) (per il quale ha disposto lo stanziamento di risorse aggiuntive pari a 120 milioni di euro per il 2005) e il rinvio dei pagamenti fiscali, previdenziali e delle cambiali agrarie in scadenza. Il decreto, inoltre, ha ricondotto i rischi di mercato nell’ambito dei rischi assicurabili previsti dal Piano assicurativo agricolo annuale.

Successivamente, nella consapevolezza che il contenimento degli effetti negativi delle crisi di mercato deve essere perseguito, nell’ambito delle dinamiche di filiera, anche attraverso il supporto delle strutture organizzate della produzione, il decreto legislativo n.102 del 2005 (articolo 8) ha previsto la possibilità per le organizzazioni di produttori (OP) (v. capitolo L’Organizzazione dei produttori) (e le loro forme associate) di attivare direttamente strumenti per il sostegno del reddito degli associati, sia non commercializzando (per determinati volumi e periodi) il prodotto conferito, sia corrispondendo loro una indennità di ritiro commisurata alle perdita di reddito. Il decreto, inoltre, ha previsto la possibilità per l’AGEA di stipulare convenzioni con le strutture organizzate della produzione al fine di riassorbire una temporanea sovracapacità produttiva e ristabilire l’equilibrio di mercato.

Da ultimo, il Governo è nuovamente tornato sulla materia con il decreto-legge n.182 del 2005, il quale ha esteso al 2005, peraltro per il solo settore dell’uva, gli interventi che il decreto-legge n.22 del 2005 aveva disposto per il 2004 (specificando, in particolare, che il limite de minimis vale per tutte le tipologie di interventi da quest’ultimo previste), ha demandato all’AGEA (v. scheda Altri interventi – AGEA) l’erogazione degli aiuti (fissandone contemporaneamente i parametri di erogazione) e ha previsto la possibilità per il Commissario ex Agensud di destinare parte delle proprie risorse a convenzioni con l’AGEA (v. scheda Altri interventi – AGEA) per interventi a sostegno di produzioni agricole colpite da crisi di mercato.

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SICUREZZA E QUALITÀ DEGLI ALIMENTI

Nel settore della sicurezza alimentare le politiche nazionali hanno riflettuto, in buona misura, i mutamenti intervenuti a livello comunitario, ove il processo di riforma della normativa di settore a seguito delle emergenze registrate negli anni passati è stato sostanzialmente completato. Le politiche comunitarie hanno avuto lo scopo di innalzare gli standard igienici e sanitari al fine di recuperare, attraverso un controllo globale della catena alimentare (“dai campi alla tavola”), la fiducia dei consumatori. I concetti-chiave della nuova politica di sicurezza alimentare sono il controllo di filiera, la rintracciabilità degli alimenti e di tutti gli ingredienti utilizzati, la responsabilità del produttore, la capacità di attivare rapide misure di salvaguardia in caso di emergenze, l’istituzione dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (v. scheda Sicurezza e qualità degli alimenti - Autorità per la sicurezza alimentare) (assegnata a Parma) e l’informazione nei confronti del consumatore.

Per quanto in questa sede interessa (rinviando, per gli aspetti prettamente sanitari, al dossier relativo all’attività della XII Commissione), il regolamento n.178 del 2002, nel fissare i principi e i requisiti generali della nuova legislazione alimentare, ha in particolare esteso l’obbligo di tracciabilità a tutti gli alimenti (per l’innanzi la tracciabilità obbligatoria era prevista solo per alcuni alimenti, tra i quali, in particolare, la carne bovina). L’obbligo, entrato in vigore il 1° gennaio 2005, implica la massima trasparenza della filiera agro-alimentare, in quanto impone che in tutte le fasi della produzione siano individuabili i prodotti, gli ingredienti, i mangimi e gli animali destinati alla produzione alimentare.

Quanto ai possibili rischi connessi all’uso degli OGM in agricoltura (v.

capitolo Organismi geneticamente modificati (OGM)), si segnalano, in particolare, il Regolamento n.1829 del 2003, relativo agli alimenti e ai mangimi geneticamente modificati (ove viene definita una nuova procedura comunitaria di autorizzazione e vigilanza, nonché in materia di etichettatura) e il Regolamento n.1830 del 2003, che definisce un sistema di tracciabilità degli OGM, nonché, sul versante nazionale, il decreto-legge n.279 del 2004 sulla coesistenza di colture biologiche, convenzionali e transgeniche.

Per quanto attiene alla qualità alimentare e all’informazione dei consumatori

varie misure innovative sono state introdotte in materia di etichettatura e denominazione dei prodotti.

Con il decreto legislativo n.181 del 2003 (adottato previo parere della Commissione agricoltura) è stata data attuazione alla direttiva n.2000/13/CE, che ha profondamente innovato il quadro normativo comunitario in materia di

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etichettatura, presentazione e pubblicità dei prodotti alimentari (v. scheda Sicurezza e qualità degli alimenti - Etichettatura alimenti). Il decreto, in particolare, rende obbligatoria l’indicazione in etichetta delle quantità di alcuni ingredienti (caffeina, chinino, derivati della carne, sostanze alcoliche in misura superiore al 12 per cento) e aggiorna le norme in materia di scadenza e termine minimo di conservazione degli alimenti, nonché di presentazione dei prodotti sfusi.

Di grande rilevanza sono le norme introdotte con il decreto-legge n.157 del 2004, che ha previsto, in particolare, l’obbligo di indicare in etichetta il luogo di origine o di provenienza, inteso come il Paese o la zona di produzione della materia prima agricola utilizzata prevalentemente nella preparazione o nella produzione di un alimento. Tali disposizioni, adottate nel corso di un dibattito particolarmente acceso (che ha visto la ferma opposizione della Federalimentare), sono state peraltro “respinte”, poche settimane dopo la loro approvazione, dalla Commissione europea, la quale osservava (nota del 25 agosto 2004) che non erano state rispettate le procedure comunitarie sulla preventiva comunicazione della norma alla Commissione medesima (nel merito, peraltro, la norma contrastava con il principio consolidato a livello comunitario per cui un prodotto è originario del Paese in cui si fabbrica: nel caso della pasta, ad esempio, questa, se prodotta in Italia, può essere ritenuta italiana anche se il grano utilizzato è di provenienza ucraina).

Il decreto-legge n.157 del 2004 ha inoltre recato disposizioni specifiche sull’etichettatura dell’olio di oliva (in base alle quali deve essere indicato il luogo di coltivazione e molitura delle olive) e sull’uso delle denominazioni di vendita “latte fresco pastorizzato” (esclusa per latti prodotti con trattamenti ulteriori alla pastorizzazione, come ad esempio il “microfiltrato”) e “passata di pomodoro” (riservata al prodotto ottenuto esclusivamente dalla spremitura diretta del pomodoro fresco, con la conseguenza di escludere i prodotti di importazione, in particolare cinesi).

Quanto agli interventi legislativi relativi a specifici settori produttivi, si ricordano la legge n.292 del 2002 sulla tutela della bufala mediterranea, la legge n.311 del 2004 (articolo 1, comma 87), in materia di agricoltura biologica (v. scheda Sicurezza e qualità degli alimenti - Agricoltura biologica) e il decreto legislativo n.178 del 2003, con cui è stata data attuazione alla direttiva 2000/36/CE relativa ai prodotti di cacao e di cioccolato. Quest’ultimo decreto reca, in particolare, una norma (articolo 6) che prevede l’utilizzo della denominazione “cioccolato puro” per il cioccolato lavorato esclusivamente con burro di cacao, in contrasto con la direttiva comunitaria che non contempla tale denominazione aggiuntiva. Al riguardo merita segnalare che il Parlamento ha deciso di non dare corso alla procedura di infrazione avviata dalla Commissione nei confronti del nostro Paese, mantenendo in vigore la norma italiana sulla denominazione di cioccolato puro (le Camere hanno soppresso l’articolo 20 del disegno di legge comunitaria

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per il 2005, AC 5767/B, che disponeva l’abrogazione dell’articolo 6 del decreto legislativo n.178 del 2003). Merita segnalare, inoltre, che sempre in tema di denominazione dei prodotti di cacao e cioccolato, la Corte di giustizia ha condannato l’Italia per aver previsto l’obbligo di utilizzare la denominazione “surrogato di cioccolato” per i prodotti, fabbricati in altri Stati membri, contenenti grassi vegetali diversi dal burro di cacao

Da ultimo, il decreto-legge n.2 del 2006 ha introdotto disposizioni più rigorose sull’indicazione di origine del miele (v. capitolo Apicoltura) in etichetta e sull’utilizzo dell’olio da tavola nei pubblici esercizi (con la previsione del divieto di proporre al consumo, fatti salvi gli usi di cucina e di preparazione dei pasti, di olio d’oliva in contenitori non etichettati conformemente alla normativa vigente).

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I PRODOTTI TIPICI NAZIONALI (DOP E IGP)

Nel corso della legislatura è proseguita l’opera di difesa e tutela dei prodotti tipici del nostro Paese, sia nelle sedi internazionali, sia nell’ambito della normativa nazionale.

Per quanto concerne il versante internazionale, l’Italia si è fortemente impegnata per il raggiungimento a livello comunitario di una posizione chiara e unitaria, nell’ambito dei negoziati in seno all’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) (v. scheda Agricoltura e negoziati OMC), sulla difesa del sistema delle attestazioni di specificità europee e per il sostegno alla richiesta di introdurre una regolamentazione che conduca alla istituzione di un registro internazionale obbligatorio delle denominazioni di origine. Nonostante il fallimento del vertice di Cancun, uno dei principali obiettivi raggiunti in questo ambito è stato il riconoscimento, da parte degli organi arbitrali dell’OMC (attivati su ricorso di Australia e USA), della conformità del sistema europeo di protezione delle DOP e delle IGP (nel frattempo aperto a registrazioni di prodotti extra-UE con il Regolamento n.892/2003) alle regole dell’OMC e alle esigenze dell’accordo TRIP’s.

Quanto alla normativa comunitaria, sia nella nuova PAC (v. scheda Politica agricola comune (PAC)), sia nella nuova politica di sviluppo rurale, il perseguimento della qualità dei prodotti agro-alimentari è stato assai rafforzato attraverso un sistema di incentivi a favore degli imprenditori che si impegnano a rispettare i sistemi di qualità europei o nazionali e l’introduzione di nuovi specifici programmi.

Sul versante nazionale, è stata sviluppata una ampia politica volta a tutelare e promuovere il made in Italy agroalimentare nel suo complesso (in primo luogo con il rafforzamento delle “concertazioni” tra il Ministero delle politiche agricole e forestali e gli enti rappresentativi delle categorie interessate), alla quale si sono accompagnati anche provvedimenti riguardanti specifici prodotti. Tra le più significative iniziative promozionali si segnala l’istituzione nel 2002 della società Buonitalia Spa (v. scheda Prodotti tipici nazionali - Società Buonitalia). Riguardo a Buonitalia merita in particolare segnalare che a seguito della specifica richiesta della Commissione agricoltura, nel decreto legislativo n.99 del 2004 (adottato in attuazione della legge n.38 del 2003, c.d. collegato agricolo) è stata inserita una disposizione che ha autorizzato il Ministero delle politiche agricole e forestali ad acquistare la quota azionaria della società detenuta da ISMEA (v. scheda Funzioni e compiti dell’Ismea), facendo così di Buonitalia lo strumento operativo del Ministero per l’attuazione delle politiche promozionali e di tutela dei marchi italiani a livello internazionale. Contemporaneamente, è stata rafforzata la partecipazione delle categorie interessate attraverso il riconoscimento al Tavolo

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agroalimentare di ampi poteri consultivi e propositivi sulla materia. Altra iniziativa di rilievo promossa dal Ministero delle politiche agricole e forestali è stata la creazione nel 2003 del portale “Naturalmenteitaliano.it” (v. scheda Prodotti tipici - Naturalmenteitaliano), affidato in gestione all’ISMEA (v. scheda Funzioni e compiti dell’Ismea). Il portale fornisce informazioni sui prodotti di qualità, su itinerari enogastronomici, manifestazioni ed eventi, nonché servizi alle imprese quali guide all’esportazione, informazioni di mercato e strategie di marketing.

Tra gli altri interventi legislativi merita ricordare l’introduzione con la legge finanziaria per il 2003 (legge n.289 del 2002, articolo 85) della menzione aggiuntiva “prodotto della montagna”, di cui potranno fregiarsi le DOP e le IGP i cui processi produttivi siano svolti interamente in zone montane. Successivamente, previo parere delle Commissioni agricoltura e giustizia, è stato adottato il decreto legislativo n.297 del 2004, che in attuazione della normativa comunitaria ha introdotto disposizioni sanzionatorie per le violazioni alla normativa comunitaria e nazionale in materia di DOP e IGP (al cui interno l’articolo 4, comma 3, del decreto-legge n.2 del 2006 ha, da ultimo, ricondotto il prosciutto di San Daniele).

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ORGANISMI GENETICAMENTE MODIFICATI (OGM)

Il più importante provvedimento adottato nel corso della legislatura in materia di OGM in agricoltura è il decreto-legge n.279 del 2004, che ha introdotto una organica disciplina sulla coesistenza tra l’agricoltura transgenica, convenzionale e biologica (v. scheda Sicurezza e qualità degli alimenti - Agricoltura biologica). Sulla materia sono intervenuti, poi, vari decreti legislativi (adottati previo parere della Commissione agricoltura) volti a recepire le innovazioni introdotte a livello comunitario, ove è la tematica degli OGM è stata ricondotta entro il quadro giuridico, in fase di definitiva sistematizzazione, relativo alla tutela e alla sicurezza dei consumatori nel settore alimentare.

Il decreto-legge n.279 del 2004, convertito in legge a conclusione di un

confronto assai serrato (che si è avvalso anche di una serie di audizioni informali ove si è data voce a tutte le posizioni rappresentate dal mondo scientifico, istituzionale e produttivo) ha introdotto una sostanziale moratoria sull’utilizzo di OGM in agricoltura nel nostro Paese, destinata ad essere rimossa solo quando tutte le regioni avessero adottato i Piani regionali di coesistenza tra colture tradizionali, biologiche e transgeniche (ossia le regole tecniche volte ad evitare ogni forma di commistione e ad assicurare la separazione delle filiere). I Piani di coesistenza dovevano essere redatti nel rispetto delle norme quadro definite con decreto del Ministro delle politiche agricole e forestali sulla base delle linee-guida predisposte da un apposito Comitato di esperti istituito presso il Ministero delle politiche agricole (“Comitato consultivo in materia di coesistenza tra colture transgeniche, convenzionali e biologiche”). Per quanto concerne i danni causati dall’uso di sementi OGM, il decreto prevede la responsabilità oggettiva dei soggetti che non rispettano i Piani di coesistenza regionali (o, anche, dei piani di gestione aziendale che i coltivatori sono tenuti a predisporre, previa comunicazione all’autorità, nel quadro dei Piani di coesistenza medesimi) e la possibilità per gli agricoltori danneggiati di accedere al Fondo di solidarietà nazionale (v. scheda La gestione dei rischi in agricoltura - Fondo di solidarietà nazionale) (nonché a Fondi ad hoc eventualmente istituiti dalle regioni).

Quanto allo stato di attuazione del decreto-legge, risulta che il Comitato di esperti avesse assolto il proprio compito, licenziando le Linee guida previste dal decreto-legge (non era invece ancora stato adottato il decreto ministeriale recante le norme-quadro per la redazione dei Piani di coesistenza da parte delle regioni), quando con sentenza della Corte costituzionale n.116 del 2006 è stata dichiarata l’illegittimità di numerose disposizioni del decreto-legge n.279 del 2004, il cui impianto normativo, pertanto, appare ora significativamente compromesso. La Corte, infatti, rilevando che il decreto-legge è lesivo delle

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competenze legislative regionali, ha annullato tutte le disposizioni funzionali all’adozione dei Piani di coesistenza regionali (Comitato consultivo, linee-guida, DM-quadro, Piani di coesistenza e relative sanzioni) riconoscendo alle regioni (molte delle quali, peraltro, avevano già adottato provvedimenti normativi [v. scheda Normativa sugli OGM], fortemente limitativi all’uso di OGM) la piena ed immediata (sembrerebbe venir meno, pertanto, anche la moratoria all’uso di OGM) disponibilità legislativa della materia.

Per quanto concerne la normativa comunitaria (v. scheda Normativa sugli OGM), con il decreto legislativo n.224 del 2003 è stato recepita la Direttiva 2001/18/CE, sull’emissione deliberata di OGM nell’ambiente, che ribadisce la validità del principio di precauzione, prevede un’autorizzazione a tempo determinato e introduce disposizioni più rigorose nella valutazione d’impatto ambientale.

Per quanto attiene, specificamente, alla tutela e alla sicurezza dei consumatori, va segnalato in primo luogo il decreto legislativo n.212 del 2001, che (in attuazione delle direttive 98/95/CE e 98/96/CE) ha reso obbligatoria l’indicazione in etichetta della percentuale di presenza accidentale di OGM nelle sementi convenzionali (che non può comunque superare la soglia dello 0,9 per cento per gli OGM autorizzati).

Successivamente, con il decreto legislativo n. 70 del 2005 sono state introdotte disposizioni sanzionatorie per le violazioni dei Regolamenti nn.1829 e 1830 del 2003.

Il primo, relativo agli alimenti e ai mangimi geneticamente modificati, ha definito una procedura comunitaria per la valutazione delle sicurezza dei prodotti prima della immissione sul mercato. Il provvedimento sostanzialmente introduce un nuovo sistema di autorizzazione e vigilanza sia sugli alimenti che sui mangimi, nonchè nuove disposizioni in materia di etichettatura.

Il secondo ha delineato un sistema di tracciabilità che dovrà essere applicato da parte di tutti gli Stati membri sia per gli OGM che per gli alimenti ed i mangimi ottenuti da OGM, al fine di agevolarne il ritiro dei prodotti dal mercato e di monitorarne gli effetti sull’ambiente. In particolare, gli OGM autorizzati devono essere identificati con un codice trasmesso dagli operatori lungo tutta la catena alimentare e la loro presenza negli alimenti e nei mangimi deve essere indicata in etichetta se superiore alla soglia dello 0,9% (la soglia di tolleranza di presenza accidentale di OGM non autorizzati è invece dello 0,5 per cento).

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LE BIOENERGIE

Nel corso della legislatura sono stati adottati alcuni significativi interventi nel settore agroenergetico, volti a promuovere la produzione e il consumo di biomasse e biocarburanti di origine agricola.

Sul versante comunitario, nell’ambito della riforma della Politica agricola comune (PAC) (v. scheda Politica agricola comune (PAC)) sono state previste misure volte a incentivare le produzioni agroenergetiche. In particolare, il regolamento n.1782 del 2003 (articoli 55-56 e 88) ha escluso dall’obbligo di ritiro (set aside) i terreni utilizzati per le coltivazioni agroenergetiche e previsto, nel caso di colture pluriennali destinate alla produzione di biomasse, un aiuto comunitario accoppiato pari a 45 euro/ettaro. Per lo sviluppo della filiera del biodiesel la direttiva comunitaria n.30 del 2003 ha invece previsto che una percentuale crescente di carburanti da autotrazione debba essere costituita da biocarburanti, al fine di realizzare una sostituzione, entro il 2020, pari al 20 per cento. La Commissione europea, inoltre, ha di recente adottato un Piano d’azione per la biomassa e definito una Strategia dell’UE per i biocarburanti.

Sul versante nazionale merita ricordare la legge finanziaria per il 2006 (legge n.266 del 2005, articolo 1, commi 422 e 423), che ha disposto il rinnovo delle agevolazioni per il biodiesel (esentato dall’accisa nei limiti di un contingente annuo prefissato, nell’ambito di un apposito programma) e previsto nuovi interventi di promozione delle filiere agroenergetiche (con lo stanziamento di nuove risorse per la ricerca nel campo bioenergetico e la costituzione presso il MIPAF di un Fondo per la promozione e lo sviluppo delle filiere).

Il provvedimento di maggiore rilievo, adottato sul finire della legislatura, è tuttavia il decreto-legge n.2 del 2006 (articolo 2-quater), che, nel quadro degli obiettivi indicativi nazionali stabiliti sulla base della normativa comunitaria, ha introdotto l’obbligo per i produttori di carburanti diesel e di benzina, a decorrere dal 1° luglio 2006, di immettere al consumo biocarburanti di origine agricola, nell’ambito di un’intesa di filiera, di un contratto quadro o di un contratto di programma agroenergetico (la cui disciplina è rimessa al CIPE), in una misura, crescente di un punto percentuale annuo fino al 2010, pari all’1% dei carburanti immessi al consumo nell’anno precedente. Inoltre, l’attività di produzione e di cessione di energia da fonti rinnovabili agroforestali è stata considerata attività agricola per connessione e il reddito derivante “reddito agricolo” (con i conseguenti vantaggi fiscali), è stata disposta l’equiparazione del biogas al gas naturale con la conseguente esclusione dall’assoggettamento ad accisa ed è stata prevista la precedenza nel dispacciamento all’energia elettrica prodotta da biomasse o biogas nell’ambito di intese di filiera (fino a una quota annuale del 30%).

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SETTORE LATTIERO - CASEARIO

Le principali politiche realizzate nel settore lattiero-caseario hanno avuto ad oggetto il sistema delle quote-latte e il latte fresco.

Per quanto riguarda il sistema delle quote-latte, dopo che la Commissione

agricoltura aveva approvato due risoluzioni con cui chiedeva al Governo di intervenire sulla materia, il Parlamento ha approvato il decreto-legge n.49 del 2003 (convertito in legge, con modificazioni, dalla legge n.119 del 2203), che ha introdotto una riforma organica della normativa sull'applicazione del prelievo supplementare nel settore lattiero caseario, consentendo di avviare a soluzione l’annoso problema degli “splafonamenti” della quota produttiva assegnata al nostro Paese e di “sbloccare” l’enorme contenzioso accumulato nelle sedi giudiziarie (contenzioso che, adducendo la non coerenza della normativa statale con quella comunitaria, aveva di fatto determinato la sospensione dell’applicazione del prelievo).

Il decreto, volto nel suo complesso ad assicurare coerenza con la normativa comunitaria e a razionalizzare e semplificare la normativa nazionale vigente (ridefinendo, in particolare, i ruoli e le responsabilità degli operatori della filiera e dei soggetti istituzionalmente competenti), mira in primo luogo a favorire il riequilibrio tra le quote assegnate e la quantità di latte commercializzato, attraverso la liberalizzazione territoriale delle vendite di quote produttive, la possibilità di affitto temporaneo in corso di campagna e il varo di un programma di abbandono della produzione nelle regioni meno vocate. Al fine di bilanciare le nuove e più restrittive regole sancite in materia di prelievo supplementare con la introduzione di versamenti a cadenza mensile (che dovrebbero meglio garantire l’assolvimento degli obblighi dell’amministrazione verso la Comunità), il provvedimento definisce la questione delle multe pregresse con la previsione di una rateizzazione pluriennale senza interessi o penalità, con l’intento di dare agli allevatori le certezze necessarie per favorire lo sviluppo del mercato delle quote. In particolare, è stato previsto che i produttori di latte, relativamente agli importi imputati e non pagati a titolo di prelievo supplementare per i periodi di commercializzazione compresi tra gli anni 1995-1996 e 2001-2002, possano versare l'importo complessivamente dovuto, senza interessi, attraverso delazioni mensili per un periodo non superiore a 30 anni. La disposizione ha trovato sostanziale conferma, in sede comunitaria, attraverso l'Accordo Ecofin del 3 giugno 2003 (“trasfuso” nella decisione del Consiglio delle Comunità europee del 16 luglio 2003), dove è stato stabilito che la rateizzazione delle multe, che non comporterà l’applicazione di tassi di interesse, non potrà comunque superare i 14 anni.

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Successivamente alla definizione delle nuove regole nazionali con il decreto n.49 del 2003, un ulteriore contributo alla consolidazione e alla chiarificazione del sistema è derivato da una sentenza della Corte di giustizia europea che ha avallato, con riferimento alle multe relative agli anni 1995-1997, la procedura di accertamento retroattivo sulla corretta assegnazione dei quantitativi di riferimento individuali (con conseguente possibilità di correggere gli importi del prelievo) praticata nei confronti dei produttori dal nostro Paese.

Il nuovo sistema delineato dal decreto-legge n.49 del 2003 ha subito alcuni

aggiustamenti successivi, che non ne hanno peraltro modificato l’impianto di fondo. In particolare, sono state introdotte norme volte a consentire una maggiore flessibilità nel trasferimento di quote nella regione Sardegna (legge n.350 del 2003, articolo 4, comma 28 e, successivamente, legge n.311 del 2004, articolo 1, comma 243), a limitare il trasferimento fuori della regione di appartenenza di quote produttive separatamente dall’azienda (allo scopo di scongiurare un’eccessiva contrazione della capacità produttiva di talune regioni), a consentire l’affitto di quote unicamente tra aziende ubicate in aree produttive omogenee e a contenere il versamento in eccesso dei prelievi (decreto-legge n.157 del 2004, articolo 2, commi 2 e 3), nonché in materia di sanzioni e di calcolo del prelievo nazionale dovuto all’UE, al fine di tenere conto (secondo le modifiche nel frattempo introdotte a livello comunitario) anche del tenore di grassi del latte prodotto (decreto-legge n.22 del 2005, articolo 2).

Un vivace dibattito ha fatto seguito, invece, all’introduzione, con la legge

finanziaria per il 2005 (legge n.311 del 2004, articolo 1, comma 551), di una norma che, prevedendo la devoluzione al giudice ordinario della giurisdizione sui provvedimenti amministrativi relativi a misure comunitarie (quindi anche in materia di quote latte), avrebbe comportato il trasferimento dell’intero contenzioso pendente innanzi alla giustizia amministrativa, con il rischio di compromettere, a fronte dei tempi presumibilmente assai lunghi della giustizia ordinaria, la situazione di certezza legislativa prodottasi nel settore a seguito dell'entrata in vigore del decreto legge n.49 del 2003. Le forti proteste levatesi dal mondo produttivo, fatte proprie dalla quasi totalità delle forze politiche (la Commissione agricoltura aveva nel frattempo avviato la discussione di una risoluzione con cui si chiedeva al Governo l’abrogazione della norma), hanno in fine indotto alla soppressione della norma (decreto-legge n.63 del 2005, articolo 2-sexies).

Per quanto riguarda il latte fresco, un prolungato contenzioso avente ad

oggetto l’etichettatura e la durabilità del latte prodotto attraverso nuove tecnologie (latte UHT e microfiltrato), ha trovato una positiva soluzione con il decreto-legge n.157 del 2004. La vicenda prendeva la mosse da alcuni decreti

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ministeriali emanati nel 2003 (DD.MM. 27 giugno e 24 luglio 2003), con i quali il Ministero delle politiche agricole e forestali, anche al fine di dar seguito agli orientamenti emersi al riguardo in sede comunitaria, consentiva l’utilizzo della dicitura “fresco” per il latte microfiltrato, fissandone la durabilità a 10 giorni. Successivamente, nella considerazione che l’utilizzo della dicitura “fresco” appariva idonea, nel particolare contesto del nostro Paese (dove, tradizionalmente, il latte fresco viene identificato con il latte appena raccolto), a suscitare confusione tra i consumatori, il decreto-legge n.157 del 2004 (articolo 1) è intervenuto a riservare la denominazione di “fresco” al solo latte pastorizzato (ossia ottenuto secondo i tradizionali procedimenti produttivi).

Merita segnalare, infine, l’approvazione di una legge per la tutela della bufala

mediterranea (legge n.292 del 2002), che stabilisce anche, attraverso piani regionali, specifiche norme per il contrasto della brucellosi.

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SETTORE VITIVINICOLO

Le politiche legislative nel settore vitivinicolo si caratterizzano per l’approvazione, negli ultimi giorni della legislatura, della legge n. 82 del 2006, che ha introdotto una nuova disciplina della produzione e commercio dei vini, degli aceti e dei prodotti di uso enologico. Il provvedimento, approvato in sede legislativa dalla Commissione agricoltura con il consenso di tutti i gruppi politici, è volto a chiarire il quadro normativo (caratterizzato da una accentuata stratificazione normativa, sulla quale il provvedimento interviene disponendo numerose abrogazioni), semplificare gli adempimenti a carico dei produttori, razionalizzare le misure finalizzate a garantire la sicurezza dei prodotti e aggiornare il sistema sanzionatorio, superando la logica emergenziale che ha caratterizzato la produzione normativa in materia a partire della vicenda del c.d. vino al metanolo. Più specificamente, la nuova legge introduce (anche al fine di raccordare la normativa interna a quella comunitaria, riconducibile essenzialmente al regolamento CE n.1493/1999 sulla Organizzazione comune di mercato del vino) nuove definizioni normative (quali quelle di “vino passito”, “vinsanto” e “vitigno autoctono italiano”), vieta la detenzione di mosti e vini non rispondenti ai parametri o che abbiano subito trattamenti o aggiunte non consentiti, prevede nuove misure in materia di recipienti, bottiglie, sistemi di chiusura, detenzione di prodotti chimici e igiene delle cantine, dispone la costituzione presso il Ministero delle politiche agricole e forestali di una Commissione consultiva per l’aggiornamento dei metodi ufficiali di analisi e di un Comitato di coordinamento per il servizio di repressione frodi. Per quanto concerne, in particolare, il sistema sanzionatorio (sul quale si erano appuntate da tempo le maggiori critiche del mondo produttivo), il provvedimento dispone la depenalizzazione delle precedenti figure di reato, strutturando un complesso sistema di sanzioni amministrative pecuniarie (la cui entità viene rapportata alla effettiva gravità dei comportamenti, secondo un principio di gradualità e proporzionalità) e introduce, in via generale, lo strumento della diffida.

Altri provvedimenti nel settore vitivinicolo hanno riguardato la modifica, su

sollecitazione comunitaria, del regime sanzionatorio per l’impianto abusivo di vigneti, disposta dall’articolo 64 della legge n.448 del 2001 (legge finanziaria per il 2002) (tale disposizione è stata peraltro dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale con sentenza n. 12 del 2004), il sostegno alle produzioni di uva da tavola e da vino (a fronte della crisi verificatasi in Puglia nel 2005 il decreto-legge n.182 del 2005 (v. scheda La gestione dei rischi in agricoltura - Crisi di mercato) ha disposto lo stanziamento di 90 milioni di euro per l’erogazione di aiuti a favore dei produttori e per il sostegno dei prezzi mediante acquisizioni da

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parte dell’AGEA; merita evidenziare che un intervento in tal senso era stato sollecitato con una risoluzione approvata a larga maggioranza dalla Commissione agricoltura pochi giorni prima dell’adozione del decreto-legge da parte del Governo), l’aumento delle accise sugli alcolici (disposta dall’articolo 10 del decreto-legge n.35 del 2005) e l’approvazione della legge di ratifica ed esecuzione dell’Accordo istitutivo dell’Organizzazione internazionale della vigna e del vino (legge n.26 del 2003) (v. scheda Vitivinicolo - Accordo internazionale vino).

Sul versante comunitario, si segnala l’adozione del regolamento (CE) n. 316

del 20-2-2004, concernente la designazione, la denominazione, la presentazione e la protezione di taluni prodotti vitivinicoli, il quale ha liberalizzato, a determinate condizioni, l’uso internazionale di alcune menzioni tradizionali europee, tra le compaiono 17 "menzioni" tradizionali riservate a prestigiosi vini italiani (brunello amarone, morellino al vinsanto, recioto, gutturnio). Le disposizioni del regolamento sono state oggetto di un ricorso da parte del Governo italiano, peraltro respinto dalla Corte di giustizia (sentenza 3 marzo 2005). La Corte di giustizia (sentenza 12 maggio 2005) ha parimenti respinto il ricorso dell’Italia sulla disputa con l’Ungheria in merito al vino Tocai, con la conseguenza che tale denominazione non potrà più essere utilizzata nel nostro Paese dopo il 31 marzo 2007.

Merita segnalare, infine, che nel maggio 2005 la Commissione agricoltura ha

avviato l’esame di un disegno di legge governativo (v. scheda Vitivinicolo - Tutela DOC e IGT) (AC 5768) volto ad introdurre una nuova ed organica disciplina della tutela delle denominazioni di origine (DOCG e DOC) e delle indicazioni geografiche dei vini (IGP), disponendo l’abrogazione della normativa vigente, recata dalla legge 10 febbraio 1992, n.164 e dai numerosi provvedimenti che ad essa hanno dato attuazione. La finalità complessiva del provvedimento, in particolare, era quella di chiarire e semplificare le procedure a vantaggio dei produttori, all’interno di un quadro che salvaguardi in ogni caso l’efficacia dei controlli a tutela dei consumatori, nel rispetto delle attribuzioni regionali discendenti dalla riforma del Titolo V della Costituzione.

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SETTORE BIETICOLO-SACCARIFERO

Le politiche nel settore bieticolo-saccarifero sono state ampiamente condizionate dal negoziato sulla riforma del comparto svoltosi a livello comunitario, che ha visto fortemente impegnato il Governo italiano (a sua volta destinatario di un puntuale atto di indirizzo della Commissione agricoltura), culminato con l’adozione di tre regolamenti (nn.318, 319 e 320) nel mese di febbraio 2006. Le nuove norme, destinate ad avere un forte impatto sul futuro della realtà produttiva del nostro Paese, mirano ad estendere al settore bieticolo-saccarifero i principi e i meccanismi della riforma della politica agricola comune (PAC) (v. scheda Politica agricola comune (PAC)) (attuata, relativamente ad altri settori, tra il 2003 e il 2004), nonché a rendere coerente la disciplina comunitaria con gli impegni giuridici e politici assunti dall’Unione europea a livello internazionale, in particolare con riferimento ai Paesi in via di sviluppo produttori di zucchero.

Sul versante nazionale, oltre ai vari interventi di sostegno del settore (molti dei quali previsti dalle leggi finanziarie annuali), si segnalano le disposizioni del decreto legge n.2 del 2006 (articolo 2), adottate, sul finire della legislatura, in stretta correlazione con i contenuti della nuova normativa europea. Il decreto-legge, in particolare, ha previsto la istituzione di un Comitato interministeriale, allargato a tre presidenti regionali, chiamato a redigere il Piano per la razionalizzazione e la riconversione della produzione bieticolo-saccarifera, a disporre il coordinamento delle misure comunitarie e nazionali previste per la riconversione del settore e a formulare direttive per l’approvazione dei progetti di riconversione. Dal canto loro, le imprese saccarifere sono chiamate a predisporre di progetti di riconversione, soggetti all’approvazione del Ministero delle politiche agricole e forestali, che si avvale a tal fine del supporto dell’ISA Spa. Viene prevista, infine, la costituzione presso l’AGEA del Fondo per la razionalizzazione e la riconversione della produzione bieticolo-saccarifera, al quale affluiscono tutte le risorse comunitarie e nazionali destinate al settore.

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APICOLTURA

Nel settore apistico l’intervento di maggiore rilievo è stata la legge n.313 del 2004, approvata in sede legislativa da entrambi i rami del Parlamento con l’ampio consenso di tutte le forza politiche, che ha introdotto una disciplina organica dell’apicoltura, definendo un nuovo sistema di programmazione nazionale degli interventi a favore del settore e colmando lacune normative relative a specifici profili, nel quadro di un ampio coinvolgimento delle autonomie regionali.

Accanto ad essa merita ricordare anche il decreto legislativo n.179 del 2004, il

quale, adottato previo parere della Commissione agricoltura, ha dato attuazione alla direttiva 2001/110/CE sulla produzione e la commercializzazione del miele, nonchè, da ultimo, il decreto-legge n.2 del 2006 (articolo 2-bis), che ha introdotto disposizioni più rigorose sull’indicazione di origine del miele in etichetta.

La legge n. 313 del 2004 (v. scheda La nuova legge sull’apicoltura) riconosce

in primo luogo l’apicoltura come attività di interesse nazionale e definisce in modo giuridicamente certo le figure di apicoltore, imprenditore apistico e apicoltore professionista. Sul versante della razionalizzazione amministrativa la legge introduce l’obbligo di denuncia degli apiari e degli alveari esistenti e l’obbligo di denuncia di inizio di attività (condizionando al rispetto di tali adempimenti l’assegnazione degli incentivi previsti per il settore), nonché specifiche norme sulle distanze minime per gli apiari.

Per quanto concerne la programmazione nazionale degli interventi, la legge introduce a livello normativo il documento programmatico per il settore apistico, di durata triennale ma aggiornabile ogni anno, quale strumento di pianificazione degli interventi. L’elaborazione del documento prevede l’ampio coinvolgimento di tutte le realtà associative operanti nel settore (organizzazioni professionali agricole e degli apicoltori, unioni nazionali di associazioni di produttori, cooperative e associazioni di consumatori) e delle regioni, sia attraverso la predisposizione di programmi apistici regionali, sia mediante la previsione dell’intesa in sede di Conferenza permanente Stato-regioni ai fini della formale adozione del piano. Il documento programmatico è chiamato, in particolare, a definire gli indirizzi e le azioni di coordinamento delle attività del settore con particolare riguardo alla tutela e alla promozione del miele italiano, alla tracciabilità del prodotto, alla valorizzazione delle DOP e IGT al sostegno delle organizzazioni di produttori, all’uso degli antiparassitari (demandando alle regioni l’individuazione di limitazioni e divieti), al controllo sul miele di importazione, all’incentivazione dei giovani e degli apicoltori operanti in zone svantaggiate, alla salvaguardia delle api italiane. Alla ripartizione delle risorse

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volte a finanziare il Piano (quantificate in 2 milioni di euro annui per il 2004, 2005 e 2006) si provvede con DM del Ministero delle politiche agricole e forestali, anche in questo caso previa intesa in sede di Conferenza permanente Stato-regioni.

Oltre alle azioni che saranno oggetto del Piano programmatico, la legge introduce specifici strumenti volti ad agevolare l’esercizio delle attività del settore. La legge riconosce innanzitutto all’apicoltura (anche se non correlata alla gestione del terreno) e all’attività di impollinazione il carattere di attività agricole per connessione e, per quest’ultima, specifici benefici fiscali (determinazione del reddito imponibile applicando all’ammontare dei ricavi un coefficiente di redditività del 25 %, ad esclusione tuttavia delle SPA e delle SRL). Per quanto attiene, invece, alle risorse nettarifere, la legge dispone che lo Stato e le regioni incentivino il nomadismo, prevede la conservazione dei diritti acquisiti dai soggetti già operanti nel settore, introduce l’obbligo per gli enti pubblici di agevolare la dislocazione degli alveari nei fondi di loro proprietà o ad altro titolo detenuti ed esonera gli apicoltori dalla tenuta dei registri di carico e scarico delle sostanze zuccherine necessarie per l’alimentazione delle api.

La determinazione delle sanzioni amministrative per le violazioni della normativa, nazionale e regionale, in materia di miele, infine, è rimessa alle regioni.

Il decreto legislativo n.179 del 2004 reca in primo luogo le definizioni di

miele per il consumo umano (distinguendone le varietà in base all’origine e al metodo di produzione o di estrazione) e di miele per uso industriale, elencando (in apposito allegato) le specifiche caratteristiche che il miele deve soddisfare. Per quanto riguarda l’etichettatura e la presentazione del miele il provvedimento, oltre a rinviare alla disciplina vigente valevole per la generalità prodotti alimentari, detta alcune disposizioni specifiche per il miele, concernenti, in particolare, l’indicazione dell’origine, della qualità e di altre caratteristiche. Viene stabilito, inoltre, che le denominazioni devono figurare in lingua italiana e che il miele destinato ai consumatori deve essere preconfezionato all’origine in contenitori chiusi.

Al fine di rafforzare la tutela del consumatore e di assicurare maggiore trasparenza sulla provenienza del miele (soprattutto a fronte del crescente afflusso di miele a basso costo da Paesi extra-UE), il decreto-legge n.2 del 2006 (articolo 2-bis) ha novellato il decreto legislativo n.179 del 2004, prevedendo che in ogni caso sull’etichetta devono essere indicati in modo specifico il Paese o i Paesi di raccolta del miele (sopprimendo le norme che, in deroga al principio per cui sull’etichetta devono essere indicati in modo specifico il Paese o i Paesi di raccolta del miele, prevedevano che se il miele è originario di più Stati membri o Paesi terzi l’indicazione potesse essere sostituita, a seconda dei casi, da quelle

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più generiche di “miscela di mieli originari della CE”, “miscela di mieli non originari della CE” o “miscela di mieli originari e non originari della CE”).

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AGRITURISMO

Sul finire della legislatura, a conclusione di un esame assai prolungato ed approfondito (che è passato anche attraverso una indagine conoscitiva svolta tra i mesi di giugno e settembre 2002) il Parlamento ha approvato la legge n.96 del 2006, che ha definito una nuova disciplina organica dell’agriturismo, abrogando la normativa previgente che risaliva al 1985 (legge n.730 del 1985).

La nuova legge, approvata in via definitiva dalla Commissione agricoltura delle Camera in sede legislativa l’8 febbraio 2006, è essenzialmente volta (pur nella ristrettezza delle risorse finanziarie stanziate, pari ad appena 0,9 milioni di euro annui) a configurare l’agriturismo come peculiare espressione di un’agricoltura multifunzionale, legata alla preservazione dell’ambiente, alla gestione del territorio e alla valorizzazione delle risorse naturali, storiche e gastronomiche dei territori.

In primo luogo, la legge si preoccupa di valorizzare la qualità dell’offerta agrituristica e di conservarne le caratteristiche essenziali, riconducibili alla complementarietà dell’attività agrituristica rispetto all’attività agricola svolta dall’azienda e alla qualificazione professionale degli operatori. A questo fine rimette alle regioni il compito di definire, per le strutture dove il numero di ospiti sia superiore a dieci, i criteri per la valutazione del rapporto di connessione delle attività agrituristiche rispetto alle attività agricole, che devono rimanere prevalenti, con particolare riferimento al tempo di lavoro necessario al loro esercizio, nonchè di disciplinare la somministrazione di pasti e bevande costituiti da prodotti agricoli propri o di aziende agricole della zona. Al fine di garantire omogeneità su tutto il territorio nazionale nella classificazione delle strutture, si prevede, inoltre, che il Ministero delle politiche agricole e forestali definisca criteri minimi uniformi. Quanto alla professionalità degli operatori, la legge prevede invece che le regioni disciplinino le modalità per il rilascio del certificato di abilitazione all’esercizio dell’attività agrituristica, per il conseguimento del quale possono essere organizzati appositi corsi di formazione.

La legge introduce quindi alcune importanti novità in materia di semplificazione amministrativa, prevedendo, in particolare, che l’esercizio possa essere avviato con la semplice comunicazione di inizio dell’attività al Comune, al quale competono i successivi controlli.

Altra novità di grande portata è l’equiparazione alle attività agrituristiche di quelle esercitate dai pescatori che svolgano attività di ospitalità e somministrazione di pasti (come nel caso del pesca-turismo).

La legge prevede, inoltre, la predisposizione da parte del Ministro delle politiche agricole e forestali, d’intesa con le regioni, di un programma triennale, finalizzato alla promozione dell’agriturismo italiano sui mercati, nonché la

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costituzione di un Osservatorio nazionale dell’agriturismo, partecipato dai rappresentanti delle associazioni di settore, con il compito di raccogliere ed elaborare i dati provenienti dalle regioni, formulare proposte per lo sviluppo del settore e pubblicare un rapporto annuale sullo stato dell’agriturismo nazionale.

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MINISTERO POLITICHE AGRICOLE E FORESTALI

L’evoluzione delle forme dell’intervento pubblico nel settore primario ha reso evidente l’esigenza di adattare l’assetto istituzionale del Ministero delle politiche agricole e forestali ai nuovi compiti da esso assunti per effetto di vari provvedimenti normativi adottati nel corso della legislatura.

In primo luogo, la legge n.317 del 2001 ha modificato il decreto legislativo n.300 del 1999 (con il quale, in attuazione della delega contenuta nella legge “Bassanini n.59 del 1997“, era stata riformata l’organizzazione del Governo), assegnando nuove competenze al Ministero in materia di trasformazione e commercializzazione dei prodotti agricoli e agroalimentari. Successivamente, altri interventi normativi hanno attribuito al Ministero nuove competenze nella gestione dei rapporti con la Commissione europea per quanto attiene alle attività di monitaraggio dell’evoluzione della spesa in seno al FEOGA-Garanzia (legge n.441 del 2001), in materia di quote-latte (legge n.119 del 2003) (V. capitolo Settore lattiero-caseario) e di anagrafe equina (decreto-legge n.147 del 2003, articolo 8). Infine, nuovi importanti compiti per il Ministero sono derivati dai decreti legislativi attuativi della legge n.38 del 2003, soprattutto per quanto attiene alla gestione dei rischi in agricoltura (v. capitolo La gestione dei rischi in agricoltura) e all’integrazione delle filiere agroalimentari (v. capitolo Le filiere agroalimentari) nonché dalla riforma della PAC (con l’introduzione del pagamento unico disaccoppiato) (v. scheda Politica agricola comune (PAC))

Sfruttando la clausola di revisione periodica prevista dall’articolo 4 della legge n.300 del 1999, il Governo ha pertanto adottato il DPR n.79 del 2005 (v. scheda Ministero politiche agricole e forestali – Funzioni e compiti del MIPAF) che è intervenuto su vari aspetti dell’organizzazione del ministero delineata dal DPR 450 del 2000.

Le novità principali sono l’incremento del numero delle Direzioni generali (che passano da 5 a 7), operato attraverso la suddivisione della precedente Direzione generale per le politiche agroalimentari nella Direzione generale per le politiche agricole e nella Direzione generale della trasformazione agroalimentare e dei mercati (di nuova istituzione) e attraverso la suddivisione della precedente Direzione generale per la qualità dei prodotti agroalimentari e la tutela del consumatore nella Direzione generale per la qualità dei prodotti agroalimentari e nella Direzione generale per la tutela del consumatore (di nuova istituzione), la riduzione del numero complessivo dei dirigenti, la ricostituzione del Consiglio nazionale dell’agricoltura (subentrato al precedente Consiglio tecnico scientifico) quale organo di alta consulenza del Ministero (cui partecipano anche due componenti designati dalla Conferenza permanente Stato-regioni), la istituzione di due nuovi uffici di diretta collaborazione del Ministro (con

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competenze in materia di SIAN ed enti vigilati), nonché l’attribuzione all’Ispettorato centrale repressione frodi (ICRF) (v. capitolo Ispettorato repressione frodi (ICFR)) dello statuto di centro di responsabilità autonomo, con la contestuale soppressione delle residue competenze in materia spettanti al Ministero.

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IL NUOVO RUOLO DI ISMEA

Nel corso della legislatura si sono succeduti numerosi interventi volti ad ampliare l’ambito di competenze dell’Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare (ISMEA) e a rafforzarne il ruolo di strumento finanziario ad ampio raggio del settore agricolo (v. scheda Funzioni e compiti dell’Ismea).

Inizialmente, la legge 289/2002 (articolo 69, comma 6) ha autorizzato la Cassa depositi e prestiti a concedere all'ISMEA mutui ventennali per l’erogazione da parte dell’Istituto degli incentivi relativi allo sviluppo della proprietà coltivatrice (di cui alla legge n. 817 del 1971).

La legge finanziaria per il 2004 (legge n.350 del 2003, articolo 4, commi 42-45) ha quindi trasferito all’ISMEA le funzioni esercitate da Sviluppo Italia Spa riguardo ai c.d. interventi ex RIBS e all’imprenditoria giovanile in agricoltura, con il contestuale trasferimento delle relative risorse. Inoltre, ha autorizzato l’Istituto, nel quadro delle competenze ad esso già riconosciute per l’erogazione di servizi finanziari alle imprese (volti a ridurre i rischi inerenti alle attività produttive e di mercato), a prestare garanzie finanziarie per l'emissione di obbligazioni da parte di piccole e medie imprese operanti nel settore agricolo e agroalimentare, ad acquistare crediti bancari (a breve, a medio e a lungo termine) e provvedere alla loro successiva cartolarizzazione, nonché ad anticipare i crediti vantati dagli imprenditori agricoli nei confronti dell’Agea (v. scheda Altri interventi – AGEA) o degli altri organismi pagatori regionali.

Per quanto concerne, specificamente, l’accesso al credito da parte delle imprese agricole, l’articolo 17 del D.lgs. n. 102 del 2004 ha disposto l’incorporazione della Sezione speciale del Fondo interbancario di garanzia nell’ISMEA, il quale subentra nei rapporti attivi e passivi della Sezione. Al fine di favorire la capitalizzazione delle imprese, l’ISMEA può fornire fideiussioni a fronte di finanziamenti bancari a medio e lungo termine, prestare garanzie dirette a fronte di prestiti partecipativi e partecipazioni nel capitale delle imprese, assunte da banche, da intermediari finanziari nonché da Fondi chiusi di investimento mobiliare, nonchè rilasciare, per le medesime finalità, controgaranzie e cogaranzie in collaborazione con confidi e altri fondi di garanzia pubblici e privati anche a carattere regionale. A completare il nuovo quadro normativo sono successivamente intervenuti la legge finanziaria per il 2005 (articolo 1, comma 512, delle legge n.311 del 2004) che ha affidato all’ISMEA, a decorrere dal 1° gennaio 2005, la gestione degli interventi di agevolazione dell'accesso al credito delle imprese agricole e agroalimentari del Fondo interbancario di garanzia (e la relativa dotazione finanziaria), nonché il decreto-legge n.35 del 2005 (articolo 10, comma 8), il quale ha disposto che le

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garanzie prestate dall’ISMEA possano essere assistite anche dalla garanzia dello Stato.

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CORPO FORESTALE DELLO STATO

Nel corso della XIV legislatura è stata adottata la legge n.36 del 2004, di riforma delle funzioni e dell’organizzazione del Corpo forestale dello Stato (CFS), con cui è stato delineato, in particolare, un nuovo assetto delle sfere di attribuzioni statale e regionali.

Tale materia è stata oggetto di grande attenzione anche nella XIII Legislatura, allorquando con la riforma c.d. Bassanini e, più in particolare con il decreto legislativo n.143 del 1997, si rimise a un DPCM l’individuazione dei beni e delle risorse umane da trasferire alle regioni, compresi i beni e le risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative del Corpo forestale dello Stato. Con il successivo decreto legislativo n.300 del 1999, di riforma dell'organizzazione del Governo, si dispose il trasferimento del Corpo forestale dello Stato dalle dipendenze del Ministero delle politiche agricole e forestali a quelle dell'Ambiente. Nonostante le perplessità espresse in sede parlamentare, il Governo dava comunque attuazione alle nuove norme con il DPCM 11 maggio 2001, attraverso il quale si disponeva il trasferimento alle regioni del 70 per cento del personale appartenente della dotazione organica del Corpo forestale dello Stato. All'inizio della XIV Legislatura venivano presentate molte proposte di legge in materia di riforma organica del Corpo forestale dello Stato (anche al fine di rivedere le modalità con le quali era stato disposto il trasferimento di parte dell'organico alle regioni) di cui la Commissione agricoltura iniziava l’esame nell’ottobre 2001. La sentenza del TAR del Lazio, nel luglio del 2002, che annullava il DPCM dell’11 maggio 2001, rendeva ancora più urgente la necessità di addivenire a una definitiva sistemazione legislativa della materia.

La legge n.36 del 2004 ha delineato un nuovo profilo istituzionale e ordinamentale del Corpo forestale dello Stato, fissandone in modo puntuale compiti e funzioni. Il Corpo forestale dello Stato è forza di polizia dello Stato ad ordinamento civile specializzata nella difesa del patrimonio agroforestale e nella tutela dell’ambiente, del paesaggio e dell’ecosistema, che svolge funzioni di polizia giudiziaria e concorre all’espletamento dei servizi di ordine e sicurezza pubblica, nonché al controllo del territorio, con particolare riferimento alle aree rurali e montane. Il Corpo forestale dello Stato è posto alle dirette dipendenze del Ministro delle politiche agricole e forestali, con organizzazione e organico distinti da quelli del Ministero, fatte salve la dipendenza funzionale dal Ministero dell’interno per le questioni inerenti l’ordine pubblico, la pubblica sicurezza, il pubblico soccorso e la protezione civile e la possibilità del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio di avvalersi della sua collaborazione per le funzioni di controllo in materia ambientale e di abusivismo edilizio.

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Per quanto concerne il rapporto con le regioni, la legge ha previsto, innanzitutto, la possibilità per il Ministero delle politiche agricole e forestali di stipulare specifiche convenzioni per l’affidamento al Corpo forestale dello Stato di compiti e funzioni propri delle regioni, sulla base di un accordo quadro approvato dalla Conferenza Stato-regioni. Viene quindi istituito un Comitato di coordinamento delle attività del Corpo forestale dello Stato e dei servizi tecnici forestali regionali, a composizione mista.

Per quanto attiene, invece, il delicato profilo del trasferimento di risorse umane e materiali alle regioni, la legge (come modificata, a distanza di poche settimane dalla sua approvazione, dalla legge n.77 del 2004) ha sancito la possibilità per il personale di transitare, a domanda, nei ruoli dei servizi tecnici forestali della regione in cui si presta servizio, peraltro entro il limite delle unità di personale corrispondenti a una spesa massima si 9 milioni di euro annui. La legge, infine, prevede il trasferimento alle regioni e agli enti locali delle riserve naturali e di tutti gli altri beni che non risultino indispensabili ai fini dello svolgimento delle funzioni del Corpo forestale dello Stato, sulla base di un piano di trasferimento da definire con DPCM (e fin qui non adottato).

Successivamente alle legge di riforma sono stati adottati altri provvedimenti

volti a rafforzare il ruolo del Corpo forestale dello Stato ed ad ampliarne la sfera di competenze, quali la legge n.77 del 2004 (articolo 1), che ha autorizzato il Corpo forestale dello Stato all’assunzione di personale in deroga al divieto di nuove assunzioni disposto dalla legge finanziaria per il 2004 (articolo 3, comma 53, della legge n.350 del 2003) e il decreto-legge n.2 del 2006 (articolo 4) che ha rimesso al Corpo forestale dello Stato (unitamente all’Ispettorato centrale repressione frodi) lo svolgimento dei controlli di competenza del Ministero delle politiche agricole e forestali concernenti gli aiuti comunitari erogati nel settore agricolo, secondo modalità da definire con successivo decreto ministeriale.

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ISPETTORATO REPRESSIONE FRODI (ICRF)

Nel corso della legislatura si sono succeduti vari provvedimenti volti a rafforzare il ruolo dell’Ispettorato centrale repressione frodi (ICRF), l’organo tecnico del Ministero delle politiche agricole e forestali preposto alla prevenzione e repressione delle infrazioni nella preparazione e nel commercio dei prodotti agroalimentari e delle sostanze di uso agrario e forestale (v. scheda Funzioni e compiti dell’ICRF).

Gli interventi sono stati diretti sia ad incrementare le dotazioni umane e materiali dell’Ispettorato, sia ad ampliarne la sfera di competenza.

In primo luogo, in attuazione del decreto-legge n.335 del 2000 (articolo 2), con cui sono stati disposti interventi per fronteggiare l’emergenza della BSE, il DPR n.278 del 2002 (previamente sottoposto al parere parlamentare) ha disposto la rideterminazione della dotazione organica dell’Ispettorato, in deroga alle disposizioni delle leggi finanziarie che di anno in anno avevano disposto la riduzione degli oneri di personale delle pubbliche amministrazioni, mentre il DM n.44 del 2003 (anch’esso sottoposto al previo parere parlamentare) ne ha disposto la riorganizzazione della struttura operativa (con particolare riguardo alla dislocazione logistica degli uffici) al fine di conseguire una più razionale presenza del personale a livello centrale e periferico, rivedendo altresì la rete dei laboratori (con l’istituzione di un laboratorio centrale con sede in Roma). Successivamente, con il decreto-legge n.16 del 2004 si è operato, sempre in deroga alle disposizioni sulla riduzione del personale delle P.A., un significativo incremento dell’organico dell’Ispettorato (239 unità), finalizzato in particolar modo a potenziare l’attività di contrasto alle frodi nel settore lattiero (v. capitolo Settore lattiero-caseario).

Per quanto concerne la sfera di attribuzioni dell’Ispettorato, l’articolo 18, commi 3 e 4, del decreto legislativo n.99 del 2004 (adottato in attuazione della legge-delega n.38 del 2003) (v. capitolo La legge-delega n.38 del 2003) ha previsto da un lato che l’AGEA (v. scheda Altri interventi - Agea) può avvalersi dell’ICRF (sulla base di una convenzione approvata dal MIPAF) per lo svolgimento di tutte le attività di controllo di propria competenza (essenzialmente sulle frodi relative agli aiuti comunitari), dall’altro che nelle materie di propria competenza l’Ispettorato può irrogare le sanzioni amministrative relative alle infrazioni accertate (incluse le violazioni in materia di etichettatura). Per quanto concerne, specificamente, l’attività di controllo, il decreto-legge n.22 del 2005 (articolo 1, comma 4-bis) ha riconosciuto all’Ispettorato una funzione di supporto nella gestione degli interventi per le crisi di mercato (v. capitolo La gestione dei rischi in agricoltura) attribuendogli il compito di predisporre programmi straordinari di controllo volti a contrastare fenomeni fraudolenti (autorizzando allo

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scopo anche l’assunzione di 11 dirigenti di seconda fascia). Il decreto-legge n.182 del 2005 (articolo 2) ha assegnato all’Ispettorato nuove competenze per il contrasto alla irregolare commercializzazione dei prodotti provenienti dall’estero e compiti vigilanza in merito alle attività di ritiro dal mercato, realizzate dall’AGEA (v. scheda Altri interventi - Agea), per finalità di utilità sociale (il provvedimento ha altresì disposto, a fronte dei crescenti compiti assunti dall’Ispettorato, che esso sia organizzato in struttura dipartimentale, articolata in due direzioni generali). Da ultimo, infine, il decreto-legge n.2 del 2006 (articolo 4) ha rimesso all’Ispettorato centrale repressione frodi (unitamente al Corpo forestale dello Stato) (v. capitolo Corpo forestale dello Stato) lo svolgimento dei controlli di competenza del Ministero delle politiche agricole e forestali concernenti gli aiuti comunitari erogati nel settore agricolo, secondo modalità da definire con successivo decreto ministeriale.

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ALTRI INTERVENTI IN MATERIA AGRICOLA

Altri interventi nei settori di competenza della Commissione agricoltura hanno avuto ad oggetto la disciplina fiscale e previdenziale, l’attività agromeccanica, i compiti e le funzioni dell’AGEA e dell’UNIRE, i consorzi agrari e i tartufi.

Per quanto concerne la disciplina fiscale (v. scheda Altri interventi - Agricoltura e fisco) si segnala in primo luogo il decreto legislativo n.99 del 2004, adottato in attuazione delle legge delega n.38 del 2003 (c.d. “collegato agricolo”) (v. capitolo La legge delega n.38 del 2003), che ha introdotto una serie di agevolazioni fiscali per promuovere l’imprenditoria professionale in agricoltura, favorire lo sviluppo della forma societaria, sostenere l’imprenditoria giovanile, incentivare la conservazione dell’integrità fondiaria e aziendale e promuovere la ricomposizione fondiaria, valorizzare il patrimonio edilizio degli agricoltori. Successivamente, il decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35 (articolo 10, comma 1, lettera b)) ha definitivamente esteso ai produttori agricoli (con volume d'affari superiore a 20.658,28 euro) l’applicazione del regime speciale forfetario IVA (regime era stato, peraltro, sempre prorogato dal 1998 fino a tutto il 2005), estendendolo anche alle attività connesse (nonché alle attività di fornitura di beni e servizi con risorse dell’azienda agricola), mentre è stata prorogata (da ultimo, al 31 dicembre 2006, dall’articolo 1, comma 118, della legge n.266 del 2005 - “Legge finanziaria per il 2006”) la riduzione dell’aliquota transitoria dell’IRAP.

Nel settore della previdenza agricola, il decreto legge n. 2 del 2006 ha previsto una serie di misure di carattere agevolativo, sia incidendo sulle modalità e sul quantum della contribuzione, sia disponendo la sospensione temporanea delle procedure di riscossione relative ai crediti contributivi (v. capitolo Agevolazioni contributive in agricoltura, nel dossier relativo alla Commissione Lavoro). Non è stata attuata, invece, la delega prevista dall’articolo 1, comma 5, della legge n.243 del 2004 (v. capitolo La riforma del sistema pensionistico, nel dossier relativo alla Commissione Lavoro), che conferiva al Governo il compito di adottare, nell'àmbito di testi unici generali sulla previdenza obbligatoria e complementare, “disposizioni per la semplificazione e la razionalizzazione delle norme previdenziali per il settore agricolo, secondo criteri omogenei a quelli adottati per gli altri settori produttivi e a quelli prevalentemente adottati a livello comunitario, nel rispetto delle sue specificità, anche con riferimento alle aree di particolare problematicità, rafforzando la rappresentanza delle organizzazioni professionali e sindacali nella gestione della previdenza, anche ristrutturandone l'assetto e provvedendo alla graduale sostituzione dei criteri induttivi per l'accertamento della manodopera impiegata con criteri oggettivi”.

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Per quanto concerne l’attività agromeccanica, il decreto legislativo n.99 del 2004, adottato in attuazione delle legge delega n.38 del 2003 (c.d. “collegato agricolo”) (v. capitolo La legge delega n.38 del 2003), ha introdotto nell’ordinamento una definizione giuridica di attività agromeccanica, mentre il decreto legislativo n.101 del 2005 (modificativo del decreto legislativo n.99 del 2004) ha introdotto una serie di agevolazioni, relativamente ai contratti di lavoro, all’attività di riparazione effettuata in proprio e all’attività di consulenza per la circolazione dei mezzi (v. scheda Altri interventi - Attività Agromeccanica).

Con diversi provvedimenti normativi sono stati ampliati competenze e funzioni dell’Agenzia per le erogazioni in agricoltura (AGEA) (v. scheda Altri interventi - Agea). In particolare, l’articolo 18 decreto legislativo n.99 del 2004, adottato in attuazione delle legge delega n.38 del 2003 (c.d. “collegato agricolo”) (v. capitolo La legge delega n.38 del 2003), ha rimesso all’AGEA, in qualità di organismo nazionale facente parte del sistema integrato di gestione e controllo nell’ambito della PAC, l’esercizio del controllo nei confronti dell’Agecontrol S.p.a., mentre l’articolo 14, comma 10, ha affidato all’AGEA la gestione del Sistema informativo agricolo nazionale (SIAN). Successivamente, il decreto-legge n.22 del 2005 e, da ultimo, il decreto-legge n.2 del 2006, hanno assegnato all’AGEA specifici compiti per gli interventi di “ritiro” dal mercato agricolo, volti al riassorbimento della temporanea sovracapacità produttiva e al riequilibrio del mercato.

Per quanto attiene all’Unione nazionale incremento razze equine (UNIRE) (v. scheda Altri interventi - UNIRE), sono stati attuati interventi per fronteggiare la crisi finanziaria dell’ente e in materia di scommesse ippiche (v capitolo Giuochi e scommesse, nel dossier relativo alla commissione Finanze). All’UNIRE, inoltre, è stato assegnato il compito di organizzare e gestire l’anagrafe equina (da inserire nell’ambito del SIAN).

In materia di Consorzi agrari sono state adottate, in particolare, norme per la proroga delle gestioni commissariali e per la rideterminazione degli organi incaricati della liquidazione dei consorzi (v. scheda Altri interventi - Consorzi agrari).

Per quanto concerne la raccolta e l’acquisto di tartufi, è stato introdotto un regime fiscale particolarmente favorevole, prevedendo l'obbligo dell’ autofatturazione per coloro che, nell'esercizio d’impresa, acquistano tartufi da raccoglitori dilettanti o occasionali privi di partita IVA (v. scheda Altri interventi - Tartufi).

Infine, merita segnalare la legge n.378 del 2003 (esaminata, in sede referente, dalla Commissione ambiente) che ha introdotto norme per la tutela e la valorizzazione dell'architettura rurale.

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PESCA E ACQUACOLTURA

Le politiche nazionali nel settore della pesca si sono sviluppate lungo due linee direttrici fondamentali.

Da un lato, lo stato allarmante di molti stock ittici, per i quali si è accertato il superamento del limite di sicurezza biologica, nonché la capacità di pesca delle flotte di vari Stati europei, di gran lunga superiore a quella necessaria a sfruttare in modo sostenibile le risorse alieutiche disponibili, hanno indotto una progressiva evoluzione della normativa comunitaria nel senso del miglioramento delle gestione delle risorse e della riduzione e ammodernamento delle flotte. A livello nazionale tale tendenza, assecondata in sede attuativa degli obblighi comunitari, si è caratterizzata peraltro per il tentativo di accompagnare i necessari processi di arresto temporaneo e riduzione delle attività di pesca, nonché di dismissione e riconversione produttiva, con misure di sostegno per gli operatori del settore.

Dall’altro lato, con i decreti legislativi n. 154 e 155 del 2004, nonché con il decreto legislativo n.100 del 2005, adottati in attuazione della delega conferita dalla legge n.38 del 2003 (c.d. “collegato agricolo”) (v. capitolo La legge delega n.38 del 2003), si è realizzata una vasta opera di ammodernamento del settore, attraverso un nuovo sistema di programmazione e gestione, la riforma degli organi collegiali di governo del comparto, il rafforzamento del ruolo regionale e l’introduzione di una nuova disciplina della pesca marittima.

Per quanto concerne le politiche di sostegno del settore, si segnalano gli interventi della legge finanziaria per il 2002 (legge n.448 del 2001, n.448, articolo 65) che prevede misure a favore delle imprese armatrici (contributi per investimenti finalizzati all’adeguamento delle navi alle nuove prescrizioni di sicurezza) e a tutela dell’occupazione del personale marittimo, nonché varie misure di accompagnamento sociale e di sostegno, in collegamento con l’interruzione temporanea dell’attività di pesca, le limitazioni all’utilizzo di determinati strumenti di pesca e gli interventi di conservazione delle risorse ittiche (legge n.448 del 2001, articolo 52, commi 81 e 82; decreto-legge n.342 del 2001, articolo 1; decreto-legge n.85 del 2002, articolo 2; decreto-legge n.16 del 2004, articolo 3, legge n.331 del 2004, articolo 1, commi 245 e 257).

Sul finire della legislatura, poi, è stato approvato il decreto-legge n.2 del 2006, che prevede importanti misure a favore del settore della pesca. Il provvedimento, in particolare, estende (sebbene in via sperimentale e limitatamente al 2006) agli imprenditori ittici esercenti attività di pesca marittima il regime forfetario per l’assolvimento dell’IVA previsto per gli imprenditori agricoli (v. scheda Altri interventi – Agricoltura e fisco), introduce una serie di misure di semplificazione per la gestione delle imprese di pesca, estende al settore della

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pesca la disciplina in materia di distretti produttivi (introdotta dalla legge finanziaria per il 2006, legge n.266 del 2005, articolo 1, commi 366-372) ( v. capitolo Nuova disciplina dei distretti produttivi, nel dossier relativo alla commissione Attività produttive) e costituisce un Fondo per la corresponsione di indennizzi a favore degli eredi dei pescatori deceduti in mare.

I provvedimenti di maggiore portata adottati nel corso della legislatura nel settore della pesca sono stati, tuttavia, i decreti legislativi nn. 153 e 154 del 2005 e n.100 del 2005.

Il decreto legislativo n.153 del 2004 disciplina l’attività di pesca marittima. In particolare, il provvedimento regola la licenza di pesca, introduce norme a tutela del novellame (in particolare sanzionando con la chiusura temporanea degli esercizi anche la sua commercializzazione) e regola l’attività di vigilanza e controllo.

Il decreto legislativo n.154 del 2004, che ha abrogato buona parte della normativa previgente, è in primo luogo intervenuto sugli organi e le procedure istituzionali di governo del settore. In particolare, è stato istituito il Tavolo azzurro, quale organo permanente di concertazione per la definizione della politica nazionale della pesca e dell’acquacoltura (coordinato dal Ministro delle politiche agricole e forestali, o dal Sottosegretario delegato, e composto da esponenti delle regioni e delle parti sociali e professionali) ed è stato riformato il procedimento per la programmazione di settore, definendo modalità di approvazione e contenuti del Programma nazionale triennale (che rimane lo strumento fondamentale di governo del settore); è stata prevista, quindi, l’istituzione da parte delle regioni delle Commissioni consultive locali per la pesca e l’acquacoltura e sono state ridefinite composizione e funzioni della Commissione consultiva centrale per la pesca e l’acquacoltura e del Comitato per la ricerca scientifica e tecnologica applicata alla pesca e all’acquacoltura (con il rafforzamento, in entrambi i casi, della componente regionale).

Il provvedimento ha poi ridefinito la figura giuridica dell’ imprenditore ittico (equiparandolo all’imprenditore agricolo) e delle attività connesse a quella di pesca (includendovi, in particolare, il pescaturismo e l’ittiturismo), ha disciplinato le misure di conservazione e gestione delle risorse ittiche, ha modificato il funzionamento del Fondo centrale per il credito peschereccio (chiamato a finanziare anche interventi regionali) e del Fondo di solidarietà nazionale (per l’erogazione di contributi a fronte di danni in caso di calamità naturali), nonchè dettato norme volte a promuovere la cooperazione e l’associazionismo. Il provvedimento, infine, rimanda a un accordo tra Stato e regioni la definizione dei criteri per lo svolgimento delle attività amministrative in materia di pesca.

Sempre in attuazione della delega conferita dalla legge n.38 del 2003 ”) (v. capitolo La legge delega n.38 del 2003), sulla materia è successivamente intervenuto il decreto legislativo n.100 del 2005, il quale ha in primo luogo novellato le disposizioni del decreto-legislativo n.154 del 2004 sul Fondo di

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solidarietà nazionale della pesca e dell’acquacoltura. Mutuando le corrispondenti norme introdotte per il settore dell’agricoltura dal decreto legislativo n.102 del 2004 (v. capitolo La gestione dei rischi in agricoltura), il provvedimento prevede, in particolare, che il Fondo finanzi, oltre a interventi compensativi, anche interventi preventivi, mediante la partecipazione dello Stato alle spese per la stipula di polizze assicurative da parte degli imprenditori ittici e dell’acquacoltura o delle relative associazioni. Il contributo dello Stato è erogato nel quadro del Programma assicurativo della pesca e dell’acquacoltura, definito annualmente dal Ministro delle politiche agricole e forestali, sentito il Tavolo azzurro, d’intesa con la Conferenza Stato-regioni e una apposita Commissione tecnica (il cui funzionamento sarà definito con successivo DM). Il contributo statale, concesso unicamente per i danni a produzioni e strutture non inserite nel Programma assicurativo, può arrivare fino all’80% del costo dei premi per contratti assicurativi che prevedono un risarcimento nel caso che il danno raggiunga il 20% della produzione nelle zone Obiettivo 1 e il 30% nelle altre zone. La procedura per l’accertamento dello stato di calamità può essere avviata anche dalle regioni. Per il pagamento degli interventi finanziari il Ministero può avvalersi anche delle regioni o delle Capitanerie di porto.

Il decreto estende poi al settore ittico il regime di aiuti e le misure di sostegno della filiera agricola previsti dall’articolo 66 della legge n.289 del 2002 (v. capitolo Le filiere agroalimentari), istituisce presso il Ministero delle politiche agricole e forestali il Reparto pesca marittima del Corpo delle Capitanerie di porto (al fine di migliorare l’attività di vigilanza e controllo della pesca marittima) e prevede lo “slittamento” di un anno (2006-2008) del Programma nazionale triennale della pesca e dell’acquacoltura.

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CACCIA

Nel settore della caccia è stato approvato un unico provvedimento di rilievo, ossia la legge n.224 del 2002, che ha disciplinato l’esercizio da parte delle regioni delle deroghe di cui all’articolo 9 della direttiva n.79/409/CEE sulla protezione degli uccelli selvatici.

L'articolo 9 della direttiva 79/409/CEE prevede che, sempre che non vi siano altre soluzioni soddisfacenti, gli Stati membri possono derogare ai divieti di caccia stabiliti dalla direttiva medesima in casi particolari, tassativamente stabiliti, e nel rispetto di specifiche condizioni, volte a garantire che la caccia avvenga entro limiti precisi e in presenza di adeguati controlli. Tale disposizione, tuttavia, non ha trovato un'applicazione dettagliata con la legge n.157 del 1992 sulla caccia, dando vita ad una lunga serie di conflitti tra lo Stato e le regioni in merito alla titolarità del potere di disciplina delle deroghe e ad un contenzioso con la Comunità europea per la mancata applicazione della norma comunitaria. Il conflitto è stato definitivamente risolto dalla Corte costituzionale (sentenza n.169 del 1999), la quale ha sancito che la direttiva comunitaria richiede, per la sua concreta attuazione nell’ordinamento interno, una legge nazionale che valuti e ponderi i vari interessi che vengono in rilievo (v. scheda Caccia - Le deroghe regionali).

A colmare il vuoto legislativo è intervenuta, pertanto, la legge n.224 del 2002, che ha introdotto l’articolo 19-bis della legge n.157 del 1992. Nel rimettere alle regioni la disciplina delle deroghe previste dall’articolo 9 della direttiva n.79/409/CEE, la legge prevede in particolare che le deroghe, in assenza di altre soluzioni soddisfacenti, devono menzionare le specie che ne formano oggetto, i mezzi, gli impianti e i metodi di prelievo autorizzati, le condizioni di rischio, le circostanze di tempo e di luogo del prelievo, il numero dei capi giornalmente e complessivamente prelevabili nel periodo, i controlli e le forme di vigilanza cui il prelievo è soggetto e gli organi incaricati della stessa. I soggetti abilitati al prelievo in deroga vengono individuati dalle regioni, d'intesa con gli àmbiti territoriali di caccia (ATC) ed i comprensori alpini. Le deroghe sono applicate per periodi determinati, sentito l'Istituto nazionale per la fauna selvatica (INFS), o gli istituti riconosciuti a livello regionale, e non possono avere comunque ad oggetto specie la cui consistenza numerica sia in grave diminuzione. Il Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per gli affari regionali, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, previa delibera del Consiglio dei Ministri, può annullare, dopo aver diffidato la regione interessata, i provvedimenti di deroga da questa posti in essere in violazione delle disposizioni della legge n.157 del 1992 e della direttiva n.79/409/CEE. Infine, è previsto che entro il 30 giugno di ogni anno, ciascuna regione trasmetta al Presidente del

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Consiglio dei Ministri, ovvero al Ministro per gli affari regionali ove nominato, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, al Ministro delle politiche agricole e forestali, al Ministro per le politiche comunitarie, all'Istituto nazionale per la fauna selvatica (INFS) e alle competenti Commissioni parlamentari, una relazione sull'attuazione delle deroghe, sulla base della quale il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio redige la relazione che lo Stato è tenuto a trasmettere annualmente alla Commissione europea sull’attuazione delle deroghe.

Per quanto concerne i provvedimenti non divenuti legge, merita segnalare in primo luogo che la Commissione agricoltura della Camera, a conclusione di un lungo ed elaborato esame (che ha visto anche lo svolgimento, tra marzo e settembre 2003, di una indagine conoscitiva), ha approvato in sede referente un testo normativo (frutto dell’abbinamento di ben 13 proposte di legge, tutte di iniziativa parlamentare) di riforma della legge n.157 del 1992 sulla caccia. Il testo trasmesso all’Assemblea (AC 27-A) era volto, nell’intenzione dei proponenti, ad “aggiornare” la normativa vigente, al fine di tenere conto dell’evoluzione normativa a livello comunitario, del nuovo ruolo assunto dalle regioni a seguito della modifica del Titolo V della Costituzione e delle nuove dimensioni del fenomeno della caccia nel nostro Paese (che si è assai ridotto nell’ultimo decennio). Anche a causa della forte opposizione di numerosi gruppi di minoranza, le cui critiche erano rivolte in particolare all’allungamento dei calendari venatori e all’inserimento di nuove specie cacciabili, l’Assemblea della Camera si è limitata ad avviare l’esame del provvedimento (il 17 marzo 2005), senza giungere a concluderlo entro la fine della legislatura.

La Commissione agricoltura ha inoltre concluso l’esame di un provvedimento sull’esercizio della caccia con il falco, volto ad escludere la necessità di conseguire la licenza per il porto d’armi e a riconoscere e valorizzare l’attività di falconeria negli scali aeroportuali. Il provvedimento è stato esaminato dall’Assemblea della Camera, che lo ha approvato e trasmesso al Senato l’8 marzo 2005 (AS 3334)

La Commissione agricoltura, infine, ha concluso l’esame di alcune proposte di legge volte a escludere le nutrie dall’ambito di tutela della fauna selvatica e a consentirne il libero abbattimento, al fine di contenere i disagi prodotti dalla crescente popolazione di tale specie in alcune aree del nostro Paese. L’assemblea della Camera non ha tuttavia avviato l’esame del provvedimento (AC 3146-A).

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QUESTIONI ALL’ESAME DELL’UNIONE EUROPEA

Riforma della PAC Il 19 ottobre 2005 la Commissione europea ha presentato una

comunicazione dal titolo “Semplificare e meglio legiferare nel quadro della politica agricola comune” (COM(2005)509), con la quale presenta sia nuove misure “orizzontali” (volte ad armonizzare i meccanismi di gestione ed a sopprimere atti giuridici considerati obsoleti), sia nuove misure “politiche” come il riesame del settore dell’agricoltura biologica, degli ortofrutticoli ed entro il 2006 dell’organizzazione comune dei mercati (OMC) del settore vitivinicolo. Il dibattito sulla comunicazione, con i suggerimenti degli Stati membri, sarà utilizzato dalla Commissione per la messa a punto di un piano d’azione per la PAC che verrà presentato nel corso del 2006.

Sulla comunicazione della Commissione, che deve ancora essere esaminata dal Parlamento europeo, il Consiglio agricoltura ha approvato conclusioni il 20 dicembre 2005 in cui, in particolare, sottolinea la necessità che la semplificazione tecnica riduca gli oneri amministrativi connessi alla normativa (e non solo il volume di questa).

Il 2 dicembre 2005 il Governo britannico ha presentato il documento “A vision for the Common Agricultural Policy”, con il quale presenta le sue riflessioni sul futuro della politica agricola europea. Sulla base di un giudizio fortemente negativo sui costi elevati che l’attuale PAC impone a consumatori e contribuenti, vengono prospettate una serie di linee di riforma da attuare nell’arco del prossimo quindicennio.

Nella riunione del Consiglio agricoltura del 20 marzo 2006, dodici paesi dell’UE (Italia, Francia, Grecia, Spagna, Irlanda, Cipro, Lituania, Lussemburgo, Ungheria, Polonia, Portogallo, e Slovenia) hanno presentato un “Memorandum sull’applicazione e il futuro della politica agricola comune (PAC) riformata” con il quale precisano la loro posizione su alcuni elementi del dibattito in corso sul futuro dell’agricoltura europea.

L'8 febbraio 2006 la Commissione ha presentato un progetto di regolamento della Commissione, finalizzato ad un riordino del vigente regolamento sull'esenzione degli aiuti di Stato a favore delle piccole e medie imprese agricole. Scopo della proposta è di semplificare la normativa sugli aiuti di Stato all'agricoltura e di agevolare gli aiuti di emergenza.

Pesca Il 14 luglio 2004, la Commissione ha presentato una proposta di

regolamento sul nuovo Fondo europeo per la pesca (FEP) (COM(2004)497).

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In base alla proposta, il FEP non farà più parte dei fondi strutturali, diversamente dall’attuale strumento finanziario di orientamento della pesca (SFOP); conseguentemente la base giuridica del nuovo Fondo sarà costituita dall’art. 37 del Trattato CE e non più dalle disposizioni del Trattato in materia di politica di coesione economica e sociale. Il FEP dunque sostituirà lo SFOP dal 1° gennaio 2007 e coprirà il nuovo periodo di programmazione finanziaria 2007-2013.

Il 6 luglio 2005, la proposta è stata esaminata, nell’ambito della procedura di consultazione, dal Parlamento europeo che l’ha approvata con emendamenti. La proposta è in attesa di essere approvata dal Consiglio.

Il 9 marzo 2006 la Commissione ha presentato una comunicazione sulle strategie volte a migliorare la situazione economica del settore della pesca (COM(2006)103), segnato attualmente da una crisi aggravata dai recenti aumenti del prezzo del carburante. Le misure proposte, relative a interventi sia a breve che a più lungo termine, comprendono anche aiuti al salvataggio e alla ristrutturazione dei pescherecci.

La comunicazione è in attesa di essere esaminata dal Parlamento europeo. Il Consiglio ne ha iniziato la discussione il 25 aprile 2006.

La Commissione europea ha presentato nel 2003 una proposta di regolamento relativa alle misure di gestione per lo sfruttamento sostenibile delle risorse della pesca nel Mar Mediterraneo (COM(2003)589).

Il 9 giugno 2005 il Parlamento europeo ha esaminato la proposta, nell’ambito della procedura di consultazione, approvandola con emendamenti. La proposta è in attesa di essere approvata dal Consiglio.

Salute e benessere degli animali Il 23 gennaio 2006, la Commissione europea ha presentato una

comunicazione su un programma d’azione comunitario per la protezione ed il benessere degli animali 2006-2010 (COM(2006)13) nella quale vengono individuate le principali aree di intervento in cui concentrare le iniziative.

Sulla comunicazione, che è in attesa di essere esaminata dal Parlamento europeo, il Consiglio ha svolto una prima discussione il 20 febbraio 2006.

Il 30 maggio 2005 la Commissione ha presentato una proposta di direttiva che stabilisce norme minime per la protezione dei polli allevati per la produzione di carne e le misure relative ad un eventuale regime comunitario in materia di etichettatura della carne di pollo (COM(2005)221).

Il 14 febbraio 2006 il Parlamento europeo ha esaminato la proposta, nell’ambito della procedura di consultazione, approvandola con emendamenti.

Biocarburanti Il 7 dicembre 2005, la Commissione ha presentato una comunicazione

relativa ad un Piano d’azione per la biomassa (COM(2005)628), con la quale

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vengono illustrate alcune misure volte a: intensificare lo sviluppo di energia dalla biomassa ricavata dal legno, dai rifiuti e dalle colture agricole, comprese le barbabietole, al fine di promuovere i biocarburanti nell’UE; avviare i preparativi per un uso su vasta scala dei biocarburanti; sostenere i paesi in via di sviluppo in cui la produzione di biocarburanti potrebbe promuovere una crescita economica sostenibile.

Il 23 gennaio 2006 il Consiglio agricoltura ha svolto un primo dibattito sulla comunicazione nel corso del quale la maggior parte delle delegazioni ha sottolineato l’impatto positivo dell’utilizzo dei biocarburanti soprattutto dal punto di vista della dipendenza dell’UE dalle energie fossili. Alcune delegazioni hanno suggerito di incrementare il livello del premio per le colture energetiche. Il 23 marzo 2006 il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione con la quale appoggia la promozione dello sfruttamento di colture per scopi energetici.

A completamento del piano d’azione per la biomassa, l’ 8 febbraio 2006 la Commissione ha presentato una comunicazione sulla strategia comunitaria per la promozione dei biocarburanti (COM(2006)34), volta ad incentivare la produzione di combustibili da materie prime agricole. Nel documento vengono stabilite le direttrici principali delle misure che la Commissione intende adottare per promuovere i biocarburanti: incentivare la domanda di biocarburanti, sfruttare i benefici ambientali, sviluppare la produzione e la distribuzione dei biocarburanti, ampliare la fornitura di materie prime, potenziare le opportunità commerciali, sostenere i paesi in via di sviluppo, sostenere la ricerca nel settore.

Sulla comunicazione, che è in attesa di essere esaminata dal Parlamento europeo, il Consiglio ha iniziato una prima discussione il 20 febbraio 2006.

Prospettive finanziarie dell’UE 2007-2013

Le prospettive finanziarie stabiliscono, in relazione alle priorità politiche da esse individuate, il quadro delle grandi categorie di spesa del bilancio dell’Unione europea, indicando il massimale e la composizione delle spese prevedibili per ogni categoria nell’intero periodo di riferimento e in ciascuno degli anni in esso ricompresi. L’adozione delle prospettive finanziarie, che non è espressamente prevista dal Trattato CE, è operata - a partire dal 1988 - mediante la conclusione di un accordo interistituzionale tra Parlamento europeo, Consiglio e Commissione.

Le risorse proprie sono i mezzi di finanziamento dell’Unione. Il Consiglio, deliberando all’unanimità su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento europeo, stabilisce le disposizioni relative al sistema delle risorse proprie della Comunità di cui raccomanda l’adozione da parte degli Stati membri, in conformità delle loro rispettive norme costituzionali.

L'accordo sulle prospettive finanziarie e la decisione sulle risorse proprie in vigore sono state adottate per il periodo 2000-2006 e scadono il 31 dicembre 2006.

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Il 4 aprile 2006 Parlamento europeo, Consiglio dell'UE e Commissione

europea hanno raggiunto un accordo sulle prospettive finanziarie e sulle risorse proprie 2007-2013, al termine di un negoziato complesso, caratterizzato da forti divergenze tra istituzioni europee e soprattutto tra Stati membri in merito al volume complessivo del bilancio dell’UE, nonché alle priorità politiche e ai relativi stanziamenti. L’intesa dovrà ora essere trasfusa in un accordo interistituzionale approvato formalmente dalle tre istituzioni.

L’accordo prevede un massimale complessivo di spesa dell’1,048% del reddito nazionale lordo (RNL) europeo in stanziamenti di impegno (pari a 864,316 miliardi di euro) e dell' 1% in stanziamenti di pagamento (pari a 820,780 miliardi di euro).

Il Consiglio europeo del 15-16 dicembre 2005 aveva concordato un massimale in stanziamenti di impegno dello 1,045% del RNL europeo (pari a 862,4 miliardi di euro), rispetto all'1,24 (pari a 1025 miliardi di euro) proposto originariamente dalla Commissione e all'1,18% (pari a 974,8 miliardi di euro) richiesto dal Parlamento europeo.

L'accordo del 4 aprile 2006 prevede inoltre, alla fine del 2009, una verifica

intermedia del funzionamento delle prospettive finanziarie da parte della Commissione europea, cui dovrà essere associato il Parlamento europeo.

La Camera dei deputati ha seguito attivamente e costantemente il negoziato sulle prospettive finanziarie 2007-2013, attraverso diversi strumenti e procedure.

In particolare, le Commissioni V e XIV hanno svolto a partire da marzo 2004 un’indagine conoscitiva sulle prospettive finanziarie e sulla politica di coesione.

Specifici impegni al Governo in merito al negoziato sulle prospettive finanziarie sono inoltre contenuti nelle risoluzioni approvate dalla Camera in esito all’esame delle relazioni sulla partecipazione dell’Italia all’Unione europea per l’anno 2003 e per l’anno 2004, nonché nella risoluzione approvata a conclusione dell’esame del programma di lavoro per il 2005 della Commissione europea e del programma operativo annuale per il 2005 del Consiglio.

Le questioni relative alle prospettive finanziarie 2007-2013 hanno inoltre costituito oggetto di approfondimento nell’ambito di riunioni ed incontri interparlamentari cui hanno partecipato delegazioni della Camera dei deputati.

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Schede di approfondimento

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Politica agricola comune (PAC)

Il 26 giugno 2003 i Ministri europei dell’agricoltura hanno approvato una radicale riforma della politica agricola comune (PAC). Le nuove regole sono dettate dal regolamento CE n. 1782/2003 del 29 settembre 2003 e dai suoi provvedimenti applicativi (il Regolamento CE n. 795/2004 e il Regolamento CE n.796/2004)

In sintesi, gli elementi di novità della nuova disciplina della politica agricola comune sono:

a) Il disaccoppiamento dei pagamenti diretti.

Il disaccoppiamento1 si traduce nel pagamento unico per azienda, non più legato alla produzione, che sostituisce la maggior parte degli aiuti relativi alle differenti OCM ed è determinato sulla base di un periodo di riferimento (2000-2002). Gli Stati membri che ritengono necessario minimizzare il rischio di abbandono delle terre possono mantenere legato alla produzione il 25 per cento del pagamento relativo al settore delle colture arabili; in alternativa, potrà rimanere legato alla produzione il 40 per cento dell'aiuto supplementare per il grano duro. Per il settore della carne bovina gli Stati membri possono mantenere in alternativa l'intero premio alla vacca nutrice e il 40 per cento del premio per ogni capo abbattuto oppure l'intero premio per ogni capo abbattuto e il 75 per cento del premio per singolo bovino maschio. Inoltre il 50 per cento del premio per ovini e caprini (incluso il premio supplementare per aree meno favorite) potrà rimanere legato alla produzione. I pagamenti per il settore del latte saranno inclusi nel pagamento unico a partire dal 2008, dopo l'applicazione integrale della riforma del settore lattiero, a meno che i singoli Stati non ne decidano l'anticipazione. Gli Stati membri potranno decidere un pagamento addizionale del 10 per cento per incoraggiare specifici settori importanti per l'ambiente, la produzione di qualità e il mercato. Il nuovo sistema è entrato in vigore il 1 gennaio 2005, con la possibilità per i singoli Stati membri di applicare un periodo di transizione fino al 1 gennaio 2007.

b) La condizionalità degli aiuti.

Il pagamento degli aiuti è condizionato al rispetto di alcuni parametri relativi al rispetto dell'ambiente, alla sicurezza alimentare, alla salute e benessere degli

1 Il disaccoppiamento è uno strumento che slega totalmente l’aiuto comunitario dalla produzione

e che conferisce all’imprenditore una maggiore libertà d’azione, in quanto le scelte colturali non sono condizionate, come in passato, dalla preferenza di colture con un premio più alto, ma rispondono unicamente a regole di mercato.

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animali. In caso di non rispetto di tali parametri i pagamenti sono ridotti in proporzione al rischio o danno relativo.

c) Un sistema di consulenza aziendale.

Gli Stati membri hanno la facoltà, fino al 2006, di istituire un sistema di consulenza agricola, che dal 2007 diventa obbligatorio pur restando volontaria l'adesione delle aziende. Dal 2010 tale sistema potrebbe divenire obbligatorio anche per le aziende, sulla base di un rapporto della Commissione.

d) Il rafforzamento dello sviluppo rurale.

Sono stati introdotti incentivi di pagamento, per un ammontare massimo di 3000 euro per azienda, pagabili annualmente per un massimo di cinque anni, a favore degli agricoltori che partecipano a programmi finalizzati al miglioramento della qualità dei prodotti agricoli e dei processi di produzione. I gruppi di produttori che partecipano a progetti volti all'informazione dei consumatori e alla promozione di prodotti di qualità beneficeranno di un supporto pari fino al 70 per cento dei costi del progetto. Sostegni economici temporanei pagabili fino ad un massimo di cinque anni saranno destinati agli agricoltori per aiutarli ad adattarsi alle nuove norme, sopportare le spese relative al ricorso ai servizi di consulenza agricola, impegnarsi a migliorare il benessere dei loro animali da allevamento. Sono stati inoltre aumentati gli aiuti per finanziare gli investimenti dei giovani agricoltori.

e) La modulazione degli aiuti.

Per finanziare le misure supplementari relative allo sviluppo rurale, i pagamenti diretti alle grandi aziende (quelle che percepiscono aiuti per somme maggiori ai 5.000 euro per anno) sono ridotti (modulazione degli aiuti) come segue: 2005: 3 per cento; 2006: 4 per cento; 2007: 5 per cento; dal 2008 al 2013: 5 per cento. Le regioni ultraperiferiche sono esentate dalla modulazione. Una quota pari all'1 per cento dei fondi così risparmiati viene destinata agli Stati membri dove la quota è stata disimpegnata, mentre il resto viene ripartito tra gli Stati membri sulla base di criteri relativi alle superfici agricole, all'occupazione e al PIL per abitante in termini di potere di acquisto.

Per quanto concerne le singole Organizzazioni comuni di mercato (OCM) la riforma ha stabilito:

1. Seminativi.

Per i cereali è stato mantenuto il precedente prezzo di intervento ma le maggiorazioni mensili sono state ridotte del 50 per cento. Per le colture

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energetiche è stato istituito un aiuto di 45 euro/ettaro per un massimo di 1.500.000 ettari. L'aiuto viene concesso solo per le superfici la cui produzione costituisce oggetto di un contratto tra agricoltore e industria di trasformazione, salvo che l'agricoltore non si incarichi direttamente della trasformazione. Il supplemento per il grano nelle zone di produzione tradizionale viene pagato indipendentemente dalla produzione. Gli Stati membri possono decidere di mantenere il legame con la produzione fino ad un massimo del 40 per cento (»disaccoppiamento parziale»). Il supplemento, integrato nel pagamento unico per azienda, è fissato a 313 euro/ettaro nel 2004, 290,9 euro/ettaro nel 2005 e a 285 euro/ettaro dal 2006. Nelle altre regioni dove la produzione del grano duro è incoraggiata, l'aiuto specifico sarà progressivamente eliminato. Un nuovo premio di 40 euro/ettaro è stato introdotto per migliorare la qualità del grano duro da utilizzare per semole e paste alimentari, versato agli agricoltori che nelle zone di produzione tradizionale utilizzano una quantità determinata di semenze certificate di varietà selezionate. Per le patate da fecola il 40 per cento del pagamento precedentemente versato ai produttori è stato incluso nel pagamento unico per azienda sulla base delle serie storiche. L'altra parte rimane come pagamento specifico. Per i foraggi secchi l'aiuto diretto ai produttori è stato integrato nel pagamento unico per azienda sulla base delle serie storiche. Il livello dell'aiuto alla trasformazione è stato fissato a 33 euro/tonnellata. Nel 2008 la Commissione presenterà un rapporto e, in caso di necessità, le relative proposte.

2. Riso.

Per il riso è stata prevista la riduzione del 50 per cento del prezzo di intervento, che viene portato a 150 euro/tonnellata. L'intervento è limitato a 75 mila tonnellate per anno. L'aiuto diretto precedentemente previsto è stato portato da 52 a 177 euro/tonnellata (di questi, 102 euro/tonnellata sono integrati nel pagamento unico per azienda e versati sulla base dei diritti storici nei limiti dell'attuale superficie massima garantita; i 75 euro/tonnellata restanti, moltiplicati per il rendimento stabilito conformemente alla riforma del 1995, sono invece pagati come aiuto specifico).

3. Frutta a guscio.

E’ stato introdotto un pagamento forfettario annuo comunitario di 120,75 euro/ettaro per una superficie di 800 mila ettari suddivisi in superfici nazionali garantite fisse per mandorle, nocciole, noci, pistacchi e carrube. Il cofinanziamento nazionale è stato confermato sino ad un massimo di ulteriori 120,75 euro/ettaro.

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4. Latte e prodotti lattiero-caseari.

Il regime delle quote latte è stato prorogato fino alla campagna 2014-15. Il prezzo di intervento per il burro sarà stato ridotto del 25 per cento entro il 2007 mentre quello del latte scremato in polvere sarà ridotto del 15 per cento entro il 2006. Il pagamento unico per azienda non si applicherà al settore se non quando la riforma sarà messa totalmente in opera, salvo anticipazioni decise dagli Stati membri.

Alla riforma della politica agricola comune (PAC) è stata data attuazione nell’ordinamento interno con il DM 5 agosto 2004.

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Agricoltura e negoziati OMC

Il WTO (World Trade Organization), in italiano OMC (Organizzazione Mondiale per il Commercio), costituisce ormai l’ordinamento giuridico del commercio internazionale, in continua espansione per quanto riguarda competenze e materie. Il WTO, nata formalmente il 1° aprile 1995, rappresenta l’esito dei negoziati denominati Uruguay round svoltisi dal 1986 al 1994.

Il settore agricolo è stato recuperato alla disciplina multilaterale degli scambi commerciali solo a partire dal 1992, nell’ambito dell’Uruguay round. Determinante fu l’intesa raggiunta a riguardo tra Comunità europea e Stati Uniti. Per quanto riguarda l’accesso ai mercati fu deciso di sostituire le molteplici misure sino ad allora applicate con dazi doganali sui quali applicare progressive riduzioni attraverso il sistema delle liste di concessioni. Una clausola transitoria consente misure di salvaguardia speciale per prevenire aumenti abnormi delle importazioni di singoli prodotti. Le misure interne di sostegno sono state aggregate in tre diverse scatole (box): la Green box, relativa ai provvedimenti che gli Stati possono liberamente adottare (a favore della ricerca, della sanità, delle infrastrutture, per limitare la produzione), la Blue Box, relativa ad aiuti a programmi di riduzione della produzione ritenuti ammissibili e la Yellow (o Amber) Box, il cui valore globale deve essere oggetto di riduzioni progressive specificate nelle liste di concessione.

Il settore è caratterizzato dai seguenti fenomeni: tariffazione sporca (sovrastima degli effetti distorsivi delle misure di sostegno che comportano la fissazione di dazi enormemente elevati); dispersione tariffaria (mantenimento su alcuni prodotti di megatariffe che rendono poco significative le riduzioni); clausola di pace (una norma transitoria scaduta nel 2003 impegnava i Membri a non intentare azioni nei confronti delle misure di sostegno).

La quarta Conferenza ministeriale dell’Organizzazione mondiale del commercio si è svolta a Doha, in Qatar, dal 9 al 14 novembre del 2001.

L’obiettivo della Conferenza era “lanciare” - e non “concludere” - un negoziato commerciale diretto a consentire una maggiore apertura dei mercati e un rinnovato sistema di regole multilaterali per sostenere e rilanciare gli scambi mondiali.

La Conferenza ministeriale, nella conclusiva seduta del 14 novembre, ha approvato, per consenso, i seguenti documenti:

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1. la Dichiarazione ministeriale (Ministerial Declaration). Si tratta del documento principale, che avvia i negoziati precisandone l’oggetto, i tempi e le finalità;

2. la Dichiarazione sulla proprietà intellettuale e la salute pubblica (Declaration on the TRIPS Agreement and Public Health). Il documento ha lo scopo di proporre una mediazione tra la tutela dei brevetti in campo farmaceutico e le esigenze sanitarie dei Paesi più poveri;

3. la Decisione sull’attuazione (la cosiddetta implementation: - Decision on Implementation-Related Issues and Concerns). E’ diretta ad affrontare le problematiche che impediscono ai Paesi in via di sviluppo di partecipare pienamente alle dinamiche del WTO, sfruttandone i vantaggi.

Il programma di lavoro delineato nella Dichiarazione di Doha - comunemente indicato come Agenda di Doha per lo sviluppo in quanto pone le esigenze dei Paesi in via di sviluppo e di quelli meno avanzati al centro dei suoi obiettivi - enumera 21 questioni oggetto di futuri negoziati o di lavori e stabilisce un calendario per ciascun settore. Va rilevato tuttavia che tale calendario non è stato rispettato: i negoziati previsti sono considerati infatti come facenti parte di un unico impegno che avrebbe dovuto essere finalizzato entro il 1° gennaio 2005. Fanno eccezione i capitoli relativi alla soluzione delle controversie, che avrebbe dovuto concludersi entro maggio 2003, e al sistema di registrazione delle indicazioni geografiche dei vini e degli spiriti, che avrebbe dovuto essere finalizzato nell’ambito della V Conferenza ministeriale, tenutasi a Cancún dal 10 al 14 settembre 2003.

Nei due anni scarsi intercorsi tra la Conferenza di Doha e quella di Cancún i negoziati e, più in generale, il dibattito in seno all’OMC hanno avuto ad oggetto l’agricoltura; l’accesso ai mercati dei prodotti non agricoli; il problema dei diritti di proprietà intellettuale sulle invenzioni farmaceutiche, con decisive conseguenze sulle possibilità di cura, nei Paesi meno avanzati, di gravi pandemie in atto; i cosiddetti “temi di Singapore”, lanciati appunto nella I Conferenza ministeriale ivi tenutasi nel 1996, ossia investimenti, appalti pubblici, concorrenza e agevolazioni doganali al commercio.

Nel settore agricolo, a Doha è stato riconsiderato l’Agricultural Agreement, concluso nel 1995 nell’ambito dell’Uruguay Round, con il duplice ma convergente obiettivo di ridurre tanto i sussidi alle esportazioni quanto le barriere in entrata aventi effetti distorsivi del commercio. E’ inoltre emerso il tema del commercio di cotone, con la richiesta pressante di numerosi Paesi dell’Africa occidentale di una riduzione dei rilevanti sussidi che gli Stati Uniti concedono ai propri produttori.

Oramai nell’imminenza di Cancún, USA e Unione europea hanno presentato una proposta congiunta mirante a fornire una base negoziale sui punti più critici,

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subito criticata dai Paesi africani, e poi, con maggiore incisività politica, controbilanciata dalle indicazioni dei Paesi del G20 (tra i quali Brasile, India, Cina, Egitto, Indonesia, Messico, Nigeria, Sudafrica, Pakistan), che spingevano per una radicale diminuzione delle forme di sussidio interno e di aiuti all’esportazione nei Paesi sviluppati, richiedendo nel contempo di poter conservare un’elevata protezione dei propri mercati interni.

Nonostante questi incoraggianti sviluppi, il Vertice di Cancún si è concluso con un fallimento, dovuto essenzialmente all’opposizione del G20, il gruppo di PVS guidati da Brasile, India e Cina, alla politica dei sussidi agricoli degli USA e dell'UE – le cui aperture sono state ritenute del tutto insufficienti -, nonché al secco rifiuto della bozza finale di documento dei quattro paesi del cotone: Ciad, Mali, Burkina Faso e Benin.

Dopo il fallimento della V Conferenza ministeriale di Cancún del settembre 2003, il 31 luglio 2004 l’Organizzazione mondiale del commercio, riunita a Ginevra, ha raggiunto un accordo quadro (c.d. July Package), adottato formalmente dal Consiglio generale dell’organizzazione il 1° agosto, che, al fine di agevolare la conclusione del round negoziale di Doha, definisce i parametri per le future trattative in cinque aree chiave: agricoltura, prodotti industriali, sviluppo, facilitazioni commerciali e servizi.

L’accordo contiene una serie di specifiche linee guida per il negoziato nel settore agricolo, che riveste particolare importanza per l’UE. Il negoziato si articola su tre pilastri interdipendenti: il sostegno interno, il sostegno alle esportazioni e l’accesso ai mercati.

Sugli aiuti agricoli è stata concordata una forte riduzione del livello generale degli aiuti interni previsti dalle tre “scatole” e in particolare di quelli che hanno un forte effetto distorsivo sugli scambi, inclusi nella cosiddetta “scatola gialla” o amber box. In tal modo sono state sostanzialmente accolte le richieste dell’UE, che ha ottenuto, per un verso, il riconoscimento delle misure adottate al riguardo con la recente riforma della politica agricola comune (PAC), e per altro verso, l’impegno di altri paesi sviluppati (tra cui gli Stati Uniti) a rivedere la loro normativa in materia. Nel corso del primo anno di messa in opera dell’accordo tali aiuti saranno complessivamente ridotti inizialmente del 20% (cosiddetto down payment: è la riduzione più rilevante tra quelle applicate su un periodo di sei anni dopo l’Uruguay Round). Il sostegno identificato dalla cosiddetta “scatola blu” non potrà superare il 5% del valore della produzione agricola, non essendo prevista nessuna riduzione supplementare. Gli aiuti relativi alla “scatola verde” resteranno inalterati, non avendo alcun effetto distorsivo del commercio. Sarà negoziata la riduzione (invece che abolita, come chiedeva l’UE per i paesi sviluppati) della clausola “de minimis”, che consente una deroga ai limiti imposti agli aiuti agricoli (nella misura del 5 per cento del valore dei singoli settori per i PS e del 10 per cento per i PVS: ciò comporta che se gli aiuti di ciascun settore

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non superano le percentuali indicate, riferite al valore complessivo di quel settore, sono compatibili con il sistema del WTO).

Sul sostegno alle esportazioni, accogliendo parzialmente la richieste dell’UE di assicurare un trattamento omogeneo per tutte le forme di sostegno alle esportazioni, è stata convenuta l’eliminazione (entro una data ancora da concordare) delle sovvenzioni alle esportazioni, dei crediti all’esportazione, delle garanzie di credito e dei programmi di assicurazione con un programma di rimborso superiore a 180 giorni. I crediti all’esportazione, le garanzie di credito e i programmi di assicurazione con un programma di rimborso inferiore a 180 giorni saranno disciplinati da particolari regole relative alle sovvenzioni o a qualsiasi altro elemento avente un effetto distorsivo sugli scambi. Inoltre saranno soppresse le pratiche distorsive degli scambi per quanto riguarda le imprese commerciali di Stato esportatrici di prodotti agricoli.

Per quanto riguarda l’aiuto alimentare accordato alle popolazioni in stato di bisogno, saranno previste delle misure specifiche in caso di abuso. La questione della fornitura di un aiuto alimentare esclusivamente a titolo di donazione sarà trattata nel prosieguo dei negoziati.

Sull’apertura dei mercati agricoli, i diritti doganali saranno ridotti con un approccio per fasce secondo un metodo unico per cui a diritti più elevati corrisponderanno riduzioni più rilevanti. L’accordo, tenendo conto delle preoccupazioni dell’UE circa i prodotti “sensibili,” consente a ciascuno Stato di selezionare un numero appropriato di tali prodotti, che potranno essere trattati in maniera più elastica sotto il profilo tariffario. Impegno a ridurre il fenomeno della tariff escalation (le tariffe tendono a risultare più elevate al crescere del valore aggiunto dei prodotti).

Tutti i Paesi in via di sviluppo beneficeranno in via sistematica di un trattamento speciale e differenziato grazie ad una serie di misure quali: periodi di messa in opera più lunghi per tutti gli accordi, riduzioni minime dei diritti di dogana e delle sovvenzioni, trattamento particolare in materia di apertura dei mercati per una serie di “prodotti speciali” (per rimediare ai problemi di sicurezza alimentare, di sussistenza e di sviluppo rurale), liberalizzazione completa dei prodotti tropicali.

I Paesi meno avanzati non saranno tenuti ad assumere impegni per abbassare i diritti di dogana o gli aiuti agricoli. Inoltre, i paesi sviluppati e i PVS che ne hanno la capacità, dovranno permettere ai prodotti di tali paesi di accedere ai loro mercati in franchigia di dogana e senza contingentamenti.

L’accordo concluso a Ginevra riconosce l’importanza vitale del cotone per un certo numero di paesi in via di sviluppo e stabilisce che nel prosieguo dei negoziati si dovrà risolvere la questione “in modo ambizioso, rapido e preciso”. Da parte sua l’UE ha già abolito le sovvenzioni all’esportazione nel settore del

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cotone con la riforma del 20042 che prevede anche la revisione degli aiuti con l’eliminazione, in particolare, di quelli maggiormente distorsivi del mercato.

E’ rimasta invece fuori dall’accordo, la questione delle indicazioni geografiche, un tema al quale l’UE attribuisce particolare importanza.

L’agricoltura è stata al centro del processo negoziale e si è configurata ancora come il tema maggiormente controverso in vista del vertice di Hong Kong: il punto sullo stato dei negoziati anteriormente allo svolgimento del Vertice di Hong Kong risulta dalla Bozza di dichiarazione ministeriale (Draft Ministerial Text) diffusa dal Presidente del Consiglio generale e dal Direttore generale del WTO il 1° dicembre 2005.

L’agricoltura è il primo tema affrontato dalla Bozza, che vi dedica inoltre l’Annesso A. Per quanto riguarda il sostegno interno, il documento in questione riferisce di un’ipotesi di lavoro relativa alla suddivisione in tre bande al fine di determinare le riduzioni complessive degli aiuti interni previsti dai PS. La prima banda avrebbe ad oggetto gli aiuti fino a 10 miliardi di dollari, comporterebbe un riduzione compresa tra il 31-70% e riguarderebbe tutti i PS non compresi nelle altre due bande. La seconda banda, relativa agli aiuti da 10 a 60 miliardi di dollari, comporterebbe una riduzione del 53-75% e riguarderebbe gli Stati Uniti e il Giappone. La terza banda avrebbe ad oggetto gli aiuti superiori ai 60 miliardi di dollari, comporterebbe una riduzione del 70-80% e riguarderebbe i paesi dell’Unione europea3. Per i PVS non vi è accordo sul da farsi e si è, in particolare discusso se creare una banda a loro destinata o se collocarli nella prima.

Il secondo grande ambito del sostegno all’agricoltura, la competitività delle esportazioni, è stato anch’esso oggetto di una serie di proposte. Non vi era innanzitutto un accordo generale in merito all’indicazione di una data per l’eliminazione di tutti i sussidi all’esportazione. Riguardo ai crediti all’esportazione è stato raggiunto un certo grado di convergenza in merito ad alcuni elementi di disciplina dei crediti che devono essere rimborsati in un periodo pari o inferiore a 180 giorni. Permangono tuttavia un certo numero di questioni critiche.

Nel terzo ambito delle attività di sostegno all’agricoltura, l’accesso al mercato, sono stati ipotizzati importanti progressi negoziali. Per quanto riguarda le riduzioni dei dazi, si procederà sulla base dei dazi ad valorem (ossia quantificati in misura percentuale al valore dei prodotti: l’unico criterio che rende i dazi effettivamente confrontabili tra loro). L’ipotesi era di creare quattro bande nelle quali articolare le riduzioni tariffarie, ma le divaricazioni (c.d. forchette) in tale ambito sono rimaste ancora piuttosto elevate.

2 Regolamento (CE) n. 864/2004. 3 La riforma della PAC del 2003 ha già comportato una riduzione del 70 per cento degli aiuti e,

entro tale limite percentuale, una simile intesa in ambito WTO risulterebbe già “assorbita” da tale riforma.

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Per i paesi meno sviluppati (PVS) è stato ribadito l’impegno, già contenuto nel July Package, di esentarli dall’assumere obblighi di riduzione dei diritti di dogana o degli aiuti agricoli. Inoltre i PS e i PVS in grado di farlo dovranno permettere ai prodotti dei paesi meno avanzati (LDCs) di accedere ai loro mercati in franchigia di dogana (duty free) e senza contingentamento (quota free). Queste ultime misure non sono ancora operative per tutti i Membri, anche se numerosi paesi, (ed in particolare la UE) hanno assunto impegni.

Per il problema del cotone non sono stati assunti specifici impegni volti ad attuare quanto concordato nel July Package. Non vi è disaccordo circa la necessità di eliminare tutte le forme di sostegno all’esportazione, ma rimane da definire la relativa tempistica.

Dopo una serie di estenuanti trattative – accompagnate dalla consueta cornice delle contestazioni no global – il 18 dicembre 2005 la VI Conferenza ministeriale dell’OMC si è conclusa ad Hong Kong senza il temuto fallimento, ma con l’approvazione di una Dichiarazione che affronta solo alcuni dei nodi irrisolti, e che pertanto non si può nemmeno qualificare come un rilevante successo.

La conclusione parzialmente positiva del Vertice di Hong Kong si sarebbe difficilmente registrata senza l’accordo, in seno al Consiglio europeo di Bruxelles del 15-16 dicembre 2005, sul punto più controverso all’attenzione dei Capi di Stato e di Governo dell’Unione europea, vale a dire la messa a punto delle prospettive finanziarie e di bilancio dell’Unione per il periodo 2007-2013. Infatti, anche a Bruxelles – come a Hong Kong – la discussione ha finito per individuare come perno decisivo la Politica Agricola Comunitaria, in quanto il Regno Unito ha posto con forza il problema di un ridimensionamento complessivo della PAC, con uno spostamento di risorse dall’agricoltura alla ricerca e all’innovazione, condizionando a ciò l’aumento sensibile dei propri contributi al bilancio comunitario. A Hong Kong, invece, a un certo momento delle complesse trattative, l’Unione europea si è trovata a rischiare di figurare quale principale responsabile – a causa del suo elevato (e facilmente rilevabile) protezionismo agricolo – dell’impasse negoziale, e in particolare degli ostacoli all’aumento delle esportazioni agricole dei Paesi in via di sviluppo. La soluzione trovata a Bruxelles, grazie anche all’apporto finanziario tedesco, che ha permesso di mantenere un adeguato livello di fondi per i Paesi di recente adesione (nonchè il sì francese alla rinegoziazione della PAC, ma con effetti non anteriori al 2013, e quindi a carico del successivo periodo di bilancio) ha senza dubbio aiutato i negoziatori europei a Hong Kong nel rilanciare il negoziato, proponendo il differimento dal 2010 al 2013 della fine completa dei sussidi all’export agricolo. In tal modo la trattativa in seno alla WTO si è sbloccata, e si sono raggiunti altri risultati degni di nota.

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Nel settore agricolo, la fine dei sussidi all’esportazione rappresenta senza dubbio il risultato più importante: al proposito la Dichiarazione finale della Conferenza WTO registra l’intesa sull’eliminazione “di tutte le forme di aiuti alle esportazioni e delle norme di tutti i provvedimenti in materia di esportazioni con effetto equivalente4, da completarsi entro il 2013. Ciò dovrà avvenire progressivamente e simultaneamente, con modalità da specificarsi, in modo da attuare una parte sostanziale del provvedimento entro la prima metà del periodo di attuazione”. Va tuttavia ricordato che i sussidi all’esportazione costituiscono, tanto per il Nordamerica che per l’Europa, solo una parte degli aiuti all’agricoltura, la maggior quota dei quali viene erogata come aiuto diretto o sostegno ai prezzi.

Proprio sul punto degli aiuti interni all’agricoltura, la Dichiarazione finale prevede tre fasce di riduzione con tagli lineari maggiori nelle fasce superiori: tuttavia, tale approccio alla riduzione degli aiuti interni va visto nel quadro dell’Allegato A alla Dichiarazione, dedicato agli aspetti dei negoziati agricoli, nel quale si esplicita il carattere non vincolante del documento stesso (“non si tratta in alcun modo di un testo concordato dai Membri”), e lo statuto poco più che di ipotesi di lavoro delle proposte tecniche di riduzione in esso contenute.

Sulla questione del cotone, la Dichiarazione ribadisce l’impegno al raggiungimento “di una decisione esplicita sul cotone nell’ambito dei negoziati sull’agricoltura”: tale decisione - che non si assume dunque come già adottata a Hong Kong – dovrebbe uniformarsi al criterio dell’eliminazione entro il 2006 di qualsiasi forma di sussidio alle esportazioni da parte dei Paesi sviluppati, con questi ultimi che, a decorrere dall’inizio del periodo di attuazione, dovrebbero consentire “l’accesso senza dazi né quote alle esportazioni di cotone dai Paesi meno sviluppati”. Rimane anche in questo caso al di fuori delle decisioni di Hong Kong l’aspetto più importante della questione, che interessa stavolta non l’Europa ma gli Stati Uniti: non vengono infatti intaccati i sostanziosi aiuti interni ai produttori di cotone americani da parte del Governo, il cui effetto è ugualmente ostativo all’ingresso negli USA del cotone dei PVS.

Tanto per i negoziati agricoli che per altri settori, comunque, la Dichiarazione riconosce che molto rimane da fare sulla via della definizione delle modalità e della conclusione dei negoziati. In entrambi i casi viene stabilita la data-limite del 30 aprile 2006 per la fissazione delle modalità, e del 31 luglio 2006 per la conseguente presentazione di bozze di prospetti completi.

4 Questa seconda categoria di facilitazioni alle esportazioni agricole è stata inclusa a pari titolo

soprattutto per impulso europeo: da parte di Bruxelles si è infatti più volte rilevato come le facilitazioni all’export agricolo da parte di altri Paesi sviluppati siano meno facilmente rilevabili per la loro atipicità. Un esempio può ravvisarsi nella grande massa degli aiuti alimentari USA ai PVS, che provocano sovente il fenomeno dello “spiazzamento commerciale” dei produttori locali, giacché determinano un brusco calo dei prezzi delle derrate fornite come aiuti alimentari. In proposito la Dichiarazione è piuttosto netta nel garantire l’eliminazione dello “spiazzamento commerciale” , con la messa a punto di appropriate disposizioni entro il 30 aprile 2006.

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Il periodo successivo alla conclusione della VI Conferenza ministeriale OMC di Hong Kong avrebbe dovuto registrare progressivi avvicinamenti agli obiettivi colà fissati, soprattutto in vista del 30 aprile 2006, data entro la quale molteplici impegni assunti a Hong Kong sarebbero venuti a scadenza: in realtà ciò che si è verificato è stata la continua verifica dell’impossibilità di superare le diverse posizioni, e ciò tanto nelle controversie tra Paesi avanzati e Paesi in via di sviluppo, quanto nei persistenti dissapori tra Unione europea e Stati Uniti.

In tale contesto, in margine all’annuale World Economic Forum di Davos (Svizzera), una trentina di ministri di Paesi membri del WTO, in una riunione informale del 28 gennaio 2006, hanno messo a punto un dettagliato calendario delle scadenze da rispettare per la conclusione del Doha Round entro il 2006 (senza peraltro modificare i termini relativi ai negoziati principali, quello agricolo e quello industriale). Cionondimeno, la fine di aprile è ormai alle porte, e lo stallo negoziale è evidente5. L’unico fatto di rilievo è stata la diffusione, all’inizio di febbraio, di un monumentale rapporto interinale del WTO nel quale, preliminarmente all’adozione di una decisione sulla denuncia che nel maggio 2003 altri Membri dell’Organizzazione avevano presentato contro la UE, si richiede all’Unione di adottare una normativa meno restrittiva sul commercio (importazione) di prodotti OGM (organismi geneticamente modificati).

5 Merita evidenziare che nel comunicato diffuso al termine dell’informativa al Consiglio agricoltura

e pesca sullo stato dei negoziati del Doha Round del 25 aprile 2006, il commissario europeo all’agricoltura Mariann Fischler Boel ha fatto presente che la scadenza del 30 aprile 2006, decisa ad Hong Kong, non potrà essere rispettata. Il commissario ha altresì affermato di appoggiare la proposta del direttore generale del WTO, Pascal Lamy, di proseguire il processo negoziale attraverso documenti scritti.

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99

Organizzazioni produttori - Normativa

La disciplina di rango primario che ha regolato la costituzione ed il riconoscimento della Organizzazioni di produttori ha fatto capo, nella fase più recente, dapprima al D.lgs. n. 228/2001, aggiornato nel 2004 con l’articolo 6 del D.lgs. n. 99 del 2004 e, quindi, al D.lgs. n. 102/2005, che ha interamente abrogato le precedenti norme.

Il provvedimento ultimo richiamato necessita dell’’adozione di taluni ulteriori provvedimenti che completino il quadro giuridico di riferimento.

Per definire i nuovi elementi necessari al riconoscimento delle organizzazioni di produttori, è necessario che venga adottato un decreto del Ministro delle politiche agricole, con l’intesa della Conferenza Stato-regioni, che stabilisca quale sia il numero minimo degli aderenti, nonché il volume minimo della produzione commercializzata.

L’articolo 3, comma 3 del decreto legislativo n. 102 definisce comunque quali siano i parametri utili al riconoscimento, in attesa che vengano definiti quelli nuovi con l’emanando decreto ministeriale.

Vale appena rammentare che, come precisato dal comma 6 del medesimo art. 3, in materia di O.P., qualora siano presenti, si applicano le specifiche disposizioni contenute nei regolamenti comunitari di disciplina delle singole organizzazioni di mercato.

Il provvedimento ministeriale dovrà essere adottato entro il 10 giugno 20066, e con esso potranno anche essere definite le modalità per procedere al riconoscimento delle O.P. nel caso in cui le regioni, cui spetta tale compito, non provvedano né all’adozione del provvedimento di riconoscimento della organizzazione, né all’adozione dell’atto di espresso diniego (art. 4, co. 1 del decreto n. 102)

Un ulteriore decreto ministeriale, sempre con l’intesa della Conferenza Stato-regioni, dovrà definire le modalità per espletare i controlli e la vigilanza sulle O.P. relativamente alla sussistenza dei requisiti richiesti, e dovrà parimenti definire le modalità di revoca del riconoscimento (art. 4, comma 3).

Per le O.P. riconosciute è prevista la iscrizione nell’Albo nazionale delle organizzazioni dei produttori, previa comunicazione dell’avvenuto riconoscimento da parte delle regioni al Mipaf, presso il quale l’albo è istituito (art. 4 del decreto legislativo n. 102).

La disposizione ricalca quanto già prescritto dalla precedente normativa, pertanto con norme di raccordo (art. 4, co. 4 del decreto n. 102) viene precisato che le organizzazioni già riconosciute, sulla base di quanto richiesto dal

6 L’articolo 3, comma 1 del Decreto legislativo n. 102/2005 pone il termine di un anno dalla

entrata in vigore del provvedimento.

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100

precedente decreto legislativo n. 228/2001, mantengono la propria iscrizione all’Albo.

L’albo è stato istituito con il D.M. 8 giugno 2004 (GU n. 149/2004) ed è gestito dal Dipartimento delle politiche di sviluppo (Direzione Generale per la qualità dei prodotti agroalimentari e la tutela del consumatore).

Per l’elenco delle Organizzazioni di produttori riconosciute alla data del 31/12/2005 si rinvia alla apposita tabella (v. scheda Organizzazioni produttori-Elenco).

In merito all’esistenza di specifiche disposizioni comunitarie sulla

costituzione, attività e riconoscimento di Organizzazioni di produttori, vale rammentare che un tale quadro normativo è stato approvato relativamente ai prodotti ortofrutticoli, nonché a quelli della pesca. Per tali prodotti pertanto sono state emanate disposizioni nazionali di adeguamento, che valgono per i soli prodotti inseriti nelle menzionate Organizzazioni Comuni di Mercato.

Per gli ortofrutticoli vale il regolamento CE n. 2200/967 che dedica il titolo II (artt.

11-18) alle O.P. In particolare l’articolo 11 ha stabilito che l’organizzazione di produttori è un organismo:

- avente scopo di assicurare la programmazione della produzione e l’adeguamento della stessa alla domanda, promuovere la concentrazione dell'offerta e l'immissione sul mercato della produzione degli aderenti, ridurre i costi di produzione, promuovere pratiche colturali rispettose dell'ambiente;

- il cui statuto renda obbligatorio per i propri aderenti di: conformarsi alle decisioni assunte in tema di immissione dei prodotti sul mercato e tutela ambientale; aderire ad una sola organizzazione; vendere, salvo le eccezioni dallo stesso art. 11 stabilite, tutta la propria produzione tramite la O.P. di appartenenza; fornire le informazioni che sono richieste dall'organizzazione di produttori a fini statistici; versare i contributi necessari alla istituzione ed al funzionamento del fondo di esercizio, destinato a finanziare le operazioni di ritiro dei prodotti dal mercato, e al programma operativo che l’organizzazione è tenuta a presentare alle autorità nazionali8. Lo statuto deve contenere inoltre sanzioni in caso di infrazione, e le regole atte a garantire il controllo democratico dell’organizzazione.

7 Il regolamento (CE) n. 2200/96 disciplina fondamentalmente i seguenti prodotti: pomodori;

cipolle, agli, porri e scalogni; le diverse varietà di cavolo; carote, barbabietole e ravanelli; cetrioli; legumi da granella; frutta in guscio; banane; fichi; ananassi; avocadi; agrumi; uve da tavola; meloni; mele, pere e cotogne; albicocche, ciliegie, pesche e prugne; carrube.

8 In merito al fondo d’esercizio dell’organizzazione, che deve essere alimentato dagli aderenti in proporzione ai quantitativi o al valore del prodotto effettivamente immesso sul mercato, è prevista anche la partecipazione finanziaria da parte dell’Unione europea. Tale partecipazione prevede che le competenti autorità nazionali abbiano approvato un programma operativo della durata minima di tre anni e massima di cinque anni. La presentazione di un programma operativo implica, da parte della O.P. o della associazione di O.P., l'impegno a sottoporsi ai controlli nazionali e ai controlli comunitari eseguiti a norma del titolo VI, con particolare riguardo alla corretta gestione del fondi pubblici (artt. 15 e 16).

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101

E’ infine richiesto che le O.P in attesa del riconoscimento rispondano a taluni specifici requisiti, e in particolare che comprovino di rappresentare un numero minimo di produttori e un volume minimo di produzione commercializzabile.

Relativamente al requisito di una reale rappresentatività del comparto merceologico di appartenenza da parte della organizzazione che richiede il riconoscimento, è intervenuto, ancora per il settore ortofrutticolo, il regolamento CE n.1432/20039 (che ha sostituito il precedente reg. n. 412/1997) che ha così determinato i parametri richiesti: il numero minimo dei produttori è fissato in cinque per categoria, e il volume della produzione commercializzabile deve raggiungere almeno i cento mila euro. Per garantire una maggiore rappresentatività è consentito tuttavia agli Stati membri di stabilire requisiti minimi più elevati di entrambi i parametri.

Per la pesca vale il regolamento CE n. 104/2000 che dedica il titolo II (artt. 5-12) alle

O.P. Con lo specifico 5 vengono definiti: - gli obiettivi delle organizzazioni, che debbono incoraqgiare la programmazione

della produzione e l’adeguamento della stessa alla domanda, promuovere la concentrazione dell'offerta , stabilizzare l’andamento dei prezzi, promuovere uno sfruttamento sostenibile delle risorse;

- il contenuto dello statuto che renda obbligatorio per i propri aderenti di: conformarsi alle regole adottate dalla organizzazione in tema di sfruttamento, produzione e commercializzazione del prodotto; aderire ad una sola organizzazione; vendere tutta la propria produzione tramite la O.P. di appartenenza; fornire le informazioni che sono richieste dall'organizzazione di produttori a fini statistici; versare i contributi necessari alla istituzione ed al funzionamento del fondo di intervento, destinato a finanziare le operazioni di ritiro dei prodotti dal mercato; restare membri della organizzazione per almeno tre anni. Lo statuto deve contenere inoltre sanzioni in caso di infrazione, e le regole atte a garantire il controllo democratico dell’organizzazione. Deve infine escludersi qualsiasi discriminazione tra i membri, con particolare riferimento alla loro nazionalità o luogo di stabilimento.

E’ infine richiesto, come per il settore degli ortofrutticoli, che le O.P. rappresentino un numero minimo di produttori e un volume minimo di produzione commercializzabile, ma è altresì richiesto che vengano offerte sufficienti garanzie in merito alla realizzazione, durata ed efficienza dell’attività.

Le O.P. pesca non debbono peraltro detenere una posizione dominante, a meno che ciò non si riveli necessario al raggiungimento di una delle finalità della PAC.

Le disposizioni elaborate dalla Comunità europea allo scopo di favorire la formazione delle illustrate forme associative vanno infine viste alla luce delle norme comunitarie sulla concorrenza, contenute nel titolo VI del Trattato (art. 81- 97, in precedenza artt. 85/102).

9 Regolamento (CE) n. 1432/2003 recante modalità di applicazione del regolamento (CE) n.

2200/96 del Consiglio per quanto riguarda il riconoscimento delle organizzazioni di produttori e il prericonoscimento delle associazioni di produttori.

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102

L'art. 81, par. 1 infatti dichiara incompatibili con il mercato comune, e conseguentemente vieta, gli accordi fra imprese, le decisioni di associazioni di imprese, e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio tra gli Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all'interno del mercato comune; e la lettera b) del primo paragrafo include fra i comportamenti vietati gli accordi volti a limitare o controllare la produzione. Tuttavia, relativamente all’applicazione di dette regole alla produzione e al commercio dei prodotti agricoli, il Reg. (CE) n. 26 del 1962 ha stabilito che le disposizioni del Trattato non si applicano “agli accordi, decisioni e pratiche di imprenditori agricoli, di associazioni di imprenditori agricoli o di associazioni di dette associazioni appartenenti ad un unico Stato membro, nella misura in cui, senza che ne derivi l'obbligo di praticare un prezzo determinato, riguardino la produzione o la vendita di prodotti agricoli o l'utilizzazione di impianti comuni per il deposito, la manipolazione o la trasformazione di prodotti agricoli, a meno che la Commissione non accerti che in tal modo la concorrenza sia esclusa o che siano compromessi gli obiettivi dell'articolo 39 del trattato” (ora art. 33).

Sul piano nazionale, in connessione con le norme comunitarie, il

riconoscimento ed il controllo delle OP dei produttori ortofrutticoli è stato pertanto regolato dapprima con il DM 11 luglio 2002 (di recepimento delle disposizioni del reg. 412/97), poi sostituito dal DM 31 luglio 2004, per l’adeguamento alle norme di cui al reg. 1432/03), il quale eleva sia il numero minimo di produttori, sia il volume della produzione commercializzata rispetto ai parametri minimi imposti dalle norme comunitarie, fissa la durata minima dell’adesione del produttore, stabilisce le modalità per l’esercizio del diritto di recesso, definisce le condizioni alle quali le OP possono affidare a terzi i compiti loro attribuiti ed espletare funzioni appartenenti ai loro aderenti, nonché l’ambito entro il quale è attribuito al singolo produttore il diritto di voto.

Le disposizioni da applicarsi al comparto della pesca sono state invece diffuse

con la Circolare 20 maggio 2003, n. 200303644 che, in coerenza con il reg. 2318/2001, detta i requisiti necessari perché una OP della pesca ottenga il riconoscimento.

Le richieste condizioni sono: che il numero delle imbarcazioni utilizzate dalla organizzazione rappresenti almeno il 20% delle imbarcazioni presenti abitualmente nella zona; che la stessa smerci almeno il 15% del quantitativo totale prodotto nella zona, ed una quota pari ad almeno il 30% del quantitativo prodotto in un singolo mercato o porto della zona. La circolare inoltre definisce i parametri affinché il volume di affari di una OP possa essere giudicato “sufficiente”, ovvero sufficientemente ricavante in base alle dimensioni, alla capacità totale dei pescherecci, alla entità e regolarità degli sbarchi.

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103

Per una OP di allevamento il requisito richiesto è di essere in grado di smerciare, per ogni singola specie, almeno il 25% del quantitativo totale prodotto in una zona di produzione che il Ministero ritenga sufficientemente significativa.

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Filiere agroalimentari – Intese di filiera

Premessa.

Le intese di filiera sono disciplinate dall’articolo 9, comma 2 del D.Lgs 102/200510, il quale prevede che esse vengano stipulate nell’ambito del Tavolo agroalimentare, di cui all'articolo 20 del D.lgs 228/200111, tra gli organismi maggiormente rappresentativi a livello nazionale nei settori della produzione, trasformazione, commercio e distribuzione dei prodotti agricoli e agroalimentari. La norma ammette, inoltre, la stipula delle intese anche da parte delle Organizzazioni interprofessionali riconosciute ai sensi all'articolo 12 del D.lgs 173/9812

Per la costituzione dei tavoli di filiera sono intervenuti, dapprima, il D.P.C.M. 5 agosto 2005, recante “Disposizioni per la costituzione dei tavoli di filiera”, ed il successivo D.P.C.M. 23 febbraio 2006, recante norme per la “Costituzione del tavolo di filiera per le bioenergie”.

Le intese non debbono comportare restrizioni della concorrenza. L’unica eccezione ammessa è per quelle intese risultanti da una programmazione previsionale e coordinata della produzione in funzione degli sbocchi di mercato o da un programma di miglioramento della qualità che abbia come conseguenza diretta una limitazione del volume di offerta.

La procedura per l’adozione delle intese di filiera prevede la comunicazione, entro quindici giorni dalla loro sottoscrizione, al Ministero delle politiche agricole e forestali ai fini della verifica della compatibilità con la normativa comunitaria e nazionale. Per le intese risultanti da una programmazione previsionale e coordinata della produzione o da un programma di miglioramento della qualità si prevede l’approvazione con decreto del Ministro delle politiche agricole e forestali.

Le intese di filiera stipulate

Attualmente risultano stipulate tre intese di filiera, tutte nel settore ortofrutticolo, adottate il 21 febbraio 2006 nell’ambito dell’organizzazione interprofessionale

10 D.Lgs. 27 maggio 2005, n. 102, “Regolazioni dei mercati agroalimentari, a norma dell'articolo 1,

comma 2, lettera e), della L. 7 marzo 2003, n. 38. 11 D.Lgs. 18 maggio 2001, n. 228, “Orientamento e modernizzazione del settore agricolo, a norma

dell'articolo 7 della L. 5 marzo 2001, n. 57”. 12 D.Lgs. 30 aprile 1998, n. 173, Disposizioni in materia di contenimento dei costi di produzione e

per il rafforzamento strutturale delle imprese agricole, a norma dell'articolo 55, commi 14 e 15, della L. 27 dicembre 1997, n. 449

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dell’ortofrutta nei settori delle arance, delle mele e del pomodoro da industria. In particolare, le intese prevedono:

• per le arance, un’analisi periodica della situazione macroeconomica del settore per modificare le condizione di fornitura, il perseguimento di prezzi sufficientemente remunerativi per gli agricoltori e non eccessivamente elevati per il consumatore, l’avvio della commercializzazione di alcune varietà a seconda dei diversi periodi (p.e. Washington Navel da febbraio o il tarocco ed il Moro da dicembre), ed infine l’impegno a specificare in successivi contratti le modalità di valorizzazione e di tutela di denominazione di origine, indicazioni geografiche e marchi di qualità;

• per le mele, un impegno a svolgere indagini di mercato coordinate per fornire dati sulla situazione degli stock e delle vendite, per la valorizzazione e la tutela di mele Dop, Igp e i marchi di qualità, privilegiando la produzione integrata e certificata;

• per il pomodoro da industria, una produzione di 4,6 milioni di tonnellate, pari al 10 per cento in meno della produzione del 2005, come materia prima da destinare alle industrie di trasformazione, ed una analisi periodica della situazione del settore per migliorare la competitività di tutti i soggetti di filiera, la valorizzazione delle denominazioni di origine (come la Dop di San Marzano), le indicazioni geografiche, i marchi di qualità ed il legame con il territorio; inoltre, si dispone l’utilizzazione esclusiva di prodotti rispondenti a criteri di tracciabilità (secondo il regolamento CE 178/2002) e la richiesta agli organismi di controllo di un rafforzamento dell’azione di controllo e verifica quantitativa e qualitativa del prodotto. Riguardo al pomodoro da industria è intervenuto l’accordo tra FEDAGRI e UNAPROA relativo al contratto quadro sulla produzione del pomodoro, successivamente comunicato al Mipaf.

In questo ambito, merita segnalare anche il recente contratto-quadro tra UNAPROA, Auchan e Sma, vale a dire tra un sistema organizzato di produttori e due importanti soggetti della distribuzione al dettaglio, siglato il 16 marzo 2006 presso il Ministero delle politiche agricole e forestali. Tale accordo prevede da un lato l'impegno dei distributori ad acquisire volumi di merce ben definiti ogni anno, programmando i volumi e coniugando le esigenze della domanda e dell'offerta, dall’altro dall’altro definisce modalità concordate di formazione del prezzo, anche al fine di limitare le oscillazioni dei prezzi al consumo.

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La gestione dei rischi in agricoltura - Crisi di mercato

Il decreto legge n. 22/2005, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge n. 71/2005, con l’articolo 1, commi 1-bis , 1-ter, e 3- quater , e con l’art. 1-bis, aggiunti in sede di conversione, ha recato una disciplina di sostegno delle imprese colpite da crisi di mercato, ovvero da una generale riduzione del reddito non ascrivibile al verificarsi di calamità naturali o particolari fenomeni atmosferici.

Il comma 1-bis dell’articolo 1 dispone misure di sostegno, da erogarsi

nell’anno 2005, in favore delle imprese agricole ubicate nelle aree nelle quali con decreto del Ministro delle politiche agricole si riconosca l’avvenuta riduzione di reddito nel corso dell’anno 2004.

La norma definisce in primo luogo le condizioni alle quali le imprese hanno titolo ai benefici, ovvero deve verificarsi una riduzione del reddito medio d’impresa pari al 30% rispetto al reddito medio conseguito nel triennio precedente. Quanto alle provvidenze, la norma prevede la sospensione del versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali dovuti dall’imprenditore per sé e per i propri lavoratori nell’anno 2005. Tale beneficio, di cui l’impresa può usufruire al 31 dicembre 2005, è concesso a valere sulle disponibilità del Fondo di solidarietà nazionale (v. scheda La gestione dei rischi in agricoltura - Fondo di solidarietà nazionale) e nell’ambito delle risorse ad esso attribuite.

Il successivo comma 1-ter reca disposizioni che ampliano il sostegno offerto

alle imprese, colpite dalla menzionata riduzione di reddito. Per le imprese che rispondono ai richiesti requisiti viene nuovamente attivato il Fondo di solidarietà nazionale per la concessione di uno solo dei seguenti ulteriori benefici:

• finanziamento a lungo termine, ad un tasso agevolato che è, per la aziende ricadenti nelle zone svantaggiate, pari al 20 per cento del tasso di riferimento per le operazioni di credito agrario oltre i 18 mesi, e del 35% per le imprese ubicate sul restante territorio;

• contributo in conto capitale nella misura massima di 3 mila euro per impresa, e nel rispetto del reg. 1860/2004 di disciplina della concessione di aiuti de minimis nei settori dell’agricolture e della pesca.

Il comma 3-quater, dello stesso articolo 1, ha aggiunto i “rischi di mercato”

nell’elenco degli eventi assicurabili che possono essere inseriti nel “Piano assicurativo agricolo annuale”, e che possono pertanto beneficiare del sostegno statale.

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L’articolo 1-bis reca norme dirette ad introdurre una disciplina generale delle crisi di mercato, allo scopo di assicurare in modo permanente un sostegno alle imprese colpite da gravi perturbazioni nei prezzi .

Analogamente a quanto disposto in caso di calamità naturali e gravi avversità atmosferiche, la norma demanda al Ministro delle politiche agricole e forestali la dichiarazione dello stato di crisi di mercato, che si verifica allorquando l’imprenditore soffra una perdita di reddito pari al 30% di quello mediamente percepito nel triennio precedente.

A tali imprenditori si applicano le disposizioni di cui all’art. 5 del D.lgs. n.102/2004, che, attingendo al Fondo di solidarietà nazionale (v. scheda La gestione dei rischi in agricoltura Fondo di solidarietà nazionale), definiscono le seguenti forme di erogazione di aiuto volto ad agevolare la ripresa economica e produttiva aziendale:

a) contributi in conto capitale, che possono arrivare a coprire fino all'80 per cento del danno accertato, da calcolarsi sulla base della “produzione lorda vendibile ordinaria” realizzata dall’azienda nel triennio precedente;

b) prestiti d’esercizio, ad ammortamento quinquennale, per le esigenze aziendali sia relativamente all'anno in cui si è verificato l'evento dannoso che per l'anno successivo, da erogare al seguente tasso agevolato:

- 20 per cento del tasso di riferimento per le operazioni di credito agrario oltre i 18 mesi per le aziende ricadenti in zone svantaggiate;

- 35 per cento del tasso di riferimento per le operazioni di credito agrario oltre i 18 mesi per le aziende ricadenti in altre zone; nell'ammontare del prestito sono comprese le rate delle operazioni di credito in scadenza nei 12 mesi successivi all'evento inerenti all'impresa agricola;

c) proroga della scadenza delle rate relative alle operazioni di credito agrario di esercizio e di miglioramento, nonché di credito ordinario, alle seguenti condizioni: solo fino all'erogazione dei prestiti quinquennali di cui alla precedente lettera b), per una sola volta e per non più di 24 mesi. Le rate prorogate sono assistite dal concorso nel pagamento degli interessi;

d) agevolazioni previdenziali, consistenti nella possibilità di ottenere l'esonero parziale del pagamento dei contributi previdenziali e assistenziali propri e per i lavoratori dipendenti, in scadenza nei dodici mesi successivi alla data in cui si è verificato l'evento. La percentuale dell'esonero può arrivare fino ad un massimo del 50, che può essere incrementato nella ipotesi che gli eventi in danno si verifichino a carico della stessa azienda per due o più anni consecutivi.

Tutte le illustrate disposizioni sono state oggetto di osservazioni da parte

della Commissione europea che, in data 29/6/2005, ha espresso “seri dubbi” in merito alla loro compatibilità con il mercato comune. In particolare, la Commissione ha eccepito che la riduzione del reddito medio di un’azienda può essere determinata da una pluralità di fattori, quali eventi meteorologici,

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epizoozie o fitopatie, ma anche fluttuazione dei prezzi, o cattiva gestione; tuttavia, non tutte le perdite possono essere compensate con aiuti di Stato, poiché questi non sono di norma ammessi, “salvo le eccezioni esplicitamente previste dalla normativa comunitaria”. In merito, è stato segnalato nelle osservazioni, la Commissione ha accettato le misure di tutela dei redditi degli agricoltori colpiti da calamità, da avversità atmosferiche, dall’insorgenza di epizoozie e fitopatie, ma la normativa comunitaria non prevede esplicitamente alcun intervento per le perdite di reddito conseguenti ad una fluttuazione di prezzi al ribasso.

Merita peraltro evidenziare che di lì a poco la Commissione è intervenuta nuovamente, in via generale, sul tema dei rischi in agricoltura, con la Comunicazione al Consiglio COM (2005) 74, ove si prospetta la introduzione di strumenti atti a “fornire una copertura di base contro le crisi dei redditi”, i cui principi di fondo paiono sostanzialmente riconducibili a quelli che informano il sistema delineato dal decreto-legge n. 22 del 2005.

Allo scopo di superare i rilievi formulati dalla Commissione europea sul

decreto-legge n. 22 del 2005, il Governo è nuovamente intervenuto sulla materia con il decreto legge n. 182/2005, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge n. 231/2005.

L’articolo 1, comma 1, ha pertanto stabilito che gli aiuti di cui ai commi 1-bis e 1-ter dell’articolo 1 del D.L. 22/2005 possono essere concessi nella misura e secondo le modalità previste dal reg. (CE) 1860/2004, così riconducendo tutti gli aiuti prefigurati per le crisi di mercato del 2004 e del 2005 nell’alveo degli aiuti de minimis.

Il reg. 1860/2004 recante “Regolamento della Commissione relativo all’applicazione degli articoli 87 e 88 del Trattato CE agli aiuti de minimis nei settori dell’agricoltura e della pesca” ha per la prima volta definito quali aiuti possono essere erogati ai settori primari in assenza della preventiva notifica alla Commissione richiesta dall’art. 88, par. 3 del Trattato.

Per gli altri comparti la Commissione aveva già definito una casistica di aiuti compatibili con la unificazione del mercato, che in ragione della entità molto ridotta non potevano ritenersi distorsivi della concorrenza e pertanto non rientravano fra le ipotesi di generale divieto di cui all’art. 87 del Trattato, cui conseguiva l’obbligo di notificare alla Comunità l’aiuto di Stato.

Per converso, gli aiuti corrisposti ai settori agricolo e a quello della pesca sono stati tradizionalmente ritenuti rilevanti e in grado di favorire talune imprese a scapito di altre, in conseguenza delle specifiche norme che regolano le singole produzioni che la Comunità ha di norma disciplinato attraverso Organizzazioni Comuni di Mercato.

Con il reg. 1860 anche per il settore primario è stata individuata una soglia entro la quale l’aiuto concesso al singolo produttore, in un arco temporale definito, è talmente modesto da non rientrare nella ipotesi di cui all’art. 87 Trattato. L’art. 3, par.2, primo comma, stabilisce che gli aiuti complessivamente concessi al medesimo beneficiario

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non possano superare i 3.000 euro nell’arco di un triennio; mentre il comma successivo stabilisce anche un massimale degli aiuti concessi da un medesimo Stato membro per i quali è stabilita, sempre per triennio, la soglia dello 0,3% del valore della rispettiva produzione annuale agricola ovvero della pesca, che l’allegato I del regolamento ha quantificato per l’Italia in 130,164 milioni di Euro.

Il regolamento sugli aiuti de minimis all’agricoltura e alla pesca non si applica agli aiuti all’esportazione o a quelli che favoriscono la produzione interna, entrambi contrari agli accordi raggiunti in sede di Organizzazione mondiale del commercio (art. 3 lett.b) e c), né agli aiuti il cui importo sia fissato in base al prezzo di un prodotto o al quantitativo commercializzato, perché la giurisprudenza della Corte di giustizia ritiene che tali comportamenti rechino pregiudizio delle Organizzazioni Comuni di Mercato instaurate dalla Comunità (art. 3 lett. A).

Il medesimo art. 1, comma 1 del D.L. n. 182/05 ha inoltre allargato, alle stesse condizioni, l’area dell’intervento pubblico, estendendo le forme di aiuto previste dal D.L. n. 22/2005 alle perdite di reddito sofferte dagli agricoltori nell’anno 2005, ma restringendone l’applicazione al solo comparto dell’uva da vino.

Con il successivo comma 2 il provvedimento, che ha demandato all’AGEA (v. scheda Altri interventi - AGEA) il compito di erogare gli aiuti, ha anche quantificato l’onere totale destinato alle misure (109 meuro di cui 69 destinati ai produttori colpiti dalla crisi di mercato nel 2004, e 40 meuro per quelli che nel 2005 hanno sofferto la perdita di reddito nel produrre uve da vino) ed ha individuato i parametri per la erogazione dell’aiuto (3.000 euro per imprenditore agricolo in caso di superfici pari o superiori a 6 ettari o pari o superiori a 15 UBA; per le superfici inferiori a tali misure ma comunque pari o superiori a 3 ettari o pari o superiori a 7,5 UBA, l’importo è di 2.000 euro; infine sono previsti 1.000 euro per imprenditore in caso di superfici pari o superiori a 0,3 ettari o pari o superiori a 3 UBA)

Alla luce di quanto sopra esposto va precisato che le disposizioni di cui

all’articolo 1, comma 3-quater, e all’articolo 1-bis e del decreto legge n. 22/2005, che intendevano introdurre nell’ordinamento nazionale una disciplina generale (ossia a regime) delle crisi di mercato, non hanno a tutt’oggi trovato applicazione in conseguenza della posizione contraria espressa dall’U.E.

L’applicazione dell’articolo 1, comma 1-bis e 1-ter, del medesimo decreto-

legge n. 22/2005 ha attivato i sotto elencati interventi:

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Regione Settore DM Mipaf Pubblicazione in G.U. 2005

Piemonte Pesche nettarine 4/8/2005 n. 186

Veneto Ortofrutticoli Lattiero caseario

13/8/2005 n. 221

Friuli V. G. Actinidia e patate 23/11/2005 n. 281

Emilia R. Pesche e nettarine

20/7/2005 n. 174

Umbria Cereali 4/8/2005 n. 186

Lazio Latte ovino In firma

Campania Pesche, nettarine, albicocche, patate da consumo fresco

28/10/2005 n. 266

Abruzzo Uva da vino, ortofrutta, patate

9/6/2005 n. 140

Molise Cereali, ortofrutta, uva da vino, olive

9/6/2005 n. 140

Puglia Uva da vino e da tavola

9/6/2005 n. 140

Basilicata Ortofrutta 9/6/2005 n. 140

Calabria Clementine 9/6/2005 n. 140

Sicilia Ortofrutta 9/6/2005 n. 140

Sardegna Latte ovino 8/7/2005 n. 165

L’applicazione dell’articolo 1, comma 1, del decreto legge n. 182/2005 ha

invece attivato i seguenti interventi:

Regione Settore DM Mipaf Pubblicazione in G.U. 2005

Piemonte Uva da vino 8/2/2006 n. 42

Veneto Uva da vino 8/3/2006 n. 61

Friuli V. G. Uva da vino 5/4/2006 n. 87

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Campania Uva da vino 8/3/2006 n. 61

Abruzzo Uva da vino 8/3/2006 n. 61

Puglia Uva da vino 18/1/2006 n. 21

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La gestione dei rischi in agricoltura - Fondo di solidarieta’ nazionale

La peculiare incidenza negativa sulle produzioni agricole degli andamenti climatici ed atmosferici ha tradizionalmente indotto il legislatore a definire interventi in favore delle popolazioni e delle zone colpite da calamità naturali di particolare gravità, allo scopo tanto di assicurare i soccorsi immediati ed alleviare i disagi più gravi, quanto di garantire il più possibile la conservazione del patrimonio produttivo agricolo e delle sue potenzialità e di promuoverne il ripristino. Col passare degli anni e col crescere della complessità degli interventi si è resa necessaria l'introduzione di una normativa di intervento di carattere generale, applicabile costantemente ed uniformemente in tutti i casi di calamità naturali, tale da eliminare la necessità di far ricorso, per ogni evento, a provvedimenti legislativi ad hoc.

Con l'approvazione della legge 25 maggio 1970, n. 364 il settore agricolo è stato dotato di un quadro normativo permanente che ha definito interventi di primo soccorso ed azioni di sostegno dei redditi agricoli, ed ha consentito altresì di accelerare le procedure di avvio dell'intervento statale, sia garantendo le risorse finanziarie attraverso la costituzione dell'apposito Fondo di solidarietà nazionale, sia consentendo l'attivazione delle risorse stesse mediante semplice provvedimento amministrativo.

Successivamente al varo del D.P.R. n. 616/77, che ha disposto il trasferimento alle regioni dell'esercizio di funzioni amministrative in agricoltura, si rese necessaria una prima revisione della disciplina degli interventi nel settore delle calamità naturali, con specifico riferimento al Fondo di solidarietà nazionale. A tale scopo venne approvata la legge 15 ottobre 1981, n. 590, che si è configurata come normativa quadro indirizzata alle regioni, le quali potevano intervenire prevedendo proprie provvidenze, per le quali attingere a risorse di bilancio proprie.

Il Fondo, secondo le previsioni della legge n. 590/1981, avrebbe dovuto essere (secondo un progetto peraltro non realizzatosi) un semplice elemento riequilibratore di flussi finanziari normalmente destinati alle regioni attraverso la legislazione sulla finanza regionale. Pertanto, le somme prelevate dal Fondo avrebbero dovuto compensare le maggiori eventuali spese sostenute dalle regioni, colpite da calamità eccezionali, per gli interventi dalle stesse decisi.

Anche con la legge 590/1981, così come peraltro nel sistema attualmente in vigore, le azioni di soccorso restano comunque individuate dalla legge statale, stante la necessità di assicurare la omogeneità dei tipi d'intervento e la conseguente parità di trattamento dei produttori agricoli delle diverse regioni. Permangono di competenza del Ministero delle politiche agricole e forestali, per le medesime ragioni, il compito di accertare e dichiarare la eccezionalità dell'evento calamitoso, nonchè di prelevare dal Fondo ed assegnare alle regioni

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le somme destinate al finanziamento delle provvidenze13. Sono parimenti di competenza ministeriale, oltre all'accertamento degli effetti degli eventi calamitosi, la determinazione dei parametri di ricostituzione dei capitali di conduzione, la determinazione delle colture coperte da assicurazione agevolata, la determinazione dei contributi una tantum per i pronti interventi.

La legge n. 590/1981, con le successive modificazioni ed integrazioni, ha costituito fino al febbraio del 1992 la normativa fondamentale con la quale sono stati fronteggiati gli eccezionali eventi dannosi nel settore agricolo.

Con la nuova legge 14 febbraio 1992, n. 185, il legislatore ha ridefinito le linee di fondo dell’intervento statale, con uno spostamento dal tradizionale approccio fondato su interventi di contributivo e creditizio, ad un approccio teso a valorizzare la copertura assicurativa, attraverso contributi volti ad agevolare e promuovere la stipula di polizze.

Le maggiori novità introdotte dalla nuova legge sono rappresentate dalla modifica delle modalità di calcolo dei danni per le successive erogazioni contributive o creditizie (art. 3) (prevedendo che l'azienda agricola debba aver subito danni almeno pari al 35% della produzione lorda vendibile) e dall’esclusione dall’intervento indennizzatorio pubblico per i danni sofferti dalle produzioni ammesse all'assicurazione agevolata (ma non assicurate).

Relativamente alla definizione di produzioni ammesse, va rammentato che la legge n. 185/199214 richiedeva, come peraltro confermato dalle disposizioni attualmente in vigore, che annualmente, ed entro un termine stabilito, il Ministro dell’agricoltura individuasse, con riferimento a territori agricoli omogenei, gli eventi, le colture e le fitopatie che potevano essere oggetto dei contratti assicurativi da stipulare nell’anno successivo. Conseguentemente erano escluse, dal computo dei danni aziendali sofferti, tutte quelle perdite che avrebbero potuto essere oggetto di una copertura assicurativa, anche se a tale copertura non aveva fatto ricorso l’imprenditore agricolo.

Le illustrate disposizioni hanno, in realtà, avuto vita assai breve poiché già nel 1996 (DL n.273/1996) il legislatore ha escluso dal computo i soli danni alle produzioni effettivamente assicurate. La novella recata introdotta sul punto dal D.L. n. 273/96 è stata solo recentemente abrogata dal D.L. n. 200/2002 (art. 4), che ha riattribuito efficacia alla norma originaria (non indennizzabilità dei danni a colture assicurabili, ancorchè non assicurate), confermando un impianto normativo pienamente ribadito nella legislazione attualmente in vigore.

13 Per sola memoria si ricorda che in tema di calamità naturali l’art. 66 del D.lgs. n. 112/1998, di

generale disciplina di conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, attribuiva ai comuni la delimitazione delle zone agrarie colpite dagli eventi, mentre l’art. 108 attribuiva alle regioni la dichiarazione della esistenza del fatto eccezionale, nonché la individuazione dei territori danneggiati e delle provvidenze da erogare. Il successivo D.lgs. n. 443/99 di modifica dell’originario 112, proprio per la necessità di rispettare i menzionati principi, ha abrogato entrambe le disposizioni ripristinando le precedenti competenze.

14 La disposizione richiamata era scritta al secondo comma dell’art. 9 della legge n. 185, da dove è stata successivamente espunta, per essere sostanzialmente trasfusa nel DPR n. 324/1996.

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Relativamente alle modalità di calcolo del danno, ed in senso favorevole alle aziende, è intervenuta poi la legge Fiananziaria per il 200115, ove si è precisato che per arrivare a quantificare le perdite del 35% possono essere computati i danni sofferti dalla medesima azienda, a causa di precedenti eventi calamitosi, purché occorsi nella medesima annata agraria. E’ tuttavia necessario che detti danni non siano stati oggetto di precedenti benefici, ed ha altresì precisato che il calcolo della produzione lorda vendibile (PLV) debba essere fatto al netto degli eventuali contributi comunitari. Anche tali disposizioni sono state pienamente accolte nel nuovo impianto legislativo attualmente in vigore.

Tornando alla legge n. 185/1992, in considerazione delle pressanti esigenze delle aziende agricole di disporre in tempi brevi degli aiuti di soccorso, era stata prevista l'attivazione del credito agevolato al verificarsi dell'evento calamitoso eccezionale. Lo strumento individuato, il cui utilizzo è stato confermato nella legislazione di riforma attualmente in vigore, consiste nella proroga delle scadenze delle rate delle operazioni di credito agrario di miglioramento e di garanzia, che avviene immediatamente, una volta che sia stato delimitato il territorio colpito dalla calamità da parte della regione competente. La proroga non può eccedere in ogni caso i ventiquattro mesi ed è assistita dal concorso pubblico nel pagamento degli interessi (gli istituti esercenti il credito agrario possono anticipare le provvidenze anche in assenza del nulla osta regionale).

La legislazione che si è venuta a sovrapporre nel tempo è stata interamente

sostituita da un provvedimento organico che, oltre ad accogliere le precedenti modalità di intervento compensativo dei danni subiti, ha anche riproposto gli interventi volti ad incentivare misure di protezione precedenti al verificarsi degli eventi calamitosi. Ed è questa seconda direttrice, che incentiva soprattutto il ricorso al sistema assicurativo agevolato (v. scheda La gestione dei rischi in agricoltura – Assicurazioni in agricoltura), ad aver trovato un nuovo e più forte impulso nel nuovo decreto legislativo n. 102/2004, tanto da assurgere a finalità primaria degli interventi del Fondo, che ha, come recita il primo articolo al comma 1, “l’obiettivo di promuovere principalmente interventi di prevenzione…”, ovvero di dare nuovo impulso all’assicurazione dai rischi meteorologici.

Quanto alle tradizionali forme di intervento ex post, ovvero interventi compensativi finalizzati alla ripresa economica e produttiva delle aziende, vanno richiamate le disposizioni del Capo II (articoli 5-10) del D.lgs. n. 102/04.

L’articolo 5 individua i soggetti beneficiari delle provvidenze, identificandoli con le imprese ricadenti nelle aree danneggiate (individuate ai sensi dell’art. 6), che abbiano subito danni: • non inferiori al 30% della produzione lorda vendibile;

15 Legge n. 388/2000 “Finanziaria per il 2001”, che con l’articolo 127 ha novellato l’art. 3, co. 1

della legge n. 185/92.

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• non inferiori al 20% della produzione lorda vendibile, qualora siano ubicate nelle aree svantaggiate di cui all’articolo 17 del regolamento (CE) del Consiglio n. 1257/1999 del 17 maggio 1999

Le tipologie di aiuti previste, concessi in forma singola o combinata nei limiti dell'entità del danno sono: • contributi in conto capitale fino all’80% del danno accertato; • prestiti ad ammortamento quinquennale, per esigenze di esercizio dell’anno

dell’evento e per il successivo, da erogare a tasso agevolato (più favorevole per le imprese nelle aree svantaggiate);

• proroga delle operazioni di credito agrario; • agevolazioni previdenziali. Il comma 4 precisa che sono esclusi dalle agevolazioni i danni alle produzioni

ed alle strutture che siano ammesse all’assicurazione agevolata sulla base della redazione del piano assicurativo annuale, elaborato dal Ministero delle politiche agricole16.

L’articolo 6 disciplina il trasferimento alle regioni delle disponibilità del Fondo di solidarietà nazionale destinate agli interventi di cui all’articolo 5 (contributi e prestiti per favorire la ripresa delle attività produttive).

L’articolo 7 disciplina le operazioni di credito agricolo a favore delle imprese danneggiate, prevedendo la proroga delle scadenze delle rate delle operazioni di credito agrario, assistite dal concorso nel pagamento degli interessi o, in caso contrario, con applicazione del tasso di riferimento delle operazioni di credito agrario, nonché l’autorizzazione agli istituti di credito agrario ad anticipare le provvidenze di cui all’articolo 5 (contributi e prestiti per favorire la ripresa delle attività produttive), con eventuale concorso pubblico nel pagamento degli interessi.

L’articolo 8 prevede agevolazioni previdenziali e assistenziali a favore delle imprese danneggiate, nella forma dell’esonero parziale del pagamento dei contributi (fino al 50%), propri e dei lavoratori dipendenti, in scadenza nei 12 mesi successivi all’evento. La misura dell’esonero è aumentata del 10% nel caso in cui i danni si verifichino, a carico della medesima impresa, per due o più anni consecutivi.

L’articolo 9 consente ai consorzi di difesa di intervenire a sostegno del reddito delle imprese zootecniche colpite da epizoozie che determinano l’abbattimento di animali e il divieto di ogni attività commerciale, nonché per l'indennizzo di animali morti a seguito di vaccinazioni disposte dalla autorità competenti, prevedendo il concorso dello Stato fino alla metà della spesa sostenuta.

L’articolo 10, infine, detta norme volte ad assicurare la pubblicità degli interventi effettuati e dei relativi beneficiari.

16 Va rammentato che il D.L. 24 giugno 2004, n. 157 (convertito in legge, con modificazioni, dalla

legge 3 agosto 2004, n.204), con l’art.2, co.1-quater ha rinviato all’anno 2005 l’applicazione di tale disposizione.

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La gestione dei rischi in agricoltura - Assicurazioni in agricoltura

La legislazione in favore delle aziende agricole colpite da calamità, oltre a provvedere al ripristino delle condizioni economiche e delle strutture danneggiate, si è indirizzata verso una seconda linea d'intervento costituita dalla incentivazione di forme solidaristiche di difesa del reddito, da realizzarsi con la costituzione di appositi organismi, i Consorzi di difesa attiva e passiva, ossia di soggetti cui è stata demandata l'attuazione della difesa sia mediante la realizzazione di impianti di protezione delle produzioni dalle intemperie, sia mediante il ricorso a forme assicurative di rimborso dei danni.

La prima regolazione delle forme di contrattazione assicurativa tra il mondo agricolo e le compagnie di assicurazione è stata operata dal legislatore con la stessa legge n. 364/1970 di istituzione del Fondo di solidarietà nazionale (v. scheda La gestione dei rischi in agricoltura - Fondo di solidarietà nazionale), senza che tuttavia fosse prevista alcuna partecipazione diretta dello Stato alle spese di polizza, ma limitandosi a contemplare una più generale partecipazione pubblica alle spese sostenute dagli organismi per la difesa attiva e passiva delle produzioni - segnatamente viticole, olivicole e ortofrutticole, o comunque di particolare pregio.

Un primo tentativo di ammodernamento ha condotto all’approvazione della legge n. 590/1981, che ha inteso in primo luogo rafforzare la posizione contrattuale dei consorzi di difesa, quindi di rendere più appetibile il ricorso alla copertura assicurativa.

Il risultato dell’applicazione del nuovo regime è stata la nascita di un soggetto unico che, in rappresentanza dei novanta consorzi di difesa, si veniva a porre quale controparte del preesistente consorzio delle compagnie assicurative, nato coattivamente per disposizione della precedente legge del 1972. Il risultato della contrattazione nazionale offriva agli agricoltori, rappresentati dalle organizzazioni previste dalla legge, un'unica polizza valida sull'intero territorio nazionale, con le stesse caratteristiche ed allo stesso prezzo: tariffe e condizioni di polizza dovevano comunque ottenere l'approvazione dei Ministri di industria e agricoltura entro il 31 gennaio di ogni anno.

Le disposizioni approvate con la successiva legge n. 185/92 sono da annoverarsi fra gli atti di fondamentale revisione della normativa assicurativa. In primo luogo è stata introdotta una partecipazione, seppure indiretta, dello Stato alle spese di polizza, mediante il versamento di contributi annuali nelle casse sociali dei consorzi di difesa17. Inoltre, come si è già avuto modo di accennare, il ricorso a questa forma di tutela contro i rischi atmosferici è stata dalla legge assunta quale strumento privilegiato di difesa dei redditi, fino ad indurre il legislatore ad escludere dalle altre provvidenze le colture ammesse all'assicurazione agevolata, anche per il caso in cui l’agricoltore non abbia proceduto alla effettiva copertura dei rischi, mancando la stipula di un contratto di

17 L’incentivazione all’assicurazione era completata da agevolazioni di natura fiscale (esenzione

dall’imposta di assicurazione, di registro e di bollo).

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assicurazione18. Coerentemente la legge aveva previsto che annualmente, entro il 30 novembre, il Ministro delle politiche agricole rendesse noto, con proprio decreto, gli eventi, le colture, le fitopatie e le garanzie ammissibili all’assicurazione agevolata, facendo riferimento a territori agricoli omogenei.

Per quanto attiene il sistema sopra delineato si può anticipare che esso si è tradotto, nella legislazione di riforma attualmente in vigore approvata con il decreto legislativo n. 102/2004, in un obbligo di elaborare un “Piano assicurativo annuale”, che deve essere approvato sempre entro il termine del 30 novembre.

Le disposizioni (originariamente riconducibili all’art. 9 della legge 185, poi al DPR n. 324/96) sono state integrate dall’ art. 127 della legge n. 388/2000 , sopravvissuto alla riforma di cui al D.lgs. n. 102/2004 e pertanto attualmente in vigore, che per quanto riguarda la determinazione dei valori dei prodotti assicurabili, ammessi al contributo, ha richiesto al Ministro delle politiche agricole di individuarli annualmente, entro il 31 dicembre, tenendo conto dei “prezzi unitari di mercato alla produzione” rilevati dall’ISMEA19.

Per la concreta individuazione dei rischi agricoli le cui polizze erano ammesse al contributo pubblico, va da ultimo citato il D.M. 17/2/2004 per l’anno 200420; mentre per quanto riguarda la pubblicazione dei prezzi per la determinazione dei valori assicurabili, gli ultimi provvedimenti adottati sono stati il D.M. 29/3/2002, e per l’anno in corso il D.M. 14/2/2006.

Infine, anche la determinazione dell’entità del contributo statale alla spesa assicurativa era rimessa, pur entro i limiti stabiliti dal DPR n. 324/96, a provvedimenti ministeriali annuali, che sono stati puntualmente approvati. Merita in proposito menzionare solo gli ultimi approvati prima della riforma, ovvero per il 2003 il D.M. 24/3/2003 e per il 2004 il D.M. 9/4/2004.

L’adozione del Piano riveste una funzione di primaria importanza dal momento che il principio della esclusione da altre forme di compensazione di quei danni che possono usufruire di una copertura assicurativa, norma come s’è visto dalle alterne vicende, ormai costituisce un punto fermo accolto anche con il D.lgs. n. 102/2004.

Quanto al soggetto legittimato a stipulare il contratto assicurativo, la legge 185/1992 non si discosta da quanto precedentemente disposto, riconoscendo tale diritto al Consorzio di difesa, che può sottoscrivere il contratto direttamente in nome e per conto del socio, con una compagnia scelta dal socio. La portata innovativa della legge riguarda invece l’altro contraente, ossia la compagnia assicuratrice, per la quale è fatto obbligo di

18 Le disposizioni in tema di stipula dei contratti assicurativi, inizialmente scritte all’articolo 9 delle

legge n. 185/92, sono state abrogate ma in gran parte riprodotte nel DPR n. 324/96 che ha pertanto definito i rischi assicurabili e, con l’art. 2, anche l’entità della contribuzione statale, che è stata commisurata al 50 per cento della spesa assicurativa ritenuta ammissibile, elevabile fino al 65 per cento nelle zone ad alto rischio climatico.

19 In proposito per gli anni 2001 e 2002 il Ministro agricolo è intervenuto: con il D.M. 27/2/2001, successivamente rivisto con due provvedimenti entrambi del 13/4/2001 (G.U. 104 e 119 del 2001), e con il D.M. del 18/1/2002 (G.U. m. 30/2002), integrato da quello del 29/3/2002 (G.U. n. 98/2002). Per le serre è stato approvato ancora un D.M. del 29/3/02 (G.U. n. 100/2002).

20 I provvedimenti annualmente approvati nella legislatura sono stati il D.M. 21/12/2001 per l’anno 2002, il D.M. 23/12/2002 per l’anno 2003, modificato il 19 giugno.

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aderire ad “uno dei consorzi” costituiti ed operanti, in tal modo imponendo l’abolizione del cartello delle compagnie assicuratrici imposto dalla legge del 1970.

Restava, peraltro, a maggior tutela degli assicurati, l'obbligo di riassicurazione dei rischi presso l'INA; e garanzie ancora maggiori contro l'insolvenza delle compagnie assicuratrici offriva il concorso finanziario diretto del Fondo di solidarietà, attraverso operazioni di riassicurazione, nel caso in cui per due anni consecutivi gli indennizzi complessivi pagati dalle società di assicurazione superassero l'importo dei premi percepiti, ivi compreso l'ammontare dell'accantonamento integrativo. In tal caso il Fondo provvedeva alla riassicurazione dei sinistri in eccesso fino al 30% del disavanzo accertato ed entro il 5% delle proprie disponibilità.

Anche relativamente alle tipologie di polizza sono da registrarsi novità con la legge n.185/1992 rispetto alla disciplina precedente, in quanto era possibile inserire altre tipologie di eventi - oltre a grandine, brina e gelo; era consentito estendere la copertura assicurativa anche i danni sofferti dalle strutture aziendali; ed era altresì possibile assicurarsi dai danni causati da fitopatie conseguenti alle avversità atmosferiche, e da quelli causati dalle epizoozie alle produzioni zootecniche.

Va anche rammentato che, nel caso di malattie diffusive del bestiame, era ammesso anche il sostegno dei redditi degli allevatori ad opera dei consorzi di produttori ai quali veniva rifusa dallo Stato la metà della spesa sostenuta ed accertata.

La legislazione diretta a regolare la tutela assicurativa da parte delle aziende

agricole contro i danni atmosferici è stata oggetto già nel 2000 di un intervento finalizzato a garantire agli operatori del settore primario una maggiore copertura.

In tale direzione si è mosso il legislatore con la già menzionata legge n. 388/2000 (Legge finanziaria per il 2001), che con l’articolo 127, commi 2 e 3 (tuttora in vigore), ha recato disposizioni di grande rilievo per gli strumenti innovativi che ha introdotto nel settore.

In primo luogo la legge attribuisce anche alle società cooperative e ai loro consorzi la possibilità di contrarre polizze assicurative agevolate, sulla base del solo riconoscimento regionale, della regione in cui hanno sede legale, non essendo più previsto l’adeguamento statutario.

Il medesimo comma introduce anche la possibilità per gli operatori di stipulare polizze assicurative che coprano la produzione complessiva aziendale danneggiata dall’insieme delle avversità atmosferiche, ossia di polizze multirischio.

Le medesime norme prevedono inoltre la costituzione, da parte delle varie forme associative di cui s’è detto - consorzi di difesa, cooperative, consorzi di cooperative - anche di fondi rischi di mutualità, da attivare in caso di danni agli associati, che ricalcherebbero i “confidi” già operanti tra imprese artigiane. E’ anche disposto che lo Stato alimenti tali fondi sia all’atto della loro costituzione,

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sia annualmente per la successiva dotazione finanziaria, nei limiti dei parametri stabiliti per la partecipazione alle spese di polizza per l’assicurazione agevolata21.

In proposito è intervenuta la legge n. 448/2001 (Legge finanziaria per il 2002), che ha integrato il precedente disposto richiedendo che i parametri vengano applicati “ai valori delle produzioni garantite dal fondo” stesso, e che la partecipazione dello Stato non superi l’importo versato dal socio aderente alle azioni di mutualità o solidarietà.

La legge n. 388 ha infine contemporaneamente imposto ai consorzi di difesa di procedere, con delibere assembleari, alla soppressione delle casse sociali.

Le modalità operative e gestionali dei fondi di mutualità sono state disciplinate, come richiesto dalla legge, con il D.M. 31/07/2002, che impone che l’adesione alle azioni del fondo sia volontaria ed aperta a tutti i soci. Questi pertanto possono scegliere la modalità di copertura dai rischi sia aderendo al fondo sia ricorrendo ad un contratto assicurativo. A sua volta il fondo può porre a proprio carico tutti i rischi assunti in garanzia, oppure cedere parte di essi a una o più imprese di assicurazione, o partecipare a fondi rischi regionali, interregionali o nazionali, che concorrono al pagamento dei risarcimenti. In ogni caso è fatto obbligo, allo stesso organismo associativo, con apposito regolamento approvato dalla regione territorialmente competente, di definire le modalità ed i limiti di copertura dei rischi con le risorse finanziarie del fondo.

Infine, relativamente alla partecipazione statale alle spese del fondo, sia per la sua costituzione che per la successiva dotazione annuale, va fatto riferimento al D.M. 11/10/2001 che ha definito le “Procedure di erogazione dei contributi destinati a soggetti singoli ed associati che si attivano per la difesa delle produzioni agricole dalle avversità atmosferiche”.

In merito all’aiuto pubblico, va ancora rammentato che la legge n. 388/2000

richiedeva che un decreto operasse una quantificazione dello specifico stanziamento annuale, da destinare a contribuzione delle “azioni di mutualità e solidarietà”.

Infine, ancora la legge n. 388/2000 (stesso comma 3 dell’art. 127), ha istituito presso l’ISMEA (v. scheda Funzioni e compiti dell’ISMEA) un Fondo per la riassicurazione dei rischi che, come ha poi stabilito l’art. 2, comma 2 del D.L. n. 200/2002, (convertito, in legge, con modificazioni, dalla legge n. 256/2002), può in taluni casi assumere a proprio carico in riassicurazione fino al 100 per cento dei rischi. Va detto che in proposito il D.L. n. 200 ha introdotto la totale copertura riassicurativa ad esclusivo beneficio delle polizze multirischio sulle rese, sui ricavi, sulle strutture e sul reddito complessivo, e limitatamente ad un periodo sperimentale di tre anni.

21 I parametri determinati, in via generale, nel 50% della spesa assicurativa ammissibile, elevati al

65% per le zone ad alto rischio climatico sono stati rideterminati dal decreto legislativo n. 102/2004.

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Le modalità operative del Fondo, come richiesto dalla legge n. 388, sono state definite con il D.M. 7/11/0222. Sulla base di tale decreto il Fondo provvede alla compensazione dei rischi agricoli coperti dalle polizze assicurative che godono del contributo pubblico sulla spesa per il pagamento dei premi; in sostanza, pertanto, l’istituto interviene con la riassicurazione dei rischi agricoli agevolati contratti dalle imprese di assicurazione.

Le azioni del Fondo, che devono garantire un adeguato vantaggio per i produttori agricoli, debbono essere rivolte prioritariamente alla copertura delle polizze multirischio, nonché a quelle sui ricavi e sul reddito, le cui tipologie sono definite con lo stesso decreto. Quanto ai canali di alimentazione del Fondo, essi sono costituti in primo luogo dai premi di riassicurazione pagati dalle imprese assicurative, ai quali si è aggiunto lo stanziamento disposto con il D.L. n. 138/2002 (convertito in legge, con modificazioni, dalla legge n.178/2002, che con l’art. 13, comma 4-sexies, gli ha attribuito 10 milioni di euro a partire dall’anno 2002, nonché ulteriori 50 milioni di euro recati dall’art. 1, comma 85 della legge n. 311/2004 (Legge finanziaria per il 2005). Per la gestione del fondo l’ISMEA è tenuta ad una contabilità separata.

Il decreto ministeriale in commento ha previsto, a sua volta, che con decreto del Ministro delle politiche agricole e forestali, d'intesa con la Conferenza Stato-regioni, entro il 31 dicembre di ogni anno, venga approvato un piano riassicurativo agricolo annuale, nel quale siano stabilite: • per ogni tipologia di polizza la percentuale dei rischi che il Fondo può

assumere in riassicurazione; • sempre per tipologia di polizza, la percentuale dei rischi che il Fondo può

mantenere a proprio carico; • la percentuale dei premi che le imprese di assicurazione possono cedere al

Fondo per la riassicurazione; • le modalità di accertamento delle condizioni contrattuali che determinano il

pagamento dei risarcimenti da parte del fondo; • quale sia l’aliquota delle proprie entrate che il Fondo deve destinare alla

riserva di stabilizzazione; • le specialità delle regioni e delle province autonome di Trento e Bolzano.

Il primo piano riassicurativo agricolo è stato approvato con il D.M. 7 febbraio 2003 e pur avendo validità annuale, e relativa al solo 2003, deve probabilmente intendersi tuttora in vigore avendo l’art. 8 stabilito, per garantire l’operatività del Fondo, che in mancanza di un nuovo piano le sue disposizioni si intendono prorogate all’anno successivo. Il decreto, infine, impone all’ISMEA di presentare annualmente al Dicastero agricolo una relazione che consenta di verificare se le

22 Va rammentato che all'ISMEA è stato attribuito un ruolo nel campo del settore assicurativo già

con la legge n. 419/99, art. 6, co. 5, che le consente di “costituire forme di garanzia creditizia e finanziaria per strumenti e/o servizi informativi, assicurativi e finanziari alle imprese agricole, volte a ridurre i rischi inerenti alle attività produttive e di mercato”.

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azioni del Fondo abbiano consentito alle imprese agricole di conseguire l”adeguato vantaggio economico” richiesto dal D.L. n. 200/02 (art. 2, comma 2).

Nel corso della legislatura gran parte delle disposizioni che si erano nel tempo

succedute allo scopo di disciplinare l’intervento pubblico a sostegno delle aziende agricole colpite da calamità naturali sono state abrogate e sostituite da un provvedimento che si è proposto di disciplinare la materia in modo organico.

Tale revisione è stata disposta con il D.lgs. n. 102 del 2004, adottato in attuazione della delega contenuta all’articolo 1 della legge n.38/2003 (c.d. “collegato agricolo”). Per quanto in questa sede rileva, vanno richiamati il Capo I del provvedimento (articoli 2-4), che disciplina gli interventi per incentivare la stipula di contratti assicurativi (interventi ex ante), ed il Capo III (articoli 11-14), interamente dedicato ai consorzi di difesa.

L’articolo 1 definisce gli obiettivi del Fondo di solidarietà nazionale (v. scheda La gestione dei rischi in agricoltura Fondo di solidarietà nazionale), a carico del quale sono posti sia gli interventi volti a incentivare la stipula di contratti assicurativi (interventi ex ante), sia gli interventi finalizzati alla ripresa economica e produttiva dell’impresa (interventi compensativi o ex post), riservati questi ai soli danni non ammessi all’assicurazione agevolata (art. 5, co. 4) e conseguentemente non inseriti nel Piano Assicurativo agricolo annuale23, nonché interventi di ripristino delle infrastrutture connesse all'attività agricola, tra cui quelle irrigue e di bonifica.

Relativamente alla politica di incentivazione dei contratti assicurativi (interventi ex ante), l’articolo 2 ha definito le modalità di partecipazione dello Stato al pagamento dei premi assicurativi. L’intervento dello Stato, condizionato - a decorrere dal 1° gennaio 2005 - al fatto che il contratto assicurativo preveda, per ciascun prodotto, la copertura della produzione complessiva aziendale all'interno di uno stesso comune, è concesso:

• fino all’80% qualora il danno raggiunga il 30%, ovvero il 20% nelle zone svantaggiate;

• fino al 50% se ad essere assicurati sono i danni causati da avversità che non raggiungono la soglia di distruzione del 30% (o 20% nelle zone svantaggiate), o oggetto della assicurazione sono le perdite causate da epizoozie o fitopatie.

L’articolo 3 prevede la possibilità per le imprese di assicurazione di costituirsi in consorzi di coassicurazione e coriassicurazione, fissando, tuttavia, in conformità alla disciplina comunitaria in materia, limiti alla concentrazione delle risorse nel relativo mercato (limiti peraltro non applicabili, per tre anni, nel caso di rischi coperti con polizze assicurative innovative). 23 Si fa presente che il D.L. 24 giugno 2004, n. 157 (convertito in legge, con modificazioni, dalla

legge 3 agosto 2004, n. 204), con l’art. 2, co. 1-quater ha rinviato all’anno 2005 l’applicazione del principio dell’alternatività tra interventi compensativi ed assicurativi prevista dall’art. 5, co.4, del D.lgs. n. 102/1999.

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L’articolo 4 richiede che entro il 30 novembre di ogni anno, con decreto del Ministro delle politiche agricole e forestali, sia approvato il Piano assicurativo agricolo annuale attraverso il quale si procede, tenendo conto di una serie di parametri, alla individuazione dei rischi assicurabili, e alla contestuale determinazione dell’entità del contributo pubblico sui premi assicurativi. Il Piano è elaborato sulla base dei dati rilevati dalla banca dati sui rischi agricoli e, previo parere di una Commissione tecnica istituita allo scopo e rappresentativa di tutti i soggetti istituzionali e le categorie interessate.

In attuazione delle illustrate disposizioni con il D.M. 17/3/2005 è stato adottato il Piano assicurativo agricolo 2005.

In merito ai consorzi di difesa l’articolo 11 individua le forme giuridiche che essi possono assumere e attribuisce alla regione il riconoscimento della loro idoneità all’attività. Prevede, inoltre, che i consorzi possano accedere al credito agrario. Con l’articolo 12 è definito il quadro entro il quale si organizza l’amministrazione interna dei consorzi, e viene altresì stabilito un contenuto necessario degli statuti.

L’articolo 13 rimette la vigilanza sui consorzi alle regioni, le quali sono anche chiamate ad esprimere un parere di ammissibilità dei consorzi al contributo statale sui premi d’assicurazione.

L’articolo 14 concede ai consorzi un’ampia facoltà di scelta, da definirsi in sede assembleare, in merito alle forme d’intervento e di difesa che possono essere adottate nell’interesse degli associati. Fra queste la legge espressamente enuncia il ricorso a forme assicurative, per le quali i consorzi sono autorizzati ad agire anche “in nome e per conto” dei soci.

L’articolo 15, infine, rimanda alla Tabella D della legge finanziaria annuale la determinazione della dotazione finanziaria del Fondo di solidarietà nazionale, prevedendo l’iscrizione di uno stanziamento sullo stato di previsione del Ministero delle politiche agricole e forestali riservato agli incentivi assicurativi (interventi ex-ante), e di uno stanziamento sullo stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze destinato all’erogazione degli interventi compensativi e di ripristino (o ex post).

Il Fondo di solidarietà nazionale mantiene peraltro la veste di conto infruttifero aperto

presso la Tesoreria ed intestato al Ministerro delle politiche agricole, ma la dotazione del Fondo deve riversarsi in due distinti capitoli, l’uno iscritto nello stato di previsione del dicastero agricolo, denominato Fondo di solidarietà nazionale - incentivi assicurativi, l’altro iscritto nella tabella del dicastero dell’economia, denominato Fondo di solidarietà nazionale – interventi indennizzatori. Il Ministero delle politiche agricole e forestali gestisce, pertanto, le risorse allocate sul Cap. 7439 della UPB 3.2.3.3 destinate ad incentivare la stipula dei contratti assicurativi che, in quanto classificate come interventi di sostegno dell’economia dal comma 84 della legge 311/2004 (Finanziaria 2005), possono essere rifinanziate annualmente in tabella D della legge finanziaria. Il Ministero

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dell’economia gestisce, invece, le risorse destinate agli interventi di compensazione dei danni sofferti dai produttori e agli interventi di ripristino delle infrastrutture, allocate sul Cap. 7411 della UPB 3.2.4.3, che debbono essere annualmente quantificate nella tabella C della finanziaria.

Della istituzione, ad opera dell’art. 127, comma 3, della legge 388/2000 (Legge finanziaria per il 2001), presso l’ISMEA di un Fondo per la riassicurazione dei rischi agricoli, s’è già detto. Merita segnalare in proposito che tale Fondo è allocato sul cap 7480 della medesima UPB 3.2.3.3 del Mipaf.

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Sicurezza e qualità degli alimenti - L’agricoltura biologica

In tema di agricoltura biologica importanza centrale riveste il Piano d’azione europeo per l’agricoltura biologica e gli alimenti biologici, adottato dalla Commissione europea il 10 giugno 2004 e successivamente comunicato al Consiglio ed al Parlamento europeo. Il Consiglio dell’Unione europea Agricoltura e pesca si è espresso favorevolmente sul piano con le conclusioni del 18 ottobre 2004, mentre il Parlamento europeo lo ha approvato con la risoluzione del 10 marzo 2005.

Il piano è composto da una lista di 21 azioni, suddivise in tre sezioni: il mercato dei prodotti alimentari; gli indirizzi politici e l’agricoltura biologica; le norme e i controlli.

Tali azioni sono finalizzate: • allo sviluppo del mercato dei prodotti alimentari biologici fondato

sull’informazione, con il miglioramento dell’informazione per consumatori ed operatori e l’utilizzo del logo comunitario;

• a rendere più efficienti gli aiuti pubblici a favore dell’agricoltura biologica, incoraggiando l’adozione delle varie misure di sviluppo rurale presso gli Stati membri;

• a migliorare e rafforzare le norme comunitarie applicabili all’agricoltura biologica, nonché le disposizioni in materia di importazioni e di controlli.

L’obiettivo è quello di promuovere un’agricoltura rispettosa dell’ambiente e prodotti di qualità, in modo da soddisfare i criteri di ecocondizionalità nel quadro della riforma della PAC (v. scheda Politica agricola comune (PAC)). Inoltre, si intende migliorare l’informazione sui prodotti biologici, potenziando i sistemi di utilizzo dei dati per venire meglio incontro all’offerta e alla domanda, rafforzando i controlli e migliorando la ricerca sull’agricoltura biologica.

Sul piano nazionale è stato predisposto da parte del Comitato consultivo nazionale per l’agricoltura biologica e ecocompatibile, nella seduta del 13 dicembre 2004, il documento dal titolo Linee guida per la redazione del Piano d’azione nazionale per l’agricoltura biologica e i prodotti biologici. Il documento è composto da 19 azioni raggruppate in quattro assi d’intervento:

• asse 1, penetrazione sui mercati mondiali, cui si riferiscono le azioni relative alla “penetrazione commerciale sui mercati internazionali “ e alla “creazione e rafforzamento reti a livello internazionale”.

• asse 2, organizzazione di filiera e commerciale, nell’ambito del quale si interviene per il consolidamento e l’incremento della base produttiva (attraverso un adeguamento normativo e delle politiche, nonché con il

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miglioramento dei servizi alle imprese), con l’aggregazione dell’offerta per via telematica, con il sostegno all’interprofessione, con l’organizzazione commerciale e con lo sviluppo di nuove produzioni e mercati (disciplinari e nuovi mercati);

• asse 3, aumento della domanda interna e comunicazione istituzionale: qui spiccano gli interventi per il miglioramento delle conoscenze e dell’immagine del prodotto (immagine del settore e del prodotto), l’aumento degli acquisti pubblici e la politica fiscale);

• asse 4, rafforzamento e miglioramento del sistema istituzionale e dei servizi: in questo ambito si segnalano gli interventi per il potenziamento della presenza nelle istituzioni internazionali, l’adeguamento delle politiche della salute e ambientali, il miglioramento della sostenibilità ambientale (efficienza ambientale e gestione del rischio ambientale) nonché quello dei servizi (in particolar modo, i sistemi di gestione dati).

Attualmente, il piano nazionale per l’agricoltura biologica risulta in corso di approvazione.

Per quanto attiene all’attività normativa nella XIV legislatura, si segnala in

primo luogo l’articolo 1, comma 87, della legge n. 311/200424 che ha istituito, nell’ambito del Fondo per lo sviluppo dell’agricoltura biologica25, un apposito capitolo per l’attuazione del Piano d’azione nazionale per l’agricoltura biologica e i prodotti biologici, rimettendo la definizione delle modalità di spesa delle risorse ad un DM del Ministro delle politiche agricole e forestali26.

Inoltre, merita segnalare che l’articolo 2 della legge n. 38 del 200327 ha attribuito al Governo una delega per adottare, su proposta del Ministro delle politiche agricole e forestali, previa intesa in sede di Conferenza Stato-regioni, entro un anno dalla data di entrata in vigore della legge medesima, un decreto legislativo recante la revisione della disciplina in materia di produzione agricola e agroalimentare con metodo biologico. Il decreto legislativo in questione non è stato però adottato entro il termine di scadenza della delega28.

24 L. 30 dicembre 2004, n. 311, “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale

dello Stato (legge finanziaria 2005)”. 25 Di cui all’articolo 59, comma 2-bis, della L. 23 dicembre 1999, n. 488, “Disposizioni per la

formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. (Legge finanziaria 2000)”. 26 Tale DM non risulta ancora adottato. 27 L. 7 marzo 2003, n. 38, “Disposizioni in materia di agricoltura”. Ai fini dell’adozione di tale

decreto legislativo, nella norma si fa riferimento ad un parere del Comitato consultivo per l'agricoltura biologica ed eco-compatibile, e allo svolgimento delle procedure di concertazione con le organizzazioni di rappresentanza della filiera agroalimentare.

28 Il termine per l’esercizio della delega è stato prorogato, da ultimo, al 15 maggio 2006, dall’articolo 1 della legge n. 51 del 2006).

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Per quanto attiene alla diffusione delle coltivazioni biologiche nel nostro Paese, secondo gli ultimi dati disponibili, aggiornati al 31 dicembre 200429 nel settore vi sono 40.965 operatori, con 954.360 ettari di SAU (superficie agricola utilizzata) coltivati con metodi biologici. Nell’ultimo triennio si è registrato un sensibile ridimensionamento del settore con una riduzione di un terzo degli operatori e una contrazione delle superfici coltivate nell’ordine del 20 per cento. Questa tendenza dà conto di un processo di assestamento e di riorganizzazione strutturale in atto, con una progressiva selezione degli operatori professionali. D’altro canto, la riduzione delle superfici investite è anche la prova dell’aumento della dimensione delle aziende che nel 2004 ha superato i 27 ettari di estensione media.

Il profilo dell’agricoltura biologica italiana non ha subito sensibili modifiche, dal momento che prevalgono le coltivazioni estensive (71 per cento della superficie censita), con un peso limitato per le coltivazioni arboree (18 per cento) ed ancora minore per le leguminose da granella, gli ortaggi e le piante industriali (4 per cento). In linea generale, si è registrato un ampliamento della gamma di coltivazioni praticate.

Riguardo alla zootecnia biologica nel 2004 si è evidenziato una costante crescita, riflesso di una domanda molto attenta alla qualità dei prodotti animali. Le categorie animali allevate più diffuse sono gli ovini e i bovini (rispettivamente, 500 mila e 250 mila capi), mentre l’incidenza degli allevamenti biologici per le produzioni avicole e suinicole è ancora estremamente ridotta.

Nell’Unione europea, l’Italia detiene primato nel settore biologico sia in termini di superfici coltivate che di aziende, seguita da Spagna, Regno Unito e Francia.

Riguardo al mercato dei prodotti biologici, le rilevazioni Ismea-AcNielsen del 2004 denotano una contrazione del 4 per cento dei consumi domestici di prodotti biologici, in tal modo arrestando la tendenza all’aumento finora verificatasi. Secondo le ricerche del gruppo NaturaSì il valore dell’intero mercato biologico italiano è stimato in oltre un miliardo di euro, pari all’1 per cento dell’intero comparto agroalimentare, con un aumento dell’1,4 per cento rispetto al 2003. In ogni caso, si è registrata una contrazione nei consumi sia per la sfavorevole congiuntura economica, sia per i prezzi relativamente più elevati rispetto agli altri prodotti convenzionali. Tra i canali di vendita predomina la grande distribuzione organizzata, che copre il 90 per cento del fatturato. Il giro di affari del settore biologico in Europa è pari a 11 miliardi di euro, con la Germania come piazza più rilevante, seguita da Regno Unito, Francia e Italia30.

Merita evidenziare, infine, che nella relazione della Corte dei conti riguardante la

sua indagine sulla gestione degli investimenti nei settori dello sviluppo e della ricerca

29 Cfr. INEA, Annuario dell’Agricoltura italiana, volume LVIII, 2004. 30 Ibidem, pag. 285

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sull'agricoltura biologica ed ecocompatibile31, si lamenta l’esiguità dell’intervento statale finanziato rispetto alla portata strategica del settore. In tal senso, si sottolinea come questo dato contrasta con l’esigenza, assai avvertita nel settore, di pianificazione equilibrata delle strategie quale elemento per accrescere la sua competitività sia sul mercato interno che su quello estero. D’altro canto, le previsioni per il futuro mostrano una flessione delle superfici coltivate dal momento che gli agricoltori biologici, attesa la scarsa entità dei sussidi, che non sono superiori a quelli previsti per l’agricoltura integrata32, si orientano verso quest’ultima, considerata meno rischiosa e meno dispendiosa. Nella relazione dell’organo di controllo si evidenzia, inoltre, come le politiche finora perseguite hanno privilegiato il lato dell’offerta, rispetto a quello della domanda, incentrandosi soprattutto sulla ricerca e sugli aiuti alla produzione, mentre marginale rilevanza è stata attribuita all’informazione. Inoltre, viene lamentata una certa difficoltà nell’attuazione dei programmi con propensione ai residui di stanziamento, mentre scarse sono le indicazioni da parte delle amministrazioni, statali e regionali riguardo ai risultati, diretti e indiretti, dell’azione amministrativa.

31 Relazione della Corte dei conti - sezione centrale di controllo sulla gestione delle

amministrazioni dello Stato, deliberazione n. 18 del 22 giugno 2005 -, concernente l'indagine condotta sugli investimenti nei settori dello sviluppo e della ricerca sull'agricoltura biologica ed ecocompatibile (annunciata nella seduta dell’Assemblea della Camera dei deputati n. 668, del 12 settembre 2005) http://www.corteconti.it

32 Con il termine di agricoltura integrata o produzione integrata, conosciuta a livello internazionale integrated farming system o integrated production, si indica metodo di produzione agricola eco-compatibile, in altre parole un sistema agricolo di produzione di alimenti e altri prodotti di alta qualità che utilizza risorse e meccanismi di regolazione naturali per sostituire apporti dannosi all’ambiente e assicurare un’agricoltura vitale nel lungo periodo. Tale sistema muove dalla necessità di adottare un sistema che tenda a salvaguardare l’ambiente e a produrre cibo salutare e sicuro, sfruttando in modo economicamente adeguato le risorse disponibili.

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Sicurezza e qualità degli alimenti - Autorita’ per la sicurezza alimentare

L’Autorità europea per la sicurezza alimentare (AESA) è un’agenzia comunitaria, finanziata dal bilancio comunitario, dotata di personalità giuridica e di competenze indipendenti dalle altre istituzioni comunitarie.

L’Autorità è stata istituita dal regolamento (CE) n. 178/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio, adottato il 28 gennaio 2002. Il regolamento contiene altresì i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, e fissa le procedure nel campo della sicurezza alimentare.

Il Capo III del regolamento stabilisce funzioni e compiti dell’Autorità, rganizzazione, funzionamento, principi guida, disposizioni finanziarie e generali.

Le funzioni principali dell’Autorità sono: • offrire consulenza indipendente e assistenza scientifica e tecnica per la

normativa e le politiche della Comunità in tutti i campi che hanno un’incidenza diretta o indiretta sulla sicurezza degli alimenti e dei mangimi, nonché sulla nutrizione umana in relazione alla normativa comunitaria; formulare pareri scientifici sulla salute e il benessere degli animali, e la salute dei vegetali (art.22). Interlocutore principale dell’Autorità è la Commissione, tuttavia l’Autorità può rispondere (art.29) a questioni scientifiche poste dalle altre istituzioni comunitarie e dagli Stati membri, nonché condurre e commissionare studi scientifici di propria iniziativa (art.32). La Commissione può chiedere inoltre all’Autorità di assisterla, nei settori di propria competenza, sia nella determinazione e/o valutazione di criteri tecnici sia nell’elaborazione di orientamenti tecnici (art. 31);

• raccogliere, analizzare, confrontare e sintetizzare i dati scientifici e tecnici (art.33) che consentono l’individuazione e la sorveglianza dei rischi aventi un’incidenza diretta o indiretta sulla sicurezza degli alimenti e dei mangimi; l’Autorità agisce in stretta collaborazione con tutti gli organismi attivi in tutto il mondo nel campo della raccolta dati. L’AESA è tenuta a creare un sistema di reti (art.36) destinato a favorire una cooperazione stretta con le organizzazioni operanti nei settori di sua competenza negli Stati membri, e a stabilire procedure di sorveglianza per l’attività sistematica di raccolta, analisi e confronto di informazioni e dati, finalizzate all’individuazione dei rischi emergenti nella catena alimentare (art.34);

• comunicare i rischi inerenti ai settori di sua competenza; • collaborare con la Commissione e gli Stati membri per promuovere

l’effettiva coerenza fra la valutazione, la gestione e la comunicazione del rischio.

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L’Autorità partecipa alle attività relative al sistema di allarme rapido, gestione delle crisi e situazioni di emergenza disciplinato dal capo IV del regolamento n. 178.

Il sistema di allarme rapido (artt. 50-52), finalizzato alla notificazione di un rischio diretto o indiretto per la salute umana dovuto ad alimenti o mangimi, è costituito da una rete cui partecipano la Commissione (che ne ha la responsabilità), gli Stati membri e l’AESA. L’AESA, in particolare, è destinataria dei messaggi che transitano per il sistema di allarme rapido, al fine di analizzarne i contenuti e fornire alla Commissione e agli Stati membri una valutazione del rischio alla luce delle informazioni e dei dati scientifici del mondo intero (art. 35).

Per la gestione delle crisi riguardanti la sicurezza degli alimenti e dei mangimi, il regolamento stabilisce che l’Autorità collabora con la Commissione e gli Stati membri all’elaborazione di un piano generale per la gestione delle crisi (artt. 55-56). Tale piano indica i tipi di situazione suscettibili di comportare rischi diretti o indiretti per la salute umana derivanti da alimenti e mangimi e determina le procedure pratiche necessarie per la gestione della crisi nonché il principio di trasparenza da applicare e la strategia di comunicazione.

L’Autorità è chiamata a partecipare alle Unità di crisi (art. 56) istituite dalla Commissione per fronteggiare situazioni di grave rischio diretto o indiretto per la salute umana derivanti da alimenti o mangimi.

L’attività dell’Autorità deve essere svolta nel rispetto dei principi di indipendenza, riservatezza e trasparenza. I pareri del comitato e dei gruppi scientifici, così come gli studi scientifici e il rapporto annuale, nonché le richieste di parere presentate dalle istituzioni comunitarie sono rese pubbliche (art.38). Tuttavia l’Autorità non rivela a terzi le informazione sulle quali è stato richiesto e giustificato un trattamento riservato (art. 39), con l’eccezione delle conclusioni di pareri scientifici relativi a prevedibili effetti sanitari.

Gli organi dell’AESA (artt. 24-28) sono: • il consiglio di amministrazione, composto da 14 membri nominati dal Consiglio

in consultazione con il Parlamento europeo, in base ad un elenco stilato dalla Commissione; quattro di questi membri devono avere esperienza in associazioni che rappresentano i consumatori e altri raggruppamenti con interessi nella catena alimentare. Del consiglio di amministrazione fa parte anche un rappresentante della Commissione;

• il direttore esecutivo, che rappresenta legalmente l’Autorità ed è nominato dal consiglio di amministrazione;

• il foro consultivo, composto da rappresentanti degli organi competenti che svolgono negli Stati membri funzioni analoghe a quelle dell’Autorità, in ragione di un rappresentante per Stato membro. Il foro è considerato un elemento chiave per ottenere il sostegno e la collaborazione degli Stati membri;

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• il comitato scientifico, costituito dai presidenti dei gruppi permanenti di esperti scientifici e da sei esperti scientifici indipendenti non appartenenti ad alcun gruppo.

L’art. 49 prevede che alle attività dell’Autorità possano partecipare paesi che hanno concluso con la Comunità accordi per l’adozione e l’applicazione della legislazione comunitaria in materia alimentare.

L’art. 64 del regolamento, approvato il 28 gennaio 2002, prevede che

l’Autorità debba essere operativa a decorrere dal 1° gennaio 2002. La prima riunione del Consiglio d’amministrazione si è tenuta il 18 e 19 settembre 2002. Durante la prima riunione, il Consiglio d’amministrazione ha adottato il regolamento interno ed ha eletto, con mandato biennale rinnovabile, il proprio presidente ed i due vice-presidenti.

Il 13 dicembre 2003, il Consiglio europeo di Bruxelles ha scelto la città di Parma come sede permanente dell’AESA, stabilita a Bruxelles in via provvisoria33. Il trasferimento del personale è iniziato nell’autunno del 2004 e si è concluso nel 2005, dopo l’inaugurazione della nuova sede che si è tenuta il 21 giugno 2005.

L’AESA è interamente finanziata dal bilancio comunitario. Su proposta della Commissione, il bilancio è approvato dall’autorità di bilancio, costituita dal Consiglio e dal Parlamento europeo. L’autorità di bilancio ha approvato per l’AESA uno stanziamento comunitario di 28,9 milioni di euro per il 2004, e di 36,7 Meuro per il 2005.

Il 27 aprile 2004 il Governo italiano ha concluso con l’Autorità europea per la

sicurezza alimentare l’accordo per l’insediamento a Parma. Tale accordo è stato ratificato dal Parlamento italiano con la legge 10 gennaio 2006, n. 17.

33 Si ricorda che la scelta di Bruxelles come sede provvisoria era stata operata dal Consiglio

agricoltura del 21 gennaio 2002, ed era stata motivata dalla volontà di mettere l’AESA in grado di esercitare immediatamente le sue attività.

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Sicurezza e qualità degli alimenti - Etichettatura alimenti

In mancanza di specifiche disposizioni di settore la normativa di riferimento in tema di etichettatura, presentazione e pubblicità dei prodotti alimentari va rintracciata nella direttiva 2000/13/CE, che con l’articolo 3 stabilisce l’obbligo di presentare nella etichetta soltanto talune indicazioni, che sono ritenute fondamentali: denominazione di vendita, elenco degli ingredienti (per alcuni specificando anche la quantità), quantità netta, termine minimo di conservazione e condizioni particolari di conservazione e i utilizzazione, nome, ragione sociale o marchio e sede del fabbricante, sede dello stabilimento, titolo alcolometrico volumico effettivo per le bevande alcoliche (a contenuto alcolico maggiore di 1,2% in volume), lotto di appartenenza, modalità di conservazione, istruzioni per l'uso. Per quanto attiene l'indicazione del luogo d'origine o di provenienza, la scelta del legislatore comunitario è che questa possa essere resa obbligatoria solo nella ipotesi che l'omissione della indicazione stessa possa indurre in errore il consumatore circa l'origine o la provenienza effettiva del prodotto alimentare.

Peraltro il successivo articolo 4 delle medesima direttiva prevede che soltanto riguardo a determinati prodotti alimentari, e non in generale per tutti indistintamente i prodotti alimentari, possano essere rese obbligatorie, con norme comunitarie o in mancanza di queste in forza di una norma nazionale adottato dal singolo Stato membro, indicazioni aggiuntive diverse da quelle previste dall'art. 3.

Nel caso tale obbligo discenda da una norma nazionale, lo Stato membro interessato deve attivare la procedura informativa prevista dall’articolo 19 della direttiva citata, cioè deve comunicare alla Commissione e agli altri Stati membri le misure adottate, precisandone i motivi. La Commissione consulta gli Stati membri in sede di comitato permanente per la catena alimentare e la salute degli animali, istituito dal regolamento (CE) n. 178/2002, qualora lo ritenga utile o a richiesta di uno Stato membro. Lo Stato membro può adottare le misure previste soltanto tre mesi dopo tale comunicazione e purché non abbia ricevuto parere contrario della Commissione.

In merito all’indicazione dell'origine dei prodotti alimentari sono state

approvate disposizioni che la prevedono attualmente per le seguenti categorie di prodotti alimentari:

- carni bovine Il 17 luglio 2000 è stato approvato il reg. CE n. 1760/2000 che, fra l'altro, ha obbligato tutti i venditori al dettaglio di carni bovine ad apporre sull'etichetta l’indicazione della provenienza delle carni poste in vendita. Il provvedimento è stato approvato in connessione con la grave crisi che aveva colpito il comparto a seguito della comparsagli della BSE registrati nel settore, ed ha

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più in generale meglio definito anche il sistema di identificazione e registrazione dei capi. Consentendo di arricchire le informazioni fornite al consumatore con la indicazione facoltativa di ulteriori elementi, ha inteso rassicurare il mercato ponendo in condizione il consumatore di ricostruire l'intero percorso seguito dalle carni, dall'azienda di allevamento del capo alla tavola. Le norme di attuazione sono arrivate in Italia con il DM del 30/8/2000, cha dal 1° dicembre ha obbligato gli operatori a rendere pubblici i dati relativi al codice animale, al paese di macellazione e quello di sezionamento; l’obbligo di indicare anche il paese di nascita e quello di ingrasso è decorso invece dal 1° gennaio 2002. Tali informazioni vanno rese riportandole sull’etichetta, se trattasi di prodotti confezionati, oppure su cartelli esposti sul banco macelleria, per i prodotti venduti al dettaglio. Le sanzioni per la mancata osservanza delle menzionate norme sono state definite con il D.lgs. n. 58/2004; - ortofrutta con il decreto legislativo 306/2002, entrato in vigore il 15 febbraio 2002, sono state definite le sanzioni per coloro che violano i regolamenti comunitari che disciplinano la commercializzazione dei prodotti ortofrutticoli stabilendo fra l’altro i requisiti che debbono essere posseduti dai prodotti. Quanto alla etichettatura di tali prodotti il riferimento è all'articolo 6 del regolamento 2200/1996/CEE, secondo il quale nella fase di vendita devono essere presentate in modo chiaro e leggibile per l’acquirente le seguenti indicazioni: identificazione del prodotto, natura e origine, varietà e caratteristiche commerciali; - prodotti ittici i regolamenti (CE) n. 104/2000 e n. 2065/2001 prevedono che i cartellini di vendita rechino le seguenti indicazioni: a) in primo luogo il metodo di produzione, ovvero se trattasi di prodotto pescato, oppure pescato in acque dolci, oppure allevato; b) quale sia la denominazione commerciale; c) il Paese o la zona di mare di cattura (Mar Mediterraneo, Oceano Atlantico, Oceano Pacifico). Con decreto del Ministero delle politiche agricole e forestali del 27 marzo 2002 è stata disciplinata in Italia l'etichettatura dei prodotti ittici ed è stato istituito un sistema di controllo. Istruzioni in merito sono state diffuse con la circolare 27 maggio 2002, n. 21329 del dicastero agricolo. - miele Nel dicembre del 2001 è stata approvata la direttiva comunitaria 2001/110/CE che ha regolato la produzione e commercializzazione del miele. Per il prodotto in questione la scelta comunitaria è stata quella di rendere obbligatoria la indicazione del paese o dei paesi d'origine in cui il miele è stato raccolto allo

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scopo di evitare di indurre in errore il consumatore34. Le disposizioni nazionali di recepimento sono state approvate con il D.lgs. n. 179/2004 che sostanzialmente riproduceva con l’art. 3 il dispositivo comunitario. Tuttavia recentemente, in sede di conversione del D.L. n. 2/2006, con la legge n. 81/2006 il menzionato articolo 3 è stato rivisto abrogando le disposizioni che consentivano, per il miele originario di più Stati membri o più paesi terzi, l’utilizzo di una delle seguenti diciture previste dall’Unione europea: - "miscela di mieli originari della CE", - "miscela di mieli non originari della CE", - "miscela di mieli originari e non originari della CE". - uova La commercializzazione delle uova è stata disciplinata con il reg. n. 1907/90 che ne ha in particolare regolato la classificazione per categoria di qualità e peso, l'imballaggio, il magazzinaggio, il trasporto, la presentazione e la marcatura. Va segnalato poi il reg. n. 2052/2003 di modifica, che ha ricondotto la produzione degli oviprodotti entro due sole categorie, la A destinata ad essere commercializzata come uova da tavola e la B destinata all’industria. Nel dicembre del medesimo 2003 è stato approvato anche il reg. 2295/2003 che recando le disposizioni di applicazione ha introdotto rilevanti novità in tema di indicazioni da apporre sulle uova nonché sugli imballaggi. Tale ultimo provvedimento, che ha minuziosamente regolato il contenuto delle informazioni che debbono essere fornite al consumatore (durata minima, data d’imballaggio, data raccomandata di vendita, data di deposizione, indicazione dei metodi di allevamento e del tipo di alimentazione), ha anche consentito di indicare sulle uova di categoria A la regione d’origine (art. 15). Tale indicazione, che può essere fatta utilizzando sia diciture che simboli, va individuata in una circoscrizione amministrativa o in altra regione “definita dall’autorità” dello Stato membro

In attesa dell’adeguamento della legislazione nazionale il Dicastero agricolo è intervenuto in un primo momento con la circolare 19 gennaio 2004, n. 135 che ha reca le indicazioni per una corretta immissione sul mercato dell’oviprodotto, che doveva essere conforme alle nuove norme UE applicabili a decorrere dal 1° gennaio 2004. Le disposizioni nazionali di adeguamento sono ora contenute nel D.M. 4 marzo 2005 che rende facoltativa l’indicazione dell’origine delle uova prodotte;

- carni di pollame

34 Tale intento è rivelato dal richiamo fatto all’art. 3 della direttiva 2000/13/CE sull’etichettatura. 35 Circolare (CEE) n. 1907/90 del Consiglio, del 26 giugno 1990, sulla commercializzazione delle

uova e del regolamento (CE) n. 2295/2003 della Commissione, di applicazione (G.U. n. 41/2004).

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In conseguenza del diffondersi di un nuovo rischio epidemiologico concernente il settore delle carni avicole le autorità nazionali, con il D.M. 29 luglio 2004, hanno ritenuto necessario introdurre un sistema di etichettatura volontaria delle carni di pollame, in modo da garantire una comunicazione ottimale e la massima trasparenza nella commercializzazione mediante un sistema che presuppone la possibilità di risalire al gruppo di animali di origine. Il sistema si basa sulla predisposizione di un disciplinare per l’etichettatura volontaria da parte delle organizzazioni interessate, disciplinare che deve essere sottoposto all’approvazione del dicastero agricolo. Gli operatori aderenti debbono poi sottoporsi al sistema di controllo ed accertamenti che sono posti a carico di un organismo indipendente rispondente ai requisiti richiesti dalle disposizioni comunitarie sull’accreditamento di tali soggetti.

- olio d’oliva L’articolo 1-ter del decreto legge n. 157/200436 ha disposto che in etichetta si debbano indicare il luogo di “coltivazione e molitura” delle olive dalle quali gli oli sono estratti, ma esclusivamente per le due categorie degli “oli di oliva vergini” ed “extravergini”. Le modalità ed i requisiti per l'indicazione obbligatoria della dicitura saranno definiti con un decreto del Ministro delle attività produttive e del Ministro delle politiche agricole e forestali.

In merito alla possibile indicazione dell’origine dell’olio d’oliva l’Italia è intervenuta fin dal 1998 con la legge 313/1998 con la quale, per le categorie merceologiche dell’olio extra vergine d’oliva, l’olio d’oliva vergine e l’olio d’oliva, ha stabilito il divieto di vendita con le diciture “prodotto in Italia” o “fabbricato in Italia” a meno che “l’intero ciclo di raccolta, produzione, lavorazione e condizionamento non si sia svolto in territorio nazionale”. Il regime introdotto con la menzionata legge è stato al centro di una complessa controversia con la Comunità che merita di essere riassunta. L’Unione europea ha interpretato il contenuto delle disposizioni sull’indicazione di provenienza come “regole tecniche” di commercializzazione di prodotti, soggette pertanto all’obbligo di informazione preventiva alla Commissione sulla base della dir. 83/139. Pertanto, già nel corso dell’approvazione della legge n. 313 dalla U.E. era pervenuta una nota nella quale si ipotizzava l’avvio di una procedura di infrazione. A seguito dell’approvazione delle legge, tale procedura è stata effettivamente avviata da parte della Commissione in data 30 settembre 1998, incentrando i motivi del ricorso sul metodo seguito per l’approvazione del provvedimento e non tanto sul contenuto dello stesso, sul quale si è riservata di intervenire in proseguo.

36 D.L. 24 giugno 2004, n. 157, convertito con modificazioni nella legge 3 agosto 2004, n. 204,

Disposizioni urgenti per l'etichettatura di alcuni prodotti agroalimentari, nonché in materia di agricoltura e pesca.

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L’evolversi delle esigenze dei consumatori orientati verso prodotti di particolare qualità, e la connessa necessità sempre più diffusa di essere sufficientemente e correttamente informati sulle caratteristiche possedute dal prodotto acquistato, hanno indotto la Comunità a rivedere le proprie norme, fino a pervenire all’approvazione del reg. 1019/200237. In detto provvedimento si riconosce che, oltre alle denominazioni obbligatorie previste per le diverse categorie di oli d'oliva dall'articolo 35 del regolamento n. 136/66/CEE, è necessario informare il consumatore sulla tipologia degli oli offertigli, in particolare per quanto attiene le categorie dei “vergini”, in ragione della variabilità di qualità e prezzo che le contraddistingue. Pertanto, pur riconoscendosi che un regime obbligatorio di designazione dell'origine per queste categorie di oli d'oliva costituisce l'obiettivo da realizzare, tuttavia, in mancanza di un sistema di tracciabilità e di controlli su tutti i quantitativi di olio in circolazione, si afferma che è necessario procrastinarne l’adozione, mettendo invece in atto un regime facoltativo di designazione dell'origine. Con l’articolo 4 del menzionato regolamento comunitario viene pertanto attualmente consentita la indicazione dell’origine per i soli oli vergine ed extra vergine, precisandosi poi, con il par. 5, che detta designazione corrisponde alla “zona geografica nella quale le olive sono state raccolte e in cui è situato il frantoio nel quale è stato estratto l'olio”. Qualora le olive siano state raccolte in uno Stato membro o un paese terzo diverso da quello in cui è situato il frantoio nel quale è stato estratto l'olio, la designazione dell'origine comporta la dicitura seguente: "Olio (extra) vergine di oliva ottenuto in (designazione della Comunità o dello Stato membro o Paese di molitura) da olive raccolte in (designazione della Comunità, dello Stato membro o del paese interessato)"; - latte fresco L’articolo 1 comma 4 del decreto legge n. 157/004 ha demandato ad un decreto ministeriale la definizione delle modalità e dei requisiti affinché obbligatoriamente compaia in etichetta una dicitura che indichi il luogo di origine e provenienza dei seguenti prodotti: “latte fresco pastorizzato” e “latte fresco pastorizzato di alta qualità”, con ciò escludendo da tale obbligo il latte che venga commercializzato con ogni altra denominazione. In merito all’adozione di tale decreto ministeriale viene invocato il comma 5-bis dall'art. 3 del D.Lgs. n. 109 del 1992, che peraltro riproduce nella sostanza l’articolo 3 della direttiva 2000/13/CE; tali disposizioni prevedono in linea generale che i due dicasteri dell’agricoltura e delle attività produttive possano definire le modalità per la indicazione del luogo di origine o provenienza dei prodotti preconfezionati destinati al consumatore, nel caso in cui l'omissione di

37 Regolamento (CE) n. 1019/2002 della Commissione, del 13 giugno 2002, relativo alle norme di

commercializzazione dell'olio d'oliva

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tali informazioni possa “indurre in errore” l'acquirente circa l'origine o la provenienza del prodotto. - passata di pomodoro Ancora l’articolo 1 comma 4 del decreto legge n. 157/004 ha demandato ad un decreto ministeriale, con le medesime modalità di cui sopra, la definizione delle modalità e dei requisiti perché nelle etichette compaia la indicazione del luogo di origine e provenienza del prodotto “passata di pomodoro”, che il comma 3 del medesimo art. 4 definisce “prodotto ottenuto dalla spremitura diretta del pomodoro fresco” onde evitare che con tale definizione sia posto in vendita il prodotto ottenuto per diluizione del concentrato di pomodoro. - prodotti alimentari Sempre il menzionato decreto legge n. 157/004, con l’art. 1–bis introduce l’obbligo generalizzato di indicare il luogo di origine della componente agricola incorporata i qualsiasi “prodotto alimentare”, trasformato e non trasformato. In merito peraltro si precisa che per luogo d’origine o provenienza debba intendersi: − per il prodotto alimentare non trasformato, il Paese d’origine ed

eventualmente la zona di produzione del prodotto stesso; − per il prodotto alimentare trasformato, la zona di coltivazione o di

allevamento della materia prima agricola utilizzata prevalentemente nel processo produttivo.

Viene quindi assegnato ai Dicasteri agricolo e della attività produttive il termine di sei mesi per procedere all’individuazione della modalità di indicazione del luogo d’origine, necessario, in questo caso, esclusivamente “per consentire al consumatore finale di compiere scelte consapevoli”. Va segnalato che la individuazione delle sanzioni amministrative da applicarsi alle ipotesi di infrazione dell’obbligo di indicazione della provenienza è operata dallo stesso articolo 1-bis. La questione circa l'estensione generalizzata dell'obbligo di indicare

nell'etichettatura l'origine del prodotto risulta di estrema attualità. Si sostiene, al riguardo, che la mancanza di informazioni precise sull'origine

del prodotto non solo può indurre in errore il consumatore che credendo di consumare un bene italiano si è invece rivolto ad un prodotto che utilizza materie prime straniere, ma produce anche un danno per gli agricoltori, che vedono illegittimamente utilizzato il richiamo ad una zona di coltivazione ed allevamento di particolare pregio e che può godere di una reputazione internazionale.

Occorre tuttavia valutare se un'estensione generalizzata ed obbligatoria dell'indicazione d'origine nell'etichettatura dei prodotti alimentari non ponga l'Italia in condizioni di infrangere le norme comunitarie, poiché, come in precedenza illustrato, la direttiva 2000/13/CE sembra condizionare tale indicazione al caso in cui si possa generare confusione nel consumatore, e sembra riferirsi solo

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all'etichetta del prodotto alimentare finito; la informazione sull'origine delle materie prime potrebbe avere maggiore attinenza con il problema della tracciabilità sul quale peraltro il Parlamento ha conferito una delega al Governo.

Si ricorda in proposito che l'articolo 1, lettera n) della legge 7 marzo 2003, n. 38 "Disposizioni in materia di agricoltura", ha conferito una delega per la definizione degli strumenti atti ad assicurare la tracciabilità sia dei prodotti alimentari sia dei mangimi, con la possibilità pertanto di intervenire anche sul sistema di etichettatura.

Infine, va rilevato che l'ordinamento comunitario, se pure sta riconoscendo negli ultimi tempi l'importanza di tali problematiche, ammettendo, come detto, la necessità di un'etichettatura dettagliata per il consumatore, resta fermamente ancorato al principio della libera circolazione delle merci ed al divieto di ogni misura che possa comportare una limitazione alla libertà di concorrenza.

In ragione di ciò, l’origine dei prodotti del settore primario trova a tutt’oggi fondamentalmente una tutela nei regolamenti comunitari 2081/92 e 2082/92, che proteggono esclusivamente prodotti di particolare pregio attraverso il riconoscimento dei marchi DOP, IGT e IGP. La Comunità europea si è, invece, mostrata costantemente contraria alla tutela di indicazioni riguardanti genericamente una origine nazionale, ritenendola, da un lato, troppo generica per rientrare nelle fattispecie regolate dai reg. CE 2081 e 2082, e dall'altro, capace di generare una distorsione nella libertà ed eguaglianza degli scambi comunitari, e compromettendo la possibilità che deve essere assicurata a ciascuna impresa europea di entrare in un mercato comune senza subire discriminazioni di sorta derivanti delle singole normative nazionali.

In merito alle norme sancite dal decreto legge n. 157/2004, sulla obbligatorietà

di indicare la provenienza dei prodotti alimentari, oltre che specificatamente quella dell’olio d’oliva, della passata di pomodoro e di alcune tipologie di latte, è intervenuta a chiarimento la circolare 1° dicembre 2004 del Ministero delle politiche agricole che ha rivelato quanto il legislatore nazionale debba essere cauto sul tema, allo scopo di non entrare in conflitto con la legislazione comunitaria.

Con tale circolare è stato rilevato che il decreto legge “contiene molteplici principi e disposizioni che richiedono una corretta interpretazione”, e pertanto le disposizioni sull’origine di tali prodotti non sono immediatamente operative. Il legislatore avrebbe inteso esclusivamente “formalizzare nel contesto di un atto legislativo alcuni principi ispiratori della politica di settore, che dovranno tuttavia essere tradotti in disposizioni concretamente operative mediante successivi atti normativi”. Il ministero ha inoltre precisato che una volta esaminate le problematiche tecniche, con il concorso delle organizzazioni di categoria, i testi normativi risultanti sarebbero stati “previamente notificati” alla Commissione europea.

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Degli attesi provvedimenti è stato pubblicato il 17 febbraio 2006 il decreto sulla “passata di pomodoro”, che impone che sia indicata in etichetta la zona di coltivazione del pomodoro fresco utilizzato.

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Prodotti tipici nazionali – Società Buonitalia

La società per azioni Buonitalia38, con sede legale a Roma, ha per oggetto la promozione e la valorizzazione della produzione agroalimentare italiana. Creata nel luglio 2003, ha avuto come soci il Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, l’Ice (Istituto per il Commercio Estero), l’ISMEA (Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare) (v. scheda Funzioni e compiti dell’Ismea) e l’Unioncamere (Unione Italiana delle Camere di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura). I suoi interlocutori operativi primari sono il Ministero degli Affari Esteri, il Ministero delle Attività Produttive, nonché le Regioni.

Le finalità di Buonitalia sono state individuate dall’articolo 17 del decreto legislativo n. 99 del 29 marzo 2004, assumendo a modello la società francese Sopexa “Société pour l’expansion des vendes des produits agricoles et alimentaires”, istituita nel 1961 con capitale misto pubblico e privato, alla quale sono stati attribuiti compiti nella promozione dei prodotti agroalimentari e nella realizzazione di azioni di comunicazione commerciale.

Merita rammentare che nel testo del decreto legislativo originariamente proposto dal

Governo al parere parlamentare non compariva il menzionato articolo 17, che è stato successivamente introdotto su indicazione delle Commissioni agricoltura dei due rami del Parlamento, le quali hanno sollecitato il Governo a dare attuazione all’articolo 1, lettera r), della legge n.38 del 2003, avente ad oggetto la predisposizione di “strumenti di coordinamento, indirizzo e organizzazione delle attività di promozione dei prodotti del sistema agroalimentare italiano, con particolare riferimento ai prodotti tipici, di qualità e ai prodotti ottenuti con metodi di produzione biologica, in modo da assicurare, in raccordo con le regioni, la partecipazione degli operatori interessati, anche al fine di favorire l'internazionalizzazione di tali prodotti”.

Quanto alla società Buonitalia, le richiamate disposizioni le riconoscono i

seguenti compiti: promuovere, valorizzare e diffondere nel mondo la conoscenza del

patrimonio agricolo ed agroalimentare italiano, attraverso la creazione di un sistema che permetta di coordinare le diverse attività promozionali;

erogare servizi alle imprese del settore agroalimentare per favorire l'internazionalizzazione dei prodotti italiani;

tutelare le produzioni italiane attraverso la registrazione e la difesa giuridica internazionale dei marchi associati alle produzioni nazionali di origine.

38 Società proveniente dalla "Naturalmenteitaliano Unipersonale S.r.l.", costituita in data 24 luglio

2002, che successivamente ha mutato la propria denominazione e ragione sociale in quella attuale il 4 luglio 2003.

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Le parti sociali coinvolte nella produzione e nel consumo dei prodotti agroalimentari sono chiamate a partecipare, quali soggetti attivi, per la realizzazione delle finalità e individuazione delle modalità di intervento, in sede di “Tavolo alimentare”, ove è prevista la collaborazione fra i vari oggetti economici e istituzionali.

Sotto tale profilo, peraltro, particolarmente delicato è il raccordo fra il dicastero agricolo, la nuova società e le regioni, alla luce della riforma del titolo V delle Costituzione, che assegna a queste ultime una competenza primaria nella in materia agricola. In tale contesto appare pertanto di grande rilievo l’accordo del 3 febbraio 2005 tra il Ministero delle politiche agricole e forestali e le regioni, sancito in sede di Conferenza Stato-regioni, che delinea le rispettive competenze, contribuendo nel contempo a definire ulteriormente i compiti di Buonitalia. Alla luce di tale accordo la società dovrà occuparsi per conto delle regioni di organizzazione ed internazionalizzazione delle imprese, di sistema fieristico, di ristorazione e gastronomia italiana all’estero, di concorso nella tutela delle produzioni italiane ed, infine, di promozione e di immagine del sistema agroalimentare italiano. In tal senso, va sottolineato come tale accordo abbia comportato l’ingresso nel Consiglio di amministrazione di Buonitalia dei rappresentanti di tre regioni “territorialmente emblematiche e rappresentative dell’intero universo agricolo ed agroalimentare italiano”. Alle regioni spetta invece il compito di promuovere l’organizzazione delle imprese (ma anche la loro aggregazione) presenti sul territorio di pertinenza, coordinare l’attività degli enti territoriali e, al fine di meglio sostenere il processo di internazionalizzazione, coordinare la propria attività con quella delle Camere di commercio e delle Aziende speciali. Al dicastero agricolo è riservata la valutazione e approvazione delle iniziative e dei programmi della società Buonitalia, nell’ambito delle competenze che allo stesso sono riconosciute dal decreto legislativo n. 165/2001. Sulla base di tali disposizioni (artt. 4 e 14), infatti, gli organi di governo esercitano le funzioni di indirizzo politico-amministrativo definendo gli “obiettivi ed i programmi” da attuare.

Successivamente è intervenuto l’articolo 10 del decreto-legge n. 35 del 2005, che ha esplicitamente assegnato al Ministero delle politiche agricole e forestali il compito di promuovere, avvalendosi della Buonitalia Spa, un programma per l’internazionalizzazione dei prodotti agricoli ed agroalimentari italiani, in particolare curandone la penetrazione sui mercati extracomunitari. Le risorse riservate alla realizzazione di tale attività debbono essere contenute entro il limite di 50 milioni di euro, in un primo momento assegnati a Sviluppo Italia S.p.a. e successivamente trasferiti all’ISMEA. Le modalità e le procedure di attuazione, inclusa l’individuazione delle risorse effettivamente disponibili, è stata rimessa a un successivo decreto, che avrebbe dovuto essere adottato entro 60 giorni da parte del Mipaf di concerto con quello dell’economia.

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Da ultimo, il decreto legislativo n. 99/2004 è stato novellato dal decreto legge n. 2/200639, che ha rimesso al Ministro delle politiche agricole il compito di trasferire a Buonitalia Spa, con proprio decreto, le risorse strumentali e finanziarie necessarie all’espletamento delle attività di valorizzazione economica, tutela e controllo dei prodotti a denominazione tutelata ad essa assegnate.

Va rammentato, infine, che l’attività espletata dalla società deve porsi “in

raccordo” con il Comitato per la valorizzazione e la tutela del patrimonio alimentare italiano, istituito dall’art. 123 della L. n. 388/2000 (legge finanziaria per il 2002). A tale comitato è affidato il compito di censire le lavorazioni alimentari tipiche italiane, nonché di tutelarle, valorizzarle e diffonderne la conoscenza in Italia e nel mondo. Del comitato fanno parte esperti di settore, rappresentanti delle categorie produttive, delle regioni e delle amministrazioni interessate. Con decreto del Ministro delle politiche agricole e forestali del 28 marzo 2001 (G.U. n. 99/2001) sono state definite le regole relative alla sua composizione ed al suo funzionamento, che può svolgersi anche per sottocomitati costituiti al massimo di cinque esperti con competenze specifiche.

39 Il periodo è stato aggiunto dal comma 4 dell'art. 1-bis, del D.L. 10 gennaio 2006, n. 2, convertito

con modificazioni nelle legge n. 81, Interventi urgenti per i settori dell’agricoltura, dell’agroindustria, della pesca, nonché in materia di fiscalità d’impresa.

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Prodotti tipici nazionali - Naturalmenteitaliano

Naturalmente Italiano è il portale internet www.naturalmenteitaliano.it realizzato dall’ISMEA (v. scheda Funzioni e compiti dell’ISMEA) nell'ambito del programma interregionale "Promozione commerciale sui mercati esteri", dal Ministero delle politiche agricole e forestali e dalle regioni italiane, in collaborazione con ISMEA ed ICE. Si tratta di una società a capitale misto pubblico-privato, che si occupa di svolgere attività di promozione e di informazione.

Il portale contiene un database dei prodotti agroalimentari italiani, con informazioni per gli utenti su etichette, itinerari enogastronomici ed eventi. Inoltre, fornisce agli operatori i dati economici per ogni prodotto, una banca dati per le aziende produttrici ed una serie di servizi per le imprese, con guide all'esportazione ed informazioni di mercato.

Naturalmente Italiano è anche il marchio di tutela dei prodotti agroalimentari di qualità, di proprietà dell’ISMEA (v. scheda Funzioni e compiti dell’ISMEA) e sottoposto alla vigilanza del Ministero delle politiche agricole e forestali sulla base dell’articolo 4, comma 62 della legge 350/200340. L’ISMEA ha il compito di predisporre un disciplinare sulle tecniche di produzione al quale dovranno aderire le aziende che intendono differenziare il loro prodotto con il marchio "Naturalmenteitaliano"41. La peculiarità di questo meccanismo trova la propria ragione nell'esigenza di apprestare una normativa di tutela dell’identità del prodotto agricolo nazionale che si riveli compatibile con i principi e le regole del diritto comunitario.

A tal riguardo, secondo la posizione più volte espressa dalla Commissione europea, i requisiti per la concessione dei marchi nazionali di qualità devono riguardare esclusivamente le caratteristiche intrinseche dei prodotti agricoli e alimentari. In particolare, qualunque requisito che avesse come effetto quello di limitare la concessione del marchio in funzione dell'origine o della provenienza geografica dei prodotti configurerebbe una violazione delle norme in tema di concorrenza, in quanto il marchio o il segno utilizzato possono favorire i prodotti nazionali a scapito dei prodotti provenienti da altri Stati membri. Ne deriverebbe l'illegittimità, per contrasto con le regole del commercio tra Stati membri, di qualsiasi norma nazionale che, al di fuori delle tassative ipotesi previste dal regolamento CEE n. 2081/1992, introduca segni identificativi della sola origine territoriale, indipendentemente da una riscontrata diversità in ordine alle qualità materiali del prodotto.

40 Legge 24 dicembre 2003, n. 350, “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e

pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2004)”. 41 Da informazioni assunte presso l’ISMEA il marchio ed il disciplinare sono ancora in corso di

elaborazione. In ogni caso, il marchio non riguarderà i prodotti per la vendita al dettaglio.

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Normativa sugli OGM

- Direttiva 90/219/CEE del 23 aprile 1990 sull'impiego confinato di microrganismi geneticamente modificati; sono pertanto esclusi dal suo campo di applicazione tutti i seguenti aspetti: conservazione, coltura, trasporto, distribuzione, smaltimento, impiego di MGM. E’ stata recepita dall'Italia con decreto legislativo 3 marzo 1993, n. 91;

- Direttiva 90/220/CEE del 23 aprile 1990 concernente l'emissione deliberata nell'ambiente di organismi geneticamente modificati, recepita dall'Italia con decreto legislativo 3 marzo 1993, n. 92.

I principali elementi delle direttive 219 e 220 sono i seguenti: • gli organismi geneticamente modificati sono classificati in gruppo I (non patogeni,

innocui per l'ambiente) e in gruppo II (tutti gli altri); • le operazioni di ricerca e di sviluppo sono distinte in tipologia A riguardante quelle

su scala limitata e tipologia B, di natura industriale e commerciale; • gli utilizzatori di organismi geneticamente modificati hanno l'obbligo di procedere

alla valutazione preventiva dei possibili rischi biologici e di prendere adeguate misure di protezione della salute umana e dell'ambiente;

• un'autorità nazionale (per l'Italia il Ministero della Sanità) è tenuto all'osservanza di alcune procedure di notifica e di autorizzazione;

• le autorità nazionali sono tenute a compiti di ispezione e alla protezione delle informazioni riconosciute di natura confidenziale. La direttiva 219 è stata modificata con la direttiva 98/81/CE e, da ultimo,

abrogata dalla direttiva 2001/18 che ha recato le nuove disposizioni che si applicano dal 17/10/2001.

- Direttiva 90/679/CEE del 23 novembre 1990 relativa alla protezione dei lavoratori dai rischi derivanti dall'esposizione ad agenti biologici durante il lavoro, recepita dallo Stato italiano con decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626. Il datore di lavoro, in accordo con l'Autorità nazionale competente, deve valutare il livello di rischio conseguente all'uso dell'organismo da impiegare e proporre le misure necessarie per ridurre al minimo tale rischio. A ciò consegue il rilascio di un'apposita necessaria autorizzazione;

- Regolamento 2092/91 del 24 giugno 1991 relativo al metodo di produzione biologico, riconosce il diritto alla qualifica biologica esclusivamente ai prodotti che non impieghino OGM né prodotti derivati da OGM;

- Direttiva 91/414/CEE del 15 luglio 1991 sulla immissione in commercio (incluse la utilizzazione ed il controllo) dei prodotti fitosanitari, si applica anche ai prodotti

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contenenti o costituiti da OGM, a condizione che l'autorizzazione a diffonderli nell'ambiente sia stata concessa previa valutazione del rischio per l'ambiente in conformità alla disposizioni di cui alla direttiva 90/220/CEEE;

- Decisione 93/584/CEE del 22 ottobre 1993 che, dando attuazione all’art. 6 della dir. 90/220, ha stabilito i criteri per l’applicazione di procedure semplificate per l'emissione deliberata nell'ambiente di piante geneticamente modificate, procedure che non si applicano pertanto né agli animali né ai microorganismi. Procedure semplificate sono state adottate per la prima volta con la Decisione 94/730/CE del 4 novembre 1994;

- Regolamento 258/97 del 27 gennaio 1997 sui nuovi prodotti e i nuovi ingredienti alimentari (i cosiddetti novel foods), contiene disposizioni per una valutazione specifica dei detti prodotti che contengano OGM, in ragione del rischio ambientale che essi possono presentare ;

- Direttiva 98/44/CE del 6 luglio 1998 sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche, il cui recepimento è oggetto del decreto legge in esame, e per il quale è anche all’esame dell’altro ramo parlamentare una proposta di delega. Il termine per il recepimento è peraltro scaduto il 30 luglio 2000.

- Regolamento 1139/98 del 26 maggio 1998 che ha sostanzialmente stabilito l’obbligo di indicare nell’etichettatura, di prodotti e ingredienti alimentari derivati da soia geneticamente modificata (di cui alla Dec. 96/281) e da granturco geneticamente modificato (di cui alla Dec.97/98), le caratteristiche che siano diverse da quelle di cui alla direttiva n. 112 del 1979 di disciplina della etichettatura e presentazione dei prodotti alimentari destinati al consumatore finale, nonché della relativa pubblicità. Il provvedimento è stato abrogato dal reg. 1829/2003;

- Direttiva 98/81/CE del 26 ottobre 1997 che ha modificato la direttiva 90/219. Per il suo recepimento è stata adottato il D.Lgs. n. 206/2001 che ha interamente abrogato il precedente provvedimento n. 91/1993. Le nuove norme:

• confermano l’obbligo di notifica dell’impiego di ogm sia nella ricerca sanitaria e farmaceutica che nell’utilizzo in agricoltura per la successiva autorizzazione da parte del ministero della sanità;

• suddivisione degli ogm in quattro classi di rischio che vanno dal rischio nullo o trascurabile, al basso rischio, rischio moderato e l’alto rischio;

• è richiesta da parte degli utilizzatori la predisposizioni di un piano d’emergenza per il caso di incidenti;

• in tale ultimo caso la bonifica ed il ripristino ambientale è a carico di chi, violando le disposizioni in vigore, abbia con il proprio comportamento provocato il danno;

- Regolamento 1884/1999 del 19 luglio 1999, che reca le disposizioni sugli animali allevati con metodo biologico, stabilisce che, per conservare la fiducia dei consumatori nella produzione biologica, gli OGM e i prodotti ottenuti sulla loro base

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non sono compatibili con i metodi di produzione biologici;

- Regolamento 49/2000 del 10 gennaio 2000 che, modificando il reg. 1139/98, sottrae all’obbligo della menzione in etichetta della presenza di soia o granturco G.M. qualora la quantità contaminata sia entro la soglia dell’1% e sia accidentale;

- Regolamento 50/2000 del 10 gennaio 2000 che ha esteso l’obbligo di etichettatura anche ai prodotti e ingredienti alimentari contenenti additivi e aromi geneticamente modificati o derivati da organismi geneticamente modificati. Il provvedimento è stato abrogato dal reg. 1829/2003;

- Decisione 2001/204/Ce del 8 marzo 2001 che integra la direttiva 90/219 relativamente ai criteri per stabilire la sicurezza per la salute umana e per l’ambiente di alcuni prodotti g.m.;

- Direttiva 2001/18/CE del 12 marzo 2001 sull’emissione deliberata nell’ambiente di o.g.m. e che abroga la precedente 90/220 a partire dal 17/10/2002. La direttiva:

• ribadisce la validità del principio di precauzione; • prevede un’autorizzazione a tempo determinato; • è più severa nella valutazione d’impatto ambientale.

La Direttiva è stata recepita con il D.lgs. n. 224/2003

- Decisione 2002/623/Ce del 24 luglio 2002 che fornisce agli Stati membri le linee guida dettagliate affinché gli stessi possano adeguatamente procedere alla valutazione del rischio ambientale richiesta dalla direttiva 2001/18, e possano individuare e valutare gli effetti potenzialmente negativi degli OGM sia diretti che indiretti, immediati o differiti, sulla salute umana e sull’ambiente;

- Decisione 2002/811/Ce del 3 ottobre 2002 che fornisce linee guida dettagliate in merito ai piani di monitoraggio che precedono la immissione in commercio di un OGM. La decisione si rivolge ai soggetti che, volendo per la prima volta immettere in commercio un OGM debbono presentare una notifica agli Stati membri accompagnata dal monitoraggio e da una relazione sull’emissione deliberata nell’ambiente;

- Regolamento 1829/2003 del 22 settembre 2003 relativo agli alimenti e ai mangimi geneticamente modificati che, al fine di proteggere la salute sia umana che animale, definisce una procedura comunitaria affinché sia valutata la sicurezza dei prodotti prima della immissione sul mercato comunitario. Il provvedimento sostanzialmente definisce un sistema nuovo di autorizzazione e vigilanza sia sugli alimenti che sui mangimi, per entrambi reca inoltre disposizioni sull’etichettatura. Il regolamento:

• innova le procedure di autorizzazione in precedenza stabilite dal reg. 258/97 per i nuovi prodotti alimentari;

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• sottrae i mangimi al regime in generale previsto dalla dir. 90/220 e prevede per gli stessi, sia per quelli contenenti OGM che per quelli costituiti o prodotti a partire da OGM, una specifica procedura di autorizzazione;

• sottopone all’autorizzazione anche gli additivi contenenti OGM e destinati ad entrare in prodotti alimentari destinati al consumo umano;

• adegua le nuove procedure di autorizzazione ai nuovi principi contenuti nella dir. 2001/18;

• dispone nuove norme, armonizzate ed esaustive, in tema di etichettatura degli alimenti e dei mangimi;

• abroga le disposizioni di cui al reg. 1139/98 e reg. 50/2000. Disposizioni sanzionatorie per le violazioni commesse dal presente regolamento sono state adottate con il D.lgs. n. 70/2005;

- Regolamento 1830/2003 del 22 settembre 2003 che definisce un sistema di tracciabilità che dovrà essere applicato da parte di tutti gli Stati membri sia per gli OGM, che per gli alimenti ed i mangimi ottenuti da OGM, sistema che è destinato ad agevolare il ritiro dei prodotti dal mercato, nonché a monitorare gli effetti sull’ambiente. Gli OGM autorizzati devono essere identificati con un codice trasmesso dagli operatori lungo tutta la catena alimentare e la loro presenza negli alimenti deve essere indicata in etichetta se superiore allo 0,9%, per quelli in corso di autorizzazione l’obbligo è previsto nel caso di una presenza dello 0,5%, mentre l’obbligo di segnalazione in etichetta è tassativo per gli OGM non autorizzati.

Disposizioni sanzionatorie per le violazioni commesse dal presente regolamento sono state adottate con il D.lgs. n. 70/2005;

- Regolamento 1831/2003 del 22 settembre 2003 che interviene sul mercato della produzione di mangimi definendo una procedura comunitaria per l’autorizzazione alla immissione e all’utilizzo degli additivi destinati all’alimentazione animale. Uno specifico regime autorizzatorio è definito per gli additivi contenenti, o prodotti a partire da, OGM, autorizzazione nella quale deve comparire il nome del titolare, che è peraltro l’unico soggetto cui è consentita la prima immissione sul mercato del prodotto;

- Direttiva 2004/35/CE del 21 aprile 2004 sulla responsabilità ambientale; in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale il provvedimento si applica anche al danno ambientale causato da qualsiasi uso confinato, compreso il trasporto, di microrganismi geneticamente modificati, nonché da qualsiasi rilascio deliberato nell'ambiente, trasporto e immissione in commercio di organismi geneticamente modificati.

Prescrizioni per una valutazione del rischio per l'agrobiodiversità, per i sistemi agrari e per la filiera agroalimentare, conseguenti al deliberato rilascio nell'ambiente di OGM, sono state definite con il D.M. del 19 gennaio 2005, del Ministero delle politiche agricole;

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- Decisione 2004/204/CE del 23 febbraio 2004 che stabilisce disposizioni dettagliate in merito alla compilazione e tenuta dei registri, da parte della Commissione, contenenti le informazioni sulle modifiche genetiche degli OGM. Tali informazioni - che oltre a includere il deposito di campioni di OGM debbono fornire dettagli sulle sequenze nucleotidiche o le altre informazioni necessarie alla identificazione dell’OGM, della sua discendenza, o di un prodotto contenente l’OGM – saranno distinte in informazioni accessibili anche al pubblico, informazioni riservate per la tutela degli interessi commerciali, informazioni supplementari riservate ai soli Stati membri;

- Regolamento 65/2004 del 14 gennaio 2004 che ha definito i meccanismi che consentono di assegnare ad ogni OGM un identificatore unico atto a realizzare il sistema di tracciabilità previsto dal reg. 1830/2003;

- Regolamento 641/2004 del 6 aprile 2004 che, in tema di alimenti e mangimi, reca norme di attuazione del reg. 1829/2003 riguardanti la presentazione delle richieste di autorizzazione per nuovi alimenti e mangimi G.M., la presentazione di una notifica per prodotti preesistenti o in merito alla presenza accidentale o tecnicamente inevitabile di materiale geneticamente modificato che è stato oggetto di una valutazione del rischio favorevole;

- Decisione 2005/174/CE del 25 febbraio 2005 con la quale sono state predisposte note orientative destinate agli Stati membri, al fine di garantire che le autorità nazionali competenti effettuino correttamente la valutazione preliminare sulla sicurezza di un MGM, e forniscano adeguate informazioni agli utilizzatori riguardo al contenuto della documentazione da trasmettere;

- Decisione 2005/317/CE del 18 aprile 2005 con la quale la Commissione, applicando il principio di precauzione di cui all’art. 174.2 del Trattato di Amsterdam, ha adottato misure di emergenza per impedire la commercializzazione in Europa di prodotti contaminati dal mais geneticamente modificato “BT10”.

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LA NORMATIVA REGIONALE SUGLI OGM

Abruzzo L.R. 16-3-2001 6

Norme in materia di coltivazione, allevamento, sperimentazione e commercializzazione di Organismi geneticamente modificati (O.G.M.) e prodotti da loro derivati.

Basilicata L.R. 20-5-2002 18 Disposizioni per la precauzione in materia alimentare e per la coltivazione, l'allevamento, la sperimentazione e la commercializzazione di organismi modificati e di prodotti da essi derivati. Norme per la produzione dei prodotti biologici, tipici e tradizionali nelle mense pubbliche.

Calabria Ordine del giorno per la tutela del territorio dalle coltivazioni O.G.M., approvato dal Consiglio regionale all’unanimità il 29 novembre 2004

Campania L.R. 24-11-2001 15 Norme in materia di consumo di prodotti geneticamente modificati nelle mense scolastiche, negli ospedali e nei luoghi di cura. L.R. 17-2-2005 n. 6 Disciplina della formazione e della gestione del sistema regionale delle aree naturali protette e dei siti della Rete natura 2000. Art. 56 - Coltivazione e uso di organismi geneticamente modificati. L.R. 22-11-2004 n. 25 Norme in materia di organismi geneticamente modificati. L.R. 4-11-2002 29 Norme per l'orientamento dei consumi e l'educazione alimentare e per la qualificazione dei servizi di ristorazione collettiva. Art. 9

Emilia-Romagna

L.R. 10-1-2000 n. 1 Norme in materia di servizi educativi per la prima infanzia. Art. 17

Friuli-Venezia Giulia

L.R. 20-11-2000 21 Disciplina per il contrassegno dei prodotti agricoli del Friuli-Venezia Giulia non modificati geneticamente, per la promozione dei prodotti

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agroalimentari tradizionali e per la realizzazione delle «Strade del vino». L.R. 13-8-2002 n. 22 Istituzione del fondo regionale per la gestione delle emergenze in agricoltura. art. 2 – comma 3bis L.R. 1-3-2000 15 Tutela delle risorse genetiche autoctone di interesse agrario.

Lazio

L.R. 27-2-2004 n. 2 Legge finanziaria regionale per l'esercizio 2004. Art. 79 - Norme in materia di coltivazione ed allevamento di organismi geneticamente modificati

Liguria L.R. 6-12-1999 36 Interventi per la valorizzazione e la promozione dell'agricoltura di qualità e norme sul metodo di produzione biologico. Allegato A - Titolo V - Princìpi e metodi per le produzioni zootecniche biologiche (4. Alimentazione) L.R. 23-2-2000 9 Norme in materia di consumo di prodotti geneticamente modificati nelle mense scolastiche, negli ospedali e nei luoghi di cura L.R. 10-12-2003 n. 23 Interventi per il sostegno dei sistemi di certificazione della qualità e della tracciabilità delle produzioni agricole ed agroalimentari. Art. 5 - Priorità. L.R. 22-12-2003 n. 27 Interventi regionali nel settore della zootecnia. Art. 2 - Zootecnia di qualità.

Marche

L.R. 3-3-2004 n. 5 Disposizioni in materia di salvaguardia delle produzioni agricole, tipiche, di qualità e biologiche. Sentenza Corte costituzionale del 12/4/2005, n. 150

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Piemonte O.P.G.R. 11-7-2003 n. 63 Disposizione in ordine alla neutralizzazione delle colture di mais contaminato da OGM non autorizzati

Puglia L.R. 4 dicembre 2003, n. 26 Norme in materia di coltivazione, allevamento e commercializzazione di Organismi geneticamente modificati (OGM). Sentenza Corte costituzionale del 12/4/2005, n. 150

Sicilia L.R. 22-12-2005 n. 20 Misure per la competitività del sistema produttivo. Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 23 dicembre 2000, n. 32. Art. 18 - Qualità degli alimenti nella ristorazione collettiva. L.R. 6-4-2000 53 Disciplina regionale in materia di Organismi geneticamente modificati (O.G.M.).

Toscana

D.P.G.R. 17-5-2001 n. 24/R Regolamento d'attuazione della L.R. 6 aprile 2000, n. 53 "Disciplina regionale in materia di organismi geneticamente modificati (O.G.M.)" relativo alla disciplina del controllo sul divieto di coltivazione e produzione di specie che contengono O.G.M.

Umbria L.R. 20-8-2001 21 Disposizioni in materia di coltivazione, allevamento, sperimentazione, commercializzazione e consumo di organismi geneticamente modificati e per la promozione di prodotti biologici e tipici. L.R. 17-4-2001 8 Disposizioni in materia di allevamento bovino, ovino caprino e di prodotti derivati, ottenuti mediante metodi biologici. Art. 9

Valle d'Aosta

L.R. 18-11-2005 n. 29 Disposizioni in materia di coesistenza tra colture transgeniche, convenzionali e biologiche.

Veneto L.R. 1-3-2002 6 Norme in materia di consumo di alimenti nelle mense prescolastiche e scolastiche, negli ospedali e nei luoghi di cura e di

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assistenza. Delib.G.R. 8-8-2003 n. 2649 Produzioni agricole geneticamente modificate. Piano di azione regionale e norme operative e procedurali L.P. 22-1-2001 n. 1 Contrassegnazione di prodotti geneticamente non modificati.

Prov. Bolzano

D.P.G.P. 4-7-2001 n. 38 Regolamento relativo alla contrassegnazione di prodotti geneticamente non modificati.

Prov. Trento L.P. 28-3-2003 n. 4 Sostegno dell'economia agricola, disciplina dell'agricoltura biologica e della contrassegnazione di prodotti geneticamente non modificati. Titolo III - Capo II - Contrassegnazione di prodotti geneticamente non modificati

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Vitivinicolo – Tutela DOC e IGT

Il 31 maggio 2005 la Commissione agricoltura ha avviato l’esame del disegno di legge governativo (AC 5768). Il provvedimento era volto ad introdurre una nuova ed organica disciplina della tutela delle denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche dei vini, disponendo l’abrogazione della normativa attualmente vigente, recata dalla legge 10 febbraio 1992, n.164 e dai numerosi provvedimenti che ad essa hanno dato attuazione.

Il provvedimento si compone di 26 articoli, suddivisi in 9 Capi, nonché di due allegati (A e B).

Il Capo I (articoli 1-6) definisce la classificazione delle denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche tipiche. In particolare, viene disciplinato l’utilizzo delle denominazioni e delle indicazioni, individuate – secondo il principio della c.d. “piramide della qualità” - in DOCG, DOC e IGT, per le cui produzioni si esclude espressamente l’utilizzo di OGM; vengono definiti i criteri per la delimitazione delle zone di produzione (con la possibilità di individuare sottozone e di consentire la coesistenza di vini diversi in una medesima DO o IGT) e viene disciplinato l’utilizzo delle specificazioni e delle menzioni.

Il Capo II (articoli 7-9) regola il riconoscimento, la revoca e la decadenza delle DOCG, delle DOC e delle IGT, prevedendo limiti specifici per quanto attiene alla durata della permanenza nella categoria sottostante e della percentuale dei soggetti che ne devono rivendicare il riconoscimento sul totale dei produttori. Il provvedimento, in particolare, regola in modo puntuale la procedura di riconoscimento, dalla fase della domanda (della quale sono individuati in modo analitico i contenuti) fino all’emissione del decreto ministeriale di riconoscimento, con particolare attenzione alla elaborazione e ai contenuti dei disciplinari di produzione (per i quali si rinvia all’Allegato A).

Il Capo III (articoli 10-15) disciplina la certificazione e la rivendicazione dei vini DOCG, DOC e IGT. Per quanto concerne la certificazione, si prevede che questa venga effettuata, nel rispetto del piano dei controllo (approvato dal MIPAF) di cui ciascuna DO deve dotarsi, da soggetti in possesso di specifici requisiti (tra cui i consorzi) individuati dalle regioni, con possibilità di mettere a carico dei soggetti controllati i costi dell’attività di controllo. I vigneti destinati a produrre DOCG, DOC e IGT devono essere dichiarati nello schedario delle superfici vitate, mentre i relativi terreni devono essere iscritti nell’apposito albo dei vigneti. Per quanto concerne la rivendicazione, si prevedono specifiche analisi chimico-fisiche e organolettiche, mentre specifiche norme sono dedicate alla riclassificazione dei vini, per la quale si prevede, in particolare, la possibilità per le regioni di modulare, su proposta dei consorzi volontari di tutela, i

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massimali delle rese in relazione al carattere climatico delle annate. Una apposita norma, infine, regola l’albo degli imbottigliatori.

Il Capo IV (articolo 16) disciplina composizione e funzioni del Comitato nazionale per la tutela e la valorizzazione delle DOCG, delle DOC e delle IGT, organo consultivo del Ministero delle politiche agricole e forestali ed espressione dell’interprofessione vitivinicola.

Il Capo V (articolo 17) disciplina i consorzi volontari di tutela. I consorzi, per la cui costituzione sono previsti requisiti minimi di rappresentatività, svolgono compiti di natura tecnica, amministrativa e, ferme restando le competenze di vigilanza del MIPAF, attività di controllo, con possibilità di porre a carico dei produttori, in proporzione ai quantitativi di prodotto, i costi della relativa attività.

Il Capo VI (articoli 18-20) disciplina la designazione, la presentazione e la protezione dei vini DOCG, DOC e IGT, con particolare riferimento ai recipienti e alla tappatura.

Il Capo VII (articolo 21) disciplina i concorsi enologici. Il Capo VIII (articoli 22-25) disciplina il sistema sanzionatorio, prevedendo

sanzioni amministrative la cui entità, rapportata generalmente ai quantitativi di prodotto in relazione ai quali si è commessa la violazione, è ridotta rispetto a quanto previsto dalla legislazione vigente.

Il Capo IX detta disposizioni transitorie e abrogative, prevedendo, in particolare, che l’effetto abrogativo della normativa secondaria adottata in attuazione della legge n.164 del 1992 venga rinviato al momento dell’adozione dei regolamenti di attuazione previsti dal provvedimento.

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Vitivinicolo – Accordo internazione vino

L’Accordo istitutivo dell’Organizzazione internazionale della vigna e del vino, firmato a Parigi il 3 aprile 2001 nell’ambito della quarta sessione della Conferenza internazionale dell’Ufficio internazionale della vigna e del vino, istituisce un nuovo organismo intergovernativo con specifiche competenze nel settore vitivinicolo.

L’attuale Ufficio internazionale, che è stato costituito con un Accordo firmato a Parigi il 29 novembre 1924 da otto Paesi42 produttori di vino, annovera tra i suoi membri 46 Paesi. I suoi compiti principali consistono nell’indicare ai Governi aderenti le misure adeguate a garantire la protezione degli interessi viticoli e il miglioramento delle condizioni del mercato enologico internazionale; nell’assistere, in qualità di organismo competente, le altre organizzazioni intergovernative nel settore della vigna e dei prodotti da essa derivanti; nel contribuire all’armonizzazione internazionale delle pratiche e norme esistenti, nonché all’elaborazione di nuove regole internazionali.

La decisione di adattare l’Accordo costitutivo del 1924 al nuovo contesto della cooperazione internazionale a seguito degli accordi conclusi nel corso del tempo in sede OMC (Organizzazione mondiale del commercio), in particolare quelli sui TRIPS relativi al settore dei vini, è stata adottata con la risoluzione COMEX 2/97, approvata dall’Assemblea generale dell’Ufficio internazionale il 5 dicembre 1997 a Buenos Aires. Sono quindi iniziati i lavori preparatori che hanno portato nell’aprile del 2001 all’adozione del testo finale, che ha ottenuto l’approvazione unanime dei rappresentanti dei 31 Paesi membri presenti ai lavori della Conferenza.

Oltre a un breve preambolo, l’Accordo comprende diciannove articoli, suddivisi in nove capitoli, e due allegati.

Il capitolo I, costituito dai primi due articoli, definisce gli obiettivi e le competenze del nuovo organismo, che sostituisce il già esistente Ufficio internazionale creato nel 1924. Nell’ambito delle sue funzioni, elencate dettagliatamente all’articolo 2, l’O.I.V. (Organizzazione internazionale della vigna e del vino) assiste le altre organizzazioni internazionali intergovernative e non governative e svolge un’opera di mediazione tra gli interessi dei produttori, dei consumatori e degli altri operatori del settore vitivinicolo. Essendo un organismo di natura prevalentemente scientifica e tecnica, l’O.I.V. promuove ricerche e sperimentazioni e formula raccomandazioni concernenti le condizioni di produzione viticola, le prassi enologiche, le condizioni di marketing e i metodi di analisi e valutazione dei prodotti della vigna. Mediante una vigilanza 42 Gli otto Paesi fondatori erano: Francia, Grecia, Italia, Lussemburgo, Portogallo, Spagna, Tunisia

e Ungheria; l’Accordo – riportato nel fascicolo in allegato – è stato ratificato in Italia con il RDL 26 ottobre 1933, n. 1597.

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scientifica specializzata e un’adeguata diffusione di informazioni, esso partecipa alla tutela della salute dei consumatori e contribuisce alla sicurezza sanitaria degli alimenti. La cooperazione fra i Paesi membri viene attuata tramite la collaborazione amministrativa, lo scambio di informazioni specifiche e di esperti, nonché mediante l’elaborazione di progetti congiunti e di studi comuni.

La struttura dell’Organizzazione, che ricalca in gran parte quella dell’Ufficio esistente, è illustrata nel capitolo II (articolo 3). L’Assemblea generale, composta dai delegati degli Stati membri, rappresenta l’organo plenario dell’O.I.V. Alcune delle sue competenze possono essere delegate al Comitato esecutivo che a sua volta può affidare determinate funzioni di carattere amministrativo all’Ufficio dell’O.I.V., composto dal Presidente, dai Vicepresidenti e dai Presidenti delle commissioni e delle sottocommissioni. Il Comitato scientifico e tecnico ha il compito di coordinare l’attività scientifica dell’Organizzazione, svolta da un gruppo di esperti e dalle commissioni e sottocommissioni, nel quadro di un Piano strategico che deve essere periodicamente approvato dall’Assemblea. A capo dell’amministrazione interna vi è un Direttore generale, responsabile tra l’altro del reclutamento e della gestione del personale, che è eletto per un mandato di durata quinquennale rinnovabile. È ammessa la partecipazione di osservatori a condizione che accettino per iscritto le disposizioni dell’Accordo istitutivo e del Regolamento interno dell’Organizzazione. L’O.I.V. mantiene la stessa sede dell’Ufficio esistente a Parigi.

I capitoli III (articolo 4) e IV (articolo 5) disciplinano rispettivamente il diritto di voto e il processo decisionale in seno all’Organizzazione. Sebbene ciascuno Stato membro possa stabilire liberamente il numero di delegati da inviare all’Assemblea, esso dispone di un numero di voti di base uguale a 2, ai quali se ne aggiungono altri sulla base di criteri obiettivi di produzione, superficie e consumo che attribuiscono a ciascun membro43 una determinata collocazione nel settore vitivinicolo secondo le condizioni definite negli allegati 1 e 2 dell’Accordo.

In base all’articolo 5 l’Assemblea, che di norma si riunisce una volta l’anno, discute e adotta i regolamenti relativi all’organizzazione e al funzionamento dell’O.I.V., nonché le proposte di risoluzione di portata generale, scientifiche, tecniche, economiche e giuridiche. Essa approva il bilancio preventivo e procede alla verifica e all’approvazione dei conti a maggioranza qualificata ponderata. All’Assemblea spetta inoltre l’adozione dei protocolli di cooperazione e di collaborazione relativi al settore vitivinicolo che l’O.I.V. può stipulare con altre organizzazioni internazionali. Il quorum previsto per la validità delle

43 L’Italia e la Francia, che per volume di produzione e di esportazione sono i maggiori contribuenti

al bilancio dell’Organizzazione, dispongono in totale di undici voti così ripartiti: 2 voti di base più 9 voti addizionali.

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deliberazioni è rappresentato da un terzo dei membri che rappresentino almeno la metà dei voti ponderati.

La normale modalità decisionale dell’Assemblea generale e del Comitato esecutivo è il consenso, che tuttavia non si applica alle procedure di elezione, alla votazione del bilancio e alle altre decisioni di carattere finanziario.

Qualora non si riesca a raggiungere il consenso in occasione della presentazione iniziale di un progetto di risoluzione o di decisione, la procedura è rinviata di un anno, cioè ai lavori della successiva Assemblea, affinché si possa svolgere un’ulteriore attività di riavvicinamento delle posizioni contrapposte. Il ricorso al voto di maggioranza qualificata dei due terzi dei membri presenti e votanti è previsto allorché non si pervenga al consenso nemmeno in questa seconda fase. È comunque fatta sempre salva la possibilità per ciascun membro di opporre un veto motivato da interessi nazionali sostanziali e successivamente avallato da un’autorità politica competente del proprio Paese.

Il finanziamento relativo alle lingue ufficiali dell’O.I.V. (francese, inglese e spagnolo) è determinato dall’Allegato 2 (V. PUNTO 4). L’Assemblea generale può tuttavia modificarlo e adattarlo aggiungendo altre lingue, in particolare l’italiano e il tedesco, su richiesta di uno o più membri.

Il capitolo V (articoli 6 e 7) concerne il finanziamento dell’Organizzazione. Ogni Paese membro è tenuto a versare un contributo stabilito annualmente dall’Assemblea generale in base alle disposizioni contenute negli allegati all’Accordo. Le risorse finanziarie dell’O.I.V. comprendono, oltre alle quote obbligatorie degli Stati membri, anche contributi volontari, doni, indennità, sussidi o finanziamenti provenienti da organizzazioni internazionali e nazionali, sia pubbliche che private.

In caso di mancato pagamento dei contributi sono previste sanzioni a carico degli Stati membri: la sospensione del diritto di voto e della partecipazione ai lavori del Comitato esecutivo e dell’Assemblea e, in ultima analisi, l’esclusione.

Il capitolo VI (articolo 8) prevede la partecipazione all’O.I.V. di organizzazioni internazionali intergovernative il cui contributo finanziario è stabilito caso per caso dall’Assemblea generale.

Il capitolo VII (articolo 9) definisce le procedure necessarie per la modifica e la revisione dell’Accordo. Le proposte di emendamento possono essere avanzate da ciascun membro e vanno trasmesse per iscritto al Direttore generale per poi essere sottoposte all’Assemblea Generale. La decisione è adottata con il consenso dei membri presenti e rappresentati. Successivamente, gli emendamenti sono sottoposti alle procedure interne di accettazione, di approvazione o di ratifica, previste dalla legislazione nazionale degli Stati membri.

Per la revisione dell’Accordo, è convocata un’apposita Conferenza a cura del Governo francese entro sei mesi; la Conferenza è convocata di diritto previa richiesta di due terzi più uno dei membri,.

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Il capitolo VIII (articolo 10) stabilisce che l’Assemblea generale adotta il Regolamento dell’Organizzazione, in cui sono specificate le modalità di applicazione dell’Accordo istitutivo, in particolare quelle relative alle regole di funzionamento degli organi, alle condizioni di partecipazione degli osservatori e alla gestione amministrativa e finanziaria dell’O.I.V.

Il capitolo IX (articoli 11-19) contiene una serie di clausole finali relative alla possibilità di formulare riserve al testo dell’Accordo, alla firma e all’entrata in vigore (trenta giorni dopo il deposito del trentunesimo strumento di ratifica), nonché alla richiesta di adesione di nuovi membri. A ciascun membro è inoltre riconosciuta la facoltà di denunciare l’Accordo in qualsiasi momento con un preavviso scritto di sei mesi indirizzato al Direttore generale dell’O.I.V. e al Governo francese, che svolge le funzioni di depositario.

Ai sensi dell’articolo 17 l’Accordo del 29 novembre 1994 può cessare di aver effetto mediante una decisione unanime della prima Assemblea generale successiva all’entrata in vigore dell’Accordo in esame, a meno che tutti gli Stati parti non abbiano già determinato all’unanimità le condizioni necessarie per tale cessazione. È infine espressamente stabilito che la nuova Organizzazione succede all’Ufficio internazionale della vigna e del vino in tutti i diritti e gli obblighi di quest’ultimo.

In relazione agli articoli 4 e 6 dell’Accordo, l’Allegato 1 fissa i criteri obiettivi che determinano la collocazione di ciascuno Stato membro nel settore vitivinicolo, prevedendo un aggiornamento dei coefficienti assegnati da effettuarsi all’inizio dell’esercizio finanziario successivo all’adesione di un nuovo membro e ogni tre anni sulla base dei dati statistici noti.

L’Allegato 2 concerne la determinazione dei diritti di voto, la ripartizione dei contributi obbligatori e il finanziamento delle lingue da imputarsi al bilancio preventivo generale dell’O.I.V.

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La nuova legge sull’apicoltura

L’apicoltura: fisionomia e dinamiche.

L’apicoltura, accanto alle sue finalità produttive, riveste un ruolo di prim'ordine ai fini degli assetti del ciclo biologico naturale. Il massiccio impiego di fitofarmaci tossici e non selettivi, la pratica di monocolture su vaste estensioni, la meccanizzazione e la perdita di cespugli e di essenze spontanee, hanno provocato la quasi totale scomparsa degli insetti utili e la corrispondente crescita di organismi dannosi. Il quadro si è complicato con la progressiva tendenza ad utilizzare in frutticoltura cultivar autosterili e sementi ibride che dipendono da impollinazione incrociata. L'apicoltura, ovvero la valorizzazione dell’operosità delle api attraverso l'esercizio di un insieme di attività, risponde quindi anche a finalità ambientali in relazione al fatto che l’azione impollinatrice delle api è indispensabile per gli equilibri ecologici della flora spontanea. Le api, infatti, svolgono un ruolo molto importante nel settore agricolo non soltanto attraverso la produzione di miele e di altri prodotti pregiati, quali pappa reale, polline, propoli e cera, ma anche grazie alla loro fondamentale funzione regolatrice dell’ecosistema. La presenza delle api si è rivelata l’unico modo per soddisfare le esigenze di fecondazione di molte colture. Il servizio di impollinazione si è sviluppato anche in relazione a tale esigenza, poiché esso rappresenta un valido strumento di intervento ai fini della ricomposizione degli equilibri biologici compromessi e della tutela di quelli esistenti. Questo servizio consiste nel trasferimento, da parte degli apicoltori, in coincidenza della fioritura, dei propri alveari nei frutteti e nelle colture da seme, al fine di migliorare il grado di impollinazione delle piante e assicurare all’agricoltore produzioni più abbondanti e qualitativamente migliori.

E' tuttavia evidenziabile che tale comparto dell’allevamento è stato trascurato, prevalentemente a motivo della sua marginalità e della varietà delle tipologie professionali degli operatori. Tale fenomeno ha interessato molto il nostro paese, benché l'Italia rappresenti il quinto produttore europeo di miele ma sia il primo produttore europeo per varietà di mieli. Tuttavia, nel caso specifico dell'apicoltura nazionale, questo settore attraversa una fase, iniziata dagli anni '80 e non ancora esaurita, di allontanamento progressivo sia dall’organizzazione di tipo aziendale sia di separazione dall'agricoltura, nonostante in questo ventennio si siano osservate una crescente presenza di apicoltori ed un incremento del patrimonio apistico. Il settore dell’apicoltura ha così assunto le dimensioni e le caratteristiche di una microfiliera, che vive ai margini dell’agricoltura e si distingue da essa con nettezza. Non esistono dati ufficiali sul patrimonio capaci di fotografare l'effettiva dimensione di questa realtà produttiva, in quanto anche i dati Istat ricavabili dal

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censimento generale dell'Agricoltura comprendono solo le arnie presenti in aziende che svolgono contemporaneamente un'altra attività agricola.

Da stime effettuate in relazione ai dati forniti dalle principali organizzazioni operanti nel settore e dagli organismi regionali (anni 2001-2002), il numero complessivo medio annuo desumibile è di 1.100.000 arnie detenute da circa 75.000 apicoltori. I professionisti rappresentano l'1,5% degli apicoltori totali; i semi-professionisti costituiscono il 10%, mentre la restante percentuale rappresenta l'elevato numero di amatori dell'ape. L'estrema polverizzazione aziendale, nonché le profonde differenze climatiche e ambientali esistenti in ambito territoriale, hanno reso sempre molto difficoltoso quantificare con precisione l'attività apistica. Il ridotto numero di figure professionali e l’aleatorietà che contraddistingue il settore apistico hanno contribuito a rendere difficile la definizione dell’apicoltore come figura professionale agricola ed a scoraggiare interventi di natura legislativa.

Anche patologie estremamente dannose per le api hanno contribuito a oscurare il quadro complessivo dell'apicoltura italiana ed europea, considerato che la varroasi, in particolare, decimando per intero colonie di api su tutto il territorio comunitario, ha costituito un vero flagello per il comparto apistico, obbligando gli stati a varare specifiche misure di intervento: a livello europeo, la lotta contro la varroasi assorbe il 40% delle spese programmate nella maggior parte dei paesi membri. D'altra parte, proprio in ragione di questi fatti, è stata ravvisata la necessità di un profondo ripensamento della politica di settore, costringendo agricoltori e tecnici a rivedere anche l'impianto delle strategie di sostegno e di intervento in apicoltura.

Il quadro ha presentato connotati negativi anche per quanto riguarda gli aspetti economici a cui è legata l’apicoltura: la produzione di miele in Europa è inferiore al fabbisogno dei paesi dell'Unione Europea ed è fortemente influenzata dagli scambi internazionali. L'unione Europea deve generalmente importare circa la metà del miele consumato. Gli scambi mondiali corrispondono al 25% circa della produzione complessiva di miele. Il miele, per la sua intrinseca attitudine alla conservabilità e facilità di trasporto, è considerato dai paesi in via di sviluppo – i quali producono circa il 43% della produzione mondiale - come ottima merce di scambio e fonte importante di valuta pregiata. I prezzi mondiali del prodotto sono significativamente condizionati dai minori costi di produzione di cui possono avvalersi tali paesi extra-europei. Uno dei principali paesi esportatori di miele destinato prioritariamente all'Europa è la Cina. Nel 1994 il primo destinatario di tali esportazioni era il Giappone: dal 1994 ad oggi il flusso del mercato cinese del settore si è progressivamente orientato alle aree europee. Sembra che tale fenomeno sia dovuto alla sostituzione del miele, prima largamente impiegato in Giappone per la dolcificazione di talune bevande gassose di grande consumo, con altri e nuovi edulcoranti. La merce così importata è di qualità meno pregiata di quella mediamente assicurata in Europa, ma - almeno fino ad alcuni anni

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orsono - la carente legislazione in vigore ha favorito una inesatta informazione e l’orientamento dei consumatori verso prodotti più economici, per la maggior parte di importazione. La produzione europea è del resto insufficiente al consumo raggiunto negli ultimi anni, nei quali il ritrovato interesse per la qualità e genuinità dei prodotti, unitamente a fattori pubblicitari, hanno fatto lievitare sensibilmente la domanda di miele. In base a questo quadro complessivo si spiegano perciò le misure successive che singoli paesi e l'Unione Europea hanno inteso adottare per risollevare e dare spazio a questo determinante comparto produttivo.

Il quadro normativo nazionale prima della legge n.313 del 2004

Un breve excursus della normativa nazionale deve prendere le mosse dal primo provvedimento legislativo di settore: varato nel 1925, il regio decreto legge 23 ottobre 1925, n. 2079, convertito nella legge 18 marzo 1926, n. 562, “Provvedimenti per la difesa dell’apicoltura”, rappresenta il primo importante intervento per una disciplina organica. Esso è costituito da norme che hanno inciso in modo sostanziale nell’assetto organizzativo dell’apicoltura italiana, con disposizioni oculatamente finalizzate allo sviluppo, all’organizzazione e alla difesa sanitaria del settore. Tale regio decreto istituiva innanzitutto i Consorzi apistici provinciali che erano organismi deputati ad aggregare attorno ad un unico polo organizzativo tutti gli operatori di una provincia. Le principali ragioni della nascita di queste strutture erano di ordine sanitario, ritenendosi che esse avrebbero potuto meglio garantire la pronta individuazione dei focolai di alcune malattie infettive, il loro controllo, le pratiche di cura da attuare, i programmi di risanamento o di prevenzione nelle zone ritenute a rischio. Ai Consorzi spettava anche il compito di provvedere alla diffusione dei metodi di coltura delle api, la selezione dell’Apis mellifera ligustica, la protezione degli interessi degli apicoltori, il censimento degli alveari e la repressione delle frodi. Parallelamente alla costituzione obbligatoria dei Consorzi, il regio decreto stabiliva l’istituzione di una figura tecnica -l’esperto apistico- che forniva assistenza tecnica agli apicoltori, soprattutto finalizzata alla individuazione di particolari forme patologiche delle api e all’applicazione delle necessarie terapie di risanamento. La riforma del settore sanitario e l’adozione del Regolamento di polizia veterinaria hanno trasferito questa competenza alle ASL, talché tale figura di esperto è sostanzialmente scomparsa rimanendo prevista soltanto in alcune legislazioni regionali.

Il R.D.L. n. 2079 rendeva anche obbligatoria la denuncia delle malattie delle api, disponeva la distruzione tassativa di alveari colpiti da malattie, fissava le distanze tra apiari, vietava l’introduzione nel territorio nazionale di razze di api diverse dell’Apis mellifera ligustica, disponeva controlli sul miele proveniente dall’estero. A tale regio decreto si diede attuazione con il R.D. 17 marzo 1927, n. 614, che tra l’altro regolava la vita sociale dei Consorzi apistici.

Dopo tali importanti provvedimenti, debbono essere citati per un quadro completo dell’assetto normativo nazionale del settore, l’articolo 924 del cod.

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civ, in virtù del quale il proprietario di sciami di api ha diritto di inseguirli sul fondo altrui; il D.M. 27 marzo 1951 sulla “disciplina dell’allevamento di api regine destinate all’esportazione”, con il quale, data l’importanza della razza autoctona Apis mellifera ligustica, il Ministero dell’agricoltura prevedeva procedure di esportazione con accertamenti sanitari e biometrici per il controllo di purezza.

Negli anni ’70, con il diffondersi della pericolosa varroasi proveniente dall’Est, intervennero numerosi provvedimenti di specifica natura sanitaria emanati dal competente Ministero della Sanità, che comunque non riuscirono ad arginare le gravissime conseguenze della malattia sul patrimonio apistico nazionale. Tra questi provvedimenti vanno citati: l’Ordinanza ministeriale 14 novembre 1972, che detta norme per l’importazione del miele e della cera d’api, disponendo l’obbligo di accompagnamento di un certificato di origine e sanità; l’O.M. 31 marzo 1978, che detta norme per l’importazione dall’estero di api vive e di covate di api ai fini della prevenzione della varroasi; le diverse ordinanze de Ministro della sanità, adottate in data 8/8/1981, 21/4/1983 e 17/2/1995, che dettano norme per la profilassi della varroasi.

Vale da ultimo rammentare che disposizioni di polizia sanitaria in tema di scambi ed importazioni in ambito comunitario di taluni animali sono state approvate con il D.lgs. n. 633/1996, di attuazione di disposizioni comunitarie.

Di grande rilievo per il comparto è stato il recepimento della direttiva n. 409/1974 del Consiglio della Comunità europea, riguardante l’armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri della U.E. concernenti il miele, in funzione della quale è stata varata la legge 12 ottobre 1982, n. 753 sul confezionamento, l’etichettatura e la commercializzazione del miele. Il provvedimento è a ragione considerato dagli operatori il riferimento normativo più importante: esso stabilisce la definizione del miele quale prodotto destinato all’alimentazione; fornisce dizioni merceologiche, parametri chimico-fisici; disciplina il confezionamento, l’etichettatura e la commercializzazione del prodotto.

In particolare, detta legge dopo aver dato la definizione del prodotto che ha diritto di fregiarsi della denominazione di miele, elenca i vari tipi miele (art.1), stabilisce le caratteristiche organolettiche (art. 2) ed igienico-sanitarie del prodotto (art. 4), le denominazioni che vanno obbligatoriamente apposte sulla produzione extracomunitarie o sulle miscele di miele comunitario ed extracomunitario (art. 3), determina il contenuto d’acqua specifico per il miele da pasticceria o da industria nonché per quelli del tutto particolare di brughiera e di corbezzolo (art. 5), le modalità di confezionamento e le denominazioni obbligatorie o facoltative da apporre sulla confezione (art. 6). Infine, l’art. 7 prevede che Il Ministro per le politiche agricole, d’intesa con quelli dell’industria e della sanità, pubblichi le metodiche di analisi del miele (in proposito si veda il D.M. del 20/7/1984, G.U. n. 282/1984), e stabilisca le caratteristiche fisico chimiche, microscopiche ed organolettiche dei principali tipi di miele nazionale, nonché le condizioni e requisiti per l’ottenimento dei marchi di qualità.

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Si rammenta che sulla illustrata legge n. 753 il legislatore nazionale è stato costretto ad intervenire più volte allo scopo di conformarsi alla disciplina elaborata dalle istituzioni comunitarie.

Ad integrazione della citata legge sul miele, sono stati adottati il D.M. 20 luglio 1984 contenente disposizioni in merito ai metodi ufficiali di analisi per il controllo delle caratteristiche di composizione del miele e il D.M. 25 ottobre 1985 che obbliga all’adozione di appositi registri per le annotazione del carico e dello scarico di magazzino, nonché delle operazioni di miscelazione del miele da parte dei confezionatori e importatori.

Oltre alle norme nazionali ed ai provvedimenti attuativi ad esse collegati, giova segnalare che l’apicoltura è stata oggetto di normazione da parte delle regioni, le quali hanno tutte provveduto a dotarsi di una propria disciplina di settore, in alcuni casi anche con disposizioni fortemente innovative.

Vale peraltro segnalare che il sostegno economico del settore apistico passa sovente proprio attraverso le regioni, le quali vi hanno provveduto sia con la elaborazione di proprie norme recanti sovvenzioni, sia attivando i canali previsti dall’Unione europea per l’utilizzo delle risorse dei fondi strutturali.

Infine, va segnalato che talune regioni avevano previsto contributi per i piani di miglioramento aziendale facendo esplicito richiamo al vecchio reg. 2328/91, o a quello successivo, il reg. 950/97 (di abrogazione del precedente), di sostegno dell’efficienza delle strutture agrarie. Detti provvedimenti sono ormai superati dalla riforma introdotta da Agenda 2000. La quasi totalità delle regioni utilizza ora il regolamento 1221/97. Dal finanziamento del reg. 1221 sono comunque escluse le azioni contenute nei programmi operativi nazionali relativi agli obiettivi 1, e 5b (per le regioni in ritardo e per lo sviluppo delle zone rurali).

Il regolamento (CEE) n. 1221/97 si prefigge di migliorare la produzione e la commercializzazione del miele nell'Unione europea. Nel quadro di tale regolamento gli Stati membri hanno la possibilità di predisporre programmi nazionali annuali (l’ultimo presentato dall’Italia è relativo all’annata 2003-2004) in stretta collaborazione con organizzazioni professionali e cooperative. Tali programmi prevedono una o più delle cinque azioni prioritarie seguenti:

assistenza tecnica, lotta contro la varroasi, razionalizzazione della transumanza, provvedimenti di sostegno a favore dei laboratori di analisi del miele, ricerca applicata in materia di miglioramento qualitativo del miele.

Nel novembre 1997 la Commissione ha stabilito le regole di applicazione di tale regolamento mediante regolamento (CEE) n. 2300/97. Le modalità d'applicazione prevedono fra l'altro:

gli elementi che dovranno figurare nei programmi nazionali la data di comunicazione dei programmithe la ripartizione dei Fondi comunitari

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gli elementi relativi agli studi sulla struttura del settore.

La legge 24 dicembre 2004, n.313

La legge n.313 del 2004, approvata in sede legislativa da entrambi i rami del Parlamento con l’ampio consenso di tutte le forza politiche, ha introdotto una disciplina organica dell’apicoltura nell’ordinamento nazionale, definendo un nuovo sistema di programmazione nazionale degli interventi a favore del settore e colmando lacune normative relative a specifici profili, nel quadro di un ampio coinvolgimento delle autonomie regionali.

La legge riconosce in primo luogo l’apicoltura come attività di interesse nazionale (articolo 1), definisce in modo giuridicamente certo le figure di apicoltore, imprenditore apistico e apicoltore professionista (articolo 3).

Sul versante della razionalizzazione amministrativa la legge (articolo 6) introduce l’obbligo di denuncia degli apiari e degli alveari esistenti e l’obbligo di denuncia di inizio di attività, da adempiere entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore della legge (ossia entro il 25 giugno 2005), condizionando al rispetto di tali adempimenti l’assegnazione degli incentivi previsti per il settore, nonché specifiche norme sulle distanze minime per gli apiari.

Per quanto concerne la programmazione nazionale degli interventi, la legge (articolo 5) introduce a livello normativo il documento programmatico per il settore apistico, di durata triennale ma aggiornabile ogni anno, quale strumento di pianificazione degli interventi. L’elaborazione del documento prevede l’ampio coinvolgimento di tutte le realtà associative operanti nel settore (organizzazioni professionali agricole e degli apicoltori, unioni nazionali di associazioni di produttori, cooperative e associazioni di consumatori) e delle regioni, sia attraverso la predisposizione di programmi apistici regionali, sia mediante la previsione dell’intesa in sede di Conferenza permanente Stato-regioni ai fini della formale adozione del piano. Il documento programmatico è chiamato, in particolare, a definire gli indirizzi e le azioni di coordinamento delle attività del settore con particolare riguardo alla tutela e alla promozione del miele italiano, alla tracciabilità del prodotto, alla valorizzazione delle DOP e IGP, al sostegno delle organizzazioni di produttori, all’uso degli antiparassitari (demandando alle regioni l’individuazione di limitazioni e divieti), al controllo sul miele di importazione, all’incentivazione dei giovani e degli apicoltori operanti in zone svantaggiate, alla salvaguardia delle api italiane. Alla ripartizione delle risorse volte a finanziare il Piano (quantificate in 2 milioni di euro annui per il 2004, 2005 e 2006) si provvede con DM del Ministero delle politiche agricole e forestali, anche in questo caso previa intesa in sede di Conferenza permanente Stato-regioni.

Oltre alle azioni che saranno oggetto del Piano programmatico, la legge introduce specifici strumenti volti ad agevolare l’esercizio delle attività del settore. La legge riconosce innanzitutto all’apicoltura (anche se non correlata alla

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gestione del terreno) e all’attività di impollinazione (articoli 2 e 9) il carattere di attività agricole per connessione e, per quest’ultima, specifici benefici fiscali (determinazione del reddito imponibile applicando all’ammontare dei ricavi un coefficiente di redditività del 25 %, ad esclusione tuttavia delle SPA e delle SRL). Per quanto attiene, invece, alle risorse nettarifere, la legge (articolo 7) dispone che lo Stato e le regioni incentivino il nomadismo, prevede la conservazione dei diritti acquisiti dai soggetti già operanti nel settore, introduce l’obbligo per gli enti pubblici di agevolare la dislocazione degli alveari nei fondi di loro proprietà o ad altro titolo detenuti ed esonera gli apicoltori dalla tenuta dei registri di carico e scarico delle sostanze zuccherine necessarie per l’alimentazione delle api.

La determinazione delle sanzioni amministrative per le violazioni della normativa, nazionale e regionale, in materia di miele, è rimessa alle regioni.

Andamento del settore in Italia

I dati più aggiornati sull’andamento produttivo e di mercato del miele in Italia sono desumibili dal Rapporto annuale 2004 dell’Osservatorio nazionale della produzione e del mercato del miele.

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La nuova legge sull’agriturismo

L’attività agrituristica trova la propria disciplina generale nella legge n.96/200644, che ha interamente abrogato la previdente normativa (legge 730/198545. La legge 96/2006 si configura come legge quadro sulla base del dettato dell’art. 117 Cost., che attribuisce alla competenza regionale le materie dell’agricoltura e del turismo.

I principi generali sono enunciati all’articolo 1, nel quale si dichiara che il

sostegno all’agricoltura passa anche attraverso la promozione di idonee forme di turismo nelle campagne che siano finalizzate a: tutelare, qualificare e valorizzare le risorse specifiche di ciascun territorio; favorire il mantenimento delle attivita' umane nelle aree rurali; favorire la multifunzionalita' in agricoltura e la differenziazione dei redditi

agricoli; favorire le iniziative a difesa del suolo, del territorio e dell'ambiente da parte

degli imprenditori agricoli attraverso l'incremento dei redditi aziendali e il miglioramento della qualita' di vita;

recuperare il patrimonio edilizio rurale tutelando le peculiarita' paesaggistiche; sostenere e incentivare le produzioni tipiche, le produzioni di qualita' e le

connesse tradizioni enogastronomiche; promuovere la cultura rurale e l'educazione alimentare; favorire lo sviluppo agricolo e forestale.

In tal senso, l’obiettivo del sostegno è principalmente rivolto al mondo agricolo

e solo indirettamente all’incremento del turismo nelle campagne. D’altro canto, il sostegno all’agriturismo deve essere armonizzato con i programmi di sviluppo rurale dell'Unione europea, dello Stato e delle regioni.

L’articolo 2 definisce l’attività agrituristica come l’attività di ricezione ed ospitalità esercitata dagli imprenditori agricoli mediante l’utilizzo della propria azienda.

Relativamente ai requisiti soggettivi la norma fa riferimento a qualunque imprenditore agricolo di cui all’articolo 2135 del codice civile, anche nella forma di societa' di capitali o di persone, singole o associate, per il quale non è richiesta la qualifica di imprenditore agricolo professionale.

La legge considera come addetti allo svolgimento dell’attività agrituristica l’imprenditore agricolo, i familiari partecipi all’impresa rientranti nella definizione

44 L. 20 febbraio 2006, n. 96, “Disciplina dell'agriturismo”. 45 L. 5 dicembre 1985, n. 730, “Disciplina dell'agriturismo”.

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dell’art. 230-bis46 del codice civile, e i lavoratori dipendenti a tempo determinato, indeterminato e parziale, ammettendo il ricorso a soggetti esterni soltanto per lo svolgimento di attività e servizi complementari.

Il richiamo alla definizione di imprenditore agricolo dell’art. 2135 del codice civile47 comporta che rientri in tale categoria chiunque coltivi il fondo, svolga attività silvicola, allevi animali o svolga attività connesse. Nella norma codicistica sono considerate connesse le attività di manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione nonché valorizzazione dei prodotti ottenuti prevalentemente dalle attività di coltivazione, di silvicoltura e di allevamento. Inoltre, sono attività connesse anche la fornitura di beni e servizi esplicate attraverso l’utilizzazione prevalente di attrezzature e risorse dell’azienda agricola, di norma impiegate nell'attività agricola esercitata, nonché quelle attività volte alla valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale o destinate a fornire ricezione ed ospitalità.

In tema di definizione di attività agrituristica, va ricordato l’articolo 23 della

legge 27 marzo 2001, n. 12248 che ha introdotto l’ospitalità rurale familiare tra le possibili forme di ricezione. In questa norma si prevedeva che dette attività rientrassero tra le attività agrituristiche, se esercitate da imprenditori agricoli, con professionalità ed in modo continuativo. Su questo punto è possibile affermare che l’intervento riformatore della legge n. 96 del 2006 abbia ricompreso anche la forma di ospitalità rurale familiare nella definizione di attività agrituristica.

Quanto all’elemento oggettivo il medesimo articolo 2 indica quali sono le attività che possono beneficiare della qualificazione agrituristica:

a) dare ospitalità in alloggi o spazi aperti destinati alla sosta di campeggiatori; b) somministrare pasti e bevande prevalentemente costituiti da prodotti

dell’azienda o di aziende agricole della zona, compresi i prodotti a carattere alcolico o superalcolico, con preferenza verso i prodotti tipici e caratterizzati dai marchi DOP, IGP, IGT, DOC e DOCG o compresi nell'elenco nazionale dei prodotti agroalimentari tradizionali49;

46 Per l’art. 230-bis del codice civile è impresa familiare quella in cui collaborano il coniuge, i

parenti entro il terzo grado, gli affini entro il secondo. Inoltre, l’articolo 2 in commento considera come lavoratori agricoli sia i familiari che i lavoratori dipendenti, a fini previdenziali, assicurativi e fiscali.

47 Nel testo riscritto dal D.Lgs. 18 maggio 2001, n. 228, “Orientamento e modernizzazione del settore agricolo, a norma dell'articolo 7 della L. 5 marzo 2001, n. 57”.

48 L. 27 marzo 2001, n. 122, “Disposizioni modificative e integrative alla normativa che disciplina il settore agricolo e forestale”.

49 Si segnala che in base all’art. 5, comma 2 della L.96/2006, la produzione, la preparazione, il confezionamento e la somministrazione di alimenti e di bevande sono soggetti alle disposizioni della L. 30 aprile 1962, n. 283, “Modifica degli artt. 242, 243, 247, 250 e 262 del T.U. delle leggi sanitarie approvato con R.D. 27 luglio 1934, n. 1265: Disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande”, nonché all’articolo 9 del D.Lgs. 26 maggio 1997, n. 155, “Attuazione della direttiva 93/43/CEE e della direttiva 96/3/CE concernenti l'igiene dei prodotti alimentari”.

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c) organizzare degustazioni di prodotti aziendali, ivi inclusa la mescita di vini, alla quale si applica la legge 268/199950;

d) organizzare attività ricreative, anche all'esterno dei beni fondiari nella disponibilita' dell'impresa, o culturali, didattiche, di pratica sportiva, nonche' escursionistiche e di ippoturismo51; per lo svolgimento di tali attività sono ammesse convenzioni con gli enti locali finalizzate alla valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale52;

e) all’art. 12 della legge 96/2006 si considerano come assimilate alle attivita' agrituristiche quelle svolte dai pescatori relativamente all'ospitalita', alla somministrazione dei pasti costituiti prevalentemente da prodotti derivanti dall'attivita' di pesca, nonche' le attivita' connesse ai sensi del D.lgs 226/200153, ivi compresa la pesca-turismo.

Significativo rispetto alla precedente disciplina della legge 730/85 è il mancato

riferimento alla stagionalità dell’attività agrituristica, dal momento che può essere svolta tutto l’anno, oppure secondo periodi stabliti dall’imprenditore agricolo.

Altrettanto significativo è il rapporto delle attività agrituristiche con le attività agricole di coltivazione del fondo o allevamento. Nell’articolo 2 il rapporto è di connessione, mentre viene meno il riferimento alla complementarietà contenuto nella precedente disciplina della L. 730/8554. Va tenuto presente che nel rapporto

Inoltre, nel successivo articolo 10 la vendita dei prodotti propri, tal quali o comunque trasformati, nonche' dei prodotti tipici locali da parte dell'impresa agrituristica è assoggettata all’applicazione della legge n. 59 del 1963 sopra citata, e all'articolo 4 (Esercizio dell'attività di vendita) del D.Lgs. 228 del 2001.

50 La degustazione dei prodotti aziendali distinta dalla somministrazione di pasti e bevande, include la mescita di vino ai sensi della L. 27 luglio 1999, n. 268, “Disciplina delle «strade del vino»”. In proposito, va sottolineato come anche nell’articolo 1, comma 3 della legge 268/1999 le attività di ricezione e di ospitalità compresa la degustazione dei prodotti aziendali svolte da aziende agricole nell’ambito delle “strade del vino” possono essere ricondotte ad attività agrituristiche. In tal senso, la norma faceva richiamo all’art. 2 della legge 730/1985. In questo ambito, anche la sola mescita del vino potrebbe rientrare fra le attività agrituristiche esclusivamente se eseguita in aziende incluse nei percorsi denominati “strade del vino”.

51 Si fa presente che già all’art. 3 del D.Lgs. 228/2001 si consideravano come attività agrituristiche l’organizzazione di attività ricreative, culturali e didattiche, di pratica sportiva, escursionistiche e di ippoturismo. Sempre nella stessa legge di orientamento, nell’ampliare l’elenco delle attività a vocazione agrituristica, veniva recata la specifica “ancorché svolte all’esterno dei beni fondiari nella disponibilità dell’impresa”.

52 A tal riguardo, l’art. 4, comma 5, della legge n. 96/2006 in commento precisa che lo svolgimento di tali attività all’esterno dell’azienda agricola è ammesso solo in quanto realizza obiettivamente la connessione con l'attivita' e con le risorse agricole aziendali, nonche' con le altre attivita' volte alla conoscenza del patrimonio storico-ambientale e culturale. Nell’ipotesi in cui non si verifichi tale connessione, queste attività possono svolgersi solo come servizi integrativi e accessori per gli ospiti dell’azienda agricola e pertanto la partecipazione a tali attività non potrà dare luogo ad autonomo corrispettivo.

53 D.Lgs. 18 maggio 2001, n. 226, “Orientamento e modernizzazione del settore della pesca e dell'acquacoltura, a norma dell'articolo 7 della L. 5 marzo 2001, n. 57”.

54 Il requisito della complementarietà implicava che dovesse esserci, anzitutto, un’attività imprenditoriale agricola alla quale si aggiungeva l’impegno dell’imprenditore nell’attività agrituristica: in tal modo, l’attività agrituristica era vista solo come integarazione dell’attività agricola vera e propria. Riguardo al criterio utilizzato per stabilire il reciproco peso, cioè se

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di connessione permane la prevalenza dell’attività agricola valutata rispetto al tempo di lavoro necessario all'esercizio delle stesse attivita'

Il rapporto di connessione può obiettivamente rintracciarsi nella somministrazione di pasti e bevande costituiti da prodotti in prevalenza propri, ossia prodotti e lavorati all’interno dell’azienda, oppure di altre aziende della zona o di prodotti tipici e caratterizzati dai marchi.

Un secondo elemento di connessione diretta può essere ravvisato nell’uso dell’abitazione dell’imprenditore agricolo, nonché degli altri edifici già esistenti, purché ubicati sul fondo. Solo se il fondo sia privo di fabbricati, e dopo che la regione abbia individuato i comuni nei quali ciò sia possibile, è consentito l’utilizzo dell’abitazione dell’imprenditore situata in un centro abitato.

Nel quadro delle semplificazioni introdotte dalla nuova disciplina, per avviare

l’attività agrituristica l’articolo 6 prevede la comunicazione di inizio attività. I comuni e la regioni compiono, entro 60 giorni dall’inizio dell’attività, i necessari controlli rilasciando l’autorizzazione definitiva, oppure indicando i tempi e i modi di adeguamento alla normativa vigente, nel caso in cui le attività poste in essere non fossero ad essa conformi, potendo disporre la sospensione dell’attività con le relative sanzioni nei casi di gravi non conformità. In ogni caso, il titolare dell'attivita' agrituristica e' tenuto, entro quindici giorni, a comunicare al comune qualsiasi variazione delle attivita' in precedenza autorizzate.

Il successivo articolo 9 riserva l'uso della denominazione «agriturismo» alle

aziende agricole che esercitano l'attivita' agrituristica secondo le norme previste nella legge. Inoltre, viene rimesso ad un D.M. del MIPAF, sentito il Ministro delle attivita' produttive, previa intesa con la Conferenza Stato-regioni, la determinazione dei criteri di classificazione omogenei per l'intero territorio nazionale e la definizione delle modalita' per l'utilizzo, da parte delle regioni, di parametri di valutazione riconducibili a peculiarita' territoriali.

La legge 96/2006 è una legge quadro che interviene in una materia già

oggetto di potestà legislativa concorrente da parte delle regioni. In tal senso, la legge prevede che le regioni uniformino ai principi fondamentali contenuti in essa le proprie normative in materia di agriturismo entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge stessa55. Le regioni a statuto speciale provvedono alle finalita' della legge in commento in conformita' al loro statuto di autonomia e alle relative norme di attuazione

Alle regioni, in particolare, la legge demanda i seguenti profili:

debba essere preso in considerazione il tempo-lavoro dedicato alle diverse attività, o l’entità del reddito prodotto, nulla era specificato dalla legge 730/85.

55 Cfr articolo 14, comma 2.

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• disciplina degli interventi di recupero del patrimonio edilizio (articolo 3 comma 2);

• definizione di criteri, limiti ed obblighi amministrativi aziendali per lo svolgimento dell’attività agrituristica (articolo 4);

• definizione dei criteri per la valutazione del rapporto di connessione delle attivita' agrituristiche rispetto alle attivita' agricole che devono rimanere prevalenti (articolo 4, comma 2);

• disciplina della somministrazione di pasti e di bevande rientrante ai fini dell’attività agrituristica (articolo 4, comma 4);

• definizione dei requisiti igienico-sanitari degli immobili e delle attrezzature da utilizzare (articolo 5);

• disciplina delle modalità per il rilascio del certificato di abilitazione all'esercizio dell'attivita' agrituristica; ai fini del conseguimento del certificato, le regioni possono organizzare corsi di preparazione (articolo 7);

• disciplina della procedura di presentazione della dichiarazione contenente l'indicazione delle tariffe massime riferite ai periodi di alta e di bassa stagione (articolo 8)

• ai fini della promozione dell’attività di turismo equestre, incentivazione dell'acquisto e dell'allevamento di cavalli da sella, nell'ambito delle aziende agrituristiche, con l’allestimento delle relative attrezzature di ricovero e di esercizio, nonché degli itinerari di turismo equestre (articolo 11, comma 2);

• promozione delle attività di studio, ricerca, sperimentazione formazione professionale e promozione (articolo 11, comma 3);

Al fine di consentire l’attività di indirizzo e coordinamento del MIPAF e di

favorire la comunicazione e lo scambio di esperienze sul territorio nazionale, le regioni inviano annualmente al ministero una relazione sintetica sullo stato dell'agriturismo nel territorio di propria competenza, integrata dai dati sulla consistenza del settore e da eventuali disposizioni emanate in materia. Questi dati vengono poi raccolti dall’Osservatorio nazionale dell’agriturismo, istituito presso il Ministero delle politiche agricole e forestali, ove partecipano le associazioni di operatori agrituristici più rappresentative a livello nazionale. L’osservatorio pubblica annualmente un rapporto nazionale sullo stato dell’agriturismo (articolo 13).

È previsto, inoltre, un programma triennale finalizzato alla promozione dell'agriturismo italiano sui mercati nazionali e internazionali, predisposto dal Ministro delle politiche agricole e forestali, di intesa con le regioni e le province autonome, sentite le associazioni nazionali agrituristiche maggiormente rappresentative a livello nazionale.

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In tema di agevolazioni in favore degli operatori agrituristici va citato l’articolo 34 del DPR n. 633/197256 il quale prevede un regime speciale per i produttori agricoli, precisando che sono in ogni caso tali “i soggetti che esercitano le attività indicate nell’articolo 2135 del codice civile”. In tal senso, anche la prestazione del servizio di ricezione ed ospitalità rientra fra le attività connesse che si qualificano come attività agricole e pertanto anche l’imprenditore agrituristico può a pieno titolo optare per l’applicazione del regime speciale di cui al citato art. 34.

Detto regime si applica alle sole operazioni di cessione di prodotti agricoli e ittici, compresi nella prima parte dell'allegata tabella A), per le quali è prevista una detrazione, forfettizzata in misura pari all'importo risultante dall'applicazione, nonché all'ammontare imponibile delle operazioni stesse, delle percentuali di compensazione stabilite, per gruppi di prodotti, con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro per le politiche agricole.

Inoltre, l’articolo 7 della legge 96/2006 stabilisce che lo svolgimento dell'attivita' agrituristica comporta la conseguente applicazione del regime agevolato per l’agriturismo previsto all’articolo 5 della legge 413/199157, sia ai fini delle imposte sui redditi sia ai fini IVA. In particolare, per gli esercenti l’attività di agriturismo58, è prevista la determinazione del reddito imponibile mediante l’applicazione di un coefficiente di redditività del 25% sull'ammontare dei ricavi conseguiti con l'esercizio dell’attività, al netto dell’IVA. Tali ricavi corrispondono alle operazioni registrate ai fini IVA, ma non comprendono le cessioni di beni ammortizzabili.

Inoltre, i soggetti che esercitano attività di agriturismo determinano l'IVA riducendo l'imposta relativa alle operazioni imponibili in misura pari al 50% del suo ammontare, a titolo di detrazione forfetaria dell'imposta relativa agli acquisti e alle importazioni.

56 D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, “Istituzione e disciplina dell'imposta sul valore aggiunto”. Si fa

riferimento al testo dell’articolo 34 modificato dall’articolo 5 del D.Lgs. 2 settembre 1997, n. 313, “Norme in materia di imposta sul valore aggiunto”.

57 L. 30 dicembre 1991, n. 413, “Disposizioni per ampliare le basi imponibili, per razionalizzare, facilitare e potenziare l'attività di accertamento; disposizioni per la rivalutazione obbligatoria dei beni immobili delle imprese, nonché per riformare il contenzioso e per la definizione agevolata dei rapporti tributari pendenti; delega al Presidente della Repubblica per la concessione di amnistia per reati tributari; istituzioni dei centri di assistenza fiscale e del conto fiscale”.

58 Nella stessa norma richiamata, l’art. 5, comma 1, vengono escluse le società per azioni e in accomandita per azioni, le società a responsabilità limitata e le società cooperative. Si fa presente che la nuova legge 96/2006 ammette allo svolgimento delle attività agrituristiche le società di capitali, come prevede l’articolo 2, comma 1.

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LA DIFFUSIONE DELL’AGRITURISMO IN ITALIA

Numero di aziende autorizzate in Italia (dato nazionale e ripartito per regione)

(Dati aggiornati al 31 dicembre 2005 - fonte Agriturist)

Regione 2005 % 04-05 Valle d'Aosta 57 + 1,8 Piemonte 683 - 5,7 Lombardia 859 + 14,8 Trentino 228 + 16,9 Alto Adige 2.664 + 2,6 Friuli V. Giulia 311 - 19,0 Veneto 880 + 2,4 Emilia Romagna 696 + 26,5 Liguria 325 + 7,6 Toscana 3.300 + 13,0 Marche 517 + 9,8 Umbria 891 + 12,8 Lazio 370 + 7,2 Abruzzo 420 + 4,5 Molise 75 +15,4 Campania 650 + 13,8 Puglia 280 + 12,0 Basilicata 245 - 9,2 Calabria 305 + 64,8 Sicilia 350 + 15,1 Sardegna 613 + 15,4 TOTALE 14.719 + 8,9

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Nella seguente tabella si riportano i dati relativi al consuntivo per il 2005 ed una stima previsionale della crescita attesa per il 2006.

(Dati aggiornati febbraio 2006 - fonte Agriturist)

Consunti

vo 2005 confronto %04-05

previsione 2006

confronto %05-06

Aziende agrituristiche n. 14.700 + 8,9 15.700 + 6,8 di cui con offerta di alloggio 11.750 + 9,8 12.500 + 6,3 Posti letto n. (migliaia) 152,7 + 9,8 160,0 + 4,8 Posti letto per azienda n. 13 --- 12,8 - 1,5 Arrivi (migliaia) 2.410 + 2,5 2.560 + 6,2 Di cui stranieri (%) 25% + 8,6 25% - Presenze (milioni di pernottamenti)

11,1 - 3,4 11,5 + 3,6

Utilizzo alloggi (%) 19,9 - 12,3 20,6 + 3,5 Durata media soggiorno (gg) 4,6 - 6,1 4,5 - 2,2 Aziende con ristorazione 8.900 + 7,2 9.400 + 5,6 Di cui senza offerta di alloggio 2.600 + 8,3 2.750 + 5,8 Aziende con agricampeggio 900 - 3,2 920 + 2,3 Aziende con cavalli 1,420 + 1,4 1.400 - 1,4 Giro d’affari (milioni di €) 797 - 1,6 883 + 10,9 G. d. affari medio per azienda € 54.220 - 9,6 56.240 + 3,7

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Ministero politiche agricole e forestali - Funzioni e compiti del MIPAF

Il dicastero agricolo ebbe origine nel 1929 come Ministero dell’agricoltura e foreste – MAF, con la trasformazione dell’originario Ministero dell’economia disposta dal R.D. n. 1661/1929 e dal R.D. 1663/1929 che ne aveva disciplinato la struttura e le funzioni.

Le succitate norme dei regi decreti attributive delle competenze ministeriali

furono abrogate in seguito al referendum del 18 e 19 aprile 1993. Successivamente, la legge n. 491/199359 istituì il Ministero delle risorse agricole, alimentari e forestali – MIRAAF, con competenza anche in materia agroalimentare e agroindustriale. All’interno di questa legge, peraltro, venne operata una redistribuzione di competenze fra dicasteri diversi e fra ministero e regioni.

Nel sancire la generale presunzione di competenza da parte delle regioni in materia agricola, la legge prevedeva per il nuovo Ministero le funzioni di indirizzo e coordinamento, di definizione delle politiche nazionali, di attuazione della normativa comunitaria e di cura delle relazioni internazionali. Inoltre il nuovo Ministero assumeva le funzioni, attribuite in precedenza ad altri ministeri, relativamente alla materia dell'acquacoltura e della pesca marittima, alla produzione dei prodotti agricoli elencati nell'Allegato II del Trattato CEE, alla materia veterinaria, nonché sulle opere di raccolta, adduzione e distribuzione primaria delle acque irrigue di rilevanza nazionale. Nella legge si rinviava a successivi regolamenti governativi la definizione dell'organizzazione degli uffici del Ministero e la distribuzione dell'organico del soppresso M.A.F tra il nuovo Ministero e le regioni, nonché il riordino o la soppressione degli organi consultivi e degli enti vigilati. A tal fine si dettavano le linee direttrici alle quali attenersi nell'adozione dei successivi regolamenti.

Facevano comunque capo alla legge n. 491/1993, anche se non di sua diretta attuazione, il D.P.C.M. 4 agosto 1995, che rideterminava le dotazioni organiche delle qualifiche dirigenziali e funzionali del personale, nonché il D.M. 15 novembre 1995, n. 576, istitutivo di un servizio di controllo interno per l'accertamento della rispondenza dei risultati dell'attività amministrativa, tecnica e finanziaria delle direzioni generali e dell'Ispettorato centrale repressione frodi alle prescrizioni ed alle direttive impartite loro dal Ministro.

Con il successivo Decreto legislativo 4 giugno 1997, n. 14360 - primo

provvedimento di attuazione della legge n.59/97 (c.d. Legge Bassanini) – fu 59 L. 4 dicembre 1993, n. 491, “Riordinamento delle competenze regionali e statali in materia

agricola e forestale e istituzione del Ministero delle risorse agricole, alimentari e forestali”. 60 D.Lgs. 4 giugno 1997, n. 143, “Conferimento alle regioni delle funzioni amministrative in materia

di agricoltura e pesca e riorganizzazione dell'Amministrazione centrale”, adottato in esecuzione della delega al Governo, contenuta nella legge 15 marzo 1997, n. 59, per il conferimento di

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ridisegnata l’area di competenza ministeriale con l’istituzione del nuovo Ministero per le politiche agricole – MIPA.

La legge 15 marzo, n. 59 del 199761, (c.d. legge Bassanini), ha disposto il trasferimento alle regioni e agli enti locali di tutte le funzioni amministrative che non devono essere esercitate unitariamente a livello centrale. Come noto, il disegno riformatore in essa contenuto prevedeva il trasferimento di funzioni alle regioni e agli enti locali con l’obiettivo di realizzare il c.d. “federalismo amministrativo”, la razionalizzazione e la redistribuzione delle competenze dei ministeri, nonché il riordino e la riorganizzazione della Presidenza del Consiglio dei Ministri, come struttura di indirizzo e coordinamento delle politiche del Governo e la completa delegificazione in materia di organizzazione dei Ministeri.

Il D.Lgs. 143/1997 - sul quale si svolse un referendum per la sua

abrogazione62 - all’articolo 1 abroga la legge n. 491/93, disponendo la soppressione del Ministero delle risorse agricole, alimentari e forestali. Il neo-istituito Ministero per le politiche agricole diviene centro di riferimento degli interessi nazionali nella propria area di competenza, individuata nella materia agricola, forestale, agroalimentare, piuttosto che mantenere competenze gestionali.

Sulla base dell’art. 3, co. 1, lett a) della legge Bassanini, vengono poi elencate in modo tassativo le funzioni e compiti assegnati al nuovo dicastero, attribuendo alle regioni il resto.

Il Ministero svolge funzioni di:

1. elaborazione e coordinamento delle linee di politica agricola in coerenza con le decisioni prese in sede comunitaria, svolte attraverso l‘intesa con la Conferenza Stato-regioni in quanto portatrice delle istanze territoriali;

2. rappresentanza degli interessi nazionali in sede di Unione Europea; 3. cura delle relazioni internazionali; 4. esecuzione, per quanto di competenza statale, degli obblighi sia comunitari che

internazionali; 5. proposta in materia di funzioni governative di coordinamento ed indirizzo.

funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della pubblica amministrazione e per la semplificazione amministrativa.

61 L. 15 marzo, n. 59 del 1997, “Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione”.

62 Si fa presente che sulla legge n. 491 del 1993 di riforma del Ministero agricolo, fu presentata la richiesta di una nuova consultazione referendaria abrogativa, dopo quella del 1993, indetta con il D.P.R. 15 aprile 1997. Nelle more dello svolgimento del referendum popolare, il Governo emanò il decreto legislativo n. 143/1997. Pertanto, il referendum, originariamente indetto per l'abrogazione della legge n. 491/1993, subì la mutazione del suo oggetto, svolgendosi, in seguito a quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, sul decreto legislativo n. 143/1997, successivamente introdotto. La consultazione popolare, svoltasi il 15 giugno 1997, non raggiunse il quorum partecipativo previsto, lasciando, quindi, in vigore la normativa da ultimo approvata.

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Al Ministero spettano compiti di disciplina generale e di coordinamento

nazionale nelle seguenti materie, ritenute non trasferibili:

1. scorte ed approvvigionamenti alimentari; 2. tutela della qualità dei prodotti alimentari; 3. educazione alimentare di carattere non sanitario; 4. ricerca e sperimentazione svolte da istituti e laboratori nazionali; 5. importazione ed esportazione dei prodotti agricoli ed alimentari; 6. interventi di regolazione dei mercati; 7. regolazione delle sementi e materiale di propagazione, del settore fitosanitario e

dei fertilizzanti; 8. registri di varietà vegetali, libri genealogici del bestiame e libri nazionali dei boschi

da seme; 9. salvaguardia e tutela delle biodiversità vegetali e animali e dei rispettivi patrimoni

genetici; 10. gestione delle risorse ittiche marine di interesse nazionale; 11. impiego di biotecnologie innovative nel settore agroalimentare; 12. specie cacciabili; 13. grandi reti infrastrutturali di irrigazione di rilevanza nazionale.

Infine, vengono attribuiti al Ministero i seguenti ulteriori compiti in tema di:

1. riconoscimento e sostegno delle unioni, delle associazioni nazionali e degli organismi nazionali di certificazione;

2. accordi interprofessionali di dimensione nazionale; 3. dichiarazione di eccezionali avversità atmosferiche; 4. prevenzione e repressione delle frodi nella preparazione e nel commercio dei

prodotti agroalimentari e ad uso agrario; 5. raccolta, elaborazione e diffusione di dati e informazioni a livello nazionale, ai fini

anche del sistema statistico nazionale e del rispetto degli obblighi comunitari. Con l’articolo 3 viene completato il quadro normativo necessario alla

revisione dell'assetto istituzionale del comparto agricolo. In esso si dispone la soppressione di tutti gli Enti, gli Istituti e le Aziende sottoposti alla vigilanza del Ministero delle risorse agricole, alimentari e forestali, rinviando l’applicazione di tale previsione al momento dell’entrata in vigore dei decreti legislativi di soppressione, accorpamento, riordinamento e trasformazione.

Con il Decreto legislativo n. 300/1999 di riforma dell’organizzazione del

Governo a norma della legge Bassanini63, viene operata la redistribuzione e la riorganizzazione dei ministeri. In particolare, per quanto concerne il dicastero 63 D. Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, “Riforma dell'organizzazione del Governo, a norma dell'articolo

11 della L. 15 marzo 1997, n. 59”.

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agricolo, questo assume l’attuale dizione di Ministero delle politiche agricole e forestali – MIPAF64. Nello specifico si è previsto che: • le funzioni svolte dal dicastero agricolo sono quelle previste dal D.lgs n.

143/1997, salvo quelle inerenti alla materia agroindustriale attribuite al Ministero delle attività produttive a decorrere dal 1 gennaio 2000;

• le aree funzionali nelle quali il Dicastero agricolo dovrà svolgere le sue funzioni sono: agricoltura e pesca (art. 33, comma 3, let. a) e qualità dei prodotti agricoli e servizi (art. 33, comma 3, let. b);

• il MIPAF rimane articolato in due dipartimenti; • per l'esercizio delle funzioni in materia di polizia forestale ambientale

attribuite al Ministero dell'ambiente, quest’ultimo si avvale del Corpo forestale dello Stato. Quanto alla assegnazione delle aree di competenza dei singoli dicasteri, va

evidenziato che restano: • alla Presidenza del Consiglio dei ministri le funzioni relative alla

partecipazione dello Stato italiano all’Unione europea, ed all’attuazione delle relative politiche;

• al Ministero dell’Interno la prevenzione degli incendi; • al Ministero della Giustizia la vigilanza sugli ordini professionali.

L’organizzazione ministeriale del MIPAF è stata poi completata dal successivo DPR n. 450 del 200065, che ha delinato la struttura del dicastero agricolo nel Dipartimento delle politiche di mercato (articolato nella Direzione generale per le politiche agroalimentari e nella Direzione generale per la pesca e l'acquacoltura) e nel Dipartimento della qualità dei prodotti agroalimentari e dei servizi (al quale facevano capo la Direzione generale per la qualità dei prodotti agroalimentari e la tutela del consumatore, la Direzione generale per le politiche strutturali e lo sviluppo rurale e la Direzione generale per i servizi e gli affari generali). Vi era poi il Consiglio tecnico scientifico degli esperti per la politica agricola con il compito di svolgere attività di alta consulenza nelle materie di competenza del Ministero.

Riguardo l’organizzazione degli uffici di diretta collaborazione del Ministro, è stato successivamente adottato il D.P.R. 14 maggio 2001, n. 30366, che ha previsto i seguenti uffici: Ufficio di Gabinetto, Ufficio legislativo, Segreteria

64 Si veda l’art. 33 del D.Lgs. 300/1999. 65 Il D.P.R. 450/2000 va ricollegato al decreto legislativo n. 143/97, anche se intervenuto solo tre

anni dopo, dal momento che la normativa di riferimento era nel frattempo cambiata in seguito all’approvazione del D.lgs 300/1999.

66 D.P.R. 14 maggio 2001, n. 303, recante “Regolamento di organizzazione degli uffici di diretta collaborazione del Ministro delle politiche agricole e forestali”.

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del Ministro, Segreteria tecnica del Ministro, Ufficio per la stampa e la comunicazione, Servizio di controllo interno e Ufficio dei rapporti internazionali67.

Tra i provvedimenti adottati nella XIV legislatura si ricorda, in primo luogo, il

D.L. 217 del 200168 che ha recato diverse modifiche al D.lgs. 300 del 1999, operando una nuova distribuzione di competenze fra i ministeri e intervenendo sul dicastero agricolo e sull’agricoltura in generale. Al Ministero delle politiche agricole e forestali sono state riattribuite le funzioni ed i compiti in materia di trasformazione e commercializzazione dei prodotti agricoli e agroalimentari precedentemente assegnati al Ministero delle attività produttive. In tema di agricoltura, il Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, precedentemente istituito dal D.Lgs 300/99, è stato suddiviso nel Ministero del lavoro e delle politiche sociali, a cui è stata attribuita la competenza in materia di organizzazione, assistenza e previdenza della pesca, e nel Ministero della salute, a cui sono state assegnate le aree funzionali della sanità veterinaria, del controllo e della vigilanza sull’applicazione delle biotecnologie, nonché l’adozione di norme, linee guida o prescrizioni tecniche di natura igienico-sanitaria relative anche a prodotti alimentari e la polizia veterinaria69.

Nel decreto-legge n. 381 del 200170, viene attribuita al MIPAF la gestione dei

rapporti con la Commissione europea, sulla base di un supporto tecnico assicurato dall’AGEA. Con tale specificazione si è dunque inteso garantire la piena legittimazione del Ministero ad esercitare un ruolo essenziale di supervisione e partecipazione al processo comunitario di liquidazione dei conti del FEOGA.

Successivamente, le novità intervenute sia in ambito nazionale che comunitario hanno reso necessario un nuovo intervento sull’organizzazione del MIPAF. In primo luogo, la legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 371, che ha riscritto

67 Vedi art. 2 del D.P.R. 303/2001. Nel successivo art. 3 viene descritta la funzione svolta dai vari

uffici 68 D.L. 12 giugno 2001, n. 217, “Modificazioni al D.Lgs 30 luglio 1999, nonché alla L. 23 agosto

1988, n. 400, in materia di organizzazione del Governo”, convertito in legge, con modificazioni dall'art. 1 della Legge 3 agosto 2001, n. 317.

69 Si vedano nel D.Lgs 300/99, modificato dal D.L. 217/2001, gli articoli 45, per le aree funzionali del ministero del lavoro e delle politiche sociali, e 47-ter, per le aree funzionali del Ministero della salute.

70 Decreto-legge, 22 ottobre 2001, n. 381, “Disposizioni urgenti concernenti l'Agenzia per le erogazioni in agricoltura (AGEA), l'anagrafe bovina e l'Ente irriguo umbro-toscano”. In particolare, si è introdotto il comma 1-bis all’articolo 3 del Decreto Legislativo 27 maggio 1999 “Soppressione dell'AIMA e istituzione dell'Agenzia per le erogazioni in agricoltura (AGEA), a norma dell'articolo 11 della L. 15 marzo 1997, n. 59”, come modificato dal Decreto Legislativo 15 giugno 2000, “Disposizioni correttive e integrative del D.Lgs. 27 maggio 1999, n. 165, recante soppressione dell'AIMA e istituzione dell'Agenzia per le erogazioni in agricoltura (AGEA), a norma dell'articolo 11 della L. 15 marzo 1997, n. 59”.

71 L.Cost. 18 ottobre 2001, n. 3, “Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione”.

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l’art. 117 della Costituzione. In esso, vengono elencate le materie riservate esclusivamente allo Stato, nonché quelle di potestà legislativa concorrente delle Regioni e su tutto ciò non espressamente menzionato nella norma (tra cui la materia “agricoltura e foreste”) le Regioni sembrano avere competenza esclusiva. Tuttavia, la successiva giurisprudenza della Corte costituzionale, con importanti pronunce in tema di sussidiarietà e di Governo del territorio72, ha portato il MIPAF ad assumere un ruolo di coordinamento tra governo nazionale e governi locali nella gestione di tutti gli interessi sottesi all’agricoltura.

D’altra parte, si rammenta la riattribuzione al MIPAF della materia della trasformazione e commercializzazione dei prodotti agricoli operata dal D.L. n. 217/2001 sopra citato. Infine, la riforma di medio termine della politica agricola comunitaria73, per cui un ruolo centrale è stato attribuito alle istituzioni di regolazione e di governo dei singoli Stati membri, assegnando ad essi ampi spazi di autonomia per la graduazione e la concreta operatività del sistema.

Pertanto, è intervenuto il DPR 23 maggio 2005, n. 79, con cui è stata modificata la struttura del Ministero delle politiche agricole e forestali per adattarla alle nuove competenze assunte dal MIPAF.

In particolare, si mantengono i due dipartimenti, che però vengono ridenominati in:

Dipartimento delle filiere agricole e agro-alimentari, articolato in 3 uffici di livello dirigenziale generale: la Direzione generale delle politiche agricole, la Direzione generale della trasformazione agroalimentare e dei mercati e la Direzione generale della pesca marittima e dell’acquacoltura.

Dipartimento delle politiche di sviluppo, articolato in 4 uffici di livello dirigenziale generale, ossia la Direzione generale dello sviluppo rurale, la Direzione generale per la qualità dei prodotti agro-alimentari, la Direzione generale dell’amministrazione e la Direzione generale per la tutela del consumatore.

Viene poi disciplinata la composizione ed il funzionamento del ricostituito Consiglio nazionale dell’agricoltura74, quale organo di alta consulenza del Ministro, nel quale è prevista la partecipazione anche di due componenti designati dalla Conferenza permanente Stato-regioni.

Tra gli Uffici di diretta collaborazione del Ministro si prevede l’istituzione di due nuovi uffici con competenze in materia di SIAN e di enti vigilati dal Ministero. L'organizzazione degli Uffici di diretta collaborazione resta disciplinata dal DPR 72 A tal riguardo, si vedano le sentenze della Corte Costituzionale n. 303 del 2003 e le nn. 196,

198 e 199 del 2004. 73 Recepita nel nostro ordinamento con il D.M. 5 agosto 2004. 74 Subentrante al precedente Consiglio tecnico scientifico.

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303/2001 e si prevede che nell'ambito dell’Ufficio di Gabinetto operi il Nucleo per i sistemi informativi e statistici in agricoltura, con funzioni consultive in materia di programmazione, coordinamento e verifica. Inoltre, l’Ufficio Gabinetto si avvale del Nucleo per l'esercizio delle funzioni di indirizzo del Sistema informativo agricolo nazionale (S.I.A.N.).

Infine, viene prevista l’operatività del reparto specializzato Comando carabinieri politiche agricole, istituito presso il Ministero, posto alle dipendenze funzionali del Ministro, che svolge controlli in tema di aiuti comunitari nel settore agroalimentare e della pesca ed acquacoltura, sulle operazioni di ritiro e vendita di prodotti agroalimentari, ivi compresi gli aiuti a Paesi in via di sviluppo e indigenti, nonché controlli specifici sulla regolare applicazione di regolamenti comunitari, coordinandosi con l'Ispettorato centrale repressione frodi, nell'attività di prevenzione e repressione delle frodi nel settore agroalimentare.

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Funzioni e compiti dell’ISMEA

L’ISMEA, ente pubblico economico, è stato istituito con D.P.R. 28 maggio 1987, n. 27875, con la denominazione di “Istituto per studi, ricerche e informazioni sul mercato agricolo”. A norma dell’art. 6 del D.Lgs. n. 419 del 199976, concernente il riordinamento del sistema degli enti pubblici nazionali, l’ente ha assorbito l’ex Cassa per la formazione della proprietà contadina, assumendo i compiti a questa precedentemente attribuiti.

La Cassa per la formazione della proprietà contadina fu istituita con l’articolo 9 del

D.Lgs. 121/194877, come organismo fondiario chiamato ad occuparsi della formazione delle imprese agricole gestite da coltivatori diretti, anche in direzione di un loro miglioramento strutturale. Fondamentalmente, la Cassa provvedeva all'acquisto dei terreni, alla loro eventuale lottizzazione ed alla rivendita a coltivatori diretti, singoli od associati in cooperative, allo scopo di assolvere al suo compito primario di riordino e ricomposizione fondiaria.

Ai sensi della legge n. 590 del 196578, la Cassa provvedeva altresì ad agevolare il miglioramento delle aziende costituite con la prestazione di garanzie fidejussorie nelle operazioni di credito agricolo agevolato, a concedere finanziamenti agevolati per l'attuazione di interventi di miglioramento agrario, nonché a fornire assistenza tecnica e finanziaria per iniziative nel settore; inoltre, la Cassa era stata autorizzata a disporre finanziamenti anche a favore degli Enti di sviluppo agricolo per l'acquisto e la trasformazione di aziende agrarie da cedersi da parte degli Enti a coltivatori diretti.

Successivamente, l'articolo 6, comma 1, lett. c), della legge n. 491 del 199379 aveva previsto il riordino o la soppressione, con apposito regolamento ministeriale, degli enti vigilati dal Ministero delle risorse agricole, fra i quali era compresa anche la Cassa per la formazione della proprietà contadina. Vista la mancata adozione di tale regolamento, con il D.M. 6 aprile 1995 fu nominato un commissario straordinario dell'ente in carica fino al riordino previsto.

Da ultimo, l'art. 4 della legge 441/199880 aveva affidato alla Cassa compiti specifici per la ristrutturazione fondiaria nell’ambito degli interventi per l'imprenditoria giovanile in

75 D.P.R. 28 maggio 1987, n. 278, “Fusione dell'Istituto per le ricerche e le informazioni di mercato

e per la valorizzazione della produzione agricola e dell'Istituto di tecnica e di propaganda agraria nell'Istituto per studi, ricerche e informazioni sul mercato agricolo”, successivamente abrogato dall’art. 9 del D.P.R. 200/2001.

76 D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 419, “Riordinamento del sistema degli enti pubblici nazionali, a norma degli articoli 11 e 14 della L. 15 marzo 1997, n. 59”.

77 D.Lgs. 5 marzo 1948, n. 121, “Provvedimenti a favore di varie regioni dell'Italia meridionale e delle Isole”.

78 L. 26 maggio 1965, n. 590, “Disposizioni per lo sviluppo della proprietà coltivatrice”. 79 L. 4 dicembre 1993, n. 491, “Riordinamento delle competenze regionali e statali in materia

agricola e forestale e istituzione del Ministero delle risorse agricole, alimentari e forestali”. 80 L. 15 dicembre 1998, n. 441, “Norme per la diffusione e la valorizzazione dell'imprenditoria

giovanile in agricoltura”.

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agricoltura.

Successivamente, il D.P.R. 31 marzo 2001, n. 20081 ha disposto le norme statutarie e regolamentari, nonché il riordino dell’ISMEA, ora denominato “Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare”, con il mantenimento del precedente acronimo.

Ai sensi di detto regolamento, il nuovo Istituto deve perseguire le seguenti

finalità: • rilevazione, elaborazione e diffusione dei dati e informazioni che

riguardano i mercati agricoli, forestali, ittici e alimentari; • erogazione di servizi di analisi e informazione per la commercializzazione,

valorizzazione e promozione di prodotti agricoli, ittici e alimentari; • svolgimento, nel rispetto della programmazione regionale, delle funzioni

precedentemente attribuite alla Cassa per la formazione della proprietà contadina dal D.Lgs. n. 121/1948, dalle leggi 153/197582 e 441/1998;

• prestazione di specifiche forme di garanzia creditizia e finanziaria alle imprese agricole singole o associate.

Diversi sono stati gli interventi sull’Istituto operati nel corso della XIV legislatura.

L’articolo 69, comma 6, della legge 289/200283, ha autorizzato la Cassa depositi e prestiti a concedere all'ISMEA mutui ventennali per l’erogazione da parte dell’Istituto degli incentivi relativi allo sviluppo della proprietà coltivatrice di cui alla legge n. 817 del 1971, dando così attuazione all'art. 47, co. 6, della Legge n. 448/2001 (finanziaria per il 2002)84.

Nella legge 350/200385 sono state disposti all’articolo 4 diversi interventi.

81 D.P.R. 31 marzo 2001, n. 200, “Regolamento recante riordino dell'ISMEA e revisione del

relativo statuto”. 82 L. 9 maggio 1975, n. 153, “Attuazione delle direttive del Consiglio delle Comunità europee per

la riforma dell'agricoltura”. 83 L. 27 dicembre 2002, n. 289, “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale

dello Stato (legge finanziaria 2003)”. 84 L’articolo 47, comma 6, della legge 28 dicembre 2001, n. 448, “Disposizioni per la formazione

del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2002)”. aveva disposto che i finanziamenti della Cassa Depositi e Prestiti dovessero essere concessi con particolare riferimento agli interventi di cui alla legge n. 817 del 1971 a favore della proprietà contadina. In tal senso si segnala l’articolo 8 del D.Lgs. 29 marzo-2004 n. 99 “Disposizioni in materia di soggetti e attività, integrità aziendale e semplificazione amministrativa in agricoltura, a norma dell'articolo 1, comma 2, lettere d), f), g), l), ee), della L. 7 marzo 2003, n. 38”, il quale estende agli assegnatari dei fondi acquistati dall’ISMEA il diritto di prelazione riconosciuto dalla normativa vigente, all’articolo 7 della legge 14 agosto 1971 n. 817, “Disposizioni per il rifinanziamento delle provvidenze per lo sviluppo della proprietà coltivatrice”, a favore del coltivatore diretto proprietario di terreni confinanti con i fondi offerti in vendita.

85 L. 24 dicembre 2003, n. 350, “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2004)”.

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Con i commi 42 e 43 sono state trasferite all’ISMEA le funzioni esercitate da Sviluppo Italia Spa riguardo ai c.d. interventi ex RIBS e a quelli per favorire l’imprenditoria giovanile in agricoltura, con contestuale trasferimento delle relative risorse.

Gli interventi, c. d. ex RIBS, riguardano il miglioramento strutturale del reddito dei produttori agricoli. La legge 700/198386 aveva costituito la RIBS S.p.A. - Risanamento agro industriale zuccheri -, avente per oggetto l'intervento nel settore bieticolo-saccarifero, che con il successivo D.L. 148/199387 era stato esteso ad altri settori della produzione agricola.

Con la delibera del CIPE n. 90 del 200088 Sviluppo Italia è subentrata nei compiti e nelle funzioni già svolti dalla RIBS S.p.A. operando, nell’esercizio di tali attività, anche nei settori della trasformazione e commercializzazione dei prodotti agricoli, zootecnici e silvicoli. In questi interventi, Sviluppo Italia operava in base a specifici progetti d’investimento, nelle due forme, fra loro non cumulabili, degli interventi agevolati e degli interventi a condizioni di mercato. Si fa presente che con il D.Lgs. 1/1999 si è previsto il conferimento a Sviluppo Italia delle partecipazioni azionarie detenute dallo Stato nella RIBS89.

La delibera CIPE n. 62 del 2002 al punto 2 ha impegnato Sviluppo Italia S.p.A. a destinare 85 milioni di euro al finanziamento delle iniziative volte a favorire l’imprenditorialità giovanile agricola, di cui all'art. 3, comma 9, del D.L. n. 67/199790, utilizzando a tal fine le risorse derivanti dal recupero dei mutui di cui al Fondo richiamato dall’art. 25 del D.Lgs. 185/200091, di disciplina degli incentivi all'autoimprenditorialità e all'autoimpiego.

86 L. 19 dicembre 1983, n. 700, “Norme per il risanamento, la ristrutturazione e lo sviluppo del

settore bieticolo-saccarifero”. 87 D.L. 20 maggio 1993, n. 148, Interventi urgenti a sostegno dell'occupazione convertito in legge,

con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, L. 19 luglio 1993, n. 236. 88 Delibera CIPE del 4 agosto 2000. 89 In tal senso, l’articolo 1, comma 3 del D.Lgs. 9 gennaio 1999, n. 1, “Riordino degli enti e delle

società di promozione e istituzione della società «Sviluppo Italia», a norma degli articoli 11 e 14 della L. 15 marzo 1997, n. 59”.

90 D.L. 25 marzo 1997, n. 67, “Disposizioni urgenti per favorire l'occupazione, e convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 23 maggio 1997, n. 135”. Si fa presente che l’art. 3, comma 9 è stato abrogato sulla base dell’art. 27, comma 2, del D.Lgs 185/2000 che rinvia l’abrogazione all’entrata in vigore dei regolamenti previsti all’art. 24 per la disciplina dei criteri e delle modalità per la concessione delle agevolazioni. L’abrogazione dell’art. 3, comma 9 del D.L. 67/97 si è quindi avuta con l’entrata in vigore del D.M. 15 luglio 2004, n. 250, “Regolamento recante criteri e modalità di concessione degli incentivi in favore dell’autoimprenditorialità, di cui al Titolo I del D.Lgs 21 aprile 2000, n. 185”. Per le iniziativa volte a favorire l’imprenditorialità giovanile va ora fatto riferimento agli articoli 9, volto a favorire la creazione di nuova imprenditorialità in agricoltura, e 19, finalizzato alla creazione di iniziative di autoimpiego in forma di microimpresa, del D.Lgs. 185/2000.

91 D.Lgs. 21 aprile 2000, n. 185, “Incentivi all'autoimprenditorialità e all'autoimpiego, in attuazione dell'articolo 45, comma 1, della L. 17 maggio 1999, n. 144”. Il fondo citato nell’art. 25 è quello istituito presso il Tesoro dall’articolo 27, comma 11 della L. 488/1999 (legge finanziaria 2000) come fondo unico nel quale sono confluiti i diversi interventi agevolativi dell’attività imprenditoriale giovanile.

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Il comma 44 dell’articolo 4 rimette a un decreto del Ministro delle politiche agricole e forestali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, la definizione delle modalità e delle procedure per il trasferimento delle risorse finanziarie e strumentali ai fini del passaggio di funzioni da Sviluppo Italia all’ISMEA sopra descritto92.

Infine, il comma 45 autorizza l'ISMEA, per le finalità di cui all'articolo 6, comma 5 del D.Lgs. n. 419/199993, ad effettuare le seguenti operazioni:

• prestare garanzie finanziare per l'emissione di obbligazioni da parte di piccole e medie imprese operanti nel settore agricolo e agroalimentare;

• acquistare crediti bancari (a breve, a medio e a lungo termine), sempre in favore di piccole e medie imprese operanti nel settore agricolo e agroalimentare e provvedere alla loro successiva cartolarizzazione;

• anticipare crediti vantati dagli imprenditori agricoli nei confronti dell’Agea o degli altri organismi pagatori regionali, individuati in base al regolamento CE n. 1663/199594 che ha disciplinato la liquidazione annuale dei conti finanziari relativi alla gestione della politica agricola comunitaria.

Importante è poi il ruolo dell’ISMEA nel quadro dell’accesso al credito delle imprese agricole. In tal senso, il compito dell’Istituto è stato delineato dall’articolo 17 del D.lgs. n. 102 del 200495, dove si stabilisce che la Sezione speciale del Fondo interbancario di garanzia, relativa alle operazioni di credito agricolo, è incorporata nell’ISMEA, il quale subentra nei rapporti attivi e passivi della Sezione.

La Sezione speciale del Fondo interbancario di garanzia è stata istituita dall’art. 21 della Legge 153/1975 per la prestazione della garanzia fidejussoria nei confronti degli istituti di credito che concedono mutui in favore degli imprenditori agricoli. Il Fondo interbancario di garanzia, istituito dall’art. 36 della Legge 454/196196 era costituito tra gli Istituti esercenti il credito agrario di miglioramento allo scopo di coprire i rischi derivanti dalla concessione di mutui di miglioramento fondiario e di formazione di proprietà 92 Il DM, da emanare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge 350/2003, in

questione non risulta fin qui emanato. 93 L’articolo 6, comma 5, del d.lgs. 419/1999 dispone che l’Ismea può costituire forme di garanzia,

sia creditizia che finanziaria, per l’erogazione di servizi informativi, assicurativi e finanziari diretti alla realizzazione dei seguenti obiettivi: ridurre i rischi inerenti alle attività produttive e di mercato; favorire il ricambio generazionale in agricoltura; contribuire alla trasparenza e alla mobilità del mercato fondiario rurale.

94 Reg. (CE) n. 1663/95 del 7 luglio 1995 della Commissione che stabilisce modalità d'applicazione del regolamento (CEE) n. 729/70 per quanto riguarda la procedura di liquidazione dei conti del FEAOG, sezione "garanzia".

95 D.Lgs. 29 marzo 2004, n. 102, “Interventi finanziari a sostegno delle imprese agricole, a norma dell'articolo 1, comma 2, lettera i), della L. 7 marzo 2003, n. 38”, come modificato dall’articolo 5, del D.Lgs. 27 maggio 2005, n. 101, “Ulteriori disposizioni per la modernizzazione dei settori dell'agricoltura e delle foreste, a norma dell'articolo 1, comma 2, della L. 7 marzo 2003, n. 38”.

96 L. 2 giugno 1961, n. 454, “Piano quinquennale per lo sviluppo dell'agricoltura”.

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contadina. Il Fondo contribuiva, secondo le disposizioni contenute nel Regolamento di cui al D.M. 612/199697, al ripianamento delle perdite che le banche dimostravano di aver sofferto dopo l’esperimento, nei confronti dei soggetti inadempienti, delle procedure di riscossione coattiva relative alla garanzia primaria che assiste i finanziamenti. Con l’art. 10, comma 7 del D.L. 35/200598 ne è stata disposta la soppressione.

L’art. 21 della Legge n. 153/1975 è stato poi abrogato dall’art. 161 del D.Lgs. n. 385/1993, il quale ha rinviato l’effetto abrogativo all’entrata in vigore dei provvedimenti emanati dalle autorità creditizie ai sensi dello stesso decreto legislativo. Questo si è verificato con il regolamento del D.M. 30 luglio 2003, n. 283, successivamente abrogato dall’art. 17, comma 6 del D.Lgs 102/2004.

Pertanto, secondo il disposto dell’articolo 17 del D.Lgs 102/2004, l’Istituto può concedere:

• fideiussioni a fronte di finanziamenti bancari a medio e lungo termine alle imprese agricole, della pesca e dell’acquacoltura (comma 2);

• garanzie dirette a fronte di prestiti partecipativi e partecipazioni nel capitale delle imprese medesime, assunte da banche, da intermediari finanziari nonché da Fondi chiusi di investimento mobiliare (comma 3);

• il rilascio, per le medesime finalità, di controgaranzie e cogaranzie in collaborazione con confidi e altri fondi di garanzia pubblici e privati anche a carattere regionale (comma 4).

La disposizione rinvia poi ad un D.M. del Ministro delle politiche agricole e forestali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, l’individuazione dei criteri e delle modalità di prestazione delle garanzie indicate all’articolo 17 in commento, nonché l’attuazione dell’articolo 1, comma 512 della Legge n. 311/200499 che ha affidato all’ISMEA, a decorrere dal 1° gennaio 2005, la gestione degli interventi di agevolazione dell'accesso al credito delle imprese agricole e agroalimentari del Fondo interbancario di garanzia (già soppresso dall’art. 10, comma 7 del D.L. 35/2005) e la relativa dotazione finanziaria.

In tal senso si segnalano i recenti D.M. 14 febbraio 2006, relativo alla “Attività di rilascio di garanzie a norma dell'articolo 17, comma 5, del D.Lgs. 29 marzo 2004, n. 102”, ed il D.M. 14 febbraio 2006, che dispone “Criteri, condizioni e modalità di prestazioni delle garanzie di cui all'articolo 17, commi 2, 3 e 4 del D.Lgs. 29 marzo 2004, n. 102 e dell'articolo 1, comma 512, della L. 30 dicembre 2004, n. 311”.

97 D.M. 12 novembre 1996, n. 612, “Regolamento recante norme sul Fondo interbancario di

garanzia istituito dall'art. 36 della L. 2 giugno 1961, n. 454”. 98 D.L. 14 marzo 2005, n. 35, “Disposizioni urgenti nell'àmbito del Piano di azione per lo sviluppo

economico, sociale e territoriale”, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, L. 14 maggio 2005, n. 80.

99 Legge 30 dicembre 2004, n. 311, “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2005)”.

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Inoltre, è previsto al comma 5-bis dell’articolo 17100 che le garanzie prestate dall'ISMEA, ai sensi dell’articolo 17 in commento, possano essere assistite anche dalla garanzia dello Stato, secondo modalità da definire con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze101, mentre per assicurare l'adempimento delle normative speciali in materia di redazione dei conti annuali e garantire una separatezza dei patrimoni, l’ISMEA è autorizzato ad esercitare la propria attività anche attraverso propria società di capitali dedicata, prevedendo che sull’attività indicata dall’articolo in esame l’Istituto presenti una relazione annuale al Parlamento (comma 5-ter)102.

Nel quadro degli interventi operati dall’articolo 17 del D.Lgs 102/2004 va menzionato l’articolo 10, comma 9 del D.L. 35/2005103 il quale prevede che le risorse finanziarie accertate alla data di entrata in vigore del decreto-legge nel Fondo per lo sviluppo della meccanizzazione dell’agricoltura104 (v. scheda Altri interventi – Attività Agromeccanica), destinate in precedenza al Fondo per il risparmio idrico ed energetico105, vengano versate, con la contestuale soppressione del Fondo medesimo, all’entrata del bilancio dello Stato, per essere successivamente trasferite agli interventi di sostegno alla capitalizzazione delle imprese agricole ed agroalimentari di competenza dell’ISMEA previsti dall’articolo 17.

Infine, va ricordato che nella legge n. 311 del 2004 (Finanziaria per il 2005), si è disposto per l’anno 2005, nel quadro delle norme volte a promuovere il sistema assicurativo per i danni derivanti da eventi calamitosi in agricoltura un incremento di 50 milioni di euro nella dotazione del Fondo per la riassicurazione dei rischi istituito presso l’ISMEA (articolo 1, comma 85), ed un incremento di 50 milioni di euro nella dotazione del Fondo di

100 Introdotto dal comma 8 dell’articolo 10 del D.L. 35/2005. 101 Il DM in questione non risulta fin qui emanato. La norma fa riferimento all’articolo 13 della legge

5 agosto 1978, n. 468, “Riforma di alcune norme di contabilità generale dello Stato in materia di bilancio”, per cui le garanzie principali e sussidiarie prestate dallo Stato a favore di enti o altri soggetti sono elencate in allegato allo stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze

102 Il comma è stato aggiunto dall'art. 5, del D.Lgs. n. 101/ 2005. 103 D.L. 14 marzo 2005, n. 35, “Disposizioni urgenti nell'àmbito del Piano di azione per lo sviluppo

economico, sociale e territoriale”, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, L. 14 maggio 2005, n. 80.

104 Di cui alla L. 27 ottobre 1966, n. 910, “Provvedimenti per lo sviluppo dell'agricoltura nel quinquennio 1966-1970”. Il Fondo per lo sviluppo della meccanizzazione in agricoltura, istituito dall’art. 12 della legge n. 910/1966 è destinato alla concessione di prestiti per l'acquisto di macchine agricole e connesse attrezzature, comprese quelle destinate a centri dimostrativi o operativi di meccanica agraria aventi per scopo l'assistenza tecnica e la formazione professionale, gestiti da enti di sviluppo o da associazioni di produttori agricoli che svolgono tali attività a favore di propri associati, nonché ad istituti o a scuole statali di meccanica agraria ad indirizzo professionale. L’operatività di tale fondo è stata prorogata al 31 dicembre 2007 dall'art. 1, del D.L. 25 ottobre 2002, n. 236, nel testo modificato dall'art. 26, del D.L. 30 dicembre 2005, n. 273, convertito in legge, con modificazioni dall'art. 1, L. 23 febbraio 2006, n. 51.

105 Di cui all’articolo 1-bis del D.L. 24 luglio 2003, n. 192, “Interventi urgenti a favore del comparto agricolo colpito da eccezionali avversità atmosferiche e dall'emergenza diossina nella Campania”, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, L. 24 settembre 2003, n. 268.

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investimento nel capitale di rischio istituito presso l’ISMEA (articolo 1, comma 86). A tal riguardo si fa presente, che il D.M. 7 novembre 2002106, ha attribuito all'ISMEA

la gestione del Fondo per la riassicurazione dei rischi, istituito dall’art. 127, comma 3, della legge 388/2000107 “al fine di sostenere la competitività delle imprese e favorire la riduzione delle conseguenze dei rischi atmosferici”. Tale fondo provvede alla compensazione dei rischi agricoli coperti da polizze assicurative agevolate con l’obbligo di una contabilità separata e del rendiconto (art. 1 comma 4). Alla gestione del fondo l’ISMEA provvede attraverso una struttura dedicata, ovvero con ramo d’azienda.

Riguardo ai rischi agricoli, con il D.M. 18 luglio 2003108 è stato istituita presso l'ISMEA la Banca dati sui rischi agricoli, volta a supportare l'intervento pubblico per la gestione dei rischi in agricoltura e a fornire elementi conoscitivi ai soggetti interessati. In tal senso la Banca dati fa parte integrante del SIAN.

Infine, va menzionato l’intervento dell’articolo 17 del D.Lgs 99/2004 in tema di promozione del sistema agroalimentare italiano, nell’ambito del quale la società per azioni BUONITALIA (v. scheda Prodotti tipici nazionali - Società Buonitalia) ha il compito di erogare alle imprese del settore agroalimentare quei servizi finalizzati a favorire l’internazionalizzazione dei prodotti italiani, ivi compresa la registrazione a livello internazionale di marchi associati ai segni identificati delle produzioni di origine nazionali e la loro tutela giuridica internazionale. A questo riguardo, il Ministero delle politiche agricole e forestali è stato autorizzato ad acquistare le partecipazioni possedute dall’ISMEA nella società BUONITALIA Spa esercitando i conseguenti diritti di azionista.

106 D.M. 7 novembre 2002, “Modalità operative del Fondo per la riassicurazione dei rischi

agricoli”. 107 L. 23 dicembre 2000, n. 388, “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e

pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2001)”. 108 D.M. 18 luglio 2003, “Istituzione presso l'ISMEA della banca dati sui rischi in agricoltura”.

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Funzioni e compiti dell’ICFR

L’Ispettorato Centrale repressione frodi (ICRF), istituito con l’art. 10 del DL n. 282/86109, si qualifica come l’organo tecnico dello Stato, sottoposto alla vigilanza del Ministero delle politiche agricole e forestali, preposto alla prevenzione e repressione delle infrazioni nella preparazione e nel commercio dei prodotti agroalimentari e delle sostanze di uso agrario e forestale.

L’istituto opera in concorso con altri organi di controllo che agiscono sul territorio nazionale, quali il Comando Carabinieri per la Sanità (NAS), i Nuclei di polizia tributaria della Guardia di Finanza, il Corpo Forestale dello Stato, la Polizia di Stato e l’Arma dei Carabinieri, il Comando Carabinieri Politiche Agricole110.

Nella sua attività di controllo, che comporta lo svolgimento di funzioni di polizia giudiziaria, l’Ispettorato svolge verifiche e accertamenti diretti a salvaguardare la qualità merceologica e la genuinità delle produzioni, al fine di favorire:

la tutela dei consumatori per i differenti aspetti connessi alla sicurezza alimentare;

la salvaguardia dei produttori e del mercato, con particolare riferimento alle produzioni tipiche e di qualità, contrastando tutti quei comportamenti che danno origine a fenomeni di concorrenza sleale.

la predisposizione di programmi straordinari di controllo volti a contrastare fenomeni fraudolenti che generano situazioni di concorrenza sleale fra gli operatori, allo scopo di supportare gli interventi a sostegno delle produzioni agricole colpite da crisi di mercato111.

L’Ispettorato, inoltre, svolge numerose altre funzioni, tra cui: l’espletamento di controlli indirizzati a reprimere le frodi a danno del

bilancio comunitario e della finanza nazionale; l’irrogazione delle sanzioni amministrative pecuniarie per violazioni

contestate anche da altri organismi di controllo; l’azione di vigilanza sulle produzioni di quali tà, espletata anche in

collaborazione con i Consorzi di tutela autorizzati. Sul piano operativo l’attività di controllo prevede: l’esecuzione di ispezioni in fase di produzione, stoccaggio,

commercializazione e trasporto dei prodotti;

109 D.L. 18 giugno 1986, n. 282, “Misure urgenti in materia di prevenzione e repressione delle

sofisticazioni alimentari”, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, L. 7 agosto 1986, n. 462.

110 Art. 6 della D.L. 18 giugno 1986, n. 282, “Misure urgenti in materia di prevenzione e repressione delle sofisticazioni alimentari”, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1 L. 7 agosto 1986.

111 Art. 1, comma 4-bis, D.L. 28 febbraio 2005, n. 22, “Interventi urgenti nel settore agroalimentare” convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, L. 29 aprile 2005, n. 71.

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l’espletamento delle analisi di prima istanza sui campioni dei prodotti prelevati;

l’elevazione di contestazioni amministrative o l’ inoltro di notizie di reato alla competente Autorità Giudiziaria in caso di accertamento di irregolarità di carattere penale, operando, se necessario, il sequestro delle merci risultate irregolari per evitarne la diffusione al consumo.

L’organizzazione dell’Ispettorato centrale repressione frodi è disciplinata al

DM n. 44/2003112, come modificato dal DM n. 294/2004113. Merita rammentare che la riorganizzazione della struttura è stata conseguente

all’approvazione del DL n. 1/2001114, volto a fronteggiare l’emergenza BSE, il quale, nel porre l’ICRF alle dirette dipendenze del Ministro delle politiche agricole e forestali, ha stabilito, in particolare, che esso opera con organico proprio ed autonomia organizzativa ed amministrativa e costituisce un autonomo centro di responsabilità di spesa (articolo 3, comma 3). L'Amministrazione centrale dell'Ispettorato è articolata in nove uffici di livello dirigenziale non generale secondo le seguenti aree di competenza:

- Supporto all'Ispettore generale capo per il coordinamento della struttura,monitoraggio della legislazione nazionale e comunitaria, supporto e consulenza giuridica agli uffici (Ufficio I);

- Programmazione delle attività istituzionali, monitoraggio e valutazione dei programmi di attività (Ufficio II);

- Indirizzo, coordinamento e vigilanza sull'attività' ispettiva (Ufficio III); - Indirizzo, coordinamento e vigilanza sull'attività svolta dai laboratori (Ufficio

IV); - Attività di studio, ricerca, formazione e aggiornamento professionale (Ufficio

V); - Trattamento giuridico ed economico del personale, reclutamento e conto

annuale delle spese sostenute per il personale (Ufficio VI); - Affari generali, bilancio, tenuta della contabilità analitica, attività

contrattuale e servizi di economato (Ufficio VII); - Irrogazione sanzioni amministrative di competenza dell'Ispettorato e

relativo contenzioso (Ufficio VIII); - Vigilanza amministrativa sugli uffici periferici ed i laboratori; controllo di

gestione (Ufficio IX). 112 D.M. 13 febbraio 2003, n. 44, “Regolamento di riorganizzazione della struttura operativa

dell'Ispettorato centrale repressione frodi”. 113 D.M. 11-11-2004, n. 294, “Modifica al regolamento 13 febbraio 2003, n. 44, di

riorganizzazione della struttura operativa dell'Ispettorato centrale repressione frodi”. 114 D.L. 11 gennaio 2001, n. 1, “Disposizioni urgenti per la distruzione del materiale specifico a

rischio per encefalopatie spongiformi bovine e delle proteine animali ad alto rischio, nonché per l'ammasso pubblico temporaneo delle proteine animali a basso rischio. Ulteriori interventi urgenti per fronteggiare l'emergenza derivante dall'encefalopatia spongiforme bovina”, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, L. 9 marzo 2001, n. 49.

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Sul territorio nazionale l’Ispettorato è presente con 12 Uffici periferici di livello dirigenziale, ai quali si aggiungono 15 sedi distaccate.

Gli uffici periferici sono quelli di Torino (con le sedi distaccate di Asti e Genova), Milano (con la sede distaccata di Brescia), Conegliano (con le sedi distaccate di S. Michele a/A, Verona e Udine), Bologna (con la sede distaccata di Modena), Firenze (con la sede distaccata di Pisa), Ancona (con la sede distaccata di Perugia), Roma (con la sede distaccata di Pescara), Napoli (con le sedi distaccate di Salerno, Campobasso e Potenza), Bari (con la sede distaccata di Lecce), Cosenza, Palermo (con la sede distaccata di Catania) e Cagliari.

I laboratori a disposizione dell’Ispettorato sono 5 Laboratori con 4 sezioni

distaccate. Inoltre, vi è il Laboratorio centrale di Roma il quale è incaricato dello svolgimento delle analisi di revisione ed ha con compiti di coordinamento dell’attività dei laboratori dell’Ispettorato sotto il profilo tecnico-scientifico, di espletamento di particolari analisi specialistiche, di coordinamento dell’attività di studio e ricerca svolta dagli altri laboratori, di gestione del controllo di qualità dei laboratori ed organizzazione di prove interlaboratorio, sia all’interno che all’esterno dell’Ispettorato.

I laboratori sono quelli di Conegliano (con la sede distaccata di Milano), Modena (con la sede distaccata di Bologna), Perugia (con la sede distaccata di Cagliari), Salerno (con la sede distaccata di Bari) e Catania.

Per quanto concerne l’attività di controllo nel 2004, l’Ispettorato ha eseguito circa 25.000 sopralluoghi sottoponendo a controllo circa 18.000 operatori. Complessivamente sono stati controllati oltre 46.000 prodotti e prelevati circa 10.000 campioni, con un numero di sequestri pari a 442, mentre le notizie di reato inoltrate all’Autorità Giudiziaria sono state 388. La quota più rilevante di controlli, in termini di sopralluoghi (27% del totale), di operatori controllati (24%) e di campioni prelevati (34%), è stata dedicata al settore vitivinicolo. Seguono l’ortofrutticolo e il lattiero-caseario che hanno assorbito entrambi il 12% del totale dei sopralluoghi; notevole è stata anche l’attività di controllo relativa ai settori degli oli e grassi (9%) e dei mangimi (7%). Per quanto concerne l’attività di prelevamento dei campioni destinati agli accertamenti analitici, rilevante è stato l’impegno nei settori dei mangimi (15% dei campioni totali), del lattiero-caseario (11%) e delle sementi (9%).

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Altri interventi - Consorzi agrari

L’origine dei consorzi agrari in Italia risale alla metà del secolo scorso quando si costituirono alcuni sodalizi di agricoltori con lo scopo di acquistare in comune le materie ed i mezzi tecnici necessari allo svolgimento delle attività agricole ed in genere di promuovere e migliorare l’agricoltura. Tali associazioni, che sorsero spontaneamente come società cooperative, si riunirono nel 1892 nella Federazione italiana dei consorzi agrari (Ferconsorzi), che aveva il compito di fungere da organismo di coordinamento e di impulso. Da allora, quest’ultima ha rappresentato il fulcro intorno al quale ha ruotato tutta l’agricoltura italiana ponendosi essa stessa come promotrice per la creazione di nuovi consorzi e costruendo una complessa organizzazione che ha favorito l’apprestamento dei mezzi necessari per la riduzione dei costi e per la difesa dei prodotti agricoli.

Superato il periodo fascista, durante il quale i CAP non furono esenti dalla progressiva pubblicizzazione cui fu sottoposto tutto l’apparato agricolo, che li vide infine trasformati in “organi di esecuzione” delle operazioni di ammasso obbligatorio e volontario dei prodotti, la nuova disciplina è arrivata con il decreto legislativo n. 1235/48, che ha costituito l’impianto normativo generale sulla base del quale i consorzi hanno svolto la loro attività fino all’approvazione della Legge 28 ottobre 1999, n. 410 (Nuovo ordinamento dei consorzi agrari), attualmente in vigore.

Tale ulteriore provvedimento di riforma è disceso da motivazioni diverse, riconducibili essenzialmente alla persistenza della commistione tra pubblico e privato nella gestione consortile, che non risiedeva tanto nel fatto che funzioni di interesse pubblico fossero, dalla legge del ’48, affidate a strutture private, bensì nella mancanza di un adeguato controllo sull’esercizio di tali funzioni in nome della loro natura privatistica115.

Le principali novità della riforma introdotta dalla legge 28 ottobre 1999, n.

410 riguardano la natura giuridica dei CAP, la titolarità della loro vigilanza, l’esercizio del diritto di prelazione, il rimborso dei crediti, la praticabilità del credito agrario in natura e, infine, lo scioglimento della Federconsorzi.

115 In merito, era stato posto in rilievo che, in nome del carattere privato dei consorzi, fosse limitata

l’applicazione del principio della «porta aperta», ossia della “non limitazione” alle adesioni, a fronte di una disposizione come quella dell’art. 2 del decreto n. 1235 del 1948 che attribuiva loro una finalità generale, quale quella di contribuire all’incremento e al miglioramento della produzione agricola, perseguibile anche con contribuzioni statali. La natura pubblicistica dei consorzi era peraltro confermata dalle c.d. gestioni speciali loro affidate, la più importante delle quali era l’ammasso del grano, ma che riguardavano anche l’attribuzione di fondi di rotazione, il varo di provvedimenti a favore di territori montani, piani verdi, distribuzione di carburante per uso agricolo a prezzo agevolato, concessione di credito agrario d’esercizio in natura.

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Per quanto riguarda la natura giuridica dei consorzi (art.1), che precedentemente era quella di cooperative speciali ai sensi del decreto n. 1235 del 1948, essa viene modificata in cooperative a tutti gli effetti, equiparando in tal modo i consorzi alle comuni cooperative agricole del settore e facendo venir meno la loro specialità, che in passato ha dato origine all’attribuzione delle funzioni parapubbliche cui si è fatto sopra cenno. Viene quindi esplicitato che ad essi si applicano gli articoli del codice civile che regolano le cooperative (artt. 2514 e seguenti), nonché le leggi speciali in materia di cooperative.

Quanto alla definizione degli scopi (art. 2) cui sono preposti i consorzi, vengono ribadite le finalità a suo tempo individuate dal provvedimento del 1948 e cioè tutte le attività dirette a contribuire alla innovazione ed al miglioramento della produzione agricola, nonché a predisporre e gestire servizi utili per l’agricoltura.

I consorzi vengono anche espressamente abilitati all’esercizio del credito agrario in natura, in merito al quale, in conseguenza dell’abrogazione delle precedenti disposizioni bancarie che espressamente lo consentivano, viene richiamato il nuovo Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (D.Lgs. n. 385/93) che prevede (art. 153) che gli enti non bancari abilitati ad effettuare operazioni di credito agrario possano continuare ad esercitare tale loro funzione purché nel rispetto dei relativi provvedimenti autorizzativi. Viene altresì confermata l’abilitazione da parte dei consorzi all’effettuazione di tale forma di credito con anticipazioni a fronte del conferimento di prodotti agricoli all’ammasso volontario. Poiché peraltro per la copertura del credito derivante da tali anticipazioni si provvede con il rilascio di cambiali agrarie, soggette a più ridotte imposizioni fiscali116, il credito in natura è stato ritenuto distorsivo della concorrenza tra i CAP e le altre cooperative.

L’altro punto importante della riforma riguarda la vigilanza (art. 4). In precedenza, in ragione della loro specificità, i CAP erano sottoposti al controllo del dicastero agricolo. La legge di riforma, invece, dispone che i consorzi siano cooperative a tutti gli effetti e che siano conseguentemente assoggettati, così come avviene per tutte le altre cooperative, alla vigilanza del ministero del Lavoro che la esercita a mezzo di ispezioni ordinarie e straordinarie. Le prime sono effettuate da funzionari del Ministero mentre le seconde, di norma, sono eseguite dalle associazioni nazionali di rappresentanza, assistenza e tutela del movimento cooperativo, debitamente riconosciute. Procedure e termini sono stabiliti con decreto del ministro del lavoro.

Il Ministero delle attività produttive, con il concerto di quello delle politiche agricole e forestali, avrà comunque poteri di controllo per quanto attiene a taluni provvedimenti relativi all’assoggettamento alla liquidazione coatta amministrativa. E’ a tale dicastero, infatti, che spetta l’adozione dei provvedimenti in merito alle

116 Tale agevolazione è disposta dal DPR n. 642/1972, di Disciplina dell’imposta di bollo, tariffa

allegato A, parte I, art.6, che in luogo dell’ordinario 12 per mille, dovuto per le cambiali, richiede lo 0,1 per mille per quelle agrarie.

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operazioni di liquidazione e gestione commissariale e di scioglimento e sostituzione dei liquidatori, ai sensi degli articoli 2540, 2543, 2544 e 2545 del codice civile117.

Le norme dell’art. 5 della legge sono state dedicate all’introduzione di una

normativa particolare che consentisse di superare la situazione in cui si trovava la maggioranza dei consorzi agrari, posti in liquidazione coatta amministrativa, e autorizzati esclusivamente all’esercizio provvisorio delle attività di impresa.

Le disposizioni approvate consentono di adottare una procedura concorsuale finalizzata ad una delle seguenti soluzioni: • ritorno all’amministrazione ordinaria mediante concordato ex articolo 214

della legge fallimentare; • cessione dell’azienda o di ramo di azienda a favore di altro consorzio o di

altra società cooperativa agricola operante nella stessa regione o in regione confinante, purché i medesimi siano in amministrazione ordinaria. In tal caso è prevista la successione nella titolarità di tutte le attività e dei contratti di locazione immobiliare, nonché nelle licenze di produzione e commercio118.

In assenza di tali procedure si deve procedere, da parte dell’autorità amministrativa che vigila sulla liquidazione stessa, alla revoca dell’autorizzazione all’esercizio provvisorio entro la data del 31 dicembre 2005.

Il termine che la legge n. 410/1999 aveva inizialmente posto per la revoca era di trentasei mesi dalla data di entrata in vigore della stessa. Tale termine originario, che veniva a scadere il 2 novembre 2002, è stato poi oggetto di successivi provvedimenti di proroga nel corso della scorsa legislatura. L'articolo 52, comma 33, della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (legge finanziaria per il 2002), lo ha sostituito con un termine di cinquanta mesi, con conseguente scadenza il 12 gennaio 2004; l'articolo 10 del decreto-legge 24 giugno 2003, n. 147 (convertito, con modificazioni, dalla legge n. 200/2003) ha concesso ulteriori dodici mesi, procrastinando il termine alla data del 12 gennaio 2005; infine, l’art. 12 del decreto legge n. 266/2004 (convertito, con modificazioni, dalla legge n. 306/2004) ha fissato la nuova scadenza del 31 dicembre 2005. La ratio della nuova proroga, addotta nella relazione illustrativa del provvedimento predisposta 117 Originariamente il dicastero competente era quello agricolo, ma con l’approvazione dell’art. 130

delle legge n. 289/2002 Finanziaria per il 2003, la competenza è stata trasmessa al dicastero delle attività produttive, conservando in capo al Ministro delle politiche agricole una mera funzione di concertazione.

118 In merito a quest’ultima disposizione è bene ricordare che la fusione delle società cooperative è regolata dagli artt. da 2501 a 2504 del codice civile che disciplinano le forme e i modi della fusione e l’opposizione dei creditori. Relativamente a quest’ultimo aspetto, il codice prevede che la fusione possa essere effettuata solo dopo tre mesi dall’iscrizione delle deliberazioni delle società interessate, salvo che consti il consenso dei creditori. E’ inoltre espressamente disposto dall’art. 2504 l’assunzione della società incorporante di tutti i diritti e obblighi delle società estinte.

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dal Governo, è la necessità di assicurare un margine di tempo idoneo a consentire il completamento dell'esercizio provvisorio, così da favorire l'attuazione dei programmi di risanamento.

Sia il decreto ultimo citato n. 266, che il successivo decreto legge di modifica n. 273/2005 (convertito, con modificazioni, dalla legge n. 51/2006), entrambi di proroga termini119, hanno recato ulteriori disposizioni che pur non novellando la legge 410 regolano la vita dei consorzi agrari, e sono volte nei fatti ad allungare i tempi delle gestioni commissariali oltre lo spirare dell’anno 2005. Tali norme infatti consentono, allo scadere del menzionato termine del 31/12/05, di concedere nuovamente una autorizzazione all’esercizio provvisorio, in presenza di “situazioni oggettive ostative all’attivazione della soluzione concordataria”. L’apprezzamento della situazione è demandato ai due dicasteri delle attività produttive e dell’agricoltura che debbono procede di concerto, acquisito il preventivo parere della “Commissione di valutazione delle attività dei consorzi”, istituita dai medesimi dicasteri e costituita da cinque membri appartenenti alla pubblica amministrazione.

Tornando alla legge 410, al comma 4 dell’art. 5, come recentemente

modificato dal menzionato D.L. n. 273/2005, è stata concessa la facoltà di procedere ad una sostituzione generalizzata dei commissari liquidatori dei consorzi agrari. È infatti previsto che, decorso il termine del 31 dicembre 2005, il Ministro delle attività produttive, con il concerto del Ministro delle politiche agricole e forestali, provveda entro 30 giorni a decorrere dall’entrata in vigore delle disposizioni, ossia entro il 30 gennaio 2006, alla rideterminazione della composizione degli organi incaricati della liquidazione dei consorzi, siano essi sottoposti a procedura di liquidazione o anche solo in amministrazione straordinaria.

Ancora in merito alla procedura concordataria, il legislatore è invece

intervenuto con la legge n. 289 del 2002 (comma 2 dell’art. 88 ), che ha introdotto il comma aggiuntivo 7-bis all’articolo 5 della legge n. 410 del 1999. La nuova norma prevede che, nell’ipotesi in cui sia stata disposta la nomina di un commissario ad acta in sostituzione degli organi statutari, per la presentazione del concordato preventivo, il Ministero delle attività produttive, di concerto con il Ministero delle politiche agricole e forestali, possa disporre la sua sostituzione con un commissario governativo120. Per la durata in carica di tale commissario,

119 Trattasi dell’art. 12, comma 1-bis del D.L. n. 266/04 e dell’art. 27, commi 2 e 3 del D.L. n.

273/05. 120 Per tale sostituzione è fatto richiamo all'art. 2543 del codice civile, che la prevede nel caso

di irregolare funzionamento delle società cooperative. La nomina del commissario governativo deve essere finalizzata ad assicurare la efficiente gestione del consorzio e la ricostituzione ordinaria degli organi sociali anche modificando le norme statutarie, conformemente agli scopi, anche pubblicistici, assegnati ai Consorzi agrari.

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il termine inizialmente stabilito di dodici mesi è stato soppresso con l’articolo 1, comma 227, della legge n. 311/2004 (legge finanziaria per il 2005), che ha nel contempo disposto la proroga dell’incarico attribuito ai commissari liquidatori dei CAP (nominati ai sensi dell'articolo 5 della legge 410), che deve durare fino al momento in cui non sia garantita la ricostituzione degli organi statutari degli enti in questione. Tuttavia è anche stabilito che le gestioni commissariali non potranno protrarsi per più di due anni dalla conclusione della procedura di concordato preventivo, ovvero, nel caso in cui risultino pendenti contenziosi, fino alla definitiva conclusione dei relativi procedimenti.

La messa in liquidazione di un consorzio che comporti la vendita o cessione di

beni determina l’applicazione delle disposizioni di cui all’articolo 6 della legge 410/1999, che regolano l’esercizio del diritto di prelazione da parte di quei consorzi che si trovino in amministrazione ordinaria e siano geograficamente più vicini a quello in liquidazione. Potranno infatti nascere anche consorzi interprovinciali, con un bacino di utenza di grandi dimensioni. Più precisamente, la legge attribuisce ai consorzi agrari in amministrazione ordinaria, costituiti nella regione - o in quella confinante - in cui ha sede il consorzio sottoposto a liquidazione coatta amministrativa121, la facoltà di esercitare diritto di prelazione sulla vendita dei beni immobili o di vendita in blocco dei beni mobili ovvero nella cessione della relativa azienda o ramo di azienda. Solo in seconda battuta, dopo che tale diritto non sia stato esercitato dai consorzi, un medesimo diritto di prelazione è riservato alle società cooperative agricole che abbiano sede nella provincia, oppure, da ultimo, nella regione122.

La legge ha infine previsto anche una possibilità di salvezza per quei consorzi,

posti in liquidazione coatta amministrativa, nei confronti dei quali il Ministro delle attività produttive abbia già proceduto alla revoca dell’esercizio provvisorio d’impresa; in tal caso (art. 7) è necessario che i commissari liquidatori presentino un adeguato programma per la sistemazione della situazione debitoria pregressa, evidenziando nel contempo quali siano le disponibilità finanziarie residue, tali da prefigurare la ripresa dell’attività. Perché l’attività del consorzio possa proseguire è necessario che i commissari liquidatori ottengano una specifica autorizzazione, sentito il comitato di sorveglianza che l’art. 198 del R.D. n. 267/1942 di (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa impone di nominare quale organo della procedura di liquidazione). 121 A norma dell'articolo 2540 del codice civile, la liquidazione coatta amministrativa è una misura

che l'autorità governativa può disporre nel caso in cui le attività della società (anche se già posta in liquidazione) non risultino sufficienti al pagamento dei debiti.

122 Le modalità per l’esercizio della prelazione (comma 2) sono quelle dell’art. 38 del D.L. n. 392/78 e cioè l'avente diritto deve attivarsi entro sessanta giorni dalla ricezione della comunicazione, con atto notificato a mezzo di ufficiale giudiziario, ed offrendo condizioni uguali a quelle comunicategli.

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Infine, uno degli elementi più rilevanti del testo di riforma in commento riguarda la definitiva soluzione della annosa questione del rimborso dei crediti da parte dello Stato per la campagna ammassi dei cereali fatta dai CAP tra la fine della seconda guerra mondiale e gli anni sessanta. I CAP rivendicavano crediti che con il tempo avevano raggiunto la cifra di circa 1.110 miliardi di lire. La legge 410 ha previsto che il rimborso avvenga con la emissione da parte del Tesoro di titoli di Stato in tre tranches: 470 miliardi nel 1999, altri 440 nel 2000 e l’ultima quota da 200 miliardi nel 2001. Nel rimborso sono inclusi anche gli interessi maturati, quali risultava dai decreti di approvazione dei rendiconti dei consorzi, registrati dalla Corte dei conti. A definitiva chiusura del pregresso viene anche stabilito che i giudizi pendenti aventi ad oggetto i suddetti crediti fossero estinti d'ufficio, all'atto dell'assegnazione dei suddetti titoli di stato, con perdita di efficacia di quelli non ancora passati in giudicato.

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Altri interventi - Agricoltura e fisco

Fra gli interventi di carattere tributario adottati in materia agricola occorre in primo luogo citare il decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 99, adottato in attuazione delle legge delega n.38 del 2003 (c.d. “collegato agricolo”) (v. capitolo La legge delega n.38 del 2003), che ha introdotto agevolazioni fiscali per promuovere l’imprenditoria professionale in agricoltura (articolo 1), favorire lo sviluppo della forma societaria (articoli 1 e 2), sostenere l’imprenditoria giovanile (articolo 3), incentivare la conservazione dell’integrità fondiaria e aziendale e promuovere la ricomposizione fondiaria (articoli 7, 9, 10 e 11), valorizzare il patrimonio edilizio degli agricoltori (articolo 12).

In materia di disciplina fiscale dell’impresa agricola occorre altresì ricordare l’articolo 2, comma 6, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (legge finanziaria per il 2004), che ha modificato il regime fiscale delle attività agricole per quanto riguarda le imposte dirette.

L’articolo 2, comma 6, lettera a), della legge n. 350 del 2003 ha innanzitutto modificato l’articolo 32 del testo unico delle imposte sui redditi (TUIR), contenente i criteri per la determinazione del reddito agrario123 e la definizione delle attività agricole. La modifica apportata ha ampliato la definizione di attività agricole connesse ricomprendendovi le attività dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione, ancorché non svolte sul terreno, di prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali124.

Lo stesso articolo (lettera b) del comma 6) riforma il trattamento fiscale delle attività agricole che non rientrano nei limiti posti dall’articolo 32 del TUIR. Tali attività, che, anche se non organizzate in forma di impresa, sono considerate produttive di reddito d’impresa, erano in precedenza soggette a tassazione ordinaria, per la parte corrispondente all’eccedenza. La disposizione in commento ha introdotto nel TUIR un nuovo articolo 56-bis, il quale disciplina un sistema di tassazione forfetaria per i redditi che eccedono i suddetti limiti. Il regime forfetario può essere applicato esclusivamente agli imprenditori individuali e agli enti non commerciali residenti nel territorio dello Stato e il contribuente ha facoltà di non avvalersi del regime stesso. I criteri di determinazione forfetaria del reddito, di cui all’articolo 56-bis del TUIR, si applicano anche per la

123 Il reddito agrario è costituito dalla parte del reddito medio ordinario dei terreni imputabile al

capitale d'esercizio e al lavoro di organizzazione impiegati, nei limiti della potenzialità del terreno, nell'esercizio di attività agricole su di esso. Il reddito agrario va imputato al soggetto che esercita l’impresa agricola.

124 La normativa precedente considerava attività agricole connesse quelle dirette alla manipolazione, trasformazione e alienazione di prodotti agricoli e zootecnici, ancorché non svolte sul terreno, che rientrassero nell'esercizio normale dell'agricoltura secondo la tecnica che lo governa e che avessero per oggetto prodotti ottenuti per almeno la metà dal terreno e dagli animali allevati su di esso.

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determinazione del reddito derivante dall’attività di impresa non esercitata abitualmente, nel caso in cui l’attività stessa è connessa con l’attività agricola ed eccede i limiti di cui all’articolo 32 del TUIR (articolo 71, comma 2-bis, del TUIR, introdotto dall’articolo 2 della legge n. 350 del 2003).

Tra le misure agevolative può richiamarsi in particolare l’estensione del credito d’imposta per nuovi investimenti alle imprese agricole che effettuano, in tutto il territorio nazionale, nuovi investimenti, nelle forme ammesse dall’ordinamento comunitario, nel settore della produzione, commercializzazione e trasformazione dei prodotti agricoli (D.L. 8 luglio 2002, n. 138, art. 11).

In materia di imposizione indiretta, l’articolo 10, comma 1, lettera b), del D.L. 14 marzo 2005, n. 35, ha definitivamente esteso ai produttori agricoli che nel corso dell'anno solare precedente abbiano realizzato un volume d'affari superiore a quaranta milioni di lire (euro 20.658,28) l’applicazione del regime speciale forfetario, che era stata per altro sempre prorogata fin dal 1998 (da ultimo per l’intero anno 2005 dalla L. 30 dicembre 2004, n. 311, co. 506). Lo stesso articolo 10 ha apportato altre modificazioni al predetto regime speciale e, al comma 3, ha disposto la rideterminazione delle percentuali di compensazione, al fine di assicurare maggiori entrate pari a 20 milioni di euro annui (eseguita con D.M. econ. e pol. agr. 23 dicembre 2005, pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 304 del 31 dicembre 2005). L’art. 2, co. 7, della L. 24 dicembre 2003, n. 350, ha altresì consentito l’applicazione del medesimo regime di determinazione dell’IVA alle attività connesse a quelle agricole (manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall'allevamento di animali) nonché alle attività di fornitura di beni e servizi con risorse dell’azienda agricola.

Fra le misure volte a favorire la formazione e l’ampliamento dell’azienda agricola si richiama l’esenzione da imposte di registro, ipotecaria, catastale, di bollo e di ogni altro genere, disposta in favore dei trasferimenti di terreni agricoli a coltivatori diretti e ad imprenditori agricoli a titolo principale in zone montane dall’art. 52, co. 21, della L. 28 dicembre 2001, n. 448.

Infine, per quanto riguarda l’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP), si ricorda la riduzione dell’aliquota transitoria per i soggetti operanti nel settore agricolo e per le cooperative della piccola pesca (portata dal 2,5 all’1,9 per cento dall’art. 9, co. 7, della L. 28 dicembre 2001, n. 448): tale regime transitorio è stato da ultimo prorogato al 31 dicembre 2006 dall’art. 1, co. 118, della L. 23 dicembre 2005, n. 266.

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Altri interventi - UNIRE

L’Unione Nazionale per l'incremento delle razze equine (UNIRE) viene istituito con il R.D. n. 624 del 1932 come ente morale deputato allo svolgimento di un'azione di indirizzo e di promozione delle corse ippiche in Italia. La legge n. 70/1975 ha riconosciuto all'UNIRE natura giuridica di ente pubblico preposto alle attività sportive a fianco del Comitato Olimpico Nazionale Italiano. Una prima revisione dello Statuto dell'Ente è stata operata con il DPR 3 maggio 1989, che ha comportato l’ampliamento dell'attività volta all'incremento e miglioramento delle razze equine e il corrispondente riequilibrio della rappresentanza pubblica.

Con la legge n. 662/1996125 (art. 3, commi 77-82) sono state dettate importanti norme relative al futuro assetto dell’Ente che prevedevano: al comma 78 il riordino della materia dei giochi e delle scommesse riguardo agli aspetti organizzativi, funzionali e fiscali; al comma 77 la previsione che la organizzazione e la gestione dei giochi e delle scommesse non fosse più appannaggio dell’UNIRE, ma fosse riservata ai Ministeri delle finanze e delle risorse agricole, i quali avrebbero potuto provvedervi sia direttamente, sia rivolgendosi a terzi concessionari.

Con il DPR 8 aprile 1998, n. 169, di attuazione della delega conferita dalla legge n. 662/1996, si è provveduto al riordino degli aspetti organizzativi, funzionali, fiscali e sanzionatori in tema di corse di cavalli e scommesse, con questo sancendo la fine del monopolio dell’esercizio di totalizzatori e scommesse a libro.

Il definitivo riordino dell’ente è stato tuttavia disposto con il decreto legislativo n. 449/1999. Il provvedimento ha confermato l'UNIRE come ente pubblico non economico, strutturato in maniera tale da poter perseguire l'efficienza e l'economicità della gestione, necessarie per raggiungere la capacità operativa e la funzionalità indispensabili per rendere l’ente il reale punto di riferimento nel campo dell'ippica, mentre i quattro enti tecnici operanti nel settore sono stati incorporati nell'UNIRE126. In particolare, all’UNIRE è attribuita natura di ente pubblico di primo livello, sottoposto alla vigilanza dei Ministero per le politiche agricole e dotato di autonomia finanziaria, amministrativa e contabile. Tra le funzioni assegnate all’ente vi è quella di promuovere il miglioramento delle razze equine da competizione e da sella, di organizzare corse di cavalli, di valutare le strutture degli ippodromi e degli impianti di allevamento, allenamento e addestramento, di destinare una parte delle risorse a nuovi allevamenti o al miglioramento di quelli esistenti, nonché di definire la programmazione tecnica ed 125 Legge 23 dicembre 1996, n. 662, “Misure di razionalizzazione della finanza pubblica”. 126 Gli enti tecnici operanti nel settore erano il Jockey Club Italiano, la Società degli Steeple

Chases d'Italia, l’Ente Nazionale Corse al Trotto (E.N.C.A.T.) e l’Ente Nazionale per il Cavallo Italia (E.N.C.I.). A decorrere dal 1° gennaio 2000, sono stati soppressi e incorporati nell'UNIRE, il quale è subentrato nelle relative funzioni, assorbendone il personale dipendente.

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economica delle corse. Organi dell’ente sono il presidente, il Consiglio di amministrazione ed il collegio sindacale, ai quali si aggiunge un segretario generale, figura dirigenziale di vertice, responsabile della organizzazione e gestione operativa dell’ente. L'organizzazione ed il funzionamento dell'UNIRE sono disciplinati dallo statuto127 e dai regolamenti di amministrazione e contabilità e del personale. Tra l’altro, le nuove norme statutarie devono prevedere la costituzione del Consiglio generale di rappresentanza delle diverse istanze del mondo ippico.

In materia di scommesse ippiche (v. capitolo Giuochi e scommesse, nel

dossier relativo alla Commissione Finanze) sono intervenuti diversi provvedimenti. L’articolo 22 della legge n. 289/2002128, con i commi 8-10, ha recato disposizioni relative al trasferimento delle concessioni relative all’esercizio della raccolta delle scommesse ippiche e sportive, disponendo che sia il Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro per le politiche agricole e forestali, in sede di attribuzione dei proventi con proprio decreto, a ridefinire il rapporto tra il corrispettivo spettante al concessionario della raccolta delle scommesse ippiche e sportive e la quota di prelievo residualmente destinata all’UNIRE e al CONI.

Successivamente, con il D.L. n. 45/2003129, decaduto per decorrenza dei termini, si è tentato di introdurre nell’ordinamento una serie di disposizioni riguardanti essenzialmente il finanziamento dell’UNIRE ed i concessionari del servizio di raccolta delle scommesse ippiche. La grave crisi di liquidità finanziaria all’ente, che non poteva influire sulla raccolta delle risorse destinate al settore, aveva spinto a partire dal 2000 l’UNIRE a ricorrere ad anticipazioni bancarie.

In seguito, è stato approvato il D.L. n. 147/2003130, che all’articolo 8 dispone norme relative ai concessionari del servizio di raccolta delle scommesse ippiche, stabilendo che, ferme le attribuzioni di rispettiva competenza dei due dicasteri dell’economia e dell’agricoltura, nonché dell’UNIRE, limitatamente alle concessioni in atto alla data di entrata in vigore del DPR n. 169/98, e fino alla data del loro nuovo affidamento, con procedure selettive da esperirsi ai sensi del medesimo regolamento, sono attribuiti in via esclusiva all’UNIRE i compiti inerenti la gestione di tali concessioni. Inoltre, nello stesso D.L. n. 147/2003 al comma 11 dell’art. 8 si stabilisce che, sulla base delle linee guida e dei principi stabiliti dal

127 Con Decreto 2 luglio 2004 è stato approvato lo statuto dell’Unione nazionale per l’incremneto

delle razze equine (UNIRE)(Pubblicato, per comunicato, nella G.U. 224 del 2004). Si fa presente che nell’ultima relazione della Corte dei conti relativa all’esercizio 2003, (Doc XV, n. 366, pag. 42, si lamenta “la perdurante mancanza di una organica normativa di riferimento (Regolamento di amministrazione e contabilità, Regolamento del personale)”.

128 L. 27 dicembre 2002, n. 289, “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2003)”.

129 D.L. 21 marzo 2003, n. 45 “Disposizioni urgenti relative all'UNIRE ed alle scommesse ippiche”. 130 D.L. 24 giugno 2003, n. 147, recante “Proroga di termini e disposizioni urgenti ordinamentali”,

convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, L. n. 200/2003.

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Ministro delle politiche agricole e forestali, l'UNIRE organizzi e gestisca l’anagrafe equina, da inserire nell’ambito del Sistema informativo agricolo nazionale (SIAN) di cui all’art. 15 del D.Lgs. n. 173/98131.

Da ultimo, il decreto-legge n. 22 del 2005 (articolo 1, comma 2) ha assegnato un contributo di 23,79 milioni di euro per il 2005 e 22 milioni di euro per ciascuno degli anni 2006 e 2007, da destinare a programmi di valorizzazione e tutela delle razze di cavalli autoctoni.

131 Decreto legislativo 30 aprile 1998, n. 173, “Disposizioni in materia di contenimento dei costi di

produzione e per il rafforzamento strutturale delle imprese agricole, a noma dell’articolo 55, commi 14 e 15, della L. 27 dicembre 1997, n. 449”:

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Altri interventi - Tartufi

Nel corso della XIV legislatura la Commissione agricoltura ha lungamente discusso diverse proposte di legge sulla disciplina fiscale della raccolta e della vendita di tartufi (AA.CC. 430 ss.), fino a quando la materia è divenuta oggetto della legge n. 311 del 2004 (Legge finanziaria per il 2005) (articolo 1, comma 109), con cui è stato disposto l'obbligo dell’autofatturazione per coloro che, nell'esercizio d’impresa, acquistano tartufi da raccoglitori dilettanti o occasionali privi di partita IVA.

Specificamente, la norma prevede che chi acquista tartufi nell'esercizio di

impresa da raccoglitori dilettanti o occasionali privi di partita IVA è tenuto ad emettere autofattura con le modalità e nei termini prescritti dall’articolo 21 del D.P.R. n. 633/1972132. In deroga al comma 2, lettera a), del medesimo articolo, non debbono essere indicate nell'autofattura le generalità del cedente.

La disciplina della fatturazione, contenuta nell’articolo 21 del D.P.R. n.

633/1972, prevede che per ciascuna operazione imponibile deve essere emessa una fattura, al momento dell’effettuazione dell’operazione, anche sotto forma di nota, conto, parcella o simili, e che la fattura dev’essere emessa in duplice esemplare dal soggetto che effettua la cessione o la prestazione. Questa regola di carattere generale subisce eccezioni qualora si verifichi la cosiddetta "inversione contabile": in tali circostanze, infatti, l’obbligo di emissione del documento di certificazione dell’operazione commerciale o di liquidazione dell’imposta dovuta all’erario si trasferisce al cliente (cessionario/committente), che dovrà pertanto emettere nei confronti di se stesso, sostituendosi al fornitore (cedente dei beni o prestatore di servizi), la cosiddetta "autofattura".

La disposizione in commento aggiunge che gli emittenti delle autofatture

debbono versare all'erario, senza diritto di detrazione, gli importi IVA a queste relativi. Inoltre, in conformità alla scelta di adottare lo strumento dell’autofattura, la norma deroga a quanto previsto dall’articolo 17 del D.P.R. n. 633/1972, a norma del quale l'imposta è dovuta dai soggetti i quali effettuano le cessioni di beni e le prestazioni di servizi imponibili, che debbono versarla all'erario, cumulativamente per tutte le operazioni effettuate e al netto della detrazione prevista nell'articolo 19, nei modi e nei termini stabiliti nel titolo secondo del medesimo decreto.

132 D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, “Istituzione e disciplina dell'imposta sul valore aggiunto”.

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Infine, la norma individua una serie di obblighi di natura non fiscale imposti agli acquirenti. In particolare, mentre si specifica che il cedente raccoglitore dilettante o occasionale senza partita IVA non è soggetto ad alcun obbligo contabile, il cessionario viene obbligato:

a) a comunicare annualmente alla regione di appartenenza la quantità e la provenienza dei tartufi commercializzati, sulla base delle risultanze contabili;

b) a certificare, al momento della vendita, la provenienza, la data di raccolta e quella di commercializzazione del tartufo.

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Altri interventi - AGEA

L'Agenzia per le erogazioni in agricoltura (AGEA) è stata istituita con D.lgs. 27 maggio 1999, n. 165, emanato in attuazione della delega contenuta all'articolo 11, lettera b) della legge 59/1997,133 nonché del D.Lgs. 4 giugno 1997, n. 143134. Sul D. Lgs. 165/1999, n. 165135 è intervenuto dapprima il D. lgs. 15 giugno 2000, n. 188136 e poi il DL 22 ottobre 2001, n. 381137,

Con il D.Lgs. 165/1999 è stata disposta la soppressione dell’Azienda di Stato per gli interventi nel mercato agricolo (A.I.M.A.), già riformata dalla legge n. 610/82, con la conseguente sua messa in liquidazione (articolo 1) e la contemporanea istituzione dell'Agenzia per le erogazioni in agricoltura (AGEA) (di seguito “Agenzia”), ente di diritto pubblico non economico138, sottoposto alla vigilanza del Ministero delle politiche agricole e forestali (articolo 2). L'Agenzia è dotata di autonomia statutaria, regolamentare, organizzativa, amministrativa, finanziaria e contabile, ha sede in Roma ed è dotata di una sede di rappresentanza presso l’Unione europea.

L’Agenzia ha personalità giuridica pubblica con autonomia statutaria, amministrativa e contabile. Inoltre, l’AGEA è soggetta alla vigilanza del Mipaf, nonché al controllo della Corte dei Conti, come del resto avviene anche per gli enti pubblici economici e come previsto per tutti gli enti pubblici ai quali l’amministrazione dello Stato contribuisce con apporto al patrimonio.

La trasformazione ha investito soprattutto il riconoscimento formale dell’autonomia. Al riguardo, anche l’AIMA godeva di una certa autonomia, con un’articolazione strutturale

133 Legge 15 marzo 1997, n. 59, “Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle

regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa”. La delega di cui all’art. 11, comma 1, let b), ha autorizzato il Governo ad emanare decreti legislativi miranti al riordino degli enti pubblici nazionali, esclusi quelli di assistenza e previdenza, nonché di enti privati controllati direttamente o indirettamente dallo Stato, operanti anche all’estero nella promozione e nel sostegno pubblico al sistema produttivo nazionale.

134 Decreto Legislativo 4 giugno 1997, n. 143, “Conferimento alle regioni delle funzioni amministrative in materia di agricoltura e pesca e riorganizzazione dell'Amministrazione centrale”.

135 D.Lgs. 27 giugno 1999, n. 165 "Soppressione dell'AIMA e istituzione dell'Agenzia per le erogazioni in agricoltura (AGEA), a norma dell'articolo 11 della L. 15 marzo 1997, n. 59". Si avverte che la numerazione degli articoli commentati nella presente scheda si riferisce al testo vigente del D.lgs. n.165/1999.

136 D.Lgs. 15 giugno 2000, n. 188, "Disposizioni correttive e integrative del D.Lgs. 27 maggio 1999, n. 165, recante soppressione dell'AIMA e istituzione dell'Agenzia per le erogazioni in agricoltura (AGEA), a norma dell'articolo 11 della L. 15 marzo 1997, n. 59". Tale intervento si è reso necessario per apportare quelle modifiche che consentissero un migliore avvio dell'attività dell'AGEA, soprattutto in relazione alla garanzia di assicurare una continuità nelle funzioni di organismo pagatore.

137 D.L. 22 ottobre 2001, n. 381, "Disposizioni urgenti concernenti l'Agenzia per le erogazioni in agricoltura (AGEA), l'anagrafe bovina e l'Ente irriguo umbro-toscano".

138 Originariamente, nel D.Lgs n. 165/1999 l'AGEA veniva definita come ente di diritto pubblico tout court. La qualifica di ente di diritto pubblico non economico è avvenuta con l’ articolo 2, comma 1 del D.Lgs 188/2000.

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simile a quella degli enti pubblici, ed il raccordo con il Ministero era rappresentato dalla presidenza, che per legge spettava al Ministro.

L'Agenzia è subentrata dal 16 ottobre 2000 all'AIMA in tutti i rapporti attivi e

passivi, nonché nella qualifica di organismo pagatore attribuito in precedenza all'AIMA139. In questo senso, l'AGEA non necessita di riconoscimento comunitario quale nuovo organismo pagatore, restando valido il riconoscimento a suo tempo ottenuto dall'AIMA.

A tal fine, è stato istituito, in luogo del precedente Comitato inserito nella struttura organizzativa dell'Agenzia, preposto all'esercizio delle funzioni di organismo pagatore, un ufficio monocratico al fine di assicurare che le funzioni di organismo di coordinamento e quelle di organismo pagatore siano attuate mediante gestioni distinte e contabilità separate, quindi per superare i problemi inerenti ai rapporti tra i vari soggetti140.

L’Agenzia agisce come unico rappresentante dello Stato italiano nei confronti

della Commissione europea per tutte le questioni relative al FEOGA, mentre è responsabile nei confronti dell'Unione europea degli adempimenti connessi alla gestione degli aiuti derivanti dalla politica agricola comune, nonché degli interventi sul mercato e sulle strutture del settore agricolo, finanziate dal FEOGA, ed esercita le funzioni di coordinamento degli organismi pagatori regionali (articolo 3).

Il Decreto-legge n. 381/2001141, ha riportato la competenza relativa alla gestione dei

rapporti con la Commissione europea in seno al comitato del FEOGA Garanzia in capo al Ministero delle politiche agricole e forestali, riguardo l’attività di monitoraggio della spesa per il finanziamento della politica agricola comune, al fine di garantire la piena legittimazione del MIPAF ad esercitare un ruolo essenziale nella supervisione e nella partecipazione al processo comunitario di liquidazione dei conti del FEOGA142. In

139 Questa norma è stata introdotta dal DLgs 188/2000 allo scopo di eliminare la problematica

coesistenza di due diversi soggetti, AGEA ed AIMA in liquidazione. In precedenza, il decreto legislativo n. 165/99 stabiliva che fino alla data di riconoscimento dell'Agenzia come organismo pagatore, l'AIMA in liquidazione avrebbe continuato ad erogare gli aiuti comunitari per le campagne in corso e per quelle precedenti nonché a svolgere i compiti di organismo di interventi nel mercato agricolo.

140 Art. 1, comma 1, lettera f), del Decreto-legge n. 381/2001, che ha modificato l'articolo 10, comma 4, del d.lgs. n.165/1999. Del Comitato, composto di tre membri, nominati dal Ministro delle politiche agricole, era stata sottolineata l’ambiguità della sua natura, in quanto organo in parte dotato di autonomia, in parte strutturato come ufficio dell’ente. Questo aveva dato luogo a problemi di definizione di rapporti con il Consiglio di Amministrazione e di individuazione di aree di competenza, portando ad una sostanziale paralisi del comitato.

141 Tale modifica è stata operata dal D.L. 381/2001 attraverso l’inserimento del comma 1-bis all’art. 3 del D.Lgs 165/1999.

142 Al riguardo si ricorda che con DM del Ministro delle finanze del 14 dicembre 2001, “Modalità per l'accreditamento delle somme destinate agli aiuti comunitari sui conti infruttiferi intestati agli organismi pagatori regionali”, sono state stabilite le modalità per l’accreditamento delle somme destinate agli aiuti comunitari sui conti infruttiferi intestati agli organismi pagatori regionali.

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quest'ambito, rimane all'Agenzia unicamente il compito di prestare al Ministero il proprio supporto tecnico143.

Alle regioni viene affidato l’incarico di istituire servizi e organismi, in possesso

dei requisiti prescritti dai regolamenti comunitari, con le funzioni di organismo pagatore, spostando così a livello regionale la competenza sulla tenuta dei conti relativi ai finanziamenti Feoga.

In tal senso, ai fini dell’istituzione di tali organismi, disciplinata dal D.M. 12 ottobre 2000144, è prevista l’istanza per il riconoscimento al Ministro delle Politiche Agricole e Forestali con la consultazione dell’AGEA da parte del Ministero. Una volta soddisfatte le condizioni previste, si procede al suo riconoscimento con apposito decreto, successivamente comunicato a cura dell’Organismo di coordinamento alla Commissione dell’Unione europea.

Pertanto, a regime, all’AGEA viene riconosciuto esclusivamente il ruolo di

agenzia di coordinamento; la funzione di organismo pagatore dello Stato italiano per l’erogazione di aiuti, contributi e premi comunitari, disposti dall’Unione europea e finanziati dal Feoga, verrà svolta fino al momento in cui gli organismi pagatori istituiti dalle regioni entreranno nel pieno delle loro funzioni.

Le attribuzioni dell'Agenzia sono descritte a seconda delle normative di

riferimento (articolo 4). • Sotto il profilo della normativa comunitaria, si stabilisce che, nel rispetto degli indirizzi del Ministro delle politiche agricole e forestali, l’Agenzia svolge compiti di esecuzione forniture dei prodotti agroaliemntari disposti dalla Unione Europea per gli aiuti alimentari e la cooperazione economica con altri paesi, nonché quelli già attribuiti all’AIMA da specifiche leggi nazionali o da regolamenti comunitari .

143 Si ricorda che l'organismo di coordinamento è il soggetto chiamato, ai sensi del Regolamento

CEE n. 729/70, poi modificato dal Regolamento CEE n. 1287/95, a centralizzare, nel caso in cui uno Stato membro designi più organismi pagatori, le informazioni destinate alla Commissione europea, riguardanti in particolare lo stato della spesa finanziata dalla sezione garanzia del Feoga, e le previsioni del fabbisogno finanziario, nonché a promuovere l’applicazione armonizzata delle norme comunitarie. L'attività dell’organismo di coordinamento consta di tutta una serie di adempimenti, come quello di curare la realizzazione degli adempimenti connessi con gli aiuti comunitari e degli interventi sul mercato e sulle strutture del settore agricolo, che consentono di mettere in stretto rapporto la Commissione e gli organismi pagatori e di facilitare il meccanismo di funzionamento del sistema Feoga.

144 D.M. 12 ottobre 2000, “Criteri per la determinazione del numero e delle modalità di riconoscimento degli organismi pagatori”. Da informazioni assunte presso l’AGEA, attualmente sono riconosciuti gli organismi pagatori di Lombardia (Organismo Pagatore Regionale Lombardia - OPRL), Veneto (Agenzia veneta per i pagamenti in agricoltura - AVEPA), Emilia Romagna (Agenzia regionale per le erogazioni in agricoltura per l’Emilia-Romagna - AGREA), Toscana (Agenzia regionale Toscana per le erogazioni in agricoltura – ARTEA), Basilicata (Agenzia Regionale della Basilicata per le Erogazioni in agricoltura - ARBEA) e Piemonte (Istituto finanziario regionale piemontese - Finpiemonte S.p.A).

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• Sul piano della normativa nazionale, sempre nel quadro degli indirizzi del Ministro delle politiche agricole e forestali, all’Agenzia spettano compiti di intervento per sostenere comparti in situazioni contingenti al fine di riassorbire la temporanea sovracapacità produttiva e per le forniture dei prodotti agroalimentari disposte in conformità ai programmi stabiliti dal Ministero degli affari esteri ai fini degli aiuti alimentari e la cooperazione con gli altri paesi. L'Agenzia presenta annualmente al Ministro per le politiche agricole, che ne

informa il Parlamento, una relazione sull'attività svolta, contenente l'ammontare delle somme erogate e l'indicazione degli interventi effettuati (articolo 4, comma 4)145.

Per quanto attiene alla gestione degli interventi e degli aiuti comunitari,

l’articolo 5 del D.Lgs 165/1999 stabilisce che l’Agenzia, nella sua qualità di organismo di coordinamento, ha l’incarico di promuovere l’applicazione armonizzata della normativa comunitaria, attivando a tal fine un sistema di verifica che consenta di tenere sotto osservazione le procedure istruttorie e di controllo effettuate dagli organismi pagatori nei vari interventi, anche attraverso i poteri sostitutivi previsti dalla D.Lgs n. 112/98146 in caso di inerzia o inadempienza da parte degli organismi pagatori.

Inoltre, come organismo pagatore in attesa che le regioni istituiscano il loro organismo pagatore, si stabilisce che le funzioni e i compiti riservati all’Agenzia, compresi i controlli preventivi basati sul telerilevamento previsto dalla normativa comunitaria, vadano effettuati attraverso il sistema informativo agricolo (SIAN) sulla base di apposite convenzioni.147

Sul piano contabile, all’Agenzia spetta la rendicontazione all’Unione europea

dei pagamenti effettuati da tutti gli organismi pagatori, mentre in qualità di organismo pagatore è tenuta, analogamente agli altri organismi, alla esecuzione e alla contabilizzazione dei pagamenti.

Il trasferimento del personale della soppressa AIMA all’AGEA o alle regioni è stato disposto a decorrere dal 16 ottobre 2000, data in cui l'Agenzia è subentrata all'AIMA in tutti i rapporti attivi e passivi. Il personale di ruolo dell'AIMA è stato inquadrato nei ruoli dell'Agenzia e le stesse modalità di trasferimento

145 Al riguardo si evidenzia che l’ultima Relazione sull'attività svolta dall'Agenzia per le erogazioni in

agricoltura (AGEA) presentata al Parlamento è relativa all’ anno 2004 (doc. CLXXXVI, n. 2) 146 D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 112, “Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato

alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della L. 15 marzo 1997, n. 59”, c.d. legge Bassanini-bis.

147 In questo senso, si segnala che una delle novità introdotte dal Decreto legge n. 381/2001 è stata quella di aver previsto, all'articolo 5, comma 4 del D.Lgs 165/1999, in luogo del precedente parere dell'Autorità per l'informatica nella pubblica amministrazione (AIPA), il parere del Dipartimento per l'innovazione e le tecnologie della Presidenza del Consiglio dei Ministri, struttura preposta alla direzione del settore dell'innovazione tecnologica.

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sono state applicate per quei dirigenti del ruolo unico delle Amministrazioni dello Stato in servizio presso l'AIMA considerati necessari per le esigenze organizzativo-funzionali dell'Agenzia, sulla base alle indicazioni del regolamento del personale. Inoltre, è previsto il trasferimento alle regioni del personale dell'Agenzia che non risulti più necessario in seguito al riconoscimento degli organismi pagatori istituiti dalle regioni stesse ai sensi dell'art. 3, co. 3, del D.Lgs 165/1999.

Organi dell'Agenzia sono il Presidente, il Consiglio di amministrazione, il

Consiglio di rappresentanza148 ed il Collegio dei revisori (articolo 9). Le modalità di nomina, i tempi di permanenza in carica ed i compiti conferiti sono diversi tra di loro e denotano i tratti di una amministrazione di carattere privatistico.

• Il presidente è nominato ai sensi della legge n. 400/88 con decreto del Presidente della Repubblica, emanato su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri adottata su proposta del ministro competente. Si tratta di una procedura prevista per la nomina alla presidenza di enti, istituti o aziende di competenza dell’amministrazione statale. • Il Consiglio di amministrazione è composto dal Presidente, dal Vice Presidente e da sei consiglieri nominati con decreto del Ministro per le politiche agricole e forestali, esercita le competenze amministrative e gestionali dell’azienda. • Il Consiglio di rappresentanza, nominato con decreto del Ministro per le politiche agricole e forestali su designazione delle organizzazioni di categoria, è composto da dieci membri, valuta la compatibilità tra risultati conseguiti ed indirizzi impartiti all'Agenzia e formulazione i pareri e le proposte al Consiglio di amministrazione. In caso di divergenze tra i due organi, il Consiglio di rappresentanza notifica al Ministro, con relazione analitica, le questioni controverse e gli aspetti problematici sollevati. • Il collegio dei revisori, composto da tre membri effettivi e da due supplenti, nominati con decreto del Ministro per le politiche agricole, esplica il controllo sull’attività dell’Agenzia, sotto la presidenza di un designato del Ministro del Tesoro. L’articolazione delle strutture e l’organizzazione funzionale dell’Agenzia sono

disciplinate all’articolo 10, che prevede a tal riguardo, con appositi regolamenti, lo Statuto, il regolamento di amministrazione e contabilità e il regolamento del personale. Questi sono stati adottati con tre distinti D.M. del 14 giugno 2002.

L’Agenzia ha a disposizione un fondo di dotazione, nel quale sono

confluiti tutti i beni appartenenti all’AIMA, nonché le assegnazioni a carico dello Stato necessarie per i servizi del SIAN di cui si avvale l’Agenzia, le somme di provenienza dell'Unione europea e i proventi realizzati nell'espletamento delle gestioni di intervento (articolo 11).

148 Organo introdotto dall'articolo 1, comma 1, lettera d), del Decreto-legge n. 381/2001.

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Nel corso della XIV legislatura sono stati diversi gli interventi legislativi che

hanno arricchito le competenze dell’Agenzia. Il D.lgs. 29 marzo 2004, n. 99, all’articolo 18 ha rimesso all’AGEA, in

qualità di organismo nazionale facente parte del sistema integrato di gestione e controllo nell’ambito della PAC, l’esercizio del controllo nei confronti dell’Agecontrol S.p.a. per quanto attiene al funzionamento del mercato comune dell’olio d’oliva. A questo fine sono trasferite all’AGEA le partecipazioni azionarie possedute dal MIPAF e dall’INEA. All’AGEA, la quale per lo svolgimento della propria attività di controllo potrà avvalersi della collaborazione dell’Ispettorato centrale repressione frodi, è inoltre rimessa, in taluni ipotesi, la competenza a irrogare le relative sanzioni.

Sempre nel D.lgs. 99/2004 si segnala l’articolo 14, comma 10, che ha affidato all’AGEA la gestione del Sistema informativo agricolo nazionale (SIAN), con i relativi compiti di coordinamento e di gestione, prevedendo a tal fine il trasferimento all’Agenzia medesima delle relative risorse finanziarie, umane e strumentali. Successivamente, il D.L. 9 settembre 2005, n. 182149, ha previsto la costituzione da parte dell’AGEA di una società a capitale misto pubblico-privato, con partecipazione pubblica maggioritaria, al quale affidare lo sviluppo e la gestione del SIAN: in tal senso, la scelta del socio privato viene affidata ad una procedura ad evidenza pubblica sulla base del D.lgs 157/95150. La società subentrerà all’attuale affidatario dei servizi alla scadenza dei contratti in essere.

Il Decreto-legge 28 febbraio 2005, n. 22, ha previsto che il Commissario

ad acta che gestisce le attività residue della soppressa Agenzia per la promozione dello sviluppo del Mezzogiorno151 possa attuare gli interventi di “ritiro” dal mercato agricolo volti al riassorbimento della temporanea sovracapacità produttiva e al riequilibrio del mercato, anche mediante specifiche convenzioni con l’AGEA, da inserire in un progetto speciale diretto alla valorizzazione dei prodotti agricoli tipici delle aree interne del Mezzogiorno152.

149 Decreto-legge, 9 settembre, n. 182, “Interventi urgenti in agricoltura e per gli organismi pubblici

del settore, nonché per contrastare andamenti anomali dei prezzi nelle filiere agroalimentari”, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, L. 11 novembre 2005, n. 231.

150 D.Lgs. 17 marzo 1995, n. 157, “Attuazione della direttiva 92/50/CEE in materia di appalti pubblici di servizi”.

151 Vedi all’art. 19, co. 4 del D.L. 8 febbraio 1995, n. 32 “Disposizioni urgenti per accelerare la concessione delle agevolazioni alle attività gestite dalla soppressa Agenzia per la promozione dello sviluppo del Mezzogiorno, per la sistemazione del relativo personale, nonché per l'avvio dell'intervento ordinario nelle aree depresse del territorio nazionale”, convertito in legge con l’art. 1, comma 1, L. 7 aprile 1995, n. 104.

152 Il progetto speciale promozionale per le aree interne del Mezzogiorno per la valorizzazione dei prodotti agricoli tipi è stato finanziato dall’art. 5, comma 7 della L. 27 marzo 2001, n. 122, “Disposizioni modificative e integrative alla normativa che disciplina il settore agricolo e forestale”.

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Infine, va ricordato il recente decreto-legge n. 2 del 2006 che fa confluire presso un unico conto corrente, acceso presso la Tesoreria centrale dello Stato, tutte le risorse assegnate all’AGEA destinate alla realizzazione degli interventi disposti dalle autorità nazionali per i comparti agricoli e agroalimentari. Dette risorse debbono poi essere trasferite su apposito capitolo istituito all’entrata nel bilancio dell’Azienda.

Il decreto-legge dispone, poi, che vengano assegnate alla realizzazione degli interventi sul mercato agricolo e agroalimentare al fine di riassorbire la temporanea sovracapacità produttiva e ristabilire l'equilibrio del mercato stesso, nonché alla fornitura di prodotti agroalimentari in relazione agli impegni assunti dallo Stato italiano per l'aiuto alimentare e la cooperazione con gli altri Paesi153, tutte le risorse già attribuite all’Agenzia dalla seguente legislazione: D.L. n. 49/2003154, riguardo il programma di abbandono totale della

produzione lattiera, e l’attuazione di un regime di aiuti per la riconversione delle aziende zootecniche da latte in aziende estensive ad indirizzo carne o ad indirizzo latte non bovino;

D.L. n. 192/2003155, contenente misure in favore delle imprese di allevamento di bovini, bufalini e ovini colpite da contaminazione della diossina;

D.L. n. 22/2005156, recante interventi a sostegno di produzioni agricole colpite da crisi di mercato, attraverso specifiche convenzioni con l’AGEA;

D.L. n. 182/2005157, che ha disposto aiuti de minimis in favore delle aziende colpite da calamità nel corso del 2005, nonché forme di sostegno dei produttori di vino e di uva da tavola colpiti da sovraproduzione;

D.L. n. 202/2005158, che ha autorizzato l’AGEA ad acquistare carni avicole congelate ed altri prodotti avicoli freschi.

153 A tal riguardo, l’art. 1-bis, comma 3, del D.L. n. 2/2006. 154 Decreto-legge 28 marzo 2003, n. 49, “Riforma della normativa in tema di applicazione del

prelievo supplementare nel settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari”. convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, L. 30 maggio 2003, n. 119.

155 Decreto-legge 24 luglio 2003, n. 192, “Interventi urgenti a favore del comparto agricolo colpito da eccezionali avversità atmosferiche e dall'emergenza diossina nella Campania”, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, L. 24 settembre 2003, n. 268.

156 Decreto-legge 28 febbraio 2005, n. 22, “Interventi urgenti nel settore agroalimentare”, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, L. 29 aprile 2005, n. 71.

157 Decreto-legge 9 settembre 2005, n. 182, “Interventi urgenti in agricoltura e per gli organismi pubblici del settore, nonché per contrastare andamenti anomali dei prezzi nelle filiere agroalimentari”, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, L. 11 novembre 2005, n. 231.

158 Decreto-legge 1 ottobre 2005, n. 202, “Misure urgenti per la prevenzione dell'influenza aviaria”, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, L. 30 novembre 2005, n. 244.

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Altri interventi - Attivita’ Agromeccanica

L’attività agromeccanica esercitata da terzi è usualmente definita “contoterzismo”.

Proprio allo scopo di pervenire ad una sua definizione normativa, la figura del contoterzista è stata da tempo oggetto di un dibattito, che ha preso le mosse da una ricognizione del fenomeno, ed ha tentando di definire le dimensioni e l’entità della sua presenza nel sistema agricolo.

Il contoterzista è il soggetto che possiede macchinari agricoli, per lo più ad alta densità di capitale, utilizzando i quali vende agli imprenditori agricoli i servizi consistenti nelle lavorazioni meccaniche citate.

Si è sostenuto che questa figura ha svolto e svolge un ruolo importante nell'agricoltura, perché permette di svincolare le imprese agricole da onerosi investimenti fissi in macchinari, il cui utilizzo sarebbe circoscritto ad alcune lavorazioni agricole, che si concentrano talvolta in periodi ristretti dell'anno, e richiedono, in relazione all'ampiezza del fondo, un uso temporalmente assai limitato.

L'imprenditore contoterzista, che può invece ottimizzare lo sfruttamento delle macchine attraverso il loro utilizzo intensivo, si pone in un rapporto di più intensa collaborazione col segmento delle aziende agricole di minore dimensione, oppure con quelle che richiedono tipologie di lavorazioni ad alta specificità, per le quali, appunto, egli risulta meglio attrezzato.

Il ricorso ai servizi agromeccanici si sta comunque estendendo anche alle aziende più grandi, che hanno così l’opportunità di ridurre investimenti particolarmente onerosi, e possono più agevolmente mutare le proprie decisioni in termini di scelte colturali.

Parallelamente alla evoluzione e maturazione del settore primario, pertanto, la fornitura di servizi da parte del contoterzista è in espansione, ed è passata dalle originarie operazioni di aratura e raccolta, e circoscritte a taluni prodotti specifici, alla realizzazione di quasi tutte le operazioni colturali, fino alla assunzione della gestione della terra nel suo complesso.

Nell'attività agromeccanica contoterzista si possono individuare tre diverse modalità operative: la prima riguarda il più tradizionale scambio di mano d'opera e servizi tra

piccoli imprenditori agricoli, effettuato secondo gli usi, avente per oggetto prestazioni di rilevanza economica minore, e già disciplinata dall’art. 2139 Codice civile;

la seconda, che si potrebbe definire del "contoterzismo misto", individua quegli imprenditori agricoli che svolgono anche attività di contoterzismo, mediante l'utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell'azienda, normalmente impiegate nell'attività agricola esercitata. Questa particolare

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categoria di contoterzisti viene di fatto individuata dalla riscrittura dell'art. 2135 Codice civile, operata dall'art. 1 del Dlgs. n. 228/2001 (legge di orientamento agricolo). L’art. 2135 c.c. definisce la figura dell’imprenditore agricolo e, nella nuova redazione, vi include anche chi eserciti attività connesse con la coltivazione del fondo o con l’attività silvicola o di allevamento. E per attività connesse, recita il medesimo art. 2135 c.c., si intendono anche le attività, esercitate dal medesimo imprenditore agricolo, dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l'utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell'azienda normalmente impiegate nell'attività agricola. L’attività di contoterzista si qualifica pertanto, in tale ipotesi, come attività agricola “per connessione”, usufruendo di tutte le correlate agevolazioni sia fiscali che contributive;

la terza si potrebbe chiamare del "contoterzismo puro", ovvero di coloro che possiedono solo le macchine di cui vendono le lavorazioni. Nulla vieta che tale figura sia anche un imprenditore agricolo, ma ciò che rileva è che esso svolga l’attività di vendita ai terzi di servizi agromeccanici, utilizzando macchine che non sono prevalentemente usate all'interno della propria azienda. Tale figura, in assenza della nuova disciplina recata dal D.lgs. n. 99, svolgeva un’attività di tipo commerciale e subiva, è stato da più parti rilevato, una forma di “concorrenza sleale” da parte del contoterziata misto, che poteva godere di tutti i vantaggi conseguenti alla sua equiparazione con l’imprenditore agricolo. Peraltro, poiché sulla base dell’art. 2135 c.c. l’imprenditore agricolo che presti le proprie prestazioni fuori dall’azienda anche in misura preponderante rispetto all’attività interna non perde comunque la propria qualifica agricola, taluni operatori, pure se intenzionati a svolgere fondamentalmente attività agromeccanica, potevano essere indotti ad acquistare, o affittare, una modesta superficie di terreno al solo scopo di godere dei medesimi benefici dell’imprenditore agricolo. Per quanto concerne l’attività normativa svolta nel corso della legislatura,

occorre segnalare in primo luogo l’articolo 5 del decreto legislativo n.99 del 2004 (adottato in attuazione della delega conferita dalla legge n.38 del 2003, c.d. “collegato agricolo”), che ha introdotto nell’ordinamento la definizione giuridica di attività agromeccanica.

La norma definisce l’attività agromeccanica quella fornita a favore di terzi, mediante l’utilizzo di mezzi meccanici, relativamente alle seguenti funzioni: lo svolgimento delle operazioni colturali dirette alla cura ed allo sviluppo di un

ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso; la sistemazione e la manutenzione dei fondi agro-forestali; la manutenzione del verde; tutte le operazioni successive alla raccolta dei prodotti dirette a garantirne la

messa in sicurezza;

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le operazioni relative al conferimento dei prodotti agricoli ai centri di stoccaggio o all'industria di trasformazione, purché siano eseguite dallo stesso soggetto che ne ha effettuato la raccolta.

Per effetto delle nuove norme, il profilo dell’agrarietà si estende a tutte le prestazioni

fornite con mezzi meccanici a terzi, senza alcuna richiesta di connessione con una o più attività principali. È sufficiente che le prestazioni siano indirizzate ad una delle seguenti finalità: alla cura ed allo sviluppo di un ciclo biologico, o di una sua fase necessaria, con ciò ponendosi in relazione con le capacità produttive più propriamente agricole; alla sistemazione o manutenzione sia dei fondi agricoli o silvicoli, che del verde, con ciò assumendo funzioni di presidio e valorizzazione del territorio rurale, anche al fine di una conservazione o ripristino del patrimonio paesaggistico; alla messa in sicurezza dei prodotti raccolti, qualificandosi in tal modo come soggetto attivo partecipe del sistema che deve assicurare il rispetto delle norme igienico-sanitarie e di tutela dei consumatori, anche in merito alla provenienza dei prodotti. L’attività agromeccanica può anche sostanziarsi nel semplice conferimento dei prodotti a centri di stoccaggio o trasformazione, configurandosi in tale ipotesi come mera attività di trasporto: in tal caso tuttavia, per perdere la propria natura meramente commerciale, la norma pone un nesso imprescindibile, richiedendo che a provvedere al trasporto sia il medesimo soggetto che avvia realizzato la raccolta.

Va infine rammentato che con l’approvazione degli articoli 4, commi 1 (nella

parte che aggiunge il comma 13-quinquies), 5 e 6 del decreto legislativo n. 101 del 2005, sono state apportate integrazioni al decreto legislativo n. 99 del 2004, allo scopo di favorire l’attività dei contoterzisti. Con tali novelle, in particolare, si è esclusa l’applicazione all’attività agromeccanica delle disposizioni contenute nel decreto legislativo n. 368/2001 (che disciplina l’apposizione di termini ai contratti di lavoro subordinato) e, per la riparazione di macchine agricole e rimorchi effettuata sui mezzi propri dalle imprese che svolgono l'attività agromeccanica e che siano provviste di officina, nella legge n. 122/92 (che disciplina l’attività di autoriparazione). Infine, le imprese agromeccaniche sono state escluse dall’applicazione della legge n. 264/91, che disciplina l’attività di consulenza per la circolazione dei mezzi di trasporto, qualora tale consulenza attenga alle macchine agricole (rientranti nella definizione di cui all’art. 57 del D.lgs. n. 285/1992, recante “Nuovo codice della strada”).

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Caccia – Le deroghe regionali

Con la legge 11 febbraio 1992, n.157 è stata data attuazione nell’ordinamento interno alla direttiva 79/409/CEE, del 2 aprile 1979, sulla conservazione degli uccelli selvatici.

La direttiva vieta (art. 5, lett. a), in linea di principio, di uccidere o di catturare tutte le specie di uccelli viventi naturalmente allo stato selvatico nel territorio europeo degli Stati membri a cui si applica il Trattato. L'articolo 7, par. 1, prevede, tuttavia, che le specie elencate nell'Allegato II possano essere oggetto di atti di caccia nel quadro della legislazione nazionale.

Tale regime limitativo della caccia può comunque essere derogato dagli Stati membri per i motivi elencati nell'articolo 9, par. 1, lett. a), b) e c) e nelle forme indicate nel par. 2 del medesimo articolo.

L'articolo 9 della direttiva 79/409/CEE prevede, infatti, che, sempre che non vi siano altre soluzioni soddisfacenti, gli Stati membri possono derogare ai divieti previsti negli artt. 5, 6, 7 e 8 per le seguenti ragioni:

a) nell'interesse della salute e della sicurezza pubblica; nell'interesse della sicurezza aerea; per prevenire gravi danni alle coltura, al bestiame, ai boschi, alla pesca ed alle acque;

b) ai fini della ricerca e dell'insegnamento, del ripopolamento e della reintroduzione nonché per l'allevamento connesso a tali operazioni;

c) per consentire, in condizioni rigidamente controllate ed in modo selettivo, la cattura, la detenzione o altri impieghi misurati di determinati uccelli in piccole quantità.

Le deroghe dovranno riportare: - le specie che formano oggetto delle medesime; - i mezzi, gli impianti ed i metodi di cattura o di uccisione autorizzata; - le condizioni di rischio e le circostanze di tempo e di luogo in cui esse

possono essere fatte; - l'autorità abilitata a dichiarare che le condizioni stabilite sono realizzate e a

decidere quali mezzi, impianti e metodi possono essere utilizzati, entro quali limiti, e da quali persone;

- i controlli che saranno effettuati. L'articolo 9 prosegue disponendo che gli Stati membri sono tenuti ad

inviare ogni anno alla Commissione una relazione sull'applicazione dell'articolo 9; in base alle informazioni raccolte, la Commissione è chiamata a vigilare sulla compatibilità delle deroghe disposte con le disposizioni della direttiva in esame.

L’articolo 9 della direttiva 79/409/CEE non ha trovato un'applicazione dettagliata con la legge n.157 del 1992 sulla caccia, dando vita ad una lunga

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serie di conflitti tra lo Stato e le regioni in merito alla titolarità del potere di disciplina delle applicazioni di deroga e ad un contenzioso con la Comunità europea in merito alla mancata applicazione della norma.

Con la sentenza 15 marzo 1990 (causa C-339/87), la Corte di giustizia aveva

affermato che, in materia di conservazione degli uccelli selvatici, i criteri in base ai quali gli Stati membri possono derogare ai divieti sanciti dalla direttiva devono essere riprodotti in “disposizioni nazionali precise”.

Successivamente, con la sentenza del 7 marzo 1996 (causa C-118/94), la Corte di giustizia chiamata a pronunciarsi, in sede pregiudiziale ex art. 177 del Trattato, dal tribunale amministrativo regionale per il Veneto, affermava che l'articolo 9 della direttiva deve essere interpretato nel senso che esso autorizza gli Stati membri a derogare al divieto generale di caccia delle specie protette, derivante dagli artt. 5 e 7 della stessa direttiva, soltanto “mediante misure che comportino un riferimento, adeguatamente circostanziato, agli elementi di cui ai nn.1 e 2 del medesimo articolo 9”.

La questione riguardante l'attuazione delle deroghe previste dall'art. 9 ha

interessato anche la Corte costituzionale italiana, chiamata a decidere in merito al soggetto competente ad attuarle e allo strumento normativo utilizzabile.

Con la sentenza n.272 del 1996, la Corte costituzionale159 è stata richiesta di esprimersi sulla competenza della regione Umbria a derogare all'elenco delle specie cacciabili, aggiungendo il fringuello tra quelle ammesse al prelievo. La regione sosteneva in quell'occasione che la propria competenza trovava come fondamento l'articolo 1 della legge sulla caccia ( L. n.157/992) che, nello stabilire l'integrale recepimento della direttiva 79/409, aveva nella sostanza recepito l'articolo 9 della direttiva, rinviando alle regioni l’attuazione del disposto medesimo. La Corte afferma, incidentalmente, che l'articolo 9 è da considerarsi operativo ma solo nel senso di legittimare le Autorità nazionali ad adottare, ove lo ritengano, provvedimenti di deroga alle norme protettive della specie, verificando che ricorrano le situazioni ipotizzate dall'art. 9 e apprestando, nell'attuazione di detto articolo, in armonia con quanto indicato dalla stessa giurisprudenza comunitaria, specifiche misure che comportino un riferimento circostanziato agli elementi di cui ai nn. 1 e 2 della disposizione stessa. Per quanto riguarda il provvedimento adottato dalla regione Umbria, la Corte ritiene che la materia risulta di competenza statale, dal momento che l'articolo 18 della legge n.157/1992 affida l'individuazione delle specie cacciabili, ai fini dell'esercizio

159 La Corte costituzionale era chiamata a pronunciarsi su un conflitto di attribuzione promosso

dalla regione Umbria contro lo Stato in ragione del provvedimento con il quale è stata annullata la delibera della Giunta regionale sul prelievo della specie fringuello in deroga alla direttiva CEE n.409/1979.

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venatorio, ad un apposito elenco, al quale possono essere disposte variazioni con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri.

Nel frattempo viene emanato il Decreto del Presidente del Consiglio 27

settembre 1997160, recante modalità di esercizio delle deroghe di cui all'articolo 9 della direttiva 409/79/CEE.

Il provvedimento, secondo quanto stabilito dall'articolo 1, intendeva disciplinare le modalità per l'esercizio delle deroghe di cui all'art. 9, par. 1, lett. c) della direttiva 409/79/CEE, stabilendo che tali deroghe possono essere adottate solo qualora non vi siano soluzioni soddisfacenti e allo scopo di consentire in condizioni rigidamente controllate ed in modo selettivo la cattura, la detenzione o altri impieghi misurati di determinati uccelli in piccole quantità (art.1).

L'attuazione delle deroghe veniva rimessa alla valutazione delle regioni, stabilendo che esse dovevano indicare: le giustificazioni della deroga; le specie e le quantità oggetto della deroga; l'esame delle diverse soluzioni alternative; le condizioni obiettivamente verificabili e rigidamente controllate, idonee a consentire impieghi misurati di determinati uccelli in piccole quantità ed i metodi selettivi di cattura e detenzione; i mezzi, gli impianti e i metodi di cattura o di abbattimento autorizzati; i tempi e i luoghi di esercizio della deroga; le modalità, gli organi di controllo ed il sistema di verifica dei controlli effettuati; il termine finale di operatività della deroga; il piano di intervento (art. 2). Veniva, altresì, previsto che la disciplina delle condizioni e delle modalità di applicazione delle deroghe si applicasse anche alla cattura per la cessione a fini di richiamo (art.3). All'Istituto nazionale per la fauna selvatica veniva assegnato il compito di accertare la sussistenza delle condizioni stabilite dal decreto in esame per l'attuazione delle deroghe.

Successivamente la Corte costituzionale veniva chiamata a giudicare nuovamente la questione concernente l'attivazione del potere di deroga al divieto di prelievo venatorio.

Con la sentenza n.168 del 1999 la Corte, richiesta di giudicare in via principale della legittimità costituzionale di tre delibere regionali in materia di deroghe di cui all'articolo 9 della direttiva 409/1979, affermava che la competenza in materia di attuazione dell'articolo 9 della direttiva, da distinguere nettamente dal potere di individuazione delle specie cacciabili di cui all'articolo 18 della legge n.157/1992, spetta allo Stato e non alle regioni. Secondo la Corte "sussiste, infatti, un interesse unitario, non frazionabile, alla uniforme disciplina dei vari aspetti inerenti al nucleo minimo di salvaguardia della fauna selvatica; dall'individuazione delle specie cacciabili alla variazione dei relativi elenchi; dalla disciplina delle modalità di caccia, nei limiti in cui prevede misure indispensabili per assicurare la sopravvivenza e la riproduzione delle specie selvatiche, alla delimitazione dei periodi venatori, alla disciplina delle deroghe, ex art. 9 della 160 Pubblicato nella Gazz. Uff. 30 ottobre 1997, n. 254

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direttiva 79/409/CEE, al generale regime di protezione". Risulta, quindi, conseguente che " la disciplina del potere di deroga – che secondo la Corte di giustizia delle Comunità europee (sentenza 15 marzo 1990, causa C-339/1987) deve tradursi in norme nazionali precise (" i criteri in base ai quali gli Stati membri possono derogare ai divieti sanciti dalla direttiva devono essere riprodotti in disposizioni nazionali precise") – può, e non già deve, trattandosi di una facoltà, trovare attuazione nel nostro ordinamento....attraverso una normativa nazionale di recepimento- non rintracciabile nella legge n.157/1992 – idonea a garantire su tutto il territorio nazionale un uniforme ed adeguato livello di salvaguardia".

La Corte viene chiamata nuovamente a pronunciarsi sulla questione a breve distanza; infatti, con la sentenza n.169 del 1999, la Consulta è richiesta di risolvere un conflitto di attribuzione tra lo Stato ed alcune regioni ricorrenti in relazione alla legittimità del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 17 settembre 1997 che aveva regolato l'esercizio delle deroghe di cui all'art. 9, par.1, lett. c) della direttiva 409/1979. L'organo di giurisdizione costituzionale ribadisce quanto affermato nella sua precedente giurisprudenza, ritenendo che la disciplina dell'esercizio delle deroghe al divieto di caccia sottointende un interesse unitario, relativo alla protezione del patrimonio faunistico. Ciononostante accoglie il ricorso nella parte in cui si contesta l'utilizzo del decreto per regolare tale materia, utilizzo contrastante con le regole che riguardano il rapporto tra fonti regionali e fonti statali e tra quelle statali e quelle comunitarie (anche nel caso in cui il decreto di specie dovesse essere ricondotto alla categoria degli atti di indirizzo e di coordinamento, esso non avrebbe rispettato i requisiti di forma e di stanza previsti, in primis, l'esigenza di un fondamento normativo per la sua attuazione). In buona sostanza la Corte evidenzia che allo stato della legislazione vigente le regioni non possono attivare autonomamente le deroghe, in quanto tale potere coinvolge una varietà di interessi per lo più di pertinenza dello Stato, non compiutamente identificabili con l’attività venatoria (di competenza regionale ex articolo 117 della Costituzione) e che “la disposizione dell’articolo 9, paragrafo 1, lettera c), della direttiva comunitaria richiede, per la sua concreta attuazione nell’ordinamento interno, una legge nazionale che valuti e ponderi i vari interessi che vengono in rilievo e che non sono certamente soltanto quelli connessi all’esercizio venatorio”.

Il vuoto normativo evidenziato dalla Corte viene colmato dal legislatore con

l’approvazione della legge n.221 del 2002, che inserisce l’articolo 19-bis della legge n.157 del 1992.

Nel rimettere alle regioni la disciplina delle deroghe previste dall’articolo 9 della direttiva n.79/409/CEE, la legge prevede in particolare che:

le deroghe, in assenza di altre soluzioni soddisfacenti, devono menzionare le specie che ne formano oggetto, i mezzi, gli impianti e i metodi di prelievo autorizzati, le condizioni di rischio, le circostanze di tempo e di luogo del

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prelievo, il numero dei capi giornalmente e complessivamente prelevabili nel periodo, i controlli e le forme di vigilanza cui il prelievo è soggetto e gli organi incaricati della stessa;

i soggetti abilitati al prelievo in deroga vengono individuati dalle regioni, d'intesa con gli àmbiti territoriali di caccia (ATC) ed i comprensori alpini.

le deroghe sono applicate per periodi determinati, sentito l'Istituto nazionale per la fauna selvatica (INFS), o gli istituti riconosciuti a livello regionale, e non possono avere comunque ad oggetto specie la cui consistenza numerica sia in grave diminuzione.

il Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per gli affari regionali, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, previa delibera del Consiglio dei Ministri, può annullare, dopo aver diffidato la regione interessata, i provvedimenti di deroga da questa posti in essere in violazione delle disposizioni della legge n.157 del 1992 e della direttiva n.79/409/CEE;

entro il 30 giugno di ogni anno, ciascuna regione trasmetta al Presidente del Consiglio dei Ministri, ovvero al Ministro per gli affari regionali ove nominato, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, al Ministro delle politiche agricole e forestali, al Ministro per le politiche comunitarie, all'Istituto nazionale per la fauna selvatica (INFS) e alle competenti Commissioni parlamentari, una relazione sull'attuazione delle deroghe, sulla base della quale il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio redige la relazione che lo Stato è tenuto a trasmettere annualmente alla Commissione europea ai sensi dell'articolo 9, paragrafo 3, della direttiva.

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Questioni all’esame delle istituzioni dell’Unione europea

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Il Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa

Il Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa, firmato a Roma il 29 ottobre 2004, riunisce tutte le disposizioni contenute nei differenti Trattati e protocolli vigenti in un unico testo composto da:

• Preambolo; • Parte I, che contiene le norme propriamente costituzionali, nonché le

disposizioni generali per la politica estera, di sicurezza e di difesa e per lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia;

• Parte II, che contiene la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea;

• Parte III, relativa alle politiche dell'Unione; • Parte IV, recante le disposizioni generali e finali, • Protocolli e dichiarazioni allegati al Trattato.

Il Trattato è stato fino ad ora ratificato da 14 Stati membri: Austria, Belgio, Cipro, Germania, Grecia, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Slovacchia, Slovenia, Spagna ed Ungheria.

A seguito dell’esito negativo dei referendum sulla ratifica del Trattato costituzionale in Francia e nei Paesi Bassi, i Capi di Stato e di governo hanno adottato, al Consiglio europeo del 16 e 17 giugno 2005, una dichiarazione che prende atto dei risultati dei referendum in Francia e nei Paesi Bassi e, pur sottolineando che tali risultati non rimettono in discussione l’interesse dei cittadini per la costruzione dell’Europa, riconosce la necessità di svolgere una riflessione comune. Si invita a promuovere in questo periodo di riflessione un ampio dibattito che coinvolga cittadini, parti sociali, Parlamenti nazionali e partiti politici.

La dichiarazione ribadisce la validità della prosecuzione dei processi di ratifica, prevedendo altresì un eventuale adeguamento del loro calendario in relazione agli sviluppi nei vari Stati membri. Il Consiglio europeo del 15 e 16 giugno 2006 dovrebbe procedere ad una valutazione globale dei dibattiti nazionali e decidere sul seguito del processo.

Tra le novità introdotte dal Trattato si segnala in particolare: • l’inserimento della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea,

proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000, nel testo del Trattato come sua Parte II;

• il conferimento della personalità giuridica all’Unione europea e l’eliminazione della struttura a “pilastri” (Comunità europea; politica estera e di sicurezza comune; cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale) in cui si articola attualmente l’Unione;

• la generalizzazione della procedura legislativa ordinaria, modellata sull’attuale procedura di codecisione di Parlamento europeo e Consiglio;

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• l’elezione di un Presidente del Consiglio europeo con un mandato di due anni e mezzo rinnovabile, con il compito in particolare di assicurare la rappresentanza esterna dell’Unione;

• la modifica (a partire dal 2014) del numero dei membri della Commissione europea, fissato ai due terzi degli Stati membri;

• l’istituzione del Ministro per gli affari esteri dell’Unione, con il compito di guidare la politica estera e di sicurezza comune dell’Unione;

• il superamento (a partire dal 2009) dell’attuale sistema di voto ponderato, con un sistema che si fonda sul principio della doppia maggioranza del 55% degli Stati membri dell’Unione – con un minimo di 15 - che rappresentino almeno il 65% della popolazione;

• la ripartizione delle competenze tra Unione europea e Stati membri in competenze esclusive, per le quali l'Unione è l'unica a poter legiferare e adottare atti giuridicamente obbligatori; competenze concorrenti, per le quali sia l'Unione, sia gli Stati membri hanno la facoltà di legiferare; e azioni di sostegno, di coordinamento o di completamento, per le quali l’Unione può condurre azioni che completano l’azione degli Stati membri;

• la semplificazione (da quindici a sei) degli atti giuridici dell’Unione, con una distinzione tra atti legislativi, atti non legislativi ed atti esecutivi e l’introduzione del nuovo strumento dei regolamenti delegati;

• il rafforzamento del ruolo dei Parlamenti nazionali, in particolare attraverso la possibilità per ciascun Parlamento nazionale di sollevare obiezioni sulla corretta applicazione del principio di sussidiarietà in relazione alle proposte legislative della Commissione;

• l’introduzione dell’iniziativa legislativa popolare: un milione di cittadini europei, provenienti da un rilevante numero di Stati membri possono invitare la Commissione a presentare una proposta legislativa.

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Lo stato delle ratifiche del Trattato

STATO MEMBRO

PROCEDURA DI RATIFICA DATA DI SVOLGIMENTO

DELL’EVENTUALE REFERENDUM

AUSTRIA Il Trattato è stato approvato dal Nationalrat l’11 maggio 2005 e dal Bundesrat il 25 maggio 2005.

BELGIO Il Trattato è stato ratificato sia dal Parlamento nazionale sia dalle sette Assemblee regionali. La procedura si è conclusa con la pronuncia della Comunità fiamminga l’8 febbraio 2006.

CIPRO Il Parlamento della Repubblica di Cipro ha ratificato il Trattato il 30 giugno 2005.

DANIMARCA La ratifica è prevista con referendum popolare giuridicamente vincolante. Il Governo danese e i partiti favorevoli alla Costituzione europea hanno deciso il 23 giugno 2005 la sospensione del processo di ratifica, rinviando a data da definire il referendum.

Il referendum è stato sospeso

ESTONIA La ratifica avverrà per via parlamentare. L’esame è stato avviato ai primi di febbraio 2006.

FINLANDIA La ratifica dovrebbe avvenire per via parlamentare. E’ richiesta la maggioranza semplice del Parlamento monocamerale, o la maggioranza di 2/3 qualora si ritenga che il Trattato implica modifiche alla Costituzione (tale valutazione non risulta ancora effettuata). Il Governo ha deciso di sospendere il processo di ratifica.

FRANCIA La ratifica del Trattato costituzionale è stata sottoposta referendum popolare il 29 maggio 2005. Su un totale di partecipanti pari al 69,34% degli aventi diritto al voto, il 54,68% ha votato no ed il 45,32% ha votato sì.

29 maggio 2005

GERMANIA Il disegno di legge di ratifica è stato approvato dal Bundestag il 12 maggio 2005. Il 27 maggio 2005 è stato approvato dal Bundesrat.

GRECIA Il Parlamento greco ha ratificato il Trattato il 19 aprile 2005

IRLANDA La Costituzione prevede due fasi: il referendum popolare e, a seguire, la ratifica parlamentare. Il Governo ha deciso di sospendere il processo di ratifica.

Il referendum è stato sospeso

ITALIA La Camera dei deputati ha approvato il disegno di legge di ratifica del Trattato il 25 gennaio 2005 (436 voti favorevoli, 28 voti contrari e 5 astensioni). Il Senato della Repubblica ha approvato definitivamente il disegno di legge di ratifica il 6 aprile 2005 (217 voti favorevoli, 16 contrari e nessun astenuto).

LETTONIA Il Parlamento lettone ha ratificato il Trattato il 2 giugno 2005.

Paesi che hanno ratificato il Trattato Paesi che non hanno ancora ratificato il Trattato Paesi che hanno respinto la ratifica del Trattato

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STATO MEMBRO

PROCEDURA DI RATIFICA DATA DI SVOLGIMENTO

DELL’EVENTUALE REFERENDUM

LITUANIA Il Parlamento ha ratificato il Trattato l’11 novembre 2004.

LUSSEMBURGO Il Parlamento ha ratificato il Trattato in prima lettura il 29 giugno 2005 e in seconda il 25 ottobre 2005. Il 10 luglio 2005 si è svolto un referendum popolare consultivo. I voti favorevoli sono stati il 56,52%, i voti contrari il 43,48%. L'affluenza è stata pari all’87,7% degli aventi diritto.

10 luglio 2005

MALTA Il Parlamento di Malta ha ratificato il Trattato il 6 luglio 2005 .

PAESI BASSI La ratifica del Trattato costituzionale è stata sottoposta a referendum popolare il 1° giugno 2005. Su un totale di partecipanti pari al 69% degli aventi diritto al voto, il 61,70% ha votato no ed il 38,30% ha votato sì.

1° giugno 2005

POLONIA Il Governo polacco era inizialmente orientato a procedere alla ratifica del Trattato costituzionale attraverso una consultazione referendaria (l’alternativa è l’approvazione da parte delle due Camere a maggioranza di 2/3). Il 21 giugno 2005 il Presidente Kwasniewski ha annunciato la sospensione del referendum sul Trattato costituzionale.

Il referendum è stato sospeso

PORTOGALLO Il Governo ha rinviato il referendum sulla Costituzione europea, precedentemente previsto nell’autunno 2005.

Il referendum è stato rinviato

REGNO UNITO Era prevista una procedura di ratifica a doppio livello, con il voto popolare a conferma e completamento del processo parlamentare di ratifica. Il progetto di legge di ratifica è stato approvato in seconda lettura dalla House of Commons il 9 febbraio 2005. L'iter parlamentare del disegno di legge sul referendum di ratifica è stato sospeso il 6 giugno 2005.

La decisione sullo

svolgimento del referendum è stata sospesa

REPUBBLICA

CECA

Il Primo Ministro ha annunciato l’intenzione di modificare la Costituzione al fine di sottoporre la ratifica del Trattato a referendum. Tale modifica richiede la maggioranza di 3/5 dei componenti di ciascuna delle due Camere.

Il referendum è stato rinviato alla fine del

2006

SLOVACCHIA Il Parlamento ha ratificato il Trattato l’11 maggio 2005.

SLOVENIA Il Parlamento ha ratificato il Trattato il 1° febbraio 2005.

SPAGNA Il Trattato è stato sottoposto a referendum consultivo il 20 febbraio 2005: i voti favorevoli sono stati il 76%, i voti contrari il 17% e le schede bianche sono state il 6%. Il Trattato è stato poi ratificato dalla Camera dei deputati il 28 aprile e dal Senato il 18 maggio 2005.

20 febbraio 2005

SVEZIA Il Governo ha dichiarato che non intende indire un referendum sul Trattato costituzionale. Il processo di ratifica parlamentare è al momento sospeso.

UNGHERIA Il Parlamento ha ratificato il Trattato il 20 dicembre 2004.

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L’allargamento e i Balcani occidentali

Grazie al processo di allargamento, che costituisce da sempre un elemento chiave del progetto europeo, l’Unione europea è passata dagli originali 6 membri (Belgio, Germania, Francia, Italia, Lussemburgo e Paesi bassi) agli attuali 25. L’ultimo allargamento risale al 1° maggio 2004, quando Cipro, Estonia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Repubblica ceca, Repubblica slovacca, Slovenia e Ungheria sono divenuti a pieno titolo Stati membri dell’Unione Europea.

Le fasi del processo di adesione - In base all’articolo 49 del Trattato sull’Unione europea, ogni paese europeo può presentare richiesta di adesione se rispetta i principi di libertà, democrazia, Stato di diritto, tutela dei diritti umani e delle libertà fondamentali, principi che sono comuni agli Stati membri. Il medesimo articolo stabilisce che sulla richiesta di adesione il Consiglio si esprime all’unanimità, previa consultazione della Commissione e previo parere conforme del Parlamento europeo. A conclusione di tale procedura, è il Consiglio europeo ad attribuire lo status di paese candidato.

L’apertura formale dei negoziati tra gli Stati membri e lo Stato candidato avviene sulla base di una decisione in tal senso del Consiglio europeo e dopo l’approvazione del mandato negoziale da parte del Consiglio.

Una volta che, a seguito dei negoziati, tutti i capitoli siano stati positivamente esaminati, il risultato dei negoziati confluisce nel testo del Trattato di adesione, che è concordato tra gli Stati membri e il paese candidato e successivamente sottoposto alla Commissione per il parere. Sul testo del Trattato di adesione è richiesto il parere conforme del Parlamento europeo. Dopo la firma, il Trattato di adesione è sottoposto alla ratifica da parte di tutti gli Stati membri, nonché del paese interessato, conformemente allo rispettive norme costituzionali.

L’adesione può essere conseguita soltanto se il paese soddisfa i cosiddetti criteri di Copenaghen, stabiliti dal Consiglio europeo di Copenaghen del giugno 1993 e rafforzati dal Consiglio europeo di Madrid del 1995:

• criteri politici: istituzioni stabili in grado di garantire democrazia, Stato di diritto, diritti umani e protezione delle minoranze;

• criteri economici: economia di mercato funzionante e capacità di far fronte alle pressioni concorrenziali e alle forze di mercato all’interno dell’Unione;

• capacità di fare fronte agli obblighi derivanti dall’adesione, ivi compresi gli obiettivi dell’unione politica, economica e monetaria;

• adozione dell’acquis comunitario e sua effettiva attuazione attraverso adeguate strutture amministrative e giudiziarie.

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In aggiunta, come ribadito in particolare in occasione dell’apertura dei negoziati di adesione della Turchia, nei futuri allargamenti si terrà conto anche della capacità di assorbimento dell’Unione europea.

Nel corso del processo di adesione, l’Unione europea sostiene gli sforzi di ciascun paese attraverso una strategia di pre-adesione che si compone di diversi strumenti e meccanismi, tra i quali la partecipazione ai programmi, ai comitati e alle agenzie dell’UE, il dialogo politico, il programma nazionale di adozione dell’acquis comunitario, il cofinanziamento da parte di istituzioni internazionali, l’assistenza di preadesione, attraverso specifici strumenti finanziari. Inoltre, il livello di preparazione di ciascun paese è costantemente monitorato dalla Commissione europea. I risultati dell’attività di monitoraggio e lo stato di attuazione delle riforme vengono resi pubblici attraverso relazioni periodiche.

Le prospettive future

I paesi aderenti sono attualmente due, Bulgaria e Romania, la cui adesione è prevista per il 1° gennaio 2007.

La Turchia e la Croazia hanno avviato formalmente, il 3 ottobre 2005, i negoziati per l’adesione.

La ex Repubblica iugoslava di Macedonia ha ottenuto lo status di paese candidato nel dicembre 2005.

Bulgaria e Romania

Il processo di adesione della Bulgaria e della Romania è quasi concluso. Il Trattato di adesione è stato firmato il 25 aprile 2005, dopo l’espressione del parere da parte del Parlamento europeo, il 13 aprile 2005. Al momento, il trattato risulta ratificato, oltre che dall’Italia (legge n. 16 del 9 gennaio 2006), da quattordici paesi. Con la firma del Trattato, la Bulgaria e la Romania sono considerati paesi aderenti e partecipano come osservatori attivi a tutti i comitati e organi dell’UE.

Va segnalato che nel Trattato di adesione è stata inserita una clausola di salvaguardia addizionale che prevede che il Consiglio, su proposta della Commissione, possa decidere a maggioranza qualificata di rinviare l’adesione di un anno se non dovessero essere rispettati gli impegni assunti in materia di preparazione all’adesione, soprattutto per quanto riguarda i settori della giustizia e affari interni e della concorrenza.

ll 25 ottobre 2005 la Commissione ha pubblicato le relazione globali di verifica del grado di preparazione della Bulgaria e della Romania in vista dell’adesione all’Unione europea. Le relazioni segnalano che entrambi i paesi hanno compiuto buoni progressi e dovrebbero essere in grado di rispettare i

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criteri previsti dall’Unione europea per il 1° gennaio 2007, a condizione che concentrino tutti i loro sforzi sulle riforme, in particolare sulla loro reale attuazione. La prossima revisione del processo di preparazione di Bulgaria e Romania è prevista per il mese di maggio 2006.

Croazia

La Croazia, dichiarata paese candidato dal Consiglio europeo del 17 e 18 giugno 2004, ha avviato formalmente i negoziati per l’adesione il 3 ottobre 2005.

L’apertura dei negoziati di adesione con la Croazia era stata fissata dal Consiglio europeo di dicembre 2004 per il 17 marzo 2005, a condizione che il paese collaborasse pienamente con il Tribunale penale internazionale per la ex Iugoslavia. Solo il 3 ottobre 2005, una volta constatata la piena collaborazione del paese con il Tribunale penale internazionale per l’ex Iugoslavia, il Consiglio ha dato il via libera all’apertura dei negoziati.

In quanto paese candidato la Croazia usufruisce, a partire dal 1° gennaio 2005, degli attuali strumenti finanziari di preadesione.

Turchia

La Turchia ha ottenuto lo status di paese candidato dal Consiglio europeo di Helsinki del dicembre 1999.

Sulla base della relazione periodica e della raccomandazione presentate dalla Commissione il 6 ottobre 2004, il Consiglio europeo del 16 e 17 dicembre 2004 ha deciso che la Turchia soddisfa sufficientemente i criteri politici di Copenaghen, fissando per il 3 ottobre 2005 la data di avvio dei negoziati di adesione, a condizione che entrassero in vigore alcuni specifici atti legislativi (legge sulle associazioni; nuovo codice penale; giurisdizione d’appello; codice di procedura penale; istituzione della polizia giudiziaria; esecuzione delle pene). Tale condizione è stata soddisfatta dalla Turchia il 1° giugno 2005.

Determinante per la decisione favorevole del Consiglio europeo di dicembre 2004 è stata la disponibilità manifestata dal Governo turco a firmare, prima dell’avvio dei negoziati, il protocollo che estende ai dieci nuovi Stati membri, compresa la Repubblica di Cipro, l’Accordo di associazione stipulato nel 1963 con la Comunità europea (cosiddetto Accordo di Ankara).

Il 3 ottobre 2005 il Consiglio ha approvato il quadro negoziale con la Turchia, consentendo l’apertura formale dei negoziati per l’adesione del paese all’Unione europea, nella data stabilita dal Consiglio europeo del dicembre 2004.

Alla decisione del Consiglio si è arrivati dopo una lunga e delicata trattativa. Il principale ostacolo è stato rappresentato dalla richiesta austriaca di prevedere, quale sbocco alternativo dei negoziati con la Turchia, l’ipotesi di un partenariato

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privilegiato che questa non era disposta ad accettare. L’approvazione del quadro negoziale è stata resa possibile dalla rinuncia dell’Austria a tale ipotesi, a fronte di un rafforzamento nel testo dell’importanza della capacità di assorbimento dell’UE quale criterio di valutazione per le future adesioni.

Anche in considerazione delle diffuse preoccupazioni manifestate in alcuni Stati membri rispetto all’adesione della Turchia all’Unione europea nonché dell’esperienza acquisita nel corso dei precedenti allargamenti, il quadro negoziale approvato per la Turchia è per alcuni aspetti più stringente rispetto al passato.

Facendo seguito alle conclusioni del Consiglio europeo di Helsinki del 1999, l’8 marzo 2001 il Consiglio ha adottato un Partenariato per l’adesione della Turchia, aggiornato da ultimo il 23 gennaio 2006, che riunisce in un unico strumento-quadro le priorità per la preparazione all’adesione e le risorse finanziarie disponibili.

Ex Repubblica iugoslava di Macedonia

La ex Repubblica iugoslava di Macedonia, che ha avanzato domanda di adesione all’Unione europea il 22 marzo 2004, ha ottenuto lo status di paese candidato dal Consiglio europeo del 15 e 16 dicembre 2005. Sulla base del parere favorevole espresso dalla Commissione, il Consiglio europeo ha tenuto conto in particolare dei progressi compiuti dal paese nell’attuazione dell’accordo di stabilizzazione ed associazione, entrato in vigore il 1° aprile 2004. Il Consiglio europeo ha precisato che ulteriori misure dovranno tenere conto delle discussioni sulla strategia per l’allargamento, del rispetto dei criteri e dei requisiti richiesti per l’adesione da parte dell’ex Repubblica iugoslava di Macedonia nonché della capacità di assorbimento dell’Unione europea.

Al momento non è prevista l’apertura dei negoziati di adesione.

La strategia della Commissione

Il 9 novembre 2005, congiuntamente alle relazioni sullo stato di preparazione dei singoli paesi, la Commissione ha presentato il documento di strategia 2005 sull’ampliamento (COM (2005) 561), in cui ha esposto i tre principi su cui si basa la strategia futura della Commissione in materia di allargamento:

• consolidamento degli impegni che i Capi di Stato e di governo dell’Unione europea hanno assunto nei confronti della Turchia e dei Balcani, tenendo in considerazione la capacità di assorbimento dell’UE e salvaguardando il buon funzionamento delle proprie istituzioni;

• rispetto delle condizioni per l’adesione, manifestando rigore nell’esigere dai paesi il rispetto dei criteri richiesti ed equità nel riconoscere e ricompensare i progressi compiuti;

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• miglioramento della comunicazione per fugare le preoccupazioni e rendere più chiari i vantaggi dei futuri allargamenti, inaugurando un reale dialogo con i cittadini.

Il 16 marzo 2006, il Parlamento europeo ha adottato a larga maggioranza una risoluzione (397 voti a favore, 95 contrari e 37 astensioni) sul documento di strategia della Commissione.

Rapporti tra l’Unione europea e i Balcani occidentali

Come ribadito in più occasioni dalle istituzioni europee, la prossima fase del processo di allargamento riguarderà i paesi dei Balcani occidentali (Albania, Bosnia-Erzegovina, Serbia-Montenegro e Kosovo) che, già in occasione del Consiglio europeo tenutosi a Feira il 19 e 20 giugno 2000, sono stati definiti “candidati potenziali all’adesione all’Unione europea”. Tale approccio è stato ribadito da ultimo il 10 e 11 marzo 2006, nel corso del Consiglio affari esteri informale che si è tenuto a Salisburgo e al quale hanno partecipato anche i paesi candidati e potenziali candidati dei Balcani occidentali.

L’impegno dell’Unione europea nei confronti dei Balcani è confermato anche nella citata strategia per l’allargamento presentata il 9 novembre 2005, in cui la Commissione segnala l’importanza di una prospettiva europea convincente per il proseguimento del processo di riforma in atto in questi paesi.

Peraltro, nell’ambito delle riforma dell’assistenza esterna, proposta dalla Commissione nel quadro delle nuove prospettive finanziarie 2007-2013, è previsto che i Balcani occidentali beneficino dei finanziamenti dell’UE attraverso lo strumento dedicato all’assistenza preadesione.

Il Processo di stabilizzazione ed associazione

Attualmente le relazioni tra l’Unione europea e i cinque paesi dei Balcani occidentali si svolgono prevalentemente nel quadro del Processo di stabilizzazione ed associazione (PSA), istituito nel 1999.

Su proposta della Commissione (COM (1999) 235), il PSA è stato approvato dal Consiglio il 21 giugno 1999. Gli strumenti che compongono il PSA, formalizzati al Vertice UE-Balcani di Zagabria del 2000, sono stati arricchiti da elementi ispirati al processo di allargamento nel giugno 2003, con l’approvazione da parte del Consiglio europeo della cosiddetta “Agenda di Salonicco”.

Il processo è la cornice entro cui diversi strumenti sostengono gli sforzi compiuti da questi paesi nella fase di transizione verso democrazie ed economie di mercato stabili; come già anticipato, nel lungo periodo la prospettiva è quella della piena integrazione nell’Unione europea, sulla base delle previsioni del Trattato sull’Unione europea e dei criteri di Copenaghen.

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Lo stato di avanzamento del processo viene costantemente seguito dalla Commissione che, attraverso la pubblicazione di una relazione annuale, fornisce indicazioni sui progressi realizzati dai paesi dei Balcani occidentali rispetto alla situazione dell’anno precedente. Tale relazione rappresenta l’indicatore principale per valutare se ciascun paese sia pronto per una relazione più stretta con l’UE.

Le componenti principali del PSA sono quattro: accordi di stabilizzazione ed associazione, elevato livello di assistenza finanziaria, misure commerciali e dimensione regionale.

La strategia futura

Il 27 gennaio 2006, la Commissione ha adottato la comunicazione “I Balcani occidentali sulla strada verso l’UE: consolidare la stabilità e rafforzare la prosperità” (COM (2006) 27), in cui propone di promuovere commercio, sviluppo economico, movimento di persone, istruzione e ricerca, cooperazione regionale e dialogo con la società civile nel Balcani occidentali come parte della strategia europea di integrazione dei popoli della regione. La comunicazione definisce misure concrete per rafforzare la politica dell’UE e gli strumenti a sua disposizione. L’obiettivo è quello di aiutare questi paesi a rafforzare la prospettiva europea, che rappresenta un forte incentivo ad attuare riforme politiche ed economiche e ha favorito la riconciliazione tra i popoli della regione. Nella comunicazione la Commissione sottolinea infatti i progressi compiuti dai paesi della regione negli ultimi tre anni, in particolare in termini di stabilizzazione e riconciliazione, riforma interna e cooperazione regionale.

La politica europea di vicinato

La “politica europea di vicinato” (PEV) si rivolge ai nuovi Stati indipendenti (Bielorussia, Moldova, Ucraina), ai paesi del Mediterraneo meridionale (Algeria, Autorità palestinese, Egitto, Giordania, Israele, Libano, Libia, Marocco, Siria, Tunisia) e agli Stati del Caucaso (Armenia, Azerbaigian e Georgia). L’obiettivo è quello di prevenire l’emergere di nuove linee di divisione tra l’Unione europea allargata e i suoi vicini, condividendo con questi ultimi i benefici dell’allargamento e consentendo loro di partecipare alle diverse attività dell’UE, attraverso una cooperazione politica, economica e culturale rafforzata.

La politica europea di vicinato, nettamente distinta dalla questione della potenziale adesione all’UE, propone un nuovo approccio nei confronti dei paesi interessati: in cambio dei progressi concreti compiuti in termini di riconoscimento dei valori comuni e di attuazione effettiva di riforme politiche, economiche e istituzionali, si riconosce loro una partecipazione al mercato interno dell’UE,

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nonché un’ulteriore integrazione e liberalizzazione per favorire la libera circolazione di persone, merci, servizi e capitali.

Tra le azioni concrete che l’UE intende mettere in campo per realizzare la politica di vicinato, si segnalano in particolare:

• l’istituzione, per il periodo 2004-2006, di programmi di vicinato volti a garantire la sicurezza delle frontiere esterne, a rafforzare la cooperazione transfrontaliera su temi comuni (ambiente, salute pubblica, lotta alla criminalità organizzata) e a favorire l’integrazione nello spazio europeo della ricerca e nei settori delle reti di trasporto, delle telecomunicazioni e dell’energia. Tali programmi saranno finanziati con un importo globale di 955 milioni di euro, nell’ambito degli strumenti finanziari esistenti;

• a partire dal 2007, nel quadro delle prospettive finanziarie 2007-2013, l’istituzione di un unico strumento finanziario (Strumento europeo di vicinato e partenariato);

• la pubblicazione di country reports che danno conto dei progressi compiuti da ciascun paese nell’attuazione degli accordi bilaterali e delle relative riforme;

• la predisposizione di piani d’azione per ciascuno dei paesi interessati. Si tratta di strumenti considerati cruciali dalla Commissione nel processo di avvicinamento all’Unione, che non sostituiscono gli accordi di associazione o di cooperazione vigenti ma si avvalgono dell’esperienza acquisita nella loro attuazione. I piani d’azione saranno differenziati, per riflettere lo stato delle relazioni di ciascun paese con l’UE, le sue necessità e capacità, nonché gli interessi comuni, e definiranno il percorso da seguire nei prossimi 3-5 anni. I primi sette piani d’azione (Autorità palestinese, Giordania, Israele, Marocco, Moldova, Tunisia e Ucraina), presentati dalla Commissione il 9 dicembre 2004, sono stati approvati dal Consiglio nella riunione del 13 e 14 dicembre 2004. Per quanto riguarda gli altri paesi (Egitto, Libano, Armenia, Azerbaigian e Georgia), il 25 aprile 2005 il Consiglio, su proposta della Commissione, ha deciso di intensificare le relazioni reciproche. Per Egitto e Libano si tratta di predisporre al più presto i piani d’azione (la decisione di negoziare i piani d’azione è stata già presa dal Consiglio nel dicembre 2004); per i paesi del Caucaso meridionale il Consiglio ha invitato la Commissione ad avviare i lavori congiunti per allestire i piani d’azione.

Aiuto ai Paesi terzi

Il 29 settembre 2004, nel quadro delle prospettive finanziarie 2007-2013, la Commissione ha presentato proposte volte a sostituire l'attuale insieme di

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strumenti finanziari destinati all’erogazione dell'aiuto ai Paesi terzi (“assistenza esterna”) con un quadro più semplice ed efficace. La Commissione propone:

• uno strumento per l’assistenza preadesione (anche detto IPA) dedicato ai paesi candidati (Turchia e Croazia) e ai paesi candidati potenziali (Balcani occidentali), che dovrebbe sostituire gli strumenti esistenti PHARE, ISPA, SAPARD, CARDS, come pure una serie di specifici regolamenti (COM (2004) 627);

• uno strumento europeo di vicinato e partenariato (anche detto ENPI) dedicato ai Paesi terzi che partecipano alla politica europea di vicinato, (COM (2004) 628). Dovrebbe sostituire il programma MEDA e, in parte, il programma TACIS. Lo strumento fornirà sostegno anche al partenariato strategico dell’Unione europea con la Russia. Una componente specifica e innovativa di questo strumento consiste nella cooperazione transfrontaliera, la quale interesserà regioni degli Stati membri e dei paesi vicini che condividono una frontiera comune;

• uno strumento per la cooperazione allo sviluppo e la cooperazione economica dedicato a tutti quei paesi, territori e regioni che non possono beneficiare dell’assistenza erogata dai due precedenti strumenti (COM (2004) 629);

• uno strumento per la stabilità, finalizzato a reagire alle situazioni di crisi e di instabilità nei paesi terzi e ad affrontare i problemi di carattere transfrontaliero, con particolare riguardo alla sicurezza e alla non proliferazione nucleare nonché alla lotta contro i traffici illegali, la criminalità organizzata e il terrorismo (COM (2004) 630).

Le proposte avanzate dalla Commissione sono in attesa di essere esaminate dal Consiglio e dal Parlamento europeo, ad eccezione di quella relativa allo strumento di cooperazione allo sviluppo e cooperazione economica, che è stata respinta dal Parlamento europeo in prima lettura e ritirata dalla Commissione il 15 marzo 2006.

Nel quadro della riforma dell’assistenza esterna proposta dalla Commissione, i nuovi strumenti forniranno gli atti giuridici di base per le spese comunitarie a sostegno dei programmi di cooperazione esterna, compresi i programmi tematici, vale a dire i programmi di natura orizzontale, specializzati per tema. In questo contesto, il 25 gennaio 2006 la Commissione ha adottato sette nuovi programmi tematici (diritti umani e democratizzazione; Investire nelle persone; ambiente e gestione sostenibile delle risorse naturali, compresa l’energia; sicurezza alimentare; organizzazioni non governative e autorità locali; migrazione e asilo; cooperazione con i paesi industrializzati), destinati a sostituire i 15 attualmente esistenti. Tali programmi si propongono di corrispondere ad obiettivi politici che non sono geograficamente delimitati e che non possono essere raggiunti attraverso programmi a carattere nazionale e regionale.

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Prospettive finanziarie dell’UE 2007-2013

Le prospettive finanziarie stabiliscono, in relazione alle priorità politiche da esse individuate, il quadro delle grandi categorie di spesa del bilancio dell’Unione europea, indicando il massimale e la composizione delle spese prevedibili per ogni categoria nell’intero periodo di riferimento e in ciascuno degli anni in esso ricompresi. L’adozione delle prospettive finanziarie, che non è espressamente prevista dal Trattato CE, è operata - a partire dal 1988 - mediante la conclusione di un accordo interistituzionale tra Parlamento europeo, Consiglio e Commissione.

Le risorse proprie sono i mezzi di finanziamento dell’Unione. Il Consiglio, deliberando all’unanimità su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento europeo, stabilisce le disposizioni relative al sistema delle risorse proprie della Comunità di cui raccomanda l’adozione da parte degli Stati membri, in conformità delle loro rispettive norme costituzionali.

L'accordo sulle prospettive finanziarie e la decisione sulle risorse proprie in vigore sono state adottate per il periodo 2000-2006 e scadono il 31 dicembre 2006.

Il 4 aprile 2006 Parlamento europeo, Consiglio dell'UE e Commissione europea hanno raggiunto un accordo sulle prospettive finanziarie e sulle risorse proprie 2007-2013, al termine di un negoziato complesso, caratterizzato da forti divergenze tra istituzioni europee e soprattutto tra Stati membri in merito al volume complessivo del bilancio dell’UE, nonché alle priorità politiche e ai relativi stanziamenti. L’intesa dovrà ora essere trasfusa in un accordo interistituzionale approvato formalmente dalle tre istituzioni.

L’accordo prevede un massimale complessivo di spesa dell’1,048% del reddito nazionale lordo (RNL) europeo in stanziamenti di impegno (pari a 864,316 miliardi di euro) e dell' 1% in stanziamenti di pagamento (pari a 820,780 miliardi di euro).

Il Consiglio europeo del 15-16 dicembre 2005 aveva concordato un massimale in stanziamenti di impegno dello 1,045% del RNL europeo (pari a 862,4 miliardi di euro), rispetto all'1,24 (pari a 1025 miliardi di euro) proposto originariamente dalla Commissione e all'1,18% (pari a 974,8 miliardi di euro) richiesto dal Parlamento europeo.

L'accordo del 4 aprile 2006 prevede inoltre, alla fine del 2009, una verifica

intermedia del funzionamento delle prospettive finanziarie da parte della Commissione europea, cui dovrà essere associato il Parlamento europeo.

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La Camera dei deputati ha seguito attivamente e costantemente il negoziato sulle prospettive finanziarie 2007-2013, attraverso diversi strumenti e procedure.

In particolare, le Commissioni V e XIV hanno svolto a partire da marzo 2004 un’indagine conoscitiva sulle prospettive finanziarie e sulla politica di coesione.

Specifici impegni al Governo in merito al negoziato sulle prospettive finanziarie sono inoltre contenuti nelle risoluzioni approvate dalla Camera in esito all’esame delle relazioni sulla partecipazione dell’Italia all’Unione europea per l’anno 2003 e per l’anno 2004, nonché nella risoluzione approvata a conclusione dell’esame del programma di lavoro per il 2005 della Commissione europea e del programma operativo annuale per il 2005 del Consiglio.

Le questioni relative alle prospettive finanziarie 2007-2013 hanno inoltre costituito oggetto di approfondimento nell’ambito di riunioni ed incontri interparlamentari cui hanno partecipato delegazioni della Camera dei deputati.

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La strategia di Lisbona

Gli obiettivi

Il Consiglio europeo di Lisbona del marzo 2000 ha definito una serie di azioni volte a far sì che entro il 2010 l’Unione europea consegua l’obiettivo di diventare l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale.

Gli obiettivi della strategia - rilanciati nella revisione intermedia della primavera 2005, che ha riorientato le priorità verso la crescita e l’occupazione - consistono in:

• migliorare le politiche in materia di società dell’informazione e di ricerca e sviluppo tecnologico;

• modernizzare il modello sociale europeo; • promuovere un contesto economico sano e prospettive di crescita

favorevoli applicando un’adeguata combinazione di politiche macroeconomiche;

• integrare pienamente la dimensione ambientale nelle politiche per lo sviluppo.

Il Consiglio europeo di Lisbona, inoltre, ha previsto che il Consiglio europeo si riunisca ogni primavera, sulla base di una relazione annuale della Commissione, per valutare lo stato di attuazione della strategia.

Con la revisione intermedia si è inteso anche coinvolgere tutte le forze interessate (Parlamenti, autorità locali, parti sociali e società civile) nella migliore realizzazione della strategia, che è stata orientata in un ciclo triennale.

La Commissione ha presentato le linee direttrici integrate per la crescita e l’occupazione per il periodo 2005-2008, approvate dal Consiglio europeo di giugno 2005.

Sulla base delle linee direttrici, gli Stati membri hanno definito programmi di riforma nazionali, che sono stati oggetto di consultazione con le parti interessate e successivamente esaminati dalla Commissione europea.

Come complemento dei programmi nazionali di riforma, a luglio 2005 la Commissione ha presentato una comunicazione sul programma comunitario di Lisbona 2005-2008 relativo alle azioni da intraprendere a livello comunitario a favore della crescita e dell’occupazione.

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Il Consiglio europeo di primavera 2006

Il Consiglio europeo di primavera del 23 e 24 marzo 2006, accogliendo favorevolmente la relazione annuale presentata dalla Commissione sui progressi nell’attuazione della strategia di Lisbona rinnovata, ha convenuto quanto segue:

• definizione di settori specifici per azioni prioritarie da attuare entro la fine del 2007: - aumentare gli investimenti nella ricerca e nell’innovazione; - liberare il potenziale delle imprese, in particolare delle piccole e medie imprese; - accrescere le opportunità di lavoro per le categorie prioritarie (giovani, donne, lavoratori anziani, immigrati legali e minoranze etniche);

• definizione di una nuova politica energetica per l’Europa • misure che devono essere assunte a tutti i livelli per mantenere lo slancio

in tutti i pilastri del partenariato per la crescita e l’occupazione.

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La proposta di direttiva sui servizi nel mercato interno

Il 16 febbraio 2006 il Parlamento europeo ha approvato in prima lettura – con 394 voti favorevoli, 215 contrari e 33 astensioni – la relazione predisposta dall’on. Evelyne Gebhardt (Partito socialista europeo) sulla proposta di direttiva relativa ai servizi nel mercato interno (COM(2004)2) (cosiddetta “direttiva Bolkenstein”).

La proposta, che segue la procedura di codecisione, è stata presentata dalla Commissione il 13 gennaio 2004 e si inserisce nel processo di riforme economiche varato dal Consiglio europeo di Lisbona (23-24 marzo 2000) al fine di fare dell’Unione europea, entro il 2010, l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e più dinamica del mondo.

L’obiettivo della proposta è quello di stabilire un quadro giuridico che elimini gli ostacoli alla libertà di stabilimento dei prestatori di servizi ed alla libera circolazione dei servizi tra Stati membri.

La proposta iniziale della Commissione – che aveva sollevato in tutti i gruppi politici del Parlamento europeo preoccupazioni sui possibili rischi di riduzione dell’acquis comunitario nel settore sociale – è stata sostanzialmente modificata dall’esame parlamentare.

Il testo approvato dal Parlamento europeo ribadisce l’obiettivo della proposta iniziale relativamente alla liberalizzazione dei servizi, sottolineando al contempo la necessità di assicurare un elevato livello di qualità dei servizi stessi. E’ stabilito, inoltre, che la direttiva non pregiudica le disposizioni comunitarie in materia di concorrenza e aiuti di Stato.

L’esame del Parlamento europeo si è focalizzato, in particolare, su alcuni punti controversi:

• campo di applicazione (art. 2): relativamente a questo aspetto, il testo adottato dal Parlamento europeo ribadisce quanto previsto nella proposta della Commissione, ovvero l’esclusione dei servizi di interesse generale. A questo riguardo gli Stati membri restano liberi di definire, conformemente al diritto comunitario, quelli che essi considerano servizi d'interesse generale, nonché di determinare le modalità di organizzazione e di finanziamento di tali servizi e gli obblighi specifici cui essi devono sottostare. La direttiva si applica, tuttavia, ai servizi di interesse economico generale, ovvero ai servizi che corrispondono ad un’attività economica e sono aperti alla concorrenza quali i servizi postali, i servizi di trasmissione, distribuzione e fornitura di energia elettrica e di gas o i servizi di distribuzione e di fornitura idrica. Oltre a tutta una serie di settori indicati espressamente nel testo adottato dal Parlamento europeo, sono inoltre escluse dal campo di applicazione della direttiva le materie disciplinate da disposizioni comunitarie specifiche come quelle sul

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distacco dei lavoratori, l’esercizio delle attività televisive o le qualifiche professionali;

• principio del Paese di origine (art. 16): la formulazione iniziale prevedeva la possibilità per un prestatore di fornire i propri servizi in uno Stato membro diverso da quello di appartenenza unicamente in base alla legislazione dello Stato membro di origine. Il Parlamento europeo ha sostituito questo principio con quello della “libera circolazione dei servizi” in base al quale per la fornitura dei servizi si applica la legislazione del paese in cui essi vengono effettivamente prestati. Inoltre, si fa obbligo agli Stati membri di rispettare il diritto del prestatore di fornire i propri servizi liberamente sul suo territorio senza imporre requisiti discriminatori, ingiustificati e sproporzionati tranne che per motivi di pubblica sicurezza, protezione dell'ambiente e sanità pubblica;

• distacco dei lavoratori (artt. 24 e 25): il Parlamento europeo ha soppresso le disposizioni relative al distacco dei lavoratori, ritenendo che questa questione ricada nel campo di applicazione della direttiva 96/71/CE relativa al distacco di lavoratori nell’ambito di una disciplina di servizi.

Il 4 aprile 2006 la Commissione ha presentato una proposta modificata che riprende in larga misura il testo adottato in prima lettura dal PE, in particolare per quanto riguarda la soppressione del principio del Paese di origine e la sua sostituzione con quello relativo alla libera circolazione dei servizi, nonché l’inclusione dei servizi di interesse economico generale nel campo di applicazione della direttiva proposta. La Commissione ha, inoltre, deciso di escludere dal campo di applicazione della direttiva proposta una serie di servizi, fra cui i servizi sanitari, alcuni dei quali saranno oggetto di iniziative specifiche.

Nella stessa data la Commissione ha presentato una comunicazione relativa agli “Orientamenti riguardanti il distacco dei lavoratori effettuato nell’ambito di una prestazione di servizi” al fine di facilitare l’applicazione della citata direttiva 96/71/CE.

Il testo modificato della proposta sarà ora trasmesso al Consiglio che, nelle intenzioni della Presidenza austriaca, dovrebbe raggiungere un accordo politico nel mese di giugno.

Esame presso la Camera dei deputati La Camera dei deputati ha promosso una serie di iniziative dedicate

all’esame della proposta di direttiva, anche al fine di definire una posizione italiana da difendere nelle opportune sedi europee.

La proposta è stata esaminata dalle Commissioni riunite X (Attività produttive) e XIV (Politiche dell’Unione europea) che hanno anche proceduto all’audizione congiunta di eurodeputati italiani e rappresentanti del Governo.

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In conclusione dei lavori, il 25 gennaio 2006, le Commissioni hanno adottato un documento finale con il quale si invita il Governo ad adoperarsi nelle competenti sedi decisionali comunitarie affinché la proposta di direttiva si configuri come un atto giuridico “quadro” senza la previsione di norme di dettaglio, preveda l’elencazione puntuale dei settori a cui si applica, definisca meglio il principio del paese di origine per scongiurare forme di dumping sociale ed eviti il rischio di intaccare i sistemi nazionali volti ad assicurare un’alta qualità dei servizi e la tutela dei consumatori.

Riforma della PAC

Il 19 ottobre 2005 la Commissione europea ha presentato una comunicazione dal titolo “Semplificare e meglio legiferare nel quadro della politica agricola comune” (COM(2005)509), con la quale presenta sia nuove misure “orizzontali” (volte ad armonizzare i meccanismi di gestione ed a sopprimere atti giuridici considerati obsoleti), sia nuove misure “politiche” come il riesame del settore dell’agricoltura biologica, degli ortofrutticoli ed entro il 2006 dell’organizzazione comune dei mercati (OMC) del settore vitivinicolo. Il dibattito sulla comunicazione, con i suggerimenti degli Stati membri, sarà utilizzato dalla Commissione per la messa a punto di un piano d’azione per la PAC che verrà presentato nel corso del 2006.

Sulla comunicazione della Commissione, che deve ancora essere esaminata dal Parlamento europeo, il Consiglio agricoltura ha approvato conclusioni il 20 dicembre 2005 in cui, in particolare, sottolinea la necessità che la semplificazione tecnica riduca gli oneri amministrativi connessi alla normativa (e non solo il volume di questa).

Il 2 dicembre 2005 il Governo britannico ha presentato il documento “A vision for the Common Agricultural Policy”, con il quale presenta le sue riflessioni sul futuro della politica agricola europea. Sulla base di un giudizio fortemente negativo sui costi elevati che l’attuale PAC impone a consumatori e contribuenti, vengono prospettate una serie di linee di riforma da attuare nell’arco del prossimo quindicennio.

Nella riunione del Consiglio agricoltura del 20 marzo 2006, dodici paesi dell’UE (Italia, Francia, Grecia, Spagna, Irlanda, Cipro, Lituania, Lussemburgo, Ungheria, Polonia, Portogallo, e Slovenia) hanno presentato un “Memorandum sull’applicazione e il futuro della politica agricola comune (PAC) riformata” con il quale precisano la loro posizione su alcuni elementi del dibattito in corso sul futuro dell’agricoltura europea.

L'8 febbraio 2006 la Commissione ha presentato un progetto di regolamento della Commissione, finalizzato ad un riordino del vigente regolamento sull'esenzione degli aiuti di Stato a favore delle piccole e medie

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imprese agricole. Scopo della proposta è di semplificare la normativa sugli aiuti di Stato all'agricoltura e di agevolare gli aiuti di emergenza.

Pesca

Il 14 luglio 2004, la Commissione ha presentato una proposta di regolamento sul nuovo Fondo europeo per la pesca (FEP) (COM(2004)497). In base alla proposta, il FEP non farà più parte dei fondi strutturali, diversamente dall’attuale strumento finanziario di orientamento della pesca (SFOP); conseguentemente la base giuridica del nuovo Fondo sarà costituita dall’art. 37 del Trattato CE e non più dalle disposizioni del Trattato in materia di politica di coesione economica e sociale. Il FEP dunque sostituirà lo SFOP dal 1° gennaio 2007 e coprirà il nuovo periodo di programmazione finanziaria 2007-2013.

Il 6 luglio 2005, la proposta è stata esaminata, nell’ambito della procedura di consultazione, dal Parlamento europeo che l’ha approvata con emendamenti. La proposta è in attesa di essere approvata dal Consiglio.

Il 9 marzo 2006 la Commissione ha presentato una comunicazione sulle strategie volte a migliorare la situazione economica del settore della pesca (COM(2006)103), segnato attualmente da una crisi aggravata dai recenti aumenti del prezzo del carburante. Le misure proposte, relative a interventi sia a breve che a più lungo termine, comprendono anche aiuti al salvataggio e alla ristrutturazione dei pescherecci.

La comunicazione è in attesa di essere esaminata dal Parlamento europeo. Il Consiglio ne ha iniziato la discussione il 25 aprile 2006.

La Commissione europea ha presentato nel 2003 una proposta di regolamento relativa alle misure di gestione per lo sfruttamento sostenibile delle risorse della pesca nel Mar Mediterraneo (COM(2003)589).

Il 9 giugno 2005 il Parlamento europeo ha esaminato la proposta, nell’ambito della procedura di consultazione, approvandola con emendamenti. La proposta è in attesa di essere approvata dal Consiglio.

Salute e benessere degli animali

Il 23 gennaio 2006, la Commissione europea ha presentato una comunicazione su un programma d’azione comunitario per la protezione ed il benessere degli animali 2006-2010 (COM(2006)13) nella quale vengono individuate le principali aree di intervento in cui concentrare le iniziative.

Sulla comunicazione, che è in attesa di essere esaminata dal Parlamento europeo, il Consiglio ha svolto una prima discussione il 20 febbraio 2006.

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Il 30 maggio 2005 la Commissione ha presentato una proposta di direttiva che stabilisce norme minime per la protezione dei polli allevati per la produzione di carne e le misure relative ad un eventuale regime comunitario in materia di etichettatura della carne di pollo (COM(2005)221).

Il 14 febbraio 2006 il Parlamento europeo ha esaminato la proposta, nell’ambito della procedura di consultazione, approvandola con emendamenti.

Biocarburanti

Il 7 dicembre 2005, la Commissione ha presentato una comunicazione relativa ad un piano d’azione per la biomassa (COM(2005)628), con la quale vengono illustrate alcune misure volte a: intensificare lo sviluppo di energia dalla biomassa ricavata dal legno, dai rifiuti e dalle colture agricole, comprese le barbabietole, al fine di promuovere i biocarburanti nell’UE; avviare i preparativi per un uso su vasta scala dei biocarburanti; sostenere i paesi in via di sviluppo in cui la produzione di biocarburanti potrebbe promuovere una crescita economica sostenibile.

Il 23 gennaio 2006 il Consiglio agricoltura ha svolto un primo dibattito sulla comunicazione nel corso del quale la maggior parte delle delegazioni ha sottolineato l’impatto positivo dell’utilizzo dei biocarburanti soprattutto dal punto di vista della dipendenza dell’UE dalle energie fossili. Alcune delegazioni hanno suggerito di incrementare il livello del premio per le colture energetiche. Il 23 marzo 2006 il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione con la quale appoggia la promozione dello sfruttamento di colture per scopi energetici.

A completamento del piano d’azione per la biomassa, l’ 8 febbraio 2006 la

Commissione ha presentato una comunicazione sulla strategia comunitaria per la promozione dei biocarburanti (COM(2006)34), volta ad incentivare la produzione di combustibili da materie prime agricole. Nel documento vengono stabilite le direttrici principali delle misure che la Commissione intende adottare per promuovere i biocarburanti: incentivare la domanda di biocarburanti, sfruttare i benefici ambientali, sviluppare la produzione e la distribuzione dei biocarburanti, ampliare la fornitura di materie prime, potenziare le opportunità commerciali, sostenere i paesi in via di sviluppo, sostenere la ricerca nel settore.

Sulla comunicazione, che è in attesa di essere esaminata dal Parlamento europeo, il Consiglio ha iniziato una prima discussione il 20 febbraio 2006.