PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

127
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI VERONA FACOLTÀ DI ECONOMIA CORSO DI LAUREA IN ECONOMIA DEL COMMERCIO INTERNAZIONALE TESI DI LAUREA PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE/ABBIGLIAMENTO Relatore: Ch.mo Prof. GIOVANNI TONDINI Laureando: GIOVANNI CAROLLO Matricola n. VR063004 ANNO ACCADEMICO 2008 – 2009

Transcript of PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

Page 1: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI VERONA

FACOLTÀ DI ECONOMIA

CORSO DI LAUREA IN ECONOMIA DEL COMMERCIO INTERNAZIONALE

TESI DI LAUREA

PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL

TESSILE/ABBIGLIAMENTO

Relatore:

Ch.mo Prof. GIOVANNI TONDINI

Laureando:

GIOVANNI CAROLLO

Matricola n. VR063004

ANNO ACCADEMICO 2008 – 2009

Page 2: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

2

Page 3: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

3

INDICE

Introduzione 1

Parte I: Un’analisi macroeconomica

Capitolo 1. Il settore del Tessile e Abbigliamento 5

1.1. Struttura e geografia del settore 6

1.2. Il modello delle oche volanti 13

1.3. Il modello gravitazionale e il fattore “distanza” 16

1.4. La liberalizzazione del settore 20

1.5. Rigurgiti protezionistici 24

Capitolo 2. L’impatto della liberalizzazione 27

2.1. Gli effetti a livello mondiale 27

2.2. Il GAFTT 37

2.3. Gli Stati Uniti 39

2.4. L’unione Europea 45

2.5. La reazione europea 50

2.6. La Cina 54

Parte II: Un’analisi microeconomica

Capitolo 3. Il caso italiano 63

3.1. Il T/A in Italia 63

3.2. La realtà della PMI 69

Capitolo 4. Strategie di internazionalizzazione per la PMI 75

4.1. I motivi dell’internazionalizzazione 75

4.2. Pianificazione strategica dell’internazionalizzazione 78

Page 4: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

4

Capitolo 5. Il caso Bailo Spa 89

5.1. La storia 89

5.2. L’azienda oggi 94

5.2.1. Aspetti societari 94

5.2.2. Il mercato di riferimento 96

5.3. Strategie di internazionalizzazione a confronto 105

Conclusioni 115

Bibliografia e risorse web 121

Page 5: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

1

INTRODUZIONE

Il Tessile e Abbigliamento (d’ora in poi, T/A) è uno dei settori che maggiormente

alimenta il commercio internazionale, rappresentando circa il 6% del totale delle

esportazioni a livello planetario.

Si caratterizza per la presenza di una lunga e variegata filiera di attività tra loro

complementari, localizzate in svariate aree geografiche in funzione della presenza di

vantaggi comparati e che, interagendo tra loro, danno vita ad un intenso flusso di

scambi internazionali, laboratorio ideale per uno studio sul commercio estero.

La progressiva liberalizzazione del settore in atto dalla nascita del WTO a oggi ha

profondamente ridisegnato la cartina geoeconomica, spostando sempre più il

baricentro della produzione verso i paesi emergenti dell’Asia, primo fra tutti la Cina,

ormai leader mondiale indiscusso nel settore abbigliamento e player di rilievo nel

tessile.

Il “migrare” della produzione in direzione del Sud Est Asiatico ha condizionato

l’attività dei protagonisti lungo tutta la filiera. Dai produttori di filati e tessuti,

costretti a rivedere e rafforzare i propri fattori critici di successo e vantaggio

competitivo, alle imprese di abbigliamento, che hanno dovuto adeguare il loro

modello di business alla maggiore complessità intrinseca nella gestione di rapporti

commerciali con partner situati in aree geografiche anche molto lontane.

Come osserva Michele Tronconi, Vice Presidente di Sistema Moda Italia, il T/A è un

iceberg di tante e diversificate imprese che concorrono a formare una filiera completa,

di cui i grandi marchi, che si muovono con successo a livello internazionale, sono

solo la punta più visibile.

Page 6: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

2

Infatti, a fronte di un alto indice di internazionalizzazione dei comparti del T/A, a cui

fa seguito un alto grado di complessità insito nel confrontarsi con un mercato globale,

il settore si caratterizza per essere composto principalmente da imprese di dimensioni

medio-piccole, il che rende pressante la necessità di implementare strategie adeguate

per reggere la sfida globale, per far sì che la mano invisibile del mercato si traduca in

un’opportunità di sviluppo piuttosto che in una minaccia di estinzione.

Al fine di una chiara esposizione dei temi dello studio, la tesi è stata organizzata in

due parti: nella prima parte verrà delineata la cornice macroeconomica entro cui si

collocano i fenomeni oggetto di analisi, partendo da un quadro sulla regolamentazione

del commercio internazionale in generale, seguito da un focus sugli aspetti negoziali

inerenti allo specifico settore del T/A; nella seconda parte si daranno delle indicazioni

di natura microeconomica in relazione alle diverse strategie attuabili dalla piccola e

media impresa operante nel T/A in risposta agli stimoli evoluzionistici in atto nel

settore e, a titolo di esempio, si citerà il caso della Bailo Spa, piccola impresa italiana

che opera da più di trent’anni nel settore dell’abbigliamento sportivo da montagna e

che, come vedremo, ha saputo rispondere alla sfida lanciata dall’apertura dei mercati,

creando un mix di strategie di internazionalizzazione.

Page 7: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

3

Parte I

Un’analisi macroeconomica

Page 8: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

4

Page 9: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

5

Capitolo 1. Il Tessile e Abbigliamento

Alla data del 2003 il commercio di tessile e abbigliamento rappresentava il 5,7% delle

esportazioni mondiali. In 40 anni, il commercio mondiale di T/A è aumentato di più

di 60 volte (più del commercio di tutte le altre merci, che è aumentato di 48 volte),

passando da meno di 6 miliardi a 342 miliardi di USD nominali1.

Tale crescita ha riguardato principalmente il comparto dell’abbigliamento. Negli anni

’60, infatti, il valore del commercio mondiale di tessile era doppio rispetto a quello di

abbigliamento. Negli ultimi 40 anni il settore abbigliamento è aumentato di 128 volte,

contro le 36 del tessile.

Di conseguenza oggi il T/A è costituito per il 60% dall’abbigliamento e per il 40% dal

tessile2 (v. Figura 1.1).

Figura 1.1. La ripartizione del settore T/A nei due comparti

1 Commission Staff Working Paper, “Evolution of trade in textile and clothing worldwide – trade figures and structural data”, Commission of the European Communities, Bruxellels, 21/11/2003. 2 Ibidem.

Page 10: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

6

La dimensione dell’aumento del commercio internazionale dei prodotti del T/A,

avvenuto pur in presenza di restrizioni quantitative agli scambi, può spiegare le

motivazioni alla base del ricorso a politiche economiche di stampo protezionista

adottate dagli stessi paesi membri degli accordi GATT, in deroga ai principi libero-

scambisti di riferimento. Vedremo, infatti, nel corso della trattazione, che il settore del

T/A ha rappresentato un’eccezione alla regola generale tesa all’abbattimento delle

barriere agli scambi tra le Nazioni.

Oggi, nonostante sia stato seguito un percorso diverso rispetto alle altre industrie,

anche il T/A è giunto all’appuntamento con il libero scambio, ed è ora anch’esso

assoggettato alle regole del GATT, a seguito del recente processo di liberalizzazione.

1.1. Stuttura e geografia del settore

Il T/A è un settore composto da molteplici attività svolte lungo una complessa filiera

produttiva ed è caratterizzato dalla frammentazione del processo di produzione in

funzione dei relativi vantaggi comparati. La filiera comprende svariate attività:

dall’estrazione e lavorazione della materia prima, passando per l’industria del filo,

del tessuto, dell’abbigliamento, fino a raggiungere il consumatore finale mediante il

canale distributivo (v. Figura 1.2)

Page 11: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

7

Figura 1.2.: La catena del valore nel settore del Tessile e Abbigliamento

Fonte: The Global Textile and Clothing Industry post the Agreement on Textile and

Clothing, H.K. Nordas, WTO.

Per facilitare la comprensione delle diverse attività di filiera, prendiamo l’esempio di

uno dei capi più semplici da produrre: la t-shirt.

La produzione di una maglietta è resa possibile dalla realizzazione di una serie di

attività, ognuna delle quali è indispensabile all’intero processo. Se volessimo andare

oltre l’apparenza, ogni volta che entriamo in un negozio e vediamo una t-shirt su un

appendino, “dentro” di essa dovremmo riconoscere:

• La produzione di fibre naturali (per esempio la coltivazione di cotone, quindi

attività agricola) o la produzione di fibre artificiali (per esempio derivanti dal

riciclo del PET);

• La preparazione del filato e del tessuto (attività capital-intensive);

• L’assemblaggio (taglio-confezione) del tessuto e degli accessori per la

produzione del capo finito (attività labour-intensive);

• L’attività di retailing del capo finito (in genera esercitata dal titolare del brand,

attraverso diverse strategie distributive).

Page 12: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

8

Il settore tessile e quello dell’abbigliamento differiscono in relazione all’impiego dei

fattori produttivi: il primo è relativamente più capital-intensive del secondo e si

caratterizza per elevati livelli di automazione, specialmente nei paesi sviluppati.

L’industria del tessile consiste in filatura, tessitura e finissaggio, e le tre attività sono

spesso intraprese all’interno di impianti integrati.

La sua alta intensità di capitale spesso si traduce in lunghi tempi di adeguamento delle

macchine e alti minimi di ordine. Per questo l’industria del tessile risulta meno

flessibile rispetto a quella dell’abbigliamento in termini di velocità di aggiustamento

ai gusti dei consumatori.

Per contro il settore dell’abbigliamento è labour-intensive, quindi il fattore di cui si

serve è principalmente umano. Il lavoro impiegato è principalmente di tipo non

qualificato ed è caratterizzato da elevati livelli di occupazione femminile e sempre più

localizzata nei paesi a basso salario.

A livello organizzativo, si nota come il modello d’impresa operante nel settore si sia

evoluto nel tempo, in linea con i paradigmi propri dell’organizzazione snella, o lean

organisation. Nei primi anni del suo sviluppo industriale il T/A era generalmente

caratterizzato da un’organizzazione di tipo verticale, che accentrava al suo interno le

varie fasi del processo produttivo, a valle e a monte della filiera. In molte aziende si

passava dalla lavorazione del filo, alla realizzazione del tessuto, fino alla confezione

del capo di abbigliamento finito.

Nel tempo la tendenza è stata quella alla specializzazione in singole fasi produttive

della filiera, riconosciute come core business, data anche la diversità dei fattori

produttivi impiegati nel processo. Il risultato è stato la nascita di tante piccole e medie

imprese specializzate e tra loro interrelate da una fitta rete di scambi e di accordi

commerciali.

Page 13: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

9

Dimensioni significative ha assunto nel tempo il fenomeno dell’outsourcing, che in

questo settore ha permesso la nascita e la crescita di un corposo numero di aziende

specializzate nella realizzazione di lavorazioni in c/terzi, soprattutto per quanto

riguarda la fase di confezione dei capi finiti, permettendo alle aziende titolari dei

marchi, di focalizzarsi sulle attività a più alto valore aggiunto, quali il design delle

collezioni e le azioni di marketing volte allo sviluppo di forti identità di brand, che

hanno portato, nel corso del XX secolo, ad una radicale trasformazione dei capi di

abbigliamento da commodities a specialties, ovvero da semplici indumenti a prodotti-

ego, contornati da forti e penetranti valori immateriali.

L’ulteriore evoluzione, iniziata verso la fine degli anni Settanta e accelerata nel corso

della fine del secolo scorso, è quella che ha ridisegnato la geografia del settore e che,

essendo oggi ancora in atto, porta con sé la necessità di una rimessa in discussione dei

modelli di impresa fin qui adottati, nella prospettiva della sopravvivenza e della

crescita in un mercato sempre più grande, complesso e competitivo.

Il riferimento è al fenomeno della delocalizzazione produttiva attuata mediante il

ricorso a fornitori terzi situati nei paesi stranieri a più basso salario, il c.d.

outsourcing offshore, che oggi non è più una tendenza ma un consolidato modello di

organizzazione, la cui applicazione è ormai condicio sine qua non per la

sopravvivenza nel mercato.

Il fenomeno ha interessato principalmente il comparto dell’abbigliamento, come

abbiamo visto il più sensibile al costo della manodopera e che, già “abituato” ad

essere “delegato” ad aziende terze vicine, non ha trovato difficoltà ad essere

“delegato” ad aziende geograficamente più lontane, in concomitanza con la

progressiva riduzione delle distanze percepite dall’uomo a seguito della convergenza

spazio-temporale permessa dall’evoluzione dei trasporti e delle comunicazioni.

Page 14: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

10

Se Ricardo avesse voluto individuare un’industria per dimostrare con mezzi empirici

la validità del suo modello dei vantaggi comparati, non avrebbe potuto trovare di

meglio del T/A. Esso si caratterizza oggi per la localizzazione delle varie fasi del

processo produttivo in funzione della presenza di vantaggi comparati. In realtà anche

il modello di Heckscher-Ohlin trova una buona rappresentazione in questa industria.

I processi produttivi a monte della filiera (filatura, tessitura), ovvero quelli

caratterizzati da sfruttamento intensivo del fattore capitale, si localizzano infatti nei

paesi in cui c’è più disponibilità di tale fattore, ovvero nei paesi tecnologicamente più

avanzati (UE, USA in primis, con una presenza sempre maggiore delle NIEs, le New

Industrialised Economies, Corea del Sud e Taiwan in particolare). A fronte di ciò, i

processi produttivi a valle della filiera (confezione di abbigliamento) tipicamente

labour-intensive, si localizzano nei paesi in cui è più alta la disponibilità del fattore

lavoro, specialmente quello non qualificato. Tali attività si insediano quindi nei PVS e

anche nei LDCs (Least Developed Countries), tra quelli che gravitano attorno alle

aree più sviluppate (come Messico per gli USA e Europa orientale e bacino del

Mediterraneo per l’UE) e sempre di più nel Far East asiatico, Cina su tutti.

In effetti il commercio internazionale di T/A può ben identificarsi in una forma di

commercio di tipo Nord-Sud, ovvero tra paesi “ricchi“ e paesi “poveri”, una forma di

commercio che, a livello empirico, attribuisce coerenza al modello di Heckscher-

Ohlin, confermando la validità della sua tesi3.

Il T/A, e in special modo l’abbigliamento, essendo, come abbiamo visto, un settore

labour-intensive, ha rappresentato la leva di crescita privilegiata dai PVS nel loro

percorso di emancipazione da un’economia basata sul solo settore primario,

consentendo loro l’inizio del processo di industrializzazione.

3 Per approfondimenti, si rimanda a P. Krugman, M. Obstfeld, “Economia Internazionale 1”, Terza Edizione, Hoepli.

Page 15: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

11

Sul finire degli anni Ottanta del secolo scorso i PVS nel loro insieme hanno superato i

paesi industrializzati per quanto riguarda la quota di esportazioni mondiali di T/A,

raggiungendo il 50% del totale nel tessile e il il 70% nell’abbigliamento.4

La Cina è oggi il primo esportatore mondiale di abbigliamento, seguita da UE (in cui

l’Italia è primo produttore) e USA. Nel Tessile il predominio è europeo, seconda è la

Cina e terzi gli USA.

Come osserva Miro Radici, del gruppo Itema-Radici, azienda bergamasca leader

mondiale nei macchinari tessili: “dieci anni fa la produzione tessile era così distribuita

sul pianeta: il 35% in Cina, il 65% nel resto del mondo. Oggi la proporzione si è

esattamente rovesciata: i due terzi dell’industria tessile mondiale sono sulla costa

orientale della Cina, tra Shangai e Nanchino, il Fujian e il Guangdong. “I miei

concorrenti giapponesi e nordeuropei sono venuti tutti qui a produrre macchinari e

telai tessili, se non venivo anch’io perdevo tempo prezioso. Nel nostro mestiere è

fondamentale il servizio dopovendita, la qualità dell’assistenza. Essere vicini ai clienti

è decisivo e i miei clienti più grossi ormai sono qui.”5

Di contro alle esportazioni, le importazioni mondiali di T/A si concentrano

massicciamente nei mercati dei paesi industrializzati e specialmente in USA e in UE.

Nel 2000 in questi due mercati affluivano il 52% delle importazioni mondiali di

tessile e ben il 71% di quelle di abbigliamento.

Nonostante il ranking nella classifica mondiale, tali paesi risultano essere anche i

meno dipendenti dal T/A, almeno in confronto ai PVS, per le cui economie tale

industria rappresenta un settore molto importante se non fondamentale in termini di

esportazioni, occupazione e valore aggiunto.

4 Commission Staff Working Paper, “Evolution of trade in textile and clothing worldwide – trade figures and structural data”, Commission of the European Communities, Bruxellels, 21/11/2003. 5 F. Rampini, “L’impero di Cindia”, Mondadori, 2006.

Page 16: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

12

Per i LDCs e per alcuni paesi del Mediterraneo si può parlare a pieno titolo di

dipendenza dal T/A. I paesi più dipendenti risultano essere il Bangladesh (con una

quota del 95% di esportazioni di T/A sul totale delle esportazioni), Laos (93%),

Macao (89%), Cambogia (83%), Pakistan (73%), Sri Lanka (71%), Nepal (61%),

Tunisia (46%), Marocco (43%), Turchia (38%), India (30%) e Romania (27%).6 La

Cina, nonostante ne sia il primo esportatore mondiale, risente delle esportazioni di

T/A solo per una quota del 12% sul totale delle proprie esportazioni.

La figura 1.3. mette in evidenza la quota di esportazioni di T/A in termini relativi sul

totale delle esportazioni e la dimensione quantitativa delle esportazioni di T/A in

termini assoluti, evidenziando come i paesi più dipendenti detengano una trascurabile

quota del commercio mondiale, e siano così i più esposti ai rischi della

liberalizzazione in atto.

Gli accordi regionali di libero scambio e gli schemi tariffari preferenziali accordati ai

PVS e ai LDCs dai paesi industrializzati, in aggiunta alle misurie protezionistiche

adottate nei confronti dei competitors più potenti mediante il sistema delle quote (in

particolar modo verso la Cina) hanno probabilmente favorito tale dipendenza. Si pensi

che le esportazioni di T/A da alcuni paesi del Mediterraneo verso l’UE e quelle dal

Messico verso gli USA ammontano a più del 90% del totale delle loro esportazioni).

6 Commission Staff Working Paper, “Evolution of trade in textile and clothing worldwide – trade figures and structural data”, Commission of the European Communities, Bruxellels, 21/11/2003.

Page 17: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

13

Figura 1.3. La dipendenza dal T/A

Fonte: Euratex

1.2. Il modello delle oche volanti

Oltre ad essere in accordo con il modello dei vantaggi comparati e con quello di

Heckscher-Ohlin, la localizzazione della produzione di T/A sembra aver seguito, e

sembra tuttora seguire, un altro schema evolutivo preciso, riconducibile al c.d.

modello delle oche volanti, formulato originariamente dal giapponese Akamatsu nel

1932, ragion percui procederemo a citarne brevemente i fondamenti.

Tale modello è stato adottato dall’UNCTAD nel 1996 come la spiegazione più

convincente per spiegare i fattori di crescita dell’Asia orientale.

Secondo tale teoria, le nazioni intraprendono il loro percorso di crescita disponendosi

in un gruppo che ricorda la forma di una “V” rovesciata, come è la disposizione delle

Page 18: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

14

oche volanti, in cui l’oca di testa guida le oche in seconda posizione, le quali a loro

volta guidano le oche in terza posizione e così via.

Il fenomeno asiatico, secondo questo modello, è da ricondursi all’”apertura della

pista” da parte del Giappone, l’oca di testa, il quale ha trascinato nel suo sviluppo i

paesi limitrofi, primi fra tutti le famose 4 tigri asiatiche, dette anche NIEs, ovvero

Hong Kong, Taiwan, Singapore e Corea del Sud. Queste, a loro volta, hanno

coinvolto nel processo di crescita i paesi dell’ASEAN e la Cina, fino a far diventare la

regione asiatica uno dei principali poli dell’economia mondiale.

In pratica nello sviluppo industriale vi è una sorta di ciclo che prevede la

ricollocazione dei settori ad alta intensità di lavoro verso paesi più poveri, mentre il

paese più ricco si specializza in nuovi prodotti. Perciò vi sono paesi a diverso livello

di industrializzazione e di sviluppo che crescono insieme grazie al fatto che, di volta

in volta, si specializzano nella produzione di beni di diverso livello tecnologico. C’è

così un’oca di testa che guide tutte le altre. Il ciclo del prodotto si combina con le fasi

di crescita dei paesi dell’area. In Asia, il Giappone è l’oca di testa con i prodotti

tecnologicamente più avanzati, seguono i NIEs con beni manifatturieri tradizionali,

poi vengono i paesi dell’ASEAN e la Cina con i prodotti a più alta intensità di lavoro

e minor contenuto tecnologico. Gli investimenti diretti esteri, ma anche gli scambi

commerciali, sono lo strumento per trasferire tecnologia e capitali nei paesi che

stanno dietro nel ciclo di vita dei settori.

L’evidenza empirica sembra confermare tale teoria anche nel mondo del T/A: non è

raro il caso di collezioni di abbigliamento con marchio e design giapponese (i fattori a

più alto valore aggiunto), prodotte con tessuti coreani o taiwanesi (mediante processi

capital-intensive) e confezionate in Cina (mediante processi labour-intensive).

Page 19: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

15

Il modello delle oche volanti implica il concetto di mobilità del vantaggio

comparato, situandosi come ponte tra il modello dei vantaggi comparati di Ricardo e

la teoria del ciclo di vita del prodotto, ai quali aggiunge una prospettiva più dinamica.

La localizzazione produttiva del T/A sembra in linea con le previsioni di sviluppo

consigliate da tale modello, e non solo per quanto attiene la regione del Sud Est

asiatico.

Anche in Europa orientale, il modello di sviluppo pare rispondere al paradigma delle

oche volanti, caratterizzato dalla mobilità del vantaggio comparato.

Nella fase di delocalizzazione produttiva attuata dalle imprese dei paesi europei più

avanzati verso i PVS dell’ex blocco sovietico, si è assistito a periodici spostamenti

della produzione verso paesi meno avanzati, a mano a mano che nei primi paesi

interessati dalla delocalizzazione, aumentava il livello di know-how tecnologico.

La produzione di abbigliamento si è spostata in un primo momento in Romania e

Repubblica Ceca. Poi, a seguito dell’aumento del livello tecnologico verificatosi in

tali paesi, a cui è seguito un aumento dei livelli salariali, la produzione si è spostata in

paesi meno sviluppati, quali la Bulgaria e la Moldavia. Oggi, si assiste a flussi verso

l’Ucraina, il cui costo della manodopera è tra i più bassi in Europa, almeno finora.

Tale modello risulta interessante anche in chiave prospettica, poichè può fornirci delle

direttive per prevedere possibili scenari futuri per quanto riguarda la geografia del

settore nel medio-lungo periodo.

Se oggi la Cina è la regina incontrastata nella produzione di abbigliamento, in virtù

del proprio vantaggio comparato dato dalla disponibilità di manodopera a bassissimo

costo in un settore labour-intensive, il modello delle oche volanti ci suggerisce che

anche tale vantaggio comparato sarà destinato a spostarsi, in qualche paese meno

sviluppato, a mano a mano che la Cina crescerà dal punto di vista tecnologico.

Page 20: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

16

In un altro senso il modello può fornire anche delle linee guida ai fini

dell’impostazione di un piano strategico per l’industria di una Nazione.

Se consideriamo il T/A italiano, appare sconveniente interessarsi ancora della

salvaguardia dell’industria delle confezioni. Fatta eccezione per pochi prodotti di

nicchia, appartenenti alla categoria del lusso e del super-lusso per cui l’alto costo

della manodopera è compensato da attributi di prodotto ai quali il mercato riconosce

un premium price, è probabilmente ora di riconoscere che le operazioni di façon più

elementari sono ormai di competenza dei paesi meno evoluti. E bisogna anche

riconoscere che questo è un bene, poichè le risorse che si vengono a liberare dal

processo di delocalizzazione possono e vanno riconvertite in produzioni a più alto

contenuto tecnologico e di conoscenza, elevando la qualità e differenziando le

competenze distintive del nostro paese.

A questo proposito vanno valutati positivamente e con crescente interesse alcuni

progetti che hanno visto la luce negli ultimi anni, volti per l’appunto a impegnare

risorse in attività di R&S, e che mirano a consolidare e a rafforzare il già presente

vantaggio comparato dei paesi industrializzati nelle attività a più alto valore aggiunto

della filiera7.

1.3. Il modello gravitazionale e il fattore distanza.

Oltre a quello delle oche volanti, esiste un altro modello in grado di fornire degli

spunti di riflessione sulla distribuzione geografica della produzione mondiale di T/A.

7 Per una trattazione più approfondita in merito ai progetti attivati in ambito europeo si rimanda al capitolo 2.5. del presente lavoro.

Page 21: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

17

Il riferimento è al modello gravitazionale, il quale, in estrema sintesi, attribuisce una

forte rilevanza al fattore distanza, determinante nell’ influenzare le decisioni di

commercio internazionale.

Nella sua versione di base, il modello gravitazionale assume che solo la distanza e la

dimensione del reddito dei paesi siano importanti per il commercio, secondo la

seguente relazione:

!

Tij =A "Yi "Yj

Dij

dove: Tij è il valore del commercio tra il paese i e il paese j

A è una costante

Yi è il reddito del paese i

Yj è il reddito del paese j

Dij è la distanza tra il paese i e il paese j

Lasciando da parte ogni considerazione sul reddito, che esula dai fini della presente

esposizione, vediamo le implicazioni del modello sui flussi di commercio

internazionale di T/A in relazione alla variabile “distanza”.

In letteratura, le stime degli effetti della distanza ottenute con i modelli gravitazionali

suggeriscono che un aumento dell’1% nella distanza tra paesi si associa ad una

riduzione nel volume degli scambi compresa fra lo 0.7% e l’1%.8

L’esistenza di una relazione inversa tra la distanza tra due paesi e i volumi degli

scambi tra di essi ci suggerisce che, nonostante l’aumento del commercio

internazionale con paesi molto distanti come quelli asiatici, e in particolar modo con

la Cina, potrà ben conoscere un ulteriore incremento in funzione del sempre maggiore

livello di liberalizzazione dell’economia mondiale, tale incremento troverà comunque

8 Laboratorio di Economia Internazionale, Michele Di Maio, Università di Macerata, 2007-2008

Page 22: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

18

un limite nella distanza che, per quanto significativamente diminuita grazie

all’evoluzione dei trasporti e delle comunicazioni, rimane ancora una variabile in

grado di influenzare i volumi degli scambi.

Questo è ancor più vero se si prende in considerazione l’ipotesi (per alcuni analisti

una certezza) di un progressivo aumento del prezzo del greggio nel prossimo futuro,

in vista del raggiungimento del picco del petrolio, dopo il quale la domanda mondiale

supererà l’offerta mondiale, innescando un’impennata dei prezzi dell’oro nero9.

In considerazione del fatto che, almeno per il momento, una risorsa energetica

alternativa al petrolio di effettiva adozione non è ancora stata trovata, tale scenario

potrebbe portare ad una contrazione del volume degli scambi a lunga distanza, in

favore di un commercio più ristretto a zone geografiche più vicine.

Anche la presenza di accordi regionali di libero scambio all’interno dei blocchi

economici continentali costituisce un argomentazione a favore della previsione di un

commercio internazionale limitato a scambi con nazioni vicine.

Di contro, l’adozione di politiche doganali volte a favorire il commercio con i PVS e i

LDCs, come per esempio è il Sistema di Preferenze Generalizzate adottato dall’UE,

suggerisce una propensione ad incentivare forme di commercio anche a lungo raggio,

almeno fino a quando tali politiche non si dimostrino minacciose per la salute delle

proprie industrie nazionali.

Per esempio la Cina, pur rientrando nella lista dei paesi beneficiari del Sistema di

Preferenze Generalizzate concesse ai PVS10, di fatto rimane esclusa dall’applicazione

9 Vedasi a proposito le teorie di Hubbert sul picco del petrolio. 10 Il Sistema di Preferenze Generalizzate (Generalized System of Preferences, GSP) è un accordo commerciale autonomo attraverso il quale l’UE concede un accesso preferenziale non reciproco al proprio mercato in favore di 176 paesi in via di sviluppo (PVS). Il Regolamento (CE) N. 980/2005 del Consiglio del 27 giugno 2005 prevede l’istituzione di tre separati regimi:

Page 23: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

19

del regime tariffario preferenziale per quanto concerne i prodotti dell’abbigliamento,

roccaforte delle pulsioni protezionistiche dei paesi sviluppati nei confronti del

gigante asiatico.

Tuttavia, l’assoggettamento dei capi di abbigliamento cinesi al dazio intero, non

sembra per ora scoraggiare le importazioni di tali prodotti, visto che i bassissimi costi

della manodopera più che compensano il pagamento di dazi interi, nonché gli attuali

costi di trasporto.

In definitiva, per ora il fattore distanza non sembra rivestire grande importanza nel

determinare i flussi internazionali di T/A. Tuttavia potrebbe assumere maggior peso

nel prossimo futuro e lo scenario potrebbe cambiare in favore di un ritorno a forme di

scambio a raggio più corto in conseguenza dell’aumento dei costi di trasporto

innescato dal probabile raggiungimento del picco del petrolio.

1. un regime generale (standard GSP), che accorda preferenze tariffarie a 176

PVS e Territori su oltre 6300 categorie di prodotti; 2. un regime speciale di incentivazione per lo sviluppo sostenibile e il buon

governo (c.d. GSP Plus, abbreviato GSP+), che prevede un’ulteriore riduzione tariffaria alle merci provenienti da paesi considerati “vulnerabili” che si sono impegnati a ratificare e implementare una serie di Convenzioni internazionali relative al rispetto dei diritti umani, ai diritti del lavoro e altre convenzioni relative ai principi ambientali e di buon governo;

3. un regime speciale a favore dei paesi meno sviluppati (il c.d. EBA, da Everything But Arms, che si rivolge a 50 paesi meno sviluppati, i LDCs), accordando loro la totale sospensione dei dazi della tariffa doganale su tutti i prodotti ad eccezione del capitolo comprendente “armi, munizioni, loro parti e accessori”.

Dal 1° gennaio 2009 è in vigore il Regolamento (CE) N. 732/2008 del Consiglio del 22 luglio 2008, che , di fatto , proroga il sistema previgente per il triennio 2009-2011. La maggior parte dei prodotti che entrano in territorio comunitario usufruendo dei benefici derivanti dal Sistema delle Preferenze generalizzate appartengono alle categorie del T/A. I regolamenti succitati classificano le merci in due principali categorie:

1. prodotti “sensibili”, ovvero considerati meritevoli di più “protezione”; 2. prodotti “non sensibili”, per i quali i produttori europei sono meno esposti ai

rischi della concorrenza estera. Tra i prodotti sensibili, esclusi dal sistema delle preferenze, si annoverano i prodotti tessili e dell’abbigliamento della Sezione XI(a) e XI(b) del TARIC, provenienti dalla Cina.

Page 24: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

20

1.4. La liberalizzazione del settore

Dopo la seconda guerra mondiale, mediante vari trade round, ovvero incontri di

negoziazione, i membri del GATT hanno provveduto ad abbassare progressivamente i

dazi vigenti, con l’obiettivo di creare un unico grande mercato mondiale ispirato ai

valori del libero scambio. In contrapposizione alla ratio ispiratrice dei negoziati,

alcuni settori sono rimasti esclusi dal processo di liberalizzazione, in quanto ritenuti

strategici per le economie nazionali e per questo degni di protezione.

Uno di questi settori è il T/A, assoggettato ad una regolamentazione parallela a quella

del GATT e caratterizzata dall’imposizione di limitazioni quantitative agli scambi

internazionali, per lo più in forma di VER (Voluntary Export Restraint).

Le pressioni per l’adozione di una politica multilaterale di tipo protezionista

provenivano per la maggior parte dai paesi industrializzati, le cui lobby erano

certamente ben consce delle ripercussioni negative che un’apertura “selvaggia” del

mercato avrebbe avuto sulle proprie industrie nazionali.

Sicuramente le lobby del T/A devono avere avuto un notevole peso politico, se si

pensa che alcune stime suggeriscono che la protezione del settore abbia imposto ai

consumatori statunitensi un costo superiore a quello sopportato a causa di tutte le

forme di protezionismo nel loro insieme11.

Le quote alle esportazioni di prodotti tessili e di abbigliamento furono concordate per

volere dei Paesi industrializzati con quelli in via di sviluppo per la prima volta nel

1959, anno in cui fu stipulato il cd. Short Term Cotton Agreement, con il quale veniva

adottato un sistema di VER nei confronti dei prodotti di cotone. Nel 1962 si sentì

11 Opera citata, P. Krugman, M. Obstfeld, “Economia Internazionale 1”, Terza edizione, Hoepli.

Page 25: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

21

l’esigenza di prolungare l’accordo, giungendo così al Long Term Cotton Agreement,

mediante il quale 22 Paesi in via di sviluppo contingentavano le loro esportazioni di

tessile e abbigliamento verso i paesi industrializzati; nel 1974 l’accordo prese il nome

di Multifibre Agreement (MFA), andando ad includere nel sistema delle quote anche

fibre diverse dal cotone, quali, lane, sete ecc. e relativi prodotti di abbigliamento, da

cui il nome dell’accordo; nel 1995, in seguito all’Uruguay Round, venne stipulato il

cd. Agreement on Textiles and Clothing (ATC), il mezzo attraverso il quale, in

adeguamento alla ratio ispiratrice la nascita del WTO, procedere verso la totale

liberalizzazione del settore (v. Tabella 1).

Tab. 1: Cronologia della regolamentazione del settore Tessile-Abbigliamento

1960 - 1961 Short Term Cotton Agreement

1962 - 1973 Long Term Cotton Agreement

1974 - 1994 Multifibre Agreement (MFA)

1995 - 2004/31/12 Agreement on Textiles and Clothing (ATC)

Fonte: WTO

L’Accordo Multifibre aveva come principale obiettivo, dichiarato all’Art. 1, quello di

espandere i volumi di commercio internazionale, ma con un’ integrazione graduale

nel mercato mondiale del T/A, per assicurare uno sviluppo equo e regolato del settore

onde evitare effetti dirompenti nelle economie dei paesi importatori ed esportatori.

In realtà era solo agli Artt. 3 e 4 che si parlava di misure restrittive: “[…] in alcuni

casi i paesi aderenti possono adottare misure bilaterali per evitare effetti dirompenti

nelle proprie economie”.

Page 26: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

22

La spiegazione di tali effetti dirompenti e dei requisiti per attuare le restrizioni ai

flussi commerciali di T/A erano definiti in due allegati all’Accordo e sostanzialmente

precisavano che i danni alle industrie nazionali dovevano essere stati causati da un

aumento consistente nell’importazione di un particolare prodotto oppure da un prezzo

della merce d’importazione notevolmente inferiore a quello vigente nel paese

importatore.

Nel 1995 l’accordo venne smantellato dalle ferree regole sul libero scambio della neo

istituita organizzazione mondiale del commercio (WTO) attraverso un piano

decennale di ridimensionamento delle quote con tappe di progressiva liberalizzazione.

Il piano prevedeva una progressiva abolizione dal sistema delle quote di una

percentuale delle 143 categorie di prodotti individuate dal MFA, dato 100 il flusso in

volume dell’anno 1990: nel 1995, anno di inizio dell’ATC, il 16% di tali categorie

venivano liberalizzate; in un secondo momento, nel 1999, veniva liberalizzato un

ulteriore 17% (quindi un 33% cumulato); nel 2001 si procedeva ad abolire dal sistema

delle quote un altro 18% di prodotti giungendo così alla liberalizzazione del 51%

delle categorie MFA; la parte residua, pari al 49% veniva interamente liberalizzata nel

2005, anno di scadenza dell’ATC e di adeguamento integrale del T/A alle regole del

GATT.

È interessante notare come il sistema delle quote abbia manifestato i suoi effetti non

tanto in una riduzione del commercio internazionale, bensì in un commercio più

selettivo: visto che le quote erano stabilite bilateralmente da ogni paese, è certo che i

paesi industrializzati hanno cercato di penalizzare con quote più restrittive i paesi più

efficienti, mentra hanno lasciato un tetto più o meno ampio per i paesi meno

sviluppati. Questi ultimi avevano quindi un’opportunità di rendersi più produttivi

aumentando le loro esportazioni, rubando fette di mercato ai paesi più penalizzati. Di

Page 27: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

23

conseguenza, alcuni paesi meno competitivi sono stati avvantaggiati dalle quote

perché hanno garantito loro una fetta di mercato dato che sono stati in grado di

inserirsi nel vuoto lasciato da altri grandi paesi contingentati.

È così che, una volta che il Giappone ha avviato i suoi contingentamenti verso gli

USA, nel giro di poco tempo è salito il peso delle esportazioni di altri paesi asiatici,

Cora del Sud, Taiwan e Hong Kong su tutti.

Un altro effetto dell’Accordo Multifibre è stato quello di far aumentare i flussi di IDE

dai paesi maggiormente colpiti dalle quote verso i paesi meno colpiti, e caratterizzati

da basso costo della manodopera. I paesi più efficienti erano, infatti, motivati a

investire in attività tessili e dell’abbigliamento nei PVS limitrofi, al fine di evadere le

quote impostegli. L’accordo sembra dunque aver incentivato gli IDE da parte dei

paesi esportatori più dinamici del settore verso i paesi meno industrializzati,

contribuendo ad alimentare il modello di sviluppo individuato da Akamatsu.

Senza il Multifibre tali investimenti diretti esteri sarebbero stati molto più scarsi e

sporadici, poiché il loro scopo era proprio quello di aggirare le quote imposte dai

paesi industrializzati. Gli IDE erano spesso finanziati grazie alle rendite da

contingentamento (o quota-rent) che derivavano dalla gestione delle licenze.

Si stima che il quota-rent di Hong Kong negli anni Ottanta consistesse in svariati

milioni di dollari che venivano reinvestiti in attività tessili e di abbigliamento in altri

paesi del sud est asiatico.12

12 A. Cuomo, “L’accordo Multifibre, la sua evasione, la sua fine – Storia del Bangladesh”.

Page 28: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

24

1.5. Rigurgiti protezionistici

Lo scadere dell’ATC, nonostante gli intenti, non ha di fatto liberalizzato

completamente il T/A, almeno non fino all’inizio di quest’anno (leggasi: 2009), primo

vero anno senza quote per questo settore.

Questo è stato dovuto all’applicazione della clausola di salvaguardia specifica

(China Textile Safeguard) uno dei requisiti e delle condizioni dell’adesione della

Cina al WTO e valida fino al 31 dicembre 2008, concernente le importazioni dalla

Cina verso i paesi membri del WTO di prodotti tessili e di abbigliamento disciplinati

dall’ATC.

Grazie a questa clausola, è stato possibile contingentare ulteriormente i prodotti del

T/A provenienti dalla Cina, al fine di risolvere o prevenire eventuali effeti dirompenti

nel mercato provocati da un aumento incontrollato di importazioni di tali prodotti.

Oltre alla clausola di salvaguardia specifica, il protocollo di accesso della Repubblica

Popolare Cinese al WTO, prevedeva anche, all’articolo 16, le c.d. Product Specific

Safeguard Measures (PSSMs).

Le PSSMs furono applicate per la prima volta nei confronti del Giappone al suo

ingresso come paese membro del GATT nel 195313. Sulla base di tale clausola ogni

paese aderente al GATT poteva unilateralmente adottare misure per proteggere la

propria industria domestica da eventuali danni causati da effetti dirompenti sul

mercato conseguenti alle importazioni di prodotti tessili e di abbigliamento

provenienti dal Giappone.

13 Yu Fei, “Some issues on Product-specific Safeguard Measures Against China”, WTO Focus, 2004.

Page 29: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

25

Per quanto riguarda la Cina la situazione è oggi analoga a quella appena descritta: nel

corso del processo di liberalizzazione verso i prodotti cinesi, i paesi membri del WTO

possono adottare misure di salvaguardia transitorie per difendere specifici settori

dell’economia che possano entrare in grave crisi a seguito dell’improvvisa apertura

alla concorrenza cinese.

Preme sottolineare il carattere transitorio di tale clausola, che giustifica la “T” iniziale

dell’acronimo (Transitional Product Specific Safeguard Measures, TPSSM):

l’accordo è valido solo per i 12 anni successivi all’entrata della Repubblica Popolare

Cinese nel WTO. Questo significa che le TPSSM saranno applicabili non oltre il

2013.

Il carattere transitorio riguarda, inoltre, la durata di applicazione della misura di

salvaguardia, che deve corrispondere allo stretto tempo necessario a correggere le

distorsioni del mercato.

Page 30: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

26

Page 31: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

27

Capitolo 2: L’ impatto della liberalizzazione

Dal quadro normativo sopra delineato emerge che il T/A, nonostante i citati rigurgiti

protezionistici, si è di fatto “emancipato” dal sistema delle quote a partire dall’inizio

dell’anno in cui scriviamo (leggasi 2009). Ciò significa che le aziende importatrici

non sono più soggette al rilascio di licenze di importazione, ma possono importare

liberamente tutti i tessuti e tutti i capi di abbigliamento che desiderano, con l’ulteriore

beneficio di un sostanziale snellimento delle procedure burocratiche necessarie per le

pratiche di importazione.

Risulta interessante, ai fini del nostro studio, esporre una panoramica sugli effetti

dell’abolizione del sistema delle quote previsti da alcune tra le più importanti

istituzioni internazionali quali il WTO e la World Bank, nonché da organizzazioni di

categoria, nazionali e sovranazionali, quali il NCTO per gli USA, l’ Euratex per l’UE,

formulata prima dello scadere dell’ATC.

Procederemo poi a fornire dei dati empirici in merito ai cambiamenti effettivamente

realizzatesi in questi primi anni di liberalizzazione del T/A, per verificare la

fondatezza o meno dei timori sulla minaccia cinese.

2.1. Gli effetti a livello globale

Per quanto riguarda il livello previsionale, interessa esporre una panoramica dei

risultati dei numerosi studi condotti, a partire dagli anni ’90, da praticamente tutti i

più autorevoli organismi sovranazionali (OCSE, WTO, IMF, World Bank) e da una

Page 32: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

28

moltitudine tra i principali centri di ricerca, governativi e non, che hanno provato a

stimare gli effetti economici e commerciali della liberalizzazione del T/A. I risultati di

tali studi delineano lo scenario seguente:

• un aumento del benessere mondiale, benché di ampiezza assai

variabile, oscillante tra i 6,5 e i 324 miliardi di dollari14;

• un consistente incremento del commercio internazionale nel settore;

secondo alcune stime, l’abolizione del sistema delle quote porterà ad

un aumento delle esportazioni in volume tra il 17% e il 72% nel tessile

e tra il 70% e il 190% nell’abbigliamento15;

• un aumento della quota di mercato dei produttori dei PVS,

soprattutto asiatici, e una parallela contrazione per i paesi

industrializzati16;

• diminuzione dell’occupazione nei paesi industrializzati, mentre

sono previsti effetti positivi in termini occupazionali nei PVS

(soprattutto in Cina). Alcune ricerche dimostrerebbero come ad ogni

posto di lavoro salvato in un paese industrializzato, attraverso quote e

dazi, corrisponderebbero 35 posti di lavoro persi in un paese in via di

sviluppo17;

14 OECD (2003), “Liberalizing Trade in Textiles and Clothing: A survey of Quantitative Studies”, Working Party of the Trade Committee, TD/TC/WP (2003), January, 2003. 15 J.S. Francois, B. McDonald, H. Nordstom, “The Uruguay Round: a global general equilibrium assessment” Discussion Paper n° 1067, Centre for Economic Policy Research, London, 1997. 16 “The textile and clothing speficity – facts and figures”, at The 6th WTO Ministerial Conference – Hong Kong, Euratex, 2005. 17 H.P. Lankes, “Market Access for Developing Country Exports”, Finance & Development, September 2002.

Page 33: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

29

• un consolidamento della produzione a favore dei grandi gruppi, in

seguito ai vantaggi dovuti alle economie di scala, a discapito delle

PMI;18

• effetti positivi per i consumatori, dovuti alla maggiore concorrenza

nei mercati internazionali e la conseguente riduzione dei prezzi e ad

una maggiore efficienza nella distribuzione delle risorse.

A proposito di questo ultimo punto, si ricorda che, in un mercato di concorrenza

perfetta, lo spostamento della produzione da paesi in cui il costo marginale è alto a

paesi in cui il costo marginale è più basso non può che provocare un aumento della

produzione e una riduzione dei prezzi, con conseguente aumento del surplus del

consumatore. Nel grafico seguente abbiamo preso in considerazione gli effetti su

produzione e prezzo di un ipotetico spostamento della produzione dall’Italia, la quale

ha una curva del costo marginale relativamente alta, alla Cina, la quale presenta una

curva del costo marginale più bassa rispetto alla prima.

18 ICE, Area Studi, Ricerche e Statistiche, “La liberalizzazione del Tessile/Abbigliamento: impatti e strategie”, dicembre 2004.

Page 34: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

30

Figura 2.1. Effetti sull’equilibrio del mercato dell’abbigliamento di un’ ipotetico

spostamento della produzione dall’Italia alla Cina.

P

1

MC Italy

2

D MC China

0 Q

Fonte: ns. elaborazione

Lo delocalizzazione della produzione dall’Italia alla Cina sposta l’equilibrio del

mercato dal punto 1 al punto 2, in cui il prezzo è più basso e la quantità prodotta è più

alta. Dal punto di vista dell’allocazione delle risorse tale situazione è di certo

preferibile a quella del punto 1.

Page 35: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

31

Questo ragionamento dovrebbe suggerirci che, in un sistema di mercato di

concorrenza perfetta (in questa semplificazione non teniamo conto degli attributi

immateriali quali brand, design…, che caratterizzerebbero un mercato di concorrenza

monopolistica), completamente liberalizzato e senza altre variabili in grado di

influenzare le decisioni di produzione, quali costi di transazione e di trasporto, la

produzione di capi di abbigliamento generici dovrebbe interamente spostarsi nei paesi

che presentano costi medi più bassi, aumentando così l’efficienza del mercato.

In considerazione del fatto che, specialmente per quanto riguarda la produzione di

abbigliamento, la voce più significativa dei costi è attribuibile alla manodopera, ci si

potrebbe aspettare che la produzione di tali articoli si localizzi nei paesi in cui il costo

del lavoro è più basso. Questo è chiaramente in linea con quanto detto nei capitoli

precedenti a proposito della presenza di vantaggi comparati e della maggiore

disponibilità del fattore lavoro non qualificato nei PVS e nei LDCs.

Tuttavia, a livello empirico la previsione di un aumento della quota di mercato dei

PVS e dei LDCs ai danni dei paesi industrializzati sembra venire confermata solo in

parte.

Quello che si sta delineando sembra infatti più uno scenario in cui è principalmente la

Cina, assieme a India e Pakistan, a guadagnare fette della torta mondiale, ai danni del

Resto del Mondo, compresi gli altri PVS e in particolare i LDCs, le cui economie,

come visto fortemente dipendenti dal T/A, sembrano tra le più minacciate dal

processo di liberalizzazione.

Durante l’accordo Multifibre, molti PVS e LDCs esportatori di abbigliamento

protestavano che la regolamentazione di stampo protezionistico vigente frenasse il

loro sviluppo e chiedevano a gran voce l’abbattimento delle quote, con il

Page 36: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

32

convincimento che la liberalizzazione avrebbe portato ad un aumento critico delle

proprie produzioni.

Tali pretese si riassumevano nel motto “Trade not Aid”, che divenne una sorta di

prescrizione per i paesi di Asia, Africa e Sud America. La World Bank aveva, infatti,

stimato che il sistema delle quote, limitando di fatto l’accesso ai mercati, deprivava le

nazioni povere del doppio di quanto esse ricevevano sottoforma di aiuti stranieri.19

Quando, nel 1995, gli Stati Uniti e l’Unione Europea si accordarono per

l’eliminazione delle quote come parte del progetto di costituzione del WTO, i paesi in

via di sviluppo plaudirono a tale accordo.

Questo, però, avvenne prima che la Cina, dopo 13 anni di negoziati, entrasse a far

parte del WTO stesso.

Si comprende la preoccupazione dei PVS esportatori di T/A di fronte all’ingresso

sulla scena di un competitore quale la Cina, la quale, oltre a disporre di un

relativamente maggiore potere demografico, infrastrutturale e anche politico, in virtù

delle sue vastissime dimensioni, risulta più competitiva anche in relazione ai salari.

Al basso costo della manodopera di altri PVS, quali i 75$ al mese dell’Indonesia, i

102$ della Repubblica Dominicana e i 300$ dell’Honduras, la Cina risponde con una

media di 73$ al mese per un lavoratore dell’industria dell’abbigliamento.

Oltre a ciò, la Cina può contare sul controllo di Hong Kong, punto nevralgico del

sistema finanziario del sud-est asiatico, nonché crocevia internazionale e paradiso

fiscale, senza dimenticare l’apporto del sistema economico sviluppato di Taiwan.

Grazie alle numerose compagnie di trading ivi insediate, la Cina è in grado di spedire

rapidamente le proprie merci nei negozi di tutto il mondo, a migliaia di chilometri di

distanza dai propri stabilimenti produttivi.

19 “Where Free Trade Hurts”, Business Week, December 15, 2003.

Page 37: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

33

Oltre a questo, la produttività del lavoro in Cina nel settore del T/A è in progressivo

aumento, grazie all’ammodernamento degli impianti produttivi e agli investimenti resi

possibili dai lauti incentivi e sussidi che il governo cinese mette a disposizione di un

settore considerato strategico, mentre in molti altri PVS l’industria rimane ancora

caratterizzata da deficit di efficienza e da livelli infrastrutturali quasi medievali, il che

rende davvero aspra la sfida di competitività anche in un’ottica di lungo periodo.

Risulta a questo punto indicativo prendere in esame gli effetti che si sono manifestati

sulla produzione e sul commercio internazionale in relazione a dei beni sottoposti al

processo di liberalizzazione già da qualche anno, per verificare se esiste

effettivamente un trend in grado di delineare un possibile scenario futuro e

soprattutto, per verificare se i timori di quasi tutti i paesi nei confronti della Cina

devono considerarsi giustificabili.

Per quanto riguarda l’abbigliamento da bambino, liberalizzato nel 2004, si è assistito

ad un incremento dell’826% nell’export della Cina verso gli USA e, come

controbilancia, a un calo del 50% nella produzione di questo prodotto in Tailandia, in

Indonesia e nelle Filippine. Nella Repubblica Dominicana l’export è calato del 70%,

fino a quota 8,2 milioni di dollari.20

In uno studio condotto dall’ISAE, l’Istituto di Studi e Analisi Economica, nel quale

vengono analizzati gli effetti della liberalizzazione nei tre principali mercati europei

(Italia, Francia e Germania), emerge che, in confronto al 1993, nel 2003 la quantità di

prodotti di provenienza cinese ha avuto un sostanziale incremento, in particolare in

Francia dove è triplicata e in Italia dove è più che raddoppiata, raggiungendo il 44%

del totale delle importazioni del settore abbigliamento. Tale espansione quantitativa è

stata favorita da un drastico calo dei prezzi unitari che, tra il 1993 e il 2003, hanno

20 Ibidem.

Page 38: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

34

subito un decremento del 20% circa in Francia e in Germania e addirittura del 60%

nel mercato italiano.21

In lieve controtendenza rispetto a quanto detto sopra, l’EURATEX,

un’organizzazione no-profit con sede a Bruxelles, dedicata alla promozione

dell’industria del T/A europea, sembra individuare una tendenza ad un incremento di

quote di mercato non solo da parte della Cina e a discapito del Resto del Mondo, ma

anche a beneficio di altri PVS. In un suo studio22, presentato alla sesta conferenza

ministeriale WTO tenutasi a Hong Kong, emergono dati a sostegno di tale tendenza.

Dall’osservazione della “torta” dell’export mondiale di T/A (v. figura 2.2) emerge che

i paesi che hanno incrementato maggiormente le loro esportazioni nel periodo

considerato sono il Marocco (3 volte), il Messico (2,3 volte), China e Bangladesh (2

volte). Altri paesi che hanno incrementato l’export sono la Turchia (1,75 volte), India,

Pakistan e Sri Lanka (1,5 volte). Di contro, Hong Kong, il Giappone, la Corea del

Sud, la Malesia e Taiwan hanno visto ridursi il valore delle loro esportazioni. Gli

esportatori europei e gli Stati Uniti hanno anch’essi visto una buona crescita del loro

export, ma ben al di sotto delle performance degli altri maggiori esportatori, il che si

traduce in una perdita di quote di mercato.

21 ISAE, “La liberalizzazione commerciale del settore tessile e abbigliamento”, Marzo 2005. 22 “The textile and clothing speficity – facts and figures”, at The 6th WTO Ministerial Conferente – Hong Kong, Euratex, 2005.

Page 39: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

35

Figura 2.2 – Quota sulle esportazioni mondiali di TA (1995-2003)

Fonte: “The textile and clothing speficity – facts and figures”, at The 6th WTO

Ministerial Conferente – Hong Kong, Euratex, 2005.

Indicativa risulta essere anche l’osservazione del grafico dell’evoluzione del

consumo di fibre nel periodo 2000 – 2004 (v. figura 2.3).

Quello che risalta subito all’occhio è che praticamente la metà del consumo mondiale

di fibre nel 2004 è rappresentato da Cina e India, principalmente grazie all’incremento

della quota della Cina, che ha portato la sua quota dal 24,3% nel 2000 al 38,0% nel

2004, con un aumento quasi del 14%.

Di contro, Giappone, UE e USA hanno visto ridursi il volume dei loro consumi di

fibre, pur continuando a rappresentare il 17% della produzione mondiale nel 2004,

che era pari, però, al 25% nel 2000. Meno consumo di fibre significa meno

Page 40: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

36

produzione di tessuti e di abbigliamento, il che, in effetti, è quello che è avvenuto nei

paesi industrializzati.

Figura 2.3 – Quota sui consumi mondiali di fibre (2000 – 2004)

Fonte: “The textile and clothing speficity – facts and figures”, at The 6th WTO

Ministerial Conferente – Hong Kong, Euratex, 2005.

In merito al consumo di fibre risulta d’interesse un’osservazione: dato che, come si

può vedere dalla figura, esso cresce a livello mondiale, mentre la disponibilità di terra

rimane costante, dobbiamo aspettarci che le fibre artificiali e sintetiche derivate dal

petrolio, quali poliestere, poliammide, polipropilene, acrilico, aramide e acetato,

rappresenteranno una quota crescente del consumo globale di fibre in futuro,

nonostante la previsione di un aumento del prezzo dell’oro nero.

Tali fibre rappresentano quindi sempre di più una direzione di sbocco per gli

investimenti, e possono costituire un’occasione per incrementare il vantaggio

Page 41: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

37

comparato dei paesi industrializzati nel settore tessile, visto il significativo impiego di

capitale tecnologico necessario per la loro lavorazione (si noti che anche i NIEs sono

già molto competitivi nella produzione di tessuti sintetici, soprattutto Corea del Sud e

Taiwan).

Oltre a ciò, ci sono segnali che suggeriscono un’accelerazione per quanto riguarda

l’innovazione delle fibre tessili in ottica di salvaguardia dell’ambiente e

razionalizzazione dell’impatto ambientale. Basti pensare che di recente sono state

introdotte sul mercato fibre derivanti dai fondi del caffè (vedasi S.Cafè dell’azienda

SINGTEX di Taiwan), dal cocco23 e dalla lavorazione del bamboo (utilizzato anche

da Bailo Spa, l’azienda oggetto del nostro approfondimento24).

2.2. Il GAFTT

In risposta alla minaccia rappresentata dalla liberalizzazione del T/A seguita

all’Uruguay Round, 91 gruppi operanti nel settore, provenienti da 49 paesi del mondo,

hanno costituito la c.d. Allenza Globale per un Equo Commercio del Tessile (Global

Alliance for Fair Textile Trade – GAFTT). L’obiettivo dichiarato di tale alleanza è

quello di prevenire la conquista del mondo del commercio del tessile e

dell’abbigliamento da parte della Cina.25

Il GAFTT include gruppi provenienti dagli Stati Uniti, dall’Unione Europea, da

Turchia, Messico, Bangladesh, Filippine, Sri Lanka, Uganda, Sud Africa, Marocco,

Perù, Argentina, Bolivia, Venezuela e da molti altri paesi. L’allenza è, quindi, formata

sia da paesi industrializzati sia da PVS sia da LDCs, il che sembra confermare la tesi

23 http://www.coconafabrics.com 24 Per un approfondimento sull’azienda Bailo Spa si rimanda alla parte II del presente lavoro. 25 http://www.fairtextiletrade.org/

Page 42: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

38

che il processo di liberalizzazione rischia di favorire solo la Cina, ai danni del Resto

del Mondo.

Tra i firmatari della Dichiarazione di Istanbul, con cui ha preso vita il GAFTT, si

contano anche cinque associazioni italiane e segnatamente: l’ Associazione Italiana

Industrie della Filiera Tessile Abbigliamento (AIIFTA); l’Associazione Tessile

Italiana (ATI); l’Eurocoton; il Joint Committee of the Textile Finishing Industry in

the E.U. (CRIET); l’International Association of Users of Artificial and Synthetic

Filament Yarns and of Natural Silk (AIUFFAS).

Il GAFTT si pone sostanzialmente come un gruppo di pressione nei confronti del

WTO, con l’obiettivo di salvaguardare gli interessi delle Nazioni che saranno

svantaggiate dalla fine del sistema delle quote nel T/A e che sarebbero, secondo le

stime e l’osservazione dei primi dati empirici, pressoché tutte le Nazioni del mondo

ad eccezione di Cina, India e Pakistan, le uniche a guadagnare quote di mercato in

seguito alla liberalizzazione.

Il GAFTT, nel corso degli ultimi anni, ha proposto alcune misure da adottare per

fermare la minaccia cinese. Le più significative sono state essenzialmente due: un

effettivo utilizzo del China Textile Safeguard da parte di USA e UE.; un incontro di

emergenza in sede WTO, non con lo scopo di estendere il sistema delle quote, ma di

esaminare approfonditamente cosa deve essere fatto per prevenire quella che

potremmo chiamare un hostile takeover bid, una scalata ostile da parte della Cina al

mercato del T/A che, a detta dell’Alleanza, avrebbe effetti disastrosi sulle industrie

dei suoi paesi membri.

Per quanto riguarda il primo punto, sappiamo che non rimane più nulla da fare dato

che, come abbiamo visto, la clausola di salvaguardia specifica è scaduta il 31

dicembre 2008.

Page 43: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

39

Il China Textile Safeguard fa parte di quelli che abbiamo soprannominato “rigurgiti

protezionistici” adottati in sede di WTO.

È da notare come, secondo il GAFTT, il China Textile Safeguard non sia mai stato

utilizzato effettivamente.

Nei casi in cui gli Stati Uniti lo hanno utilizzato, la Cina è stata in grado di

guadagnare fino al 40% del mercato prima che esso manifestasse i suoi effetti e,

inoltre, il safeguard durava per un anno o anche meno, prima che gli stessi problemi

di prima si ripresentassero.

Secondo il parere dell’Alleanza, l’accordo di salvaguardia sul tessile avrebbe dovuto

essere utilizzato con meno parsimonia, visto che gli effetti dell’incremento delle

importazioni provenienti dalla Cina e dirette verso i paesi WTO non potevano essere

definiti meglio se non dall’aggettivo “dirompenti”.

Per quanto riguarda il secondo punto, sembra che, nonostante le pressioni del

GAFTT, in sede di accordi WTO non ci sia l’intenzione di cambiare marcia, né tanto

meno direzione. “La liberalizzazione s’à da fare”, sembra essere il motto

dell’Organizzazione mondiale del commercio. Per quanto riguarda i tempi, non ci

sono indizi di rallentamento. Da quest’anno non è più in vigore l’accordo di

salvaguardia specifica. Ora non rimane che fare appello al TPSSM, ma, come

abbiamo visto, solo fino al 2013, anno in cui solo i più forti rimarranno sul mercato,

senza “se” e senza “ma”.

2.3. Gli Stati Uniti

Gli USA sono il terzo esportatore mondiale di prodotti tessili al mondo, per un valore

pari a 16,5 miliardi di dollari nel 2006.

Page 44: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

40

Negli Stati Uniti l’industria del tessile e abbigliamento impiegava 700.000 lavoratori

nel 2007.26 Un anno dopo, nel 2008 l’industria subisce la perdita di 35.000 posti di

lavoro, portandosi a quota 675.000 lavoratori27.

Il salario medio di un lavoratore statunitense nell’industria tessile è pari a 524$ alla

settimana, mentre il salario di un lavoratore impiegato nell’abbigliamneto è pari a

222$ alla settimana28.

In una nota del Marzo 2009 il presidente della National Council of Textile

Organisations (NCTO) C. Johnson, sollecita l’Amministrazione Obama a mettere in

atto il Programma di Monitoraggio sulle importazioni di prodotti tessili come

promesso il 24 ottobre 2008 in una lettera dell’allora senatore dell’Illinois al NCTO29.

Johnson pare preoccupato dai risultati statistici pubblicati dal Dipartimento del

Commercio statunitense, dai quali si evince che le importazioni dei prodotti di

abbigliamento cinesi liberalizzati dal 1° gennaio del 2009 stanno letteralmente

volando e la Cina sta riducendo drasticamente i prezzi con l’intento di guadagnare

quote di mercato.

In effetti quello che sta succedendo sembra confermare tutte i timori precedenti

all’eliminazione delle quote. Emblematiche sono le previsioni effettuate da uno studio

del WTO30 nel 2004, secondo il quale la Cina, in seguito all’eliminazione delle quote,

avrebbe visto crescere vertiginosamente la propria quota di mercato negli USA e,

segnatamente, avrebbe raggiunto un 18% di quota di mercato nel settore tessile e

addirittura un 50% pieno nell’industria dell’abbigliamento (v. figure 2.4 e 2.5).

26 NCTO, “United States Files Case against Illegal Chinese Textile Subsidies”, December 19th, 2008. 27 NCTO, “Imports of Chinese Apparel Soar after Safeguards Remove – NCTO Urges Obama Administration to Begin monitoring Program”, March 16th, 2009. 28 Ibidem. 29 Letter from Senator Obama to NCTO, October 24th, 2008. 30 H.K. Nordas, “The Global Textile and Clothing Industry post the Agreement on Textile and Clothing”, WTO Discussion Paper No 5.

Page 45: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

41

Tabella 2.1: Aumento import dalla Cina negli USA – Categorie abbigliamento sottoposte a

processo di Safeguard

Description Category Number Percent Increase

(Jan 08 - Jan 09)

Men's cotton knit shirts 338 2%

Women's cotton knit shirts 339 58%

Men's cotton woven shirts 340 10%

Men's cotton trousers 347 39%

Women's cotton trousers 348 50%

Cotton underwear 352 33%

Man-made fiber underwear 652 39%

Men's man-made fiber woven shirts 640 -36%

Men's man-made fiber trousers 647 31%

Women's man-made fiber trousers 648 16%

Men's man-made fiber shirts 638 2%

Women's man-made fiber shirts 639 57%

338, 339, 340, 347, 348, 352,

All categories 638, 639, 640, 647, 648, 652 36% Fonte: U.S. Departement of Commerce

Negli Stati Uniti gli effetti della liberalizzazione non si sono fatti sentire solo

sull’aumento della quota di mercato della Cina, ma anche sui livelli di occupazione:

nei primi due mesi del 2009, infatti, sono andati persi ben 20.000 posti di lavoro che,

assieme ai 35.000 già persi nel 2008, iniziano a rendere la situazione preoccupante,

con effetti che sempre più vanno verso la definizione di “dirompenti”, tanto che anche

il NCTO, come il GAFTT, sta prendendo posizione in sede di WTO perchè vengano

prese in esame le pratiche commerciali e di politica economica attuate dal governo

cinese.

Già nel Settembre del 2007, il presidente NCTO Cass Johnson, in una lettera a Mr.

Scott Quesenberry, allegava una lista di sussidi che il governo cinese elargisce in

favore delle propria industria del T/A, nonché casi di dumping (entrambe pratiche

vietate dal WTO).

Dalla lettura di tale lista risulta interessante notare come, oltre a sussidi

all’esportazione e a incentivi fiscali per gli investimenti e programmi di sviluppo, il

Page 46: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

42

governo cinese offra incentivi monetari per la partecipazione a fiere nazionali ed

internazionali e a supporto delle attività di brand building, inclusa la partecipazione

ad incontri e manifestazioni di formazione svolte all’estero dal management delle

imprese cinesi.

L’obiettivo del governo cinese sembrerebbe essere quello di rafforzare le competenze

del proprio paese anche nel comparto delle attività correlate al T/A, quelle con più

alto valore aggiunto, caratterizzate da lavoro qualificato e, come detto sopra,

localizzate principalmente nei paesi occidentali, USA e UE in primis.

Se i cinesi dovessero rivelarsi competitivi anche sul piano del design, della creatività,

del marketing e del branding, le attività di filiera in cui gli occidentali (e in particolar

modo l’Italia) conservano il più sostanzioso vantaggio comparato, allora la sfida

diventerebbe ancora più aspra, e la Cina si evolverebbe definitivamente dal ruolo di

“terzista” dell’Occidente a vera e propria protagonista di tutta la filiera produttiva.

In sintesi, il quadro per l’industria del T/A statunitense non sembra rassicurante. Varie

associazioni di categoria, quali l’AMTAC, UNITE HERE e il gia citato NCTO,

sembrano d’accordo sull’attribuire alla “cieca fiducia” nel libero commercio le

responsabilità del crollo, preannunciato e ora in corso, della loro quota sulla

produzione mondiale.

Gli interventi per arginare la situazione sembrano rivolti, perlopiù, alla denuncia

presso il WTO delle pratiche commerciali, non conformi agli accordi, messe in atto

dal governo di Pechino, in modo da diminuire, per quanto possibile, l’enorme

vantaggio che la produzione cinese sta progressivamente guadagnando nei confronti

di quella statunitense.

Page 47: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

43

Figura 2.4: Quote di mercato prima e dopo l’eliminazione delle quote, tessile,

USA

PRIMA

DOPO

Fonte: WTO

Page 48: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

44

Figura 2.5: Quote di mercato prima e dopo l’eliminazione delle quote,

abbigliamento, USA.

PRIMA

DOPO

Fonte: WTO

Page 49: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

45

2.4.1. L’Unione Europea

L’UE è il maggior esportatore mondiale di prodotti tessili e il secondo esportatore di

prodotti dell’abbigliamento dopo la Cina31.

Le esportazioni di tessile nel 2007 ammontavano a 33,7 miliardi di Euro, pari all’8%

sul totale dell’export mondiale.

Se negli Stati Uniti la situazione sembra precipitare in seguito all’abolizione delle

quote, in Europa gli effetti sembrano meno estremi, ma comunque rilevanti.

Dallo stesso studio del WTO in precedenza citato 32, emerge una situazione per l’UE

in linea con quanto detto per gli USA: le previsioni danno la Cina in progressiva

conquista di quote di mercato, nel tessile ma soprattutto nell’abbigliamento. La Cina

passa da un 10% a un 12% nel tessile e da un 18% a un 29% nell’abbigliamento, con

un incremento previsto dell’11% (vedi Figure 2.4 e 2.5)

31 “Tessili e Abbigliamento: riunione del Gruppo ad Alto Livello per preparare raccomandazioni sul futuro del settore tessile UE”, Gruppo di Alto Livello sul Tessile e Abbigliamento, Bruxelles, 29 giugno 2004. 32 H.K. Nordas, “The Global Textile and Clothing Industry post the Agreement on Textile and Clothing”, WTO Discussion Paper No 5.

Page 50: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

46

Figura 2.4: Quote di mercato prima e dopo l’eliminazione delle quote, tessile,

UE

PRIMA

DOPO

Fonte: WTO

Page 51: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

47

Figura 2.5: Quote di mercato prima e dopo l’eliminazione delle quote,

abbigliamento, UE.

PRIMA

DOPO

Fonte: WTO

Page 52: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

48

I dati forniti dal Ministero delle Attività Produttive italiano, seguiti a osservazione

empirica di alcuni prodotti già sottoposti a liberalizzazione, delineano una prospettiva

di crescita ancor più favorevole per la Cina (v. Tabelle 2.2 e 2.3).

Tab. 2.2. Quote di mercato e prezzi cinesi nell’UE prima e dopo la

liberalizzazione

Periodo Quota mercato UE Prezzi export della Cina Cina (€/pezzo)

2001 15% 18,28 2002 55% 10,00 2003 74% 7,60

I sem. 2003 63% 7,85 I sem. 2004 74% 6,82

Fonte: Ministero delle Attività Produttive

Tab. 2.3. Impatto della Cina sul mercato T/A in UE dopo la liberalizzazione del

2002

Prodotto Variazione quota di Variazione mercato Cina dei Prezzi

Giacche a vento (cat. 21) +168% -45% Tute ginnastica (cat. 73) +83% -52% Stoffa tessuta in pile +87% -42% (cat. 32)

Fonte: Ministero delle Attività Produttive

Come si evince dall’osservazione dei dati forniti, anche in Europa la Cina sta

guadagnando grosse fette di mercato mentre i prezzi in pratica si sono già dimezzati.

A proposito del tessile tecnico risulta interessante sottolineare come, soprattutto negli

ultimi anni, sia andata incrementando la presenza di produttori asiatici a

manifestazioni fieristiche in Europa. All’interno dell’ultima fiera internazionale

dell’abbigliamento sportivo invernale, l’ISPO Winter 2009, tenutasi in Febbraio a

Monaco di Baviera, si può affermare che si fosse ricreato un microambiente che

Page 53: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

49

riproduceva su piccola scala lo scenario geografico che contraddistingue il mercato

del T/A a livello mondiale, nella fattispecie quello relativo all’abbigliamento sportivo

tecnico: nei padiglioni dedicati all’esposizione dei marchi di abbigliamento, si poteva

notare il predominio dei brand occidentali, sintomo che le attività a maggior valore

aggiunto della filiera (branding, design ,marketing, comunicazione), sono ancora

appannaggio delle imprese dei paesi industrializzati; nei padiglioni dedicati

all’esposizione dei fornitori di tessuti e di façon, la presenza era, invece, quasi

totalmente asiatica, in prevalenza proveniente da Cina, Corea del Sud, Taiwan, India e

Pakistan.

Le fiere sono da sempre un’ottima occasione per fare affari, per vendere ma anche per

trovare nuovi partner commerciali, o nuovi fornitori. Il fatto che tra i fornitori di

tessuti le aziende occidentali si contassero sulle dita di una mano33 può suggerirci che

molti contratti di fornitura siano stati conclusi con fornitori asiatici, il che non fa che

confermare il trend sopra delineato. Per quanto riguarda la façon la situazione era

ancora più drastica: Cina, Cina, tanta Cina.

Sempre in Europa, si registrano maggiori presenze asiatiche a fiere di tessuti come

“Premier Vision” a Parigi, nonché la nascita di nuove fiere europee dedicate quasi

interamente a vetrina per produttori provenienti dal Far East asiatico, come la

manifestazione itinerante “Performance days”, che fa tappa a Verona, Monaco e

Stoccolma, dedicata ai tessuti tecnici per l’abbigliamento sportivo, giunta alla sua

seconda edizione quest’anno.

33 Le poche aziende occidentali presenti erano le major del settore: basti citare Gore-Tex e Shoeller su tutte.

Page 54: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

50

2.4.2. La reazione europea

Alla aggressiva conquista di quote di mercato da parte dei PVS, soprattutto asiatici,

l’UE risponde con la formazione, nel Febbraio del 2004, di un gruppo di

osservazione e consultazione, il Gruppo di Alto livello sul Tessile e Abbigliamento

(High Level Group on Textile and Clothing).

Tale gruppo, composto di Commissari comunitari, Ministri degli Stati membri e

rappresentanti del Parlamento Europeo, rappresentanti del mondo dell’industria,

associazioni di categoria, unioni di imprese, retailers, importatori e distributori, ha il

compito di analizzare dettagliatamente il mercato del T/A europeo, la cornice

macroeconomica in cui si colloca, nonché di fornire raccomandazioni alla

Commissione Europea e ai suoi Stati membri in merito alle azioni da intraprendere

per la salvaguardia e lo sviluppo dell’industria.

Il Gruppo di Alto Livello ha individuato i pilastri della propria strategia generale nei

seguenti punti:

• completamento dell’area di libero scambio Euro-Mediterranea;

• innovazione nel campo della tecnologia per l’abbigliamento, nel cui ambito

spicca il progetto LEAPFROG;

• un piano di azione nei confronti della Cina;

• accesso al mercato preferenziale per i paesi del terzo mondo (riduzione dei

dazi, eliminazione delle barriere non tariffarie);

• favorire la formazione e l’occupazione;

• protezione dei diritti di proprietà intellettuale (Intellectual Property Rights,

IPR);

Page 55: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

51

• assicurarsi che la struttura di regolamentazione interna all’UE rimanga

attrattiva per gli investimenti34.

Secondo il Gruppo di Alto Livello, sarebbero numerosi i motivi per cui non

assisteremo alla scomparsa del T/A europeo a vantaggio della conquista mondiale del

settore da parte della Cina.

Su tutti, in accordo con la tesi del modello gravitazionale, il problema della

“distanza”. In uno studio sulle prospettive del settore da qui al 2020 viene preso in

esame l’aumento previsto dei costi energetici e principalmente quelli legati al petrolio

che, i “seguaci” di Hubbert danno in progressivo e incontrovertibile aumento nei

prossimi anni, in funzione del superamento della domanda rispetto all’offerta

mondiale. Un aumento dei costi energetici si traduce in aumento dei costi di trasporto,

il che già da solo è un argomento in favore della preferenza per prodotti realizzati

meno lontano da un punto di vista geografico.

La commissione rimane convinta che sia possibile trovare soluzioni sostenibili per le

sfide strutturali che il settore deve affrontare mediante il rafforzamento dei vantaggi

competitivi dell’industria europea e con strutture adatte.

I progetti messi in atto a livello comunitario per la salvaguardia e il rilancio del T/A

europeo sono numerosi e, per onor di cronaca, ne elencheremo alcuni: EUROPA

INNOVA, NETFINTEX, AVALON, FASHION2FUTURE, CLEVERTEX,

WEBTEXPERT, TRANSITION, SPACE2TEX project, Tex-Map, TEX-SPIN…

I suddetti progetti di Ricerca & Sviluppo sono promossi da Euratex, Autex e

Textranet e si inseriscono nell’agenda del Future Textile and Clothing (FTC), la

“Piattaforma Tecnologica Europea” dedicata al T/A.

Le Piattaforme Tecnologiche Europee (PTE) sono partnerships pubblico-private che

34 High Level Group Report and First Recommendations, June 2004.

Page 56: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

52

coinvolgono industrie, istituzioni di ricerca, istituzioni finanziarie e autorità di

regolamentazione, nate con lo scopo di definire delle roadmap dell’attività di R&S, al

fine di rafforzare la competitività dell’industria europea.

Tra i progetti messi in atto ce n’è uno che spicca in particolar modo, in quanto

affronta di petto il principale problema dell’industria europea, ovvero quello dell’alto

costo della manodopera nel comparto abbigliamento. Tale progetto è stato

denominato LEAPFROG, un acronimo che sta per Leadership for European Apparel

Production From Research along Original Guidelines. Il suo obiettivo, dichiarato nel

suo nome, è quello di riconquistare e consolidare la leadership del T/A europeo

attraverso linee guida originali per la ricerca. Tra l’altro, in inglese la parola

“leapfrog” significa “salto della rana”, e si potrebbe ludicamente immaginare che il

progetto intenda far spiccare al T/A europeo un bel salto in avanti.

Si pensa di raggiungere l’obiettivo descritto attraverso tre principali linee guida e,

segnatamente:

1. Accentuare i contenuti tecnologici dei prodotti con:

• Fibre speciali e materiali compositi per prodotti tessili innovativi;

• Nuovi processi di funzionalizzazione delle strutture tessili;

• Biomateriali, bio e nanotecnologie, processi ecologicamente

compatibili.

2. Estendere le applicazioni del tessile a nuovi settori di utilizzo:

• Tessili medicali, protettivi e per lo sport attivo;

• Tessili tecnici (trasporti, costruzioni, usi industriali);

• Tessili per un abbigliamento “intelligente” (smart textiles).

3. Realizzazione di produzioni mirate alle specifiche esigenze dei clienti:

Page 57: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

53

• Personalizzazione della produzione di massa (mass customisation);

• Nuove tecnologie di design e di produzione;

• Revisione della supply chain e della logistica;

• Gestione del ciclo di vita del prodotto e qualità totale.

Il Leapfrog si pone, entro il 2010, di cambiare le regole e raggiungere un nuovo mix

di vantaggi competitivi, attraverso una maggiore produttività e un migliore time to

market, nonché con un valore aggiunto superiore.

Il progetto è finanziato dall’UE per 15 milioni di Euro e vede la cooperazione di una

cinquantina di partner industriali, che contribuiscono con un importo di pari entità.35

Oltre allo studio di soluzioni per quanto riguarda la produzione di nuove strutture

tessili con tecnologie avanzate, la prototipazione virtuale e la diffusione dei c.d. smart

textiles (tessuti intelligenti), il Leapfrog appare interessante per quanto riguarda lo

studio di fattibilità di processi di confezione automatizzati con l’utilizzo di robotica.

L’orientamento di fondo sembra essere il seguente: essendo l’attività di confezione

sostanzialmente labour intensive e , essendo che i nostri competitors asiatici hanno un

vantaggio comparato sul fattore lavoro, una mossa astuta potrebbe essere quella di

rendere tale attività più capital intensive, ribaltando la situazione, disponendo noi di

un vantaggio comparato in tale fattore. Si inizia a parlare così di “produzione

automatizzata”. A tale proposito, è stato sottolineato36 come le fasi produttive dei

manufatti tessili, specie quelle a valle della tessitura, siano ancora basate sul lavoro

umano, assistito da macchine per cucire non dissimili da quella brevettata da Singer

oltre un secolo fa. L’Europa, per difendersi dalla concorrenza dei paesi a basso costo

di manodopera, dovrà da un lato ridurre drasticamente il fabbisogno di operatori non

35 G. Belletti, “Il grande salto”, Confezione, Settembre 2006. 36 Intervento di Rezia Molfino, dell’Università di Genova (PMARlab –DIMEC) ad un convegno c/o la Federazione SMI-ATI, 2006.

Page 58: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

54

qualificati, dall’altro adottare forme di automazione flessibile, basate sull’uso di

robot di nuova generazione. Questo processo, che mira alla cooperazione uomo-robot

e non alla totale sostituzione dell’intervento manuale, trarrà vantaggi dai progressi in

corso per quanto riguarda la sicurezza della interazione uomo-macchina, la crescente

flessibilità e facilità di programmazione (anche con comandi vocali), la diminuzione

dei costi e il maggior numero di fasi produttive che possono essere velocizzate e

automatizzate, in linea con tre obiettivi: “better, cheaper, faster” . Si muove in

questa direzione anche il lavoro della tedesca Modern Sewing Technology, che ha

sviluppato un processo tridimensionale, con alimentazione e cucitura automatica delle

parti tagliate su uno stampo 3D. Tale tecnologia, attualmente adottata nell’industria

automobilistica (sedili, poggiatesta…), prevede l’uso di un modello di dimensioni

fisse, ma dovrà svilupparsi ulteriormente per conseguire la maggiore flessibilità

richiesta dall’abbigliamento, ove le taglie variabili e i cicli di design più veloci

richiedono sagome tridimensionali versatili e sofisticate.

L’utilizzo di robot al posto della manodopera non qualificata sembra in effetti la

soluzione più intelligente individuata per rispondere all’esodo dell’industria delle

confezioni nel Far East. Tuttavia, per quanto riguarda la sua fattibilità in termini di

ritorno degli investimenti, la questione è , almeno per ora, tutt’altro che risolta.

2.5. La Cina

La Repubblica Popolare Cinese è il primo esportatore mondiale di abbigliamento e il

secondo esportatore mondiale di tessile.

L’apertura dell’economia cinese ai mercati internazionali risale alla fine degli anni

Settanta quando, con la fine del regime di Mao, prende il via il nuovo modello di

sviluppo contraddistinto da una radicale rottura con il passato. Il superamento del

Page 59: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

55

dogma maoista dell’autosufficienza consente l’avvio della politica della “porta

aperta” di Deng Xiaoping, fondata sull’adozione di una sorta di socialismo di mercato

e sullo sviluppo delle relazioni internazionali (prima di allora assolutamente bandite).

Questo drastico mutamento di prospettiva ha prodotto una serie di conseguenze

notevoli. Da un lato ha imposto una repentina trasformazione del tessuto produttivo

del paese, che è stato avviato verso una fase di intensa industrializzazione, tuttora in

corso. La riforma industriale, iniziata nel 1984, ha fatto sì che il settore industriale

fornisca oggi il contributo più importante alla formazione del reddito nazionale, a

scapito del settore agricolo, che oggi genera circa il 15% dl PIL, ma con oltre il 44%

degli occupati. Dall’altro lato, ha favorito l’afflusso di IDE e stimolato il commercio

internazionale, che ha conosciuto un’ulteriore accelerazione a partire dal novembre

2001, dopo l’ingresso nel WTO. A tale ingresso, si è tuttavia accompagnato solo un

parziale adeguamento delle normative commerciali, specie in materia di tutela dei

marchi e di lotta alla contraffazione, e un impegno ancora incompleto relativamente al

contenimento delle politiche di erogazione di sussidi e di riduzione delle barriere

tariffarie.

Nel complesso le riforme introdotte negli ultimi due decenni sono state in grado di

avviare un robusto processo di crescita – assimilabile a quello già precedentemente

sperimentato dalle cosiddette tigri asiatiche e prima ancora dal Giappone – che ha di

fatto collocato la Cina tra i maggiori attori economici nel contesto internazionale. Nel

periodo 1980-2000 l’economia cinese ha infatti conosciuto una fase di sviluppo –

quasi ininterrotta, contraddistinta da tassi di incremento del PIL pari al 9,5% annuo37.

In termini aggregati il valore del PIL , valutato ai cambi correnti di mercato, la pone

al sesto posto della graduatoria mondiale (4% circa del PIL mondiale) mentre,

37 Fonte: World Bank

Page 60: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

56

passando ad una valutazione espressa in termini di PPP, il PIL cinese rappresenta

quasi il 13% di quello mondiale. Il reddito pro-capite, pur in veloce crescita, è stimato

in $1.060 (valutato a cambi correnti), il doppio dell’India ma circa la metà di quello

russo, un decimo di quello coreano, un ventesimo di quello europeo: un segnale

evidente di quanto sia ancora intenso lo sforzo che l’economia cinese deve compiere

per completare il processo di catching-up.

D’altro canto, è risaputo che spesso il reddito medio non è rappresentativo del reddito

dei cittadini di un paese; come spiega bene l’aneddoto di Trilussa sulla media: un

pollo a testa significa che una persona ne mangia due e un’altra salta il pasto.38

La forbice tra i pochissimi cinesi ricchissimi e la maggioranza della popolazione

praticamente in miseria non è infatti rappresentata dalle stime sul PIL pro-capite, ma

rimane comunque una caratteristica di questo paese, nel quale la classe media stenta

ancora a delinearsi.

Parlando di rapporti con l’estero, la quota dei mercati mondiali detenuta dalle

esportazioni cinesi è passata dall’1 al 6%, grazie ad una fortissima crescita

dell’attività di export – costituito al 90% da manufatti che si stanno velocemente

spostando dai settori tradizionali a quelli elettronici o ad alto contenuto tecnologico –

che ha collocato la Cina al quarto posto nella classifica dei maggiori esportatori

mondiali. La consistente apertura nei confronti dell’estero ha consentito anche di

attirare una quota crescente di investimenti diretti esteri. Nel 2002, l’8,1% del totale

mondiale di investimenti diretti all’estero è approdato in Cina, che è diventato il

primo mercato di destinazione fra i paesi emergenti. Nel 2003, secondo l’OCSE, il

mercato cinese è addirittura diventato il primo al mondo, sopravanzando quello

statunitense, con un flusso netto di IDE superiore ai 53 miliardi di dollari.

38 A. Alesina, F. Giavazzai, La crisi, Il Saggiatore, 2008.

Page 61: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

57

Come è stato detto, la Cina è il paese che sta traendo i maggiori vantaggi dal processo

di globalizzazione in atto e , in particolar modo, dal processo di liberalizzazione del

T/A, un settore nel quale vanta notevoli vantaggi comparati che, fino all’inizio di

quest’anno, non hanno potuto manifestarsi in tutta la loro potenza, a causa delle

politiche protezionistiche adottate dai paesi industrializzati.

La Cina si avvia a diventare la seconda, se non la prima economia mondiale entro il

2050, e oggi si assiste ad un progressivo spostamento della produzione industriale

verso quella che è ormai la “nuova fabbrica del mondo”.

Lo studio dei fattori di vantaggio competitivo della Cina esula dai fini del presente

lavoro, ma merita un breve accenno l’enunciazione di quelli che sono i punti di forza

dell’industria cinese del T/A.

Il più riconosciuto vantaggio comparato della Cina è senz’altro da ricondursi al

bassissimo costo della sua manodopera. A fronte di stipendi della classe manageriale

in crescita, la classe operaia è tra le meno retribuite al mondo. Questo di per sé

potrebbe già fornire una valida spiegazione della leadership di mercato della Cina nel

settore dell’abbigliamento, come sappiamo caratterizzato da un utilizzo intensivo del

fattore lavoro nella produzione.

A questo vanno aggiunte una serie di circostanze favorevoli per l’industria cinese,

quali:

• una moneta, il renmimbi, a detta di molti analisti fortemente sottovalutato nei

confronti del dollaro, con conseguente vantaggio per le esportazioni;

• una politica economica volta alla crescita del settore, mediante l’elargizione di

incentivi fiscali, sussidi all’export e condizioni finanziarie di prestito fuori

dalle logiche del mercato, che permettono alle imprese che ottengono dei

Page 62: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

58

finanziamenti di dover rimborsare solo la quota di interessi e non la quota di

capitale.39

Tali politiche economiche vanno ad incrementare il già affermato vantaggio

competitivo della Cina nei confronti del Resto del Mondo, accelerando la sua

conquista di quote di mercato.

Oltre a questo, non è da dimenticare che la Repubblica Popolare Cinese può contare

sui rapporti strategici con Hong Kong e Taiwan, che sono tra le regioni più sviluppate

del continente asiatico.

CRESCITA ORIENTATA ALLE ESPORTAZIONI

Nonostante negli ultimi anni si sia assisitito ad un aumento della domanda interna a

seguito della crescita economica e del conseguente aumento del potere di acquisto, la

Cina ha perseguito, e tutt’oggi persegue, un modello di sviluppo orientato alle

esportazioni. La dipendenza dell’economia cinese dal commercio estero si attesta

intorno al 60% e sta alimentando dibattiti all’interno del paese in merito alla

sostenibilità di tale modello di sviluppo40.

Il timore di alcuni economisti cinesi è che tale dipendenza possa tramutarsi in una

minaccia alla crescita economica, nel caso di crisi dei propri partner commerciali. Si

pensi che la Cina è, dopo il Giappone, il secondo creditore mondiale nei confronti

degli USA, il paese più indebitato al mondo e, come abbiamo potuto osservare nel

corso della storia recente, non immune a crisi economiche, anche di proporzioni

significative.

39 Where Free Trade Hurts”, Business Week, December 15, 2003. 40 Liu Guangxi, Chen Taifeng, “To use connotation of the dependency ratio of foreign trade scientifically and China’s countermeasures under the WTO”, International Business Research, 2004.

Page 63: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

59

Nel passato in Cina, l’implementazione di una politica economica orientata alle

esportazioni, ha di fatto guidato molte imprese a focalizzarsi sul vantaggio di prezzo,

piuttosto che su quello di qualità.

Il vantaggio competitivo veniva ricercato sui bassi costi del lavoro, il che ha garantito

alla Cina di guadagnare quote di export mondiale, ma tale export è stato caratterizzato

da prodotti a basso valore aggiunto e a basso contenuto tecnologico.

La competizione sul prezzo ha nel tempo suscitato reazioni protezionistiche che si

sono manifestate in numerose investigazioni e misure antidumping, un ulteriore

strumento adottato da molti paesi del WTO per frenare le esportazioni del colosso

asiatico.

A fronte di questo molti economisti sostengono la necessità per l’economia cinese di

investire in innovazione, con l’obiettivo di aumentare il valore aggiunto e i contenuti

tecnologici dei propri prodotti.

Per quanto concerne la dipendenza dell’economia cinese dalle sue esportazioni, è

possibile prevedere che, nonostante non ci siano segnali indicativi di un calo

dell’export nel prossimo futuro, si assisterà ad una compensazione dovuta ad un

incremento della domanda interna di consumi, in conseguenza dell’aumento del

tenore di vita, nonché delle influenze culturali di stampo occidentale/consumistico che

ormai si sono miscelate alla millenaria cultura locale, cosicché l’incidenza delle

esportazioni sul PIL dovrebbe ridursi.

Page 64: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

60

Page 65: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

61

Parte II

Un analisi microeconomica

Page 66: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

62

Page 67: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

63

Capitolo 3. Il caso italiano

3.1. Il Tessile-Abbigliamento in Italia

L’Italia riveste un ruolo centrale nel panorama mondiale del settore T/A. Essa è

infatti, con circa 22.000 aziende esportatrici del sistema moda, il secondo esportatore

mondiale dopo la Cina. È il primo produttore ed esportatore europeo, con una quota di

mercato del 34,8% nel tessile, con un notevole distacco dagli altri leader come la

Germania che detiene il 13,5% e la Francia, che detiene il 12,6%. Nel settore

dell’abbigliamento il peso dell’Italia è ancora più rilevante: è, infatti, al primo posto

per livelli di produzione con un 43% sul totale europeo, contro il 12,7% della

Germania e il 12% della Francia, rispettivamente secondo e terzo produttore

europeo41.

La produzione di abbigliamento è sempre più rivolta alla soddisfazione della domanda

estera: la quota delle vendite estere di abbigliamento sul fatturato complessivo ha

raggiunto la soglia del 61,7%, con un’importanza crescente dei mercati extra UE.

L'offerta delle imprese italiane si colloca verso la fascia alta dei prodotti e si rivolge

sia ai mercati tradizionali europei (attualmente in calo il mercato tedesco), USA e

Giappone che ai nuovi Paesi emergenti. Per l'abbigliamento l'incremento di mercato

più notevole si è avuto in Russia (+ 23,5%) e in Cina (+ 14,8%). Gli elevati livelli di

sviluppo economico ed il rapido aumento dei consumi di questi Paesi ne fanno aree

prioritarie d'intervento.42

Uno dei vantaggi competitivi del nostro paese è senza dubbio la capacità di “tingere”

41 Elaborazione Centro Studi Confindustria su dati Eurostat. Cfr. “La trasformazione industriale in Europa”, Centro Studi Confindustria, dicembre 2004. 42 “Ricerca sul mercato dei tessuti e dell’abbigliamento nella Federazione Russa”, a cura dell’ufficio ICE di Mosca, presentata presso il CNA Federmoda di Bologna l’11 giugno 2009.

Page 68: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

64

di attributi intangibili l’altrimenti semplice e mercificato settore dell’abbigliamento. Il

design, la creatività, finanche la poesia che permettono ad un prodotto di

abbigliamento di passare il confine tra indumento e moda, sono attributi che nel

mondo sono generalmente associati con l’Italia, con il suo stile e il suo gusto.

Risulta altrettanto importante sottolineare come siano proprio tali attributi intangibili

a creare un indotto di attività correlate di terziario (design, branding, comunicazione)

che si traduce in un reale e tangibilissimo giro d’affari, che funge da mezzo di

sostegno e di sviluppo per tutte le altre attività lungo la filiera.

In Italia, complessivamente il sistema moda, includendovi anche attività quali design

e servizi dedicati, conta a fine 2003 quasi un milione di addetti (750.000 nel T/A,

220.000 nel comparto calzatura, pelli e cuoio, 30.000 nei servizi dedicati di filiera),

con una connotazione fortemente territorializzata nelle regioni del centro – nord e nei

relativi distretti industriali. Si tratta quindi di un pezzo importante dei circa cinque

milioni di addetti dell’industria manifatturiera nazionale, che rappresenta, come

recentemente dichiarato dal ministero dell’Industria, circa il 14% del PIL del nostro

paese.

Per vedere cosa pensano del settore gli addetti ai lavori, citiamo di seguito la

descrizione che ne viene data dal Sistema Moda Italia (SMI), un’associazione che,

contando circa 2.300 imprese, è una delle più grandi organizzazioni mondiali di

rappresentanza degli industriali del tessile e moda: “il Tessile-Moda, rappresentato da

SMI, costituisce da sempre uno dei settori di eccellenza del Made in Italy, come

attestano non solo i numeri del settore, ma soprattutto lo stesso posizionamento di cui

gode a livello internazionale. […] Tradizionalmente, l’industria Tessile-Moda italiana

si compone di una filiera particolarmente diversificata e completa, che vede sul

territorio nazionale la presenza sia di imprese operanti nelle fasi a monte della filiera,

Page 69: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

65

come le filature, le tessiture e i nobilitatori, sia di imprese operanti nelle fasi a valle

(confezione). Oltre che in termini di processi, la filiera risulta completa anche sotto il

profilo delle fibre lavorate, in quanto coesistono imprese cotoniere e liniere, seriche,

laniere, così come imprese attive nella lavorazione di fibre artificiali e sintetiche.

La diffusione dell’industria Tessile-Moda interessa il territorio nazionale nel suo

complesso, sebbene vada segnalata la presenza di vere e proprie concentrazioni

spaziali delle industrie del settore in distretti industriali, tra cui, ad esempio, Biella,

Carpi, Castel Goffredo, Como, Prato, Vicenza, caratterizzati da economie esterne e

sinergie inter-aziendali. La produzione risulta organizzata prevalentemente in imprese

di dimensione piccola e media, altamente specializzate e operanti spesso in nicchie di

mercato, sebbene, specie nel segmento del lusso, non manchino veri e propri gruppi

multinazionali verticalizzati e integrati anche a livello distributivo.

Il know-how e le competenze diffuse, la flessibilità garanzia di quick response e di

personalizzazione, la continua innovazione incrementale (sia sui materiali sia sul

prodotto sia sul processo) lo stile e la creatività sono i principali asset che concorrono

a determinare la qualità e l’eccellenza dell’offerta italiana.”43

Come possiamo vedere, in Italia si localizzano le attività sia a monte sia a valle della

filiera, che sono esercitate da aziende principalmente di piccole e medie dimensioni.

Sia nel tessile che nell’abbigliamento l’Italia può contare su una tradizione di saper

fare riconosciuta a livello mondiale, il che le attribuisce un significativo e consolidato

vantaggio competitivo.

D’altra parte, però, sebbene, nel tessile, la caratterizzazione capital-intensive possa

fungere da protezione nei confronti della concorrenza estera, il comparto

abbigliamento sembra essere il più esposto ai rischi della competizione globale

43 http://www.sistemamodaitalia.com

Page 70: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

66

crescente in seguito alla liberalizzazione del settore, soprattutto sembra sensibile alla

concorrenza proveniente dai paesi a basso e bassissimo salario per quanto riguarda le

attività di façon, svolte in Italia da un significativo numero di laboratori terzisti

specializzati che, pur offrendo un livello qualitativo delle lavorazioni superiore ai

competitors stranieri, devono fare i conti con un costo del lavoro anche più di dieci

volte superiore rispetto alle imprese dei PVS e dei LDCs.

Peraltro nemmeno il settore tessile può considerarsi immune da attacchi competitivi

da parte di nuovi protagonisti, NIEs in testa. Soprattutto da Taiwan, Corea del Sud e

Cina arrivano le maggiori minacce, dato che questi paesi possono vantare un buon

livello di infrastrutture e di tecnologia, che permette loro di produrre tessuti altamente

competitivi, specialmente per quanto riguarda i tessuti tecnici, i quali rivestono

un’importanza sempre maggiore nel mercato.

Per avere un’idea del trend in atto, si pensi al caso della Candiani di Robecchietto,

celebre azienda produttrice di denim per i jeans, di cui l’azienda americana Levi’s

assorbiva un terzo della produzione. Da poco la Levi’s ha smesso di comprare il suo

denim in Italia e ora si rifornisce solo in Cina.44

Taiwan, Corea del Sud e Cina hanno dalla loro parte anche la posizione geografica,

nel senso che la loro prossimità ai laboratori di façon situati, come abbiamo visto, in

numero sempre più consistente nei paesi a basso salario del sud est asiatico, facilita la

crezione di network di imprese nella regione, spingendo sempre di più le aziende

committenti le lavorazioni di confezione nei paesi asiatici, a scegliere nelle prossimità

dell’area anche i fornitori di tessuti. Questo è vero in entrambe le forme di

outsourcing, sia industrializzato che commercializzato45, dove in entrambi i casi il

44 F.Rampini, “L’impero di Cindia”, Mondadori, 2006. 45 Nell’industrializzato il terzista si occupa solo del taglio e della confezione di tessuti e accessori forniti dal committente; nel commercializzato il terzista si occupa anche

Page 71: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

67

ricorso a fornitori limitrofi al luogo di confezione dei capi si traduce in una

diminuzione dei costi di logistica e di trasporto., nonché in un accorciamento dei

tempi di produzione.

Citando ancora il Rampini: “finchè la Cina ci sottraeva solo l’industria tessile dei

filati e degli stracci, la maglieria e i jeans, potevamo specializzarci nei mestieri più

avanzati, come i macchinari ad alto valore da vendere all’industria tessile cinese. Ma

la necessità per la Itema di venire a produrre in Cina è un campanello d’allarme serio.

È il segnale che, anche nel settore più sofisticato, il nostro vantaggio può avere le ore

contate.”46

Detto questo, se, come sostiene SMI, la qualità e l’eccellenza dell’offerta italiana sono

determinate da know-how e competenze diffuse, flessibilità a garanzia di quick-

response e personalizzazione, continua innovazione incrementale, stile e creatività,

possiamo affermare che la battaglia è aperta, dato che i paesi asiatici di nuova

industrializzazione di sicuro non stanno a guardare quando si parla di processi di

apprendimento, il che potrebbe in breve tempo portarli a sviluppare un know-how

simile al nostro. Per quanto attiene la quick-response, come osservato in precedenza,

lo spostamento della fasi di confezione nel sud est asiatico non fa che avvantaggiare i

fornitori di tessuti locali, a discapito delle nostre aziende, che hanno visto ridursi le

proprie quote di mercato a seguito del processo di delocalizzazione (è un po’ come un

gelataio di fronte ad una scuola: anche se il suo gelato è più buono, i suoi affari

sicuramente diminuiranno se la scuola verrà spostata in un altro quartiere, il tutto a

vantaggio del gelataio più vicino alla nuova scuola).

dell’approvvigionamento dei tessuti e degli accessori necessari al confezionamento. L’outsourcing commercializzato prevede quindi una delega più ampia rispetto all’industrializzato, a cui seguono solitamente differenze anche negli accordi sui pagamenti. 46 Opera citata “L’impero di Cindia”.

Page 72: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

68

Anche per quanto riguarda l’innovazione di prodotto, c’è da dire che, a parte gli

apprezzabili sforzi compiuti mediante alcuni progetti ad hoc47, l’Italia non brilla per le

sue attività di R&S, al contrario dei NIEs, dove significative quote degli utili vengono

destinate ai processi atti a creare innovazione.

Oltre a questo si aggiunga che nel nostro paese la produttività del lavoro è statica,

mentre nei paesi asiatici cresce di anno in anno, avvicinandosi sempre di più al nostro

livello.

Rimane tra i principali asset individuati da SMI in merito all’eccellenza dell’offerta

italiana, il fattore stile e creatività. Su questo punto possiamo stare più tranquilli:

prima che i NIEs possano anche solo avvicinarsi al livello universalmente

riconosciuto come il top, proprio del nostro paese, devono passare davvero molte

primavere, o meglio, molte collezioni primavera/estate e autunno/inverno.

L’unico paese asiatico per ora in grado di competere, pur senza minacciare, con il

predominio italiano del gusto e della creatività, è forse il Giappone, il paese più

avanzato del continente, in cui hanno ricevuto i natali nomi importanti del design

contemporaneo, e in cui la ricerca sul fronte creativo assume dimensioni degne di

nota. Tuttavia tale ricerca risulta per lo più nell’affermazione su scala mondiale di

numerosi designer del Sol levante, i quali per lo più contribuiscono alla crezione di

collezioni per i brand occidentali (un esempio è Yoshi Yamamoto per Adidas), mentre

la presenza di brand nipponici sul panorama internazionale stenta ancora ad

affermarsi.

47 Vedasi il Progetto Tessuti Nanotecnologici, vincitore del bando Hi-Tex del 2006, cofinanziato da UE e Regione Toscana, allo scopo di sviluppare progetti innovativi nel settore tessile.

Page 73: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

69

3.2. La realtà della PMI

Come abbiamo accennato, il settore T/A è caratterizzato dalla presenza massiccia di

PMI tra i suoi operatori.

Peraltro tale proporzione non è un fenomeno caratterizzante solo tale settore, bensì è

tipico di tutto il nostro sistema industriale, e anche di quello europeo. Per avere un

riferimento statistico, basti pensare che, dei 18 milioni di imprese presenti nel

territorio dell’UE nei settori non agricoli, oltre il 99% sono PMI. Esse occupano il

66% della manodopera e producono il 55% del fatturato complessivo.48

Quando parliamo di PMI, facciamo riferimento alla definizione prevista dall’attuale

disciplina comunitaria (2003/361/CE), entrata in vigore il 1 gennaio 2005.

Si definisce :

• media impresa quella che presenta un numero di addetti compreso tra le

50 e le 249 persone, un volume d’affari fino a 50 milioni di euro o un

totale di bilancio non superiore a 43 milioni di euro;

• piccola impresa quella con un numero di addetti compreso tra le 10 e le

49 persone, un soglia di volume d’affari o di totale di bilancio non

superiore a 10 milioni di euro;

• microimpresa, quella caratterizzata da un numero di addetti inferiore a 10

unità e da una soglia di volume d’affari o di totale di bilancio non

superiore ai 2 milioni di euro.

Oltre ai parametri quantitativi, viene definito anche il requisito dell’indipendenza, al

fine di identificare in maniera corretta la realtà economica delle PMI ed escludere

48 S. Maiorino, “Le strategie di internazionalizzazione delle piccole e medie imprese”, documento Internet tratto dal sito http://www.tesionline.it.

Page 74: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

70

dalla definizione quelle appartenenti a gruppi di imprese, il cui potere economico

risulta superiore rispetto a quello di una PMI.

L’attuale disciplina comunitaria distingue tre tipi di impresa (impresa autonoma,

impresa associata, impresa collegata) a seconda del tipo di relazione in cui si trovano

rispetto ad altre imprese, in termini di partecipazione al capitale, diritti al voto o di

influenza dominante.

Nello specifico, si definisce:

• impresa autonoma, quella che non possiede partecipazioni del 25% o più in

un’altra impresa; non è detenuta direttamente al 25% o più da un’impresa o da

un organismo pubblico, oppure congiuntamente da più imprese collegate o

organismi pubblici, a parte talune eccezioni; non elabora conti consolidati e

non è ripresa nei conti di un’impresa che elabora bilanci consolidati e quindi

non è un’impresa collegata;

• impresa associata (partner), quella che intrattiene relazioni di partenariato

finanziario significative con altre imprese, attraverso una partecipazione pari o

superiore al 25% del capitale o dei diritti di voto, senza che l’una eserciti un

controllo effettivo diretto o indiretto sull’altra;

• impresa collegata, quella appartenente ad un gruppo che controlla

direttamente o indirettamente la maggioranza del capitale o dei diritti di voto,

oppure ha la capacità di esercitare un influenza dominante su un’impresa.

Operare in un contesto internazionale, significa dover competere con aziende

provenienti da tutto il mondo, significa perciò competere anche con modelli di

business e di impresa differenti.

L’impresa italiana è da sempre caratterizzata da una struttura societaria di tipo

familiare, in cui non c’è divisione tra la proprietà e il controllo dell’azienda.

Page 75: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

71

L’approvvigionamento delle risorse finanziarie avviene principalmente mediante

mezzi propri e ricorso al capitale di terzi rappresentato in prevalenza da finanziamenti

bancari, con tutti i vincoli (garanzie, fideiussioni…) che ne limitano l’erogazione.

Tale struttura rappresenta un difficile ostacolo all’espansione dimensionale delle

nostre imprese che, come abbiamo osservato, rimangono ancora oggi rilegate a

dimensioni medio-piccole, peraltro senza grandi prospettive di crescita.

Tale modello di business risulta arcaico e anacronistico se confrontato con il modello

anglosassone, in cui la separazione tra la proprietà e il controllo dell’impresa è

avvenuto già da molto tempo e i mezzi finanziari vengono raccolti tramite l’ingresso

nella compagine azionaria di grandi investitori (banche d’investimento, fondi) e di

masse di piccoli azionisti. Le imprese anglosassoni possono raggiungere grandi livelli

dimensionali, in virtù del loro essere public company, ovvero società “pubbliche”,

detenute da molti soggetti portatori di interessi. Il management è nominato dalla

proprietà, ma agisce con indipendenza. Sono gli amministratori i responsabili della

gestione dalla società e delle sue performance e, a fine mandato, vengono “giudicati”

dagli azionisti in base al loro operato e, quindi, più o meno confermati in base ai

risultati raggiunti.

Nonostante il sistema anglosassone non sia di certo immune da giochi di potere e altri

vizi, possiamo sostenere che si presenti, comunque, come un modello di impresa più

efficiente rispetto al modello tradizionale, come quello italiano, in cui

l’amministrazione dell’azienda è ancora in larga parte esercitata dall’imprenditore

proprietario, spesso non in possesso di requisiti di professionalità adeguati a scenari

complessi come quelli odierni, e spesso incapace di dare attuazione a processi di

delega fondamentali per la spersonalizzazione dell’impresa, il primo passo nella

direzione di un processo di crescita dimensionale.

Page 76: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

72

La PMI italiana operante nel T/A si ritrova, pertanto, a competere con colossi esteri,

dotati di solide strutture finanziarie e in grado di estendere il proprio raggio d’azione a

livello mondiale con relativa semplicità.

Aziende come Nike, Adidas, The North Face, Abercrombie & Fitch, tanto per citarne

alcune, possono contare sulla partecipazione di azionisti del calibro di Barclays Plc e

JP Morgan & Co.49

Le uniche aziende italiane del T/A che possono vantare strutture finanziarie di questo

tipo sono soltanto i pochi colossi dell’alta moda riconosciuti a livello internazionale

che, peraltro, sono spesso in larga parte detenuti da capitali esteri.

Come abbiamo accennato in merito all’impatto della fine del sistema delle quote, uno

degli effetti previsti è quello di un consolidamento a favore dei grandi gruppi e a

discapito delle PMI.

Effettivamente risulta difficile immaginare uno scenario in cui i grandi colossi

multinazionali competono ad armi pari con le nostre PMI che tentano timidamente di

conquistare qualche nuovo mercato.

Da quanto detto sembrerebbe emergere un auspicio all’avvio di fenomeni di

concentrazione tra imprese, al fine di formare organismi con masse critiche sufficienti

a competere nel mercato mondiale, che sfruttino sinergie e aumentino il loro potere

contrattuale.

L’osservazione empirica fornisce dati confortanti in questo senso e delinea un trend

secondo il quale le imprese italiane del T/A hanno capito l’importanza di crescere a

livello dimensionale e di strutturarsi sulla scia del modello delle public company di

stampo anglosassone.

49 http://www.transnationale.org

Page 77: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

73

Nella tabella sotto riportata è possibile osservare una crescita nel numero di

operazioni di fusione e acquisizione (M&A, da Merger & Acquisition) avvenute tra le

imprese di T/A nell’ultimo decennio. Si sottolinea, inoltre, il sempre maggiore peso

relativo del Private Equity nel finanziamento delle operazioni di M&A, segno che,

anche in Italia, sta prendendo piede questa forma di approvvigionamento di capitale,

che limita in parte il monopolio del ricorso al credito bancario.

Rapporto tra operazioni di M&A (Merger & Acquisition) e Private Equity Anno n° operazioni M&A Private Equity %

1998 59 7 11,9 1999 122 16 13,1 2000 158 18 11,4 2001 155 18 11,6 2002 162 16 9,9 2003 173 20 11,6 2004 170 34 20,0 2005 165 32 19,4 2006 158 39 24,7 2007 174 50 28,7 Totale 1496 250 16,7

Fonte: Pambianco Strategie d’Impresa srl

Se fino ad oggi il modello della PMI, con tutti i vantaggi dati da flessibilità e rapidità

di adeguamento al mercato, ha rappresentato un vantaggio competitivo per le nostre

aziende, non si può non ammettere che, nel confrontarsi con un mercato non più solo

italiano, ma mondiale, emergano tutti i limiti di un modello di impresa che può

puntare al massimo alla sopravvivenza, e non di certo alla crescita e alla conquista di

quote di mercato.

Page 78: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

74

Detto questo, sarebbe opportuno studiare delle strategie rivolte alla crescita

dimensionale, che siano al contempo in grado di intaccare nel minor modo possibile i

vantaggi che caratterizzano la PMI. Il riferimento è alla costituzione di aggregazioni

di imprese nella logica del gruppo, quello che la normativa europea esclude dalla

definizione di PMI in virtù del suo maggiore potere economico, all’interno del quale è

possibile realizzare sinergie, economie e aumento del peso contrattuale, pur

mantenendo intatte le singole unità costituenti.

L’unione fa la forza e, per dirla con un gusto squisitamente orientale: “L’uno è più

della somma delle sue parti”.

Page 79: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

75

Capitolo 4. Strategie di internazionalizzazione per la

PMI

4.1. I motivi dell’internazionalizzazione

Molto spesso si fa riferimento alla debolezza strategica da parte delle PMI nei mercati

internazionali, debolezza evidenziata dalla mancanza di un approccio strutturato e

pianificato e dalla conseguente relativa scarsa volontà di impegnarsi in un’ottica di

lungo periodo, dimostrata dalla prevalenza di sistemi di offerta indifferenziati e

dall’adozione di forme di internazionalizzazione poco coinvolgenti, quali la semplice

esportazione. D’altro canto, spesso il basso grado di integrazione nei mercati esteri è

associabile non tanto a “carenze strategiche”, bensì a limiti di carattere finanziario,

dovuti a forme di impresa non strutturate che faticano a trovare i mezzi necessari a

impostare un chiaro piano di entrata nel mercato globale.

Nello stesso tempo, oggi le PMI si vedono costrette ad affacciarsi sul panorama

internazionale, a causa dell’aumento della pressione competitiva proveniente dai paesi

esteri; oltre a questo ci sono valide motivazioni a sostegno della scelta di

internazionalizzarsi, come la possibilità di sfruttare risorse presenti in altri paesi

(come nel caso della delocalizzazione produttiva), o di conquistare mercati emergenti.

L’ideale sarebbe “prendere due piccioni con una fava”, ovvero realizzare entrambi gli

scopi in un’unica azione. Come vedremo l’azienda Bailo Spa è riuscita a realizzare

quest’impresa nel mercato coreano.50

Pertanto, l’impresa può assumere un atteggiamento passivo nei confronti

dell’internazionalizzazione, usandola come arma di difesa dalla concorrenza, oppure

può usarla come arma d’attacco, seguendo un approccio pro-attivo. Potremmo

50 Per approfondire l’argomento si rimanda al capitolo dedicato alla Bailo Spa.

Page 80: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

76

indicare con metaprogramma “via da” il primo caso (nel senso di “via dal pericolo”) e

di metaprogramma “verso” il secondo (nel senso di “verso l’obiettivo”). Il concetto di metaprogramma viene in questa sede mutuato dalla scienza della

Programmazione neuro linguistica, una branca della moderna psicologia che

raggruppa un’insieme di tecniche psicologiche e comportamentali atte

all’individuazione e al ricalco dei comportamenti che portano al successo.

Possiamo paragonare il metaprogramma “verso” alla situazione in cui è presente e

delineata una chiara strategia, la quale alimenta e indirizza le azioni svolte

dall’impresa nella direzione del raggiungimento di un chiaro e raggiungibile obiettivo.

In presenza di una strategia le decisioni vengono prese per tempo, dopo un’analisi più

o meno approfondita delle variabili del gioco. Potremmo associare metaforicamente

tale tipo di intervento ad un motore diesel, il quale necessita di un po’ più di tempo

rispetto al motore a benzina per entrare a pieno regime. Ma questo motore è un diesel

capace, una volta partito, di prestazioni ben superiori a quello a benzina, benché nel

breve periodo della partenza quest’ultimo si inneschi più rapidamente.

Il motore a benzina a cui si fa qui riferimento è il caso di un’impresa che, in difficoltà,

come lo sono ora molte imprese che non hanno saputo prevedere l’entità della

concorrenza che stava bussando alla porta, si ritrovano nella necessità di trovare

velocemente delle soluzioni per reggere la competizione, sia dal punto di vista

produttivo che dal punto di vista distributivo, e non hanno ancora individuato una

strategia in tal senso.

Non è raro il caso, indotto anche dalla presenza di management non competente, di

ricorso a forme di internazionalizzazione che potremmo definire “selvagge”, ovvero

implementate senza un chiaro disegno strategico formulato a priori, ma inventate al

momento per scappare dal pericolo, in linea con paradigmi di tipo “via da”. In tali casi

Page 81: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

77

è pur vero che nell’immediato sia anche possibile sopravvivere, innescando tutta la

potenza del motore a benzina, magari accordandosi con il primo produttore estero

incontrato o con l’unico importatore conosciuto in fiera, ma spesso tali tipi di

manovre non pagano nel lungo periodo e sono fonte di guai per gli imprenditori che vi

ricorrono.51

In un suo intervento al CNA Federmoda dell’Emilia Romagna52, il presidente

dell’ufficio ICE di Bologna, dott. U. Franco, sottolineava come i mercati vadano

affrontati in maniera sistematica mediante l’adozione di un’ottica di medio-lungo

periodo, giacchè le politiche di tipo “mordi e fuggi” (o hit and run), fino a poco

tempo fa applicabili, oggi sono sconsigliatissime, poiché non in grado di fornire

sostanza e durata alla presenza dell’impresa nel mercato prescelto e dato che,

soprattutto oggi, non basta entrare nel mercato, ma bisogna pure rimanerci.

Nell’approcciarsi ai mercati internazionali è, pertanto, oggi più che mai, necessario

munirsi di un orientamento strategico di fondo, che permei tutte le decisioni prese a

livello tattico, sempre mantenendo vivo e lucido l’obiettivo che si vuole raggiungere.

Detto questo, vediamo nel dettaglio quali sono le possibili strategie attuabili

dall’impresa che si affaccia sul panorama internazionale, e che vuole, dopo l’ingresso,

consolidare la sua presenza nel medio-lungo periodo, con l’obiettivo non solo di

salvarsi, ma anche di crescere e svilupparsi come realtà del mondo globalizzato.

51 Entrare da sprovveduti nei mercati internazionali può costare caro: non è raro il caso di aziende messe in ginocchio proprio a causa di “bidoni” presi all’estero. 52 “Ricerca sul mercato dei tessuti e dell’abbigliamento nella Federazione Russa”, a cura dell’ufficio ICE di Mosca, presentata presso il CNA Federmoda di Bologna l’11 giugno 2009.

Page 82: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

78

4.2. Pianificazione strategica dell’internazionalizzazione

Il primo passo da compiere per l’impresa che punta ai mercati internazionali è

individuare il vettore di crescita (paese/mercato/prodotto) e quindi definire il paese,

o l’area geografica, in cui si decide di entrare, il segmento di mercato a cui si intende

rivolgere la propria offerta, e infine i prodotti che si decide di offrire nel mercato

individuato. Nell’individuare il vettore di crescita è importante prendere in

considerazione una serie di fattori condizionanti per la scelta, i quali vanno individuati

sia all’esterno sia all’interno dell’organizzazione. Bisogna in sostanza guardare fuori e

guardarsi dentro. Rispettivamente si andranno a valutare: condizioni di ingresso nel

mercato estero, variabili macro-ambientali del mercato estero, struttura e clima

competitivo del mercato estero, e struttura e clima competitivo del mercato nazionale,

per quanto riguarda le variabili esogene all’azienda; obiettivi dell’impresa,

valori/tradizioni/cultura/clima organizzativo dell’impresa, risorse disponibili,

forze/debolezze/vantaggi competitivi specifici, caratteristiche specificità del

portafoglio prodotti, per quanto attiene le variabili endogene da prendere in

considerazione.

A questo punto l’impresa può formulare la propria strategia di ingresso nel mercato

estero, articolando il processo di definizione della stessa in tre fasi fondamentali:

1. analisi del mercato estero (analisi esterna);

2. analisi dei punti di forza e di debolezza dell’impresa (analisi interna);

3. scelta della modalità di ingresso nel mercato estero.

1. L’analisi del mercato estero serve ad individuare nuovi mercati e si dovrebbe a sua

volta articolare in tre fasi:

Page 83: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

79

a. selezione dei mercati con il maggiore potenziale, sulla base di esperienze

precedenti (dell’azienda o dei suoi dirigenti); imitazione di altre imprese; secondo

il metodo degli stadi di sviluppo, ovvero individuando la capacità di assorbimento

di un mercato in funzione del reddito pro-capite (che indica il potere di acquisto

medio) o della composizione settoriale del PIL; con il metodo dei fattori chiave,

mediante il quale si stabiliscono alcuni fattori chiave ritenuti indispensabili per

sottoporre il mercato ad ulteriori analisi (per esempio si fissa un livello minimo di

PIL pro-capite considerato necessario).

b. Analisi di mercato “a tavolino”, in cui vengono presi come criteri di riferimento:

• La situazione politica (forma di governo e stabilità dello stesso), economica

(tipo di regime economico, barriere all’importazione, economia “sommersa”)

e sociale (demografia, classi sociali, gruppi etnici), nonchè la disponibilità di

risorse naturali e la distanza geografica;

• Le macro-variabili economiche che incidono sull’andamento della domanda,

come il PNL (la sua origine e la sua destinazione, nonché il suo tasso di

sviluppo); la dimensione e il ritmo di crescita della popolazione; il livello del

reddito pro-capite e il suo ritmo di sviluppo;

• La domanda potenziale, quindi consumi e investimenti privati, consumi e

investimenti pubblici;

• Le relazioni con l’estero: composizione e andamento delle importazioni;

principali paesi fornitori; bilancia commerciale e bilancia dei pagamenti;

controlli alle importazioni, barriere tariffarie e non tariffarie (autorizzazioni,

contingenti, ecc.); rapporti di cambio;

• Nel caso di IDE, anche altre informazioni quali l’atteggiamento del paese nei

confronti degli investimenti esteri, le forme giuridiche per costituire le

Page 84: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

80

imprese, la regolamentazione della concorrenza (protezione di marchi e

brevetti, licenze, ecc.), sistema fiscale e creditizio.

c. Analisi in profondità, ovvero l’indagine diretta sul mercato estero per

individuare la giusta combinazione prodotto/mercato. Questa fase, in tutto simile

all’analisi di marketing che si usa intraprendere nel mercato interno, si articola in :

• Analisi prodotto/mercato/segmento;

• Analisi della concorrenza;

• Distribuzione della domanda (per area geografica, per classi di potenziali

compratori);

• Profilo del consumatore (reddito, età, sesso, classe sociale, analisi delle

motivazioni d’acquisto, analisi dei canali di vendita, presenza di stagionalità,

individuazione fattori che agiscono su vendite e redditività); Individuazione

del marketing mix, tenendo conto del peso relativo attribuito alle varie fasi dal

mercato target;

• Vincoli riguardanti l’accesso al mercato, costituiti da limiti alle importazioni

(licenze, autorizzazioni), vincoli valutari, costi di trasporto e di assicurazione.

• Infrastrutture di marketing, ovvero si deve verificare la disponibilità e la

specificità nle mercato estero dei canali di distribuzione di comunicazione.

2. L’analisi dei punti di forza e di debolezza dell’impresa (analisi interna) è

riconducibile all’analisi SWOT, motivo per cui si rimanda ad un buon manuale di

marketing.

In aggiunta alle considerazioni valide per il mercato interno andrebbe valutata anche

la propria preparazione in relazione alla disponibilità di risorse finanziarie, necessarie

per far fronte ai maggiori investimenti fissi o al maggior capitale circolante richiesto

per rispondere a dilazioni di pagamento più lunghe, maggiori rischi finanziari e

Page 85: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

81

problemi di cambio, tipici dei rapporti con l’estero, nonché andrebbe valutata la

propria capacità logistica e di rispettare regolamenti doganali e contratti

internazionali.

In merito a quest’ultimo punto può essere utile rivolgersi ad aziende specializzate che

offrono servizi di logistica internazionale per conto terzi.53

3. La terza fase è quella della scelta della Entry mode, ovvero della modalità di

ingresso nei mercati esteri.

In un primo momento l’impresa deve identificare e selezionare, tra tutte le possibili

modalità tra le quali può optare, quelle più rispondenti ai suo obiettivi.

L’impresa può scegliere tra i seguenti approcci:

• Approccio Naif, consistente nella scelta a priori di una specifica forma di

ingresso e dall’adozione di tale modalità in tutti i paesi, oppure nell’imitazione

delle scelte di altre imprese. Si noti che tale condotta non deriva dagli obiettivi

e dal vettore di crescita dell’impresa. Con questo approccio si risparmia lo

sforzo di cercare e verificare la coerenza con la scelta del

paese/mercato/prodotto e spesso ci si limita a seguire le mosse di altre

imprese. Pertanto tale condotta è riconducibile alla nostra metafora del motore

a benzina.

• Approccio pragmatico, che consiste nella selezione delle modalità di ingresso

privilegiando la riduzione del rischio. Tale approccio è usato solitamente in

presenza di una strategia di esplorazione, nella quale importanza assumono la

riduzione delle barriere all’uscita e la facilità di disimpegno.

• Approccio strategico, quello che si può considerare il meno “improvvisato” e

il più razionale. Esso adotta un’ottica di pianificazione di medio/lungo termine

53 Si cita qui la ditta Mazzoleni & Facori, la quale ci ha fornito valide informazioni per quanto concerne il trattamento doganale delle merci del T/A.

Page 86: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

82

e tiene conto della necessità di investire e immobilizzare risorse, di acquisire

capacità e vantaggi competitivi specifici e della necessità di controllo delle

attività estere. Secondo tale approccio l’analisi delle modalità di ingresso va

realizzata comparando le caratteristiche del paese/mercato estero con gli

obiettivi dell’impresa, con le risorse necessarie all’ingresso, il grado di

controllo esercitatile sulle attività, il rischio percepito e i risultati conseguibili.

L’approccio strategico è quello che abbiamo metaforicamente chiamato

motore diesel, il quale, pur impegnando più tempo a partire rispetto per

esempio all’approccio Naif, una volta a regime permette performance ben

superiori e più durature rispetto al motore a benzina, il quale nello sprint

spesso esaurisce gran parte del carburante.

Indipendentemente dal tipo di approccio che l’impresa andrà ad adottare, le forme di

presenza nei mercati esteri possono fondamentalmente raggrupparsi in due modalità, a

loro volta divise in sottogruppi, ordinate in base al livello di coinvolgimento nel

mercato internazionale:

1. Modalità di presenza basate sull’esportazione

Esportazione indiretta

Esportazione diretta

2. Modalità di presenza contrattuali (integrazione con i mercati esteri)

Produzione all’estero

• Cessioni di licenze, Know-how, brevetti (contro

royalties)

• Contratti di produzione (outsourcing commercializzato)

• Contratti di assemblaggio di parti componenti

(outsourcing industrializzato)

Page 87: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

83

• Apertura filiale di produzione (attraverso IDE)

Rete di distribuzione all’estero

• Franchising

• Piggy back

• Joint Ventures con imprese locali

• Apertura filiale di vendita (subsidiary) (IDE)

L’esportazione indiretta è quello che per molte imprese è stato il primo approccio al

mercato internazionale. Può essere utile per testare il mercato senza esporsi

significativamente con investimenti. Nel caso dell’esportazione indiretta, si ricorre

alla vendita di prodotti e servizi oltre confine mediante esportazione gestita

dall’utilizzatore o da un intermediario (importatore/distributore, trading company,

export broker, foreign buying service). Generalmente i rischi vengono assunti

dall’intermediario. È questa la forma più utilizzata in assenza di una chiara strategia, o

in mancanza di risorse finanziarie, o ancora in fase di esplorazione o in presenza di

una strategia “mordi e fuggi”.

Ad un livello di coinvolgimento più alto si trova il ricorso all’esportazione diretta e

della vendita diretta all’estero, attraverso cui l’impresa si avvicina al compratore. In

questo caso l’impresa assume direttamente l’iniziativa della penetrazione

commerciale. Avvia contatti diretti con i potenziali clienti o intermediari. Gestisce

trasporti, consegne, prezzi e modalità di pagamento.

I vantaggi sono la disponibilità di maggiori informazioni sul mercato, maggiore

sensibilità al cambiamento della domanda, la possibilità di assistenza pre e post-

vendita e la possibilità di affrontare i concorrenti locali ad armi pari.

A fronte dei vantaggi è necessario dotarsi di mezzi per rispondere alla maggiore

complessità: è necessario avere a disposizione un mark-up sul costo sufficiente a

Page 88: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

84

coprire i costi di penetrazione commerciale, bisogna disporre di risorse e competenze

organizzative adeguate per l’attività in più mercati nonché è necessario fornire al

cliente estero la stessa assistenza dei concorrenti locali.

Ad un livello di coinvolgimento ancora maggiore, necessario al fine di stabilizzare ed

ampliare la propria posizione sui mercati esteri, l’impresa ricorre a forme di

integrazione nel mercato target, esportando la produzione o essendo direttamente

presente nella distribuzione.

Il ricorso alla produzione all’estero può essere dettato da esigenze di vicinanza ai

mercati di sbocco oppure, come è principalmente accaduto in relazione al settore

abbigliamento, da esigenze di abbattimento dei costi.

In riferimento a questo settore, si sottolinea come, inizialmente, il prinicipale

vantaggio, se non l’unico, del produrre nei PVS fosse il basso costo della

manodopera. Ma negli ultimi anni, soprattutto in Cina, i vantaggi sono andati

aumentando, in funzione della crescita del livello infrastrutturale nel paese. Come

osserva l’industriale Miro Radici “in Val Seriana aspettiamo da vent’anni una strada

decente per ridurre la congestione dei trasporti, qui, attorno all’aeroporto di Shanghai,

spuntano nuove autostrade ogni anno”.54

In più, quelli che fino a qualche anno fa erano visti solo come mercati di

approvvigionamento, stanno velocemente diventando anche interessanti mercati di

sbocco, sulla scia dell’aumento del potere d’acquisto della popolazione locale,

permesso dall’aumento del PIL, in parte dipeso dalle stesse delocalizzazioni.

54 F. Rampini, “L’impero di Cindia”, Mondadori, 2006.

Page 89: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

85

Basti pensare che negli ultimi anni, come si è detto nel paragrafo dedicato al T/A in

Italia, il valore delle esportazioni di prodotti di abbigliamento dal nostro paese alla

Cina è aumentato del 14,8%55.

Riassumendo, le modalità di ingresso nei mercati esteri non sembrano essere l’una

alternativa all’altra, bensì appaiono come consequenziali, lungo un percorso di

progressiva integrazione con i mercati target.

La logica è, pertanto, quella di un aumento dell’integrazione in funzione della crescita

del tasso di assorbimento del mercato. Si potrrebbe così iniziare sondando il mercato

mediante il ricorso all’esportazione indiretta, per poi, una volta consolidati i volumi di

vendita, passare alla vendita diretta fino all’apertura di una propria filiale nel paese

estero.

Non va, però, dimenticato che, a maggior integrazione (e quindi controllo sul

mercato), corrisponde un più alto grado di rischio.

Infatti tra grado di controllo e grado di rischio esiste una relazione di proporzionalità

diretta, come si evince dalla figura 4.1.

55 Ricerca sul mercato dei tessuti e dell’abbigliamento nella Federazione Russa”, a cura dell’ufficio ICE di Mosca, presentata presso il CNA Federmoda di Bologna l’11 giugno 2009.

Page 90: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

86

Figura 4.1. Trade off tra grado di rischio e grado di controllo

Produzione

ALTO

SOLE VENTURE

Grado di JOINT VENTURE rischio OUTSOURCING INDUSTR.TO

OUTSOURCING COMMERC.TO

LICENZE

BASSO Grado di controllo ALTO

Distribuzione

ALTO

Grado di SOLE VENTURE rischio JOINT VENTURE

FRANCHISING

EXPORT DIRETTA

EXPORT INDIRETTA

BASSO Grado di controllo ALTO

Page 91: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

87

La modalità di presenza in assoluto più integrata, la quale è senz’altro implementata

seguendo una logica di lungo periodo, è il ricorso a forme di IDE.

L’investimento Diretto Estero è, secondo la definizione in uso56, “quel tipo di

investimento internazionale effettuato da parte di un soggetto residente in un dato

paese (investitore diretto estero), in un’impresa residente presso un altro paese

(impresa oggetto di investimento diretto estero). Tale investimento ha l’obiettivo di

ottenere un interesse durevole, cioè esso mira a stabilire una relazione di

lungo termine tra il soggetto partecipante e l’impresa partecipata, nonché un grado di

influenza significativo nella gestione dell’impresa.”

Come si evice dalla definizione il ricorso a IDE non ha niente a che fare con strategie

di tipo “hit and run”, ma presuppone un orientamento strategico di fondo che guarda

al lungo periodo.

Esso, pertanto, è solitamente accessibile ad aziende di dimensioni medio-grandi,

dotate di solide strutture finanziarie e organizzative, in grado di pianificare strategie

su livelli temporali dilatati.

Dato che l’adozione di una strategia basata su IDE risulta di difficile attuazione per la

PMI, oggetto del presente sudio, non ci dilungheremo nella descrizione di tale forma

di investimento, e ci limiteremo a citare le forme attraverso le quali può essere

realizzata, che sono essenzialmente due: l’investimento in sole venture, ovvero con

partecipazione dell’intero capitale della nuova impresa, a sua volta realizzabile

seguendo due differenti strade (il c.d. greenfield, che, come suggerisce il nome,

consiste nella creazione ex-novo di impianti, stabilimenti o filiali dell’impresa nei

56 Acocella, Pazienza, Reganati, “Le statistiche sugli investimenti diretti esteri e sull’attività delle imprese multinazionali”, Rapporto di ricerca della Commissione per la garanzia dell’informazione statistica, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Luglio 2002.

Page 92: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

88

luoghi prescelti; o con il ricorso all’acquisizione di imprese già esistenti, localizzate

nei paesi target); oppure ricorrendo a forme di joint venture, tra l’altro sconsigliate in

alcuni paesi, specialmente in Cina, in forza di alcuni vincoli relativi alla gestione della

società.

Sia nel caso di sole venture che di joint venture è altresì necessario valutare

attentamente il regime economico del paese di destinazione dell’investimento, onde

evitare spiacevoli situazioni legate a processi di nazionalizzazione messi in atto dai

governi locali.

In sintesi, le forme di internazionalizzazione a cui può ricorrere la PMI si riducono

generalmente a quelle che non prevedono il coinvolgimento del capitale all’estero.

Se gli IDE rimangono appannaggio di imprese dotate di dimensioni critiche per

significativi investimenti di capitale, le PMI possono pur sempre ricorrere a forme

meno integrate, ma comunque valide.

Il ricorso all’outsourcing offshore per quanto riguarda la produzione e

l’implementazione di una rete di agenti/distributori per quanto riguarda l’aspetto

distributivo, con magari l’aggiunta di qualche vendita diretta ottenuta con la

partecipazione a fiere internazionali, rappresenta una strategia di

internazionalizzazione pressoché alla portata di tutte le aziende, anche quelle di

piccole dimensioni.

Come vedremo nel capitolo che segue, anche la Bailo, pur rientrando nella categoria

della piccola impresa, ha saputo attuare una strategia di questo tipo.

Page 93: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

89

Capitolo 5. Il caso Bailo Spa

5.1. La Storia

L’azienda nasce negli anni 20 del secolo scorso, come commerciale di tessuti e filati,

quando Tullio Zotta Bailo inizia la sua attività di commerciante, acquisendo la

materia prima nel Tesino e riportandola, una volta trasformata, nella sua valle, per

rivenderla.

Nel 1954 inizia l’attività produttiva a Castello Tesino, in provincia di Trento.

Negli anni settanta la Bailo assume la fisionomia di azienda industriale grazie

all’impulso dei fratelli Bruno e Livio Zotta Bailo, figli del titolare, che si

specializzeranno rispettivamente nello sviluppo dell’area commerciale e nella

gestione dell’area amministrativa e finanziaria.

Verso la fine degli anni settanta Bailo viene contattata dalla multinazionale

americana W.L Gore&Associati e selezionata tra cinque aziende italiane leader di

settore a cui fornire il proprio prodotto tessile: Il GoreTex (oggi riconosciuto a livello

mondiale come la fibra impermeabile e traspirante per eccellenza).

Tale partnership ha permesso all’azienda di posizionarsi come leader nella qualità e le

ha permesso di sviluppare prodotti studiati per la pratica degli sport più estremi quali

roccia e alpinismo ad alta quota. Già in questo periodo vedono la luce i primi tentativi

di penetrazione dei mercati esteri grazie all’inserimento in azienda del figlio di Livio,

Gianni Zotta Bailo, fresco di una lunga esperienza di studio all’estero. I risultati sono

però marginali.

Nei primi anni 80 l’azienda vive una fase di rapido sviluppo, tale da richiedere il

passaggio ad una struttura industriale organizzata.

Page 94: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

90

Viene chiamato un consulente esterno per la ristrutturazione aziendale, con

conseguente trasferimento in Veneto di buona parte delle funzioni aziendali, lasciando

negli stabilimenti di Castello e Cinte, le fasi produttive.

Vengono fatte assunzioni a livello di quadri intermedi e quindi istituzionalizzato il

passaggio da una struttura organizzativa semplice ad una struttura accentrata per

funzioni, con un chiaro organigramma aziendale che ne evidenzi le competenze.

È negli anni ottanta che Bailo assume la denominazione di SPA con l’aumento di

capitale a 2,7 mln di lire.

Negli stessi anni, grazie ad un idea di Gianni Zotta Bailo, reduce da un viaggio nello

Yosemite Park in America, in cui intravede le potenzialità dell’emergente sport del

Free Climbing, nasce la linea Think Pink, che si afferma immediatamente sul mercato

e che è ancora oggi un marchio noto.

La tempestiva espansione della linea Think Pink e la richiesta di ingenti investimenti

in comunicazione, attirano pericolosamente molte delle risorse della Bailo spa

impattando non solo sulla dimensione organizzativa e viene così deciso di staccare la

linea e farne una azienda a sé stante.

Verso la fine degli anni 80, La Think Pink a seguito di un pericoloso disequilibrio

finanziario dovuto alla velocità di espansione dei volumi di vendita, insieme ad una

poco accorta politica di controllo, viene ceduta al gruppo Tecnica spa. La Bailo

interviene come supporto finanziario e professionale al perfezionamento della

cessione.

Indebolita dall’operazione Think Pink, ma con la volontà di riscuotere lo stesso

successo sul mercato della Think Pink, la Bailo mette in atto un’altra serie di

iniziative che però non riscuotono il successo auspicato.

Page 95: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

91

L’azienda reagisce a questo periodo difficile riconcentrandosi sul rilancio della

tradizionale produzione Bailo.

Ma se in passato la produzione e la vendita di linee di abbigliamento specializzate ad

alto contenuto tecnico per la pratica degli sport estremi erano risultate sufficienti per

lo sviluppo dell’azienda, ora diventa necessario poter contare su più ampi mercati di

sbocco, raggiungibili con un offerta in grado di soddisfare le esigenze di un numero

maggiore di consumatori tra loro eterogenei. Vengono così inserite diverse linee sci e

sport attivo con fasce prezzi più aggressive ed in linea con le richieste del mercato.

Con lo scopo di individuare altre vie di espansione, Bailo inizia a partecipare ad

alcune gare d’appalto nazionali e /o regionali per la fornitura ad enti quali Enel, Vigili

del Fuoco, Vigili Urbani e Guardie Forestali, quelli che oggi vengono identificati

come “mercati speciali”.

È in questi anni che l’azienda avvia, per la prima volta, un processo di

delocalizzazione produttiva nei paese dell’est europeo (Romania e Repubblica Ceca)

e in Cina per poter avere una miglior razionalizzazione dei costi produttivi.

Gianni Zotta Bailo, nel 1999, presenta un ambizioso progetto di crescita dell’azienda

come conseguenza di un aggregazione di marchi complementari e sinergici che

avrebbe risolto il problema della dimensione di Bailo, garantendo importanti

economie di scala. Il progetto doveva essere finanziato da un’importante gruppo

bancario d’affari.

Per poter dare inizio al progetto senza attendere la firma definitiva con la Merchant

Bank individuata, Gianni Zotta Bailo si fa finanziare dalla Banca di Trento e Bolzano

e contemporaneamente Bruno Zotta Bailo firma un accordo d’uscita con il nipote, in

quanto, pur condividendo le linee guida del piano, aveva un’altra visione sui tempi ed

i modi di realizzazione.

Page 96: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

92

Grazie al “finanziamento ponte” della Banca Trentina, nel dicembre del 2000, viene

acquisita la Silvy Tricot spa di Bolzano, marchio storico delle alpi Europee, e nel

2001 viene siglato un contratto di esclusiva con la sede della National Geographic,

per lo sfruttamento del marchio per la produzione e commercializzazione di prodotti

di abbigliamento nel mondo. A questo punto, nel 2001, la Bailo spa cambia

denominazione sociale in Discovery Enterprise spa.

Vengono triplicate le linee di prodotto e definiti contratti con agenzie di distribuzione

dislocate in tutto il mondo, e viene così implementata per la prima volta una

sistematica azione di penetrazione nei mercati esteri.

Purtroppo già nel 2001 il gruppo subisce un primo grosso colpo, dovuto al blocco dei

consumi in America per l’attentato terroristico dell’11 settembre. I volumi di fatturato

attesi tardano a venire, in parte per il rallentamento dell’economia ed in parte per la

mancanza di una politica diversificata e attenta per i tre marchi.

La banca d’affari che avrebbe dovuto fungere da capo gruppo al progetto liberando il

socio Bruno Zotta, non trova l’accordo definitivo con Gianni Zotta ed annulla la sua

promessa di impegno, rendendo nullo conseguentemente anche l’accordo di cessione

sottoscritto tra i due soci.

I costi aziendali nel frattempo sono cresciuti sensibilmente, l’acquisto della società

Silvy Tricot si rivela più oneroso di quanto si potesse intravedere dalla Due Diligence

affidata allora alla Arthur Andersen di Milano.

E’ il margine Bailo che faticosamente traina tutta l’azienda.

L’impresa si trova in una fase di stallo nella quale le risorse per investire nelle nuove

collezioni non sono più sufficienti. Bruno Zotta Bailo si trova a dover affrontare la

più grave e difficile crisi della storia della Bailo (allora Discovery Enterprise). Il

Page 97: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

93

Presidente, Bruno Zotta, riprende in mano la gestione aziendale e inizia una lenta e

dolorosa fase di ristrutturazione con:

- la cessione, in licenza produttiva e commerciale, del marchio Silvy;

- la cessione del contratto con la National Goegraphic (per non dover sopportare i

minimi di volumi richiesti dal contratto);

- la negoziazione contrattuale per l’esodo di tutta la “neo assunta” classe

dirigenziale.

La proprietà sceglie senza dubbi di fare “marcia indietro” dal progetto di transizione

da azienda familiare ad azienda manageriale multimarchio, rimettendosi in gioco, per

ricominciare una nuova fase focalizzata sul marchio Bailo.

Nel 2007 i due soci trovano l’accordo per la cessione dell’intero pacchetto azionario

del gruppo a Bruno Zotta Bailo che ne acquisisce la piena proprietà divenendo

amministratore unico in tutte le società; la Bailo si riappropria del nome d’origine con

la ritrovata denominazione sociale Bailo spa.

Oggi Bailo si ritrova sulla linea di partenza, forte sicuramente di un significativo

bagaglio di esperienza, ma indebolita dalle vicissitudini degli ultimi anni che hanno

ostacolato ed impedito gli investimenti e le iniziative di rilancio concreto del

marchio. La potenzialità di quest’ultimo, confermata anche dal mercato

internazionale, insieme alla caparbia e determinata azione della famiglia, sono i

pilastri su cui l’azienda conta di costruire il nuovo futuro.

Page 98: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

94

5.2. L’azienda oggi

5.2.1. Aspetti societari

Attualmente nel gruppo Bailo orbitano tre società. La capogruppo è Preapina Srl,

partecipata al 100% dal sig. Bruno Zotta Bailo; Prealpina Srl possiede l’82,10% di

Bailo spa. Il 12,10% è detenuto direttamente dal sig. Bruno Zotta Bailo ed il

rimanente 5,8% è detenuto dalla società Bailo Immobiliare srl, che aveva la proprietà

dell’edificio, oggi ceduto, e che attualmente possiede altre proprietà immobiliari.

Infine c’è la Silvy Tricot srl posseduta al 100% da Bailo spa (vedasi organigramma

alla pagina seguente).

Il fatturato nel 2007 si aggira sui 7,5 milioni di euro, in calo rispetto al 2006, in cui si

erano superati i 9 milioni. Generalmente il volume d’affari si conferma comunque

sempre sotto i 10 milioni di euro, ragion percui, in concomitanza con la presenza di

un numero di addetti inferiore a 49 (i dipendenti dell’azienda sono 42), è possibile

classificare la Bailo Spa come una piccola azienda, in conformità ai criteri di

classificazione adottati dalla Comunità Europea.57

Vedremo nel seguito una panoramica del mercato in cui opera Bailo, identificheremo

i principali competitors e vedremo le strategie di internazionalizzazione adottate da

queste aziende.

57 V. supra, La realtà della PMI.

Page 99: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

95

Page 100: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

96

5.2.2. Il mercato di riferimento

In questo paragrafo si riporterà una sintesi dei risultati dell’analisi di marketing svolta

dall’azienda per il mercato interno. Tale analisi è, peraltro, l’unica disponibile dato

che, come avremo modo di dire, l’azienda ricorre a forme di esportazione indiretta, il

che funge da ostacolo alla raccolta di informazioni utili a fornire un’offerta mirata e

ben calibrata per i mercati esteri.

L’azienda ricorre pertanto ad un approccio di marketing indifferenziato, ossia

all’offerta di un solo prodotto (in questa accezione inteso come una sola gamma di

prodotti) in tutti i mercati. L’unica differenziazione specificamente adottata in

funzione del mercato target riguarda il mercato coreano, come vedremo molto

significativo per le esportazioni Bailo, all’interno del quale vengono venduti dei capi

progettati con maniche più corte, in adeguamento alla diversa struttura fisica propria

degli abitanti della Corea.

I prodotti offerti da Bailo si inquadrano nel settore dell’abbigliamento sportivo per la

montagna.

Ogni anno l’azienda progetta e distribuisce due collezioni, una primavera/estate (P/E)

e una autunno/inverno (A/I); quest’ultima, data la tipologia di prodotto trattato, è di

gran lunga la più significativa.

All’interno delle collezioni stagionali vengono studiati prodotti indirizzati a due

mondi di riferimento: il Mondo Rosso, a sua volta suddiviso in tre linee, e il Mondo

Verde, che oggi comprende solo la linea da caccia, essendo stata, quest’anno,

eliminata l’altra collezione, la Mountain Road, che non offriva i necessari margini di

guadagno e distoglieva risorse necessarie allo sviluppo delle collezioni più redditizie.

Le tre linee appartenenti al Mondo Rosso differiscono tra loro in relazione al grado di

tecnicità incorporato nel prodotto e di conseguenza in relazione al prezzo. La ratio

Page 101: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

97

della suddivisione è quella di coprire più segmenti di mercato, dall’alto al basso delle

fascie di prezzo.

La linea top di gamma è la Mountain Protection, comprendente capi di abbigliamento

pensati per un utilizzatore esperto della montagna (alpinisti, sci-alpinisti, free-

climbers…). I prodotti appartenenti a questa linea sono caratterizzati da un alto grado

di tecnicità, il quale garantisce protezione e funzionalità anche nelle situazioni più

estreme, quali sono quelle che si presentano in alta quota. La contropartita

dell’intensivo utilizzo di tecnologia è un prezzo che si situa nella fascia medio-alta del

mercato e che risulta appetibile solo per pochi utilizzatori sportivi esperti e consci

della tecnicità del prodotto. Questo si traduce in un apporto relativamente ridotto della

linea al fatturato complessivo. Tale linea permette però il posizionamento nel mercato

come brand sinonimo di qualità e tecnicità. Usando un paragone con il mondo

dell’alta moda, potremmo definire la Mountain Protection come l’Haute Couture di

Bailo, ovvero la linea che, pur apportando poco in termini di redditività, conferisce al

brand il ritorno di immagine fondamentale per la vendita del Pret-à-porter, le linee

meno costose e più redditizie.

Il grosso dei volumi di vendita proviene, infatti, dalle altre due linee, meno tecniche e

posizionate su fasce di mercato più basse.

Si chiama Winter Trekking la linea di abbigliamento pensata per il frequentatore della

montagna, anche non sportivo, il quale non necessita del contenuto tecnico presente

nella Mountain Protection e che è disposto a pagare decisamente meno per una giacca

invernale rispetto all’alpinista di professione.

Ad integrare la presenza sul mercato di Bailo c’è la linea Free Ride, ideata per la

pratica dello sci alpino. Si sottolinea che proprio quest’anno l’azienda ha vinto la gara

Page 102: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

98

d’appalto per la fornitura delle tute dell’ AMSI (Associazione Maestri di Sci Italiani),

il che dovrebbe tradursi in un positivo ritorno di immagine.

Come accennato nel paragrafo relativo alla storia, è già da anni che Bailo partecipa a

gare d’appalto per la fornitura di prodotti a particolari enti e associazioni, riuscendo

nel tempo ad ottenere testimonial quali il Soccorso Alpino di Bolzano, le Guide

Alpine di Cervinia, alcuni reparti del Corpo di Protezione Civile, l’Esercito italiano

impegnato in missioni di pace all’estero, nonché una spedizione di scienziati e

ricercatori in Antartide.

L’azienda attribuisce rilevanza strategica a tali forniture, sia in termini di volumi di

vendita, e quindi di redditività, sia in chiave di marketing. A quelli che l’azienda

definisce “mercati speciali” è infatti preposta una area a parte della direzione

commerciale.

Per quanto riguarda il target di riferimento per i prodotti Bailo, recenti analisi di

mercato hanno individuato un profilo del consumatore principalmente di sesso

maschile, di età compresa tra i 35 e i 45 anni, libero professionista, dirigente o

artigiano. Questa classe di consumatori rappresenta il 56% del fatturato Bailo, il che,

a fronte della considerazione che tale tipo di consumatore sembra essere stato

limitatamente toccato dalla recessione, fa sperare in un andamento positivo dei

fatturati futuri.

Riportiamo di seguito il risultato delle analisi di mercato svolte dall’azienda, basate su

rilevazione effettuta con un questionario preparato ad hoc, rivolto alla forza vendita e

ai rivenditori.

Page 103: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

99

Il target di consumatore Bailo è così suddiviso:

• Uomo: 79%

• Donna: 19%

• Bambino: 1%

• Accessori: 1%.

Page 104: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

100

UOMO

Età

Da 25 a 35 anni 30 % Da 35 a 45 anni 61% Oltre i 45 anni 9%

Titolo di studio

Media inferiore 6% Media superiore 88% Laurea 6%

Professione

Page 105: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

101

Impiegato 34% Libera professione 28%

Dirigente / Quadro sup. 14% Insegnante 3% Artigiano 14% Operaio 7%

DONNA

Età

Da 25 a 35 anni 57% Da 35 a 45 anni 35% Oltre i 45 anni 8%

Titolo di studio

Media inferiore 6% Media superiore 88% Laurea 6%

Page 106: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

102

Professione

Impiegata 60% Libera professione 20% Dirigente / Quadro sup. 8% Insegnante 4% Operaia 8%

Page 107: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

103

COMPETITORS DI RIFERIMENTO

I competitors che oggi sono più rappresentativi

SALEWA 30% THE NORTH FACE 21% MONTURA 14% COLUMBIA 14% MILLET 9% ALTRI (suddivisi in 6 marchi diversi) 12%

I competitors che, nei prossimi tre anni, saranno i più significativi

SALEWA 38% MONTURA 31% MILLET 7% THE NORTH FACE 5% COLUMBIA 5% MAMMUT 5% ALTRI (suddivisi in 4 marchi diversi) 9%

Page 108: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

104

Le analisi di mercato sono uno strumento molto importante sotto l’aspetto strategico:

esse costituiscono una fondamentale parte del Sistema Informativo aziendale e

permettono alle aziende di conoscere l’ambiente in cui si muovono e quindi di

calibrare la propria offerta.

Per esempio, per quanto riguarda le consumatrici di sesso femminile, la stessa Bailo è

rimasta sorpresa nel constatare che l’età di riferimento per la donna è quella compresa

tra i 25 e i 35 anni, quando si era convinti che il target da tenere in considerazione

fosse quello delle over 35. Tale scoperta ha portato con sé una ridefinizione

dell’offerta, nella direzione di una maggiore attenzione ai colori, ai tagli e ai dettagli

per quanto strettamente inerente il prodotto, ma anche nel senso di una diversa

strategia di comunicazione, allo scopo di rendere la propria offerta più accattivante e

appetibile e dunque più idonea a soddisfare una domanda più giovane di quella che si

era prevista.

Tale “correzione del tiro” è stata resa possibile proprio grazie al ricorso all’analisi di

mercato svolta, senza la quale si sarebbe corso il rischio di uscire sul mercato con un

prodotto non idoneo al target.

Page 109: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

105

Come abbiamo detto, tale analisi di marketing è stata realizzata mediante ricorso ad

un questionario ad hoc rivolto alla forza di vendita e ai rivenditori. Ovvero, tale

analisi è stata resa possibile dal contatto diretto con questi ultimi e, in definitiva, con

la vicinanza al mercato.

Si capisce a questo punto come la maggiore distanza e il relativo minor grado di

controllo che caratterizza la presenza sui mercati esteri, rappresenti un limite alla

raccolta di informazioni sensibili, tale da rendere più difficile l’adeguamento

dell’azienda ai gusti dei consumatori e, di conseguenza, si traduca in uno svantaggio

competitivo e ancora in una maggiore difficoltà a stare sul mercato.

Purtroppo la forma dell’esportazione indiretta rappresenta una scelta obbligata per

molte PMI, in ragione degli importanti sforzi, finanziari ma anche di organizzazione,

che si rendono necessari in conseguenza di strategie di maggiore integrazione con il

mercato estero.

5.3. Strategie di internazionalizzazione a confronto

La prima cosa da evidenziare, osservando i risultati dell’indagine di marketing

relativa ai competitors di riferimento, è la maggiore presenza di concorrenza straniera

rispetto al decennio scorso: se negli anni novanta i più significativi concorrenti di

Bailo erano Fila e Samas58, ovvero due aziende italiane, oggi i principali marchi in

competizione sono Salewa (dell’ Alto Adige ma con “mentalità” molto tedesca), The

North Face (USA), Columbia (USA), Millet (Francia), Lafuma (Francia), Mammut

(Svizzera). L’unica azienda italiana nella lista dei competitors è Montura.

58 Paola Zotta, “I processi di apprendimento organizzativo: il caso Bailo”, Università degli studi di Trento, A.A. 1994-95.

Page 110: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

106

Come si vede il settore dell’abbigliamento sportivo da montagna non è rimasto

escluso dal processo di globalizzazione.

I competitors di Bailo differiscono in relazione alle forme di internazionalizzazione

adottate. Ad esclusione di Montura, che produce in Italia e in Romania, le altre

aziende localizzano la produzione nel far east asiatico, e soprattutto in Cina, anche se

diversa è la modalità di presenza adottata. I prodotti a marchio americano The North

Face vengono prodotti in Asia all’interno di stabilimenti produttivi di proprietà

dell’azienda, la quale ha dunque fatto ricorso a IDE per aprire le proprie filiali estere.

Tale strategia è resa possibile dalla solida struttura finanziaria a disposizione

dell’impresa titolare del marchio, del cui capitale partecipano numerose banche di

investimento e altri investitori istituzionali. Le altre aziende concorrenti ricorrono

invece, per lo più, a forme di outsourcing offshore di tipo commercializzato.

Per quanto riguarda l’aspetto distributivo, The North Face distribuisce mediante filiali

di proprietà sparse in tutto il mondo, mentre Salewa e gli altri marchi più piccoli

ricorrono ad un mix di esportazione diretta e indiretta nei mercati target. Un caso a

parte è il marchio Montura, per il quale il mercato estero incide in maniera poco

significativa sul fatturato.

Venendo a Bailo, le strategie di internazionalizzazione adottate, sia dal punto di vista

produttivo che da quello distributivo, sono riconducibili alle forme meno integrate

con il mercato estero.

La produzione viene allocata per l’80% in Cina, secondo una logica di

commercializzazione del prodotto. Ovvero, assieme alle quantità ordinate vengono

spedite ai produttori asiatici tutte le informazioni relative al prodotto mediante schede

tecniche, cartamodelli e tabelle misure. I fornitori, ultimate le produzioni, secondo un

Page 111: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

107

piano concordato, spediscono FOB59 China alla destinazione indicata da Bailo, che si

cura della logistica.

Il restante 20% della produzione viene eseguita in outsourcing industrializzato nei

paesi dell’Est Europa, principalmente in Ucraina e in Romania. In questo caso è Bailo

che calcola la fattibilità ed il fabbisogno ordinando i materiali e gli accessori da

inviare in conto lavorazione presso i laboratori selezionati.

A queste due logiche produttive seguono diverse condizioni di pagamento che

influiscono inevitabilmente sull’equilibrio finanziario dell’azienda.

Per la produzione di commercializzato è d’uso la lettera di credito, o comunque il

credito documentario, solitamente da aprirsi subito dopo l’ordine fatto o, quanto

meno, prima della spedizione dall’Asia. Questo si traduce in un anticipo di gran parte

dei costi produttivi rispetto alla fatturazione, e può, in media, peggiorare anche di

quattro mesi l’esposizione finanziaria.

Per la produzione di industrializzato, solitamente la condizione di pagamento è la

ricevuta bancaria a 30-60 giorni, con evidenti vantaggi in termini di liquidità.

Chiaramente in questo secondo caso si ha l’esborso finanziario realtivo ai materiali-

tessuti che sono a carico di Bailo.

59 Acronimo di Free on Board. È una delle clausole contrattuali prevista negli Incoterms. Essa stabilisce che a carico del venditore siano tutte le spese di trasporto fino al porto d'imbarco, compresi eventuali costi per la messa a bordo della nave, nonché le spese per l'ottenimento di licenze e documentazioni per l'esportazione dalla nazione di origine e quelle per le operazioni doganali sempre di esportazione. Dal momento in cui la merce è considerata pronta per la partenza tutte le altre spese sono da considerarsi a carico dell'acquirente, compresi i costi di assicurazione. Per quanto concerne la responsabilità della merce questa passa dal venditore al compratore al momento in cui la merce stessa supera fisicamente la verticale della murata della nave. Nel caso del trasporto ferroviario, del trasporto via strada e del trasporto aereo il termine equivalente è Free Carrier (FCA) (Fonte: Wikipedia).

Page 112: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

108

Un’altra differenza tra i due sistemi di outsourcing è relativo al trattamento doganale.

Mentre nel caso del commercializzato la merce entra in Italia in regime di immissione

in libera pratica, con pagamento del dazio sul valore intero del capo, comprensivo di

façon, tessuti e accessori (il dazio è del 12% sul valore del capo finito e non è ridotto

in funzione dell’appartenenza della Cina ai paesi beneficiari del Sistema di Preferenze

Generalizzate60, poiché, causa di un “rigurgito protezionistico”, i prodotti del T/A

sono esclusi dal regime preferenziale); nel caso dell’industrializzato è possibile

sfruttare i vantaggi del regime doganale del Traffico di Perfezionamento Passivo

(TPP) e conseguentemente pagare il dazio soltanto sul valore attribuibile alla

lavorazione, con abbattimento del dazio sui materiali componenti.

In entrambi i casi di outsourcing, il controllo sull’avanzamento della produzione è

essenziale ed è un nodo particolarmente complesso. Attualmente la politica di

controllo della qualità e dell’avanzamento dell’industrializzazione avviene mediante

la trasferta di personale aziendale italiano in loco e tramite la figura di un quality

controller esterno. L’azienda sta tuttavia prendendo in considerazione l’idea

dell’implementazione di una struttura, anche societaria, presente direttamente vicino

ai laboratori, in modo da consentire un controllo più stretto sul processo produttivo.

A livello contrattuale, emerge un deficit di forma nella disciplina degli accordi di

fornitura. O meglio, i contratti esistono, vengono stipulati e accettati nelle varie

clausole e, solitamente, viene individuato a Ginevra il foro competente in caso di

controversie, ma, nella prassi, tali contratti spesso non vengono nemmeno firmati.

60V. supra, nota 10 a pag. 18.

Page 113: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

109

Insomma, gli accordi vengono rispettati fintanto che le cose vanno bene ma, nel caso

in cui si “litighi”, le sorti della controversia sono tuttaltro che definite.61

Per quanto riguarda la distribuzione all’estero, la fase di ingresso di Bailo nei mercati

internazionali è da ricondursi ai primi anni ’90, a seguito dell’incremento del

fenomeno di saturazione del mercato interno.

In quel periodo la entry mode prescelta è il ricorso ad una rete di distributori

indipendenti cui viene delegata la definizione delle politiche e delle strategie locali.

Anche oggi, Bailo ricorre quasi integralmente alla forma dell’esportazione indiretta: i

contatti vengono tenuti con una rete di importatori/distributori e di agenti presenti nei

mercati esteri di sbocco.

Tale modalità è sinonimo di distacco dal mercato e non permette all’azienda di

maturare la necessaria conoscenza per porsi in maniera più diretta con la clientela

oltrefrontiera e calibrare con più precisione la propria offerta.

Per questo Bailo guarda con sempre maggiore interesse ai gruppi di acquisto, che si

stanno imponendo come foma sempre più rilevante nella distribuzione su larga scala.

Attraverso queste strutture si cerca di incrementare in modo sostanziale il fatturato,

migliorando i margini di profitto a fronte di spese di intermediazione inferiori, senza

tralasciare i vantaggi derivanti da un rapporto più stretto con il mercato target, in

termini di informazioni a sostegno della strategia aziendale.

In più, sempre nell’ottica di aumentare il grado di integrazione con il mercato estero,

l’azienda stava recentemente valutando l’idea di aprire una filiale negli Stati Uniti,

con l’obiettivo di gestire direttamente le vendite all’interno del vasto mercato

americano. Tuttavia, l’attuale crisi economica, che ha colpito principalmente proprio

61 I partner cinesi dimostrano scarso interesse a formalizzare gli accordi e, forti di una lunga fila di aziende pronte a prenotare la produzione, ricorrono a spiegazioni che in italiano potrebbero suonare più o meno come “O così, o Pomì”.

Page 114: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

110

gli USA, ha influenzato tale decisione, tanto da rimandarla a tempi più propizi, dato

che era stato previsto, in condizioni di mercato antecedenti alla crisi, un periodo di tre

anni per il raggiungimento del break even point, mentre, allo stato dei fatti, i tempi

previsti per il recupero dell’investimento si sono sensibilmente dilatati.

Tirando le somme: mediante il ricorso all’esportazione indiretta più qualche contatto

tenuto direttamente con qualche cliente, le vendite all’estero incidono per circa il 30%

del fatturato complessivo dell’azienda (vedi grafico)

Fatturato Bailo per area geografica

Fonte: Bailo Spa

All’interno di questo 30% di esportazioni, il peso relativo di ciascun mercato sul

totale è ripartito nel modo seguente:

• Corea del Sud: 21%

• Giappone: 19%

• Austria: 18%

Page 115: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

111

• Germania: 8%

• Spagna: 8%

• USA: 8%

• Taiwan: 6%

• UK: 5%

• Francia: 3%

• Polonia: 3%

• Rep. Ceca: 1%

Suddivisione del fatturato estero di Bailo

Fonte: Bailo Spa

Come si può osservare, il principale mercato estero di sbocco per i prodotti Bailo è

rappresentato dalla Corea del Sud.

Page 116: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

112

Il motivo di questo è sicuramente attribuibile alla composizione del microambiente

coreano, caratterizzato dalla presenza di rilievi montuosi molto simili allo scenario

alpino, il che rende desiderabili i capi di abbigliamento outdoor. Ma, da un altro punto

di vista, una così significativa penetrazione in questo mercato è da attribuirsi alla

stretta rete di relazioni che si sono andate a instaurare dal punto di vista della fornitura

dei tessuti che, come abbiamo già accennato, provengono in misura notevole proprio

da aziende coreane. L’infittirsi dei rapporti commerciali con questo paese per

questioni produttive ha permesso di scoprire in esso anche un ottimo mercato di

sbocco per le proprie merci. Forse i coreani sono consci di guadagnare acquistando i

capi Bailo, dato che questi ultimi sono in larga parte prodotti con tessuti made in

Korea.

Forse la stessa cosa potrà verificarsi nel prossimo futuro in relazione al mercato

cinese. Per oggi, tuttavia, tale paese non risulta significativo per le esportazioni

dell’azienda, in conseguenza della segmentazione del mercato interno che vede, da

una parte una minoranza di consumatori ad altissimo reddito più propensi al consumo

dei brand del superlusso (italiani in testa) e, dall’altra, una maggioranza di

consumatori a bassissimo reddito, i quali non dispongono, almeno per ora, del potere

d’acquisto necessario per i prodotti Bailo.

Page 117: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

113

CONCLUSIONI

Page 118: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

114

Page 119: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

115

Conclusioni PMI e mercato globale.

Suona un po’ come Davide contro Golia.

Nel corso della trattazione si è visto come nel T/A sia andata intensificandosi la

competizione a livello globale in seguito alla recente liberalizzazione.

La Cina è ormai leader indiscussa nella produzione di abbigliamento ed è sempre più

competitiva anche per quanto riguarda il tessile.

La contropartita dell’ascesa cinese è una diminuzione di quote di mercato subita dagli

altri maggiori players, UE e USA in primis.

All’interno dell’UE, l’Italia è il paese più danneggiato, a causa della sua maggior

dipendenza dal T/A in confronto agli altri paesi comunitari.

Le nostre PMI si trovano oggi a confrontarsi con un mercato di dimensioni mondiali,

in cui la legge del profitto non guarda in faccia nessuno.

La prospettiva più drammatica sembra essere quella delle aziende di confezioni in

conto terzi, le quali subiscono la concorrenza di laboratori cinesi nei quali il costo

della manodopera è dieci volte minore, in cui non esistono sindacati e le operaie

lavorano anche 16 ore al giorno, staccando solo una domenica ogni due.62

La massimizzazione del profitto implica la massimizzazione dei ricavi e la

minimizzazione dei costi.

Purtroppo tale ultimo obiettivo è di difficile raggiungimento in Italia, motivo per cui,

volendo essere franchi, non si vedono ragioni che possano frenare l’esodo della

produzione verso il far east, soprattutto verso la Cina.

L’unica soluzione individuata che appare degna di nota è quella emersa nell’ambito

del progetto Leapfrog. L’utilizzo di robot in sostituzione della manodopera a basso

62 F. Rampini, “L’impero di Cindia”, Mondadori, 2006

Page 120: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

116

costo sembra in effetti una soluzione intelligente ma, per quanto riguarda la sua

effettiva applicazione, per ora è ancora tutto da vedere.

Se quanto detto per le aziende di façon delinea uno scenario pessimistico, tutt’altro

stimolo si ricava dall’osservazione delle nostre aziende di abbigliamento titolari di

brand propri.

Per esse la liberalizzazione del settore rappresenta una ghiotta opportunità di

massimizzazione del profitto.

Queste aziende, infatti, già da tempo ricorrono all’outsourcing per le fasi di

produzione dei capi e l’effetto della liberalizzazione, con la conseguente possibilità di

acquistare in Cina a prezzi più bassi, non può che migliorare la loro situazione, dato

che i costi vengono così minimizzati.

Inoltre per esse la concorrenza non proviene dalla Cina, che nelle fasi della filiera a

più alto valore aggiunto è molto lontana dal nostro livello, ma proviene da altri paesi

industrializzati.

La Cina è, per le aziende con brand, un partner strategico e non un avversario, mentre,

per le imprese italiane specializzate nella sola confezione, è vero il contrario, ossia

che i cinesi sono la peggiore minaccia esistente.

Come si dice a proposito di qualcuno di grosso e potente: “meglio con lui che contro

di lui”.

Quanto osservato porta ad assumere che, nel prossimo futuro, sarà possibile assistere

ad una riqualificazione del personale delle aziende di façon. Essendo che, ormai, sia

la fase di produzione delle serie di collezione sia la fase di realizzazione del

campionario vengono eseguite in far east, l’azienda italiana di confezioni potrebbe

riconvertirsi a service esterno di progettazione e prototipia, le uniche fasi a contenuto

di lavoro qualificato e ancora richieste in Italia dalle aziende titolari dei brand.

Page 121: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

117

Un’ultima cosa che potrebbe salvare la nostra industria dell’abbigliamento sarebbe un

aumento vertiginoso del prezzo del petrolio, ad un livello tale da non rendere più

conveniente il sourcing in Cina.

Ma il raggiungimento del picco del petrolio non avrebbe solo questa conseguenza,

bensì condurrebbe ad una sensibile riduzione del commercio internazionale in

generale, con una diminuzione del benessere collettivo tale da non giustificare

esultanze da parte di nessuna lobby, grande o piccola che sia.

È dunque nostra opinione, alla luce dei risultati del presente studio, che la tradizionale

confezione dei capi di abbigliamento in Italia rappresenti un’industria “morente”, che

dispone ancora di qualche anno per riconvertirsi, pena l’estinzione.

Tutta un’altra prospettiva si intravede, invece, per l’impresa titolare di marchio

proprio, che, anche se di medie o piccole dimensioni, può oggi, inserendosi al centro

di una rete internazionale di imprese che vanno dalla produzione alla distribuzione, in

linea con paradigmi di organizzazione snella, mettere in piedi il proprio business

globale, senza peraltro dover sopportare insostenibili sforzi in termini finanziari e

organizzativi.

Certo è che, nel momento in cui l’azienda volesse consolidare la propria presenza sul

mercato mondiale e innescare una fase di crescita, a quel punto si renderebbero

necessari maggiori sforzi, atti all’implementazione di strategie di penetrazione più

integrate con i mercati internazionali, per esempio con il ricorso a IDE.

Per fare questo la PMI dovrebbe ristrutturarsi al fine di raggiungere una dimensione

idonea a rispondere alla maggiore complessità, sia in termini finanziari che di

organizzazione.

Come si è visto, negli ultimi 10 anni sono molte le aziende italiane che si sono mosse

in tal senso, mediante ricorso a fusioni e acquisizioni, sempre di più finanziate con il

Page 122: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

118

Private Equity, una forma di approvvigionamento del capitale che si sta diffondendo

sempre più anche nel nostro paese.

In definitiva, la situazione si riduce ad una sorta di paradosso:

per vincere Golia, o Davide si fa snello, oppure si fa grosso!

Page 123: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

119

BIBLIOGRAFIA

Page 124: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

120

Page 125: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

121

Bibliografia e risorse web

A.Alesina, F.Giavazzi, “La Crisi”, Il saggiatore, 2008. S. Conti, G. Dematteis, C. Lanza, F. Nano, “Geografia dell’Economia Mondiale”, Utet Università, 2006. P.Krugman, M.Obstfeld, “Economia Internazionale 1”, terza edizione, Hoepli. F. Rampini, “L’impero di Cindia”, Mondadori, 2006. Commission Staff Working Paper, “Evolution of trade in textile and clothing worldwide – trade figures and structural data”, Commission of the European Communities, Bruxellels, 21/11/2003. Laboratorio di Economia Internazionale, Michele Di Maio, Università di Macerata, 2007-2008 Yu Fei, “Some issues on Product-specific Safeguard Measures Against China”, WTO Focus, 2004. OECD (2003), “Liberalizing Trade in Textiles and Clothing: A survey of Quantitative Studies”, Working Party of the Trade Committee, TD/TC/WP (2003), January, 2003. J.S. Francois, B. McDonald, H. Nordstom, “The Uruguay Round: a global general equilibrium assessment” Discussion Paper n° 1067, Centre for Economic Policy Research, London, 1997. “The textile and clothing speficity – facts and figures”, at The 6th WTO Ministerial Conference – Hong Kong, Euratex, 2005. H.P. Lankes, “Market Access for Developing Country Exports”, Finance & Development, September 2002. “Where Free Trade Hurts”, Business Week, December 15, 2003. ISAE, “La liberalizzazione commerciale del settore tessile e abbigliamento”, Marzo 2005. ICE, Area Studi, Ricerche e Statistiche, “La liberalizzazione del Tessile/Abbigliamento: impatti e strategie”, dicembre 2004. NCTO, “United States Files Case against Illegal Chinese Textile Subsidies”, December 19th, 2008. NCTO, “Imports of Chinese Apparel Soar after Safeguards Remove – NCTO Urges Obama Administration to Begin monitoring Program”, March 16th, 2009. H.K. Nordas, “The Global Textile and Clothing Industry post the Agreement on Textile and Clothing”, WTO Discussion Paper No 5.

Page 126: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

122

“Tessili e Abbigliamento: riunione del Gruppo ad Alto Livello per preparare raccomandazioni sul futuro del settore tessile UE”, Gruppo di Alto Livello sul Tessile e Abbigliamento, Bruxelles, 29 giugno 2004. High Level Group Report and First Recommendations, June 2004. G. Belletti, “Il grande salto”, Confezione, Settembre 2006. Intervento di Rezia Molfino, dell’Università di Genova (PMARlab –DIMEC) ad un convegno c/o la Federazione SMI-ATI, 2006. Liu Guangxi, Chen Taifeng, “To use connotation of the dependency ratio of foreign trade scientifically and China’s countermeasures under the WTO”, International Business Research, 2004. Elaborazione Centro Studi Confindustria su dati Eurostat. Cfr. “La trasformazione industriale in Europa”, Centro Studi Confindustria, dicembre 2004. “Ricerca sul mercato dei tessuti e dell’abbigliamento nella Federazione Russa”, a cura dell’ufficio ICE di Mosca, presentata presso il CNA Federmoda di Bologna l’11 giugno 2009. Convegno Pambianco: “Gli scenari futuri della Moda e del Lusso”, Palazzo Mezzanotte P.zza Affari, 2 novembre 2007. Acocella, Pazienza, Reganati, “Le statistiche sugli investimenti diretti esteri e sull’attività delle imprese multinazionali”, Rapporto di ricerca della Commissione per la garanzia dell’informazione statistica, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Luglio 2002. S. Maiorino, “Le strategie di internazionalizzazione delle piccole e medie imprese”, documento Internet tratto dal sito http://www.tesionline.it http://www.fairtextiletrade.org/ http://www.coconafabrics.com http://www.sistemamodaitalia.com http://www.transnationale.org http://www.euratex.org http://www.ncto.org http://www.wto.org http://www.worldbank.org

Page 127: PMI E MERCATO GLOBALE: IL CASO DEL TESSILE…

123

http://www.leapfrog-eu.org http://www.ctiec.com.cn http://www.bailo.com