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11° Rapporto sulla mobilità in Italia - Rapporto finale – Roma, 28 maggio 2014 P P O O C C A A L L U U C C E E I I N N F F O O N N D D O O A A L L T T U U N N N N E E L L C COME RIPARTIRE DOPO LA CRISI

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11° Rapporto sulla mobilità in Italia

- Rapporto finale –

Roma, 28 maggio 2014

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Lo studio è stato realizzato da un gruppo di lavoro misto Isfort-ANAV-ASSTRA diretto da Carlo Carminucci per Isfort, da Guido del Mese per ASSTRA e da Tullio Tulli per ANAV. In particolare, la redazione delle diverse sezioni del Rapporto, revisionate da Carlo Carminucci, va attribuita nel seguente modo: Carlo Carminucci per le Considerazioni introduttive, la Prima parte e la Quinta parte, Giuseppe Alfieri (ANAV), Antonello Lucente (ANAV), Emanuele Proia (ASSTRA), Elisa Meko (ASSTRA) e Teresa Pierro (ASSTRA) per la Seconda parte, Massimo Procopio (Isfort) per la Terza parte e la Quinta parte, Luca Trepiedi (Isfort) per la Quarta parte. Eleonora Pieralice (Isfort) ha curato le elaborazioni statistiche e l’apparato grafico della Prima parte. Angela Cesaroni (Isfort) ha curato l’editing del testo.

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INDICE

CONSIDERAZIONI INTRODUTTIVE E DI SINTESI I RISCHI DELL’USCITA DALLA CRISI I PARTE PRIMA IL MONITORAGGIO DELLA DOMANDA. I segnali della ripresa 1 1. Ripartono i consumi di mobilità 3 2. La ritirata del trasporto sostenibile 10

2.1. La mobilità collettiva non aggancia la ripresa 10 2.2. Meno trasporto pubblico negli spostamenti urbani 16 2.3. Il quadro più incoraggiante della mobilità extra-urbana 26

3. Ancora stabile il fronte della qualità percepita dei servizi 32 PARTE SECONDA IL MONITORAGGIO DELL’OFFERTA. In fase di pericolosa contrazione 39 1. Descrizione del lavoro e profili metodologici 41 2. I dati di produzione 44 3. I dati economici 57

3.1. I ricavi 57 3.2. Le tariffe 60 3.3. I costi della produzione 67

4. Le evidenze dell’analisi gestionale 68 PARTE TERZA IL FOCUS SULLA MOBILITÀ PRIVATA. Meno auto, più vecchie 71 1. Introduzione 73 2. Le automobili, le moto e gli incidenti stradali 80

2.1. Il parco auto diminuisce ma con alcune eccezioni rilevanti 80 2.2. Diminuiscono gli incidenti, un po’ meno quelli più gravi 86

3. Gli strumenti dissuasivi della mobilità privata nelle città capoluogo di provincia 90 3.1. Gli stalli di sosta e le zone a traffico limitato 90 3.2. Le isole pedonali e le piste ciclabili 93

PARTE QUARTA IL BENCHMARK EUROPEO. Presente e futuro della mobilità urbana nell’opinione dei cittadini UE 95 1. Introduzione 97 2. La percezione dei problemi 100 3. Le abitudini di trasporto 106

3.1. L’auto non domina ovunque 106 3.2. Le differenze tra Paesi 108 3.3. I principali profili socio-demografici delle scelte modali 113

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4. L’opinione sulle politiche e gli scenari futuri 118 4.1. Le misure più efficaci in Europa 118 4.2. La posizione specifica degli italiani sulle “scelte da compiere” 119 4.3. L’orientamento all’innovazione 122

5. Quale futuro? Fatalismo senza rassegnazione (o quasi) 128 PARTE QUINTA L’INDAGINE SUGLI SCENARI. Dove va il Trasporto Pubblico Locale in Italia 131 1. Uscire dal passato (introduzione) 133 2. Avanti con moderazione (l’andamento del mercato) 136 3. La riforma del settore, grande incompiuta 139 4. Vincoli da rimuovere 145 5. Il futuro da costruire: i driver del cambiamento, i temi in agenda 149 6. La vischiosità delle relazioni industriali 156 7. Per concludere e riepilogare: le priorità sulle cose da fare 158

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Considerazioni introduttive e di sintesi

I rischi dell’uscita dalla crisi

1. A guardare la misura delle variazioni registrate nel quadro della mobilità degli italiani sembra che nel 2013 poco sia cambiato. Eppure, proprio le pieghe di modulazioni apparentemente modeste delle serie storiche disegnano uno scenario potenzialmente nuovo per il trasporto dei passeggeri (si veda come di consueto il cruscotto con gli indicatori principali di andamento della mobilità, Tav. 1).

Tre indicatori, sopra a tutti, lasciano presagire l’apertura di un nuovo ciclo.

In primo luogo, secondo le stime dell’Osservatorio “Audimob” di Isfort la domanda di mobilità ha invertito il trend negativo nel quale era sprofondata da ormai quattro anni ed ha messo un segno positivo: +2,8% di spostamenti, +9,6% di passeggeri*km. Un incremento non marginale, insufficiente tuttavia a recuperare i livelli pre-crisi. Ma di straordinaria importanza: si inverte una lunga fase recessiva, in un anno, il 2013, ancora in profondo rosso per l’economia italiana (-1,9% di PIL, -2,6% di consumi delle famiglie).

In secondo luogo, la mobilità sostenibile non intercetta questa linea di ripresa della domanda e anzi tende ad un pericoloso arretramento. Da un lato, i modi di trasporto senza motore, e in particole la mobilità pedonale, subiscono un’ulteriore erosione della propria quota modale - in declino ormai da diversi anni -, scendendo al 17,1% del totale delle percorrenze; dall’altro lato il trasporto pubblico nel suo insieme registra nel 2013 una diminuzione dei passeggeri nell’ordine del -1,9% (circa mezzo milione in meno nel giorno medio feriale) e la sua quota modale riferita ai soli mezzi motorizzati scende al 13,6%, dal 14,3% del 2012, interrompendo una striscia positiva che proseguiva dal 2007 (con un’unica pausa nel 2009). Viceversa, l’automobile nel 2013 torna a guadagnare mercato, sia in valore assoluto (+4,1% di passeggeri), sia nella quota modale motorizzata (dall’82% del 2012 all’82,7% del 2013).

In terzo luogo, dal lato dell’offerta (i dati si fermano al 2012) continua la progressiva erosione della quantità di servizi di trasporto pubblico erogati (-2,8% nel 2012, -4,4% nel triennio 2010-2012) e, contestualmente, continua la riduzione dei passeggeri trasportati (-3,2% nel 2012, -4,5% nel triennio 2010-2012). L’indagine condotta su un sottocampione di aziende conferma che anche nel 2013 si è registrato un segno negativo nell’andamento dei passeggeri (attorno al -4%), confermando le stime di “Audimob”.

Per riassumere: i consumi di mobilità ripartono, il trasporto sostenibile riduce l’offerta di servizi, perde passeggeri e peggiora il modal split.

Il tempo della crisi non ha dunque prodotto effetti tangibili di riposizionamento degli stili di mobilità dei cittadini. E ora che sembra affacciarsi la ripresa paradossalmente si chiude un ciclo di opportunità e le prospettive per il trasporto

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sostenibile peggiorano. Per ciò che riguarda i mezzi non motorizzati, c’è una tendenza strutturale al declino che sembra derivare soprattutto dagli effetti progressivi dei processi di dispersione territoriale del tessuto residenziale e di espansione sregolata delle aree metropolitane, con il conseguente allungamento delle percorrenze e una minore capacità “di presa” di mercato da parte dei vettori senza motore (il tragitto a piedi è necessariamente di prossimità, quello in bicicletta non può spingersi troppo oltre il breve raggio).

Per il trasporto pubblico la questione è più complessa. Come è stato ampiamente sottolineato nelle analisi proposte negli anni passati, diversi fattori di contesto hanno giocato a sfavore della mobilità collettiva, in primo luogo le perduranti incertezze del quadro normativo e regolatorio. Dal lato aziendale, poi, l’aumento dei costi dei fattori di produzione (lavoro, materie prime, servizi…) ha creato tensioni economiche e finanziarie nella gestione vanificando gli sforzi prodotti, insufficienti a dire il vero, per recuperare efficienza. A ciò si aggiungono da un lato la debolezza delle politiche nazionali e locali “di sistema” per promuovere modelli di mobilità più sostenibili alle diverse scale, e dall’altro lato gli aumenti tariffari generalizzati che in assenza di miglioramenti tangibili dei servizi offerti non hanno favorito il miglioramento dell’immagine del trasporto pubblico presso la platea di utenti attuali e potenziali. E sopra a tutto i tagli al settore per i servizi e per gli investimenti i cui effetti perversi dispiegano in pieno, a distanza di qualche, gli effetti negativi sulla capacità competitiva del settore

Un insieme di concause, insomma, che non ha messo il settore nelle condizioni ottimali per intercettare il calo di domanda del trasporto individuale. Alla fine i consumi si sono assestati su livelli molto più bassi, senza avviare percorsi significativi di riequilibrio modale.

In verità, il monitoraggio dell’offerta evidenzia anche qualche minimo processo di inversione di tendenza di segno positivo. Ad esempio, dopo sette anni si riduce leggermente l’età media degli autobus, indice di uno sforzo di investimento con risorse proprie che qualche azienda ha positivamente prodotto. Inoltre, nel 2012 la quota percentuale di aziende che ha chiuso il bilancio in negativo, pari al 37%, è scesa leggermente rispetto al 41% del 2011 e al 40% del 2010 (va detto tuttavia che per molte aziende il 2013 è stato un anno di grande difficoltà nella gestione del bilancio). Continua poi il lento miglioramento, per frazioni decimali, del rapporto ricavi da traffico/costi operativi, rimanendo tuttavia ben distante dalla soglia storica del 35% prevista dal d.lgs 422/1997.

Segnali di miglioramento, dunque, che indirettamente sembrano registrare almeno un effetto positivo dei tagli delle risorse, ovvero l’incentivo ad efficientare l’organizzazione aziendale e l’offerta dei servizi. Ma segnali troppo deboli per marcare un processo di cambiamento strutturale e per contenere in modo significativo il peggioramento del quadro di riposizionamento della mobilità collettiva, e più in generale della mobilità sostenibile, nelle nuove dinamiche del mercato del trasporto passeggeri, urbano ed extra-urbano.

Lo scenario che si prospetta rischia infatti di penalizzare ulteriormente il settore. La dinamica degli ultimi 10-15 anni mostra che, nelle condizioni attuali di operatività, il mezzo pubblico si rafforza in Italia solo quando si piega la curva dei consumi di mobilità e si innesta un po’ di effetto di sostituzione tra i vettori di trasporto (dal

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modo individuale più costoso al modo collettivo più economico). Alle soglie della ripresa della domanda di mobilità – o forse già dentro, come si è appena detto – gli spazi di crescita del trasporto pubblico potrebbero allora restringersi piuttosto che allargarsi.

2. D’altra parte, i problemi del trasporto pubblico locale in Italia sono numerosi e attraversano una pluralità di dimensioni tematiche: il quadro delle norme e delle regole, l’interferenza della politica, il nodo dei finanziamenti pubblici, le politiche di settore centrali e locali, l’innovazione dei servizi, l’assetto industriale, la qualità manageriale, le relazioni industriali… Si potrebbe andare avanti con un lungo elenco, ormai talmente reiterato nell’agenda di operatori, istituzioni ed esperti da risultare del tutto sterile.

Il paradosso storico del trasporto pubblico locale italiano si è sviluppato a partire da una evidente asimmetria: una grande complessità dell’assetto organizzativo e gestionale – tra mercato e politica, tra pubblico e privato, tra rigidità dell’offerta e centralità della domanda, tra esigenze di pianificazione e libertà di impresa –, che richiede peraltro un livello adeguato di competenze tecniche intersettoriali (normative, regolatorie, pianificatorie, manageriali), alla quale si contrappone una sostanziale residualità del settore, sia nella percezione dei cittadini (utenti e non utenti), sia nell’attenzione politica e strategica assegnata dalle istituzioni.

Quanto sia distorcente questo paradosso è di una tale evidenza che non c’è bisogno di argomentare troppo. È sufficiente ricordare che il trasporto pubblico svolge un ruolo centrale e insostituibile nell’organizzazione dei sistemi di mobilità in molti Paesi e città europee. E l’Unione Europea ha progressivamente costruito attorno agli assi del trasporto pubblico urbano e locale, e degli altri sistemi alternativi al mezzo individuale, la prospettiva della mobilità sostenibile - a beneficio anche delle scale territoriali allargate -, che a sua volta contribuisce in misura determinante a sviluppare l’Europa dell’innovazione, della sostenibilità e dell’inclusione (secondo la nota tematizzazione dell’Europa 2020).

Una prospettiva e una dinamica che vanno purtroppo nella direzione opposta di quanto accade in Italia, dove il trasporto pubblico locale non si è mai sollevato dalle secche delle tante criticità che lo affliggono, sommerso da una incredibile stratificazione di norme, regole, proposte di riforma, dibattiti, che hanno finito per confondere la visione lucida dei nodi reali di sviluppo del settore.

E i risultati “di mercato”, come si è appena visto, sono ben al di sotto della funzione che i mezzi collettivi dovrebbe assolvere per soddisfare le esigenze di mobilità delle persone nel Paese. Con poche eccezioni, si registrano diffusamente nei territori e nelle città bassi volumi di passeggeri trasportati, quote modali poco più che residuali, carenze oggettive nell'offerta dei servizi.

Se non resta che scommettere sul perdurare della crisi per guadagnare mercato, è evidente che i problemi del trasporto pubblico locale richiedono di essere affrontati con una diversa e più incisiva strategia di sistema. Il punto nodale non è tanto la pur necessaria soluzione delle singole criticità esistenti: come migliorare l’efficienza aziendale, come ricomporre il frammentato quadro normativo, come incrementare le risorse per il settore, e così via. La questione cruciale appare sempre più quella

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di come (ri)portare il trasporto pubblico al centro dell’organizzazione della mobilità, in particolare nelle grandi aree urbane e nei sistemi territoriali locali. Ciò significherebbe fare una scelta netta a favore della mobilità sostenibile e assegnare al mezzo pubblico la funzione di spina dorsale di un nuovo assetto sostenibile del trasporto alle diverse scale territoriali.

Proprio con l’obiettivo di raccogliere idee e suggerimenti per rivedere in profondità le politiche del trasporto pubblico locale in Italia, e per capire meglio lungo quali prospettive esso si muove, è stata effettuata – novità assoluta per i Rapporti sulla mobilità curati da Isfort-Asstra-Anav - un’indagine quali-quantitativa sugli scenari di evoluzione del settore, coinvolgendo un panel qualificato di aziende, istituzioni ed esperti.

All’illustrazione dei risultati dell’indagine è dedicata la quinta parte di questo Rapporto, alla quale ovviamente si rimanda per una lettura di dettaglio. E’ tuttavia opportuno, in questa sede introduttiva, richiamare alcuni punti-chiave emersi dall’indagine.

Il primo punto è lo scenario di mercato. Il panel degli intervistati vede il mercato del Tpl dominato da una dinamica inerziale e tuttavia sospeso nell’attesa di una possibile, improvvisa accelerazione. Non ci sono ad oggi fatti significativamente nuovi, dal versante delle aziende come dal versante istituzionale, che lascino prevedere per i prossimi 2-3 anni un forte incremento o all’inverso una forte riduzione dei passeggeri trasportati. La dinamica inerziale si muove quindi lungo il crinale della crisi economica, che da un lato premia il mezzo pubblico (meno costoso per i cittadini), ma dall’altro riduce la domanda complessiva di mobilità. I due effetti sembrano compensarsi, con prospettive migliori per il trasporto collettivo nelle aree urbane, dove gradualmente si implementano misure di contenimento della congestione, rispetto all’extra-urbano, e per il ferro rispetto alla gomma. Le previsioni sono comunque difficili perché il mercato del Tpl è significativamente condizionato dalle scelte di governo, nazionale e locali: gli investimenti infrastrutturali, le risorse per i servizi e il rinnovo delle flotte, le liberalizzazioni, le politiche di regolazione dell’uso dell’auto, una migliore pianificazione dei servizi, e così via. Se si accelera su questi fronti, accelera anche il mercato del Tpl.

Il secondo punto sono i vincoli allo sviluppo del settore.

Si è partiti dalla valutazione, risultata molto negativa (senza sorpresa), su quanto è stata attuata la riforma del Tpl (ex D.lgs. 422/1997). Anche in prospettiva si prevedono pochi avanzamenti nel percorso della riforma, nonostante la presenza di alcuni obblighi/incentivi: definizione di un quadro normativo maggiormente pro-concorrenziale, incentivi ad una migliore pianificazione e programmazione dei servizi, aziende in grande affanno che devono abbattere i costi e recuperare efficienza per sopravvivere.

Si è poi arrivati alla focalizzazione dei nodi di sempre, le questioni definibili come “inaggirabili” che continuano a stagliarsi sullo sfondo del quadro di problematicità del settore: la questione normativa (frammentata, ridondante, incerta, vischiosa, mutevole…) e regolatoria (su tutti il nodo della commistione tra politica e gestione aziendale), la questione dei finanziamenti (che devono essere certi e definiti; sul

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quantum e sulle finalizzazioni le opinioni invece divergono), la questione della politica (storica assenza di un’attenzione strategica nazionale per il settore) e delle policy locali (deboli, frammentate, senza visione integrata, comunque lasciate alla buona volontà delle singole Amministrazioni). Le questioni “inaggirabili” per lo sviluppo del Tpl riemergono con tutta la loro portata nelle valutazioni condivise del panel. Vanno affrontate con urgenza, perché senza questo scavalcamento l’innesto di ogni percorso di sviluppo non è proponibile.

Il terzo punto guarda alle altre dimensioni tematiche su cui il Tpl italiano mostra tutta la sua debolezza e che devono essere, anch’esse, affrontate senza indugi.

Due in particolare raccolgono segnalazioni praticamente unanimi dal panel: il deficit di pianificazione e di capacità di lettura della domanda di mobilità da un lato (dal lato delle politiche di settore), la gestione aziendale secondo logiche industriali dall’altro lato (dal lato delle imprese e degli assetti industriali). Queste due dimensioni attraversano i giudizi su una serie di questioni divisive oggetto dell’attuale dibattito sul futuro del Tpl, quali i processi di aggregazione aziendale, i bacini allargati (regionali) per l’affidamento dei servizi, l’integrazione gomma-ferro. Se c’è un corretto approccio di analisi della domanda e di pianificazione, e se la spinta a nuovi assetti industriali e di mercato premia il progetto imprenditoriale piuttosto che il consenso politico, si può tecnicamente discutere di tutte le soluzioni, fuori da schemi ideologici e con l’idea di coniugare strumenti standard di alta qualità (protocolli di gara e di regolazione, linee guida per una buona pianificazione ecc.) con la personalizzazione delle soluzioni e delle politiche nei diversi contesti territoriali. Senza queste coordinate, le scelte che si operano (incentivi a superare la frammentazione delle imprese, bacini definiti su perimetri amministrativi, gare integrate gomma-ferro ecc.) rischiano di essere risucchiate nei meccanismi perversi dell’interferenza della politica nella pianificazione e nella gestione aziendale, della tutela del consenso elettorale, delle liberalizzazioni di facciata, di un gigantismo aziendale inefficiente e del tutto statico.

Il quarto punto, infine, strettamente connesso a quello precedente, esplora le nuove domande per un futuro di cambiamento del settore e i ruoli che conseguentemente dovranno competere alla politica e alle aziende. Qui la visione del panel è piuttosto chiara e convergente. Il trasporto pubblico deve puntare con decisione sull’innovazione dei servizi, sui nuovi paradigmi tecnologici, su modalità finalmente chiare e trasparenti per stimolare l’efficienza del sistema (introduzione dei costi/fabbisogni standard per l’assegnazione delle risorse e la determinazione dei corrispettivi di servizio), sul confronto concorrenziale seppure con modalità regolate, sulla riappropriazione della leva tariffaria da parte delle aziende (con meccanismi di price cap, da definire in modo tecnicamente corretto). Su questi temi si gioca il futuro del Tpl nel nostro Paese. E i diversi livelli istituzionali di governo del settore devono accompagnare i processi conseguenti, con politiche di investimento di cui c’è urgente necessità (trasporti a guida vincolata nelle aree urbane e un grande piano per lo svecchiamento del materiale rotabile sono i due ambiti maggiormente richiamati), con lo sviluppo degli strumenti di pianificazione a tutte le scale territoriali, con l’applicazione di schemi di regolazione (e anche di pricing) per ridurre la congestione nelle città e migliorare così la performance economica e la qualità dei servizi del trasporto pubblico.

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3. Come ripartire dunque dopo la crisi, nella consapevolezza che l’intera filiera della mobilità sostenibile, e più nello specifico il trasporto pubblico, rischiano di “evaporare” sulle onde della ripresa?

L’indagine qualitativa sugli scenari futuri del Tpl ha in fondo messo in evidenza che ci sono domande articolate provenienti dai diversi soggetti (a partire dai cittadini e dalle aziende), da mettere a sistema in un quadro organico di interventi e di nuovi meccanismi di regolazione.

Occorre quindi una strategia di sistema più complessiva che - per riprendere uno schema interpretativo già usato da Isfort ormai diversi anni fa, ma che torna di sorprendente attualità proprio nel quadro dell’indagine di scenario svolta1 – sia in grado di rimettere il trasporto pubblico “sulla testa” (visione strategica) e “sui piedi” (ascolto della domanda), rafforzando contemporaneamente quattro assi imprescindibili per lo sviluppo del settore:

l’asse della convergenza, che significa ricomporre la grande frammentazione di regole, norme, strumenti di regolazione, policy, anche imprese (dove funzionale a progetti industriali di rafforzamento aziendale), in un quadro unitario che possa rappresentare un’adeguata “cassetta degli attrezzi” per il governo del settore (strumentazione tecnica e buone pratiche per la regolazione, la pianificazione, le politiche locali, il riassetto industriale);

l’asse della personalizzazione, che significa avviare un percorso vero, intenso, profondo per leggere il trasporto pubblico dal “lato della domanda”, dei suoi bisogni particolari, territoriali, quasi individuali; e quindi di concepire soluzioni efficaci il più possibile calibrate sulla specificità dei diversi ambiti locali (o urbani) e dei diversi segmenti dell’utenza (attuale e potenziale);

l’asse del mercato, che significa (dove possibile) ampliare le opportunità a disposizione dei cittadini per scegliere tra soggetti diversi che erogano i servizi o anche tra diverse modalità di trasporto; e che significa evidentemente, dal lato dell’offerta, ampliare la contendibilità dei bacini del trasporto pubblico;

infine, l’asse della “politica”, che traduce in primo luogo la domanda forte di una governance vera del settore, attraverso la quale i cittadini-utenti possano trovare giusti canali di esplicitazione delle loro esigenze (si pensi a come far valere la voce dei cittadini a fronte dei disservizi del trasporto pubblico) e modalità efficaci di aggregazione degli interessi; e in seconda battuta, l’asse della politica chiama in causa la capacità dei regolatori di assicurare il corretto operare dei regolati, agendo sulle leve disponibili di controllo e incentivazione/disincentivazione (es. i contratti di servizio).

Su tutti e quattro i pedali di sviluppo del trasporto pubblico (la convergenza, la personalizzazione, il mercato, la politica) il ritardo del nostro Paese è evidente. C’è bisogno di avanzare, e rapidamente, lungo questi percorsi, con l’obiettivo in di assicurare una direzione unitaria e integrata alle misure che si mettono in campo.

1 Vedi Isfort, “Il trasporto locale oltre la crisi. Mercato e politica nella transizione dei sistemi territoriali

di mobilità”, Ed. Gangemi, 1999, in particolare Vol. I,pp. 58-64

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L’analisi condotta ci ha portato a scrivere, con una visione velata di pessimismo, che “c’è poca luce in fondo al tunnel” di questa lunga crisi per il trasporto pubblico e per la mobilità sostenibile.

Possiamo però aggiungere con certezza che non si tratta di un destino ineluttabile. Ci sono ampie possibilità per raddrizzare la deriva del sistema e rimettere il trasporto pubblico “sulla testa” e “sui piedi”. Bisognerebbe però iniziare seriamente a farlo. E meglio prima che poi.

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Tav. 1 Il cruscotto della mobilità sostenibile

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Il cruscotto della mobilità privata

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Parte prima

IL MONITORAGGIO DELLA DOMANDA I SEGNALI DELLA RIPRESA

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1. Ripartono i consumi di mobilità

Un avvio di ripresa della domanda ha contrassegnato la mobilità degli italiani nel 2013.

Nel giorno medio feriale gli spostamenti complessivi della popolazione italiana (14-80 anni) hanno riagguantato la soglia dei 100 milioni, con un incremento del +2,8% rispetto al 2012 (Tabb. 1 e 1bis). E il volume dei passeggeri*km (il totale delle distanze percorse) è aumentato in misura più sensibile, con una variazione del +9,6% (da 1,26 miliardi del 2012 a 1,38 miliardi nel 2013)1.

Tab. 1 - La dinamica della domanda di mobilità (valori assoluti in milioni) 2013 2012 2011 2010 2009 2008 2000Spostamenti totali in un giorno medio feriale 100,2 97,5 106,6 123,8 125,4 128,1 126,2

Passeggeri*km totali in un giorno medio feriale 1.381,8 1.261,2 1.302,2 1.381,4 1.432,8 1.561,0 1216,2

Fonte: Isfort, Osservatorio “Audimob” sulla mobilità degli italiani

Tab. 1bis - La dinamica della domanda di mobilità (variazioni percentuali)

2012-2013 2008-2013 2000-2013

Spostamenti totali in un giorno medio feriale +2,8 -21,9 -20,4

Passeggeri*km totali in un giorno medio feriale +9,6 -11,5 +13,6

Fonte: Isfort, Osservatorio “Audimob” sulla mobilità degli italiani

1 Come di consueto, si riportano di seguito le necessarie precisazioni metodologiche relative a questa

prima sezione del rapporto. Dove non diversamente indicato tutti i dati di sono elaborati dall’Osservatorio “Audimob” di Isfort. L’Osservatorio “Audimob” si basa su un’estesa indagine telefonica, realizzata con sistema CATI e alimentata da oltre 15000 interviste annue ripartite su 4 survey (una per stagione, tre/quattro settimane per ciascuna stagione). L’Osservatorio è attivo dall’inizio del 2000 e interessa un campione stratificato (per sesso, per età e per regione) statisticamente significativo della popolazione italiana compresa fra 14 e 80 anni. I campioni trimestrali sono indipendenti e “gemelli” (omogenei rispetto alle caratteristiche di base). L’indagine registra in modo dettagliato e sistematico tutti gli spostamenti effettuati dall’intervistato il giorno precedente l’intervista (solo giorni feriali), ad eccezione delle percorrenze a piedi inferiori a 5 minuti. E’ da sottolineare che nel 2012 e nel 2013 le interviste effettuate sono state circa la metà rispetto alla serie storica 2000-2011. Le oltre 7000 interviste realizzate assicurano comunque un margine di errore molto contenuto anche per il 2012 e il 2013 e quindi una piena confrontabilità dei dati in serie storica.

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Si riaccendono i motori dei consumi di mobilità nel Paese, dunque, ed è un segnale di particolare rilievo:

- sia perché l’entità della crescita, come si è appena visto, non è marginale;

- sia perché si interrompe un trend negativo della dinamica della domanda che perdurava dal 2008;

- sia, infine, perché è una variazione positiva che giunge in un anno ancora “in rosso” per l’economia italiana (PIL al -1,9%) e per i consumi delle famiglie (-2,6%).

Non vanno tuttavia trascurati gli elementi di potenziale debolezza di questo scenario di “luce in fondo al tunnel” che sembra delinearsi. L’osservazione sui livelli quantitativi dei consumi di mobilità indica chiaramente che c’è moltissimo terreno ancora da recuperare dopo un ciclo di recessione così lungo e profondo: i 100 milioni di spostamenti del 2013 si confrontano infatti con i 128 milioni del 2008 (-11,9%), e l’1,38 miliardi di passeggeri*km del 2013 con l’1,56 miliardi del 2008 (-11,5%). Rispetto ad inizio millennio, inoltre, il numero di spostamenti registrato nel 2013 è inferiore di oltre 20% (Graf. 1). Da sottolineare la forbice rispetto all’andamento dei passeggeri*km, attestati nel 2013 ad un livello superiore del 13,6% rispetto al 2000.

Il segnale registrato deve poi consolidarsi nel 2014 perché si possa parlare di una inversione di tendenza. Se così fosse, la domanda di mobilità anticiperebbe una ripresa, che seppure in misura molto modesta, caratterizzerà l’economia italiana nel 2014.

Graf. 1 – La dinamica della domanda di mobilità complessiva (spostamenti e passeggeri*km – Numeri indici anno 2000=100)

Fonte: Isfort, Osservatorio “Audimob” sulla mobilità degli italiani

C’è poi una ulteriore considerazione da fare. La crisi economica ha modificato i modelli di mobilità nel nostro Paese, come si è avuto modo di verificare nel corso degli anni, in particolar modo razionalizzando la domanda di trasporto relativa ai consumi più voluttuari e inducendo comportamenti più consapevoli, finalizzati al

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contenimento dei costi. E’ possibile quindi che un assestamento verso il basso dei livelli di mobilità dei cittadini italiani sia strutturale e questa dinamica, a parità di bisogni da soddisfare, di per sé può produrre impatti positivi (migliore finalizzazione del tempo dedicato agli spostamenti e conseguente abbattimento del costo generalizzato del trasporto).

Ma non si tratta dell’unica modifica strutturale in corso nel modello di mobilità degli italiani. Un cambiamento rilevante si registra nella ripartizione tra le percorrenze dentro il perimetro urbano2 e quelle extra-urbane.

Negli ultimi 5 anni si è assistito da un progressivo aumento della quota di mobilità extra-urbana: dal 37,4% delle percorrenze registrate nel 2008 al 41% registrate nel 2013 (Tab. 2). E’ in atto quindi un duplice processo di redistribuzione dei poli di domanda di mobilità sul territorio, da un lato, e soprattutto di allungamento delle percorrenze determinato dalla maggiore distanza tra le origini degli spostamenti (residenze) e i luoghi di destinazione (lavoro, scuola, fruizione del tempo libero), dall’altro lato. In sostanza, i noti fenomeni della dispersione urbana (sprawl), accelerati dalla crisi economica che spinge fasce di popolazione verso le periferie e le corone urbane alla ricerca di condizioni abitative e di vita meno onerose, in questa fase stanno dispiegando in pieno i loro effetti, con un improprio sovraccarico di domanda di pendolarismo.

Tab. 2 – Il peso della mobilità urbana ed extra-urbana (valori assoluti e valori percentuali)

2013 2012 2011 2008 Var %2012-2013 2008-2013

Numero spostamenti urbani in un giorno medio feriale (in milioni) 59,1 58,6 69,9 80,2 -16,2 -22,9

Numero spostamenti extra-urbani in un giorno medio feriale (in milioni) 39,7 37,9 34,1 46,6 -4,7 -14,8

% spostamenti urbani sul totale spostamenti 59,0 60,1 65,6 62,6 (-1,1) (-3,6)

% spostamenti extra-urbani sul totale spostamenti 41,0 39,9 34,4 37,4 (+1,1) (+3,6)

Fonte: Isfort, Osservatorio “Audimob” sulla mobilità degli italiani

Ancora più evidente la dinamica di redistribuzione della mobilità se si fa riferimento al raggio delle percorrenze (Tab. 3). Gli spostamenti locali, a vocazione urbana (non superiori ai 10 km), sono largamente dominanti come è noto, ma il loro monopolio si sta progressivamente incrinando: nel 2000 ben 4 tragitti su 5 non superavano i 10 km, nel 2008 si era già scesi a meno di 3 su 4, nel 2013 la percentuale si attesta sotto il 70% (68,9%). La dislocazione di peso è a favore soprattutto degli spostamenti di media distanza (dal 18,1% del 2000 al 27,7% del 2013) e, in piccola ma significativa misura, a favore della lunga distanza (i viaggi superiori ai 50km nello stesso periodo passano dal 2,1% al 3,3%).

2 La definizione di “mobilità urbana” usualmente adottata nelle precedenti edizioni del Rapporto include

tutti gli spostamenti che l’intervistato dichiara di avere effettuato con origine e destinazione in uno stesso comune, ad eccezione delle percorrenze dichiarate superiori ai 20km.

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Tab. 3 - La ripartizione degli spostamenti totali per lunghezza (valori percentuali)

2013 2012 2011 2008 2000 Var. peso % 2000-2013

Spostamenti a vocazione urbana (fino a 10 km) 68,9 70,4 72,5 73,2 79,8 -10,9

Spostamenti di media distanza (10-50 km) 27,7 26,6 24,6 26,6 18,1 +9,6

Spostamenti di lunga distanza (oltre 50 km) 3,3 3,0 2,9 3,3 2,1 +1,2

Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0

Fonte: Isfort, Osservatorio “Audimob” sulla mobilità degli italiani

Il trend relativo alla lunghezza media degli spostamenti conferma il processo di dilatazione delle distanze. Un processo peraltro di medio-lungo periodo: la lunghezza media dei viaggi è quasi raddoppiata (da 7,7km a 13,8km) dal 2005 al 2013, e comunque un’accelerazione significativa si è registrata nell’ultimo triennio dopo una fase di relativa stabilità (Graf. 2). E’ poi da osservare che l’incremento delle percorrenze medie si è registrato sia in ambito urbano, sia – in misura maggiore -in ambito extra-urbano.

Graf. 2 – Lunghezza e tempi degli spostamenti: l’evoluzione dinamica

Fonte: Isfort, Osservatorio “Audimob” sulla mobilità degli italiani

Il tempo medio di percorrenza (in minuti)

3231

32

3030

313131

37

28

30

32

34

36

38

40

2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013

Il tempo medio di percorrenza (in minuti)22

20

16 16

21 21 2221212120

191919

20

16161515151514

16161616

10

12

14

16

18

20

22

2001

2002

2003

2004

2005

2006

2007

2008

2009

2010

2011

2012

2013

La lunghezza media (in Km)

26,5

24,925,6

23,624,0

25,323,7

24,9

28,6

16

18

20

22

24

26

28

30

2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013

La lunghezza media (in Km)12,9

13,8

4,7 4,8

12,311,2

11,412,211,8

11,710,1

7,7

8,88,79,0

4,84,34,34,24,04,04,35,15,04,74,7

0

2

4

6

8

10

12

14

2001

2002

2003

2004

2005

2006

2007

2008

2009

2010

2011

2012

2013

Spostamenti urbaniSpostamenti totali Spostamenti extraurbani

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Quanto ai tempi medi degli spostamenti il trend è meno lineare. Nell’insieme si rileva una stabilità dei valori in tutto il periodo 2001-2013, con una leggera diminuzione nell’ultimo biennio (dai 22 minuti del 2011 ai 20 minuti del 2013, peraltro lo stesso valore del 2001). Evidentemente il calo della domanda di mobilità e del traffico, accompagnato da un maggior peso dei viaggi extra-urbani, sta determinando un incremento della velocità media degli spostamenti e quindi il tempo medio dedicato agli spostamenti stessi resta stabile o addirittura decrementa.

La seconda modifica strutturale della domanda di mobilità che viene in evidenza riguarda la distribuzione dei viaggi per motivazione.

Le Tabb. 4, 4bis e 4ter mettono in rilievo come, nel tempo della crisi, si sia profondamente ridisegnato il profilo delle ragioni della mobilità: il tempo libero soprattutto, emblema negli ultimi 20 anni del pervasivo processo di frammentazione e spacchettamento della domanda di mobilità quale riflesso dell’avanzare di stili di vita sempre più acquisitivi, individualizzati, frenetici, perde un terzo del proprio peso sotto i colpi del calo di consumi: dal 32,7% degli spostamenti totali nel 2008 al 23,9% nel 2013. In termini assoluti, come si può vedere nella Tab. 5, questo significa che nel giorno medio feriale in Italia sono stati effettuati nel 2013 oltre 10 milioni di spostamenti in meno (al netto dei rientri a casa) per ragioni di tempo libero rispetto al 2008, primo anno di piena espressione della crisi economica del Paese. Contestualmente è diminuito in misura rilevante anche il montante degli spostamenti per lavoro (oltre 5 milioni in meno), ma per effetto della forte riduzione della domanda complessiva di mobilità questo decremento non si è tradotto in una perdita di peso relativo (anzi gli spostamenti per lavoro passano dal 30,8% del totale nel 2008 al 31,2% nel 2013). Regge invece la domanda “basic” di mobilità, legata alla gestione familiare: “solo” 1,7 milioni di spostamenti in meno, ma un aumento di quota complessiva di 7 punti percentuali.

Tab. 4 – L’articolazione della domanda di mobilità per motivazione degli spostamenti (distribuzione %) – Totale(*)

2013 2012 2008

Lavoro 31,2 31,0 30,8 Studio 6,5 5,5 5,1 Gestione familiare 38,4 40,0 31,4 Tempo libero 23,9 23,4 32,7 Totale 100,0 100,0 100,0

(*) Spostamenti nel giorno medio feriale, esclusi i rientri a casa. Fonte: Isfort, Osservatorio “Audimob” sulla mobilità degli italiani

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Tab. 4bis – L’articolazione della domanda di mobilità per motivazione degli spostamenti (distribuzione %) – Mobilità urbana(*)

2013 2012 2008

Lavoro 24,8 23,4 24,0 Studio 5,2 4,5 3,9 Gestione familiare 44,9 46,8 37,4 Tempo libero 25,2 25,2 34,8 Totale 100,0 100,0 100,0

(*) Spostamenti nel giorno medio feriale, esclusi i rientri a casa. Fonte: Isfort, Osservatorio “Audimob” sulla mobilità degli italiani

Tab. 4ter – L’articolazione della domanda di mobilità per motivazione degli spostamenti (distribuzione %) – Mobilità extra-urbana(*)

2013 2012 2008

Lavoro 40,3 42,2 42,5 Studio 8,4 7,0 7,2 Gestione familiare 29,0 30,0 21,4 Tempo libero 22,3 20,8 28,9 Totale 100,0 100,0 100,0

(*) Spostamenti nel giorno medio feriale, esclusi i rientri a casa. Fonte: Isfort, Osservatorio “Audimob” sulla mobilità degli italiani

Tab. 5 – Le variazioni in valore assoluto degli spostamenti per motivazione nel periodo 2008-2013 (in milioni)(*)

Mobilità urbana Mobilità extra-urbana Totale

Lavoro -2,8 -2,4 -5,2 Studio -0,1 -0,1 -0,2 Gestione familiare -2,3 +0,6 -1,7 Tempo libero -7,6 -2,7 -10,3 Totale -12,8 -4,6 -17,4

(*) Spostamenti nel giorno medio feriale, esclusi i rientri a casa. Fonte: Isfort, Osservatorio “Audimob” sulla mobilità degli italiani

Questa focalizzazione sul crollo dei consumi di mobilità connessi al tempo libero, era stata oggetto di analisi già nelle note di lettura del Rapporto dello scorso anno. Non è in sé una novità quindi, seppure la vistosa dimensione del fenomeno giustifichi ampiamente una ulteriore sottolineatura. Semmai, la novità del 2013 – rispetto all’ultimo scorcio - è rappresentata dalla lieve ripresa della domanda di trasporto per tempo libero, sia in valori assoluti, sia nella quota percentuale. E’ un movimento positivo poco più che percettibile (in valore assoluto siamo nell’ordine di un incremento di circa 600mila spostamenti, pari ad un mezzo punto

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percentuale in più di peso), tuttavia anche la sola rottura della lunga spirale negativa nella dinamica della mobilità per tempo libero ha evidentemente un valore molto significativo per gli scenari futuri trasporto passeggeri. D’altra parte, non è casuale che nel quadro dell’avvio di una ripresa generale dei consumi di mobilità dei cittadini, sia proprio questa componente della domanda, più strettamente legata al ciclo economico, a mostrare l’andamento più positivo (ancorché molto modesto, come si è detto).

Da sottolineare infine che la crescita del peso del tempo libero nella determinazione della domanda di mobilità è in proporzione maggiore nel trasporto extra-urbano rispetto a quello urbano. Nella mobilità urbana si consolidano maggiormente nel 2013 le ragioni di spostamento più sistematiche, ovvero il lavoro e la scuola, che invece perdono un po’ di quota nell’extra-urbano dove tuttavia continuano a rappresentare ampiamente la componente maggioritaria della domanda (40% dei viaggi).

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2. La ritirata del trasporto sostenibile

2.1. La mobilità collettiva non aggancia la ripresa

Come si è visto nel capitolo precedente gli italiani “in movimento” stanno uscendo dalla trincea della crisi. I consumi di mobilità sono ripartiti, gradualmente. Si vedrà nei prossimi mesi se si tratta di una vera o di una falsa (ri)partenza. Ma oggi, ad ogni buon conto, va annotato che nel 2013, secondo le stime di “Audimob”, c’è stato un segno positivo nella dinamica degli spostamenti.

L’interrogativo che coerentemente fa seguito a questa annotazione riguarda il profilo delle scelte dei mezzi di trasporto. Alla fine (possibile) della crisi, come si è modificato il modal split dei cittadini italiani? La domanda, come si intuisce, è alimentata da un distinto retropensiero (del quale si è discusso a fondo già nel Rapporto dello scorso anno): la crisi dovrebbe aver indotto gli italiani a rinunciare all’auto, troppo costosa, per rivolgersi a soluzioni alternative come il treno, l’autobus, la bicicletta.

Ora, se si deve trarre un bilancio sul modal split nell’ultimo quinquennio, un ciclo così profondamente segnato dalla crisi economica, dalla riduzione dei redditi disponibili presso le famiglie e dalla conseguente compressione dei consumi, bisogna concludere che le scelte di trasporto degli italiani sono cambiate molto meno di quanto ci si poteva attendere, ed anzi le modifiche più profonde vanno nel segno opposto di quello presunto (e auspicato).

In particolare, proprio nel 2013, nell’anno come si è visto della ripresa della domanda di mobilità degli italiani, le soluzioni di trasporto alternative all’automobile hanno registrato una piccola, ma molto significativa, battuta d’arresto.

Considerando il volume complessivo degli spostamenti (i successi paragrafi saranno invece dedicati ad un’analisi di dettaglio delle due componenti, urbana ed extra-urbana, della mobilità) il trasporto non motorizzato ha subito un’ulteriore erosione della propria quota modale - in declino ormai da diversi anni -, scendendo al 17,1% del totale delle percorrenze (Tab. 6). In particolare sono i tragitti a piedi che cedono oltre un punto di share, in buona parte compensato dalla ripresa della bicicletta. Allo stesso tempo il trasporto pubblico nel suo insieme (gomma-ferro; breve-media-lunga percorrenza) registra nel 2013 una diminuzione dei passeggeri nell’ordine del -1,9% (circa mezzo milione in meno nel giorno medio feriale) e la sua quota modale riferita ai soli mezzi motorizzati scende al 13,6%, dal 14,3% del 2012, interrompendo una striscia positiva che proseguiva dal 2007 (con un’unica pausa nel 2009) (Tabb. 7 e 8). Viceversa, l’automobile nel 2013 torna a guadagnare mercato, sia in valore assoluto (+4,1% di passeggeri), sia nella quota modale motorizzata (dall’82% del 2012 all’82,7% del 2013).

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Tab. 6 – Distribuzione % degli spostamenti non motorizzati per mezzi di trasporto – Totale Italia

2013 2012 2008

A piedi 13,8 14,9 17,5 In bicicletta 3,1 2,3 3,6 Totale mobilità non motorizzata 16,9 17,2 21,1 Totale mobilità motorizzata 83,1 82,8 79,9 Totale 100,0 100,0 100,0

Fonte: Isfort, Osservatorio “Audimob” sulla mobilità degli italiani

Tab. 7 – Distribuzione % degli spostamenti motorizzati per mezzi di trasporto – Totale Italia

2013 2012 2008

Auto 82,7 82,0 81,4 Moto 3,7 3,8 5,7 Mezzi pubblici 13,6 14,3 12,9 Totale 100,0 100,0 100,0

Fonte: Isfort, Osservatorio “Audimob” sulla mobilità degli italiani

Tab. 8 – Dinamica degli spostamenti con mezzo pubblico e in auto (var. % e variazioni valori assoluti) – Totale Italia

Var. %

2012-2013

Var. 2008-2013

Var. % Valori assoluti (in milioni)

Auto +4,1 -16,3 -13,3 Mezzi pubblici -1,9 -13,4 -1,8 Totale spostamenti (motorizzati e non) +2,7 -21,8 -28,0

Fonte: Isfort, Osservatorio “Audimob” sulla mobilità degli italiani

Insomma, è stato sufficiente un anno di (timida) ripresa della domanda per invertire il trend di recupero, in verità molto parziale, che soprattutto il trasporto pubblico sembrava aver innescato. E nel bilancio dell’ultimo quinquennio, i numeri per la mobilità sostenibile sono tutt’altro che positivi: il ciclopedonale perde oltre 3 punti percentuali di quota modale complessiva (dal 21,1% del 2008 al 16,9% del 2013), mentre il trasporto pubblico guadagna solo lo 0,7% del mercato della mobilità motorizzata. Paradossalmente, l’automobile riesce a rafforzare la percentuale già dominante di spostamenti serviti, a scapito in particolare della moto, portandosi all’82,7% (81,4% nel 2008). Certo, guardando alle variazioni degli spostamenti, l’automobile perde in 5 anni il 16% dei passeggeri, con una

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caduta in valore assoluto di oltre 13 milioni di viaggi nel giorno medio feriale. E’ vero quindi che le “quattro ruote” hanno vissuto un periodo di forte crisi, confermata dai dati sul calo dei consumi di carburante, delle immatricolazioni di nuove autovetture, dei traffico in generale (urbano ed extra-urbano). Tuttavia, le alternative sostenibili di mobilità non hanno sostituito l’automobile, anzi hanno a loro volta ridotto gli spostamenti serviti. Semplicemente i volumi di domanda si sono contratti, probabilmente in modo strutturale, e più o meno in proporzione tutti i mezzi di trasporto hanno perso passeggeri.

Il tempo della crisi, dunque, non ha prodotto effetti tangibili di riposizionamento degli stili di mobilità dei cittadini. E l’affacciarsi della ripresa lascia prevedere che la finestra di opportunità per il trasporto pubblico e per la mobilità sostenibile, in assenza di politiche forte di sostegno (peraltro mai messe in campo in questi anni), si possa chiudere definitivamente. Per ciò che riguarda i mezzi non motorizzati, c’è una tendenza strutturale al declino che sembra derivare soprattutto dagli effetti progressivi dei processi di dispersione territoriale del tessuto residenziale e di espansione sregolata delle aree metropolitane, con il conseguente allungamento delle percorrenze e una minore capacità “di presa” di mercato da parte dei vettori senza motore (il tragitto a piedi è necessariamente di prossimità, quello in bicicletta non può spingersi troppo oltre il breve raggio).

Per il trasporto pubblico la questione è più complessa. Come è stato ampiamente sottolineato nelle analisi proposte negli anni passati, diversi fattori di contesto hanno giocato a sfavore della mobilità collettiva: le perduranti incertezze del quadro normativo e regolatorio, i tagli al settore per i servizi e per gli investimenti, dal lato aziendale l’aumento dei costi dei fattori di produzione (lavoro, materie prime, servizi…) che ha creato tensioni economiche e finanziarie nella gestione vanificando gli sforzi prodotti, insufficienti a dire il vero, per recuperare efficienza. A ciò si aggiungono la debolezza delle politiche nazionali e locali “di sistema” per promuovere modelli di mobilità più sostenibili alle diverse scale, e da ultimo gli aumenti tariffari generalizzati che in assenza di miglioramenti tangibili dei servizi offerti non hanno favorito il miglioramento dell’immagine del trasporto pubblico presso la platea di utenti attuali e potenziali. Un insieme di concause, insomma, che nel corso degli ultimi anni non hanno messo il settore nelle condizioni ottimali per intercettare il calo di domanda del trasporto individuale. Alla fine i consumi si sono assestati su livelli molto più bassi, senza avviare percorsi significativi di riequilibrio modale.

Accanto a questo scenario, per lo più noto e largamente analizzato, c’è un ulteriore profondo fattore strutturale di debolezza della mobilità collettiva, ovvero l’incapacità di guadagnare quote di mercato in presenza di una dinamica positiva della domanda. Tale meccanismo deriva da una caratteristica specifica dello stile di mobilità dei cittadini italiani, ovvero l’atteggiamento di forte preferenza per il mezzo individuale (l’auto in particolare) a cui fa da contraltare un’immagine di residualità e marginalità che viene assegnata al trasporto pubblico.

La scarsa oggettiva qualità dei servizi di trasporto pubblico, per l’infinita serie di ragioni endogene ed esogene al sistema di offerta, accresciuta dalla cattiva reputazione che il settore gode (in particolare nei territori e nelle città del Centro-Sud), rende di fatto poco appetibile, quasi a prescindere da valutazioni ponderate di costo e di comodità, una soluzione di trasporto organizzata attorno al vettore

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collettivo. Di conseguenza, quando nelle famiglie non prevale la necessità di riduzione dei costi di trasporto (e quindi di minor utilizzo dell’auto, anche in concomitanza con l’aumento del prezzo della benzina) l’opzione largamente praticata è quella del mezzo individuale. Se poi riprendono i consumi di mobilità, e magari si associa una diminuzione del prezzo dei carburanti (come è stato nel 2013, vedi Tab. 9), la quota modale della mobilità collettiva inevitabilmente declina.

Tab. 9 – L’andamento dei prezzi del carburante (numeri indice) 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013

Benzina 100,0 101,1 107,6 116,7 122,9 124,2 132,0 116,1 130,4 147,0 170,8 167,1 Gpl 100,0 104,1 103,8 109,8 124,7 120,5 131,1 108,1 127,3 146,9 158,5 155,1 Gasolio 100,0 102,5 109,9 129,7 136,0 136,0 157,1 124,7 142,1 165,8 199,3 193,7

Fonte: Elaborazioni su dati del Ministero per lo Sviluppo Economico

Il Graf. 3 rappresenta bene questa situazione. Dal 2000 al 2013 solo nel biennio 2007-2008 il trasporto pubblico ha visto crescere la propria quota modale in una fase di espansione della domanda di mobilità. Per tutti gli altri anni, la fetta di mercato del mezzo pubblico si allarga quando la torta complessiva (mercato della mobilità) si restringe; in altri termini, ripiegano i consumi di trasporto (per effetto di minori consumi generali e minore disponibilità di reddito per le famiglie) e i cittadini, per ragioni di risparmio, tendono a prendere un po’ di più un mezzo di trasporto pubblico. Quando la domanda risale, i cittadini tornano inevitabilmente a viaggiare in automobile, non essendo il trasporto pubblico percepito come alternativa strutturale per soddisfare i propri bisogni di mobilità.

Graf. 3 – L’andamento degli spostamenti motorizzati e della quota modale del trasporto pubblico (numeri indice)

Fonte: Isfort, Osservatorio “Audimob” sulla mobilità degli italiani

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Le scelte modali dei cittadini stanno dunque riallineandosi alla cifra stilistica pre-crisi, con un chiaro orientamento strutturale di preferenza per il mezzo individuale (auto) e una resistenza fattuale al passaggio sistematico verso soluzioni alternative, che siano il mezzo pubblico, rispetto al quale si avvertono carenze di offerta, reali o presunte, o sia il mezzo non motorizzato, poco funzionale a soddisfare esigenze di viaggio in crescente allungamento.

Il cambio di atteggiamento si legge anche nella riduzione delle misure di risposta alla crisi economica e all’aumento del costo della benzina (che in verità non è stato tale lo scorso anno) che i cittadini dichiarano di aver preso in considerazione e di aver attuato concretamente nei propri comportamenti di mobilità.

Il confronto tra le indicazioni fornite nel 2012 e quelle del 2013 mostra infatti un generalizzato decremento, seppure per quote percentuali contenute, della platea di cittadini che si sono orientati verso queste azioni di contrasto (Graf. 4). In particolare, la percentuale di quanti hanno pensato di utilizzare di più i mezzi pubblici per gli spostamenti abituali è scesa dal 39% del 2012 al 35,4% del 2013; e quanti dichiarano di aver attuato questa misura scendono dal 18,9% al 13,6% (ed in effetti, si è visto che nel corso del 2013 il trasporto collettivo nel suo insieme ha perso sia passeggeri che quota modale).

Graf. 4 – Azioni di risposta alla crisi economica e all’aumento del costo della benzina: % di intervistati che hanno pensato di attuarle e, tra questi, % di intervistati che hanno dichiarato di averle attuate (2012-2013)

Fonte: Isfort, Osservatorio “Audimob” sulla mobilità degli italiani

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L’altro indicatore tradizionalmente monitorato da “Audimob” che mostra una certa modifica dell’atteggiamento dei cittadini nel corso del 2013 riguarda la propensione al riequilibrio modale. Come si è potuto sempre osservare negli anni passati, è strutturalmente alta la quota di cittadini che vorrebbe usare di più il mezzo pubblico, così come (all’inverso) è alta la quota dei cittadini che vorrebbe usare di meno l’auto (Tab. 10).

Tab. 10 – Propensione alla modifica dei comportamenti d’uso dei mezzi di trasporto (val. %)

In prospettiva i cittadini vorrebbero…. 2013 2012

Totale Grandi città Totale Grandi città

Utilizzazione dell’auto

Aumentare 5,9 6,1 5,8 7,5

Diminuire 35,5 35,9 40,0 39,3

Non modificare 57,1 56,8 53,0 51,8

Non sa 1,5 1,3 1,3 1,3

Totale 100,0 100,0 100,0 100,0

Utilizzazione di moto/ciclomotore

Aumentare 9,0 8,7 8,9 8,6 Diminuire 2,1 2,4 2,2 3,3 Non modificare 87,7 87,3 86,7 85,3 Non sa 1,2 1,6 2,3 2,9 Totale 100,0 100,0 100,0 100,0

Utilizzazione di mezzi pubblici

Aumentare 36,7 43,9 42,7 46,8 Diminuire 3,9 5,0 4,2 6,3 Non modificare 58,0 50,3 51,8 45,7 Non sa 1,4 0,8 1,4 1,2 Totale 100,0 100,0 100,0 100,0

Saldo “aumentare”–“diminuire”

Utilizzazione dell’auto -29,6 29,8 --3344,,22 --3311,,88 Utilizzazione di moto/ciclomotore +6,9 +6,3 ++66,,77 ++55,,33

Utilizzazione di mezzi pubblici +32,8 +38,9 ++3388,,55 ++4400,,55 Indice complessivo di propensione al cambio modale(*)

62,4 68,7 7722,,77 7722,,33

(*) L’indice è calcolato sommando la quota di chi vuole incrementare l’uso del trasporto pubblico e di chi vuole diminuire l’uso dell’auto a cui si sottraggono le quote di chi vuole diminuire l’uso del trasporto pubblico e di chi vuole aumentare l’uso dell’auto. L’indice può quindi variare tra -200 e +200; tra -200 e 0 si determina un cambio modale a favore dell’auto, tra 0 e +200 un cambio modale a favore del mezzo pubblico.

Fonte: Isfort, Osservatorio “Audimob” sulla mobilità degli italiani

Ebbene, nel 2013 questa forbice si è un po’ ristretta. La percentuale di intervistati che vorrebbe usare di più il mezzo pubblico diminuisce dal 42,7% del 2012 al 36,7% del 2013 (più contenuto il decremento nelle sole grandi città), mentre la percentuale di quanti vorrebbero usare di meno l’automobile è scesa dal 40% al 35,5%. Per effetto di questa duplice dinamica, l’indice complessivo di propensione al cambio modale scende da 72,7 a 68,7 (in scala tra -200 e +200).

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La propensione al cambio modale resta quindi largamente positiva, ma è chiaro che anche dal fronte dei desiderata dei cittadini, dove l’orientamento verso il trasporto pubblico è sempre stato forte e crescente - altra questione sono poi i comportamenti effettivi che fanno seguito a questa sorta di “dichiarazione di principio” -, arriva un segnale di inversione di tendenza, coerente con lo scenario che pericolosamente va a tratteggiarsi: con l’aspettativa di uscita dalla crisi si affievolisce la voglia di trasporto pubblico e di mobilità sostenibile dei cittadini.

2.2. Meno trasporto pubblico negli spostamenti urbani

In questo paragrafo si approfondisce l’analisi delle ripartizioni modali nell’ampio segmento della mobilità urbana. Nel successivo paragrafo l’approfondimento sarà dedicato alla mobilità extra-urbana.

Come di consueto, concentriamo inizialmente l’analisi sulla quota maggioritaria dei soli spostamenti motorizzati (escludendo quindi la componente ciclopedonale), tradizionalmente tripartiti in mezzi pubblici (autobus, tram, metropolitana, treno suburbano, altri mezzi a guida vincolata ecc.), automobile e moto. Nel suo insieme il volume di spostamenti generato dai mezzi motorizzati si è attestato nel 2013, per la componente urbana, a quasi 43 milioni (giorno medio feriale) in leggera ripresa nell’ultimo anno (+1,6%) (Tab. 11). Rispetto al 2008 il calo della domanda di mobilità urbana soddisfatta dai mezzi motorizzati resta tuttavia molto vistoso: -11,1 milioni di spostamenti, pari ad un decremento nell’ordine del 20%.

Tab. 11 - La dinamica degli spostamenti per mezzi di trasporto motorizzati nella mobilità urbana (valori assoluti nel giorno medio feriale)

2013 2012 2011 2008 Var. assoluta 2008-2013

Mezzi pubblici 5,5 6,4 6,8 6,8 -1,3 Mezzi privati (auto) 35,2 33,6 40,1 42,8 -7,6 Motociclo/Ciclomotore 2,0 2,2 3,6 4,3 -2,3 Totale spostamenti motorizzati 42,8 42,1 50,5 53,9 -11,1

Fonte: Isfort, Osservatorio “Audimob” sulla mobilità degli italiani

Guardando alle singole modalità di trasporto, l’automobile ha registrato nel 2013 una più significativa inversione di tendenza, salendo a 35,2 milioni di spostamenti rispetto ai 33,6 del 2012 (quasi il 5% in più). Nel confronto con il 2008, la diminuzione della domanda per le “quattro ruote” è quantificabile in 7,6 milioni di viaggi in meno (-17,7%). Nonostante questo notevole calo in valore assoluto, la quota modale dell’automobile si è addirittura rafforzata negli anni della crisi, per effetto esclusivo del significativo recupero dell’ultimo anno, passando dal 79,5% del 2008 all’82,4% del 2013 (Tab. 12).

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Tab. 12 - La ripartizione degli spostamenti per mezzi di trasporto motorizzati nella mobilità urbana (val. %)

2013 2012 2011 2008

Mezzi pubblici 12,8 15,1 13,5 12,6 Mezzi privati (auto) 82,4 79,7 79,4 79,5 Motociclo/Ciclomotore 4,8 5,2 7,1 8,0 Totale spostamenti motorizzati 100,0 100,0 100,0 100,0

Fonte: Isfort, Osservatorio “Audimob” sulla mobilità degli italiani

Quanto al mezzo pubblico in ambito urbano, il 2013 è stato un anno particolarmente negativo: si è registrata infatti una perdita di quasi 1 milione di passeggeri nel giorno medio feriale e lo share modale è sceso di oltre due punti percentuali (dal 15,1% del 2012 al 12,8% del 2013). La battuta d’arresto verificatasi nel 2013 interrompe un trend positivo (in termini di quota di mercato nel trasporto motorizzato) che per la mobilità collettiva proseguiva quasi senza interruzione dal 2006. In quell’anno il peso del trasporto pubblico ha toccato il punto più basso dell’intera serie storica di “Audimob” (cioè dal 2000), con una quota pari al 10% (Graf. 5). Negli anni successivi si è assistito ad un progressivo incremento della fetta di mercato della mobilità collettiva, fino a superare l’asticella del 15% nel 2012. Il brusco arresto nel 2013 riporta quindi la quota modale al livello del 2008. E’ evidente che la diffusa diminuzione dei livelli di offerta dei servizi per effetto dei tagli dei finanziamenti al settore ha contribuito a determinare l’arretramento del trasporto pubblico nel mercato della mobilità urbana.

Graf. 5 – La quota di mercato del trasporto pubblico mobilità urbana (quote % spostamenti motorizzati)

Fonte: Isfort, Osservatorio “Audimob” sulla mobilità degli italiani

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Sul fronte dei mezzi privati, è l’automobile ad assorbire per intero la quota in uscita dal trasporto collettivo: il peso delle “quattro ruote” nel trasporto urbano motorizzato risale abbondantemente sopra l’80% (82,4%) dimostrando una capacità di attrazione formidabile che si esalta nel momento in cui alcuni segnali congiunturali favorevoli (per quanto timidi) si riaffacciano nel mercato (ripresa della domanda di mobilità, calo del prezzo della benzina). Quanto alla moto, la percentuale di spostamenti serviti si mantiene grossomodo attorno al 5% complessivo.

Come spesso accaduto negli anni passati, anche nel 2013 la tendenza generale della dinamica del trasporto pubblico tende ad articolarsi in modo differenziato nei contesti urbani. In particolare, come si evince dal Graf. 6, la mobilità collettiva ha “tenuto” molto meglio nelle grandi e nelle piccole città rispetto ai centri medi. Lo split modale nei comuni con oltre 250mila abitanti evidenzia nel 2013 una quota dei mezzi di trasporto pubblico ben salda sopra il 30% (per la precisione: 31,2%, mezzo punto in meno rispetto al 2012), senza invertire quindi la tendenza al consolidamento che si è avviata a partire dal 2007 (27,4% lo share del trasporto pubblico nelle grandi città in quell’anno).

Graf. 6 – Il mercato urbano dei mezzi di trasporto nell’ultimo biennio (quote % spostamenti motorizzati)

Fonte: Isfort, Osservatorio “Audimob” sulla mobilità degli italiani

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Allo stesso tempo, è cresciuto il peso del trasporto pubblico nei comuni con meno di 100mila abitanti, risalendo al 3,9% (3,3% nel 2012). E’ un livello che conferma tuttavia la completa marginalità dei servizi di mobilità collettiva nei territori dispersi del Paese; e conferma, in senso opposto, lo strabordante dominio dell’automobile (share ben superiore al 90%).

La grande nota dolente, che meriterebbe un approfondimento analitico, riguarda invece le medie città (100-250mila abitanti), dove la stima “Audimob” per il trasporto pubblico segnala una caduta della quota modale di ben 5 punti percentuali (dal 15,4% del 2012 al 10,1% del 2013). E’ vero che il 2012 era stato un anno eccezionalmente positivo la mobilità collettiva nelle medie aree urbane – e l’errore statistico può spiegare in parte questa variabilità -, tuttavia guardando alla serie storica il 10% registrato nel 2013 riporta “le lancette” del trasporto pubblico al 2010, vanificando un triennio di intensa crescita. Tante medie città del nostro Paese, soprattutto nel Centro-Nord, si sono peraltro distinte almeno da 10 anni a questa parte per il tentativo di promuovere modelli di mobilità urbana più sostenibili, innovativi, smart, nell’ambito dei quali un ruolo significativo è stato riconosciuto al trasporto pubblico. Il forte segnale di arretramento nel 2013, soprattutto se dovesse consolidarsi nei prossimi anni, rappresenta quindi una preoccupante inversione di un percorso virtuoso diffusamente intrapreso (e con risultati in molti casi positivi). Ed è l’automobile a beneficiare del forte calo del trasporto pubblico nelle medie città: per le “quattro ruote” la quota modale sale all’83% contro il 77% del 2012. Da segnalare infine che anche la moto cede un punto percentuale di mercato, attestandosi al 6,7%.

Per ciò che riguarda gli andamenti nelle circoscrizioni territoriali, come nel 2012 le dinamiche registrate sono all’insegna di una certa omogeneità seppure di segno opposto: allora si evidenziò una sostanziale diffusa avanzata del trasporto pubblico, nel 2013 – con l’eccezione del Sud – si registra un diffuso arretramento.

Come di consueto, qualche commento di maggiore dettaglio (Graf. 7):

- nel Nord-Ovest, dove storicamente il peso della mobilità pubblica a scala urbana è il più alto, il trasporto pubblico segna un calo di ben 4 punti percentuali, con una quota modale che scende sotto il 20% (19,6%). Perde terreno anche la moto (dal 5,4% al 3,8%) mentre è fortissima la risalita dell’automobile (dal 70,9% al 76,6%). Il Nord-Ovest resta ampiamente la circoscrizione a maggior intensità d’uso del trasporto pubblico, tuttavia la misura della battuta d’arresto sperimentata nel 2013 è veramente cospicua;

- nelle regioni nordorientali, la distribuzione modale si è “mossa” di meno rispetto al Nod-Ovest. Diminuisce il peso del trasporto pubblico ma di solo un punto e mezzo percentuale, diminuzione che si è equamente ripartita a beneficio di auto e moto. Resta tuttavia da sottolineare la ripartizione molto squilibrata nell’uso dei mezzi di trasporto motorizzati che storicamente si registra nel Nord-Est, con la quota modale dell’auto superiore alll’80% e quella del mezzo pubblico ferma ad appena il 12,8%. Come evidenziato nei Rapporti precedenti, nelle regioni nordorientali del Paese l’assenza di aree metropolitane ad altissima densità urbana favorisce l’uso delle “quattro ruote”, mentre tra i mezzi alternativi all’auto è storicamente molto alta l’attenzione per la bicicletta;

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- nel Centro Italia si registra in proporzione il ripiegamento più forte del trasporto pubblico che come nel Nord-Ovest perde 4 punti percentuali di quota modale, ma partendo da una base molto meno ampia: la fetta del trasporto pubblico scende infatti di quasi un terzo, passando dal 17,6% del 2012 al 13,7% del 2013. Poderoso, per converso, il balzo in avanti dell’automobile (dal 75% all’80,8%);

- infine, al Sud e nelle Isole la dinamica della distribuzione modale è stata molto contenuta, similmente a quanto accaduto nel Nord-Est. E’ l’unica circoscrizione, infatti, dove il trasporto pubblico mantiene le proprie posizioni (attorno all’8,5% della mobilità motorizzata). Non va tuttavia dimenticato che il dato di partenza mostra al Sud una forte debolezza strutturale del trasporto pubblico urbano nel catturare mercato e conseguentemente un forte squilibrio a favore dell’automobile, che sfiora il 90% di quota modale. Da un paio di anni a questa parte si scorgono comunque segnali, ancorché molto lievi, di recupero del trasporto collettivo nelle aree urbane meridionali.

Graf. 7 – La ripartizione del mercato urbano dei mezzi di trasporto motorizzati per circoscrizione territoriale

Fonte: Isfort, Osservatorio “Audimob” sulla mobilità degli italiani

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Per ciò che riguarda il dato sulla ripartizione tra “gomma” e “ferro” (metropolitana, tram, treno suburbano, altri sistemi a guida vincolata) nel trasporto pubblico urbano nel 2013 si è registrata una ripresa dell’incidenza del “ferro” sul totale della mobilità collettiva, sia nel complesso delle città con oltre 100mila abitanti, sia in riferimento alle sole grandi città (Graf. 8). Il peso della rotaia si riallinea sostanzialmente ai livelli del 2011 (37,3% nel totale, 41,6% nelle grandi città) e riprende quindi un trend di crescita che seppure con molte discontinuità ha portato l’incidenza del trasporto su rotaia a crescere di 10 punti percentuali nelle medie e grandi città italiane tra il 2005 e il 2013. Una tendenza quindi ad “inseguire” il modello delle città europee, dove la vera spina dorsale del trasporto collettivo urbano è rappresentato dalle reti tranviarie, metropolitane e ferroviarie, ma con grandi divari ancora da colmare, a causa delle incerte politiche di investimento e di concreta realizzazione delle infrastrutture su rotaia necessarie per le nostre città.

Graf. 8 - La ripartizione del TPL urbano tra “gomma e “ferro” (% spostamenti)

Fonte: Isfort, Osservatorio “Audimob” sulla mobilità degli italiani

Sul fronte dell’intermodalità, dimensione tradizionalmente monitorata dall’Osservatorio “Audimob”, il 2013 registra per la prima volta dopo diversi anni un arretramento della quota relativa, come si può leggere nel Graf. 9. Le combinazioni di mezzi di trasporto per gli spostamenti sono scese negli ambiti urbani dal 4,3% del 2012 al 3,8% del 2013. Guardando alle sole città con oltre 100mila abitanti la percentuale sale nel 2013 al 6,8%, ma anche in questo caso con una diminuzione rispetto al 2012. Nella serie storica resta una dinamica nell’insieme di segno positivo e che apre ampie opportunità di sviluppo per una efficace organizzazione dei sistemi di mobilità urbana, sia integrando i soli mezzi di trasporto pubblico (gomma e ferro), sia combinando mezzi collettivi con mezzi individuali (auto soprattutto, ma anche le “due ruote”). Nel 2004 gli spostamenti intermodali pesavano complessivamente per

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appena l’1,4% nel totale; nel 2012 questa percentuale era triplicata, prima di arretrare leggermente lo scorso anno. Quanto alle sole medie e grandi città, il peso delle combinazioni modali è passato dal 3,5% del 2004 all’8,2% del 2012 (e poi al 6,8% del 2013 come si è appena visto).

Graf. 9 – % spostamenti intermodali urbani (sul totale degli spostamenti motorizzati)

Fonte: Isfort, Osservatorio “Audimob” sulla mobilità degli italiani

È proprio guardando a questa dinamica molto positiva, dalla quale si desume l’uscita dell’intermodalità da una posizione di nicchia, che il dato di ripiegamento del 2013 assume una specifica valenza negativa. Segnala infatti una caduta di tensione nella capacità dell’offerta del trasporto pubblico urbano di riprogrammare l’esercizio in modo da favorire soluzioni combinate più vantaggiose sul piano economico e qualitativamente più adeguate (tempi di percorrenza ragionevoli, organizzazione comoda per la gestione delle rotture di carico e per gli aspetti tariffari). Può essere anche questo un effetto della riduzione complessiva dell’offerta (seppure la logica vorrebbe che proprio la necessità dei tagli favorisca un’organizzazione integrata dei servizi) che penalizza la cura degli aspetti logistici, imprescindibili per lo sviluppo del trasporto multimodale.

Quanto ai vettori che compongono il viaggio intermodale anche nel 2013 la combinazione “mezzo pubblico con mezzo pubblico” è dominante, con quasi il 70% di tutte le scelte integrate di viaggio, ma è da rilevare che questa percentuale si è abbattuta di quasi 10 punti percentuali rispetto al 2012, tornando invece ai livelli più fisiologici del 2007 (Graf. 10). La crescita della componente mista “pubblico-privato” nella mobilità intermodale sembra essere un segnale invece potenzialmente positivo, se non altro perché intercetta una quota maggiore di automobilisti disponibili a lasciare il proprio mezzo almeno per una tratta

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nell’organizzazione del proprio spostamento. E’ indubbio infatti che l’intermodalità sia una soluzione promettente per i sistemi di mobilità, anche in ambito urbano, dal lato dell’offerta perché razionalizza e rende meno costoso il servizio di trasporto pubblico, e dal lato della domanda perché offre agli utenti dell’auto l’opportunità di sperimentare il trasporto pubblico (e ovviamente se il servizio è di qualità adeguata, la possibilità di un cambio modale sistematico è più alta).

Graf. 10 – % spostamenti urbani combinati sul totale Italia

Fonte: Isfort, Osservatorio “Audimob” sulla mobilità degli italiani

Come di consueto lo sguardo finale nell’analisi dei mezzi di trasporto nella mobilità urbana è dedicato all’insieme degli spostamenti effettuati a piedi o in bicicletta.

In valori assoluti la mobilità non motorizzata nelle aree urbane ha registrato nel 2013 un volume di spostamenti del tutto simile a quello del 2013. Di conseguenza, a fronte di un certo incremento della domanda di mobilità in valore percentuale la componente più ecologica del trasporto ha perso qualche posizione, passando nell’insieme dal 28,2% del 2012 al 27,7% del 2013 (Tab. 13). Ormai quindi poco più di uno spostamento su quattro si effettua nelle aree urbane a piedi o in bicicletta. E' una percentuale comunque molto superiore, come è naturale, alla media complessiva (componente urbana e componente extra-urbana) attestata nel 2013 ad appena il 16,9% (17,2% nel 2012). Rispetto al 2008, il calo delle percorrenze a piedi o in bicicletta è stato molto vistoso: la quota modale complessiva degli spostamenti non motorizzati raggiungeva infatti allora il 32,8% nelle aree urbane e il 21,1% nel totale del Paese, quindi circa 5 punti percentuali in più rispetto al dato dello scorso anno. Sulle ragioni di questo calo si è a lungo ragionato nel Rapporto dello scorso anno, ipotizzando in particolare l’innesco di una combinazione perversa tra effetti di medio e lungo periodo legati alla dispersione urbana e all’allungamento delle distanze medie percorse (processo che

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evidentemente penalizza il corto raggio tipico della mobilità non motorizzata), debolezza delle politiche urbane a favore della ciclopedonalità e componente psicologica di “ripiegamento da crisi economica” che abbatte il tasso di mobilità e la domanda di “relazionalità” di breve raggio.

Tab. 13 – La dinamica della mobilità ecologica (spostamenti a piedi o in bicicletta) (valori %)

Totale Mobilità urbana 2013 2012 2008 2013 2012 2008

Quota modale spostamenti a piedi 13,8 14,9 17,5 22,9 24,6 27,6 Quota modale bicicletta 3,1 2,3 3,6 4,7 3,6 5,2 Totale quota modale degli spostamenti non motorizzati sul totale spostamenti 16,9 17,2 21,1 27,6 28,2 32,8

Fonte: Isfort, Osservatorio “Audimob” sulla mobilità degli italiani

Nella suddivisione tra spostamenti a piedi e spostamenti in bicicletta, nel 2013 si è verificato un incremento della quota del pedale salita al 4,7% nelle aree urbane e al 3,1% nel totale nazionale, dopo la battuta d’arresto del 2012 (3,6% e 2,3% rispettivamente). Continua invece a scendere il peso della mobilità pedonale, ormai sotto il 25% nelle aree urbane e sotto il 15% nel totale. E’ un processo questo che va consolidandosi ormai da diversi anni, rispetto al quale appare evidente che la ragione strutturale debba essere ricercata in un rimodellamento degli assetti urbanistici e della conseguente nuova geografia dei poli di origine/destinazione che dilata le distanze degli spostamenti e scoraggia o impedisce di fatto il tragitto pedonale.

Rispetto alla dimensione delle aree urbane, la mobilità non motorizzata è cresciuta significativamente nell’ultimo anno nelle grandi città dove si è attestata alla quota del 28% (26% nel 2012), mentre per converso ha subito una riduzione nei centri minori, dove tradizionalmente è più incidente (Graf. 11). Rispetto al 2008 la percentuale di spostamenti non motorizzati è diminuita in misura significativa (circa 5 punti percentuali) nelle piccole e nelle grandi città, e ancora di più (sette punti percentuali) nei medi centri.

Quanto alle circoscrizioni geografiche, la dinamica del 2013 sembra aver accentuato le distanze tra i territori. Al Nord la percentuale di spostamenti a piedi o in bicicletta è salita in misura significativa (circa 3 punti percentuali nelle regioni nordoccidentali), mentre nelle regioni del Sud e ancora di più in quelle del Centro si è registrata una sensibile diminuzione. Si sono così ampliati i divari già esistenti: la quota modale della mobilità ecologica nel Nord-Ovest, pari al 35%, è doppia rispetto al Centro Italia e di quasi 10 punti superiore a quella del Sud e delle Isole (Graf. 12).

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Graf. 11 – Il peso della mobilità urbana non motorizzata per ampiezza demografica del comune di residenza (% spostamenti)

Fonte: Isfort, Osservatorio “Audimob” sulla mobilità degli italiani

Graf. 12 – Il peso della mobilità urbana non motorizzata per circoscrizioni territoriali (% spostamenti)

Fonte: Isfort, Osservatorio “Audimob” sulla mobilità degli italiani

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2.3. Il quadro più incoraggiante della mobilità extra-urbana

Continua nel 2013 la dinamica positiva del trasporto extra-urbano. Gli spostamenti motorizzati (oltre il 98% del totale nell’extra-urbano) sono cresciuti del 4% tra il 2012 e il 2013, arrivando a sfiorare il volume complessivo di 40 milioni di viaggi nel giorno medio feriale (Tab. 14). La vivacità della domanda nell’ultimo biennio compensa tuttavia solo in parte la caduta registrata negli anni della crisi, a partire in particolare dal 2008. In quell’anno gli spostamenti giornalieri complessivi fuori dai perimetri urbani si erano attestati a 46 milioni, ovvero il 15% in più rispetto al livello dello scorso anno.

Tab. 14 - La dinamica degli spostamenti per mezzi di trasporto motorizzati nella mobilità extra-urbana (valori assoluti e var. %)

v.a. 2013

v.a. 2012

v.a. 2008

var. % 2012-2013

var. % 2008-2012

Mezzi pubblici 5,4 4,9 6,0 +10,2 -10,0 Mezzi privati (auto) 32,7 31,9 38,5 +2,5 -15,1 Motociclo/Ciclomotore 1,0 0,8 1,5 +25,0 -33,3 Totale spostamenti motorizzati 39,1 37,6 46,0 +4,0 -15,0

Fonte: Isfort, Osservatorio “Audimob” sulla mobilità degli italiani

L’andamento dei diversi mezzi di trasporto segnala dati positivi sia per i modi collettivi che per quelli individuali. Il trasporto pubblico tuttavia ha mostrato nel 2013 una spinta maggiore rispetto all’automobile: i passeggeri saliti su uno dei mezzi collettivi utilizzati per destinazioni extra-urbane (pullman, treno, autobus extraurbano, aereo…) sono aumentati in un anno del 10%, mentre quelli che hanno utilizzato l’automobile solo del 2,5%. Molto alta anche la crescita dell’uso della moto, ma in questo caso i volumi interessati sono relativamente modesti (attorno al milione di viaggi giornalieri). Di conseguenza, la quota modale del trasporto collettivo è salita nel 2013 di quasi un punto percentuale raggiungendo la soglia del 13,9% (Tab. 15). E’ stata quindi in parte recuperata la caduta piuttosto significativa registrata nel 2012 rispetto al 2011 (dal 14,8% al 13%) e la fetta di mercato conquistata dai mezzi pubblici extra-urbani torna al livello del 2010, comunque uno dei più alti registrati nella serie storica di “Audimob” (Graf. 13). I viaggi con le “quattro ruote” restano l’opzione largamente più praticata dai cittadini che si muovono sulle direttrici extra-urbane: un volume complessivo di 32,7 milioni di spostamenti, pari al’83,5% del totale (84,7% nel 2012).

L’analisi per ampiezza del contesto urbano mostra una certa omogeneità del peso del trasporto pubblico extra-urbano tra chi abita nelle piccole, medie e grandi città (Graf. 14). La crescita della quota di utilizzo di un mezzo pubblico per le relazioni extra-urbane è più pronunciata tra chi si muove dalle medie città (dal 10,3% degli spostamenti nel 2008 all’11,3% nel 2012 e al 14,3% nel 2013), mentre appare altalenante la scelta del mezzo pubblico tra i residenti nelle grandi città.

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Tab. 15 - La ripartizione degli spostamenti per mezzi di trasporto motorizzati nella mobilità extraurbana (val. %)

2013 2012 2011 2008

Mezzi pubblici 13,9 13,0 14,8 13,0 Mezzi privati (auto) 83,5 84,7 83,0 83,8 Motociclo/Ciclomotore 2,6 2,2 2,2 3,2 Totale spostamenti motorizzati 100,0 100,0 100,0 100,0

Fonte: Isfort, Osservatorio “Audimob” sulla mobilità degli italiani

Graf. 13 – La quota di mercato del trasporto pubblico mobilità extra-urbana (quote % spostamenti motorizzati)

Fonte: Isfort, Osservatorio “Audimob” sulla mobilità degli italiani

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Graf. 14 – Il peso del trasporto pubblico extra-urbano per ampiezza del comune di residenza

Fonte: Isfort, Osservatorio “Audimob” sulla mobilità degli italiani

La ripartizione dei mezzi di trasporto extra-urbani per circoscrizione territoriale evidenzia, nella dinamica dell’ultimo anno, alcune distonie rispetto all’andamento medio nazionale (Graf. 15):

- il Nord-Ovest mostra il profilo, statico e dinamico, più vicino alla media nazionale: la quota modale del trasporto pubblico raggiunge infatti nel 2013 il 14,1% (in linea quindi con il dato generale) con una crescita di quasi un punto percentuale rispetto al 2012 (esattamente il margine di incremento registrato a livello nazionale); infine, come nel valor medio nazionale la crescita dello split modale della mobilità collettiva extra-urbana è andata interamente a scapito dell’automobile, che tuttavia mantiene saldissimo il dominio del mercato (83,8% di viaggi serviti);

- nel Nord-Est le “quattro ruote” cedono nel 2013 una quota più significativa di mercato (3,5 punti percentuali), partendo tuttavia da un livello ancora più alto rispetto a quello delle regioni nordoccidentali (87,3% nel 2012), a beneficio sia del trasporto pubblico, che raggiunge l’11,4%, sia soprattutto della moto (4,7%);

- nelle regioni del Centro Italia, il peso dell’area metropolitana di Roma con la sua straordinaria forza centripeta fa lievitare strutturalmente, nonostante i noti limiti del servizio di trasporto pubblico di penetrazione nella Capitale (sia gomma che ferro), il peso della mobilità collettiva extra-urbana, la cui quota di mercato si attesta nel 2013 al 17,3%, in leggera diminuzione rispetto al 2012;

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l’automobile mantiene una posizione dominante con l’80% di spostamenti (è tuttavia il livello più basso, si fa per dire, tra le quattro circoscrizioni territoriali);

- al Sud e nelle Isole infine, il trasporto pubblico raggiunge il 13,6% di quota modale con una crescita di un punto percentuale rispetto al 2012; va osservato che è un valore simile a quello delle regioni nordoccidentali, a differenza di quanto si riscontra nella mobilità urbana dove emerge un divario amplissimo di attrazione di passeggeri tra regioni del Sud e regioni del Centro-Nord (Nord-Ovest in particolare).

Graf. 15 – La ripartizione del mercato dei mezzi di trasporto extra-urbani motorizzati per circoscrizione territoriale

Fonte: Isfort, Osservatorio “Audimob” sulla mobilità degli italiani

Passando ora al monitoraggio della ripartizione della domanda di trasporto pubblico tra modalità “gomma” e modalità “ferro”, è da segnalare nel 2013 una crescita della quota dei sistemi ferroviari, che hanno assorbito il 44,4% di tutti i viaggi extra-urbani effettuati con mezzi collettivi (41,8% nel 2012) (Graf. 16). Il peso del trasporto su rotaia è di conseguenza molto rilevante nelle direttrici extra-urbane, ed in tendenziale crescita negli anni seppure la dinamica non sia né particolarmente pronunciata (a differenza di quanto accade nella mobilità urbana), né continua.

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Graf. 16 - La ripartizione del TPL extra-urbano tra “gomma” e “ferro” (% spostamenti)

Fonte: Isfort, Osservatorio “Audimob” sulla mobilità degli italiani

Infine, uno sguardo alla componente intermodale della domanda di mobilità extra-urbana.

Nel 2013, secondo le stime dell’Osservatorio “Audimob” la quota complessiva di viaggi extra-urbani effettuati utilizzando più di un mezzo di trasporto sono stati il 6,4% del totale (quasi il doppio rispetto a quanto registrato in ambito urbano), un valore sostanzialmente allineato a quello del 2012 e rimasto stabile dal 2007 (con l’eccezione di una certa crescita nel 2010 e nel 2011) (Graf. 17).

Graf. 17 – % spostamenti intermodali extra-urbani (sul totale degli spostamenti motorizzati – totale Italia)

Fonte: Isfort, Osservatorio “Audimob” sulla mobilità degli italiani

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Nella ripartizione tra combinazioni con soli mezzi pubblici e combinazioni che utilizzano sia mezzi collettivi che mezzi individuali, prevale l’integrazione pubblico-privato con il 60,5% degli spostamenti intermodali (37,7% le combinazioni “pubblico-pubblico” mentre del tutto residue, inferiori al 2%, le combinazioni “privato-privato”) (Graf. 18). Questa percentuale si mantiene stabile negli anni.

Graf. 18 – % spostamenti extra-urbani combinati sul totale Italia

Fonte: Isfort, Osservatorio “Audimob” sulla mobilità degli italiani

È da sottolineare che il medesimo dato elaborato per la mobilità urbana evidenziava un’inversione dei valori, con una larga prevalenza delle combinazioni di trasporto tra soli mezzi pubblici. E’ una differenza del tutto coerente con un’organizzazione delle soluzioni di trasporto intermodali che nell’ambito urbano sfruttano il potenziale delle reti di servizio pubblico (“gomma” e, quando presente, “ferro”), disposte a copertura dell’intero territorio della città, mentre nelle relazioni extra-urbane sfruttano le linee di penetrazione verso i poli urbani di attrazione/generazione della domanda di spostamento, rispetto ai quali sono possibili (e da potenziare) le adduzioni sia con i mezzi pubblici (oggi non così frequenti per una certa strutturale scarsità del servizio di questo tipo), sia con quelli privati (parcheggi e nodi di scambio per le auto, le morto, le biciclette).

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3. Ancora stabile il fronte della qualità percepita dei servizi

La qualità percepita dei diversi mezzi di trasporto mostra negli ultimi anni una stabilità per certi versi sorprendente. La crisi economica e il conseguente profondo rimodellamento di stili e comportamenti di mobilità dei cittadini avrebbero infatti potuto modificare almeno il livello percettivo di soddisfazione per le soluzioni di trasporto adottate. Così non sembra essere successo e già nei Rapporti degli ultimi anni si è dato conto di questa sostanziale “linea piatta”, su cui torna a focalizzarsi il commento anche questo anno, pur nello sforzo di esplicitare qualche modulazione di rilievo.

Nella cornice di continuità delle dinamiche di soddisfazione per i mezzi di trasporto, il primo dato che emerge ad uno sguardo di insieme per il 2013 è la (naturale) conferma degli ampi divari registrati tra qualità percepita del viaggio con un mezzo individuale rispetto al mezzo collettivo (Tab. 16).

Tab. 16 - Indici di soddisfazione per i diversi mezzi di trasporto (punteggi medi 1-10)(*) 2013(**) 2012 2008

Grandi città Totale

Grandi città Totale Grandi città Totale

Moto, ciclomotore, scooter 8,8 8,4 8,4 8,4 8,7 8,4 Automobile 7,4 8,2 7,5 8,1 7,2 7,8 Bicicletta 7,9 8,4 7,9 8,4 8,2 8,2 Metropolitana 7,3 7,6 7,5 7,5 7,3 7,3 Pullman, autobus extraurbano 6,3 6,6 6,5 6,6 6,3 6,5

Treno locale 6,0 6,0 6,2 6,1 6,2 6,0 Autobus, tram 5,7 6,2 5,7 6,1 5,7 6,0 (*) Giudizi riferiti all’utilizzazione del mezzo nei tre mesi precedenti l’intervista (**) Dati da campione Fonte: Isfort, Osservatorio “Audimob” sulla mobilità degli italiani

Infatti, i tre modi di trasporto individuali (moto, auto e bicicletta) raccolgono punteggi medi di soddisfazione ben superiori all’8 (in scala scolastica 1-10; la valutazione riguarda globalmente l’uso del mezzo nei tre mesi precedenti l’intervista), mentre tra i modi di trasporto collettivo solo la metropolitana supera il punteggio medio di 7 gli altri tre qui considerati (pullman, treno locale, autobus/tram) si attestano poco sopra la sufficienza.

Più in dettaglio, nel 2013 le “due ruote” sia motorizzate (moto) che non motorizzate (bicicletta) si confermano appaiati in testa alla graduatoria dei mezzi più apprezzati con un voto medio di 8,4, lo stesso del 2012. Se si considerano le sole grandi città, si apre una forbice abbastanza significativa tra i due mezzi: il

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punteggio medio della moto sale a 8,8, mentre quello della bici scende a 7,9. E’ una variazione non sorprendente come si è già avuto occasione di commentare nei Rapporti precedenti; infatti, è soprattutto nelle aree urbane più densamente popolate e dove il traffico è più intenso e caotico che si esaltano alcune caratteristiche premiali della moto (capacità di muoversi flessibilmente nel traffico) e allo stesso tempo si accentuano alcune debolezze della bici (vulnerabilità, sicurezza, scomodità dei percorsi). L’automobile si piazza ben saldamente al terzo posto della graduatoria assoluta, a poca distanza dai punteggi registrati dalle “due ruote”: 8,2 come voto medio, peraltro in leggera crescita rispetto al 2012. Ovviamente nelle grandi città, l’auto cede un po’ di percezione di qualità (7,4) per effetto dei disagi prodotti dalla congestione urbana.

Quanto ai mezzi pubblici, dal monitoraggio effettuato lo scorso anno viene in evidenza un profilo di risposte in linea con gli anni precedenti. I mezzi urbani di superficie (autobus e tram) e il treno locale si attestano nel gradimento dei cittadini utenti appena sopra la sufficienza. A voler cogliere una leggera modulazione, si può osservare che l’autobus sale nel punteggio medio a 6,2 mentre il treno locale scende a 6,0, aprendo quindi una piccola differenza di apprezzamento tra i due mezzi (mentre nel biennio precedente l’allineamento era assoluto). Il leggero miglioramento dell’autobus avviene peraltro in assenza di un parallelo miglioramento della qualità percepita del servizio nelle grandi città (il voto medio resta di gran lunga insufficiente, inchiodato a 5,7), vero punto di debolezza nella segmentazione dei livelli di soddisfazione per il trasporto pubblico urbano di superficie.

Circa gli altri mezzi pubblici di trasporto, la metropolitana conferma le eccellenti performance registrate negli ultimi anni (è forse l’unico sistema di mobilità che modifica, e in positivo, il proprio punteggio), con un voto medio che sale a 7,6. Nell’extra-urbano, il pullman mantiene la sufficienza ampia a 6,6, confermando il voto del 2012. Rispetto al 2008, il profilo della graduatoria e degli stessi singoli voti non si è generalmente modificata con due modeste ma significative eccezioni: la metropolitana (già ricordata) che passa da un giudizio medio complessivo di 7,3 nel 2008 ad un voto di 7,6 nel 2013, e l’automobile che passa da 7,8 a 8,2 nello stesso periodo. Nell’insieme si può confermare la valutazione già espressa lo scorso anno, ovvero che i segnali di riequilibrio modale a favore del trasporto pubblico (peraltro in parte neutralizzati nel 2013, come si è visto nel paragrafo precedente) non può “essere messo in correlazione con le variazioni percepite della qualità del trasporto nei suoi diversi modi”. Tuttavia, in un quadro di calo della domanda l’automobile migliora le proprie performance facendo leva su fattori congiunturali (minore traffico), mentre il dato positivo della metropolitana sembra avere una natura più strutturale, legata anche al confronto di competitività con gli altri mezzi pubblici il cui servizio è percepito come nettamente meno adeguato (autobus e treno locale).

Il passaggio successivo dell’analisi derivante dal monitoraggio della soddisfazione percepita per i mezzi di trasporto guarda ad una diversa elaborazione dei dati disponibili proposta in particolare per i mezzi pubblici. La Tab. 17, nello specifico, riporta non i punteggi medi, ma le percentuali di voti positivi relativi ai mezzi di trasporto pubblico, sia urbani (autobus, metropolitana), sia extra-urbani (treno locale, pullman).

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Tab. 17 – I diversi livelli di soddisfazione nell’uso dei mezzi pubblici di trasporto urbani

2013(**) 2012 2011 2010

(% di voti 6-10)(*) Autobus e tram 67,5 65,5 66,8 63,5 Metropolitana 87,3 87,5 88,4 86,4 Treno locale/regionale 62,3 64,4 65,8 66,3 Pullman/Autobus extraurbano 78,2 75,9 74,9 73,6 (% di voti 7-10)(*) Autobus e tram 47,0 44,9 45,7 44,3 Metropolitana 76,6 75,4 76,6 72,9 Treno locale/regionale 45,1 45,5 45,2 45,1 Pullman/Autobus extraurbano 58,9 55,5 55,2 57,6 (% di voti 8-10)(*) Autobus e tram 27,8 26,4 24,3 25,8 Metropolitana 59,6 57,0 57,2 53,4 Treno locale/regionale 26,6 24,6 26,4 24,6 Pullman/Autobus extraurbano 33,8 33,6 32,9 36,7 (*) Giudizi riferiti all’utilizzazione del mezzo nei tre mesi precedenti l’intervista (**) Dati da campione Fonte: Isfort, Osservatorio “Audimob” sulla mobilità degli italiani

I risultati dell’elaborazione, anche in questo caso coerentemente stabili negli ultimi anni, possono essere riassunti come segue (per comodità di lettura si riportano alcune osservazioni generali già proposte lo scorso anno):

- la quota di utenti che possiamo definire “soddisfatti” in senso generale, ovvero che assegnano un punteggio tra 6 e 10, è superiore al 50% per tutti i mezzi. In dettaglio, esprimono un giudizio di sufficienza (voti da 6 a 10) 2 utenti su 3 per l’autobus/tram, quasi 4 utenti su 5 per il pullman e quasi 9 utenti su 10 per la metropolitana. Chiude la graduatoria il treno locale con una percentuale del 62% di voti sufficienti. L’area della soddisfazione “minimale” è in leggero aumento per l’autobus/tram: dal 63,5% del 2010 al 65,5% del 2012 fino al 67,5% registrato lo scorso anno. Una dinamica simile di costante incremento si registra anche per il pullman e (ma meno) per la metropolitana, mentre il treno locale evidenzia un tendenziale calo (dal 66,3% del 2010 al 62,3% del 2013);

- ci sono poi gli utenti che possiamo definire “pienamente soddisfatti”, poiché assegnano un punteggio di gradimento almeno di 7. Qui le percentuali scendono, come è ovvio, bruscamente; l’autobus e il treno si attestano sotto la soglia del 50%, il pullman scende poco sotto il 60%, la metropolitana si mantiene invece oltre il 75%. Nel trend degli ultimi anni, il miglioramento più cospicuo è in questo caso della metropolitana che passa dal 72,9% del 2010 al 76,6% del 2013. In crescita di un paio di punti percentuali anche l’autobus, mentre il treno locale è stabile. La quota dei “pienamente soddisfatti” rappresenta un’importante soglia di riferimento per la valutazione degli

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standard prestazionali dei mezzi pubblici di trasporto; è infatti una soglia-obiettivo verso cui un servizio pubblico adeguato dovrebbe tendere e che invece appara ancora lontana soprattutto per l’autobus e per il treno locale;

- infine, sono state aggregate le sole quote di utenti che hanno dato giudizi di eccellenza dei mezzi utilizzati, assegnando i tre punteggi più alti (8, 9 e 10). Qui la punta della soddisfazione si assottiglia molto per autobus e treno regionale (attorno o poco sopra il 25% del totale), si allarga ma non troppo per il pullman (circa il 33%), mentre la metropolitana riesca a mantenere un livello piuttosto buono anche quando il confronto è molto sfidante: infatti il 60% degli utenti della metropolitana assegna un punteggio di eccellenza (da 8 a 10). Da sottolineare che l’area dell’eccellenza si sta ampliando per tutti i mezzi di trasporto pubblico, e soprattutto per la metropolitana (dal 53,4% del 2010 al 59,6% del 2013), con l’eccezione del pullman. Le valutazioni per il trasporto extra-urbano su gomma tendono quindi a “normalizzarsi” attorno ai valori mediani, riducendo il peso dei giudizi più negativi e di quelli più positivi.

Come di consueto, l’analisi sulla soddisfazione per i mezzi di trasporto prosegue con l’elaborazione di alcuni significativi parametri di segmentazione, da riferire in particolare alla mobilità collettiva.

Un primo parametro riguarda la frequenza d’uso dei diversi mezzi. Gli utenti abituali, ovvero che fanno ricorso al mezzo almeno 3 o 4 volte a settimana, sono di norma un pò meno soddisfatti rispetto agli utenti saltuari e nel 2013 questa forbice si è leggermente allargata per la metropolitana, il treno locale e il pullman (Tab. 18). Nel caso dell’autobus/tram i punteggi di soddisfazione restano invece allineati tra utenti saltuari e utenti sistematici, così come si era registrato nel biennio precedente.

Tab. 18 – La soddisfazione di alcuni mezzi di trasporto per frequenza d’uso degli intervistati (punteggi 1-10)(*)

2013(**) 2012 2011

AUTOBUS/TRAM Utenti abituali 6,2 6,1 6,2 Utenti saltuari 6,2 6,1 6,1 METROPOLITANA Utenti abituali 7,3 7,4 7,4 Utenti saltuari 7,6 7,6 7,6 TRENO LOCALE/REGIONALE Utenti abituali 5,5 5,4 5,6 Utenti saltuari 6,1 6,2 6,2 PULLMAN/AUTOBUS EXTRAURBANO Utenti abituali 6,4 6,5 6,5 Utenti saltuari 6,7 6,6 6,6 (*) Giudizi riferiti all’utilizzazione del mezzo nei tre mesi precedenti l’intervista (**) Dati da campione Fonte: Isfort, Osservatorio “Audimob” sulla mobilità degli italiani

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Il secondo parametro di segmentazione è quello territoriale (circoscrizioni geografiche). Guardando all’autobus, le differenze tra le aree del Paese sono piuttosto marcate, tuttavia nel 2013 i divari si sono un po’ ridotti (a differenza di quanto era avvenuto nel 2012) (Tab. 19). Il Nord-Est resta l’area territoriale dove la qualità percepita del trasporto urbano di superficie è più alta, con un punteggio medio pari a 7 (conferma il dato del 2012 e migliora quello del 2008). Sufficienza piena per l’autobus/tram nel Nord-Ovest (anche in questo caso una conferma sul 2012 e un significativo miglioramento rispetto al 2008). Le note dolenti riguardano il Centro Italia e soprattutto il Mezzogiorno, dove i valori medi scendono sotto la sufficienza, fermandosi rispettivamente a 5,9 e a 5,6 (valori comunque in leggera crescita rispetto sia al 2012 che al 2008).

Tab. 19 – La soddisfazione per i mezzi di trasporto pubblico urbano per circoscrizione territoriale di residenza degli intervistati (punteggi 1-10)(*)

Autobus e tram Metropolitana

2013(**) 2012 2008 2013(**) 2012 2008

Nord-Ovest 6,6 6,6 6,3 8,2 8,0 7,6

Nord-Est 7,0 7,0 6,8 - - -

Centro 5,9 5,7 5,5 6,9 7,1 7,0

Sud e Isole 5,6 5,5 5,5 7,3 7,3 7,1

Totale 6,2 6,1 6,0 7,6 7,6 7,3 (*) Giudizi riferiti all’utilizzazione del mezzo nei tre mesi precedenti l’intervista (**) Dati da campione Fonte: Isfort, Osservatorio “Audimob” sulla mobilità degli italiani

Per la metropolitana, una riconosciuta eccellenza si registra nelle città del Nord-Ovest, dove il punteggio medio supera l’8 ed espone una significativa crescita rispetto al 2008 (da 7,6 a 8,2). Molto meno brillante, pur rimanendo buona, la percezione di qualità della metropolitana nel Centro Italia (Roma) con uno scivolamento al voto medio di 6,9 (dal 7,1 del 2012) e anche al Sud (Napoli) dove tuttavia la valutazione media resta ben superiore al 7.

Quanto ai mezzi pubblici extra-urbani, il 2013 evidenzia per il treno locale qualche significativa novità rispetto al 2012 (Tab. 20). Infatti, il Nord-Ovest con il punteggio medio di 5,8 perde quasi mezzo punto di valutazione e scende in fondo alla graduatoria delle circoscrizioni. Il Nord-Est all’opposto, dove nel 2012 i giudizi sul trasporto ferroviario locale si attestavano attorno alla sufficienza, ha invece evidenziato un netto miglioramento della qualità percepita del servizio, con un gradimento medio che dal 6 sale al 6,4. In leggero peggioramento la soddisfazione per il treno locale espressa dagli utenti delle regioni meridionali, con un punteggio medio che resta tuttavia sulla soglia della sufficienza.

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Tab. 20 – La soddisfazione per i mezzi di trasporto pubblico extra-urbano per circoscrizione territoriale di residenza degli intervistati (punteggi 1-10)(*)

Pullman/Autobus extraurbano Treno locale/regionale

2013(**) 2012 2008 2013(**) 2012 2008

Nord-Ovest 7,0 6,7 6,5 5,8 6,2 5,9

Nord-Est 6,8 6,8 7,1 6,4 6,0 6,3

Centro 6,5 6,2 6,4 5,9 5,8 6,1

Sud e Isole 6,5 6,6 6,4 6,0 6,2 5,9

Totale 6,6 6,6 6,5 6,0 6,1 6,0 (*) Giudizi riferiti all’utilizzazione del mezzo nei tre mesi precedenti l’intervista (**) Dati da campione Fonte: Isfort, Osservatorio “Audimob” sulla mobilità degli italiani

Nel caso del pullman, è da sottolineare la forte e costante crescita del livello di soddisfazione registrato nelle regioni del Nord-Ovest (dal 6,5 del 2008 al 7 del 2013), mentre un leggero arretramento sembra interessare l’area del Nord-Est (da 7,1 a 6,8 nello stesso periodo). Stabili attorno al 6,5 i punteggi di qualità percepita registrati nel Centro-Sud.

Per il solo autobus/tram viene proposta, come negli anni passati, un’analisi di segmentazione relativa alle caratteristiche socioanagrafiche degli utenti. Come si vede dalla Tab. 21, uno scostamento significativo tra il 2012 e il 2013 riguarda la fascia d’età 30-45 anni dove si registra una crescita della soddisfazione da 6 a 6,4. Trattandosi di una fascia di età a forte domanda di mobilità e normalmente orientata verso i mezzi individuali, la variazione positiva della soddisfazione per il trasporto urbano di superficie è di particolare interesse. Per il resto, si conferma che gli utenti più soddisfatti sono quelli della fascia di età superiore ai 65 anni, i pensionati, le donne e, in crescita dal 2012, le casalinghe, mentre tra i maggiormente insoddisfatti si registrano i giovanissimi, gli studenti e i lavoratori autonomi.

Infine, il consueto sguardo sulla velocità media percepita dei diversi mezzi di trasporto. Come già rilevato lo scorso anno, il tendenziale allungamento medio degli spostamenti, a fronte di un consumo di tempo di fatto stabilizzato, sta determinando un progressivo, seppure molto graduale, incremento delle velocità medie delle percorrenze (Tabb. 22 e 23). In particolare nel 2013 i dati relativi al trasporto urbano evidenziano un leggero aumento della velocità media dell’auto (29km/h) che si attesta al doppio di quella dei mezzi pubblici (15km/h, stabile rispetto al 2012), mentre un sorprendente decremento della velocità media in ambito urbano ha riguardato la moto (30km/h, riallineandosi ai livelli del 2011 dopo l’exploit del 2012).

Per gli spostamenti extra-urbani la crescita della velocità media è più pronunciata per i mezzi di trasporto collettivo (da 39km/h del 2012 a 42km/h del 2013), con una distanza molto più ridotta rispetto all’auto (48km/h) e alla moto (43km/h). Si conferma quindi che la criticità competitiva sui tempi di percorrenza per i mezzi collettivi di trasporto si concentra nei perimetri urbani, mentre le relazioni extra-urbane, sia per la componente ferroviaria che per quella su gomma, assicura tempi di spostamento assolutamente ragionevoli e competitivi rispetto a quelli dei mezzi privati.

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Tab. 21 – La soddisfazione per l’utilizzo dell’autobus/tram per profili socio anagrafici degli intervistati (punteggi 1-10)(*)

2013(**) 2012 2011

SESSO Uomini 6,1 6,1 6,2 Donne 6,3 6,1 6,1

ETÀ 14-29 anni 5,8 5,9 6,0 30-45 anni 6,4 6,0 6,0 46-64 anni 6,2 6,1 6,1 65 anni e oltre 6,6 6,6 6,6

CONDIZIONE PROFESSIONALE Lavoratore dipendente 6,1 6,0 6,0 Lavoratore autonomo 5,9 6,0 6,2 Disoccupato/in cerca di prima occupazione 6,0 5,8 5,7 Casalinga 6,5 6,2 6,2 Studente 5,9 5,9 6,0 Ritirato dal lavoro 6,5 6,5 6,5 (*) Giudizi riferiti all’utilizzazione del mezzo nei tre mesi precedenti l’intervista (**) Dati da campione Fonte: Isfort, Osservatorio “Audimob” sulla mobilità degli italiani

Tab. 22 – La velocità media percepita degli spostamenti urbani per mezzi di trasporto (in km/h)

2013 2012 2008 Totale Grandi città Totale Grandi città Totale Grandi città

Moto, ciclomotore, scooter 30 28 33 30 30 30

Automobile 29 24 28 25 26 23 Mezzi pubblici 15 14 15 14 15 13

Fonte: Isfort, Osservatorio “Audimob” sulla mobilità degli italiani

Tab. 23 – La velocità media percepita degli spostamenti extra-urbani per mezzi di trasporto (in km/h)

2013 2012 2008

Moto, ciclomotore, scooter 43 46 47 Automobile 48 47 47 Mezzi pubblici 42 39 39

Fonte: Isfort, Osservatorio “Audimob” sulla mobilità degli italiani

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Parte seconda

IL MONITORAGGIO DELL’OFFERTA IN FASE DI PERICOLOSA CONTRAZIONE

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1. Descrizione del lavoro e profili metodologici

Il presente capitolo restituisce, come ogni anno, i risultati del monitoraggio delle principali dinamiche economico – produttive delle aziende di trasporto pubblico locale, monitoraggio condotto mediante l’analisi del bilancio di esercizio di un campione di operatori.

Nello specifico, il capitolo si articola nei seguenti paragrafi:

- profili metodologici – Il paragrafo descrive le caratteristiche del campione selezionato, la metodologia di rilevazione e di analisi dei dati nonché le operazioni correttive che si sono rese necessarie per garantire l’esposizione veritiera e corretta dei dati, alla luce sia dell’introduzione di nuove unità campionarie (extraurbano) che di esperienze di aggregazione e fusione che rendono complessa la confrontabilità intertemporale degli indicatori economico-produttivi;

- i dati di produzione – Il paragrafo restituisce le dinamiche degli ultimi 11 anni dei principali dati produttivi delle unità campionarie espressi in termini di:

o produzione chilometrica (Vetture-km);

o passeggeri trasportati;

o personale;

o mezzi di trasporto;

operando un’analisi sia per area territoriale (Nord-Est, Nord Ovest, Centro, Sud e Isole) che per dimensione delle aree urbane (Grandi, medie e piccole);

- i dati economici – Il paragrafo conduce un’analisi, aggregata per macroarea territoriale e per dimensione delle città, dei dati economico- contabili, ponendo specifica attenzione sulla struttura dei ricavi, sulle tariffe, nonché sulle tendenze evolutive dei costi della produzione;

- le evidenze dell’analisi gestionale – Il paragrafo è finalizzato a fornire, grazie al confronto tra costi e ricavi ed ulteriori indicatori di analisi di bilancio, elementi di valutazione complessiva circa le performance gestionali degli operatori di TPL.

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La rilevazione dati è stata costruita tramite la raccolta delle informazioni effettuata direttamente sui bilanci di esercizio delle aziende-unità campionarie. L’ultimo anno di aggiornamento è il 2012, atteso che ad oggi non tutti i bilanci 2013 delle aziende campionarie sono stati approvati o comunque depositati presso le Camere di Commercio. La scelta di lavorare su dati contabili pubblici e certificati se per un verso garantisce la certezza dell’analisi, dall’altro sconta una discrasia temporale di un anno rispetto ai dati 2012 del precedente capitolo relativo alla domanda.

La fonti dati bilancio di esercizio, quando le relazioni alla gestione e la note integrative non hanno fornito le informazioni necessarie e là dove si è reso opportuno un aggiornamento al 2013 (es. tariffe, domanda di trasporto), è stata integrata o con informazioni desunte dai siti web aziendali, o con documenti aziendali quali carte della mobilità e bilanci di sostenibilità, oppure con indagini dirette presso le aziende del campione

Come si evince dalle Tabb. 1 e 2 seguenti il campione selezionato riproduce con fedeltà la struttura dell’universo in merito alla tipologia di servizio svolto, alla distribuzione territoriale, alla classe dimensionale nonché ai parametri economico-produttivi.

Le aziende - unità campionarie considerate, in particolare, rappresentano il 66,4% della forza lavoro, il 60% della produzione chilometrica, addirittura oltre l’80% dei passeggeri trasportati e il 66,4% del fatturato complessivo (Valore della produzione).

Tab. 1 - La rappresentatività del campione (Urbano ed extraurbano - Anno 2012)

Campione Universo % campione su universo

Addetti 67.565 101.717 66,4 N. mezzi 27.788 45.199 61,5 Km percorsi (milioni) 1.164 1.932 60,3 Passeggeri (milioni) 4.010 5.015 80,0 Valore della Produzione 5.889 8.869 66,4

Fonte: Elaborazioni ANAV- ASSTRA su dati CNIT 2011-2012 e bilanci aziendali

Le aziende campionarie sono pari a 62 unità le quali, tenuto conto della numerosità degli operatori nell’ambito delle quattro aree territoriali del Paese, si caratterizzano per una buona equidistribuzione (Tab. 2).

Tab. 2 - Suddivisione del campione per area territoriale (Urbano ed extraurbano - Anno 2012)

Area territoriale N. aziende Val. %

Nord Ovest 16 25,8 Nord Est 14 22,6 Centro 10 16,1 Sud e Isole 22 35,5 Totale 62 100,0

Fonte: Elaborazioni ANAV- ASSTRA su dati CNIT 2011-2012 e bilanci aziendali

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La Tab. 3 mette in evidenza che la ripartizione delle aziende campione per ambito di esercizio è in linea con le caratteristiche del settore nel suo complesso, dove la maggior parte degli operatori gestiscono servizi misti urbani ed extraurbani. Nella classe delle aziende che svolgono servizio prevalentemente urbano vi è una quota del 15% di chilometri prodotti nelle relazioni extraurbane.

Tab. 3 - Suddivisione del campione per ambito di esercizio (Urbano + Extraurbano - Anno 2012)

Area territoriale N. aziende Val. % Solo urbano 13 21,0 Miste a prevalenza urbano 30 48,4 Solo extraurbano 19 30,6 Totale 62 100,0

Fonte: Elaborazioni ANAV- ASSTRA su dati CNIT 2011-2012 e bilanci aziendali

La Tab. 4 si riferisce alle sole aziende operanti in ambito urbano mostrando una ripartizione delle aziende tra le classi dimensionali delle città coerente con la numerosità dell’universo delle aziende del settore in relazione a tali classi.

Tab. 4 – Suddivisione del campione per dimensione città (Urbano - Anno 2012)

Area territoriale N. aziende Val. %

Grandi città (oltre 250 mila abitanti) 12 27,9 Comuni tra 100mila e 250mila abitanti 18 41,9 Comuni < 100mila abitanti 13 30,2 Totale 43 100,0

Fonte: Elaborazioni ANAV- ASSTRA su dati CNIT 2011-2012 e bilanci aziendali

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2. I dati di produzione

Il Graf. 1 mostra una contrazione generalizzata della produzione nel settore del trasporto pubblico locale e regionale, naturale conseguenza di un periodo economico che si è contraddistinto per una spiccata austerità della finanza pubblica. Dal 2009 al 2012 le risorse pubbliche per il comparto si sono ridotte del 12% (-800 milioni di Euro). A livello complessivo nazionale i livelli produttivi hanno subito una riduzione percentuale dal 2009 al 2012 del 4,5%, vale a dire una perdita in termini assoluti di 90 milioni di km percorsi. Ad ogni buon conto non si può omettere che tali riduzioni, mentre in alcune aree hanno causato delle ricadute negative sulla qualità e frequenza del servizio reso, in altre aree sono state gestite attraverso soppressioni di alcune corse a domanda debole, riduzioni dei km fuori servizi, eliminazione delle duplicazione e tutto ciò ha consentito in senso più ampio una razionalizzazione della rete servita secondo principi di efficienza ed ottimizzazione. Sotto il profilo territoriale le contrazioni più evidenti si sono registrate nelle aree meridionali del Paese -10,6%, regioni in cui l’ondata dei tagli di risorse è stata (e continua ad essere) più rilevate (-27% in Campania, -20% in Sicilia). Il Nord Est ed il Centro del Paese vedono una riduzione dell’offerta km rispettivamente del 3,4% e del 4,4%, resiste maggiormente il Nord Ovest con una flessione del 2% riconducile sostanzialmente alla tenuta delle grandi aree metropolitane.

L’analisi per singola unità mostra che quasi i due terzi delle aziende (61.3%) hanno tagliato la produzione chilometrica, un terzo ha confermato gli stessi chilometri dell’anno passato, e solo l’11% ha visto aumentare tale indicatore (Graf. 2).

In ambito prevalentemente urbano si evince, dal Graf. 3, che il livello della produzione chilometrica dopo il balzo avvenuto negli anni 2007 e 2008, prevalentemente ascrivibile al tentativo di rilancio del settore con l’iniezione di risorse aggiuntive è tornato ai livelli 2005-2006. In particolare nell’ultimo triennio le contrazioni maggiori sono state rilevate nelle città medie e medio grandi (-5,27%), anche se non si può non sottolineare la contrazione delle grandi città con un meno 4,24%.

Il Graf. 4, nel restituire l’analisi territoriale delle dinamiche produttive in relazione ai servizi urbani o prevalentemente urbani, mostra come la riduzioni di offerta del Sud abbiano visto negli ultimi 11 anni una continua ed inesorabile contrazione fino ad arrivare a -15,5% (2002-2012).

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Graf. 1 – Dinamica delle vetture-Km erogate urbano + extra-urbano

DATO ASSOLUTO COMPLESSIVO

ANALISI TERRITORIALE (2009-2012; numeri indice)

Fonte: Elaborazioni ASSTRA- ANAV su dati bilanci aziendali

Graf. 2 – Dinamica delle vetture-km erogate urbano+extra-urbano (2012; % aziende)

Fonte: Elaborazioni ASSTRA –ANAV su dati bilanci aziendali

Quadro di sintesi Produzione Km complessiva 2009-2012

Percentuale -4,50%

Assoluta - 90 milioni di km

Nord Ovest -2%

Nord Est -3,4%

Centro -4,4%

Sud e Isole -10,8%

100,0 101,9

98,8 96,6

99,9 97,6

95,5

2009 2010 2011 2012

Nord Est Media nazionale

 

100,0

99,7

99,8 98,0

99,9

97,6 95,5

2009 2010 2011 2012

Nord Ovest Media nazionale

100,0 100,0

97,3 95,6 99,9

97,6

95,5

2009 2010 2011 2012

Centro Media nazionale

97,5

93,6

89,4

100,0 99,9 97,6

95,5

2009 2010 2011 2012

Sud e Isole Media nazionale

diminuzione

stabile

aumento

61,3%

27,4%

11,3%

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Graf. 3 – Dinamica delle vetture-Km erogate solo urbano e prevalentemente urbano (2002-2012; numeri indici; analisi dimensionale)

Fonte: Elaborazioni ASSTRA- ANAV su dati bilanci aziendali

Graf. 4 – Dinamica delle vetture-Km erogate solo urbano e prevalentemente urbano (2002-2012; numeri indici; analisi territoriale)

Fonte: Elaborazioni ASSTRA- ANAV su dati bilanci aziendali

 

98,7

98,899,3

101,2

106,1 107,3 108,4 107,5

104,8102,9

99,8 101,0 101,5

100,9

101,8 101,7 101,7102,8

100,5

97,4

100,0

102,8

105,4106,8

110,9113,0

114,0

110,7112,2

109,7108,6

99,4

99,9 100,5102,1

106,0 106,8 107,3 107,2

104,6102,5

85,0

90,0

95,0

100,0

105,0

110,0

115,0

120,0

2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012

Grandi città Città tra 100mila abitanti e 250mila abitanti

Città con meno di 100mila abitanti MEDIA NAZIONALE

Analisi dimensionale 2010-2012 2011-2012 Grandi città -4,24% -1,74% Città tra 100mila abitanti e 250mila abitanti -5,27% -3,14% Città con meno di 100mila abitanti -3,26% -1,03% MEDIA NAZIONALE -4,40% -2,02%

 

98,9 99,6 99,7

102,5 104,0 105,9 107,2

107,1

103,7 102,7

100,0 101,5

102,9 102,2

101,0

110,6

110,4 110,5

112,7

108,8

106,3

99,4 100,5 102,1

105,0

109,9

111,0 111,2

110,9

111,2 109,1

97,8 96,2

97,2 97,2 96,8 96,8 96,7

94,2

88,5

84,5

99,4 99,9

100,5 102,1

106,0 106,8 107,3 107,2

104,6

102,5

80,0

85,0

90,0

95,0

100,0

105,0

110,0

115,0

2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012

Centro Nord Est Nord Ovest Sud e Isole MEDIA NAZIONALE

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Le tendenze che si sono registrate in ambito extra-urbano sono assimilabili a quanto avvenuto per i servizi urbani. Già nel 2010 vi è stato un lievissimo calo dello 0,3%; nel 2011 la riduzione è stata pari a -1,6%, nel 2012 il calo è più importante fino ad arrivare al -2,85%; -4,42% complessivo nel triennio 2010-2012. Le riduzioni si concentrano soprattutto nel Sud e Isole (Graf. 5).

Graf. 5 – Dinamica delle vetture-Km erogate solo extra-urbano (2009-2012; numeri indici; media nazionale)

Fonte: Elaborazioni ASSTRA- ANAV su dati bilanci aziendali

Anche nel 2012 la domanda di trasporto pubblico locale, definita nella presente analisi in termini di passeggeri trasportati, si registra a livello medio nazionale un’importante flessione pari -3,25% (Graf. 6). In termini assoluti nel quadriennio 2009-2012 vi è stata una flessione di 125 milioni di viaggi. Al fine di rendere omogenee le due rilevazioni si è proceduto ad operare un aggiornamento al 2013 su sottocampione di operatori, dal quale si evince un’ulteriore riduzione della domanda rispetto all’anno precedente(2012) del – 4,2%.

Non si può nascondere che la riduzione della domanda è figlia di un contesto generale economico di un Paese in crisi, ma altrettanto, come si è rilevato in diverse relazioni gestionali allegati ai bilancio di esercizio, l’ondata dei tagli oltre a produrre utili razionalizzazioni ed ottimizzazione dei programmi di esercizio ha anche determinato eliminazioni di corse caratterizzate da buona frequentazione e un continuo calo della qualità dei servizi.

Nel triennio 2010-2012, vale a dire nel periodo in cui sono state avviate le politiche di austerità della finanza pubblica, la contrazione è stata pari al -5%

A livello territoriale sono il Centro in primis e il Sud poi i contesti in cui la riduzione è stata più marcata. Si registra, invece, una tenuta del Nord Ovest, grazie anche alle grandi aree metropolitane.

 

100,9

100,0

98,1

95,9

94,9

93,4

100,1

98,5

97,6

100,099,7

97,6

93,1

99,7

98,1

95,3

92,0

93,0

94,0

95,0

96,0

97,0

98,0

99,0

100,0

101,0

102,0

2009 2010 2011 2012

Centro Nord Est Nord Ovest Sud e Isole Media nazionale

Analisi territoriale 2010-2012 2011-2012

Centro -2,82% -1,85%

Nord Est -2,62% -1,59%

Nord Ovest -2,50% -0,98%

Sud e Isole -6,64% -4,55%

MEDIA NAZIONALE -4,42% -2,85%

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Graf. 6 – Dinamica dei passeggeri trasportati urbano + extra-urbano (2009-2012; numeri indici; analisi territoriale)

DATO ASSOLUTO COMPLESSIVO

Quadro di sintesi 2009-2012 Passeggeri trasportati complessivi

2009-2012

Percentuale -2,50%

Assoluta - 125 milioni di passeggeri

Nord Ovest +5%

Nord Est -0,5%

Centro -7,4%

Sud e Isole -5,2%

ANALISI TERRITORIALE

Fonte: Elaborazioni ASSTRA- ANAV su dati bilanci aziendali

 

102,4 104,2 105,0

100,0 102,1 100,8 97,5

2009 2010 2011 2012

Nord Ovest con grandi cittàMedia nazionale

100,0 101,6 102,1

99,5102,1

100,8

97,5

2009 2010 2011 2012

Nord Est Media nazionale

100,8

96,0 94,8

100,0 102,1

100,8

97,5

2009 2010 2011 2012

Sud e Isole Media nazionale

 

100,0 102,6

99,5

92,6

102,1 100,8

97,5

2009 2010 2011 2012

Centro Media nazionale

Analisi territoriale 2010-2012 2011-2012

Centro -9,76% -6,93%

Nord Est -2,05% -2,60%

Nord Ovest 2,50% 0,80%

Sud e Isole -5,96% -1,29%

MEDIA NAZIONALE -5,00% -3,25%

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Sono i servizi urbani, soprattutto prestati nel Centro del Paese, quelli in cui la domanda è calata con ritmi più elevati (Graff. 7 e 8).

Graf. 7 – Dinamica dei passeggeri trasportati urbano e prevalentemente urbano (2002-2012; numeri indici; analisi dimensionale)

Fonte: Elaborazioni ASSTRA- ANAV su dati bilanci aziendali

Graf. 8 – Dinamica dei passeggeri trasportati urbano e prevalentemente urbano (2002-2012; numeri indici; analisi territoriale)

Fonte: Elaborazioni ASSTRA- ANAV su dati bilanci aziendali

100,199,3

100,6101,8

104,8

107,3 107,3

109,7108,2

103,9100,3 101,4

102,9

106,0

108,2

110,5 109,9 110,9109,6

107,6

100,0100,8

102,3

107,2 107,3108,3 109,7 109,3

113,4 113,9 114,5

100,299,6

101,1

102,5

105,3

107,8 107,6

109,9108,5

104,7

90,0

95,0

100,0

105,0

110,0

115,0

120,0

2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012

Grandi città Città tra 100mila abitanti e 250mila abitanti

Città con meno di 100mila abitanti MEDIA NAZIONALE

Analisi dimensionale 2010-2012 2011-2012 Grandi città -5,31% -3,96% Città tra 100mila abitanti e 250mila abitanti -2,94% -1,77% Città con meno di 100mila abitanti 0,97% 0,55% MEDIA NAZIONALE -4,74% -3,47%  

 

100,6

99,5 100,2

101,8

104,5

108,9 108,9

111,8

108,4

100,4 100,0

99,9

100,8

104,4 105,2

110,6 109,2 109,3 111,0

111,6

108,5

100,1

99,7 101,3

103,3

106,5 109,2 109,1

111,8 113,7 114,7

99,4 98,6 99,5 99,6 99,2 99,3 98,7

99,4

94,7 93,5

100,2 99,6 101,1

102,5

105,3 107,8 107,6

109,9 108,5

104,7

90,0

95,0

100,0

105,0

110,0

115,0

120,0

2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012

Centro Nord Est Nord Ovest Sud e Isole MEDIA NAZIONALE

Analisi territoriale 2010-2012 2011-2012 Centro -10,19% -7,37% Nord Est -2,27% -2,83% Nord Ovest 2,56% 0,85% Sud e Isole -5,92% -1,25% MEDIA NAZIONALE -4,74% -3,47%  

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Si può altresì affermare che il trasporto extra-urbano mostra una generalizzata tenuta (Graf. 9). Questo dato viene confermato anche dall’indagine specifica fatta per il 2013 in cui le riduzioni più marcate sono rinvenibili nelle aree urbane, anzi nell’extra-urbano non sono poche le realtà che fanno registrare, seppur lievi, degli aumenti di domanda.

Graf. 9 – Dinamica dei passeggeri trasportati solo extra-urbano (2009-2012; numeri indici; media nazionale)

Fonte: Elaborazioni ASSTRA- ANAV su dati bilanci aziendali

Continua anche nel 2012 il processo di razionalizzazione della forza lavoro impiegata nel settore del trasporto pubblico regionale e locale. L’analisi territoriale e dimensionale non evidenzia differenze di rilievo tra le diverse aree del Paese e per ambito di trasporto, tranne che per delle percentuali di calo maggiormente accentuate nelle aree centrali e nelle grandi aree metropolitane (Graff. 10, 11,12 e 13).

Le politiche occupazionali restrittive, come si rileva nelle relazioni alla gestione dei bilanci delle unità campionarie sono state attuate nella maggior parte dei casi attraverso incentivi all’esodo, il blocco del turnover, la mancata riconferma delle figure professionali a tempo determinato ed in alcuni casi, anche se limitati, al ricorso alla cassa integrazione in deroga.

104,0

103,0

102,2

99,699,7

98,9

103,3

99,4

97,9

100,0

101,5

100,2

99,6

94,0

95,0

96,0

97,0

98,0

99,0

100,0

101,0

102,0

103,0

104,0

105,0

2009 2010 2011 2012

Centro Nord Est Nord Ovest Sud e Isole Media nazionale

Analisi territoriale 2010-2012 2011-2012Centro 0,02% 0,02%Nord Est -1,81% -0,79% Nord Ovest -0,63% -0,78% Sud e Isole -5,21% -1,50% MEDIA NAZIONALE -1,91% -0,67%  

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51

Graf. 10 – Dinamica degli addetti urbano + extra-urbano (2009-2012; numeri indici; analisi territoriale)

Analisi territoriale 2010-2012 2011-2012

Centro -6,40% -3,28%

Nord Est -3,76% -2,66%

Nord Ovest -4,81% 0,05%

Sud e Isole -7,16% -2,00%

MEDIA NAZIONALE -5,06% -2,66%

Fonte: Elaborazioni ASSTRA- ANAV su dati bilanci aziendali

 

98,8 97,6

94,1

100,0

98,8 96,4

93,8

2009 2010 2011 2012

Nord Ovest Media nazionale

98,1

94,5 91,0

100,0 98,8

96,4

93,8

2009 2010 2011 2012

Sud e Isole Media nazionale

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52

Graf. 11 – Dinamica degli addetti urbano e prevalentemente urbano (2002-2012; numeri indici; analisi dimensionale)

Fonte: Elaborazioni ASSTRA- ANAV su dati bilanci aziendali

Analisi dimensionale 2010-2012 2011-2012

Grandi città -5,52% -2,86%

Città tra 100mila abitanti e 250mila abitanti -4,76% -2,81%

Città con meno di 100mila abitanti -1,58% -1,00%

MEDIA NAZIONALE -5,09% -2,71%

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Graf. 12 – Dinamica degli addetti urbano e prevalentemente urbano (2002-2012; numeri indici; analisi territoriale)

Fonte: Elaborazioni ASSTRA- ANAV su dati bilanci aziendali

Analisi territoriale 2010-2012 2011-2012

Centro -5,41% -2,26%

Nord Est -3,62% -1,86%

Nord Ovest -5,82% -4,66%

Sud e Isole -6,27% -2,71%

MEDIA NAZIONALE -5,09% -2,71%

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Graf. 13 - Dinamica degli addetti solo extra-urbano (2009-2012; numeri indici; media nazionale)

Fonte: Elaborazioni ASSTRA- ANAV su dati bilanci aziendali

L’analisi dell’offerta di mezzi, in diminuzione dal 2009 al 2012 di circa l’1,5%, deve essere analizzato tenendo in considerazione il tema della “qualità” dei mezzi in circolazione, deducibile, in prima battuta, dall’età media del parco mezzi (Graf. 14).

Graf. 14 – Dinamica dei mezzi urbano+extraurbano (2009-2012)

Fonte: Elaborazioni ASSTRA- ANAV su dati bilanci aziendali

Analisi territoriale 2010-2012 2011-2012

Centro -5,70% -4,26%

Nord Est -1,93% -0,40%

Nord Ovest -3,04% -0,98%

Sud e Isole -5,91% -1,97%

MEDIA NAZIONALE -5,12% -2,42%

 

100,0

100,6

99,7

98,5

2009 2010 2011 2012

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Come si evince dal grafico, anche se gli autobus sono leggermente “ringiovaniti” nel 2013, passando a livello nazionale da 11,57 ad 11,15 anni di età, l’anzianità media del parco autobus registra dal 2006 (9,29 anni) al 2012 (11,57 anni) un trend in costante crescita con un enorme “gap” rispetto alla media Europea che si attesta intorno ai 7 anni (Graf. 15).

Graf. 15 – Evoluzione età media (2002-2013; anni)

 

9,58

9,07 9,12

8,79

9,51

9,42

9,77

10,39 10,40

10,59

11,19

10,4710,18

10,81

10,39

9,47

9,08

9,70

10,36 10,48 10,51

11,36

11,95 11,82

9,88

9,94

9,76

9,13

9,29 9,56

10,07

10,44 10,45

10,98

11,57

11,15

2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013

Urbano Extraurbano Media

Fonte: ASSTRA – Autobus e investimenti 2013

Questo dimostra l’assoluta necessità, da un punto di vista ambientale e di sicurezza, di politiche di investimento tese al rinnovo del parco autobus che possano rispondere alla domanda di servizi di trasporto pubblico efficiente e pulita, davvero concorrenziale all’uso del mezzo privato.

Nel 2013, come già anticipato, si è registrato, per il primo anni dopo circa sette anni di crescita, una leggera flessione dell’età media dei mezzi, sia nei veicoli impiegati su tratte urbane (10,47 anni con un calo del -6%), sia in quelli destinati al trasporto extraurbano (11,82 anni con un calo del -1% circa).

La dinamica positiva registrata nell’ultimo anno di analisi deriva dagli investimenti effettuati sulle flotte da parte di alcune aziende che nel 2013 hanno proceduto alla relativa copertura essenzialmente con risorse proprie generate dalla gestione operativa o ricorrendo agli istituti di credito.

Il parco autobus italiano adibito al trasporto pubblico urbano ed extraurbano nel 2013 è caratterizzato per classi di emissione Pre Euro 0, Euro 0, Euro 1 (che rappresentano ancora il 12% del parco urbano e il 19% di quello extraurbano), Euro 2 (30% per urbano e 27% per extraurbano) ed Euro 3 (29% per entrambi i comparti), e una buona fetta del parco, a livello aggregato, ha alimentazione alternativa (28% dei veicoli urbani e 25% per quelli operanti nell’extraurbano (Graf. 16). Non necessitano evidenze le ricadute che ciò comporta in termini di minore sicurezza, di maggiori costi di manutenzione, consumo dei carburanti e di danni all’ambiente.

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Graf. 16– Ripartizione percentuale del parco urbano ed extra-urbano per livelli di emissione (2012; valori percentuali)

Fonte: ASSTRA – Autobus e investimenti 2013

Risulta confermata per il 2013 la prevalenza dei veicoli alimentati a gasolio (86,25%), il metano continua ad affermarsi come una reale alternativa ecologica ai tradizionali autobus diesel: il 10,95% degli autobus ecologici nelle aziende campione sono a metano. I veicoli elettrici e la versione ibrida rappresentano, a livello generale, rispettivamente un 1,85% e un 0,46% del parco mezzi totale (Graf. 17).

Graf. 17 – Ripartizione percentuale del parco totale per fonti di trazione (2012; valori percentuali)

Fonte: ASSTRA – Autobus e investimenti 2013

Urbano Extraurbano

Gasolio; 86,25%

Metano; 10,95%

GPL;0,25%

Ibrido;0,46%

Elettrico;1,85%

Altro;0,21%

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3. I dati economici

3.1. I ricavi

Anche per il 2012 l’analisi della struttura dei ricavi delle unità campionarie esaminate fa emergere, in linea con le tendenze di finanza pubblica, una significativa contrazione della quota dei contributi pubblici a cui fa da contraltare una quota crescente dei proventi derivanti dalla vendita di biglietti e abbonamenti. Alla riduzione dei trasferimenti pubblici ha fatto seguito, infatti, una generale tendenza sia delle Regioni che degli Enti Locali a rivedere a rialzo i titoli di viaggio.

La quota delle compensazioni pubbliche in conto esercizio cala di oltre un punto (-1,4%, passando dal 55,9% del 2011 al 54,5% del 2012) mentre i ricavi da traffico salgono ancora dello 0,3% (dal 27,5% del 2011 al 27,8% del 2012). Gli altri ricavi, costituiti in particolar modo da introiti per servizi complementari (pubblicità, affitti) al TPL, servizi commerciali (granturismo, sosta) e i contributi in conto capitale, fanno registrare nell’ultimo anno di analisi un incremento dello +1% (Graf. 18).

Graf. 18 – Evoluzione della ripartizione dei ricavi urbano + extra-urbano (2009-2012; % su totale valore della produzione)

Fonte: Elaborazioni ASSTRA- ANAV su dati bilanci aziendali

La scomposizione territoriale dell’analisi della struttura dei ricavi evidenzia accentuate sperequazioni tra le diverse aree del Paese (Graf. 19).

 

25,6% 26,2% 27,5% 27,8%

57,7% 57,5% 55,9% 54,5%

16,7% 16,3% 16,6% 17,6%

2009 2010 2011 2012

Ricavi da traffico Compensazioni pubbliche in conto esercizio Altri ricavi

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Graf. 19 – La ripartizione dei ricavi urbano + extra-urbano (2012; % su totale valore della produzione; analisi territoriale)

Fonte: Elaborazioni ASSTRA- ANAV su dati bilanci aziendali

La stessa analisi ripetuta per l’ambito prevalentemente urbano mette in luce una migliore performance, in termini di quota dei ricavi da traffico, delle grandi aree metropolitane (30%), aiutate ovviamente dalla presenza in alcune realtà della modalità metropolitana che fa registrare tassi di frequentazione molto elevati (Graf. 20). Soffrono le città medio piccole in cui, come dimostrano i dati del precedente capitolo sulla domanda, il trasporto pubblico risente maggiormente dell’alternativa mezzo proprio (Tabb. 5 e 6).

Graf. 20 – La ripartizione dei ricavi urbano e prevalentemente urbano (2012; % su totale valore della produzione; analisi dimensionale)

Fonte: Elaborazioni ASSTRA- ANAV su dati bilanci aziendali

27%33% 31%

17%

60%54%

47%62%

14% 14%22% 21%

Centro Nord Est Nord Ovest Sud  e isoleRicavi da traffico Compensazioni pubbliche in conto esercizio Altri ricavi

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Tab. 5 – L’evoluzione delle voci di ricavo urbano + extra-urbano (2010-2011; % analisi territoriale)

2010-2011 2011-2012

IL TOTALE VALORE DELLA PRODUZIONE Centro -1,27 2,50

Nord Est -1,36 -0,07

Nord Ovest 0,28 1,25

Sud e isole -5,79 2,90

Media nazionale -1,57 1,64

I RICAVI DA TRAFFICO Centro -0,29 4,17

Nord Est 7,82 3,05

Nord Ovest 3,64 2,96

Sud e isole 1,50 -0,32

Media Nazionale 3,09 2,98

LE COMPENSAZIONI PUBBLICHE IN CONTO ESERCIZIO Centro -3,67 1,75

Nord Est -4,75 -1,37

Nord Ovest -2,36 -0,89

Sud e isole -7,48 -5,29

Media Nazionale -4,29 -0,99

Fonte: Elaborazioni ASSTRA – ANAV su dati bilanci aziendali

Tab. 6 – L’evoluzione delle voci di ricavo solo urbano e prevalentemente urbano (2010-2011; % analisi dimensionale)

2010-2011 2011-2012

IL TOTALE VALORE DELLA PRODUZIONE Grandi città -2,50 0,82

Città tra 100mila abitanti e 250mila abitanti 1,39 0,92

Città con meno di 100mila abitanti 0,26 1,97

Media Nazionale -1,61 0,92

I RICAVI DA TRAFFICO Grandi città 3,39 2,66

Città tra 100mila abitanti e 250mila abitanti 0,52 2,03

Città con meno di 100mila abitanti 6,89 2,80

Media Nazionale 3,03 2,55

LE COMPENSAZIONI PUBBLICHE IN CONTO ESERCIZIO

Grandi città -6,15 -2,03

Città tra 100mila abitanti e 250mila abitanti -0,57 0,12

Città con meno di 100mila abitanti -1,50 -0,19

Media Nazionale -4,80 -1,46

Fonte: Elaborazioni ASSTRA – ANAV su dati bilanci aziendali

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3.2. Le tariffe

Il tema delle tariffe, in un periodo di riduzione di trasferimenti pubblici e conseguentemente di servizio, ha perso il ruolo da protagonista assunto negli anni precedenti. L’aumento dei prezzi è stato spesso la risposta più immediata utilizzata da molte amministrazioni pubbliche che si sono trovate costrette a chiedere all’utenza un maggiore contributo per la copertura dei costi del servizio. Ciò ha avuto come effetto immediato un miglioramento sui flussi reddituali delle aziende anche se non interamente compensativo dei tagli subiti ma che è destinato a congelarsi se non alimentato da adeguate risorse. Nonostante il livello delle tariffe infatti sia comunque ben al di sotto dei livelli europei, i margini per ulteriori aumenti si sono drasticamente ridotti soprattutto perché non affiancati da miglioramenti nella qualità del servizio.

Se da una parte negli anni precedenti (2010-2011), attraverso l’Audimob, era emerso che “lo zoccolo duro degli utenti del trasporto pubblico urbano avrebbe finito per assorbire senza troppe erosioni un livello di incremento dei prezzi dei biglietti e soprattutto degli abbonamenti contenuto entro il 20% (per gli aumenti al 30% i margini di incertezza invece si ampliavano)” e sostanzialmente così è stato nonostante leggere flessioni della domanda ascrivibili maggiormente alla contingenza del periodo, dall’altra ad un aumento medio del biglietto ordinario del 30% (2010-2014) si è registrata una diminuzione del servizio e una stabilità nella qualità del servizio.

I dati sulle tariffe, facilmente reperibili sui siti web aziendali, sono aggiornati al 2014, fino al mese di Febbraio e si riferiscono ai titoli di viaggio maggiormente venduti ed utilizzati (abbonamento mensile ordinario e biglietto a tempo).

Per non intaccare lo “zoccolo duro”, le amministrazioni pubbliche hanno fortemente rallentato gli aumenti, facendo registrare nell’ultimo anno un aumento della tariffa media del 2,2% (1).

Nonostante le pubbliche amministrazioni tendano a privilegiare i viaggiatori abituali a dispetto di quelli occasionali applicando maggiori aumenti a quest’ultimi rispetto ai primi, per il primo anno l’aumento dell’abbonamento mensile risulta maggiore (2,6%) rispetto a quello del biglietto a tempo (1,9%).

A livello territoriale (Tab. 7) si evidenzia che il Centro dopo un’impennata di aumento registrata lo scorso anno, dovuta principalmente all’aumento di Roma, ha registrato tra il 2013 e il 2014 una completa stabilità sia per quanto riguarda il biglietto a tempo che l’abbonamento mensile. Il Nord Ovest registra invece un aumento del biglietto a tempo sostenuto (0,7%) e un aumento significativo dell’abbonamento mensile dovuto principalmente all’aumento registrato a Milano. Il Nord Est e Sud e Isole tra il 2013-2014 registrano un andamento simile di aumento. Nel Nord Est il biglietto a tempo è aumentato del 4,1% mentre nel Sud e Isole del 3,6%, l’abbonamento mensile nel primo è aumentato dell’1,2% e nel secondo 1,8%.

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61

114 114 115118

121 123127 128

137

148

164167

100103

111 111115 117 115 117 117

122124

132136

109113 113

117 119 119122 123

130

136

148151

90

100

110

120

130

140

150

160

170

180

2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014

Biglietto a tempo Abbonamento mensile Tariffa media

T ipo log ia t it o lo d i viagg ioV ar % 2013-

2014

Big lie t t o a t empo 1,9%

A bbonament o mensile 2 ,6%

Graf. 21 – L'evoluzione delle tariffe in ambito urbano (2002- febbraio 2014; % e numeri indice)

Fonte: Elaborazioni ASSTRA su siti web aziendali

Tab. 7 - Dinamica del prezzo del biglietto e dell’abbonamento del trasporto pubblico urbano per area territoriale

al 15/3/2012

al 01/4/2013

al 01/02/2014

var. %

2012-2013 2013-2014

Biglietto a tempo (Euro valore nominale)

Nord Ovest 1,42 1,44 1,45 1,6 0,7 Nord Est 1,20 1,25 1,30 4,1 4,1 Centro 1,06 1,44 1,44 36,3 0,0 Sud e Isole 1,14 1,19 1,23 4,1 3,6 Media nazionale 1,20 1,33 1,36 10,9 1,9

Biglietto a tempo (Euro valore orario)

Nord Ovest 0,97 0,98 0,99 1,3 0,5 Nord Est 1,08 1,09 1,08 1,1 -0,8 Centro 0,83 0,91 0,91 9,2 0,0 Sud e Isole 0,79 0,82 0,85 4,1 3,3 Media nazionale 0,90 0,93 0,94 3,9 0,9

Abbonamento mensile (Euro valore nominale)

Nord Ovest 34,29 34,53 36,92 0,7 6,9 Nord Est 32,19 32,96 33,35 2,4 1,2 Centro 31,63 35,47 35,47 12,2 0,0 Sud e Isole 36,50 37,08 37,73 1,6 1,8 Media nazionale 33,92 35,26 36,17 3,9 2,6

Fonte: elaborazioni ASSTRA su siti web aziendali

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62

Osservando il biglietto a tempo in valore orario si può notare che nel Nord Est c’è stato, a fronte di un aumento del prezzo, un aumento maggiore della validità che ha portato ad una diminuzione del prezzo orario del biglietto rispetto all’anno precedente.

La Tabella contenente i dati sulle tariffe a livello dimensionale (Tab. 8), conferma che le grandi città (città >250 mila abitanti) dopo un anno di forti aumenti (il 2013) hanno rallentato nel 2014 l’aumento (0,9% per il biglietto a tempo e 2,6% per l’abbonamento). Per le città medie (città comprese tra 100 mila e 250 mila abitanti) l’aumento del biglietto a tempo è stato pari al 4,6% mentre dell’abbonamento in linea con la media nazionale pari al 2,6%.

Tab. 8 - Dinamica del prezzo del biglietto e dell’abbonamento del trasporto pubblico urbano per ambito dimensionale

al 15/3/2012

al 01/4/2013

al 01/2/2014

var. % 2012-2013 2013-2014

Biglietto a tempo (Euro valore nominale)

Città > 250 mila ab. 1,22 1,39 1,40 13,4 0,9 Città comprese tra 100 mila e 250 mila ab. 1,18 1,22 1,27 2,9 4,6

Città < 100 mila ab. 1,09 1,20 1,23 9,2 3,0 Media nazionale 1,20 1,33 1,36 10,5 1,9

Biglietto a tempo (Euro valore orario)

Città > 250 mila ab. 0,88 0,92 0,92 3,7 -0,2 Città comprese tra 100 mila e 250 mila ab. 0,93 0,97 1,01 4,2 3,7

Città < 100 mila ab. 0,90 0,98 0,97 8,3 -0,3 Media nazionale 0,90 0,93 0,94 4,1 0,9

Abbonamento mensile (Euro valore nominale)

Città > 250 mila ab. 35,49 37,16 38,10 4,7 2,5 Città comprese tra 100 mila e 250 mila ab. 31,22 31,80 32,64 1,8 2,6

Città < 100 mila ab. 28,57 29,50 30,45 3,3 3,2 Media nazionale 33,92 35,26 36,17 3,9 2,6

Fonte: elaborazioni ASSTRA su siti web aziendali

Infine le piccole città (città con meno di 100 mila abitanti) registrano per il biglietto a tempo un aumento del 3% e dell’abbonamento del 3,2%.

Osservando il biglietto a tempo in valore orario si precisa che la diminuzione registrata nelle grandi città e nelle piccole, è dovuta ad un aumento della validità del biglietto maggiore dell’aumento della tariffa registrata in alcune città.

Al fine di indagare la distribuzione delle aziende per fascia di prezzo si riporta la Tab. 9. Quasi la totalità delle aziende indagate presenta ormai un prezzo del biglietto a tempo maggiore di 1 euro (90%). E’ bene osservare però che solo il 17% delle aziende ha un prezzo del biglietto maggiore o uguale a 1,5 euro.

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63

Tab. 9 - Fasce di prezzo delle tariffe urbane del trasporto pubblico locale (%)

al

1/1/2010al

15/4/2011al

15/3/2012al

1/4/2013 al

1/2/2014

Biglietto a tempo (% aziende campione)

Prezzo < 1 14 8 6 4 4 Prezzo = 1 55 24 19 10 6 Prezzo > 1 31 61 62 69 73

Prezzo>=1,5 - 6 13 17 17 Abbonamento

mensile ordinario (% aziende campione)

Prezzo < 30 43 33 31 29 27 Prezzo=30 12 18 19 13 10

Prezzo > 30 26 26 21 23 17 Prezzo >=35 19 23 29 35 46

Fonte: elaborazioni ASSTRA su siti web aziendali

Diversa la situazione per quanto riguarda l’abbonamento mensile. In più della metà delle aziende (63%), comprare un abbonamento mensile significa spendere più di 30 euro ma tra queste quasi la metà (46%) ha fissato il prezzo a 35 euro o più.

Come ogni anno, riportiamo l’elenco delle aziende del campione con il prezzo del biglietto a tempo con relativa validità e dell’abbonamento mensile relativi all’anno 2013 e 2014 (Tab. 10).

Tab. 10 - I livelli delle tariffe urbane in alcuni capoluoghi di provincia (aprile 2013 e febbraio 2014; Euro)

CITTÀ AZIENDA Biglietto a tempo

Abbonamento mensile ordinario

Prezzo al 01/04/2013

minuti validità

Prezzo al 01/02/2014

minuti validità

Prezzo al 01/04/2013

Prezzo al 01/02/2014

Alessandria ATM SPA 1,20 90 1,20 90 42,00 42,00 Ancona CONEROBUS 1,20 90 1,20 90 33,00 33,00 Asti ASP SPA 1,00 60 1,00 60 13,00 13,00 Avellino A.IR. SPA 1,20 90 1,20 90 28,30 28,30 Bari AMTAB SERVIZIO 1,00 75 1,00 75 35,00 35,00 Benevento AMTS 0,90 90 0,90 90 20,60 20,60 Bergamo ATB 1,25 75 1,25 75 32,00 32,00 Bologna TPER 1,20 60 1,30 75 36,001 36,002 Brescia Brescia Trasporti SPA 1,20 75 1,40 75 32,50 35,00 Cagliari CTM 1,20 90 1,20 90 30,00 30,00 Catania AMT 1,00 90 1,00 90 40,003 40,004 Catanzaro AMC SPA 1,00 75 1,30 90 27,00 35,00

(continua)

1 Abbonamento impersonale trasferibile. 2 Abbonamento impersonale trasferibile. 3 Abbonamento impersonale. 4 Abbonamento impersonale.

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(segue) Tab. 10 - I livelli delle tariffe urbane in alcuni capoluoghi di provincia (aprile 2013 e febbraio 2014; Euro)

CITTÀ AZIENDA Biglietto a tempo

Abbonamento mensile ordinario

Prezzo al 01/04/2013

minuti validità

Prezzo al 01/02/2014

minuti validità

Prezzo al 01/04/2013

Prezzo al 01/02/2014

Cremona KM 1,20 90 1,20 90 29,50 29,50 Ferrara AMI 1,20 60 1,30 75 27,00 28,00 Firenze ATAF 1,20 90 1,20 90 35,00 35,00 Foggia ATAF 0,90 60 0,90 60 25,00 25,00 Forlì ATR 1,20 60 1,20 60 27,00 27,00 Genova AMT 1,50 100 1,50 100 43,00 46,00 Gorizia APT 1,20 60 1,25 60 32,10 33,50 Imperia Riviera Trasporti 1,50 90 1,50 90 48,00 48,00 La Spezia ATC 1,50 60 1,50 60 30,50 30,50 L'Aquila AMA SPA 1,20 90 1,20 90 26,90 26,90 Lecco Linee Lecco SPA 1,30 90 1,30 90 32,00 32,00 Livorno CTT Nord (ex ATL) 1,20 75 1,20 75 27,00 27,00 Lodi LINE S.P.A. 1,30 60 1,30 75 32,00 32,00 Messina ATM 1,25 90 1,25 90 30,00 30,00 Milano ATM SPA 1,50 90 1,50 90 30,00 35,00 Napoli ANM SPA 1,30 90 1,30 90 41,20 41,20 Novara SUN 1,30 90 1,30 90 30,00 30,00 Padova APS Holding SpA 1,20 75 1,30 75 37,00 39,00 Palermo AMAT 1,30 90 1,40 90 48,00 48,00 Parma TEP S.p.A. 1,20 60 1,20 60 28,50 28,50 Perugia UMBRIA MOBILITA' 1,50 70 1,50 70 55,00 55,00 Pescara GTM 1,10 90 1,10 90 36,30 36,30 Piacenza SETA 1,20 60 1,20 60 30,00 30,00 Ravenna START ROMAGNA 1,20 60 1,30 60 31,00 28,00 Reggio Calabria ATAM SPA 1,00 75 1,30 75 27,00 35,00 Reggio Emilia ACT 1,20 75 1,20 75 28,00 28,00 Rimini START ROMAGNA 1,20 60 1,30 60 27,00 28,00 Roma A.T.A.C. S.P.A. 1,50 100 1,50 100 35,00 35,00 Salerno CSTP S.p.A. 1,30 90 1,30 90 30,90 30,90 Sassari ATP 1,20 90 1,20 90 30,00 30,00 Taranto AMAT 1,20 90 1,30 90 34,00 36,00 Torino GTT 1,50 90 1,50 90 38,00 38,00 Trieste Trieste Trasporti Spa 1,50 75 1,55 75 32,55 33,95 Venezia-Mestre ACTV 1,30 75 1,30 75 35,00 36,00 Verona ATV 1,30 90 1,30 90 37,00 37,00 Vicenza AIM 1,20 90 1,30 90 40,00 40,50

Fonte: Elaborazioni ASSTRA su dati bilanci aziendali

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In linea con il resto del rapporto, al fine di allineare l’indagine sulle tariffe al resto del documento, quest’anno è stato portato avanti anche lo studio sulle tariffe in ambito extraurbano.

Rispetto all’ambito urbano anche la sola comparazione delle tariffe risulta di più difficile analisi. Alla validità temporale del titolo di viaggio si aggiunge quella territoriale che in alcuni casi viene stabilita per fasce chilometriche, in altri casi per zone. Le stesse suddivisioni all’interno delle singole categorie, fasce chilometriche o a zone, sono spesso differenti all’interno di ciascuna regione.

Con l’intento di cercare quanto più possibile di categorizzare le diverse realtà presenti, sono state scelte 3 fasce chilometriche cercando di far rientrare, con le dovute cautele, le aziende in esame.

Le aziende indagate risultano essere 44, numero maggiore di quello analizzato nel resto dell’analisi dell’offerta ma dovuto ad una ripetizione, all’interno delle 44 aziende ci sono aziende che sono già nel campione urbano ma che svolgono anche servizio extraurbano e quindi considerate all’interno dell’analisi in ambito extraurbano.

Le tre fasce chilometriche scelte sono da 1 a 6 Km, da 20 a 30 km e da 50 a 60 km. Per ciascuna fascia è stata riportata la tariffa del biglietto e dell’abbonamento mensile.

La Tab. 11 mostra la media del biglietto per le diverse fasce chilometriche considerate. A livello nazionale la tariffa media risulta essere, per la fascia 1-6 km, pari a 1,30 euro registrando un aumento rispetto al 2013 pari al 4,8% (Tab. 12).

Tab. 11 – Media del biglietto per fasce chilometriche e per ambito territoriale (aprile 2013 e febbraio 2014; Euro)

Ripartizione territoriale

Conteggio aziende

Fascia 1-6 km Fascia 20-30 km Fascia 50-60 km Media 2013

Media 2014

Media 2013

Media 2014

Media 2013

Media 2014

Nord Ovest 9 1,34 1,38 2,61 2,72 4,36 4,52 Nord Est 16 1,19 1,28 2,89 2,97 4,18 4,54 Centro 8 1,19 1,29 2,66 3,00 4,42 4,77 Sud e Isole 11 1,27 1,27 2,25 2,35 3,96 4,00 Media nazionale 44 1,24 1,30 2,63 2,77 4,20 4,43

Fonte: Elaborazioni ASSTRA su dati bilanci aziendali

Tab. 12 – Variazione del biglietto per fasce chilometriche e per ambito territoriale (aprile 2013 e febbraio 2014; %)

Ripartizione territoriale var % 2013-2014

Fascia 1-6 km Fascia 20-30 km Fascia 50-60 km Nord Ovest 3,0 4,2 3,7 Nord Est 7,6 2,8 8,6 Centro 8,4 12,8 7,9 Sud e Isole 0,0 4,4 1,0 Media nazionale 4,8 5,3 5,5

Fonte: Elaborazioni ASSTRA su dati bilanci aziendali

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Per la fascia 20-30 km invece la tariffa media risulta pari a 2,77 euro mentre per la fascia 50-60 km pari a 4,43 euro. La variazione rispetto al 2013 è stata simile per le due fasce, il 5,3% per la prima e il 5,5% per la seconda.

A livello territoriale non si riscontrano sostanziali differenze all’interno delle diverse fasce chilometriche.

Per la fascia 1-6 km, il prezzo dell’abbonamento mensile è addirittura inferiore a quello del servizio urbano e pari a 31,97 euro (Tab. 13) superiore al valore del 2013 del 4,4% (Tab. 14).

Tab. 13 – Media dell’abbonamento mensile per fasce chilometriche e per ambito territoriale (aprile 2013 e febbraio 2014; Euro)

Ripartizione territoriale

Conteggio aziende

Fascia 1-6 km Fascia 20-30 km Fascia 50-60 km Media 2013

Media 2014

Media 2013

Media 2014

Media 2013

Media 2014

Nord Ovest 9 31,94 32,75 61,50 61,63 84,25 95,21 Nord Est 16 29,99 31,11 51,16 52,46 61,42 63,63 Centro 8 31,16 34,88 50,30 54,44 71,18 76,43 Sud e Isole 11 30,21 30,46 59,41 59,98 85,86 86,76 Media nazionale 44 30,62 31,97 55,03 56,55 73,52 76,83

Fonte: Elaborazioni ASSTRA su dati bilanci aziendali

Tab. 14 – Variazione dell’abbonamento mensile per fasce chilometriche e per ambito territoriale (aprile 2013 e febbraio 2014; %)

Ripartizione territoriale var % 2013-2014

Fascia 1-6 km Fascia 20-30 km Fascia 50-60 km Nord Ovest 2,5 0,2 13,0 Nord Est 3,7 2,5 3,6 Centro 11,9 8,2 7,4 Sud e Isole 0,8 1,0 1,0 Media nazionale 4,4 2,8 4,5 Fonte: Elaborazioni ASSTRA su dati bilanci aziendali

Per la fascia 20-30 km invece l’abbonamento medio mensile risulta pari a 55,03 euro mentre per la fascia 50-60 km a 76,83 euro. La variazione rispetto al 2013 è stata rispettivamente del 2,8% per la fascia 20-30 km e 4,5% per quella 50-60 km.

La sostanziale omogeneità dei prezzi a livello territoriale che si è riscontrata all’interno delle tariffe del biglietto non si verifica nell’abbonamento mensile. Soprattutto per la fascia più alta si osserva un abbonamento medio del Nord Ovest che raggiunge quasi i 100 euro (95,21 euro) contro un abbonamento del Nord Est pari a solo 63,63 euro.

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3.3. I costi della produzione

Nel 2012 rispetto al 2011 i costi totali sostenuti dagli operatori per la produzione fanno segnare un aumento del 3%. Tale trend è per lo più riconducibile un incremento del costo dei carburanti +7% e degli ammortamento +10%. Il costo del personale, invece, si riduce del 2% a causa della riduzione della forza lavoro impiegata (Tab. 15).

Tab. 15 – Evoluzione dei costi della produzione (2002-2012; numeri indice e percentuali)

2009 2010 2011 2012 Var. % 2011-2012

Materie prime 100 108 114 123 7 Servizi 100 95 93 93 0 Ammortamenti 100 128 102 111 10 Costi operativi 100 101 100 102 2 Costo del personale 100 101 100 98 -2 Totale Costi della Produzione 100 101 100 103 3

Fonte: Elaborazioni ASSTRA - ANAV su dati bilanci aziendali

Per gli anni 2013-2014 è interessante rilevare come alcuni dei principali costi di produzioni si caratterizzano per dinamiche decrescenti dopo anni di crescita sostenuta (Tab. 16).

Tab. 16 - Evoluzione dei prezzi di alcune voci di costo (2002- Marzo 2014; numeri indice e percentuali)

2002 2012 2013 2014 marzo Var % 2014-2013

Gasolio 100 199 194 191 -1,6 GPL 100 159 155 151 -2,5 Lubrificanti 100 154 157 159 1,0 Manutenzioni e riparazioni 100 141 144 146 1,6 Assicurazioni 100 139 139 135 -2,4 Pneumatici 100 123 124 125 0,4

Fonte: Elaborazioni su dati ISTAT e Statistiche per l’energia MISE

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4. Le evidenze dell’analisi gestionale

Il presente paragrafo riporta una sintetica analisi delle principali evidenze dell’analisi dei bilanci di esercizio delle aziende unità campionarie.

Il rapporto ricavi da traffico su costi operativi al netto della quota infrastrutturale vale a dire l’indicatore obiettivo del settore, o meglio che il legislatore ha individuato come parametro di riferimento per la valutazione dell’efficacia-efficienza degli operatori (D.Lgs n.422/1997), fa segnare a livello medio nazionale un miglioramento. Come ampliamente visto nei paragrafi precedente tale risultato va ricondotto ad un incremento delle tariffe (per compensare i tagli di trasferimenti pubblici) più sostenuto rispetto alla crescita fisiologica dei costi operativi di produzione.

In ogni caso, a livello medio nazionale, si è sempre molto al di sotto del valore obiettivo del 35, anche se è evidente la forte dispersione territoriale tra le aree settentrionali e le aree centro meridionali del Paese (Graf. 22).

Graf. 22 - Il rapporto ricavi da traffico/costi operativi urbano+extra-urbano (2009-2012)

Fonte: Elaborazioni ASSTRA - ANAV su dati bilanci aziendali

Al fine di indagare nel dettaglio le tendenze economico-finanziarie del settore aggregato si riporta di seguito un grafico (Graf. 23) il quale mostra chiaramente, mediante la riclassificazione del conto economico secondo la metodologia del valore aggiunto, quali sono stati gli andamenti che hanno caratterizzato nel triennio 2009-2012 le aziende di trasporto pubblico regionale e locale.

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Graf. 23- Evoluzione indicatori gestionali (2009-2012)

Fonte: Elaborazioni ASSTRA - ANAV su dati bilanci aziendali

Nel 2012, rispetto ai tre anni precedenti, si registra un lieve miglioramento del valore aggiunto indicatore che esprime la capacità delle aziende di creare ricchezza ed è pari alla differenza tra ricavi totali (Totale valore della produzione) e costi sostenuti per l’acquisizione di risorse esterne (materie prime, semilavorati, servizi).

A cascata, quindi, si assiste anche ad un lieve incremento del margine operativo lordo meglio noto come EBITDA acronimo per Earnings before interests, taxes, depreciation and amortization. Tale indicatore, essendo espresso al lordo dei costi non monetari (ammortamenti, accantonamenti, svalutazioni) rappresenta una prima misura dell’autofinanziamento operativo di un’azienda.

Si inverte, infine, il trend negativo relativo alla percentuale di aziende che chiudono i conti in rosso le quale passano, per la prima volta dopo vari anni dal 41 del 2011 al 37 del 2012 (Graf. 24).

Graf. 24 - Evoluzione risultato d’esercizio (2009-2012; aziende)

Fonte: Elaborazioni ASSTRA - ANAV su dati bilanci aziendali

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I miglioramenti degli indicatori gestionali, seppur timidi e comunque in attesa di conferme per l’anno 2013, costituiscono un segnale molto importante di come le aziende di trasporto pubblico locale stanno reagendo ad un contesto di riferimento particolarmente difficile non solo relativo al clima di austerità di finanza pubblica di tutti i livelli istituzionali coinvolti(Regioni ed Enti Locali) ma anche ad una domanda calante. Questi dati, ad ogni buon conto, sono anche frutto di una seria politica di razionalizzazione e minimizzazione dei costi di produzione delle aziende, operata in principal modo attraverso un’ottimizzazione dei turni di lavoro ed eliminazione in alcune realtà degli sprechi di gestione.

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Parte terza

IL FOCUS SULLA MOBILITÀ PRIVATA MENO AUTO, PIÙ VECCHIE

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1. Introduzione

Prosegue anche nel 2014 l’osservazione e l’analisi dei principali dati relativi alla mobilità privata, investigata sotto vari aspetti, dalla consistenza del parco veicolare, al mercato delle auto nuove, ai consumi e prezzi del carburante, all’incidentalità e, in continuità con lo scorso anno, agli strumenti di dissuasione e di promozione di forme di mobilità alternativa1.

Nelle pagine che seguono inoltre non ci limiterà allo studio dei soli aggregati nazionali, bensì si guarderà anche ai singoli comuni capoluoghi di provincia e, allo stesso tempo, ai restanti comuni delle province stesse, approfondendo anche le 12 grandi città italiane (città con più di 250mila residenti) e valutando le dinamiche partendo dall’anno 2002 arrivando all’ultimo anno disponibile passando per il 2008, in altri termini si valuteranno le variazioni all’interno di due periodi ben precisi, quello che precede la crisi (2002-2008) e gli anni della crisi. In questo paragrafo introduttivo si analizzeranno, tuttavia, le sole medie nazionali.

Dallo studio del complesso dei dati il primo elemento che emerge è che nel 2012, dopo ben 8 anni di crescita continua, il numero di autovetture che circolano sulle strade italiane diminuisce, ma non di molto (-0,1%) e rimanendo sopra quota 37 milioni, anche se i primi dati forniti dall’ACI per il 2013, ancora provvisori, quantificano il parco auto sotto tale soglia. Non diminuisco invece i motocicli, il cui tasso di crescita tuttavia rallenta (dal +2% del confronto 2010-2011 al +0,8% del 2011-2012), raggiungendo quasi 6,5 milioni di unità (i primi dati sul 2013 indicano valori praticamente identici al 2012) (Tav. 1).

Le dinamiche sui valori assoluti si riflettono anche nel considerare il parco veicolare in rapporto alla popolazione, infatti per ogni italiano nel 2013 si contano 61,6 auto (erano 62,5 nel 2011 e 62,1 nel 2012), un indicatore che certamente confermerà l’Italia come il primo tra i più grandi Paesi europei per tasso di motorizzazione, e 10,8 moto. Se si valutano poi, per il 2012, solo coloro che hanno un’età compresa tra 18 (14 anni per le due ruote) e 80 anni, si raggiungono valori, rispettivamente, pari a 80 e 13,3.

La diminuzione del numero delle auto si spiega con un mercato del nuovo in continua diminuzione (nel 2013 si sono vendute poco più di 1,3 milioni di auto, quasi 100mila unità in meno rispetto al 2012), anche se i primi mesi del 2014, pur rimando molto lontani dai valori che si registravano negli anni precedenti la crisi economica quando al PRA si iscrivevano oltre 2 milioni di autovetture all’anno, segnalano un timido cambiamento di rotta: ad esempio nel mese di aprile si rileva una crescita del 9,4% rispetto all’omologo mese del 2013.

1 I dati possono non coincidere perfettamente con quelli presentati negli anni passati per effetto,

essenzialmente, di un normale “aggiustamento” dei dati stessi (da stime a valori reali).

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L’insieme di questi dati tuttavia non può che determinare un ulteriore invecchiamento del parco auto, infatti sempre secondo l’ACI l’età mediana nel 2012 per le autovetture a benzina è di circa 11 anni (era inferiore ai 9 anni nel 2008), quasi 7 per quelle a gasolio (3 e ½ sempre nel 2008), con evidenti conseguenze sulle maggiori emissioni inquinanti e sui maggiori pericoli di incidentalità.

Tav. 1 – La mobilità privata: alcuni indicatori sul parco veicolare

Fonte: elaborazioni Isfort su dati Aci e Istat

Anche nel caso degli incidenti stradali il 2012 rappresenta un anno di discontinuità, se non altro in termini di indice di mortalità. Infatti, pur in una situazione di diminuzione del numero assoluto di incidenti, morti e feriti nel confronto con il

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2011 (rispettivamente -9,2%, -5,4% e -9,3%), il rapporto tra morti e incidenti nel 2012 si attesta su un valore pari a 2, vale a dire in crescita rispetto all’anno precedente e simile a quello registrato nel 2009. In crescita è anche il numero di feriti e morti in rapporto ai passeggeri-km stimati dal MIT, in questo caso addirittura in accelerazione rispetto allo scorso anno (da 0,362 del 2011 a 0,367 del 2012) (Tav. 2).

Considerando poi la tipologia di strada, quelle urbane continuano ad essere quelle più pericolose dato che, nel 2012, si concentrano il 75,9% del totale degli incidenti e il 72,3% dei feriti; meno marcata è la percentuale sui morti (42,8%) oltretutto minore rispetto a quella che si registra per le strade diverse dalle autostrade (48,2). In termini di indice di mortalità, si nota poi che solo nelle strade urbane diminuisce nel confronto tra il 2011 e il 2012 (da 1,11 a 1,10), mentre aumenta sostanzialmente nelle autostrade (da 3,07 a 3,51).

Tav. 2 – La mobilità privata: alcuni indicatori di tendenza sugli incidenti

Il dettaglio dell’incidentalità secondo l’ambito stradale – Italia (2011-2012)

Ambiti stradali Incidenti Morti Feriti Indice di

mortalità(1) Indice di lesività(2) v.a. % v.a. % v.a. %

2012

Strade urbane 141.713 75,9 1.562 42,8 191.517 72,3 1,10 135,14 Autostrade 9.400 5,0 330 9,0 15.859 6,0 3,51 168,71 Altre strade 35.613 19,1 1.761 48,2 57.340 21,7 4,94 161,01 Totale 186.726 100,0 3.653 100,0 264.716 100,0 1,96 141,77

2011

Strade urbane 157.023 76,4 1.744 45,2 213.001 72,9 1,11 135,65 Autostrade 11.007 5,4 338 8,8 18.515 6,3 3,07 168,21 Altre strade 37.608 18,2 1.778 46,1 60.503 20,7 4,73 160,88 Totale 205.638 100,0 3.860 100,0 292.019 100,0 1,88 142,01

* Sono considerati i passeggeri-km relativi al trasporto collettivo urbano ed extraurbano, nonché l’autotrasporto privato (1) Numero di morti ogni 100 incidenti; (2) Numero di feriti ogni 100 incidenti Fonte: elaborazioni Isfort su dati Aci, Anfia, Istat e Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti

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Il 2013 si presenta in piena continuità con l’anno precedente se si fa riferimento ai consumi di carburante per autotrazione. Infatti prosegue il calo dei consumi della benzina, in 11 anni più che dimezzato (fatto 100 l’anno 2002, nel 2013 si registra un indice pari a 49,7), così come quello del gasolio che in un solo biennio (2012-2013) ha praticamente annullato la crescita realizzata tra il 2002 ed il 2011. Unica tipologia di carburante che aumenta in termini di consumi è il GPL (da 103 a 115,3 tra il 2012 e il 2013 considerando sempre i numeri indice), che tuttavia rappresentando appena il 4,8% del totale non riesce a contrastare il calo dei consumi complessivi dei carburanti in Italia (Tav. 3).

Tav. 3 – Consumi e prezzi di benzina (senza piombo), Gpl (per autotrazione) e gasolio (per motori)

Fonte: elaborazioni Isfort su dati Ministero dello Sviluppo Economico

Nel 2013 si raffredda la crescita dei prezzi dei carburanti, che tuttavia rimangono su livelli molto alti e ben lontani da quelli che si registravano prima dell’inizio della crisi economica quando, ad esempio, un litro di benzina costava 1,38 euro contro l’1,75 necessari nel 2013. Ciò contribuirà, verosimilmente, alla diminuzione delle spese di esercizio delle autovetture anche nel 2013, così come avvenuto nel 2012 rispetto all’anno precedente, se non altro considerando le spese per singola automobile che passano dai 4.027 euro del 2002 ai 3.610 del 2011, per attestarsi sui 3.480 nel 2012 (Tav. 4).

Un contributo importante alla diminuzione della spesa degli italiani per l’auto negli anni della crisi (2008-2012) è venuto dai costi per la manutenzione e la riparazione (-13,8%), dai premi per l’assicurazione R.C.A. (-14,5%) e, come era già ipotizzabile nel commento sul mercato delle auto nuove, dai minori oneri derivanti dall’acquisto e dagli interessi (-18,4%). In questi stessi anni tuttavia altre voci sono cresciute, anche di molto, basti pensare al carburante (+18,8%), alle tasse automobilistiche (+14,9%), ai prezzi dei pneumatici (+10%), alle spese per il ricovero e il parcheggio (+5,5%), ma soprattutto ai pedaggi autostradali (+20,8%).

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Considerazioni diverse si hanno se i costi sono rapportati non al parco auto, bensì ai chilometri percorsi dagli italiani nel 2012 e quindi all’effettivo uso delle quattro ruote; ebbene in questo caso si registra un incremento dei costi che passano dai 0,2417 euro per km del 2011 ai 0,2676 del 2012 (+10,7%) e, ampliando l’arco temporale all’avvio della crisi economica (2008), si ottiene un incremento pari al ben 17%.

La crisi economica, quindi, continua a produrre i suoi effetti in modo consistente non solo sul mercato dell’auto e dei motocicli nuovi, ma ancor di più incide sui consumi di carburante e, come visto, sulla spesa sostenuta dagli italiani per la propria autovettura.

Tav. 4 – Stima delle spese d’esercizio delle autovetture

Stima delle spese d’esercizio delle autovetture (valori a prezzi 2000; milioni di euro) 2002 2008 2011 2012 Var. % 2002/08 Var. % 2008/12

Carburante 31.188,35 37.581,13 35.862,83 37.058,57 +20,5 +18,8 Pneumatici 4.759,05 5.957,50 5.858,50 5.235,37 +25,2 +10,0 Manutenzione/riparazione 21.283,14 20.608,44 20.933,81 18.349,48 -3,2 -13,8 Ricovero/parcheggio 6.057,64 6.731,91 6.585,55 6.387,87 +11,1 +5,5 Pedaggi autostradali 2.912,12 3.371,41 3.754,44 3.517,60 +15,8 +20,8 Tasse automobilistiche 3.624,24 4.104,84 4.003,15 4.165,49 +13,3 +14,9 R.C.A. Premi di competenza 14.607,14 13.566,49 13.025,35 12.490,63 -7,1 -14,5 Acquisto e interessi 51.294,51 48.499,17 43.964,88 41.833,13 -5,4 -18,4 Totale 135.726,18 140.420,90 133.988,52 129.038,14 +3,5 -4,9 Totale su parco auto (euro) 4.027 3.889 3.610 3.480 -3,4 -13,6 Totale su vetture*km (euro) 0,2288 0,2491 0,2417 0,2676 +8,9 +17,0

Fonte: elaborazioni Isfort su dati Aci, Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti

Ultimi aspetti della mobilità privata qui esaminati riguardano gli strumenti dissuasivi all’uso dell’automobile e le politiche di incentivazione di forme di mobilità alternativa (ciclopedonale).

Partendo dai primi e in particolare dalle zone a traffico limitato (ZTL) e dalle aree pedonali, emerge come per entrambi il 2011 rappresenti un ulteriore anno di crescita, con indicatori che raggiungono il massimo da quando l’Istat ha avviato la raccolta dei dati. Infatti nel caso delle ZTL si raggiungono i 0,601 km2 per 100 km2 di superficie comunale (il dato pur nazionale si riferisce ai soli comuni capoluogo di

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provincia), l’1,9% in più rispetto al 2010, che diventa un +75,2% considerando il 2002. Anche per quanto riguarda la disponibilità di aree pedonali si registra un incremento nell’ultimo biennio monitorato dall’Istat pari all’1,9% (+24,8% dal 2002), con un indicatore che nel 2011 si attesta sui 32,7 m2 ogni 100 abitanti (Tav. 5).

Considerando, nuovamente, le politiche di disincentivazione della mobilità privata, un primo elemento che si distingue, nel confronto 2010-2011, è l’accelerazione della crescita degli stalli di sosta, siano essi a pagamento su strada che di interscambio con il trasporto pubblico. Nel primo caso, infatti, si osserva un incremento negli ultimi 2 anni del 2,4%, dopo il +1,4% precedente, il che consente di superare la soglia dei 50 parcheggi ogni 1.000 auto circolanti nel 2011. Nel secondo caso l’incremento è del 4%, era l’1,2% tra il 2009 ed il 2010, con un indicatore che si attesta sui 18 stalli (Tav. 6).

Dai dati appena commentati emergerebbe quindi una realtà in cui nei comuni capoluogo di provincia si ritornerebbe a puntare con maggiore decisione alla promozione di strumenti di mobilità sostenibile, tuttavia spostando l’attenzione alla dotazione di piste ciclabili, pari a 16,6 km ogni 100 km2 di superficie comunale nel 2011, il tasso di crescita rallenta, passando dal +13% del confronto 2009-2010, al +6,4% dell’ultimo biennio.

Tav. 5 – Gli strumenti dissuasivi della mobilità privata nei comuni capoluogo di provincia

(1) La dicitura Italia si riferisce al complesso dei comuni capoluogo di provincia al netto di Milano, Monza, Fermo e Trani. La superficie delle ZTL

è comprensiva dei fabbricati. (2) La dicitura Italia si riferisce al complesso dei comuni capoluogo di provincia al netto di Monza e Fermo. La superficie delle aree pedonali è

non comprensiva dei fabbricati. Fonte: Istat

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Tav. 6 – Politiche di incentivazione della mobilità alternativa nei comuni capoluogo di provincia

(1) La dicitura Italia si riferisce al complesso dei comuni capoluogo di provincia al netto di Monza e Fermo (2) La dicitura Italia si riferisce al complesso dei comuni capoluogo di provincia al netto di Monza Fonte: Istat

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2. Le automobili, le moto e gli incidenti stradali

2.1. Il parco auto diminuisce ma con alcune eccezioni rilevanti

In continuità con il Rapporto dello scorso anno e come già anticipato in premessa, prosegue l’analisi della mobilità privata aggiornata all’ultimo anno disponibile e osservata distinguendo le città capoluogo di provincia, i restanti comuni delle diverse province italiane, nonché le grandi città2. I periodi considerati sono tre, il primo va dal 2002 al 2008, avvero gli anni che precedono la crisi economica, il secondo dal 2008 al 2012, ovvero gli anni della crisi (purtroppo ancora non conclusa).

Considerando in prima battuta le 12 città più grandi d’Italia (vale a dire con una popolazione superiore a 250mila abitanti), si notano variazioni non sempre simili: in alcune città la diminuzione del numero delle quattro ruote tende ad accelerare nel periodo di crisi (è il caso, ad esempio, di Roma che dal -1% del 2002/2008 passa al -2,9% del 2008-2012, ma anche di Torino, Palermo e Bari), in altre invece durante la crisi la diminuzione delle auto decelera (Milano dal -9,2% al -1,1%, Napoli dal -9,6% al -2,4%, inoltre Genova, Bologna, Venezia e Verona), in altre ancora nel periodo più difficile per l’economia italiana si registra una inversione di tendenza, con valori in crescita (Firenze, dal -6,9% al +0,3%, e Catania, dal -1% al +1,3%) (Tab. 1).

Le grandi città si muovono, quindi, in ordine sparso per effetto dell’intrecciarsi di più variabili, oltre quella della crisi, quali l’abbandono dei residenti delle città per i comuni dell’hinterland, le politiche di “contrasto” all’uso delle quattro ruote promosse dalle Amministrazioni locali, così come quelle relative alla promozione di forme di mobilità sostenibile (car sharing, piste ciclabili, bike sharing, ecc.).

2 Le province considerate sono 110. Per la provincia di Andria-Barletta-Trani si considera la sola città di

Andria (sede del Consiglio regionale), per quella di Carbonia-Iglesias la città di Carbonia, per la provincia di Olbia-Tempio la città di Olbia, per quella di Ogliastra la città di Tortolì, per la provincia di Medio Campidano, infine, la città di Villacidro.

L’analisi descrittiva tralascia volutamente le città di Aosta, Trento e Bolzano, caratterizzate da un rapporto auto/popolazione particolarmente elevato per effetto della scelta di molte società di autonoleggio di immatricolare la propria flotta nelle tre città per approfittare dei vantaggi di natura fiscale.

Per ultimo, altro aspetto che il lettore deve tenere in considerazione riguarda la peculiarità di alcuni ambiti territoriali, come ad esempio Roma (il solo comune si estende per un territorio particolarmente vasto che include ampie zone verdi) e Venezia.

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Tab. 1 – Numero di autovetture nelle grandi città (2002, 2008, 2012 e differenza %)

Città 2002 2008 2012 Diff. % 2002-2008

Diff. % 2008-2012

Roma 1.941.964 1.923.397 1.867.520 -1,0 -2,9 Milano 797.483 723.932 716.094 -9,2 -1,1 Napoli 612.523 553.572 540.167 -9,6 -2,4 Torino 588.743 570.968 541.687 -3,0 -5,1 Palermo 397.059 395.143 385.372 -0,5 -2,5 Genova 300.724 285.497 279.023 -5,1 -2,3 Bologna 213.776 197.561 196.940 -7,6 -0,3 Firenze 211.606 196.986 197.670 -6,9 +0,3 Bari 182.053 181.354 178.462 -0,4 -1,6 Catania 210.163 208.037 210.802 -1,0 +1,3 Venezia 117.943 112.216 110.938 -4,9 -1,1 Verona 157.821 158.480 156.881 +0,4 -1,0

Fonte: elaborazioni Isfort su dati ACI

Provando a neutralizzare una delle variabili prima indicate, ovvero la variazione della popolazione residente, emergono dinamiche diverse da quelle già commentate (Fig. 1).

Infatti, solo in quattro città negli anni della crisi economica si registra un indice di motorizzazione in diminuzione, a Napoli (-1,1 e 56,3 auto ogni 100 residenti nel 2012), Torino (-0,7 e 62,1), Palermo (-1,1 e 58,8) e Bologna (-1 e 51,7). In tutti gli altri casi l’indicare tende a crescere fino a raggiungere il +2,3 nel caso di Catania, che proprio per effetto di questo incremento diviene la grande città con il maggiore tasso di motorizzazione nel 2012, pari a ben 72,5, superando Roma deve “accontentarsi” di 70,8 auto ogni 100 residenti. Le altre città seguono a debita distanza con un indice di mobilità spesso inferiore a 60 auto e in alcuni casi anche ai 50 (è il caso Genova e Venezia).

Ampliando l’osservazione a tutti i comuni capoluogo di provincia emerge chiaramente come nella gran parte delle città l’indicatore continua a crescere anche negli anni della crisi (su 100 comuni analizzati solo in 19 casi si registra un indicare in diminuzione), anche se con minore forza rispetto al periodo pre-crisi; ciò è vero in particolare nelle città del Nord Italia.

Considerando poi i restanti comuni che formano le 110 province italiane, l’elemento che si registra con maggiore forza è che in nessun caso l’indicatore diminuisce negli ultimi 4 anni analizzati. Se infatti negli anni precedenti l’inizio della crisi economica la realtà appariva molto più articolata con un Sud del Paese caratterizzato da tassi in crescita ed un Nord da tassi in diminuzione, negli anni della crisi si assiste ad un deciso livellamento delle dinamiche, con un Meridione che tuttavia continua ad esprimere le variazioni vero l’alto più marcate del Paese (Fig. 2).

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Fig. 1 – Auto per 100 abitanti e per comune capoluogo di provincia

2002

2008

2012

Var. 2002-2008

Var. 2008-2012

Var. 2002-2008

Var. 2008-2012

-12.00 to -8.00-8.00 to -4.00-4.00 to 0.000.00 to 4.004.00 to 8.008.00 to 12.00> 12.00

-12.00 to -8.00-8.00 to -4.00-4.00 to 0.000.00 to 4.004.00 to 8.008.00 to 12.00> 12.00

Anno Roma Milano Napoli Torino Palermo Genova Bologna Firenze Bari Catania Venezia Verona2012 70,8 56,7 56,3 62,1 58,8 47,9 51,7 54,0 57,0 72,5 42,8 61,92008 70,6 55,9 57,4 62,8 59,9 46,7 52,7 53,9 56,6 70,2 41,5 59,72002 76,4 63,9 60,7 68,3 58,1 49,7 57,3 60,0 57,8 68,1 43,8 61,6Var. 08-12 +0,2 +0,8 -1,1 -0,7 -1,1 +1,2 -1,0 +0,1 +0,4 +2,3 +1,3 +2,2Var. 02-08 -5,8 -8,0 -3,3 -5,5 +1,8 -3,0 -4,6 -6,1 -1,2 +2,1 -2,3 -1,9

Fonte: elaborazioni Isfort su dati ACI e Istat

Fig. 2 – Auto per 100 abitanti e per comuni diversi dal capoluogo di provincia

Anno Roma Milano Napoli Torino Palermo Genova Bologna Firenze Bari Catania Venezia Verona2012 64,4 58,9 57,4 63,6 57,6 55,2 62,9 73,3 53,9 68,6 57,1 63,42008 63,9 58,0 56,9 61,5 53,8 52,8 61,1 71,1 52,7 64,8 55,9 61,82002 58,4 61,2 54,3 61,9 49,5 51,7 61,9 66,4 48,4 58,8 55,2 61,2Var. 08-12 +0,5 +0,9 +0,5 +2,1 +3,8 +2,4 +1,8 +2,2 +1,2 +3,8 +1,2 +1,6Var. 02-08 +5,5 -3,2 +2,6 -0,4 +4,3 +1,1 -0,8 +4,7 +4,3 +6,0 +0,7 +0,6

Fonte: elaborazioni Isfort su dati ACI e Istat

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Nelle grandi città gli effetti della crisi economica appaiono più eventi nella valutazione delle dinamiche legate al numero dei motocicli, anche se la stessa crisi non è riuscita ad invertire le tendenze, infatti in nessun caso si registrano valori in diminuzione. Detto ciò il fenomeno che maggiormente attira l’attenzione è la robusta contrazione dei tassi di crescita: ad esempio, se tra il 2002 ed il 2008 le moto possedute dai romani sono aumentate di oltre il 50% (più del 60% nelle città siciliane), nei successivi quattro anni il tasso di crescita si attesta sul +5,9% (sotto il 10% per Palermo e Catania) (Tab. 2).

Roma rimane anche nel 2012 la città con il maggior numero di due ruote motorizzate, con ben oltre 400mila moto, seguita a notevole distanza da Milano, Genova, Napoli e Palermo, tutte abbondantemente sopra la soglia delle 100mila unità.

Tab. 2 – Numero di motocicli nelle grandi città (2002, 2008, 2012 e differenza %)

Città 2002 2008 2012 Diff. % 2002-2008

Diff. % 2008-2012

Roma 253.393 391.057 414.113 +54,3 +5,9 Milano 106.156 140.699 155.142 +32,5 +10,3 Napoli 95.079 125.601 129.158 +32,1 +2,8 Torino 49.267 65.231 70.552 +32,4 +8,2 Palermo 69.039 113.819 121.796 +64,9 +7,0 Genova 105.548 132.148 138.209 +25,2 +4,6 Bologna 41.062 50.753 53.756 +23,6 +5,9 Firenze 48.343 67.441 71.686 +39,5 +6,3 Bari 21.711 31.521 33.983 +45,2 +7,8 Catania 35.654 58.775 63.809 +64,8 +8,6 Venezia 13.594 17.078 17.814 +25,6 +4,3 Verona 23.497 31.338 34.716 +33,4 +10,8

Fonte: elaborazioni Isfort su dati ACI

Dinamiche del tutto simili a quelle sopra commentate si hanno nel considerare le moto in rapporto ai residenti delle grandi città: tassi sempre in crescita, con maggiore rapidità nel periodo pre-crisi, meno nel periodo successivo. Unica differenza è che Roma perde il primato a favore di Genova (ben 23,7 moto ogni 100 abitanti nel 2012), seguita da Catania (22), Firenze (19,6) e Palermo (18,6) (Fig. 3). Il caso di Catania è interessante se associato ai dati già commentati sulle auto, infatti sommando le due e le quattro ruote motorizzate il tasso di motorizzazione raggiunge il 94,5 (considerando i soli residenti che possono guidare, ogni catanese possiede ben 1,1 mezzi).

Lo sgonfiamento del tasso di crescita delle due ruote è rintracciabile in tutti i comuni capoluogo di provincia, ma sono in un caso (Taranto) si registra un dato con il segno meno. Inoltre, considerazioni del tutto simili si hanno anche nel considerare i restanti comuni delle province (in questo caso l’unica dinamica negativa è rappresentata da Caserta) (Fig. 4).

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Fig. 3 – Motocicli per 100 abitanti e per comune capoluogo di provincia

2002

2008

2012

Var. 2002-2008

Var. 2008-2012

-1.00 to 0.000.00 to 1.001.00 to 2.002.00 to 3.003.00 to 4.004.00 to 5.005.00 to 6.006.00 to 8.008.00 to 10.00

-1.00 to 0.000.00 to 1.001.00 to 2.002.00 to 3.003.00 to 4.004.00 to 5.005.00 to 6.006.00 to 8.008.00 to 10.00

Anno Roma Milano Napoli Torino Palermo Genova Bologna Firenze Bari Catania Venezia Verona2012 15,7 12,3 13,5 8,1 18,6 23,7 14,1 19,6 10,8 22,0 6,9 13,72008 14,4 10,9 13,0 7,2 17,3 21,6 13,5 18,4 9,8 19,8 6,3 11,82002 10,0 8,5 9,4 5,7 10,1 17,5 11,0 13,7 6,9 11,6 5,0 9,2Var. 08-12 +1,3 +1,4 +0,5 +0,9 +1,3 +2,1 +0,6 +1,2 +1,0 +2,2 +0,6 +1,9Var. 02-08 +4,4 +2,4 +3,6 +1,5 +7,2 +4,1 +2,5 +4,7 +2,9 +8,2 +1,3 +2,6

Fonte: elaborazioni Isfort su dati ACI e Istat

Fig. 4 – Motocicli per 100 abitanti e per comuni diversi dal capoluogo di provincia

2002

2008

2012

Var. 2002-2008

Var. 2008-2012

-1.00 to 0.000.00 to 1.001.00 to 2.002.00 to 3.003.00 to 4.004.00 to 5.005.00 to 6.006.00 to 8.008.00 to 10.00

-1.00 to 0.000.00 to 1.001.00 to 2.002.00 to 3.003.00 to 4.004.00 to 5.005.00 to 6.006.00 to 8.008.00 to 10.00

Anno Roma Milano Napoli Torino Palermo Genova Bologna Firenze Bari Catania Venezia Verona2012 9,0 9,3 9,3 9,9 9,4 25,0 10,5 12,7 6,3 12,8 8,6 9,92008 8,2 8,5 9,2 8,6 8,2 22,4 9,7 11,7 5,6 11,5 7,7 8,42002 5,6 6,7 6,1 6,6 4,8 16,2 7,8 9,5 3,8 7,1 5,6 6,3Var. 08-12 +0,8 +0,8 +0,1 +1,3 +1,2 +2,6 +0,8 +1,0 +0,7 +1,3 +0,9 +1,5Var. 02-08 +2,6 +1,8 +3,1 +2,0 +3,4 +6,2 +1,9 +2,2 +1,8 +4,4 +2,1 +2,1

Fonte: elaborazioni Isfort su dati ACI e Istat

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Altro aspetto meritevole di approfondimento in tema di mobilità privata riguarda la composizione del parco veicolare in relazione ai diversi standard emissivi.

Per quanto riguarda le auto si è deciso di pesare i mezzi Euro IV (vincoli che si applicano ai veicoli stradali nuovi venduti nell'UE a partire dal 2006) sul totale delle auto circolanti nel 2008, nonché i mezzi Euro V (valevoli dal 2009) sul totale 2012. Ebbene, nel primo caso si nota chiaramente come a distanza di circa 2 anni dall’introduzione degli standard Euro IV una fetta consistente del parco auto si era già “adeguata” ai nuovi limiti di emissioni inquinanti, mentre nel 2012 la percentuale di auto Euro V (quindi a distanza di 3 anni dall’avvio dei nuovi vincoli) è, in tutte le diverse aree territoriali analizzate, decisamente più bassa.

Considerando le grandi città e le cartine presenti nella figura che segue (Fig. 5) le considerazioni appena fatte appaiono in tutta la loro evidenza. Prendendo ad esempio la città di Roma, nel 2008 le auto Euro IV che circolavano erano quasi il 40% del totale, mentre nel 2012 le auto Euro V non raggiungono neanche il 20% (17,5% per l’esattezza). In altre città la realtà appare ancora più critica, in particolare in quelle del Sud Italia, dove la percentuale di auto Euro V non raggiunge neanche il 10% del totale (5,8% nel caso di Napoli).

Un parco auto che, come già detto nella parte introduttiva, invecchia e anche molto velocemente.

Fig. 5 – Percentuale di auto almeno euro IV (2008) o almeno Euro V (2012) sul totale nei capoluoghi di provincia

2008 – Euro 4 2012 – Euro 5

Anno Roma Milano Napoli Torino Palermo Genova Bologna Firenze Bari Catania Venezia Verona2012 (Euro V) 17,5 19,4 5,8 19,5 9,1 13,5 15,9 17,3 9,1 6,2 13,0 15,32008 (Euro IV) 39,5 36,4 18,3 38,8 27,3 34,7 38,3 38,2 29,3 21,0 32,9 34,4

Fonte: elaborazioni Isfort su dati ACI

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Dinamiche meno preoccupanti, ma non di molto, si osservano invece considerando le moto (Fig. 6). È sempre vero che nel confronto 2008-2012 la quota di mezzi di ultima generazione in termini di emissioni inquinanti diminuisce (Euro II con riferimento al 2008, Euro III per quanto riguarda il 2012), ma meno sensibilmente rispetto alle auto. Infatti, prendendo nuovamente ad esempio la città di Roma, nel 2008 più una moto su due possedeva un motore Euro 2, mentre nel 2012 le due ruote Euro 3 rappresentano il 40,2%, ovvero il 14,4% in meno (è bene ricordare che questa stessa percentuale sale al 22% tra le auto).

Fig. 6 – Percentuale di moto almeno euro II (2008) o almeno Euro III (2012) sul totale nei capoluoghi di provincia

2008 – Euro 2 2012 – Euro 3

Anno Roma Milano Napoli Torino Palermo Genova Bologna Firenze Bari Catania Venezia Verona2012 (Euro III) 40,2 37,8 32,5 28,1 34,3 39,6 36,7 44,6 31,7 36,0 29,2 37,42008 (Euro II) 54,6 42,1 45,2 34,1 47,4 43,5 43,1 52,2 37,0 50,2 35,0 40,4

Fonte: elaborazioni Isfort su dati ACI

2.2. Diminuiscono gli incidenti, un po’ meno quelli più gravi

Nell’analisi della mobilità privata non può certo mancare lo studio delle dinamiche legate alla sicurezza stradale e, più nello specifico, gli incidenti stradali, anche in questo caso osservati facendo particolare riferimento alla loro dimensione urbana, alle grandi città, ai singoli comuni capoluogo di provincia e ai restanti comuni delle province stesse.

Partendo dall’analisi per tipologia di strada, si nota da un lato come la maggioranza assoluta degli incidenti avviene su strade urbane (75,9% del totale 2012), incidenti

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che hanno causato 1.562 morti in tutta Italia (il 42,8% delle vittime stradali), dall’altro lato una diminuzione della quota sia degli incidenti che delle vittime tra il 2011 e il 2012 (nel primo caso -0,5%, nel secondo -2,4%) (Tab. 3).

Classificando poi questi dati per singola regione, si osserva che nel 2012 è la Liguria, così come già visto per il 2011, l’area con la quota più importante di incidenti in ambito urbano (l’85% del totale, poco meno rispetto al 2011), seguita dalla Lombardia con 81,1% (-0,8%). Supera la soglia dell’80% anche la Sicilia, mentre tutte le altre regioni rimangono sotto, tuttavia la Toscana (con 79,7%) e il Lazio (78%) si attestano sopra la media nazionale (75,9%). In nessun caso si registra un valore inferiore al 50% (il Molise che più di altri si avvicina si ferma al 54,2%). La Liguria è anche la regione con la più alta percentuale di morti per incidenti stradali sulle strade urbane, ed è l’unica a caratterizzarsi per una percentuale superiore al 60% (67% contro una media nazionale pari al 42,8%).

Tab. 3 - Numero di incidenti e morti su strade urbane, peso percentuale sul totale per Regione (2012 e 2011)

Strade urbane (2012) % sul totale (2012) Strade urbane (2011) % sul totale (2011) Incidenti Morti Incidenti Morti Incidenti Morti Incidenti Morti

Liguria 7.443 59 85,0 67,0 7.926 49 85,3 61,3 Lombardia 28.703 257 81,1 47,6 30.407 268 81,9 50,4 Sicilia 9.426 103 80,4 47,2 10.564 129 79,5 47,6 Toscana 13.485 135 79,7 54,4 14.643 133 78,4 50,2 Lazio 18.447 173 78,0 46,0 21.393 229 79,6 53,9 Italia 141.713 1.562 75,9 42,8 157.023 1.744 76,4 45,2 Campania 7.232 114 75,5 50,9 7.807 135 76,4 55,6 Emilia-R. 13.319 168 72,9 44,7 15.099 168 74,0 42,0 Piemonte 8.856 109 72,9 38,4 9.634 137 72,7 42,8 Friuli-V. G. 2.517 37 72,8 44,0 2.694 40 74,8 47,6 Marche 3.918 40 71,7 40,4 4.729 51 72,4 39,5 Veneto 10.008 157 71,5 42,8 11.278 179 72,5 48,5 Puglia 7.225 64 70,7 24,2 8.632 78 71,3 28,8 Abruzzo 2.524 42 69,4 47,7 2.874 34 70,8 41,0 Umbria 1.624 16 68,9 32,0 1.914 26 67,0 42,6 Sardegna 2.284 20 66,9 23,5 2.568 33 67,8 33,0 Trentino A. A. 2.015 19 62,1 26,0 1.931 17 64,6 29,3 Calabria 1.653 37 61,1 33,6 1.802 25 60,3 24,0 Valle d'Aosta 176 2 59,7 18,2 188 3 62,9 33,3 Basilicata 547 7 58,7 14,3 608 7 57,7 18,9 Molise 311 3 54,2 15,8 332 3 52,0 15,8

Fonte: elaborazioni Isfort su dati ACI e Istat

Passando ora all’analisi per capoluogo di provincia, guardando in prima battuta alle grandi città, durante il periodo di crisi economica (2008-2012) si registra una generale diminuzione degli incidenti, in molti casi di oltre il 20% (ad esempio a

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Milano, Napoli e Bologna), al contrario di quando è possibile osservare nel confronto tra il 2002 ed il 2008 (a Bari si registra un +23,3%).

La città che più di altre vede ridursi il numero di sinistri negli ultimi 4 anni è Bologna (-22,5%), mentre nel considerare l’intero arco temporale qui analizzato è Torino la più performante (-42,9%), seguita da vicino da Catania (-42,7%); al contrario le città che hanno fatto meno bene sono entrambe meridionali ed entrambe presentano variazioni con il segno più: Palermo (+7,1%) e Bari (+5,6%) (Tab. 4).

Tab. 4 – Numero di incidenti nelle grandi città (2002, 2008, 2012 e differenza %)

Città 2002 2008 2012 Diff. % 2002-2008

Diff. % 2008-2012

Roma 21.580 18.181 15.782 -15,8 -13,2 Milano 15.229 13.584 10.758 -10,8 -20,8 Genova 4.758 4.635 4.283 -2,6 -7,6 Torino 5.470 3.979 3.358 -27,3 -15,6 Firenze 4.357 3.384 2.772 -22,3 -18,1 Palermo 2.317 2.616 2.464 +12,9 -5,8 Napoli 2.746 2.793 2.199 +1,7 -21,3 Bologna 2.848 2.508 1.944 -11,9 -22,5 Bari 1.856 2.288 1.882 +23,3 -17,7 Verona 2.084 1.725 1.458 -17,2 -15,5 Catania 1.944 1.437 1.199 -26,1 -16,6 Venezia 1.080 896 730 -17,0 -18,5

Fonte: elaborazioni Isfort su dati ACI e Istat

In queste stesse città, tuttavia, migliora il rapporto tra numero di morti e incidenti, più che dimezzato nel periodo 2002-2012. Approfondendo l’analisi degli indici di mortalità si notano valori e dinamiche notevolmente differenti da città a città. Così se nel 2012 a Napoli, Bologna, Catania, Venezia e Verona si contano più di un morto ogni 100 incidenti, a Genova l’indice si ferma allo 0,49, tuttavia Genova è una delle città che si caratterizza per un indicatore che cresce tra il 2008 ed il 2012 (+0,1), al pari di Milano (+0,02 con un indice pari a 0,57 nel 2012), Verona (+0,04 e 1,03), Firenze (+0,17 e 0,58) e soprattutto Bologna (+0,33 e 1,13) (Fig. 7).

Per quanto riguarda le altre città capoluogo di provincia, nel confronto 2008-2012 in 59 città su 107 si registra un indicatore in diminuzione, in alcuni casi anche in modo consistente (Avellino, Benevento, Caserta, Crotone che è passata dai 5,64 morti ogni 100 incidenti del 2002, ai 3,33 del 2008, all’1,4 del 2012); tuttavia se si guarda al periodo 2002-2008 il numero di città che vedevano diminuire l’indice di mortalità erano 65 (sulle 102 di cui si dispongono i dati).

I dati provinciali, al netto dei capoluoghi, presentano un indice di mortalità mediamente più rilevante. Ad esempio nella provincia di Roma nel 2012 si registra un valore pari a 1,89 (nella capitale d’Italia non si va oltre lo 0,98), in quella di Torino a 3,47 (oltretutto in crescita negli ultimi 4 anni) (Fig. 8).

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Fig. 7 – Indice di mortalità(1) per comune capoluogo di provincia

2002

2008

2012

Var. 2002-2008

Var. 2008-2012

0.00 to 1.001.00 to 2.002.00 to 3.003.00 to 5.00

5.00 to 8.008.00 to 12.0012.00 to 16.0016.00 to 20.00

-12.00 to -8.00-8.00 to -4.00-4.00 to -2.00-2.00 to 0.000.00 to 2.002.00 to 4.004.00 to 8.008.00 to 12.00nd

-12.00 to -8.00-8.00 to -4.00-4.00 to -2.00-2.00 to 0.000.00 to 2.002.00 to 4.004.00 to 8.008.00 to 12.00nd

Anno Roma Milano Napoli Torino Palermo Genova Bologna Firenze Bari Catania Venezia Verona2012 0,98 0,57 1,55 0,77 0,73 0,49 1,13 0,58 0,69 1,25 1,37 1,032008 1,05 0,55 1,72 0,98 1,45 0,39 0,80 0,41 0,87 2,57 1,56 0,992002 1,68 0,51 1,64 1,26 1,81 0,86 1,37 0,48 1,56 1,95 1,20 1,10Var. 08-12 -0,07 +0,02 -0,17 -0,21 -0,72 +0,10 +0,33 +0,17 -0,18 -1,32 -0,19 +0,04Var. 02-08 -0,63 +0,04 +0,08 -0,28 -0,36 -0,47 -0,57 -0,07 -0,69 +0,62 +0,36 -0,11

(1) Numero di morti ogni 100 incidenti - Fonte: elaborazioni Isfort su dati ACI e Istat

Fig. 8 – Indice di mortalità(1) per comuni diversi dal capoluogo di provincia

2002

2008

2012

Var. 2002-2008

Var. 2008-2012

0.00 to 1.001.00 to 2.002.00 to 3.003.00 to 5.00

5.00 to 8.008.00 to 12.0012.00 to 16.0016.00 to 20.00

-12.00 to -8.00-8.00 to -4.00-4.00 to -2.00-2.00 to 0.000.00 to 2.002.00 to 4.004.00 to 8.008.00 to 12.00nd

-12.00 to -8.00-8.00 to -4.00-4.00 to -2.00-2.00 to 0.000.00 to 2.002.00 to 4.004.00 to 8.008.00 to 12.00nd

Anno Roma Milano Napoli Torino Palermo Genova Bologna Firenze Bari Catania Venezia Verona2012 1,89 1,25 2,30 3,47 1,88 1,39 2,82 1,65 2,25 2,51 2,45 2,962008 2,76 1,23 2,51 3,34 3,99 2,01 3,32 1,62 3,05 3,32 3,47 3,682002 4,39 1,14 3,74 4,16 4,99 3,83 4,01 2,21 6,93 5,09 4,22 5,18Var. 08-12 -0,87 +0,02 -0,21 +0,13 -2,11 -0,62 -0,50 +0,03 -0,80 -0,81 -1,02 -0,72Var. 02-08 -1,63 +0,09 -1,23 -0,82 -1,00 -1,82 -0,69 -0,59 -3,88 -1,77 -0,75 -1,50

(1) Numero di morti ogni 100 incidenti - Fonte: elaborazioni Isfort su dati ACI e Istat

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3. Gli strumenti dissuasivi della mobilità privata nelle città capoluogo di provincia

3.1. Gli stalli di sosta e le zone a traffico limitato

Già si è detto di una crescita ormai continua delle misure rivolte alla diminuzione dell’uso del mezzo privato attraverso una maggiore creazione di nuovi stalli di sosta, siano essi su strada a pagamento o di interscambio con i mezzi pubblici, e un’estensione delle Zone a Traffico Limitato, in questa parte del capitolo si approfondirà se la crescita coinvolge tutte le città capoluogo di provincia.

Iniziando l’analisi dai stalli di sosta a pagamento, si nota che sono le città del Nord Italia quelle che più di altre hanno puntato sulle cd strisce blu per disincentivare l’uso delle automobili, con alcune importanti eccezioni, quali Cosenza, dove nel 2011 si contano circa 138 parcheggi a pagamento ogni 1.000 auto circolanti, Avellino (122,5) e i tre capoluoghi pugliesi più a sud (Fig. 9).

Negli ultimi anni, quelli della crisi finanziaria, la crescita del numero di parcheggi a pagamento è tuttavia minore rispetto al passato, e ciò è evidente alche nel considerare le sole grandi città. In alcune di queste addirittura l’indicatore si ridimensiona, è il caso di Roma (dal 40,1 del 2008 al 37,8 del 2011), Bologna (da 155,2 a 150,3) e soprattutto Firenze (da 162,5 a 142,4), mentre nei restanti comuni si registra un incremento delle strisce blu, crescita che a Napoli e Torino si traduce in una inversione di tendenza rispetto al periodo 2002-2008, mentre a Genova, Catania e Bari in un’accelerazione.

Guardando al complesso dei capoluoghi, nel 2011 le prime tre città per numero di stalli a pagamento in proporzione alle auto sono Fermo (260,6), La Spezia (214,7) e Pavia (176,7), mentre Andria (11,0), Ascoli Piceno (8,8) e Agrigento (8,5) chiudono la “classifica”.

Sempre in tema di sosta, ma facendo riferimento ai parcheggi di scambio con il trasporto pubblico3, i dati presentati dall’Istat evidenziano ancora una volta una differenze tra il Nord e il Sud del Paese, nonché un arretramento (tra il 2008 e il 2011) di importanti città, come Roma (da 6,7 a 6,3 posti ogni 1.000 auto) e Milano (da 19,9 a 18,7) (Fig. 10).

3 Il tema merita riflessioni più approfondite rispetto alla sola osservazione dei dati dei comuni

capoluogo di provincia, accorerebbe valutare, ad esempio, anche la dotazione dei comuni che formano le cinture metropolitane delle grandi città, che in alcuni casi tendono a fondersi con la città stessa e spesso garantiscono importanti infrastrutture a servizio della metropoli.

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Fig. 9 – Stalli di sosta a pagamento su strada per 1.000 auto e per comune capoluogo di provincia

2008

2011

Var. 2002-2008

Var. 2008-2011

0.00 to 10.0010.00 to 20.0020.00 to 40.0040.00 to 60.00

60.00 to 100.00100.00 to 150.00150.00 to 200.00200.00 to 250.00

-40.00 to -20.00-20.00 to -10.00-10.00 to -5.00-5.00 to 0.000.00 to 5.005.00 to 10.0010.00 to 20.0020.00 to 40.0040.00 to 80.0080.00 to 120.00nd

-40.00 to -20.00-20.00 to -10.00-10.00 to -5.00-5.00 to 0.000.00 to 5.005.00 to 10.0010.00 to 20.0020.00 to 40.0040.00 to 80.0080.00 to 120.00nd

Anno Roma Milano Napoli Torino Palermo Genova Bologna Firenze Bari Catania Venezia Verona2011 37,8 54,7 42,1 88,0 47,3 83,9 150,3 142,4 36,0 37,9 46,6 52,42008 40,1 38,2 40,5 84,3 42,3 45,5 155,2 162,5 18,8 32,8 39,4 40,42002 28,4 20,0 44,4 87,3 5,6 9,5 112,1 94,5 17,8 31,2 25,1 2,0Var. 08-11 -2,3 +16,5 +1,6 +3,7 +5,0 +38,4 -4,9 -20,1 +17,2 +5,1 +7,2 +12,0Var. 02-08 +11,7 +18,2 -3,9 -3,0 +36,7 +36,0 +43,1 +68,0 +1,0 +1,6 +14,3 +38,4

Fonte: elaborazioni Isfort su dati Istat

Fig. 10 – Stalli di sosta in parcheggi di interscambio con il trasporto pubblico per 1.000 auto e per comune capoluogo di provincia

2002

2008

Var. 2002-2008

2011

Var. 2008-2011

-30.00 to -20.00-20.00 to -10.00-10.00 to -5.00-5.00 to 0.000.00 to 5.005.00 to 10.0010.00 to 20.0020.00 to 50.0050.00 to 100.00100.00 to 200.00nd

-30.00 to -20.00-20.00 to -10.00-10.00 to -5.00-5.00 to 0.000.00 to 5.005.00 to 10.0010.00 to 20.0020.00 to 50.0050.00 to 100.00100.00 to 200.00nd

Anno Roma Milano Napoli Torino Palermo Genova Bologna Firenze Bari Catania Venezia Verona2011 6,3 18,7 5,0 12,2 7,0 19,4 54,3 13,6 13,9 8,0 149,2 18,72008 6,7 19,9 3,8 10,8 7,0 19,2 52,8 14,5 11,5 8,1 137,0 6,92002 6,2 15,4 3,5 7,8 4,3 18,3 47,1 11,4 0,0 2,8 115,2 5,1Var. 08-11 -0,4 -1,2 +1,2 +1,4 0,0 +0,2 +1,5 -0,9 +2,4 -0,1 +12,2 +11,8Var. 02-08 +0,5 +4,5 +0,3 +3,0 +2,7 +0,9 +5,7 +3,1 +11,5 +5,3 +21,8 +1,8

Fonte: elaborazioni Isfort su dati Istat

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Altro strumento per la limitazione della circolazione delle auto è l’istituzione di Zone a Traffico Limitato, sempre di più usato dalle Amministrazioni locali per ridurre gli effetti negativi della mobilità privata nei centri storici.

In buona parte delle grandi città, nel confronto 2008-2011, non si registrano variazioni significative (Roma, Milano, Palermo, Bologna, Bari, Verona e Venezia), le uniche eccezioni riguardano Torino, Napoli e soprattutto Firenze (da 3,61 km2 ogni 100 km2 di superficie comunale a 4,13); quest’ultima dopo Milano e Palermo è la città con oltre 250 mila abitanti con l’indicatore più elevato nel 2011 (rispettivamente 4,94 e 4,85 km2) (Fig. 11). Nel periodo della crisi economica, quindi, non si registrano tassi di crescita paragonabili all’intervallo di tempo 2002-2008, dimostrando un certo rallentamento che tuttavia è forse maggiormente addebitabile all’impossibilità per molte città, in particolare quelle più piccole, di procedere ad ulteriori estensioni delle ZTL.

Ciò detto l’indicatore raggiunge, nel 2011, il suo valore massimo a Bergamo, che insieme a Biella sono gli unici due capoluoghi con un valore superiore ai 10 km2 (per l’esattezza 12,8 e 10,7). Nel complesso sono ben 93 i capoluoghi con ZTL, tuttavia nella maggioranza delle città di cui si conosce il dato si registra un valore inferiore all’unità (in 66 città).

Fig. 11 – Kmq di ZTL ogni 100 kmq di superficie comunale per comune capoluogo di provincia

2002

2008

Var. 2002-2008

2011

Var. 2008-2011

-1.00 to -0.60-0.60 to -0.40-0.40 to -0.20-0.20 to 0.000.00 to 0.200.20 to 0.400.40 to 0.600.60 to 1.001.00 to 2.002.00 to 4.00nd

-1.00 to -0.60-0.60 to -0.40-0.40 to -0.20-0.20 to 0.000.00 to 0.200.20 to 0.400.40 to 0.600.60 to 1.001.00 to 2.002.00 to 4.00nd

Anno Roma Milano Napoli Torino Palermo Genova Bologna Firenze Bari Catania Venezia Verona2011 0,58 4,94 3,08 2,06 4,85 3,22 2,28 4,13 0,28 - 0,51 0,422008 0,59 4,94 2,93 1,92 4,85 3,15 2,28 3,61 0,28 - 0,51 0,422002 0,36 - 2,93 0,84 2,39 3,15 2,28 3,61 0,28 - - 0,40Var. 08-11 -0,01 0,00 +0,15 +0,14 0,00 +0,07 0,00 +0,52 0,00 - 0,00 0,00Var. 02-08 +0,23 - 0,00 +1,08 +2,46 0,00 0,00 0,00 0,00 - - +0,02

Fonte: elaborazioni Isfort su dati Istat

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3.2. Le isole pedonali e le piste ciclabili

Un secondo strumento a disposizione delle Amministrazioni locali per la dissuasione all’uso dell’auto e, allo stesso tempo, per la promozione di una mobilità alternativa è l’istituzione di isole pedonali.

Nel 2011 tra le grandi città è, come era logico aspettarsi, Venezia quella che più di altre ha destinato porzioni del proprio territorio comunale ai soli pedoni (ben 486,9 m2 per 100 abitanti), seguita da lontano da Firenze (99,6) e Torino (45,3). (Fig. 12). Fatta l’eccezione di Venezia, meglio della città toscana riescono a fare Verbania e Cremona, con un indice che raggiunge, rispettivamente, 207,8 e 107,3 m2; al contrario le città meno dotate di aree pedonali sono Teramo (1,2), Brindisi (0,6) e Latina (0,3).

In termini generali dalle cartine che seguono si osserva chiaramente che le città del Nord Italia sono quelle che più di altre hanno previsto aree vietate all’auto, un timido recupero dei comuni del Centro-Sud si assiste solo negli ultimi anni, tuttavia ancora troppo debole per sperare di colmare quel divario che si è creato nei primi anni del 2000. Inoltre alcune città, non poche a dire il vero (ben 49), negli ultimi 3 anni hanno invece invertito la rotta restituendo aree comunali ai mezzi motorizzati.

Fig. 12 – Mq di aree pedonali per 100 abitanti per comune capoluogo di provincia

2002

2008

Var. 2002-2008

2011

Var. 2008-2011

-250.00 to -150.00-150.00 to -75.00-75.00 to -25.00-25.00 to -10.00-10.00 to 0.000.00 to 5.005.00 to 10.0010.00 to 20.0020.00 to 50.0050.00 to 100.00nd

-250.00 to -150.00-150.00 to -75.00-75.00 to -25.00-25.00 to -10.00-10.00 to 0.000.00 to 5.005.00 to 10.0010.00 to 20.0020.00 to 50.0050.00 to 100.00nd

Anno Roma Milano Napoli Torino Palermo Genova Bologna Firenze Bari Catania Venezia Verona2011 17,3 29,0 30,0 45,3 7,3 5,3 28,5 99,6 16,2 8,0 486,9 16,72008 14,4 27,6 27,9 42,2 5,9 5,1 27,2 82,2 16,1 7,9 488,3 16,62002 13,7 23,7 25,9 32,7 2,5 5,1 17,5 84,7 10,9 1,9 464,8 16,7Var. 08-11 +2,9 +1,4 +2,1 +3,1 +1,4 +0,2 +1,3 +17,4 +0,1 +0,1 -1,4 +0,1Var. 02-08 +0,7 +3,9 +2,0 +9,5 +3,4 0,0 +9,7 -2,5 +5,2 +6,0 +23,5 -0,1

Fonte: elaborazioni Isfort su dati Istat

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Ultimo fenomeno qui analizzato nella sua distribuzione territoriale e nelle sue dinamiche temporali è l’estensione delle piste ciclabili. Il primo elemento che emerge in modo molto chiaro osservando le cartine inserite nella Figura 13, è la buona dotazione dei comuni capoluogo di provincia del Nord rispetto al quelli del Centro-Sud, differenza che è costantemente aumentata nel corso degli anni, sia in quelli che hanno preceduto la crisi economica, sia nei successivi tre.

Tra le grandi città, nel 2011, è Torino quella con la maggiore offerta di piste ciclabili, ben 134,4 km ogni km2 di superficie comunale, un dato oltretutto in continua crescita e in forte accelerazione negli ultimi anni (dai 65,5 km del 2002, ai 91,8 del 2008, fino ai 134,4 del 2011). Interessante è anche l’incremento che si registra a Milano (+30,9 km tra il 2008 e il 2011), nonché la diminuzione dell’indicatore a Firenze (-14,8).

Nel 2011 meglio della città piemontese, considerando tutti i capoluoghi di provincia, riesce a fare solo Padova con oltre 160 km. Oltre 100 km di percorsi dedicati alle biciclette si registrano anche a Brescia (132,3 km per l’esattezza), Modena (116,1) e Treviso (107,2), mentre le città con la minore dotazione sono Ragusa, Sassari e Viterbo, ma anche Reggio di Calabria e Genova, tutte con meno di 1 km di piste ciclabili.

Fig. 13 – Km di piste ciclabili ogni 100 kmq di superficie comunale per comune capoluogo di provincia

2002

2008

Var. 2002-2008

2011

Var. 2008-2011

-20.00 to -10.00-10.00 to -5.00-5.00 to -0.000.00 to 5.005.00 to 10.0010.00 to 20.0020.00 to 40.0040.00 to 60.0060.00 to 80.00nd

-20.00 to -10.00-10.00 to -5.00-5.00 to -0.000.00 to 5.005.00 to 10.0010.00 to 20.0020.00 to 40.0040.00 to 60.0060.00 to 80.00nd

Anno Roma Milano Napoli Torino Palermo Genova Bologna Firenze Bari Catania Venezia Verona2011 10,2 72,0 0,0 134,4 13,3 0,5 68,6 49,8 7,5 0,0 24,8 39,22008 8,8 41,1 0,0 91,8 11,7 0,0 55,4 64,6 6,5 0,0 18,8 31,42002 2,3 33,0 0,0 65,5 2,1 0,0 27,7 25,4 4,7 0,0 7,5 4,6Var. 08-11 +1,4 +30,9 +0,0 +42,6 +1,6 +0,5 +13,2 -14,8 +1,0 0,0 +6,0 +7,8Var. 02-08 +6,5 +8,1 +0,0 +26,3 +9,6 0,0 +27,7 +39,2 +1,8 0,0 +11,3 +26,8

Fonte: elaborazioni Isfort su dati Istat

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Parte quarta

IL BENCHMARK EUROPEO PRESENTE E FUTURO DELLA MOBILITÀ

URBANA NELL’OPINIONE DEI CITTADINI UE

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1. Introduzione

Il trasporto è come noto uno dei fattori-chiave dello sviluppo contemporaneo sotto diversi punti di vista. In primo luogo poiché esso garantisce funzioni di accessibilità e collegamento tra territori e aree del pianeta più o meno centrali o periferiche, ponendole in condizione di operare scambi e relazioni strategiche in tempi e a prezzi vantaggiosi. Oltre ad essere un servizio fondamentale per la circolazione di persone e beni (e svolgere, come si dice, una funzione “derivata” a vantaggio degli insediamenti umani e produttivi presenti nello spazio), l’attività di trasporto nelle sue molte articolazioni tecnologiche e funzionali è però anche un importante settore economico in sé, partecipe delle prospettive di crescita e qualificazione del capitale sociale, produttivo e professionale dell’Europa; tale può essere considerato tanto dal punto di vista del valore aggiunto prodotto (4,6% del PIL europeo), quanto dell’occupazione di addetti (circa 10 milioni, pari al 4,5% della forza lavoro continentale)1.

Essendo inoltre più del 68% degli europei residenti in ambito urbano, la condizione di mobilità delle città è poi particolarmente importante per la crescita attuale e futura.

Data l'alta percentuale di attività che si svolgono nei poli urbani (vi si genera l’85% del PIL dell’Unione), i problemi con le infrastrutture di trasporto in tali aree possono portare gravi conseguenze economiche. Di fatto la congestione stradale, presente dentro e nell’intorno delle città, determina nel continente ritardi, inefficienze e perdite stimate in quasi 100 miliardi euro ogni anno, cifra pari all'1% del PIL complessivo dell'UE. Una parte rilevante di tali disfunzioni (code, ingorghi stradali) si riflette anche in consumi energetici eccessivi e in costi per famiglie e imprese, in ragione anche di modelli di spostamento in cui il motore tradizionale, a benzina e gasolio, continua ad essere usato in dimensioni enormi e oggi forse non più sostenibili (nel continente secondo le più recenti stime Eurostat2 si consumano circa 283.580 Ktoe l’anno di carburante per trasporti, qualcosa come 500 miliardi di euro di valore, a stare molto prudenti).

Al riguardo, le aree urbane sono inoltre particolarmente esposte ai costi esterni dei trasporti, più difficili da rappresentare in termini di partite economiche certe, ma ugualmente importanti per le conseguenze reali apportate sulla collettività (in termini finanziari ma non solo, di qualità e vivibilità degli ambienti di vita). Basti pensare alle implicazioni medico-sanitarie dovute ai livelli elevati di inquinamento atmosferico e acustico subito dagli abitanti della aree più densamente popolate oppure al numero elevato di incidenti accorrenti specie su tangenziali, assi di scorrimento e vie principali di accesso alle maggiori città. Per non dire ancora delle

1 Report a cura della Commissione UE (DG MOVE, Transport Research and Innovation Portal ) dal titolo

Employment in the EU transport sector: Communicating transport research and innovation, Lussemburgo, 2013 (per riferimenti vedi al sito web: www.transport-research.info).

2 Cfr. Commissione UE, Statistica pocketbook 2013, EU Transport in figures (http://ec.europa.eu/transport). L’acronimo ktoe indica 1.000 tonnellate equivalenti di petrolio.

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emissioni impattanti sul clima: l’’Agenzia Europea dell’Ambiente stima si debba ai trasporti quasi 1/3 della CO2 emessa in atmosfera in un anno in Europa, per il 72% dipendente dai viaggi su strada. Non dovrebbe sfugge al riguardo l’entità dei risparmi cui condurrebbe un adattamento dei sistemi di trasporto, così come è relativamente facile da stimare, sul fronte sanitario, l’ammontare dei benefici diretti per la salute (e per le casse pubbliche) di regimi di vita meno sedentari e di diffusi spostamenti non a motore3.

In considerazione di questi problemi dunque, muovendo in una logica volta a tenere insieme competitività e sostenibilità dei territori, l’UE si è interessata negli anni sempre più alla dimensione urbana dei trasporti. Per provare ad intervenire la Commissione europea ha adottato prima lo specifico Piano d’azione del 2009 (messa in atto delle indicazioni emerse dal Libro Verde sul trasporto urbano nel 2007) e inoltre, di recente, ha pubblicato il “Libro bianco“ sui trasporti 20114 che fissa le linee strategiche di evoluzione, segnalando in particolare i seguenti obiettivi per la mobilità urbana:

- dimezzare entro il 2030 l’uso di vetture alimentate con carburanti tradizionali ed eliminazione di tali auto dalle aree urbane entro il 2050;

- conseguire nelle principali città/metropoli continentali un sistema di logistica urbana a zero emissioni di CO2 entro il 2030;

- avvicinarsi con una serie composita di indirizzi (es. pianificazione integrata, nuove tecnologie e principi di controllo del traffico, politiche di sviluppo della mobilità ciclo-pedonale, aumento della qualità dei servizi di trasporto collettivo specie in alcune aree più in ritardo, ecc..) ad una forte riduzione dei costi sociali e sanitari direttamente connessi al traffico e all’affollamento stradale.

Il raggiungimento di questi obiettivi richiede una conoscenza dettagliata dei problemi incontrati dai cittadini che si spostano regolarmente in area urbana e il sostegno potenziale di differenti approcci di risposta ai problemi. In questo senso le recenti indagini “Eurobarometro”, commissionate dalle diverse Direzioni Generali della Commissione Europea (DG Mobilità e dei Trasporti, DG ambiente) offrono indicazioni di notevole interesse su cui può essere utile soffermare l’attenzione al fine di precisare inclinazioni e linee di condotta collettive su cui fare leva per impostare opportuni percorsi di cambiamento.

Di particolare interesse sono specie i risultati del recente sondaggio (Speciale Eurobarometro 460, dicembre 2013) dal titolo “atteggiamenti degli europei nei confronti della mobilità urbana” che proveremo in prevalenza a rileggere ed

3 L'Organizzazione Mondiale della Sanità calcola con il programma HEAT (Health Economics Assessment

Tool) il risparmio in costi sanitari ottenuto spostando il “modal split” verso pedoni e ciclisti (www. http://www.euro.who.int).

4 Vedi il Libro Bianco sul futuro dei trasporti entro il 2050 dal titolo “Tabella di marcia verso uno spazio unico europeo dei trasporti - Per una politica dei trasporti competitiva e sostenibile” pubblicata nel 2011 (COM (2011) 144 final) e poi il successivo Pacchetto per la mobilità urbana, costituito da una comunicazione Insieme verso una mobilità urbana competitiva ed efficace sul piano delle risorse (COM (2013) 913 final) con cui la Commissione ha sollecitato l’adozione di procedure e maccanismi comuni volti a favorire la condivisione di dati ed esperienze, mettere in rilievo le migliori pratiche e rafforzare la cooperazione innovativa a livello locale.

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elaborare nel presente capitolo5, al fine di allargare l’analisi “della domanda” al campo continentale e trarre indicazioni di confronto tra i 28 Paesi con particolare riferimento alle disposizioni dei cittadini su aspetti come:

- percezioni dei problemi e abitudini di viaggio maturate nei diversi contesti e latitudini, temi che affronteremo in dettaglio nella prima parte del capitolo (parr. 1 e 2);

- opinioni sulle misure per migliorare il trasporto e le possibilità di movimento in città, da prendere soprattutto a livello locale (par. 3), seppure in un quadro di indirizzi comuni tra le varie istituzioni e realtà territoriali (inclusi UE, stati nazionali, regioni);

- aspettative e visioni rispetto al futuro del traffico urbano, in materia di innovazione e contenuti di sostenibilità, da cui in particolare cercheremo di trarre in conclusione riferimenti specifici all’Italia (par. 4) in ordine ad alcune evoluzioni da favorire e agli obiettivi verso cui far progredire il suo sistema dei trasporti urbani.

5 Indagine commissionata dalla Commissione (DG Mobilità e Trasporti e coordinata dalla DG

Comunicazione) e condotta da TNS Opinion & Social network in 28 Stati membri dell'Unione europea tra il 24 maggio e il 9 giugno 2013.

Per maggiori informazioni vedi http://ec.europa.eu/public_opinion/index_en.htm.

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2. La percezione dei problemi

Poco meno di quattro europei su dieci, interrogati nel corso del 2013, sostiene di incontrare problemi di mobilità urbana: come si può vedere dal Graf. 1 esattamente il 38% dei rispondenti al sondaggio dichiara di avere “spesso” o almeno “qualche volta” in difficoltà nell’accedere ad attività, beni e servizi a causa del traffico e della congestione stradale. Una percentuale non di poco conto, anche se la maggioranza (oltre il 60%) di coloro che si spostano in città sostiene di non incontrare mai o raramente problemi di questo tipo.

Graf. 1 - Frequenza e problemi di spostamento in città

Fonte: Elaborazione Isfort su dati CE-Eurobarometro, dicembre 2013

Comprensibilmente le indicazioni più critiche sono espresse dagli abitanti delle grandi aree urbane (il 45% dei residenti vive condizioni di impedimento negli spostamenti), mentre i giudizi sono meno problematici nei centri minori (città medio-piccole) e nelle zone rurali: in questi contesti sostiene di incontrare difficoltà di accesso alle attività e ai luoghi fondamentali rispettivamente non più del 37% e del 34% dei cittadini interpellati (8 e 11 punti percentuali di in meno).

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Le differenze tra Paesi non sono meno importanti da notare per un confronto sulla situazione di mobilità presente nei vari contesti europei. Gli italiani significativamente appaiono intanto tra i residenti dei 28 Paesi UE quelli più inclini a muoversi in ambito urbano. Se tra gli europei consultati il 46% sostiene di spostarsi in città tutti i giorni, il 26% qualche volta la settimana e il 24% al massimo qualche volta al mese, ben il 73% dei connazionali indica di muoversi nei centri urbani quotidianamente; solo il 19% e il 6% degli intervistati vi si muove con una frequenza più bassa, pari a un paio di volte la settimana (nel primo caso) o al più a un paio di volte al mese (nel secondo).

Inoltre quello italiano, stando alle risposte fornite, si dimostra come uno dei popoli più limitati nelle possibilità di spostamento e con difficoltà di accesso a luoghi e servizi fondamentali.

Come si può vedere entrando nel dettaglio dei risultati nazionali6, a specifica domanda (Graf. 2) la percentuale di quanti nel nostro Paese dichiarano di fare fatica, spesso o qualche volta, a raggiungere le mete fondamentali è molto più alta di quella rilevabile nella media europea (59% contro 38%). La difficoltà di accesso alle attività urbane, sempre a quanto rilevato dall’indagine, è presente nel “vissuto” quotidiano degli italiani il doppio di quanto non lo sia tra i tedeschi o tra gli inglesi (30% e 27%), addirittura tale esperienza negativa – che ha a che fare più o meno direttamente con l’esercizio del “diritto alla mobilità” - è oltre tre volte superiore a quella indicata da danesi, svedesi e finlandesi (i quali esprimo rispettivamente “solo” il 18%, il 15% e l’11% di indicazioni problematiche).

Tale primo punto di diversità è molto significativo e trova altre conferme nell’analisi della percezione dei problemi specifici di tipo sociale e ambientale connessi all’eccessiva presenza di traffico.

Va detto che l’inquinamento atmosferico è un costo altissimo rilevato un po’ in tutte le latitudini e, insieme alla congestione, è il tema percepito con maggiore preoccupazione dai cittadini dell’Unione (l’81% degli europei considera le emissioni da traffico un problema molto o abbastanza importante, il 76% ritiene che lo sia altrettanto l’affollamento stradale). In una percentuale solo poco più bassa (74%) gli indagati percepiscono come un problema l’eccessiva onerosità dei costi viaggio (spese per servizi e attività di trasporto). Con altrettanta gravità è vista la questione degli incidenti (73%) e il rumore (72% delle risposte).

L’analisi delle risposte per ambito urbano evidenzia peraltro una sostanziale e per certi versi sorprendente uniformità dei giudizi espressi (Graf. 3) che ritroviamo in parte anche nel confronto tra i gruppi sociali.

6 L’indagine complessivamente ha coinvolto 27.680 individui nell’intero continente (UE28); il

campione italiano è costituito da 1.025 interviste effettuate nel periodo da maggio a giugno 2013.

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Graf. 2 - L’intensità dei problemi di accessibilità nei Paesi UE

Fonte: Elaborazione Isfort su dati CE-Eurobarometro, dicembre 2013

Graf. 3 - Percezione dei problemi per ambito urbano

Fonte: Elaborazione Isfort su dati CE-Eurobarometro, dicembre 2013

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I residenti delle maggiori città sono mediamente più propensi a vedere in termini problematici i cinque aspetti testati dal sondaggio a confronto di chi vive nelle medie o piccole città o nei centri rurali. Le differenze maggiori si rilevano per la congestione, percepita con preoccupazione da l’81% di chi vive in grandi aree urbane e dal 73% degli abitanti dei centri minori. Volendo rimarcare alcune differenze sociali, l’area dei lavoratori autonomi (80%), dei manager (79%) e degli altri impiegati (79%) è relativamente più sensibile della media al problema degli ingorghi da traffico; gli studenti e i lavoratori autonomi avvertono in maggiore misura l’inquinamento dell’aria come difficoltà rilevante (84% e 85%). Le preoccupazioni per i costi di trasporto si riflettono maggiormente nelle valutazioni dei lavoratori manuali e dei disoccupati (81%).

L’analisi dei giudizi espressi nei vari Paesi è probabilmente però quella di maggiore interesse da svolgere, poiché consente di entrare meglio all’interno del quadro di differenze geografiche e regolarità nei giudizi, fornendo indicazioni più o meno direttamente riconducibili alle circostanze di contesto che le determinano.

In generale il “posizionamento” italiano sui temi del sondaggio è rappresentata nel successivo grafico, in cui sono messe a confronto le propensioni medie europee e quelle degli intervistati nel nostro Paese (Graf. 4).

Graf. 4 - Il giudizio sulla gravità dei problemi. Confronto Italia-UE

Fonte: Elaborazione Isfort su dati CE-Eurobarometro, dicembre 2013

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L’inquinamento è il primo problema in ordine di importanza per gli italiani, i quali dimostrano sul tema una preoccupazione superiore a quella degli abitanti di altre nazioni: lo smog è considerato un fatto molto grave dal 47% degli intervistati nella Penisola contro una media del 39% rilevabile nel campione continentale. Sono pochissimi i partener UE i cui cittadini denotano apprensioni così elevate (dei 28 Paesi del sondaggio solo in Bulgaria, Grecia, Cipro, Malta e Spagna si raggiungono queste percentuali critiche di risposta). Altre complicazioni sentite dagli italiani con relativa maggiore gravità risultano l’inquinamento acustico (34% contro 27% in UE) e gli incidenti (33% vs 31%).

Ragionando a livello complessivo l’Italia appare in compagnia di un gruppo relativamente stabile di Paesi mediterranei e dell’Est: Malta, Cipro, Grecia, Slovacchia, Spagna (su alcuni indicatori anche la Francia), più Polonia e Bulgaria, Repubblica Ceca e in parte la Croazia i cui abitanti dichiarano di vivere con maggiore intensità i costi e le complicazioni connesse alla mobilità urbana. Di contro gli abitanti di altre nazioni come Finlandia, Danimarca, Svezia, Lettonia, Estonia, Olanda (per i costi di trasporto) più la Germania (in fatto specialmente di incidenti e inaccessibilità) riportano costantemente, nelle rispose dei cittadini, la più bassa incidenza di problemi quando si viaggia in città.

A completare l’immagine di grave apprensione vissuta dagli italiani soprattutto in tema di inquinamento urbano, oltre alla fotografia attuale vale la pena fare riferimento a giudizi e indicazione di tendenza registrati in altre indagini recenti. In particolare dai riscontri di un altro sondaggio sulle propensioni ambientali dei cittadini UE (Flash Eurobarometro 360, gennaio 20137) si evince come l’Italia sia in assoluto il Paese i cui abitanti constatano il peggioramento più consistente della qualità dell’aria respirabile negli ultimi 10 anni: da noi oltre l’81% degli intervistati risponde di notare una aggravamento della situazione dello smog, contro il 56% degli europei (EU 27).

A preoccuparsi di più per i danni sanitari e delle condizioni di vivibilità dovuti all’inquinamento nel continente, oltre agli italiani troviamo anche in questo caso le popolazioni affacciate sul mediterraneo e quelle appartenenti all’area dei Balcani (Sud-Est europeo) (Fig. 1).

E’ interessante infine rilevare come proprio il traffico di merci e di persone siano largamente in testa alle cause ritenute all’origine dei bassi livelli di qualità dell’aria: un ulteriore e chiaro segno di consapevolezza circa la rilevanza degli effetti negativi prodotti dallo sbilanciamento verso il motore privato dei modelli di mobilità locale e urbana (Graf. 5). Le emissioni di auto e autocarri sono valutate di grande impatto per il 77% degli europei consultati nel corso del 2012: gli italiani si esprimono all’83% in questo senso, mentre per il 79% considerano una minaccia soprattutto le produzioni industriali (la media europea è del 67%), il 59% inoltre attribuisce un largo impatto ai trasporti internazionali (aereo e nave) e in misura minore (40% e 38%) ad agricoltura e il riscaldamento delle abitazioni civili.

7 Survey dal titolo “Attitudes of europeans towards Air quality” commissionata dalla Commissione (DG

Ambiente e coordinata dalla DG Comunicazione) realizzata tra il 24 and 26 September 2012 in 27 Stati membri UE (per il Report vedi http://ec.europa.eu/public_opinion/archives/flash_arch_en.htm).

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Fig. 1 - Qualità dell’aria e problemi connessi all’inquinamento

Fonte: Elaborazione Isfort su dati CE-Eurobarometro, gennaio 2013

Graf. 5 - Le principali cause di inquinamento atmosferico

Fonte: Elaborazione Isfort su dati CE-Eurobarometro, gennaio 2013

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3. Le abitudini di trasporto

3.1. L’auto non domina ovunque

L’analisi del ricorso degli europei alle diverse tipologie di spostamento aiuta a fornire altre precisazioni circa le dimensioni problematiche ora rilevate, evidenziando propensioni prevalenti dei cittadini che si pongono, in una certa misura, in rapporto di continuità sia con fattori culturali e dimensioni di scelta soggettive (stili e abitudini di viaggio di individui, famiglie e gruppi sociali), sia con aspetti organizzativi più strutturali, relativi alle condizioni offerte di mobilità a vario livello (di strada, quartiere, di tipologia di area urbana, di nazione, ecc..).

Una prima serie di informazioni interessanti, di ordine generale, deriva dalle risposte del campione europeo sulle frequenze d’uso dei mezzi di trasporto (Graf. 6).

Graf. 6 - Le propensioni di spostamento degli europei

Fonte: Elaborazione Isfort su dati CE-Eurobarometro, dicembre 2013

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L’osservazione d'insieme permette intanto di segnalare il peso rilevante della “mobilità non a motore” nel complesso delle decisioni individuali espresse. Significativamente, stando a quanto rilevato, più dei due-terzi degli europei intervistati sostiene di camminare quotidianamente (68%) e un considerevole 48% lo fa addirittura in più momenti nell’arco del giorno; quasi il 20% va “di passo” alcune volte la settimana (l’8% lo fa al massimo un paio di volte al mese) e solo una percentuale moto modesta di cittadini (il 4%) dichiara di non muoversi mai a piedi.

La metà esatta dei rispondenti usa invece tutti i giorni l’automobile come guidatore o passeggero e un significativo 27% vi ricorre alcune volte la settimana. Numeri che denotano tutta l’importanza delle “quattro ruote” negli schemi di mobilità urbana (il 35% va in auto più volte al giorno), anche se la situazione è forse più variegata di quanto immaginato: ad esempio circa un rispondente su dieci (12%) sostiene di non usare mai la macchina per spostarsi e un'altra quota più modesta ma non insignificante (7%) lo fa in modo assai sporadico: meno di due o tre volte al mese.

Solo il 3% degli europei utilizza inoltre le due ruote a motore con frequenza quotidiana (3%), contro la gran parte dei cittadini (88%) che esclude del tutto questa modalità di viaggio: non va in moto neanche in forma saltuaria.

Stando sempre alle propensioni dichiarate e venendo alle altre modalità, il 16% degli europei sostiene di spostarsi quotidianamente con mezzi collettivi (bus, tram, metro, treno…) e il 19% si limita a viaggiare con il trasporto pubblico locale al massimo qualche volta la settimana (il 29% dichiara di non utilizzare mai il Tpl). Il 12% dei rispondenti afferma infine di usare il pedale con frequenza giornaliera, mentre il 17% adopera la bici al più una o due volte la settimana (con l’area dei non utilizzatori che sale in questo caso al 50% del totale).

Si tratta di percentuali che di per sé indicano un ruolo “tutto sommato” modesto di tali opzioni “alternative” nelle scelte espresse di mobilità, dove spostamenti in auto e a piedi sembrano dividersi la gran parte delle attenzioni. Il panorama appare tuttavia assai più articolato e interessante, in ordine alla diffusione delle varie modalità di viaggio, qualora si provi ad elaborate le risposte fornite per ambito urbano di appartenenza: esercizio da consigliare sempre e quanto più possibile nell’analizzare formazioni territoriali così estese e internamente diversificate.

La percentuale di chi dichiara di usare l’auto tutti i giorni (Graf. 7) scende dal 50% complessivo (UE28) al 38% nelle grandi città, ambito dove si nota invece una quota ben più robusta di utenti del trasporto pubblico: la porzione di clienti abituali del Tpl arriva in tal caso al 31%, mentre scende all’8% tra gli abitanti delle aree rurali e al 13% tra quelli dei centri medi e piccoli. Il ricorso sistematico al Tpl è pertanto doppio nelle realtà urbane maggiori rispetto a quello rilevato nella media del campione UE28 (16%).

Da evidenziare anche la presenza in questi contesti di una robusta percentuale di ciclisti8, con la bici che è impiegata almeno una volta al giorno dal 10% degli

8 Nel report non è invece disponibile il dettaglio del ricorso agli spostamenti pedonali nei diversi ambiti

di vita.

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abitanti delle grandi città, contro un non molto più alto 12-13% di indagati che sostiene di usare il pedale nelle formazioni urbane più piccole. Dato che nell'insieme conferma l’esistenza di un maggiore equilibrio della mobilità nei grandi centri abitati, frutto della combinazione di vari aspetti favorevoli in cui rientrano: modelli più prudenti di consumo automobilistico imposti dalla congestione, capacità di risposta delle amministrazioni e presenza di condizioni oggettive che permettono di organizzare al meglio le alternative sostenibili grazie alle economie di concentrazione, alla possibilità di acquisire partnership, alla disponibilità di risorse per investimenti in reti e servizi dedicati, ecc..

Graf. 7 - Le propensioni di spostamento per ambito urbano. Alcune modalità

Fonte: Elaborazione Isfort su dati CE-Eurobarometro, dicembre 2013

Vedremo di seguito quante di quante differenze tendano a sussistere producendo effetti consistenti e differenze anche tra paesi e aree geografiche.

3.2. Le differenze tra Paesi

L’analisi delle risposte fornite dagli abitanti dei 28 Paesi UE offre indicazioni di confronto ancora più utili allo scopo di precisare il posizionamento degli stati membri e dell’Italia in particolare rispetto alle “scelte modali” e alla tipologia di mezzi di spostamento utilizzati dai cittadini.

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Innanzitutto va detto che esistono sostanziali differenze rispetto all’importanza dell’automobile nelle decisioni di viaggio (Graf. 8).

Graf. 8- Frequenza di utilizzo dell’automobile. Vari Paesi UE

Fonte: Elaborazione Isfort su dati CE-Eurobarometro, dicembre 2013

La porzione di quanti sostengono di usare l’auto ogni giorno ad esempio a Cipro (85%) è assai più alta (è il triplo circa) rispetto a quella rilevata in Ungheria (24%), Romania (27%) o Bulgaria (29%). Alte percentuali di utilizzatori dell’auto si hanno anche tra i rispondenti in Irlanda (68%), Italia (66%) e Lussemburgo (65%).

Abbondantemente sopra il dato UE28 si trovano anche importanti stati centroeuropei come Francia (il 59% degli intervistati dichiara di usare l’auto almeno una volta al giorno), Austria (57%), Belgio (57%) e Germania (54%); in quest’ultimo caso la percentuale di ricorso alle quattro ruote è una media di propensioni molto diverse espresse nelle regioni storiche del Paese: la quota di utilizzatori dell’auto è assai più contenuta nella Germania dell’Est (41%) che non nella parte Ovest della nazione (58%).

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L’Italia è dunque in una nutrita compagnia di realtà nazionali dove l’auto assolve in misura predominante il compito di soddisfare le esigenze di viaggio quotidiane con mezzi di trasporto (escluso quindi gli spostamenti a piedi di più corto raggio). A parità di altri parametri, lo sbilanciamento verso il motore privato è ancora più consistente nel nostro Paese a paragone di quanto rilevato altrove, se si pensa però che addirittura il 51% degli italiani dichiara di servirsi dell’auto più volte al giorno (la media UE28 come detto è del 35%) e un altro 13% sostiene di essere utilizzatore quotidiano delle due ruote a motore (contro il 5% rilevato a scala continentale).

E’ importante in ogni caso leggere in modo combinato il ricorso alle altre modalità, per avere un panorama più definito di indicazioni sui livelli di “sostenibilità” raggiunti dai modelli di spostamento adottati dai cittadini. A partire dall’analisi riguardante la frequenza di uso dei mezzi collettivi, dove troviamo in posizioni di vertice (Graf. 9) tutte le nazioni dell’Est (le percentuali di ricorso al Tpl sono praticamente ovunque qualche punto sopra la media, con punte più sostenute di viaggiatori “pubblici” in Ungheria e Repubblica Ceca), per proseguire poi con l’analisi del grado di utilizzo diffusione del pedale o del ricorso agli spostamenti a piedi che vede il grosso del Centro-Nord Europa (primo caso) e la maggior parte delle nazioni mediterranee e dell’Est (secondo caso) molto più avanti dell’Italia.

Graf. 9 - Frequenza di utilizzo del trasporto pubblico. Vari Paesi UE

Fonte: Elaborazione Isfort su dati CE-Eurobarometro, dicembre 2013

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In particolare (Graf. 10) l’uso della bicicletta è certamente un’abitudine quotidiana specie per gli abitanti dei Paesi Bassi (il 43% del campione di olandesi indagato dichiara di pedalare almeno una volta al giorno e addirittura il 32% sostiene di spostarvisi più volte al giorno), e inoltre per quelli di Danimarca (30% di ciclisti quotidiani), Finlandia (28%) e Ungheria (25%). Germania e Svezia (entrambe al 19%) rientrano ugualmente nel gruppo di tesa di realtà la cui popolazione risulta spiccatamente orientata verso le due ruote a pedale.

L’Italia al riguardo si posiziona di poco sopra la medie UE28 (12%), facendo meglio di Francia (5%), Regno Unito (4%) e Spagna (4%) ma con un’altissima percentuale di rispondenti (60%) che dichiara di non usare in alcun modo il pedale per spostarsi.

Graf. 10 - Frequenza di ricorso al pedale. Vari Paesi UE

Fonte: Elaborazione Isfort su dati CE-Eurobarometro, dicembre 2013

Stando sempre alle risposte fornite a livello di singoli stati, tra i contesti dove si cammina di più (Graf. 11) troviamo ancora un nutrito gruppo di realtà del Settentrione e dell’Est europeo, come Lituania (il 90% dei cittadini dichiara di

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muoversi a piedi tutti i giorni), Slovacchia (86%), Polonia (85%), Bulgaria (84%), Estonia (83%) e Repubblica Ceca (82%).

Graf. 11 - Frequenza del camminare. Vari Paesi UE

Fonte: Elaborazione Isfort su dati CE-Eurobarometro, dicembre 2013

L’Italia compare anche in questo caso nella parte bassa della graduatoria risultante dalla disposizioni dei cittadini (56% di rispondenti da noi dichiara di camminare almeno una volta al giorno contro una medie UE del 68%) e chiude il gruppo dei “sedentari”, vale a dire degli europei più riluttanti a muoversi con le proprie gambe, insieme agli abitanti di nazioni come Belgio (48%), Paesi Bassi (42%) e Cipro (addirittura un quarto dei rispondenti dichiara di non camminare mai).

Iniziando a ragionare in termini di priorità d’intervento, da quanto emerso fin qui è chiara pertanto l’esistenza nel nostro Paese di ampi margini di crescita di tutte e tre le forme di spostamento alternative all’auto. Certamente tale necessità merita di essere circostanziata anche con riferimento a disposizioni diverse dal solo

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orientamento della “domanda” qui proposto (chiamando in causa le caratteristiche date dei sistemi urbani, l’entità delle dotazioni strumentali, le modalità di intervento sulle condizioni di offerta, ecc..). Vedremo più avanti in che termini però tale propensione è intanto tradotta in indirizzi e misure concrete dai rispondenti al sondaggio.

3.3. I principali profili socio-demografici delle scelte modali

Procedendo moto rapidamente nell’analisi delle tendenze espresse circa le abitudini di viaggio, dal sondaggio è possibile avere un riscontro interessante sulla composizione sociale delle diverse categorie di utenti della mobilità urbana. Quali sono in sintesi gli europei che viaggiano più spesso in automobile? Chi può essere annoverato con convinzione tra i ciclisti? Quali gruppi e categorie di cittadini si rivolgono invece con buona regolarità al mezzo pubblico?

Al riguardo le tavole successive propongono, in sequenza, alcune caratterizzazioni da cui poter trarre indicazioni precise sui comportamenti di mobilità dei principali profili sociali.

Ad esempio dalla Fig. 2 si evince come gli uomini, in media, siano propensi a utilizzare quotidianamente la macchina più spesso delle donne (57% vs 42%). Inoltre più di sei su dieci intervistati di età compresa tra 25-39 e 40-54 (rispettivamente il 61% e il 62%) ricorrono alle quattro ruote almeno una volta al giorno, quota che scende significativamente tra i segmenti più giovani così come nelle fasce di popolazione più avanti con l’età (l’auto è usata tutti i giorni per il 39% dei 15-24enni e per il 37 % degli over 55enni).

Queste differenze sono suscettibili di essere parzialmente spiegate dalla disparità di condizione professionale: studenti e ritirati dal lavoro hanno un uso più parsimonioso dell’auto privata (intorno al 30%). Tra le categorie lavorative i manager sono invece i maggiori guidatori (il 73 % si muove in auto almeno una volta al giorno); usano la machina altrettanto intensamente sette su dieci lavoratori autonomi o colletti bianchi (rispettivamente 71 % e 68%) e una parte consistente anche di operai (64%), cifre in netto contrasto con le propensioni delle casalinghe (37%) e dei disoccupati intervistati (35%).

L'uso quotidiano di auto è anche strettamente legato ai livelli di reddito: gli intervistati che quasi non hanno difficoltà a pagare le bollette sono più propensi a usare una macchina su base giornaliera (52%) di quelli che hanno spesso difficoltà a pagare le bollette (37%).

Il medesimo comportamento è anche più comune per le famiglie di grandi dimensioni composte da almeno 4 persone (59%) e dalle coppie con bambini (64%), che hanno evidentemente esigenze di compiere più attività durante la giornata, a seguito dei maggiori compiti domestici e di accompagnamento dei vari parenti e congiunti, e scelgono pertanto di agire con maggiore autonomia e potenziale rapidità di movimento.

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Fig. 2 – Gli automobilisti (UE28)

Rispondenti (%) che dichiarano di usare l’automobile almeno una volta al giorno

Fonte: Elaborazione Isfort su dati CE-Eurobarometro, dicembre 2013

Venendo alle principali alternative all’auto, le categorie più propense verso i trasporti pubblici (Fig. 3) sono particolarmente i giovani specie se studenti (gli scolari usano sistematicamente i mezzi pubblici in una quota del 49% contro la media complessiva del 16%), l’area del lavoro dipendente (impiegati e operai rispondono di usare il Tpl per il 20% i primi e per il 17% i secondi, contro un 7%

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rilevabile tra i lavoratori autonomi, le casalinghe o tra quanti si trovano in condizione di ritirati dal lavoro). Anche i “single” (23%) e le persone in difficoltà economica (23%) risultano mediamente più inclini a ricorrere ai servizi collettivi.

Fig. 3 - Gli utenti del trasporto pubblico (UE28)

Rispondenti (%) che dichiarano di usare il Tpl almeno una volta al giorno

Fonte: Elaborazione Isfort su dati CE-Eurobarometro, dicembre 2013

Quanto osservato permette di identificare pertanto con sufficiente precisione un primo nucleo di ”target” e inclinazioni potenziali (definite sul piano culturale, dell’età e degli stili di vita) su cui concentrare apposite e distinte strategie di attenzione al fine di incentivare il passaggio modale dall’auto ai “mezzi”.

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Al contrario di quanto rilevato a proposito del trasporto pubblico, l’uso quotidiano della bicicletta non varia molto tra gruppi di età e condizione socio-economica: gli intervistati tra 15-24 anni vanno in bici almeno una volta al giorno (15%) contro percentuali comprese tra l’11-12% delle altre classi di età (Fig. 4) e differenze modeste si rilevano in favore degli studenti (18%) rispetto alle altre categorie professionali (al lato opposto troviamo le casalinghe che solo per il 10% usano la bici tutti i giorni).

Fig. 4 - I ciclisti (UE28)

Rispondenti (%) che dichiarano di usare il Tpl almeno una volta al giorno

Fonte: Elaborazione Isfort su dati CE-Eurobarometro, dicembre 2013

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Tuttavia, gli intervistati di 15-24 anni si orientano di più al pedale con frequenza settimanale (25%) rispetto ai rispondenti di età superiore (sostiene di montare in sella con tale frequenza il 18% dei rispondenti in età di mezzo e il 13% dei più adulti) e solo circa un terzo dichiara di non usare mai la bici per muoversi (36%), contro oltre sei su dieci degli ultra 55enni (62%). Per inciso gli intervistati che sono più propensi a dire che non usano mai la bici sono pensionati (66 %), casalinghe (62%) o disoccupati (55%).

Anche se il ciclismo è a volte considerato un modo di trasporto relativamente a “buon mercato”, quasi uno su cinque di chi non ha difficoltà a pagare le bollette vi ricorre un paio di volte a settimana (19%) quasi il doppio come rapporto, uno su dieci, rilevabile tra coloro che hanno difficoltà a pagare le bollette la maggior parte delle volte (10%).

Quasi i due terzi di coloro che hanno queste difficoltà (63%) valutano infine le biciclette non utile come sistema di mobilità, percentuale che scende al 46% tra coloro che quasi mai hanno difficoltà a pagare le bollette.

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4. L’opinione sulle politiche e gli scenari futuri

4.1. Le misure più efficaci in Europa

Come anticipato, l’indagine ha inoltre chiesto agli europei di scegliere tra una serie di misure quelle da ritenere più efficaci allo scopo di migliorare il trasporto in città, traendone indicazioni molto significative su dove (verso quali tipologie di azioni) indirizzare le politiche negli anni a venire. Per prima cosa è utile analizzare il quadro d’insieme disegnato dalle risposte del campione continentale, per poi passare in un secondo momento a rilevare indicazioni specifiche di confronto per l’Italia, che dimostra alcune particolarità di giudizio da tenere in conto.

Stando ai risultati emersi (Graf. 12), una netta maggioranza di intervistati ritiene essenziale puntare al miglioramento del trasporto pubblico in termini sia di costi (59%) sia di aumento dei livelli qualitativi di offerta (56%).

Graf. 12 – Giudizio degli europei sulle misure

Fonte: Elaborazione Isfort su dati CE-Eurobarometro, dicembre 2013

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Sono queste le misure più comuni scelte e sulle quali si orientano un po’ tutti i cittadini intervistati, con poche differenze avvertite sia sotto il profilo socio-anagrafico (i segmenti di popolazione più istruiti sono in media più favorevoli a misure di sviluppo dei trasporti pubblici), sia sotto quello dei comportamenti di mobilità espressi (automobilisti, pedoni, utenti del Tpl e ciclisti sostengono allo stesso modo l’abbassamento dei prezzi di autobus o tram).

Un terzo degli europei (33%) ritiene importante facilitare la mobilità ciclabile e poco meno (28%) sostiene lo sviluppo di attenzioni e infrastrutture per i pedoni. Su analoghi livelli si posizionano opzioni come limitare l'accesso a veicoli come gli autocarri (27%) e applicare incentivi per car pooling e car sharing (25%).

Non sorprende rilevare come coloro che vanno in bici almeno una volta alla settimana siano molto più propensi a credere che migliori infrastrutture ciclabili potrebbero aiutare le possibilità di spostamento in città (47%) rispetto a coloro che utilizzare una macchina (34%), i mezzi pubblici (33%) o vanno a piedi (34%) almeno una volta alla settimana.

Infine sono da notare talune differenze di giudizio sulle misure con maggiore consenso (prezzi più bassi e potenziamento dell’offerta di trasporti pubblici) dove si segnalano percezioni che riflettono altrettanti diversi punti di vista circa l’influenza dei problemi urbani. Gli intervistati inclini a ritenere la congestione stradale un problema molto importante per la città sono in effetti generalmente più propensi a sostenere l’utilità di prezzi più bassi per i mezzi collettivi (61%) e puntano in misura maggiore allo sviluppo dei trasporti pubblici in genere (58%) rispetto a quanti non considerano la congestione stradale problematica (in tal caso le percentuali sono quasi 10 punti inferiori, rispettivamente il 53% e il 48%). Lo stesso schema si osserva per l'inquinamento atmosferico e le spese di viaggio. Per esempio, quanti ritengono piuttosto serio il problema dei costi di spostamento identificano con maggiore frequenza la riduzione dei prezzi del trasporto pubblico come misura di miglioramento della mobilità in città: 63% contro il 47% registrato tra coloro per cui le spese di viaggio non sono un problema importante.

4.2. La posizione specifica degli italiani sulle “scelte da compiere”

Rispetto a questi orientamenti di politica, l’Italia presenta un quadro di valutazioni che confermano sostanzialmente il quadro continentale, con qualche diversità di giudizio sulle effettive possibilità che alcune misure riescano a migliorare la situazione del traffico e dei trasporti in città.

Per comprendere con esattezza talune caratterizzazioni nostrane, si può fare riferimento alla seguente raffigurazione (Graf. 13a) in cui è riportata la sequenza di pareri sulle proposte più gettonate a scala europea.

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Graf. 13a – Giudizio sulle misure. Vari Paesi UE

Fonte: Elaborazione Isfort su dati CE-Eurobarometro, dicembre 2013

I particolari del confronto risaltano il fatto che le opzioni più comuni in Europa, pur ricevendo un un’evidente apprezzamento anche nel nostro Paese (le proposte di adeguamento del Tpl restano quelle più scelte), sono indicate dagli italiani con minore fiducia rispetto a quanto succede altrove (in particolare la riduzione del prezzo dei servizi pubblici è da noi considerata molto meno prioritaria: 36% contro 59% di media in UE).

In merito sempre alle misure da compiere, la promozione della mobilità pedonale prevale inoltre nei giudizi degli italiani sull’impegno nei confronti delle biciclette (29% vs 24%). In pochi da noi inoltre guardano con fiducia alla diffusione dei sistemi cosiddetti di auto condivisa: car sharing e car pooling, tipologie di servizi che risultano al contrario molto apprezzati in nazioni anche vicine dell’Europa centrale (Francia, Germania, Austria, Lussemburgo, Belgio).

A preferire misure di adeguamento dei costi del Tpl sono specie gli abitanti di Svezia, Danimarca, Regno Unito, Germania insieme a quelli di realtà come Grecia e Slovenia in cui si scorgono probabilmente di più gli effetti della crisi. Altrettanto a

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grandi linee si può dire che il potenziamento dei servizi ciclabili è favorito in aree già molto orientate al pedale (Svezia, Danimarca, Belgio) e in contesti più in ritardo (Cipro, Estonia) dove è però forse maturata un’opinione pubblica favorevole verso il pedale non ravvisabile in egual misura altrove, almeno a livello diffuso (proprio in Italia, insieme al Portogallo, Spagna, Romania, Bulgaria, Malta, Irlanda).

È interessante notare però nel nostro caso soprattutto una maggiore apertura di credito sulle proposte con minori consensi generali in ambito europeo (cfr. anche il Graf. 13b).

Graf. 13b – Giudizio sulle misure. Vari Paesi UE

Fonte: Elaborazione Isfort su dati CE-Eurobarometro, dicembre 2013

Gli italiani rispondenti al sondaggio appaiono in media relativamente più ”confidenti” circa l’utilità di ridurre la velocità massima di circolazione (23% di risposte favorevoli contro il 16% complessivo in UE). Molto significativamente, un provvedimento di questo tipo (peculiare tema di rivendicazione del “popolo” ecologista e dei ciclisti, rispondente all’applicazione di limiti a 30 km/h e dispositivi di moderazione in aree residenziali) raccoglie addirittura gli stessi consensi e forse avrebbe uguali “chance” di essere accettato rispetto ad un più tradizionale investimento sulle reti ciclabili.

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La stesso disposizione positiva si riscontra per le restrizioni ali mezzi pesanti (27%) di cui diremo meglio in seguito, circa la decisione di restringere l’accesso veicolare in orari stabiliti (17% vs 15% in UE) così come rispetto all’ipotesi di diminuire il numero di parcheggi, su cui il consenso è in generale di proporzioni minori, ma è indicato con favore dai rispondenti italiani in misura apprezzabilmente sopra la media (13% di favorevoli in Italia e 7% in Europa).

4.3. L’orientamento all’innovazione

La richiesta di limiti di velocità più bassi evoca il tema della disciplina di guida e anche in parte dei controlli, su cui evidentemente il nostro Paese sconta ritardi e inadempienze che vanno a definire il giudizio dei cittadini (al lato opposto, con percentuali contenute di consenso per la riduzione della velocità troviamo realtà in genere più avanti nella cultura delle regole, e con meno bisogno di intervento forse, come Slovenia, Francia, Paesi Bassi, Danimarca, Finlandia...).

Alla domanda: quanto pensa siano efficaci le campagne di sensibilizzazione per limitare l’uso dell’auto? Oltre il 71% degli italiani interpellati ritiene complessivamente (Graf. 14a) tali iniziative molto o abbastanza opportune. La media UE28 è del 54% ed è da notare come in fondo alla graduatoria delle risposte fornite dal campione si posizionino sempre i Paesi scandinavi e del Centro-Nord in genere (anche Germania, Olanda, Regno Unito), in cui la sensibilizzazione sui temi della sostenibilità ed ecologici in genere ha una più lunga e consolidata storia.

A prescindere da questo tipo di confronto, il giudizio espresso dai nostri connazionali sembra indicare un possibile tema di impegno su cui richiamare l’attenzione.

L’altra opzione testata dall’indagine è l’eventualità di sottrare spazio stradale e limitare in particolare il dominio dei veicoli più grandi (camion, autoarticolati, rimorchi, fuoristrada, SUV più potenti e a massa imponente, ecc..).

L’idea riceve nel nostro Paese (Graf. 14b) un consenso analogo a quello raccolto dalla proposta precedente, in verità anche leggermente più alto (pari al 75%), pure risultando maggiormente in linea con le valutazioni medie europee (69%). L’apprezzamento complessivo in termini di esplicita efficacia dei vari partner è in questo caso quindi superiore.

Specie l’opinione pubblica dell’Est Europa è nettamente orientata verso la regolazione del traffico pesante, probabilmente anche a causa di esigenze più evidenti di rinnovo delle flotte commerciali in uso (Bulgaria, Repubblica Ceca, Grecia, Slovacchia, Ungheria, Slovenia presentano percentuali di consenso sulla risposta sopra l’80%). Sul fronte opposto si posizionano ancora una volta le realtà centro-nordeuropee, insieme alla Spagna; in ogni caso, solo la Finlandia può esibire giudizi positivi non superiori alla metà dei pareri espressi (il 50% considera poco o per niente efficace il provvedimento) a denotare come la restrizione al traffico veicolare più impattante sia una misura in grado di riscuotere consensi molto ampi un po’ in tutti i Paesi.

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Graf. 14a – Livello di efficacia di alcuni interventi. Vari Paesi UE

Fonte: Elaborazione Isfort su dati CE-Eurobarometro, dicembre 2013

Graf. 14b – Livello di efficacia di alcuni interventi. Vari Paesi UE

Fonte: Elaborazione Isfort su dati CE-Eurobarometro, dicembre 2013

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Il caso opposto è rappresentato dalle risposte all’ipotesi di applicare pedaggi stradali come misura di disincentivo e volta a migliorare le condizioni di mobilità tramite il contenimento del traffico urbano.

In media solo il 10% degli Europei parrebbe sostenere apertamente la proposta: un valore basso, in linea con quanto riscontrato a livello nazionale dall’”Audimob” nel corso di molti anni. Un altro 30% degli europei ritiene di qualche efficacia, seppure moderata, far pagare costi aggiuntivi per l’uso di alcune strade urbane in particolari orari critici (fasi di punta della giornata) (Graf. 14c).

Graf. 14c – Livello di efficacia di alcuni interventi. Vari Paesi UE

Fonte: Elaborazione Isfort su dati CE-Eurobarometro, dicembre 2013

La disposizione delle risposte è in tal caso meno delineata geograficamente di quanto osservato in precedenza. L’Italia è tuttavia il posto dove la proposta raggiunge la quota più alta di valutazioni positive in termini di efficacia (58% nel complesso, “molto efficace” solo il 16%). Insieme a Ungheria, Slovacchia, Irlanda, Danimarca, Bulgaria, Svezia il nostro Paese rientra nel novero di nazioni dove l’ipotesi di pedaggio raccoglie oltre la metà di giudizi molto o moderatamente

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positivi; in coda si notano gli abitanti di realtà, come Spagna e Francia, dove peraltro da tempo sono in discussione forme di tariffazione del tipo indicato che hanno dato luogo ad acceso il dibattito pubblico (in particolare di recente in Francia l’ipotesi di pedaggio chilometrico applicato ai mezzi pesanti su tutte le strade di grande scorrimento fuori dalla rete autostradale9).

Quanto osservato complessivamente significa probabilmente più cose rispetto agli indirizzi di politica da seguire.

Da un lato forse indica un certo scetticismo nostrano sulle soluzioni già tentate. Dall’altro dimostra però anche l’apertura alla sperimentazione e la disponibilità a seguire “strade nuove” per affrontare i problemi di avvertita intensità. Non è un caso che in genere tra gli abitanti delle grandi città, e nei ceti più istruiti o tra gli studenti i giudizi di fiducia sulle soluzioni proposte siano relativamente più consistenti. Addirittura tra chi vive nelle maggiori aree urbane la restrizione ad alcuni veicoli è condivisa al 70% e l’utilità di iniziative promozionali al 57% (il consenso sull’imposizione di forme di pagamento è più basso, al 45%). L’efficacia delle campagne per ridurre l’uso dell’auto è scelta più di frequente dalle categorie a minore reddito, che preferiscono comprensibilmente questa soluzione all’applicazione di tariffe (es. 59% contro 38% per chi ha difficoltà con le bollette; 60% contro 39% per i disoccupati).

L’aspetto consegna alle autorità cittadine e regionali alcuni elementi di riflessione di non poco conto su cui impostare strategie di risposta ad una condizione di mobilità vissuta in termini preoccupati e problematici dagli italiani. A vedere bene questo tipo di indicazioni peraltro non sono nuove, ma segnano una serie di atteggiamenti avvertibili in altre recenti indagini sulle tematiche energetiche e della sostenibilità ambientale. Sempre consultando il report citato in avvio di capitolo (Attitudes of Europeans towards air quality, Flash Eurobarometro 360, gennaio 2013) l’impressione di uno spazio possibile di intervento è rafforzata, in particolare, dalle seguenti propensioni espresse nell’indagine:

- la considerazione delle auto elettriche come principale sistema ecologico da favorire nella prospettive di miglioramento della qualità dell’aria (ipotesi favorita dal 74% degli italiani contro una media europea del 71%) e, contestualmente, l’accordo circa l’applicazione nel futuro di più stretti controlli sulle emissioni imposti ai produttori dei nuovi veicoli (30% vs 27% a scala continentale);

- il consenso ampio all’applicazione diffusa del principio “chi inquina paga”, che richiederebbe il pagamento di passivi da parte specie degli attori economici responsabili delle emissioni inquinanti (la maggioranza, ossia il 52% degli italiani, una delle percentuali più alte in assoluto in UE, si dichiara in ogni caso

9 L’entrata in vigore dell’imposta ai fini ambientali per i camion francesi, prevista dalla “loi Grenelle 1” del 2009, è stata più volte annunciata dal governo francese nel corso del 2012 e del 2013 e poi, a seguito delle pressioni dell’opinione pubblica (in particolare delle categorie di autotrasportatori coinvolti) definitivamente disdetta, a fine 2013, per ulteriori verifiche da compiere sulle modalità applicative.

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favorevole all’applicazione della misura nonostante i potenziali effetti negativi su imprese e occupazione);

- la domanda di informazione e notizie su aspetti cruciali come la legislazione di intervento definita a livello europeo (solo il 17% degli italiani conosce gli standard di qualità dell’aria definiti in sede UE, mentre il’83% non ne ha mai sentito parlare) e le misure imposte dall’UE a scala nazionale (il 18% è al corrente dell’esistenza di limiti nazionali di emissione, e obiettivi di riduzione dettati dalle direttive europee, l’81% dei rispondenti no);

- l’intenzione manifestata in una certa misura di mettere in atto azioni individuali e cambiare comportamenti di mobilità (tra le azioni personali l’ipotesi di usare forme meno inquinanti: Tpl, bici, camminare è al primo posto con il 58%), in aggiunta alla relativa disponibilità all’acquisto nell’immediato di veicoli a basse emissioni (22%, esattamente in linea con la media delle risposte fornite in UE) e soprattutto alla rivendicazione di un necessario rafforzamento degli standard europei di qualità dell’aria, considerati inadeguati da ben il 69% dei nostri concittadini contro una media continentale assai più contenuta (58%).

Nella figura sottostante è riportata in sintesi l’atteggiamento favorevole espresso nei confronti della diffusione delle auto elettriche (Graf. 15), innovazione di gran lunga preferita rispetto ad altre tecnologie di trazione (ibride, biocombustibili, sistemi tradizionali quali diesel e motore a benzina ancorché di ultima generazione) che invece ottengono tra gli italiani tutte un consenso relativamente più basso della media europea.

Graf. 15 – Prospettive dell’auto elettrica. Vari Paesi UE

Fonte: Elaborazione Isfort su dati CE-Eurobarometro, gennaio 2013

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A seguire è il giudizio sugli standard UE di qualità dell’aria espresso dai rispondenti al sondaggio nei diversi Paesi (Graf. 16) da cui emerge la particolare caratterizzazione dell’opinione degli italiani, risultanti tra i più favorevole all’adozione di norme maggiormente restrittive.

Graf. 16 – Il giudizio sugli standard europei di qualità dell’aria. Vari Paesi UE

Fonte: Elaborazione Isfort su dati CE-Eurobarometro, gennaio 2013

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5. Quale futuro? Fatalismo senza rassegnazione (o quasi)

Giunti a questo punto è possibile tentare un ragionamento conclusivo sugli scenari evolutivi del trasporto urbano, commentando sia le indicazioni espresse a specifica domanda del questionario, sia provando a tradurre l’atteggiamento generale degli intervistati in possibili indirizzi e segnali di disponibilità sulle politiche.

Come detto 4 europei su 10 verificano problemi quotidiani con la mobilità urbana. Gli italiani in proposito manifestano una particolare difficoltà a svolgere le funzioni quotidiane a causa della congestione e del traffico urbano, il quale insieme all’inquinamento rappresenta un’evidente problematicità del contesto nazionale avvertita con particolare preoccupazione dai cittadini. Alla richiesta di esprimersi sulle prospettive, e descrivere quale idea della mobilità prevedano per il futuro, gli indagati offrono però anche indicazioni diverse e in contro-tendenza.

Il quadro che emerge è in verità composito; per alcuni tratti lascerebbe poco spazio alle speranze (Graf. 17) essendo la maggioranza degli europei (il 37% delle opinioni espresse) orientata a pensare in peggio la mobilità a venire.

Graf. 17 – L’idea del futuro. Vari Paesi UE

Fonte: Elaborazione Isfort su dati CE-Eurobarometro, dicembre 2013

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Gli italiani si dimostrano tuttavia generalmente tra i meno pessimisti: il 23% degli indagati immagina per domani un peggioramento del traffico, la maggioranza ossia il 48% ritiene che le cose resteranno a grandi linee le stesse, il 25% invece pensa ad un probabile miglioramento verificabile nel tempo. Si può cogliere in genere dunque un certo atteggiamento di “fatalismo” nelle convinzioni dei connazionali (l’opinione prevalente e in parte tipica forse del nostro carattere che “tutto rimarrà come adesso”). La disposizione a ritenere lo scenario immutabile può essere interpretata anche come indice, non positivo, di una certa rassegnazione o tendenza ad accettare passivamente il corso degli eventi. Nel complesso tale opinione segna però una differenza con il quadro più preoccupato indicato altrove: si veda quanto risposto specie da inglesi (61% immagina un degrado della situazione), danesi (per il 49% vedono con probabilità un aggravamento dei livelli di traffico) e tedeschi (il 48% si esprime per il peggio).

In generale non esiste una correlazione tra il giudizio sulla situazione esistente e le aspettative per il futuro. Non è secondario tuttavia rilevare che in molti contesti nei quali la situazione attuale non è così problematica (almeno non è percepita tale dai cittadini), una larga fetta di intervistati si aspetti un peggioramento negli anni a venire. Altre volte le due situazioni si sommano: Belgio e Malta presentano un’alta percentuale di rispondenti con problemi di accesso a luoghi o attività, e una quota altrettanto elevata di abitanti (74% e 57%) che immagina ulteriori aggravamenti. L’Italia presenta invece una sua particolarità nel collocarsi, con tutte le sue propensioni critiche, nel gruppo dei Paesi meno negativi nei giudizi. I più ottimisti sulle prospettive sono gli svedesi (48% di valutazioni positive), gli estoni (40%) e gli irlandesi (39%).

Il fatto che da noi chi ritiene possibile un miglioramento del traffico prevalga, seppure di misura, sui più sfiduciati è da considerare in ogni caso un segnale incoraggiante, da annoverare tra le disposizioni collettive utili ad impostare adeguate risposte e opportune linee di condotta pubbliche innovative. L’atteggiamento sul futuro delinea in fin dei conti un’inclinazione positiva che può essere sommata ad altri segnali dello stesso tipo emersi nel corso dell’indagine su cui richiamare in conclusione l’attenzione:

- un’elevata sensibilità sui temi ambientali, specie relativamente ai problemi di inquinamento atmosferico e acustico; al riguardo il contributo dei trasporti al problema smog (e al cambiamento climatico) è inoltre avvertito da una quota significativa di abitanti, collocati specie nei segmenti istruiti e tra le nuove generazioni;

- l’apertura dei cittadini all’utilità di campagne promozionali ed educative da aggiungere alle politiche ordinarie di miglioramento dell’offerta di reti e servizi, con cui provare a rafforzare i settori più deboli e nei quali il Paese ha accumulato maggiori ritardi rispetto a molti dei contesti urbani europei; i “disallineamenti” sono noti: predominio del motore negli schemi di sviluppo stradale (design, segnaletica, arredo urbano) e carenza di spazio sottratto alla viabilità automobilistica, insufficienza di linee veloci e corsie preferenziali del trasporto collettivo, debolezza complessiva dei sistemi di protezione e sicurezza ciclo-pedonale, ecc..;

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- l’innovazione come principale leva da cui aspettarsi cambiamenti culturali e di sensibilità, che si ritiene di poter tradurre in atteggiamenti e azioni pratiche in linea con le evoluzioni da compiere. In questo senso è da considerare la disponibilità a sacrifici (anche economici) in una fase certamente non facile per questo tipo di risposte (causa l’evidente ristrettezza dei bilanci familiari), a patto di immettere le eventuali uscite economiche in una sequela coerente di indirizzi e attività progettuali.

Focalizzando meglio quest’ultimo punto, dal complesso delle indagini “Eurobarometro” sui temi della mobilità e dell’ambiente emergono altri pareri rilevanti sulle priorità italiane. Fanno parte di questo programma in fieri, certamente come detto l’impegno per una riforma della viabilità locale (spostamenti sul breve raggio e cura della mobilità di “prossimità”) di cui dovrebbero farsi carico comuni e istituzioni regionali, oltre all’obiettivo di un rilancio effettivo del traporto pubblico: settore su cui intervenire a varia scala di pertinenza, con indirizzi e politiche di medio-lungo corso di cui si tratta in maniera approfondita in altre parti del Rapporto.

Sugli strumenti da preferire, va detto che all’interno delle strategie di gestione della domanda l’interesse manifestato dagli italiani va specie in direzione di applicazioni di profilo sperimentale come limitazioni alla velocità di transito, restrizioni orarie per alcune tipologie di veicoli tipo i camion o i grandi fuoristrada (SUV) meno adatti all’ambiente urbano (compresa la riduzione degli spazi per parcheggi) più che non verso un possibile “semplice” percorso di sviluppo di reti ciclabili e pedonali senza supporto di controlli e regole.

Le limitazioni e gli indirizzi da imporre sul territorio (normative di qualità dell’aria) e inoltre le evoluzioni da promuovere a scala industriale (costruttori) sono un altro campo di intervento governativo – interno ed europeo - capace di riscuotere ampio favore tra gli italiani. Da rimarcare il consenso per alcune innovazioni come l’auto elettrica, verso cui sono riposte molte speranze di alleggerimento futuro delle emissioni in ambiente e su cui si delinea, pertanto, un’opinione positiva prevalente che potrebbe risultare di stimolo per un impegno più solido di attori economici, istituzioni e apparati di ricerca nazionali.

Le preoccupazioni di tipo economico relative ai trasporti sembrano infine da noi meno avvertite che altrove (es. realtà nordeuropee e paesi più in crisi come Grecia). Il che determina forse minori necessità di incentivi “sul costo” per le soluzioni più diffuse, come i trasporti pubblici, e permette di considerare come una certa seppure “prudente” disponibilità l’adeguamento delle tariffe applicate nel settore. Sorprende del resto il consenso espresso per l’introduzione di nuovi meccanismi finanziari avanzati in campo internazionale, dall’imposizione fiscale aggiuntiva per il trasporto più inquinante (es. “euro bollo” per i camion) all’applicazione di sistemi di tariffazione stradale su base locale, differenziati sempre secondo classi ecologiche e di pericolosità dei veicoli, su cui si potrebbe provare ad agire tuttavia con maggiore coerenza e coraggio, secondo una strategia riconoscibile al momento non ravvisabile nel nostro Paese. Tale strategia sarebbe indispensabile, del resto, per assecondare in generale le molte inclinazioni riscontrate sui vari fronti di cambiamento (tecnologico, industriale, organizzativo, gestionale) e per indirizzare dunque il sistema di mobilità verso obiettivi comuni il più possibile in linea con le disposizioni in formazione dal “lato della domanda” (nuovi stili di mobilità urbana, aree di bisogno emergenti, attese ed evoluzioni in atto nei comportamenti collettivi di guida/acquisto).

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Parte quinta

L’INDAGINE SUGLI SCENARI DOVE VA IL TRASPORTO PUBBLICO LOCALE

IN ITALIA

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1. Uscire dal passato (introduzione)

Con l’obiettivo di raccogliere idee e suggerimenti per rivedere in profondità le politiche del trasporto pubblico locale in Italia, e per capire meglio lungo quali prospettive esso si muove, è stata effettuata un’indagine quali-quantitativa sugli scenari di evoluzione del settore, coinvolgendo un panel qualificato di aziende, istituzioni ed esperti.

L’indagine è stata condotta tra le prima decade di aprile e la prima decade di maggio dell’anno in corso. È stata somministrata una griglia tematica di discussione con domande semi-strutturate, attraverso colloqui diretti face-to-face (in prevalenza) o telefonici. In alcuni casi la scheda è stata compilata (compresi i commenti qualitativi) senza il colloquio diretto.

Gli argomenti oggetto dell’intervista sono stati sei:

1. la previsione sull’andamento futuro del mercato del Tpl;

2. la valutazione sull’attuazione, attuale e in prospettiva, delle linee-chiave di riforma del Tpl (ex D.lgs. 422/1997): liberalizzazione, pianificazione, efficienza aziendale, decentramento;

3. la valutazione sui vincoli che impediscono al Tpl un pieno ed efficiente sviluppo;

4. l’incidenza futura di alcuni potenziali driver di cambiamento per il settore (processi di aggregazione dell’offerta, internazionalizzazione, cambiamenti tecnologici, ecc.);

5. il giudizio su alcuni temi “caldi” dell’attuale dibattito sul settore (creazione di aziende regionali, gare su bacini unici, costi standard, ecc.);

6. la valutazione su risorse umane e relazioni industriali e sindacali.

A completamento e ricapitolazione è stato poi chiesto quali sono le “tre cose più urgenti” da fare per poter sviluppare il settore del Tpl in Italia.

Il panel ha coinvolto complessivamente 25 qualificati interlocutori (quasi tutti ai livelli apicali dell’organizzazione rappresentata), di cui 5 di riferimento istituzionale (Ministero Infrastrutture, Commissione Trasporti della Camera, Conferenza Stato-Regioni, Antitrust, Federmobilità), 13 di riferimento aziendale (aziende urbane ed extra-urbane associate ad Asstra ed Anav, cui si è aggiunto l’operatore ferroviario nazionale), 4 di riferimento sindacale e dell’associazionismo ambientale, 3 esperti del mondo accademico1.

1 Nel testo si riportano virgolettate alcune affermazioni degli intervistati. In alcuni casi si tratta di frasi

tratte dalle schede compilate dagli intervistati stessi, in altri casi si tratta di una trascrizione (in sintesi) fatta dagli intervistatori.

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Quali sono i principali risultati emersi dall’indagine?

Sono state raccolte numerose ed eterogenee opinioni, di cui si è cercato di restituire la ricchezza nel racconto contenuto nelle pagine a seguire. Se un lavoro di questo tipo può avere un valore aggiunto, esso risiede proprio nella capacità di rappresentare la diversità dei punti di vista, più che nella inevitabile forzatura della sintesi.

Fatta questa precisazione, qualche sommaria conclusione può essere abbozzata, raccomandando in ogni caso la lettura dell’intero testo.

Proviamo allora a riassumere tutto in quattro soli punti.

Il primo punto è lo scenario di mercato. Il nostro panel vede il mercato del Tpl dominato da una dinamica inerziale e tuttavia sospeso nell’attesa di una possibile, improvvisa accelerazione. Non ci sono ad oggi fatti significativamente nuovi, dal versante delle aziende come dal versante istituzionale, che lascino prevedere per i prossimi 2-3 anni un forte incremento o all’inverso una forte riduzione dei passeggeri trasportati. La dinamica inerziale si muove quindi lungo il crinale della crisi economica, che da un lato premia il mezzo pubblico (meno costoso per i cittadini), ma dall’altro riduce la domanda complessiva di mobilità. I due effetti sembrano compensarsi, con prospettive migliori per il trasporto collettivo nelle aree urbane, dove gradualmente si implementano misure di contenimento della congestione, rispetto all’extra-urbano, e per il ferro rispetto alla gomma. Le previsioni sono comunque difficili perché il mercato del Tpl è significativamente condizionato dalle scelte di governo, nazionale e locali: gli investimenti infrastrutturali, le risorse per i servizi e il rinnovo delle flotte, le liberalizzazioni, le politiche di regolazione dell’uso dell’auto, una migliore pianificazione dei servizi, e così via. Se sia accelera su questi fronti, accelera anche il mercato del Tpl.

Il secondo punto sono i vincoli allo sviluppo del settore.

Si è partiti dalla valutazione su quanto è stata attuata la riforma del Tpl (ex D.lgs. 422/1997), una valutazione, come si vedrà, molto negativa. E’ un risultato che non sorprende. Colpisce semmai una certa omogenea trasversalità del dato (modeste applicazioni nell’asse delle liberalizzazioni, come in quello della pianificazione e dell’efficienza aziendale) e una prospettiva che prevede pochi avanzamenti, nonostante alcuni percorsi saranno in qualche modo obbligati, per espresso riconoscimento del panel stesso: definizione di un quadro normativo maggiormente pro-concorrenziale, incentivi ad una migliore pianificazione e programmazione dei servizi, aziende in grande affanno che devono abbattere i costi e recuperare efficienza per sopravvivere.

Si è poi arrivati alla focalizzazione dei nodi di sempre, le questioni definibili come “inaggirabili” che continuano a stagliarsi sullo sfondo del quadro di problematicità del settore: la questione normativa (frammentata, ridondante, incerta, vischiosa, mutevole…) e regolatoria (su tutti il nodo della commistione tra politica e gestione aziendale), la questione dei finanziamenti (che devono essere certi e definiti; sul quantum e sulle finalizzazioni le opinioni invece divergono), la questione della politica (storica assenza di un’attenzione strategica nazionale per il settore) e delle policy locali (deboli, frammentate, senza visione integrata, comunque lasciate alla buona volontà delle singole Amministrazioni). Le questioni “inaggirabili” per lo

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sviluppo del Tpl riemergono con tutta la loro portata nelle valutazioni condivise del panel. Vanno affrontate con urgenza, perché senza questo scavalcamento l’innesto di ogni percorso di sviluppo non è proponibile.

Il terzo punto guarda alle altre dimensioni tematiche su cui il Tpl italiano mostra tutta la sua debolezza e che devono essere, anch’esse, affrontate senza indugi.

Due in particolare raccolgono segnalazioni praticamente unanimi dal panel: il deficit di pianificazione e di capacità di lettura della domanda di mobilità da un lato (dal lato delle politiche di settore), la gestione aziendale secondo logiche industriali dall’altro lato (dal lato delle imprese e degli assetti industriali). Queste due dimensioni attraversano i giudizi su una serie di questioni divisive oggetto dell’attuale dibattito sul futuro del Tpl, quali i processi di aggregazione aziendale, i bacini allargati (regionali) per l’affidamento dei servizi, l’integrazione gomma-ferro. Se c’è un corretto approccio di analisi della domanda e di pianificazione, e se la spinta a nuovi assetti industriali e di mercato premia il progetto imprenditoriale piuttosto che il consenso politico, si può tecnicamente discutere di tutte le soluzioni, fuori da schemi ideologici e con l’idea di coniugare strumenti standard di alta qualità (protocolli di gara e di regolazione, linee guida per una buona pianificazione ecc.) con la personalizzazione delle soluzioni e delle politiche nei diversi contesti territoriali. Senza queste coordinate, le scelte che si operano (incentivi a superare la frammentazione delle imprese, bacini definiti su perimetri amministrativi, gare integrate gomma-ferro ecc.) rischiano di essere risucchiate nei meccanismi perversi dell’interferenza della politica nella pianificazione e nella gestione aziendale, della tutela del consenso elettorale, delle liberalizzazioni di facciata, di un gigantismo aziendale inefficiente e del tutto statico.

Il quarto punto, infine, strettamente connesso a quello precedente, esplora le nuove domande per un futuro di cambiamento del settore e i ruoli che conseguentemente dovranno competere alla politica e alle aziende. Qui la visione del panel è piuttosto chiara e convergente. Il trasporto pubblico deve puntare con decisione sull’innovazione dei servizi, sui nuovi paradigmi tecnologici, su modalità finalmente chiare e trasparenti per stimolare l’efficienza del sistema (introduzione dei costi/fabbisogni standard per l’assegnazione delle risorse e la determinazione dei corrispettivi di servizio), sul confronto concorrenziale seppure con modalità regolate, sulla riappropriazione della leva tariffaria da parte delle aziende (con meccanismi di price cap, da definire in modo tecnicamente corretto).

Su questi temi si gioca il futuro del Tpl nel nostro Paese. E i diversi livelli istituzionali di governo del settore devono accompagnare i processi conseguenti, con politiche di investimento di cui c’è urgente necessità (trasporti a guida vincolata nelle aree urbane e un grande piano per lo svecchiamento del materiale rotabile sono i due ambiti maggiormente richiamati), con lo sviluppo degli strumenti di pianificazione a tutte le scale territoriali, con l’applicazione di schemi di regolazione (e anche di pricing) per ridurre la congestione nelle città e migliorare così la performance economica e la qualità dei servizi del trasporto pubblico.

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2. Avanti con moderazione (l’andamento del mercato)

La prima domanda del questionario riguardava le previsioni sull’andamento del mercato nel futuro prossimo (1 anno) e nei successivi 2-3 anni distinto per tipologia di servizio, gomma urbana, gomma extra-urbana e trasporto ferroviario. La valutazione si riferisce in particolare all’andamento dei passeggeri trasportati.

Le risposte fornite tendono, in termini generali, ad una certa omogeneità (Fig. 1). Infatti, considerando il breve periodo, poco meno della metà degli intervistati prevede un mercato sostanzialmente stabile per la gomma, analoga previsione di quasi il 60% degli intervistati per il trasporto ferroviario. Per il resto degli intervistati c’è un valutazione generale di moderata crescita (tra l’1% e il 3%) nel caso del Tpl su gomma urbano, mentre opinioni meno omogenee si registrano per l’extraurbano, leggermente migliori per il ferroviario (30% le previsioni di crescita, 12% le previsioni di decremento) rispetto alla gomma (25% di indicazioni positive contro il 20% negative).

Nel medio periodo le previsioni appaiono sicuramente più ottimistiche, e questo è vero per tutte le diverse tipologie di trasporto. La quota di intervistati che prevede mercati in crescita sale al 75% nel caso del Tpl su gomma in ambito urbano, e al 50% per quello extraurbano.

Fig. 1 – Variazione dei passeggeri nel breve (1 anno) e medio periodo (2-3 anni) – Numero di risposte e percentuali

Fonte: elaborazioni Isfort

La Fig. 2 sintetizza il posizionamento delle opinioni espresse: nel breve periodo non si prevede una crescita del mercato del Tpl, con la sola significativa eccezione della gomma nelle aree urbane, mentre nel medio periodo le dinamiche

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dovrebbero moderatamente accelerare verso la crescita per tutti e tre i segmenti considerati.

Commentando la previsione espressa, diversi intervistati hanno sottolineato la difficoltà di produrre stime, soprattutto per il medio periodo, perché lo scenario di mercato per il settore sarà fortemente condizionato dalle politiche che verranno messe in campo per sostenere il trasporto pubblico e la mobilità sostenibile in generale (investimenti nelle infrastrutture dedicate, politiche restrittive all’uso dell’auto, finanziamento dei servizi, ecc.).

Fig. 2 – Il “posizionamento” dei segmenti del mercato del Tpl nel breve (1 anno) e medio periodo (2-3 anni)* – Le parole chiave

* Il grafico è costruito considerando i valori medi derivanti dall’assegnazione di un valore pari a 2 alle risposte «molto positiva»,

1 «positiva», 0 «stabile», -1 «negativa», -2 «molto negativa». Sono considerati i soli questionari completi (16 su 25) Fonte: elaborazioni Isfort

La prevalenza di uno scenario di stabilità per il breve periodo e, con minore omogeneità, per il medio periodo deriva da due diversi ordini di valutazione:

- alcuni hanno evidenziato l’insussistenza di novità significative nel settore che potrebbero far prevedere un incremento dei passeggeri, almeno per il breve periodo (assenza di investimenti significativi per le infrastrutture e il rinnovo del materiale rotabile); nel medio periodo una spinta potrebbe invece venire dal rafforzamento dei servizi ferroviari e di metropolitana in alcune aree urbane;

- per altri, la maggior parte, la stabilità deriva invece da un sostanziale bilanciamento di effetti generati dal perdurare della crisi, positivi in relazione alla tendenza dei cittadini ad usare di più i mezzi pubblici (per evidenti ragioni di costo) e negativi in relazione alla diminuzione complessiva della domanda di mobilità (c’è chi ha sottolineato ad esempio come l’aumento dei cassaintegrati stia riducendo gli abbonamenti al Tpl nelle aree di crisi industriale).

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Diversi intervistati hanno evidenziato il consolidarsi di alcuni fattori strutturali che, soprattutto nel medio periodo, dovrebbero favorire il trasporto collettivo: le politiche urbane sempre più orientate alla mobilità sostenibile (chiusura centri storici, ecc.), la riprogrammazione dei servizi prevista dal meccanismo di assegnazione delle risorse del Fondo Nazionale Trasporti, lo sviluppo di sistemi integrati gomma-ferro per l’intermodalità, il miglioramento dei servizi grazie alla diffusione dell’integrazione tariffaria e della bigliettazione elettronica, la lotta all’evasione tariffaria (emersione di utenza nascosta; da segnalare tuttavia che secondo un intervistato il perdurare della crisi economica continuerà a far aumentare l’evasione tariffaria), una certa modifica dei comportamenti di mobilità dei cittadini (più orientati ai mezzi ecologici). Ovviamente, questo scenario di miglioramento strutturale delle condizioni di sviluppo del Tpl è a differenti velocità, a seconda dei territori e delle aree urbane.

Un’ultima notazione è sulle diverse valutazioni registrate in merito al confronto gomma-ferro nel trasporto extra-urbano. Secondo alcuni la tendenza in atto nei territori dove oggi c’è una buona pianificazione dei servizi, e per il futuro prossimo un po’ ovunque, è quella di ridurre le sovrapposizioni di offerta tra gomma e ferro con una opzione preferenziale i servizi ferroviari. Secondo altri invece, la scarsa redditività dei servizi ferroviari nelle aree meno dense sta già oggi portando all’abbandono di molte linee a favore della gomma.

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3. La riforma del settore, grande incompiuta

Il secondo tema di approfondimento dell’indagine ha riguardato alcuni temi-chiave della riforma del trasporto pubblico locale disegnata dal D.lgs. 422/97, la valutazione su quanto è stata attuata in circa 17 anni di vigenza, la previsione di come evolverà e se la sua struttura può considerarsi ancora attuale ed efficace.

L’opinione espressa dagli intervistati sull’applicazione fattuale del decreto Burlando nei suoi aspetti più rilevanti, ovvero liberalizzazione, pianificazione e miglioramento delle performance aziendali, non lascia dubbi ad interpretazioni: la riforma è stata realizzata solo in misura marginale, in tutti i suoi aspetti. Più in dettaglio, in scala da 1 a 10 il voto medio assegnato dal panel sul livello di attuazione è di 3,1 per le liberalizzazioni, 4,1 per la pianificazione dei servizi e 4,6 il miglioramento dell’efficienza aziendale. Osservando la distribuzione dei singoli voti, poi, è piuttosto omogeneo lo schiacciamento verso il basso, essendo molto rare le valutazioni superiori al 5: in particolare nel caso delle liberalizzazioni un solo intervistato ha assegnato un voto di sufficienza (un 6) (Fig. 3).

Il reale avvio di una concorrenza nel mercato è la parte del decreto meno attuata ma allo stesso tempo è quella che, nell’opinione degli intervistati, maggiormente si svilupperà nel prossimi 5 anni, anche se nel complesso il giudizio rimane ancora sotto la sufficienza (5,8). Un voto medio appena sufficiente (6,2) è invece attribuito all’avanzamento della riforma in tema di pianificazione, mentre il recupero da parte delle aziende di nuova efficienza nel prossimo quinquennio raggiunge quota 6,4, contraddistinguendosi per un gruppo significativo di giudizi pari o superiori al 7.

Fig. 3 – Valutazioni sull’attuazione della riforma del TPL (D.lgs. 422/97) – Numero voti (da 1 a 10) e voto medio

Fonte: elaborazioni Isfort

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Anche in questo caso le valutazioni sopra espresse sono ben sintetizzate nella figura che segue (Fig. 4), in cui appare chiaro come, a distanza ormai di molti anni, l’attuazione della riforma del Tpl nei suoi aspetti più significativi risulti modesta e i miglioramenti previsti entro l’arco del prossimo quinquennio ugualmente non saranno pronunciati.

Fig. 4 – Il “posizionamento” dei principali elementi del D.lgs. 422/97 in relazione alla sua attuazione e alle previsioni future (5 anni)* – Le parole chiave

* Il grafico è costruito considerando i voti medi Fonte: elaborazioni Isfort

Leggendo le parole-chiave che più ricorrono dalle sintesi delle interviste sul punto dei vincoli che hanno frenato l’attuazione della riforma, emergono con particolare chiarezza tre assi problematici:

1. innanzitutto, l’asse del “conflitto di interessi” determinato dalla commistione tra la regolazione dei servizi (in capo agli enti locali) e la gestione dei servizi (in capo ad aziende quasi sempre controllate dagli stessi enti locali). Questo nodo ha frenato in particolare il processo di liberalizzazione, sia formale (le gare per l’assegnazione dei servizi non sono state fatte in diverse regioni per la gomma e quasi da nessuna parte per il ferro), sia sostanziale (diversi intervistati hanno parlato di gare “finte” volte ad assicurare la continuità degli incumbent);

2. in secondo luogo, l’instabilità e la frammentazione del quadro normativo, rilevante anche in questo caso soprattutto per il freno alle liberalizzazioni (negli ultimi 10 anni il legislatore è intervenuto più di 20 volte, spesso proprio sul tema dell’affidamento dei servizi);

3. in terzo luogo l’inadeguatezza delle competenze tecniche negli enti locali, sottolineata in riferimento soprattutto all’esercizio della pianificazione. Sempre nell’ambito delle competenze tecniche, qualcuno ha evidenziato anche le carenze manageriali in ambito aziendale, anche per effetto dell’invadenza della politica.

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Su ciascun tema, sono state poi manifestate specifiche notazioni che è opportuno riportare, seppure sommariamente.

Quanto alle liberalizzazioni, diversi intervistati hanno sottolineato la valenza “politica” del nodo (“il vero problema, forse l’unico, è la volontà politica di attuare la riforma” è stata la lapidaria affermazione di un intervistato). Una delle ragioni principali del freno al processo risiede nell’esigenza da parte degli enti di tutelare gli interessi delle aziende di proprietà, sia per il mantenimento del controllo di una sfera di potere politico, sia per le preoccupazioni dell’impatto sociale (e quindi di consenso politico-elettorale) che potrebbe derivare da una vera apertura del mercato. In tema di “conflitto di interessi” qualcuno ha rimarcato il problema della separazione tra proprietà delle rete e gestione dei servizi nel trasporto ferroviario locale. Sul punto specifico dell’impatto sociale delle gare, invece, è stata segnalata la necessità di prevedere meccanismi compensativi (ad es. un fondo per la gestione degli esuberi) per far fronte agli effetti sul lavoro dell’apertura concorrenziale dei servizi.

È stata poi sollevata le questione dei finanziamenti, nel duplice aspetto di un’incertezza della quantità di risorse disponibili che scoraggia la messa a gara dei servizi e la successiva stipula di contratti di servizio pluriennali con le aziende aggiudicatarie, e di un’insufficienza dei plafond complessivi che hanno spinto gli enti locali ad organizzare gare, poi andate deserte, sulla base di errate valutazioni di mercato (“con poche risorse i bacini di traffico non sono realmente contendibili” ha sottolineato un intervistato).

C’è poi chi ha proposto una riflessione “di sistema” più complessiva che si colloca sullo sfondo (o meglio, “a monte”) della questione della liberalizzazione. Per usare le parole dell’intervistato: “il Paese non si è dato un assetto coerente nel Tpl, oscillando continuamente tra liberalizzazione e dirigismo, con le aziende viste come un’espansione della pubblica amministrazione. Nella ripartizione delle competenze istituzionali (federalismo) sarebbe necessario uno schema normativo più chiaro nell’orientamento di fondo, seguendo un modello con più potere al Centro (come in Francia) o alle Regioni (come in Germania)”. Collegandosi a questa considerazione, se ne deduce che “il decreto 422/97 mostra ormai molti limiti e non è sufficiente una buona manutenzione, ci vuole una nuova legge-quadro per il settore”. Questa conclusione non è tuttavia condivisa da tutti. Secondo altri ciò che serve è una semplificazione delle norme proprio nel solco del 422, modificato per ciò che non è più attuale. E per un altro intervistato, ancora più seccamente “occorre creare un sistema di norme semplici, legarle al Regolamento europeo 1370/2007 e avviare le liberalizzazioni”.

Per il futuro, è abbastanza condivisa l’osservazione che, al netto della perdurante e nota incertezza, il quadro normativo tendenziale è pro-concorrenziale e gli enti locali dovranno in qualche modo adeguarsi (è stata usata da un intervistato l’espressione “liberalizzazione coatta”). Anche la nuova Autorità dei Trasporti dovrebbe aiutare a sostenere questo processo di liberalizzazione del settore.

Sul tema della pianificazione numerose sono state le note critiche riferite all’azione degli enti locali e delle regioni in particolare, pur nel diffuso riconoscimento che le differenze territoriali in questo ambito sono particolarmente accentuate. Le carenze denunciate sono di varia natura:

- l’assenza tout court della pianificazione regionale di settore (ad es. mancano o sono in ritardo i Piani Regionali dei Trasporti), e la tendenza alla riproduzione

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della situazione storica nella definizione dei c.d. “servizi minimi”, anche perché in passato c’era il timore che ad un efficientamento nell’organizzazione dei servizi potesse seguire un taglio dei trasferimenti; le stesse aziende hanno “fatto resistenza” verso una migliore pianificazione per non veder minacciata l’offerta consolidata (rischio di minori contributi);

- un approccio dirigista degli enti per i quali (usando l’osservazione di un intervistato) “il mercato non va letto (bisogni della domanda) per pianificare meglio, ma va indirizzato e organizzato. Lo schema dovrebbe essere: si analizza la domanda, si pianifica e poi l’organizzazione dei fattori di produzione deve essere lasciata alle aziende”;

- lo scarso coordinamento tra i diversi livelli della pianificazione territoriale e settoriale. Ampliando il concetto, secondo un intervistato è questo il nodo vero, perché la questione va inquadrata nella cornice più complessiva delle relazioni tra pianificazione urbanistica/territoriale e politiche dei trasporti (reti, servizi); ad es., mancano nelle leggi urbanistiche meccanismi premiali per contrastare la dispersione territoriale, oppure i PUT e i PUM di cui ci sarebbe un gran bisogno sono lasciati alla buona volontà delle amministrazioni;

- il gap temporale che intercorre tra il momento della pianificazione e l’implementazione dei piani, che a volte nascono vecchi; a ciò si associa la tendenziale rigidità con la quale la burocrazia amministrativa interpreta e applica lo schema pianificatorio (nella relazione ad es. tra regolatore e gestore dei servizi), senza quella necessaria flessibilità che consentirebbe adattamenti all'evolversi della domanda;

- la cattiva integrazione tra servizi ferroviari e servizi su gomma, che genera non solo inutili sovrapposizioni, ma anche una cattiva allocazione delle risorse; alcuni sottolineano infatti gli elevati costi del trasporto ferroviario che dovrebbe concentrarsi solo nelle direttrici a forte carico di domanda.

Ci sono poi osservazioni puntuali su come si è esercitata la pianificazione nella specifica definizione dei bacini di esercizio del trasporto pubblico e nella lettura della domanda. Molto significativo in questo senso è il punto critico sollevato da un intervistato, tuttavia non ripreso da altri, in riferimento sia all’“insufficiente distinzione tra domanda profittevole e domanda da sussidiare (nell’ambito del servizio pubblico)”, sia alla “definizione di “ambiti ottimali” incoerente rispetto alla ridotta presenza di economie di scala e alla sostanziale assenza di vantaggi derivanti dall’integrazione modale (ferro/gomma)”.

Per il futuro, un miglioramento dei livelli di pianificazione dei servizi deriverà, secondo alcuni intervistati, dal criterio previsto dal Fondo Nazionale Trasporti per l’assegnazione della “quota premiale” delle risorse, che “costringerà” enti e aziende a programmare meglio l’offerta per incrementare il load factor. Le regioni stanno inoltre implementando i piani di riprogrammazione dei servizi di Tpl così come previsto dall’art. 3 del DPCM dell’11 marzo 2013, anche se non manca chi sottolinea che la qualità di questi piani è molto bassa. Più in generale, diversi intervistati ritengono che sul tema della riorganizzazione dei servizi si sia ormai raggiunto un sufficiente grado di consapevolezza, a fronte del completo immobilismo che c’è stato fino ad ora, e che quindi c’è da attendersi un miglioramento futuro su questo aspetto.

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Rispetto all’efficienza aziendale, molti sottolineano che i divari tra le diverse situazioni sono enormi (non solo lungo l’asse nord-sud o privato-pubblico), come certificato dalle differenze nella quota di costi operativi coperti dai ricavi da traffico. In generale, il legame con la “politica” (in senso ampio) è la causa maggiormente richiamata di freno all’efficienza aziendale. Alcuni poi argomentano che le aziende pubbliche del Tpl, oltre a subire maggiormente le interferenze politiche, non hanno di fatto incentivi ad essere più efficienti, perché sono aziende che “non possono fallire” e che operano in mercati chiusi. Anche le aziende private operano prevalentemente in regimi protetti, ma almeno hanno interesse a fare profitti e questa spinta ha prodotto un miglioramento dei loro livelli di efficienza.

Nell’opinione di diversi intervistati, in ogni caso lo “spauracchio” delle gare ha indotto processi di incremento della produttività aziendale, per quanto disordinati, non sempre abbastanza efficaci e “a macchia di leopardo”.

Due aspetti molto rilevanti emersi dalle interviste, quali fattori di freno all’efficientamento aziendale, riguardano la rigidità della leva tariffaria, troppo spesso attestata su livelli “socialmente” sostenibili (“aumentare il prezzo del biglietto può essere politicamente complesso”, è stato evidenziato) e i contratti di servizio, poco utilizzati per pungolare le aziende a migliorare il servizio e quindi ad incrementare i ricavi, e che dovrebbero quindi essere monitorati con più decisione. Tuttavia, ha sottolineato un intervistato, queste azioni di controllo che consentirebbero di ridurre i livelli di evasione e di elusione (mancate corse) delle aziende hanno costi molto alti, tali da richiedere risorse non disponibili presso le amministrazioni né previste dagli stessi contratti di servizio. È invece un punto di assoluta rilevanza da affrontare per il futuro, sul quale si gioca una parte importante del recupero di efficienza e di qualità dell’intero settore del Tpl. L’altra faccia della medaglia dell’evasione (quella tariffaria) emerge come un’altra delle cause principali della scarsa efficienza delle aziende (mancati introiti).

Un ulteriore questione emersa, anche in proiezione futura, riguarda la necessità di incrementare i ricavi da parte delle aziende. Su questa affermazione generale si innestano i diversi temi già in parte richiamati, quali la leva tariffaria da restituire alle aziende e il recupero dell’evasione, o altri quali la necessità di allargare i mercati delle aziende disancorandoli dagli stretti “riferimenti territoriali” nei quali molte di esse da sempre operano.

C’è poi una considerazione generale di fondo che appare di estrema importanza: senza offrire un facile alibi alle aziende è evidente che la produttività delle imprese di Tpl dipende in misura significativa anche da leve non disponibili, in particolare dalle politiche per ridurre la congestione che, soprattutto in ambito urbano, incidono moltissimo sui costi di produzione del servizio (velocità commerciale).

Per il futuro, infine, le considerazioni annotate anche in questo caso disegnano uno scenario in evoluzione tendenzialmente positivo. Da una parte l’accelerazione che ci sarà sulle gare, e dall’altro la necessità di sopravvivere (“se non si riducono i costi o si vende o si chiude!”) costringeranno le aziende a migliorare i livelli di efficienza, facendo riemergere la questione della gestione degli eventuali esuberi. Va detto tuttavia che rispetto a questa valutazione c’è qualche significativa voce dissonante di chi ritiene che, da un lato, la debolezza manageriale e, dall’altro, la

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persistente interferenza della politica chiudono ogni spazio per il miglioramento dell’efficienza delle aziende e del sistema nel suo complesso.

A completamento di questa disanima sui punti qualificanti della riforma del Tpl, è stato chiesto al panel se il tema del decentramento delle competenze previsto dal decreto Burlando è ancora attuale o se il processo di “ricentralizzazione” avviato dai nuovi meccanismi di assegnazione delle risorse rappresenta di fatto la strada che dovrà seguire l’assetto futuro di governance del settore.

La maggior parte degli intervistati ritiene che l’impianto federalista e il principio di sussidiarietà debbano continuare ad essere i presìdi di riferimento del governo del settore, sottolineando tuttavia la necessità di individuare alcune regole certe e uniformi su tutto il territorio nazionale, volte a disciplinare non solo gli aspetti più importanti per la tutela e promozione della concorrenza, e quindi l'affidamento dei servizi, ma anche le funzioni di pianificazione e di gestione delle risorse finanziarie.

Detto questo, la maggior parte degli intervistati, tuttavia, ritiene obbligata la scelta di ricostituire un unico Fondo nazionale trasporti per assicurare al Tpl quei trasferimenti statali che troppo spesso negli anni passati le regioni hanno finito per destinare, in parte, ad altri settori (sanità in primo luogo). Come era lecito attendersi, non manca il forte dissenso di alcuni che rimarcano la grave lesione all’autonomia delle regioni stesse prodotta da questo nuovo meccanismo di assegnazione delle risorse al settore.

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4. Vincoli da rimuovere

Nei paragrafi precedenti è emerso molto chiaramente che la scarsa applicazione del D.lgs. 422/97, insieme al caos normativo degli ultimi anni, hanno rappresentato un vincolo significativo allo sviluppo del settore del Tpl in Italia.

Ciò è emerso con ancora maggiore evidenza nel momento in cui si è chiesto agli intervistati di indicare direttamente, all’interno di una serie di item predefiniti, un ordine di rilevanza dei vincoli che impediscono al settore del Tpl un pieno ed efficiente sviluppo nel nostro Paese (Figg. 5 e 6).

Il vincolo derivante da un quadro normativo incerto, ridondante e in continuo cambiamento si colloca infatti in prima posizione con un punteggio medio, in scala da 0 a 5, pari a 3,7. Il secondo posto nella graduatoria, ad una distanza abbastanza significativa (punteggio medio pari a 3,2) è occupato dalla debolezza delle “politiche di settore”, nelle quali sono comprese sia la scarsa attenzione nazionale alle esigenze del settore, sia la debolezza delle politiche urbane e locali per incentivare l’uso del mezzo pubblico.

Fig. 5 – I vincoli che impediscono al settore del Tpl un pieno ed efficiente sviluppo*

* Il grafico è costruito considerando i valori medi derivanti dall’assegnazione, per ciascun

questionario, di un valore pari a 5 all’item più rilevante, 4 al secondo più rilevante, 3 al terzo più rilevante, 2 al quarto più rilevante, 1 al quinto più rilevante, 0 al meno rilevante

Fonte: elaborazioni Isfort

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Seguono i vincoli derivanti da un quadro regolatorio e amministrativo ancora non sufficientemente chiaro ed efficace in tema di liberalizzazioni, separazione tra regolatore e regolato, procedure di gara, determinazione delle tariffe e così via (punteggio medio 2,9), e il nodo dei finanziamenti, intesi come quantità e come certezza delle risorse necessarie per sostenere lo sviluppo dei servizi e degli investimenti (punteggio medio 2,6)

Meno significativi, ma solo nel confronto con quanto sopra indicato, appaiono i limiti dell’attuale assetto industriale (aziende poco efficienti, insufficiente diversificazione del business, poca attenzione al mercato effettivo e potenziale, eccessiva frammentazione del sistema di offerta, ecc.), con un punteggio di 2,0. Chiude la graduatoria con un distacco piuttosto netto (punteggio medio pari a 1,0) il tema delle risorse umane (carenza di profili professionali e di un management aziendale qualificato).

Fig. 6 – I vincoli che impediscono al settore del Tpl un pieno ed efficiente sviluppo – Numero di segnalazioni per singola posizione in “classifica”

Fonte: elaborazioni Isfort

Nelle notazioni a margine delle graduatorie costruite emergono diversi aspetti problematici e posizioni anche significativamente distanti tra di loro.

I vincoli legati alla frammentazione del quadro normativo, ad esempio, pur avendo raccolto come si è visto la più ampia convergenza di peso, registrano tuttavia qualche rilevante opinione distonica. In particolare c’è chi ritiene che il quadro normativo non sia un vero problema perché “pur nella grande confusione nessuno impedisce agli enti locali di fare le liberalizzazioni” e chi ritiene che “in verità le norme di settore si vanno definendo e stabilizzando, per cui costituiranno sempre meno un fattore di freno”. Da registrare, ancora, l’opinione di chi condiziona l’importanza del quadro normativo all’effettiva realizzazione delle politiche di settore.

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Sul tema dei finanziamenti, numerosi sono stati i commenti e le osservazioni. Provando a riassumerle per comuni orientamenti, emergono tre principali linee argomentative:

1. il nodo dei finanziamenti è posto spesse volte in maniera distorsiva. È difficile capire quante risorse sono effettivamente necessarie se non c’è una corretta analisi dei bisogni della domanda e della loro distribuzione; un intervistato porta il concetto alle estreme conseguenze: “le risorse che ci sono bastano e avanzano, bisogna solo distribuirle meglio”. La critica ad una ingiustificata rivendicazione di maggiori risorse per il settore è rinforzata, come qualcuno ha ricordato, da studi di benchmark europeo secondo i quali in Italia i finanziamenti, in particolare al settore della gomma, sono sufficienti (c’è anche chi simmetricamente sottolinea il sottofinanziamento dei servizi ferroviari che emerge sempre dal confronto europeo). Sulla stessa linea un intervistato ha ricordato che “secondo Trenitalia integrando gomma e ferro si possono fare gli stessi servizi con un miliardo in meno. Bisognerebbe capire se è vero”;

2. se il quantum dei finanziamenti deve essere sottoposto al vaglio critico dell’analisi dei bisogni prima di essere considerato un vincolo per lo sviluppo del Tpl, è invece certamente vero (ne convengono tutti gli intervistati che hanno sollevato il punto) che l’incertezza dei flussi di finanziamenti costituisce un problema di grande rilevanza;

3. bisogna distinguere tra finanziamenti ai servizi e finanziamenti per il rinnovo del materiale rotabile e le infrastrutture. Nel primo caso valgono le osservazioni riassunte nei punti precedenti, mentre per gli investimenti il sostegno pubblico è necessario, ed anzi bisognerebbe immaginare dei piani straordinari per lo svecchiamento di autobus e treni e per dotare le città e i territori di adeguate infrastrutture dedicate per il Tpl. Per ridurre la congestione, un intervistato propone di “premiare economicamente i comuni che investono in chilometri di linee a guida vincolata. Comprare autobus che restano fermi nel traffico è uno spreco”. È riemerso anche il tema degli ammortizzatori sociali, come una finalizzazione prioritaria dei finanziamenti al settore.

Infine, sul tema dei finanziamenti, c’è chi ha evidenziato una questione più “a monte” di trasparenza nell’impostazione delle politiche di settore e nell’esplicitazione della scelta di cosa e quanto sostenere, anche confrontando il Tpl con altri servizi pubblici. La critica su come politicamente si finanzia oggi il Tpl è piuttosto radicale: “c’è un problema sui tagli al settore perché l’approccio attuale è da spending review (vincoli di bilancio) più che da politica di sistema. In questo senso bisognerebbe prioritariamente chiedersi se il servizio pubblico di trasporto debba essere sussidiato (rispetto ad altri servizi pubblici come l’elettricità) e in che misura (perché ad esempio il 65% di copertura dei costi?) e poi, coerentemente, quali misure di politica di sistema vanno adottate”.

Sulle altre tipologie di vincoli, il tema delle politiche di settore – riferite in questo caso alle misure di regolazione e gestione della mobilità urbana e locale – chiama in causa l’organizzazione e la gestione dello “spazio pubblico”, soprattutto in ambito urbano. Diversi intervistati hanno evidenziato la necessità di usare anche la leva del pricing per fa pagare la congestione e l’inquinamento dei veicoli privati: “con questo riequilibrio si creerebbero le condizioni per migliorare il servizio

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pubblico e quindi anche per aumentare le tariffe”. Sul tema dell’assetto industriale, alcuni intervistati hanno sottolineato la necessità che ci sia un processo di crescita dimensionale delle imprese del settore, sia attraverso fusioni/integrazioni che attraverso acquisizioni. Come già evidenziato sopra, le opinioni sulla dimensione ottimale delle imprese sono tuttavia molto difformi: qualcuno ricorda che non ci sono economie di scala nel settore sopra una soglia minimale di offerta (7/8 milioni di vetture*km), altri sottolineano che semmai il problema è nella diversificazione dei mercati e dei business.

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5. Il futuro da costruire: i driver del cambiamento, i temi in agenda

Per la costruzione dello scenario futuro del Tpl è stato chiesto al panel una valutazione su alcuni potenziali driver di cambiamento del settore, indicando quali sono già oggi influenti e in accelerazione, quali saranno rilevanti nel medio periodo e quali infine non appaiono essere molto rilevanti né oggi né in futuro (Fig. 7).

Fig. 7 – I potenziali driver di cambiamento del settore del Tpl*

* Le dimensioni delle bolle variano in proporzione al numero di segnalazioni Fonte: elaborazioni Isfort

È sulla seconda opzione (rilevanza nel medio periodo) che si concentra la quota più significativa delle segnalazioni. In particolare i cambiamenti e i nuovi paradigmi tecnologici (sviluppo degli ITS, nuovi veicoli e nuove motorizzazioni, diffusione dell’elettrico e così via) insieme allo sviluppo delle smart cities e in generale della mobilità urbana sostenibile, sono percepiti come driver di cambiamento non particolarmente influenti nella fase attuale, ma con enormi potenzialità di incidenza nel medio e nel lungo periodo. Quasi nessuno degli intervistati ritiene che questi processi non avranno particolare rilevanza in futuro.

Sui cambiamenti tecnologici, diversi intervistati sottolineano la grande spinta per il Tpl derivante soprattutto dalle applicazioni dell’infomobilità e dalla bigliettazione elettronica. Più cautela (e scetticismo) sul tema delle nuove motorizzazioni e della

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penetrazione della filiera elettrica in particolare. Secondo alcuni il potenziale è alto, tuttavia è difficile che il mercato si muova da solo; sarebbe perciò auspicabile una forte iniziativa pubblica per sostenere gli investimenti necessari, comunque molto robusti. Interessante l’osservazione di un intervistato sulla funzione per certi versi surrogatoria che le tecnologie svolgono nel settore. Esse costringono infatti gli attori del sistema del Tpl a ragionare e a muoversi in logiche e con approcci integrati, svolgendo quindi quella funzione di integratore che la pianificazione in questa fase non è in grado o non vuole fare.

Il driver dei cambiamenti tecnologici è in generale strettamente connesso, secondo diversi intervistati, a quello delle smart cities e delle politiche per la mobilità sostenibile. In questo senso la nuova mobilità deve rispondere a domande e bisogni nuovi dei cittadini per il trasporto quotidiano. Essa richiede un approccio integrato alla mobilità sostenibile, in grado di utilizzare leve diversificate per le policy. Un esempio virtuoso in questo senso deriva dall’esperienza di Milano dove si sta lavorando su diverse misure di contenimento della congestione ("aria C", pedaggio per l'ingresso nel centro) e per lo sviluppo di sistemi alternativi di mobilità (car sharing, bike sharing).

Nella fase attuale emerge come già molto influente l’innovazione di contenuto dei servizi nel Tpl (sviluppo dell’intermodalità, integrazione tariffaria, segmentazione dell’offerta, ecc.); oltre metà degli intervistati reputa in accelerazione questo processo di cambiamento, mentre il resto ne rimanda il pieno dispiegamento delle potenzialità ad uno scenario di medio e lungo periodo (anche qui praticamente nessuno ritiene che il processo non avrà sviluppi significativi per il futuro del settore). L’innovazione dei servizi è l’unico driver per il quale prevale l’indicazione dell’accelerazione già nel breve periodo rispetto al medio e lungo periodo. Va detto che diversi intervistati sottolineano le forti differenze territoriali che si riscontrano in riferimento all’innovazione nei servizi e all’integrazione organizzativa (intermodale, tariffaria) nel Tpl. Il bisogno di sviluppare queste linee di innovazione che arricchiscono il contenuto qualitativo dei servizi e migliorano l’efficienza del sistema è molto alto, ma le applicazioni concrete, secondo alcuni, molto lente. Un intervistato ha aggiunto che l’innovazione dei servizi è la questione più rilevante, ma ha senso se rappresenta una risposta alla domanda di mobilità: “è necessario allora un salto di visione da parte dei regolatori e anche delle aziende, che devono assumere un approccio sistemico verso la mobilità in generale. Bisogna che tutti i soggetti di offerta siano dei mobility solution provider, così cambieranno anche gli stili di mobilità dei cittadini”.

Ci si collega così agli altri driver di cambiamento percepiti, da parte di un buon numero di intervistati, già oggi in fase di accelerazione: si tratta dei processi di aggregazione nel sistema di offerta (fusioni/acquisizioni/consorzi/ accordi e joint venture) e, appunto, delle modifiche negli stili di mobilità dei cittadini a favore del trasporto pubblico (per ragioni economiche e/o ambientali). Sui processi di aggregazione le valutazioni non sono omogenee, come già sottolineato sopra. Alcuni osservano che il processo sta un po’ avanzando, ma non costituirà un driver potente di cambiamento del settore (“l’organizzazione delle imprese più o meno frammentata non è un problema in sé; in Spagna le aziende di Tpl sono 4000 e non sono un problema”). Per altri le aggregazioni in sé possono essere positive,

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ma devono essere guidate dal mercato, non dalla politica come purtroppo accade (facendo per di più da tappo a processi aggregativi sani).

Quanto alle modifiche degli stili di mobilità dei cittadini, le posizioni prevalenti nel panel sono di due ordini (non necessariamente contrapposti):

- alcuni ritengono che modifiche rilevanti e strutturali siano già in atto, ed in particolare la crisi economica abbia fatto crescere la consapevolezza dei cittadini sull’elevato costo del trasporto individuale (in una certa misura i cittadini sanno valutare meglio il costo dello spostamento confrontando alternative diverse); è stata anche espressa l’interessante opinione che l’auto svolge sempre meno una funzione simbolica di status (“non avere l’auto di proprietà in molti casi fa quasi più status dell’auto di proprietà”);

- altri hanno espresso un certo scetticismo sulla possibilità che si modifichino strutturalmente gli stili di mobilità dei cittadini, se non ci sono investimenti significativi sulle soluzioni alternative al mezzo individuale e se non si fanno politiche di accompagnamento adeguate (ad es. misure di disincentivo all’uso dell’auto, come si diceva anche sopra). Secondo un intervistato “ci saranno modifiche nei comportamenti di mobilità dei cittadini se tutti gli altri driver saranno attivati. Oggi l’offerta di servizi di Tpl non è adeguata e quindi anche il modello di domanda non si modifica”.

Infine, i processi di internazionalizzazione attiva e passiva sono considerati dalla maggior parte degli intervistati non in grado di influenzare gli scenari di evoluzione del trasporto pubblico. Alcuni intervistati sottolineano tuttavia la differenza tra le grandi aziende estere, soprattutto per la grande diversificazione dei mercati presidiati, e le nostre maggiori realtà. Se non si va verso il modello estero di crescita aziendale anche sui mercati internazionali (internazionalizzazione attiva) il rischio di subire un processo di sola internazionalizzazione passiva è alto.

Gli intervistati avevano poi la possibilità di indicare driver aggiuntivi rispetto a quelli proposti dalla griglia. Due le segnalazioni fatte: gli incentivi per le amministrazioni che privilegiano gli affidamenti con gara (in accelerazione già nel breve periodo) e le politiche di regolazione della domanda (molto rilevante, ma nel medio periodo).

Come conclusione delle riflessioni sugli scenari di cambiamento del Tpl in Italia appare utile riprendere una considerazione più complessiva che è stata fatta a commento di questa sezione del questionario e che focalizza l’attenzione sul necessario “impasto” di convergenza e di personalizzazione che dovrebbe guidare l’approccio generale di governo del settore: “una buona politica per il Tpl dovrebbe essere inspirata a due concetti di fondo che, a mio giudizio, sintetizzano le esigenze riformatrici del settore: sistema e diversità. Ossia politiche di sistema in grado di ottimizzare non solo le risorse ma anche le varie modalità di trasporto e diversità di interventi modulati sulla base delle esigenze territoriali e delle caratteristiche orografiche e della domanda delle regioni”.

La successiva valutazione ha poi riguardato alcuni temi di forte attualità che alimentano il dibattito attorno al possibile futuro sviluppo del Tpl. Si tratta di processi e opzioni in discussione o già in corso di realizzazione rispetto ai quali è stato chiesto un giudizio favorevole o negativo, nonché una previsione sulla probabilità/intensità di realizzazione nel futuro prossimo.

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La Tab. 1 rappresenta analiticamente le indicazioni espresse dal panel. Rispetto alla valutazione, il giudizio positivo domina in particolare due temi su cui è stata sollecitata l’opinione: l’introduzione del criterio dei costi/fabbisogni standard per l’assegnazione delle risorse e per la determinazione dei corrispettivi (totalità di giudizi positivi) e l’introduzione di leve fiscali per il sostegno alla domanda di Tpl (23 giudizi positivi su 24 risposte). Molto alta anche l’adesione all’ipotesi di introdurre meccanismi di price cap per la determinazione delle tariffe (20 giudizi positivi e 4 posizioni neutre).

Molte perplessità suscita invece la filiera del rafforzamento dei soggetti (aziende) e dei mercati (bacini) del Tpl verso la dimensione regionale. Sia la creazione di aziende regionali del Tpl che le gare su bacini unici regionali raccolgono meno di un terzo di opinioni favorevoli. Più equilibrati i giudizi sulle gare con integrazioni gomma/ferro; le opinioni favorevoli prevalgono (13) su quelle sfavorevoli (8), ma considerando anche le posizioni neutre (3) l’adesione è tutt’altro che plebiscitaria.

Tab. 1 – Valutazioni su alcuni processi in atto nel settore del Tpl – Numero di segnalazioni*

Giudizio sul processo Probabilità/Intensità di realizzazione

Positivo Negativo Neutro/Non so Alta Media Bassa

Creazione di aziende regionali del Tpl (solo gomma o gomma/ferro) 7 14 3 3 13 7

Gare su bacini unici regionali 7 14 3 7 8 8Gare con integrazioni gomma/ferro 13 8 3 2 11 10

Introduzione del criterio dei costi/fabbisogni standard per l’assegnazione delle risorse e per la determinazione dei corrispettivi

24 0 0 12 9 2

Introduzione di meccanismi di price cap per la determinazione delle tariffe

20 0 4 1 15 7

Introduzione di leve fiscali per il sostegno della domanda di trasporto pubblico

23 1 0 3 11 9

* In un questionario è stato indicato il solo giudizio sul processo Fonte: elaborazioni Isfort

Passando alla previsione sulla probabilità/intensità di realizzazione, le risposte sono molto meno polarizzate e più distribuite, tuttavia con una prevalenza piuttosto netta di posizioni centrali (media probabilità/intensità di realizzazione). Il processo che nell’opinione del panel ha maggiori speranze di prendere l’avvio è l’introduzione dei costi/fabbisogni standard (12 indicazioni di alta probabilità su 23 risposte). Seguono, ma con elevato distacco (7), le gare su bacini unici regionali. Per tutti gli altri temi le indicazioni di alta probabilità sono assolutamente residuali.

Nel ranking delle valutazioni di “media probabilità” si colloca in testa il price cap per la determinazione delle tariffe (15 indicazioni), seguito dalla creazione di aziende regionali del Tpl (13) e poi, appaiate (9), le gare con integrazioni

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gomma/ferro e le leve fiscali peri il sostegno alla domanda di Tpl. Infine, guardando alle valutazioni di bassa probabilità/intensità di realizzazione si può osservare in primo luogo che per nessuno dei temi proposti la maggior parte degli intervistati ritiene che non riuscirà a prendere piede significativamente. I dubbi più consistenti riguardano le gare gomma/ferro (10 indicazioni di bassa probabilità) e le leve fiscali (9). Ma una certa quota di scetticismo riguarda anche gli altri processi, con la sola eccezione dei costi standard (solo 2 intervistati ritengono che difficilmente questo strumento verrà effettivamente introdotto).

La Fig. 8, infine, posiziona le diverse tematiche sugli assi del giudizio positivo/negativo e della probabilità di realizzazione. Nel quadrante più favorevole (giudizio positivo e alta possibilità di realizzazione) si colloca, e in posizione molto avanzata, solo l’introduzione dei costi standard. All’opposto (giudizio negativo e bassa possibilità di realizzazione) si collocano, ma in posizione spostata verso l’area della media probabilità, le aziende regionali di Tpl e le gare su bacini unici regionali. Diversi processi (price cap, leve fiscali, gare gomma/ferro) si collocano, con gradazioni differenti, nel quadrante della bassa-media probabilità di realizzazione associata a giudizi positivi sul tema. Da sottolineare che l’area di potenziale maggiore criticità, dal punto di vista del panel, ovvero il giudizio negativo associata ad un’alta probabilità di realizzazione non accoglie nessuna delle opzioni proposte. Quella che più si avvicina al quadrante critico sono le gare su bacini unici regionali.

Fig. 8 – Il “posizionamento” di alcuni processi in atto nel settore del Tpl*

* Il grafico è costruito considerando i valori medi derivanti dall’assegnazione un valore pari a 1 alle risposte «positivo» e «alta», 0 «neutro/non so» e «media», -1 «negativo» e «bassa». Sono considerati i soli questionari completi (23 su 25)

Fonte: elaborazioni Isfort

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Il tema della creazione di aziende regionali di Tpl, associato al tema interconnesso dei bacini unici regionali per gli affidamenti dei servizi, ha diviso molto i commenti degli intervistati, come era presumibile attendersi. Come si è visto, prevalgono i giudizi negativi sull’ipotesi, accompagnati da un certo timore circa l’effettiva possibilità di avanzamento del processo. Le opinioni di intonazione più nettamente negativa richiamano soprattutto l’inutilità o addirittura la dannosità “tecnica” dell’azienda regionale (“nel settore del Tpl le economie di scala non esistono! Anzi a volte l’organizzazione su vasta scala fa aumentare i costi perché la gestione del personale su scala vasta non ottimizza ad es. i turni, gli autisti/macchinisti guidano meno ore, cresce il potere di contrattazione sindacale”). Va tuttavia detto che sono le valutazioni problematiche a prevalere, pur nell’alveo di un giudizio negativo. In particolare, tre posizioni sono riconducibili a questa impostazione critica:

- la dimensione territoriale è dirimente per valutare un processo di allargamento degli attori e dei processi (aziende, bacini) verso il perimetro regionale. Diversi intervistati hanno sottolineato che per il trasporto su gomma il bacino regionale (e anche l’azienda regionale) è di norma troppo grande, a meno che non si tratti di piccole regioni, e in ogni caso bisognerebbe almeno distinguere fra trasporto urbano-metropolitano e media-lunga percorrenza; per il trasporto ferroviario può invece andare bene;

- altrettanto, e forse anche più rilevante, è il nodo della definizione “amministrativa” dei bacini: “i bacini devono essere individuati in base a studi della domanda (O/D) e non su indirizzi normativi”;

- le aziende regionali possono avere senso se c’è un progetto imprenditoriale e se, come ha sottolineato un intervistato, “l’obiettivo è separare la gestione aziendale dalla politica, altrimenti non servono”.

Su quest’ultima linea è interessante una considerazione che fa riferimento ai principi dell’economia industriale: “a fronte di scarse economie di scala e di pressoché nulle economie di gamma (derivanti dall’integrazione gomma/ferro), le economie di gruppo (processi di aggregazione) possono risultare decisamente importanti per uno sviluppo concorrenziale del settore”.

Come detto sopra, non sono mancati i giudizi decisamente a favore delle aziende regionali e in generale sui processi di aggregazione/rafforzamento dell’offerta. Ad esempio per tutti riportiamo questa considerazione: “servono imprese più forti, integrate e capaci di competere in caso di gara. Le aziende troppo piccole offrono servizi scadenti e operano in condizioni di illegalità (lavoro nero, materiale rotabile inquinante ecc.)”. C’è poi chi condiziona il giudizio positivo su questo processo all’espletamento di procedure di gara europee. E chi propone di promuovere modelli di holding aziendale, coerenti con i bacini di traffico anche integrati gomma-ferro.

In ogni caso, per il futuro la previsione prevalente è che le Authority (ART e AGCM) rallenteranno molto la spinta sia alla creazione di aziende regionali di Tpl, sia agli affidamenti dei servizi su bacini unici regionali perché è evidente che meno gare e con alte barriere all’ingresso riducono la contendibilità dei mercati.

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Proprio sull’integrazione gomma-ferro, diversi intervistati avvertono sul rischio di eccessiva ingerenza rispetto a logiche di organizzazione dei servizi che dovrebbero essere lasciate agli operatori. Si riconosce quindi il ruolo degli enti nella pianificazione e nel governo dell’intermodalità, ma non si vede ragione perché gli affidamenti debbano poi essere fatti ad uno unico soggetto che gestisce i servizi su gomma e quelli su ferro. È stato anche suggerito di premiare negli affidamenti dei servizi su gomma quelle proposte che contengono integrazioni significative con il ferro, riducendo sovrapposizioni e inefficienze di sistema.

Per ricapitolare, quindi, si può dire che è la combinazione tra i tre processi (aziende regionali, bacini unici, integrazione gomma-ferro) a produrre un rischio reale di freno al confronto concorrenziale, mentre di per sé singolarmente prese queste tre opzioni possono essere giustificate; ma non ovunque in maniera indifferenziata e in ogni caso sotto condizione di sviluppare logiche industriali per il settore del Tpl.

Sul tema dei costi standard, ampiamente condiviso come si è visto, alcuni intervistati intravedono il rischio di intraprendere un percorso poco selettivo e virtuoso (c’è chi ha avanzato una critica in tal senso alle proposte circolate in sedi istituzionali). Altri avvertono sulla necessità di muoversi con gradualità, per via della grandi disparità di efficienza oggi esistenti tra territori e tra aziende. Sotto il profilo tecnico è da segnalare un’osservazione sulle “condizioni ambientali” mediamente efficienti nelle quali devono operare le aziende per poter applicare correttamente un criterio di costo/fabbisogno standard: “in sostanza, la parte pubblica (enti locali in particolare) è parte attiva del processo, per assicurare le condizioni adeguate di operatività delle aziende (es. la velocità commerciale). Il costo standard andrebbe quindi modulato sulla base del raggiungimento (da parte degli enti) delle condizioni efficienti di operatività”.

Sul tema del price cap, si segnala una certa difficoltà tecnica di applicazione. Anche qui un’interessante “modulazione” tecnica da riportare che è emersa dalle interviste: “sarebbe meglio introdurre un principio di “cost cap”. Definito questo, la scelta sulle tariffe è tutta politica e tale deve rimanere; gli enti locali possono decidere di mantenere basse le tariffe, assumendone gli oneri”.

Infine, sul tema delle leve fiscali per il sostegno della domanda di trasporto pubblico, alcuni intervistati hanno specificato che la misura può essere positiva ma va redistribuito l’onere del finanziamento pubblico tra sostegno all’offerta e sostegno alla domanda (non si deve aumentare il plafond complessivo). E non è detto che il meccanismo di redistribuzione tecnicamente funzioni bene (va comunque sperimentato), soprattutto perché rischia di non assicurare certezza di finanziamenti alle aziende in un momento in cui queste non possono permettersi ulteriori instabilità operative.

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6. La vischiosità delle relazioni industriali

Una delle questioni conclusive affrontate dall’indagine riguarda le risorse umane e le relazioni industriali. Se la formazione e la crescita delle competenza delle persone che a vario titolo operano nel sistema del Tpl (dagli autisti, ai manager, agli amministratori pubblici) sono considerate da tutti gli intervistati “alla base di qualsiasi modello di efficientamento e di sviluppo” e temi su cui occorrerebbe investire con maggiore forza nel futuro prossimo, guardando in particolare alle nuove tecnologie ed al rapporto tra il personale delle aziende e gli utenti, opinioni più articolate si hanno sul tema delle relazioni industriali.

Infatti, nell’affrontare la questione alcuni intervistati individuano nella rigidità delle relazioni industriali uno dei fattori frenanti dell’intero sistema del Tpl, al pari di un ruolo ancora modesto della contrattazione di secondo livello, che andrebbe, invece, maggiormente sviluppata per affrontare le problematiche e le specificità locali e, allo stesso tempo, per una più efficace misurazione del ruolo del lavoro nella formazione dei risultati aziendali e, di conseguenza, per la valorizzazione del lavoro stesso anche in termini economici. Il contratto nazionale, secondo questa visione, dovrebbe focalizzarsi su alcune questioni centrali, oltre a definire i parametri generali in grado di eliminare le forti disparità tra le diverse aree del Paese, lasciando alla contrattazione locale e aziendale la definizione più dettagliata dei contratti di lavoro. Con l’attenzione, però, a non ripetere gli errori spesso commessi nel passato, quando la contrattazione integrativa, secondo un intervistato, è “stata gestita male e ha prodotto danni, alzando il costo del lavoro senza tener conto della produttività”. Spingendo ulteriormente lungo questa impostazione, c’è chi ritiene che “la contrattazione di secondo livello dovrebbe diventare il cuore delle relazioni industriali sostituendo completamente la contrattazione nazionale”.

In verità, diverse voci, anche dal versante aziendale, tendono ad articolare e problematizzare la questione del rapporto fra contrattazione di primo livello, a cui si assegna comunque un ruolo imprescindibile, e contrattazione di secondo livello che deve attentamente essere legata alla produttività aziendale. Come sottolinea un intervistato: “molto dipende dalle condizioni di partenza e dalla necessità di legare la contrattazione di secondo livello al territorio e ai livelli di produttività dell’azienda, quindi alla sua struttura dei costi. Iniziative che consentono di incrementare la produttività possono portare a premi per il personale”. È questa un'impostazione che alcuni ritengono opportuna anche per la contrattazione di primo livello. La contrattazione di secondo livello, avverte un altro intervistato, “è importante, ma molte aziende non hanno assolutamente risorse per fare nulla”. Né si può dare per scontato che la produttività aumenti solo sulla base di una migliore organizzazione aziendale: “gli incrementi di produttività dipendono molto dalle politiche di settore (regole di circolazione, infrastrutture ecc.) delle amministrazioni centrali e locali”). Ci vogliono quindi molta cautela e un’attenzione ai costi aggiuntivi per le aziende nel momento in cui si rafforza la contrattazione di secondo livello a scapito del contratto nazionale.

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In questo quadro problematico, non sorprende che la valutazione sullo stato delle relazioni industriali sia giudicato, dalla maggior parte degli intervistati, molto criticamente.

Tra gli intervistati di riferimento sindacale c'è chi indica nella scarsa considerazione della contrattazione collettiva da parte delle aziende e delle loro rappresentanze uno dei fattori critici delle relazioni industriali, al pari dell’assenza di specifici riferimenti legislativi (nazionali e regionali) in grado di “dare risposte positive ad un settore che, malgrado l’innovazione tecnologica applicabile, si caratterizza per elevati livelli di intensità di manodopera”.

Altre questioni sollevate riguardano l’inserimento di clausole sociali particolarmente stringenti nei bandi di gara che limitano fortemente la partecipazione di più soggetti, la necessità di definire fondi per la gestione di eventuale personale in esubero, il perdurare della vertenza relativa al rinnovo del CCNL, connesso anche al tema delle risorse a disposizione, le difficoltà per molte aziende di avviare seri percorsi di contrattazione di secondo livello, ancora per effetto delle limitazioni finanziarie che ormai da anni caratterizzano il settore, l’utilizzo del settore del Tpl (di aziende pubbliche in particolare) come “improprio ammortizzatore sociale” e, infine, il ruolo preponderante del finanziamento pubblico che limita “qualsiasi processo di efficientamento”.

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7. Per concludere e riepilogare: le priorità sulle cose da fare

Come detto in premessa la domanda finale sollecitava gli intervistati ad indicare le “tre cose” più urgenti da fare per sviluppare il Tpl in Italia.

La “nuvola” delle parole-chiave è contenuta nella Fig. 9. E nella tavola a seguire (Tav. 1) la lista completa delle risposte con aggregazione per macrotipologie. Regole e risorse certe, investimenti, introduzione dei costi standard sono le grandi urgenze su cui bisogna intervenire per lo sviluppo del settore. Ulteriori commenti sono superflui.

Fig. 9 – Le parole chiave per lo sviluppo del settore del Tpl in Italia

Fonte: elaborazioni Isfort

Tav. 1 – La lista completa delle cose da fare per il Tpl

Regole certe 1 Regole certe e durature (testo unico) 2 Regole per parificare le varie situazioni regionali verso liberalizzazioni e privatizzazioni 3 Normativa (di legge e contrattuale) chiara 4 Regole certe 5 Regole certe e durature 6 Stabilizzazione del quadro normativo e di regolazione 7 Regole chiare, stabili e pro-concorrenziali 8 Revisione del D.lgs. 422 e successiva reale applicazione 9 Riallineamento competenze Titolo V (meno potere agli Enti locali) 10 Quadro normativo da rivedere e semplificare 11 Completare il processo avviato con il D.lgs. 422 12 Revisione normativa 13 Ridefinire il quadro delle competenze e dei ruoli fra livelli istituzionali 14 Quadro normativo integrato 15 Testo unico di legge per il Tpl 16 Misure compensative per l’avvio di riforme concorrenziali

(continua)

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(segue) Tav. 1 – La lista completa delle cose da fare per il Tpl

Risorse certe 1 Risorse certe 2 Risorse certe per procedere ai bandi di gara 3 Risorse adeguate, certe e durature 4 Risorse stabilizzate per almeno 5 anni 5 Risorse certe nel tempo 6 Risorse per servizi adeguate, certe e indicizzate 7 Rendere esigibili e certi i corrispettivi da contratto di servizio 8 Risorse da adeguare 9 Più risorse al settore da vincolare al raggiungimento di obiettivi 10 Certezza dei flussi di finanziamento 11 Risorse adeguate per i servizi

Investimenti

1 Piano straordinario di ammortamento del materiale rotabile (nei contratti di servizio) e investimenti in sistemi di trasporto di massa

2 Investire su infrastrutture e ammortizzatori sociali 3 Nuovi investimenti 4 Investimenti 5 Crescita degli investimenti 6 Investimenti nei nodi infrastrutturali 7 Risorse adeguate per gli investimenti 8 Corretta programmazione degli investimenti

Costi standard 1 Definizione dei costi standard comprensivi degli investimenti 2 Costi standard (con gradualità) 3 Costi standard (modulati in considerazioni delle condizioni esterne di operatività aziendale) 4 Costi standard 5 Modifica regole per definire i corrispettivi 6 Costi standard 7 Costi standard 8 Costi standard

Liberalizzazioni e privatizzazioni 1 Privatizzazioni 2 Privatizzazione degli operatori ferroviari 3 Liberalizzazione coordinata 4 Liberalizzazioni vere 5 Processo di liberalizzazione vero e graduale 6 Rimuovere le resistenze degli Enti locali verso l’affidamento con gara

Mobilità sostenibile 1 Politiche incentivazione all’uso dei mezzi pubblici

2 Riforma dei sistemi di governo locale della mobilità (politiche a favore del Tpl e mobilità sostenibile)

3 Cambiare le priorità delle politiche nazionali, prima il Tpl e la mobilità sostenibile 4 Sviluppo di politiche di viabilità locale 5 Politiche per l’integrazione dei sistemi modali

(continua)

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(segue) Tav. 1 – La lista completa delle cose da fare per il Tpl

Indipendenza delle aziende 1 Separazione tra politica e gestione aziendale 2 Autonomia delle aziende rispetto alle influenze politiche 3 Ruolo forte dell’Autority nel risolvere il conflitto di interessi tra azienda e politica 4 Sganciare dal potere politico gli amministratori delle aziende 5 Promuovere maggiore terzietà delle amministrazioni locali appaltanti

Pianificazione 1 Pianificazione equa tra effettivi bisogni della domanda e la socialità del servizio 2 Pianificare meglio intorno ai poli attrattori 3 Definizione di bacini ottimali con un unico operatore sia su gomma che su ferro 4 Pianificazione/programmazione dei servizi 5 Razionalizzazione dell’offerta

Aggregazioni aziendali 1 Nuovo assetto industriale (aggregazioni) 2 Incentivare le aggregazioni 3 Crescita dimensionale delle aziende e riassetto industriale

4 Definizione di bacini di servizio integrati da mettere a gare per incenticare la fusione tra aziende

Varie Gestione industriale delle aziende Innovazione/modernizzazione/integrazione delle imprese Nuovo modello di relazioni industriali per incentivare il personale e migliorare le performance aziendali Reale separazione tra soggetti proprietari dell’infrastruttura e soggetti che offrono servizi Ridurre il monte chilometrico di ferro e bus finanziati Implementazione nuove tipologie di servizi Definizione della durata dei contratti sulla base degli investimenti