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Corso di Diploma in
Counseling Olistico
tesi del secondo anno
LA PNL NELLE RELAZIONI DI COPPIA
Gennaio 2015 Allieva Relatore Annalisa Chelotti Attilio Scarponi
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INDICE INTRODUZIONE CAPITOLO 1 – Relazioni di coppia e linguaggio: interazioni e punti di vista Paragrafo 1 – Il potere del linguaggio Paragrafo 2 – Il potere delle relazioni Paragrafo 3 – L’utilizzo del linguaggio nelle relazioni di coppia CAPITOLO 2 – I giochi di potere: come scovarli attraverso l’osservazione del linguaggio Paragrafo 1 – Gelosia e invidia Paragrafo 2 – Il senso del possesso Paragrafo 3 – Il senso di colpa Paragrafo 4 – La deresponsabilizzazione Paragrafo 5 – Le credenze sui ruoli maschio-‐femmina nei compiti domestici CAPITOLO 3 – Creare spazio all’amore con la comunicazione Paragrafo 1 – Le decisioni e le scelte personali Paragrafo 2 – Costruire il proprio Spazio Sacro Paragrafo 3 – La fiducia e l’autostima CAPITOLO 4 – Linguaggio autentico per una relazione autentica Paragrafo 1 – Osservare ciò che è: l’attenzione e l’intenzione Paragrafo 2 – Il potere della responsabilità interiore Paragrafo 3 – Il perdono e l’amore incondizionato
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INTRODUZIONE La presente Tesi mira a fornire uno sguardo d’insieme sul rapporto tra linguaggio e relazioni di coppia. Dopo una prima definizione dell’importanza del linguaggio e della funzione delle relazioni di coppia nell’ambito dell’evoluzione della coscienza di ognuno di noi, passiamo poi all’analisi più dettagliata dei giochi di potere che spesso sono la causa del naufragio delle relazioni. L’utilizzo del linguaggio all’interno delle relazioni ci fornisce una lente di ingrandimento sulle cause profonde che scatenano i giochi di potere, e ci dà la possibilità di imparare a guarirle e superarle. Attraverso alcuni punti fondamentali dell’osservazione di sé, possiamo scoprire l’importanza della percezione del valore, dell’assunzione delle responsabilità, dell’amore e del perdono. Attraverso l’utilizzo intelligente dell’attenzione e dell’intenzione possiamo ottenere la libertà e vivere nell’autenticità. E’ stato estremamente interessante analizzare alcune delle tipiche dinamiche che nascono nelle relazioni attraverso lo studio del linguaggio utilizzato. Quest’analisi ci porta inevitabilmente a riconoscere le strutture profonde che risiedono nel nostro inconscio e che sono formate da credenze, condizionamenti, convinzioni che abbiamo radicato dentro di noi durante l’infanzia. E’ una chiave di lettura ricca di sfumature, spunti di riflessione, cardini da cui partire per intraprendere un fruttuoso lavoro interiore capace di donarci una relazione soddisfacente ed appagante. Attraverso gli esempi concreti che sono stati inseriti nei vari capitoli, ognuno di noi può riportare il caso all’interno della propria specifica esperienza, e può riconoscere qualche dinamica nascosta nella similitudine con quelle descritte. Con l’augurio che l’amore incondizionato possa diventare il cardine centrale della vita di tutti, invito ad una lettura attenta e consapevole in modo da poter cogliere tutti i frutti possibili da questo lavoro.
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CAPITOLO 1 RELAZIONI DI COPPIA E LINGUAGGIO:
INTERAZIONI E PUNTI DI VISTA PARAGRAFO 1 – IL POTERE DEL LINGUAGGIO Il linguaggio si inserisce in un contesto più ampio di energia vibrazionale. Tutto il cosmo è vibrazione. L’Unità, cioè Dio, l’energia divina universale, si manifesta in infinite forme, che possono essere più o meno solide, più o meno sottili. L’energia vibrazionale delle parole è una delle più potenti. Una parola talvolta ha la forza di un fiume in piena, l’impeto di un’eruzione vulcanica, la dolcezza del miele tiepido. Le parole e la loro energia vibrazionale arrivano nel mondo attraverso il linguaggio. Lo studio della PNL – programmazione neurolinguistica – è affascinante proprio perché coglie questo sottile aspetto metafisico della parola. Attraverso la PNL, possiamo comprendere quanto l’utilizzo del linguaggio sia determinante per definire e circoscrivere uno stato d’animo, un ostacolo psicologico, una sensazione interiore. Dal linguaggio si possono conoscere e ri-‐conoscere molti aspetti della personalità umana. E’ estremamente interessante ascoltare in uno stato di presenza le parole utilizzate dalle persone per cogliere il significato profondo che queste hanno nei meandri dell’inconscio e delle parti più nascoste di sé. E’ possibile in tal senso attuare significativi cambiamenti interiori accorgendoci e portando la nostra attenzione alle parole utilizzate, alla costruzione delle frasi, al tipo di linguaggio con cui ci relazioniamo con il mondo esterno. Una persona che abitualmente dice: “Non sono abbastanza intelligente per fare carriera” genera una energia vibrazionale di sfiducia. Emette delle onde fuori da se, attraverso il pensiero e la parola, che andranno in sintonia con la sfiducia. Le onde vibratorie si incastrano tra loro per analogia, in base alla legge fisica di attrazione. Pertanto, questa persona attirerà nella sua vita situazioni che confermeranno il suo credo, e cioè che non è abbastanza intelligente per fare carriera. Un altro aspetto da considerare è che la parola ha tanta più energia quanto più è forte e radicato il pensiero che sottende la parola stessa. Se questa persona è profondamente convinta di non essere abbastanza intelligente, l’energia della parola sarà ancora più forte perché si unirà alla potenza vibrazionale del pensiero. In altri termini, la persona crede fortemente di non essere intelligente, e genera intorno a se dei limiti che le impediranno di fare carriera. Un altro esempio può essere quello di chi dice spesso: “Non riesco ad essere ricco, ogni volta mi va male qualcosa.” Questo linguaggio, che ad un livello più profondo nasconde la sensazione di non meritarsi la ricchezza, il pensiero di non essere degno, si propagherà nel mondo come un’energia di povertà, e questa persona continuerà a fallire nei suoi tentativi di far soldi. Quanto più è forte la credenza che si nasconde tra le pieghe del linguaggio, tanto più le parole che la rappresentano genereranno moti vibratori potenti nel mondo, andando ad attirare vibrazioni analoghe e di pari levatura. La PNL ci ha fornito uno studio approfondito sull’argomento, attraverso la costruzione di un meta-‐modello dettagliato e illuminante per imparare a comprendere veramente noi stessi ed i nostri interlocutori. Portare l’attenzione al linguaggio dell’interlocutore diventa così uno strumento di conoscenza che ci permette di decriptare i significati profondi che stanno dietro alle parole e di avviare conversazioni, confronti e scambi di opinioni da uno spazio di maggior comprensione.
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Molto spesso assistiamo o restiamo coinvolti in prima persona nelle cosiddette “conversazioni tra sordi”. Questa definizione rende bene l’idea di tutte quelle situazioni in cui parliamo ma le parole non arrivano al cuore dell’altro, restano come sospese a metà, e ciò che l’altro risponde spesso sembra non avere nulla a che fare con ciò che noi abbiamo appena detto. Un proverbio popolare recita: “Dove vai?” – “Son cipolle”. Questo viene spesso utilizzato quando si risponde ad una domanda con tutto un altro argomento. Per esempio: “A che ora torni stasera?” – “Vedrò se cenare oppure no.” E’ evidente che un genere di domanda-‐risposta di questo tipo non ha risultati efficaci. Entrambi i soggetti coinvolti non raggiungono l’obiettivo comunicativo. Iniziare ad osservare il proprio linguaggio è il primo passo per l’esplorazione delle proprie profondità e dei pensieri limitanti che molto spesso ci governano senza che noi riusciamo ad accorgerci della presenza di forze vibrazionali capaci di guidare scelte, cambiamenti, relazioni. L’autentica libertà deriva dalla consapevolezza di tali forze, dal riconoscimento di quello che in maniera automatica ci conduce nella vita quotidiana, dalla scoperta di tutte quelle parti di noi celate nell’ombra che lavorano come dei burattinai e che possiamo imparare a vedere attraverso le parole che usiamo tutti i giorni nei vari contesti in cui agiamo. Le persone di norma utilizzano tanti linguaggi. Essendo uno strumento versatile ed estremamente adattabile, il linguaggio cambia a seconda del tipo di interlocutore e a seconda della situazione che stiamo vivendo. Con il nostro datore di lavoro utilizziamo un linguaggio diverso rispetto a quello adottato nelle conversazioni con il nostro amico intimo. E ancora, il linguaggio cambia a seconda del rapporto di confidenza o meno che abbiamo con il nostro datore di lavoro. Per iniziare ad esplorare il proprio linguaggio, ognuno può partire da un contesto, preferibilmente quello più semplice e che genera minori riflessi emotivi, al fine di riuscire a stare più presenti nella situazione. Ad esempio è possibile iniziare ad osservarci mentre parliamo con la panettiera. Potrebbe essere una conversazione banale, priva di risvolti emotivi, ma proprio per questo molto facile da monitorare. Parlando del tempo, potremmo sorprenderci nel dire: “Ah, questa pioggia! Non c’è mai il sole quando desidero andare al mare!”. Oppure, quando arriviamo alla cassa per pagare, potremmo udirci mentre formuliamo una frase del tipo: “I prezzi aumentano tutti i giorni! Di questo passo non ce la farò ad arrivare a fine mese!”. Che cosa possiamo dedurre da queste frasi? Il linguaggio utilizzato denota il pessimismo, fa emergere la paura del futuro, il mondo che dipingiamo con queste parole è tutt’altro che accogliente e armonioso. In entrambe le frasi ci possiamo accorgere della presenza di una generalizzazione, per usare i termini della PNL: si dice che il sole non c’è mai quando si vuole andare al mare, e ancora si dice che i prezzi aumentano tutti i giorni. Ma è davvero così la realtà dei fatti? Se ci fermiamo ed osserviamo ciò che veramente accade, ci possiamo accorgere che tendiamo a distorcere la realtà. Tendiamo a darle una sfumatura di grigio, una pennellata di tristezza. Ecco che possiamo cominciare a porci una domanda: che sensazione provo nel momento in cui dico, e quindi penso, che i prezzi aumentano tutti i giorni? Forse mi si stringe lo stomaco, forse riconosco un moto di angoscia, forse aumenta il battito cardiaco e sento un lieve panico nelle gambe. Se ci permettiamo di rimanere presenti alle nostre sensazioni, riusciamo a cogliere queste piccole vibrazioni interne, che normalmente ci passano inosservate, ma che comunque accadono anche se sotto il livello della coscienza. Un moto di angoscia contrae i muscoli. Il battito cardiaco accelerato provoca maggior pressione sanguigna. Ecco che, seppur impercettibili, queste sensazioni si riflettono sul corpo. Immaginiamo ogni giorno, quante parole e quanti pensieri produce la nostra mente. E proviamo a immaginare il riflesso sul corpo di ogni singola frase simile alle due precedenti. Moltiplichiamolo
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per tutti gli anni di vita in cui abbiamo detto e pensato in quel modo. Possiamo facilmente comprendere che l’utilizzo del linguaggio influenza il ben-‐essere psico-‐fisico dell’organismo. Come possiamo agire, una volta riconosciuta la generalizzazione? E’ importante a quel punto allenarci a formulare la frase in un altro modo. Possiamo dire: “Oggi non c’è il sole. Sarei andata al mare volentieri. Peccato! Sarà per la prossima volta.” E ancora: “Noto che il prezzo del pane è aumentato nell’ultimo periodo. Voglio tenere sotto controllo le mie spese per essere tranquilla di arrivare a fine mese.”. In questo modo c’è il riconoscimento della realtà così com’è nonché il contatto con quello che riguarda la mia situazione specifica. Pronunciare queste due frasi diverse che effetto produce? Quali sono le sensazioni nel corpo e quelle interiori? PARAGRAFO 2 – IL POTERE DELLE RELAZIONI La legge dell’attrazione è universale e si compie in qualsiasi ambito dell’esistenza. La scelta di un partner non è mai casuale. Esiste un livello invisibile di attrazione che sfugge alla mente logico-‐razionale. Quando accade l’incontro con una persona, il corpo per primo si accorge dei moti vibrazionali: le guance diventano rosse, la gola si secca e un tremolio si propaga nelle gambe. Oppure il cuore balza nel petto, lo stomaco si riempie di farfalle. La vibrazione è in atto. Le energie sottili delle due persone sono entrate in risonanza, come la Luna e le maree, come il Sole e i girasoli. L’innamoramento ha origine in questo modo: due campi di onde vibrazionali che si incrociano, prima ancora dei corpi e delle emozioni. Talvolta ci è capitato di chiederci perché ci siamo innamorati proprio di quella persona e non di un’altra. Senz’altro a tutti noi questo interrogativo è spuntato nella mente almeno una volta nella vita. Da un punto di vista più profondo, possiamo diventare consapevoli che ogni incontro e ogni relazione non sono dovuti ad una casualità, bensì ad una sincronicità di eventi, situazioni, momenti che hanno fatto sì che noi fossimo al posto giusto nel momento giusto e di fronte alla persona giusta. La sincronia è una magia dell’esistenza, è un varco verso livelli di coscienza superiori in cui tutto esiste al suo massimo potenziale e tutto può essere creato secondo infinite possibilità di realizzazione. Ci capita quando pensiamo ad un amico e dopo poco lui ci chiama. Ci capita quando siamo motivati verso un obiettivo e accade un evento che ci apre una porta verso il suo compimento. Ci capita quando incontriamo una persona ad un certo punto della vita e non un anno prima o sei mesi dopo. La sincronia di ciò che ci accade sottende alla perfezione dell’Universo, nelle sue molteplici manifestazioni. Ci innamoriamo di chi è giusto e perfetto per noi in un dato momento. Ci innamoriamo di una persona e non di un’altra perché in quel momento quella persona è perfetta per il nostro livello di coscienza e per la nostra evoluzione interiore. La legge dell’attrazione e le sincronicità sono due facce della stessa medaglia. Il nostro cammino è costellato di eventi ed incontri che hanno la finalità di farci conoscere meglio le nostre interiorità, di farci apprendere l’amore e il perdono, la gentilezza e la compassione, l’equità e la pace. Ecco perché ci dirigiamo sempre verso ciò che per noi è perfetto, anche se apparentemente ci sembra una situazione dolorosa che vorremmo cambiare e che non accettiamo. In verità, anche le situazioni dolorose che non vogliamo fanno parte di questo enorme bagaglio di sapienza che costruiamo durante la vita, e ci conducono verso la meta che è uguale per tutti: evolvere la nostra coscienza per aprire il cuore all’amore incondizionato. Il periodo dell’innamoramento ha durata variabile, ma caratteristiche comuni a gran parte delle relazioni, in particolare la sensazione che tutto sembri magico. Gli eventi si accendono con i colori
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più fulgidi, la dedizione all’altro ci dona gioia e benessere, gli occhi brillano al punto che la gente capisce subito appena ci guarda. Dopo qualche tempo c’è un assestamento dell’energia e hanno luogo le prime litigate, le prime incomprensioni, i primi bronci ed i silenzi. Che cosa è accaduto? Siamo caduti nella buca del “condizionamento”. I due partner iniziano a farsi da specchio. Ciò che vedo in te è una parte di me che tengo nell’ombra. Ciò che tu mi fai vedere di me, è troppo doloroso da gestire. Per questo si scende in guerra. Anziché provare ad osservare se stessi nel momento in cui arrivano le ondate di rabbia, di tristezza, di dolore, ci armiamo fino ai denti e pensiamo che sia giunto il momento di combattere fino all’ultimo respiro dell’amore. I territori maggiormente sanguinanti comprendono le lande della gelosia e del senso del possesso, le pianure dell’invidia, oceani di giochi di potere e manipolazioni. Su questi terreni, il linguaggio diventa la spada quando attacchiamo e lo scudo quando ci difendiamo. Eccoci dunque sprofondati nelle situazioni di dolore da cui tentiamo di uscire più in fretta possibile attraverso decine di fughe diverse. Anziché accorgerci che la situazione dolorosa in quel momento è la più adatta per la nostra evoluzione e per scoprire risorse che ancora giacciono addormentate dentro di noi, ci accaniamo con la vita e pensiamo di essere tremendamente sfortunati e ci opponiamo così al fluire della vita, generando ancora più dolore. In tal senso le relazioni sono il campo scuola per eccellenza, in cui abbiamo l’opportunità di conoscerci e di comprendere i nostri meccanismi interiori, le nostre credenze, le nostre ferite, e di guarire così noi stessi entrando in uno spazio di maggior consapevolezza. PARAGRAFO 3 – L’UTILIZZO DEL LINGUAGGIO NELLE RELAZIONI DI COPPIA Nelle relazioni di coppia mettiamo in atto frequenti processi di distorsione/generalizzazione della realtà. Di frequente i partner comunicano in modo inefficace e hanno la sensazione di non capirsi. Ognuno dei due ha ben chiaro il concetto che vuole esprimere, ma sembra che l’altro sia proprio da tutta un’altra parte. Quante volte è capitato di sentire uno dei due accusare l’altro e gridargli “Tu non mi ascolti nemmeno quando parlo!”. Possiamo leggere questa fotografia del rapporto di coppia da un altro punto di vista: quello del linguaggio. Forse abbiamo usato delle parole che hanno un’energia vibrazionale che non risuona con l’altro. Forse abbiamo usato frasi mal costruite, dal contenuto poco coerente con i nostri veri stati d’animo. All’interno delle relazioni si giocano tutti gli automatismi derivanti dalle nostre credenze limitanti contenute nell’inconscio. La relazione diventa un campo di battaglia in cui, armati e ben corazzati, cerchiamo di avere la meglio sull’altro, di farci dare ragione, di ottenere il risultato vincente. Come nel film La guerra dei Roses, diventiamo grotteschi soldati determinati a raggiungere la vittoria, e le nostre armi sono le parole. Nella danza della manipolazione, i giochi di potere abbondano, le ferite aperte sanguinano per molto tempo, e alla fine sul campo restano solo morti e feriti. Nessuno vince, come in tutte le guerre dell’umanità. Cerchiamo di vedere e riconoscere più da vicino gli ambiti in cui il linguaggio potrebbe aiutarci a realizzare una relazione di coppia più fluida e soddisfacente.
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CAPITOLO 2 I GIOCHI DI POTERE:
COME SCOVARLI ATTRAVERSO IL LINGUAGGIO PARAGRAFO 1 – LA GELOSIA E L’INVIDIA Ad un certo punto della relazione, spesso senza sapere bene perché e quando, uno dei due partner o entrambi si trovano invischiati nella melma della gelosia. Le manifestazioni possono essere numerosissime, proprio come sono tante le tipologie di fango. Ci sono donne che non sopportano che il partner abbia amiche femmine. Ci sono uomini che vietano all’amata di uscire da sola. Ci sono donne che esplodono di rabbia se il fidanzato, seppur accidentalmente, posa l’occhio sul sedere di una donna che gli sta di fronte in metropolitana, oppure ci sono uomini che picchiano e offendono la propria moglie se la colgono in fragrante mentre chiacchiera con un vecchio compagno di scuola. Il linguaggio utilizzato in questo genere di sabbie mobili è spesso tremendamente cattivo. Di fronte alla gelosia sorge la rabbia. Il meccanismo di base è il minimo comune multiplo di tutte le storie d’amore che si imbattono nella gelosia: il geloso si sente vittima dell’altro/a, si arrabbia, è triste, piange, si dispera, si arrabbia di nuovo, poi chiede scusa non appena si placa, seppur temporaneamente. Esempio 1 Uomo: “Non provare mai più a contattare quel cornuto del tuo amico!” Donna: “Ma lo conosco da trent’anni e non c’è mai stato niente tra di noi…” Uomo: “Non ti accorgi di come ti guarda sempre? Sei proprio ingenua. Ti mangia con gli occhi! Se non ci stai alla larga ve ne pentirete, tu e lui!”. Esempio 2 Donna: “Cos’hai da guardare? Quella è più bella di me?” Uomo: “Cosa? Non stavo guardando proprio niente.” Donna: “Ah no? Credi che sia scema? Credi che non mi accorga? Le guardi tutte! Tutte sono più belle di me secondo i tuoi occhi!”. Possiamo ricorrere alla PNL per comprendere che queste sono frasi costruite sulla paura, frasi che generalizzano delle situazioni, che generano illazioni e supposizioni su cosa fanno o pensano gli altri, frasi che fanno male sia a chi le formula sia a chi le ascolta. Frasi che non risolvono il problema, bensì inaspriscono la battaglia e aprono ferite nell’Anima. La PNL ci insegna che ciascuno di noi percepisce la realtà esterna con i cinque sensi, e che il modo di percepirla dipende dalle sue esperienze passate, che in qualche modo si sono cristallizzate nell’inconscio e giocano il ruolo centrale anche nel presente. Il nome tecnico di questo meccanismo si chiama Mappa della realtà. E’ come se ognuno vedesse solo alcuni aspetti della realtà che sono quelli che risuonano e vibrano con le proprie esperienze passate, sono quegli aspetti che in qualche modo siamo in grado di riconoscere in modo automatico. Nel primo esempio, abbiamo un uomo e una donna che vedono due realtà diverse, ossia possiedono due diverse Mappe della realtà. E’ un po’ come avere due piantine diverse della stessa città, in cui sono evidenziati in una i monumenti importanti e nell’altra gli alberghi e i ristoranti più famosi. Chi cerca la cattedrale di quella città non può utilizzare la mappa che gli indica dov’è il ristorante cinese più vicino!
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In questo caso l’uomo vede un rivale nell’amico di sua moglie. Lui crede che la guardi sempre in un certo modo, che non si addice ad una donna sposata. C’è un’interpretazione puramente personale di un comportamento, che a sua volta produce una imposizione categorica. O così o ve ne pentirete. L’arma diventa la minaccia. Nel secondo esempio, abbiamo una donna che crede di essere la meno bella di tutte e che induce il pensiero nel compagno. Si attacca ad uno sguardo, magari del tutto casuale, per generalizzare e difendere la sua Mappa della realtà. In nome della difesa della propria Mappa della realtà, che inevitabilmente è diversa da tutti gli altri esseri umani, si giunge ad offendere, imporre condizioni, attuare gesti violenti. La PNL ci aiuta anche a riconoscere i meccanismi profondi che popolano la nostra psiche e di cui noi non siamo coscienti. Portare tali meccanismi in superficie, ci aiuta a riconnetterci con un senso di realtà meno distorto. Come potrebbe cambiare il linguaggio nei due esempi, se ci fosse maggior consapevolezza da parte dei due partner? Esempio 1 Uomo: “Il tuo amico mi mette a disagio. Mi sento in pericolo quando parli con lui.” Donna: “Mi dispiace. Siamo amici da molti anni, io non ho mai avuto interesse per lui, gli voglio un gran bene ma amo te.” Uomo: “Ho come la percezione che ti guardi in un certo modo. Non so, forse lui ti ama o ti ha amato in passato?” Donna: “Questo non lo so. Non si è mai dichiarato. Quello che prova lui non è importante, ma è importante ciò che provo io.” Esempio 2 Donna: “Non so se è stato volontario, ma mi è sembrato che tu abbia guardato quella donna. Ti piace? Io mi sento molto insicura quando guardi le altre donne.” Uomo: “Scusami. E’ una bella donna, ma la bellezza è solo un aspetto esteriore. Io amo te per come sei fatta nella tua interezza.” Donna: “Grazie, lo so. Però molto spesso mi sento più brutta delle altre. Aiutami ad essere più sicura di me!” Che cosa c’è di diverso nel linguaggio di queste due situazioni? C’è che ognuno parla di sé anziché accusare l’altro. C’è che ognuno mette a nudo le proprie vulnerabilità, scopre la propria Mappa della realtà. Se per esempio l’uomo della prima scenetta ha vissuto in passato dei tradimenti dolorosi, nella sua Mappa della realtà c’è la paura di soffrire nuovamente per la stessa causa, c’è il desiderio di difendersi da eventuali contendenti, c’è il sospetto di trame alle sue spalle. Tutto questo può non essere reale, ma poco importa. Lui vive nella sua Mappa, non nella realtà dei fatti. Ma in un caso, si difende attaccando la moglie, senza riconoscere nessun tipo di difficoltà dentro di sé. Tutta la responsabilità è all’esterno e lui è la potenziale vittima di una illusoria situazione che non è ancora avvenuta. Nel secondo caso invece, riesce a riconoscere il suo disagio, la sua sensazione di sentirsi in pericolo, e la comunica con sincerità. E’ una condivisione e non un’accusa. E’ un mettere a nudo una parte di sé, che prima era ben nascosta nel lato ombra della personalità. PARAGRAFO 2 – IL SENSO DEL POSSESSO Tra i numerosi travestimenti dell’amore, esiste il bisogno di possesso. Il linguaggio è quanto mai eloquente: nel parlare comune ci riferiamo al mio fidanzato, alla mia ragazza, a mio marito. Di per sé, l’aggettivo possessivo non è il male peggiore, se viene utilizzato con consapevolezza. Ma nella
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maggior parte delle relazioni, esso sottende qualcosa di molto profondo e radicato nell’inconscio, e cioè il desiderio di rendere l’altro una nostra proprietà. Quando ci innamoriamo di una persona, abbiamo la sensazione che i nostri problemi siano magicamente risolti: la solitudine, le frustrazioni, la tristezza vengono spazzati via per fare spazio a tutta una gamma di piacevoli emozioni di pienezza, incanto, stupore, meraviglia, fibrillazione. Nel grande puzzle della vita, ogni pezzo sembra andare al suo posto e finalmente ci sentiamo vivi e felici. Purtroppo nella fase di innamoramento, molto spesso commettiamo un errore: deleghiamo al nostro partner il potere di renderci felici. Nel sonno dell’incoscienza, siamo profondamente convinti che sia il partner la vera fonte del nostro benessere e della nostra gioia. Le tanto agognate sensazioni di armonia e pienezza sono state raggiunte con l’incontro di qualcuno molto speciale, e da quel momento nelle nostre profondità facciamo un patto con noi stessi per non perderle di nuovo. Le romantiche frasi che gli adolescenti innamorati scrivono sui muri o incidono sugli alberi sono il frutto di questo patto interiore: Alessia & Marco insieme per sempre. Ti amerò per sempre. Nel matrimonio cattolico, c’è l’impegno di fronte al sacerdote di amarsi e rispettarsi finché morte non ci separi. Dentro ognuno di noi c’è il profondo bisogno di sancire l’eternità di un momento che di per sé invece è transitorio. Dire per sempre ci rassicura che non finirà. Ci illude che non perderemo la gioia, il benessere, l’amore. Dichiarare ad alta voce all’altro il proprio impegno ad amare fino alla morte ci mette al riparo dall’incertezza insita nel ciclo della vita. Questa dichiarazione illude la nostra mente e induce noi stessi a crederci incondizionatamente. Da questo spazio illusorio sorge il possesso. Dal momento in cui ci convinciamo che l’amore appena nato è per sempre, l’altro diventa automaticamente nostro. Niente e nessuno ha il diritto di portarcelo via, né lui o lei ha il diritto di andarsene. L’attaccamento al partner finalizzato ad alimentare il bisogno di possederlo genera delle distorsioni spesso dolorose nella relazione. Si perde la capacità di lasciar libero l’altro di fare e di essere ciò che desidera e ciò di cui ha bisogno. Tanto più cresce la paura di perdere l’altro quanto più aumenta il senso del possesso. Di frequente la paura della perdita è del tutto immotivata, ma ciascuno di noi nella propria Mappa della realtà colloca frasi e comportamenti del partner nella zona rischiosa dell’abbandono. Ciascuno di noi attribuisce significati inesistenti al bisogno di libertà dell’altro. E’ così che una semplice cena tra amici può diventare motivo di furiosi litigi, oppure il desiderio di farsi una vacanza da soli è un completo tabù: non si può dire, non si può nemmeno pensare a meno che non siamo disposti a confrontarci con i nostri sensi di colpa. La relazione con il tempo diventa una forma di schiavitù inconsapevole. L’utilizzo del linguaggio rivela la necessità di controllare l’altro affinché non sfugga al nostro possesso, con tutti i mezzi e gli strumenti che ci sembrano adeguati in un dato momento, nonostante possano generare dolore e sofferenza. Esempio 1 Uomo: “Tesoro, sabato ho un torneo di calcetto con i miei colleghi.” Donna: “Sabato?! Ma è l’unico giorno in cui possiamo stare insieme e andare a fare la spesa e magari al cinema! Non avrai già accettato, mi auguro.” Uomo: “Ci andremo un’altra volta. Se non vado non possono giocare, manca il numero per fare le squadre…” Donna: “Cosa mi importa del numero per fare le squadre?! Io non vado a fare la spesa da sola! E non intendo aspettarti tutto il giorno come una scema!”
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Esempio 2 Donna: “Caro, domani sera Vincenza mi ha invitato a cena. Siamo un bel gruppo di vecchie amiche, non ci vediamo da anni!” Uomo: “E me lo dici solo adesso?! Da quanto lo hai deciso? Proprio domani che volevo portarti fuori!” Donna: “Sono mesi che non mi porti fuori… E comunque Vincenza mi ha telefonato questa mattina.” Uomo: “Fai come vuoi, fai sempre come vuoi! Se torni tardi e mezza ubriaca come l’ultima volta io faccio le valigie e me ne vado!” Donna: “L’ultima volta risale a due anni fa e non ero affatto ubriaca!”. Nei due esempi emerge la vibrazione del possesso e del controllo: c’è una sottile induzione del senso di colpa. Si cerca di far rinunciare l’altro rendendoci vittime. Di fronte a questa vibrazione, entra in risonanza il bisogno di giustificarsi, di uscire “puliti” dalla colpa, di dimostrare che non stiamo facendo niente di male. La PNL ci aiuta anche a riconoscere le generalizzazioni in cui tendiamo a cadere quando siamo accecati dal bisogno di possedere: “E’ l’unico giorni in cui possiamo stare insieme”, e ancora: “Fai sempre come vuoi”. Muovendoci nella nostra Mappa della realtà non siamo capaci di lasciare lo spazio ai bisogni dell’altro. Concentrati su di noi e sul senso di disperazione che ci attanaglia quando ci sembra di perdere il controllo, tendiamo a soffocarci a vicenda. Purtroppo questo meccanismo è destinato a generare distruzione e dolore. L’altalena vittima-‐carnefice non ha fine a meno che uno dei due non riesca ad uscire dalla dinamica, a guardarla dall’esterno e ad affrancarsene. Modificando il linguaggio, è possibile parlare da uno spazio più autentico, che tenga conto di sé e dell’altro con rispetto e comprensione. Esempio 1 Uomo: “Tesoro, sabato abbiamo organizzato un torneo di calcetto, io ed i miei colleghi. Sono molto felice di partecipare. Giocare a calcetto mi rilassa e dopo mi sento più carico.” Donna: “Mi dispiace molto che tu giochi sabato. Anche se so che sei felice, non riesco ad esserlo anche io per te, perché so che sarò sola tutto il giorno.” Uomo: “Lo so, provo un sincero dispiacere nel saperti sola. Ma se non andassi per accontentare te, tradirei me stesso e i miei bisogni. Sai che questo mi renderebbe nervoso e ci impedirebbe di passare una giornata piacevole.” Donna: “Certo, ne sono consapevole. Abbracciami e dimmi quanto mi ami!”. Esempio 2 Donna: “Caro, questa mattina mi ha chiamato Vincenza e mi ha invitato a cena da lei domani sera. Tu hai dei programmi?” Uomo: “No. Mi accorgo però che quando esci con le tue amiche mi sento a disagio. Non riesco ad addormentarmi e sono preda di pensieri angoscianti.” Donna: “Questo mi dispiace molto. Ma non c’è differenza tra una cena con le amiche e le tue riunioni domenicali per guardare la partita con i tuoi amici. Sono momenti importanti per ciascuno di noi, che ci permettono di prendere la vita con più leggerezza!” Uomo: “Certo, è vero. Cercherò di scoprire cosa si muove dentro di me quando percepisco questo disagio.”
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Lasciare l’altro libero di essere e di fare è possibile solo se impariamo a lasciare liberi noi stessi di essere e di fare. Di norma, se tendiamo a controllare l’altro come nei primi due esempi, tendiamo anche a sentirci colpevoli quando facciamo qualcosa per noi stessi, con la sensazione di escludere l’altro dalla nostra vita. La società ci rimanda di continuo l’immagine di un modello di relazione del tutto illusorio, in cui i due partner sono felici solo quando si dedicano completamente l’uno all’altro. Il sacrificio è una virtù. La soddisfazione dei propri bisogni è egoismo. L’amore è rinuncia e compromesso. La felicità dipende da quanto l’altro ci dimostra l’amore attraverso la negazione di sé. Non c’è niente di più falso. In una relazione non può esserci espansione e crescita se si lascia spazio al sacrificio di sé. Sacrificare se stessi significa tradire una parte molto profonda di noi stessi, e questo genera frustrazione, tristezza e rabbia. Diventiamo come delle pentole a pressione pronte ad esplodere alla prima occasione in cui ci sembra che l’altro non stia facendo ciò che noi vogliamo o non stia dicendo ciò che noi ci aspettiamo. Io ho rinunciato a una parte di me, e adesso tu non fai la stessa cosa per me? Possiamo accorgerci di questa dinamica attraverso l’osservazione del nostro linguaggio. Ogni volta che tentiamo di far sentire l’altro in colpa per una sua scelta, sappiamo che stiamo scivolando nel possesso. Ogni volta che usiamo parole di controllo e rivendicazione, sappiamo che il possesso è diventato protagonista del nostro film. Allora possiamo fermarci un attimo ed osservarci. Possiamo chiederci perché il comportamento dell’altro ci crea disagio, nella consapevolezza che il disagio è nostra responsabilità e non del partner. Da dove arriva? Quale pensiero lo ha generato? Quale emozione associata al pensiero ci getta nel panico? Se le parole emergono da questo spazio di osservazione, sono più sincere e più autentiche, la loro vibrazione è più elevata. Non c’è il tentativo di far sentire in colpa, bensì l’umiltà di comunicare una nostra difficoltà, che non ha niente a che fare con ciò che l’altro decide di fare o non fare. PARAGRAFO 3 – IL SENSO DI COLPA E LE PASSIONI INDIVIDUALI Il bisogno di possesso è come la testa di una piovra, i cui tentacoli sono numerosi. Uno di questi consiste nell’accanirsi e sminuire le passioni personali del partner. Quando abbiamo bisogno del partner per essere felici e sereni, sviluppiamo una serie di modalità per tenerlo al guinzaglio, per controllarlo e cambiarlo, per fare in modo che abbia occhi solo per noi. Ecco che le passioni diventano una vera e propria minaccia. Se il partner ama giocare a basket, dipingere, collezionare farfalle, correre in bicicletta o ascoltare musica classica, queste attività si trasformano subito in acerrimi nemici, perché sottraggono tempo, spazio e dedizione a noi stessi. Ci sentiamo dire: “Ancora con queste farfalle! Oggi allora non ti vedo tutto il giorno?!” oppure “Domani vorrei andare al mare, è proprio necessario che tu partecipi alla partita di basket?” oppure “Non c’è modo di passare un po’ di tempo libero insieme, sempre con i tuoi quadri! Quella è la tua priorità, non io!”. Ci sentiamo non guardati, non considerati. Non siamo la priorità. E dentro di noi si scatenano forze oscure che risvegliano il senso dell’abbandono, mettono in dubbio il nostro valore (valgono più le farfalle di me? Vale più la bicicletta di me?), insinuano il credo che non siamo degni d’amore se l’altro desidera dipingere anziché passeggiare con noi. In verità, dall’analisi dell’energia vibrazionale del linguaggio, possiamo accorgerci che stiamo di nuovo delegando all’altro la nostra gioia e il nostro potere di renderci felici. In questo meccanismo, chiudiamo gli occhi e non riusciamo più a vedere l’altro per l’Essere meraviglioso che in realtà è, con le sue passioni, i suoi interessi e i suoi desideri, ma lo vediamo come un nemico pronto a fregarci ogni volta che desidera qualcosa di diverso da noi.
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Tale meccanismo è fonte di dolore e risentimento continuo. Amare significa desiderare di vedere l’altro felice nel contempo assumerci la responsabilità della nostra felicità. Nessuno fuori da noi può donarci la felicità. Possiamo solo trovarla dentro di noi. Da un’analisi più profonda, potrebbe emergere un altro modo di comunicare: “So che oggi hai voglia di dedicarti alle tue farfalle. Io ho voglia di passare del tempo con te. Se ti va, proviamo ad organizzarci in modo da trovare un equilibrio? Forse potremmo stare un po’ insieme nel tardo pomeriggio?” oppure “So che oggi hai la partita di basket. Io ho molta voglia di andare al mare. Chiamo Teresa e le chiedo se viene con me. Questa sera ci racconteremo la nostra giornata!” oppure “Quando dipingi per ore, io mi sento messo da parte. So che dipende da me e che non è colpa tua. Però mi piacerebbe condividere con te questa mia sensazione, puoi dedicarmi un paio d’ore oggi?”. In queste frasi c’è rispetto per le passioni dell’altro e c’è rispetto per i nostri bisogni. Troviamo un compromesso vincente per entrambi senza indurre al sacrificio e alla rinuncia di sé. PARAGRAFO 4 – LA DERESPONSABILIZZAZIONE Ogni volta che tentiamo di dare la colpa all’altro o di accusarlo dei nostri malesseri, ci stiamo deresponsabilizzando. La relazione di coppia è come una bilancia, che dovrebbe essere in equilibrio. Quando spostiamo l’ago della bilancia verso il partner, siamo dentro una dinamica di potere in cui cerchiamo di uscire “puliti” e di dipingere l’altro come l’unico responsabile di qualche problema o situazione o stato d’animo. Dentro di noi però questo tentativo di incolpare o accusare l’altro genera solo maggiore sofferenza, perché la responsabilità e il potere interiore viaggiano insieme. Sottraendoci alle nostre responsabilità, perdiamo anche il nostro potere interiore e deleghiamo l’intero pacchetto al nostro partner. Così come il partner ha l’onere della colpa, così ha il potere della nostra felicità. Esempio: Donna: “E’ colpa tua se non riusciamo mai a comunicare perché ogni volta che tento di parlarti tu ti chiudi e non mi lasci lo spazio di esprimermi!” Uomo: “Ecco che ci risiamo, non ne posso più di essere accusato di questo! Tu sai bene che per me è difficile parlarti quando sei arrabbiata.” Donna: “L’unico modo per smettere di essere arrabbiata è che tu mi ascolti, che tu mi capisca e che tu mi lasci esprimere!” Uomo: “Io non sono un robot che puoi attivare a comando!” Quando parliamo, possiamo imparare a portare la nostra attenzione sulle parole che usiamo riguardo alla colpa e all’accusa: frasi come “è colpa tua”, “dipende da se”, “sei tu che sbagli a”, “mi sento sotto accusa quando” rappresentano il primo campanello di allarme del processo di deresponsabilizzazione in atto. E’ un modo per fuggire dalle nostre vere responsabilità, che di norma consistono nel guardare più a fondo dentro di noi. Accorgendoci delle espressioni che usiamo nel linguaggio, possiamo fermarci e scoprire che la bilancia non è più in equilibrio. Nel esempio, la donna tenta di incolpare il marito per la sua rabbia, per la sua difficoltà ad esprimersi, e lo biasima perché non si sente ascoltata e capita. Automaticamente il marito si chiude a lei, si difende dall’attacco, e svicola sempre di più di fronte alle sue pressioni. Cosa potrebbe fare invece la donna dell’esempio? Potrebbe accorgersi che incolpando il marito, perde tutto il suo potere e la possibilità di imparare a gestire la sua rabbia in modo funzionale. Non possiamo aspettarci che qualcun altro ci faccia smettere di essere arrabbiati, è un’illusione. Solo noi possiamo scegliere di andare ad ascoltare la nostra rabbia, di accoglierla e comprenderla, di amarla e di lasciare che ci sia senza giudicarla fino a che si scioglierà lasciando spazio alla
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compassione e all’amore. Questo significa assumerci la nostra parte di responsabilità, lasciando all’altro la sua parte. In questo caso, la responsabilità della donna è di andare a verificare cosa esattamente fa scattare la rabbia e lavorare su quella, per sentirsi più integra: in realtà è lei a non ascoltarsi e a non comprendersi. La responsabilità del marito è di rimanere in osservazione della sua chiusura, per accorgersi dei suoi meccanismi di difesa che bloccano il flusso dell’amore e della comprensione. Analizzare cosa compete a uno e cosa compete all’altro è fondamentale per riportare in equilibrio la bilancia. PARAGRAFO 5 – LE CREDENZE SUI RUOLI MASCHIO-‐FEMMINA NEI COMPITI DOMESTICI Noi tutti siamo Esseri spirituali che stanno sperimentando un’esperienza umana su questa Terra. Pertanto abbiamo bisogno di gestire al meglio gli aspetti pratici e concreti che caratterizzano il piano materiale in cui viviamo. La spiritualità si esprime al meglio nella materia proprio quando lasciamo che i due piani restino in connessione. Alcuni grandi maestri spirituali hanno sostenuto che non serve a nulla rinchiudersi in una grotta per anni aspirando all’illuminazione: la strada è quella della socialità, del rapporto con l’ambiente circostante e delle relazioni, in quanto ci siamo incarnati proprio per apprendere una serie di lezioni in questo grande campo scuola. Nelle relazioni di coppia, soprattutto in convivenza, l’aspetto pratico e materiale è uno dei più delicati ed è importante portare l’attenzione alle modalità con cui viene gestito dai partner. In ogni relazione è possibile costruire un equilibrio nello svolgimento dei compiti quotidiani. Ciò che è equilibrato in una relazione potrebbe essere inconcepibile in un’altra: bisogna costruirlo su misura come un vestito in sartoria. Molto spesso tendiamo a dare per scontato che l’altro si occuperà di questa o di quella incombenza, sulla base di credenze e convinzioni che emergono dalla nostra Mappa della Realtà. Una donna per esempio potrebbe credere che un uomo deve saper cambiare le lampadine e deve saper riparare lo scarico del lavandino se si rompe e deve occuparsi dell’immondizia. Di contro, un uomo potrebbe credere che una donna deve saper stirare camicie e deve saper cucinare e deve saper rammendare le calze. Partendo da Mappe della Realtà strutturate e decise ad un certo punto dell’infanzia, rischiamo di scivolare nell’aspettativa e nella conseguente frustrazione nel caso in cui l’aspettativa stessa venga delusa. Se l’uomo dell’esempio precedente non è capace di riparare lo scarico del lavandino, può ritrovarsi di fronte ad una compagna arrabbiata che lo giudica un inetto. Questo meccanismo nasce dalla mancanza di comunicazione. Esempio: Donna: “Si è rotto lo scarico del lavandino. Dovresti ripararlo.” Uomo: “Non ho mai messo mano ad uno scarico! Chiamiamo un idraulico.” Donna: “Ma che uomo sei? Non sei capace di riparare una cosa del genere?!” Nell’esempio la donna opera una distorsione della realtà: crede che per essere un vero uomo sia necessario saper fare certe cose. Pertanto non si è mai presa la briga di chiedere al compagno se è capace o meno di riparare uno scarico, perché per lei deve essere capace. Supporre che non lo sia è una minaccia alla sua Mappa della Realtà, è un pensiero che non può contemplare a meno di non mettere in discussione una credenza profonda. Nell’ambito della suddivisione dei compiti queste convinzioni portano in genere ad un conflitto più o meno esplicito. C’è chi si arrabbia apertamente, c’è chi cova risentimento e giudizio dentro di sé.
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La mancanza di comunicazione in merito alla suddivisione dei compiti genera spesso un disequilibrio tra i due partner nella mole di lavoro domestico che ciascuno dei due si accolla. Di norma, il partner più debole rischia di accollarsi la maggior parte dei compiti rivestendo il ruolo di “zerbino”. Ancora oggi la nostra società è improntata ad un maschilismo prevalente. Dopo millenni di patriarcato, facciamo ancora fatica a lasciar andare un modello obsoleto e perdente in cui le donne lavorano sia fuori che dentro casa, accudiscono i figli e aspirano ad essere Wonder Woman. In molte relazioni il ruolo di “zerbino” è rivestito dalla donna. Tuttavia può anche esistere il caso contrario. Da un punto di vista più ampio, lo “zerbino” della relazione percepisce poco il proprio valore. Nella sua Mappa della Realtà, troneggiano credenze del tipo: “Le donne devono essere brave mogli. Le brave mogli sanno cucinare e stirare. Io voglio essere una brava moglie perché così sono sicura che lui mi amerà.” Oppure: “Gli uomini devono fare carriera e portare a casa i soldi. Devo lavorare di più, tanto alla casa ci pensa lei, e così le dimostrerò di poterla accudire e di poter accontentare i suoi desideri!”. Seguendo fedelmente queste convinzioni, la donna si ritroverà a cucinare, stirare, pulire la casa anche quando non ha affatto voglia oppure è stanca, e l’uomo diverrà una macchina da lavoro per guadagnare e fare carriera, senza permettersi ferie o momenti liberi. Discostarsi dalla credenza genera paura, perché perdiamo per un attimo il senso dell’identità. Se non sono una brava moglie, allora cosa sono? In verità, è fondamentale iniziare a riconoscere le credenze che ci identificano, in modo da poter fluire con maggior autenticità anche su un piano pratico e materiale della relazione di coppia. La miglior modalità per poter individuare una suddivisione dei compiti armoniosa lasciando andare le convinzioni di come dobbiamo essere o di cosa dobbiamo fare per sentirci adeguati, è quella della negoziazione amorevole. Potrebbe essere d’aiuto stilare una lista dei compiti, che differiscono da famiglia a famiglia a seconda del tipo di lavoro, del tipo di casa (se ha un giardino o meno per esempio), del numero dei figli e dei loro impegni, della presenza di automobili e animali o meno ecc. E’ importante essere il più dettagliati possibile. Per esempio possiamo fare un elenco che comprende le pulizie domestiche, la spesa, la preparazione dei pasti, lo smaltimento della spazzatura, gli impegni dei figli, l’accudimento degli animali. A questo punto, ognuno dei due partner analizza l’elenco e sceglie ciò di cui può occuparsi in via continuativa. La scelta deve basarsi su una sensazione di leggerezza. Se la donna sente pesante stirare, non sceglie quel compito. Se sente invece leggero cambiare le lampadine, sceglie quel compito. Giunti alla fine, ci saranno dei compiti che hanno scelto entrambi, dei compiti che ha scelto uno dei due e l’altro no, dei compiti che nessuno ha scelto. La negoziazione amorevole prevede che ci sia comunicazione libera dal giudizio e dalle credenze. Esempio: Donna: “Abbiamo scelto entrambi di fare la spesa una volta per settimana e di portare il cane al parco la mattina. Può andar bene per te fare una settimana per uno? Quando io faccio la spesa tu porti il cane al parco e viceversa.” Uomo: “Ok, mi può andar bene. Riguardo invece ai compiti che né io né te abbiamo scelto, ti propongo di accollarceli un mese ciascuno. Per un mese io mi occuperò dell’immondizia e del giardino, e il mese successivo lo farai tu.” Donna: “Preferisco suddividerci le settimane e non i mesi, se tu sei d’accordo.”
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Dall’esempio possiamo estrapolare il significato di una negoziazione amorevole. Non ci sono rivendicazioni del tipo “io sono più bravo di te, io so fare più cose di te!”, non ci sono ricatti del tipo “se io faccio questo allora tu devi far quello!”, non ci sono manipolazioni del tipo “se non fai questo allora io perdo la stima per te”. C’è solo uno spazio di presenza in cui i due partner comunicano le loro necessità, ciò in cui si sentono più leggeri e in base a questo propongono e ascoltano ciò che l’altro risponde. La lista dei compiti deve rimanere aggiornata. Ogni volta che un nuovo compito compare, è necessario integrarla e decidere chi se ne prenderà carico. In questo modo è possibile evitare i conflitti e gestire al meglio il tempo e le energie da dedicare ai compiti e a se stessi.
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CAPITOLO 3 CREARE SPAZIO ALL’AMORE CON LA COMUNICAZIONE
PARAGRAFO 1 – LE DECISIONI E LE SCELTE PERSONALI Molto spesso se una persona non percepisce il proprio valore, oppure crede dentro di se di non valere, tale difficoltà inconscia si riversa all’esterno generando una realtà svalutante. Inoltre, di frequente questa persona tenderà a svalutare gli altri per avere l’illusione di accrescere il proprio valore. Purtroppo queste dinamiche sono molto nascoste nelle nostre zone d’ombra, è necessario scovarle attraverso la pazienza e la perseveranza nell’osservare se stessi mentre agiamo e parliamo nell’ambiente che ci circonda. Quando percepiamo poco il nostro valore, l’energia vibrazionale che emaniamo è di sfiducia e attira a se circostanze e persone a loro volta svalutanti. Ci troviamo di fronte persone che non si fidano di noi e che tendono a dimostrarci con le parole quella che è la nostra realtà inconscia: quanto poco valiamo. L’energia che circola all’interno di una relazione dove la fiducia e il senso del valore sono scarsi, è spesso pesante e può degenerare nell’attacco reciproco l’uno verso l’altro. Diventa predominante il bisogno di affermare se stessi a scapito dell’altro, di dimostrare che siamo bravi e che facciamo le cose giuste, di giustificarci di fronte agli errori, di compiangerci oppure di elemosinare disperatamente un po’ di amore. Ci creiamo un film in cui gli attori sono dei guerrieri pronti a morire pur di avere ragione nella falsa illusione di percepire così il loro valore. Giochiamo a braccio di ferro, per testare chi è più forte, chi vale di più. Attacchiamo e ci difendiamo dall’altro senza essere consapevoli che l’altro è solo uno specchio di ciò che si muove nella nostra interiorità, e che è lì per farci scoprire un lato oscuro di noi da guarire attraverso l’espansione della nostra coscienza. Possiamo imparare ad accorgerci della presenza di una dinamica legata alla percezione interiore del nostro valore restando presenti a noi stessi, al nostro linguaggio, alle contrazioni del corpo ogni volta che ci sorprendiamo a difendere e a giustificare un nostro diritto, un nostro bisogno, una nostra scelta, oppure ogni volta che tentiamo di affermarci con la forza e la prepotenza, oppure ogni volta che una scelta dell’altro ci getta nella disperazione e nell’angoscia e ci sentiamo impotenti e sopraffatti dalla sua decisione. Esempio: Uomo: “Oggi mi hanno riconosciuto un aumento dal prossimo mese. Sono così felice e soddisfatto che ho organizzato per stasera una bella cena con i colleghi. Andiamo a festeggiare!” Donna: “Oh, un aumento. Certo, tu puoi permetterti di fare carriera. Non hai da badare ai ragazzi e alla casa. Per me c’è ben poco da festeggiare, non ho nessun aumento e oltretutto passerò una serata da sola come al solito.” Uomo: “Come al solito? Sei tu che hai deciso di licenziarti quando sei rimasta incinta! Avrò il diritto di festeggiare o no?!” Donna: “Fai quello che ti pare, come fai sempre.” Da questo dialogo possiamo osservare come la donna scarichi ogni sua responsabilità sul marito. Magari in passato ha compiuto delle scelte svalutanti per se stessa e negli anni non è stata capace di rivederle e modificarle. Si è adagiata in una situazione di frustrazione perché quella è la realtà esterna che ha creato a causa dello scarso valore che attribuisce a se stessa. Il marito a sua volta si sente ferito dalle sue parole e si difende dall’attacco per proteggere se stesso dal senso di colpa e
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dall’impossibilità di assumersi la responsabilità delle scelte altrui. In questo caso si genera immediatamente una generalizzazione: “come al solito” o “come fai sempre” sono espressioni che indicano una percezione distorta della realtà. Ciò che accade ogni tanto viene espanso al sempre. La generalizzazione produce dentro di noi un senso di oppressione in quanto in quel momento crediamo a quella realtà, crediamo che sia sempre così, e operiamo una distorsione temporale. Nella conversazione esemplificata, il tema del valore emerge in maniera evidente per un orecchio attento al linguaggio. Tra le parole filtra l’energia svalutante. Quando svalutiamo noi stessi a causa del nostro passato, svalutiamo anche gli altri come in un gioco di specchi. Non percepire il proprio valore significa non essere capaci di percepire il valore all’esterno di noi. Non c’è risonanza tra noi stessi e ciò che ha valore. Di frequente, questa difficoltà si articola nei vari ambiti della nostra vita. Oltre alle relazioni che costruiremo con persone che ci svalutano e che noi a nostra volta svalutiamo, senz’altro attireremo situazioni lavorative ed economiche svalutanti. Come la donna dell’esempio che ha scelto di fare la madre senza comprendere che quella è diventata nel tempo una scelta perdente per se stessa: non ha costruito la sua autonomia finanziaria, non ha coltivato una passione lavorativa, non si è realizzata in qualche ambito esterno alla famiglia. Il marito, da parte sua, ha scaricato tutto il disagio familiare nella carriera, cercando di compensare la mancanza nella relazione. Anche questa è una scelta che spesso viene compiuta soprattutto dagli uomini, ma che lascia comunque un vuoto interiore. Compensare con il lavoro è una falsa illusione perché provoca un enorme dispendio di energia nel “fare”: tentare di dimostrare il proprio valore a se stessi e agli altri attraverso il lavoro, facendo carriera, guadagnando di più, rivestendo ruoli sempre più importanti, nasconde spesso un sottile senso di non valore, che viene messo a tacere e combattuto proprio dicendo a se stessi: “Vedi come sono stato bravo nel lavoro? Allora io valgo!”. In verità, è possibile realizzarsi nel lavoro a prescindere dalla carriera e dalla posizione di prestigio. E’ possibile amare il proprio lavoro se amiamo noi stessi e seguiamo le nostre intuizioni, le nostre passioni e i nostri talenti. Per far questo, dobbiamo imparare a percepire il nostro valore interiore a prescindere da ciò che facciamo di mestiere o da chi abbiamo come partner. Il nostro valore è semplicemente una sensazione interiore, esiste solo perché esistiamo come esseri umani. Imparando a percepire il nostro valore, non avremo più bisogno di sminuire il partner, di sentirci vittime delle sue scelte, di imporgli le nostre scelte giustificandoci, ma riusciremo a comunicargli con amore i nostri bisogni, provando compassione se il partner è dispiaciuto, perdonando chi non è d’accordo con noi, amandoci per ogni singolo gesto benefico che faremo verso di noi. E’ solo così che possiamo espanderci ed amare veramente l’altro. Esempio: Uomo: “Tesoro, oggi mi hanno riconosciuto un aumento! Sono così felice! Stasera ho organizzato una cena con i colleghi per festeggiare. Voglio festeggiare anche con te, perché è anche grazie a te che ho potuto ottenere questo aumento.” Donna: “Sono molto felice per te. In passato ho scelto di non lavorare per occuparmi dei ragazzi. So che al momento è stata la scelta più adeguata per me. Adesso non lo è più, e ho deciso che voglio rimettermi in gioco! Quindi dobbiamo festeggiare due cose, non una!” Questo dialogo può essere frutto di scelte consapevoli che tengono conto del nostro valore come esseri umani e dell’amore per noi stessi. E tutto ciò si riflette in maniera positiva nella relazione perché genera una maggior fiducia e stima verso l’altro. Cambiando la realtà interiore, possiamo cambiare la nostra realtà esterna.
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PARAGRAFO 2 – COSTRUIRE IL PROPRIO SPAZIO SACRO Nella relazione è importante ritagliare dei momenti per se stessi in cui rigenerarci e concentrare le energie sulla nostra vita. Lo spazio sacro è composto da questi momenti. Ognuno di noi è diverso, ed ha bisogno di diverse quantità di tempo da dedicare allo spazio sacro. Rispettare questa esigenza è fondamentale per portare avanti una relazione sana ed amorevole. Dal punto di vista della PNL, possiamo far questo quando impariamo a comunicare con amore il nostro bisogno di spazio. Anziché rinunciare per mesi e poi scoppiare un bel giorno dicendo: “Basta! Adesso mi prendo del tempo per me! Hai voglia di piangere o di urlare! Questo week end non mi vedrai!”, è molto più sano riconoscere di volta in volta questo bisogno e condividerlo con il partner: “Sento la necessità di prendere del tempo per me stesso. So che puoi comprendere perché anche tu ne hai bisogno. Desidero passare questo week end da solo, a passeggiare nei boschi. Dopo sarò più carico e più felice di amarti!”. Ciò che sfugge alla nostra coscienza è proprio il fatto che nutrendoci nello spazio sacro, saremo più nutrienti a nostra volta nella relazione e nei confronti del partner. Non togliamo niente all’altro, anzi, aggiungiamo energia e serenità, che sono ingredienti fondamentali nella relazione. Riconoscere e onorare i propri bisogni richiede un costante lavoro interiore sulla percezione che abbiamo del nostro valore. Più siamo in contatto con il nostro valore, più siamo capaci di ascoltare i nostri bisogni e di sentirci in diritto di soddisfarli, senza provare senso di colpa, vergogna, paura di deludere l’altro. Quando emergono senso di colpa, vergogna, paura, vuol dire che non ci sentiamo degni di donare qualcosa a noi stessi, non ci sentiamo degni di ricevere né di perseguire il ben-‐essere. In tal caso, tenteremo di rivendicare il nostro spazio sacro a discapito del partner, affermandoci con prepotenza, rabbia, violenza, oppure rinunceremo al nostro spazio sacro sentendoci frustrati e scontenti. Entrare in contatto con il nostro valore ci permette di riconoscere anche il valore intrinseco del partner e di tutte le persone che ci circondano. Questo riconoscimento genera amore. Essere consapevoli del nostro valore significa saper amare noi stessi e di conseguenza saper amare gli altri in modo incondizionato, cioè per come sono e non per cosa fanno o per come dovrebbero essere. Si spezza il giudizio, muoiono le aspettative. Possiamo imparare a percepire il nostro valore proprio passando all’azione ogni volta che sentiamo l’esigenza di rifugiarci nel nostro spazio sacro, esercitandoci a comunicarlo al partner con amore e sincerità. Il linguaggio sincero e amorevole è la via per l’equilibrio e la serenità della relazione. Comunicare all’altro un nostro bisogno in modo amorevole, significa assumersi la responsabilità di soddisfare quel bisogno da soli, senza spingere o costringere l’altro a soddisfarlo al posto nostro. Per esempio, nel caso in cui una donna abbia voglia di andare al cinema, può comunicare al compagno questo suo bisogno, lasciandolo libero di scegliere se andare con lei oppure no. A lei potrebbe far piacere essere accompagnata, ma quando prova frustrazione e rabbia se il compagno desidera fare altro, significa che si era costruita un’aspettativa: non sentendosi sufficientemente meritevole di godere di un bel film, ha scaricato sull’altro la sua incapacità di provvedere da sola ai propri bisogni. In questo caso, per lei è utile passare all’azione: nonostante la frustrazione, nonostante la scelta contraria del compagno, lei può scegliere di andare comunque al cinema, di assaporarsi un film che le piace, restando in contatto con le sensazioni piacevoli che questo le provoca. Mantenendo l’attenzione cosciente sul piacere di guardare un bel film, sulle emozioni che questo provoca, può scoprire un calore interiore, un amore per se stessa che la nutre e la gratifica. E in questo modo accresce la sua percezione del proprio valore. Può essere utile svolgere un esercizio quotidiano di riconoscimento dei propri bisogni. Possiamo ricavarci dieci minuti ogni mattina per concentrarci su di noi e stilare una lista di cose da fare che ci danno ben-‐essere e che generano in noi una sensazione di “sazietà” interiore.
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Dal punto di vista del linguaggio, è importante usare delle frasi chiare, positive ed espresse al tempo presente. Per esempio: “Oggi voglio concedermi un’ora alle terme” oppure “Oggi desidero leggere al parco dopo il lavoro”. Sono da evitare le frasi espresse in forma negativa tipo “Oggi non voglio andare a fare la spesa”. Questo non è riconoscere un bisogno. Piuttosto possiamo scrivere “Oggi voglio rimandare la spesa ad un altro giorno”. Ogni mattina possiamo scrivere questo elenco e poi scegliere una, due o tre cose da mettere in pratica. Alla fine della giornata possiamo verificare questa esperienza: come ci siamo sentiti nel concederci il nostro spazio sacro? Quali sono state le sensazioni e le emozioni che abbiamo provato? All’inizio potrebbero esserci sia la gioia e il nutrimento sia il senso di colpa o altro. Va bene. Lasciamo che ci sia questo mix di emozioni e continuiamo il nostro lavoro. Con il tempo questo esercizio ci permette di accrescere il contatto con il nostro valore, ci permette di amarci un po’ di più ogni giorno. Nella relazione possiamo condividere questa esperienza quotidianamente, oppure con cadenze settimanali. Per esempio possiamo raccontare al partner che cosa scriviamo nella nostra lista e che cosa decidiamo di mettere in pratica, possiamo illustrargli le nostre sensazioni e come ci siamo sentiti all’interno del nostro spazio sacro. Non possiamo sapere come lui o lei ci risponderanno, cosa proveranno a loro volta. Forse potrebbero sentirsi messi da parte, forse potrebbero essere felici per noi. Questa è la loro parte di responsabilità e non possiamo assumercela per loro. Se il partner si sente messo da parte quando noi scegliamo lo spazio sacro, questo è un suo problema. E’ una sua dinamica da osservare e sciogliere. La cosa fondamentale è comunicare con amore le nostre esigenze in modo che l’altro si senta comunque partecipe. PARAGRAFO 3 – LA FIDUCIA E L’AUTOSTIMA Il linguaggio utilizzato nella relazione ci fa comprendere se esistono stima e fiducia reciproche. La mancanza di fiducia nei confronti del proprio partner è in realtà un’illusione in quanto deriva dalla mancanza di fiducia in se stessi. Per la legge dell’attrazione, una persona con scarsa autostima e difficoltà a fidarsi della propria saggezza, attirerà a sé persone che tenderanno a tradire ulteriormente la sua fiducia, a screditare ancor più la sua autostima. Quando incontriamo un partner che ci tradisce con qualcuno, dobbiamo innanzitutto chiederci se la nostra autostima, il nostro valore, la fiducia in noi stessi è ben radicata o meno. Scopriremo che siamo noi i primi a non credere in noi stessi, e di conseguenza generiamo una realtà che ce lo conferma. Molto spesso nelle relazioni la fiducia è un elemento mancante a prescindere dal reale comportamento del partner. Un uomo potrebbe non aver mai realmente tradito la sua compagna, eppure lei potrebbe comunque non avere fiducia, potrebbe essere sospettosa e vedere un pericolo in ogni azione che lui compie. Ci sono situazioni in cui viene anche violata la privacy dell’altro per poter placare la paura generata dalla scarsa fiducia: controllare mail, sms, facebook, rovistare nelle tasche, in macchina, nell’agenda alla ricerca di una prova concreta che conferma i sospetti. E’ paradossale il fatto che spesso, nonostante questa conferma non venga trovata, si continua a cercare e a sospettare. Allora perché? Questo dimostra che in realtà il problema è dentro ognuno di noi, ed è legato alla fiducia che nutriamo per noi stessi. Chi non si sente amabile, degno di ricevere, chi non percepisce il proprio valore e la propria autostima, nel suo inconscio ospita credenze profonde del tipo: “Io non merito di essere amato, il mio compagno quindi non può amarmi veramente, prima o poi troverà un’altra” oppure “Io non valgo abbastanza, la mia compagna incontrerà qualcuno migliore di me”. Queste credenze ci fanno vivere nella paura, nel sospetto, nella sfiducia. Abbiamo una paura costante di essere traditi, abbandonati, presi in giro, oltraggiati. E visto che questo materiale emozionale risiede nell’inconscio, non sappiamo che dipende da noi e tendiamo a scaricare la
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colpa e la responsabilità sul partner. Ogni gesto, ogni sguardo, ogni parola vengono interpretate alla luce di questo, e diventano potenziali prove da usare per dimostrare che abbiamo ragione. “Ecco, vedi, lo sapevo, la sua amica gli ha scritto un sms, adesso chissà cosa succederà” oppure “Preferisce le amiche a me, io lo dicevo che non posso fidarmi quando mi dice che mi ama!”. La strada da imboccare per uscire da questa dinamica è quella dell’osservazione consapevole. Se ogni volta che sorge dentro di noi un pensiero sospettoso caratterizzato da un linguaggio ostile e pieno di paure, possiamo fermarci ed ascoltare questo campanello di allarme. Solo così possiamo lasciar emergere dal nostro inconscio la struttura profonda delle credenze limitanti che minano la nostra fiducia ed autostima: esse si trasformano in frasi e pensieri svalutanti, pieni di visioni catastrofiche del futuro, di insicurezza e pessimismo. Osservando i pensieri che si affacciano alla nostra mente, come sono formati nel linguaggio, come vengono formulati e ripetuti nel tempo, ci riappropriamo di una visione più obiettiva e possiamo comprendere con maggior chiarezza la fonte della mancanza di fiducia negli altri.
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CAPITOLO 4 LINGUAGGIO AUTENTICO
PER UNA RELAZIONE AUTENTICA PARAGRAFO 1 – OSSERVARE CIO’ CHE E’: L’ATTENZIONE E L’INTENZIONE Come abbiamo già accennato nei precedenti capitoli, esiste una strada per uscire dalle dinamiche perdenti che si instaurano nelle relazioni: imparare ad osservare ciò che accade, ossia restare presenti e consapevoli di fronte agli eventi, ai pensieri, agli stati d’animo attraverso l’utilizzo dell’attenzione e dell’intenzione. La nostra mente è una macchina perfetta, una fonte inesauribile di stimoli e soluzioni, bisogna solo imparare ad utilizzarla al nostro servizio e smettere invece di esserne schiavi. Quando lasciamo che la mente prenda il sopravvento ci ritroviamo nel caos dei pensieri, che si presentano a noi con ritmo incessante, e crediamo a tutto ciò che emerge sotto forma di convinzioni, credenze, luoghi comuni, affermazioni ecc. La mente produce continuamente giudizi, tende a predire il futuro, a riportarci nel passato, a categorizzare, fare ipotesi, congetture e strategie. Se noi non ci svegliamo e ci lasciamo trasportare da questo incessante chiacchiericcio di sottofondo, perdiamo la nostra energia creativa, ci allontaniamo dalla nostra saggezza e dalla possibilità di attuare scelte autentiche e funzionali per noi. Se iniziamo ad osservare i processi mentali possiamo invece scorgere le programmazioni che sono state inserite all’interno della nostra mente, proprio come fosse un computer. Da piccoli, veniamo educati in base ai valori e alle convinzioni della nostra famiglia, della scuola, della religione che caratterizza il nostro luogo di nascita, della società in generale in cui viviamo. Tutto questo genera dei programmi mentali che condizionano la nostra Mappa della Realtà, per cui noi scambiamo la Mappa per il Territorio, ossia crediamo che i nostri programmi siano la realtà oggettiva e tutto ciò che devia dai nostri programmi genera in noi dolore, frustrazione, malessere. Ad esempio, una donna potrebbe esser stata programmata per diventare una brava madre. Nella sua famiglia, a scuola, in parrocchia, l’addestramento alla vita prevedeva frasi del tipo “Una donna non si realizza se non fa dei figli”, “Una donna senza figli è incompleta, non vale niente”, “Avere dei figli è la gioia più grande per una donna” e così via. Queste frasi sono entrate nelle sue viscere, sono diventate nel tempo una convinzione profonda per lei. Attraverso il linguaggio, dentro di sé ha costruito una mappa della realtà che prevede questo programma, per cui lei crede di dover essere una madre per potersi realizzare nella vita. Se da adulta dovrà compiere delle scelte in merito alla carriera, tenderà a mettere da parte le sue abilità e ambizioni per accudire i figli; se magari non riuscirà ad averne, si sentirà completamente svuotata del suo valore, avrà la percezione di non essere nessuno. Per poter riconoscere il meccanismo sottostante, è necessario che questa donna porti la sua attenzione ai pensieri che emergono in merito al tema della maternità. Così può pian piano riconoscere il programma mentale che ha scelto di inserire nel suo inconscio da piccola e una volta riconosciuto potrà lasciarlo andare nella comprensione che non necessariamente è un suo pensiero. La sensazione di libertà che deriva da questo processo di riconoscimento è immensa. Il cammino per imparare l’osservazione consapevole può partire dal linguaggio. Possiamo cioè cominciare a direzionare la nostra attenzione verso l’uso che facciamo delle parole, con l’intenzione di ascoltarle senza giudizio. Osservare il nostro linguaggio superficiale, che consiste nelle parole utilizzate, nelle frasi che formiamo durante le conversazioni con gli altri, ci è molto utile per riconoscere la struttura profonda che si nasconde dietro al linguaggio stesso. Nell’esempio precedente, il linguaggio superficiale della donna nell’ambito di una conversazione con una sua amica potrebbe essere:
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“Mio marito ha ottenuto una promozione in azienda. Beato lui! Io mi sono sempre sacrificata per crescere i ragazzi e a cinquant’anni mi ritrovo a fare la commessa in un discount… Avrei tanto voluto studiare grafica pubblicitaria, quella era la mia passione!” Osservare ciò che è, nell’esempio specifico, significa portare la propria attenzione a queste frasi, senza giudicarle giuste o sbagliate, senza cercare un significato con la logica e la razionalità. Significa respirare, centrarsi nel proprio cuore, e guardare le parole scorrere come su uno schermo. Ad un certo punto potrebbe emergere una sensazione o un’emozione (per esempio una certa oppressione, oppure rabbia, oppure tristezza). Possiamo restare presenti anche all’emozione o alla sensazione, osservarle, accoglierle dentro di noi. Ecco che con la presenza consapevole di fronte a tutto questo materiale interiore, possono emergere intuizioni del tipo: “Ecco! In passato ho fatto una scelta che non volevo fare!” oppure “Mi sono sacrificata perché credevo di dover fare solo la mamma”. L’ampliamento della consapevolezza in merito a come compiamo le nostre scelte e a come ci relazioniamo con gli altri ci permette di conoscerci meglio e di trasformare il nostro futuro in modo più funzionale per noi. Osservare dirottando l’attenzione in modo intenzionale rende la nostra mente più libera, più lucida, più chiara, e ci aiuta a riscoprire le nostre doti intuitive, la nostra saggezza interiore. PARAGRAFO 2 – IL POTERE DELLA NOSTRA RESPONSABILITA’ INTERIORE Prendere coscienza dei nostri processi inconsci e delle credenze che hanno condotto la nostra vita, significa ad un livello profondo riuscire ad assumerci le nostre responsabilità smettendo di attribuirle agli altri. Il concetto di responsabilità è diverso dal concetto di colpa. La colpa implica una sorta di “peccato”, qualcosa di sbagliato che abbiamo fatto e per il quale proviamo rimorso o dispiacere. Il senso di colpa infatti, già ampiamente trattato in precedenza, deriva dal sentirsi in errore, in difetto, dal credere di non aver compiuto la giusta azione o di non aver detto le giuste parole. La responsabilità invece è qualcosa di proattivo. Quando ci assumiamo le nostre responsabilità, significa che prendiamo in mano la situazione ed osserviamo in modo imparziale e non giudicante ciò che è accaduto e ciò che abbiamo fatto o detto. Comprendiamo l’errore ma sappiamo anche perdonarci. Interiormente, ci prendiamo carico di noi stessi e delle nostre azioni senza necessariamente sentirci in colpa. Può dispiacerci per l’altra persona, può esserci dolore, però c’è la consapevolezza che possiamo sbagliare e che l’errore è esperienza e veicolo di apprendimento. Assumerci la responsabilità di noi stessi significa inoltre smettere di proiettare sugli altri. Negli esempi fatti nei precedenti capitoli, abbiamo visto come spesso accusiamo l’altro di non essere come vorremmo, di fare cose che non desideriamo ecc. Questo provoca un enorme dispendio di energie inutilmente, e non è funzionale né per noi né per una relazione. Smettere di proiettare sull’altro significa imparare a riconoscere i nostri meccanismi interiori di reazione e quindi a comprendere che l’altro non c’entra con le nostre dinamiche. Ognuno di noi ha una parte di responsabilità che gli compete, la cosa fondamentale è individuale la parte che spetta a noi e la parte che spetta all’altro. Noi possiamo agire solo sulla parte di nostra competenza. Riconoscere la responsabilità di noi stessi e della nostra vita significa farsi carico al 100% di noi stessi, delle nostre scelte, dei nostri errori, sia dal punto di vista finanziario e lavorativo sia dal punto di vista relazionale. Questo ci permette di entrare in contatto con il nostro vero potere. Ci permette di uscire dal ruolo di “vittima” e di diventare artefici della nostra vita. Il potere interiore è qualcosa di profondo che possiamo sentire solo noi dentro di noi, non ci viene attribuito dall’esterno, ma è una sensazione precisa che apre il cuore e ci dona una grande forza. Il potere interiore ci permette di avere il coraggio di essere autentici, cioè di scegliere e di agire da
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uno spazio di verità interiore, in modo da poter rimanere integri nei nostri valori, nei nostri sogni, nei nostri bisogni. Essere autentici significa essere liberi dai condizionamenti, dalle credenze, dal giudizio, dalla manipolazione. Significa condurre una vita leggera, in cui ogni scelta è dettata dalla nostra saggezza interiore e non dai pensieri, in cui ci approcciamo agli altri e al mondo da uno spazio di amore e compassione. PARAGRAFO 3 – IL PERDONO E L’AMORE INCONDIZIONATO Quando siamo liberi possiamo perdonarci e amare in modo incondizionato. Se non abbiamo più bisogno di incolpare gli altri per le nostre dinamiche, se non abbiamo più la necessità di credere che siano gli altri a darci addosso, se non occorre più restare nel ruolo della vittima, allora acquisiamo la capacità di osservare il mondo da un’altra angolazione. Riusciamo ad amarci e ad amare gli altri con una qualità diversa. L’amore incondizionato è la vibrazione più alta, la frequenza più preziosa che permea tutto l’universo. E’ energia creativa, energia di guarigione, energia calda ed avvolgente. Riuscire a perdonare noi stessi nella consapevolezza che gli errori sono solo evolutivi, ci permette di perdonare anche gli altri per i loro errori e di amarli così come sono, senza desiderio di farli cambiare o di renderli “adatti” a noi. Questo ci permette di vedere la perfezione di ogni cosa, anche degli eventi più spiacevoli. Tutto è perfetto perché ha un fine evolutivo. Tutto è perfetto perché ciò che accade ha un significato molto più profondo, legato alle esperienze che noi dobbiamo apprendere su questo pianeta. Noi non siamo esseri umani con esperienze spirituali, ma siamo esseri spirituali che stanno facendo un’esperienza umana. Per questo siamo qui sulla Terra: abbiamo bisogno di imparare delle lezioni per sviluppare tutte queste qualità dell’anima, come la compassione, la gentilezza, l’amore incondizionato, la grazia, il perdono. Attraverso numerose esperienze e numerose vite, possiamo apprendere queste meravigliose qualità e ritornare così ad essere Uno con l’intero universo. Le relazioni ci permettono di amplificare e di accrescere queste esperienze, perché è proprio nel confronto con l’altro che possiamo imparare a guardarci, a scoprirci, a liberarci delle credenze, a perdonarci e ad assumerci le nostre responsabilità. Il linguaggio è uno strumento importantissimo da usare in questo processo di apprendimento, perché è il canale primario di relazione con gli altri, è ciò che emerge in forma fisica di quelle realtà sottili che abitano dentro di noi e che si manifestano con i pensieri e le emozioni. E’ la traduzione del nostro inconscio. Osservare il linguaggio, imparare a decifrarlo, sentire le sue vibrazioni, è la strada maestra per poter condurre la nostra consapevolezza oltre la mente razionale, in modo da intraprendere il viaggio più importante di tutti: quello dentro di noi.