POLITICA .57 LUNEDÌ 22 FEBBRAIO 2016 LA SICILIA Bonafede ... · del 20 luglio 1992 IL PARROCO HA...

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VENERDÌ 20 LUGLIO 2018 primo piano .3 Bonafede: «Lo Stato oggi qui c’è» Apertura sull’accesso al dossier Sisde L’impegno del governo. Il ministro di Grazia e Giustizia risponde indirettamente a Fiammetta Borsellino e avvisa: «Un popolo senza verità sul passato non può pretendere un futuro di legalità» LEONE ZINGALES PALERMO. «Lo Stato deve assolutamente impe- gnarsi a cercare la verità, io sono qui perché lo Stato vuole essere presente e lanciare un mes- saggio che deve essere forte e chiaro». Il ministro della Giustizia, il siciliano Alfonso Bonafede, in via D’Amelio per commemorare la strage del 19 luglio del 1992 in cui fu ucciso il giudice Paolo Borsellino e gli agenti della sua scorta, annuncia iniziative del Governo sulla strage del 1992. «La lotta alla mafia 26 anni dopo la strage - ha aggiunto Bonafede - non può che essere sempre più determinata, la ricerca della verità è l’obiet- tivo più importante. Ne hanno diritto i familiari delle vittime e il popolo italiano. Si parla della storia di questo paese, di uno dei suoi momenti più bui». Il ministro ha confermato di avere incontrato la figlia minore del magistrato assassinato, Fiammetta Borsellino: «L'ho incontrata privata- mente, dunque preferisco non parlare del nostro colloquio». «Tra le domande per la ricerca della verità sul- la strage di via d’Amelio poste da Fiammetta Borsellino - ha proseguito il “Guardasigilli” - di cui è destinatario il governo, c'è quella relativa agli atti del Sisde. Mi faccio promotore di vaglia- re la richiesta per dare risposte». «Avevo delle resistenze a salire oggi sul palco, perchè ai tempi delle stragi del '92 avevo 16 anni e in questi 26 anni ho sentito solo parole, parole parole, tantissime parole di persone che pro- mettevano di impegnarsi, poi però i risultati non arrivavano mai. Dopo 26 anni - ha proseguito Bonafede - quella strage non è più lontana, l’im- pegno dello Stato non può essere minore, ma al contrario deve essere maggiore ora che stanno emergendo ombre sulla storia di questo Paese, con uno Stato che è stato forse complice, negli- gente e non ha saputo proteggere i propri uomi- ni. Ciascuno nel proprio ruolo - ha aggiunto - de- ve cercare e trovare la verità, una verità che de- vono pretendere non solo i familiari ma il popolo italiano perché un popolo che non conosce la ve- rità sul proprio passato non può pretendere un futuro di legalità. Occorre investire sulle nuove generazioni, ma anche ringraziare la parte bella di questo Paese fatta da magistrati che si impe- gnano ogni giorno, che combattono in trincea, dagli agenti delle forze dell’ordine che ogni gior- no compiono il proprio dovere. Dobbiamo com- battere per un futuro in cui si potrà servire lo Sta- to senza sentirsi eroi. "Penso che il più bel mes- saggio che possa essere dato non siano parole, ma un fatto: lo Stato oggi in via D’Amelio c'è. Un uomo dello Stato che rappresenta la giustizia in Italia credo debba sentire il dovere di essere qui. Ancora di più oggi, mentre stanno emergendo ombre sulla storia di questo Paese che mostrano uno Stato forse complice di quello che stava ac- cadendo, negligente e che non ha saputo proteg- gere i propri uomini e servitori. Lo Stato di oggi deve cercare e trovare quella verità che deve pretendere ogni familiare delle vittime, ma an- che il popolo italiano». Salvatore Borsellino, fratello del giudice ucciso 26 anni fa, ieri col ministro Bonafede L’analisi QUEL GIUDICE RIGOROSO E IL CONFINE TRA EROISMO CIVILE E MARTIRIO CRISTIANO di Massimo Naro F u il più giovane giudice italiano, quando - nel 1963 - vinse il concorso per entrare in magistratura. Da lì in avanti avrebbe maturato un’esperienza grandissima, specialmente in materia di reati di stampo mafioso. Dico “esperienza”, mentre penso a Paolo Borsellino, perché la sua giurisprudenza non si risolse soltanto in dottrina giuridica e non fu meramente teorica, attenta cioè esclusivamente alla lettera dei codici e ai cavilli che vi si nascondono. Il suo sape- re giuridico, piuttosto, fece tutt’uno con il suo vissuto di per- sona giusta, la sua osservanza delle leggi fu l’abito di cui si rivestiva la sua interiore giustizia. Fu così che la legalità, nella sua vicenda - come in quella di Giovanni Falcone e di tante altre vittime innocenti delle mafie - non si travisò in retorica e men che meno degenerò in tornaconto carrieri- stico, ma s’intrecciò effettivamente con la giustizia. È per questo motivo che hanno parimenti ragione coloro che lo ricordano come un eroe della legalità e quelli che in- vece cominciano a reputarlo un vero e proprio martire della giustizia, nell’accezione peculiarmente cristiana che all’e- spressione diede Giovanni Paolo II quando, nel maggio 1993, qui in Sicilia, riferendosi al “giudice ragazzino” Rosa- rio Livatino, ammazzato dalla mafia agrigentina nel 1990, parlò appunto dei «martiri della giustizia e, indirettamente, della fede». Mi pare opportuno salvaguardare la distinzione tra eroi- smo civile e martirio cristiano, senza però esasperarla in distanza. Per riuscirvi bisogna ricomprendere il senso del martirio cristiano nel quadro della moderna secolarizza- zione, la quale - nell’Occidente di antica ma svigorita tradi- zione cristiana - ha metabolizzato così a fondo le istanze evangeliche da giungere a concepirle quasi “naturalmen- te”, in termini ormai impliciti, non più consapevolmente ri- feriti all’esempio di Cristo. Si pensi allo slogan attribuito a Voltaire - «Non la penserò mai come te, ma sono disposto a morire affinché tu dica il tuo parere» - che, mentre assimila l’insegnamento di Gesù secondo cui occorre porgere l’altra guancia e amare anche i nemici, rende paradossalmente superflua o almeno improbabile la possibilità di essere ucci- si - in un Paese come l’Italia di oggi - a causa delle proprie convinzioni d’ordine religioso. In un tale contesto culturale l’intreccio tra legalità e giusti- zia impersonato da Borsellino mi pare giunga a tradursi in una testimonianza molto significativa. La legalità si può considerare come la facciata esterna di un monumentale palazzo che ha la sua parte più bella nelle stanze più interne. Ma si sa: una facciata non sempre corri- sponde a ciò che sta dietro. Si può dare addirittura il caso di una facciata che non ha nulla dietro, puntellata debolmente come le scene cartonate di un teatro, destinata prima o poi a cadere e a svelare il vuoto che nasconde. Oppure, più otti- misticamente, pur annerita dallo smog e usurata dal tempo, una facciata può custodire inopinate bellezze. Insomma, si possono immaginare legalità e giustizia rispettivamente come la facciata esterna e come le dimore interne di una casa. O come il viso e come il cuore di una persona. L’integrazione fra legalità e giustizia mette la prima al ripa- ro dal rischio di essere solo una posa di comodo. E di abortire nel suo contrario, cioè nella corruzione. Che è ciò che papa Francesco ha detto stando in mezzo alla gente di Scampia, a Napoli, nel marzo 2015: «È una tentazione, è uno scivolare verso gli affari facili, verso la delinquenza, verso i reati, ver- so lo sfruttamento delle persone. Una cosa corrotta è una cosa sporca e puzza. La corruzione puzza! La società corrot- ta puzza! Un cristiano che lascia entrare dentro di sé la cor- ruzione non è cristiano, puzza». E anche Borsellino, direi non a caso, parlando nell’atrio del- la Biblioteca Comunale di Palermo - il 25 giugno 1992, un mese dopo l’assassinio di Giovanni Falcone e qualche setti- mana prima di essere a sua volta ucciso - affermò: «La lotta alla mafia, il primo problema da risolvere nella nostra terra bellissima e disgraziata, non doveva essere soltanto una di- staccata opera di repressione, ma un movimento culturale e morale che coinvolgesse tutti e specialmente le giovani ge- nerazioni, le più adatte - proprio perché meno appesantite dai condizionamenti e dai ragionamenti utilitaristici che fanno accettare la convivenza col male - a sentire subito la bellezza del fresco profumo di libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e, quindi, della complicità». La legalità in Borsellino non si travisò in retorica ma s’intrecciò con la giustizia I misteri di via D’Amelio Il pool di investigatori che si occupò della strage ha costruito “uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana”. Il funzionario di polizia che lo guidava, Arnaldo La Barbera, morto nel 2002, è coinvolto anche nella sparizione dell’agenda rossa Borsellino non se ne separava mai; è sparita dopo l'attentato. Nel 2013 riappare in un lungo video girato dai Vigili del Fuoco subito dopo la strage Subito dopo l'esplosione viene notato un poliziotto trasferito mesi prima da Palermo a Firenze L'esplosivo utilizzato potrebbe essere stato inserito in un grande bidone di metallo e non nella Fiat 126 come hanno sempre detto i collaboratori di giustizia LA SENTENZA DEI GIUDICI DI CALTANISSETTA LA PRESENZA ANOMALA DOVE FU MESSO L'ESPLOSIVO L'AGENDA ROSSA 19 LUGLIO 1992 Palermo SICILIA Favorita PALERMO via D'Amelio

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LA SICILIALUNEDÌ 22 FEBBRAIO 2016

.57la PPOLITICA

VENERDÌ 20 LUGLIO 2018

primo piano2.VENERDÌ 20 LUGLIO

LA SICILIALUNEDÌ 22 FEBBRAIO 2016

.57la PPOLITICA

2018

primo piano .3

Strage di via D’Amelio«COLORIAMOVIA D’AMELIO»L’omaggio deipalermitani in viaD’Amelioall’ombradell’alberod’ulivo piantatodalla madre delgiudice

Borsellino, monito di Mattarella«Continuare a cercare la verità»Spinta alle indagini nel giorno del ricordo del magistrato e dei cinque agenti di scortaI figli si ritrovano nella chiesa frequentata dal padre, distanti dalle celebrazioni ufficiali

26 ANNI DOPO

TROPPEDOMANDESENZARISPOSTE

TONY ZERMO

Ventisei anni dopola strage Borselli-no si è capito una

cosa sola: e cioè che l’in -chiesta fu depistata dal-la task force di 40 uomi-ni guidata da Arnaldo LaBarbera, capo della mo-bile di Palermo e ancheagente Sisde. I magi-strati che erano alloraalla Procura di Caltanis-setta hanno sbagliatodando credito alle risul-tanze delle indagini de-gli inquirenti sul campo,ma a questo punto biso-gna capire perché LaBarbera, detto “Faccia dicane”, ha depistato. A-veva uno scopo perso-nale? Era stato mano-vrato da qualcuno chevoleva affossare la veri-tà su Via D’Amelio? E inquesto caso perché? C’èpoi un’altra domandache merita risposta:perché hanno uccisocon tanta fretta Borselli-no, meno di due mesidopo la strage Falcone?Il motivo della bomba diCapaci era lo stesso del-l’autobomba di Via D’A-melio? Insomma, biso-gnerà continuare a in-dagare perché finora èstato tutto sbagliato siapure da parte di magi-strati considerati inte-gerrimi.

Personalmente ab-biamo una convinzione,e cioè che la pista è quel-la dei soldi, delle cointe-ressenze tra potentatieconomico-politici eCosa Nostra. Parliamo diappalti pubblici, di rici-claggio, di traffico d’ar -mi, ma non solo. Il man-cato attentato alla villadi Falcone all’Addaura èrivelatore: l’esplosivosulla spiaggetta dovevauccidere non solo Falco-ne, ma anche i due giu-dici svizzeri esperti diriciclaggio che stavanocollaborando con Falco-ne. I carabinieri del Rosdi Palermo avevano sco-perto una parte dell’in -treccio con il loro dos-sier su “Mafia&Appalti”,ma allora procuratorecapo era Giammancoche non prese in consi-derazione l’inchiesta.

C’è ancora un mondosommerso da scoprire eFalcone e Borsellino sa-pevano bene di rischia-re, per cui il primo dice-va «la mia vita vale me-no dei bottoni della miagiacca» e l’altro, più pa-triottico, diceva che«dulce et decorum estpro Patria mori». Chepeccato averli perduti.

LEONE ZINGALES

PALERMO. La tradizionale fiaccolatada piazza Vittorio Veneto sino a viaD’Amelio ha concluso ieri sera a Pa-lermo la tre giorni dedicata alle vit-time della strage del 19 luglio 1992in cui caddero il giudice Paolo Bor-sellino e cinque agenti della poliziadi Stato. Alla fiaccolata - promossada “Comunità ’92” e “Forum XIX Lu-glio”, - hanno partecipato, tra gli al-tri, il presidente della Regione sici-liana, Nello Musumeci, ed il sindacodi Catania Salvo Pogliese.

Davvero tanti i momenti di rifles-sione, i dibattiti, gli incontri e le per-formance artistiche che si sono sus-seguiti sin dal mattino.

La giornata si era aperta con la dif-fusione, dal Quirinale, di una dichia-razione del presidente della Repub-blica: «Onorare la memoria del giu-dice Borsellino e delle persone chelo scortavano - ha sottolineato Ser-gio Mattarella - significa anche nonsmettere di cercare la verità suquella strage. A ventisei anni di di-stanza sono vivi il ricordo e la com-mozione per il vile attentato di viad’Amelio, in cui hanno perso la vitail giudice Paolo Borsellino e gli a-genti Agostino Catalano, Walter Ed-die Cosina, Vincenzo Li Muli, Ema-nuela Loi, Claudio Traina. Borsellinoera un giudice esemplare: probo, ri-servato, coraggioso e de-terminato».

«Le sue inchieste - haconcluso Mattarella - han-no costituito delle pietremiliari nella lotta contro lamafia in Sicilia. Insiemecon il collega e amico Gio-vanni Falcone, Borsellino èdiventato, a pieno titolo, ilsimbolo dell’Italia checombatte e non si arrendedi fronte alla criminalitàorganizzata».

Alle 16,58, ora dellastrage di via D’Amelio, aPalermo, alcune centinaiadi persone presenti per lemanifestazioni dell’anni-versario, hanno osservatoun minuto di silenzio nellastrada dove il 19 luglio di26 anni fa, Cosa nostra ha assassina-to il giudice Paolo Borsellino e i 5agenti della polizia di Stato.

Poi sono stati intonati il Silenzio el’inno di Mameli cui è seguito unlungo applauso. Molti giovani han-no alzato verso l'alto la mano che te-

neva l’agenda rossa simbolo dellarichiesta di verità e giustizia sullastrage.

Tanti bambini in festa hanno par-tecipato, sempre in via D’Amelio, al-l’evento organizzato per le scuole e

Don Cosimoscordato mostrala lettera scrittadalla nipote diBorsellino; sottoi figli in chiesa

al quale ha preso parte Rita Borselli-no. Il sindaco di Palermo Leoluca Or-lando e l'assessore alla Scuola, Gio-vanna Marano, hanno partecipato almomento educativo dove sono sta-te organizzate attività di animazio-ne, laboratori, letture per bambini eragazzi, nell'ambito dell’iniziativa“Coloriamo via D’Amelio”.

All'iniziativa era presente anche ilMinistro della Pubblica IstruzioneMarco Bussetti.

Il capo della polizia Franco Ga-brielli ha deposto una corona di fioripresso il reparto scorte alla caserma"Lungaro".

Presenti a Palermo il presidentedell’Associazione nazionale magi-strati, Francesco Minisci, ed i com-ponenti del Comitato direttivo del-l’Anm, che hanno visitato il Giardi-no della Memoria di via Ciaculli diPalermo, il sito confiscato alla mafia

e gestito da Unione cronisti e Asso-ciazione magistrati.

“E’ un luogo che toglie il respiro,che ci inorgoglisce e che fa riflettere– ha detto il presidente dell’Anm,Francesco Minisci – tanto più che lavisita è coincisa con l’anniversariodella strage di via D’Amelio. Per laprima volta il comitato direttivocentrale dell’Anm si è riunito fuoriRoma e per la prima volta visitaquesto luogo significativo della bor-gata di Ciaculli».

La notizia della stragedi via D’Amelio su La Siciliadel 20 luglio 1992

IL PARROCO HA LETTO UN PENSIERINO DELLA NIPOTINA

«Caro nonno ti voglio benee se fossi qui ti coccolerei»PALERMO. La parrocchia frequentata dalla famiglia eun rito privatissimo prima che la piazza e le cele-brazioni ufficiali. Così i figli e i nipoti di Paolo Bor-sellino hanno vissuto la giornata dedicata al dolo-roso ricordo della strage di via D’Amelio.

I familiari del giudice si sono ritrovati per un mo-mento privatissimo nella chiesa di San FrancescoSaverio, frequentata dal magistrato ucciso 26 annifa e dalla moglie Agnese Piraino Leto. «Ci sono mol-ti momenti per ricordare. Lo abbiamo fatto merco-ledì sera in via D’Amelio dove mia nonna ha pian-tato un albero d’ulivo. E lo stiamo facendo adesso,in questa chiesa partecipando alla cerimonia reli-giosa», ha detto Fiammetta Borsellino, seduta ac-canto ai fratelli Lucia e Manfredi. Tutti insieme,con gli occhi lucidi e i visi tirati ma con la massimaattenzione, hanno ascoltato le parole pronunciatedal parroco Don Vito Scordato, che ha citato anchealcuni episodi della vita del magistrato. «Quandoassisteva alla messa - ha detto don Cosimo - eraquasi una presenza invisibile, si metteva in ginoc-chio in segno di dedizione nei confronti del Signo-re». Don Cosimo poi ha indicato ai fedeli una sta-tuetta della Madonna, donata alla chiesa del quar-tiere dell’Albergheria dalla compianta Agnese Bor-sellino, sistemata nel lato destro della chiesa.

«Il dono del Signore - ha osservato don Scordatodurante l’omelia - passa attraverso la testimonian-

za dei nostri martiri della giustizia, beati i perse-guitati per causa della giustizia. Oggi chiediamoche venga soddisfatto il desiderio di verità, chetutti noi condividiamo. La verità possa risplenderenella sua pienezza e farsi luce fino in fondo, nonper desiderio di vendetta, ma per liberarci di quel-le ombre e tenebre che ancora dopo tutti questianni, accompagnano la nostra vita. Si senta ugual-mente responsabile chi ha commesso delle omis-sioni - ha aggiunto il prete di frontiera - non solo leazioni implicano una responsabilità, ci sono anchele omissioni, per le quali si è ugualmente respon-sabili» .

Un altro momento emozionante è arrivatoquando don Scordato ha letto un pensierino scrittodalla figlioletta di Manfredi: «Caro nonno mi di-spiace per il 19 luglio 1992. Certo se tu fossi vivoavresti capito quanto ti coccolerei. Ti voglio bene.La tua nipotina». Il messaggio era accompagnatoda un disegno che raffigurava un grande cuore co-lorato.

Dopo la funzione i cronisti hanno avvicinato ilprefetto Antonella De Miro per un ricordo di PaoloBorsellino: «L'esempio di Paolo e di coloro che so-no morti vittime della mafia a difesa della giustiziae verità deve dare alle nostre Istituzioni forza indifesa della legalità».

L. Z.

DEPOSITATE LE MOTIVAZIONI. Secondo la Corte che ha emesso la sentenza il ruolo che aveva assunto Marcello Dell’Utri rafforzò anche i piani Riina

La trattativa Stato-mafia accelerò la fine del magistratoLARA SIRIGNANO

PALERMO. In 37 anni in magistratura non ha mai depositatouna sentenza fuori termine. Un record che in molti ritene-vano avrebbe infranto nel processo più importante dellasua carriera. Ma Alfredo Montalto, presidente della corted’assise di Palermo che ha celebrato il dibattimento sullacosiddetta trattativa Stato-mafia, ha smentito le previsio-ni e allo scadere dei 90 giorni, termine annunciato per il de-posito delle motivazioni della sentenza, ha consegnato lasua verità su uno dei periodi più bui del Paese, quello dellestragi mafiose degli anni '90. Il caso ha poi voluto che il ma-stodontico provvedimento - oltre 5000 pagine - che rico-struisce i rapporti che pezzi dello Stato ebbero con cosa no-stra in quel periodo sia stato depositato in un giorno parti-colare: quello del 26esimo anniversario della strage costa-ta la vita a Paolo Borsellino e agli agenti della scorta. Un ca-pitolo importante del provvedimento della corte è dedica-to proprio all’attentato di via D’Amelio la cui esecuzione, a

parere dei giudici, sarebbe stata accelerata proprio dallacosiddetta trattativa. «Ove non si volesse prevenire allaconclusione dell’accusa che Riina abbia deciso di uccidereBorsellino temendo la sua opposizione alla trattativa - scri-ve la corte - conclusione che peraltro trova una qualcheconvergenza nel fatto che secondo quanto riferito dallamoglie, Agnese Piraino Leto, Borsellino, poco prima di mo-rire, le aveva fatto cenno a contatti tra esponenti infedelidelle istituzioni e mafiosi, in ogni caso non c'è dubbio chequell'invito al dialogo pervenuto dai carabinieri attraversoVito Ciancimino costituisca un sicuro elemento di novitàche può certamente avere determinato l’effetto dell’acce -lerazione dell’omicidio di Borsellino, con la finalità di ap-profittare di quel segnale di debolezza proveniente dalleistituzioni dello Stato».

Un’accusa forte all’iniziativa degli ufficiali del Ros MarioMori, Antonio Subranni e Giuseppe De Donno, condannatia pene pesantissime per il reato di minaccia a Corpo politi-co dello Stato, e alla loro decisione di avviare un contatto

con i boss corleonesi di Riina attraverso l’ex sindaco mafio-so Vito Ciancimino. E un lunghissimo capitolo della sen-tenza è dedicato a Marcello Dell’Utri, condannato a 12 an-ni, come i carabinieri, per minaccia a Corpo politico delloStato. Come i militari del Ros avrebbe rafforzato il pianocriminale di Riina «con l'apertura alle esigenze dell’asso -ciazione mafiosa Cosa nostra, manifestata nella sua fun-ziona di intermediario dell’imprenditore Berlusconi nelfrattempo sceso in campo in vista delle politiche del 1994,rafforzò il proposito criminoso dei vertici mafiosi di prose-guire con la strategia ricattatoria iniziata da Riina nel1992». «Per anni, fino al 1994 almeno, - spiegano poi - fuintermediario tra l’ex premier e la mafia». E se pur non cisono prove dirette «dell’inoltro della minaccia mafiosa daDell’Utri a Berlusconi ci sono ragioni logico-fattuali che in-ducono a non dubitare che Dell’Utri abbia riferito a Berlu-sconi quanto di volta in volta emergeva dai suoi rapporticon l’associazione mafiosa Cosa nostra mediati da VittorioMangano».

ALFREDO MONTALTOpresidente della corted’assise di Palermo che hacelebrato il dibattimentosulla trattativa Stato-mafia

Alle 16,58 sono stati ricordati ilmagistrato ed i 5 agenti di poliziadel Nucleo scorte

Bonafede: «Lo Stato oggi qui c’è»Apertura sull’accesso al dossier SisdeL’impegno del governo. Il ministro di Grazia e Giustizia risponde indirettamente a FiammettaBorsellino e avvisa: «Un popolo senza verità sul passato non può pretendere un futuro di legalità»

LEONE ZINGALES

PALERMO. «Lo Stato deve assolutamente impe-gnarsi a cercare la verità, io sono qui perché loStato vuole essere presente e lanciare un mes-saggio che deve essere forte e chiaro». Il ministrodella Giustizia, il siciliano Alfonso Bonafede, invia D’Amelio per commemorare la strage del 19luglio del 1992 in cui fu ucciso il giudice PaoloBorsellino e gli agenti della sua scorta, annunciainiziative del Governo sulla strage del 1992.

«La lotta alla mafia 26 anni dopo la strage - haaggiunto Bonafede - non può che essere semprepiù determinata, la ricerca della verità è l’obiet -tivo più importante. Ne hanno diritto i familiaridelle vittime e il popolo italiano. Si parla dellastoria di questo paese, di uno dei suoi momentipiù bui».

Il ministro ha confermato di avere incontratola figlia minore del magistrato assassinato,Fiammetta Borsellino: «L'ho incontrata privata-mente, dunque preferisco non parlare del nostro

colloquio».«Tra le domande per la ricerca della verità sul-

la strage di via d’Amelio poste da FiammettaBorsellino - ha proseguito il “Guardasigilli” - dicui è destinatario il governo, c'è quella relativaagli atti del Sisde. Mi faccio promotore di vaglia-re la richiesta per dare risposte».

«Avevo delle resistenze a salire oggi sul palco,perchè ai tempi delle stragi del '92 avevo 16 annie in questi 26 anni ho sentito solo parole, paroleparole, tantissime parole di persone che pro-mettevano di impegnarsi, poi però i risultati nonarrivavano mai. Dopo 26 anni - ha proseguitoBonafede - quella strage non è più lontana, l’im -pegno dello Stato non può essere minore, ma alcontrario deve essere maggiore ora che stannoemergendo ombre sulla storia di questo Paese,con uno Stato che è stato forse complice, negli-gente e non ha saputo proteggere i propri uomi-ni. Ciascuno nel proprio ruolo - ha aggiunto - de-ve cercare e trovare la verità, una verità che de-vono pretendere non solo i familiari ma il popolo

italiano perché un popolo che non conosce la ve-rità sul proprio passato non può pretendere unfuturo di legalità. Occorre investire sulle nuovegenerazioni, ma anche ringraziare la parte belladi questo Paese fatta da magistrati che si impe-gnano ogni giorno, che combattono in trincea,dagli agenti delle forze dell’ordine che ogni gior-no compiono il proprio dovere. Dobbiamo com-battere per un futuro in cui si potrà servire lo Sta-to senza sentirsi eroi. "Penso che il più bel mes-saggio che possa essere dato non siano parole,ma un fatto: lo Stato oggi in via D’Amelio c'è. Unuomo dello Stato che rappresenta la giustizia inItalia credo debba sentire il dovere di essere qui.Ancora di più oggi, mentre stanno emergendoombre sulla storia di questo Paese che mostranouno Stato forse complice di quello che stava ac-cadendo, negligente e che non ha saputo proteg-gere i propri uomini e servitori. Lo Stato di oggideve cercare e trovare quella verità che devepretendere ogni familiare delle vittime, ma an-che il popolo italiano».

SalvatoreBorsellino,fratello delgiudice ucciso 26anni fa, ieri colministroBonafede

L’analisi

QUEL GIUDICE RIGOROSO E IL CONFINE TRA EROISMO CIVILE E MARTIRIO CRISTIANOdi Massimo Naro

Fu il più giovane giudice italiano, quando - nel 1963 -vinse il concorso per entrare in magistratura. Da lì inavanti avrebbe maturato un’esperienza grandissima,

specialmente in materia di reati di stampo mafioso. Dico“esperienza”, mentre penso a Paolo Borsellino, perché la suagiurisprudenza non si risolse soltanto in dottrina giuridica enon fu meramente teorica, attenta cioè esclusivamente allalettera dei codici e ai cavilli che vi si nascondono. Il suo sape-re giuridico, piuttosto, fece tutt’uno con il suo vissuto di per-sona giusta, la sua osservanza delle leggi fu l’abito di cui sirivestiva la sua interiore giustizia. Fu così che la legalità,nella sua vicenda - come in quella di Giovanni Falcone e ditante altre vittime innocenti delle mafie - non si travisò inretorica e men che meno degenerò in tornaconto carrieri-stico, ma s’intrecciò effettivamente con la giustizia.È per questo motivo che hanno parimenti ragione coloroche lo ricordano come un eroe della legalità e quelli che in-vece cominciano a reputarlo un vero e proprio martire dellagiustizia, nell’accezione peculiarmente cristiana che all’e-spressione diede Giovanni Paolo II quando, nel maggio

1993, qui in Sicilia, riferendosi al “giudice ragazzino” Rosa -rio Livatino, ammazzato dalla mafia agrigentina nel 1990,parlò appunto dei «martiri della giustizia e, indirettamente,della fede».Mi pare opportuno salvaguardare la distinzione tra eroi-smo civile e martirio cristiano, senza però esasperarla indistanza. Per riuscirvi bisogna ricomprendere il senso delmartirio cristiano nel quadro della moderna secolarizza-zione, la quale - nell’Occidente di antica ma svigorita tradi-zione cristiana - ha metabolizzato così a fondo le istanzeevangeliche da giungere a concepirle quasi “naturalmen -te”, in termini ormai impliciti, non più consapevolmente ri-feriti all’esempio di Cristo. Si pensi allo slogan attribuito aVoltaire - «Non la penserò mai come te, ma sono disposto amorire affinché tu dica il tuo parere» - che, mentre assimilal’insegnamento di Gesù secondo cui occorre porgere l’altraguancia e amare anche i nemici, rende paradossalmentesuperflua o almeno improbabile la possibilità di essere ucci-si - in un Paese come l’Italia di oggi - a causa delle proprieconvinzioni d’ordine religioso.

In un tale contesto culturale l’intreccio tra legalità e giusti-zia impersonato da Borsellino mi pare giunga a tradursi inuna testimonianza molto significativa.La legalità si può considerare come la facciata esterna di unmonumentale palazzo che ha la sua parte più bella nellestanze più interne. Ma si sa: una facciata non sempre corri-sponde a ciò che sta dietro. Si può dare addirittura il caso diuna facciata che non ha nulla dietro, puntellata debolmentecome le scene cartonate di un teatro, destinata prima o poia cadere e a svelare il vuoto che nasconde. Oppure, più otti-misticamente, pur annerita dallo smog e usurata dal tempo,una facciata può custodire inopinate bellezze. Insomma, sipossono immaginare legalità e giustizia rispettivamentecome la facciata esterna e come le dimore interne di unacasa. O come il viso e come il cuore di una persona.L’integrazione fra legalità e giustizia mette la prima al ripa-ro dal rischio di essere solo una posa di comodo. E di abortirenel suo contrario, cioè nella corruzione. Che è ciò che papaFrancesco ha detto stando in mezzo alla gente di Scampia, aNapoli, nel marzo 2015: «È una tentazione, è uno scivolare

verso gli affari facili, verso la delinquenza, verso i reati, ver-so lo sfruttamento delle persone. Una cosa corrotta è unacosa sporca e puzza. La corruzione puzza! La società corrot-ta puzza! Un cristiano che lascia entrare dentro di sé la cor-ruzione non è cristiano, puzza».E anche Borsellino, direi non a caso, parlando nell’atrio del-la Biblioteca Comunale di Palermo - il 25 giugno 1992, unmese dopo l’assassinio di Giovanni Falcone e qualche setti-mana prima di essere a sua volta ucciso - affermò: «La lottaalla mafia, il primo problema da risolvere nella nostra terrabellissima e disgraziata, non doveva essere soltanto una di-staccata opera di repressione, ma un movimento culturale emorale che coinvolgesse tutti e specialmente le giovani ge-nerazioni, le più adatte - proprio perché meno appesantitedai condizionamenti e dai ragionamenti utilitaristici chefanno accettare la convivenza col male - a sentire subito labellezza del fresco profumo di libertà che fa rifiutare il puzzodel compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguitàe, quindi, della complicità».

La legalitàinBorsellinonon sitravisò inretoricamas’intrecciòcon lagiustizia

I misteri di via D’Amelio

Il pool di investigatoriche si occupò della strageha costruito “unodei più gravi depistaggidella storia giudiziariaitaliana”.Il funzionario di poliziache lo guidava,Arnaldo La Barbera,morto nel 2002,è coinvolto anche nellasparizione dell’agenda rossa

Borsellino non se ne separava mai; è sparita dopo l'attentato. Nel 2013riappare in un lungo video girato dai Vigili del Fuoco subito dopo la strage

Subito dopo l'esplosione viene notato un poliziotto trasferitomesi prima da Palermo a Firenze

L'esplosivo utilizzato potrebbeessere stato inserito in un grandebidone di metallo e non nella Fiat126 come hanno sempre dettoi collaboratori di giustizia

LA SENTENZA DEI GIUDICIDI CALTANISSETTA

LA PRESENZAANOMALA

DOVE FU MESSOL'ESPLOSIVO

L'AGENDAROSSA

19 LUGLIO 1992

Palermo

SICILIA

Favorita

P A L E R M O

via D'Amelio